Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

51.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

La libertà di opinione, di coscienza e di culto (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti, Relatore – Moro – Cevolotto, Relatore – Marchesi –De Vita – La Pira – Grassi.

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento

Presidente – Cevolotto – Moro – Dossetti.

L’insegnamento religioso nelle scuole elementari (Discussione)

Marchesi – Presidente – Moro – Togliatti.

Chiusura dei lavori della Sottocommissione

Presidente – La Pira – Togliatti.

La seduta comincia alle 19.

Seguito della discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.

PRESIDENTE apre la discussione sul quarto ed ultimo articolo proposto dall’onorevole Dossetti nella sua relazione e così formulato: «Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare, di possedere ed amministrare beni mobili ed immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali».

DOSSETTI, Relatore, fa presente che vi sono degli Stati in cui la personalità giuridica degli enti ecclesiastici non è mai stata contestata, anche se ha subito rare o lievi compressioni in linea di fatto. Invece nello Stato italiano, in seguito a vicende a tutti note, è stata tolta agli enti ecclesiastici la personalità di diritto. Questo articolo vuole, quindi, affermare un concetto negativo, che cioè il carattere ecclesiastico o lo scopo di culto non possono essere causa di un trattamento odioso a danno degli enti stessi. La norma si giustifica non solo come esigenza particolare degli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, ma anche degli enti religiosi non appartenenti alla Chiesa cattolica, tanto è vero che essa è stata invocata da appartenenti a Chiese non cattoliche.

MORO dichiara di aderire alle considerazioni svolte dall’onorevole Dossetti.

CEVOLOTTO, Relatore, propone che all’ultima proposizione dell’articolo in discussione, la quale dice: «come non possono essere causa di speciali gravami fiscali», sia fatta la seguente aggiunta: «Tali limitazioni possono essere però sancite dalla legge quando l’ente e i suoi titolari siano sussidiati dallo Stato o da altri enti pubblici, o godano esenzioni tributarie».

Osserva che il principio generale affermato nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti è giusto, ma per gli enti religiosi sussidiati dallo Stato o da altri enti pubblici vi dovrebbe essere una norma speciale, essendo logico che, se lo Stato paga, può imporre delle limitazioni.

DOSSETTI, Relatore, riconosce che l’osservazione dell’onorevole Cevolotto, il quale dice che nell’eventualità in cui sussista un onere a carico dello Stato a favore di un ente ecclesiastico, lo Stato avrà un diritto di intervento nel regime dell’ente stesso, diritto che egli esclude quando quest’onere non c’è, è fondata e risponde all’attuale disciplina degli enti ecclesiastici.

La limitazione riaffermata nell’aggiunta proposta dall’onorevole Cevolotto non è in contradizione con la norma posta nell’articolo in discussione, perché questo non riguarda le eventuali restrizioni o il diritto di intervento dello Stato là dove lo Stato dà una contropartita all’ente stesso, ma riguarda il principio della riconoscibilità, per cui si vuole assicurare che non ci siano esclusioni di riconoscibilità fondate sul carattere ecclesiastico e lo scopo dell’ente.

MARCHESI domanda all’onorevole Dossetti se, a queste associazioni ecclesiastiche che in qualità di persone giuridiche possono avere il possesso e l’amministrazione di beni mobili ed immobili, sia consentita la proprietà di larghe estensioni di terreno, che restino immuni da riforme legislative.

DOSSETTI, Relatore, risponde che anzitutto va tenuto presente che esiste una legge la quale disciplina gli acquisti degli enti morali, legge che è alla base del nostro ordinamento giuridico. Questa legge stabilisce che un ente morale non può acquistare beni se non entro determinate condizioni e entro certi limiti; e precisamente stabilisce che non possa acquistare beni mobili mortis causa o per atto di donazione o per compravendita se non con l’autorizzazione governativa, la quale è un atto discrezionale che può essere dal Governo dato o rifiutato. Il Governo ha quindi in mano un’arma per garantirsi che questi enti non si espandano eccessivamente.

Fa osservare in secondo luogo che la norma dell’articolo 4 in discussione non preclude allo Stato la possibilità di introdurre ulteriori limitazioni. Vuole soltanto stabilire che queste eventuali limitazioni devono essere adottate per tutti gli enti e non soltanto per gli enti aventi scopo o finalità di culto. Se lo Stato in futuro decidesse che le persone giuridiche non possono possedere la terra, la norma in discussione non contraddirebbe a tale decisione e non verrebbe a garantire agli enti ecclesiastici un trattamento particolare.

MARCHESI torna a domandare se la norma non mira a stabilire oasi ferme di proprietà, escluse dalle vicende delle legislazioni sociali.

DOSSETTI, Relatore, ripete che la norma in esame mira soltanto a escludere un privilegio negativo e odioso. La personalità giuridica degli enti ecclesiastici può essere colpita da tutte le leggi restrittive in vigore per gli altri enti morali; ma, in base a questo articolo, non può essere colpita in modo speciale per il semplice fatto di essere persona ecclesiastica.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare all’onorevole Marchesi, che dopo il Concordati, in realtà è cessato il divieto di possedere e che quindi esiste la possibilità di una ricostituzione della manomorta, ricostituzione che l’articolo in esame né facilita né contrasta. Non resta ora che vedere come essa si svilupperà, e se diverrà una questione che andrà risolta. Allo stato attuale non ravvisa la possibilità di tornare a imporre quei divieti che sono stati tolti.

MARCHESI domanda se non si ritengano sufficienti, allo scopo che si propone l’articolo dell’onorevole Dossetti, le disposizioni del Concordato.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti non v’è niente di sostanzialmente diverso dalle disposizioni concordatarie. È da osservare, inoltre, che la norma è richiesta anche da associazioni religiose appartenenti ad altre Chiese. Non si possono certo porre le associazioni cattoliche in una situazione peggiore delle associazioni protestanti o di altre religioni.

MARCHESI obietta che si potrebbero applicare allora le disposizioni concordatarie.

CEVOLOTTO fa presente che si tratta di arrivare ad una norma comune per tutte quante le associazioni dei diversi culti. Se questa presenterà dei pericoli, lo si vedrà nel corso della sua applicazione.

DE VITA osserva che, secondo la legge civile, quando viene a cessare lo scopo per cui l’ente morale è stato costituito, il patrimonio va devoluto allo Stato. Per quel che riguarda gli enti morali non religiosi il pericolo della manomorta è dunque evitato; invece, per quanto riguarda gli enti ecclesiastici, questo pericolo esiste perché non c’è per essi la possibilità di devoluzione del loro patrimonio allo Stato. Con l’articolo in esame gli enti morali ecclesiastici potranno costituire patrimoni, anche vistosi, e attraverso la costituzione di questi patrimoni si può creare quella situazione giuridica che comunemente si chiama manomorta.

DOSSETTI, Relatore, ricorda che la legge del 1855 prescrive che un ente morale, sia esso ecclesiastico o no, per acquistare determinati beni, specialmente immobili, ha bisogno dell’autorizzazione governativa. C’è quindi un controllo. Se lo Stato, in futuro, notasse un fenomeno di eccessivo afflusso di beni specialmente immobili agli enti in genere, può non dare l’autorizzazione a nuovi acquisti.

Osserva quindi non essere esatta l’affermazione dell’onorevole De Vita che i beni delle persone giuridiche estinte vadano allo Stato. Ci vanno solo in ultima istanza, giacché nel caso di estinzione di un ente morale il suo patrimonio andrà ad enti che si prefiggono scopi analoghi e, in mancanza di questi, allo Stato. Ma tale questione non interessa la norma in esame, perché, restino o no quei bini nell’ambito di un determinato tipo di ente, ciò non significa che attraverso estinzioni successive si aumenti il patrimonio globale di un determinato tipo di ente. Ciò non può avvenire, perché alla base di tutto il sistema vi è un controllo da parte dello Stato.

DE VITA obietta che la sua osservazione rimane valida nonostante le delucidazioni dell’onorevole Dossetti. La legge civile, per quanto riguarda la disciplina di questa materia, non è applicabile agli enti ecclesiastici.

DOSSETTI, Relatore, replica che per tutti gli enti vale la stessa norma, e fa notare che vi è una vasta dottrina sul principio della estinzione delle persone giuridiche e la conseguente assunzione dei beni.

PRESIDENTE conferma che le finalità dell’articolo in discussione sono quelle indicate dal Relatore, onorevole Dossetti.

DE VITA spiega il suo rilievo precedente nel senso che, mentre per tutti gli altri enti morali c’è la possibilità che i loro beni a lungo andare vadano a finire nelle mani dello Stato, per gli enti ecclesiastici ciò non avviene. Lo Stato quindi può concedere agli enti morali l’autorizzazione ad acquistare immobili, ma non conviene che la conceda agli enti ecclesiastici, perché altrimenti vi è la possibilità che si ricostituisca la manomorta attraverso il patrimonio degli enti ecclesiastici stessi.

LA PIRA ricorda che lo Stato controlla tutti gli enti giuridici. Quando lo Stato si accorge che per le persone giuridiche si forma la cosiddetta manomorta, non dà l’autorizzazione e quindi il patrimonio non cresce e può anche essere eliminato. Non comprende pertanto le difficoltà sollevate dall’onorevole De Vita.

DE VITA dichiara di aver compreso lo spirito della disposizione, ma insiste sul fatto da lui indicato.

DOSSETTI, Relatore, sostiene con un esempio concreto che in ogni caso il patrimonio non si accresce. Infatti, supponendo che gli enti ecclesiastici in Italia abbiano un patrimonio complessivo di un miliardo, e che questo miliardo sia distribuito tra cento enti ecclesiastici, se ad un determinato momento novanta di questi enti si estinguono e ne restano soltanto dieci, è chiaro che il patrimonio di un miliardo va a concentrarsi nei dieci enti superstiti, ma non per questo aumenterà.

DE VITA obietta che possono sorgere nuovi enti ecclesiastici, e che lo Stato deve anche ad essi accordare l’autorizzazione; per questa via il patrimonio degli enti ecclesiastici può certamente aumentare.

DOSSETTI, Relatore, precisa che le sue osservazioni in risposta all’onorevole De Vita volevano sottolineare il fatto che il regime di evoluzione degli enti ecclesiastici non costituisce ragione per l’espansione del loro patrimonio. La Chiesa avrebbe altrimenti un sistema molto semplice per aumentare il suo patrimonio: distruggere gli enti ecclesiastici.

GRASSI osserva che attualmente gli enti ecclesiastici possono possedere ed acquistare e che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti potrebbe anche essere superfluo, poiché la materia è già regolata dal Concordato. Se mai, la norma può valere per gli enti religiosi non cattolici.

L’unico inconveniente è che i beni religiosi sono sottratti alla successione e quindi, mentre gli altri patrimoni nel giro di poche generazioni fatalmente si disperdono, quelli degli enti ecclesiastici non si estinguono. D’altra parte, la legge fissa al posto della tassa di successione quella di manomorta.

DE VITA fa presente che la sua osservazione mirava proprio a segnalare il pericolo di una possibile ricostituzione della manomorta.

GRASSI rileva che, in questo caso, lo Stato si difenderà con le sue leggi.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo 4 nel testo proposto dall’onorevole Dossetti, di cui ripete la formulazione:

«Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare, di possedere ed amministrare beni mobili ed immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali».

CEVOLOTTO dichiara che rinuncia alla sua proposta aggiuntiva e voterà a favore di questo articolo, tenendo però presenti i chiarimenti dati dall’onorevole Dossetti.

(L’articolo è approvato con 13 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE fa presente che, avendo la Sottocommissione esaurito il suo compito nei riguardi della formulazione degli articoli, restano ora da rivedere quegli articoli già approvati che non sono stati trasmessi al Comitato di coordinamento perché la Sottocommissione si era riservata di riesaminarli, non solo al punto di vista del testo, ma anche del loro collocamento.

Avverte che, essendosi avuto sentore della possibilità che venga proposta la soppressione dalla Costituzione dei tre articoli che egli si appresta a sottoporre alla revisione della Sottocommissione, salvo a inserirne il concetto nel preambolo, è bene che anche questa eventualità sia tenuta presente nel riesame.

Passa quindi alla lettura dell’articolo 1:

«La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia, la libertà e la dignità della persona umana, e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica, spirituale, riconosce e garantisce i diritti inalienabili e sacri dell’uomo sia come singolo, sia nelle forme sociali nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

CEVOLOTTO dichiara che, essendo contrario a questo articolo, se verrà proposto in sede di Commissione plenaria o di Assemblea plenaria di trasferirne il concetto nel preambolo, sarà favorevole a questa proposta.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 2:

«Gli uomini, a prescindere dalle diversità di attitudini, di sesso, di razza, di nazionalità, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad un eguale trattamento sociale.

«È compito perciò della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana ed il completo sviluppo fisico, economico, culturale e spirituale di essa».

CEVOLOTTO dichiara che se anche per questo secondo articolo sarà proposto il collocamento nel preambolo, voterà a favore di tale proposta.

PRESIDENTE legge l’articolo 3:

«Ogni uomo è soggetto di diritto».

CEVOLOTTO propone che questo articolo sia soppresso, perché ritiene che il concetto sia già compreso nell’articolo 4, così come è stato formulato dal Comitato di coordinamento.

MORO ricorda di aver fatto un’esplicita riserva, dichiarando che questo articolo doveva essere sottoposto ad una seconda elaborazione.

PRESIDENTE propone che i tre articoli, così come sono stati formulati, vengano inviati al Comitato di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Ricorda che il Comitato di coordinamento ha abolito l’articolo 6, già approvato dalla Sottocommissione, che era così formulato:

«È riconosciuto ad ogni lavoratore, nei modi indicati dalla legge, uno stato professionale che è fondamento di diritto».

Legge quindi il penultimo articolo sui rapporti civili, non ancora trasmesso al Comitato di coordinamento:

«Le libertà garantite dalla presente Costituzione devono essere esercitate per il perfezionamento integrale della persona umana, in armonia con le esigenze della solidarietà sociale e in modo da favorire lo sviluppo del regime democratico mediante la sempre più attiva e concreta partecipazione di tutti alla cosa pubblica.

«La libertà è fondamento di responsabilità».

CEVOLOTTO dichiara di essere contrario a questo articolo, perché dire che le libertà garantite devono essere esercitate in modo da assicurare lo sviluppo del regime democratico rappresenta una formula che permette di sopprimere tutte le libertà che si vogliono negare, con la giustificazione che non sono dirette a favorire il regime democratico.

PRESIDENTE propone che anche questo articolo, così come è formulato, venga rinviato al Comitato di coordinamento, e fa presente che a suo parere esso dovrebbe essere collocato al n. 3 del tema dei rapporti civili.

(Così rimane stabilito).

Ricorda che, secondo l’ordine dato ai lavori della Sottocommissione, il tema dei principî dei rapporti politici e sociali deve riprendere il suo posto, di precedenza rispetto al tema della famiglia. Fa inoltre presente che questo tema dei rapporti politici avrebbe dovuto concludersi all’articolo 7, ma invece fu estesa la discussione a punti che non erano compresi nelle proposte dei Relatori e furono votati i seguenti articoli riguardanti le forme dello Stato italiano e i provvedimenti nei confronti della Casa Savoia:

«Art. … – Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

«Art. … – L’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva e non può essere oggetto di normale procedimento di revisione della Costituzione».

«Art. … – La legge disporrà l’avocazione allo Stato dei beni di Casa Savoia».

«Art. … – Ai membri della Casa Savoia è proibita la residenza nel territorio della Repubblica».

Dovendosi dare ora un collocamento a questi articoli, fa presente che essi, per il loro carattere generale, andrebbero collocati in testa o in coda al testo costituzionale. Ritiene che la Sottocommissione debba limitarsi a stabilire tale collocazione, lasciando alla Costituente la definitiva decisione.

Apre la discussione su questo punto.

DOSSETTI si dichiara del parere che l’articolo riguardante la dichiarazione dello Stato come Repubblica, che qualcuno vorrebbe vedere in testa alla Carta costituzionale, sia da mettere invece in testa alla parte riguardante la struttura dello Stato, come esplicazione logica dei principî affermati nell’ordinamento precedente, anche perché, nella coscienza collettiva, l’adesione alla Repubblica democratica da parte di tutti gli italiani sarà tanto più approfondita, in quanto sarà sentita non come un cappello imposto un po’ forzosamente all’apice del nostro ordinamento, ma come lo sviluppo logico ed ultimo di una catena che dal riconoscimento dei diritti della persona arriva all’affermazione dello Stato repubblicano.

CEVOLOTTO, contrariamente allo schema di collocazione prospettato dall’onorevole Rossetti, ritiene che l’articolo riguardante la dichiarazione dello Stato come Repubblica vada collocato nella prima parte della Carta costituzionale, quella cioè che riguarda la sovranità, come è appunto nell’attuale Costituzione francese. Poiché non si sta facendo un trattato di sociologia, ma la Costituzione della Repubblica italiana, è del parere che, per un principio politico, questa Costituzione debba cominciare con l’affermazione: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica».

MORO, associandosi alle osservazioni dell’onorevole Dossetti, fa presente che gli articoli in discussione non hanno formato oggetto di alcuna decisione da parte del Comitato di coordinamento, il quale ha ritenuto di doverne rimandare la decisione alla Commissione plenaria. Crede quindi opportuno che ciascuno si riservi di esprimere in quella sede il proprio parere sull’argomento.

PRESIDENTE comunica che rimane inteso che la decisione circa il collocamento di questi articoli è rinviata in sede di Commissione plenaria.

(La Sottocommissione concorda).

Proseguendo nell’esame degli articoli non ancora sottoposti a revisione, fa presente che a due articoli riguardanti la bandiera nazionale e la sovranità dello Stato, già esaminati dal Comitato di coordinamento, seguono quelli concernenti la resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali garantite dalla Costituzione e l’altro che stabilisce la rinuncia da parte della Repubblica alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

MORO fa presente che il Comitato di coordinamento ha approvato il concetto che, per quanto riguarda il collocamento e la formulazione di questi articoli, la decisione debba spettare alla Commissione plenaria.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione ha approvato nella seduta di stamane un articolo in cui è detto: «Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione individuale ed associata della propria fede, alla propaganda di essa e al libero esercizio privato e pubblico del proprio culto, purché non si tratti di religione e di culto implicanti principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

Propone che questo articolo venga collocato nella prima parte che riguarda i principî dei rapporti civili.

(Così resta stabilito).

Fa presente che ci sono infine i due articoli riguardanti la questione dei rapporti internazionali e quella dei rapporti tra Stato e Chiesa.

DOSSETTI ricorda che la Sottocommissione aveva già stabilito un ordine di collocamento per questi articoli.

PRESIDENTE dichiara di ritenere che i due articoli debbano essere collocati nel capitolò che riguarda i principî dei rapporti civili.

(Così resta stabilito).

Discussione sull’insegnamento religioso nelle scuole elementari.

MARCHESI fa presente che è rimasto sospeso un articolo proposto dall’onorevole Moro concernente l’insegnamento religioso nelle scuole elementari. Su questo articolo, a proposito del quale egli fece una dichiarazione di voto preliminare, la Sottocommissione non si è pronunciata.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Marchesi che quell’articolo fu oggetto di una lunga discussione, troncata in seguito a una proposta dell’onorevole Dossetti di rinviarne la discussione dopo che la Sottocommissione avesse deliberato circa le relazioni tra lo Stato e la Chiesa. Invita l’onorevole Moro, che insieme all’onorevole Marchesi fu Relatore del tema dei rapporti culturali, a cui l’articolo si riferisce, ad esprimere il suo pensiero sull’argomento.

MORO dichiara che, essendosi stabilito che i Patti Lateranensi rimangono come base per i rapporti tra Stato e Chiesa, i commissari democristiani rinunciano a richiedere una esplicita dichiarazione su questo punto. Qualora questa disciplina giuridica non avesse più efficacia, egli ed i colleghi della Democrazia cristiana si riservano di presentare quell’articolo nella forma e nella sede più opportuna.

MARCHESI dichiara che l’articolo votato nella seduta precedente, in cui è stato inserito il Concordato come base dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, si presterà certamente ad una ulteriore discussione. L’argomento non si è certo esaurito nella sede della prima Sottocommissione, e parecchi punti saranno particolarmente messi in rilievo, e specialmente quella parte del Concordato che si riferisce all’insegnamento religioso nelle scuole.

Osserva che la formula proposta in un secondo tempo dall’onorevole Moro avrebbe di molto attenuato l’opposizione a quel principio, e farebbe onore all’onorevole Moro il riproporla in questa sede come indizio modificatore di certe inconsulte asprezze delle norme concordatarie. L’articolo però dovrebbe essere riproposto così com’è formulato nella sua seconda redazione.

MORO ricorda all’onorevole Marchesi le vicende subite da quel suo articolo che suscita lo sdegno dell’onorevole Togliatti, in seguito al quale egli dovette rivendicare la propria buona fede. Fa presente come egli, in quella sede, chiarì che se i democristiani avessero potuto ottenere l’unanimità dei voti su quell’articolo, avrebbero potuto giustificare la situazione delicata che veniva a crearsi per la discordanza tra la seconda formulazione dell’articolo stesso e la norma contenuta nel Concordato.

TOGLIATTI fa presente che i comunisti erano disposti a votare l’articolo.

MORO obietta che l’onorevole Marchesi aveva già dichiarato che non l’avrebbe votato. Osserva che ora la situazione è diversa, perché nella seduta precedente è stato votato un articolo che richiama integralmente la disciplina concordataria per tutte le norme di sua competenza, tra cui è compresa una norma relativa all’insegnamento religioso. Quindi, dopo l’inserimento del Concordato nella Costituzione, si potrà sempre apportare a quella norma le modificazioni che si riterranno opportune; ma se, invece, si approvasse in questa sede una norma diversa dal testo concordatario, si creerebbe una situazione non solo particolarmente delicata da un punto di vista politico, ma tale da meritare un attento esame da parte della Sottocommissione nei riguardi del lato giuridico.

MARCHESI osserva che i democristiani darebbero un lodevole e giovevole esempio se, senza smentire la sostanza dell’articolo concordatario, inserissero nella Costituzione una qualche modificazione conforme a quello spirito di libertà che hanno tante volte affermato.

MORO invita l’onorevole Marchesi a rendersi conto dell’importanza del rilievo che egli ha fatto in relazione a questo problema costituzionale, e come egli non possa assumersi leggermente una tale responsabilità.

MARCHESI dichiara fin d’ora che in sede di Commissione plenaria e di Assemblea costituente esprimerà il suo pensiero sull’articolo del Concordato.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Marchesi che, ove l’onorevole Moro non accolga la sua richiesta, egli potrà riservarsi di risollevare la questione in sede di Commissione plenaria o di Assemblea costituente. Ritiene comunque opportuno sospendere brevemente la seduta, per dare modo all’onorevole Moro di consultarsi con i colleghi democristiani prima di rispondere in merito alla richiesta dell’onorevole Marchesi.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

Comunica che, non avendo lo scambio di idee portato ad alcuna conclusione, si intende che tanto l’onorevole Marchesi come l’onorevole Moro, come anche tutti gli altri Commissari che lo ritenessero opportuno, si riservano il diritto di risollevare tutta la questione in sede di Commissione plenaria ed eventualmente anche in sede di Assemblea costituente.

MORO fa presente che, essendo stati vani i tentativi di giungere a una soluzione concorde, la questione resta impregiudicata ed i contatti in merito tra i rappresentanti delle opposte tendenze saranno ripresi in seno alla Commissione dei settantacinque.

Chiusura dei lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE, prima di dichiarare chiusi i lavori della prima Sottocommissione, dà atto ai Commissari della alacrità e assiduità da essi dimostrate. È stato compiuto un lavoro molto interessante; si è lavorato bene e in profondità; sono stati formulati ben 60 articoli della Costituzione.

Ritiene che, quando il Paese avrà cognizione dell’opera svolta dalla Commissione per la Costituente e sarà in grado di valutarne l’importanza, non potrà non riconoscere che a questa Costituzione è stato portato – nel modo più alto – tutto il contributo di attività, di intelligenza, di operosità in corrispondenza con i sentimenti popolari.

Intende sottolineare, soprattutto, lo spirito col quale si è lavorato: spirito di comprensione che ha mirato sempre a raggiungere risultati nei quali le opposte visioni si integrassero e si fondessero in modo da appagare, nei limiti del possibile, le esigenze di ciascuno dei componenti la Sottocommissione. Ritiene che questo sia il carattere più importante che ha contraddistinto i lavori e che di questo soprattutto si debba conservare il ricordo.

Se il sentimento di comprensione che ha animato tutti i commissari durante i loro lavori potesse diventare patrimonio comune dei militanti nei partiti che oggi formano la base della democrazia italiana, l’opera svolta dalla Sottocommissione non avrebbe potuto raggiungere risultato migliore e di miglior auspicio per quel che dovremo ancora fare nell’Assemblea e nel Paese per garantire al popolo un effettivo regime democratico sulla base della libertà e della giustizia.

(Segni di consenso).

LA PIRA ringrazia il Presidente che ha, con alta imparzialità, con paterna sapienza e con squisito tatto, guidato i lavori della Sottocommissione.

I commissari gliene sono tutti grati: la solidarietà raggiunta in seno alla Sottocommissione è dovuta anche alla sua fatica ordinatrice.

Si associa con tutto il cuore alle parole pronunciate dal Presidente, rilevando che, realmente, tutti i commissari sono spiacenti di doversi separare, poiché si era venuta formando fra di essi una consuetudine di vita e di comune sentimento che ha costituito in seno alla Sottocommissione un vincolo di fraternità umana. È questa già una conquista politica ed è un preannunzio della fraternità che legherà in avvenire tutti gli italiani.

(Segni di consenso).

TOGLIATTI si associa all’onorevole La Pira nell’espressione del ringraziamento per l’azione che il Presidente ha svolto nelle sue funzioni. Tutti i commissari gli sono riconoscenti e ne apprezzano la competenza, l’abilità e la capacità. Sarebbe augurabile che tutte le Commissioni costituzionali fossero dirette nello stesso modo e quindi con lo stesso profitto.

Per quanto si riferisce ai risultati del lavoro svolto dalla Sottocommissione, rileva che, di certo, vi sono punti ancora da discutere e che saranno discussi. La lotta politica continuerà anche dopo che sarà compiuta la Costituzione. Il fatto però di essere riusciti, prima di tutto, a comprendersi, e di essere riusciti in secondo luogo a fissare come elementi della Costituzione alcuni punti su cui i rappresentanti di correnti politiche diverse, provenienti da parti molto lontane, di varia preparazione, con ideologie differenti, si sono trovati d’accordo e hanno votato ad unanimità; il fatto che si è riusciti – e si riuscirà in futuro – ad inserire nella Costituzione una maggioranza di articoli sui quali tutti sono fin d’ora concordi, è di buon auspicio per il futuro del Paese.

L’aver collaborato in questa Sottocommissione, pur attraverso dibattiti alle volte tempestosi, è per tutti motivo di soddisfazione: soddisfazione di aver conosciuto degli uomini, di averne constatato la capacità intellettuale e politica, e di aver trovato con essi una base comune di accordo e di discussione.

Questo è un risultato proficuo che certamente riuscirà utile ai partiti, all’Assemblea e a tutto il Paese.

(Segni di assenso).

PRESIDENTE dichiara chiusi i lavori della Sottocommissione.

La seduta termina alle 21.

Erano presenti: Amadei, Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificali: Caristia e Mancini.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

50.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Il giuramento (Discussione)

Moro – Presidente – La Pira – Togliatti – Lucifero – Merlin Umberto – Cevolotto – Mastrojanni – Corsanego – Basso – Grassi – De Vita – Marchesi – Amadei.

La libertà di opinione, di coscienza e di culto (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti, Relatore – Cevolotto, Relatore – Togliatti – Marchesi – Grassi – Basso – Mastroianni – La Pira – Moro – Merlin Umberto – Lucifero.

La seduta comincia alle 11.

Discussione sul giuramento.

MORO propone di procedere a uno scambio di idee sulla questione del giuramento, e, prima di tutto, sull’opportunità che il giuramento venga inserito nella Costituzione, salvo poi, quando sarà stata dibattuta la questione preliminare, ad entrare nel merito del giuramento stesso, in quanto questo tema appartiene alla competenza della prima Sottocommissione.

PRESIDENTE, non opponendosi alcuno alla proposta dell’onorevole Moro, apre la discussione sull’argomento.

MORO fa presente che, in sede di approvazione della legge sul giuramento nell’Assemblea costituente, fu fatta da parte dei deputati democristiani una esplicita riserva di discutere in sede di Costituzione il tema del giuramento, per stabilire se vi sia un obbligo al giuramento, per quali categorie esista questo obbligo, oppure se vi sia un diritto alla libertà di non essere obbligati a nessun giuramento. Ritiene che la sede più idonea per la discussione di questo punto, sul quale dovrà pronunciarsi l’Assemblea plenaria, sia la prima Sottocommissione, a cui è stato assegnato il tema che riguarda i principî generali della libertà.

LA PIRA dichiara che, essendo il giuramento un atto essenzialmente religioso, che si fa al cospetto di Dio, esso va fatto in casi estremi ed impegna seriamente e fino in fondo la coscienza umana. Siccome però nella vita pubblica ne è stato fatto finora un grande abuso, specialmente nel periodo fascista, ritiene che il giuramento dovrebbe essere soppresso, se questo è possibile, e che, in ogni modo, dovrebbe essere limitato a pochissimi casi eccezionali, restituendogli la sua importanza di un impegno della coscienza dinanzi a Dio o comunque dinanzi ad una coscienza superiore.

PRESIDENTE osserva che questi pochissimi casi riguardano sia la materia sulla quale si dovrebbe giurare, sia le persone che devono giurare. Quindi la limitazione dovrebbe essere ordinata sia sul piano oggettivo, che sul piano soggettivo.

TOGLIATTI dichiara di essere d’accordo con l’onorevole La Pira.

LUCIFERO esprime la sua contrarietà a ogni giuramento imposto per legge, che non è un giuramento fatto secondo la coscienza, ma coatto. Dichiara comunque di concordare con l’onorevole La Pira sul principio che, se ci deve essere un giuramento, esso sia ridotto a quei casi in cui l’assunzione di una determinata carica richieda un determinato impegno di coscienza di fronte allo Stato.

MERLIN UMBERTO ritiene che il giuramento rappresenti una necessità solo per le seguenti categorie: Presidente della Repubblica, membri dell’Esercito, appartenenti agli organi di Polizia, ed infine magistrati. Poiché, però, il giuramento è un atto che impegna davanti a Dio, e ci sono uomini che non hanno il dono della fede, costoro dovranno giurare sulla loro coscienza. Occorre però che il giuramento non sia fissato in una forma determinata, ma con una formula che rispetti la libertà di coscienza di tutti. Cita a tale proposito la Costituzione di Weimar, dove si dice che il Presidente giura secondo una data formula, e si fa seguire poi questo capoverso: «Egli può aggiungere alla formula un giuramento religioso».

CEVOLOTTO fa osservare che, quando si è discusso del giuramento in sede di Assemblea costituente, si trattava di approvare un progetto di legge, diretto soltanto a modificare la formula del giuramento, in quei casi nei quali la legislazione attuale ne indica l’obbligo. Ora invece si tratta di stabilire se si debba introdurre o no il giuramento nella nuova Costituzione, e in quali casi. Esprime anch’egli il parere che il giuramento debba essere limitato, e riservato ai casi del Capo dello Stato, delle Forze armate, della Polizia e dei magistrati.

MASTROJANNI si dichiara contrario al giuramento, poiché esso non trasforma la situazione delle cose, né garantisce l’esecuzione delle leggi. Comprende che il giuramento debba essere prestato dal Capo dello Stato, ma non lo ammette per i magistrati e per l’Esercito, poiché l’Esercito è formato con coscrizione obbligatoria. Aggiunge che ogni volta che il giuramento viene imposto, esso non è più un giuramento.

PRESIDENTE fa osservare che l’Esercito è composto anche di ufficiali di carriera.

MASTROJANNI afferma di ritenere che il giuramento debba essere liberamente espresso dalla coscienza e che pertanto non possa essere ordinato. Non vede perché il magistrato, che amministra la giustizia, debba giurare fedeltà. Fedeltà forse all’osservanza della legge? Ma la legge ha in sé una forza coattiva, per cui la sua violazione porta come conseguenza una sanzione. Parimenti non comprende il giuramento per le Forze di polizia, costituite da modesti esecutori della legge che debbono esercitare le loro funzioni sotto qualsiasi regime, indipendentemente da qualsiasi avvenimento che possa verificarsi nella storia della società. Il giuramento deve essere imposto soltanto nei casi in cui si debba esercitare una funzione processuale, come, ad esempio, per i periti e gli interpreti, e nel caso dei testimoni; per questo giuramento occorre mantenere la formula espressa nel codice di procedura penale. È d’avviso che all’infuori dei casi giudiziari, il giuramento vada escluso, e che neppure debba essere prestato il giuramento al Capo dello Stato, perché in regime democratico sembra assurdo che un cittadino debba ricevere il giuramento degli altri cittadini, quando la sua funzione è transitoria e quando egli rappresenta il più alto magistrato, ma non ha nessun attributo di sovranità. Ammette perciò, per determinati casi, il giuramento alla Repubblica, ma non al Capo dello Stato.

MORO dichiara di essere contrario per principio al giuramento, ma di rendersi conto della sua necessità in quei casi nei quali il vincolo del giuramento può avere significato politico, oppure può essere un efficace richiamo alla serietà della funzione che si sta per compiere. È quindi del parere che debbano giurare: da un lato il Capo dello Stato ed i Ministri, dall’altro le Forze armate, le Forze di polizia ed inoltre i testimoni e gli interpreti: non ritiene invece necessario il giuramento per i magistrati. È favorevole all’aggiunta di una formula religiosa, che potrebbe essere ad esempio: «consapevole della responsabilità che assumo dinanzi a Dio».

CEVOLOTTO, contrariamente al parere espresso dall’onorevole Mastrojanni, ritiene che il giuramento abbia un’importanza grandissima per le Forze armate, e che possa servire ad allontanare dall’Esercito quegli ufficiali che si sentono ancora legati alla monarchia. Osserva però che delle varie categorie di persone che dovrebbero essere obbligate al giuramento non si fa menzione in nessuna Costituzione. Le diverse Costituzioni lasciano ad una legge particolare di stabilire chi deve giurare e con quali formule. È d’accordo con l’onorevole Mastrojanni che si debba giurare fedeltà alla Repubblica e non al Capo dello Stato. Ritiene che si possa considerare l’opportunità o meno di inserire nella Costituzione l’obbligo del giuramento da parte del Capo dello Stato, ma che per il resto si debba lasciare alle leggi di stabilire i singoli casi in cui determinate categorie debbono giurare.

TOGLIATTI dichiara di non condividere l’opinione di coloro i quali pensano che il giuramento abbia valore solo quando rivesta un carattere religioso. È evidente, comunque, che per chi è religioso il giuramento ha valore in quanto si riferisce ai principî nei quali crede, che lo portano a ritenere che lo spergiuro incorre in determinate sanzioni.

LA PIRA obietta che non è soltanto un problema di sanzioni, ma anche un problema interiore.

TOGLIATTI osserva che anche per colui che non ha una coscienza religiosa esiste una coscienza morale, e non è pensabile che coloro che hanno una coscienza religiosa giudichino immorali coloro che non l’hanno.

LA PIRA dichiara che un giudizio del genere non è nella coscienza cristiana.

TOGLIATTI continua rilevando che esiste un vincolo morale anche al di fuori delle ideologie religiose, ed esiste in misura maggiore o minore per tutti gli uomini. Perfino i delinquenti, in determinate organizzazioni, prestano giuramento e vi tengono fede. Anzi il giuramento dei delinquenti alle volte è quello al quale viene prestata fede in misura maggiore che a qualsiasi altro; il che vuol dire che nella coscienza degli uomini questa formula del giuramento ha valore in sé e per sé.

Osserva che altro argomento a sostegno della sua tesi è che regimi, quali ad esempio il russo, i quali non tengono conto della ideologia religiosa, considerandola come un fatto personale, organizzano il loro esercito sulla base di un giuramento molto rigoroso, e puniscono gli spergiuri nel modo più severo.

Per queste ragioni ritiene che si debba mantenere il giuramento come un vincolo particolare, non escludendo che nella Costituzione si dica che coloro che desiderano aggiungere una formula religiosa al loro giuramento hanno tale possibilità: ciò significa che per essi il giuramento è legato alla particolare ideologia religiosa professata.

Quanto alla questione di chi debba giurare, è del parere che in primo luogo il giuramento debba essere richiesto al Capo dello Stato, il quale deve promettere fedeltà alla Costituzione ed alla Repubblica; e su questo non vi può essere dubbio. In secondo luogo, debbono prestare giuramento i militari, soldati ed ufficiali. Il militare deve giurare perché il servizio delle armi è una forma speciale di servizio che impegna la persona umana fino al sacrificio della vita. Il militare deve essere un uomo disposto ad andare alla morte per adempiere ad un ordine, non solo in guerra, ma anche in pace. Rileva che il richiamo a questo dovere è implicito nel giuramento. Non vi può essere un esercito se non vi è un giuramento, sino a che la coscienza degli uomini non si sia evoluta tanto da far perdere valore a queste forme.

Da ciò deriva che devono prestare giuramento tutti i corpi militarizzati: quindi anche i Corpi di polizia.

Concorda sulla necessità di richiedere il giuramento ai magistrati, in quanto si è in presenza di un legame speciale di fedeltà alle leggi che va al di là del legame di fedeltà cui sono tenuti i funzionari dello Stato.

Parimenti vi deve essere l’obbligo del giuramento per i testimoni e per i periti nei processi, perché in questi casi si richiede il massimo di garanzia che si dica la verità.

Non crede invece che si debba richiedere il giuramento a tutti i funzionari dello Stato. Ogni giorno il superiore ha la possibilità di richiamare i funzionari che da lui dipendono all’adempimento del proprio dovere, né è concepibile che l’impiegato, per il fatto di essere venuto meno al proprio dovere, possa essere senz’altro considerato spergiuro. Si deve evitare ogni violazione della disciplina del lavoro e della correttezza, instaurando un sistema efficace di controllo e non tranquillizzandosi per il fatto che i funzionari hanno giurato.

Conclude esprimendo l’avviso che nella Costituzione si debba stabilire l’obbligatorietà del giuramento per il Capo dello Stato, per i magistrati e per i militari, mentre per quanto riguarda i testimoni ed i periti nel processo, tale obbligo può essere disposto dal Codice di procedura penale, così come è attualmente.

CORSANEGO fa osservare che la maggior parte delle Costituzioni si preoccupano soltanto del giuramento del Capo dello Stato. Pur essendo d’accordo con l’onorevole Cevolotto e con l’onorevole Togliatti circa la necessità di richiedere il giuramento ai magistrati, ai militari e alle Forze di polizia, si domanda se questo obbligo debba fissarsi nella Carta costituzionale, o se non sia invece opportuno che la Costituzione italiana, così come le altre, parli soltanto della formula del giuramento del Capo dello Stato.

Insiste sul carattere sacro del giuramento ed osserva che, pure essendo vero quanto ha affermato l’onorevole Togliatti, che cioè anche coloro che non hanno una fede religiosa possono impegnarsi solennemente davanti agli altri uomini, nel giuramento religioso vi è una maggiore garanzia. Questo, però, non vuol dire che coloro che non hanno la fortuna di avere la fede religiosa non possano impegnarsi sulla loro coscienza a compiere determinati doveri verso lo Stato.

BASSO ritiene che una discussione sul giuramento non rientri nella competenza della Sottocommissione, in quanto la materia sarà trattata dalla seconda Sottocommissione.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Basso che la questione pregiudiziale è già stata superata: la Sottocommissione ha affermato, in principio di riunione, che si riteneva competente ad esaminare la questione.

LUCIFERO ritiene che indubbiamente la Sottocommissione sia competente sulla questione di principio, dato che essa è incaricata di formulare i principî generali; è, quindi, di sua competenza la questione di principio se si debba ammettere o no il giuramento e, in linea subordinata, se debba essere esteso a vaste categorie o limitato ad alcune. Si potrà poi lasciare alla seconda Sottocommissione la traduzione in formule pratiche delle decisioni che la prima Sottocommissione avrà preso.

PRESIDENTE rileva che quasi tutti i Commissari hanno ritenuto competente la prima Sottocommissione a decidere in linea di principio, e sono d’accordo sull’opportunità di includere nella Costituzione il giuramento e sulla necessità che esso sia limitato a ben determinate categorie.

BASSO dichiara di non essere d’accordo circa l’opportunità di fissare nella Carta costituzionale le categorie alle quali si pone l’obbligo del giuramento. Alla Costituzione spetta di dire soltanto quale giuramento deve essere prestato. Il legislatore a sua volta fisserà le categorie che debbono giurare.

PRESIDENTE constata che la Sottocommissione è d’accordo circa l’obbligo del giuramento per il Capo dello Stato e che di questo obbligo si debba fare menzione nella Costituzione, rimettendo alla seconda Sottocommissione la decisione circa la formula del giuramento stesso.

MORO dichiara di ritenere che se la Sottocommissione dovesse limitarsi a constatare che la Costituzione deve parlare della questione del giuramento del Capo dello Stato, sarebbe inutile prendere una decisione in merito, perché la seconda Sottocommissione ha già fissato l’obbligo del giuramento non solo per il Capo dello Stato, ma anche, ad esempio, per i Ministri. Se invece, come è suo parere, si deve garantire costituzionalmente che la legge futura non estenda eccessivamente l’obbligo del giuramento, la prima Sottocommissione deve dichiarare quali sono le categorie chiamate per legge a giurare, salvo a lasciare alla seconda Sottocommissione e al futuro legislatore di definire le forme e le formule del giuramento.

MERLIN UMBERTO si dichiara d’accordo circa le categorie che debbono essere sottoposte al vincolo del giuramento; fa presente però che l’Assemblea plenaria ha recentemente approvato una legge sul giuramento, la quale deve essere eseguita. Se la prima Sottocommissione stabilisce la limitazione delle categorie vincolate al giuramento, la legge sul giuramento già approvata verrà ad essere svalutata.

MORO fa osservare all’onorevole Merlin che la legge sul giuramento approvata dalla Costituende ha una clausola che ne limita l’applicazione fino a quando la Costituzione non abbia detto la parola definitiva in proposito.

Rileva che ora si tratta di decidere se nella Costituzione debba essere inserita una norma, che potrebbe essere così formulata:

«Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza delle leggi, il Capo dello Stato, le Forze armate e quelle assimilate, i Magistrati. A scelta del giurante, può essere aggiunta una formula di carattere religioso».

Quanto alla questione del giuramento dei testimoni, periti ed interpreti, esprime il parere che essa debba essere rinviata alla seconda Sottocommissione.

GRASSI domanda se coloro che hanno preso la parola sulla questione del giuramento abbiano tenuto presente la norma del Concordato, che tratta del giuramento dei Vescovi nelle mani del Capo dello Stato.

MORO fa osservare che, in base a quanto la Sottocommissione ha già stabilito, il Concordato è stato assunto nella Costituzione, salve le modifiche bilateralmente decise, che potranno anche vertere sulla questione del giuramento dei Vescovi.

Propone alla discussione della Sottocommissione il seguente articolo: «Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alle leggi, il Capo dello Stato, i Magistrati, le Forze armate e quelle ad esse assimilate».

PRESIDENTE è del parere che anche i ministri debbano essere sottoposti all’obbligo del giuramento.

MORO concorda.

MERLIN UMBERTO domanda se non sia il caso di stabilire anche per i sottosegretari l’obbligo del giuramento.

MORO, accogliendo l’aggiunta, ritiene si possa inserire nell’articolo da lui proposto la dizione «i membri del Governo».

LUCIFERO fa osservare che sarebbe più esatto stabilire che queste categorie di persone devono giurare fedeltà alla Costituzione. Il giuramento di fedeltà alla legge è implicito, perché ogni cittadino deve osservare la legge.

MORO dichiara di accettare la formula «alla Costituzione e alle leggi».

LUCIFERO insiste perché si dica soltanto «alla Costituzione», perché è da ritenere implicita l’osservanza delle leggi. Ritiene che la formula esatta dovrebbe essere la seguente: «giurano fedeltà alla Costituzione».

TOGLIATTI propone che si dica: «alla Costituzione e alla Repubblica».

CEVOLOTTO concorda con l’onorevole Togliatti che si debba dire «alla Costituzione e alla Repubblica», anche se questo può costituire una tautologia.

PRESIDENTE osserva che quando si dice «giurano fedeltà alla legge», è implicita anche la Costituzione, in quanto questa è anch’essa una legge, anzi la legge fondamentale della Repubblica.

LUCIFERO torna ad insistere perché si dica soltanto «alla Costituzione», facendo osservare che si chiede questo particolare giuramento al Capo dello Stato, ai magistrati e ai militari, in quanto costituiscono gli organi che garantiscono la legge costituzionale. Perciò si deve richiedere da questi uomini il giuramento di fedeltà allo Statuto. Lo Statuto è qualche cosa di fisso che si stabilisce per la Nazione, mentre invece le leggi sono mutevoli e mutano nell’ambito della Costituzione.

MORO dichiara di accettare la formula «giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla sua Costituzione».

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Moro, così modificata:

«Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, il Capo dello Stato, i membri del Governo, i Magistrati, le Forze armate e quelle assimilate».

BASSO dichiara di votare contro per le ragioni già espresse. Non vede il motivo per cui si debba inserire questa formula nella Costituzione. Infatti il contenuto del giuramento può essere diverso, e potrebbe essere esteso ad altre categorie di cittadini, ma non per violare la loro coscienza. Il giuramento si chiede a certe categorie di persone, investite di determinate cariche, perché esse non si servano di quelle loro particolari funzioni per minare la Costituzione e la Repubblica; ma per quanto riguarda la propria opinione, ognuno deve essere libero di pensare come vuole.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione.

LUCIFERO dichiara di concordare con l’onorevole Basso sul significato e sul valore del giuramento, ossia che vi è l’obbligo da parte dello Stato di richiederlo a chiunque sia chiamato all’espletamento di funzioni importanti. D’altra parte, mentre concorda nel concetto dell’obbligo di lealtà, non crede al giuramento di lealtà, perché è un impegno morale della coscienza dell’individuo. Si asterrà pertanto dalla votazione.

MASTROJANNI dichiara di astenersi dalla votazione, perché non è stata prima formulata l’esatta dizione del giuramento.

MORO ritiene che non sia da escludere che la legge possa adottare questa formula generale anche per altre categorie.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Basso se chiede la votazione per divisione.

BASSO ripete di essere contrario alla formula, se con essa si intende dare una elencazione tassativa. Se questa elencazione non è tassativa, è invece favorevole.

LUCIFERO osserva che, se l’elencazione c’è, vuol dire che è tassativa.

PRESIDENTE fa presente che, a suo parere, non vi sono altre categorie oltre quelle indicate.

BASSO dichiara di essere d’accordo sulle categorie che sono state indicate, ma di essere contrario a fissarle nella Costituzione come un elenco rigido, perché nessuna Costituzione fa questo. Sarà la legge che dovrà stabilire le categorie. Ritiene che, nel corso dei diversi capitoli della Costituzione, parlando della Magistratura si debba specificare che devono prestare giuramento i Magistrati; lo stesso si dica del Capo dello Stato, quando si parla delle sue prerogative e dei suoi doveri; e così pure dell’esercito, ma sempre nella sua sede. Non si stabilirà in tal modo nella Costituzione, in modo tassativo, che solo determinate categorie, e non altre, possono essere chiamate al giuramento.

MARCHESI ritiene che l’elenco delle categorie si esaurisca in quelle indicate e cioè: Capo dello Stato, Magistrati, Forze armate e assimilati.

MORO propone che l’articolo sia votato con la riserva che in sede di coordinamento venga considerata l’opportunità di inserire la norma nei vari capitoli della Costituzione, come ha indicato l’onorevole Basso.

LUCIFERO dichiara che, prescindendo dal fatto se si debba o meno ammettere il giuramento, se si dichiara che il giuramento deve essere limitato a poche categorie, ossia quelli che per le loro funzioni sono i custodi della Costituzione, le categorie stesse debbono essere indicate nella Costituzione, perché gli individui che ad esse appartengono diventano garanti della Costituzione nel momento in cui assumono la carica di Capo dello Stato, di ministro, di magistrato; cioè nel momento in cui assumono l’impegno di adempiere alle loro particolari funzioni di custodi del diritto fondamentale del popolo italiano.

CEVOLOTTO dichiara di preferire la proposta dell’onorevole Basso, ma non si opporrà se la Sottocommissione è del parere di inserire nella Costituzione un articolo di carattere generale sull’argomento.

MORO fa presente che la discussione è partita dal principio di restringere a poche categorie l’obbligo del giuramento. Ritiene, quindi, che si debba votare la formula da lui proposta, in quanto restrittiva dell’obbligo stesso.

MASTROJANNI fa osservare che le Forze di polizia sono costituite dagli agenti, i quali sono elementi militari, ma che la parte direttiva è formata da funzionari civili, i quali sono gli unici depositari del potere. Ora questa categoria sarebbe esclusa dal giuramento, con una evidente contradizione. Osserva inoltre che, se ci si vuole garantire da tutti coloro che esercitano un potere, non si possono dimenticare anche i professori universitari. Pur essendo contrario al giuramento, come indizio di una mentalità inferiore, ritiene che un insegnante di diritto Costituzionale in una Università abbia tutto il potere per scardinare la consistenza della Repubblica, disponendo delle armi più efficaci per formare coscienze che contrastino con la conformazione anche istituzionale dello Stato. Chiede che si apra una discussione su questo argomento e avverte che presenterà un emendamento perché, qualora ci si dovesse limitare a determinare le categorie di coloro che hanno l’obbligo del giuramento, vi vengano inclusi anche i professori universitari.

MARCHESI dichiara che, a differenza dell’onorevole Mastrojanni, crede moltissimo alla validità del giuramento come a una formula sacra che impegna la coscienza di molti uomini. Comunista, si guarderebbe, però, bene dal proporre l’espulsione di un professore di diritto costituzionale che sostenesse i principî di Dante nel «De monarchia» dalla cattedra universitaria. Questa deve essere aperta a tutte le ricerche, a tutte le meditazioni e a tutte le conclusioni.

Rileva inoltre che i professori universitari non possono essere considerati funzionari dello Stato. Essi sono uomini di cultura, di scienza, di indagine che possono giungere a conclusioni diversissime e non arrivano alla luce della cattedra attraverso una carriera burocratica, ma per sola virtù di studio e di intelligenza.

LA PIRA dichiara di concordare pienamente con quanto ha detto l’onorevole Marchesi e aggiunge che c’è anche una ragione tecnica la quale infirma le argomentazioni dell’onorevole Mastrojanni. Il Capo dello Stato, i ministri, i magistrati, la polizia costituiscono l’aspetto esecutivo e giurisdizionale dello Stato. Essi o applicano giurisdizionalmente la legge o l’applicano in via esecutiva, e, quindi, vi è un rapporto tra la legge e questi organi giurisdizionali. Essi ne sono attuatori in tutti i rami, mentre il professore universitario non attua nulla, non ha alcun potere esecutivo o giurisdizionale: egli ha soltanto il potere di dire la verità secondo la sua coscienza.

LUCIFERO dichiara di concordare con quanto ha detto l’onorevole La Pira, aggiungendo che nel continuo divenire delle cose umane i professori di università sono proprio gli eterni rivoluzionari, cioè quelli che studiano ed elaborano il progresso della vita umana, per cui una Costituzione, che è statica e insieme mobile, anche nella solennità della cattedra troverà voce per i rinnovamenti e le trasformazioni nel tempo. Si oppone perciò nel modo più assoluto a che si abbassi la personalità del professore universitario.

DE VITA si dichiara contrario al giuramento per i professori universitari, ma osserva da un punto di vista storico, che alcune dottrine filosofiche e sociali sono sorte per la difesa di interessi particolari.

MASTROJANNI dichiara di aver portato l’esempio dei professori universitari, non perché fosse esteso ad essi il giuramento, essendo egli contrario a tutti i giuramenti, ma in relazione alle premesse con cui si voleva giustificare il giuramento per altre categorie depositarie del potere. Ripete che egli identifica nei professori di diritto costituzionale i più efficaci depositari del potere dello Stato, perché sono proprio essi che con il loro insegnamento orientano e ammaestrano i futuri dirigenti dello Stato.

LUCIFERO replica all’onorevole Mastrojanni che il professore di diritto costituzionale svolge l’opera critica alla Costituzione vigente, ne studia la trasformazione, quindi lui, più di ogni altro, deve essere lasciato libero da qualsiasi vincolo.

BASSO, ripetendo la sua contrarietà ad ogni elencazione tassativa delle categorie che devono giurare, fa rilevare che si dovrebbe tener conto anche dei Capi dei governi regionali, per essere coerenti ai principî che sono stati affermati. Non conosce bene quale sarà la futura organizzazione regionale, ma ritiene che i Capi dei governi regionali dovrebbero costituire una categoria di persone a cui si dovrebbe richiedere il giuramento.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Basso che, non conoscendo ancora le conclusioni cui è pervenuta la seconda Sottocommissione in merito all’organizzazione regionale, non si può discutere l’argomento cui egli ha fatto cenno. Ritiene, prima di procedere alla votazione sulla formula proposta dall’onorevole Moro, di dover mettere ai voti la proposta pregiudiziale dell’onorevole Basso, secondo la quale non si ritiene che debba far parte della Costituzione una elencazione delle categorie che devono giurare.

LUCIFERO, pure avendo affermato di essere contrario al giuramento, dichiara che voterà a favore della formula proposta dall’onorevole Moro, che ritiene la migliore, limitando il giuramento a determinate categorie. Voterà contro la proposta dell’onorevole Basso, perché pensa che, se si rimanda il problema ad una legge speciale, sicuramente questa estenderà ad altre categorie l’obbligo del giuramento.

AMADEI dichiara di votare a favore della proposta dell’onorevole Basso, perché è di opinione che l’obbligo del giuramento debba essere esteso anche agli insegnanti, esclusi i professori universitari.

CEVOLOTTO dichiara di astenersi.

LA PIRA ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Basso possa essere superata con il principio dell’interpretazione analogica. Pertanto dichiara di votare contro la proposta Basso.

(La proposta pregiudiziale dell’onorevole Basso è respinta con 9 voti contrari, 2 favorevoli e 4 astenuti).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dell’onorevole Moro:

«Il Capo dello Stato, i membri del Governo, i magistrati, le Forze armate e quelle assimilate prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione».

(La formula è approvata con 10 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astenuti).

MORO propone che, in relazione a quanto ha detto l’onorevole Merlin, venga aggiunto alla formula ora approvata il seguente comma:

«Le persone obbligate al giuramento possono aggiungere alla formula prevista dalla legge un impegno di carattere religioso».

PRESIDENTE dichiara di ritenere inopportuno il comma, in quanto esso nulla aggiunge al valore e al significato che si è inteso dare al giuramento.

MERLIN UMBERTO dichiara di non insistere nella sua richiesta, tanto più in quanto ritiene che essa potrà essere presa in considerazione più opportunamente quando si conoscerà la formula del giuramento.

PRESIDENTE ricorda che, in sede di discussione, si è accennato ad una categoria di persone che dovrebbero prestare giuramento, cioè i testimoni, i periti e gli interpreti. Avverte che l’onorevole Moro, ritenendo che di questa categoria si dovrebbe fare cenno non in questa ma in altra sede, ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La prima Sottocommissione, avendo adottato disposizioni restrittive in ordine all’obbligo del giuramento, rinvia alla seconda Sottocommissione perché sancisca l’obbligo del giuramento per i testimoni, i periti e gli interpreti».

BASSO fa presente che il giuramento dei testimoni, dei periti e degli interpreti non può essere fatto alla Repubblica e alla Costituzione.

MORO dichiara di ritirare il suo ordine del giorno.

Seguito della discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.

PRESIDENTE prega l’onorevole Dossetti di comunicare la formula definitiva dell’articolo, quale risulta dall’unione dell’articolo 1 con l’articolo 2 da lui precedentemente proposti.

DOSSETTI, Relatore, comunica la formula del nuovo articolo:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

Chiarisce alcuni punti della formula da lui proposta, facendo osservare che nella sua prima parte essa, come assolutezza di garanzia della vita religiosa, specialmente delle varie confessioni non cattoliche, e perciò come possibilità di esplicazione di ogni vita religiosa sia individuale che associata, è completamente esauriente proprio per il fatto di essere sintetica e di non scendere a determinazioni.

Fa osservare che l’altra parte della formula, la quale dice: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume», è la formula adoperata tradizionalmente da tutte le legislazioni, la quale contiene una certa precisazione tecnica, in quanto si riferisce non soltanto agli eventuali principîi contrari all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche ai riti, cioè alle manifestazioni di questi principî che possono essere contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti diverge non solo formalmente, ma anche sostanzialmente dalla formulazione da lui proposta, alla quale non può rinunciare.

Ricorda che le sue proposte comprendono i seguenti quattro articoli:

Art. 1. – «Tutti i cittadini hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza».

Art. 2. – «Tutti i cittadini hanno diritto di professare qualsiasi culto che non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume, o di non professarne alcuno; di manifestare pubblicamente le proprie credenze religiose, di compiere attività religiosa nella loro casa e nei locali privati come nei locali e templi aperti al pubblico culto, o anche di abbandonare una confessione religiosa per entrare in un’altra».

Art. 3. – «Tutte le confessioni religiose che non contrastino con l’ordine pubblicò, con la morale e con il buon costume hanno pari diritto di organizzarsi liberamente, di propagandare e di diffondere la loro fede, di eleggere i propri ministri e di revocarli, di aprire templi e di possedere gli edifici nei quali il culto viene esercitato.

«Tutti i culti hanno diritto a eguale protezione penale contro il vilipendio loro, delle loro credenze, dei loro ministri e contro il turbamento delle loro funzioni.

«Particolari leggi e patti concordati regoleranno il regime giuridico e amministrativo delle associazioni e degli enti morali di qualunque culto».

Art. 4. – «Nessuno può giustificare un reato o il mancato adempimento di un dovere imposto dalla legge, invocando le proprie opinioni religiose o filosofiche».

Fa presente che, se nella seduta precedente non fosse stato votato l’ultimo capoverso di un articolo in cui si dice che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, egli avrebbe insistito molto meno nel mantenere la sua formulazione. Ma, poiché nel Trattato Lateranense, riconosciuto costituzionalmente, c’è un articolo primo che si richiama all’articolo primo dello Statuto Albertino per cui la religione cattolica è la religione dello Stato (anzi è detto che la religione cattolica è «la sola» religione dello Stato), di conseguenza, sia pure indirettamente, è stato ammesso il principio dello Stato confessionale.

A questo proposito richiama l’attenzione della Sottocommissione su un brano di una delle ultime lezioni del professor Jemolo, in cui si afferma che «Religione dello Stato vuol dire posizione dominante fatta ad una confessione religiosa e con essa ai suoi ministri e ai beni che essa possiede, e posizione deteriore fatta ad altre confessioni alle quali si può negare il diritto di propaganda e di proselitismo».

Osserva che in questo brano è prospettata la situazione creata con l’approvazione della formula, la quale inserisce nella Carta costituzionale i Patti Lateranensi.

PRESIDENTE prega l’onorevole Cevolotto di prendere atto che i Commissari democristiani non ritengono di aver determinato con l’approvazione di quella formula la situazione cui egli ha accennato.

CEVOLOTTO, Relatore, riferendosi alla storia delle ultime relazioni tra Stato e Chiesa in Italia, ricorda che, dopo la sanzione di quel primo articolo del Trattato Lateranense, si sono avute manifestazioni in Italia, anche nel campo giudiziario e in quello legislativo, che hanno confermato la superiorità della posizione fatta ad una religione rispetto alle altre. Cita, nel campo legislativo, il caso del Codice penale, che ha sancito una protezione minore per le offese alla religione e ai ministri dei culti ammessi nei confronti di quelli della religione cattolica; e nel campo giudiziario, varie sentenze che non fanno onore alla nostra magistratura, perché contrarie al diritto di proselitismo di culti diversi da quello cattolico.

Per questa ragione, dato che si è creduto opportuno di creare uno Stato confessionale, col richiamo sia pure indiretto all’articolo 1 dello Statuto Albertino, ritiene necessario affermare la libertà religiosa con formula precisa, che consenta la libertà del proselitismo. Ricorda che le Chiese protestanti si lamentano fortemente della posizione fatta loro non dalla legge, ma dall’applicazione dopo il Concordato della legge sui culti ammessi, e sostiene la necessità di trovare formule per cui questa applicazione, che forse è aberrante ma che deriva sempre dalla interpretazione che si è data ai Patti Lateranensi, non abbia a ripetersi. Insiste pertanto nella sua formulazione.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Cevolotto se non crede che sia soddisfatta la sua esigenza allorquando si dice: «Ogni uomo, nessuno escluso, ha diritto alla libera e piena esplicazione della vita religiosa, interiore ed esteriore, alla libera manifestazione individuale ed associata della propria fede, al libero esercizio privato e pubblico del proprio culto».

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che non può ritenersi soddisfatto, perché con questa formula non è riconosciuta la libertà di propaganda e di proselitismo.

TOGLIATTI osserva che te formula dell’onorevole Dossetti contiene quasi tutto quello che è necessario prevedere; però c’è una piccola sfumatura nei confronti di quella dell’onorevole Cevolotto. La formula dell’onorevole Dossetti dice: «Ogni uomo ecc…», quella dell’onorevole Cevolotto invece dice: «Tutte le confessioni religiose…», ciò che, certamente, costituisce qualche cosa di diverso.

MARCHESI propone di aggiungere alla formula proposta dall’onorevole Dossetti, dopo le parole: «libera manifestazione», le altre: «e propagazione della propria fede».

DOSSETTI, Relatore, dichiara che sarebbe anche disposto ad approvare gli articoli dell’onorevole Cevolotto; ma resta convinto che la sua formula sintetica sia più esauriente.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Cevolotto se, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Marchesi, la sua esigenza sarebbe soddisfatta.

CEVOLOTTO, Relatore, riconosce che con tale aggiunta verrebbe anche prevista la libertà di proselitismo.

DOSSETTI, Relatore, fa presente che dicendosi: «manifestazione individuale ed associata», evidentemente si ammette anche la libertà del proselitismo. Per comprendere l’ampiezza del significato che i democristiani danno alla formulazione da lui proposta, basterà un rilievo: che con essa i democristiani intendono garantire la libertà religiosa di tutte le confessioni e anche della confessione cattolica; perciò, ogni ulteriore precisazione in questo senso rappresenta una garanzia maggiore nella dannata ipotesi che in Italia venisse a cessare il regime concordatario. Se egli si è preoccupato di ciò, vuol dire che la formula da lui presentata è esauriente, almeno nelle intenzioni.

PRESIDENTE domanda alla Sottocommissione se è d’accordo di prendere come base della discussione l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

(La Commissione concorda).

Mette ai voti la prima parte dell’articolo presentato dall’onorevole Dossetti: «Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni».

(È approvato all’unanimità).

Mette in discussione le parole seguenti: «alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore».

Propone che vengano omesse le parole «interiore ed esteriore». Osserva che è difficile vietare il diritto di una libera manifestazione interiore della propria fede. Quanto poi alla parola «esteriore», osserva che nel termine «esplicazione» è già compreso il carattere di esteriorità, che è quello che si deve garantire.

DOSSETTI, Relatore, spiega che egli distingue tra esplicazione della propria vita religiosa e manifestazione della propria fede o esercizio del culto. «Manifestazione della fede» è una forma di esplicazione della propria vita religiosa, ossia è l’esercizio di un culto. Questa norma richiede che tutti gli uomini non siano, in nessuna maniera, coartati o compressi nella esplicazione di questo aspetto della loro personalità. Se non si può sopprimere la realtà interiore dell’uomo, si può comprimerla. Perciò anche l’esplicazione interiore della propria vita religiosa deve essere tutelata. Per questi motivi insiste sulla formulazione da lui proposta.

TOGLIATTI concorda con quanto ha dichiarato l’onorevole Dossetti. Ritiene che si debba insistere nel conservare la specificazione. L’intolleranza in materia di religione è consistita parecchie volte non nel proibire un determinato culto, ma nel proibire una fede. Si sono spesso mandate al rogo delle persone non in quanto esplicavano un culto, ma in quanto avevano una determinata fede, anche se puramente interiore.

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso contenuto nell’articolo presentato dall’onorevole Dossetti e così formulato: «alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che si asterrà dal votare l’intero articolo, non perché sia contrario ai principî in esso contenuti, ma perché è contrario alla formulazione che ritiene incompleta.

GRASSI dichiara che voterà contro, non perché sia contrario, ma perché ritiene superflua la specificazione.

(L’inciso è approvato con 13 voti favorevoli, 1 contrario ed 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso: «alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto».

(L’inciso è approvato con 15 voti favorevoli ed 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione l’ultimo inciso dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

BASSO domanda se in base a quest’ultima disposizione si potrebbe proibire in Italia la professione della religione mussulmana, la quale ammette la poligamia.

MASTROJANNI osserva che la poligamia è proibita dal Codice penale.

DOSSETTI, Relatore, fa presente che questo non significa che la religione mussulmana sia proibita.

LA PIRA rileva che bisogna tener distinto il problema religioso da quello civile.

BASSO obietta che con la norma in discussione si afferma il diritto di ogni uomo di professare la religione ed il culto che vuole, purché essi non offendano l’ordine pubblico e il buon costume. Potrebbe darsi che domani si proibisse in Italia la religione mussulmana per il fatto che essa contiene un principio contrario al buon costume. D’altra parte è lecito temere che l’interpretazione possa essere generalizzata.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che la formula da lui proposta riproduce la formula dell’articolo 1 della legge attualmente in vigore sui culti ammessi.

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

(L’inciso è approvato con 14 voti favorevoli e 2 astenuti).

Legge l’articolo così come risulta dopo l’approvazione delle singole parti:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

Lo pone in votazione nel suo complesso.

(È approvato).

CEVOLOTTO, Relatore, propone il seguente emendamento aggiuntivo:

«Tutti i culti hanno diritto a eguale protezione penale contro il vilipendio loro, delle loro credenze, dei loro ministri e contro il turbamento delle loro funzioni».

MORO si dichiara contrario all’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Cevolotto, perché ritiene che la tutela penale accordata dal Codice in materia sia opportunamente graduata.

È chiaro che una tutela penale vi deve essere, e che quanto alla sostanza essa debba essere eguale per tutti; ma non può concordare che questa tutela, oltre che essere eguale in valore abbia eguale concreta esplicazione, perché la tutela penale deve essere graduata in proporzione all’entità del danno che viene arrecato. Se vi è una religione che è professata dalla stragrande maggioranza degli italiani, evidentemente in questo caso il danno e l’offesa sono più gravi di quello che non siano il danno e l’offesa arrecati attraverso il vilipendio di altri culti non professati dalla stragrande maggioranza del popolo italiano.

Precisa che, domandando una posizione particolare per la religione cattolica, non si richiede una disparità di principio, ma si richiede soltanto che la legislazione si adegui ad una realtà di fatto, per la quale le reazioni giuridiche debbano commisurarsi naturalmente al danno effettivo subito dalle coscienze.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di insistere nella sua proposta. L’opposizione che ad essa viene fatta dimostra come, con l’inserimento del Concordato nella Costituzione, si sia inteso porre le religioni su di un piano differente.

MERLIN UMBERTO osserva che la eguaglianza di trattamento proposta dall’onorevole Cevolotto costituirebbe una ingiuria al Capo della religione professata dalla maggioranza degli italiani.

MORO dichiara di essere sostanzialmente in disaccordo con l’onorevole Cevolotto, e di ritenere che sia questo il luogo per dare un impegno preciso al legislatore penale, il quale valuterà in quale momento e in quale forma occorrerà applicare il criterio cui l’onorevole Cevolotto ha accennato.

CEVOLOTTO, Relatore, insiste affinché la questione venga trattata in questa sede, essendo l’articolo 402 del Codice penale – che riguarda la materia – ancora in vigore. Ricorda che anche il Professore Jemolo ha manifestato il pensiero che sia necessaria la modificazione di quell’articolo.

LA PIRA fa presente che il Ruffini, il quale non era un cattolico, scrisse che la Chiesa cattolica ha una tale realtà storica che non può in tutto essere parificata alle altre forme di religione.

MORO insiste nella sua pregiudiziale circa la inopportunità di collocare nella Costituzione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara di essere favorevole alla pregiudiziale, perché ritiene che l’articolo, così come è stato compilato e approvato, contenga già la garanzia richiesta dall’onorevole Cevolotto. Infatti, una volta stabilita l’eguaglianza delle religioni in tutti i casi, è evidente che il legislatore non potrà che adeguarsi a questo principio.

(La pregiudiziale è approvata con 9 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 3 nella formulazione proposta dall’onorevole Dossetti: «I rapporti di lavoro, l’appartenenza alle Forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dar luogo a nessun impedimento di diritto o a nessun ostacolo di fatto in ordine all’adempimento dei doveri religiosi fondamentali e all’assistenza da parte dei ministri del culto seguito».

TOGLIATTI ritiene che questo articolo sia inutile e non convenga inserirlo nella Costituzione. Non comprende che cosa significhi l’accenno alla degenza in ospedali. È evidente che negli ospedali deve esservi un servizio religioso. E allora – domanda – quell’accenno vorrebbe significare forse che, se vi è un malato grave e il medico non lo lascia uscire per andare a Messa, questo medico violerebbe la Costituzione?

Quanto all’accenno circa le carceri, domanda se violerebbe la Costituzione quel direttore di un carcere mandamentale che vietasse l’uscita ai carcerati che volessero andare a sentire Messa a 20 chilometri di distanza.

DOSSETTI, Relatore, osserva che è facile rispondere alle osservazioni dell’onorevole Togliatti con un vecchio adagio «Ad impossibilia nemo tenetur». Chiarisce che l’articolo proposto ha lo scopo di garantire non soltanto l’osservanza di un principio, ma anche il rispetto di determinate situazioni di fatto nelle quali sia assicurato ad ogni cittadino, anche di religione diversa dalla cattolica, la possibilità di avere quella assistenza religiosa che è conforme al culto da lui seguito.

Fa presente all’onorevole Togliatti che l’articolo proposto è desunto da un libretto in cui sono contenute le rivendicazioni delle religioni evangeliche in Italia, libretto scritto dal Signor Pejrot e inviato a tutti i Costituenti.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non giustificare perché si sia adottata una formula sintetica per esprimere il concetto della libertà di esercizio del culto, e poi si voglia specificare la stessa cosa nell’articolo in esame.

Fa presente che nel diritto al libero esercizio della propria fede è implicito il diritto di ricevere l’assistenza religiosa, anche per i carcerati e i degenti in un ospedale, nei limiti delle possibilità concrete.

DOSSETTI, Relatore, rileva che la garanzia contenuta nell’articolo da lui proposto non riguarda le norme concernenti la libertà religiosa, ma tutto il complesso di norme giuridiche relative all’organizzazione degli istituti di pubblica assistenza e di pena.

GRASSI osserva da un punto di vista pregiudiziale che, essendo il diritto di esplicazione del proprio culto espresso già nelle norme precedentemente approvate, si debba fare il rinvio a quelle norme o non sia opportuno votare l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

MORO fa osservare che, con l’articolo in esame, non si è più nell’ambito delle garanzie, ma in quello della libera esplicazione. È vero che sono state già votate delle norme che garantiscono la libera professione della fede religiosa, ma qui si prospetta il caso concreto di cittadini che non possono, per motivi indipendenti dalla loro volontà, godere di una libertà fisica.

TOGLIATTI dichiara che volerà contro l’articolo, non intendendo con questo di votare contro il suo contenuto, ma in quanto non ritiene che l’articolo tratti una materia da Costituzione.

PRESIDENTE mette ai voti la pregiudiziale dell’onorevole Grassi secondo cui quanto è espresso nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti è già implicito nella formula dell’articolo precedentemente approvato.

(La pregiudiziale Grassi è approvata con 9 voti favorevoli e 7 contrari).

La seduta termina alle 13.45.

Erano presenti: Amadei, Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Mancini e Caristia.

MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

49.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – De Vita – Marchesi – Cevolotto, Relatore – Grassi – Merlin Umberto – Togliatti – Corsanego – Dossetti, Relatore – Basso – Lucifero – Moro.

La libertà di opinione, di coscienza e di culto (Discussione)

Presidente – Dossetti, Relatore – Moro – Cevolotto, Relatore – Marchesi – La Pira – Lucifero – Basso – Mastrojanni – De Vita – Togliatti – Grassi – Corsanego – Caristia.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione dello Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente seduta era stata iniziata la discussione sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, sulla base di tre diverse formule rispettivamente presentate dall’onorevole Dossetti, dall’onorevole Togliatti e da lui. Nell’intento di facilitare un accordo tra i diversi punti di vista manifestatisi nel corso della discussione, ha formulato un nuovo articolo composto di due parti. La prima parte: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», riassume il pensiero espresso nella sua formula primitiva e nella prima parte di quella dell’onorevole Togliatti. La seconda parte: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», differisce dalla formula dell’onorevole Togliatti, in quanto questa stabiliva che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati in termini concordatari.

Pone in discussione la prima parte della sua nuova formula:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica, sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

DE VITA dichiara di non poter accettare né la formulazione dell’onorevole Togliatti né quella proposta dal Presidente, osservando che il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, chiaramente impostato in un primo tempo su un terreno politico, è andato a poco a poco scivolando sul terreno giuridico, che è assai insidioso. Fa presente che l’ordinamento giuridico della Chiesa, ad esempio in materia di matrimonio, sottrae allo Stato il potere di legiferare sulla sostanza del matrimonio stesso e sugli effetti intimamente connessi con esso, lasciando alla sua competenza gli effetti separabili, cioè puramente civili. Riconoscendo, quindi, la sovranità della Chiesa, si vengono a porre gravi limiti alla sovranità e ai poteri dello Stato; le formule proposte riproporrebbero, perciò, una delle questioni politiche più complesse ed oscure della nostra storia.

Dichiara di non esitare a rivendicare la sovranità dello Stato in tutte quelle materie di privato e pubblico interesse che da qualcuno ancora sono riconosciute di competenza della Chiesa.

MARCHESI dichiara di non essere alieno dall’accettare la prima parte della formula proposta dal Presidente; ma, per quanto riguarda la seconda parte, fa presente che l’ultimo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, così formulato: «I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari», rappresenta il limite estremo di ogni concessione che può essere fatta in materia dai Commissari di parte comunista. Essi non hanno chiesto e non chiederanno una denuncia del Concordato, ed hanno accettato che in sede costituzionale i rapporti tra Stato e Chiesa siano regolati in termini concordatari. Esiste un Concordato stabilito tra la Santa Sede e il Governo fascista: dunque esso mantiene la sua validità fino a che le parti – come sarebbe augurabile – non decidano di emendarlo in quei luoghi che lo spirito democratico dei tempi non più comporterebbe. I colleghi democristiani vorrebbero che quel Concordato pattuito tra Santa Sede e Governo fascista entrasse nel tessuto vitale ed organico della Repubblica italiana.

Fa osservare però all’onorevole Dossetti – il quale ha detto che la garanzia costituzionale del Concordato vigente è richiesta dalla coscienza cattolica italiana – che ci sono moltissimi cattolici italiani che appartengono a partiti diversi dalla Democrazia cristiana; ed è il caso di domandarsi se la coscienza di questi cattolici, appartenenti a tutte le tendenze politiche, esiga veramente il solenne riconoscimento costituzionale del Concordato vigente, o piuttosto non chieda soltanto che la Chiesa cattolica sia libera e rispettata, ma non le si attribuiscano poteri che spettano allo Stato italiano.

Fa presente infine all’onorevole Dossetti, preoccupato per le persecuzioni subite dalla Chiesa in passato, che un articolo della Costituzione non varrebbe certo ad arrestare una eventuale ondata di anticlericalismo, che i comunisti sono i primi a deprecare, e che a scongiurare siffatto pericolo nulla potrà meglio giovare di una riduzione delle pretese avanzate dalla Democrazia cristiana.

Conclude ripetendo di poter accettare solo la formula dell’onorevole Togliatti, sia pure con qualche modificazione di forma.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di poter accettare la formula proposta dal Presidente, solo nel caso che per ordine proprio della Chiesa si intenda l’ordine spirituale. Non può invece accettarla, se il riconoscimento della sovranità riguarda l’ordinamento giuridico della Chiesa, il quale è molto vasto e comprende anche materie che interferiscono nell’ordinamento giuridico dello Stato.

Pur essendo convinto che la Chiesa è troppo sapiente per approfittare di una simile formula oltre certi limiti, la ritiene ambigua e perciò voterà contro di essa.

GRASSI osserva che con la formula dell’onorevole Togliatti «in termini concordatari» non si dice tutto, perché oltre il Concordato c’è il Trattato del Laterano che regola i rapporti tra Stato e Chiesa nella parte più essenziale, e quindi non si può non menzionare questo Trattato. Per quanto riguarda la parte concordataria, fa presente che tutti sono d’accordo nel ritenere che il Concordato possa essere rivedibile, trattando materia mista. Propone pertanto che la formula del Presidente sia modificata in questo senso: «I rapporti sono regolati in base ai Patti Lateranensi».

DE VITA ripete che con l’articolo proposto si apre la strada alla invadenza della legge canonica nel terreno della legge civile. Dichiara di poter accettare la formula dell’onorevole Togliatti, purché vi si aggiunga: «Allo Stato spetta il potere legislativo, integrale ed esclusivo in tutte le materie di privato e pubblico interesse».

CEVOLOTTO, Relatore, fa presente che è stata posta in discussione solo la prima parte dell’articolo proposto dal Presidente e propone che essa sia votata separatamente.

PRESIDENTE, poiché non si fanno obiezioni alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto, mette ai voti la prima parte dell’articolo da lui proposto e così formulato:

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

DE VITA dichiara che voterà contro.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara anch’egli che darà voto contrario.

(La prima parte dell’articolo proposto dal Presidente è approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione la seconda parte dell’articolo: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», avvertendo che l’onorevole Grassi ha proposto un emendamento nel senso che si dica «dai Patti Lateranensi», invece che «in base ai Patti Lateranensi».

CEVOLOTTO, Relatore, si dichiara contrario tanto alla formula dell’onorevole Grassi, quanto a quella del Presidente, osservando che i Patti Lateranensi sono ormai una realtà indistruttibile, e nessuno pensa a distruggere lo Stato della Città del Vaticano; ma perché esso continui ad esistere, non c’è bisogno di menzionare i Patti Lateranensi nella Costituzione, come non c’è nessun bisogno di enumerare ed includere nella Costituzione nessun altro trattato.

Fa presente inoltre che nei Patti Lateranensi vi sono parti caduche che potranno essere modificate in avvenire; non vi è quindi ragione di cristallizzare il Trattato con la Santa Sede inserendolo nella Costituzione.

Osserva che anche dicendo – come ha proposto l’onorevole Grassi – «in base ai Patti Lateranensi» non si fa che consacrare nella Costituzione la piena validità di questi Patti. Ritiene che né il Governo italiano attuale, né i Governi futuri vogliano denunciare il Trattato Lateranense, né in tutto né in parte; ma fa presente che, anche senza denuncia, i trattati internazionali si modificano in vari modi e non conviene, quindi, impedire il processo di evoluzione che potranno subire anche i Patti Lateranensi, con l’inserirli nella Costituzione.

Riconosce che il Concordato costituisce una materia più strettamente costituzionale, ma ritiene che ne debba essere fatta menzione solo nella forma proposta dall’onorevole Togliatti, perché non può essere tolta allo Stato la facoltà di risolvere in un determinato modo la questione della modifica di corte statuizioni del Concordato per accordo bilaterale, ed anche di considerare la convenienza di modificarle, ove l’accordo non intervenga. Questa libertà di scelta deve essere lasciata allo Stato. Ricorda ad esempio la questione dell’articolo 5 che diede origine al caso Bonaiuti, sollevando una vera indignazione in tutte le coscienze libere.

MERLIN UMBERTO osserva che l’articolo 5 fu applicato solo in quel caso.

CEVOLOTTO, Relatore, replica che, quando la libertà è ferita in una persona, tutta la libertà è ferita. Ritiene che, prima o poi, il Vaticano dovrà pensare a modificare questo articolo; ma, se il Vaticano non provvede alla modifica, lo Stato deve essere libero di modificarlo per proprio conto.

Rileva che vi sono anche altri punti del Concordato che dovranno formare oggetto di revisione, possibilmente concordata, come, per esempio, la questione della giurisdizione delle cause matrimoniali, che è una vera e propria rinuncia da parte dello Stato alla sovranità nella più gelosa delle sue funzioni.

Per queste ragioni, ripete di essere contrario a menzionare il Trattato Lateranense e il Concordalo nella Costituzione. Non si oppone invece alla formula dell’onorevole Togliatti.

GRASSI, pur riconoscendo giuste le osservazioni dall’onorevole Cevolotto, ricorda che i Patti Lateranensi hanno regolato una questione concernente il territorio italiano, cioè una questione interna dello Stato italiano, e insiste perciò sulla convenienza che essi siano menzionati nella Costituzione. Osserva che tale menzione non impedisce che le parti caduche possano essere modificate, quando si adotti la formula da lui proposta: «in base ai Patti Lateranensi».

MERLIN UMBERTO dichiara di essere sinceramente soddisfatto delle dichiarazioni fatte dagli onorevoli Togliatti e Marchesi, e di prendere atto della formula proposta dall’onorevole Togliatti come di una volontà seria e precisa di non turbare in Italia la pace religiosa. Rileva che gli onorevoli Togliatti e Marchesi, avendo ammesso che il regolamento dei rapporti tra Stato e Chiesa debba avvenire in termini concordatari, ed avendo poi dichiarato di non intendere di toccare sostanzialmente il Trattato e il Concordato con il Vaticano, sono giunti praticamente alle stesse conclusioni dei Commissari di parte democristiana. Infatti, anche essi sono contrari a quel famoso articolo 5, che però, ripete, ha avuto una sola applicazione nel caso Bonaiuti.

TOGLIATTI ricorda che quell’articolo è stato applicato anche in un altro caso, riguardante un prefetto.

MERLIN UMBERTO ritiene che la Santa Sede non sarebbe forse aliena dal consentire ad una modifica di quell’articolo, quando le si facesse presente che esso non corrisponde più al nuovo clima del Paese, dopo aver preso la solenne deliberazione di inserire i Patti Lateranensi nella Costituzione. Quando invece si votasse una formula come quella proposta dall’onorevole Togliatti, la Santa Sede potrebbe dubitare che da parte comunista si manifesti il proposito di discutere un nuovo Concordato. Di fronte ad una simile possibilità i Commissari democristiani dovrebbero prendere una posizione nettamente contraria, perché si tratterebbe di rimettere in discussione una materia delle più difficili, che ha importato anni di lavoro e di discussione tra giuristi di gran valore. Invita perciò i Commissari comunisti ad aderire alla formula proposta dal Presidente, mettendo a verbale che i Commissari di parte democristiana si dichiarano disposti ad adoperarsi affinché quegli articoli che non si ritenessero più confacenti al nuovo clima del Paese siano modificati col consenso delle due parti contraenti.

TOGLIATTI rileva che l’onorevole Merlin ha fatto dichiarazioni interessanti circa il desiderio dei comunisti di mantenere e difendere la pace religiosa nel nostro Paese.

Afferma che i comunisti dal giorno in cui hanno ripreso un’attività aperta in Italia, anzi anche prima, si sono adoperati in questo senso. Non esiste alcun atto della loro politica che tenda in qualsiasi modo a ledere la pace religiosa del popolo italiano. Essi comprendono che si apre per il popolo italiano un periodo difficile, periodo di ricostruzione e di rinnovamento politico ed economico, e che questo processo non deve essere complicato da conflitti religiosi. I compiti che si pongono in questo periodo per le masse lavoratrici, a cui il partito comunista è legato in modo particolare e a cui sono legati anche altri partiti, saranno risolti in Italia attraverso una collaborazione tra gli elementi lavoratori di diverse correnti, e la pace religiosa dovrà conservarsi nel nostro Paese per un lungo periodo di tempo.

Non crede, dunque, che si possa dubitare delle intenzioni dei comunisti, i quali hanno presentato una formula nella quale hanno tenuto conto della richiesta democristiana di un riconoscimento della sovranità della Chiesa. Ma, mentre i comunisti facevano questo sforzo di avvicinamento, i democristiani facevano un movimento opposto, presentando formule sempre più tassative sull’altra questione dei Patti Lateranensi.

Ora, venendo al fondo della questione, dichiara, in risposta ai dubbi avanzati dall’onorevole Merlin, che i comunisti non intendono affatto porre il problema di una revisione del complesso degli accordi tra Stato e Chiesa, come essi sono sanciti dal Trattato e dal Concordato del Laterano. Ma, d’altra parte, non ritengono giustificate le ragioni che sono state portate in favore di un inserimento di quei Patti nella Costituzione. Non vale l’argomento che il Trattato Lateranense regola la materia del territorio dello Stato, perché non c’è nulla di strano che un trattato che regola una materia territoriale non venga richiamato espressamente nella Costituzione.

Invece, contro l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, vi è l’argomento dei possibili ritocchi che verrebbero ad essere esclusi, e potrebbero essere fatti soltanto attraverso un procedimento di revisione costituzionale, almeno come ratifica. E ad esso si aggiungono altri due argomenti: uno di valore psicologico-politico e l’altro di natura dottrinaria.

L’argomento psicologico è che i trattati hanno la firma del fascismo; vale a dire che sono stati conclusi dal Governo fascista. Vorranno i democristiani ignorare questo fatto, chiedendo di inserire nella Costituzione dei Patti che vennero considerati come una delle più grandi opere del regime fascista?

L’argomento dottrinario consiste nel fatto che i comunisti intendono respingere l’affermazione che lo Stato possa avere una religione. Lo Stato non può avere una religione; lo Stato garantisce la religione, ma non ha una religione sua; la religione l’hanno gli individui. Ora nella vecchia Costituzione italiana, cioè nello Statuto Albertino, c’era un articolo che affermava che lo Stato aveva una religione e che questa era la religione cattolica apostolica romana. Questo articolo, che i comunisti respingono per una questione di principio, viene riportato dal Trattato Lateranense e, attraverso questo, verrebbe ad essere inserito nella Costituzione.

I democristiani possono domandare come mai i comunisti intendono di mantenere in piedi il Concordato e il Trattato Lateranense, se poi respingono l’articolo citato. I comunisti rispondono che quell’articolo nella Costituzione Albertina ha un valore storico, ed essi non sollevano la questione, ma si oppongono a che venga inserito nella nuova Costituzione, perché esso potrebbe costituire domani uno strumento internazionale col quale si richiami lo Stato a condizioni giuridiche e a concezioni preesistenti.

Conclude dichiarando di ritenere che il dissidio tra i punti di vista comunista e democristiano non sia insolubile in linea politica, e che esso potrebbe essere risolto facilmente con un atto dell’Assemblea, la quale, nel momento in cui voterà la Costituzione, potrà votare anche un ordine del giorno in cui, nella forma più solenne, dichiari di ammettere che il Concordato e il Trattato del Laterano sono in vigore.

CORSANEGO rileva che la seconda osservazione dell’onorevole Togliatti si presenta molto grave nella sua formulazione. Ma tale gravità è conferita piuttosto da una abilità politica che non da una consistenza sostanziale. Quando poi l’onorevole Togliatti dice: Non vogliamo consacrare nella Costituzione i Trattati Lateranensi perché furono fatti dal fascismo, egli fa un’affermazione pericolosa, perché bisogna prima domandarsi se i Trattati Lateranensi corrispondevano alla volontà della maggioranza del popolo italiano. Se questo era, il fatto che li abbia stipulati il fascismo ha poca importanza. Se si insistesse su questo argomento, si dovrebbe spiegare anche perché l’Italia democratica ha istituito la Repubblica, quando il primo a fondarla fu proprio il fascismo. Come anche ci si dovrebbe domandare perché si parli di socializzazione, quando la prima socializzazione fu fatta proprio dal fascismo repubblicano.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che l’affermazione dell’onorevole Togliatti circa una certa accentuazione delle pretese democristiane non corrisponde alla realtà. Osserva anzi, a questo proposito, che l’onorevole Togliatti è stato il primo a pronunciarsi sulla materia in discussione, facendo affermazioni che, sotto certi aspetti formali, erano più decise di quante ne siano state mai fatte da parte democristiana.

La richiesta di un’affermazione più esplicita nei riguardi dei Patti Lateranensi è giustificata dal fatto che l’onorevole Togliatti, nelle sue nuove proposte, è venuto a restringere la portata del riconoscimento di quei Patti, che egli aveva mostrato di voler effettuare nelle sue precedenti dichiarazioni del 21 novembre.

Per quanto riguarda l’argomento avanzato dall’onorevole Togliatti della firma fascista dei Patti Lateranensi, si richiama alle osservazioni già fatte dall’onorevole Corsanego. Aggiunge che vi sono molti esempi di Patti che hanno assunto un aspetto diverso quando sono apparsi contrastanti con una determinata linea politica, e che non vi è bisogno di richiamare i precedenti storici dei Patti Lateranensi per mostrare come essi già fossero maturi nella coscienza del popolo italiano, attraverso i numerosi tentativi falliti, per vari motivi, prima del fascismo.

Circa la ragione di principio riguardante l’articolo 1 dello Statuto Albertino, osserva che il significato di questo articolo va valutato non per quello che esso dice formalmente, ma per il suo contenuto specifico assunto in relazione all’organizzazione giuridica concreta nella quale si inserisce. D’altra parte, che questo non sia un argomento valido contro la tesi dell’inserzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione, è dimostrato anche dalla proposta fatta in fine dall’onorevole Togliatti, che l’Assemblea, attraverso un atto, sia pure fuori della Carta costituzionale, riconosca il Trattato e il Concordato. La distinzione che egli fa è di carattere estrinseco e riguarda esclusivamente il «pezzo di carta» in cui questa norma verrà scritta. Se invece l’onorevole Togliatti ritiene che questa enunciazione non abbia valore di norma costituzionale, allora non sarà che un voto, un auspicio di cui si può apprezzare il significato al fine di tranquillizzare la vigile coscienza cattolica, ma che non può accontentare chi rappresenta questa coscienza in seno all’Assemblea costituente.

PRESIDENTE comunica che alla formula da lui presentata l’onorevole Lucifero propone di aggiungere un capoverso così formulato:

«Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

BASSO dichiara di non comprendere la ragione per cui si chieda di inserire il concordato ed il Trattato del Laterano nella nuova Costituzione. Osserva che da 17 anni il Trattato e il Concordato con la Santa Sede vivono in Italia, e mai in passato si è chiesto che essi fossero inseriti nello Statuto Albertino. Non vede, pertanto, la necessità di inserirli oggi nella Carta costituzionale; anzi, a suo parere, vi sono ragioni per non farlo.

Osserva a questo proposito che, al fine di assicurare la pace religiosa, è utile all’Italia un Concordato approvato da un Governo il quale sia la legittima espressione della volontà popolare.

All’onorevole Corsanego, fa presente che il concetto degli accordi con la Santa Sede risponde alla volontà del popolo italiano, ma non le singole statuizioni di essi, alcune delle quali debbono essere modificate o aggiornate. Nessuno oggi intende turbare la pace religiosa, e tanto meno i socialisti; essi però ritengono che questa pace deve riposare su una base solida, e non su un Concordato il quale contiene statuizioni contrarie alla loro coscienza giuridica e civile. È necessario modificare alcuni articoli del Concordato, e d’altra parte non è possibile affermare questa necessità, nello stesso momento in cui si chiede che il Concordato venga inserito con tutti i suoi articoli nella Carta costituzionale, precludendo la via ad ogni revisione.

Va inoltre considerato il fatto che alcuni articoli del Concordato contrastano con lo spirito della Carta costituzionale. Ad esempio, l’articolo 5 offende due esigenze della Costituzione: l’indipendenza dello Stato e l’eguaglianza fra i cittadini. Inoltre l’articolo 36, in cui si parla dell’insegnamento religioso come culmine dell’educazione secondo i principî della Chiesa cattolica, offende il principio dell’eguaglianza tra cittadini appartenenti a fedi diverse. Egualmente deve essere modificato l’articolo 20 del Concordato, relativo al giuramento dei vescovi nelle mani del re.

Conclude dichiarando che si può affermare nella Costituzione l’indipendenza della Chiesa ed altri principî che meritano un’affermazione di carattere costituzionale; ma non si può arrivare ad inserire nella Costituzione il Concordato in toto. Il Concordato è un avvenimento importante poiché ha rappresentalo l’avvento in Italia della pace religiosa, fatto storico che nessuno disconosce. Ma è lecito non riconoscere che la specifica forma data allora al Concordato possa ancora rispondere alla situazione attuale.

Quanto all’emendamento proposto dall’onorevole Lucifero ritiene che esso possa fornire un mezzo più spedito per modificare il Concordato, ma che non soddisfi a quelle esigenze più importanti che non gli consentono di votare a favore della formula proposta dal Presidente.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non poter accettare l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Lucifero che aggrava la situazione, perché viene a consacrare nella maniera più rigida l’inserimento del Concordato nella Costituzione, confermando l’impossibilità di modificare il Concordato stesso con atti che non siano bilaterali.

PRESIDENTE osserva che questo non è lo spirito con il quale l’onorevole Lucifero ha presentato il suo emendamento.

CEVOLOTTO, Relatore, obietta che questa, però, ne è la conseguenza, rilevando che, invece, l’emendamento proposto dall’onorevole Grassi costituiva un’attenuazione della formula del Presidente.

Si dichiara favorevole alla formula proposta dall’onorevole Togliatti per le ragioni che il proponente ed egli stesso hanno esposto.

LUCIFERO fa osservare all’onorevole Cevolotto che il problema cui ci si trova di fronte è quello della possibilità di modifiche del Concordato accettate bilateralmente dalla Santa Sede e dallo Stato italiano. Qualora non si dica niente in proposito, per una modificazione del genere bisognerà seguire la procedura della revisione costituzionale.

A questo inconveniente ovvia la dichiarazione che la revisione del Concordato avviene col normale sistema di ratifica. In questo modo, se mai, si attenua, non si aggrava, il peso dell’inserimento del Concordalo nella Costituzione.

PRESIDENTE dichiara di insistere nella sua proposta aggiuntiva, e domanda all’onorevole Grassi se mantiene la sua proposta di emendamento.

GRASSI dichiara di insistervi, perché ritiene che la dizione «I rapporti sono regolati in base ai Patti Lateranensi» possa risolvere sia la questione di sostanza, sia quella di forma accennata dall’onorevole Lucifero. Se si dicesse soltanto «sono regolati dai Patti Lateranensi», potrebbe darsi che per la modifica dei Patti Lateranensi si dovesse ricorrere a strumenti complessi, dato che quella italiana non è una Costituzione flessibile ma rigida; invece con la formula da lui proposta si potrebbe ratificare qualunque nuove accordo, senza bisogno di ricorrere ad una procedura extra-parlamentare.

LUCIFERO chiede che il suo emendamento venga messo ai voti prima della formula proposta dal Presidente, perché ciò potrebbe indurre qualcuno a votare quella parte della proposta che sarebbe per lui inaccettabile senza l’emendamento.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Lucifero che la sua richiesta non può essere accolta, perché il suo è un emendamento aggiuntivo e come tale presuppone una formula precedente.

Mette ai voti in primo luogo la formula proposta dall’onorevole Togliatti: «I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

LUCIFERO dichiara di votare contro, perché ritiene che la formula, richiamandosi solo alla parte concordataria, non contempli quegli altri rapporti che sono previsti dal Trattato. Inoltre, dicendo «in termini concordatari», si lascia adito al dubbio che non ci si riferisca al Concordato vigente.

(La formula Togliatti è respinta con 10 voti contrari e 7 favorevoli).

PRESIDENTE avverte che rimane da porre in votazione la formula da lui proposta, sulla quale l’onorevole Grassi ha presentato un emendamento.

GRASSI dichiara di ritirarlo.

PRESIDENTE pone ai voti la formula da lui proposta: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di votare contro per le ragioni che ha già ampiamente esposto, riservandosi di risollevare la questione, sia nella Commissione plenaria che davanti all’Assemblea Costituente.

DE VITA dichiara di votare contro.

GRASSI dichiara di votare a favore, con l’intesa che egli ritiene che il Trattato e il Concordato debbano essere la base delle relazioni tra Stato e Chiesa, ma che essi vanno modificati in alcune parti. Con questo spirito, voterà anche a favore dell’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Lucifero.

MORO dichiara di votare a favore, sicuro di interpretare in questo modo la coscienza cattolica del popolo italiano, e anche di quella parte cattolica del popolo italiano che milita in altri partiti. Dichiara altresì, che con questo voto i Commissari di parte democristiana non intendono imporre l’affermazione di una maggioranza transitoria, ma vogliono avviare tutta la vita politica italiana verso la pace religiosa, nella certezza che, anche per mezzo del loro contributo, saranno operati nel Concordato quei ritocchi che valgano a rendere i termini della pace religiosa perfettamente aderenti allo spirito liberale e democratico della nostra Costituzione.

(La formula proposta dal Presidente è approvata con 10 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Lucifero: «Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

DOSSETTI, Relatore, riservandosi, quanto al merito della proposizione proposta, di esprimere il suo avviso in sede più opportuna, dichiara di votare contro perché l’adozione di questa norma, quando ancora non si conosce la procedura che verrà adottata per la revisione della Costituzione, gli sembra inopportuna.

GRASSI dichiara di votare a favore per le ragioni già esposte.

TOGLIATTI dichiara di votare a favore.

(L’emendamento aggiuntivo è approvato con 8 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE rileva che la dizione dell’articolo, nel suo testo definitivo, rimano la seguente: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica».

Discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.

PRESIDENTE apre la discussione sugli articoli proposti dai Relatori in materia di libertà di opinione, di coscienza e di culto. Fa presente che il primo articolo proposto dall’onorevole Dossetti dice:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, purché non contrastino con le supreme norme morali, con la libertà e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, con i principî dell’ordine pubblico».

L’onorevole Cevolotto, a sua volta, ha proposto l’articolo seguente:

«Tutti i cittadini hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza».

Invita i Relatori ad illustrare le loro formule.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che l’articolo 1 della sua relazione non corrisponde propriamente all’articolo 1 proposto dall’onorevole Cevolotto. Il suo articolo riguarda soltanto la libertà di professione di idee e di convinzioni genericamente intesa, mentre l’articolo della relazione Cevolotto riguarda anche la libertà di fede di cui l’oratore fa parola all’articolo 2. Quindi si presentano due eventualità: esaminare, discutere ed eventualmente votare il suo articolo 1 riguardo alla libertà di professione delle proprie idee e convinzioni, oppure fonderlo con la trattazione relativa alla libertà di fede e di coscienza religiosa.

MORO ritiene che si debba fare distinzione tra la libertà di opinione e di coscienza intesa in senso generale, e la professione religiosa. Pertanto le due questioni vanno trattate separatamente.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non essere contrario alla discussione iniziale sull’articolo dell’onorevole Dossetti riguardante la libertà di opinione, restando salva la questione del suo collocamento.

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

MARCHESI ricorda che nella relazione sul programma della Democrazia cristiana della primavera scorsa si affermava la necessità che nella Carta costituzionale la religione cattolica venisse riconosciuta come religione di Stato, e se ne ricavava la conseguenza che gli istituti fondamentali dello Stato dovessero conformarsi alla morale cristiana che poi – come risultava da altri passi della relazione – era la morale cristiana cattolica. Rileva quindi come l’onorevole Dossetti faccia proprie le conseguenze che venivano tratte in quella relazione, quando stabilisce nel suo articolo che ogni uomo ha diritto alla libera professione delle idee, purché esse non contrastino con le supreme norme morali. Le quali supreme norme morali proposte dall’onorevole Dossetti – che è una così fervida anima cristiana – non possono che esser quelle della morale cattolica. Ma, con quella semplice parola «purché», si viene a distruggere il principio della libertà di pensiero, il quale pensiero può anche esigere la libertà di concepire e di formulare norme che siano in disaccordo con quelle della morale cattolica. Per queste ragioni dichiara di non accettare l’articolo dell’onorevole Dossetti, così come è stato formulato.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di ritenere l’articolo dell’onorevole Dossetti non necessario, dal momento che nei principî sulla libertà si è già garantita la libertà di esporre le proprie opinioni e di propagandarle.

Quanto alla formulazione dell’articolo, aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Marchesi, aggiungendo che esso rafforza in lui l’impressione che si stia facendo una Costituzione paolotta, mentre le formule dovrebbero essere, per dir così, un poco laicizzate.

LA PIRA fa presente che la stessa terminologia è usata anche in libri di autori non cattolici e non cristiani, e che la Costituzione che si sta facendo non è paolotta, ma umana. Essa ha per termine comune la personalità umana, accettata da tutte le correnti politiche.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che un richiamo alla morale si legge anche nell’articolo 2 proposto dall’onorevole Cevolotto, dove si dice che tutti i cittadini hanno diritto di professare qualsiasi culto che non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon postume, mentre egli aveva semplicemente detto: «all’ordine pubblico e al buon costume», perché i due concetti di ordine pubblico e di buon costume sono concetti più limitati di quanto non sia il concetto di morale. Fa presente inoltre che egli non si è richiamato genericamente alla morale, ma a quelle supreme norme morali che devono essere alla base di ogni convivenza civile.

Ricorda all’onorevole Cevolotto che il professore Jemolo, nel suo opuscolo per la pace religiosa in Italia, ha sostenuto che la nuova disciplina e il nuovo ordinamento giuridico italiani debbono cominciare con una dichiarazione di adesione a quei principî etici del Cristianesimo che rappresentano, indipendentemente da qualsiasi specifica tesi religiosa, la base della nostra coscienza e della nostra civiltà.

Ritiene quindi che il richiamo alle supreme norme morali non possa bastare per qualificare «paolotta» la Costituzione; non ritiene parimenti che il suo riferimento alle norme morali possa suscitare allarmi, perché non ha nulla a che vedere con la relazione sul programma della Democrazia cristiana, cui si è richiamato l’onorevole Marchesi.

LUCIFERO osserva che una buona Costituzione è tutta un dettame morale, e che il richiamo alle supreme norme della morale è nelle norme stesse che la Costituzione detta, e non come richiamo a sé stante. Quindi, pur dichiarando di consentire con le intenzioni dell’onorevole Dossetti, si domanda se è necessario il suo riferimento alle norme morali, e se non sia più pratico e più costituzionale l’accenno al buon costume e all’ordine pubblico.

BASSO, pure essendo ossequiente alle supreme norme morali, si dichiara contrario alla formulazione dell’articolo, in quanto esso esprime un concetto che può essere interpretato in modi diversi, mentre una precisa definizione della norma in esame è di suprema importanza, perché riguarda la libertà di coscienza.

Ricorda che, per avere in sede di Sottocommissione sostenuto una volta che il principio dell’indissolubilità del matrimonio riguardava piuttosto il Codice civile che la Costituzione – e non crede che questa fosse una violazione della morale – è stato attaccato dall’Osservatore Romano che lo ha accusato di volere distruggere il vincolo familiare, di voler introdurre il libero amore, ecc. Ora, quando si stabilisce che la libertà di coscienza può essere sottoposta ad esame in base a una formula suscettibile di interpretazioni diverse, si va incontro al pericolo che questo esame possa variare da persona a persona. Perciò, pur essendo d’accordo che si debbano rispettare le supreme norme morali, ritiene inaccettabile una formula che si richiami alle norme morali, senza averle prima ben definite.

MASTROJANNI ritiene che sia da accogliere la formula dell’onorevole Dossetti, il quale ha esattamente limitato le supreme norme morali a quelle che hanno resistito attraverso il corso dei secoli. La resistenza nel tempo di questa morale accettata da tutti la mette fuori di discussione, e non giustifica le preoccupazioni dell’onorevole Marchesi.

MARCHESI domanda all’onorevole Mastrojanni quali sono secondo lui queste supreme norme morali.

MASTROJANNI risponde che sono quelle – come la morale cristiana cattolica – che attraverso i secoli hanno resistito e sono rimaste integre nella coscienza collettiva.

MARCHESI osserva che tali norme non sono state mai assolute nel tempo; sono materia di esortazione, non di storia; sono state predicate, non praticate.

MASTROJANNI replica che la predicazione del Cristianesimo è servita ad esaltare la norma morale, perché venga praticata con sempre maggiore profondità. Ma il fatto della predicazione non ha fatto che confermare l’esistenza di quella morale universale. Attraverso i secoli non vi è alcun’altra forza morale accettata dalla collettività, né ancora oggi vi è una morale da contrapporre a quella cristiana.

MARCHESI domanda all’onorevole Mastrojanni se egli proibirebbe la pubblicazione dell’opera Così parlò Zarathustra di Nietzsche.

MASTROJANNI dichiara che se quell’opera urta contro l’umana coscienza e suscettibilità, non avrebbe alcuna difficoltà a contrastarla, appunto perché turba le coscienze. Egli è del parere che il bene supremo deve essere difeso. Le manifestazioni del pensiero debbono rientrare in quello che è il patrimonio spirituale dell’umanità. È questo un diritto dell’umanità.

L’onorevole Lucifero ritiene che meglio converrebbe alla nostra Costituzione la formula che pone il limite dell’ordine pubblico e del buon costume. Egli ritiene invece che quegli aspetti particolari possano far parte di leggi speciali, ma nella Costituzione debba affermarsi il principio generale da cui il legislatore trarrà argomento per formulare altri divieti che attingono il loro valore da questa enunciazione generale. Per queste ragioni è favorevole alla formula Dossetti.

DE VITA esprime l’avviso che i principî supremi della morale somiglino un po’ al diritto naturale: sono, cioè, vaghi ed inafferrabili. Ritiene che la morale sia variabile attraverso il tempo e da luogo a luogo. Per queste considerazioni dichiara di non potere aderire alla proposta dell’onorevole Dossetti. Per il resto, aderisce alla dichiarazione fatta dall’onorevole Marchesi.

TOGLIATTI dichiara di non comprendere perché venga proposto l’articolo in esame. Esso – a suo avviso – rappresenta una forma di ipocrisia. Quali sono i principî supremi della morale? Forse: non uccidere e non rubare? Ma è proprio la società, così come è oggi costituita, che spinge ad uccidere e a rubare.

Quali sono le norme morali? Il movimento anarchico può essere dichiarato contro le supreme norme morali; il movimento comunista può essere dichiarato immorale, perché non riconosce quel mito della proprietà che è a base della società capitalistica di oggi, ed è quasi una divinità per alcuni movimenti politici. Si vuol forse, proponendo una norma del genere, esacerbare i rapporti tra i partiti?

Osserva che qui non si mira a giudicare delle azioni, ma delle idee e delle convinzioni, la cui espressione deve essere invece libera. Con una norma del genere, si arriverebbe all’assurdo che un uomo non può più pensare una cosa che a giudizio dei proponenti dell’articolo sia considerata da essi contro le supreme norme della morale, supreme norme che non si conoscono e non vengono precisate.

La verità è che qui si nasconde il tranello della soppressione della libertà di pensiero, di convinzione, e di ogni altro principio di libertà.

Per questi motivi, dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI ritiene che l’onorevole Togliatti abbia esasperato al massimo il pensiero che la formula rappresenta. Le supreme norme morali non possono preoccupare alcuno. La libertà di pensiero non è da esse violata. Qualunque aspirazione politica è salva, perché le supreme norme morali non colpiscono le idee, ma i delitti, quali per esempio l’omicidio o la rapina e ogni lesione al diritto.

TOGLIATTI osserva che con un articolo di legge, quale quello proposto dall’onorevole Dossetti, si sarebbero potuti mettere in prigione e sopprimere i primi predicatori del Vangelo. Quanto all’omicidio e alla rapina, cui ha accennato l’onorevole Mastrojanni, si tratta di materia riguardante il Codice penale. Ripete che l’inserimento di questo articolo nella Carta costituzionale farebbe sì che chi, come i comunisti, respinge ad esempio il diritto di proprietà così come ora è concepito dalla società capitalistica, sarebbe considerato rapinatore ed assassino.

GRASSI rileva che la libertà di opinione è a base dell’articolo proposto, e che essa va qui affermata, perché in nessuna parte della Costituzione ne è stato finora fatto cenno. Crede però che l’onorevole Dossetti sia andato oltre le sue intenzioni con le limitazioni che egli ha poste alla libertà di opinione.

Ritiene che non sia possibile porre una limitazione alla libertà di pensiero nei confronti dei principî affermati dalla Costituzione. L’onorevole Basso ha accennato alla indissolubilità del matrimonio; ed egli si domanda se si possa mai pensare che una opinione diversa possa essere vietata.

Ricorda che una delle ragioni per le quali la prima Costituzione francese fu respinta, derivava dal fatto che in essa vi era un articolo nel quale si dichiarava che i diritti affermati nella Costituzione non potevano essere posti in discussione: sembrò infatti agli elettori francesi che in questa affermazione vi fosse un germe pericoloso contro la libertà.

TOGLIATTI dichiara che, dopo l’accenno ai reati fatto dall’onorevole Mastrojanni, appaiono chiare le intenzioni dell’articolo in discussione. Fa presente che ogni giorno legge giornali di parte cattolica, nei quali si dice che le dottrine politiche che egli professa sono contro le supreme norme morali. È chiaro che, se domani quella parte avesse la maggioranza, egli sarebbe dichiarato fuori legge soltanto perché crede nei principî del socialismo e nella trasformazione della proprietà dei mezzi di produzione e dei mezzi di scambio.

Lasciando da parte l’anarchismo e il comunismo, che sono dottrine politiche, se si desse domani il caso di una eresia religiosa, si potrebbe dire, in base a quest’articolo, che essa è contro le supreme norme morali.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non vedere la ragione dello sdegno manifestato dall’onorevole Togliatti. Osserva anzitutto che, per quella particolare manifestazione che è l’opinione religiosa, si ammette che possa subire un limite nei riguardi dell’«ordine pubblico e buon costume», come è detto nella sua proposta e della «morale» per giunta, come è detto nella formulazione dell’onorevole Cevolotto. Ora, se questo lo si ammette per una manifestazione della coscienza religiosa, non vede perché non possa essere ammesso anche per ogni opinione in genere, in quanto sia contrastante con l’ordine pubblico o il buon costume. Potrà essere, questa, materia opinabile, ma non è cosa che desti sospetti o che possa giustificare la qualifica di forma ipocrita ad essa data dall’onorevole Togliatti.

Quanto poi al richiamo alle supreme norme morali, fa presente che un richiamo esplicito alla «morale» è contenuto anche nella formula dell’onorevole Cevolotto, e chiarisce che l’espressione «supreme norme morali» si riferisce a quei supremi principî morali che non riguardano questa o quella forma di organizzazione della società o di disciplina dell’economia, perché questo non ha niente a che vedere con essi. Supremo principio morale è, ad esempio, quello che proibisce le persecuzioni razziali.

CEVOLOTTO, Relatore, spiega che la sua formula si riferisce a tutt’altro campo. Essa afferma che tutti i cittadini hanno il diritto di professare quella religione e quel culto che desiderano, purché esso non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume. È necessario fare una tale specificazione, perché si può dare il caso di un culto che sia per se stesso immorale. Vi sono state sette religiose che hanno professato il principio che bisogna peccare molto per poi pentirsi e salvarsi. Un tal principio sarebbe contrario alla morale. Questa è la portata ristretta della sua formula.

DOSSETTI, Relatore, osserva che non è in base ad eventuali intenzioni che si deve giudicare, ma in base alla portata oggettiva della norma che si propone. Rileva che quanto dice l’onorevole Cevolotto è tradizionalmente compreso nel concetto di buon costume. Quando si fa un richiamo alla morale senza limitazioni, si richiama qualche cosa di ancor più estensivo delle supreme norme morali.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che la parola «morale» può essere tolta dalla sua formula.

DOSSETTI, Relatore, replica che a lui premeva sottolineare che, anche partendo da un punto di vista che non sia il suo, si può arrivare a stabilire limitazioni più gravi di quelle che egli propone, senza che l’onorevole Togliatti accusi l’onorevole Cevolotto di ipocrisia.

MARCHESI rileva che la «morale» richiamata dall’onorevole Cevolotto è la morale del regolamento di polizia.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare che la dizione «contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume» è una formula tradizionale della legislazione italiana, ed egli ha inteso qui adoperarla con quel significato e con quel valore.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che, data l’interpretazione che egli ha inteso dare alla sua proposta, non può che insistere perché venga posta in votazione.

BASSO osserva che l’articolo, quando fosse approvato, andrebbe soggetto ad interpretazioni diverse dalla interpretazione personale che ne ha dato il proponente onorevole Dossetti. Ritiene logica l’interpretazione datane dall’onorevole Mastrojanni, ed è contro di essa che intende reagire, come hanno già reagito gli onorevoli Togliatti e Marchesi.

Osserva che nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti si dice che non si possono manifestare le proprie idee o convinzioni, quando esse contrastino con le supreme norme morali, con la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione. Ora, fra i diritti che la Costituzione garantisce vi è il diritto di proprietà. Approvando l’articolo dell’onorevole Dossetti, si verrebbe ad impedire ogni manifestazione di opinioni contrarie al diritto di proprietà, così come esso si esercita nella civiltà capitalistica; si verrebbero pure a impedire tutte le associazioni per il divorzio.

L’onorevole Mastrojanni ha detto che per lui è molto chiaro che le «supreme norme morali» non sono che quelle della religione cattolica. Ora, per la religione cattolica, il Santo Padre è infallibile quando parla ex cathedra, in materia di morale. Accogliendo l’articolo dell’onorevole Dossetti ci si verrebbe quindi a sottoporre all’interpretazione autentica del Santo Padre in materia di morale. Praticamente l’accoglimento della proposta Dossetti significherebbe rendere impossibile qualsiasi manifestazione di pensiero. Si pensi, ad esempio, alle associazioni naturistiche ed a quelle per il controllo delle nascite, che sono associazioni fiorentissime in Paesi di alta civiltà e che verrebbero senz’altro proibite in base all’articolo in discussione. Ciò non implica da parte sua un giudizio di merito sulle predette associazioni: è certo però che egli è favorevole a che queste associazioni esistano e non siano soppresse da quel regime di polizia che verrebbe ad essere instaurato con l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

Rileva che si potrebbe, eventualmente, comprendere la portata ed il significato dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti, qualora esistesse un testo che fissasse tassativamente le norme della morale. Si potrebbe discutere l’opportunità o meno di richiamarle nella Costituzione, ma almeno si saprebbe a che cosa ci si vuol riferire. Invece, così come è formulato l’articolo, non può essere accolto e pertanto ne propone la soppressione.

LUCIFERO dichiara che, se fosse sicuro che l’articolo venisse interpretato nel puro senso delle supreme leggi della morale cattolica, lo accetterebbe, perché esse sono le supreme leggi morali di tutti.

Osserva, però, che nell’articolo vi è una certa improprietà di impostazione. La morale produce la legge, ma la legge non è che il precipitato storico della morale, non è «la morale». Nella legge si fa l’applicazione della morale vigente nell’epoca. La legge è quindi un’applicazione della morale, ma non la richiama. Questo articolo pone di fronte ad una serie di problemi che un interprete di cattiva volontà può torcere come vuole. Compito del legislatore e del costituente è di sviluppare la morale nelle leggi, non di richiamarla come articolo di Codice. Lo stesso fatto che si sia sentita la necessità di spendere tante parole dall’una e dall’altra parte per dire con quale significato si voleva adoperare la parola «morale», dimostra la difficoltà della sua interpretazione.

Dichiara pertanto di associarsi, per motivi diversi da quelli detti dagli altri oratori che lo hanno preceduto, alla proposta di sopprimere quest’affermazione.

CORSANEGO fa notare che la frase che ha destato tanto scandalo si trova in quasi tutte le Costituzioni. La Costituzione dell’Estonia, ad esempio, dice: «È garantita la libertà di manifestare le proprie idee con parole, scritti, stampe, rappresentazioni grafiche o di scultura. Essa non può essere limitata che nell’interesse della morale o della sicurezza dello Stato». Analoghe disposizioni si trovano nella Costituzione democratica spagnola, in quella lituana ed in altre Costituzioni.

TOGLIATTI fa presente che, se alcune sue espressioni possono avere offeso qualche Commissario, si dichiara disposto a rettificarle e a ritirarle, ma prega l’onorevole Dossetti di ritirare l’articolo proposto, onde si possa cercare un accordo su altra formula di comune consenso.

MORO dichiara di non poter concordare con le osservazioni fatte dall’onorevole Lucifero. È vero che la legge è un precipitato storico della morale, ma ciò non toglie che proprio per questa ragione le norme di legge debbano richiamarsi esplicitamente a criteri morali.

Per quanto riguarda il merito della proposta, intende difendere la sincerità con la quale essa è stata formulata. I rappresentanti della Democrazia cristiana sono cristiani e cattolici e sono abbastanza aperti, conoscendo il mondo moderno, per sentire che le loro idee non sono da tutti condivise. Tuttavia, vi è una convivenza civile in Italia e nel mondo tra persone che professano apertamente il Cristianesimo ed altre che solo naturalmente ne seguono la morale; e sia gli uni che gli altri sentono che c’è una moralità comune che li unisce, frutto della civiltà ed elemento comune che permette di vivere insieme realizzando una umanità civile.

A chi ha affermato che una norma come quella proposta può essere pericolosa, fa osservare che essa può essere pericolosa non perché la sostengono i democristiani, ma perché domani potrebbe rappresentare, nelle mani di chi non ha eguale lealtà ed apertura di spirito, un pericolo per la libertà. I democristiani possono sinceramente affermare che nelle loro mani non sarebbe pericolosa, perché essi sono uomini non soltanto cristiani, ma dotati di una spiritualità ricca ed aperta.

MARCHESI obietta che una norma del genere non è pericolosa nelle mani dell’onorevole Moro, ma sarebbe pericolosissima nelle mani di altre persone le quali, in base ad essa, si riterrebbero autorizzate a mandare al rogo i comunisti.

MORO ammette che la norma possa essere pericolosa, ma chiede che i Commissari diano atto della onestà delle intenzioni di chi l’ha proposta.

PRESIDENTE ritiene opportuno sospendere la seduta per qualche minuto per dar modo ai Commissari di chiarire meglio tra di loro il proprio pensiero.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

DOSSETTI, Relatore, comunica che, avendo l’onorevole Togliatti chiarito il suo pensiero, ed essendosi dichiarato disposto a venire ad un accordo sopra una nuova formulazione, non ha nessuna difficoltà a sopprimere l’articolo 1, purché nel successivo articolo da lui proposto come secondo, si faccia menzione della libertà di espressione delle proprie idee. Tale articolo dovrebbe avere, all’inizio, la seguente dizione:

«Ogni uomo ha diritto alla libera manifestazione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa, ecc.».

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene che, se si vuole introdurre il principio della libertà di manifestazione delle proprie idee, questo principio deve essere staccato dall’altro che riguarda la libertà di fede e di coscienza.

CARISTIA ritiene che, se anche si vuol discutere sulla libertà di opinione, del resto ammessa da tutti, le norme relative dovrebbero essere collocate in altra sede.

PRESIDENTE spiega che la Commissione si riservò appunto di discutere il principio della libertà di opinione in questa sede, in quanto poteva avere una connessione con gli articoli che riguardano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa; ma si intende che questi articoli dovranno poi trovare la loro sede nel primo capitolo, che riguarda i diritti fondamentali della personalità umana.

CARISTIA osserva che, dal momento che è stata già garantita la libertà di stampa, basterà dire: è garantita ai cittadini la libertà di opinione, che si esplica in determinati modi. Per quanto riguarda la libertà di coscienza e di culto, adotterebbe una formula molto più semplice.

CEVOLOTTO, Relatore, concorda nella proposta di riunire tutti i concetti nell’articolo 2 della relazione Dossetti, ma ne propone una formulazione diversa.

DOSSETTI, Relatore, dichiara doversi intendere che la sua proposta di fusione dei due articoli in uno solo, cioè nell’articolo 2, è naturalmente subordinata all’inquadramento dell’articolo 2 stesso, nel senso che la libertà di espressione delle proprie idee e convinzioni resti sempre circoscritta da quel limite supremo che è contenuto in fondo all’articolo. In caso contrario, ritirerebbe la sua proposta.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta di domani, ed invita i Relatori onorevoli Dossetti e Cevolotto a trovare una formula dell’articolo 2, possibilmente concordata.

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assente giustificato: Mancini.

MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

48.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

Presidente – Mancini – Cevolotto – Togliatti – Marchesi.

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Togliatti – Dossetti, Relatore – Cevolotto, Relatore –Caristia – Mancini – La Pira – De Vita – Merlin Umberto – Moro.

La seduta comincia alle 12.

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente la Sottocommissione ha proceduto alla revisione dei primi tre articoli concernenti i principî dei rapporti culturali.

Sottopone all’esame, per la revisione, i rimanenti articoli approvati sullo stesso tema.

MANCINI, all’articolo 4, propone di rendere tassativa la disposizione che l’insegnamento primario e postelementare è obbligatorio fino al 14° anno di età, sopprimendo perciò, al termine dell’articolo, nella proposizione «almeno fino al 14° anno di età» la parola «almeno».

CEVOLOTTO fa osservare che, con la parola «almeno», l’obbligatorietà può andare anche oltre i quattordici anni di età, che è un limite minimo. Se si toglie questo termine, si peggiora la situazione rispetto al principio dell’obbligatorietà dell’insegnamento, che si voleva affermare con l’articolo in esame.

TOGLIATTI si associa alla osservazione dell’onorevole Cevolotto.

MARCHESI fa presente che il termine «almeno» era contenuto nell’articolo formulato dall’onorevole Moro, e che egli lo aveva lasciato perché aveva ritenuto che esprimesse un concetto giusto.

MANCINI ritira la sua proposta di soppressione del termine «almeno».

(L’articolo 4 è approvato. L’articolo 5 non dà luogo ad osservazioni).

MARCHESI, sull’articolo 6, osserva che nel testo concordato dalla prima e dalla terza Sottocommissione l’articolo concernente la protezione dei monumenti da parte dello Stato è stato soppresso, e fa presente la necessità che invece esso sia mantenuto.

PRESIDENTE chiarisce che l’articolo è stato considerato superfluo dal Comitato che ha coordinato gli articoli approvati dalla prima e dalla terza Sottocommissione.

MARCHESI fa osservare al Presidente che l’articolo in esame è oggi più che mai necessario, poiché la seconda Sottocommissione, che si occupa delle autonomie regionali, ha attribuito alla competenza delle Regioni la protezione e la manutenzione dei monumenti che costituiscono patrimonio nazionale. Dichiara di non poter accettare questo principio, e di ritenere pertanto opportuno introdurre nella Costituzione un articolo che metta sotto la protezione dello Stato i monumenti artistici, storici e naturali, a chiunque appartengano e in qualsiasi parte del territorio della Repubblica.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Marchesi che si renderà interprete del suo desiderio in sede di Comitato misto, e propone che la forma dell’articolo in esame sia modificata nel modo seguente: «I monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica ed a chiunque appartengano, sono sotto la protezione dello Stato».

CEVOLOTTO dichiara di ritenere imprecisa l’espressione «monumenti naturali», poiché il monumento è sempre qualche cosa che sorge per opera dell’uomo.

MARCHESI fa osservare all’onorevole Cevolotto che il monumento è una testimonianza di qualche cosa, è un ricordo, una memoria, e che d’altra parte la parola «monumento» ha assunto un significato così esteso e generico che può essere accettata.

CEVOLOTTO non insiste sulla sua osservazione riguardante l’espressione «monumenti naturali», ma fa osservare che l’altra espressione «sotto la protezione dello Stato» è alquanto generica e può avere un significato troppo lato permettendo al privato, che non abbia i mezzi per curare e mantenere questi monumenti, di rivolgersi allo Stato per pretendere che vi provveda lo Stato stesso.

MARCHESI chiarisce che lo Stato deve appunto intervenire quando non ci siano i mezzi da parte del privato, ma può anche imporre al proprietario, che abbia i mezzi, la custodia e la manutenzione di questi monumenti.

CEVOLOTTO dichiara di non insistere nella sua osservazione.

(L’articolo viene approvato nella formulazione proposta dal Presidente).

PRESIDENTE essendo esaurito l’esame degli articoli concernenti i principî dei rapporti culturali, propone alla revisione i sei articoli che riguardano la famiglia.

(Non dànno luogo ad osservazioni).

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE riapre la discussione sugli articoli riguardanti lo Stato come ordinamenti giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti, ricordando che in una precedente seduta egli e l’onorevole Togliatti avevano presentato due formulazioni diverse sullo stesso argomento.

Gli articoli presentati dall’onorevole Togliatti erano i seguenti:

Art. 1. – «Lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa o ecclesiastica».

Art. 2. – «Lo Stato riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nei limiti dell’ordinamento giuridico della Chiesa stessa».

Art. 3. – «I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

Gli articoli da lui proposti erano così formulati:

Art. 1. – «Le norme di diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento della Repubblica. Le leggi della Repubblica non possono contraddirvi».

Art. 2. – «La Repubblica riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nella sfera dell’ordinamento giuridico di essa».

Art. 3. – «I Patti Lateranensi – Trattato e Concordato – attualmente in vigore sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato».

TOGLIATTI dichiara di essere disposto a riunire in uno solo i tre articoli da lui proposti.

PRESIDENTE fa presente che, tra gli articoli che egli ha proposto, ce ne è uno che non riguarda i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, ma le norme di diritto internazionale che dovrebbero far parte dell’ordinamento della Repubblica.

Domanda alla Commissione se essa ritiene che questo articolo debba essere discusso prima di passare all’esame degli articoli riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, in merito ai tre articoli presentati dall’onorevole Togliatti, rileva che a parte le differenze formali il secondo può rappresentare una base utile di discussione essendo formulato precisamente nello spirito del principio che egli ha affermato.

Ritiene invece insufficiente il terzo degli articoli in cui l’onorevole Togliatti ha affermato in modo più esplicito e in termini più comprensibili ciò che l’oratore aveva cercato di stabilire negli articoli 5 e 6 proposti nella relazione. Fa osservare a questo proposito che esiste accordo tra lui e l’onorevole Togliatti circa l’affermazione del riconoscimento dell’indipendenza reciproca sia dello Stato che della Chiesa; ma rileva altresì che, oltre alla affermazione che i rapporti intercorrenti tra di essi devono in linea di principio essere regolati in termini concordatari e quindi con atto di diritto esterno, non si può non introdurre nella Costituzione anche un richiamo a quegli atti di diritto esterno sussistenti storicamente come disciplina concreta delle relazioni tra Stato e Chiesa, quali sono i Patti Lateranensi.

Fa presente che il principio del riconoscimento dei Patti Lateranensi era stato accettato esplicitamente anche dall’onorevole Togliatti nelle dichiarazioni da lui fatte nella seduta della Sottocommissione del 21 novembre: dalla quale risulta chiaro che l’onorevole Togliatti era disposto a riconoscere nella Costituzione ciò che chiamava uno stato di fatto attuale e giuridico; non essendo intervenute da allora ad oggi ragioni così gravi da giustificare un mutamento della situazione, ritiene che ne consegua che l’onorevole Togliatti dovrebbe essere tuttora disposto ad accettare un richiamo ai Patti Lateranensi come necessario complemento dell’architettura degli articoli riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa.

Rileva che al riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi oggi in vigore possono essere opposte una serie di obiezioni tecniche, quale ad esempio la opportunità di alcune modificazioni ai Patti in vigore; ma osserva che tali obiezioni hanno uno scarso rilievo, e che è invece necessario vedere realisticamente ciò che vi è al fondo della questione.

Dichiara a tale proposito che, perché si possa vedere nella nuova Costituzione un rispetto effettivo e non soltanto formale della coscienza cattolica del popolo italiano, è necessario che non si contraddica a quella fondamentale realtà storica con cui si è composto un dissidio secolare sistemando i rapporti fra Stato e Chiesa; non si può quindi fare a meno del riconoscimento dei patti esistenti. Quando, sia pure sotto il velame di esplicite dichiarazioni di rispetto, ci si rifiuta a questo riconoscimento costituzionale in nome di pretese difficoltà tecniche, i democristiani hanno ragione di sospettare che sotto tale atteggiamento si nasconda qualcosa di più che una semplice ragione tecnica: che vi sia cioè una ragione politica, e non si voglia dare agli italiani quella garanzia che i democristiani considerano fondamentale e che essi chiedono venga affermata nella Costituzione.

Aggiunge che alcune manifestazioni di un certo valore giustificano il sospetto che, negando in modo imprevisto ed imprevedibile il riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi, e opponendo d’altra parte delle pretese ragioni tecniche, si voglia di fatto mantenere una linea politica di equilibrio che da un lato consenta di sfruttare i vantaggi derivanti da una dichiarazione di rispetto per la coscienza cattolica, e dall’altro di minare profondamente la coscienza stessa. Cita a tale riguardo un articolo pubblicato dal nuovo settimanale di lotta politica Vie nuove, diretto dal vicesegretario del Partito comunista e di cui è autorevole collaboratore lo stesso onorevole Togliatti, articolo nel quale, sotto il titolo «Roma Vaticana», vengono riferiti alcuni giudizi del giornalista inglese Wickham Steed contenenti affermazioni false e denigratorie nei riguardi della religione.

Dichiara di non voler attribuire all’articolo citato un significato più grave di quello che si poté attribuire al manuale di religione presentato in una delle sedute precedenti dall’onorevole Togliatti, ma riconferma che, se le dichiarazioni fatte dai Commissari di altra parte nei riguardi dei patti esistenti sono veramente sincere, la sola conseguenza logica che se ne può trarre è che si deve arrivare ad introdurre nella Costituzione quell’unica effettiva garanzia che oggi può tranquillizzare la coscienza dei cattolici, senza recar pregiudizio alle coscienze non cattoliche.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che l’onorevole Dossetti è già entrato nel merito della discussione prendendo come base la proposta dell’onorevole Togliatti, mentre ancora si deve decidere se debba o no avere la precedenza la discussione sull’articolo relativo all’adozione delle norme di diritto internazionale.

Ricorda di aver proposto un articolo che corrispondeva alla prima parte dell’articolo successivamente presentato dal Presidente, il che dimostra che anche per il Presidente questo era il primo punto da risolvere. Fa presente che, se la Sottocommissione è disposta a prendere come base della discussione la proposta presentata dall’onorevole Togliatti, egli non si opporrà, ma non vede la ragione per cui non si debba prima discutere e votare l’articolo proposto dal Presidente, il quale tratta una materia non compresa negli articoli dell’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI dichiara che gli è indifferente discutere prima o dopo sull’articolo riguardante le norme del diritto internazionale. Osserva però che questo articolo non è persuasivo, poiché esso riconosce norme del diritto internazionale che non esistono. Esistono principî di diritto internazionale elaborati da una scienza molto complicata, ma per i quali non esiste una codificazione, poiché vi sono soltanto delle norme che entrano nei trattati internazionali, e questi trattati costituiscono l’unica codificazione del diritto internazionale. Nei Codici civili dei singoli Stati vi sono alcune norme di diritto internazionale relative, soprattutto, allo stato giuridico dei cittadini, norme di diritto privato in generale; mentre per quel che riguarda il diritto pubblico internazionale tutto rimane nell’ambito dei principî generali e fa parte del costume o della consuetudine.

Per queste considerazioni, affermare che le norme del diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento dello Stato vuol dire inserire nella Costituzione un articolo che si può prestare ad equivoci.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Cevolotto di discutere in primo luogo la questione del diritto internazionale in genere, per passare poi ad esaminare la questione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica.

CARISTIA dichiara che si asterrà dalla votazione in quanto ritiene che essa sia perfettamente inutile.

(La proposta Cevolotto è approvata con 15 voti favorevoli, 1 contrario e 1 astenuto).

CEVOLOTTO, Relatore, riconosce giuste le osservazioni dell’onorevole Togliatti circa il riconoscimento delle norme di diritto internazionale, e ricorda di aver presentato nella sua relazione una formula alquanto diversa da quella del Presidente, e così concepita: «Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana». Questa formula, che corrisponde, salvo varianti formali, alla formula della Costituzione di Weimar adottata anche da altre Costituzioni, va incontro alle obiezioni dell’onorevole Togliatti, e risponde all’aspirazione per un allargamento della base dei rapporti internazionali in cui intervenga un riconoscimento di norme comuni tra tutti gli Stati.

Per queste ragioni propone che sia adottato l’articolo contenuto nella sua relazione, invece di quello proposto dal Presidente.

CARISTIA ritiene che la formula proposta dall’onorevole Cevolotto sia più adeguata, anche tenuto conto delle osservazioni svolte dall’onorevole Togliatti, che però non sono del tutto esatte. Osserva a tale proposito che se è vero che il diritto internazionale non è codificato come il diritto interno, non si può dire in maniera assoluta che esso consti soltanto di quei principî che si trovano nell’uno o nell’altro manuale di diritto internazionale più o meno autorevole, perché vi è anche una parte di questa materia che, bene o male, è codificata in atti bilaterali.

Rileva inoltre che occorre fare una distinzione tra le convenzioni che gli Stati stipulano tra di loro, e le convenzioni che derivano da conferenze di molti Stati che emanano delle norme le quali si attuano poi negli ordinamenti interni dei singoli Stati. Le norme sulla condotta della guerra, sulla protezione dei lavoratori, sull’abolizione di certi sistemi, sono norme codificate in varie conferenze ed hanno una loro attuazione dipendente dalla loro natura di norme di diritto internazionale.

MANCINI riconosce che vi sono principî generali dinanzi ai quali ognuno deve inchinarsi; osserva però che oggi, in un momento di continuo contrasto tra popoli e popoli, dopo che una guerra ha devastato il diritto e il rispetto alle norme dei rapporti tra le genti, è il caso di domandarsi quali norme generali di diritto internazionale si debbano tener presenti nella Costituzione, essendo esse state superate dal diritto del vincitore sul vinto, come è dimostrato chiaramente dalle decisioni prese dalla Conferenza dei Quattro Grandi contro l’Italia.

Per queste considerazioni, ritiene inutile mettere nella Costituzione un’affermazione circa l’accettazione delle norme del diritto internazionale, e si dichiara contrario sia alla formula proposta dal Presidente che a quella dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto, la quale in sostanza ha un valore identico a quella proposta dal Presidente.

PRESIDENTE dichiara che, quando egli formulò il suo articolo, fu guidato dal pensiero di differenziare le figure dei due rapporti: rapporti internazionali in generale e rapporti tra lo Stato e la Chiesa. Aggiunge di accettare comunque la formula dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di ritenere che i due concetti debbano essere affermati congiuntamente. Si riserva, pertanto, quando si riproporrà la discussione sui rapporti tra Stato e Chiesa, di proporre che al testo che ora si approverà se ne aggiunga un altro relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa.

PRESIDENTE, rilevato che l’onorevole Dossetti ha dichiarato di aderire, per ora. alla formula proposta dall’onorevole Cevolotto, intende da parte sua fare analoga dichiarazione.

TOGLIATTI dichiara di accettare la formula dell’onorevole Cevolotto togliendo la parola «come». Non può accettare il principio contenuto nella formula del Presidente, che cioè le leggi dello Stato non possono contraddire alle norme di diritto internazionale, poiché ritiene che per scopo di rappresaglia si possa violare una norma di diritto internazionale.

PRESIDENTE rileva che anche non adottando la formula da lui proposta, il concetto sarà sempre implicito.

LA PIRA dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto.

DE VITA, pur ripetendo di essere contrario alla tecnica della Costituzione, dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto, poiché si tratta di una norma di diritto internazionale generale, per la quale è possibile una specie di adattamento automatico.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare all’onorevole Mancini che, nonostante la guerra, sono sopravvissute alcune norme generalmente adottate nelle varie conferenze internazionali, come ad esempio quella relativa all’abolizione della schiavitù.

Fa presente inoltre che la Costituzione intorno a cui si sta lavorando deve valere per l’avvenire e che quindi la formula in discussione ha valore in quanto afferma che l’Italia accetterà, come facenti parte del suo diritto interno, quelle norme di diritto internazionale che sorgeranno dalle varie conferenze e che saranno accettate da tutti.

MANCINI osserva che questo può essere un programma buono per l’onorevole Cevolotto. La Chiesa ha fondato l’unità politica dei popoli attraverso il Cristianesimo. I socialisti cercano di fondare l’unità politica attraverso i lavoratori. Come, socialista, egli crede a questo avvenire e non può quindi votare la proposta dell’onorevole Cevolotto.

MERLIN UMBERTO fa presente che la Carta costituzionale francese dice nel preambolo: «La République française, fidèle a ses traditions, se conforme aux règles du droit publique international». Questa formula con tiene un’affermazione che vale non solo per il futuro ma anche per il passato, e giova sperare che le norme cui si riferisce diventino efficaci e capaci di ulteriore sviluppo.

MORO domanda se l’articolo in discussione abbia riferimento anche ai trattati internazionali, oppure si riferisca alle norme internazionali generali. Deve essere chiarito cioè se i trattati, una volta stipulati, facciano parte di diritto, senza bisogno di una legge applicativa, dell’ordinamento dello Stato italiano.

CEVOLOTTO, Relatore, prega l’onorevole Moro di non insistere sulla sua richiesta perché la questione da lui proposta richiederebbe una lunga discussione la quale darebbe luogo a una eccessiva casistica. Dichiara di non ritenere opportuno inserire una tale specificazione nella Costituzione. Sarà lo svolgimento del diritto internazionale che stabilirà in seguito quando e come vi sia l’acquisizione automatica nel diritto interno delle convenzioni e dei trattati internazionali, il che non sempre avviene, neanche ora.

Per quanto riguarda qualche caso particolare, la questione potrà essere sollevata in un secondo tempo.

DOSSETTI, Relatore, risponde all’onorevole Moro che si riservava di sollevare la questione cui l’onorevole Moro ha fatto cenno.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Dossetti se crede di dover rispondere alla domanda dell’onorevole Moro, dopo aver aderito alla formula dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, risponde che bisogna distinguere: norme di diritto internazionale generale; norme di diritto internazionale positivo (i trattati); accordi tra Stato e Chiesa. Dichiara che nell’esprimere il suo assenso alla formula Cevolotto in merito al primo problema, non ha inteso pregiudicare né la seconda né la terza questione.

MORO si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Dossetti, riservandosi di intervenire quando saranno sollevate tali questioni.

MANCINI dichiara che potrebbe accettare la formula dell’onorevole Cevolotto solo nel caso che l’espressione: «Le norme del diritto delle genti» fosse sostituita dall’espressione: «Le norme dei rapporti internazionali».

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che ci sono altri rapporti non giuridici come, ad esempio, le convenzioni postali.

MORO domanda all’onorevole Mancini che differenza egli fa tra diritto delle genti e norme dei rapporti internazionali.

MANCINI risponde che il diritto delle genti non esiste più, mentre i rapporti internazionali saranno stabiliti dalle convenzioni future.

MORO dichiara di non ritenere che il diritto delle genti sia stato annullato; esso può essere stato violato, e proprio il fatto che i criminali di guerra sono stati giudicati e condannati, dimostra che vi è un diritto in base al quale si è proceduto alla loro condanna. Il diritto delle genti va ricostituendosi, e l’Italia contribuirà a questa ricostituzione dichiarando la sua fedeltà alle norme elementari del vivere internazionale.

MANCINI dichiara di essersi ispirato a questo principio, proponendo di sostituire con le parole «rapporti internazionali» le parole «diritto delle genti».

DE VITA propone di sostituire alla dizione «diritto delle genti» quella di «diritto internazionale generale».

PRESIDENTE osserva che in tal caso si parla di diritto pubblico.

MORO propone che si dica «diritto internazionale pubblico».

PRESIDENTE osserva che questa sarebbe la dizione migliore, e domanda all’onorevole Cevolotto se l’accetta.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di accettarla.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mancini se accetta l’emendamento sostitutivo «diritto pubblico internazionale».

MANCINI ripete che il diritto internazionale oggi non esiste.

TOGLIATTI dichiara di non accettare questa ultima formula proposta perché con essa si viene a invadere un altro campo. Accetta soltanto la primitiva formula dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Cevolotto, che ritiene raccolga la maggioranza delle adesioni ed è così formulato:

«Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, propone di togliere il termine «italiana» perché si è sempre parlato nei precedenti articoli soltanto di Repubblica.

MORO ricorda che l’onorevole Togliatti ha proposto di togliere anche il termine «come».

MANCINI propone la seguente formula: «Le norme dei rapporti tra i popoli generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica».

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mancini.

(È respinta con 15 voti contrari e 1 voto favorevole).

Mette ai voti la formula dell’onorevole Cevolotto modificata secondo gli emendamenti accettati dal proponente:

«Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica».

(È approvata con 15 voti favorevoli e 1 voto contrario).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi e Lucifero.

MARTEDÌ 10 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

47.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 10 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento

Presidente – Lucifero – Togliatti – Cevolotto – Moro – Mancini –Merlin Umberto – Amadei – Caristia – De Vita – Marchesi.

La seduta comincia alle 11.

Revisione degli articoli da deferire al Comitato di coordinamento.

PRESIDENTE, data l’assenza dell’onorevole Dossetti, ritiene che non sia il caso di riprendere la discussione che era rimasta in sospeso al termine dell’ultima riunione. Propone perciò di riesaminare, dal punto di vista formale, gli articoli riguardanti i principî dei rapporti civili, con esclusione degli articoli 1, 2, 3, e dell’articolo 17, sui quali la Sottocommissione si riserva di ritornare per un più approfondito esame.

LUCIFERO non ritiene che la Sottocommissione possa in questa sede tornare su quanto ha deliberato. Anche per quello che riguarda la questione di forma, la competenza non può essere che del Comitato di coordinamento, il quale ha lo scopo di dare una forma univoca a tutta la Costituzione.

TOGLIATTI si dichiara sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Lucifero. Non sarebbe contrario, però, a rileggere gli articoli, sia per ragioni di coordinamento che per la necessità di qualche eventuale piccolo ritocco.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lucifero che non si tratta di un riesame di merito, ma soltanto di forma, prima di inviare gli articoli al Comitato dei 18.

(Gli articoli 4, 5 e 6 non danno luogo ad osservazioni).

TOGLIATTI, sull’articolo 7, osserva che nel primo capoverso, invece di: «è vietata ogni violenza fisica e morale», si dovrebbe dire: «è vietata ogni violenza fisica o morale», per evitare che si possa da taluno intendere che la violenza debba essere fisica e morale nel medesimo tempo.

CEVOLOTTO concorda con l’onorevole Togliatti. Ritiene che si debba usare la particella disgiuntiva «o», altrimenti in sede di interpretazione si potrebbe ritenere che sia vietata la violenza fisica, solo quando si sommi con quella morale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sostituire alla dizione: «è vietata ogni violenza fisica e morale» l’altra: «è vietata ogni violenza fisica o morale».

(La proposta è approvata all’unanimità).

MORO, sull’articolo 8, propone che nella prima proposizione si sopprima la parola «definitiva», lasciando, in questo modo, alla legge di decidere se l’innocenza dell’imputato debba essere presunta fino alla condanna definitiva o no.

MANCINI è d’avviso che per condanna si debba intendere quella definitiva.

PRESIDENTE ritiene che la proposta dell’onorevole Moro non possa essere accolta in quanto non concerne una revisione di forma, ma un mutamento sostanziale circa una questione su cui la Sottocommissione ha già espresso il suo parere mediante un voto.

(La Sottocommissione concorda).

TOGLIATTI, sull’articolo 9, in cui è detto che la pena di morte non è ammessa, domanda se la Commissione ritenga fuor di luogo sollevare, a questo punto, la questione della pena dell’ergastolo, che essendo altrettanto inumana quanto da pena di morte, dovrebbe essere parimenti soppressa.

Fa presente che, comunque, si riserva di riprospettare la questione della esclusione della pena dell’ergastolo in sede di Comitato di coordinamento e in sede di Commissione dei 75.

LUCIFERO si associa alle considerazioni dell’onorevole Togliatti, che hanno un valore sostanziale, oltre che di umanità. Trattasi di una condanna talmente grave che, dopo i trenta anni, interviene quasi sempre la concessione della grazia sovrana, per cui si potrebbe consacrare nel diritto ciò che attualmente avviene come prassi.

PRESIDENTE non è insensibile alle umane osservazioni dell’onorevole Togliatti, ma desidera far rilevare che la pena dell’ergastolo, la quale si commina solo in casi di eccezionale gravità, mette il condannato in condizioni di non poter fruire di tutti quei decreti di amnistia che, succedendosi anche a breve distanza uno dall’altro, gli permetterebbero di riavere la libertà dopo pochi anni.

Teme, inoltre, che l’abolizione della pena dell’ergastolo potrebbe essere un incentivo a commettere delitti efferati, essendosi soppressa l’unica pena, quella di morte, capace di incutere paura ai grandi criminali.

MERLIN UMBERTO ricorda il delitto commesso recentemente a Milano da una donna, che ha barbaramente ucciso la moglie del suo amante e i suoi tre figlioletti, di cui uno appena di dieci mesi. In casi come questo, non si può non dare alla coscienza popolare la soddisfazione di sapere che colui che è stato capace di compiere un così nefando delitto non potrà più uscire dal carcere.

MANCINI osserva che la sua esperienza professionale lo porta ad essere completamente d’accordo con l’onorevole Togliatti. Cita l’episodio di un condannato all’ergastolo, che ha preferito suicidarsi pochi giorni dopo la condanna. Per quanto concerne le amnistie, ricorda al Presidente che dai beneficî in esse previsti è stato sempre escluso il reato di omicidio.

Richiama poi l’attenzione sul fatto che quando si verificano delitti così gravi, che esorbitano i limiti dell’umanità, vi è sempre in chi li commette un fondo di malattia e di anormalità, che anche da un punto di vista scientifico non può essere colpito così inumanamente. È da considerare, infatti, che l’ergastolo porta con sé la segregazione cellulare che nessun condannato arriva a completare, senza aver momenti di oscuramento mentale.

CEVOLOTTO concorda con i sentimenti di umanità espressi dagli onorevoli Togliatti e Mancini; prega però i colleghi di voler riflettere sulla gravità della questione, prima di prendere una decisione.

Premesso che la segregazione cellulare è stata abolita, è d’avviso che l’argomento dovrebbe formare oggetto di norme di Codice penale, piuttosto che di Costituzione, trattandosi in sostanza di modificare l’attuale sistema delle pene e carcerario.

MANCINI obietta che la segregazione cellulare esiste anche attualmente, sotto il nome di «isolamento».

MORO è d’accordo con l’onorevole Cevolotto che la questione rientri nella competenza del legislatore penale, in sede di riforma del sistema delle pene e carcerario. Circa la sostanza dell’emendamento che si vorrebbe introdurre, pone in evidenza l’esigenza della difesa della società umana che è compromessa dal moltiplicarsi di atti nefandi. Soppressa la pena di morte, l’ergastolo è rimasto l’unico motivo di inibizione al delitto. Per i casi patologici, a cui accennava l’onorevole Mancini, il legislatore penale potrà studiare dei sistemi più perfezionati di accertamento e potrà altresì prevedere delle diminuzioni di pena per i casi di carattere eccezionale, umanizzando ad ogni modo la detenzione. D’altra parte bisogna tener conto dell’esistenza del potere di grazia, conferito al Capo dello Stato, che, senza venir meno alla esigenza di una intimidazione preventiva, può interrompere la pena dell’ergastolo nei casi in cui il colpevole sia considerato degno di rientrare nella società.

LUCIFERO dichiara di non credere affatto al potere inibitorio della pena per coloro che, per temperamento o per particolare stato d’animo, sono portati a commettere simili delitti. Circa la questione delle amnistie, crede che si potrebbe trovare una formula mediante la quale la pena massima di 30 anni, comminata senza attenuanti, impedisca di usufruire di qualsiasi condono di pena.

Ad ogni modo, è d’avviso che bisognerebbe sempre stabilire che la segregazione cellulare deve essere proibita, come inumana e perciò contraria all’ultimo comma dell’articolo in esame.

MANCINI non crede anch’egli alla efficacia intimidatrice della pena, tanto è vero che il maggior numero di delitti si verifica proprio nelle nazioni dove è prevista la pena di morte.

Gli sembra che 30 anni di privazione della libertà siano più che sufficienti per soddisfare le esigenze del diritto. Ricorda che in Italia la pena dell’ergastolo non era prevista e che fu introdotta come surrogato della pena di morte.

PRESIDENTE condivide il parere dell’onorevole Cevolotto che la questione debba formare oggetto di revisione del sistema penale e carcerario. Ad ogni modo ritiene che prima di arrivare anche ad un semplice voto, l’argomento dovrebbe essere più attentamente sceverato ed approfondito.

MORO fa presente all’onorevole Lucifero che l’abolizione della segregazione cellulare deve intendersi inclusa nell’articolo della Costituzione che garantisce a ciascun cittadino un trattamento umano.

PRESIDENTE, riassunta la discussione, dà atto all’onorevole Togliatti del voto espresso per l’abolizione della pena dell’ergastolo, cui si sono associati gli onorevoli Lucifero e Mancini. Trattandosi però di argomento di tale importanza da meritare di essere più approfondito, ritiene che la Sottocommissione possa essere concorde nel rinviarlo in sede più opportuna.

(Così rimane stabilito).

AMADEI propone che il secondo comma dell’articolo («La responsabilità penale è personale») divenga primo comma.

MORO è d’accordo.

(La Sottocommissione approva la proposta dell’onorevole Amadei. – Gli articoli 10 e 11 non danno luogo ad osservazioni).

AMADEI, all’articolo 12, osserva che nell’ultimo capoverso, in luogo di: «La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata», sarebbe più opportuno dire: «per tal modo conosciute».

(La Sottocommissione concorda – L’articolo 13 non dà luogo ad osservazioni)

PRESIDENTE, sull’articolo 14, ricorda che in sede di discussione dell’articolo fu fatta una riserva circa l’opportunità di apposito riferimento alle società segrete.

Ritiene giunto il momento di sciogliere tale riserva.

TOGLIATTI aggiungerebbe all’ultimo comma l’espressione seguente: «Sono proibite le associazioni segrete».

AMADEI si associa alla proposta dell’onorevole Togliatti, e per collegare l’espressione con il concetto precedente, direbbe: «Sono parimenti proibite le associazioni segrete».

LUCIFERO è d’avviso che il concetto sia troppo vago e tale da dare adito ad errate interpretazioni da parte degli organi di polizia con conseguenti abusi.

A suo avviso si dovrebbe invece aver riguardo al fine che queste associazioni segrete perseguono, precisandosi che sono proibite le associazioni aventi un fine politico, che possa minacciare o minare la Costituzione dello Stato.

PRESIDENTE ritiene che in un regime di democrazia non si possano concepire società segrete di alcun genere che, a suo avviso, dovrebbero essere proibite alla pari di quelle aventi un’organizzazione militare. Le società segrete si possono soltanto concepire in un regime dittatoriale, quando la libertà è limitata o inesistente, ma non in un regime democratico dove ogni associazione può vivere alla luce del sole. Pertanto, se si vuole fare una Costituzione democratica, bisogna essere logici, affermando il divieto di ogni associazione segreta, senza bisogno di scendere nella Costituzione a specificazioni che potrebbero essere imperfette, o incomplete. Sarà compito del legislatore stabilire quali possono essere le società segrete, o che si presumano tali, nei confronti delle quali si debba applicare il divieto.

CEVOLOTTO pensa che quando si parla di società segrete, alcuni intendono di riferirsi alla massoneria. Precisa che la massoneria non può ritenersi un’associazione segreta, essendo noti a tutti i suoi programmi, i suoi dirigenti e la sua sede. Bisognerebbe quindi stabilire che cosa si intenda per società segreta, perché non crede che certe forme particolari di riservatezza, sia per quanto riguarda particolari deliberazioni, sia nei confronti dell’elenco dei soci, bastino per qualificare una società come segreta, non potendosi pretendere, senza violare la libertà dei cittadini, che sia di assoluto dominio pubblico anche tutto ciò che riflette la vita interna delle associazioni, specialmente se di carattere politico. La proibizione deve perciò rivolgersi principalmente a quelle società che segretamente tendono a minare la compagine dello Stato e che agiscono contro la legge. Si dichiara pertanto contrario alla formula proposta dall’onorevole Togliatti.

CARISTIA è d’accordo con il Presidente che non possano concepirsi in regime democratico società segrete. A suo avviso, però, il tener celato lo statuto, o gli elenchi dei soci, incide in minima parte sulla natura segreta della società, il cui carattere di segretezza va piuttosto ricercato nel fatto che questa caratteristica rappresenti lo scopo precipuo di tale società.

Ritiene quindi che non sarebbe difficile trovare gli estremi per definire quando una associazione è veramente segreta.

MORO propone le seguenti due formule, di cui la seconda sostitutiva dell’ultimo comma dell’articolo in esame: «Sono proibite quelle associazioni che hanno consacrato nel loro statuto il vincolo della segretezza»; «Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare o col vincolo del segreto sono vietate».

PRESIDENTE ripete che qualunque specificazione potrebbe essere incompleta. Fa poi osservare che se si sancisce il divieto delle associazioni che nel loro statuto consacrino il vincolo della segretezza, le società che vorranno mantenersi segrete, non introdurranno nel loro statuto ltale norma. Pertanto insiste nel ritenere che la Costituzione si debba limitare ad un’affermazione normativa generale che indirizzi la vita, la legge, il costume del Paese, riservando al legislatore di stabilire gli elementi caratteristici delle associazioni che si vogliono proibire.

MORO precisa di aver inteso esprimere il concetto che il carattere della segretezza dovesse essere essenziale e non transitorio nell’associazione, e che per tanto non si potesse fare a meno di consacrarlo nello statuto. Ad ogni modo, più che lo statuto, si deve vedere il fatto sostanziale, vale a dire l’intenzione della società di essere segreta.

DE VITA pensa che l’unico criterio distintivo potrebbe essere quello di ritenere segrete quelle associazioni che tendono a non far conoscere la propria esistenza.

MORO è d’accordo con l’onorevole De Vita. Il carattere della segretezza deve essere essenziale alla natura dell’associazione e non deve riguardare i particolari del suo funzionamento.

MANCINI concorda anch’egli con l’onorevole De Vita, che per società segreta si debba intendere non quella di cui si ignorino le finalità o il numero dei soci, ma quella che mira a mantenere segreta la propria esistenza.

MORO propone la dizione: «Sono proibite le società che hanno come carattere essenziale la segretezza».

PRESIDENTE ritiene che la formula dell’onorevole Togliatti sia la più esauriente.

Mette, pertanto, ai voti la seguente dizione aggiuntiva: «Sono parimenti proibite le associazioni segrete».

CEVOLOTTO dichiara che voterà a favore di questa formula, nel senso che debbono essere proibite le associazioni che tendano a mantenere segreta la loro esistenza.

DE VITA dichiara di votare a favore, secondo l’interpretazione che ha dato precedentemente.

MORO dichiara di votare a favore, secondo quanto ha esposto in precedenza.

MANCINI dichiara di votare a favore, nel senso che devono intendersi per associazioni segrete quelle che cercano di nascondere la propria esistenza.

(La proposizione aggiuntiva è approvata all’unanimità).

MARCHESI, sull’articolo 15, dichiara di riservarsi di domandare in sede competente l’abolizione della casistica contemplata nell’articolo stesso».

DE VITA si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Marchesi.

(Gli articoli 15, 16 e 18 non danno luogo ad osservazioni).

PRESIDENTE, essendo esaurita la revisione degli articoli relativi ai principî dei rapporti civili da sottoporre al Comitato di coordinamento, salvo per quanto concerne gli articoli 1, 2, 3 e 17, sui quali la Commissione si è riservata di ritornare per un esame più approfondito, sottopone a revisione gli articoli relativi ai principî dei rapporti sociali (culturali).

(I primi tre articoli non danno luogo ad osservazioni).

Rinvia il seguito della discussione alla seduta successiva.

La sedata termina alle 13.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Dossetti, Mastrojanni.

GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

46.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Sui lavori del Comitato di coordinamento

Lucifero – Presidente – Dossetti – La Pira – Togliatti – Caristia – Moro – Cevolotto.

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – Moro.

La seduta comincia alle 11.

Sui lavori del Comitato di coordinamento.

LUCIFERO, in merito ai lavori del Comitato di coordinamento, raccomanda che questo, tenuto conto del fatto che alcune correnti politiche non vi sono rappresentate, non esorbiti dal compito di un coordinamento puramente formale, ed eviti qualsiasi modificazione di carattere sostanziale che alteri comunque le deliberazioni adottate dalla prima Sottocommissione.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Lucifero che si renderà interprete di questa sua raccomandazione, aggiungendo che quanto forma oggetto di essa è stato già fatto presente in seno al Comitato di coordinamento, che infatti ha indirizzato il suo lavoro in questo senso.

DOSSETTI rileva che il Comitato si è messo su questa via in seguito al fermo atteggiamento tenuto in seno al Comitato stesso dai rappresentanti della prima Sottocommissione, i quali hanno ribadito il punto di vista espresso dall’onorevole Lucifero nella sua raccomandazione.

LA PIRA domanda se i componenti la prima Sottocommissione sono d’accordo sul principio che nessuna parte degli articoli formulati debba essere portata al Comitato di coordinamento prima che la Sottocommissione abbia effettuato una revisione totale del suo lavoro. Domanda anche se gli articoli stessi, nuovamente approvati dalla prima Sottocommissione in sede di revisione, potranno essere toccati dal Comitato di coordinamento, sia per quanto riguarda la loro sostanza che il loro collocamento.

DOSSETTI dichiara di ritenere inopportuno che gli articoli formulati dalla prima Sottocommissione siano sottoposti al Comitato di coordinamento prima che la Sottocommissione stessa abbia avuto il tempo di procedere alla loro revisione, soprattutto perché gli argomenti trattati negli articoli sono strettamente collegati tra loro, e di natura che si condizionano a vicenda.

Fa presente che la Sottocommissione sta attualmente discutendo un tema estremamente delicato ed importante, e dichiara a tale proposito che i democristiani non possono prescindere dalla soluzione che avrà codesto problema nell’atto in cui dovranno prendere una posizione definitiva nei riguardi degli altri argomenti già discussi e approvati dalla prima Sottocommissione, ma da questa non ancora coordinati.

TOGLIATTI rileva la gravità delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Dossetti, poiché il far dipendere quanto la Sottocommissione ha già approvato dal voto che essa darà su determinati articoli non ancora approvati costituisce un fatto non del tutto normale, e tale ad ogni modo da destare serie preoccupazioni, potendo portare a rimettere in discussione tutto quello che è stato già deliberato.

A tale proposito, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul senso di solidarietà a cui si informa il suo lavoro, e fa presente che questa solidarietà dovrà manifestarsi soprattutto in sede di Commissione dei 75, in cui si dovranno trarre le conseguenze dell’esame di tutti i punti di vista.

Dichiara di aver sollevato la questione perché, come l’onorevole Dossetti ha mostrato di annettere ad alcuni punti di vista un valore sostanziale e ad altri punti un valore solo secondario, anche per i comunisti esistono punti di vista sostanziali ed altri secondari. Ad esempio, il Partito comunista attribuisce un’importanza fondamentale di principio al fatto che l’organizzazione regionale, salvo il caso di alcune Regioni, sia introdotta nella Costituzione in modo tale che non venga ad infrangere l’unità politica dello Stato italiano; ed è preoccupato per alcune decisioni che su questo problema sono state prese dalla seconda Sottocommissione.

Parimenti il Partito comunista, il quale considera fondamentale un’organizzazione sostanzialmente democratica in cui la sovranità sia posta nelle mani del popolo che la esercita attraverso l’Assemblea legislativa e gli organismi da essa emanati, è preoccupato dal fatto che si possa derogare da questo principio favorendo la creazione di istituti forniti di poteri che limitino quelli delle Assemblee legislative che esprimono direttamente la volontà popolare.

Dichiara che su queste questioni d’interesse fondamentale i Commissari di parte comunista prenderanno una posizione politica, assumendo però atteggiamenti che terranno conto anche di tutte le altre questioni.

DOSSETTI precisa che nel fare le precedenti dichiarazioni, non esattamente interpretate dall’onorevole Togliatti, ha inteso riferirsi proprio ad una dichiarazione di carattere generale fatta dall’onorevole Togliatti in una delle riunioni della Commissione dei 75, in cui si discusse se il progetto di Costituzione dovesse essere completo prima di essere presentato alla Commissione plenaria e quindi all’Assemblea Costituente. In quell’occasione l’onorevole Togliatti sostenne giustamente che alla Commissione plenaria dovesse essere presentato un testo completo, così da poter essere valutato in maniera globale nelle sue diverse parti. Analogamente egli, affermando che non si potevano sottoporre al Comitato coordinatore alcune parti del lavoro della prima Sottocommissione, prima che essa avesse esaurito la discussione di tutti i problemi in esame, non intendeva affatto dire che si dovessero rimettere in discussione principî già approvati, ma solo prospettare l’eventualità che in sede di comitato di coordinamento si potesse essere disposti a fare delle ulteriori concessioni su qualche punto dei principî già fissati. Ma, affinché i Commissari rappresentanti di un partito si trovino in condizioni di decidere se una determinata modificazione di un articolo già approvato risponde ad una valutazione politica generale, è necessario che essi dispongano del testo completo della Costituzione.

Nei riguardi del dubbio espresso dall’onorevole Togliatti circa l’eventuale atteggiamento dei democristiani, afferma che essi non sono usi a revocare le decisioni già prese e che si ritengono impegnati dalle dichiarazioni da essi fatte su un determinato argomento. È però possibile che il Comitato di coordinamento li metta di fronte ad eventuali attenuazioni di alcuni principî per cui essi ritengano indispensabile avere dinanzi prima il quadro generale.

Circa le questioni di competenza della seconda Sottocommissione cui ha accennato l’onorevole Togliatti, dichiara che personalmente non è meno contrario dell’onorevole Togliatti ad uno smembramento dello Stato attraverso la Regione, e a qualunque Assemblea legislativa che non rispecchi un’organizzazione genuinamente democratica.

Conclude affermando che, perché si possa portare un contributo di comprensione reciproca e di collaborazione alla soluzione dei vari problemi, è necessario che la prima Sottocommissione proceda al completamento di quei principî che sono di sua competenza.

TOGLIATTI rileva che nel dibattito sviluppatosi tra lui e l’onorevole Dossetti si riflettono problemi fondamentali della vita italiana nella misura in cui essi rientrano nel lavoro della prima Sottocommissione. Esprime il suo compiacimento per il fatto che l’onorevole Dossetti ha dichiarato di concordare su alcune questioni cui egli ha accennato, e di ritenere possibile, in sede di Comitato di coordinamento, qualche ritocco a decisioni già prese.

È d’avviso che scopo dell’attuale dibattito debba essere appunto quello di preparare ulteriori avvicinamenti dei punti di vista più discordanti e che perciò la migliore cosa sia quella di chiarire le proprie posizioni.

DOSSETTI conferma che il senso delle dichiarazioni scambiate tra lui e l’onorevole Togliatti è che tanto i democristiani quanto i comunisti si ritengono impegnati da quanto è stato deliberato dalla prima Sottocommissione, eccetto i casi per i quali si sia fatta un’esplicita riserva.

CARISTIA fa presente il caso di quei deputati che, non facendo parte della Commissione per la Costituzione, hanno già manifestato qualche dissenso e delle riserve su quanto è stato approvato dalle Sottocommissioni.

Ritiene che questi deputati, evidentemente, dovrebbero avere il diritto di presentare degli emendamenti in sede di Assemblea plenaria.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Caristia che le riserve fatte da questi deputati potranno essere certamente risollevate in sede di Assemblea Costituente. Comunque, si tratta di questioni che non ritiene debbano essere sollevate in questa sede.

Circa poi la proposta avanzata di non presentare al Comitato di coordinamento nessuna parte del lavoro della prima Sottocommissione, finché questa non abbia completato la revisione di almeno uno di quei capitoli sui quali il Comitato stesso dovrebbe intervenire, considerata anche la necessità di non lasciare il Comitato senza materia che possa formare oggetto del suo lavoro, propone che vengano demandati all’esame del Comitato coordinatore quegli articoli già approvati dalla prima Sottocommissione che non siano suscettibili di provocare dibattiti o dissensi. Tali articoli potrebbero essere quelli facenti parte del primo dei capitoli esaminato dalla Sottocommissione, che riguarda i principî dei rapporti sociali, fatta eccezione di tre articoli che investono questioni di carattere generale, cioè precisamente il primo, il secondo e il penultimo.

MORO si dichiara contrario alla proposta del Presidente per le ragioni di principio già esposte dall’onorevole Dossetti e per altre ragioni di ordine pratico.

LUCIFERO si dichiara contrario alla proposta del Presidente, riferendosi a quanto ha già precedentemente esposto.

Esprime inoltre il senso di imbarazzo provato nell’ascoltare le dichiarazioni che sono state scambiate tra l’onorevole Togliatti e l’onorevole Dossetti. Mentre infatti ritiene che i membri della Sottocommissione abbiano non solo una funzione politica ma anche una funzione tecnica, non disgiunta da una funzione di riguardo verso decisioni che, oltre ad essere inquadrate nella concezione politica propria di ogni membro della Sottocommissione, sono inquadrate anche nella loro coscienza individuale, ha avuto l’impressione che il dibattito tra gli onorevoli Togliatti e Dossetti trascendesse quelle funzioni.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta del Presidente per ragioni pratiche. Fa presente che, nella seduta dell’Assemblea costituente che avrà luogo il 10 dicembre, sarà presentata una domanda di rinvio dei poteri della Commissione dei 75 fino al 1° gennaio e che per quella data i lavori della Commissione stessa dovranno essere ultimati definitivamente per dar modo all’Assemblea costituente di discutere il progetto di Costituzione in tempo utile onde procedere a quelle nuove elezioni che l’opinione pubblica del Paese chiede siano fatte entro il maggio o il giugno al più tardi.

Fa presente quindi la necessità di mettere in grado il Comitato di coordinamento di funzionare subito per poter accelerare tutto il lavoro.

LUCIFERO rileva che le considerazioni dell’onorevole Cevolotto non possono confortare la proposta del Presidente, perché i membri della Commissione non debbono interessarsi a quello che si dice fuori del loro ambiente. Essi debbono cercare di dare al popolo italiano quella Costituzione che ritengono la migliore nella loro coscienza, e la loro azione non può essere influenzata dai commenti della stampa più o meno qualificata.

PRESIDENTE mette ai voti la sua proposta di demandare al Comitato di coordinamento gli articoli del primo tema, riguardante i principî dei rapporti civili già approvati dalla Sottocommissione, ad eccezione del primo, del secondo e del penultimo articolo che investono questioni di carattere generale.

(La proposta è respinta con 9 voti contrari e 6 favorevoli).

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

 

PRESIDENTE, riprendendo la discussione sul tema dei rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti, chiede ai Relatori se è stato loro possibile concordare nuove formule da sottoporre all’esame della Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che non gli è stato possibile vedersi con il Correlatore onorevole Dossetti, per concordare una nuova formula, e propone che intanto la Sottocommissione cominci col rivedere il materiale già elaborato da sottoporre all’esame della Commissione di coordinamento, riservandosi di elaborare poi definitivamente le norme relative al tema dei rapporti tra Stato e Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, domanda all’onorevole Cevolotto se nella sua proposta si intenda implicita la riserva che i testi che la Sottocommissione dovrebbe cominciare a rivedere non saranno sottoposti al Comitato di coordinamento prima che le norme siano state sistemate in quell’ordine che la Sottocommissione crederà di dar loro.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che la Sottocommissione invierà i testi al Comitato coordinatore quando lo stimerà opportuno.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Dossetti se, non essendosi raggiunto l’accordo su un articolo sostitutivo, intende che si ponga ai voti l’articolo 4 nella formulazione da lui proposta.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di ritenere troppo affrettata la procedura richiesta dal Presidente e che sia possibile fare un ulteriore sforzo per raggiungere un accordo sulla base delle formule sostitutive e modificative presentate alla fine della seduta precedente e non ancora prese in esame.

MORO propone che la seduta venga sospesa per dar modo ai Commissari di consultarsi.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che dall’onorevole Togliatti e da altri Commissari sono stati proposti i seguenti articoli, in sostituzione di quello dell’onorevole Dossetti:

«Lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa od ecclesiastica».

«Lo Stato riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nei limiti dell’ordinamento giuridico della Chiesa stessa».

«I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari».

DOSSETTI, Relatore, chiede di poter riflettere sulla portata del nuovo articolo proposto che diverge notevolmente da quello da lui presentato.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla prossima seduta, dando comunicazione dei seguenti articoli da lui preparati, che gli sembrano comprensivi ed esaurienti tutta la materia:

«Art. 1. – Le norme di diritto internazionale fanno parte dell’ordinamento della Repubblica. Le leggi della Repubblica non possono contraddirvi».

«Art. 2. – La Repubblica riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nella sfera dell’ordinamento giuridico di essa».

«Art. 3. – I Patti Lateranensi, Trattato e Concordato, attualmente in vigore, sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato».

La seduta termina alle 13.10.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Mancini e Mastrojanni.

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

45.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – Togliatti – Marchesi – Caristia – Moro – De Vita – Grassi.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE legge e pone in discussione l’articolo 4 della relazione Dossetti e l’analogo della relazione Cevolotto, rispettivamente così formulati:

«Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

«Le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, fa presente che i due articoli non hanno alcuna rispondenza reale. Il suo articolo afferma infatti semplicemente un principio già esistente in molte Costituzioni, cioè che le norme del diritto delle genti sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica.

Nell’articolo dell’onorevole Dossetti, invece, da una prima affermazione diversa dalla sua ma ancora accettabile che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale, si fa discendere come conseguenza, mediante un «perciò», il riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico internazionale, nonché dell’ordinamento degli altri Stati. Su quest’ultima conseguenza non può essere d’accordo, perché non vede la ragione per cui il riconoscersi membro della comunità internazionale debba implicare anche il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, in quanto si può essere membri della comunità internazionale e non riconoscere, almeno costituzionalmente, l’ordinamento di qualche Stato, come, ad esempio, quello del Governo falangista spagnolo. È portato perciò a ritenere che l’affermazione del riconoscimento degli altri Stati come ordinamenti giuridici originari sia stato previsto unicamente per arrivare alla successiva conseguenza, cioè al riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa, non come Città del Vaticano, ma proprio come Chiesa. Ora, dal riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa potrebbero derivare alcuni inconvenienti, pure se non di eccezionale gravità, potendosi, ad esempio, sostenere che il sacerdote, in quanto la sua attività è regolata dall’ordinamento della Chiesa, non sia soggetto all’ordinamento dello Stato italiano, anche nelle questioni indipendenti dall’Autorità ecclesiastica. A suo avviso, invece, tutto quanto attiene alla Chiesa dovrebbe essere regolato mediante concordati, senza bisogno di uno speciale riconoscimento costituzionale.

Concludendo, come non ritiene che nella Costituzione debbano essere riconosciuti gli ordinamenti giuridici degli altri Stati, tanto meno ritiene che debba essere riconosciuto l’ordinamento della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, illustra brevemente il suo articolo rilevando che la prima proposizione: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale» è di tale evidenza che ben difficilmente crede che possa incontrare obiezioni. La susseguente affermazione: «perciò riconosce come ordinamento originario l’ordinamento giuridico internazionale», non può parimenti essere messa in dubbio, in quanto è una conseguenza della precedente.

Prima di entrare nel vivo della questione, sente la necessità di premettere un chiarimento specifico intorno al concetto di ordinamento originario. Con la locuzione «originario» ha inteso adottare una terminologia, entrata ormai nella dottrina più recente (in sostituzione delle espressioni «indipendente o sovrano» che potrebbero ingenerare equivoci), per indicare la caratteristica di un ordinamento giuridico il quale abbia, se non proprio tutti i caratteri che si ritenevano tipici della sovranità, intesa come potestà superiore, per lo meno il carattere di «asseità», cioè di essere un ordinamento per sé stante, il cui fondamento non derivi dal riconoscimento di un altro ordinamento. Ora, gli sembra difficile che si possa contestare che l’ordinamento giuridico internazionale e quello dei singoli Stati non abbiano la caratteristica della asseità, cioè di sussistere indipendentemente dal potere degli altri Stati. Comprende che l’onorevole Cevolotto non sia disposto a riconoscere, per esempio, l’ordinamento giuridico della Spagna franchista, ma con l’affermazione del riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati, non si vuole fissare l’obbligo di riconoscere tutti gli Stati, ma solamente si vuole significare che se si entra in determinati rapporti giuridici con un altro Stato, evidentemente all’ordinamento giuridico di tale Stato non si potrà contestare il carattere di ordinamento originario. Perciò, quando si intavolassero con la Spagna delle trattative, riconoscendola quindi come Stato, non si può non riconoscere l’originarietà del suo ordinamento giuridico.

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene che si possa riconoscere uno Stato, senza bisogno di riconoscere nella Costituzione l’originarietà del suo ordinamento. Il fatto che dal riconoscimento di uno Stato derivi necessariamente o meno il riconoscimento del suo ordinamento giuridico come originario, gli sembra sia piuttosto materia delle norme di diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, teme di non essere stato bene compreso. Ripete che se si entra in contatto con uno Stato – contatto non di fatto ma di diritto – non si può non riconoscergli il carattere di originarietà che è strettamente connesso alla sua qualità di essere un ordinamento statuale.

L’unica obiezione che si potrebbe fare e che la norma è tanto evidente ed è tanto in concreto praticata nella realtà giuridica di tutti gli Stati, che può diventare superfluo il dirlo, sebbene molte Costituzioni, come quella spagnola del 1921 e quella di Weimar, ne abbiano fatto esplicitamente menzione.

CEVOLOTTO, Relatore, limiterebbe l’articolo alla sola affermazione che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce come originario l’ordinamento giuridico internazionale, ritenendo che la parte successiva non sia materia di Costituzione. Come ha già detto, ritiene che l’onorevole Dossetti insista col principio del riconoscimento da parte dello Stato italiano della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, per arrivare al riconoscimento, come originario, dell’ordinamento giuridico della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, per dimostrare l’infondatezza dell’ultima osservazione dell’onorevole Cevolotto, rende noto che i professori Ago e Morelli, Relatori presso il Ministero della Costituente in materia di rapporti fra gli Stati, avevano presentato uno schema di articolo del tutto analogo al suo, senza l’ultima frase riguardante il riconoscimento, come originario, dell’ordinamento giuridico della Chiesa. Pertanto la norma che ha proposta, anche se cadesse l’ultima parte, relativa al riconoscimento della Chiesa, avrebbe una sua fondata giustificazione. La proposta Ago-Morelli, anzi, indipendentemente dal riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa, arrivava più in là dello stesso oratore, in quanto affermava che fanno parte integrante del diritto dello Stato, senza bisogno di un atto specifico di tradizione nel diritto interno, anche le norme di diritto internazionale positivo, e cioè i singoli trattati. Secondo tale principio, dal momento che lo Stato firma un trattato, automaticamente il suo diritto interno si adegua subito al diritto esterno.

Ritiene quindi necessario fornire qualche chiarimento sull’ultima parte dell’articolo che sembra destare le maggiori preoccupazioni mentre, a suo giudizio, il concetto contenuto nell’ultima parte dell’articolo stesso non dovrebbe suscitare alcuna reazione. Esso, infatti, afferma un principio ammesso unanimemente dalla dottrina fin dal 1870, che cioè l’ordinamento della Chiesa è un ordinamento giuridico sui generis, che non può essere considerato come quello di una società privata, perché ha evidentemente in sé i caratteri dell’originarietà, anche se non è di derivazione statuale come quello degli altri Stati, o interstatuale come il diritto internazionale. Cita come una delle più appariscenti manifestazioni della originarietà dell’ordinamento della Chiesa il diritto di legazione, che più di altri elementi mette in evidenza questa particolare caratteristica dell’ordinamento della Chiesa, la quale sussisterebbe anche se non si approvasse l’ultima parte dell’articolo 4. Esclude, poi, assolutamente che anche l’interpretazione più «diabolica» possa portare all’inconveniente a cui ha accennato l’onorevole Cevolotto, perché nell’atto stesso in cui si riconosce l’originarietà dell’ordinamento della Chiesa, se ne afferma anche l’estraneità, e quindi la distinzione rispetto all’ordinamento giuridico dello Stato. Come avviene per l’ordinamento giuridico internazionale, il cui riconoscimento non influisce sui rapporti interni dei cittadini con lo Stato, così il sacerdote e il fedele, pur essendo soggetti all’ordinamento giuridico della Chiesa, quando entrano in contatto con lo Stato, non saranno evidentemente sottratti alle norme proprie dell’ordinamento giuridico statuale.

Osserva, inoltre, che il riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa non toglie allo Stato la possibilità di disconoscere qualche norma dell’ordinamento giuridico canonico, in contrasto con le norme statuali. Del resto tutti i trattatisti sono d’accordo nell’affermare che nel suo complesso il Regno d’Italia unificato ha ricevuto come presupposto generale l’ordinamento giuridico-canonico, compresso però in moltissime disposizioni che l’ordinamento giuridico statuale ha ritenuto opportuno disconoscere. Perciò il non riconoscere l’originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa sarebbe, a suo avviso, non solo contrastante con la realtà politica, ma anche con quella giuridica.

TOGLIATTI ricorda che in materia di problemi relativi alla organizzazione dello Stato italiano, da parte democristiana si sostenne che i diritti dello Stato non dovevano essere considerati come originari, in quanto tali erano in primo luogo i diritti della persona e, in secondo luogo, quelli della famiglia.

Domanda perciò per quale motivo, essendosi respinto il concetto di originarietà dello Stato italiano, si richieda ora di riconoscerlo per gli altri Stati.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che quanto ha detto l’onorevole Togliatti non risponde al pensiero del gruppo democristiano. Tiene a sottolineare ancora una volta la posizione del suo Gruppo che, di fronte al fenomeno del pluralismo degli elementi giuridici, afferma ad un tempo resistenza di diritti originari della persona, della famiglia, dello Stato e di altri istituti e società come quelle religiose e in particolare della Chiesa cattolica. L’affermare l’originarietà dei diritti della persona non significa per nulla un conformismo alla tesi pessimistica manichea, che disconosce l’esistenza dello Stato e dei diritti che devono ad esso essere riconosciuti.

Premesso questo, desidera precisare che l’aggettivo originario ha un significato diverso, a seconda che si riferisca al singolo ovvero all’ordinamento giuridico. Nel primo caso si intende che ci sono diritti della persona anteriori al riconoscimento che ne possa fare qualsiasi società umana, come, per esempio, il diritto alla vita. Nel secondo caso, invece, il termine ha un’altra portata, volendosi indicare un ordinamento giuridico che sta a sé, che è indipendente e che ha quella caratteristica che aristotelicamente si definisce dell’asseità. Pone in evidenza che il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e di quello della Chiesa, è precisamente la presa di posizione, assunta dalla dottrina dell’ultimo trentennio, contro la tesi esclusivista della statualità del diritto, vale a dire che originario sia solo l’ordinamento giuridico dello Stato. Di fronte a manifestazioni come quelle internazionali della Chiesa, le quali hanno evidentemente una caratteristica giuridica che non si può disconoscere, la dottrina ha escogitato il concetto dell’ordinamento giuridico originario per sé stante, indipendentemente dall’ordinamento giuridico dello Stato.

Per eliminare qualsiasi diffidenza, mette nuovamente in luce che la base della teoria democristiana è il principio della distinzione tra i due ordinamenti, perché nel momento stesso in cui si afferma l’esistenza di un ordinamento giuridico della Chiesa, come originario, si vuole che tale ordinamento sia indipendente e non confondibile con quello dello Stato, cosicché ambedue procedano per strade distinte e indipendenti. È intendimento anzi dei democristiani, come è dimostrato dai loro ultimi studi, di accentuare ancor più tra i due poteri questa distinzione, che tutti ritengono come premessa essenziale dello sviluppo democratico e dell’educazione politica del popolo italiano.

MARCHESI non avrebbe alcuna obiezione da muovere all’articolo in discussione, salvo quella dell’inutilità, ma non si potrà mai persuadere che l’onorevole Dossetti abbia potuto proporre una norma che sia superflua. Perciò l’articolo 4 deve essere considerato non isolatamente, ma in relazione con gli articoli 6 e 7, con i quali costituisce un tutto armonico strettamente collegato. Se ben ricorda, questo insieme di norme, in una precedente riunione, era stato messo in giusta luce dall’onorevole Basso che, tra l’altro, a proposito dell’articolo 5 del Concordato, riferendosi al caso del professor Buonaiuti, aveva espresso l’avviso che lo Stato non potesse abdicare alla propria sovranità, intaccando il principio fondamentale della eguaglianza giuridica di tutti i cittadini. All’onorevole Dossetti, che in quella occasione aveva obiettato che un uomo quando assume un impegno solenne verso la Chiesa, sa a quali conseguenze va incontro in caso di violazione, fa presente che quell’uomo, obbligandosi dinanzi alla legge canonica ed alla Chiesa, sapeva però di non assumere una eguale obbligazione dinanzi alla legge civile. Ritiene che uno Stato non possa disonorare se stesso riconoscendo gli effetti civili e retroattivi a una obbligazione religiosa di carattere spirituale. L’articolo 5 del Concordato deve considerarsi una grossa spina confitta nel cuore della pace religiosa che si è creata, sul cui solco non comprende perché si sia voluto gettare il germe di una lotta religiosa che i comunisti intendono scongiurare e che, qualunque parte prevalga, non potrà dare buoni frutti.

Per quanto riguarda lo spirito che anima la democrazia cristiana, ricorda il Codice sociale di Malines, che, redatto nel 1926 sotto la guida del Cardinale Mercier, avrebbe dovuto e potuto costituire il Codice sociale del cittadino cattolico rispetto allo Stato. Questo Codice non ammetteva lo Stato etico, che potesse sostituirsi alla Chiesa nella vita spirituale, ma riconosceva lo Stato di diritto ponendo una distinzione chiara e netta tra diritto e morale, tra competenze giuridiche e competenze etiche. In questo trattato si affermava, in sostanza, che il limite del lecito etico non coincide col limite del lecito giuridico, che il reato non coincide col peccato. Ora, se allo Stato compete la repressione del reato, non comprende perché da parte democristiana si voglia che lo Stato partecipi anche alla repressione del peccato.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di condividere le osservazioni dell’onorevole Marchesi, che non intaccano per nulla quanto ha dichiarato ad illustrazione del suo articolo 4. In tale articolo, infatti, si afferma il principio del riconoscimento della originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, ma non si parla affatto del riconoscimento di singole norme di questi ordinamenti. Prega però l’onorevole Marchesi di tener nettamente distinto quello che è il problema del riconoscimento del carattere di originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e della Chiesa, dall’altro problema (di cui ha discusso in una precedente seduta con l’onorevole Basso) del valore nello Stato italiano di norme dell’ordinamento giuridico della Chiesa e viceversa. In relazione a tale questione, si era prospettata la eventualità della confusione dei poteri fra i due ordinamenti con l’assorbimento da parte della Chiesa di funzioni statuali, o da parte dello Stato di funzioni religiose, ma – ripete – una cosa è il valore giuridico nello Stato di norme proprie dell’ordinamento della Chiesa, ed altra cosa è il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e di quello della Chiesa. Quando l’articolo 34 del Concordato riconosce effetti civili al matrimonio celebrato dal ministro del culto, vi è un complesso di norme canoniche che entra, in un certo modo, nel diritto dello Stato. Nel caso dell’articolo 5, invece, non vi è l’ingresso, mediante il rinvio, nel diritto dello Stato di una norma canonica, che non esiste, ma si tratta del riconoscimento da parte dello Stato, con un atto della sua sovranità, di una determinata conseguenza giuridica dello status proprio del sacerdote nell’ambito della Chiesa cattolica. Per comprendere questa norma, che oggi politicamente potrebbe non essere conveniente, ammette che occorra un certo stato d’animo e l’accettazione di taluni principî, forse, di una società cristiana di tipo diverso da quello attuale. L’articolo 4, però, tocca un problema che non ha niente a che vedere con quello dell’articolo 34 o dell’articolo 5 del Concordato, in quanto il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico canonico non implica il riconoscimento di singole disposizioni, e tanto meno attribuzione di determinate conseguenze giuridiche nell’ordinamento statuale in relazione alle norme proprie della Chiesa.

Per quanto riguarda in particolare l’articolo 5 del Concordato, se si concludesse per la sua inaccettabilità, trattandosi di una norma contenuta in un atto bilaterale, l’unica via legittima sarebbe quella che lo Stato italiano facesse presente alla Chiesa l’intolleranza di una vasta parte dell’opinione pubblica nei riguardi del suddetto articolo e ne chiedesse la soppressione o la modificazione.

MARCHESI osserva che nessuno, da parte comunista, ha mai pensato, o penserà, di negare la personalità giuridica internazionale della Santa Sede, che vigeva assai prima dei Patti del Laterano, né di domandare, nemmeno in questa sede, la denuncia di tali Patti. Si vuole solo che la Costituzione non si ritenga impegnata dalle norme concordatarie, le quali continueranno ad aver vita fino a che le circostanze e la saggezza delle due parti contraenti lo permetteranno in relazione alla coscienza politica e giuridica dei tempi. Dichiara, pertanto, di essere contrario all’articolo 4 dell’onorevole Dossetti.

ROSSETTI, Relatore, rileva che l’onorevole Marchesi non ha risposto alla sua precisazione che l’articolo in discussione non ha alcuna attinenza col problema del riconoscimento di determinate norme canoniche da parte dello Stato.

MARCHESI risponde di aver fatto notare l’armonia esistente tra gli articoli 4, 6 e 7, di cui potrebbe anticipare rapidissimamente le conseguenze che ne possono derivare.

PRESIDENTE propone che la discussione si accentri sulla questione fondamentale, se cioè sia, o meno, da approvare il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati e di quello della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, comprende che l’onorevole Marchesi voglia discutere in blocco tutti gli articoli, temendo da una prima affermazione di essere portato a successive ammissioni, ma desidera gli sia consentito di dichiarare nuovamente che l’articolo 4 ha un valore indipendente dai successivi, per i quali, se qualche espressione può destare la preoccupazione che si voglia arrivare ad un confessionalismo dello Stato, è disposto ad accogliere tutte le eventuali modifiche che si riterranno opportune. L’articolo 4, invece, tratta un principio che non può essere modificato e che rimarrà sempre, anche se non sarà affermato nella Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, ritiene opportuno riportare la discussione sul suo binario, cioè ad una questione soprattutto di logica e di tecnica della Costituzione, lasciando da parte tutte le questioni teoriche sul diritto originario degli altri Stati e della Chiesa.

Senza entrare nel merito delle dotte osservazioni dell’onorevole Dossetti, rileva che l’articolo in discussione è composto di due parti, messe in relazione con un «perciò», che non ha ragion d’essere, perché la conseguenza non è in rapporto con la premessa. Uno Stato infatti può essere membro della comunità internazionale, senza dover riconoscere nella Costituzione l’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati. Se si ammettesse questo principio, senza discriminazione, si avrebbe la conseguenza di dover riconoscere l’ordinamento giuridico di qualsiasi Nazione, mentre lo Stato potrebbe trovarsi nella necessità o convenienza di entrare in contatto con un altro determinato Stato, senza riconoscerne l’ordinamento.

Per quanto attiene, poi, al riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa, il problema diviene ancora più grave, perché vi possono essere Stati che, pur essendo membri della comunità internazionale, non riconoscono l’ordinamento giuridico della Chiesa, considerandola, come per esempio gli Stati Uniti, alla stregua di una società privata. Né ha valore l’obiezione che gli Stati Uniti hanno una legazione presso la Santa Sede, in quanto tale rappresentanza è presso lo Stato del Vaticano e rientra nelle norme di diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, obietta che ciò è inesatto, inquantoché legazioni straniere presso la Santa Sede esistevano anche quando non vi era lo Stato della Città del Vaticano.

CEVOLOTTO, Relatore, crede che la questione della rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede, anche prima che fosse sorto lo Stato della Città del Vaticano, sia una questione particolare, che non implichi il riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa. A suo avviso, però, prima ancora di decidere se la Sottocommissione è favorevole al riconoscimento della originarietà dell’ordinamento della Chiesa, dovrebbe porsi la questione se sia, più o meno, opportuno inserire una norma del genere nella Costituzione. La questione del valore delle norme del diritto della Chiesa nel diritto interno, per quanto importante, potrebbe essere oggetto di patti bilaterali, la cui pratica attuazione e durata, come ha rilevato l’onorevole Marchesi, dipenderà dalla sapienza e dalla prudenza delle due parti contraenti. A questo proposito, esprime il parere che sarebbe necessario procedere ad una revisione delle norme concordatarie, naturalmente con trattative in sede diplomatica, come ha accennato l’onorevole Dossetti.

Conclude affermando che, poiché sotto il velo del riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati si vorrebbe inserire nella Costituzione il principio del riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, prenderebbe come base di discussione solo la prima parte dell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti, a cui aderisce, rinunziando alla sua formulazione.

CARISTIA pensa che si potrebbe forse discutere della opportunità o meno di introdurre questo articolo nella Costituzione, ma per quanto riguarda il suo contenuto non crede che debba dar luogo a eccessive preoccupazioni, perché in sostanza non si fa altro che affermare una posizione dottrinale che oramai è nella coscienza di tutti i cittadini. Si dice, infatti, in primo luogo, che lo Stato è membro della comunità internazionale, di cui riconosce l’originarietà dell’ordinamento. Su questa parte ritiene che non vi possano essere dubbi, dato che da tutti gli studiosi è pacificamente riconosciuta l’esistenza di una comunità internazionale, capace di emanare delle norme giuridiche di per sé stanti. In secondo luogo lo Stato riconosce, come originari, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e quello della Chiesa cattolica. Ora che la Chiesa abbia un ordinamento giuridico suo particolare, un complesso di norme cioè che valgano non soltanto come norme disciplinari, ma anche di diritto, è un principio che non si può disconoscere e che è ammesso anche da parte di scrittori ebrei.

Qualche preoccupazione potrebbe nascere in un secondo tempo, in relazione alle conseguenze che possono derivare dal riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, per la possibilità di un eventuale conflitto fra le sue norme e quelle dello Stato, ma, come ha spiegato l’onorevole Dossetti, si tratta di un problema del tutto diverso, che non è pregiudicato dal riconoscimento della Chiesa come ordinamento originario. Gli sembrano quindi eccessive le preoccupazioni che sono state sollevate.

TOGLIATTI osserva che la formulazione dell’onorevole Dossetti porta a riconoscere come originari l’ordinamento giuridico internazionale e quelli degli altri Stati. Per quanto concerne l’ordinamento giuridico internazionale, trattasi di norme che si evolvono continuamente e che non si può ancora sapere quale sviluppo prenderanno, specialmente in relazione alla Organizzazione delle Nazioni unite. Ora, affermare nella Costituzione che è originario un ordinamento che non si conosce e che si sta sviluppando sulla base di consuetudini e di affermazioni di fatto, che poi diventeranno di diritto, gli sembra una cosa eccessiva e fuori luogo.

Per quanto si riferisce agli ordinamenti degli altri Stati, poiché i rapporti con essi sono stati sempre fondati su un principio di reciprocità, esprime il dubbio che con la formula in discussione si venga a concedere agli altri Stati un particolare riconoscimento, senza sapere se all’Italia sarà fatto eguale trattamento. Esprime, infine, la sua perplessità anche circa l’affermazione relativa all’ordinamento della Chiesa, nei cui riguardi i democristiani potrebbero, a suo avviso, egualmente ottenere lo scopo che si prefiggono, formulando non dei principî teorici, ma delle richieste più pratiche e concrete. D’altra parte, nota una contraddizione nelle affermazioni dell’onorevole Dossetti, perché se l’ordinamento della Chiesa è riconosciuto ormai da tutti come originario, non vede per quale motivo da parte democristiana si insista tanto affinché venga riconosciuto costituzionalmente. A parte il fatto che sente una certa riluttanza ad inserire nella Costituzione il riconoscimento di un ordinamento che non conosce, gli sembra che un riconoscimento costituzionale potrebbe quasi infirmare l’originarietà stessa dell’ordinamento della Chiesa, perché, se fosse veramente originario, non avrebbe alcun bisogno di un riconoscimento.

Pertanto prega i colleghi democristiani di non insistere su questo articolo e li invita ad accettare la formula dell’onorevole Cevolotto, che considera assai più precisa e concreta.

MORO fa osservare che nessuna delle questioni poste in evidenza dalla discussione è pregiudicata dalla dichiarazione contenuta nell’articolo. Infatti, quando si parla dell’ordinamento giuridico internazionale, si prescinde da quella che sarà l’Organizzazione delle Nazioni unite, ma si vuole alludere ad un ordinamento internazionale che ha una vita autonoma ed una originarietà, per cui le norme che esso pone non traggono la loro forza obbligante dalla volontà esclusiva degli Stati membri della comunità internazionale, ma hanno un potere normativo che spetta agli Stati come tali. Così anche per i singoli Stati non si può non riconoscere i loro ordinamenti come originari, ma tale norma non obbliga ad avere relazioni con tutti gli Stati, comunque costituiti, ma tende solo a precisare che quando lo Stato entra in contatto con gli altri Stati, si pone su di una posizione di parità giuridica, che si esprime attraverso la forma dei trattati internazionali. Analogamente, per quanto attiene alla Chiesa, riconoscere nella Costituzione l’originarietà del suo ordinamento significa porre su di una base di parità i rapporti che verranno a stabilirsi tra Stato e Chiesa. Come dal riconoscimento dell’originarietà degli Stati scaturisce la necessità di regolare i rispettivi rapporti attraverso trattati, così dal riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento della Chiesa scaturisce la necessità di regolare le materie di comune interesse sulla base di un atto che sia al di fuori dell’ordinamento dello Stato e dell’ordinamento della Chiesa. Questo regolamento sarà fatto successivamente; ed è convinto che anche i colleghi di parte avversa riconosceranno la necessità che lo Stato non vi provveda unilateralmente, ma attraverso un atto bilaterale, come è il Concordato. Pertanto l’unica conseguenza che scaturisce dall’ultima parte dell’articolo è la non ammissibilità di un regolamento unilaterale da parte dello Stato, che incida in materie così profondamente attinenti non solo alla religione, ma alla morale e alla civiltà del popolo italiano.

Perciò più che la consistenza concreta dei Patti lateranensi, la quale, come ha detto l’onorevole Dossetti, può essere oggetto di una revisione che è del resto prevista in un articolo dei Patti stessi, crede sia molto più importante affermare nella Costituzione il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento della Chiesa, che ponendo su di un piano di eguaglianza i rapporti tra Stato e Chiesa contribuirà a mantenere quella pace religiosa che oggi regna in Italia.

DE VITA prega l’onorevole Dossetti di volergli chiarire se e quali conseguenze giuridiche possono derivare dal riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico degli altri Stati e dell’ordinamento della Chiesa.

DOSSETTI, Relatore, ripete che nessuna delle argomentazioni che sono state svolte incide sulla sostanza dell’articolo che ha proposto. La prima obiezione, che non possa riconoscersi la comunità internazionale in quanto non si conosce come verrà a formarsi e organizzarsi, non ha ragion d’essere, perché non si tratta di impegnarsi a riconoscere le varie strutture dell’Organizzazione delle Nazioni unite, ma di riconoscere l’esistenza di un ordinamento giuridico internazionale, indipendente dalla legislazione dei singoli Stati. Questo riconoscimento, che è già implicito nella norma con cui si è rinunziato alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, non implica il riconoscimento delle singole norme positive di quell’ordinamento internazionale, ma solo di alcuni principî supremi che costituiscono le norme di diritto internazionale generale. Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico degli altri Stati non ha parimenti valore l’obiezione che non si debba impegnare lo Stato a riconoscere tutte le altre Nazioni, perché il riconoscimento della originarietà dei loro ordinamenti tenderebbe semplicemente, come ha detto l’onorevole Moro, a fissare il concetto che se si entra in contatto con gli altri Stati, vi si entra su una posizione di parità. Si può quindi ignorare il regime della Spagna franchista o quello della Russia sovietica, ma se si entra in relazione con uno di questi Stati si deve attribuire loro, non il carattere di una società privata, ma quello di Stato, vale a dire di un ordinamento originario, come quello italiano.

Per quanto attiene al riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa, si limita a leggere alla Sottocommissione il seguente brano estratto dalle lezioni del professore Jemolo, autore non sospetto, in quanto tenace e geloso difensore dell’indipendenza e delle prerogative dello Stato: «Crediamo pertanto che oggi possa insegnarsi con assoluta tranquillità che il diritto della Chiesa va considerato dall’angolo visuale dello Stato italiano, così come lo considera la Chiesa allorché lo ritiene diritto qualitativamente eguale a quello emanato dallo Stato, nel senso che entrambi i diritti emanano da istituzioni che sono fonte di ordinamenti giuridici indipendenti, sicché sono concepibili rinvii dall’uno all’altro diritto».

Circa la necessità di inserire tale riconoscimento nella Costituzione, all’onorevole Togliatti, che è di avviso contrario, fa presente che è un diritto della coscienza cattolica italiana di pretendere che la Costituzione, come garantisce tanti altri diritti forse meno importanti, garantisca che domani lo Stato non devii bruscamente dalla linea di fatto oggi esistente e non presuma di mettere la Chiesa alla stregua di qualsiasi società privata, invadendo così una funzione spettante ad essa in modo esclusivo, di disciplinare cioè in maniera autonoma il fenomeno religioso.

Lasciando da parte ogni discussione tecnica, che aveva lo scopo di dimostrare che sotto la norma non si nascondeva alcun secondo fine, da un punto di vista politico, l’alternativa che viene proposta ai membri della Sottocommissione è se riconoscere o meno la Chiesa come un ordinamento originario, che ha il diritto di regolare con propri ordinamenti giuridici i suoi rapporti con i fedeli, cioè di dare o non dare alla coscienza cattolica italiana la garanzia costituzionale che lo Stato non si assumerà le funzioni della Chiesa, arrogandosi il diritto di regolare con norme proprie il fenomeno religioso.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che se, come ha detto l’onorevole Dossetti, l’articolo avesse la sola portata di riconoscere come originari gli ordinamenti dei vari Stati, si tratterebbe di una questione teorica, che non dovrebbe trovare sede in una Costituzione, che deve essere eminentemente pratica. Il punto cruciale del problema è stato invece posto dall’onorevole Moro, il quale ha chiaramente precisato che riconoscere come originario l’ordinamento della Chiesa vuol dire mettere questa in condizioni di parità con lo Stato, con la conseguenza che i rispettivi rapporti dovranno essere regolati sempre da patti bilaterali, o da concordati.

A parte il fatto che implicitamente verrebbe ad affermarsi nella Costituzione il riconoscimento del Concordato e dei Patti del Laterano, si dichiara contrario a porre lo Stato costituzionalmente in condizioni di parità con la Chiesa, perché nel caso di una questione su cui non fosse possibile raggiungere l’accordo, lo Stato deve poter prendere la sua risoluzione, anche indipendentemente dalla volontà della Chiesa.

Sarebbe, però, favorevole a studiare una formula nella quale si dicesse che le relazioni tra Stato e Chiesa sono regolate mediante il Concordato e, a tale proposito, cita una formula proposta dal professore Jemolo: «Lo Stato regola i rapporti giuridici con la confessione cattolica cercando, per quanto sia possibile, di concludere concordati con la Santa Sede».

Una formula di questo genere ritiene che potrebbe essere presa come base di discussione per giungere ad una dizione che sia idonea ad essere inserita nella Costituzione, ma non può essere d’accordo sul riconoscimento di una parità che obbligherebbe in ogni caso lo Stato a non esercitare la sua sovranità, anche quando vi sia l’impossibilità di raggiungere un accordo.

Lo scopo principale a cui mira l’onorevole Dossetti, cioè di assicurare una posizione di libertà alla Chiesa cattolica italiana, riconoscendole una situazione di reale indipendenza dallo Stato, a suo giudizio può egualmente raggiungersi con l’articolazione che l’oratore stesso ha proposto in materia di libertà di culto non solo della Chiesa cattolica, ma di tutte le Chiese.

Tiene a precisare che non intende affatto affermare che non debba mantenersi il sistema concordatario, salvo le necessarie modificazioni da apportare mediante trattative bilaterali, ma è d’avviso che nella Costituzione non si possano mettere vincoli che creerebbero situazioni particolari dello Stato rispetto alla Chiesa.

GRASSI rileva che nell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti si fanno delle precisazioni che o sono superflue, oppure dicono qualche cosa che sarebbe bene dire più chiaramente. Il concetto iniziale, che lo Stato italiano si riconosce membro della comunità internazionale, a suo parere è espresso inesattamente, in quanto il riconoscimento di uno Stato come membro della comunità internazionale non dipende da questo, ma da tutta la società internazionale. Dato che la situazione di fatto dell’Italia oggi non è ancora stata chiarita, con una simile affermazione sembrerebbe che si voglia precedere quello che dovrebbe essere un riconoscimento internazionale. Circa l’ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, come originari, gli sembra che non vi possano essere dubbi, perché tutti gli Stati, per il fatto stesso che sono membri della comunità internazionale, sono ordinamenti giuridici originari, in quanto non derivano da altri ordinamenti statuali. Anche per quanto riguarda la Chiesa, nessuno può disconoscere, come del resto è ammesso dalla dottrina, che la Chiesa ha un suo diritto originario. La questione invece sorge per il fatto che mentre tutti gli altri membri della comunità internazionale agiscono in un proprio territorio su cui esplicano il loro diritto originario, la Chiesa si trova a svolgere la sua attività in correlazione con un altro ordinamento giuridico, ossia con lo Stato italiano. Dalla coesistenza dei due ordinamenti nascono problemi teorico-pratici relativi agli individui considerati come cittadini e come fedeli, per cui è necessario e indispensabile che i rapporti tra l’ordinamento della Chiesa e quello dello Stato siano disciplinati mediante un apposito regolamento, la cui forma non può essere altro che quella del Concordato.

Ammesso questo punto fondamentale, senza attardarsi in inutili costruzioni teoriche, ritiene sarebbe più opportuno affermare sinteticamente che si riconosce la Chiesa come ordinamento giuridico originario che deve trovare nei rapporti con lo Stato un regolamento che possa tranquillizzare l’animo dei cattolici, in modo che non si arrivi a forme giurisdizionali dello Stato sulla Chiesa.

PRESIDENTE osserva che la discussione svoltasi ha dimostrato che la Commissione non è ancora in condizioni di poter arrivare ad una conclusione e quindi ad una votazione. Per tentare ancora uno sforzo per arrivare ad una conclusione possibilmente concorde, ritiene opportuno che i due Relatori, onorevoli Cevolotto e Dossetti, si riuniscano insieme ad altri due Commissari allo scopo di cercare di arrivare ad una formula accettabile almeno dalla maggioranza. Personalmente ha preparato delle formule, ed anche l’onorevole Togliatti ha preparato uno schema di articoli che potrebbero essere studiati dai Relatori e dagli altri due Commissari che ad essi si aggiungeranno.

DE VITA è del parere che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti debba essere senz’altro soppresso. Di questo fa proposta formale e chiede che sia messa in votazione.

DOSSETTI, Relatore, potrebbe anche essere d’accordo con l’onorevole De Vita sul fatto di mettere senz’altro in votazione l’articolo proposto, facendo presente che una sua eventuale soppressione non potrebbe avere altro significato che quello di lasciare aperta la possibilità di un giurisdizionalismo statuale.

PRESIDENTE osserva che non si tratta di domandare la soppressione pura e semplice dell’articolo. Al punto in cui si è arrivati, gli sembra che non si possa arrivare ad una votazione, senza presentare, come si è sempre fatto, proposte di emendamenti sostitutivi.

CARISTIA esprime il desiderio che gli onorevoli Commissari che si occuperanno di superare la questione tengano presente non soltanto l’articolo in discussione, ma anche gli altri che con esso sono connessi.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Caristia che, in sostanza, tutta la discussione si è imperniata sulla materia dei rapporti tra lo Stato italiano e gli altri Stati e sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

DE VITA dichiara di ritirare la proposta precedentemente fatta.

PRESIDENTE propone il rinvio della discussione alla prossima seduta.

(La Commissione approva).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Lucifero, Mancini e Mastrojanni.

MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

44.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 3 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Togliatti – De Vita – Dossetti, Relatore – Caristia – Grassi – Moro – La Pira – Corsanego – Lucifero – Amadei – Marchesi.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE fa presente che, secondo l’ordine dei lavori precedentemente stabilito, dovrebbero essere messi in discussione gli articoli 2 e 5 della relazione dell’onorevole Cevolotto.

Quanto all’articolo 3: «Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge ed hanno gli stessi diritti e doveri. La nascita, il sesso, la razza, la condizione sociale, le credenze religiose, o il fatto di non avere alcuna credenza, non possono costituire la base di privilegio o di inferiorità legale», può intendersi soppresso, in quanto il suo concetto è contenuto nell’articolo 2 dei principî generali, già approvato.

Per l’articolo 4, che tratta del riconoscimento delle norme del diritto delle genti da parte della Repubblica italiana, poiché l’argomento è stato trattato anche dall’onorevole Dossetti, dovrà cercarsi di arrivare ad una fusione.

Per semplificare, pone in discussione l’articolo 5, sul quale non crede vi sarà luogo a dissensi:

«La bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa».

Domanda innanzi tutto se sia necessario o meno mettere un simile articolo nella Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, osserva che un articolo sulla bandiera vi è in tutte le Costituzioni.

TOGLIATTI riconosce l’opportunità dell’articolo, ma, così come è formulato, gli sembra insufficiente, in quanto non dice se i colori della bandiera sono disposti nella direzione orizzontale o in quella verticale. Rimane, inoltre, aperto il problema dell’emblema della Repubblica italiana che, se venisse approvato dalla Costituente, dovrebbe occupare il centro della bandiera.

CEVOLOTTO, Relatore, propone che, in analogia a quanto è stabilito nel corrispondente articolo della Costituzione francese, si dica:

«La bandiera della Repubblica italiana è verde, bianca e rossa, a tre bande verticali di eguali dimensioni».

DE VITA osserva che se non si stabilisce l’emblema, la bandiera italiana potrebbe confondersi con quella messicana.

PRESIDENTE ritiene opportuno lasciare per il momento impregiudicata la questione dell’emblema.

Mette ai voti l’articolo nel testo proposto dall’onorevole Cevolotto.

(È approvato all’unanimità).

Apre la discussione sull’articolo 2 della relazione Cevolotto, così formulato:

«Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la Costituzione e le leggi».

DOSSETTI, Relatore, osserva che tale articolo si connette strettamente con il suo articolo 2, formulato nel modo seguente:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi».

Con questo articolo ha inteso riferirsi principalmente a quello che è il fondamento della sovranità dello Stato, derivante dall’ordinamento giuridico e dalla configurazione che questo ordinamento fa dello Stato, mentre nell’articolo 2 dell’onorevole Cevolotto si fa riferimento principalmente all’esercizio della sovranità, specificando che «tutti i poteri spettano al popolo», che può esercitarli direttamente o indirettamente. Affrontando il problema della sovranità dello Stato, riterrebbe necessario affermare congiuntamente i due concetti relativi sia al fondamento che all’esercizio della sovranità. Per questo motivo, ha proposto all’onorevole Cevolotto una formula risultante dalla fusione dei due articoli.

CEVOLOTTO, Relatore, dà lettura della formula concordata:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

«Tutti i poteri sono esercitati dal popolo direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti».

Precisa che nella sua dizione aveva seguito la formula tradizionale mazziniana, ma poiché in sostanza l’espressione: «Tutti i poteri sono esercitati dal popolo» ha lo stesso significato, ha aderito alla proposta dell’onorevole Dossetti.

DOSSETTI, Relatore, spiega che la prima parte dell’articolo ha precisamente lo scopo di specificare in termini più corretti quello che è il concetto della sovranità dello Stato. Non sarebbe stato esatto, infatti, parlare secondo una dottrina politica che risale al secolo scorso, di sovranità del popolo, perché la sovranità è dello Stato, e il popolo è il soggetto che l’esercita. Il concetto di sovranità popolare della formula mazziniana aveva senso in quanto lo si contrapponeva alla sovranità del principe, che era il soggetto in cui si identificava lo Stato e che esercitava tutti i poteri inerenti allo Stato stesso.

Ciò premesso, gli è sembrato più corretto e più conforme all’impostazione della Costituzione di parlare di sovranità dello Stato, che si fonda sull’ordinamento giuridico stabilito dalla Costituzione e dalle altre leggi da essa derivanti, mentre i poteri, che sono in concreto il modo con cui si attua la sovranità dello Stato, emanano dal popolo che li esercita o direttamente, o mediante i suoi rappresentanti.

CARISTIA non crede che sia necessario dichiarare nella Costituzione che la sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico, essendo questa una cosa naturale e da tutti pacificamente ammessa. È necessario, invece, stabilire chi esercita la sovranità ed i relativi poteri. Tale esigenza è già, a suo avviso, in modo concreto e corretto, affermata nell’articolo dell’onorevole Cevolotto a cui si dichiara favorevole.

DE VITA si dichiara anch’egli favorevole alla formula dell’onorevole Cevolotto. Osserva che, secondo la dottrina mazziniana, la sovranità risiede nel popolo e non nello Stato.

GRASSI prega l’onorevole Dossetti di non insistere nella sua proposta, in quanto con essa si entrerebbe in un campo dottrinale che non è quello delle norme costituzionali. Oltre il fatto che, addentrandosi in una discussione teorica, sarebbe molto difficile giungere ad una conclusione, la formula dell’onorevole Dossetti non è molto felice, perché la sovranità dello Stato non consiste nei limiti in cui si esplica, ma è il potere di comando, che in tanto si chiama sovranità, in quanto nega che vi sia un’altra autorità al di sopra di essa.

A suo giudizio, quello che la Costituzione deve fissare è che la sovranità viene dal popolo. Lo Stato, che è depositario del potere di comando, lo esercita attraverso gli organi del suo ordinamento, ma questi organi sono azionati e ricevono autorità e forma dal popolo che, direttamente o indirettamente, dà ad essi tutta la capacità della sua sovranità.

Ritiene, pertanto, preferibile la formula dell’onorevole Cevolotto, che senza avere pretese giuridiche esplica un concetto fondamentale giuridico e politico di una Costituzione democratica.

MORO non entra nella disputa sottile e interessante se la sovranità spetti al popolo o allo Stato, ma non può essere d’accordo con l’onorevole Grassi quando ritiene non necessaria la specificazione dei limiti giuridici e politici in cui si esplica la sovranità dello Stato. Dopo venti anni di arbitrio del potere esecutivo che avevano portato alla creazione di una dottrina per la quale la sovranità dello Stato consisteva nell’assoluta potenza, o prepotenza, si deve affermare nella Costituzione che il potere dello Stato è un potere giuridico, e che lo Stato comanda nei limiti della Costituzione e delle leggi ad essa conformi. Questa precisazione è tanto più necessaria in relazione all’articolo 3 formulato dall’onorevole Dossetti, nel quale si precisa come al singolo, o alla collettività, spetti la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. Solo dopo aver dichiarato che la sovranità dello Stato è nell’ambito dell’ordinamento giuridico, si ha la possibilità di sancire nella Costituzione il diritto di resistenza contro gli atti di arbitrio dello Stato.

Dopo una esperienza storica come quella vissuta, non crede si possa fare a meno di fissare con la massima chiarezza i seguenti concetti: sovranità dello Stato nell’ambito della legge; organi del popolo o delegati dal popolo all’esercizio della sovranità; diritto e dovere di resistenza del singolo e della collettività agli atti arbitrari dello Stato.

LA PIRA ricorda che tutta la più recente letteratura di diritto pubblico si è preoccupata di riaffermare il concetto di stato di diritto, e d’altra parte, tutta la Costituzione è stata imperniata sul fatto che lo Stato ha dei limiti di diritto naturale e di diritto positivo.

Ritiene, pertanto, che l’articolo così come è stato proposto dall’onorevole Dossetti sia fondamentale e che debba far parte della Costituzione.

CORSANEGO fa presente che l’onorevole Cevolotto ha aderito alla formula proposta dall’onorevole Dossetti, sicché l’articolo si presenta come concordato fra i due Relatori.

LUCIFERO dichiara di non essere stato convinto dalle argomentazioni svolte dagli onorevoli La Pira, Moro e Dossetti, che, anzi, lo hanno confermato nella decisione di votare a favore del testo proposto dall’onorevole Cevolotto. Richiede, perciò, che se si dovesse mettere ai voti l’articolo concordato dai due Relatori, esso sia messo ai voti per divisione.

TOGLIATTI dichiara di concordare sostanzialmente con le considerazioni svolte dall’onorevole Moro. In netta opposizione a quella profonda deviazione verificatasi nella dottrina giuridica, in senso assolutistico e reazionario, per opera del diritto tedesco attraverso una deformazione dell’hegelismo, ritiene che in una Costituzione fatta dopo il fascismo, un’affermazione quale quella proposta dall’onorevole Dossetti non sia da respingere, a condizione che si affermi anche che il depositario della sovranità è il popolo.

DOSSETTI, Relatore, precisa che era sua intenzione far seguire all’articolo 2, da lui proposto, un ulteriore articolo, o un secondo comma, nel quale si dicesse che tutti i poteri emanano dal popolo, che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti.

CARISTIA nota che qualunque Paese retto liberamente da una Costituzione ha una sovranità che si esercita entro i limiti imposti dalla legge e dalla Costituzione. Perciò affermare il principio che la sovranità ha dei limiti è una cosa, a suo avviso, perfettamente inutile, perché lo Stato, in quanto è democratico, ha di per sé una sovranità limitata, derivante anche dal fatto che la sovranità proviene dal popolo. Il fascismo aveva sorpassato questo concetto, perché forma di Governo che non era né liberale né democratica.

Concludendo, ritiene assolutamente inopportuno l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti. Non crede parimenti giusto inserire il diritto alla resistenza in una Costituzione, nella quale vi sono molti mezzi per resistere legalmente agli arbitri.

GRASSI riconosce che l’onorevole Dossetti si è preoccupato che lo Stato, nella esplicazione della sua autorità sovrana, non possa andare oltre i limiti dell’ordinamento giuridico; ma affermare che la sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico è, a suo avviso, una espressione priva di significato pratico perché lo Stato, concepito democraticamente, non è altro che l’ordinamento giuridico. A dimostrare meglio l’inutilità di tale affermazione, ricorda che la dottrina tedesca dei tempi dell’impero, pur essendo interamente fondata sullo stato di diritto, non impedì che nel suo ambito si sviluppasse il massimo strapotere statale.

A suo parere, il concetto che deve essere affermato nella Costituzione è quello dell’onorevole Cevolotto, cioè che il potere emana dal popolo, principio squisitamente democratico e comune a tutte le attuali tendenze politiche del Paese.

PRESIDENTE non comprende l’opposizione alla formula concordata, dato che in essa non si sopprime il concetto affermato nell’articolo dell’onorevole Cevolotto, ma vi si aggiunge un principio che mira a soddisfare un’altra esigenza. Ritenendo inutile ogni ulteriore discussione, pone ai voti l’articolo concordato, di cui dà nuovamente lettura, avendo subito nella seconda parte qualche leggera modificazione:

«La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

«Tutti i poteri emanano dal popolo che li esercita direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti».

LUCIFERO dichiara di votare contro, senza più insistere nella votazione per divisione, perché nella seconda parte non si afferma più il principio, contenuto nella dizione dell’onorevole Cevolotto, che la sovranità risiede nel popolo.

DE VITA dichiara di votare contro, perché nella prima parte si personifica lo Stato come un ente che sovrasta il popolo.

AMADEI, pur dichiarando che voterà in ogni caso a favore dell’articolo concordato, propone la seguente dizione: «La sovranità dello Stato emana dal popolo e si esercita nell’ambito dell’ordinamento giuridico, sia direttamente che mediante rappresentanti da esso eletti». Ritiene che questa formula metta meglio in evidenza la sovranità dello Stato come emanazione dal popolo.

LUCIFERO, dovendosi assentare, dichiara che vota contro anche alla formula dell’onorevole Amadei, se questa sarà posta ai voti, in quanto, a suo parere, la sovranità non emana né promana dal popolo, ma risiede nel popolo stesso.

AMADEI, dato che la sua formula risponde ai medesimi concetti di quella concordata, se i Relatori insistono sul loro articolo, dichiara di ritirare la sua proposta.

DOSSETTI e CEVOLOTTO, Relatori, insistono sul loro articolo.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dai Relatori.

(È approvato con 12 voli favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto).

Fa quindi presente che nella relazione dell’onorevole Cevolotto è formulato un articolo i cui concetti sono stati trattati con maggior diffusione dall’articolo 3 dell’onorevole Dossetti, che, se sarà preso come base di discussione e accolto, dovrebbe essere collocato dopo quello testé approvato.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole ad assumere come base di discussione l’articolo 3 dell’onorevole Dossetti, in quanto trattasi di una formula già accolta in altre Costituzioni.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 3 dell’onorevole Dossetti:

«La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino».

MARCHESI domanda a quali organi dovrebbe essere devoluta la garanzia di tale diritto che, a suo avviso, dovrebbe avere una base giuridica e non rivoluzionaria. Infatti una insurrezione contro i poteri dello Stato non avrebbe bisogno di appellarsi ad un articolo della Costituzione.

CEVOLOTTO, Relatore, risponde all’onorevole Marchesi che, trattandosi di materia contemplata nel Codice penale, la garanzia giuridica è data dall’autorità giudiziaria. In sede costituzionale si afferma soltanto una direttiva, ma sarà poi compito della legge penale sancire e regolare concretamente il principio.

MARCHESI si dichiara soddisfatto della spiegazione dell’onorevole Cevolotto, ma avrebbe preferito che fosse stata usata la formula dell’articolo 21 della Costituzione francese: «Qualora il Governo violi la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri». Con le parole «sotto ogni forma» si implica il ricorso a forme anche non strettamente legali.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non aver nulla in contrario ad accettare la formula della Costituzione francese, pur essendo dell’avviso che le parole «sotto ogni forma» possano ritenersi assorbite dall’espressione: «la resistenza individuale e collettiva».

MARCHESI crede che per resistenza individuale e collettiva possano intendersi solo le manifestazioni regolabili dall’autorità giudiziaria.

DOSSETTI, Relatore, essendo sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Marchesi, ripete di non aver nulla in contrario ad accettare la dizione della Costituzione francese.

GRASSI fa presente che l’articolo 21 della Costituzione francese risponde ad un momento storico particolare della Francia, in quanto si è voluto affermare che la resistenza francese al governo Pétain, durante il periodo dell’occupazione tedesca, è stata un sacro diritto ed un dovere del popolo. Invece nel caso in esame si vuole affermare il diritto alla resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali. Considera quindi la formula proposta dall’onorevole Dossetti più ampia di quella francese, in quanto si sancisce un principio generale, già affermato in dottrina, che cioè l’atto compiuto dal pubblico potere al di fuori della legge può essere oggetto di ribellione individuale o collettiva. È perciò favorevole alla proposta Dossetti.

CARISTIA pensa che il diritto alla resistenza non possa essere inserito in una Carta costituzionale, sia perché, se considerato individualmente, oltre la difficoltà di poterne definire la natura, ogni cittadino ha altri modi per far valere le sue ragioni; sia perché, da un punto di vista collettivo, corrisponde ad un movimento chiamato rivoluzione, che quando fosse riuscito ad affermarsi, non avrebbe alcun bisogno di appellarsi ad un articolo della Costituzione.

Dichiara, pertanto, che voterà contro l’articolo.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole all’articolo 3 della relazione Dossetti. All’onorevole Marchesi fa rilevare che la formula della Costituzione francese è un po’ retorica e demagogica, mentre in una Costituzione, quanto meno si abbonda in aggettivi, tanto più hanno efficacia le norme che si sanciscono.

PRESIDENTE è favorevole a sopprimere nell’articolo che il diritto alla resistenza è anche un dovere, perché tale affermazione avrebbe solo allora un significato concreto quando fosse stabilita una sanzione in caso di trasgressione.

DOSSETTI, Relatore, ritiene che si debba affermare che la resistenza non solo è un diritto, ma è un dovere, suscettibile di determinare delle sanzioni, in caso di inosservanza, salvo stabilire di volta in volta la sanzione in relazione alle singole situazioni ed alle conseguenze che ne sono derivate, come si è verificato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine.

CEVOLOTTO, Relatore, è favorevole ad affermare che la resistenza è anche un dovere, specialmente nei riguardi di alcune categorie di cittadini, come per esempio i pubblici ufficiali che devono avere il dovere di opporsi a un ordine del superiore che sia contrario alle norme della Costituzione. La distinzione tra i casi in cui sia un dovere e quelli in cui sia soltanto un diritto, potranno essere specificati da una legge speciale.

MORO crede che la richiesta dell’onorevole Marchesi, circa l’articolo 21 della Costituzione francese, abbia avuto principalmente lo scopo di individuare il significato della, norma in discussione. A parte la non opportunità di copiare l’articolo della Costituzione francese, sostanzialmente la formula proposta dall’onorevole Dossetti raggiunge lo stesso scopo del suddetto articolo 21, vale a dire di sancire il diritto alla rivoluzione, dandogli una giustificazione etico-giuridica.

Insieme a questa giustificazione si è posto però un limite, perché in tanto la rivoluzione è legittima in quanto nasca da uno stato di indebita compressione dei diritti di libertà sanciti dalla Costituzione.

A quanto è stato dichiarato dai Relatori sull’espressione: «dovere», aggiunge che essa può essere intesa anche come un dovere morale, che è bene sia affermato dalla Costituzione, nel senso che la passività, di fronte all’arbitrio dello Stato, costituisce inosservanza di un dovere morale fondamentale.

Crede, pertanto, che la norma abbia un preciso e netto significato giuridico, in quanto pone un criterio direttivo al legislatore penale, affinché non consideri come reati degli atti commessi con apparenza delittuosa, ma che hanno invece il nobile scopo di garantire la libertà umana.

TOGLIATTI può accettare l’articolo in esame, quantunque annetta poca importanza alla giustificazione legale di una rivoluzione, perché, a suo avviso, ciò che legittima una rivoluzione è la vittoria. Però, fa rilevare che la formula, così come è stata redatta dall’onorevole Dossetti, pur essendo accettabile, potrebbe dar luogo in un domani ad inconvenienti nella pratica legislativa. Fa così l’esempio di uno sciopero fiscale di fronte ad una nuova imposizione di tasse da parte dello Stato.

Ad ogni modo, dichiara che voterà favorevolmente, perché in caso contrario potrebbe sembrare che si voglia precludere la via all’azione di resistenza contro un potere tirannico.

PRESIDENTE osserva che la teoria del successo, posta come base di legittimazione di ogni rivoluzione, non gli sembra accettabile, in quanto sarebbe stata legale anche la rivoluzione fascista.

CARISTIA è d’accordo con l’onorevole Togliatti che lo stato di fatto si traduce sempre in uno stato di diritto. Non gli sembra quindi una cosa utile sancire nella Costituzione una giustificazione della rivoluzione.

PRESIDENTE domanda ai Relatori se insistono nel presentare l’articolo.

DOSSETTI, Relatore, non fa dell’articolo una questione di principio, ma dato che le obiezioni che sono state fatte non sono insuperabili, e che lo stesso onorevole Togliatti non si è dichiarato contrario, gli sembra che esso possa essere messo in votazione.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo 3 della relazione Dossetti:

«La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino lo libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino».

CARISTIA dichiara che voterà contro questo articolo perché lo ritiene superfluo.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione.

MARCHESI dichiara che, rinunciando alla sua proposta, voterà a favore.

(L’articolo è approvato con 10 voti favorevoli, 2 astenuti e 1 contrario).

PRESIDENTE fa presente che dovrebbe essere discusso l’articolo 4, che nella relazione dell’onorevole Cevolotto è così formulato: «Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana». Tale articolo nella relazione dell’onorevole Dossetti è del seguente tenore: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

Considerando che gli articoli 4 e 6 della relazione Dossetti coinvolgono, tra l’altro, il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, pone la questione se non sarebbe il caso di affrontare prima la trattazione dei diritti relativi alla libertà di opinione, di coscienza e di culto, in quanto diritti che dovrebbero integrare quelli fondamentali dell’uomo e del cittadino, che sono stati approvati nel primo tema dei lavori della Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, fa rilevare che il suo articolo l’afferma soltanto che le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana, mentre l’articolo 4 dell’onorevole Dossetti imposta un altro problema, perché viene a trattare del riconoscimento dell’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, entrando così nel vivo di una questione che potrà dare luogo a notevoli discussioni, date le conseguenze che ne possono derivare.

È, quindi, dell’avviso di rinviare l’argomento alla prossima seduta, esaminando, invece, l’articolo 5 dell’onorevole Dossetti, sul quale più facilmente si potrà arrivare ad una deliberazione.

DOSSETTI, Relatore, è d’accordo. Per quanto riguarda la questione posta dal Presidente, richiama il principio, espresso da più parti nella Sottocommissione, che gli articoli relativi alla libertà di coscienza e di culto, e quelli relativi ai rapporti tra Stato e Chiesa, naturalmente sotto punti di vista diversi e forse contrastanti, sono da considerare come direttamente collegati. La loro trattazione e votazione perciò dovrebbe essere connessa e reciprocamente condizionata. Non ritiene, quindi, opportuno spostare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione sia d’accordo nel rinviare alla loro rispettiva sede sia l’argomento che riguarda i diritti di libertà, di coscienza e di culto, sia quello relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa, in quanto l’uno è condizionato dall’altro. Sottopone, pertanto, all’esame della Sottocommissione l’articolo 5 dell’onorevole Dossetti:

«Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

«Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della Patria».

CEVOLOTTO, Relatore, non ha niente in contrario alla prima parte dell’articolo, il cui concetto è stato già adottato in altre Costituzioni. Nutre invece forti dubbi sulla seconda parte perché, pur essendo convinto che in relazione all’Organizzazione delle Nazioni Unite potranno stabilirsi delle norme per cui tutti gli Stati debbano consentire a limitazioni della loro sovranità, non vede il motivo di introdurre nella Costituzione un principio di questo genere, che, a suo avviso, è piuttosto materia di trattative e di rapporti internazionali. Data la variabilità dei rapporti internazionali, pensa che farne cenno nella Costituzione vorrebbe dire cristallizzare una materia che è di per se stessa mutevole.

Per queste ragioni, propone di limitare l’esame e l’eventuale approvazione alla sola prima parte dell’articolo.

CORSANEGO prega l’onorevole Cevolotto di recedere dalla sua opposizione alla seconda parte dell’articolo. Gli sembra infatti opportuno affermare nella Costituzione questo principio dell’autolimitazione della sovranità, in considerazione che quasi tutte le rovine che si sono verificate in questi ultimi tempi sono dovute alla protervia con cui ogni Stato ha voluto sostenere in modo assoluto, senza limitazioni, la propria sovranità. Se si vuole veramente arrivare ad un lungo periodo di pace tra i popoli, bisogna invece che le Nazioni si assoggettino a norme internazionali che rappresentino veramente una sanzione. Fare una Costituzione moderna che finalmente rompa l’attuale cerchio di superbia e di nazionalismo, e sia una mano tesa verso gli altri popoli, nel senso di accettare da un lato delle limitazioni nell’interesse della pace internazionale e col riconoscere dall’altro un’autorità superiore che dirima tutte le controversie, gli sembra che sarebbe mettere la Repubblica italiana tra i pionieri del diritto internazionale.

DOSSETTI, Relatore, rileva che forse l’onorevole Cevolotto non ha tenuto nel debito conto una espressione del suo articolo e cioè l’inciso: «a condizioni di reciprocità». Mediante questo inciso, mentre da un lato si afferma il principio internazionale così bene illustrato dall’onorevole Corsanego, dall’altro si vuole precostituire nella Costituzione quasi un alibi di fronte alle altre Nazioni con le quali l’Italia si trova in fase di trattative, per non accettare eventuali limitazioni di sovranità, se non a condizione di reciprocità. Quindi, sotto tutti i punti di vista, l’articolo si rivela non solo opportuno, ma addirittura necessario.

CEVOLOTTO, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla possibilità che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per una qualsiasi ragione, non sia più in grado di funzionare. In tal caso, rimarrebbe in sospeso nella Costituzione una formula senza più alcuna giustificazione.

Circa l’inciso: «a condizioni di reciprocità», fa rilevare che se da parte delle Nazioni Unite si ritenesse opportuno, nell’interesse della pace, di chiedere solo ad una determinata Nazione delle limitazioni al suo diritto di sovranità, come l’uso di certi porti e campi di aviazione, in questo caso non si verificherebbe la condizione di reciprocità nei riguardi di altre Nazioni. Ad ogni modo non è contrario alla norma e finirà anche per accettarla, se per ragioni di principio si ritiene opportuno inserirla nella Costituzione. Ripete però che, a suo avviso, trattasi di una norma da discutere quando l’Italia entrerà a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Attraverso questa società di Stati si formeranno anche i diritti superiori che spetteranno a questa organizzazione internazionale, a cui, nell’interesse della pace generale, ogni Stato dovrà sottostare.

CARISTIA non dissente dal contenuto dell’articolo, che esprime anzi un concetto diffusissimo nell’ambito degli studiosi e nella coscienza di ogni popolo civile, ma ritiene che esprimerlo nella Costituzione sia perfettamente superfluo.

TOGLIATTI dissente dalla opinione dello onorevole Caristia, perché, a suo avviso, si tratta di un principio che deve essere affermato nella Costituzione, per chiarire la posizione della Repubblica italiana di fronte a quel grande movimento del mondo intiero, che, per cercare di mettere la guerra fuori legge, tende a creare una organizzazione internazionale nella quale si cominci a vedere affiorare forme di sovranità differenti da quelle vigenti.

In particolare, il principio della rinuncia alla guerra come strumento di politica offensiva e di conquista, oltre il fatto che è compreso in tutte le Costituzioni, deve essere sancito nella Costituzione italiana per un motivo speciale interno, quale opposizione cioè alla guerra che ha rovinato la Nazione.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che, dopo le spiegazioni avute, non insiste nella sua opposizione, tanto più che, data la condizione di reciprocità, l’Italia rinuncerà ad una parte della sua sovranità quando anche altre Nazioni come l’U.R.S.S. avranno fatto la stessa rinuncia.

DE VITA accetta la dizione proposta dall’onorevole Dossetti. Propone, però, che alla parola «Stato» sia sostituita l’altra «Repubblica».

DOSSETTI, Relatore, dichiara di accettare l’emendamento.

PRESIDENTE osserva che in sede di coordinamento si potrà decidere sulla collocazione più idonea da dare all’articolo che, a suo avviso, dovrebbe essere collegato alla parte relativa alle questioni di diritto internazionale. Al concetto, già contenuto nell’articolo, di una autolimitazione della sovranità per l’organizzazione e la difesa della pace, aggiungerebbe quello di una eventuale autolimitazione ai fini della collaborazione tra le Nazioni.

Premesso che egli è favorevole all’idea degli Stati Uniti d’Europa, ritiene opportuno esprimere fin d’ora il concetto della collaborazione tra le Nazioni, affermando così un principio originale che non è compreso in nessuna delle Costituzioni moderne.

MORO ritiene che quanto propone l’onorevole Presidente sia già implicito nell’articolo dell’onorevole Dossetti.

DOSSETTI, Relatore, dichiara che, in linea di principio, non è contrario alla proposta del Presidente, la quale rispecchia anche il suo pensiero. Osserva però che invertendo la costruzione della frase, vale a dire dicendo: «necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace», apparirebbe meglio il principio della collaborazione tra le Nazioni, giacché quando si parla di «organizzazione» si intende non semplicemente il fatto negativo dell’evitare le guerre, ma anche quello positivo di una collaborazione internazionale per il bene comune.

PRESIDENTE ritiene che, effettivamente, mettendo in primo luogo la difesa della pace, la formula sarebbe più rispondente al concetto da lui espresso. Ricorda che l’onorevole De Vita ha proposto di sostituire alla parola «Stato», la parola «Repubblica».

CARISTIA propone di fondere i due commi dell’articolo.

DOSSETTI, Relatore, è d’accordo.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo nella seguente formulazione:

«La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace».

(È approvato all’unanimità).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Amadei, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Basso, Mancini, Mastrojanni.