Come nasce la Costituzione

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ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

50.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Il giuramento (Discussione)

Moro – Presidente – La Pira – Togliatti – Lucifero – Merlin Umberto – Cevolotto – Mastrojanni – Corsanego – Basso – Grassi – De Vita – Marchesi – Amadei.

La libertà di opinione, di coscienza e di culto (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti, Relatore – Cevolotto, Relatore – Togliatti – Marchesi – Grassi – Basso – Mastroianni – La Pira – Moro – Merlin Umberto – Lucifero.

La seduta comincia alle 11.

Discussione sul giuramento.

MORO propone di procedere a uno scambio di idee sulla questione del giuramento, e, prima di tutto, sull’opportunità che il giuramento venga inserito nella Costituzione, salvo poi, quando sarà stata dibattuta la questione preliminare, ad entrare nel merito del giuramento stesso, in quanto questo tema appartiene alla competenza della prima Sottocommissione.

PRESIDENTE, non opponendosi alcuno alla proposta dell’onorevole Moro, apre la discussione sull’argomento.

MORO fa presente che, in sede di approvazione della legge sul giuramento nell’Assemblea costituente, fu fatta da parte dei deputati democristiani una esplicita riserva di discutere in sede di Costituzione il tema del giuramento, per stabilire se vi sia un obbligo al giuramento, per quali categorie esista questo obbligo, oppure se vi sia un diritto alla libertà di non essere obbligati a nessun giuramento. Ritiene che la sede più idonea per la discussione di questo punto, sul quale dovrà pronunciarsi l’Assemblea plenaria, sia la prima Sottocommissione, a cui è stato assegnato il tema che riguarda i principî generali della libertà.

LA PIRA dichiara che, essendo il giuramento un atto essenzialmente religioso, che si fa al cospetto di Dio, esso va fatto in casi estremi ed impegna seriamente e fino in fondo la coscienza umana. Siccome però nella vita pubblica ne è stato fatto finora un grande abuso, specialmente nel periodo fascista, ritiene che il giuramento dovrebbe essere soppresso, se questo è possibile, e che, in ogni modo, dovrebbe essere limitato a pochissimi casi eccezionali, restituendogli la sua importanza di un impegno della coscienza dinanzi a Dio o comunque dinanzi ad una coscienza superiore.

PRESIDENTE osserva che questi pochissimi casi riguardano sia la materia sulla quale si dovrebbe giurare, sia le persone che devono giurare. Quindi la limitazione dovrebbe essere ordinata sia sul piano oggettivo, che sul piano soggettivo.

TOGLIATTI dichiara di essere d’accordo con l’onorevole La Pira.

LUCIFERO esprime la sua contrarietà a ogni giuramento imposto per legge, che non è un giuramento fatto secondo la coscienza, ma coatto. Dichiara comunque di concordare con l’onorevole La Pira sul principio che, se ci deve essere un giuramento, esso sia ridotto a quei casi in cui l’assunzione di una determinata carica richieda un determinato impegno di coscienza di fronte allo Stato.

MERLIN UMBERTO ritiene che il giuramento rappresenti una necessità solo per le seguenti categorie: Presidente della Repubblica, membri dell’Esercito, appartenenti agli organi di Polizia, ed infine magistrati. Poiché, però, il giuramento è un atto che impegna davanti a Dio, e ci sono uomini che non hanno il dono della fede, costoro dovranno giurare sulla loro coscienza. Occorre però che il giuramento non sia fissato in una forma determinata, ma con una formula che rispetti la libertà di coscienza di tutti. Cita a tale proposito la Costituzione di Weimar, dove si dice che il Presidente giura secondo una data formula, e si fa seguire poi questo capoverso: «Egli può aggiungere alla formula un giuramento religioso».

CEVOLOTTO fa osservare che, quando si è discusso del giuramento in sede di Assemblea costituente, si trattava di approvare un progetto di legge, diretto soltanto a modificare la formula del giuramento, in quei casi nei quali la legislazione attuale ne indica l’obbligo. Ora invece si tratta di stabilire se si debba introdurre o no il giuramento nella nuova Costituzione, e in quali casi. Esprime anch’egli il parere che il giuramento debba essere limitato, e riservato ai casi del Capo dello Stato, delle Forze armate, della Polizia e dei magistrati.

MASTROJANNI si dichiara contrario al giuramento, poiché esso non trasforma la situazione delle cose, né garantisce l’esecuzione delle leggi. Comprende che il giuramento debba essere prestato dal Capo dello Stato, ma non lo ammette per i magistrati e per l’Esercito, poiché l’Esercito è formato con coscrizione obbligatoria. Aggiunge che ogni volta che il giuramento viene imposto, esso non è più un giuramento.

PRESIDENTE fa osservare che l’Esercito è composto anche di ufficiali di carriera.

MASTROJANNI afferma di ritenere che il giuramento debba essere liberamente espresso dalla coscienza e che pertanto non possa essere ordinato. Non vede perché il magistrato, che amministra la giustizia, debba giurare fedeltà. Fedeltà forse all’osservanza della legge? Ma la legge ha in sé una forza coattiva, per cui la sua violazione porta come conseguenza una sanzione. Parimenti non comprende il giuramento per le Forze di polizia, costituite da modesti esecutori della legge che debbono esercitare le loro funzioni sotto qualsiasi regime, indipendentemente da qualsiasi avvenimento che possa verificarsi nella storia della società. Il giuramento deve essere imposto soltanto nei casi in cui si debba esercitare una funzione processuale, come, ad esempio, per i periti e gli interpreti, e nel caso dei testimoni; per questo giuramento occorre mantenere la formula espressa nel codice di procedura penale. È d’avviso che all’infuori dei casi giudiziari, il giuramento vada escluso, e che neppure debba essere prestato il giuramento al Capo dello Stato, perché in regime democratico sembra assurdo che un cittadino debba ricevere il giuramento degli altri cittadini, quando la sua funzione è transitoria e quando egli rappresenta il più alto magistrato, ma non ha nessun attributo di sovranità. Ammette perciò, per determinati casi, il giuramento alla Repubblica, ma non al Capo dello Stato.

MORO dichiara di essere contrario per principio al giuramento, ma di rendersi conto della sua necessità in quei casi nei quali il vincolo del giuramento può avere significato politico, oppure può essere un efficace richiamo alla serietà della funzione che si sta per compiere. È quindi del parere che debbano giurare: da un lato il Capo dello Stato ed i Ministri, dall’altro le Forze armate, le Forze di polizia ed inoltre i testimoni e gli interpreti: non ritiene invece necessario il giuramento per i magistrati. È favorevole all’aggiunta di una formula religiosa, che potrebbe essere ad esempio: «consapevole della responsabilità che assumo dinanzi a Dio».

CEVOLOTTO, contrariamente al parere espresso dall’onorevole Mastrojanni, ritiene che il giuramento abbia un’importanza grandissima per le Forze armate, e che possa servire ad allontanare dall’Esercito quegli ufficiali che si sentono ancora legati alla monarchia. Osserva però che delle varie categorie di persone che dovrebbero essere obbligate al giuramento non si fa menzione in nessuna Costituzione. Le diverse Costituzioni lasciano ad una legge particolare di stabilire chi deve giurare e con quali formule. È d’accordo con l’onorevole Mastrojanni che si debba giurare fedeltà alla Repubblica e non al Capo dello Stato. Ritiene che si possa considerare l’opportunità o meno di inserire nella Costituzione l’obbligo del giuramento da parte del Capo dello Stato, ma che per il resto si debba lasciare alle leggi di stabilire i singoli casi in cui determinate categorie debbono giurare.

TOGLIATTI dichiara di non condividere l’opinione di coloro i quali pensano che il giuramento abbia valore solo quando rivesta un carattere religioso. È evidente, comunque, che per chi è religioso il giuramento ha valore in quanto si riferisce ai principî nei quali crede, che lo portano a ritenere che lo spergiuro incorre in determinate sanzioni.

LA PIRA obietta che non è soltanto un problema di sanzioni, ma anche un problema interiore.

TOGLIATTI osserva che anche per colui che non ha una coscienza religiosa esiste una coscienza morale, e non è pensabile che coloro che hanno una coscienza religiosa giudichino immorali coloro che non l’hanno.

LA PIRA dichiara che un giudizio del genere non è nella coscienza cristiana.

TOGLIATTI continua rilevando che esiste un vincolo morale anche al di fuori delle ideologie religiose, ed esiste in misura maggiore o minore per tutti gli uomini. Perfino i delinquenti, in determinate organizzazioni, prestano giuramento e vi tengono fede. Anzi il giuramento dei delinquenti alle volte è quello al quale viene prestata fede in misura maggiore che a qualsiasi altro; il che vuol dire che nella coscienza degli uomini questa formula del giuramento ha valore in sé e per sé.

Osserva che altro argomento a sostegno della sua tesi è che regimi, quali ad esempio il russo, i quali non tengono conto della ideologia religiosa, considerandola come un fatto personale, organizzano il loro esercito sulla base di un giuramento molto rigoroso, e puniscono gli spergiuri nel modo più severo.

Per queste ragioni ritiene che si debba mantenere il giuramento come un vincolo particolare, non escludendo che nella Costituzione si dica che coloro che desiderano aggiungere una formula religiosa al loro giuramento hanno tale possibilità: ciò significa che per essi il giuramento è legato alla particolare ideologia religiosa professata.

Quanto alla questione di chi debba giurare, è del parere che in primo luogo il giuramento debba essere richiesto al Capo dello Stato, il quale deve promettere fedeltà alla Costituzione ed alla Repubblica; e su questo non vi può essere dubbio. In secondo luogo, debbono prestare giuramento i militari, soldati ed ufficiali. Il militare deve giurare perché il servizio delle armi è una forma speciale di servizio che impegna la persona umana fino al sacrificio della vita. Il militare deve essere un uomo disposto ad andare alla morte per adempiere ad un ordine, non solo in guerra, ma anche in pace. Rileva che il richiamo a questo dovere è implicito nel giuramento. Non vi può essere un esercito se non vi è un giuramento, sino a che la coscienza degli uomini non si sia evoluta tanto da far perdere valore a queste forme.

Da ciò deriva che devono prestare giuramento tutti i corpi militarizzati: quindi anche i Corpi di polizia.

Concorda sulla necessità di richiedere il giuramento ai magistrati, in quanto si è in presenza di un legame speciale di fedeltà alle leggi che va al di là del legame di fedeltà cui sono tenuti i funzionari dello Stato.

Parimenti vi deve essere l’obbligo del giuramento per i testimoni e per i periti nei processi, perché in questi casi si richiede il massimo di garanzia che si dica la verità.

Non crede invece che si debba richiedere il giuramento a tutti i funzionari dello Stato. Ogni giorno il superiore ha la possibilità di richiamare i funzionari che da lui dipendono all’adempimento del proprio dovere, né è concepibile che l’impiegato, per il fatto di essere venuto meno al proprio dovere, possa essere senz’altro considerato spergiuro. Si deve evitare ogni violazione della disciplina del lavoro e della correttezza, instaurando un sistema efficace di controllo e non tranquillizzandosi per il fatto che i funzionari hanno giurato.

Conclude esprimendo l’avviso che nella Costituzione si debba stabilire l’obbligatorietà del giuramento per il Capo dello Stato, per i magistrati e per i militari, mentre per quanto riguarda i testimoni ed i periti nel processo, tale obbligo può essere disposto dal Codice di procedura penale, così come è attualmente.

CORSANEGO fa osservare che la maggior parte delle Costituzioni si preoccupano soltanto del giuramento del Capo dello Stato. Pur essendo d’accordo con l’onorevole Cevolotto e con l’onorevole Togliatti circa la necessità di richiedere il giuramento ai magistrati, ai militari e alle Forze di polizia, si domanda se questo obbligo debba fissarsi nella Carta costituzionale, o se non sia invece opportuno che la Costituzione italiana, così come le altre, parli soltanto della formula del giuramento del Capo dello Stato.

Insiste sul carattere sacro del giuramento ed osserva che, pure essendo vero quanto ha affermato l’onorevole Togliatti, che cioè anche coloro che non hanno una fede religiosa possono impegnarsi solennemente davanti agli altri uomini, nel giuramento religioso vi è una maggiore garanzia. Questo, però, non vuol dire che coloro che non hanno la fortuna di avere la fede religiosa non possano impegnarsi sulla loro coscienza a compiere determinati doveri verso lo Stato.

BASSO ritiene che una discussione sul giuramento non rientri nella competenza della Sottocommissione, in quanto la materia sarà trattata dalla seconda Sottocommissione.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Basso che la questione pregiudiziale è già stata superata: la Sottocommissione ha affermato, in principio di riunione, che si riteneva competente ad esaminare la questione.

LUCIFERO ritiene che indubbiamente la Sottocommissione sia competente sulla questione di principio, dato che essa è incaricata di formulare i principî generali; è, quindi, di sua competenza la questione di principio se si debba ammettere o no il giuramento e, in linea subordinata, se debba essere esteso a vaste categorie o limitato ad alcune. Si potrà poi lasciare alla seconda Sottocommissione la traduzione in formule pratiche delle decisioni che la prima Sottocommissione avrà preso.

PRESIDENTE rileva che quasi tutti i Commissari hanno ritenuto competente la prima Sottocommissione a decidere in linea di principio, e sono d’accordo sull’opportunità di includere nella Costituzione il giuramento e sulla necessità che esso sia limitato a ben determinate categorie.

BASSO dichiara di non essere d’accordo circa l’opportunità di fissare nella Carta costituzionale le categorie alle quali si pone l’obbligo del giuramento. Alla Costituzione spetta di dire soltanto quale giuramento deve essere prestato. Il legislatore a sua volta fisserà le categorie che debbono giurare.

PRESIDENTE constata che la Sottocommissione è d’accordo circa l’obbligo del giuramento per il Capo dello Stato e che di questo obbligo si debba fare menzione nella Costituzione, rimettendo alla seconda Sottocommissione la decisione circa la formula del giuramento stesso.

MORO dichiara di ritenere che se la Sottocommissione dovesse limitarsi a constatare che la Costituzione deve parlare della questione del giuramento del Capo dello Stato, sarebbe inutile prendere una decisione in merito, perché la seconda Sottocommissione ha già fissato l’obbligo del giuramento non solo per il Capo dello Stato, ma anche, ad esempio, per i Ministri. Se invece, come è suo parere, si deve garantire costituzionalmente che la legge futura non estenda eccessivamente l’obbligo del giuramento, la prima Sottocommissione deve dichiarare quali sono le categorie chiamate per legge a giurare, salvo a lasciare alla seconda Sottocommissione e al futuro legislatore di definire le forme e le formule del giuramento.

MERLIN UMBERTO si dichiara d’accordo circa le categorie che debbono essere sottoposte al vincolo del giuramento; fa presente però che l’Assemblea plenaria ha recentemente approvato una legge sul giuramento, la quale deve essere eseguita. Se la prima Sottocommissione stabilisce la limitazione delle categorie vincolate al giuramento, la legge sul giuramento già approvata verrà ad essere svalutata.

MORO fa osservare all’onorevole Merlin che la legge sul giuramento approvata dalla Costituende ha una clausola che ne limita l’applicazione fino a quando la Costituzione non abbia detto la parola definitiva in proposito.

Rileva che ora si tratta di decidere se nella Costituzione debba essere inserita una norma, che potrebbe essere così formulata:

«Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza delle leggi, il Capo dello Stato, le Forze armate e quelle assimilate, i Magistrati. A scelta del giurante, può essere aggiunta una formula di carattere religioso».

Quanto alla questione del giuramento dei testimoni, periti ed interpreti, esprime il parere che essa debba essere rinviata alla seconda Sottocommissione.

GRASSI domanda se coloro che hanno preso la parola sulla questione del giuramento abbiano tenuto presente la norma del Concordato, che tratta del giuramento dei Vescovi nelle mani del Capo dello Stato.

MORO fa osservare che, in base a quanto la Sottocommissione ha già stabilito, il Concordato è stato assunto nella Costituzione, salve le modifiche bilateralmente decise, che potranno anche vertere sulla questione del giuramento dei Vescovi.

Propone alla discussione della Sottocommissione il seguente articolo: «Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alle leggi, il Capo dello Stato, i Magistrati, le Forze armate e quelle ad esse assimilate».

PRESIDENTE è del parere che anche i ministri debbano essere sottoposti all’obbligo del giuramento.

MORO concorda.

MERLIN UMBERTO domanda se non sia il caso di stabilire anche per i sottosegretari l’obbligo del giuramento.

MORO, accogliendo l’aggiunta, ritiene si possa inserire nell’articolo da lui proposto la dizione «i membri del Governo».

LUCIFERO fa osservare che sarebbe più esatto stabilire che queste categorie di persone devono giurare fedeltà alla Costituzione. Il giuramento di fedeltà alla legge è implicito, perché ogni cittadino deve osservare la legge.

MORO dichiara di accettare la formula «alla Costituzione e alle leggi».

LUCIFERO insiste perché si dica soltanto «alla Costituzione», perché è da ritenere implicita l’osservanza delle leggi. Ritiene che la formula esatta dovrebbe essere la seguente: «giurano fedeltà alla Costituzione».

TOGLIATTI propone che si dica: «alla Costituzione e alla Repubblica».

CEVOLOTTO concorda con l’onorevole Togliatti che si debba dire «alla Costituzione e alla Repubblica», anche se questo può costituire una tautologia.

PRESIDENTE osserva che quando si dice «giurano fedeltà alla legge», è implicita anche la Costituzione, in quanto questa è anch’essa una legge, anzi la legge fondamentale della Repubblica.

LUCIFERO torna ad insistere perché si dica soltanto «alla Costituzione», facendo osservare che si chiede questo particolare giuramento al Capo dello Stato, ai magistrati e ai militari, in quanto costituiscono gli organi che garantiscono la legge costituzionale. Perciò si deve richiedere da questi uomini il giuramento di fedeltà allo Statuto. Lo Statuto è qualche cosa di fisso che si stabilisce per la Nazione, mentre invece le leggi sono mutevoli e mutano nell’ambito della Costituzione.

MORO dichiara di accettare la formula «giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla sua Costituzione».

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Moro, così modificata:

«Sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, il Capo dello Stato, i membri del Governo, i Magistrati, le Forze armate e quelle assimilate».

BASSO dichiara di votare contro per le ragioni già espresse. Non vede il motivo per cui si debba inserire questa formula nella Costituzione. Infatti il contenuto del giuramento può essere diverso, e potrebbe essere esteso ad altre categorie di cittadini, ma non per violare la loro coscienza. Il giuramento si chiede a certe categorie di persone, investite di determinate cariche, perché esse non si servano di quelle loro particolari funzioni per minare la Costituzione e la Repubblica; ma per quanto riguarda la propria opinione, ognuno deve essere libero di pensare come vuole.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione.

LUCIFERO dichiara di concordare con l’onorevole Basso sul significato e sul valore del giuramento, ossia che vi è l’obbligo da parte dello Stato di richiederlo a chiunque sia chiamato all’espletamento di funzioni importanti. D’altra parte, mentre concorda nel concetto dell’obbligo di lealtà, non crede al giuramento di lealtà, perché è un impegno morale della coscienza dell’individuo. Si asterrà pertanto dalla votazione.

MASTROJANNI dichiara di astenersi dalla votazione, perché non è stata prima formulata l’esatta dizione del giuramento.

MORO ritiene che non sia da escludere che la legge possa adottare questa formula generale anche per altre categorie.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Basso se chiede la votazione per divisione.

BASSO ripete di essere contrario alla formula, se con essa si intende dare una elencazione tassativa. Se questa elencazione non è tassativa, è invece favorevole.

LUCIFERO osserva che, se l’elencazione c’è, vuol dire che è tassativa.

PRESIDENTE fa presente che, a suo parere, non vi sono altre categorie oltre quelle indicate.

BASSO dichiara di essere d’accordo sulle categorie che sono state indicate, ma di essere contrario a fissarle nella Costituzione come un elenco rigido, perché nessuna Costituzione fa questo. Sarà la legge che dovrà stabilire le categorie. Ritiene che, nel corso dei diversi capitoli della Costituzione, parlando della Magistratura si debba specificare che devono prestare giuramento i Magistrati; lo stesso si dica del Capo dello Stato, quando si parla delle sue prerogative e dei suoi doveri; e così pure dell’esercito, ma sempre nella sua sede. Non si stabilirà in tal modo nella Costituzione, in modo tassativo, che solo determinate categorie, e non altre, possono essere chiamate al giuramento.

MARCHESI ritiene che l’elenco delle categorie si esaurisca in quelle indicate e cioè: Capo dello Stato, Magistrati, Forze armate e assimilati.

MORO propone che l’articolo sia votato con la riserva che in sede di coordinamento venga considerata l’opportunità di inserire la norma nei vari capitoli della Costituzione, come ha indicato l’onorevole Basso.

LUCIFERO dichiara che, prescindendo dal fatto se si debba o meno ammettere il giuramento, se si dichiara che il giuramento deve essere limitato a poche categorie, ossia quelli che per le loro funzioni sono i custodi della Costituzione, le categorie stesse debbono essere indicate nella Costituzione, perché gli individui che ad esse appartengono diventano garanti della Costituzione nel momento in cui assumono la carica di Capo dello Stato, di ministro, di magistrato; cioè nel momento in cui assumono l’impegno di adempiere alle loro particolari funzioni di custodi del diritto fondamentale del popolo italiano.

CEVOLOTTO dichiara di preferire la proposta dell’onorevole Basso, ma non si opporrà se la Sottocommissione è del parere di inserire nella Costituzione un articolo di carattere generale sull’argomento.

MORO fa presente che la discussione è partita dal principio di restringere a poche categorie l’obbligo del giuramento. Ritiene, quindi, che si debba votare la formula da lui proposta, in quanto restrittiva dell’obbligo stesso.

MASTROJANNI fa osservare che le Forze di polizia sono costituite dagli agenti, i quali sono elementi militari, ma che la parte direttiva è formata da funzionari civili, i quali sono gli unici depositari del potere. Ora questa categoria sarebbe esclusa dal giuramento, con una evidente contradizione. Osserva inoltre che, se ci si vuole garantire da tutti coloro che esercitano un potere, non si possono dimenticare anche i professori universitari. Pur essendo contrario al giuramento, come indizio di una mentalità inferiore, ritiene che un insegnante di diritto Costituzionale in una Università abbia tutto il potere per scardinare la consistenza della Repubblica, disponendo delle armi più efficaci per formare coscienze che contrastino con la conformazione anche istituzionale dello Stato. Chiede che si apra una discussione su questo argomento e avverte che presenterà un emendamento perché, qualora ci si dovesse limitare a determinare le categorie di coloro che hanno l’obbligo del giuramento, vi vengano inclusi anche i professori universitari.

MARCHESI dichiara che, a differenza dell’onorevole Mastrojanni, crede moltissimo alla validità del giuramento come a una formula sacra che impegna la coscienza di molti uomini. Comunista, si guarderebbe, però, bene dal proporre l’espulsione di un professore di diritto costituzionale che sostenesse i principî di Dante nel «De monarchia» dalla cattedra universitaria. Questa deve essere aperta a tutte le ricerche, a tutte le meditazioni e a tutte le conclusioni.

Rileva inoltre che i professori universitari non possono essere considerati funzionari dello Stato. Essi sono uomini di cultura, di scienza, di indagine che possono giungere a conclusioni diversissime e non arrivano alla luce della cattedra attraverso una carriera burocratica, ma per sola virtù di studio e di intelligenza.

LA PIRA dichiara di concordare pienamente con quanto ha detto l’onorevole Marchesi e aggiunge che c’è anche una ragione tecnica la quale infirma le argomentazioni dell’onorevole Mastrojanni. Il Capo dello Stato, i ministri, i magistrati, la polizia costituiscono l’aspetto esecutivo e giurisdizionale dello Stato. Essi o applicano giurisdizionalmente la legge o l’applicano in via esecutiva, e, quindi, vi è un rapporto tra la legge e questi organi giurisdizionali. Essi ne sono attuatori in tutti i rami, mentre il professore universitario non attua nulla, non ha alcun potere esecutivo o giurisdizionale: egli ha soltanto il potere di dire la verità secondo la sua coscienza.

LUCIFERO dichiara di concordare con quanto ha detto l’onorevole La Pira, aggiungendo che nel continuo divenire delle cose umane i professori di università sono proprio gli eterni rivoluzionari, cioè quelli che studiano ed elaborano il progresso della vita umana, per cui una Costituzione, che è statica e insieme mobile, anche nella solennità della cattedra troverà voce per i rinnovamenti e le trasformazioni nel tempo. Si oppone perciò nel modo più assoluto a che si abbassi la personalità del professore universitario.

DE VITA si dichiara contrario al giuramento per i professori universitari, ma osserva da un punto di vista storico, che alcune dottrine filosofiche e sociali sono sorte per la difesa di interessi particolari.

MASTROJANNI dichiara di aver portato l’esempio dei professori universitari, non perché fosse esteso ad essi il giuramento, essendo egli contrario a tutti i giuramenti, ma in relazione alle premesse con cui si voleva giustificare il giuramento per altre categorie depositarie del potere. Ripete che egli identifica nei professori di diritto costituzionale i più efficaci depositari del potere dello Stato, perché sono proprio essi che con il loro insegnamento orientano e ammaestrano i futuri dirigenti dello Stato.

LUCIFERO replica all’onorevole Mastrojanni che il professore di diritto costituzionale svolge l’opera critica alla Costituzione vigente, ne studia la trasformazione, quindi lui, più di ogni altro, deve essere lasciato libero da qualsiasi vincolo.

BASSO, ripetendo la sua contrarietà ad ogni elencazione tassativa delle categorie che devono giurare, fa rilevare che si dovrebbe tener conto anche dei Capi dei governi regionali, per essere coerenti ai principî che sono stati affermati. Non conosce bene quale sarà la futura organizzazione regionale, ma ritiene che i Capi dei governi regionali dovrebbero costituire una categoria di persone a cui si dovrebbe richiedere il giuramento.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Basso che, non conoscendo ancora le conclusioni cui è pervenuta la seconda Sottocommissione in merito all’organizzazione regionale, non si può discutere l’argomento cui egli ha fatto cenno. Ritiene, prima di procedere alla votazione sulla formula proposta dall’onorevole Moro, di dover mettere ai voti la proposta pregiudiziale dell’onorevole Basso, secondo la quale non si ritiene che debba far parte della Costituzione una elencazione delle categorie che devono giurare.

LUCIFERO, pure avendo affermato di essere contrario al giuramento, dichiara che voterà a favore della formula proposta dall’onorevole Moro, che ritiene la migliore, limitando il giuramento a determinate categorie. Voterà contro la proposta dell’onorevole Basso, perché pensa che, se si rimanda il problema ad una legge speciale, sicuramente questa estenderà ad altre categorie l’obbligo del giuramento.

AMADEI dichiara di votare a favore della proposta dell’onorevole Basso, perché è di opinione che l’obbligo del giuramento debba essere esteso anche agli insegnanti, esclusi i professori universitari.

CEVOLOTTO dichiara di astenersi.

LA PIRA ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Basso possa essere superata con il principio dell’interpretazione analogica. Pertanto dichiara di votare contro la proposta Basso.

(La proposta pregiudiziale dell’onorevole Basso è respinta con 9 voti contrari, 2 favorevoli e 4 astenuti).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dell’onorevole Moro:

«Il Capo dello Stato, i membri del Governo, i magistrati, le Forze armate e quelle assimilate prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione».

(La formula è approvata con 10 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astenuti).

MORO propone che, in relazione a quanto ha detto l’onorevole Merlin, venga aggiunto alla formula ora approvata il seguente comma:

«Le persone obbligate al giuramento possono aggiungere alla formula prevista dalla legge un impegno di carattere religioso».

PRESIDENTE dichiara di ritenere inopportuno il comma, in quanto esso nulla aggiunge al valore e al significato che si è inteso dare al giuramento.

MERLIN UMBERTO dichiara di non insistere nella sua richiesta, tanto più in quanto ritiene che essa potrà essere presa in considerazione più opportunamente quando si conoscerà la formula del giuramento.

PRESIDENTE ricorda che, in sede di discussione, si è accennato ad una categoria di persone che dovrebbero prestare giuramento, cioè i testimoni, i periti e gli interpreti. Avverte che l’onorevole Moro, ritenendo che di questa categoria si dovrebbe fare cenno non in questa ma in altra sede, ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La prima Sottocommissione, avendo adottato disposizioni restrittive in ordine all’obbligo del giuramento, rinvia alla seconda Sottocommissione perché sancisca l’obbligo del giuramento per i testimoni, i periti e gli interpreti».

BASSO fa presente che il giuramento dei testimoni, dei periti e degli interpreti non può essere fatto alla Repubblica e alla Costituzione.

MORO dichiara di ritirare il suo ordine del giorno.

Seguito della discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.

PRESIDENTE prega l’onorevole Dossetti di comunicare la formula definitiva dell’articolo, quale risulta dall’unione dell’articolo 1 con l’articolo 2 da lui precedentemente proposti.

DOSSETTI, Relatore, comunica la formula del nuovo articolo:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

Chiarisce alcuni punti della formula da lui proposta, facendo osservare che nella sua prima parte essa, come assolutezza di garanzia della vita religiosa, specialmente delle varie confessioni non cattoliche, e perciò come possibilità di esplicazione di ogni vita religiosa sia individuale che associata, è completamente esauriente proprio per il fatto di essere sintetica e di non scendere a determinazioni.

Fa osservare che l’altra parte della formula, la quale dice: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume», è la formula adoperata tradizionalmente da tutte le legislazioni, la quale contiene una certa precisazione tecnica, in quanto si riferisce non soltanto agli eventuali principîi contrari all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche ai riti, cioè alle manifestazioni di questi principî che possono essere contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti diverge non solo formalmente, ma anche sostanzialmente dalla formulazione da lui proposta, alla quale non può rinunciare.

Ricorda che le sue proposte comprendono i seguenti quattro articoli:

Art. 1. – «Tutti i cittadini hanno diritto alla piena libertà di fede e di coscienza».

Art. 2. – «Tutti i cittadini hanno diritto di professare qualsiasi culto che non sia contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume, o di non professarne alcuno; di manifestare pubblicamente le proprie credenze religiose, di compiere attività religiosa nella loro casa e nei locali privati come nei locali e templi aperti al pubblico culto, o anche di abbandonare una confessione religiosa per entrare in un’altra».

Art. 3. – «Tutte le confessioni religiose che non contrastino con l’ordine pubblicò, con la morale e con il buon costume hanno pari diritto di organizzarsi liberamente, di propagandare e di diffondere la loro fede, di eleggere i propri ministri e di revocarli, di aprire templi e di possedere gli edifici nei quali il culto viene esercitato.

«Tutti i culti hanno diritto a eguale protezione penale contro il vilipendio loro, delle loro credenze, dei loro ministri e contro il turbamento delle loro funzioni.

«Particolari leggi e patti concordati regoleranno il regime giuridico e amministrativo delle associazioni e degli enti morali di qualunque culto».

Art. 4. – «Nessuno può giustificare un reato o il mancato adempimento di un dovere imposto dalla legge, invocando le proprie opinioni religiose o filosofiche».

Fa presente che, se nella seduta precedente non fosse stato votato l’ultimo capoverso di un articolo in cui si dice che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, egli avrebbe insistito molto meno nel mantenere la sua formulazione. Ma, poiché nel Trattato Lateranense, riconosciuto costituzionalmente, c’è un articolo primo che si richiama all’articolo primo dello Statuto Albertino per cui la religione cattolica è la religione dello Stato (anzi è detto che la religione cattolica è «la sola» religione dello Stato), di conseguenza, sia pure indirettamente, è stato ammesso il principio dello Stato confessionale.

A questo proposito richiama l’attenzione della Sottocommissione su un brano di una delle ultime lezioni del professor Jemolo, in cui si afferma che «Religione dello Stato vuol dire posizione dominante fatta ad una confessione religiosa e con essa ai suoi ministri e ai beni che essa possiede, e posizione deteriore fatta ad altre confessioni alle quali si può negare il diritto di propaganda e di proselitismo».

Osserva che in questo brano è prospettata la situazione creata con l’approvazione della formula, la quale inserisce nella Carta costituzionale i Patti Lateranensi.

PRESIDENTE prega l’onorevole Cevolotto di prendere atto che i Commissari democristiani non ritengono di aver determinato con l’approvazione di quella formula la situazione cui egli ha accennato.

CEVOLOTTO, Relatore, riferendosi alla storia delle ultime relazioni tra Stato e Chiesa in Italia, ricorda che, dopo la sanzione di quel primo articolo del Trattato Lateranense, si sono avute manifestazioni in Italia, anche nel campo giudiziario e in quello legislativo, che hanno confermato la superiorità della posizione fatta ad una religione rispetto alle altre. Cita, nel campo legislativo, il caso del Codice penale, che ha sancito una protezione minore per le offese alla religione e ai ministri dei culti ammessi nei confronti di quelli della religione cattolica; e nel campo giudiziario, varie sentenze che non fanno onore alla nostra magistratura, perché contrarie al diritto di proselitismo di culti diversi da quello cattolico.

Per questa ragione, dato che si è creduto opportuno di creare uno Stato confessionale, col richiamo sia pure indiretto all’articolo 1 dello Statuto Albertino, ritiene necessario affermare la libertà religiosa con formula precisa, che consenta la libertà del proselitismo. Ricorda che le Chiese protestanti si lamentano fortemente della posizione fatta loro non dalla legge, ma dall’applicazione dopo il Concordato della legge sui culti ammessi, e sostiene la necessità di trovare formule per cui questa applicazione, che forse è aberrante ma che deriva sempre dalla interpretazione che si è data ai Patti Lateranensi, non abbia a ripetersi. Insiste pertanto nella sua formulazione.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Cevolotto se non crede che sia soddisfatta la sua esigenza allorquando si dice: «Ogni uomo, nessuno escluso, ha diritto alla libera e piena esplicazione della vita religiosa, interiore ed esteriore, alla libera manifestazione individuale ed associata della propria fede, al libero esercizio privato e pubblico del proprio culto».

CEVOLOTTO, Relatore, risponde che non può ritenersi soddisfatto, perché con questa formula non è riconosciuta la libertà di propaganda e di proselitismo.

TOGLIATTI osserva che te formula dell’onorevole Dossetti contiene quasi tutto quello che è necessario prevedere; però c’è una piccola sfumatura nei confronti di quella dell’onorevole Cevolotto. La formula dell’onorevole Dossetti dice: «Ogni uomo ecc…», quella dell’onorevole Cevolotto invece dice: «Tutte le confessioni religiose…», ciò che, certamente, costituisce qualche cosa di diverso.

MARCHESI propone di aggiungere alla formula proposta dall’onorevole Dossetti, dopo le parole: «libera manifestazione», le altre: «e propagazione della propria fede».

DOSSETTI, Relatore, dichiara che sarebbe anche disposto ad approvare gli articoli dell’onorevole Cevolotto; ma resta convinto che la sua formula sintetica sia più esauriente.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Cevolotto se, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Marchesi, la sua esigenza sarebbe soddisfatta.

CEVOLOTTO, Relatore, riconosce che con tale aggiunta verrebbe anche prevista la libertà di proselitismo.

DOSSETTI, Relatore, fa presente che dicendosi: «manifestazione individuale ed associata», evidentemente si ammette anche la libertà del proselitismo. Per comprendere l’ampiezza del significato che i democristiani danno alla formulazione da lui proposta, basterà un rilievo: che con essa i democristiani intendono garantire la libertà religiosa di tutte le confessioni e anche della confessione cattolica; perciò, ogni ulteriore precisazione in questo senso rappresenta una garanzia maggiore nella dannata ipotesi che in Italia venisse a cessare il regime concordatario. Se egli si è preoccupato di ciò, vuol dire che la formula da lui presentata è esauriente, almeno nelle intenzioni.

PRESIDENTE domanda alla Sottocommissione se è d’accordo di prendere come base della discussione l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

(La Commissione concorda).

Mette ai voti la prima parte dell’articolo presentato dall’onorevole Dossetti: «Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni».

(È approvato all’unanimità).

Mette in discussione le parole seguenti: «alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore».

Propone che vengano omesse le parole «interiore ed esteriore». Osserva che è difficile vietare il diritto di una libera manifestazione interiore della propria fede. Quanto poi alla parola «esteriore», osserva che nel termine «esplicazione» è già compreso il carattere di esteriorità, che è quello che si deve garantire.

DOSSETTI, Relatore, spiega che egli distingue tra esplicazione della propria vita religiosa e manifestazione della propria fede o esercizio del culto. «Manifestazione della fede» è una forma di esplicazione della propria vita religiosa, ossia è l’esercizio di un culto. Questa norma richiede che tutti gli uomini non siano, in nessuna maniera, coartati o compressi nella esplicazione di questo aspetto della loro personalità. Se non si può sopprimere la realtà interiore dell’uomo, si può comprimerla. Perciò anche l’esplicazione interiore della propria vita religiosa deve essere tutelata. Per questi motivi insiste sulla formulazione da lui proposta.

TOGLIATTI concorda con quanto ha dichiarato l’onorevole Dossetti. Ritiene che si debba insistere nel conservare la specificazione. L’intolleranza in materia di religione è consistita parecchie volte non nel proibire un determinato culto, ma nel proibire una fede. Si sono spesso mandate al rogo delle persone non in quanto esplicavano un culto, ma in quanto avevano una determinata fede, anche se puramente interiore.

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso contenuto nell’articolo presentato dall’onorevole Dossetti e così formulato: «alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che si asterrà dal votare l’intero articolo, non perché sia contrario ai principî in esso contenuti, ma perché è contrario alla formulazione che ritiene incompleta.

GRASSI dichiara che voterà contro, non perché sia contrario, ma perché ritiene superflua la specificazione.

(L’inciso è approvato con 13 voti favorevoli, 1 contrario ed 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso: «alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto».

(L’inciso è approvato con 15 voti favorevoli ed 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione l’ultimo inciso dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

BASSO domanda se in base a quest’ultima disposizione si potrebbe proibire in Italia la professione della religione mussulmana, la quale ammette la poligamia.

MASTROJANNI osserva che la poligamia è proibita dal Codice penale.

DOSSETTI, Relatore, fa presente che questo non significa che la religione mussulmana sia proibita.

LA PIRA rileva che bisogna tener distinto il problema religioso da quello civile.

BASSO obietta che con la norma in discussione si afferma il diritto di ogni uomo di professare la religione ed il culto che vuole, purché essi non offendano l’ordine pubblico e il buon costume. Potrebbe darsi che domani si proibisse in Italia la religione mussulmana per il fatto che essa contiene un principio contrario al buon costume. D’altra parte è lecito temere che l’interpretazione possa essere generalizzata.

DOSSETTI, Relatore, fa osservare che la formula da lui proposta riproduce la formula dell’articolo 1 della legge attualmente in vigore sui culti ammessi.

PRESIDENTE mette ai voti l’inciso: «purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

(L’inciso è approvato con 14 voti favorevoli e 2 astenuti).

Legge l’articolo così come risulta dopo l’approvazione delle singole parti:

«Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

Lo pone in votazione nel suo complesso.

(È approvato).

CEVOLOTTO, Relatore, propone il seguente emendamento aggiuntivo:

«Tutti i culti hanno diritto a eguale protezione penale contro il vilipendio loro, delle loro credenze, dei loro ministri e contro il turbamento delle loro funzioni».

MORO si dichiara contrario all’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Cevolotto, perché ritiene che la tutela penale accordata dal Codice in materia sia opportunamente graduata.

È chiaro che una tutela penale vi deve essere, e che quanto alla sostanza essa debba essere eguale per tutti; ma non può concordare che questa tutela, oltre che essere eguale in valore abbia eguale concreta esplicazione, perché la tutela penale deve essere graduata in proporzione all’entità del danno che viene arrecato. Se vi è una religione che è professata dalla stragrande maggioranza degli italiani, evidentemente in questo caso il danno e l’offesa sono più gravi di quello che non siano il danno e l’offesa arrecati attraverso il vilipendio di altri culti non professati dalla stragrande maggioranza del popolo italiano.

Precisa che, domandando una posizione particolare per la religione cattolica, non si richiede una disparità di principio, ma si richiede soltanto che la legislazione si adegui ad una realtà di fatto, per la quale le reazioni giuridiche debbano commisurarsi naturalmente al danno effettivo subito dalle coscienze.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di insistere nella sua proposta. L’opposizione che ad essa viene fatta dimostra come, con l’inserimento del Concordato nella Costituzione, si sia inteso porre le religioni su di un piano differente.

MERLIN UMBERTO osserva che la eguaglianza di trattamento proposta dall’onorevole Cevolotto costituirebbe una ingiuria al Capo della religione professata dalla maggioranza degli italiani.

MORO dichiara di essere sostanzialmente in disaccordo con l’onorevole Cevolotto, e di ritenere che sia questo il luogo per dare un impegno preciso al legislatore penale, il quale valuterà in quale momento e in quale forma occorrerà applicare il criterio cui l’onorevole Cevolotto ha accennato.

CEVOLOTTO, Relatore, insiste affinché la questione venga trattata in questa sede, essendo l’articolo 402 del Codice penale – che riguarda la materia – ancora in vigore. Ricorda che anche il Professore Jemolo ha manifestato il pensiero che sia necessaria la modificazione di quell’articolo.

LA PIRA fa presente che il Ruffini, il quale non era un cattolico, scrisse che la Chiesa cattolica ha una tale realtà storica che non può in tutto essere parificata alle altre forme di religione.

MORO insiste nella sua pregiudiziale circa la inopportunità di collocare nella Costituzione l’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara di essere favorevole alla pregiudiziale, perché ritiene che l’articolo, così come è stato compilato e approvato, contenga già la garanzia richiesta dall’onorevole Cevolotto. Infatti, una volta stabilita l’eguaglianza delle religioni in tutti i casi, è evidente che il legislatore non potrà che adeguarsi a questo principio.

(La pregiudiziale è approvata con 9 voti favorevoli e 7 contrari).

PRESIDENTE apre la discussione sull’articolo 3 nella formulazione proposta dall’onorevole Dossetti: «I rapporti di lavoro, l’appartenenza alle Forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dar luogo a nessun impedimento di diritto o a nessun ostacolo di fatto in ordine all’adempimento dei doveri religiosi fondamentali e all’assistenza da parte dei ministri del culto seguito».

TOGLIATTI ritiene che questo articolo sia inutile e non convenga inserirlo nella Costituzione. Non comprende che cosa significhi l’accenno alla degenza in ospedali. È evidente che negli ospedali deve esservi un servizio religioso. E allora – domanda – quell’accenno vorrebbe significare forse che, se vi è un malato grave e il medico non lo lascia uscire per andare a Messa, questo medico violerebbe la Costituzione?

Quanto all’accenno circa le carceri, domanda se violerebbe la Costituzione quel direttore di un carcere mandamentale che vietasse l’uscita ai carcerati che volessero andare a sentire Messa a 20 chilometri di distanza.

DOSSETTI, Relatore, osserva che è facile rispondere alle osservazioni dell’onorevole Togliatti con un vecchio adagio «Ad impossibilia nemo tenetur». Chiarisce che l’articolo proposto ha lo scopo di garantire non soltanto l’osservanza di un principio, ma anche il rispetto di determinate situazioni di fatto nelle quali sia assicurato ad ogni cittadino, anche di religione diversa dalla cattolica, la possibilità di avere quella assistenza religiosa che è conforme al culto da lui seguito.

Fa presente all’onorevole Togliatti che l’articolo proposto è desunto da un libretto in cui sono contenute le rivendicazioni delle religioni evangeliche in Italia, libretto scritto dal Signor Pejrot e inviato a tutti i Costituenti.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non giustificare perché si sia adottata una formula sintetica per esprimere il concetto della libertà di esercizio del culto, e poi si voglia specificare la stessa cosa nell’articolo in esame.

Fa presente che nel diritto al libero esercizio della propria fede è implicito il diritto di ricevere l’assistenza religiosa, anche per i carcerati e i degenti in un ospedale, nei limiti delle possibilità concrete.

DOSSETTI, Relatore, rileva che la garanzia contenuta nell’articolo da lui proposto non riguarda le norme concernenti la libertà religiosa, ma tutto il complesso di norme giuridiche relative all’organizzazione degli istituti di pubblica assistenza e di pena.

GRASSI osserva da un punto di vista pregiudiziale che, essendo il diritto di esplicazione del proprio culto espresso già nelle norme precedentemente approvate, si debba fare il rinvio a quelle norme o non sia opportuno votare l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti.

MORO fa osservare che, con l’articolo in esame, non si è più nell’ambito delle garanzie, ma in quello della libera esplicazione. È vero che sono state già votate delle norme che garantiscono la libera professione della fede religiosa, ma qui si prospetta il caso concreto di cittadini che non possono, per motivi indipendenti dalla loro volontà, godere di una libertà fisica.

TOGLIATTI dichiara che volerà contro l’articolo, non intendendo con questo di votare contro il suo contenuto, ma in quanto non ritiene che l’articolo tratti una materia da Costituzione.

PRESIDENTE mette ai voti la pregiudiziale dell’onorevole Grassi secondo cui quanto è espresso nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti è già implicito nella formula dell’articolo precedentemente approvato.

(La pregiudiziale Grassi è approvata con 9 voti favorevoli e 7 contrari).

La seduta termina alle 13.45.

Erano presenti: Amadei, Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Mancini e Caristia.