Come nasce la Costituzione

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VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

43.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 29 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Mancini – Presidente – Togliatti – Cevolotto, Relatore – Grassi – Caristia – Lucifero – Mancini – Mastrojanni – Dossetti, Relatore – De Vita – Moro – Basso – Marchesi – La Pira.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

MANCINI dichiara che, se fosse stato presente nella seduta precedente, avrebbe votato a favore della proposta dell’onorevole Togliatti, nel senso cioè di specificare che lo Stato italiano è una repubblica democratica di lavoratori.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Togliatti nella precedente riunione aveva presentato la seguente proposta:

«La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo né davanti alle Assemblee legislative».

La formulazione di tale proposta, in relazione alle osservazioni di altri Commissari, è stata dallo stesso onorevole Togliatti così modificata:

«L’adozione della forma repubblicana è definitiva: né l’iniziativa popolare, né il voto delle Assemblee legislative possono metterla in discussione».

TOGLIATTI fa presente di aver ritenuto di modificare la sua primitiva proposta, i cui termini troppo recisi potevano forse essere interpretati nel senso che la propaganda dell’idea monarchica fosse da considerarsi come sovversiva. Pur non escludendo che nella legge si possa anche arrivare a questa affermazione, ha voluto cercare una formula meno drastica che esprimesse lo stesso concetto, escludendo in termini costituzionali la possibilità, per esempio, di indire un referendum sulla forma istituzionale dello Stato, senza condannare per questo la propaganda dell’idea monarchica come sovversiva.

CEVOLOTTO, Relatore, vorrebbe chiarito il significato delle parole: «iniziativa popolare».

GRASSI fa presente che il referendum è una proposta che le autorità dello Stato fanno al popolo perché esso dica se accetta o meno una determinata forma istituzionale, mentre l’iniziativa popolare è la facoltà del popolo di proporre direttamente una legge per rivedere la forma istituzionale dello Stato. Ritiene, però, che parlare di iniziativa popolare, quando ancora non si sa se questa sarà consentita nella Costituzione, sia una cosa tecnicamente e giuridicamente non opportuna.

CARISTIA è d’avviso che la proposta dell’onorevole Togliatti potrebbe avere un significato più preciso e più concreto, se collocata nella parte relativa ai modi di revisione della Costituzione. In Itale sede, crede, potrebbe anche stabilirsi un limite assoluto al potere di revisione della Costituzione, come è previsto in quella francese.

CEVOLOTTO, Relatore, ricorda che il concetto espresso dall’onorevole Caristia era contenuto in un suo ordine del giorno che è stato respinto.

LUCIFERO è del parere che ogni affermazione contenuta in una Costituzione sia definitiva senza bisogno di dirlo specificatamente. Tale definitività, però, è soltanto relativa, nel senso che ha valore fino al giorno in cui la volontà popolare, manifestata nelle forme legali, non intenda modificarla.

Osserva, poi, che se si adottasse la formula dell’onorevole Togliatti, anche la petizione alle Assemblee legislative (che, a suo avviso, rientra nell’iniziativa popolare) pure se presentata nelle forme previste dalla legge, costituirebbe un reato. Fa quindi rilevare che da un punto di vista giuridico, poiché le leggi, anche quelle costituzionali, sono il portato della coscienza generale in un determinato momento storico del Paese (coscienza che può variare a seconda delle contingenze), non sarebbe ammissibile sancire determinate norme fisse ed eterne in una Costituzione, nel senso cioè che non possano essere tangibili, nemmeno se le situazioni e i tempi rendessero necessario di trasformarle.

Tale concetto, oltre che antigiuridico, sarebbe anche assurdo, perché ciò che si vuole soffocare troverebbe egualmente il modo di esplodere e di affermarsi al di fuori delle normali procedure.

Dichiara, inoltre, di essere contrario alla formula dell’onorevole Togliatti per un altro motivo particolare. Premesso esser di avviso che, divenuto lo Stato repubblicano, i monarchici debbano diventare una disciplinata, civica massa inquadrata nelle nuove forme dello Stato, non crede però opportuno non tener conto di questa massa di oltre 10 milioni di cittadini, cui la suddetta formula potrebbe dare la sensazione che si vogliano prendere contro di essa atteggiamenti di ostracismo. Tale sensazione si acuirebbe, poi, maggiormente, se i monarchici venissero a conoscenza dell’intenzione dell’onorevole Togliatti di statuire, in sede di legislazione, che la propaganda dell’idea monarchica è un atto sovversivo che deve essere represso. Questa intenzione è assai grave, perché in uno Stato democratico ognuno dovrebbe essere libero di propagandare le sue idee nei termini consentiti dalla legge. D’altra parte, è risaputo che ogni persecuzione non costituisce altro che un lievito del pensiero, un incremento all’idea che la fa meglio fiorire. Pertanto, se si vuol fare una Costituzione non solo democraticamente, ma anche politicamente, concepita, la Sottocommissione dovrebbe respingere la proposta dell’onorevole Togliatti, che rappresenterebbe politicamente un assurdo, perché da un lato verrebbe a creare una maggiore divisione tra gli italiani, che si deve cercare invece di unificare, e dall’altro rafforzerebbe quell’idea che si vorrebbe soffocare.

TOGLIATTI precisa che, nel parlare della possibilità di una legge che riconoscesse come reato la propaganda monarchica, ha inteso alludere a particolari casi in cui gli elementi monarchici si mettessero sul terreno dell’organizzazione armata e del colpo di Stato. In questi casi ritiene legittimo, anche in un regime democratico, che lo Stato repubblicano cerchi di difendersi. Come ha già affermato nella precedente riunione, non vuole precludere assolutamente la strada al manifestarsi di un’opinione contraria, ma fissare un’àncora che politicamente ritiene necessaria e indispensabile per la stabilità del nuovo regime repubblicano, senza escludere la possibilità che nell’avvenire possa crearsi una situazione tale, per cui quest’àncora potrebbe divenire inservibile.

Costituzionalmente, l’articolo che ha proposto vuol significare una remora di più per una sua eventuale abrogazione, nel senso cioè che se in un domani vi fosse una maggioranza monarchica nel Parlamento, prima di poter proporre una riforma istituzionale, dovrà iniziare il procedimento per l’abrogazione di questo articolo, come del resto è avvenuto negli Stati Uniti per sopprimere il regime secco. Ricorda che anche nella Costituzione francese vi è un articolo di analogo contenuto, che dovrebbe essere abrogato prima di poter prendere in esame una proposta di mutamento costituzionale. La questione quindi, costituzionalmente, non è rilevante e non si presta affatto alle critiche mosse dall’onorevole Lucifero.

LUCIFERO non avrebbe alcuna difficoltà ad accettare una particolare procedura di revisione della Costituzione, specialmente nei riguardi della forma istituzionale, se si fosse accettato l’ordine del giorno proposto nella precedente seduta dall’onorevole Cevolotto, nel senso cioè di trattare la questione non nei principî generali, ma, come ha fatto la Costituzione francese, nel capitolo relativo alla revisione della Costituzione. Tiene a richiamare nuovamente l’attenzione dell’onorevole Togliatti e di tutta la Sottocommissione sulla reazione che un articolo di questo genere potrebbe portare in seno ad una notevole parte dell’opinione pubblica. Non avrebbe, invece, alcuna preoccupazione se si adottasse una formulazione sul genere di quella della Costituzione francese, mettendola nella sede appropriata. Dal punto di vista del diritto costituzionale, la questione non ha forse grande rilevanza, perché quando un convincimento è entrato nell’animo delle masse, lo consenta o meno la Costituzione, la volontà popolare trova sempre il modo di esprimersi e di farsi valere. La sua preoccupazione è, invece, di carattere politico per le reazioni che l’articolo provocherebbe in un notevolissimo settore del Paese, reazioni che potrebbero nuocere al consolidamento della nascente Repubblica.

CEVOLOTTO, Relatore, è d’avviso che l’ultimo testo proposto limiti molto l’estensione della norma, rendendo sempre più evidente la difficoltà di una formulazione non coordinata con le disposizioni relative alla revisione della Costituzione. Può essere d’accordo che l’iniziativa popolare non dovrà avere tale ampiezza da poter chiedere il mutamento della forma istituzionale dello Stato, però fa osservare che la Sottocommissione non sa ancora in che forme e in che limiti l’iniziativa popolare sarà concessa.

Potrebbe essere parimenti favorevole al divieto per le Assemblee legislative di deliberare sul mutamento della forma istituzionale, che, se sarà ammesso, dovrà essere circondato da eventuali garanzie, ma approvando fin d’ora tale divieto si rischia, a suo avviso, di fare un lavoro inutile, o almeno provvisorio, perché è probabile che nel capitolo relativo alla revisione della Costituzione si escluda la possibilità per le Assemblee legislative di poter intervenire con un voto immediato sulla questione istituzionale. L’articolo proposto, quindi, dovendo necessariamente essere coordinato con le norme che saranno stabilite per la revisione della Costituzione, ritarderebbe la presentazione all’Assemblea dei 75 del progetto di Costituzione, nella parte attinente alla Sottocommissione, fino a quando tutto il progetto non sarà terminato. Dato il risultato della votazione della precedente riunione, non vede però come sia possibile uscire dalla situazione.

MANCINI crede che si debba discutere ed approvare in questa sede l’articolo dell’onorevole Togliatti per ragioni politiche, giuridiche e di opportunità.

Per ragioni politiche, perché, avendo proclamato la Repubblica, la Costituzione deve essere repubblicana e, come tale, non può non contenere delle norme che rendano più difficile o impossibile un ritorno della monarchia. Per ragioni giuridiche, perché, contrariamente a quanto è stato affermato dall’onorevole Lucifero, le leggi non sono il prodotto spirituale della coscienza di tutto il popolo, ma della maggioranza. Ora quando tale maggioranza ha dimostrato di preferire una particolare forma politica, come quella che è stata ratificata dalle elezioni del 2 giugno, la legge deve intervenire perché la minoranza non contrasti con essa. Per ragioni di opportunità, infine, perché preoccupandosi delle reazioni che l’articolo potrebbe suscitare nell’animo dei monarchici, si cadrebbe in un altro errore, simile a quello in cui si è incorsi a proposito dell’amnistia. Ritiene infatti che in questo campo l’indulgenza sarebbe causa di pericolo per la Repubblica e per la democrazia, sia in relazione a certe manifestazioni criminali dei monarchici, sia perché la democrazia, che si identifica con la Repubblica, in tanto esiste in quanto sappia difendere se stessa.

L’articolo proposto dall’onorevole Togliatti risponde, quindi, a suoi avviso, ad un elementare sentimento di legittima difesa della Repubblica.

MASTROJANNI ritiene che la Repubblica, essendosi ormai affermata nella coscienza popolare, non debba temere gli assalti di alcuno, anche se sconsideratamente qualche fanatico può essere andato oltre quello che è il sentimento prevalente.

Dichiara, poi, di non potere accettare il concetto di democrazia, così come lo ha espresso l’onorevole Mancini, perché sarebbe in perfetto contrasto con lo stesso significato della parola democrazia. Se, come vorrebbe l’onorevole Mancini, non si ammettesse la possibilità di discutere sulla forma istituzionale, non si avrebbe più un regime repubblicano democratico, ma il più preoccupante regime assolutista. La democrazia, invece, è la libera espressione del pensiero di tutti, nei limiti consentiti dalla legge, per l’esercizio di quelle libertà originarie, imprescrittibili, sacre e inalienabili che sono state sancite nell’esordio della nuova Costituzione.

Condivide, invece, le osservazioni dell’onorevole Lucifero, che ha obiettivamente messo in luce la questione, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico.

Dal punto di vista giuridico, infatti, l’affermazione della immutabilità di una norma è antigiuridica per eccellenza, perché le leggi rispecchiano quella che è la morale prevalente nella coscienza popolare, che essendo, a sua volta, il risultato di concezioni e di situazioni oggettive, è suscettibile nel tempo di tutte le possibili variazioni e non può quindi ritenersi immutabile.

Dal punto di vista politico, non vi è dubbio che un’affermazione come quella dell’onorevole Togliatti, offenderebbe i sentimenti di una grande massa di cittadini, che hanno dimostrato di prediligere un’altra forma istituzionale.

In un momento in cui dovrebbe prevalere, nei confronti di questa tutt’altro che trascurabile massa di cittadini, il criterio della persuasione e della forza del ragionamento, sarebbe un atto politicamente inopportuno sancire solennemente nella Carta costituzionale la impossibilità, persino, di discutere sulla forma istituzionale, in relazione ad un eventuale diverso orientamento della coscienza popolare.

Concorda che la democrazia repubblicana debba difendersi, ma l’onorevole Mancini gli deve dare atto che nessuna istituzione, quali che siano le coercizioni, può logicamente affermarsi e sussistere se non risponde spontaneamente a quella che è la coscienza collettiva del popolo. Per ciò, la difesa della Repubblica italiana sta appunto nella coscienza del popolo italiano e se questa è matura, nulla vi sarà da temere. D’altra parte, ricorrendo a questa norma coercitiva, antigiuridica e anticostituzionale, si potrebbe ingenerare il dubbio che la Repubblica non risponda effettivamente alla coscienza popolare. Ritiene, invece, che la Repubblica italiana possa durare, se è effettivamente nella coscienza del popolo, e la forza materiale e spirituale di questa affermazione deve costituire la più efficace garanzia per escludere la possibilità di attentati contro la Repubblica.

Conclude condividendo in subordine l’opinione dell’onorevole Cevolotto, nel senso di demandare la questione alla seconda Sottocommissione che dovrà redigere un articolo relativo alla possibilità e alle modalità per poter addivenire alla revisione del testo costituzionale.

MANCINI obietta all’onorevole Mastrojanni che se nella coscienza del popolo esiste la difesa della Repubblica, tale difesa non può esprimersi che mediante una legge, in quanto democrazia significa libera espressione delle proprie idee, nei limiti però consentiti dalla legge, rappresentando il prodotto spirituale della maggioranza dei cittadini. Poiché attualmente la maggioranza è repubblicana, ha il dovere di difendere e consolidare la Repubblica con l’arma democratica più adatta, costituita appunto da una legge mirante ad impedire eventuali insidie da parte della minoranza.

BASSO esprime l’avviso che la discussione sia uscita fuori binario, trattandosi in sostanza di stabilire una norma la quale affermi che la forma repubblicana dello Stato non può essere modificata con quello che sarà il normale procedimento di revisione della Carta costituzionale, ma eventualmente con una procedura di secondo grado.

CARISTIA propone la chiusura della discussione generale.

(La proposta, messa ai voti, è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Dossetti e La Pira hanno presentato un ordine del giorno così formulato:

«La prima Sottocommissione delibera che la Costituzione debba dichiarare la definitività della forma repubblicana dello Stato e garantirla costituzionalmente. Rinvia alla seconda Sottocommissione l’elaborazione tecnica di questo principio».

Personalmente preferirebbe la seguente dizione:

«La prima Sottocommissione dichiara che la forma repubblicana è definitiva e deve essere garantita costituzionalmente, ecc.».

Rende noto che l’onorevole Togliatti accetterebbe l’ordine del giorno degli onorevoli Dossetti e La Pira, emendandone così la prima parte:

«La prima Sottocommissione delibera che la forma repubblicana è definitiva e che essa non può fare oggetto di una proposta di revisione della Costituzione».

Domanda agli onorevoli Dossetti e La Pira se accettano l’emendamento dell’onorevole Togliatti.

DOSSETTI, Relatore, nella sostanza, è d’accordo con l’onorevole Togliatti sulla necessità di affermare nella Costituzione la definitività della forma repubblicana, ed individuare il modo per escludere che essa possa essere messa in discussione. Quanto alla forma, però, si dichiara contrario ad affermare nella Costituzione che la forma repubblicana non possa in alcuna maniera formare oggetto di proposte di revisione, perché evidentemente si direbbe una cosa che giuridicamente non può essere accettata.

Ognuno sa quanto gli stiano a cuore certi principî fondamentali riguardanti i rapporti fra Stato e Chiesa; eppure, se venisse proposto, si dichiarerebbe egualmente contrario ad affermare nella Costituzione l’impossibilità di una loro revisione. Sancire perciò nella Costituzione che la forma repubblicana non può formare oggetto di una revisione, sarebbe un non senso, in quanto si verrebbe a sottolineare un atteggiamento di cristallizzazione anti-democratico. Si dichiara, invece, disposto a specificare quali attività debbano essere impedite, come per esempio l’iniziativa popolare, nel senso che non sia possibile che domani, in una città o in una regione, si attui un’iniziativa per mettere in discussione la forma repubblicana.

Data la concordanza di sostanza, se si dovesse venire ad una votazione, evidentemente sarà favorevole alla primitiva formula dell’onorevole Togliatti e, in caso estremo, alla nuova formula. Pregherebbe però l’onorevole Togliatti di rimettere effettivamente la determinazione tecnica delle garanzie sostanziali alla seconda Sottocommissione.

CARISTIA non vede niente di antigiuridico e di assurdo nella formula dell’onorevole Togliatti, il cui concetto è riportato più volte anche dalla stessa Costituzione francese e da altre Costituzioni. Giuridicamente, infatti, si può porre un limite ad un determinato potere, che nel caso in questione, è il potere di revisione.

DE VITA è perfettamente d’accordo con l’onorevole Caristia. Non si tratta di una immutabilità della legge, come ha sostenuto l’onorevole Mastrojanni, ma di porre il legislatore di fronte ad un limite, oltre il quale non può andare. Questo limite significherebbe, in sostanza, una procedura di secondo grado per la revisione della forma costituzionale dello Stato.

DOSSETTI, Relatore, ripete che è d’accordo sulla sostanza, ma è d’avviso che non corrisponda a uno spirito democratico l’escludere a priori la revisione della forma istituzionale.

Se per modificare la Costituzione che è ora in elaborazione, si richiedesse la convocazione di una nuova Assemblea costituente, evidentemente non si potrebbe disconoscere ad essa lo stesso potere che ha l’attuale Costituente. Per questo motivo una simile affermazione, anche se fornita di significato politico, non può ritenersi giuridicamente esatta.

TOGLIATTI ritiene che la questione sia stata posta giuridicamente dall’onorevole De Vita. La formula presentata è di compromesso, in quanto tiene a che su una deliberazione di questo genere vi sia la maggioranza.

DOSSETTI, Relatore, riafferma che la sua preoccupazione è che giuridicamente tale formula sia inesatta e antidemocratica.

MASTROJANNI osserva che l’onorevole Dossetti è sostanzialmente d’accordo sulla formula dell’onorevole Togliatti, ma si preoccupa di salvare la forma.

Gli sembra però che questo sistema non sia ortodosso, perché la forma e la sostanza debbono coerentemente non essere in contrasto e se si vuole che il popolo possa apprendere dalla sola lettura della Costituzione quello che essa vuol dire, si deve essere il più chiari possibile, senza usare eufemismi che sono da condannare in modo assoluto, perché antidemocratici. Perciò, se si vuole precludere ogni possibilità di revisione della forma istituzionale, si deve formalmente e sostanzialmente dirlo.

Circa l’esempio, portato dall’onorevole Caristia, di Costituzioni straniere, rivendica a Roma il diritto di insegnare, d’avere insegnato e di continuare a insegnare per il futuro quelli che sono i fondamenti del diritto.

CARISTIA obietta all’onorevole Mastrojanni che, a parte il rispetto per il diritto di Roma, che è comune a tutti, ha citato le altre Costituzioni soltanto a titolo di esemplificazione. Ad ogni modo, la disposizione dovrebbe essere collocata non nella sede in esame, ma in quella relativa ai modi di revisione della Costituzione.

MORO è del parere che in sede di Costituzione si debba far cenno alla definitività della forma istituzionale, ma fa rilevare che il problema della garanzia costituzionale della Repubblica è un problema complesso che va oltre la questione della revisione della Costituzione e di cui dovrà occuparsi la seconda Sottocommissione.

Ritiene, pertanto, opportuno limitarsi a sancire il principio che «l’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva», facendolo seguire da un ordine del giorno nel quale si affermi che: «La prima Commissione, avendo sancito il principio della definitiva adozione del regime repubblicano, rinvia alla seconda Sottocommissione per tutte le opportune garanzie costituzionali».

BASSO si dichiara contrario ad una affermazione generica che la forma repubblicana dello Stato è definitiva, inquantoché una norma del genere avrebbe carattere puramente pedagogico e potrebbe anche urtare una parte notevole dell’opinione pubblica. Sarebbe favorevole invece ad un’affermazione come quella proposta dall’onorevole Togliatti, la quale è veramente una norma avente valore eminentemente giuridico. In sostanza, si viene a porre il principio che una revisione in materia istituzionale non potrebbe essere proposta, se prima non sia stato soppresso questo articolo. La seconda Sottocommissione stabilirà poi le norme mediante le quali si possa addivenire alla revisione della Costituzione.

LUCIFERO non avrebbe alcuna difficoltà ad accettare il principio enunciato dall’onorevole Basso, cioè che, per determinate riforme costituzionali, si debba seguire una procedura speciale di secondo grado. Ma affermare che la forma repubblicana è definitiva gli sembra perfettamente inutile, sia perché la definitività, come ha già detto, deve sempre intendersi in modo relativo, sia perché la formula, che ha votato favorevolmente, ossia «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica», già afferma un concetto di per sé definitivo.

Dichiara, infine, di non aver difficoltà a rinviare alla seconda Sottocommissione la stesura delle speciali procedure alle quali dovrebbe essere sottoposta una eventuale pratica di revisione istituzionale.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà a favore della proposta dell’onorevole Togliatti, inquantoché ritiene anch’egli necessario che in questa materia si abbia una votazione di maggioranza. Sarebbe, invece, contrario a mettere nella Costituzione un principio isolato circa la definitività della forma repubblicana dello Stato, perché ciò potrebbe far supporre che vi sia alcuno che possa immaginare che la Repubblica è provvisoria.

PRESIDENTE ritiene anch’egli che affermare che la Repubblica è definitiva, oltre ad essere superfluo, sembrerebbe tradire quasi la preoccupazione che la Repubblica non fosse tale. Prega, pertanto, i colleghi di non volere insistere su una tale affermazione.

Sarebbe invece favorevole ad una formula che, senza ripetere quella francese, dicesse che effettivamente la forma repubblicana dello Stato si sottrae al procedimento normale di revisione della Costituzione.

All’onorevole Togliatti, che giustamente si preoccupa che su questa questione venga raggiunta una larga maggioranza, fa rilevare che se si insiste su certe formule, si rischierà di avere una maggioranza così debole da essere più pregiudizievole che non il passare sotto silenzio la questione.

Personalmente, proporrebbe due formule identiche nella sostanza, ma differenti nella forma, una come articolo e l’altra come ordine del giorno.

La prima è così formulata:

«La forma repubblicana dello Stato non è soggetta al normale procedimento di revisione della Costituzione».

La seconda è la seguente:

«La prima Sottocommissione delibera che la forma istituzionale dello Stato non debba essere soggetta al normale procedimento di revisione della Costituzione e rinvia per la formulazione definitiva alla seconda Sottocommissione».

Qualora la Commissione fosse d’accordo sul merito, dovrebbe stabilire se dare la preferenza all’articolo o all’ordine del giorno.

CEVOLOTTO, Relatore, non sarebbe favorevole ad esporre il concetto sotto forma di un articolo che, data la dizione proposta, potrebbe dare l’impressione che fosse proprio la Costituente ad indicare che con un procedimento straordinario si possono modificare le istituzioni repubblicane. Qualora il concetto venisse inserito e coordinato con gli articoli riguardanti la revisione della Costituzione, assumerebbe, invece, un altro aspetto e valore. Tuttavia, dichiara che se la Sottocommissione preferirà la forma dell’articolo, voterà favorevolmente.

PRESIDENTE osserva che, rendendosi interprete del disagio derivante dal fatto che non siano state ancora stabilite le forme di revisione della Costituzione, ha proposto lo stesso concetto anche come ordine del giorno.

MORO ritiene anch’egli che non sia il caso di formulare un articolo, poiché trattasi di una materia in cui la Sottocommissione non è competente.

È, pertanto, favorevole all’ordine del giorno.

TOGLIATTI dichiara invece di essere favorevole a definire la questione con un articolo, in quanto ritiene che la Commissione sia competente a decidere, rientrando nella sua specifica competenza tutto quanto attiene alla forma istituzionale dello Stato. Il coordinamento e la collocazione definitiva dell’articolo potranno successivamente essere effettuati in altra sede. Inserirebbe l’articolo proposto dal Presidente subito dopo la definizione: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica».

PRESIDENTE crede che un ordine del giorno raccoglierebbe più facilmente il consenso della grande maggioranza dei Commissari.

MASTROJANNI si dichiara contrario sia all’ordine del giorno che all’articolo, in quanto ritiene che non si possa alludere ad un procedimento non normale di revisione della Costituzione quando ancora non si conosce quale sarà quello normale. Di conseguenza, esprime il voto che la discussione sia rinviata a quando l’apposita Sottocommissione avrà stabilito i mezzi normali di revisione della Costituzione.

LUCIFERO si associa all’onorevole Mastrojanni. Si dichiara contrario all’articolo, perché non ritiene che la materia sia di competenza della prima Sottocommissione. Per quanto riguarda l’ordine del giorno, ripete che non sarebbe alieno ad una forma particolare di procedimento per determinate revisioni costituzionali, ma prima di potersi pronunciare, desidererebbe averne esatta conoscenza. Inoltre, data la sua forma vaga e negativa, non crede che tale ordine del giorno potrebbe riuscire di soddisfazione dei monarchici, dai cui voti è stato inviato alla Costituente. Per questi motivi è contrario all’ordine del giorno e all’articolo.

CARISTIA dichiara che voterà a favore dell’ordine del giorno, ritenendo che la norma dovrebbe essere rinviata al capitolo relativo ai modi di revisione della Costituzione.

MORO in relazione a quanto ha precedentemente affermato, domanda che sia messo ai voti il seguente articolo:

«L’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva».

Nel caso che fosse respinto, voterà l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI dichiara che voterà favorevolmente la proposta dell’onorevole Moro.

MANCINI afferma che voterà anch’egli favorevolmente la proposta dell’onorevole Moro, specialmente dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che la questione, così come è stata impostata, non lascia a tutti i repubblicani altra via che di votare a favore della proposta dell’onorevole Moro, perché essendo stata portata sul terreno politico, una votazione contraria implicherebbe necessariamente il sospetto che si nutra qualche riserva mentale sulla forma repubblicana.

Data questa impostazione, per quanto tutto il suo passato di repubblicano elimini ogni dubbio in proposito, voterà favorevolmente. Dichiara, però, che portare sul terreno politico una questione che avrebbe dovuto essere esclusivamente tecnica, è andare contro alla possibilità di fare una buona Costituzione.

MASTROJANNI si associa alle ultime considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione proposta dall’onorevole Moro.

(È approvata con 13 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la proposizione seguente, avvertendo che dovrà seguire a quella testé approvata: «e non può essere oggetto di normale procedimento di revisione della Costituzione».

(È approvata con 15 voti favorevoli e 2 contrari).

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di riservarsi di discutere in sede di Commissione plenaria sul collocamento di questo articolo e di proporre che venga inserito nella parte relativa alla revisione della Costituzione.

PRESIDENTE fa presente che vi è una proposta aggiuntiva dell’onorevole Togliatti, così formulata:

«I beni della Casa di Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

CEVOLOTTO, Relatore, prospetta due dubbi. Il primo è se la Costituzione sia il luogo adatto per includere una disposizione che gli sembrerebbe piuttosto oggetto di una legge speciale. Il secondo dubbio è di natura politica, in quanto mettendo una simile disposizione nella Costituzione, teme che si possa vedere in essa un’apparenza di persecuzione e di accanimento particolari contro la monarchia, dando così esca ad eventuali ed incresciose polemiche e fornendo i mezzi di propaganda all’azione della massa monarchica, di cui non si può disconoscere la notevole entità, come è stato dimostrato dal referendum istituzionale.

Per questi motivi, pur non avendo un pensiero preciso sulla questione, ha l’impressione che il collocamento della disposizione in questa sede non sia politicamente opportuno.

TOGLIATTI spiega che si tratta appunto di una misura di garanzia per eliminare gli strumenti della propaganda monarchica, che sono costituiti oggi dai beni della Corona.

Circa la votazione del 2 giugno, ricorda che essa ebbe luogo in particolari circostanze politiche per cui non può avere un valore assoluto il numero dei voti raggiunto dai monarchici. Ad ogni modo, appunto perché la Repubblica non ha ottenuto una maggioranza assoluta di voti, bisogna che si garantisca contro un ritorno della monarchia.

Ritiene, poi, che l’argomento possa far parte della Costituzione, dal momento che essa è la prima Costituzione repubblicana. Ricorda anche che in quasi tutte le Costituzioni repubblicane, sorte dopo la soppressione della monarchia, vi è un’altra norma, che si propone di presentare all’esame della Sottocommissione, relativa al divieto di residenza nel territorio della Repubblica per i membri della ex casa reale.

CEVOLOTTO, Relatore, è d’avviso che questa seconda norma possa essere accolta senza discussione.

MARCHESI rileva che moltissimi italiani, durante gli anni, non dirà della tirannia, ma della malavita fascista, pensavano che il popolo italiano, restituito alla libertà mediante la sua rappresentanza nazionale, non avrebbe esitato a mettere in stato di accusa la monarchia dei Savoia, non per ragioni ideologiche, ma soltanto per un atto di riparazione nazionale, in relazione alla complicità continua e necessaria che essa ha dato per più di 20 anni al fascismo. Probabilmente la nave che portava in Egitto l’ex re d’Italia, portava un uomo che in un Paese non occupato dai vincitori sarebbe stato dichiarato reo di delitto capitale. Ora non si domandano processi, ma crede che non si possa spingere la generosità fino al punto di riconoscere che i Savoia possano conservare i loro beni in una Nazione che hanno portata alla rovina.

LUCIFERO è contrario alla proposta dell’onorevole Togliatti per diversi motivi, tra i quali, in primo luogo, il fatto che la materia non può formare oggetto di una norma costituzionale, ma di una legge speciale, che sarebbe del resto assai discutibile, in quanto sancirebbe il principio che un cittadino possa essere spogliato dei suoi beni, senza che concorra una sentenza del magistrato. Per questa ragione ritiene che i beni privati di casa Savoia debbano restare di proprietà dei legittimi proprietari.

Senza entrare nella discussione delle osservazioni dell’onorevole Marchesi, non essendo questa la sede adatta, si rende interprete dei sentimenti di affetto e di devozione non solo suoi, ma anche di moltissimi italiani, verso la famiglia Savoia che ha reso innumerevoli servizi al Paese.

MASTROJANNI è anch’egli d’avviso che ogni decisione in ordine ai beni di casa Savoia debba formare oggetto di una legge speciale, ritenendo che la Costituzione non sia giuridicamente né politicamente adatta ed opportuna per affermazioni di tal genere.

MANCINI è favorevole alla proposta dell’onorevole Togliatti, oltre che per le ragioni addotte dal proponente, anche perché crede che i beni della famiglia dei Savoia siano beni usurpati, da considerarsi come profitti del regime monarchico.

PRESIDENTE desidera soltanto fare considerare che con l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti si porrebbe in essere una sanzione, la quale si giustificherebbe solo in seguito ad una sentenza. Inoltre non crede che il far deliberare dalla Costituzione una sanzione sia conforme al suo carattere, fondato su enunciazioni di diritto e su affermazioni di principio.

TOGLIATTI tiene a mettere in evidenza che non si è fatto luogo ad un processo e ad una sentenza capitale, unicamente per la preoccupazione di non turbare la pace politica del Paese. Ma non si deve, a suo avviso, da questo fatto trarre ingiustificate conseguenze giuridiche, nel senso che i Savoia, non essendo stati processati, non debbano perdere i loro beni, in relazione anche alle migliaia di cittadini che per loro colpa furono privati dei beni e della Patria.

PRESIDENTE osserva che rimane sempre impregiudicata la questione se, cioè, in una Costituzione convenga adottare una sanzione. D’altra parte, per quella nota di umanità che gli è consueta, non crede che sarebbe veramente una cosa umana privare una famiglia di beni che non possono considerarsi usurpati o come profitti di regime. Pertanto, anche per questa ragione, è contrario alla proposta dell’onorevole Togliatti.

LA PIRA può essere d’accordo con l’onorevole Togliatti nel senso che effettivamente qualche cosa bisogna togliere alla famiglia Savoia, ma gli sembra che vi sia una evidente sproporzione tra l’oggetto proprio della Costituzione e l’oggetto specifico della proposta in discussione. È del parere, quindi, che l’argomento della confisca dei beni di casa Savoia dovrebbe formare piuttosto oggetto di una legge speciale.

CEVOLOTTO, Relatore, insiste perché la materia relativa alla proposta dell’onorevole Togliatti sia rinviata ad una legge speciale.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare la proposta dell’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI, Relatore, condivide il dubbio dell’onorevole La Pira che vi sia una sproporzione tra l’oggetto proprio della Costituzione e l’oggetto specifico della proposta Togliatti. Ad ogni modo, se si giungerà ad una votazione, dichiara che voterà favorevolmente.

CEVOLOTTO, Relatore, propone il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione ritiene che la questione della confisca dei beni dei Savoia non faccia parte della materia costituzionale, pur affermando che essa dovrà essere risolta in senso positivo per mezzo di una legge speciale».

Gli sembra che tale formula sia chiara, esplicita e non dia luogo a possibilità di dubbi.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di non essere favorevole alla dizione della prima parte dell’ordine del giorno Cevolotto, perché, pur essendo dell’avviso che l’argomento non debba far parte della Carta costituzionale, ritiene che possa rientrare nella competenza di quelle leggi costituzionali le quali dovranno porre in applicazione la Costituzione e che la Costituente dovrà approvare.

PRESIDENTE rileva che per eliminare il dubbio dell’onorevole Dossetti sarebbe sufficiente sostituire alle parole: «della materia costituzionale», le altre: «della Carta costituzionale».

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti.

GRASSI dichiara di votare contro, in quanto è favorevole all’ordine del giorno Cevolotto.

MORO domanda all’onorevole Togliatti se accetterebbe di sostituire la sua formula con la seguente: «La legge disporrà idonee misure per l’avocazione allo Stato dei beni dei Savoia». Con tale dizione sarebbero superate le difficoltà circa l’asserita incostituzionalità della materia, rinviando l’attuazione del principio alle leggi aggiuntive alla Costituzione.

TOGLIATTI accetterebbe, se la formula fosse più tassativa, vale a dire: «Verrà disposta con legge la confisca dei beni di casa Savoia».

MASTROJANNI rileva che evidentemente l’articolo avrebbe sempre sapore e carattere di sanzione. Pone in evidenza, però, che se si esamina la causale di questa sanzione nei confronti dei Savoia, causale che è di una tale vastità da rendere inutile qualsiasi accenno, emerge subito l’assoluta sproporzione tra di essa e l’effetto che si vuole raggiungere e che rimarrebbe limitato nel campo puramente economico. Gli sembra quindi che di fronte alla storia si farebbe una figura poco edificante.

TOGLIATTI risponde all’onorevole Mastrojanni che casa Savoia ha già avuto una prima sanzione del suo operato con il referendum ed una seconda sanzione dalla Costituzione repubblicana con le sue norme antimonarchiche.

PRESIDENTE rende noto che l’onorevole Moro propone un articolo così formulato:

«La legge disporrà per l’avocazione allo Stato dei beni di casa Savoia».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di mantenere il suo ordine del giorno per le ragioni precedentemente svolte.

TOGLIATTI dichiara di essere favorevole alla nuova dizione dell’onorevole Moro.

MASTROJANNI fa rilevare che con la formula dell’onorevole Moro si viene a dare un ordine al legislatore, perché metta in pratica un desiderio della Costituente. Il compito del legislatore è invece soltanto quello di tradurre in leggi i principî che saranno affermati nella Costituzione.

Per questa ragione prega il proponente di trovare un’altra formula che sia conforme alle esigenze di carattere costituzionale e giuridico.

MORO è dell’avviso che la legge, a cui ha fatto cenno, debba essere una legge aggiuntiva della Costituzione, quindi fatta dallo stesso organo sovrano, ossia dalla Costituente.

MASTROJANNI obietta che la Costituente è delegata a fare la Costituzione e non le leggi costituzionali, che sono di competenza del legislatore.

GRASSI dichiara che voterà contro l’articolo dell’onorevole Moro. Non c’è dubbio che la Costituzione possa deferire al legislatore incarichi speciali in determinati limiti, ma nel caso in discussione non si tratterebbe di stabilire i limiti di un principio costituzionale, ma di una questione sostanzialmente specifica. Ritiene perciò preferibile attenersi all’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

CARISTIA si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Grassi e dichiara che anch’egli voterà a favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Moro, in quanto intende mantenere il suo ordine del giorno.

LA PIRA dichiara che, per coerenza a quanto ha detto precedentemente, voterà contro l’articolo; voterà invece a favore dell’ordine del giorno dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE dichiara che, per le ragioni già esposte, voterà contro l’articolo.

Mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Moro:

«La legge disporrà l’avocazione allo Stato dei beni di casa di Savoia».

(È approvato con 9 voti favorevoli e 8 contrari).

Mette in discussione l’altro articolo proposto dall’onorevole Togliatti, così formulato:

«Ai membri della casa Savoia è proibita la residenza sul territorio della Repubblica».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’articolo in quanto lo ritiene inutile, dato che ormai è consuetudine che i membri delle famiglie reali, che hanno perduto il trono, risiedano fuori delle Nazioni sulle quali hanno regnato.

Ciò premesso, voler inserire un provvedimento del genere nella Costituzione, significherebbe dargli un carattere di odiosità che non farebbe altro che urtare la sensibilità di una notevole parte dell’opinione pubblica.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di votare a favore dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, in quanto lo ritiene, nella presente situazione storico-politica italiana, un provvedimento di difesa dell’ordine repubblicano.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

(È approvato con 14 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assente giustificato: Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

42.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Togliatti – Moro – La Pira – Basso – Grassi – Mastrojanni – Marchesi – Caristia – Lucifero – De Vita – Dossetti, Relatore – Amadei.

La seduta comincia alle 11.10.

Seguito della discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE apre la discussione sui primi quattro articoli formulati dal Relatore onorevole Cevolotto, che si riferiscono alla definizione dello Stato italiano.

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di aver formulato quattro succinti articoli, poiché si riserva di rinviare al preambolo alcune enunciazioni di carattere generale sulla materia. In particolare, nel primo articolo ha espresso il concetto che lo Stato italiano è una repubblica democratica; mentre nel secondo ha posto l’altro concetto che tutti i poteri spettano al popolo, che li esercita o delega secondo la Costituzione e le leggi.

Fa presente che la prima formulazione si trova in moltissime Costituzioni, e per tanto ritiene che debba essere inclusa anche nella Costituzione italiana; della seconda, invece, si potrebbe anche fare a meno, in quanto non viene specificato in che modo i poteri vengano esercitati dal popolo. Chiarisce ad ogni modo di avere messa la forma dell’esercizio diretto della democrazia, che può manifestarsi ad esempio mediante referendum, e la forma della delega che è quella normale della nomina dei rappresentanti.

PRESIDENTE pone in discussione il primo articolo proposto dall’onorevole Cevolotto, così formulato: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica».

TOGLIATTI propone che, in coerenza con gli articoli approvati in tema di lavoro, alle parole: «repubblica democratica» si aggiunga «di lavoratori». Fa presente che, per evitare equivoci, l’aggiunta potrà anche essere ampliata in: «lavoratori del braccio e della mente».

Avverte inoltre di aver presentato altri due emendamenti aggiuntivi all’articolo in esame. Il primo è il seguente: «La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo né davanti alle Assemblee legislative». Il secondo è così formulato: «I beni della Casa Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

PRESIDENTE pone in discussione il primo emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Togliatti, in base al quale il primo articolo risulterebbe così formulato: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica di lavoratori».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara di non opporsi alla proposta di emendamento dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE, pur riconoscendo il primato che spetta al lavoro nello Stato italiano, primato riconosciuto negli articoli cui ha fatto riferimento l’onorevole Togliatti, osserva che l’aggiunta proposta dice troppo e dice troppo poco, prestandosi ad interpretazioni equivoche. Per dare alle parole «di lavoratori» un significato preciso, bisognerebbe farla seguire da altre parole riproducenti alla lettera gli articoli nei quali si è già affermato che la Repubblica deve essere fondata sul lavoro, con le relative opportune specificazioni. Quanto all’altra aggiunta «del braccio e della mente», questa avrebbe per effetto una formulazione estremamente difettosa dell’articolo in discussione. Ritiene perciò preferibile la formula dell’onorevole Cevolotto.

MORO ritiene che tutti possano essere d’accordo sulla sostanza della proposta dell’onorevole Togliatti. Ad eliminare le preoccupazioni suscitate dall’espressione «repubblica democratica di lavoratori», propone che alla formula dell’onorevole Cevolotto si aggiunga l’articolo già approvato riguardante i rapporti economici: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta nelle organizzazioni economiche, sociali e politiche è il fondamento della democrazia italiana».

LA PIRA si associa alla proposta dell’onorevole Moro.

BASSO ritiene che le due proposte dell’onorevole Togliatti e dell’onorevole Moro si integrino a vicenda, e che pertanto l’articolo citato dall’onorevole Moro debba essere aggiunto alla formula dell’onorevole Cevolotto emendata secondo la proposta dell’onorevole Togliatti. Fa presente che, attraverso quell’articolo, il termine «lavoratori» rispecchia tutti coloro che esplicano un’attività sociale, ed è quindi escluso il timore di interpretazioni arbitrarie.

GRASSI si dichiara favorevole alla formula dell’onorevole Cevolotto e contrario alla specificazione proposta dall’onorevole Togliatti. Ricorda che fin dai tempi di Aristotele si è affermato che le forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, democrazia. Ritiene che aggiungere una specificazione al termine «democrazia» non sia compito della Commissione e non risponda alla realtà della vita politica.

MASTROJANNI si associa alle considerazioni dell’onorevole Grassi, aggiungendo che il lavoro come fondamento della democrazia è già stato oggetto di particolare considerazione da parte della Sottocommissione e che inserire, dopo la definizione dello Stato, un concetto particolaristico costituirebbe un errore anche dal punto di vista dell’estetica della Costituzione.

MARCHESI fa osservare all’onorevole Grassi, il quale si è riferito a una definizione aristotelica dei diversi tipi di reggimenti politici, che anche gli antichi affermavano che le tre forme di governo citate recavano in sé i germi della degenerazione; e la storia ha dimostrato che esse si sono pervertite nel corso degli avvenimenti. D’altra parte, la parola «democrazia» è seriamente compromessa dalla documentazione storica dei significati che le sono stati attribuiti, ed è ormai una parola svuotata di contenuto. Se si ricorda che il movimento fascista fu favorito in larga parte da correnti che si dicevano democratiche, si capisce quale differenza vi sia tra la democrazia fittizia e la vera democrazia cui oggi aspira l’Italia. Tutti riconoscono inoltre che il lavoro, fattore vecchio dello sfruttamento umano, è invece nuovo e imponente nell’organizzazione politica e sociale della vita pubblica, e la stessa Commissione lo ha affermato nella formulazione dei suoi articoli. Pertanto, va approvata l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, la quale non intende per lavoratori soltanto quelli del braccio, ma tutti coloro che convertono la propria attività individuale in un’attività sociale. La parola «lavoratori», che poteva destare sospetti e avversioni mezzo secolo fa, oggi, dopo quanto è avvenuto, non può significare altro che il cittadino nella più alta espressione della propria attività.

Conclude dichiarando di associarsi alla proposta dell’onorevole Basso.

CARISTIA ritiene che, contrariamente a quanto hai affermato l’onorevole Marchesi, la democrazia possa anche oggi avere il suo significato, specialmente se incrementata e perfezionata in modo da poter veramente significare governo del popolo e per il popolo. Democrazia significa lotta pacifica e civile tra i partiti, rispetto delle minoranze, possibilità di controllo su tutte le manifestazioni delle amministrazioni dello Stato e del potere esecutivo in genere: compiti fondamentali in qualsiasi tipo di democrazia. Che la democrazia degeneri è un fatto umano, questo non esclude che essa si possa riprendere; né va escluso che alla nuova democrazia debbano concorrere le forze del lavoro.

Ritiene però che detti concetti vadano inseriti nel preambolo e che per l’articolo in esame debba essere mantenuta la formulazione scheletrica proposta dal Relatore onorevole Cevolotto.

LA PIRA riconosce che oggi esistono effettivamente due tipi di democrazia: una limitata al campo politico, derivata dai principi liberali del 1789, ed una estesa al campo dell’economia. Questo nuovo tipo di democrazia deve essere specificato ed affermato, come del resto ha già fatto la Sottocommissione approvando gli articoli in tema di lavoro. Se sono giuste le osservazioni dell’onorevole Caristia, ha anche ragione l’onorevole Marchesi di preoccuparsi che il concetto di democrazia venga specificato in rapporto alla situazione attuale. Ritiene pertanto che si debba accogliere la proposta dell’onorevole Moro, che mira ad integrare il concetto di democrazia contenuto nella formula dell’onorevole Cevolotto, estendendolo al campo economico, con l’aggiunta dell’articolo già approvato in sede di rapporti economici.

BASSO fa osservare che, né da parte comunista né da parte socialista, si è negato il principio democratico, ma si è soltanto detto che esso deve essere specificato secondo le nuove esigenze. Che la forma di democrazia, scaturita dalla Rivoluzione francese, fosse già in crisi prima della guerra 1915-18, è una constatazione fatta non soltanto da scrittori socialisti, ma da studiosi appartenenti a tutte le correnti politiche.

Ora il dire che lo Stato italiano è una Repubblica democratica non specifica nulla nei riguardi delle trasformazioni che il concetto di democrazia ha subìto nel corso degli ultimi 150 anni. Invece l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti afferma un nuovo tipo di democrazia che ha per fondamento il lavoro nelle sue diverse manifestazioni, e sostituisce alla democrazia a base individualistica una democrazia di lavoratori, intendendo per lavoratore colui che converte la sua attività patrimoniale, intellettuale o manuale in un bene sociale. Tale esigenza è talmente sentita da essere non soltanto l’espressione del pensiero socialista, anche di altre correnti politiche italiane quali ad esempio, quelle rappresentate da impartito che ha sentito la necessità, di denominarsi: partito democratico del lavoro.

Conclude affermando che l’articolo, per essere costituito armonicamente in tutti i suoi concetti, deve risultare dalla formula dell’onorevole Cevolotto, integrata dalla specificazione «di lavoratori» proposta dall’onorevole Togliatti, nonché dall’aggiunta, proposta dall’onorevole Moro, dell’articolo approvato in sede di rapporti economici.

GRASSI replica all’onorevole Basso che quello che cambia non è tanto il concetto di democrazia quanto il contenuto della democrazia stessa: le forme della democrazia mutano secondo le fasi storiche e secondo la partecipazione del popolo alla vita politica, ma la democrazia rimane sempre.

Si dichiara favorevole a che la Costituzione stabilisca che il lavoro partecipa in pieno alla democrazia italiana; è contrario invece alla dizione «repubblica di lavoratori», perché essa fa sorgere il sospetto che si parli di una repubblica classista, e non più di una repubblica democratica per tutto il popolo.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Basso che dagli studiosi cui egli ha accennato non sempre è denunziata la crisi profonda della democrazia, perché ve ne sono di quelli che validamente la difendono e l’apprezzano.

MASTROJANNI rileva che, per integrare il concetto di democrazia, bisogna tener conto di tutti gli elementi di cui il concetto stesso si era venuto svuotando negli ultimi tempi. Uno solo di tali elementi è stato identificato: il lavoro. Ma ve ne sono altri di cui si dovrebbe tener conto nella formula perché il ripristino del concetto di democrazia sia integrale: quelli che si riferiscono alla libertà di tutti gli individui, al riconoscimento delle necessità dell’esistenza. La Costituzione non può dare la preferenza ad alcuni fattori soltanto, ma deve riconoscerli tutti. Quando si identifica nella Costituzione, la Repubblica italiana solo attraverso la concezione del lavoro, si viene a trascurare quanto non può essere compreso in questa vasta ed essenziale categoria. Ora egli non ritiene opportuno ed equo che non si dia asilo nella Repubblica democratica italiana a coloro che, per ipotesi, potessero essere considerati non appartenenti alla grande categoria dei lavoratori. Il vero concetto di democrazia è: asilo per tutti, tolleranza per tutti. Invece, completando il concetto di repubblica democratica con la precisazione proposta dall’onorevole Togliatti, encomiabile di per se stessa, ma inopportuna per le sue conseguenze, si verrebbe a fare una repubblica classista.

MORO osserva che tutti concordano sulla necessità della specificazione «Repubblica democratica», ma non ci si può nascondere che l’indicazione proposta dall’onorevole Togliatti potrebbe apparire alla pubblica opinione come una affermazione di una particolare ideologia, di uno speciale partito.

Domanda perciò all’onorevole Togliatti se egli accetterebbe una definizione più oggettiva della Repubblica, aggiungendo alla formula dell’onorevole Cevolotto le parole: «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale». Potrebbe poi seguire – come ha già proposto – un capoverso riproducente l’articolo già approvato dalla Sottocommissione in materia di rapporti economici.

TOGLIATTI fa presente che la formula da lui proposta risponde esattamente agli articoli sul lavoro approvati dalla Commissione, il primo dei quali diceva che: «Il lavoro… è il fondamento della democrazia italiana». Con questo il concetto di democrazia veniva collegato col concetto di lavoro; onde la formulazione già approvata dalla Sottocommissione troverebbe la sua espressione giuridica più concisa nel termine «Repubblica democratica di lavoratori», che non restringe il concetto di democrazia, ma specifica quale è il contenuto sociale della democrazia stessa. Né può intendersi, come ha affermato l’onorevole Mastrojanni, che si vogliano escludere dalla vita del Paese certe categorie di cittadini, perché negli articoli successivi viene specificato in che senso è inteso il dovere del lavoro.

Ricorda l’invito da parte della Commissione plenaria ad usare formule il più possibilmente costituzionali e giuridiche; ora la dizione che egli ha proposto risponde a questa esigenza, riassumendo in una formula costituzionale la sostanza dei concetti espressi anche negli articoli successivi.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Togliatti il suo parere in merito alle proposte dell’onorevole Moro.

TOGLIATTI dichiara di accettare soltanto la prima proposta, di inserire cioè, subito dopo la formula che egli ha presentato, il capoverso già approvato in tema di rapporti economici.

MARCHESI fa osservare che, se la formula proposta dall’onorevole Togliatti dovesse essere limitata alle parole «è una repubblica democratica di lavoratori» si giustificherebbero le preoccupazioni che sono state manifestate. Ma, poiché a queste parole si propone di far seguire, come esplicazione, l’articolo sul lavoro già approvato dalla Sottocommissione, non ci sarà più dubbio per nessuno che non si tratta di una repubblica socialista, ma di una repubblica fondata su quei principî che la Sottocommissione stessa ha già approvati.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che, qualora si aggiunga all’articolo da lui proposto l’articolo già approvato, si rende più che mai necessaria l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, altrimenti non si avrebbe ragione di aggiungere il capoverso stesso, e si dovrebbe lasciarlo dove è presentemente collocato.

Poiché ritiene utile di specificare di che genere di repubblica si intenda parlare, ed accoglie l’emendamento proposto dall’onorevole. Togliatti, aggiuntivo delle parole «di lavoratori», è favorevole a che il testo dell’articolo sul lavoro venga trasportato a questo punto come capoverso.

PRESIDENTE mette ai voti la formula originaria dell’onorevole Cevolotto: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica».

(È approvata all’unanimità).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti di aggiungere le parole «di lavoratori».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’aggiunta, non perché ritenga che lo Stato italiano non sia uno Stato di lavoratori, ma perché questa aggiunta potrebbe dare alla Costituzione stessa un carattere classista.

DE VITA dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti, in quanto ritiene che qualunque aggiunta alle parole: «è una repubblica democratica», non possa essere se non una specificazione unilaterale.

CARISTIA dichiara che voterà contro la proposta aggiuntiva dell’onorevole Togliatti, ritenendola inopportuna.

MORO dichiara che voterà a favore della formula proposta dall’onorevole Togliatti, tenendo conto dei chiarimenti dati alla proposta stessa dall’onorevole Marchesi e con la speranza che essa venga costantemente interpretata in avvenire nel modo con cui l’ha interpretata l’onorevole Marchesi.

LA PIRA dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti per le ragioni già espresse, e perché il concetto è già consacrato negli articoli che seguono, particolarmente in quello cui ha fatto cenno l’onorevole Moro.

 

GRASSI dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Togliatti, poiché tiene che essa verrebbe a dare alla Costituzione un carattere classista.

PRESIDENTE, confermando quanto ha già precedentemente osservato in merito, alla proposta dell’onorevole Togliatti, dichiara che voterà contro.

Mette ai voti la proposta.

(È respinta con 8 voti contrari e 7 favorevoli).

LA PIRA dichiara di far sua la proposta dell’onorevole Moro, tendente ad aggiungere alle parole: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica» le altre «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale».

BASSO dichiara che si asterrà dal votare tale proposta.

GRASSI propone che sia espresso il voto che l’Ufficio di Presidenza, in sede di coordinamento, tenga presente la possibilità di coordinare l’articolo testé approvato con l’altro approvato a suo tempo in materia di rapporti di lavoro, e modificato dal Comitato di coordinamento.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Grassi, poiché ognuno deve assumere in questa sede la sua responsabilità. Nel caso specifico tiene a dichiarare che voterà contro qualunque aggiunta alle parole «Lo Stato italiano è una repubblica democratica», poiché ritiene che qualunque aggettivazione della parola «democratica» significhi dare alla Costituzione un valore programmatico, e questo è contro ai suoi principî, in quanto la Costituzione deve essere aperta a tutte le tendenze, di qualunque tipo, purché oneste.

CARISTIA dichiara che voterà contro la proposta La Pira per le stesse ragioni già espresse prima.

PRESIDENTE dichiara che voterà contro l’aggiunta proposta, perché lo stesso concetto può meglio esprimersi e trovare più adatto collocamento in un capò verso.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro, associandosi pienamente alle considerazioni già espresse dall’onorevole Lucifero.

MORO dichiara di ritenere opportuno trovare una formula intermedia, che possa essere accettata da tutti, e prega l’onorevole La Pira di non insistere nel ripresentare come sua una proposta dall’oratore già precedentemente ritirata.

LA PIRA dichiara di non insistere.

MORO ritiene che non debba essere adottato come capoverso il testo dell’articolo nella formula coordinata, ma quello originariamente votato dalla prima Sottocommissione.

LUCIFERO concorda.

PRESIDENTE ricorda che il testo dell’articolo approvato dalla Sottocommissione era così formulato: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

Questo articolo, in sede di coordinamento, fu tramutato nel seguente: «La Repubblica democratica italiana ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

Comunica che l’onorevole Moro propone che come capoverso dell’articolo in discussione sia adottato il testo dell’articolo originariamente approvato dalla Sottocommissione.

GRASSI fa osservare che sono stati deferiti al Comitato di coordinamento dei poteri, per cui questo Comitato ha formulato un articolo in un determinato testo; quindi, non si può ora adottare un testo nuovo. Ritiene che la Commissione possa soltanto esprimere il voto che l’articolo proposto come capoverso venga connesso con l’altro già formulato dal Comitato di coordinamento.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con quanto ha esposto l’onorevole Grassi circa la questione pregiudiziale da lui posta. Fa osservare che il Comitato di coordinamento ha proceduto alla formulazione di un articolo del tutto nuovo. D’altra parte, non poteva procedere ad un coordinamento, in quanto non esisteva un articolo della terza Sottocommissione che corrispondesse a quello formulato dalla prima. Ritiene però che, così agendo, il Comitato stesso abbia esorbitato dalle sue attribuzioni, poiché ha modificato un articolo già approvato da una Sottocommissione.

Non riconosce al Comitato di coordinamento, nominato con un compito specifico, il diritto di modificare una deliberazione presa a maggioranza da una Sottocommissione, delibazione che potrà essere eventualmente modificata soltanto in sede di Commissione plenaria.

Per queste ragioni si dichiara favorevole alla proposta dell’onorevole Moro, cioè che, come capoverso, si mantenga l’articolo nel testo formulato dalla prima Sottocommissione.

CEVOLOTTO, Relatore, fa osservare all’onorevole Lucifero che la terza Sottocommissione, pur non avendo formulato un articolo corrispondente, aveva però trattato lo stesso tema dei diritti economici del lavoro, di competenza comune delle due Sottocommissioni. Il Comitato di coordinamento non doveva soltanto discutere sugli articoli che erano stati formulati dalla prima e dalla terza Sottocommissione, ma anche coordinare tutto il lavoro ed occuparsi della formulazione definitive di tutta la materia. Quindi se i Commissari della terza Sottocommissione, ai quali bisogna riconoscere una competenza anche in questa materia, hanno richiesto delle modificazioni agli articoli che erano stati formulati dalla prima Sottocommissione, avevano tutto il diritto di farlo e il Comitato di coordinamento, nell’accedere a questo desiderio, non ha esorbitato dal compito assegnatogli.

Non ritiene che oggi la Sottocommissione possa ritornare al testo originario dell’articolo: essa deve servirsi del testo coordinato per aggiungere un capoverso all’articolo in esame, ed egli non ha nulla in contrario ad accedere a questa soluzione. Propone pertanto che all’articolo da lui formulato, il quale dice: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica», venga aggiunto un capoverso formulato nel modo seguente:

«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

LUCIFERO replica all’onorevole Cevolotto che il Comitato di coordinamento ha profondamente modificato il senso dell’articolo formulato dalla prima Sottocommissione, e con ciò è andato al di là delle funzioni ad esso attribuite.

MORO fa rilevare che la Sottocommissione non sta facendo un coordinamento e neppure uno spostamento di collocazione di una formula da una parte all’altra della Costituzione, nel quale caso si troverebbe impegnata da quanto è stato deciso in sede di coordinamento. Essa sta elaborando un nuovo articolo, nel quale ritiene necessario definire la sostanza della democrazia italiana, e a questo scopo può servirsi liberamente della formula che le sembra più conveniente. Pertanto, insiste perché venga adottata la formula originaria da lui proposta.

PRESIDENTE mette anzitutto ai voti il capoverso secondo la formula proposta dall’onorevole Moro, che è del seguente tenore:

«Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

CEVOLOTTO, Relatore, dichiara che voterà contro questa aggiunta, perché è favorevole alla formulazione espressa dal Comitato di coordinamento.

DOSSETTI, Relatore, dichiara di votare a favore del capoverso aggiuntivo proposto dall’onorevole Moro. Dichiara altresì che se fosse stato presente alla votazione della prima parte dell’articolo, avrebbe votato a favore della formula proposta dall’onorevole Togliatti, che cioè la Repubblica italiana è una repubblica di lavoratori.

LUCIFERO dichiara di votare a favore della formula aggiuntiva, che è quella originariamente proposta dalla prima Sottocommissione, perché, pur essendo contrario al suo contenuto, ritiene che si debba mantenere la formula deliberata dalla maggioranza della prima Sottocommissione e che il comitato di coordinamento non abbia il diritto è la facoltà di introdurre modifiche sostanziali a quanto la maggioranza della prima Sottocommissione ha deliberato.

CARISTIA dichiara di votare contro, perché ritiene inopportuno il capoverso aggiuntivo.

MASTROJANN1 dichiara di votare contro l’aggiunta, perché la ritiene inopportuna in questa sede.

(Il capoverso aggiuntivo proposto dall’onorevole Moro è respinto con 8 voti contrari, 7 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso aggiuntivo nella formulazione approvata dal comitato di coordinamento, che è la seguente:

«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

MORO dichiara di votare a favore di questa aggiunta, perché la ritiene indispensabile come un chiarimento alla prima parte dell’articolo già approvato.

LUCIFERO dichiara che voterà contro il capo verso aggiuntivo, in quanto esso rappresenta una formulazione nuova di cui egli non condivide il contenuto.

GRASSI dichiara che voterà a favore della formula aggiuntiva in quanto, avendo fatto parte del comitato di coordinamento, ha già votato a favore di questa formula in quella sede.

MASTROJANNI dichiara di votare contro la formula, perché, pur concordando col suo contenuto, ritiene che essa debba restare al posto assegnatole in un primo tempo.

AMADEI dichiara di votare a favore della formula, perché esprime lo stesso concetto contenuto nella proposta dell’onorevole Togliatti.

(Il capoverso aggiuntivo è approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari).

 

PRESIDENTE mette ai voti l’intero articolo così formulato:

«Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

(L’intero articolo è approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari).

Pone in discussione il secondo degli articoli proposti dall’onorevole Cevolotto così formulato:

«Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la Costituzione e le leggi».

Comunica che l’onorevole Togliatti ha presentato i seguenti due emendamenti aggiuntivi dell’articolo stesso:

«1°) La forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo, né davanti alle Assemblee legislative;

«2°) I beni della casa Savoia sono confiscati a favore dello Stato».

Apre la discussione sul primo di questi emendamenti aggiuntivi.

LUCIFERO osserva che con questa formula si giungerebbe a stabilire dei vincoli alla sovranità popolare. Il popolo si è data la forma repubblicana e, finché vuole tale forma, è giusto che essa sia mantenuta. Se domani però la maggioranza dei cittadini si orientasse in un senso diverso circa la forma istituzionale dello Stato, il popolo ha tutto il diritto di poterla cambiare. Dichiara di ritenere che qualunque limitazione alla sovranità popolare sia contraria alla democrazia.

CEVOLOTTO, Relatore, rileva che la formula proposta dall’onorevole Togliatti non contrasta la possibilità dell’esplicazione della volontà popolare, ma mira soltanto ad impedire che si possa modificare la forma istituzionale dello Stato senza modificare la Costituzione, e che la forma istituzionale dello Stato possa essere messa in discussione, per esempio sotto la forma del referendum.

Osserva però che la formula è superflua perché, se vuole ovviare al pericolo che si chieda in qualunque momento un referendum che implichi una modificazione della forma repubblicana assunta dallo Stato, lo svolgimento di questo referendum è già reso impossibile dalla Costituzione che si sta facendo. Parimenti superflua essa è se si vuol dire semplicemente che una modificazione della forma repubblicana non può avvenire se non attraverso quelle forme che la Costituzione detterà per la modificazione della Costituzione stessa.

D’altra parte, sarebbe non solo fuori di luogo, ma inutile, cercare di impedire che, anche nelle forme previste per la revisione della Costituzione, si potesse eventualmente chiedere, ove ci fosse una maggioranza che lo pretendesse, di modificare la forma istituzionale dello Stato. Ritiene, quindi, che l’emendamento proposto dall’onorevole Togliatti esprima la lodevole intenzione di dare una sicurezza alla forma repubblicana dello Stato, ma in realtà nulla aggiunga e nulla tolga a quello che nella Costituzione sarà previsto.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Togliatti se, in base alla formula da lui proposta, dovrebbe essere considerato come reato un articolo di giornale che discutesse la forma repubblicana dello Stato.

TOGLIATTI dichiara che l’aggiunta da lui presentata si propone di ancorare lo Stato italiano alla forma repubblicana. Tale formula ha una funzione storica e politica di notevole valore.

Ritiene giuridicamente non esatta l’osservazione dell’onorevole Lucifero, che con questa aggiunta si verrebbe a limitare la sovranità popolare; perché è proprio la sovranità popolare che ha scelto la forma istituzionale dello Stato e l’ha decisa per l’avvenire. Fa presente d’altra parte che l’ultima Costituzione della Repubblica francese contiene un articolo, il 95, il quale dice pressappoco quanto è detto nella formula da lui proposta, e cioè che la forma repubblicana dello Stato non può formare oggetto di revisione.

Rispondendo infine al Presidente, chiarisce che l’affermare che la forma repubblicana non può essere messa in discussione davanti al popolo e davanti alle Assemblee legislative, vuol dire che costituzionalmente la forma repubblicana diventa la forma permanente dello Stato italiano, ma non vuol dire certamente che sia un reato discutere la forma repubblicana dello Stato e dichiararsi monarchici. Questa, se mai, è una questione che riguarda la legislazione penale.

PRESIDENTE fa presente di aver posto la domanda solo perché il pensiero espresso nella formula risultasse chiaro.

TOGLIATTI dichiara di ritenere che la sua formula non possa prestarsi all’interpretazione cui aveva accennato il Presidente con la sua domanda. Questo in esame è un articolo di Costituzione, non un articolo di Codice penale. Se in un articolo di Codice penale venisse fatta la stessa affermazione e poi seguissero le sanzioni, allora si potrebbe pensare che il contrastarvi costituisca un reato. Ma il dire nella Costituzione che la forma repubblicana dello Stato non può essere messa in discussione né davanti al popolo, né davanti alle Assemblee legislative, non può voler significare altro, se non che non si può ripetere una consultazione popolare per decidere se lo Stato debba assumere la forma repubblicana o la forma monarchica, e che non si può nemmeno riproporre una tale questione davanti alle Assemblee legislative. Conclude ripetendo che la formula da lui proposta risponde all’esigenza di ancorare lo Stato italiano alla forma repubblicana, anche per evitare motivi di dissenso e di discordia che potrebbero sorgere in seno alle masse.

GRASSI fa osservare all’onorevole Togliatti che, mentre la formula della Costituzione francese è chiara, quella da lui proposta si presta alla interpretazione cui ha accennato il Presidente, e si risolve in un bavaglio imposto all’opinione pubblica italiana, contravvenendo ai più elementari principî della democrazia.

Ritiene che, o la Repubblica è fondata sulla convinzione generale, oppure non sarà certamente la Costituzione a mantenerla con le sue dichiarazioni. Un’affermazione come quella proposta dall’onorevole Togliatti sarebbe pericolosa, perché darebbe al Paese la possibilità di dover ricorrere all’insurrezione qualora si formasse in Italia una situazione la quale permettesse una restaurazione monarchica. Si dichiara perciò contrario all’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, aggiungendo che potrebbe accedere alla norma contenuta nell’articolo 95 della Costituzione francese, ma formulata altrimenti.

MASTROJANNI dichiara di essere contrario all’aggiunta dell’onorevole Togliatti, e di dissentire anche dalle considerazioni dall’onorevole Cevolotto sull’argomento. Ritiene che la formula precluda ogni possibilità alle aspirazioni di una massa di italiani, i quali sarebbero costretti a ricorrere alla violenza. Per evitare ciò si deve restare in pieno regime democratico, rispettando quelle libertà di pensiero, di coscienza, di stampa che sono state affermate come diritti inalienabili e imprescrittibili del cittadino. Una Costituzione può affermare delle realtà storiche, ma non può impegnare per l’avvenire l’evoluzione del pensiero. In un regime democratico deve essere consentito, in qualsiasi momento, di portare sulla ribalta della vita politica e sulla scena della storia quella che oggi potrebbe sembrare un’affermazione apodittica.

DE VITA si dichiara d’accordo sullo spirito della proposta dell’onorevole Togliatti, in cui non vede alcuna limitazione della sovranità popolare. Ritiene che in regime repubblicano possano essere lecite alcune attività se mantenute entro determinati limiti, ma altre attività le quali superano questi limiti, possono essere benissimo considerate come attentati all’ordine costituito. Ritiene quindi che debba essere approvata una proposta come quella Togliatti, la quale tende effettivamente a rafforzare quest’ordine costituito che è l’ordine repubblicano.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Togliatti ha emendato la sua formula in questo senso:

«La forma repubblicana dello Stato non può essere oggetto di proposta di revisione costituzionale».

DOSSETTI, Relatore, propone una breve sospensione della seduta per dare ai Commissari la possibilità di riflettere su una norma la cui portata può provocare dissensi, pur essendo tutti d’accordo nei riguardi dell’obiettivo finale che è quello di consolidare definitivamente la Repubblica.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti propone la seguente formula sostitutiva di quella proposta dall’onorevole Togliatti:

«La forma repubblicana è definitiva. Né l’iniziativa popolare né il voto dell’Assemblea legislativa possono metterla in discussione».

CEVOLOTTO, Relatore, per mozione d’ordine, dichiara di ritenere che, così come è nella Costituzione francese, la questione in esame debba avere il suo collocamento non in questa sede, ma là dove si tratta del modo di modificare o di rivedere la Carta costituzionale. Propone quindi che la questione venga demandata alla seconda Sottocommissione, pregando questa di farne oggetto di una deliberazione.

MORO si dichiara contrario alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto perché, avendo la prima Sottocommissione fissato la forma dello Stato, con il dichiarare che la forma dello Stato italiano è quella repubblicana democratica, ha il diritto di dire che questa forma è definitiva.

GRASSI si dichiara favorevole alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto, perché alla prima Sottocommissione spetta solo di affermare qual è la forma dello Stato italiano, e non di stabilire se il tipo di Costituzione debba essere rigido o flessibile.

DE VITA si dichiara contrario alla mozione dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE fa presente che la Costituzione francese colloca la questione in esame in un capitolo speciale dove si parla della revisione della Costituzione.

Ritiene che la questione della revisione della Costituzione sia di tale gravità e di carattere così generale da costituire il compito non già di una delle tre Sottocommissioni, ma dell’Assemblea Plenaria. Spetterà a questa di decidere circa la rigidità o flessibilità della Carta Costituzionale.

MORO fa presente che il problema in esame è soprattutto politico, perché ci si trova di fronte ad una istituzione repubblicana di recente creata in Italia, mentre ancora sussistono forze politiche disorganizzate, le quali alimentano le speranze di alcuni strati del popolo in un ritorno monarchico, sfruttandone la ingenuità.

Queste forze pensano che sia possibile il ritorno del re in Italia, e che ciò possa avvenire attraverso una decisione popolare o una semplice maggioranza conseguita nelle Assemblee parlamentari. La Sottocommissione deve preoccuparsi di questa situazione, e affermare una norma che dica al popolo italiano che vi è una sanzione sovrana che non può essere messa in discussione. Tale norma può trovare la sua più opportuna espressione in una formula che non si preoccupi troppo della revisione della Costituzione, ma delle speranze che vengono alimentate nell’ingenuità popolare e che costituiscono un pericolo per la stabilità dell’ordine costituito in Italia.

TOGLIATTI si dichiara contrario alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto per i motivi esposti dall’onorevole Moro. Afferma che non si tratta in questa sede di preparare o di escludere la revisione del regime repubblicano, ma di risolvere un problema che esiste nel Paese, introducendo un motivo di pacificazione politica.

MASTROJANNI si dichiara favorevole alla mozione proposta dall’onorevole Cevolotto ed illustrata dall’onorevole Grassi, osservando che le ragioni addotte dall’onorevole Moro non sono convincenti. Contesta all’onorevole Moro il diritto di definire ingenuo il popolo italiano, classificando come ingenuo un sentimento radicato nel suo animo.

Fa presente inoltre che il problema se la Costituzione debba essere rigida o flessibile esula dalla competenza della Sottocommissione, e che l’affermazione con la quale si vorrebbe togliere al popolo la possibilità di ritornare su altre posizioni, non risponde ai principî delle libertà che con tanta solennità sono stati più volte affermati in questa Costituzione.

DE VITA ripete che la formula proposta dall’onorevole Togliatti non significa diminuzione della sovranità popolare. Un articolo del genere, inserito nella Costituzione, ha il significato che finché esso vige, nella Costituzione non può essere posta in discussione la forma istituzionale dello Stato. È chiaro, però, che l’articolo della Costituzione può essere modificato attraverso i modi di revisione previsti.

PRESIDENTE mette ai voti la mozione d’ordine presentata dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara che voterà a favore di tale mozione.

DOSSETTI dichiara di associarsi alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Moro.

(La mozione dell’onorevole Cevolotto è respinta con 6 voti favorevoli, 8 contrari e 1 astenuto).

LUCIFERO propone che, stante l’ora tarda, la seduta venga rinviata.

TOGLIATTI osserva che, dovendosi soltanto procedere ad una votazione, è opportuno continuare la seduta.

LUCIFERO obietta che non si tratta di votare, puramente e semplicemente, ma di fare una discussione sul merito della proposta avanzata dall’onorevole Togliatti.

MARCHESI propone che la questione del rinvio o meno della seduta venga messa ai voti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinviare alla seduta di domani la discussione sul merito della proposta dell’onorevole Togliatti.

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

La seduta termina alle 13.20.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Mancini e Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

41.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti (Discussione)

Presidente – Cevolotto, Relatore – Dossetti, Relatore – La Pira – Togliatti – Mastrojanni – Merlin Umberto – Basso.

La seduta comincia alle 11.

Discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.

PRESIDENTE ricorda che, come si era in precedenza stabilito, la presente riunione deve essere dedicata ad un riassunto quanto più conciso possibile delle relazioni degli onorevoli Cevolotto e Dossetti.

Dà la parola al primo Relatore onorevole Cevolotto.

CEVOLOTTO, Relatore, non crede che occorra riassumere la sua relazione, perché in essa sono esposti concetti alla portata di tutti. Quello che gli importa è di porre in evidenza i punti di convergenza e di divergenza tra le sue proposte e quelle dell’onorevole Dossetti. Per la parte che si riferisce allo Stato alcuni punti di divergenza sono più che altro formali, in quanto, mentre nella sua formulazione ha cercato di ridurre al minimo gli articoli, in quella dell’onorevole Dossetti si è abbondato in affermazioni come quella dell’articolo 1, di carattere teorico, o filosofico-morali. È questa una questione di metodo e di impostazione, su cui crede sarà facile trovare un punto di intesa.

Rileva in particolare che nella prima parte l’onorevole Dossetti ha innestato questioni che dovrebbero invece essere trattate nella seconda parte, cioè in quella relativa alla libertà di culto e alle relazioni tra Chiesa e Stato, come nell’articolo 4 che tratta del riconoscimento da parte dello Stato dell’ordinamento della Chiesa, e nell’articolo 6 nel quale si stabilisce che le norme di diritto internazionale, come gli accordi attualmente in vigore tra lo Stato e la Chiesa, fanno parte dell’ordinamento dello Stato. Secondo questo ultimo articolo, il principio affermato dallo stesso oratore, che le norme di diritto internazionale universalmente riconosciute possono far parte del diritto interno dello Stato, viene ad essere esteso anche agli accordi tra lo Stato e la Chiesa, che invece hanno piuttosto carattere di convenzioni particolari tra due Stati. In relazione a tali convenzioni particolari, sorge quindi il problema se esse possano essere richiamate nella Costituzione come facenti parte del diritto interno dello Stato italiano. Questa affermazione viene maggiormente accentuata dal successivo articolo 7, nel quale si fa un esplicito richiamo agli Accordi del Laterano, che rimangono confermati non solo come base del diritto nelle relazioni tra Stato e Chiesa, ma anche come riaffermazione del principio contenuto nell’articolo 1 del Trattato Lateranense, che la religione cattolica è la religione dello Stato.

Da quanto ha esposto discendono due punti sostanziali di divergenza con l’onorevole Dossetti, sui quali molto probabilmente non tenterà nemmeno di giungere ad un accordo e su cui forse si discuterà meno di quello che potrebbe credersi, perché le rispettive posizioni sono state chiarite già tante volte che nessuno potrà pensare di poter addurre nuovi argomenti per convincere la parte avversa.

Non ha richiamato nelle sue proposte il principio che la religione cattolica è la religione dello Stato, che era sancito nell’articolo 1 dello Statuto Albertino, ma che l’evoluzione del diritto costituzionale in Italia aveva messo in realtà in desuetudine. Ricorda a tale proposito una monografia dello Jemolo che, subito dopo la prima guerra mondiale, sosteneva che il suddetto articolo era stato addirittura abrogato da leggi posteriori in contrasto con il principio in esso contenuto. Lo Stato italiano, quindi, da confessionale si era messo sulla strada di divenire aconfessionale, quando è intervenuto il Trattato del Laterano, che ha rimesso in vita l’articolo 1 dello Statuto Albertino.

Si domanda a questo proposito se nel fare la nuova Costituzione si è o meno vincolati da questo Trattato. Personalmente ritiene che un trattato, sia pure di carattere internazionale, non possa vincolare l’Assemblea costituente.

Tiene poi a precisare che l’omissione del principio di cui sopra non è stata motivata dall’intento di rinviare la questione in sede di discussione di trattati, ma perché, riferendosi il Trattato Lateranense all’articolo 1 dello Statuto Albertino, per il fatto stesso che la nuova Costituzione non contenesse più la enunciazione dell’articolo 1 dello Statuto medesimo, il richiamo del Trattato Lateranense non avrebbe più una base e verrebbe automaticamente a cadere.

A suo avviso, la Costituzione dovrebbe essere quella di uno Stato aconfessionale, sia nella forma che nella sostanza, sull’esempio della Costituzione francese, che pure è stata deliberata da una Assemblea nella quale il partito popolare aveva una parte notevole. Di proposito non parla di Stato laico, potendosi a questa definizione dare, per ragioni quasi storiche, un significato di anticlericalismo, al quale si dichiara invece assolutamente contrario. In primo luogo, perciò, non bisognerebbe ripetere l’articolo 1 del Trattato del Laterano. In questo campo è profondamente diviso dall’onorevole Dossetti e reputa che l’accordo non potrà essere raggiunto. È convinto, infatti, che se si ripetesse il concetto di quell’articolo, si verrebbe di nuovo a creare uno Stato confessionale, anche se si ammettessero poi tutte le possibili disposizioni sulla libertà di culto e di propaganda per le altre religioni. La sua posizione parte, invece, dal principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle minoranze. Se si ammette questo principio essenziale della libertà umana, cioè il diritto delle minoranze, si deve logicamente venire alla conclusione che tale diritto è uguale a quello delle maggioranze e quindi la regolamentazione giuridica deve essere per ambedue fondamentalmente la stessa. Riconosce che la regolamentazione amministrativa nei riguardi della religione cattolica dovrà essere diversa da quella per altre religioni, perché incide su fenomeni di portata diversa, ma ciò non toglie che il principio costituzionale debba essere eguale per tutti. Inoltre, creando uno Stato confessionale, si dovrebbero poi lamentare le stesse conseguenze che si sono già avute nel passato. Cita due casi in particolare. Il Codice penale – che è posteriore al Trattato del Laterano – regola negli articoli 402 e seguenti i reati contro la religione dello Stato, fissando le relative pene. Nell’articolo 406 si prevede però che per i delitti contro i culti ammessi, tali pene possano essere diminuite. Questa norma può essere giusta finché la religione dello Stato ha una sua particolare preminenza, ma non è giusta, e non deve essere tale, secondo i suoi principî, se tutte le religioni devono avere diritto di uguaglianza di trattamento.

Il secondo caso, che desidera citare, riguarda una sentenza della magistratura, la quale, nell’assolvere per mancanza di dolo un sacerdote accusato di aver strappato ad un ministro valdese e fatto bruciare delle Bibbie di traduzione protestante, afferma chiaramente che i diritti di propaganda degli altri culti devono essere considerati sotto il riflesso che vi è una religione preminente delle Stato. Ora lo Stato non è una persona fisica che possa avere una o l’altra religione e quindi la religione dello Stato non può avere altro significato che quello dello Stato confessionale. Allora, qualunque sia la libertà che si vuole dare agli altri culti, per quanto larghi si voglia essere nelle concessioni, vi sarà sempre il presupposto della religione predominante di Stato, alla luce della quale soltanto dovrà essere interpretata la libertà garantita alle altre religioni.

Per questo motivo, se per caso la Costituzione dovesse – per volere della maggioranza – ammettere il principio della religione di Stato come posizione di ripiego, gli articoli che stabiliscono la garanzia e la libertà dei vari culti ammessi, dovrebbero essere molto più ampliati di quello che in origine egli aveva ideato.

Passa quindi ad un altro punto di dissenso, vale a dire al richiamo che nella formulazione dell’onorevole Dossetti è stato fatto al Concordato e in genere ai Patti Lateranensi.

Rileva innanzi tutto che si deve ammettere la possibilità di modificare, sia pure senza volerli denunciare, il Trattato del Laterano e il Concordato per quanto riguarda certe statuizioni che non possono essere più ammesse. Il suo partito non soltanto non può consentire che siano richiamati nella Costituzione né il Trattato né il Concordato, né l’affermazione che essi rimangono in vigore, dovendo a questo provvedere il Governo in sede di relazioni internazionali, ma non può neanche lasciare immutato il Concordato stesso. A parte la questione dell’insegnamento religioso nelle scuole che sarà oggetto di discussione successiva; a parte la rinunzia di sovranità rappresentata dal fatto che lo Stato italiano abbia abdicato a una delle sue maggiori funzioni, cioè a decidere sulle cause relative al matrimonio, vi è una questione a cui, a suo avviso, si dovrà per forza provvedere ed è quella relativa all’articolo 5 del Concordato, affinché non si possa ripetere che un cittadino, per il solo fatto di essere stato privato dell’abito talare, non possa essere assunto, né conservato in un insegnamento, in un ufficio o impiego, nei quali sia a contatto col pubblico. Non ha nessuna simpatia per i preti spretati, ma quando si tratta di uomini dell’altezza morale di un Buonaiuti o della scienza di un Bertrando Spaventa, non può assolutamente ammettere che siano messi al bando della società.

Riassumendo, due sono i punti di maggiore disaccordo: cioè, la riaffermazione del principio dell’articolo 1 del Trattato Lateranense ed il richiamo alle norme del Concordato. Crede che, a prescindere da questi due punti, in tutto il resto sia facile trovare un punto di intesa, trattandosi di questioni più di forma che di sostanza.

DOSSETTI, Relatore, non crede che sia il caso di rispondere punto per punto alle osservazioni particolari fatte dall’onorevole Cevolotto, per quanto le sue argomentazioni siano tutte abbastanza discutibili. Enuncia semplicemente il principio fondamentale al quale si è ispirata la sua articolazione, che è volutamente più esplicita e più esauriente di quella dell’onorevole Cevolotto, in quanto contempla la libera esplicazione della vita religiosa interiore ed esteriore, le manifestazioni individuali ed associate della fede, l’esercizio del culto sia pubblico che privato. I democristiani in questo campo sono stati coerenti con la tesi basilare alla quale hanno ispirato ogni loro presa di posizione in ordine ai vari problemi della Costituzione, vale a dire al riconoscimento di quella che è la realtà sociale. Per questo motivo, esplicitamente, nella maniera più decisa e nella convinzione di rispecchiare un pensiero genuinamente cristiano, nella dizione proposta affermano il riconoscimento di questa pluralità della vita religiosa. Anche se come cattolici si riservano un giudizio di valore in ordine alla vera religione, come riconoscimento costituzionale non hanno alcuna riserva in ordine al pluralismo delle varie religioni. Ritiene che, sia l’onorevole Cevolotto, che tutti i fautori della libertà di coscienza e di culto, dovrebbero sentirsi tranquillizzati da questa dichiarazione.

Passando al problema fondamentale delle relazioni con la Chiesa cattolica, reputa che, pur restando fermo il principio dell’eguaglianza e della libertà religiosa di tutti i cittadini, non si possa negare che la Chiesa cattolica, si pone di fronte allo Stato in generale, e in particolare in Italia, come una realtà sociale evidentemente molto diversa dai fenomeni religiosi che si concretano in altre confessioni e in altre associazioni religiose. Non è soltanto un problema della parità di diritti di maggioranze o di minoranze, a cui alludeva l’onorevole Cevolotto, ma si tratta di una realtà che l’uomo politico non può assolutamente ignorare, il fatto cioè che la Chiesa cattolica è veramente una istituzione con tutti i caratteri e tutte le funzioni fondamentali di un ordinamento giuridico autonomo, vale a dire le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria.

Questo stato di fatto è non solo un dato politico, che per gli italiani ha un particolare significato, ma è anche un dato scientifico dal quale non si può assolutamente prescindere. I più illustri e moderni cultori del diritto italiano e straniero, cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, hanno infatti riconosciuto che l’ordinamento canonico è l’esempio tipico e più caratteristico di un ordinamento giuridico, non riconducibile nell’ordinamento dello Stato. Dunque, indipendentemente da un giudizio di valore religioso, non può negarsi di essere di fronte a questo fenomeno della Chiesa che è un ordinamento giuridico originario, non riducibile all’ordinamento dello Stato, avendo una sfera di competenza propria in cui esso si esprime con assoluta libertà di movimento.

Quando l’ordinamento dello Stato entra in contatto con questo ordinamento giuridico, non può comportarsi come se fosse di fronte ad altre forme embrionali che non sono ancora arrivate a consolidarsi, ma deve invece porsi sullo stesso piano di relazioni come quando si trovi in contatto con l’ordinamento giuridico di altri Stati e con quello internazionale. Da questa constatazione discende la conseguenza giuridica e politica che i rapporti tra Chiesa e Stato non possono essere regolati unilateralmente per un atto diretto di una delle due parti, ma soltanto attraverso un atto bilaterale, che sia il reciproco riconoscimento della originarietà autonoma dei due ordinamenti. Nel momento in cui la Chiesa da una parte e lo Stato dall’altra presumessero di regolare questi rapporti unilateralmente, cesserebbe ogni distinzione tra i due ordinamenti e si avrebbe o la teocrazia o il giurisdizionalismo.

Pertanto, se si vuole affermare il principio della distinzione dei due ordinamenti, evidentemente si deve riconoscere in entrambi il carattere di originarietà e la necessità di accordi bilaterali.

Questa premessa teorica non incide, a suo avviso, sul giudizio di valore nei riguardi della Chiesa cattolica, perché ammette la possibilità che quando lo Stato si trovi nei confronti di un altro culto nella stessa situazione in cui si trova con la Chiesa cattolica (cioè di un’istituzione con un proprio ordinamento giuridico) possa entrare in contatto anche con ossa attraverso un atto bilaterale, come del resto è previsto in alcune Costituzioni.

In Italia, in particolare, stima che si debba tenere conto del fattore politico, nel senso cioè di ammettete che la Chiesa cattolica rappresenta un fenomeno che non può essere messo su un piano di parità di fatto, restando fermo il principio della parità di diritto nei confronti delle altre religioni.

Ripete che se si ammettesse che attraverso la Costituente si possa incidere su quello che è stato un regolamento bilaterale di rapporti, si verrebbe a distruggere la distinzione tra i due ordinamenti, annullando quel principio di libertà che si vuole affermare.

Circa l’obiezione che il Concordato contenga principî che alla coscienza di taluno possono essere totalmente o parzialmente estranei, rileva che nulla impedisce che lo Stato chieda alla Chiesa di modificare determinate disposizioni del Concordato.

Per riassumere, crede che due siano i pilastri da mettere come fondamento dell’edificio che si vuole costruire. Da un lato il principio della libertà piena, completa delle diverse confessioni religiose; dall’altro il principio della necessaria bilateralità della disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sul primo ritiene già raggiunto l’accordo, in quanto da parte democristiana, che poteva essere sospettata di elevare delle difficoltà, si è riconosciuto che non vi è alcuna difficoltà. Sul secondo principio deve invece raggiungersi l’accordo, e si augura che possa, dal seguito della discussione, trovarsi una soluzione.

Conclude affermando che, se si giungesse ad un riconoscimento pieno del principio fondamentale della distinzione dei due ordinamenti, per tutto il resto sarebbe facile trovare un punto di intesa.

PRESIDENTE apre la discussione generale.

CEVOLOTTO, Relatore, precisa che la sua proposta di non fare menzione nella Costituzione dei rapporti tra Stato e Chiesa, non impedisce che il Governo regoli e continui a regolare con un Concordato le sue relazioni con la Chiesa, essendo anche quella in vigore una convenzione che potrà durare – attraverso opportune modificazioni parziali – fino a quando una delle due parti non reputi opportuno di denunziarla.

LA PIRA, riassunti i punti di divergenza, si dichiara favorevole incondizionatamente ai concetti esposti dall’onorevole Dossetti.

Tralasciando le questioni particolari, che potranno essere risolte in sede di revisione di Concordato, si pone la domanda se si possa disconoscere l’esistenza di quell’ordinamento giuridico originario rappresentato dall’ordinamento giuridico canonico. Se esiste questo ordinamento giuridico originario, che è essenziale nella struttura del Cattolicesimo, lo Stato, nel disciplinare costituzionalmente i suoi rapporti, non può non tener conto della sua esistenza. Quindi il problema preliminare è quello di pronunziarsi sulla esistenza di tale ordinamento giuridico.

Il secondo problema è quello di sapere attraverso quale lente debba essere guardato il fenomeno della Chiesa cattolica. A suo modo di vedere, esistono due diverse lenti: una illuminista e l’altra anti-illuminista. La lente illuminista è una lente dissociante, per la quale la religione è un fatto privato, interiore della coscienza, che, come tale, non ha alcuna rilevanza costituzionale nella società e quindi nello Stato. La lente anti-illuminista è invece di concretezza storica, che potrebbe quasi definire di aperto materialismo storico, secondo la quale la religione non è un fatto puramente privato e interiore di coscienza, ma è anche un fatto associativo, come è dimostrato dallo stesso nome del cattolicesimo: Ecclesia.

Ora, se si riconosce che la Chiesa cattolica è essenzialmente una società rilevante per la struttura sociale e per quella dello Stato, ne viene come conseguenza che deve avere un suo ordinamento giuridico, da cui lo Stato non può prescindere.

Premessa la necessità che l’ordinamento dello Stato deve riflettere la struttura reale della società in tutti i suoi elementi, se si abbandona la mentalità illuminista e si guarda la realtà con l’occhio della concretezza storica, gli pare logico affermare che nella Costituzione dello Stato deve essere rispecchiato anche l’ordinamento della Chiesa cattolica. Si dichiara convinto che nel futuro, quando a poco a poco si sarà perduta la mentalità illuminista, nessuno Stato potrà prescindere dal rispecchiare nella sua Costituzione l’ordinamento della Chiesa.

Conclude dichiarando di aderire alla tesi dell’onorevole Dossetti, non soltanto come credente, ma in quanto si sarebbe in contraddizione con la realtà sociale se si volesse fare una Costituzione moderna sulla base delle vecchie concezioni illuministe, sorte dalla riforma protestante.

Su tutte le altre questioni ritiene che possano trovarsi punti di intesa, ma due pilastri – ripete – desidera siano affermati; libertà religiosa per tutti; rapporti bilaterali fra i due ordinamenti originari della Chiesa e dello Stato.

TOGLIATTI riconosce che il problema è di difficile soluzione. La Sottocommissione si trova di fronte ad uno stato di fatto costituito dai Patti Lateranensi e ad una esigenza di principio relativa all’indipendenza dello Stato dalla Chiesa e quindi della completa libertà di coscienza e di culto.

Circa lo stato di fatto, premessa l’indissolubilità del Trattato e del Concordato, ritiene che nessun partito abbia l’intenzione di volerlo modificare, annullando i due suddetti atti. Per quanto riguarda l’esigenza di principio, non può trascurarsi che essa è in contraddizione con alcune affermazioni dei suddetti patti, specialmente nei riguardi della parità di diritto di tutti i culti (e quindi di tutte le chiese di fronte allo Stato), la quale dovrebbe tradursi in una parità di fatto, che invece non può aversi, in quanto esiste il Concordato.

Si domanda come sia possibile uscire da questa contraddizione senza da un lato dare motivo ad una lotta politica nel Paese, e dall’altro essere obbligati a inserire nella Costituzione dei principî che contrastino con la sua coscienza civile e giuridica. Crede che la soluzione si potrebbe trovare in una formula da studiarsi di comune accordo, nella quale si riconoscesse essenzialmente l’indipendenza della Chiesa dallo Stato, enumerando specificatamente quali sono i suoi diritti. Personalmente sarebbe però contrario ad inserire nella Costituzione un simile principio di carattere generale che troverebbe una sede più adatta e opportuna in un trattato di diritto pubblico o di filosofia.

Dichiara, poi, di non comprendere il significato del riconoscimento dell’ordinamento primario giuridico degli altri Stati e della Chiesa. A suo avviso, una affermazione di questo genere sarebbe priva di contenuto concreto sia politico che costituzionale, perché è come se si volesse riconoscere che tutti gli Stati sono in sostanza degli Stati con parità di diritti.

Tutto considerato, non sarebbe contrario ad inserire nella Costituzione un articolo in cui si dica che la Chiesa cattolica, che corrisponde alla fede religiosa della maggioranza degli italiani, regola i suoi rapporti con lo Stato per mezzo dell’esistente Concordato. Una formulazione di questo genere reputa che potrebbe essere di gradimento dei democristiani.

DOSSETTI, Relatore, non starà a dimostrare, per quanto facile, il contrasto che lo divide dall’onorevole Togliatti, ma si limita a fargli osservare che proponendo di dichiarare nella Costituzione l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa e della Chiesa dallo Stato, senza volerlo, richiama in vita una formula che già una volta ha garrito sull’orizzonte italiano: «Libera Chiesa in libero Stato». Senza entrare nel merito di questa formula, mette in evidenza che da parte democristiana si tiene piuttosto ad affermare l’originarietà dei due ordinamenti, da cui deriva naturalmente l’indipendenza dell’uno e dell’altro potere nel campo di competenza proprio a ciascuno. Questo principio è assolutamente pacifico ed è dimostrato da tutta la dottrina degli ultimi decenni, dalla enciclica Immortale Dei di Leone XIII, fino ai pensatori più recenti. Però, se nella Costituzione si affermasse solo che lo Stato è indipendente dalla Chiesa e viceversa, crede che non si sarebbe detto niente per garantire da un lato l’indipendenza della Chiesa e dall’altro la indipendenza dello Stato, contro tutte le possibili rispettive invasioni, che in pratica si sono sempre verificate. Dichiara perciò di non potere accettare tale formula, anche se teoricamente esprime dei concetti che i democristiani potrebbero condividere. Bisognerebbe quindi, a suo avviso, usare una formula nuova nella quale si affermasse in primo luogo il riconoscimento della originarietà dei due ordinamenti giuridici per mettere in evidenza il concetto della irriducibilità di un potere all’altro – su cui anche l’onorevole Togliatti è d’accordo – ed in secondo luogo i modi concreti con cui si regolano i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

Ritiene inoltre inutile, superfluo e praticamente vano il tentativo di un’elencazione dei diritti della Chiesa che da un lato potrebbe essere incompleta, e dall’altro costituirebbe una elencazione di attività esteriori, senza tener conto di quella che è la realtà interna e strutturale della Chiesa stessa.

Se l’onorevole Togliatti ritiene di proporre che nella Costituzione sia affermato nettamente il principio dell’indipendenza rispettiva dei due poteri, troverà i democristiani pienamente concordi, purché si aggiunga il concetto che questi due distinti poteri, che hanno ciascuno una sfera ben definita di rapporti e di competenza, entrano in contatto attraverso quel determinato ordinamento concreto costituito dai Patti Lateranensi. Questa precisazione non contrasta né in linea di diritto, né in linea di fatto, con il riconoscimento della libertà degli altri culti perché, come ha detto precedentemente, ove si presentasse un’altra Chiesa che avesse non soltanto la base e il numero dei credenti della Chiesa cattolica, ma anche la sua struttura e il suo ordinamento giuridico, lo Stato dovrebbe fare un concordato anche con questa Chiesa.

MASTROJANNI osserva che la formula proposta dall’onorevole Dossetti gli fa sorgere serie preoccupazioni. Ritiene che l’intento dell’onorevole Dossetti nell’affermare che lo Stato si riconosca membro della comunità internazionale, sia quello di arrivare al riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa, attraverso il riconoscimento di tale comunità internazionale.

Poiché secondo le concezioni del suo partito sarebbe felicissimo se si addivenisse agli Stati Uniti di Europa e anche di altri continenti, non avrebbe nulla da obiettare alla formula dell’articolo 4, proposto dall’onorevole Dossetti: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa».

Gli sembra però inopportuno che sia proprio l’Italia a incominciare a rinunciare alla sua autonomia di Stato per riconoscersi parte della comunità internazionale, con la conseguenza di considerare come relativa la sua autorità statale e come invece preminente quella della sua funzione di partecipe della comunità internazionale. Da un punto di vista etico e giuridico in ordine alla concezione dello Stato, non crede di potere accettare questa formulazione, secondo la quale, sullo stesso piede, la Chiesa e lo Stato, come Stati diversi, sono egualmente partecipi della comunità internazionale.

La Chiesa, a differenza degli Stati, poiché, i suoi ordinamenti si estendono in tutto il mondo cattolico, dovrebbe esercitare la sua sovranità e l’esercizio dei suoi diritti non solo nello Stato italiano, ma in tutti gli Stati cattolici del mondo. La proposta contenuta nell’articolo 4 dell’onorevole Dossetti sarebbe accettabile solo se da parte degli altri Stati appartenenti al mondo cattolico venisse fatto alla Chiesa quel riconoscimento che si propone debba fare lo Stato italiano.

Può essere d’accordo sull’ultimo comma dell’articolo 7, in quanto, essendo le funzioni della Chiesa e dello Stato separate, ed anche diverse, è logico che le rispettive relazioni siano regolate da un concordato, ma non vede per quale motivo si dovrebbe fare un’affermazione come quella contenuta nell’articolo 4, a meno che non si voglia ratificare una situazione di fatto e di diritto già esistente, che cioè la Chiesa e lo Stato hanno ciascuno un proprio ordinamento naturale. In conseguenza della coesistenza contemporanea in Italia di due ordinamenti giuridici egualmente indipendenti, i relativi rapporti, identificandosi con quelli di due diversi Stati, è chiaro che debbano essere regolati da un concordato, come previsto dall’ultimo comma dell’articolo 7, ma, ripete, non vede la ragione dell’affermazione dell’articolo 4.

DOSSETTI, Relatore, osserva all’onorevole Mastrojanni che, riconoscendo che i rapporti tra Chiesa e Stato debbano essere regolati dagli Accordi Lateranensi, cioè da un atto di diritto esterno e non di diritto interno, si viene a riconoscere alla Chiesa anche una personalità giuridica di diritto internazionale. Poiché i rapporti tra Chiesa e Stato si sviluppano su un piano che è di diritto esterno, con l’articolo 4 ha inteso precisamente affermare il principio che lo Stato riconosce gli ordinamenti giuridici esterni, cioè: l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa cattolica. Una volta che l’onorevole Mastrojanni ha dichiarato di accettare l’ultimo comma dell’articolo 7, non vede il motivo della sua preoccupazione, a meno che non sia contrario al riconoscimento che verrebbe dato da parte dello Stato alla comunità internazionale. Ma questo riconoscimento, a suo giudizio, è indispensabile, se non si vuole mettersi al di fuori del diritto internazionale.

Indipendentemente dal diritto internazionale positivo, vi sono, infatti, norme di diritto internazionale generale, come quelle relative al diritto di guerra o al diritto di navigazione, che debbono essere riconosciute per il semplice fatto che anche l’Italia fa parte della comunità internazionale.

Premesso che in questa affermazione la sua posizione, anche se espressa in altri termini, è perfettamente analoga a quella dell’onorevole Cevolotto, precisa che la sua formula rappresenta l’adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale. Gli sembra che in questo momento il non riconoscere la necessità di questa partecipazione alla comunità internazionale sarebbe andare contro a quella solidarietà internazionale che si vuole riedificare. Una volta ammessa tale necessità, l’affermazione relativa al riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa non è che un’applicazione specifica dello stesso principio, in relazione alla quale l’onorevole Mastrojanni non dovrebbe avere alcuna esitazione, dal momento che ha dichiarato di accettare il concetto contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 7.

MASTROJANNI dichiara di non essere soddisfatto dei chiarimenti, perché non vede la necessità di giungere alle conclusioni dell’onorevole Dossetti attraverso delle premesse che nella Costituzione non avrebbero ragion d’essere. È logico, infatti, che uno Stato, in quanto tale, partecipi necessariamente alla vita internazionale e riconosca l’ordinamento giuridico degli altri Stati, senza che vi sia bisogno di affermarlo nella Costituzione. Sotto un certo aspetto, potrebbe anche affermarsi che uno Stato è tale in quanto è riconosciuto dagli altri Stati, ma in conseguenza della originarietà dei suoi diritti uno Stato può esistere anche prescindendo dal riconoscimento altrui. Quindi la Chiesa, anche se non venisse riconosciuta come Stato, esisterebbe sempre come ordinamento giuridico originario. Ora la sua preoccupazione deriva dal fatto che avendo messo sullo stesso livello tutti gli Stati, in quanto la loro esistenza si fonda sopra un diritto originario che non ha bisogno di un riconoscimento altrui, la Chiesa, sia che venga o non venga riconosciuta come Stato, esercita lo stesso i suoi diritti in base all’originarietà del suo ordinamento giuridico e può imporli a coloro che aderiscono ai suoi principî. Si domanda allora quali gravi conflitti potrebbero sorgere se la Chiesa, oltre quanto consentitole dai trattati internazionali, volesse esercitare i suoi diritti nello Stato, anche nei riguardi di coloro che non aderissero alle sue concezioni.

Dichiara che, essendo cattolico, non è spinto da determinati preconcetti contrari ai principî della Chiesa, ma desidera porre in evidenza la possibilità di conflitti di natura gravissima che potrebbero derivare dal fatto che la Chiesa, per il raggiungimento delle sue altissime finalità, potrebbe imporre leggi alle quali dovrebbero soggiacere non solo i credenti ma anche i non credenti.

Di fronte alle gravi conseguenze che potrebbero derivare da una dizione che si presta a tutte le interpretazioni, non vede la possibilità di dare la sua adesione, a meno che non si specifichi chiaramente il contenuto dell’articolo 4, in modo da evitare ogni degenerazione nel campo legislativo.

PRESIDENTE ritiene che quando verrà in discussione l’articolo 4, l’onorevole Mastrojanni potrà fare proposte concrete.

MERLIN UMBERTO dichiara di essere d’accordo con i colleghi Dossetti e La Pira, e di prendere atto con vivissima soddisfazione delle dichiarazioni dell’onorevole Togliatti relative sia alla inscindibilità dei Patti Lateranensi, sia alla affermazione di non voler turbare la pace religiosa che esiste in Italia. Non è, invece, affatto d’accordo con il collega Cevolotto, il quale, sotto l’apparenza di non voler fare ciò, di fatto ha dichiarato che il Concordato merita di essere completamente distrutto o quasi, in quanto ha attaccato una materia fondamentale, quale è quella relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali.

Fa innanzi tutto osservare all’onorevole Cevolotto che l’articolo 1 dello Statuto Albertino non è mai stato considerato come inesistente, né vi è mai stata in Italia una legge che abbia avuto il coraggio di abrogarlo. Riconosce che la scuola liberale sosteneva l’inesistenza di tale articolo in quanto sarebbe stato superato dalle condizioni di fatto esistenti, ma tale affermazione non rispondeva a verità, perché se lo Stato nel 1848 poteva essere confessionale, non era tale soltanto per l’articolo 1 dello Statuto, ma per tutto l’insieme delle disposizioni di legge come, in particolare, quelle relative ai tribunali ecclesiastici o alla ammissione nelle carriere statali in relazione al requisito della confessione religiosa. Per eliminare qualsiasi dubbio, precisa di essere nettamente contrario a ricostituire uno Stato confessionale, ma ritiene che tale non possa considerarsi lo Stato che riconosca una realtà come quella che la religione cattolica è la maggiore religione, perché professata dalla quasi totalità dei cittadini italiani. Non comprende, poi, perché l’onorevole Cevolotto voglia discutere l’articolo 1 dello Statuto Albertino, che in sostanza è l’articolo 1 del Trattato tra la Santa Sede e l’Italia, dal momento che egli stesso ha scritto nella sua relazione che quando in una qualsiasi cerimonia ufficiale dovesse essere celebrato un rito religioso, tale rito si dovrebbe svolgere nelle forme e nei più grandi templi della Chiesa cattolica.

Data questa affermazione e la dichiarazione che non si tende a far rivivere uno Stato confessionale, ma veramente libero, non comprende l’opposizione alle proposte avanzate dai democristiani. La prova che si voglia creare uno Stato veramente libero è negli articoli della sua relazione dove, a proposito della libertà di coscienza e della cultura, sono contenute disposizioni così ampie da tacitare tutte le possibili preoccupazioni di parte avversa.

Circa i ritocchi che l’onorevole Cevolotto desidererebbe apportare ai Patti Lateranensi, concorda nella necessità di modificazioni in relazione alla mutata forma costituzionale dello Stato e può assicurare che la Chiesa, la quale si è sempre dimostrata saggia e tempista, ha già cominciato essa stessa a modificare alcune disposizioni del Concordato, come quelle relative al giuramento dei Vescovi e alle preghiere per il Capo dello Stato.

CEVOLOTTO, Relatore, precisa di avere inteso dire che la parte relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici avrebbe potuto, in separata sede, essere oggetto di nuove trattative, onde addivenire a modificazioni opportunamente concordate tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

MERLIN UMBERTO obietta che è proprio su questo punto che la Santa Sede si dimostrerà assolutamente intransigente.

Tiene a porre in evidenza che nel rinvio che lo Stato fa alle norme del diritto canonico ed ai tribunali ecclesiastici non deve ravvisarsi una rinuncia ad una sua supremazia, perché, in base all’articolo 17 del Concordato, le deliberazioni delle autorità ecclesiastiche in materia matrimoniale vengono dallo Stato fatte proprie, previa sentenza di delibazione. Crede che se non si vuole annullare il Concordato lo si deve dire chiaramente, ma allora non lo si deve colpire proprio in un punto fondamentale, come è quello riguardante la materia matrimoniale.

Rileva che quando l’onorevole Togliatti si preoccupa di affermare l’indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, non fa che affermare un principio della dottrina cattolica, la quale non ha mai aspirato alla supremazia della Chiesa sullo Stato, ma insegna che sia l’una che l’altra hanno pieno diritto di supremazia e di indipendenza nell’ambito degli ordinamenti propri a ciascuno. Poiché però il matrimonio è un contratto che ha un fine fondamentalmente etico e religioso, la Chiesa giustamente rivendica a sé la regolamentazione di questo istituto, con quei controlli da parte dello Stato che sono previsti nel Concordato.

Concludendo, ritiene possibile un accordo con l’onorevole Cevolotto solo quando egli accetti di riconoscere che il Concordato ed il Trattato non vanno toccati, salvo, si intende, le necessarie eventuali revisioni che però dovranno essere effettuate unicamente mediante trattative tra le due parti contraenti e non con deliberazioni prese unilateralmente dallo Stato italiano, mettendo l’altra parte di fronte al fatto compiuto.

Reputa, infine, assolutamente necessario che le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti – le quali rispondono in pieno al suo convincimento – che cioè non si deve rimettere in discussione in Italia la pace religiosa, siano consacrate nella Costituzione con un articolo come quello proposto dall’onorevole Dossetti, che corrisponde in pieno alle convinzioni ed ai sentimenti dei rappresentanti della democrazia cristiana.

BASSO desidera, prima di entrare nel merito della discussione, chiedere alcuni chiarimenti all’onorevole Dossetti. È convinto che nessuno pensa di rimettere in discussione il Trattato e il Concordato, ossia la pace religiosa, ma prima di dare valore costituzionale ai due suddetti atti, ritiene necessario domandarsi se alcune norme di essi non feriscono alcuni principî che gli sono cari. Intende riferirsi in modo particolare all’articolo 1 del Trattato, dove si parla della religione ufficiale dello Stato, e più ancora all’articolo 5 del Concordato, per il quale la Chiesa si attribuisce il diritto di impedire allo Stato di assumere o mantenere al suo servizio, in impieghi a contatto col pubblico, persone che abbiano rivestito l’abito ecclesiastico. In questa limitazione non può non vedersi una limitazione dell’indipendenza dello Stato.

DOSSETTI, Relatore, obietta all’onorevole Basso che la sovranità dello Stato è fatta salva per il fatto stesso che ha accettato questa limitazione, allo stesso modo che non è intaccata la sovranità della Chiesa quando ammette che i suoi Vescovi prestino giuramento al Capo dello Stato. Si tratta quindi di una autolimitazione che lo Stato o la Chiesa si pongono, come può avvenire in un qualsiasi contratto bilaterale.

BASSO osserva che in certi casi lo Stato, anche se è sovrano quando volontariamente accetta delle limitazioni, non lo è più quando le abbia accettate, come nella ipotesi che rinunziasse alla sua indipendenza per diventare colonia di un’altra Nazione. È chiaro che nel momento in cui dichiara di voler rinunciare alla sua indipendenza è ancora Stato sovrano, ma non lo sarà più quando tale dichiarazione sia stata fatta ed accettata dall’altra parte contraente. A suo avviso, quando nel 1929 lo Stato ha accettato questa limitazione, ha rinunciato alla sua indipendenza, ma non è detto che non possa oggi riacquistarla.

DOSSETTI, Relatore, fa rilevare all’onorevole Basso che se avesse voluto portare un esempio più adatto alla sua tesi avrebbe dovuto, se mai, citare non l’articolo 5 del Concordato, ma l’articolo 34, il quale porta effettivamente una limitazione più concreta dei poteri dello Stato, ma anche quest’ultimo articolo non ferisce, a suo giudizio, la sovranità dello Stato. Ricorda in proposito la chiara e netta opinione espressa dal professore Chiovenda, la cui autorità in materia non può essere disconosciuta, che lo Stato non distrugge la sua sovranità quando si pone delle autolimitazioni in vista di contrattazioni con altri Stati. La legislazione ecclesiastica ha vigore in Italia appunto in quanto nella legislazione italiana vi è un esplicito rinvio ad essa. È questo il principio del rinvio che non menoma affatto la sovranità dello Stato. Cita l’esempio dello Stato della Città del Vaticano, il quale fa rinvio addirittura a dei codici dello Stato italiano.

BASSO domanda all’onorevole Dossetti se egli non crede che l’articolo 5 non ferisca anche il principio fondamentale della uguaglianza di tutti i cittadini, che è stato già approvato in un articolo della Costituzione. Afferma che nessuno pensa di toccare il Trattato ed il Concordato, ma si vuole che essi non entrino a far parte della materia costituzionale.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Basso che quando si fanno dei concordati non solo è riconosciuta reciprocamente la sovranità delle due parti contraenti, ma si definiscono chiaramente la sfera e i limiti rispettivi delle due sovranità.

Per quanto riguarda l’articolo 5 del Concordato, il potere che la Chiesa esercita sui suoi ministri trova, da parte dello Stato, un riconoscimento che non costituisce una rinunzia alla sovranità, ma è stato accordato invece in funzione della sua stessa sovranità.

BASSO insiste nel ritenere che il Concordato ed in particolare l’articolo 5, non debbano essere richiamati nella Costituzione.

DOSSETTI, Relatore, desidera ribadire quanto già affermato dall’onorevole La Pira. Come il fenomeno familiare si è ritenuto talmente importante da giustificare l’intervento costituzionale, così il fenomeno ecclesiastico è di tali dimensioni che quasi tutte le Costituzioni se ne occupano, sia nel senso di ammettere, che di negare l’organizzazione originaria della Chiesa. È quindi necessario che la Costituzione prenda posizione in questo campo e l’unica soluzione è quella di riconoscere i Patti Lateranensi che regolano già tutta la materia.

Risponde all’onorevole Basso che l’articolo 5 del Concordato non ferisce il principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini, perché riconoscendosi la Chiesa come ordinamento giuridico, si viene anche a riconoscere in particolare la sua gerarchia e quindi il legame che stringe ad essa i suoi ministri.

Colui che accetta liberamente di essere ordinato sacerdote sa a quali obbligazioni va incontro e quale è lo status giuridico che acquista nel momento che riceve il sacramento dell’ordine. Nell’articolo 5 del Concordato, lo Stato ha riconosciuto appunto il rapporto interno che lega i sacerdoti alla Chiesa. È evidente che in questo caso non si intacca il principio della libertà dei cittadini, in quanto si tratta di persone che si pongono volontariamente su di una posizione di differenziamento dagli altri cittadini nel momento in cui liberamente accettano quel determinato status giuridico.

PRESIDENTE, allo scopo di rendere più spedita la risoluzione di tutte le questioni, prega gli onorevoli Relatori di volersi riunire con gli onorevoli Togliatti, Mastrojanni, Basso e Lucifero e di tentare l’elaborazione di una formula concordata da sottoporre alla discussione nella prossima riunione.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, De Vita e Mancini.

MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

40.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti politici (Seguito della discussione)

Presidente – Basso – La Pira – Merlin Umberto, Relatore – Moro – Cevolotto – Mastrojanni – Togliatti – Caristia – Dossetti.

La seduta comincia alle 18.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti politici.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 4 proposto dall’onorevole Basso, la cui discussione fu rinviata alla seduta odierna:

«Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti sono riconosciute, sino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale, a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa e di altre leggi».

Apre la discussione sull’articolo.

BASSO dichiara che l’articolo da lui proposto si inserisce in un evidente processo di trasformazione delle nostre istituzioni democratiche per cui alla democrazia parlamentare, non più rispondente alla situazione attuale, si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti già in atto. Ha ritenuto opportuno fare riferimento a questa democrazia nella Costituzione, attribuendo ai partiti che abbiano una forza riconosciuta attraverso un certo numero minimo di voti ricevuti, funzioni di carattere costituzionale, quali ad esempio la presentazione di liste elettorali, senza ricorrere al deposito davanti notaio, il diritto di promuovere azioni davanti alla istituenda Suprema Corte costituzionale, la difesa delle libertà costituzionali e altri compiti riguardanti una materia che è appena in formazione. Il principio del riconoscimento ai partiti di attribuzioni di carattere costituzionale rappresenta una specie di avviamento a superare tutte le forze di tipo puramente individualistico antiquato con una nuova concezione di democrazia di partiti, e pertanto deve trovare posto in una formula della Costituzione.

LA PIRA dichiara di accedere in linea di principio alla tesi dell’onorevole Basso, perché essa corrisponde a una visione organica dello Stato attuale ed anche ad una particolare concezione della dottrina cattolica.

Per quanto invece riguarda le attribuzioni da darsi ai partiti e il numero di voti che ne definisca la consistenza, è del parere che si rinvii la materia all’esame della seconda Sottocommissione. La prima Sottocommissione si deve limitare ad affermare il principio che ogni partito legalmente costituito ha una rilevanza costituzionale.

MERLIN UMBERTO, Relatore, informa di aver tenuto presente, insieme al Correlatore Mancini, l’articolo dell’onorevole Basso, e dichiara che entrambi non hanno ritenuto di poterlo accettare, anzitutto per i dubbi che potevano sorgere circa il limite di cinquecentomila voti, e in secondo luogo perché si è pensato che tutto quanto riguarda l’organizzazione e il riconoscimento dei partiti dovesse formare oggetto di una legge speciale e non di una norma costituzionale.

Propone quindi che le disposizioni contenute nell’articolo in esame siano rinviate alla legge speciale che organizzerà i partiti.

MORO dichiara di concordare con l’onorevole Basso sul principio che la nostra democrazia si debba avviare verso le forme organiche da lui prospettate, ma ritiene che nel porre queste affermazioni sorgano numerosi problemi che la Commissione non può risolvere per ragioni di competenza. Ad esempio, il riconoscimento della funzione costituzionale dei partiti presuppone la soluzione del problema della personalità giuridica che ad essi non è stata ancora riconosciuta.

Propone pertanto che la Commissione si limiti a formulare una norma semplicissima la quale dica che ai partiti, nelle condizioni previste da questa stessa Costituzione, sono conferite quelle funzioni costituzionali che la Costituzione crederà di deferire ad essi. La seconda Sottocommissione dovrà definire le condizioni in presenza delle quali queste funzioni possono essere attribuite e determinare quali funzioni costituzionali debbono essere attribuite ai partiti stessi.

CEVOLOTTO fa osservare che la questione trattata nell’articolo in esame è di una gravità eccezionale. Riconosce che se le elezioni si faranno ancora con il sistema proporzionale, ci si avvierà necessariamente verso il conferimento ai partiti di una personalità e di funzioni costituzionali che finiranno per sostituire quelle finora attribuite al Parlamento. Ritiene però che tutta la materia riguardante il riconoscimento dei partiti, le loro funzioni ed altre questioni del genere, sia compito non della prima ma piuttosto della seconda Sottocommissione, la quale, dopo aver studiato l’argomento, potrà anche concludere negativamente giudicando prematura ogni decisione. È quindi del parere che la materia trattata dall’articolo in esame debba essere rinviata alla competenza della seconda Sottocommissione, affinché si innesti nella struttura costituzionale che la seconda Sottocommissione darà in concreto allo Stato.

MASTROJANNI osserva che del tema trattato dall’articolo in esame non si era mai fatto cenno nel programma di lavoro della prima Sottocommissione, e che non è possibile discutere l’argomento senza che esso sia stato illustrato preventivamente da una dettagliata relazione. Non vede come un partito possa essere investito di funzioni costituzionali finora demandate allo Stato, e prega pertanto i Relatori di chiarire questo argomento, su cui si riserva poi di prendere la parola.

TOGLIATTI osserva che la disposizione in esame presenta un aspetto positivo, come uno stimolo che viene dato a tutti i cittadini a partecipare alla vita pubblica. Essa in sostanza ha valore in quanto, riconoscendo una determinata posizione nello Stato ai partiti politici che hanno una certa ampiezza, invita i cittadini a organizzarsi politicamente. La norma tende, insomma, a far uscire la grande massa dallo stato di disorganizzazione in cui si trova ancora presentemente, portando così la vita democratica verso un livello più elevato.

Quanto alle funzioni dei partiti, ritiene che esse debbano essere attribuite in modo da non dare una rigidità all’organizzazione dei partiti stessi, la qual cosa costituirebbe un pericolo perché si ridurrebbe praticamente la democrazia in forme prestabilite dopo la consultazione elettorale. È del parere che i grandi partiti abbiano il diritto di esprimere la loro opinione su determinati problemi fondamentali del Paese, e che il loro valore costituzionale possa essere fissato volta per volta nelle leggi costituzionali o nelle leggi che applicano la Costituzione. Fa presente che la consultazione dei grandi partiti sarebbe opportuna per la formazione di un governo, e che si potrebbe pensare ad una partecipazione legislativa da parte dei partiti alla formazione di determinati organi costituzionali, o di determinati organi di controllo dello Stato. Questo accrescerebbe il senso della loro responsabilità e darebbe una maggiore serietà all’attività politica del Paese.

Accenna anche alla funzione che potrebbero avere i partiti per l’organizzazione della stampa. Se venissero creati degli organi che abbiano un potere di controllo sulle fonti d’informazione, i grandi partiti, che rappresentano notevoli parti organizzate della opinione pubblica, avrebbero diritto di dire la loro parola in misura tale da essere ascoltata più di quella di un qualsiasi privato. Conclude affermando che la norma va accettata come un esperimento che vale la pena di tentare.

CARISTIA dichiara di concordare con l’opinione dell’onorevole Merlin che la materia in esame debba essere rinviata alla legge speciale. Ritiene che il presupposto fondamentale per accordare funzioni costituzionali ai partiti sia quello di riconoscere ad essi la personalità giuridica, ma non crede sia opportuno accordare tale riconoscimento in questa sede.

CEVOLOTTO risponde all’onorevole Togliatti che il controllo sulla stampa è l’ultima delle funzioni che dovrebbe essere attribuita ai partiti, perché essi sarebbero tratti ad accanirsi contro la stampa dei partiti avversari. Se si istituisse il controllo sulla stampa, esso dovrebbe essere esercitato da un organo al disopra e al di fuori dei partiti.

Fa presente che quell’irrigidimento cui l’onorevole Togliatti ha accennato come ad un pericolo da ovviare, avverrà in ogni modo, perché attribuendo funzioni costituzionali solo a quei partiti che abbiano avuto un certo numero al minimo di voti nelle elezioni, s’immobilizzerà la struttura dei partiti fino alle nuove elezioni.

Concorda con l’onorevole Caristia che la questione può essere risolta dalla legge speciale, e ritiene che in ogni caso l’esame della materia debba essere demandato alla seconda Sottocommissione.

MASTROJANNI fa osservare che l’argomento in esame non può essere rinviato alla seconda Sottocommissione, poiché spetta alla prima affermare i principî di massima che offrono alla seconda Sottocommissione la possibilità di lavoro coerente. Si dichiara decisamente contrario a qualsiasi affermazione sull’argomento, perché ne intravede i pericoli che inciderebbero sui principî stessi della democrazia. Tale affermazione tende a rafforzare i partiti di massa i quali manterrebbero stabilmente la loro posizione e influirebbero costantemente su tutti gli organismi della vita nazionale, riesumando il sistema fascista per il quale i rappresentanti del Governo erano coartati nell’esercizio delle loro funzioni dalla Federazione fascista. Inoltre l’influenza dei partiti di massa determinerebbe i pavidi ad associarvisi per timore di non essere favoriti, mentre lascerebbe i partiti di minoranza in uno stato di assoluta inferiorità. Per queste ragioni ritiene che non sia da farsi assolutamente menzione nella Costituzione di questo principio.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Mastrojanni che tutti i partiti sono da considerarsi, almeno in potenza, partiti di massa in quanto tutti si rivolgono alla massa del popolo al fine di avere il maggior numero di voti nelle elezioni.

MASTROJANNI aggiunge che, con l’applicazione della norma proposta, le funzioni parlamentari verrebbero svuotate, poiché i partiti, avendo la possibilità di intervenire con funzioni costituzionali nella vita politica del Paese, si sostituirebbero agli organi parlamentari ed amministrativi, e i deputati diventerebbero dei dipendenti dei partiti dovendo rispondere a questi dell’esercizio del loro mandato.

DOSSETTI dichiara di considerare la norma in esame fondamentale per la Costituzione, e rileva che le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni non tengono conto del fatto che oggi la democrazia si orienta verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia parlamentare di cinquant’anni fa, indirizzo che è necessario interpretare e convogliare perché dalla possibilità di disciplina e di consolidamento di questa nuova realtà democratica dipenderà la possibilità di sussistenza della democrazia.

Ritiene dunque che la norma debba essere espressa nella Costituzione, ma che debba anche essere meditata in vista del pericolo che essa possa bloccare l’avvenire cristallizzando il presente, o peggio, il passato.

Riconosce che l’onorevole Basso, affermando che la determinazione dei compiti costituzionali dei partiti dev’essere effettuata in base ai risultati elettorali, s’è riferito all’unico criterio oggettivo per stabilire quali partiti avessero diritto al riconoscimento costituzionale; ma teme che tale criterio sia inadeguato e pericoloso, e che la norma possa portare a conseguenze più vaste di quelle previste dal proponente stesso, dicendo troppo poco e insieme troppo, poiché essa non determina quali debbono essere le funzioni dei partiti, e nello stesso tempo fa pensare che le sue applicazioni possano essere così vaste da escludere dalla vita politica tutti gli altri partiti che non abbiano realizzato il minimo di voti richiesto.

Conclude affermando di non essere persuaso che la formula dell’onorevole Basso sia la più adeguata, e che d’altra parte egli si troverebbe imbarazzato se dovesse elaborarne un’altra sostitutiva.

MORO propone che la Commissione si limiti ad una dichiarazione di principio in termini generalissimi, rinviando poi a quanto sarà detto nella Costituzione in merito. Tale dichiarazione potrebbe essere formulata così:

«Ai partiti politici sono attribuite funzioni di carattere costituzionale, a norma di questa Costituzione, nelle condizioni da essa previste».

DOSSETTI fa presente che invece di formulare un articolo, sia pure nei termini molto generali proposti dall’onorevole Moro, sarebbe meglio, come ha fatto in qualche occasione la seconda Sottocommissione, formulare un ordine del giorno il quale dica che la prima Sottocommissione ritiene necessario inserire nella Costituzione l’affermazione del principio del riconoscimento costituzionale dei partiti, e rinvia l’articolazione della norma ad un Comitato formato in collaborazione tra prima e seconda Sottocommissione.

TOGLIATTI dichiara che potrebbe accettare la formula presentata dall’onorevole Moro solo nel caso che vi fosse specificata una graduatoria tra i partiti. Ritiene che sia un assurdo mettere tutti i partiti sullo stesso piano perché, se non fosse fatta alcuna differenza tra essi, qualunque esigua associazione di persone potrebbe affermare di essere un partito e di voler godere del diritto di avere funzioni costituzionali. Si scardinerebbe così tutto l’ordinamento politico dello Stato precipitandolo nel caos.

MORO dichiara che era nelle sue intenzioni stabilire la differenza a cui ha accennato l’onorevole Togliatti quando affermava nella sua proposta che le condizioni devono essere fissate dalla seconda Sottocommissione. Tra queste condizioni deve essere fissato anche il criterio differenziatore tra i partiti che possono godere di funzioni costituzionali e quelli che non possono goderne.

BASSO fa presente all’onorevole Mastrojanni che, quando si parla di democrazia, non bisogna pensare a quella certa forma di regime politico che per molto tempo è stato definito come democrazia, ma che non lo è. Tale forma di regime è stata condannata dalla Storia, e oggi si è entrati in una fase in cui non vi è dubbio che la vita politica si va fissando in nuove forme strutturali. Si può dire che tale vecchia forma di democrazia è stata soppressa nel 1919 con l’abbandono delle elezioni a sistema uninominale per adottare quelle a sistema proporzionale. Affermare che la norma in discussione uccide la democrazia è perciò un non senso storico, poiché proprio attraverso questa forma di democrazia di partito, si sono cominciati ad eliminare i difetti della democrazia. È chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si intendeva una volta non si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l’esistenza di una disciplina di partito, ma il deputato è libero nell’espletamento del suo mandato.

La lotta democratica, anziché nell’interno del Parlamento, si stabilisce nell’interno dei partiti. Questo nuovo sistema permette di superare il vecchio trasformismo dei tempi di Agostino De Pretis, impedisce il ripetersi delle crisi ministeriali e dà un maggior senso di responsabilità all’azione dei deputati e dei partiti.

Dichiara di non aver determinato nella formulazione dell’articolo le funzioni da attribuire ai partiti, perché era difficile fissarle, ma esclude che si voglia attribuire a questi partiti funzioni che sono proprie dello Stato. Una delle funzioni che, per esempio, potrebbero essere loro riservate è quella delle consultazioni in sede di crisi parlamentare.

Ritiene ingiustificata la preoccupazione che la norma possa cristallizzare la vita politica del Paese, e non vede i pericoli prospettati dall’onorevole Dossetti, poiché, nello spazio che intercorre tra una elezione e l’altra, tutti i partiti potranno formarsi, vivere e lottare senza che vi sia alcuna limitazione alla loro attività.

Dopo cinque anni, il partito che avrà ottenuto un determinato numero di voti potrà ottenere che gli siano riconosciute funzioni costituzionali.

Non crede che la formula proposta dall’onorevole Moro possa essere approvata perché, se si ritiene che la materia è di competenza della seconda Sottocommissione, tanto vale rinviare tutta la questione all’esame della Sottocommissione stessa.

Insiste pertanto nella sua proposta, ma se essa non dovesse essere accolta, dichiara che aderirà all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

MORO aderisce all’ordine del giorno Dossetti e ritira la sua proposta di articolo.

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara di aderire all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

CEVOLOTTO aderisce anch’egli all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI fa osservare all’onorevole Basso che il suo concetto della democrazia attuale è per lo meno prematuro, poiché l’Assemblea costituente solamente da sei mesi sta sperimentando le sue funzioni, e pertanto non comprende come si possa, in base ad un esperimento così breve, affermare nella Costituzione un principio che risponde a un desiderio dell’onorevole Basso, ma non rappresenta la realtà dei fatti.

Richiama al senso della responsabilità i Commissari perché non ci si arroghi il diritto di definire il concetto di democrazia dopo appena sei mesi di esercizio della rappresentanza parlamentare. Ritiene che un’affermazione come quella proposta sulle funzioni costituzionali di certi partiti sia arbitraria in quanto svuota del suo contenuto l’esercizio del diritto parlamentare. Afferma che, se si vuole sopprimere il Parlamento, egli in questo caso eleverebbe la sua protesta; se si vuol lasciare il Parlamento integro, nella sua alta funzione, è del parere che non si debba incrinare quello che è il patrimonio di tutti coloro che hanno operato per garantire questa libertà della vita parlamentare. Si domanda qual è la ragione per cui il partito debba sostituirsi al Parlamento, quando è l’espressione dei partiti attraverso la loro conformazione numerica e attraverso la loro posizione ideologica e programmatica. Conclude dichiarando di ritenere prematuro introdurre la norma proposta e negando alla Sottocommissione il diritto di affermare un principio che contrasta con i diritti dei cittadini, i quali hanno mandato i loro rappresentanti alla Camera per fare la Costituzione in base ai criteri che furono già espressi e non per esautorare l’autorità del Parlamento.

PRESIDENTE comunica l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali.

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

MASTROJANNI dichiara di essere contrario all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI dichiara che egli prenderebbe la stessa posizione dell’onorevole Mastrojanni nei riguardi dell’articolo proposto dall’onorevole Basso, se dovesse significare un esautoramento del Parlamento. Ma non ritiene che l’articolo abbia questo significato. Si tratta soltanto di una integrazione di funzioni costituzionali già praticamente attuata, com’è facile dimostrare esaminando il modo con cui si sono sviluppate le crisi governative agli inizi del regime parlamentare e il modo con cui si sviluppano oggi. Nel primo periodo parlamentare i membri del Parlamento erano dei notabili tra i quali prevaleva colui il quale aveva doti politiche superiori e, quando vi era una crisi da risolvere, il capo dello Stato convocava queste eminenti personalità.

Oggi invece sono consultati i capi partito e, poiché in materia costituzionale ciò che fa testo è la consuetudine, il capo partito è entrato nel diritto costituzionale. Fa presente che il capo dello Stato, consultando il capo partito in merito alla crisi governativa, non esautora affatto il Parlamento: il capo partito interviene in quel determinato momento della vita costituzionale con funzioni consultive in appoggio all’azione parlamentare o a quella governativa.

Rileva che questo sistema è già praticato in altri Paesi a regime parlamentare, come ad esempio l’Inghilterra dove i partiti hanno una funzione riconosciuta costituzionalmente, tanto è vero che il capo del partito di opposizione è una personalità politica costituzionale che occupa in Parlamento un seggio speciale e gode di uno speciale assegno.

Anche la Costituzione americana attribuisce alle Convenzioni (assemblee) dei partiti che designano i candidati alle cariche pubbliche, funzioni costituzionali, e attribuisce un valore costituzionale anche alle elezioni delle assemblee primarie per la nomina dei delegati alle Convenzioni dei partiti.

Ritiene perciò che l’affermazione del principio proposto dall’onorevole Basso non sia tale da infirmare il sistema parlamentare, perché questo può benissimo adattarsi ad esso ed anzi vi si sta adattando. Chi afferma tale principio è lungi dal voler sopprimere il Parlamento.

PRESIDENTE propone la chiusura della discussione generale, salvo a dare la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(La chiusura della discussione è approvata).

MASTROJANNI fa osservare all’onorevole Togliatti che i capi partito, appunto perché tali, sono nel Parlamento, e quindi vengono interpellati non in quanto sono capi partito, ma come parlamentari e capi di un gruppo parlamentare. L’onorevole Togliatti ha rappresentato il capo partito come avulso dalla vita parlamentare; egli invece lo inquadra nella vita parlamentare.

TOGLIATTI ricorda all’onorevole Mastrojanni le consultazioni dell’onorevole Giolitti con Don Sturzo, il quale non è mai entrato nel Parlamento.

MASTROJANNI dichiara che non c’è bisogno di introdurre per questo una norma nella Costituzione, e che rimane fermo nel suo atteggiamento.

BASSO dichiara di associarsi alle considerazioni svolte dall’onorevole Togliatti e di aderire all’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni secondo la quale esula dalla competenza della Commissione parlare nella Costituzione di quanto è contenuto nel principio espresso dall’articolo dell’onorevole Basso e anche nell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI dichiara che, se interpretasse l’articolo nel senso con cui viene interpretato dall’onorevole Mastrojanni, voterebbe a favore della proposta Mastrojanni. Egli però non ritiene esatta tale interpretazione e quindi voterà contro la proposta.

(La proposta dell’onorevole Mastrojanni è respinta con 1 voto favorevole e 13 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Dossetti.

CARISTIA propone che l’ordine del giorno sia votato per divisione, perché nella seconda parte si parla dell’attribuzioni di compiti costituzionali ai partiti, principio a cui alcuni Commissari possono essere favorevoli e altri no.

BASSO propone di semplificare l’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti dicendo nella prima parte: «riconoscimento di funzioni costituzionali ai partiti politici», invece di «riconoscimento giuridico dei partiti politici».

CARISTIA fa osservare che i partiti non possono avere quei compiti costituzionali se prima non hanno ottenuto il riconoscimento giuridico.

MORO rileva che l’ordine del giorno comprende due concetti: il primo riguarda il principio del riconoscimento giuridico, il secondo quello del riconoscimento di attribuzioni costituzionali ai partiti senza parlare di riconoscimento giuridico. Propone perciò anch’egli che l’ordine del giorno sia votato per divisione.

BASSO chiede all’onorevole Dossetti se accetta la sostituzione dell’espressione «riconoscimento giuridico» con quella «riconoscimento di funzioni costituzionali», per evitare che si apra una discussione che sarebbe troppo lunga sull’attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico e di diritto privato.

DOSSETTI chiarisce che, col suo ordine del giorno, ha voluto dire che finora i partiti sono ignorati o pressoché ignorati dal diritto, e che occorre quindi che vengano riconosciuti. Non intendeva entrare in merito alla questione della personalità giuridica di diritto pubblico e di diritto privato, ma soltanto affermare che i partiti diventano rilevanti per il diritto mentre praticamente in questo momento non lo sono.

BASSO dichiara di essere favorevole solo alla seconda parte dell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti, perché l’affermare anche il concetto contenuto nella prima parte, potrebbe dare al riconoscimento giuridico un senso molto più ampio, sul quale egli non può essere d’accordo. Quando si attribuiscono ai partiti funzioni costituzionali è implicito il riconoscimento giuridico per quel tanto che è necessario all’esercizio di dette funzioni.

MORO dichiara di votare a favore dell’intero ordine del giorno, trattandosi di un rinvio alla seconda Sottocommissione cui spetterà di discutere e concatenare i due principî.

BASSO dichiara di ritirare la sua proposta di sostituire alle parole «riconoscimento giuridico» le altre: «riconoscimento di compiti costituzionali».

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione dell’ordine del giorno dell’onorevole Dossetti:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici».

(La proposizione è approvata con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la seconda proposizione:

«e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali».

(La proposizione è approvata con 12 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette ai voti la terza proposizione:

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

(È approvata con 12 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette ai voti l’intero ordine del giorno:

«La prima Sottocommissione ritiene necessario che la Costituzione affermi il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e dell’attribuzione ad essi di compiti costituzionali.

«Rinvia ad un esame comune con la seconda Sottocommissione la determinazione delle condizioni e delle modalità».

(L’ordine del giorno è approvato con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Comunica che l’ultimo articolo proposto dall’onorevole Basso è del seguente tenore:

«Nessuna prestazione o servizio dello Stato può determinare situazioni di ingiustificato privilegio di fatto a beneficio di singoli o di categorie di cittadini».

BASSO dichiara di non insistere su questo articolo e di ritirarlo.

PRESIDENTE fa presente che la discussione dell’intero tema riguardante le libertà politiche, con gli articoli ad esso relativi, è terminata e che la Sottocommissione, nella prossima seduta, passerà all’esame dell’ultimo tema ad essa assegnato: «Lo Stato come ordinamento giuridico ed i suoi rapporti con gli altri ordinamenti».

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Amadei, Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Lucifero e Mancini.

MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

39.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 19 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

Comunicazioni del Presidente

Presidente.

I principî dei rapporti politici (Seguito della discussione)

Presidente – Cevolotto – La Pira – Dossetti – Togliatti – Basso – Corsanego – Caristia – Moro – Marchesi.

La seduta comincia alle 18.15.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE comunica che, in sostituzione dell’onorevole Lombardi Giovanni, deceduto, è stato chiamato a far parte della Sottocommissione l’onorevole Leonetto Amadei.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti politici.

PRESIDENTE legge e pone in discussione i seguenti articoli proposti dai Relatori e dall’onorevole Basso:

«Tutti i cittadini debbono sottostare alle leggi costituzionali e alle norme giuridiche dello Stato e degli enti autarchici; debbono obbedire agli ordini legalmente impartiti dagli organi competenti, debbono adempiere alle prestazioni personali in condizioni di parità e di eguaglianza, con diritto ad equo risarcimento in caso di requisizioni». (Merlin Umberto e Mancini).

«Tutti i cittadini sono tenuti alle prestazioni personali allo Stato per servizio militare e di lavoro. I cittadini e tutti coloro che producono, scambiano, consumano beni nel territorio della Repubblica e comunque partecipano alla vita della società, nazionale sono tenuti alle prestazioni patrimoniali per corresponsione di tributi personali e reali in rapporto alla loro capacità contributiva. Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non per legge». (Basso).

«Nessuna prestazione o servizio dello Stato può determinare situazioni di ingiustificati privilegi di fatto a beneficio di singoli o di categorie di cittadini» (Basso).

CEVOLOTTO, riferendosi all’articolo proposto dagli onorevoli Mancini e Merlin, ricorda che iniziandosi nella seduta precedente la discussione di tale articolo, si era fatta la proposta, che era stata presa in considerazione, di eliminare tutta la prima parte dell’articolo, riducendo la formula alla questione delle prestazioni personali. Riprende tale proposta che sottopone al parere dei Commissari.

LA PIRA si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto.

DOSSETTI fa presente che, con l’eliminazione della prima parte, l’articolo finisce col non avere più senso.

TOGLIATTI propone che tutto l’articolo proposto dagli onorevoli Mancini o Merlin sia soppresso.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti.

BASSO si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti circa l’opportunità di sopprimere l’articolo proposto dagli onorevoli Mancini e Merlin, ma fa presente che egli non può rinunciare a che i concetti riguardanti le prestazioni personali siano affermati nella Carta costituzionale.

(La proposta Togliatti è approvata alla unanimità).

PRESIDENTE apre la discussione sul testo proposto dall’onorevole Basso, che nella sua prima parte è così formulato: «Tutti i cittadini sono tenuti alle prestazioni personali allo Stato per servizio militare e di lavoro».

CORSANEGO ricorda che, nella precedente seduta, l’onorevole Basso aveva proposto che nell’articolo già approvato, riguardante l’obbligatorietà del servizio militare, si aggiungesse anche l’obbligatorietà delle prestazioni personali.

BASSO fa presente che è suo desiderio che sia affermata la facoltà da parte dello Stato di imporre prestazioni di servizio personale oltre che prestazioni di carattere militare.

LA PIRA osserva che il concetto delle prestazioni personali rientra nei rapporti tra cittadino e Stato. Non ritiene che si debba formulare un apposito articolo per l’affermazione di tale principio, poiché le leggi elaborate dallo Stato attraverso i suoi organi competenti obbligano tutti i cittadini, e inoltre nessuna prestazione può essere imposta, se non per legge.

Prega l’onorevole Basso di chiarire che cosa si deve intendere per prestazioni personali, prima di sancire nella Costituzione un principio così vago.

BASSO risponde che per prestazioni personali si possono intendere, per esempio, le prestazioni urgenti richieste da pubbliche calamità.

DOSSETTI osserva che nella proposta dell’onorevole Basso sono espressi tre problemi distinti: l’affermazione della possibilità da parte dello Stato di imporre al cittadino prestazioni personali diverse dal servizio militare; la disciplina relativa alle prestazioni patrimoniali; il principio che nessuna prestazione personale può essere imposta, se non per legge.

È del parere che la prima affermazione si debba ritenere implicita nell’ordinamento giuridico italiano e nella prassi costantemente seguita; che sia opportuno fare la seconda affermazione relativa a una certa disciplina nelle prestazioni di carattere patrimoniale, ma con una specificazione ulteriore la quale significhi l’eguaglianza dei cittadini sotto questo riguardo; e infine che sia da accogliere la proposta dell’onorevole Basso sul terzo principio, che nessuna prestazione personale o patrimoniale potrà essere imposta, se non per legge.

BASSO replica all’onorevole Dossetti non essere esatto che nel nostro ordinamento sia implicito che lo Stato può richiedere al cittadino prestazioni personali. Anche l’obbligatorietà del servizio militare è da ritenersi implicita tra i poteri che ha lo Stato, eppure si è ritenuto necessario farne menzione nella Costituzione.

Fa inoltre presente che nella Costituzione si sono affermati dei diritti, sulla libertà del cittadino che potrebbero essere interpretati nel senso che lo Stato non può imporre prestazioni personali, ad eccezione del servizio militare, per cui si fa un esplicito richiamo.

Ritiene perciò necessario evitare una interpretazione delle norme costituzionali che sarebbe contro il pensiero degli stessi deputati della Costituente.

DOSSETTI fa rilevare all’onorevole Basso che, rappresentando il servizio militare la forma estrema di imposizione personale, quando si ammette che il cittadino può essere assoggettato a questa forma estrema di costrizione, è implicito il concetto che esso può essere assoggettato a una imposizione meno grave quale è quella della prestazione personale di lavoro.

LA PIRA si dichiara d’accordo con l’onorevole Dossetti nel ritenere superflua la prima affermazione contenuta nell’articolo proposto dall’onorevole Basso anche per una considerazione di carattere teorico. L’obbligatorietà del servizio militare riguarda una specifica prestazione e pone dei limiti oltre i quali non si può andare. Quando invece si dice che lo Stato può imporre delle prestazioni di lavoro, non si dà alcuna garanzia per evitare che lo Stato esorbiti nel limitare le libertà dei cittadini.

BASSO dichiara che le osservazioni dell’onorevole La Pira lo hanno maggiormente convinto della necessità di fissare nella Costituzione il principio da lui affermato. Infatti l’onorevole La Pira ha detto che tale principio potrebbe contrastare con l’affermazione della libertà e della dignità della persona umana sancita nel primo articolo della Costituzione. Ora, se il principio del lavoro non fosse affermato nella Costituzione, se ne potrebbe trarre la conclusione che lo Stato non ha il potere di limitare l’autonomia della persona umana attraverso le prestazioni personali.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Marchesi aderisce alla proposta dell’onorevole Dossetti di approvare l’articolo dell’onorevole Basso limitatamente alla sua ultima parte e che l’onorevole Moro propone un articolo sostitutivo di quello dell’onorevole Basso, e accettato da quest’ultimo, del seguente tenore:

«La legge può sancire obblighi di prestazioni di lavoro in modo conforme alle attitudini e alle possibilità dei cittadini e salvaguardando nel miglior modo il compito della donna nella famiglia».

CARISTIA si associa alla proposta dell’onorevole Marchesi che l’articolo dell’onorevole Basso sia approvato solo nella sua ultima parte: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non per legge».

MORO richiama l’attenzione della Commissione sull’opportunità di tenere distinti i due concetti delle prestazioni personali e di quelle patrimoniali, per le quali ultime non solo ritiene conveniente fare un articolo apposito, ma anche necessario sancire il principio della proporzionalità degli oneri economici che ricadono sui singoli cittadini.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Moro e accettato dall’onorevole Basso:

«La legge può sancire obblighi di prestazioni di lavoro in modo conforme alle attitudini e possibilità dei cittadini e salvaguardando nel miglior modo il compito della donna nella famiglia».

(È respinto con 7 voti contrari, 4 favorevoli e 1 astenuto).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi di approvare soltanto l’ultima parte dell’articolo dell’onorevole Basso, così formulata:

«Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non per legge».

DOSSETTI dichiara che voterà a favore della proposta dell’onorevole Marchesi, intendendo di dare alla formula l’interpretazione che le veniva dalla precedente proposta dall’onorevole Moro.

MORO dichiara di votare contro la formula proposta dall’onorevole Marchesi, perché, senza le specificazioni contenute nella formula da lui proposta, la ritiene molto pericolosa.

BASSO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Marchesi, perché è d’avviso che nell’articolo si debba fare un accenno alle prestazioni patrimoniali.

(La proposta dell’onorevole Marchesi è approvata con 8 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE fa presente che non è il caso di occuparsi del seguente articolo presentato dagli onorevoli Merlin e Mancini: «Lo Stato riconosce l’esistenza, la libertà e concede autonomia agli enti autarchici locali (comune, provincia, regione) in conformità alle leggi particolari», poiché esso ha già formato oggetto di esame e di votazione da parte della seconda Sottocommissione. Pone quindi in discussione l’ultimo degli articoli proposti dagli onorevoli Merlin e Mancini, che è il seguente:

«Ciascun cittadino può presentare petizione alle Camere su qualunque oggetto personale o generale, privato o pubblico. Ciascuna Camera nominerà una Giunta delle petizioni, la quale esaminerà i ricorsi ricevuti in seduta pubblica e pronuncerà su ciascuno con deliberazione motivata».

CARISTIA osserva che tutte le specificazioni contenute nell’articolo sono inutili.

PRESIDENTE propone che l’articolo sia sostituito con la seguente formula più semplice: «Il diritto di petizione è garantito».

CEVOLOTTO dichiara di ritenere troppo ampia la formula presentata dai Relatori, la quale permetterebbe ad ogni cittadino di portare davanti alla Camera, in forma di petizione, qualunque questione personale anche già giudicata, costringendo la Camera a nominare una Giunta per esaminare il ricorso in seduta pubblica, e a pronunciarsi sulla questione con deliberazione motivata.

Esprime il parere che il diritto di petizione debba essere concesso solo per questioni riguardanti interessi generali.

BASSO dichiara di ritenere che si possano anche ammettere petizioni per questioni di carattere personale, e ricorda di aver proposto nella sua relazione la formula seguente:

«Chiunque, cittadino o straniero, ritenga di aver subito un abuso da parte dei pubblici poteri della Repubblica, può portarne reclamo innanzi al Parlamento. Al Parlamento può pure essere rivolta petizione da ogni cittadino, per chiedere provvedimenti legislativi o esprimere comuni necessità.

«Il Parlamento provvede a norma del proprio regolamento interno».

Fa presente che con questa formula si viene a distinguere la petizione di carattere generale e tradizionale, che richiede e può suggerire un provvedimento, da quella di carattere personale che mira a difendere il cittadino da un abuso.

Osserva che non è possibile ammettere nella Costituzione che la Camera esamini il ricorso ricevuto in seduta pubblica, perché si rischierebbe di tenere la Camera convocata in seduta pubblica soltanto per l’esame delle petizioni.

Fa presente infine di aver distinto la doglianza per abuso ricevuto dalla petizione rivolta per chiedere provvedimenti legislativi o esprimere comuni necessità, riconoscendo il diritto di petizione per doglianza a chiunque, cittadino o straniero, e il diritto di petizione per chiedere provvedimenti legislativi soltanto al cittadino italiano.

CARISTIA esprime il parere che il diritto di petizione debba essere limitato a questioni riguardanti la tutela di interessi di carattere pubblico generale, tanto più che il cittadino ha la possibilità di essere tutelato contro gli abusi dal principio già sancito della responsabilità dei pubblici funzionari.

PRESIDENTE fa presente alla Commissione l’articolo 57 dello Statuto Albertino, il quale dice: «Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, e, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizi per gli opportuni riguardi», formula che si potrebbe accettare limitatamente alla prima proposizione: «Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere» e presenta come semplice contributo alla discussione una sua formula del seguente tenore: «Il diritto di petizione è garantito a ogni cittadino».

DOSSETTI ritiene troppo estensiva la formula proposta dall’onorevole Basso, perché essa permette praticamente, con la giustificazione di un abuso subito, di portare dinanzi alla Camera ogni questione di carattere personale.

CEVOLOTTO propone la seguente formula:

«Ogni cittadino può rivolgere petizioni al Parlamento per chiedere provvedimenti legislativi o esprimere comuni necessità.

«Il Parlamento provvede a norma del proprio Regolamento».

BASSO e MORO dichiarano di accettare la formula proposta dall’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Cevolotto.

(L’articolo è approvato all’unanimità).

Pone in discussione il seguente articolo presentato dagli onorevoli Merlin e Mancini.

«I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principî di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».

Avverte che sullo stesso argomento l’onorevole Basso ha proposto i seguenti articoli:

Art. 3. – «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese».

Art. 4. – «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre leggi».

MARCHESI dichiara di non poter accettare l’articolo nella formulazione degli onorevoli Merlin e Mancini, poiché gli sembra che non offra garanzie contro i pericoli della tirannia e gli abusi delle organizzazioni politiche. Ogni limitazione posta al principio della libertà costituisce un pericolo.

Osserva che, in virtù della prima parte dell’articolo: «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici», tutti i partiti politici possono sentirsi garantiti circa la libera esplicazione della propria attività; e insiste sulla poco sicurezza che può derivare dalla formulazione degli onorevoli Merlin e Mancini, citando l’esempio del partito comunista, che molti ritengono, a torto, favorevole all’adozione della violenza, anche quando questa non costituisce legittima difesa. Rileva che mentre il partito comunista vuole essere lo strumento del rinnovamento e della trasformazione civile e sociale, non pochi sono del parere che esso tenda invece ad una dittatura del proletariato, cioè ad una forma di tirannia. Dichiara che la cosa non risponde a verità, che la violenza non è il mito che i comunisti vogliono porre sugli altari. La dittatura di una classe non è certo lo sbocco finale del programma politico dei comunisti, i quali non intendono affatto di convertire i procedimenti difensivi in realizzazioni stabili di idealità politica.

Ha ragioni per ritenere che questo, che è il reale pensiero dei comunisti, non sia riconosciuto da altri partiti, e fa presente che anche un Governo con basi democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il partito comunista fuori legge. Considera pertanto l’articolo lesivo della libertà dell’organizzazione dei partiti politici.

Conclude osservando che, d’altra parte, se i partiti politici nella loro organizzazione ricorressero a mezzi illeciti, incorrerebbero nelle sanzioni previste dal regolamento di polizia che vieta le organizzazioni armate.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Marchesi se accetta l’articolo 3 dell’onorevole Basso.

MARCHESI dichiara di accettarlo.

TOGLIATTI dichiara di associarsi alla opinione espressa dall’onorevole Marchesi e afferma che, vertendo la discussione sull’argomento più delicato dell’organizzazione dello Stato democratico, non si deve formulare un articolo che possa fornire pretesto a misure antidemocratiche, prestandosi ad interpretazioni diverse. Afferma che, mentre oggi si conoscono i partiti esistenti, domani potrebbe svilupparsi in Italia un movimento nuovo, anarchico, per esempio, e si domanda su quali basi lo si dovrebbe combattere. È del parere che dovrebbe essere combattuto sul terreno della competizione politica democratica, convincendo gli aderenti al movimento della falsità delle loro idee, ma non si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rifiuta alcuni dei principî contenuti nella formula in esame.

Ritiene che l’articolo debba essere limitato concretamente, riferendolo a movimenti politici già esistiti; ed è disposto pertanto a votare la formulazione dell’onorevole Basso, ove la limitazione in essa contenuta venga riferita al partito fascista.

Suggerisce si dica che è proibita, in qualsiasi forma, la riorganizzazione di un partito fascista, perché si deve escludere dalla democrazia chi ha manifestato di essere il suo nemico.

Facendo questa proposta, egli si riferisce ad un fatto preciso storicamente determinato. Il partito fascista ha dimostrato di voler distruggere le libertà umane e civili del cittadino ed ha portato il Paese alla rovina: per questo gli si deve negare il diritto all’esistenza.

CEVOLOTTO pur dichiarando di consentire con le affermazioni degli onorevoli Marchesi e Togliatti, ritiene che una norma come quella dell’onorevole Togliatti, relativa ad un fatto contingente per quanto gravissimo, non possa far parte della Costituzione. Osserva che essa è già compresa nella formulazione dell’onorevole Basso, dove si afferma che tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi democraticamente. Poiché il partito fascista è nella sua struttura essenzialmente antidemocratico, viene escluso automaticamente dai partiti riconosciuti. Inoltre potrà essere emanata una legge speciale che proibisca la ricostituzione del partito fascista.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Togliatti se intende dare il carattere di una proposta specifica alle sue dichiarazioni circa l’articolo in discussione.

TOGLIATTI risponde affermativamente.

CARISTIA ritiene inutile aggiungere una specificazione particolare per ciò che riguarda il partito fascista, perché, se esso dovesse risorgere, evidentemente si presenterebbe sotto un’altra forma, non di un partito unico e militarista, ma se mai di un partito estremamente conservatore, a cui non si potrebbe negare il diritto di esistere, quando si ammette, ad esempio, tale diritto per un partito anarchico.

LA PIRA dichiara di preferire l’articolo proposto dall’onorevole Basso, perché non vede, ove venisse accolta l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, come potrebbe fare il legislatore a definire quale sia un partito fascista, e perché non ritiene che si debba lasciare al legislatore, con una formula vaga, la possibilità di commettere arbìtri a danno di qualsiasi partito.

TOGLIATTI replica che la sua aggiunta non è affatto imprecisa, perché si riferisce ad un fatto e non ad un concetto. Il movimento e il partito fascista sono determinati storicamente, se ne conoscono il programma, l’attività, l’azione, i quadri; se un partito sorgesse con simili manifestazioni, sarebbe facile riconoscere in esso il partito fascista.

Dichiara di voler evitare la discussione ideologica generale, perché sa che non se ne uscirebbe: è fascista quel movimento politico che prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943, e che si chiamò fascismo.

LA PIRA dichiara di non essere convinto delle precisazioni dell’onorevole Togliatti, osservando che, ad esempio, vi è chi crede perfino di ravvisare le sembianze del fascismo proprio nel partito comunista.

CEVOLOTTO ritiene che la formulazione si presti a manovre dannose per la democrazia, e che su questo argomento si dovrebbe provvedere con una legge speciale, caso per caso, quando sorgesse il pericolo di un ritorno del fascismo.

DOSSETTI si dichiara favorevole alla formulazione dell’articolo 3 dell’onorevole Basso, senza alcuna integrazione.

BASSO dichiara di accettare l’aggiunta dell’onorevole Togliatti, e di ritenere che non si debba lasciar passare l’occasione per fare una delle poche affermazioni concrete e innovatrici della Costituzione.

Osserva che finora, in Italia, ci si è preoccupati di assicurare la continuità giuridica dello Stato, evitando ogni aperta condanna del fascismo e ciò ha prodotto la situazione di disagio in cui si trova il Paese.

È necessario quindi che nella Costituzione ci sia finalmente un’affermazione concreta e precisa per cui si sappia che tutto ciò che è stato fascista è condannato. Bisogna fare in modo che il popolo abbia la sensazione precisa che la Repubblica segna una data nuova nella storia d’Italia. Dichiara pertanto di accettare pienamente l’aggiunta proposta dell’onorevole Togliatti.

DOSSETTI dichiara di condividere le affermazioni dell’onorevole Basso per quanto riguarda la cesura che si vuol porre tra il passato e il presente, anche motivata dal giusto rilievo che sino ad oggi, nello sviluppo della nostra situazione costituzionale e politica, ci si è troppo preoccupati di voler assicurare una continuità legale dello Stato. Ma ritiene che l’esclusione proposta dall’onorevole Togliatti, con la sua aggiunta, possa un giorno essere causa di altre esclusioni in senso opposto a quello che oggi si vuole intendere, e con fini che non hanno niente a che vedere con quella cesura e con quella totale condanna del fascismo che tutti i Commissari sono d’accordo nel voler accettare. Fa presente che non saranno i Commissari ad interpretare i termini della formula in discussione, ma altri uomini politici i quali, quando si trovassero di fronte ad un partito comunista non più governato dall’onorevole Togliatti, il quale oggi può richiamarsi ai suoi 25 anni di antifascismo, potrebbero ritenere che esso nel suo indirizzo riproducesse il partito fascista, e volessero sopprimerlo proprio in base alla formula proposta dall’onorevole Togliatti. Pertanto è perplesso circa l’opportunità di adottare tale formula.

TOGLIATTI dichiara di non voler seguire l’onorevole Dossetti nelle sue esemplificazioni riguardanti il partito comunista, per non inasprire la discussione.

Fa presente che le osservazioni fatte alla sua proposta sarebbero giustificate, se essa mirasse a definire il contenuto di un movimento o di un partito fascista. Contro una tale formulazione sarebbero lecite tutte le critiche, perché qualunque partito potrebbe essere ricondotto sotto la figura del partito fascista attraverso disquisizioni dialettiche; così il partito democristiano, come quello liberale ed altri.

Fa presente che nella sua proposta egli si limita al richiamo storico del partito fascista quale si è manifestato nella realtà politica del Paese dal 1919 al 1943 e non è quindi possibile alcuna interpretazione equivoca.

È disposto, allo scopo di rassicurare l’onorevole Dossetti, a modificare la sua formula nel senso che si parli «del» partito fascista, anziché di «un» partito fascista.

Ricorda del resto che una dichiarazione riguardante l’inammissibilità del partito fascista è contenuta nell’armistizio e nelle clausole del Trattato di pace che si sta elaborando nei riguardi dell’Italia e inoltre nei Trattati di pace che sono stati già formulali per altri Paesi.

DOSSETTI dichiara che le spiegazioni dell’onorevole Togliatti lo tranquillizzano completamente. È disposto ad accettare la formula dell’onorevole Togliatti così come questi l’ha modificata, in quanto viene ad assumere un significato storico. Propone inoltre all’onorevole Togliatti che, per maggiore chiarezza e per voler significare che si tratta di un dato storico, l’articolo venga così formulato: «È proibita sotto qualsiasi forma la riorganizzazione del partito fascista».

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Caristia ha presentato la seguente formula sostitutiva dell’articolo proposto dall’onorevole Basso:

«I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici. La legge detta le norme perché la loro attività si svolga pacificamente. È vietata la ricostituzione del partito fascista».

BASSO dichiara di accettare la formula dell’onorevole Dossetti.

CEVOLOTTO dichiara di non avere alcuna difficoltà ad accettare la formula dell’onorevole Dossetti, pur ritenendola superflua per le ragioni precedentemente esposte.

TOGLIATTI rileva che la formula presentata dall’onorevole Caristia è imprecisa e sotto l’aspetto giuridico nasconde una profonda contraddizione, in quanto prima, afferma che tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi, e poi dichiara che la legge determina le condizioni di tale diritto. Fa presente che non la legge deve dettare queste norme, ma solo la Costituzione deve fissare lo sviluppo pacifico della lotta nel Paese. Ritiene quindi che sia meglio adottare la formula dell’onorevole Basso.

CARISTIA si rende conto delle obiezioni dell’onorevole Togliatti e riconosce che un partito politico ha diritto di provvedere alla sua organizzazione in quanto ha una sua autonomia ammessa dalla natura stessa dello stato democratico, ma fa presente che perché i partiti non arrivino a una lotta non pacifica, occorre che la leggo provveda in proposito.

Non si vuole perciò porre un limite allo sviluppo dei partiti politici come tali, ma soltanto un limite alla lotta la quale si deve svolgere in un piano pacifico, il che è molto diverso.

Lo statuto dei partiti provvederà alla loro organizzazione, al loro incremento, ma per quanto si voglia essere democratici, non si potrà mai fare a meno di una legge di pubblica sicurezza che regoli la lotta politica.

TOGLIATTI fa presente che la legge di pubblica sicurezza non è la legge dei partiti, poiché è fatta essenzialmente per reprimere la delinquenza. I partiti vi possono essere contemplati in quanto invadono un terreno che è quello della delinquenza.

CARISTIA obietta che la legge di pubblica sicurezza è fatta anche per regolare la lotta politica, la quale si deve svolgere sul terreno pacifico. Se sconfina da questo terreno, la legge di pubblica sicurezza deve intervenire al fine di riportarla su un terreno di dignità. Quindi la legge non fa altro che dare una garanzia per lo svolgimento della lotta politica.

TOGLIATTI osserva che tale garanzia, anziché dalla legge, deve essere data dalla Costituzione.

CARISTIA non vede come la Costituzione possa dare questa garanzia, in quanto si limita ad affermare il diritto che i cittadini hanno di organizzarsi in partiti politici.

TOGLIATTI fa rilevare che il riferimento che l’onorevole Caristia desidera fare alla legge di pubblica sicurezza è contenuto in quegli articoli della Costituzione nei quali è detto che la libertà è concessa entro limiti stabiliti dalla legge. Non è quindi necessario faro un riferimento esplicito nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE dichiara che preferirebbe una formula la quale esprimesse in modo inequivocabile il concetto che è proibita, sotto qualsiasi forma, l’organizzazione di un movimento o di un partito fascista o totalitario. Di tale sua preferenza non fa una precisa proposta, in quanto, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Togliatti, è apparso chiaro che si vuole impedire la ricostituzione del partito fascista, così come si è storicamente manifestato negli ultimi 20 anni.

Per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Basso, propone il seguente emendamento: «Il diritto di organizzarsi in partiti che accettino il metodo democratico della lotta politica è garantito a tutti i cittadini». A suo parere, una volta affermato in linea principale questo concetto, nei termini da lui proposti, il capoverso che riguarda la proibizione della riorganizzazione del partito fascista, assume un maggior risalto.

CEVOLOTTO si dichiara contrario all’adozione di formule che affermino garanzie, poiché la Costituzione non è un patto di fideiussione fra cittadini e Stato. È contrario anche all’adozione dell’espressione: «metodo democratico» poiché essa comporterebbe, ad esempio, l’esclusione di un partito anarchico, esclusione che non sarebbe democraticamente concepibile.

Ritiene che la formula dell’onorevole Basso sia preferibile.

BASSO fa presente che l’affermare che sono ammessi i partiti i quali accettino il metodo democratico della lotta politica implica delle limitazioni, poiché presuppone una valutazione in merito alle dottrine seguite dai partiti. Fa presente inoltre che il termine di democrazia ha oggi diversi significati e si presta a diverse interpretazioni. Ritiene che sia preferibile la formula da lui proposta, che non solleva tale questione di interpretazione.

PRESIDENTE ritiene che le limitazioni non debbono spaventare, poiché è necessario porre nel testo costituzionale qualche cosa che costituisca difesa della democrazia contro tutti coloro che attentano alla sua esistenza.

BASSO risponde di essere d’accordo col Presidente per quanto riguarda la difesa della democrazia, ma fa presente che una cosa è il dire che i cittadini hanno diritto di organizzarsi democraticamente e altra cosa è accettare il metodo democratico. In base alla formula proposta dal Presidente, domani si potrebbe dire, per esempio, che il partito socialista non adotta il metodo democratico.

CARISTIA dichiara di insistere perché sia messa ai voti la sua formula, rinunciando però a quella parte che rinvia alla legge, in quanto questo concetto è implicito in altri articoli della Costituzione.

PRESIDENTE dà lettura della formula proposta dall’onorevole Basso: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in partiti politici».

Fa presente che a questo punto l’onorevole Basso aggiungerebbe le seguenti parole: «allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese». Ritiene che questa ultima proposizione si possa accantonare salvo un successivo riesame.

Di fronte a questo formula, vi è anche l’altra da lui proposta sulla quale però dichiara di non insistere: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che accettino il metodo democratico della lotta politica».

Vi è poi la formula, proposta dall’onorevole Caristia: «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici».

MORO propone un emendamento alla formula dell’onorevole Basso. In essa si dice: «organizzarsi in partiti politici liberamente e democraticamente». Ritiene che questa espressione riguardi piuttosto la fase di formazione dei partiti politici; onde sarebbe opportuno aggiungere un’espressione che possa togliere ogni equivoco e, cioè, dire: «possono organizzarsi ed operare liberamente e democraticamente in partiti politici».

PRESIDENTE dà lettura della formula così come risulterebbe con l’emendamento proposto dall’onorevole Moro: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi e di operare liberamente e democraticamente in partiti politici, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese».

BASSO dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Moro.

PRESIDENTE dichiara che, dal momento che vede garantita l’essenzialità del metodo democratico nella lotta dei partiti di cui si era preoccupato nel presentare la sua formula, accetta la formula Basso-Moro e ritira la sua.

CARISTIA dichiara di insistere nella formula da lui proposta, ritenendo inutili le specificazioni.

TOGLIATTI ritiene che l’espressione: «operare democraticamente e liberamente in partiti politici» non suoni molto bene, e pertanto propone la formula: «organizzarsi liberamente in partiti politici ed operare democraticamente allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese».

MORO dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE mette ai voti la formula dell’onorevole Caristia:

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici».

(È respinta con 8 voti contrari 3 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE comunica che una formula, quale risulta dalla collaborazione di vari Commissari e che sembra sia accettata dalla maggioranza della Commissione, sarebbe la seguente:

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del Paese».

CARISTIA, dichiara di votare contro questa formula, perché la ritiene troppo vaga.

(La formula è approvata con 11 voti favorevoli e 1 contrario).

PRESIDENTE pone in votazione l’altra proposizione dell’articolo:

«È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista».

(È approvata all’unanimità).

Fa presente che l’articolo risulta definitivamente così formulato: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partiti politici, allo scopo di concorrere democraticamente a determinare la politica del Paese.

«È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista».

BASSO ricorda che tra le formule da lui proposte vi era anche quella contenuta nell’articolo 4, del seguente tenore:

«Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di cinquantamila voti sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa e di altre leggi».

PRESIDENTE ritiene che dal momento che sono assenti i due Relatori, onorevoli Merlin e Mancini, sia opportuno rinviare la discussione di questo articolo alla seduta di domani.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Amadei, Basso, Cevolotto Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Marchesi, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto.

VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

38.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 15 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

indi

DEL DEPUTATO CORSANEGO

INDICE

Dichiarazioni di voto

Marchesi – De Vita.

I principî dei rapporti politici (Seguito della discussione)

Tupini, Presidente – Merlin Umberto, Relatore – Mancini, Relatore – Marchesi – Mastrojanni – La Pira – Lucifero – Caristia – Cevolotto – Basso – Togliatti – De Vita – Moro – Dossetti – Corsanego, Presidente.

La seduta comincia alle 10.45.

Dichiarazioni di voto.

MARCHESI dichiara che, se un incidente non gli avesse impedito di essere presente nella passata adunanza, avrebbe votato a favore della mozione dell’onorevole Togliatti, secondo la quale non si riteneva opportuno di parlare nel testo costituzionale della questione riguardante l’indissolubilità del matrimonio.

DE VITA dichiara che anch’egli, se fosse stato presente, avrebbe votato a favore della mozione dell’onorevole Togliatti.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti politici.

PRESIDENTE legge il secondo articolo proposto dai Relatori: «Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale; esso è un dovere pubblico, quindi obbligatorio e di regola deve essere esercitato col sistema della rappresentanza proporzionale».

Apre la discussione sulla prima parte di questo articolo: «Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale; esso è un dovere pubblico», invitando i Relatori ad illustrarlo.

MERLIN UMBERTO, Relatore, chiarisce che tra lui e il Correlatore onorevole Mancini era sorto dissenso a proposito del voto obbligatorio; che secondo lui deve costituire un preciso dovere del cittadino, mentre secondo l’onorevole Mancini costituisce solo un dovere morale. Si cercò allora di conciliare le due tesi dicendo che l’esercizio del voto è un dovere pubblico.

Fa presente che l’onorevole Moro ha suggerito di sostituire le parole «dovere pubblico» con quelle «dovere civico», proposta alla quale egli aderisce.

MANCINI, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Moro, purché si dica «dovere civico e morale del cittadino».

MARCHESI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Mancini.

PRESIDENTE comunica che i Relatori hanno così modificato la dizione dell’articolo:

«Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale e rappresenta un dovere civico e morale del cittadino».

MASTROJANNI ritiene opportuno aggiungere alle parole «uguale, libero, segreto e personale» il termine «diretto», per evitare ad esempio che, pur rimanendo il voto personale, le associazioni le quali rappresentino i singoli restino investite del diritto di esprimere l’opinione di quella data categoria che rappresentano.

PRESIDENTE ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Mastrojanni resti soddisfatta dal termine «personale» in quanto, se il voto è personale, è anche diretto.

LA PIRA dichiara che l’osservazione fatta dall’onorevole Mastrojanni ha una importanza rilevante, poiché investe tutto il problema della seconda Camera. Se, ad esempio, la seconda Camera dovesse essere formata secondo la rappresentanza organica degli interessi, cioè essere l’espressione delle associazioni sindacali, culturali, morali, religiose, si presenterebbe il caso specifico del voto personale, indiretto. Pertanto si dichiara favorevole al termine «personale», ma non può aderire alla proposta dell’onorevole Mastrojanni di aggiungere il termine «diretto», perché si precluderebbe la possibilità di formare una rappresentanza organica degli interessi di tutta la nazione.

MERLIN UMBERTO, Relatore, chiarisce che il termine «personale» vuol dire che non è ammesso il mandatario per l’esercizio del voto, ma che ciascuno deve esercitare tale diritto di persona. Del resto anche la legge attuale ammette il mandato nell’esercizio per il caso dei ciechi o delle persone gravemente mutilate negli arti superiori. Ritiene pertanto che il termine «personale» sia più che sufficiente, ed insiste perché esso sia mantenuto.

MASTROJANNI precisa che egli non sostiene la soppressione del termine «personale», ma l’aggiunta del termine «diretto».

LUCIFERO dichiara che la questione sollevata dall’onorevole Mastrojanni è di particolare delicatezza e ritiene che non possa essere affrontata nell’attuale seduta, essendo giunta improvvisa. Dichiara altresì che, in teoria, non è alieno dall’elezione indiretta, e del resto la seconda Sottocommissione ha affermato il principio dell’elezione indiretta del Capo dello Stato, il quale dovrebbe essere nominato dalle due Assemblee legislative. Occorre quindi tener presenti che, se si stabilisce ora che il voto sia diretto, l’elezione del Capo dello Stato non potrebbe più avvenire col sistema approvato dalla seconda Sottocommissione.

Propone perciò che tale questione venga risolta alla fine dei lavori della Sottocommissione.

PRESIDENTE ritiene che, accettando la proposta dell’onorevole Mastrojanni, si creerebbero delle difficoltà in ordine ai lavori della seconda Sottocommissione, difficoltà che non è opportuno sollevare.

D’altra parte, per quanto riguarda la proposta dell’onorevole Lucifero di rinviare una decisione alla fine dei lavori della Sottocommissione, non crede che con ciò si potranno eliminare le preoccupazioni dei Commissari che esitano nell’accettare il termine «diretto».

LUCIFERO dichiara di non essere in grado di prendere una decisione in merito alla questione sollevata dall’onorevole Mastrojanni, poiché si tratta di un problema che richiede un esame approfondito. Ritiene però giustificata la preoccupazione dell’onorevole Mastrojanni di fronte alla tendenza di dare a determinati enti od organizzazioni pubbliche, di natura privata, una capacità politica che va al di là della loro natura.

CARISTIA si dichiara convinto che le obiezioni fatte dall’onorevole La Pira rispondano alla realtà. Inoltre osserva che la materia che oggi viene trattata è collegata a quella della seconda Sottocommissione per quanto si riferisce alla composizione della seconda Camera.

Ritiene che sia compito della prima Sottocommissione insistere sul concetto personale, senza precisare se questo debba essere diretto o indiretto.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mastrojanni se insiste nella sua proposta.

MASTROJANNI dichiara di insistervi.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento dell’onorevole Mastrojanni, tendente ad aggiungere, dopo le parole «uguale, libero, segreto e personale» il termine «diretto».

LUCIFERO dichiara di astenersi dal voto, in quanto si riserva di studiare a fondo il problema e, nel caso, di risollevarlo in altra sede.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro, perché l’aggiunta proposta dall’onorevole Mastrojanni potrebbe dar luogo ad interpretazioni ambigue.

(L’emendamento proposto è respinto con 8 voti contrari, 5 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori:

«Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale e rappresenta un dovere civico e morale del cittadino».

LUCIFERO chiede che la votazione avvenga per divisione e precisamente che si voti a parte il termine «morale». Ritiene infatti che non si debba fare un trattato di etica, ma una Costituzione che deve dare un orientamento giuridico al legislatore.

BASSO propone che si voti per proposizioni.

(La Sottocommissione concorda).

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione dell’articolo: «Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale».

(La proposizione è approvata all’unanimità, meno 1 voto contrario).

Mette ai voti la proposizione: «e rappresenta un dovere civico».

BASSO dichiara di votare contro, perché con questa frase si verrebbe ad affermare il principio del voto obbligatorio da un punto di vista giuridico, principio che non può assolutamente ammettere.

(La proposizione è approvata con 12 voti favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti l’ultima parte della formula «e morale del cittadino».

LUCIFERO dichiara di votare contro questa dizione in quanto essa non ha alcun significato in un testo costituzionale.

CEVOLOTTO dichiara di votare a favore, avendo prima votato contro, perché la formula, così come era intesa senza l’aggiunta di «morale», avrebbe significato l’adozione del voto obbligatorio alla quale è contrario. L’aggiunta del termine «morale», anche se all’onorevole Lucifero può sembrare superflua, toglie questo carattere di obbligatorietà giuridica al voto.

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara che questa formula rispecchia il principio contenuto nella legge del 10 marzo 1946 in materia di elezioni. E pertanto dichiara di accettare l’emendamento Mancini.

(L’aggiunta proposta dall’onorevole Mancini è approvata con 13 voti favorevoli e 2 contrari).

TOGLIATTI propone che nell’articolo si sostituisca il termine «rappresenta» con quello di «è».

MANCINI e MERLIN UMBERTO, Relatori, accettano.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo nel seguente testo definitivo:

«Il voto deve essere uguale, libero, segreto e personale ed è un dovere civico e morale del cittadino».

(È approvata con 11 voti favorevoli e 4 contrari).

PRESIDENTE sottopone alla Sottocommissione la successiva proposizione dell’articolo proposto dai Relatori: «Di regola deve essere esercitato col sistema della rappresentanza proporzionale».

Apre la discussione su questo articolo e osserva che, pur essendo favorevole al sistema proporzionale, ritiene che mettere questo principio nella Costituzione non sia opportuno, perché non si deve vincolare il legislatore: questo deve essere lasciato libero di adottare un sistema piuttosto che un altro, secondo la situazione politica del momento in cui si dovrà fare la legge elettorale.

LUCIFERO dichiara che le osservazioni del Presidente sono in gran parte anche le sue. Afferma di essere anch’egli un fautore del sistema proporzionale, tanto è vero che alla Consulta presentò un controprogetto di sistema proporzionale in contrapposto a quello dello scrutinio di lista. Aggiunge però che non si può, in una materia così opinabile come quella della legge elettorale, fissare un determinato sistema vincolando così le generazioni future. Le elezioni dovranno essere fatte in quella forma che la maggioranza del Parlamento riterrà più opportuno di adottare, purché naturalmente siano elezioni democratiche.

CARISTIA ritiene che, proprio per le ragioni accennate dal Presidente e dall’onorevole Lucifero, si debba fare nella Costituzione un accenno esplicito al sistema proporzionale, che è il presupposto di uno Stato democratico, poiché in uno Stato veramente democratico si deve supporre l’esistenza dei partiti.

CEVOLOTTO ritiene che la proporzionale in questo momento può rappresentare una necessità, ma osserva che nelle recenti elezioni amministrative si è ritenuto opportuno adottare un sistema diverso per quanto riguarda i comuni minori. Fa presente inoltre che varie considerazioni potrebbero far ritenere opportuna l’adozione d’un sistema diverso anche nelle elezioni nei comuni maggiori, data la difficoltà che presenta la costituzione di un’amministrazione comunale eletta col sistema della proporzionale.

Ricorda che, nel corso della storia parlamentare italiana, il sistema è stato cambiato quattro volte. Ora potrà darsi che durante il periodo in cui la presente Costituzione dovrà aver vigore, si trovino dei sistemi anche migliori della proporzionale, ed allora non vede perché si dovrebbe modificare la Costituzione per variare il sistema elettorale. Ritiene quindi che l’accenno ai sistema proporzionale non debba essere fatto nella Costituzione.

TOGLIATTI pone la questione pregiudiziale che l’affermazione del sistema proporzionale non sia di competenza della prima Sottocommissione. La prima Sottocommissione deve affermare i diritti dei cittadini, ma non entrare nel tema dell’esercizio di tali diritti, che sono di particolare competenza della seconda Sottocommissione.

PRESIDENTE apre la discussione sulla questione pregiudiziale sollevata dall’onorevole Togliatti.

DE VITA dichiara di essere favorevole all’inclusione nella Costituzione di un’affermazione relativa al sistema proporzionale, perché ritiene che questo sistema offra una garanzia ai partiti di minoranza.

MORO e LA PIRA dichiarano di essere favorevoli alla mozione dell’onorevole Togliatti.

LUCIFERO dichiara che voterà a favore della mozione dell’onorevole Togliatti, non perché ritenga che l’affermazione riguardante il sistema elettorale sia di competenza di un’altra Sottocommissione, ma perché la mozione esclude l’affermazione in un articolo di un principio che egli, pur accettandolo, ritiene non debba essere sancito nella Costituzione.

MANCINI, Relatore, aderisce alla mozione dell’onorevole Togliatti.

MERLIN UMBERTO, Relatore, aderisce anch’egli dichiarando però che si riserva, qualora la seconda Sottocommissione non affermi il principio del sistema proporzionale, di ripresentare una proposta in tal senso, perché ritiene che questo principio debba essere affermato.

CARISTIA dichiara di aderire alla mozione dell’onorevole Togliatti, pur non rinunciando alla sua opinione in proposito.

PRESIDENTE mette ai voti la mozione dell’onorevole Togliatti di escludere in questa sede il sistema del voto e di rinviarlo all’esame della seconda Sottocommissione, senza però pregiudicare il merito della questione.

(La mozione dell’onorevole Togliatti è approvata all’unanimità, meno 1).

Fa presente che l’on. Basso – il quale ha proposto anch’egli una serie di articoli sui principî dei rapporti politici – ha così formulato la seconda proposizione del suo primo articolo: «Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto, tranne coloro che ne sono legalmente privati» (e, fino a questo punto della formula, i concetti in essa contenuti sono stati già approvati nella seduta precedente) «o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva». In quest’ultima proposizione è contenuto un concetto nuovo sul quale è necessario discutere.

BASSO chiarisce che la sua proposta va inquadrata negli articoli che sono stati già approvati, e particolarmente nel primo articolo, in cui si dice che il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana. Afferma che, se questo articolo ha un contenuto serio, si deve pure ammettere la conseguenza che ne deriva, cioè che chi non lavora non partecipa concretamente alla vita politica della Nazione. Ritiene che la sua proposta sia la prima e più diretta conseguenza di quella affermazione, e che pertanto debba essere approvata.

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa presenti le difficoltà pratiche che questa norma potrebbe portare. Dichiara in ogni modo di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Basso.

MANCINI, Relatore, dichiara di essere anch’egli favorevole alla proposta dell’onorevole Basso.

MORO si dichiara contrario alla esplicita indicazione contenuta nella formula dell’onorevole Basso, appunto perché sono state già sancite alcune norme nella Costituzione, in base alle quali non è assolutamente concepibile che vi siano in Italia persone che non si dedichino volontariamente ad un’attività produttiva. Ritiene che introdurre una disposizione del genere di quella proposta dall’onorevole Basso, oltre che rappresentare una ripetizione, significherebbe andare incontro al pericolo che la disposizione sia usata come un’arma per escludere dal voto cittadini che si presume o si vuol presumere non esercitino un’attività produttiva, mentre in realtà la esercitano. Si cade in sostanza nell’equivoco del significato che può avere il termine: «attività produttiva». Ricorda che è stato già chiarito che cosa si debba intendere per lavoro utile socialmente, e non ritiene che in questa sede si debba ritornare sulla discussione.

LUCIFERO dichiara che l’onorevole Moro ha anticipato in gran parte le sue osservazioni. Esprime la sua netta opposizione alla proposta dell’onorevole Basso, facendo presente che ci si è già trovati un’altra volta di fronte alla difficoltà di stabilire che cosa sia il lavoro produttivo. Conclude affermando che una formula del genere non sarebbe altro che la negazione di una sana democrazia, e permetterebbe qualunque speculazione e forma di ricatto morale e politico.

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa presente che è stato già approvato un articolo in cui si dice che «Ogni cittadino ha diritto al lavoro ed ha il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione, idonee allo sviluppo economico, o culturale o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta». Dal momento che un articolo della Costituzione non può essere interpretato distaccato da altri, dichiara di approvare la proposta dell’onorevole Basso in relazione a quell’articolo che è stato già approvato.

MORO ribadisce il concetto che la norma cui ha accennato l’onorevole Merlin sarebbe svalutata, se si potesse pensare che esistano ancora persone che non lavorano, dopo che si è sancito il diritto e il dovere al lavoro. La norma dell’onorevole Basso puntualizzerebbe l’attenzione sopra un lato negativo della società italiana, che invece si vuole eliminare.

MASTROJANNI, richiamandosi a quanto ebbe già occasione di dire in ordine al dovere al lavoro, come dovere morale e non come imposizione costituzionale, dichiara di votare contro la formula dell’onorevole Basso e si associa alle considerazioni dell’onorevole Lucifero.

MANCINI, Relatore, dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Basso, perché in precedenti discussioni ha sostenuto e dimostrato che prima si deve essere produttori e poi cittadini. Afferma che soltanto chi produce e con la sua attività incrementa la società nella quale vive, ha il diritto di scegliersi i suoi rappresentanti.

PRESIDENTE dichiara di concordare nell’interpretazione data dall’onorevole Merlin alla formulazione dell’onorevole Basso, ma di non poter dare voto favorevole alla sua proposizione, perché non la ritiene capace di riferirsi all’articolo cui è stato accennato. Ricorda che quell’articolo diede luogo ad un’ampia discussione conclusasi con l’accettazione della formula «socialmente utile» che aveva destato le preoccupazioni di una parte dei Commissari. Fa osservare che, in ordine al diritto di voto, il legislatore potrebbe essere indotto a dare alla formula dell’onorevole Basso un’interpretazione univoca nel senso di ritenere soltanto produttivi lavori tecnici, manuali, e non anche un’attività spirituale la cui utilità sociale da alcuni è accettata, mentre da altri è rifiutata.

Per queste regioni dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Basso.

MORO propone che la formula dell’onorevole Basso venga inserita nell’articolo riguardante il lavoro, dicendosi, ad esempio, che: «L’adempimento di questo dovere al lavoro è presupposto per l’esercizio dei diritti politici». In tal modo si rafforzerebbe il contenuto dell’articolo con una specie di sanzione, e nello stesso tempo si eliminerebbe il pericolo di erronee interpretazioni.

LA PIRA si associa all’emendamento sostitutivo dell’onorevole Moro.

BASSO rileva che questa proposta non fa che collimare con le osservazioni già fatte dall’onorevole Moro, che cioè non si deve supporre che ci siano in Italia delle persone che non svolgano un’attività produttiva.

Ad ogni modo dichiara di non avere difficoltà ad accettare la proposta dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE comunica che l’emendamento sostitutivo proposto dall’onorevole Moro e accettato dall’onorevole Basso è il seguente: «L’adempimento di questo dovere è presupposto per l’esercizio dei diritti politici». Tale proposizione dovrebbe essere inserita alla fine dell’articolo già approvato, in cui si dice: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro ed ha il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione, idonee allo sviluppo economico o culturale o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta».

LUCIFERO dichiara che voterà contro questa formula. Osserva che non si possono fare continuamente delle affermazioni di principio che poi non hanno nessun valore, e finiscono per svalutare principî nobili e seri da tutti accettati.

Ritiene che l’articolo che si vuole introdurre abbia un carattere demagogico e privo di un contenuto giuridico.

BASSO dichiara di respingere l’appellativo di «demagogico» usato dall’onorevole Lucifero, appellativo che, se mai, si dovrebbe riferire non alla formula in discussione ma all’articolo già approvato. Si tratta ora di dare un contenuto concreto a questo articolo; si tratta di stabilire che chi non adempie all’obbligo in esso stabilito incorre nella privazione dei diritti politici. O si viene a riconoscere che quando è stato formulato quell’articolo non si intendeva fare sul serio, o si deve ammettere che l’articolo è stato creato perché avesse un valore concreto, e in tal caso si devono tradurre in conseguenze giuridiche le norme fissate.

Ritiene che la formula da lui proposta costituisca una prova della serietà delle intenzioni di chi partecipa ai lavori por la Costituzione.

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara di accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Moro. Invita gli onorevoli Commissari a considerare che vi sono individui, anche se pochi, i quali passano la loro vita senza attendere ad alcuna occupazione. Anche se si tratta di poche persone, egli ritiene che escluderli dai diritti politici sia cosa meritoria.

LUCIFERO dichiara di votare contro questa proposizione che, mentre in se stessa non ha alcun significato effettivo, può essere il mezzo attraverso il quale l’autorità che dovrà determinare se una data attività è produttiva o no, potrà eliminare intere categorie di cittadini dai diritti civili, servendosi di un articolo formulato in maniera molto vaga e che può essere interpretato in modo arbitrario.

MANCINI, Relatore, dichiara di accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Moro.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro per le stesse ragioni esposte dall’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Moro, da inserirsi quale comma aggiuntivo nel secondo articolo sui principî dei rapporti sociali (economici) già approvato.

(L’emendamento è approvato con 12 voti favorevoli, 2 astenuti e 2 contrari).

Rileva che nel testo degli articoli proposti dai Relatori onorevoli Mancini e Merlin viene a questo punto un articolo riguardante l’età per l’elezione a Capo dello Stato: «Per essere eletti a Capo dello Stato occorre avere raggiunto l’età di anni 40».

Osserva che l’oggetto di questo articolo è di competenza della seconda Sottocommissione, che si occupa dei poteri dello Stato. Propone pertanto che lo si rimandi alla seconda Sottocommissione.

MERLIN UMBERTO e MANCINI, Relatori, aderiscono alla proposta del Presidente.

(È approvata all’unanimità).

Comunica che nel testo proposto dai Relatori segue a questo punto un articolo riguardante l’organizzazione dei partiti politici:

«I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e che rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principî di libertà e di uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge particolare».

DOSSETTI propone di accantonare per il momento l’articolo e di passare all’esame dogli articoli successivi che presentano minore complessità, allo scopo di consultare l’orientamento della seconda Sottocommissione al riguardo, dato che l’articolo proposto è anche di competenza di quella Sottocommissione.

PRESIDENTE ritiene che la materia di cui tratta l’articolo proposto dall’onorevole Merlin sia di competenza della seconda Sottocommissione. Quindi, se mai, ci si può riservare di esprimere il proprio parere nella discussione che avrà luogo in sede di Commissione plenaria.

MERLIN UMBERTO, Relatore, a giustificazione del fatto che sia stato presentato alla discussione della Sottocommissione l’articolo in questione, ricorda che nello schema dei lavori della Sottocommissione, approvato il 30 luglio, si menzionava, tra i diritti derivanti dalle libertà politiche, anche il «diritto ad organizzarsi in partiti politici».

Dichiara che, comunque, non ha difficoltà a che l’articolo venga esaminato in un secondo tempo, oppure che esso venga demandato alla competenza della seconda Sottocommissione.

MORO osserva che basterà rimandarne l’esame alla prossima riunione.

PRESIDENTE crede che sia opportuna una proposta intermedia, né eliminatoria, né sospensiva in senso assoluto, e di rimandare la discussione ad una delle prossime sedute, dopo aver sentito il parere della seconda Sottocommissione, al fine di delimitare i compiti rispettivi.

DOSSETTI osserva che si tratta di un argomento complesso, per il quale la Sottocommissione ha competenza per quanto attiene ad un’affermazione di diritto, mentre non ha competenza per quanto riguarda l’inserimento in una determinata organizzazione strutturale.

TOGLIATTI si dichiara d’accordo circa l’opportunità del rinvio della discussione dell’articolo. Osserva, peraltro, che quando si addivenisse a tale discussione, egli si riserverebbe di fare alcune serie obiezioni in merito all’articolo.

PRESIDENTE mette ai voti il rinvio della discussione dell’articolo.

(È approvato all’unanimità).

Presidenza del deputato CORSANEGO

PRESIDENTE legge il testo del quinto articolo proposto dai Relatori:

«Tutti i cittadini di entrambi i sessi sono ammissibili alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza, conformemente alle loro attitudini e facoltà.

«Per l’adempimento delle sue funzioni pubbliche, ogni cittadino ha diritto di disporre del tempo necessario e di non essere privato del suo posto di lavoro».

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa presente che il secondo comma riproduce il capoverso dell’art. 2 proposto dall’onorevole Basso.

Osserva che non è competenza della Sottocommissione discutere quanto attiene al lato economico della questione. In questa sede ci si dovrà limitare a fissare solo il principio che, quando un lavoratore viene ad essere investito di una carica pubblica, non deve essere per questo licenziato, ma deve essere ritenuto in congedo o in aspettativa, per modo che, quando cessi l’incarico pubblico, egli possa riprendere il suo posto.

MASTROJANNI osserva che una disposizione del genere implica anche una corresponsione di indennità. Vi è poi la questione di coloro che svolgono una libera professione, i quali, se eletti deputati, finiscono col sacrificare la loro clientela.

Si dichiara del parere che chiunque sia chiamato all’esercizio della cosa pubblica possa conservare il diritto al posto od all’impiego, purché si escluda nel periodo corrispondente il pagamento di assegni.

Ritiene, ad ogni modo, che un principio del genere potrebbe essere lasciato alla legislazione ed alla regolamentazione.

BASSO obietta che la questione è trattata anche da altre Costituzioni moderne, e in particolare da quella di Weimar, e che non può essere rimandata alla regolamentazione.

Se si respinge una norma del genere, si toglie alla maggioranza degli italiani la possibilità di accedere alle funzioni pubbliche. Si tratta, in sede di Costituzione, di affermare un principio generale; nell’applicazione pratica vi saranno poi norme diverse a seconda delle varie situazioni e delle diverse cariche pubbliche.

MASTROJANNI obietta che chiunque esercita una funzione pubblica o amministrativa deve essere assolutamente libero. Se si esercita il mandato parlamentare o amministrativo e si è al tempo stesso dipendenti, per ragioni di impiego o per ragioni economiche, di enti od istituti privati, od anche dello Stato, non si potrà esercitare tale mandato in assoluta indipendenza ed in piena libertà.

Ritiene, pertanto, incompatibile – e del resto la legge elettorale ne fa menzione – il contemporaneo esercizio del mandato politico o amministrativo e dell’impiego.

Per queste ragione la preoccupazione che si vorrebbe eliminare attraverso la formula dell’onorevole Basso gli sembra superflua, se si ammette il principio che, dal momento in cui si eserciti un mandato pubblico viene a cessare qualsiasi rapporto di dipendenza con qualsiasi altro ente statale, parastatale o privato.

LA PIRA dichiara di non poter concordare con le osservazioni svolte dall’onorevole Mastrojanni. Se si ammette in linea generale il principio che chiunque ha un lavoro non può esercitare una funzione pubblica, si viene a vulnerare il principio essenziale della vita democratica. Ricorda che molti deputati alla Costituente sono professori universitari, e non vi è incompatibilità tra le due funzioni.

Ritiene che si debba affermare il principio generale, che chiunque può accedere a funzioni pubbliche, e che deve essere mantenuto nel suo rapporto d’impiego per la durata dell’esercizio di tali funzioni. Questo per un principio di natura democratica, che ha poi anche un valore umano ed attuale, perché indica che si va incontro ai meno abbienti per dare loro la possibilità di esercitare tranquillamente le funzioni pubbliche alle quali sono chiamati.

DE VITA rileva che le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni sono fondate solo in parte. Il cumulo delle due funzioni non è possibile e vi è una vera e propria incompatibilità, almeno per quanto riguarda gli impiegati dello Stato. In caso di nomina a deputato, vi deve essere per l’impiegato una forma di aspettativa, che purtroppo per alcuni impiegati dello Stato diventa un’aspettativa senza assegni. Ritiene esagerato che si debba privare degli assegni l’impiegato dello Stato investito di un mandato pubblico. Prospetta anche la questione della interruzione del servizio agli effetti delle promozioni e della carriera. È chiaro che un impiegato dello Stato non potrà fare l’impiegato per tutta la durata del mandato parlamentare, ma non deve avere per questo fatto pregiudicata la sua carriera. Non si può ammettere come un’interruzione del servizio l’aspettativa per causa di pubblico mandato, e non si può nemmeno ammettere che un impiegato venga ad essere privato dei suoi assegni se l’indennità parlamentare serve soltanto a coprire le spese a cui verrà incontro per l’espletamento del suo mandato.

CARISTIA rileva che vi sono due questioni diverse. Una riguarda unicamente l’incompatibilità tra due determinate funzioni che si svolgono effettivamente, e l’altra riguarda il diritto del cittadino, investito del pubblico incarico, ad avere quel margine di tempo necessario per svolgere la sua attività politica.

Ritiene comunque che si vogliano affermare troppe cose in sede di Costituzione, mentre si dovrebbe rinviarle puramente e semplicemente alla legislazione normale ed alla regolamentazione.

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa presente che la norma in discussione si riferisce solamente al rapporto di lavoro, ed assicura in primo luogo al lavoratore il tempo necessario per espletare le funzioni pubbliche alle quali fosse chiamato, perché vi può anche essere il caso che un industriale neghi questo diritto ad un lavoratore chiamato ad esplicare un pubblico mandato, adducendo a motivo che egli è legato con contratto di lavoro e deve compiere le sue ore di lavoro. In secondo luogo, la norma proposta tende ad assicurare al lavoratore che cessa dalle funzioni pubbliche la ripresa del suo posto di lavoro.

Non vede come si possano contrastare questi due principî ed esorta i Commissari a voler considerare la giustezza della disposizione proposta.

CARISTIA osserva che, comunque, la dizione dell’articolo non è felice.

MASTROJANNI osserva che l’onorevole Merlin ha considerato una questione inesistente. Nessun industriale può vietare ad un operaio di adempiere al mandato parlamentare. Il contratto, infatti, si può rescindere per volontà reciproca delle parti.

È d’accordo però sul principio che il rapporto d’impiego non debba restare rescisso. Se questo si vuole affermare, propone un emendamento così formulato: «L’adempimento di una funzione pubblica non scinde il rapporto di impiego, ma lo sospende».

MERLIN UMBERTO, Relatore, osserva che si deve completare la norma nel senso che quando il lavoratore decade dal mandato pubblico deve poter riprendere il suo posto di lavoro.

MORO osserva che la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni è troppo estensiva. È chiaro che i benefici di carriera, per esempio, debbano essere garantiti.

PRESIDENTE rileva che la discussione potrebbe intanto limitarsi al primo comma dell’articolo.

MORO osserva che, per quanto riguarda il primo comma dell’articolo, sarebbe preferibile, invece di «ammissibili alle cariche pubbliche», dire: «sono ammessi alle cariche pubbliche» oppure «hanno diritto di accedere alle cariche pubbliche».

PRESIDENTE riconosce che la formulazione dell’articolo non è troppo felice. Si dichiara favorevole all’articolo stesso, nella sostanza, ma desidererebbe una formulazione migliore.

BASSO ricorda che nella sua formulazione era detto: «Tutti i cittadini… possono accedere alle cariche pubbliche».

MANCINI, Relatore, dichiara di accettare la formulazione proposta dall’onorevole Basso.

MORO dichiara che nell’articolo dell’onorevole Basso si accenna alle limitazioni nell’accesso alle cariche, derivanti da incapacità naturali o da incapacità legali. È d’accordo nel concetto espresso dagli onorevoli Merlin e Mancini, che si deve essere ammessi alle cariche pubbliche secondo le attitudini e le facoltà, ma fa presente che con ciò non si accenna alla possibilità che, per ragioni naturali o legali, vi possa essere ad opera della legge qualche limitazione ad accedere a determinati impieghi. È quindi del parere che si debba dire qualche cosa in questo caso.

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara di comprendere la preoccupazione dell’onorevole Moro. Osserva però che quando si dice: «conformemente alle loro attitudini e facoltà» si comprende l’esclusione da determinate funzioni tanto per l’uomo quanto per la donna.

PRESIDENTE dichiara che le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Moro potrebbero essere soddisfatte, se la legge provvedesse anche per le incapacità naturali legali.

MORO chiarisce che non pensa si debba fare, in sede costituzionale, una casistica, ma ritiene che, dopo aver detto che tutti i cittadini di entrambi i sessi sono ammissibili alle cariche pubbliche, si debba porre una limitazione a questo principio. Dichiara comunque di non insistere su tale questione.

MASTROJANNI rileva che non viene indicato chi dovrà giudicare in merito alle attitudini e alle facoltà dei cittadini per essere ammessi alle cariche pubbliche.

BASSO, accogliendo l’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, ritiene si dovrebbe dire «a norma di legge», in modo che si intenda che è la legge che deve stabilire in quali casi si potrà accedere alle cariche pubbliche e con quali attitudini.

TOGLIATTI propone di sostituire le parole «secondo le norme stabilite dalla legge» a quelle «conformemente alle loro attitudini e facoltà».

MANCINI e MERLIN UMBERTO, Relatori, accettano l’emendamento dell’onorevole Togliatti soltanto come emendamento aggiuntivo.

MASTROJANNI dichiara invece di essere d’accordo con l’onorevole Togliatti che il suo emendamento debba intendersi sostitutivo.

MORO dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Togliatti come emendamento aggiuntivo.

DOSSETTI propone che, invece della formula: «secondo le norme stabile dalla legge», per sottolineare che l’idoneità alle pubbliche cariche deve essere stabilita con criteri generali fissati per legge, si dica: «secondo norme stabilite per legge».

TOGLIATTI accetta la proposta dell’onorevole Dossetti.

MERLIN UMBERTO e MANCINI, Relatori, accettano anch’essi la proposta dell’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI è d’avviso che anche la formula proposta dall’onorevole Dossetti debba essere sostitutiva delle parole «conformemente alle loro attitudini e facoltà». Infatti non ritiene opportuno sottoporre il cittadino a un giudizio di idoneità da parte di un organo governativo per stabilire la sua capacità a ricoprire pubbliche cariche.

 

TOGLIATTI insiste perché il suo emendamento, con la modifica proposta dall’onorevole Dossetti, sia inteso come sostitutivo.

PRESIDENTE rileva che la Sottocommissione è d’accordo nell’accettare l’emendamento dell’onorevole Togliatti, modificato dall’onorevole Dossetti. Il dissenso sorge se si deve intendere tale emendamento come aggiuntivo della proposta dei Relatori, o come sostitutivo delle parole: «conformemente alle loro attitudini e facoltà».

Pone ai voti tale questione.

BASSO dichiara di votare contro la proposta che l’emendamento Togliatti sia considerato come sostitutivo, in quanto ritiene che le parole soppresse limitino ulteriormente la formula Togliatti. È d’accordo che le limitazioni debbano essere fatte per legge soltanto su questa enunciazione.

(La proposta Togliatti d’intendere l’emendamento come sostitutivo è respinta con 9 voti contrari, 1 astenuto e 4 favorevoli).

PRESIDENTE mette pertanto ai voti il primo comma dell’articolo, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Togliatti, modificato dall’onorevole Dossetti, nella seguente formulazione:

«Tutti i cittadini di entrambi i sessi possono accedere alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza, conformemente alle loro attitudini e facoltà, secondo norme stabilite per legge».

(L’articolo è approvato con 13 voti favorevoli e 1 contrario).

Apre la discussione sul secondo comma dell’articolo proposto dai Relatori:

«Per l’adempimento delle funzioni pubbliche, ogni cittadino ha diritto di disporre del tempo necessario e di non essere privato del suo posto di lavoro».

MERLIN UMBERTO, Relatore, dichiara che voterà a favore di questa proposizione, avendo aderito ad inserirla nell’articolo.

MASTROJANNI ricorda di aver proposto il seguente emendamento sostitutivo:

«L’adempimento delle funzioni pubbliche non scinde il rapporto di impiego, ma lo sospende».

DOSSETTI fa osservare che l’articolo, nella formulazione proposta dall’onorevole Mastrojanni, viene ad avere una portata giuridica ben precisa, perché il concetto di sospensione del rapporto di impiego è un concetto strettamente tecnico. L’impostazione sintetica dell’onorevole Mastrojanni all’articolo implicherebbe che colui il quale viene, per esempio, eletto ad una carica politica o ad una carica amministrativa, non solo non ne avrebbe nessun vantaggio, ma anzi un evidente danno, perché il rapporto di impiego resterebbe sospeso con grave danno per la carriera, l’anzianità, ecc. Si dichiara quindi contrario alla proposta dell’onorevole Mastrojanni.

CARISTIA dichiara di astenersi dal voto, perché questa materia è di pertinenza della legge elettorale.

DE VITA dichiara che potrebbe accettare la proposta dell’onorevole Mastrojanni, qualora egli volesse integrarla nel senso che nessun pregiudizio di carattere economico, o nei riguardi della carriera, deve derivare per chi ricopre cariche politiche o pubbliche.

CEVOLOTTO dichiara di votare contro l’emendamento dell’onorevole Mastrojanni, non soltanto per le ragioni che ha espresso l’onorevole Dossetti, alle quali aderisce, ma anche perché vi sono delle cariche pubbliche le quali importano un impiego di tempo così limitato che non è affatto necessario di sospendere il rapporto di impiego.

MASTROJANNI chiarisce che non è il fatto economico che lo preoccupa, ma quello di rendere assolutamente libero l’individuo di poter esercitare una pubblica funzione: libertà che non potrebbe essere esplicata nell’interesse della collettività se persistesse quel rapporto di soggezione all’ente datore di lavoro da cui il lavoratore continuerà a dipendere.

(L’emendamento dell’onorevole Mastrojanni è respinto con 12 voti contrari, 1 favorevole e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in votazione il secondo comma dell’articolo: «Per l’adempimento delle funzioni pubbliche ogni cittadino ha diritto di disporre del tempo necessario e di non essere privato del suo posto di lavoro».

MASTROJANNI dichiara di votare contro questo capoverso per le ragioni che ha già esposto e che intende ribadire: chi è investito di pubbliche funzioni deve essere persona assolutamente libera da vincoli di impiego e da soggezioni, perché solo l’uomo libero ha diritto di esercitare il mandato della collettività e deve per l’esercizio di questa alta ed eccelsa missione sacrificare quello che può essere anche l’interesse particolare ed economico.

(Il capoverso è approvato con 11 voti favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo seguente proposto dai Relatori:

«Tutti i cittadini debbono sottostare alle leggi costituzionali ed alle altre norme giuridiche dello Stato e degli enti autarchici; debbono obbedire agli ordini legalmente impartiti dagli organi competenti e debbono adempiere alle prestazioni personali in condizioni di parità ed uguaglianza, con diritto ad equo risarcimento in caso di requisizioni».

CEVOLOTTO non vede la necessità di porre nella Costituzione un articolo di questo genere che, in sostanza, riassume un identico articolo delle preleggi, il quale dice che la legge è obbligatoria per tutti. Si tratta di concetti ovvî che sono ormai acquisiti alla coscienza giuridica di tutti e che, ripete, trovano già la loro formulazione nelle preleggi del Codice civile.

ROSSETTI rileva che l’articolo in esame contiene molti argomenti, e sarebbe anzitutto conveniente articolarlo in più capoversi per poter individuare i problemi che esso affronta. Osserva che alcuni di questi problemi sono anche affrontati dall’articolo 6 e dall’articolo 7 della proposta dell’onorevole Basso. Fa poi rilevare che, in linea di massima, è d’accordo con l’onorevole Cevolotto nel ritenere superflua quella parte dell’articolo in cui si dice che tutti i cittadini devono sottostare alle leggi costituzionali ed alle altre norme giuridiche dello Stato e degli enti autarchici, ecc.; mentre riterrebbe fondamentale una dichiarazione più approfondita ed anche più analitica, precisamente del tipo di quella proposta dall’onorevole Basso, per quanto riguarda l’obbligo di sottostare, eventualmente con qualche criterio restrittivo, alle prestazioni patrimoniali.

PRESIDENTE ritiene che un articolo così complesso potrà dar luogo a una discussione molto lunga, e pertanto propone di passare alla discussione degli articoli che seguono, sui quali è presumibile che si troverà facilmente l’accordo. Crede opportuno incaricare i Relatori onorevoli Merlin e Mancini, e l’onorevole Dossetti, di trovare una formula più semplice che sfrondi questo articolo e faccia convergere l’attenzione soltanto sugli elementi essenziali.

MASTROJANNI fa presente che non potrà partecipare alla prossima seduta, e perciò chiede gli sia consentito di esprimere il suo pensiero sul contenuto dell’articolo in esame.

Dichiara di essere assolutamente contrario alla dizione dell’articolo in esame. Essa fa pensare che si versi in uno stato di guerra: il susseguirsi di imperativi categorici fa ritenere che i diritti della libertà umana non siano tenuti più in alcuna considerazione. È d’accordo con l’onorevole Cevolotto nel ritenere che si tratta di disposizioni che rientrano nelle norme generali del diritto, e che vengono con questo articolo addirittura esasperate al punto da far soggiacere i cittadini all’obbedienza assoluta agli organi autarchici, sottoponendoli a prestazioni le quali possono costituire il più largo arbitrio da parte di enti, che non hanno neppure la potestà di stabilire con criteri giuridici la libertà del cittadino.

Per questa considerazione chiede che questo articolo venga soppresso e in linea subordinata che la sua dizione sia categorica ma non imperativa.

PRESIDENTE pone ai voti la mozione d’ordine da lui formulata, che rinvia ad altra seduta la discussione dell’articolo in esame.

TOGLIATTI dichiara di votare a favore della mozione d’ordine del Presidente, raccomandando ai Relatori di fondere l’articolo in esame con l’articolo 6 proposto dall’onorevole Basso, in quanto che nell’articolo in esame viene lasciata in disparte la questione essenziale delle prestazioni patrimoniali (cioè che il cittadino deve contribuire alle spese dello Stato), mentre vi sono espressi altri concetti che possono essere trascurati.

(La mozione del Presidente è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo seguente proposto dai Relatori:

«Il servizio militare è obbligatorio per tutti. La difesa della Patria è uno dei più alti doveri».

CEVOLOTTO dichiara di essere d’accordo sui principî contenuti nell’articolo. Fa però osservare che, dicendo che il servizio militare è obbligatorio per tutti, ne viene di conseguenza che anche le donne possono essere obbligate a prestare il servizio militare. Ricorda che vi sono degli Stati in cui si è pensato di servirsi delle donne per certi servizi accessori, relativi all’esercito, ma che non comportano l’impiego nelle unità operanti. È del parere che non si debba estendere anche alle donne l’obbligatorietà del servizio militare.

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa notare che egli ha riportato l’articolo 133 della Costituzione russa in cui è detto che la difesa della Patria è un sacro dovere di ogni cittadino. Evidentemente la legge sul servizio militare dirà che soltanto gli uomini potranno prestare il servizio militare.

CEVOLOTTO fa osservare che la formula potrebbe prestarsi ad una interpretazione estensiva del servizio militare obbligatorio anche per le donne. Dichiara di essere favorevole alla formula che la difesa della Patria è un dovere.

MORO dichiara di essere anch’egli favorevole ad una formula in cui si dica che la difesa della Patria è un dovere di ogni cittadino, anche perché questa formula si riferisce piuttosto al concetto di una guerra difensiva che dovrebbe essere il criterio più giusto per una vera democrazia.

Ritiene però necessario aggiungere una norma – che gli sembra sia richiesta dalla coscienza sociale di tutti in questo momento – cioè che l’ordinamento dell’esercito deve riflettere la struttura democratica dello Stato.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla prima parte della proposta dell’onorevole Moro, che cioè si debba sottolineare il concetto di una guerra difensiva, mentre sulla seconda parte della proposta si riserva di riflettere.

Per quanto si riferisce alla prima proposta, vorrebbe anzi che fosse accentuato il concetto che il servizio militare e l’attività bellica debbono avere essenzialmente carattere difensivo. Pertanto propone di invertire l’ordine dei concetti contenuti nell’articolo; cioè che si dica prima che la difesa della Patria è un dovere del cittadino, e poi che il servizio militare è obbligatorio.

DE VITA dichiara di essere favorevole al concetto che la difesa della Patria è un dovere, mentre per la parte dell’articolo che riguarda l’obbligatorietà del servizio militare si dichiara nettamente contrario, essendo egli invece favorevole al servizio militare volontario per il tempo di pace. Ritiene che anche attraverso il volontariato sia possibile tenere in efficienza tecnica un esercito, anche per quanto riguarda i quadri e nell’eventualità di una guerra che deve essere difensiva. Non vede la necessità di mantenere il servizio militare obbligatorio in un regime democratico, specialmente nella situazione in cui si trova attualmente l’Italia.

TOGLIATTI dichiara di essere nettamente contrario al punto di vista espresso dall’onorevole De Vita. Ritiene che si debba mantenere il servizio militare obbligatorio, qualunque sia l’esercito che il trattato di pace consentirà di mantenere. Afferma che con il servizio militare volontario non si avrebbe più un esercito a carattere nazionale, non si avrebbe più il popolo intero che si arma ed è pronto a difendere il suolo della Patria, ma una categoria di professionisti delle armi che potrebbero rappresentare la rovina di una società e la rovina dello Stato.

Ritiene che il concetto del servizio militare volontario sia da respingere, anche per il fatto che nell’organizzazione del servizio militare obbligatorio, dato che sarà consentilo un esercito di limitate proporzioni, si dovrà adottare il criterio che il maggior numero possibile di cittadini siano istruiti nell’esercizio delle armi, in modo che possano essere utili alla difesa della Patria.

Per quanto riguarda l’estensione del servizio militare obbligatorio ai cittadini di sesso femminile, dichiara che non ne fa una questione, prima di tutto perché si è sempre detto che il servizio militare è obbligatorio, senza, intendere con questo che sia obbligatorio anche per le donne, e poi perché non si potrebbe mai concepire di servirsi delle donne in quei servizi ed in quelle funzioni dell’esercito che sono proprie degli uomini.

Aggiunge che dovrà essere emanata in ogni caso una legge sul servizio militare, che regolerà i casi di obbligatorietà e le diverse categorie di persone che devono sottostare all’obbligo, e non vi sarà ragione di escludere, in linea di principio, l’impiego delle donne per determinati servizi.

BASSO richiama l’attenzione dei Commissari sulla formula da lui proposta, la quale dice: «Tutti i cittadini sono tenuti alle prestazioni personali allo Stato per servizio militare e di lavoro».

MERLIN UMBERTO, Relatore, è d’avviso che ogni democrazia debba stabilire il servizio militare obbligatorio per tutti i cittadini, poiché troppo spesso i soldati volontari divengono dei mercenari.

DE VITA, riferendosi a quanto ha prima dichiarato, obietta che vi può essere un esercito di volontari, che non sia un esercito mercenario.

MERLIN UMBERTO, Relatore, ricorda che la democrazia, a cominciare dalla Dichiarazione dei principî del 1789, ha affermato il principio dell’obbligatorietà del servizio militare per tutti, e sostiene che questo principio deve essere riconfermato nella Costituzione.

Dichiara, infine, di non aver nessuna difficoltà ad accettare l’aggiunta proposta dall’onorevole Basso.

PRESIDENTE osserva che, adottando la formula proposta dall’onorevole Basso, si dovrebbe rimandarne la discussione, in quanto questa formula fa parte dell’articolo che ha dato luogo alla mozione d’ordine sospensiva.

MASTROJANNI si dichiara pienamente d’accordo circa la coscrizione obbligatoria, ma intende che questa coscrizione debba restringersi alla categoria dei cittadini maschi e non debba essere estesa anche alle donne.

Rileva che quanto ha detto l’onorevole Togliatti risponde indubbiamente alla realtà ed anche alla necessità che determinati servizi possano e debbano essere adempiuti da donne che ne abbiano la capacità, ma osserva che non tutte le donne hanno la capacità di adempiere a quelle prestazioni.

CARISTIA obietta che è evidente che le donne, le quali non hanno una sufficiente capacità per adempiere ad un servizio militare ausiliario, non saranno arruolate.

MASTROJANNI ricorda che il criterio di assegnazione ad una determinata attività nell’ambiente militare ha troppe volte fatto astrazione dalle attitudini e dalle possibilità personali. Questo pericolo deve essere considerato attentamente nell’interesse stesso della donna. Ritiene pertanto che possa essere approvata una formula che consenta il diritto di adibire in tempo di guerra le donne a speciali servizi, ma non parli di coscrizione obbligatoria anche per le donne.

CEVOLOTTO ritiene opportuno che la formula sia limitata alla seguente dizione: «Il servizio militare è obbligatorio». Se invece si vogliono aggiungere le parole «per tutti», allora si verrà ad estendere l’obbligatorietà, sia pure nelle forme speciali, anche a tutte le donne fisicamente abili, il che, a suo avviso, è eccessivo.

TOGLIATTI osserva che il fatto di dire che il servizio militare è obbligatorio per tutti non vuol dire che tutti sono mobilitati.

CEVOLOTTO insiste perché la formula dica soltanto: «Il servizio militare è obbligatorio.

LA PIRA ritiene che si debba rendere obbligatorio il servizio militare esclusivamente per gli uomini, lasciando poi la possibilità dell’accesso volontario delle donne a quei servizi particolari, sanitari, ausiliari ed altri, per i quali abbiano attitudini.

È indispensabile, però, limitare l’obbligatorietà del servizio militare ai soli nomini.

MERLIN UMBERTO, Relatore, osserva che l’impiego delle donne in servizi ausiliari potrà essere stabilito dalla legge.

LA PIRA dichiara di accedere alla formula proposta dall’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE ricorda che è stato proposto dall’onorevole Dossetti di invertire l’ordine dei concetti nell’articolo in esame, mettendo prima l’affermazione di carattere generale che la difesa della Patria è uno dei più alti doveri, e dopo l’altra riguardante l’obbligo del servizio militare.

Ritiene che su questa proposta tutti i Commissari possano essere d’accordo.

BASSO ritiene che, per quello che riguarda la parte più strettamente tecnica dell’articolo, la formulazione da lui proposta, in un solo articolo comprensivo delle prestazioni personali e patrimoniali alle quali è obbligato il cittadino, sia la migliore.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Moro ha presentato una nuova formula sostitutiva di quella dei Relatori, la quale tiene conto delle diverse opinioni espresse nel corso della discussione:

«La difesa della Patria e tra i più alti doveri del cittadino.

«Il servizio militare è obbligatorio. Esso non può pregiudicare le posizioni di lavoro del soldato, né l’esercizio dei diritti politici.

«Gli ordinamenti dell’esercito devono riflettere lo spirito democratico dello Stato italiano».

MORO spiega che con le parole: «Esso non può pregiudicare le posizioni di lavoro del soldato», si intende naturalmente che non possono essere pregiudicate le posizioni di lavoro anteriori al servizio militare.

Rileva che la formula da lui proposta pone in primo luogo una nobile affermazione generale circa l’obbligo della difesa della Patria, quale uno dei più alti doveri del cittadino.

In secondo luogo, benché egli sia antimilitarista, ritiene che si debba fissare una formula che riguardi in maniera esclusiva il servizio militare e la sua obbligatorietà.

Sarà la legge che stabilirà i limiti e le categorie che rientrano nell’obbligo.

Ritiene inoltre necessario garantire la posizione di lavoro del cittadino chiamato alle armi, fissando il diritto che egli ha a che gli sia conservato il posto e gli siano conservati gli assegni. Questo di regola presentemente avviene, ma vi sono delle sperequazioni.

Fino a poco tempo fa non si garantiva la conservazione del posto per i militari di leva. Questa era una cosa ingiusta, ed è bene che nella Costituzione si dica espressamente che chi adempie all’obbligo del servizio militare non deve veder pregiudicati i suoi diritti politici.

Osserva, infine, che l’ultima norma fissata nell’articolo da lui presentato è indispensabile dopo quanto è avvenuto in Italia e tende ad avvenire in ogni esercito: la norma ha lo scopo di garantire che lo spirito democratico del Paese entri nell’esercito compatibilmente con la struttura gerarchica dell’esercito stesso. Non è pensabile che la gerarchia militare soffochi la dignità della persona umana, come troppe volte è avvenuto attraverso i regolamenti di disciplina.

MASTROJANNI, osservando che nella prima parte dell’articolo si dice che la difesa della Patria costituisce uno dei più alti doveri del cittadino, dichiara di non vedere quale altro dovere può essere ritenuto più elevato di quello riguardante la difesa della Patria. Ritiene invece che questa affermazione nobilissima debba essere fatta in modo solenne e senza alcuna limitazione.

Si dichiara d’accordo per quanto riguarda la parte centrale dell’articolo, ma sull’ultima parte, laddove si dice che l’esercito deve riflettere lo spirito democratico dello Stato, desidera che i Commissari tengano presente la struttura dell’esercito e il rendimento che esso deve dare attraverso una particolare disciplina, che non può essere influenzata da alcun sistema od orientamento politico. La esperienza recente insegna che il nostro nobilissimo esercito ha subito un’incrinatura ed un avvilimento nel momento in cui il fascismo ha voluto insinuarvisi rompendone la compagine ed esautorando i principî della disciplina. Questa esperienza recente lo conforta nell’affermare che l’ultima proposizione dell’onorevole Moro dovrebbe essere eliminata, per permettere all’esercito di solidificarsi e di perseguire le sue altissime finalità senza l’influenza di orientamenti politici. L’esercito è fatto per difendere la Patria: la Patria si difende sotto qualsiasi regime e con qualsiasi orientamento politico. L’educazione dei giovani, che devono essere portati anche al sacrificio supremo della vita, deve essere lasciata nelle mani di persone le quali non soffrano in modo alcuno né l’influenza né il timore degli atteggiamenti politici.

MERLIN UMBERTO, Relatore, propone di usare la formula: «La difesa della Patria è sacro dovere per i cittadini».

DE VITA chiede che l’articolo sia votato per proposizioni separate.

PRESIDENTE legge l’articolo nella definitiva dizione proposta dall’onorevole Moro:

«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

«Il servizio militare è obbligatorio.

«L’adempimento degli obblighi militari non può pregiudicare la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.

«Nell’ordinamento dell’esercito deve riflettersi lo spirito democratico dello Stato italiano».

MANCINI, Relatore, dichiara di accettare l’articolo nella dizione proposta dall’onorevole Moro.

MERLIN UMBERTO, Relatore, si associa alla dichiarazione dell’onorevole Mancini.

MASTROJANNI domanda che cosa si intenda con le parole: «non può pregiudicare la posizione del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici».

PRESIDENTE spiega che si vuole intendere che i militari conservano il diritto al voto e ad essere eletti deputati.

Pone ai voti la prima proposizione dell’articolo:

«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».

(È approvata all’unanimità).

Pone ai voti la seconda proposizione: «Il servizio militare è obbligatorio».

DE VITA dichiara di votare contro per i motivi già esposti.

(La proposizione è approvata all’unanimità, meno 1 voto contrario).

PRESIDENTE legge l’altra proposizione:

«L’adempimento degli obblighi militari non può pregiudicare la posizione di lavoro del cittadino né l’esercizio dei diritti politici».

(La proposta è approvata all’unanimità, meno 1 voto contrario).

Legge l’ultima proposizione:

«Nell’ordinamento dell’esercito deve riflettersi lo spirito democratico dello Stato italiano».

(È approvata all’unanimità, meno 1 astenuto).

PRESIDENTE pone ai voti l’intero articolo.

(È approvato all’unanimità).

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assente giustificato: Grassi.

GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

37.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti politici (Discussione)

Presidente – Lucifero – Cevolotto – Moro – Merlin Umberto, Relatore – Mancini, Relatore – Togliatti – Dossetti – Grassi – Caristia – Mastro– janni – Basso – La Pira – Corsanego.

La seduta comincia alle 11.25.

Discussione sui principî dei rapporti politici.

PRESIDENTE informa che gli onorevoli Mancini e Merlin Umberto, Correlatori sul tema delle libertà politiche, hanno concordato la formulazione di alcuni articoli

Apre la discussione sul primo articolo concordato: «Tutti i cittadini, indipendentemente dal sesso, dalla lingua, dalla razza, dalla condizione sociale e dalla opinione politica, quando abbiano raggiunto la maggiore età, siano naturalmente capaci, incensurati, a termini della legge speciale, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo in condizioni di universalità e di eguaglianza».

LUCIFERO, alla parola «razza», che non ritiene molto appropriata, sostituirebbe il termine «stirpe», che gli sembra più consono alla dignità umana.

Per quanto riguarda la maggiore età, fa rilevare che esiste una contradizione tra la disposizione dell’articolo, nel quale è previsto che i cittadini hanno diritto all’elettorato attivo e passivo quando abbiano raggiunto la maggiore età, e le disposizioni seguenti, nelle quali si dispone che per essere eletti a determinate cariche occorre avere raggiunta una diversa età.

CEVOLOTTO osserva che la parola «stirpe» esprime un concetto diverso dalla parola «razza», che, d’altra parte, è entrata nell’uso comune da quando fu impostata dal fascismo la questione razziale.

Si associa, invece, all’osservazione dell’onorevole Lucifero circa la contradizione esistente tra la disposizione dell’articolo in discussione e quelle degli articoli seguenti. Infatti, a termine del primo articolo, chiunque potrebbe essere eletto deputato appena raggiunta la maggiore età.

MORO fa presente che il limite dell’età, per quanto riguarda i deputati, è stato fissato dalla seconda Sottocommissione.

CEVOLOTTO dichiara che in Assemblea plenaria proporrà che la fissazione del limite di età per i deputati venga demandata alla legge elettorale, poiché in relazione al mutare dei tempi sarà molto più facile emendare una legge che non la Costituzione. Propone, intanto, che venga modificato l’articolo in discussione in modo da eliminare la contradizione che è stata rilevata.

PRESIDENTE ricorda alla Sottocommissione che oltre ai Relatori, onorevoli Merlin e Mancini, anche l’onorevole Basso ha presentato sull’argomento in discussione una serie di articoli illustrati da una relazione.

MERLIN UMBERTO, Relatore, si associa alle osservazioni dell’onorevole Cevolotto circa la parola: «razza», che, del resto, è stata adottata anche in altre legislazioni.

Circa la contradizione rilevata dall’onorevole Lucifero, fa presente che la preoccupazione dei Relatori era stata quella di stabilire il medesimo limite di età sia per l’elettorato attivo, sia per quello passivo, rinviando le eventuali modifiche alla legge elettorale; per questo motivo nella formula concordata è stata inserita l’espressione: «a termini della legge speciale».

LUCIFERO non ritiene che la legge elettorale possa modificare il limite di età stabilito dalla Costituzione.

PRESIDENTE è d’accordo con l’onorevole Lucifero nel ritenere che quando la Costituzione ha stabilito un limite, questo non possa essere superato da una legge speciale.

MERLIN UMBERTO, Relatore, obietta che in tale caso si tratterebbe di un rinvio esplicito alla legge speciale. Fa presente, poi, che, in conformità a quanto è sancito in altre Costituzioni, si è fatto un articolo speciale per l’eleggibilità a Capo dello Stato. Dichiara però che, ad ogni modo, non sarebbe contrario a sopprimere questa disposizione che potrebbe essere anche rimandata all’esame della seconda Sottocommissione.

MANCINI, Relatore, è favorevole al mantenimento della parola «razza», in quanto ritiene che l’espressione «stirpe» riguardi il ceppo familiare, mentre l’espressione «razza» riguarda, in genere, la razza vera e propria.

TOGLIATTI dichiara di aderire alle osservazioni dell’onorevole Mancini per quanto riguarda l’espressione «razza», perché, in realtà, i termini «razza» e «stirpe» hanno un diverso significato. Vi potrebbe essere infatti un cittadino il quale sia di razza ebraica, ma di una stirpe diversa da un altro cittadino della stessa razza Ad ogni modo, a parte ogni altra considerazione, la parola «razza» dovrebbe essere usata appunto per dimostrare che si vuole ripudiare quella politica razziale che il fascismo aveva instaurato.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione sia d’accordo nel mantenere la parola «razza».

MORO, dato che il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini è già stato fissato in linea generale in uno dei primi articoli della Costituzione (Gli uomini, a prescindere dalle diversità di attitudini, di sesso, di razza, di nazionalità, di classe, di opinione politica e di religione, sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto ad uguale trattamento sociale), ritiene che si potrebbe fare a meno di ripetere tale principio nell’articolo in discussione.

TOGLIATTI proporrebbe di sopprimere tutto l’articolo e di aggiungere nel seguente, alle specificazioni del voto, l’attributo «universale».

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo primo proposto dall’onorevole Basso: «La sovranità popolare si esercita attraverso la elezione degli organi costituzionali dello Stato mediante suffragio universale, libero, segreto, personale ed uguale.

«Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto, tranne coloro che ne sono legalmente privati o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva».

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa osservare che nell’articolo proposto dall’onorevole Basso, che abbraccia i due primi articoli della sua relazione, non è espresso il concetto, che dovrebbe essere affermato, che il voto è un dovere pubblico, come invece è detto nell’articolo 2 proposto dall’onorevole Mancini.

Circa poi l’esclusione dal diritto del voto di tutti coloro che non esercitino un’attività produttiva, pur non essendo contrario in linea di massima a questo principio, ed a parte la questione se debba essere inserito in una Costituzione o piuttosto formare oggetto di una legge speciale, ritiene estremamente difficile trovare un criterio di distinzione per giungere all’attuazione pratica di tale principio.

PRESIDENTE propone di limitare l’esame solo alla prima parte dell’articolo dell’onorevole Basso, sulla quale sembra convergere il pensiero dei colleghi.

CEVOLOTTO è favorevole alla formula dell’onorevole Basso, ma rileva che facendo cenno al solo suffragio universale viene omessa una delle forme per mezzo delle quali si esercita la sovranità popolare, cioè il «referendum».

DOSSETTI dichiara di preferire la formulazione concordata dai Relatori perché ha l’impressione che la dizione proposta dall’onorevole Basso costringa ad entrare nel merito di problemi che non hanno stretta attinenza con gli articoli attualmente all’esame della Sottocommissione e che riguardano i diritti e i doveri dei cittadini, non più sul piano puramente umano o sociale, ma su quello politico, vale a dire sul piano dei rapporti del cittadino rispetto allo Stato. Invece il concetto della sovranità e il modo con cui questa si esplica vanno oltre la determinazione dei suddetti rapporti ed anzi li presuppongono. Solo quando sarà stata effettuata questa prima determinazione si potrà passare ad esaminare il modo di estrinsecarsi di questi diritti e doveri del cittadino e quindi le modalità dell’esercizio del voto, che non deve limitarsi soltanto alla elezione degli organi costituzionali.

GRASSI riconosce giuste le osservazioni dell’onorevole Dossetti, in quanto l’esercizio della sovranità popolare non è che la conseguenza del diritto di voto. Bisogna quindi prima affermare il diritto di tutti i cittadini all’elettorato attivo e passivo in tutte le sue manifestazioni, lasciando alla legge elettorale di stabilire le modalità di esecuzione e i casi di incapacità. Propone pertanto la seguente formula: «Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, mediante suffragio universale libero, segreto, personale ed uguale, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo, in condizioni di universalità e di uguaglianza.

«La modalità dell’esercizio è regolata dalla legge».

CARISTIA è d’accordo con l’onorevole Grassi. Per le ragioni esposte dall’onorevole Moro sopprimerebbe però l’espressione: «in condizioni di universalità e di uguaglianza».

MORO rileva che l’accenno al suffragio universale e segreto, contenuto nella dizione dell’onorevole Basso, può riferirsi solo all’elettorato attivo. Preferirebbe, invece, una formula in cui si dicesse prima che tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo nelle condizioni stabilite dalla legge speciale, salvo poi precisare in quali condizioni si debba svolgere l’elettorato passivo.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla impostazione dell’articolo così come è stata esposta dall’onorevole Moro.

MERLIN UMBERTO, Relatore, ritiene necessario l’accenno al limite dell’età, che è contenuto in quasi tutte le Costituzioni, compresa quella russa.

PRESIDENTE prospetta l’opportunità di fare in una proposizione a parte un esplicito richiamo alla legge per determinare sia i limiti di età, che i casi d’incapacità legale o naturale.

DOSSETTI ritiene che la delimitazione dell’età debba essere fissata nella Costituzione e non rinviata alla legge.

MORO, per maggiore chiarezza, scinderebbe l’elettorato attivo e quello passivo in due articoli, dei quali uno relativo al diritto al voto per la elezione degli organi costituzionali o per il referendum, e l’altro relativo alla eleggibilità alle cariche pubbliche. In tal modo si potrebbe con più precisione stabilire i requisiti per le due forme di elettorato.

PRESIDENTE è del parere che, per non creare eventuali discordanze con le decisioni adottate in materia dalla seconda Sottocommissione, sarebbe opportuno limitarsi al solo riferimento alla legge. Questa determinerà a sua volta le modalità dell’esercizio di voto, sia in ordine all’età che alle altre incapacità naturali o legali, in modo da potere arrivare ad una decisione univoca in sede di Commissione plenaria.

Insiste, pertanto, nel proporre che non si si faccia in questo articolo un accenno alla maggiore età, ma la si rinvii alla legge.

MERLIN UMBERTO, Relatore, fa osservare che nelle altre Costituzioni, eccetto quattro, è stato fissato il minimo di età per l’elettorato. Ammette l’opportunità che per l’elettorato passivo si debba fissare un’età diversa; ma intanto è necessario che sia fissata l’età maggiore per l’elettorato attivo.

DOSSETTI ritiene che il limite dell’età si debba fissare anche per l’elettorato passivo.

MASTROJANNI è d’avviso che, in sede di Costituzione, si debbano fissare i limiti di età, sia per l’elettorato passivo che per quello attivo. È questa una questione di capitale importanza, che non solo non si può lasciare alla legge, ma anzi deve servire di guida al legislatore, affinché non si corra il pericolo di concedere il diritto di voto a giovani in età inferiore ai 20 anni, in quella età, cioè, in cui l’entusiasmo supera normalmente la riflessione.

TOGLIATTI obietta all’onorevole Mastrojanni che una diminuzione dell’età elettorale non rappresenterebbe un pericolo, ma il raggiungimento di una legittima rivendicazione dei giovani. A suo avviso, l’entusiasmo non può essere di ostacolo all’elettorato attivo, purché sia accompagnato dal discernimento, di cui è ammessa l’esistenza nei giovani di 18 anni. Se può esser vero che negli elettori giovani prevale l’entusiasmo, è altrettanto vero che una qualità contraria prevale in coloro che hanno superato, per esempio, i 60 anni. Bisogna quindi lasciare che le due qualità, entusiasmo e riflessione, si compensino l’una con l’altra.

Esprime il parere che la fissazione del limite di età dovrebbe essere rinviata alla legge elettorale.

GRASSI concorda con l’onorevole Togliatti sull’opportunità di lasciare libero il legislatore di fissare i limiti di età, facendo presente che il rinvio alla legge speciale non pregiudica alcun punto di vista. Se invece nella Costituzione si volesse stabilire il criterio rigido dei limiti di età, concorda con l’onorevole Moro sulla opportunità di separare le due ipotesi dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo.

MORO, insistendo nella proposta di scindere i due casi dell’elettorato attivo e passivo, propone la seguente formula:

«Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, quando abbiano raggiunto la maggiore età, hanno diritto all’elettorato attivo.

«La legge fissa le condizioni per l’esercizio del voto ed i casi di incapacità.

«Il voto deve essere universale, libero, uguale, segreto, personale. Esso costituisce un dovere civico».

MASTROJANNI osserva all’onorevole Togliatti che il discernimento ha il suo valore in materia penale, come criterio discriminativo, ma per quanto riguarda l’esercizio dell’elettorato, che, a suo parere, costituisce l’atto più importante che l’uomo possa compiere durante il ciclo della sua vita, è necessaria qualche cosa più che il discernimento, qualche cosa cioè che a 18 anni non si può sempre avere.

Ribadisce il concetto che nella Costituzione deve fissarsi il limite di età, facendo presente che una volta fissato, per l’eleggibilità a deputato 21 anni, tale principio si estende automaticamente in altri campi, come in quello amministrativo.

Conclude affermando che non dovrebbe essere consentito alla Sottocommissione, la quale si è preoccupata di fare precisazioni rigorose in materie di gran lunga inferiori, di spogliarsi della responsabilità di fissare al legislatore l’orientamento in ordine alle capacità civili dell’uomo.

CEVOLOTTO, per quanto si riferisce all’età per l’elettorato attivo, alle considerazioni svolte dall’onorevole Togliatti aggiunge che il fatto che un individuo, pur non avendo raggiunto i 21 anni, sia commerciante, o emancipato, ovvero capo di una famiglia, dovrebbe essere preso in considerazione anche per la concessione del diritto di voto.

In relazione a tali casi, per cui dovrebbe farsi una eccezione alla regola generale, sarebbe consigliabile non prevedere nella Costituzione un determinato limite di età, rinviandone la fissazione in sede di legge speciale, che potrà di volta in volta risolvere la questione a seconda del livello di cultura e della preparazione raggiunti dai cittadini.

Quanto poi all’elettorato passivo, non crede che sia opportuno fissare per le elezioni a capo dello Stato o a deputato il limite di età di 21 anni, che, a suo avviso, dovrebbe essere più elevato. Anche per l’elettorato passivo non ritiene che si possa stabilire un limite di età inderogabile, potendo esso essere eventualmente variato a seconda di circostanze che oggi non si possono nemmeno prevedere. Per questi motivi reputerebbe necessario adottare una formula generica di rinvio alla legge speciale.

PRESIDENTE rileva che, per procedere più speditamente, bisognerebbe decidere se si debba far menzione nella Costituzione dei limiti di età per l’elettorato attivo e per quello passivo, ovvero rinviare la materia ad una legge speciale, come è suo avviso.

MERLIN UMBERTO, Relatore, insiste perché il limite di età sia inserito nella Costituzione per le ragioni già esposte. Osserva che se successivamente si verificheranno condizioni di maggiore maturità e di maggiore preparazione, si potrà sempre modificare la Costituzione e abbassare i limiti di età. Attualmente il limite di età di 21 anni è già molto basso, perché a questa età i giovani sono ancora immaturi e impreparati.

PRESIDENTE, riassumendo, osserva che vi è una proposta dell’onorevole Merlin tendente a fissare in sede costituzionale i limiti di età per l’elettorato attivo, ed un’altra proposta, che egli ha fatto sua e alla quale hanno aderito gli onorevoli Cevolotto e Togliatti, di rimandare alla legge speciale.

Mette ai voti la proposta di inserire nella Costituzione il limite di età per l’elettorato attivo.

(La proposta è respinta con 6 voti favorevoli, 8 contrari e 1 astenuto).

Precisa che allora si deve intendere approvato il rinvio della fissazione dei limiti di età alla legge speciale.

Ricorda che in proposito sono state presentate due formule concrete, una dell’onorevole Moro ed un’altra, la sua, che fonde parte dei concetti contenuti nell’articolo dell’onorevole Merlin e parte di quelli dell’articolo dell’onorevole Basso. La proposta dell’onorevole Moro, dopo il risultato della votazione, deve perciò intendersi modificata nel modo seguente:

«Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno diritto all’elettorato attivo.

«La legge fissa le condizioni per l’esercizio del voto e determina i casi di incapacità.

«Il voto deve essere universale, libero, uguale, segreto, personale. Esso costituisce un dovere civico».

Dà quindi lettura della sua formulazione, che diversifica da quella proposta dall’onorevole Moro, in quanto comprende sia l’elettorato attivo che quello passivo:

«Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo in condizioni di universalità e di uguaglianza.

«La legge regola l’esercizio di questo diritto e ne stabilisce le limitazioni derivanti da incapacità naturali o legali».

In tale formula non ha parlato di dovere civico del voto, ritenendo che questo concetto possa essere inserito in un successivo articolo.

Domanda alla Commissione se essa intenda prendere come base per la discussione e per la votazione l’articolo da lui proposto o quello dell’onorevole Moro.

MORO dichiara di insistere per la distinzione tra elettorato attivo e passivo. Desidera anche che si fissino in modo preciso e con tutta quella aggettivazione che è nella sua proposta, i vari caratteristici aspetti del voto, considerando un po’ vaga la dizione proposta dall’onorevole Presidente con le parole «in condizioni di universalità e di eguaglianza».

CARISTIA, poiché tutti e due gli articoli hanno sostanzialmente lo stesso significato, crede che converrebbe fonderli insieme, integrandoli a vicenda.

BASSO concorda con l’onorevole Moro circa l’opportunità di specificare dettagliatamente i vari requisiti del voto. Come base della discussione, a suo parere, potrebbe essere preso l’articolo proposto dal Presidente, purché in esso venga effettuata la suddetta specificazione.

MORO dichiara che accederebbe alla formulazione proposta dal Presidente, qualora si aggiungessero i requisiti del voto.

MERLIN UMBERTO, Relatore, concorda con l’onorevole Moro.

PRESIDENTE ritiene che dei requisiti del voto si possa trattare in un altro articolo. Non crede infatti che l’approvazione dell’articolo che ha proposto pregiudichi tale questione.

MORO insiste perché la formula proposta dal Presidente venga circoscritta al solo elettorato attivo, ritenendo che per l’elettorato passivo sia opportuno formulare un altro articolo.

LUCIFERO riterrebbe opportuno porre in discussione la formulazione dell’onorevole Moro, in quanto più organica, salvo aggiungere un capoverso per l’elettorato passivo; dato che i due elettorati hanno diverse caratteristiche, mantenendoli divisi si potrebbe ottenere una formulazione più chiara e più precisa.

PRESIDENTE rileva che, qualora si dovesse discutere sulla formula dell’onorevole Moro, domanderebbe al proponente di integrare il suo articolo facendo in esso menzione anche dell’elettorato passivo.

MORO risponde che era sua intenzione fare oggetto l’elettorato passivo di un altro articolo che potrebbe essere così formulato: «Tutti i cittadini, a prescindere dalla limitazione del sesso, hanno diritto all’elettorato passivo e possono accedere alle cariche pubbliche», salvo, bene inteso, le eccezioni che dovrebbero essere specificate.

PRESIDENTE non ravvisa l’opportunità di fare un articolo staccato per l’elettorato passivo.

GRASSI ritiene che lo scindere i due concetti potrebbe portare alla necessità di entrare in dettagli, che non è sempre facile definire con precisione. A suo avviso, la cosa principale da affermare nella Costituzione è che il diritto di elettorato, attivo e passivo, è eguale in tutti i cittadini. L’affermazione di questo principio non viene per nulla ad essere intaccata dalle limitazioni che il legislatore potrà stabilire per l’elettorato passivo nei riguardi dell’età e della eleggibilità. La sua formula, così come è stata completata dal Presidente, gli sembra più idonea per raggiungere lo scopo, perché da un lato si ammette che unica è la fonte dei diritti relativi all’elettorato passivo ed attivo, e dall’altro si fa un rinvio invece alla legge per quanto riguarda i limiti di età e le condizioni di eleggibilità.

MORO ritiene che da parte della Sottocommissione non si voglia soltanto esprimere il concetto della uguaglianza dei cittadini sotto i due profili dell’elettorato, ma si voglia accennare a due diverse situazioni: l’esercizio del voto come contributo indiretto alla formazione della volontà dello Stato – elettorato attivo – e l’esercizio di ricevere il voto per assumere una posizione diretta nella formazione della volontà dello Stato, cioè l’esercizio dell’elettorato passivo.

PRESIDENTE obietta che normalmente, sia nelle Carte costituzionali che nelle leggi, l’elettorato passivo e quello attivo sono sempre strettamente congiunti.

MORO dichiara di dissentire su questa congiunzione dei due diritti, in quanto l’uno rappresenta il potere di eleggere e l’altro quello di formare la volontà dello Stato.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Moro di scindere i due concetti dell’elettorato.

(La proposta dell’onorevole Moro è respinta con 13 voti contrari e 2 favorevoli).

Circa la formula che ha fatta sua, per evitare una ripetizione di concetti, propone di sostituire alle parole: «in condizioni di universalità e di uguaglianza», le altre: «mediante suffragio universale, libero, segreto e personale».

Mette ai voti la prima proposizione della formula: «Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo».

(È approvata all’unanimità).

Apre la discussione sulla successiva proposizione: «mediante suffragio universale, libero, uguale, segreto e personale».

DOSSETTI obietta che questa seconda proposizione contradice la prima, perché se è vero che l’elettorato attivo si esercita mediante suffragio libero, segreto e personale, la stessa cosa non può dirsi per l’elettorato passivo.

MERLIN UMBERTO, Relatore, ritiene che la formula primitiva «in condizioni di universalità e di uguaglianza», in quanto consacrata in tutti i testi costituzionali e nello stesso programma votato in una delle prime sedute della Sottocommissione, nel ripartire i diversi argomenti tra i vari Relatori, esprima nella maniera più limpida e più chiara i concetti contenuti negli articoli seguenti.

PRESIDENTE propone di formulare la seconda proposizione nel modo seguente: «Il voto deve essere universale, libero, uguale, segreto e personale».

DOSSETTI fa osservare all’onorevole Merlin che in relazione alla struttura della seconda Camera, così come è stata elaborata dalla II Sottocommissione, non può affermarsi in termini assoluti e generici che l’esercizio dell’elettorato passivo si eserciti in condizioni di universalità e di uguaglianza.

MASTROJANNI ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Dossetti non abbia ragion d’essere, in quanto, secondo il concetto dell’onorevole Merlin, l’esercizio dell’elettorato passivo è la conseguenza dell’universalità del voto personale, segreto, diretto e universale. Non esiste quindi la contradizione che egli ha rilevato, né ha fondamento la sua obiezione relativa alla futura struttura della seconda Camera, in quanto che anche l’esercizio dell’elettorato passivo per l’espletamento del mandato ricevuto per la seconda Camera, è sempre la conseguenza del suddetto esercizio di voto.

TOGLIATTI osserva che, quali che siano le condizioni in cui si dovrà esercitare l’elettorato passivo, le norme relative saranno sempre poste in condizioni uguali per tutti i cittadini. Non vedrebbe quindi il motivo di lasciare cadere la primitiva formula concisa ed espressiva: «in condizioni di universalità e di uguaglianza».

MORO non è d’accordo, perché da una simile norma costituzionale potrebbero derivare applicazioni pratiche che potrebbero essere anche in contrasto con l’intendimento della Sottocommissione.

Torna ad esprimere l’opinione che se i due concetti fossero stati considerati distintamente, si sarebbe potuta più facilmente trovare una formula che esprimesse il pensiero della Sottocommissione, senza dare luogo ad eventuali equivoci.

MANCINI, Relatore, insiste sulla dizione «in condizioni di universalità e di uguaglianza» che, a suo avviso, è una formula che comprende tutti i concetti.

LA PIRA dichiara di accedere anch’egli a questa dizione che, nel concetto, risponde ad una formula di San Tommaso, che nel De regimine principum precisa il principio perfetto per cui tutti partecipano alla vita pubblica, nel senso che ognuno può essere eletto «ex omnibus et ab omnibus».

PRESIDENTE ritira il suo emendamento e mette ai voti la formula: «in condizioni di universalità ed uguaglianza».

(È approvata con 12 voti favorevoli, 1 contrario ed 1 astenuto).

Pone in discussione il capoverso dell’articolo: «La legge regola l’esercizio di questo diritto e ne stabilisce le limitazioni derivanti da incapacità naturali o legali».

MORO dichiara che, a suo avviso, questa formula potrebbe costituire, nelle mani di un legislatore poco amante della libertà, lo strumento idoneo per limitare l’esercizio del diritto di voto, fissando condizioni di incapacità per categorie di cittadini che invece non sono né naturalmente, né legalmente incapaci. Poiché ciò non risponderebbe al concetto democratico del suffragio universale, ritiene che sarebbe bene specificare in quali particolari casi si possono fissare limitazioni al diritto di voto.

DOSSETTI si associa all’onorevole Moro, precisando che qualsiasi limitazione del diritto di voto deve derivare da incapacità naturali o da determinate forme di incapacità conseguenti a condanne penali. Anche l’espressione «incapacità naturali» gli sembra che possa avere interpretazioni estensive.

CEVOLOTTO fa presente che tra le incapacità naturali non si deve certamente intendere quella puramente fisica, per la quale la legge stabilisce speciali modi per votare.

PRESIDENTE non sarebbe contrario a precisare che per incapacità legali si intendono quelle derivanti da interdizione o da condanne penali.

Tuttavia, ritiene che, per eliminare ogni preoccupazione, sarebbe sufficiente approvare l’articolo nella formula proposta, con l’intesa che per incapacità legali si intendono quelle precedentemente specificate.

DOSSETTI dichiara che, nonostante questa intesa, resterebbe sempre il fatto che tale formula, oggettivamente, consentirebbe interpretazioni che vanno oltre il principio che si vuole affermare. Propone perciò che alle parole: «o legali» siano sostituite le altre: «o da condanne penali».

MASTROJANNI osserva che in tale formula sarebbero comprese anche le contravvenzioni.

BASSO fa presente all’onorevole Dossetti che, oltre le limitazioni proposte, ve ne possono essere altre per motivi che non sono né d’ordine legale né naturale, come quelle previste nell’ultima legge elettorale, secondo la quale, per svariati motivi, sono stati esclusi dal diritto di voto moltissimi cittadini.

DOSSETTI, dopo l’osservazione dell’onorevole Basso, trova ancor più giustificata la proposta dell’onorevole Moro di distinguere tra l’elettorato attivo e quello passivo. È anche egli d’avviso che l’elettorato passivo possa essere sottoposto a limitazioni non derivanti da incapacità naturali o da condanne penali, ma per l’elettorato attivo, l’osservazione dell’onorevole Basso prova altresì l’opportunità di una specificazione, perché la formula proposta dal Presidente, essendo troppo comprensiva, verrebbe praticamente a distruggere l’affermazione di eguaglianza e di universalità del primo capoverso.

CEVOLOTTO ripete le stesse osservazioni dell’onorevole Basso, ricordando che in occasione delle ultime elezioni sono state private del diritto dì voto determinate categorie di ex gerarchi fascisti, che potrebbero essere escluse anche nella nuova legge elettorale, almeno per un certo periodo di tempo. È favorevole quindi alla formula del Presidente che consente una maggiore larghezza.

DOSSETTI è disposto ad ammettere l’esclusione dall’elettorato attivo di determinate categorie di ex fascisti, però fa osservare che la formula che si sta per adottare non costituisce una garanzia costituzionale dell’universalità del suffragio, perché consente limitazioni che attualmente si intendono riferite ai gerarchi fascisti, ma in un domani potrebbero essere estese a categorie molto più vaste.

MERLIN UMBER.TO, Relatore, crede che il pessimismo dell’onorevole Dossetti sia fuori luogo. Si domanda quali pericoli possano sorgere da una formula, come quella proposta dal Presidente, che è contenuta in tutte le Carte costituzionali.

DOSSETTI osserva che il pericolo della formula proposta dal Presidente è appunto nell’essere troppo estensiva.

PRESIDENTE pone in discussione l’emendamento dell’onorevole Dossetti di sostituire alle parole: «o legali», le altre «o da condanne penali».

LUCIFERO dichiara di essere favorevole all’emendamento dell’onorevole Dossetti, in quanto la formula del Presidente consente di escludere oggi dal voto una determinata categoria di cittadini che domani potrebbe essere un’altra, in relazione all’affermarsi di una diversa tendenza politica. Afferma che, invece, ogni cittadino dovrebbe avere la garanzia costituzionale di non essere escluso dal diritto del voto, anche con il mutare delle opinioni.

MASTROJANNI ritiene infondate le preoccupazioni espresse perché, una volta dichiarata l’universalità del voto, si è fissato il concetto che non debbano esservi limitazioni, se non per i casi previsti dalla legge. Non si può presumere a priori che un legislatore possa violare quelle che sono le norme di diritto naturale comuni a tutte le genti.

MORO propone di sospendere per qualche minuto la seduta, onde poter trovare una formula che possa soddisfare le diverse esigenze.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta sospensiva dell’onorevole Moro.

(È respinta con 7 voti contrari, 6 favorevoli ed 1 astenuto).

Mette ai voti la prima parte della formula, per cui ritiene che non vi sia dissenso: «La legge regola l’esercizio di questo diritto e ne stabilisce le limitazioni derivanti da incapacità naturali».

(È approvata all’unanimità).

Pone in votazione l’emendamento dell’onorevole Dossetti, di sostituire alle parole: «o legali» le altre «o da condanne penali».

(L’emendamento è respinto con 10 voti contrari e 5 favorevoli).

DOSSETTI teme che la portata delle sue osservazioni non sia stata perfettamente compresa.

CARISTIA ritiene invece che tutti abbiano capito la questione e le osservazioni dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE mette ai voti l’espressione: «o legali».

LUCIFERO dichiara che voterà contro questa formula, perché essa significa aprire la via alla esclusione dal voto di cittadini che invece ne avrebbero il diritto.

MORO, CORSANEGO e DOSSETTI si associano alla dichiarazione di voto dell’onorevole Lucifero.

MASTROJANNI dichiara di votare a favore, perché è convinto che la formula proposta escluda in maniera assoluta qualsiasi possibilità da parte del legislatore di diminuire la universalità dell’esercizio del diritto elettorale.

PRESIDENTE dichiara di votare a favore, intendendo per incapacità legali sia quelle derivanti da interdizione, come quelle derivanti da condanna penale.

CARISTIA si associa alla dichiarazione di voto del Presidente.

BASSO dichiara di votare a favore della formula, non intendendo però che questa sia ristretta ai casi di cui ha parlato il Presidente.

(La formula è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo nel suo complesso così formulato:

«Tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, hanno diritto all’elettorato attivo e passivo in condizioni di universalità e di uguaglianza.

«La legge regola l’esercizio di questo diritto e ne stabilisce le limitazioni derivanti da incapacità naturali o legali».

LUCIFERO dichiara di votare contro per le stesse ragioni che ha espresso quando ha votato contro l’ultima parte dell’articolo, e cioè che con esso si apre la porta a ogni possibilità di limitazione del diritto di voto dei cittadini.

DOSSETTI dichiara che darà voto contrario, specialmente dopo la precedente dichiarazione di voto dell’onorevole Basso, la quale dimostra una volta di più come l’articolo, tanto nella formulazione quanto nella concreta portata, sia ambiguo e passibile di estensioni pericolose.

BASSO dichiara di votare a favore, non intendendo però con questo di pregiudicare la sua proposta relativa all’esclusione dal diritto di voto dei cittadini che volontariamente non esercitino un’attività produttiva.

MORO si associa alla dichiarazione di voto dell’onorevole Dossetti.

CORSANEGO dichiara di votare contro l’articolo per le stesse ragioni espresse dall’onorevole Dossetti.

(L’intero articolo è approvato con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

36.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

La famiglia (Seguito della discussione)

Presidente – Iotti Leonilde, Relatrice – Corsanego, Relatore – La Pira – Dossetti – Togliatti – Mastrojanni – Merlin Umberto – Cevolotto – Caristia – Grassi – Basso – Lucifero – Mancini.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sulla famiglia.

PRESIDENTE ricorda la formula presentata dall’onorevole La Pira: «La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia» e domanda ai Correlatori quale risultato abbia avuto il loro ulteriore tentativo di accordarsi su una formula diversa.

IOTTI LEONILDE e CORSANEGO, Relatori, comunicano che il tentativo non ha dato alcun risultato positivo.

PRESIDENTE apre la discussione sulla formula proposta dall’onorevole La Pira.

LA PIRA dichiara di non poter accettare una qualunque formula che permetta al futuro legislatore di intervenire nella legislazione italiana. Prende atto che i Commissari comunisti, socialisti e demolaburisti hanno dichiarato che il divorzio non sarà proposto né in sede di Costituzione né in sede di Codice civile, ma fa presente, poiché si è in sede di Costituzione e si vuol dare una direttiva al legislatore, che per i democristiani è assolutamente necessaria l’affermazione del principio dell’indissolubilità del matrimonio enunciato nella formula da lui proposta: esso rappresenta un principio fondamentale ed è la ragione stessa per cui i deputati democristiani sono stati eletti alla Costituente. I democristiani ritengono il matrimonio indissolubile, non solo perché è un sacramento, ma anche per ragioni di ordine naturale che concernono la struttura stessa del matrimonio. Una volta che il matrimonio è avvenuto, esso è, per legge di natura, indissolubile.

Dichiara di aver ritenuto indispensabile precisare questo concetto, anche se ciò potrà dispiacere ai Commissari che sono di diverso parere.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla formula proposta dall’onorevole La Pira, ed aggiunge che essa rappresenta per lui una esigenza assoluta, la rivendicazione fondamentale da affermare e difendere in questa Costituzione.

Accede anche a quelle giustificazioni di carattere strettamente naturale, le quali non si richiamano soltanto al carattere soprannaturale e sacramentale che il matrimonio riveste quando venga contratto tra battezzati. La indissolubilità del matrimonio si giustifica con la necessità della ricostruzione morale, che è il fondamento della ricostruzione sociale, economica e politica, per realizzare la quale la Costituente è riunita.

Ricorda che nei problemi finora affrontati egli è stato guidato da criteri diversi da quelli che sono nella concezione capitalistica e borghese. Per questo egli vede nell’indissolubilità matrimoniale l’affermazione di una condizione essenziale affinché nella famiglia si possa effettuare quella rinuncia all’egoismo che è la base di tutta la ricostruzione. Non si può pertanto prescindere dal riconoscimento della indissolubilità matrimoniale.

Conclude dichiarando che nel suo atteggiamento non si deve vedere l’accettazione di una tesi di carattere confessionale o di una moralità non aggiornata, ma la convinzione di rispondere alle esigenze più profonde e radicate della coscienza contemporanea e della natura umana.

TOGLIATTI rileva che i Commissari democristiani si rifiutano di accedere alla proposta fatta da parte comunista di una formula affermante la difesa della tradizionale stabilità della famiglia, sulla quale i comunisti si impegnano a cercare di ottenere l’unanimità, ed insistono invece su una loro formula sulla quale i pareri della Commissione sono divisi e che non potrà avere unanimità di consensi neppure in seno alla Commissione dei settantacinque.

Dichiara di non comprendere per quale ragione si voglia dar battaglia su questo punto e pone perciò una questione di carattere pregiudiziale. Nessuno, nel seno della Sottocommissione, ha proposto una modificazione della legislazione civile esistente. Dal momento che la questione del divorzio non è stata sollevata, e poiché in questa sede sono rappresentate tutte le parti dell’Assemblea e tutte le correnti dell’opinione pubblica, non c’è ragione che si parli nella Costituzione della questione del matrimonio. Propone pertanto il seguente ordine del giorno: «La prima Sottocommissione, constatato che da nessuna parte è stata avanzata la proposta di modificare la vigente legislazione per quanto concerne la indissolubilità del matrimonio, non ritiene opportuno parlare di questa questione nel testo costituzionale».

PRESIDENTE propone la sospensione della seduta per alcuni minuti, allo scopo di esaminare la proposta avanzata dall’onorevole Togliatti.

(La Commissione approva – La seduta è sospesa per alcuni minuti).

Dichiara, anche a nome dei deputati del suo partito, di non poter accedere all’ordine del giorno proposto dall’onorevole Togliatti.

Desidera che la Sottocommissione comprenda lo stato d’animo e la posizione nella quale si trovano i rappresentanti del gruppo democratico cristiano. Essi non vogliono dare battaglia – come ha detto l’onorevole Togliatti – su questa questione per motivi politici, ma intendono soltanto riaffermare un principio d’ordine morale e giuridico, secondo il quale la famiglia, cellula prima e fondamento naturale della società, deve trovare nella Costituzione la tutela della sua unità e della sua integrità.

Fa presente che il criterio finora prevalso nei lavori della Sottocommissione è stato di dichiarare quelli che sono i diritti personali, i diritti sociali, i diritti del lavoro, ecc., mediante una approfondita e talvolta particolareggiata specificazione di elementi costitutivi dei diritti stessi e delle varie ipotesi che li condizionano. Non comprende, quindi, perché proprio per l’istituto della famiglia si debba praticare un sistema diverso.

Conseguentemente dichiara di insistere perché venga sottoposta a votazione la formula presentata dall’onorevole La Pira e apre la discussione sull’ordine del giorno presentato dall’onorevole Togliatti.

DOSSETTI si dichiara concorde con quanto ha detto il Presidente.

MASTROJANNI domanda se, nel caso venisse approvata la formula proposta dall’onorevole La Pira, essa verrebbe inserita nell’articolo sul matrimonio precedentemente approvato.

PRESIDENTE ricorda che l’articolo era stato approvato con la riserva che sarebbe stato integrato con la parte riguardante l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Pertanto la proposta dell’onorevole La Pira dovrebbe essere inserita, qualora venisse approvata, in quell’articolo dopo le parole «in modo di assicurare l’adempimento di tali compiti».

MASTROJANNI domanda all’onorevole La Pira di chiarire il suo pensiero nei riguardi del matrimonio celebrato esclusivamente col rito civile.

LA PIRA precisa che anche il matrimonio celebrato fuori del rito della Chiesa deve essere considerato indissolubile.

PRESIDENTE osserva che si vuol parlare proprio del matrimonio civile e non di quello religioso, che è indissolubile per l’essenza stessa del Sacramento.

MASTROJANNI non ritiene che il termine «indissolubilità» sia assolutamente giuridico.

LA PIRA obietta che parlare di indissolubilità del matrimonio significa non ammettere la possibilità di divorzio.

MASTROJANNI fa osservare che il matrimonio è un contratto e che secondo il Codice civile un contratto non è indissolubile.

CORSANEGO rileva che l’attuale Codice civile dice: «Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi». Questo significa che il matrimonio è indissolubile.

MASTROJANNI, ripetendo che il matrimonio è un contratto, fa notare che per contratto deve intendersi un negozio giuridico allo scopo di costituire, regolare o sciogliere una obbligazione. Nel Codice non si parla espressamente di «indissolubilità» del matrimonio. Propone perciò che si sostituisca al termine «indissolubilità» un altro termine che, eliminando le preoccupazioni espresse dagli altri Commissari, venga incontro al pensiero del gruppo democristiano.

Rileva infine che, con la disposizione proposta, si viene a stabilite una diffidenza assoluta nei confronti del futuro legislatore, mentre egli non vede perché si dovrebbe affrontare una questione del genere quando non vi è nessuna ragione che faccia temere l’introduzione del divorzio in Italia.

MERLIN UMBERTO osserva che, per quanto riguarda la parola «indissolubilità» essa corrisponde, come ha rilevato l’onorevole Corsanego, al concetto espresso nell’articolo 149 del Codice civile. Il Codice civile parla del contratto di matrimonio come di un contratto del tutto speciale, che non si scioglie se non con la morte di uno dei coniugi; quindi afferma chiaramente il carattere di indissolubilità del vincolo matrimoniale. Quanto alla seconda osservazione dell’onorevole Mastrojanni, risponde che, poiché la Costituzione deve affermare i principî fondamentali, non può non affermare quello che è il principio fondamentale della famiglia, cioè l’indissolubilità del matrimonio. Non ci si può ritenere paghi e soddisfatti per il fatto che allo stato attuale nessuno attenti al principio dell’indissolubilità. Se è esatto quello che ha detto nel suo ordine del giorno l’onorevole Togliatti, che cioè nessuno oggi propone la soppressione del principio dell’indissolubilità del vincolo familiare, se ne dovrebbe dedurre la conseguenza che lo stesso onorevole Togliatti aderisce alle formula proposta dall’onorevole La Pira. Se egli non vi aderisce, vuol dire che fa in proposito delle riserve e che in avvenire, quando lo permettesse il clima politico del suo Paese, egli od altri potrebbero chiedere l’ammissione del divorzio. È vero che una tal cosa sarebbe sempre possibile, ma è anche vero che, facendo una Costituzione, si tende ad affermare principî che debbano valere anche per il futuro; altrimenti sarebbe inutile il farla e sarebbe meglio discutere e disciplinare ciascun istituto giuridico in sede legislativa.

Appunto per affermare un principio, i deputati della Democrazia cristiana insistono perché venga messa in votazione la formula proposta dall’onorevole La Pira. È nell’interesse del Paese che la Costituzione sia tale da essere interpretata in un solo modo, non suscettibile di interpretazioni diverse. I Commissari democristiani non desiderano che la formula proposta dall’onorevole La Pira sia votata all’unanimità, ma che la votino tutti quelli che ne condividono il sentimento ispiratore.

MASTROJANNI domanda se il principio della indissolubilità del matrimonio consenta l’esistenza dell’istituto della separazione legale preveduto dal Codice per i casi di incompatibilità di carattere e per altre ragioni.

DOSSETTI risponde che la indissolubilità del matrimonio non vieta che si possa giungere, in determinati casi, alla separazione legale dei coniugi. Richiama l’attenzione della Commissione su alcuni concetti generali in tema di diritto matrimoniale. L’annullamento – che è in effetti soltanto dichiarativo – è un accertamento della inesistenza del vincolo matrimoniale per il fatto che questo vincolo non è concretamente in atto, perché la celebrazione è avvenuta per mancanza di qualcuno dei presupposti necessari. In questi casi si procede alla dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale.

Lo scioglimento del matrimonio, invece, suppone un matrimonio nato validamente con la concorrenza di tutti i requisiti necessari e che ha avuto pieno vigore fino al momento in cui si procede allo scioglimento stesso. Da questo momento il matrimonio cessa di avere vigore, con la conseguenza che i coniugi riacquistano la libertà e la capacità di contrarre un nuovo matrimonio. L’indissolubilità vuole appunto escludere lo scioglimento e la possibilità da parte dei coniugi di contrarre nuove nozze; non contrasta invece con l’istituto della separazione, che non è dissoluzione del vincolo, ma solo sospensione o eliminazione di alcuni degli effetti propri del vincolo stesso, quale per esempio l’obbligo della coabitazione.

MASTROJANNI domanda se il principio della indissolubilità del matrimonio contrasta con i casi di annullamento previsti dalla legge civile: infermità di mente, mancanza di assenso, violenza, errore ed impotenza.

DOSSETTI risponde che in questi casi il vincolo matrimoniale è inesistente e, quindi, non si può parlare di scioglimento, ma di dichiarazione di nullità.

MASTROJANNI si dichiara soddisfatto delle delucidazioni ricevute per quanto riguarda il mantenimento dell’istituto della separazione legale e l’annullamento nei casi previsti dalle leggi.

DOSSETTI aggiunge che l’istituto della separazione legale esiste anche nel diritto canonico, il quale regola le cause per le quali si può dichiarare la nullità del vincolo matrimoniale.

CEVOLOTTO dichiara di non ritenere che in questo momento vi sia in Italia la possibilità, neanche lontana, di sollevare la questione del divorzio.

Fa però presente che non è giuridicamente né socialmente giustificato il porre una questione di principio per l’indissolubilità del matrimonio.

Vi potrebbe essere soltanto una giustificazione di natura religiosa, da cui però la legge deve prescindere, per tener conto esclusivamente delle situazioni di fatto che si presentano nel campo sociale.

Per quanto riguarda certe definizioni che sono state date del matrimonio, osserva che esso non riveste solo la figura di un contratto, ma rappresenta qualche cosa di più, come del resto affermava l’antichissima definizione del diritto romano: «Nuptiae sunt conjunctio maris et foeminae, consortium omnis vitae, divini atque humani juris communicatio».

Il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale è inammissibile, sia dal punto di vista del diritto civile che dal punto di vista sociale. Cita a questo proposito numerosi casi i quali dimostrano che, pur non ponendosi la questione del divorzio, non vi è la possibilità di escludere a priori un eventuale scioglimento del matrimonio.

Fa rilevare che di tutte le Costituzioni moderne, soltanto quella islandese fa cenno dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale; e osserva infine che, se vi possono essere delle considerazioni relative alla struttura della famiglia che sconsigliano in certi casi l’adozione del divorzio, d’altra parte si dovrebbero allargare i casi di annullamento per rimediare a situazioni penose, evitando così quei pericoli sociali per i quali l’istituto del divorzio ha contro di sé l’opinione pubblica. Conclude dichiarando di approvare pienamente l’ordine del giorno dell’onorevole Togliatti, e di essere in ogni caso contrario alla formula dell’onorevole La Pira.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Cevolotto che, contrariamente alle sue affermazioni, oggi esiste in Italia una minoranza disposta a sollevare la questione del divorzio. All’altra affermazione dell’onorevole Cevolotto, secondo la quale la Democrazia cristiana vorrebbe affermare un concetto religioso in un terreno nettamente giuridico, risponde che la Democrazia cristiana si è posta sullo stesso punto di vista in cui si pose il legislatore italiano quando sancì l’indissolubilità del matrimonio. Non è presumibile che il legislatore lo abbia fatto per riguardo alle norme del diritto canonico, poiché si sa che esso, in linea di massima, si è sempre ispirato a criteri laici. La verità è che tutto il diritto è soffuso di elementi etici che oggi non si vedono o non si vogliono vedere. Il diritto della famiglia è così pregno di questi elementi etici, che la più recente giurisprudenza ha manifestato la tendenza a distaccarlo dall’ambito del diritto privato per avvicinarlo a quello del diritto pubblico. Perciò non si può dire nemmeno che l’indissolubilità del matrimonio sia fondata su ragioni puramente giuridiche; si tratta al contrario di un principio che trae origine da moltissimi presupposti etici.

Conclude facendo presente che un principio così importante come quello dell’indissolubilità del matrimonio non può essere trascurato in una Costituzione nella quale sono stati introdotti molti principî che avrebbero potuto essere ritenuti superflui.

GRASSI dichiara di votare a favore dell’ordine del giorno proposto dall’onorevole Togliatti, e chiede che sia tenuto conto del suo voto, dovendosi assentare.

BASSO osserva che nella Costituzione si dovrebbero affermare soltanto quei principî fondamentali che costituiscono i pilastri della legislazione e che debbono servire di guida al legislatore. Tali principî fondamentali rappresentano l’espressione della comune coscienza civile, e perciò una Costituzione verrebbe meno al suo compito quando invece rappresentasse la volontà di una debole maggioranza. I principî riguardanti la libertà di stampa e il diritto di domicilio esprimevano la coscienza comune della popolazione, e perciò sono stati sanciti nella Costituzione. Se invece si introducono nella Costituzione principî che per tradizione ne sono rimasti esenti, e che raccolgono solo una debole maggioranza di consensi, si elabora una Costituzione non vitale, che non risponde alla sua vera funzione di pilastro della vita nazionale.

Per queste ragioni, dichiara di votare a favore della proposta Togliatti.

TOGLIATTI chiarisce le ragioni che lo hanno indotto a presentare il suo ordine del giorno.

Come appartenente al Partito comunista, ritiene di dover prendere una netta posizione, in modo che nessuno, basandosi su un voto non chiaro, possa affermare che egli ha votato a favore dell’introduzione dell’istituto del divorzio, il che potrebbe inferirsi se egli votasse soltanto contro la formula dell’onorevole Corsanego. Pertanto, ad evitare una tale interpretazione del suo atteggiamento, ha presentato un ordine del giorno dal quale risulti ben chiaro che egli ha sostenuto che sia rimesso al Codice civile il compito di affermare l’indissolubilità del matrimonio.

Alle obiezioni sollevate dall’onorevole Merlin, il quale sembra essersi preoccupato del fatto che in avvenire la Democrazia cristiana non rappresenti più la maggioranza parlamentare, risponde che non vi è alcun motivo di preoccuparsi se un giorno tale partito non riscuoterà più la maggioranza dei voti, data la posizione assunta da tutti i partiti i quali si sono formalmente impegnati, nel corso della discussione, a non ammettere l’istituto del divorzio in Italia.

Insiste perciò perché si metta ai voti il suo ordine del giorno.

DOSSETTI fa osservare all’onorevole Cevolotto, il quale appare convinto che l’indissolubilità del matrimonio non sia giustificata se non da ragioni di natura religiosa, che la sua opinione è rispettabilissima, ma che altrettanto rispettabile è l’altra opinione per la quale il matrimonio deve essere ritenuto indissolubile anche da un punto di vista umano e materiale.

I democristiani si attengono a questa seconda opinione, e perciò nelle argomentazioni polemiche che si portano contro di loro dovrebbero essere escluse le ragioni dogmatiche. La questione va posta in questi termini: il matrimonio deve essere o meno indissolubile secondo ragioni di pura etica naturale? Contrariamente al parere negativo di alcuni, i democristiani su questo punto rispondono affermativamente con il conforto di una vasta opinione di sociologi e di scienziati, i quali, in base a rilievi sperimentali della psicologia e della biologia, affermano che l’umanità tende sempre più verso l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Si deve quindi discutere la questione su questo piano etico naturale, mettendo da parte tutti gli argomenti riguardanti la religione.

All’onorevole Basso, il quale ha detto che il problema non è sentito dalla coscienza comune e quindi è inutile farne cenno nella Costituzione, osserva che la sua tesi è inaccettabile, perché, se venisse applicata agli articoli già approvati dalla Commissione, se ne dovrebbero distruggere i quattro quinti che, pur avendo l’assenso delle nuove forze democratiche del Paese, non si può dire riscuotano l’approvazione unanime della coscienza comune italiana.

All’opinione espressa dall’onorevole Togliatti – e condivisa da altri Commissari – che, non essendo stata sollevata da nessuno la questione del divorzio, non è il caso di fare una precisa affermazione sull’argomento nella Costituzione, risponde che siffatto parere dimostra la scarsa considerazione che si ha della struttura e della disciplina della famiglia in ordine all’edificazione della nuova società italiana. Come sono state introdotte nella Costituzione norme che incidono profondamente sulla struttura politico-economico-sociale dello Stato, così vi si deve introdurre questa norma che incide sulla sostanza più intima della struttura sociale e politica italiana.

Contestando l’importanza del problema del matrimonio, gli si viene a dare una soluzione negativa, che rigetta la famiglia in quell’angolo di scarsa considerazione e di visione puramente individualistica in cui l’aveva gettata lo Stato liberale.

Per i democristiani non può essere una garanzia sufficiente il dire che oggi nessuno discute la indissolubilità del matrimonio. Trattandosi di risolvere il problema relativo alla struttura sostanziale dello Stato, essi ritengono che questo problema debba essere risolto costituzionalmente, poiché tutta la Costituzione è orientata nel senso di stabilire garanzie che non possano essere toccate dal legislatore con un facile spostamento di maggioranze o minoranze parlamentari, ma rappresentino qualche cosa di fisso nella vita politica e sociale italiana.

Conclude affermando che i Commissari rappresentanti di altri partiti sono liberi di sostenere una tesi opposta, ma devono parlare apertamente in nome di questa tesi, cioè della impossibilità da parte loro di accettare l’indissolubilità incondizionata del matrimonio, senza trincerarsi dietro false argomentazioni che non rispondono all’atteggiamento da essi tenuto rispetto ad altri problemi, né alla realtà fondamentale del problema in discussione.

BASSO afferma non essere esatta la affermazione dell’onorevole Dossetti che gli avversari della tesi democristiana non vogliono assumersi la responsabilità di una opinione per quanto riguarda il problema della indissolubilità del vincolo coniugale. Dichiara che questa responsabilità potrà essere assunta non in questa sede, ma in quella più opportuna del Codice civile, dove certamente il Partito socialista si pronuncerà favorevolmente al mantenimento della indissolubilità del vincolo matrimoniale. Nega di aver detto che si debbono introdurre nella Costituzione soltanto quei principî che rispecchiano l’unanimità dei sentimenti della Nazione. Ha detto invece che si debbono introdurre quei principî che possono avere una larga adesione da parte della massa, che riflettono la coscienza comune e fanno parte del patrimonio di tutta l’umanità.

All’osservazione dell’onorevole Dossetti che si sono introdotte nella Costituzione altre affermazioni di principio, per quanto riguarda il lavoro e lo sciopero, risponde che in questi casi si è voluto affermare nella Costituzione ciò che rappresentava una conquista della democrazia nei confronti dell’ordinamento fascista. Si è creduto che, in questo momento particolare, avesse un valore costituzionale affermare certi diritti che sono il frutto di una lotta sostenuta per riuscire a fare determinate affermazioni. Invece, nel caso in esame, si tratta di un principio che è sempre esistito e non di un diritto nuovo.

Ricorda che la maggioranza dei Paesi ammette il divorzio, ma dichiara di essere contrario ad introdurre oggi il divorzio in Italia, perché ritiene che il livello morale e sociale della vita italiana non sia tale da poter ammettere questo istituto. Se invece in Italia vi fosse una diversa legislazione ed un diverso clima sociale, ritiene che il principio potrebbe forse venire accolto. Cita in proposito la Svizzera, Paese in cui il culto della famiglia è profondamente sentito come in Italia, ed in cui il divorzio rappresenta come un riflesso della maggiore considerazione in cui è tenuta la dignità della persona, libera di sciogliersi da qualsiasi vincolo.

CEVOLOTTO risponde all’onorevole Dossetti, il quale ha mostrato di dubitare della sincerità delle sue affermazioni, che con lo stesso diritto egli potrebbe mettere in dubbio la sincerità dell’onorevole Dossetti, quando afferma che i democristiani vogliono introdurre nella Costituzione il principio della indissolubilità del matrimonio non per difendere un principio religioso, ma un principio etico-sociale.

Chiarisce che il suo concetto è quello di riconoscere che obiettivamente in Italia non vi è un clima politico che consenta oggi di porre la questione del divorzio, perché la grande maggioranza della popolazione è contraria all’introduzione di questo istituto, e tale atteggiamento deve essere rispettato anche se motivato da ragioni che riguardano il sentimento religioso degli italiani.

Aggiunge che il rinviare ad altra sede la questione della indissolubilità del matrimonio non significa che non si vuole affrontare la questione, ma soltanto che non si ritiene né logico né giusto, né politico, né opportuno e neppure costituzionale affrontarla in questa sede.

TOGLIATTI fa osservare all’onorevole Dossetti che uno dei motivi per i quali si insiste da parte dei comunisti nel chiedere che non si ponga nella Costituzione il principio della indissolubilità del matrimonio, è proprio perché negli argomenti che vengono portati a favore della introduzione di questo principio essi vedono una prova che tutto ciò viene fatto per dare una determinata impronta ideologica alla Costituzione. I comunisti vogliono che la Costituzione sia aperta a tutte le possibilità ideologiche e non ad una sola.

Fa anche osservare all’onorevole Dossetti che nella seduta precedente una parte dei Commissari democristiani era favorevole ad accettare la formula proposta dalla onorevole Iotti.

DOSSETTI afferma non essere esatto che i democristiani vogliono affermare nella Costituzione la loro ideologia e rileva che, poiché le diverse ideologie non riescono a confluire, inevitabilmente si dovrà arrivare al risultato che una di esse dovrà essere sacrificata.

Circa l’osservazione che alcuni Commissari di parte democristiana avrebbero manifestato l’intenzione di accedere alla formula proposta dalla onorevole Iotti, non ritiene che questo corrisponda alla verità: forse si trattava di uno sforzo progressivo di avvicinamento ad una formula comune, non mai di un’accettazione.

PRESIDENTE mette ai voti l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Togliatti:

«La prima Sottocommissione, constatato che da nessuna parte è stata avanzata la proposta di modificare la vigente legislazione per quanto concerne la indissolubilità del matrimonio, non ritiene opportuno parlare di questa questione nel testo costituzionale».

LUCIFERO dichiara che egli dovrebbe essere d’accordo sul contenuto dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Togliatti, nel senso che effettivamente ritiene che il principio dell’indissolubilità del matrimonio non avrebbe dovuto essere introdotto nella Costituzione e neppure essere posto in discussione.

Ricorda all’onorevole Dossetti che lo Stato liberale non ha mai posto nella Costituzione questa questione e non l’ha mai risolta in un senso diverso da quello che era nella logica e nel sentimento comune di tutto il popolo. Afferma che nello Stato liberale ogni ideologia può avere la possibilità di realizzarsi. Lo Stato liberale ha garantito alla maggioranza che la sua opinione non fosse comunque infirmata.

Osserva però che la proposta dell’onorevole Togliatti sarebbe stata accettabile solo nel caso che non avesse dato luogo ad una così lunga discussione, dopo la quale non è più possibile affermare che la questione non è stata sollevata e quindi è inutile parlarne. Poiché effettivamente la questione è stata posta in discussione in seno alla Sottocommissione, è necessario affrontarla.

Conclude dichiarando di astenersi dalla votazione per la ragione che egli è del parere che la discussione non si sarebbe dovuta sollevare; ma, dal momento che è stata sollevata, che sia necessario andare fino in fondo.

TOGLIATTI ricorda una proposta che era stata fatta in seno alla Sottocommissione per cui la votazione su questa questione si dovesse rinviare ad una seduta in cui fossero presenti tutti i Commissari. Fa presente che, data l’assenza di alcuni Commissari, sarebbe opportuno che la votazione fosse rinviata a quando la Sottocommissione si presentasse completo.

PRESIDENTE ritiene difficile il caso di una seduta in cui tutti i Commissari siano presenti. Ricorda che la ragione per cui la discussione su questo argomento era stata rinviata alla seduta odierna fu appunto quella di avere un maggiore numero di Commissari presenti che non nella seduta di ieri. Per queste ragioni dichiara di non poter aderire alla proposta di rinvio fatta dall’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI ricorda che a proposito dell’insegnamento religioso la votazione fu rinviata.

PRESIDENTE fa osservare che non si può generalizzare quello che è stato un caso eccezionale.

MANCINI dichiara di votare a favore della proposta dell’onorevole Togliatti per ragioni politiche, sociali e morali.

GRASSI dichiara di votare a favore dell’ordine del giorno Togliatti.

MASTROJANNI dichiara di astenersi dalla votazione, perché le complesse ragioni che sono state esposte dalle diverse parti non consentono di essere contradette, essendo degne di assoluta considerazione. Dichiara di non essere contrario al concetto dell’indissolubilità del matrimonio e di fare sue le esatte osservazioni svolte dall’onorevole Lucifero che pienamente condivide.

(L’ordine del giorno dell’onorevole Togliatti è respinto con 7 voti contrari, 6 favorevoli e due astenuti).

PRESIDENTE pone in votazione la formula proposta dall’onorevole La Pira: «La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia».

CEVOLOTTO fa osservare che, se tutti i componenti la Commissione fossero stati presenti, la proposta dell’onorevole Togliatti sarebbe stata accolta. Poiché essa è stata respinta solo per ragioni contingenti, propone che venga messa ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti di rinviare la votazione sulla formula che riguarda la indissolubilità del matrimonio al momento in cui la Commissione sarà al completo. Aggiunge che la mancanza di un membro che deve essere ancora nominato, in rappresentanza del Partito socialista, potrebbe rendere illegale la votazione.

DOSSETTI dichiara di non poter accogliere la proposta di rinvio della votazione, perché soltanto in questa circostanza e per la prima volta si è sollevata questa questione, mentre altre volte ci si è sempre sforzati di raggiungere l’accordo nella sostanza, anche nell’assenza di due o tre Commissari.

CEVOLOTTO fa osservare che è la prima volta che non si raggiunge l’accordo.

LUCIFERO dichiara di non poter essere favorevole alla mozione d’ordine dell’onorevole Cevolotto, non per le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti, ma per una questione di principio. Infatti, il regolamento dice che, quando un’assemblea è in numero valido per deliberare, ogni sua deliberazione potrà essere posta in votazione e il risultato di questa votazione sarà perfettamente legale.

Pertanto prega il Presidente di applicare il Regolamento.

CEVOLOTTO dichiara di non insistere nella sua mozione d’ordine.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole La Pira: «La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia».

TOGLIATTI ritiene di essere pienamente coerente con le posizioni che egli ha mantenute nel corso della presente discussione, dichiarando di astenersi dalla votazione.

LUCIFERO farà una dichiarazione che differisce da quella dell’onorevole Dossetti. Mentre l’onorevole Dossetti ha dichiarato che egli, unitamente ai suoi colleghi di parte democristiana, sostengono il principio dell’indissolubilità del matrimonio non per ragioni dogmatiche ma per ragioni obiettive, dichiara che voterà a favore di questa formula nella sua qualità di cattolico, perché obbedisce all’imperativo di una religione che egli professa e alla quale crede. Aggiunge che, facendo questo, egli è sicuro di interpretare il preciso mandato affidatogli dagli elettori che rappresenta, i quali sono nella loro totalità elettori cattolici e cattolici di destra, quindi conservatori, i quali desiderano che questa disposizione che riguarda l’indissolubilità del matrimonio venga fissata nella Costituzione.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro l’articolo che viene proposto per le ragioni già esposte, affermando che questo suo voto non deve essere interpretato nel senso che egli voglia porre oggi la questione della istituzione del divorzio in Italia.

BASSO dichiara di votare contro la formula proposta, perché ritiene che si tratti di una disposizione che non deve trovare la sua sede in una Carta costituzionale. Tiene altresì a dichiarare che sarebbe favorevole alla formula se si trattasse di un articolo del Codice civile. Ribadisce perciò che egli vota contro l’inserzione di questa formula nella Carta costituzionale.

MANCINI dichiara di astenersi dalla votazione.

CARISTIA dichiara di votare a favore, perché ritiene che nella Costituzione, trattandosi della famiglia, si debba affermare il principio della indissolubilità del matrimonio, anche perché altri temi di minore importanza, che avrebbero trovato sede più opportuna nel preambolo, hanno ricevuto invece un’apposita articolazione.

CORSANEGO, Relatore, dichiara che voterà a favore dell’articolo, per i suoi principî religiosi e anche perché l’articolo corrisponde alla tradizione morale e giuridica del popolo italiano. Quando il legislatore nel 1865 ha creato il Codice civile italiano, tutta una serie di giuristi si sono affaticati a dettare le norme di interpretazione della costituzione della famiglia e dei rapporti tra i coniugi, e hanno affermato anche, pur appartenendo qualcuno di essi ad una confessione diversa da quella cattolica (cita, ad esempio, il senatore Polacco di religione israelitica), l’indissolubilità del matrimonio. Afferma che tutto il Codice civile italiano, tutta la tradizione giuridica dei maestri di diritto italiano dal 1865 in poi, hanno sempre sostenuto l’indissolubilità del matrimonio, anche civile.

Ritiene che il principio debba essere affermato nella Costituzione per conservare all’Italia due superiorità che distinguono l’ordinamento giuridico italiano da tutti gli altri del mondo: l’abolizione della pena di morte, che invece vige in quasi tutte le altre Nazioni, e l’indissolubilità del matrimonio. Mentre da alcune parti si dice che l’italiano è un popolo inferiore, perché non ha ancora ammesso il divorzio, proprio in questo fatto si deve vedere un titolo di superiorità del popolo italiano rispetto agli altri popoli.

(La formula proposta dall’onorevole La Pira è approvata con 9 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astenuti).

PRESIDENTE rileva che il tema della famiglia è così esaurito.

Nella prossima seduta si inizierà la discussione sui principî dei rapporti civili.

La seduta termina alle 19.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita e Marchesi.

MARTEDÌ 12 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

35.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 12 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

La famiglia (Seguito della discussione)

Presidente – Corsanego, Relatore – Cevolotto – Togliatti – Grassi – Caristia – Lucifero – Iotti Leonilde, Relatrice – Merlin Umberto – Mancini – Mastrojanni – Moro.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sulla famiglia.

PRESIDENTE ricorda alla Sottocommissione che dev’essere affrontata la questione dei figli illegittimi. Su tale argomento la onorevole Iotti ha formulato il seguente articolo:

«Ai figli illegittimi sono garantite dalla legge le stesse condizioni giuridiche di quelli legittimi».

Poiché tra i Relatori non è stato possibile raggiungere un accordo preventivo su tale argomento, chiede all’onorevole Corsanego di esporre il suo pensiero in merito.

CORSANEGO, Relatore, fa presente che nel suo articolo, relativo alla protezione dello Stato alla maternità e all’infanzia, si diceva:

«La legge detta le norme per l’efficace protezione dei figli illegittimi».

Tale formula, a suo avviso, è la più idonea a risolvere la delicata questione, perché da un lato afferma nella Costituzione il principio che i figli illegittimi hanno diritto ad una protezione, mentre dall’altro rinvia alla legge le modalità di esecuzione.

CEVOLOTTO premette che se tutti sono d’accordo che ai figli illegittimi debba essere fatto un trattamento di parità con quelli legittimi, la questione diventa difficile per i figli adulterini, nei riguardi dei diritti del coniuge e dei figli legittimi. A tale proposito ricorda che mentre il Codice del 1865 non accordava alcuna protezione ai figli adulterini, il nuovo Codice ha cercato di dare ad essi una certa protezione che però, per ovvi motivi, non ha potuto essere eguale a quella dei figli illegittimi. Data la difficoltà di trovare una formula generale che senza entrare nei dettagli consenta al legislatore di tener conto di questa differenza, demanderebbe la soluzione della questione ad un accordo diretto tra i Relatori, i quali, dopo approfondito esame, potrebbero trovare una formula praticamente traducibile nel futuro Codice civile, che risolva non soltanto il principio della parità tra figli illegittimi e legittimi, ma consenta anche di accentuare la protezione dei figli adulterini.

TOGLIATTI osserva che l’onorevole Cevolotto ha sollevato un’importante questione, perché parlandosi soltanto di figli illegittimi si esprime un concetto troppo ristretto. Ritiene anch’egli opportuno limitarsi a sancire nella Costituzione il principio generale – che sarebbe poi conforme agli affermati criteri di valorizzazione della persona umana – che non possono ricadere sui figli le conseguenze dello stato giuridico dei genitori. Sarà compito poi del legislatore tradurre in norme concrete di protezione giuridica e sociale questo principio.

Propone, pertanto, la seguente formula:

«Nessuna norma di legge potrà far ricadere sui figli le conseguenze di uno stato familiare dei genitori che non sia conforme alla legge».

GRASSI è del parere che per quanto la proposta della onorevole Iotti possa essere giustificata dal punto di vista della proponente, non sia il caso di parlare nella Costituzione di tale argomento. Infatti, se si volesse elaborare un completo ordinamento giuridico della famiglia si andrebbe oltre la competenza della Costituzione, che invece deve riguardare solo gli istituti fondamentali nelle loro grandi linee. Prega perciò i Relatori di considerare se non sia il caso di rinviare completamente al legislatore la soluzione di tale problema, tenendo presente che già il nuovo Codice civile si occupa della protezione dei figli illegittimi.

PRESIDENTE mette in discussione la proposta dell’onorevole Grassi di non far cenno nella Costituzione della questione dei figli illegittimi.

CARISTIA si dichiara d’accordo con l’onorevole Grassi e in proposito fa presente alla Sottocommissione la sua perplessità nei riguardi della Costituzione che si sta elaborando, la quale minaccia di essere troppo appesantita dai numerosi argomenti che vi sono trattati in modo specifico, più che nelle linee generali.

Ritiene quindi che si debba solo affermare il principio generale, ormai maturo nella coscienza dei popoli civili e degli uomini di legge, che i figli illegittimi hanno diritto ad una protezione da parte dello Stato, lasciando poi al legislatore il compito di tradurre in norme concrete tale principio.

LUCIFERO è d’avviso, invece, che si debba affermare specificatamente nella Costituzione il principio che sui figli non devono ricadere le conseguenze degli errori dei genitori. È quindi contrario alle proposte degli onorevoli Grassi e Caristia e favorevole a quella dell’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI dichiara anch’egli di essere contrario alla proposta Grassi.

GRASSI si associa alla proposta dell’onorevole Caristia di limitarsi ad affermare nella Costituzione il principio generale della protezione dei figli illegittimi e pertanto rinuncia alla sua proposta di non trattare affatto tale argomento.

PRESIDENTE chiede alla onorevole Iotti se si associa alla formula proposta dall’onorevole Togliatti, rinunciando a quella da lei presentata.

IOTTI LEONILDE, Relatrice, rinuncia alla sua proposta e aderisce a quella presentata dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE, riassunta la discussione, pone in evidenza che potendosi la proposta dell’onorevole Corsanego considerare, come concetto, comprensiva anche di quella dell’onorevole Caristia, cui ha aderito l’onorevole Grassi, resterebbero praticamente da discutere la suddetta proposta e quella dell’onorevole Togliatti.

CEVOLOTTO propone, senza con questo aderire alla formula in discussione, che si sostituiscano alle parole: «figli illegittimi», le altre: «figli naturali».

CORSANEGO, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Corsanego, in quanto ritiene che si debbano fare solo delle affermazioni di principio precise, le quali non diano possibilità al legislatore di dare ad esse diverse interpretazioni. Il principio che si vuole affermare, che cioè i figli non devono sopportare le conseguenze degli errori dei genitori, è, a suo avviso, più chiaramente espresso nell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

MERLIN UMBERTO richiama l’attenzione dei colleghi sulla gravità del problema che non è possibile risolvere in breve tempo, in quanto tocca uno degli istituti più sacri. Circa i figli legittimi ed adulterini, non ritiene possibile affermare il criterio della parità, in quanto con ciò si verrebbero a ledere i diritti di terzi innocenti, quali sono i figli legittimi. È del parere, quindi, che sia meglio attenersi a formule generiche, come quella proposta dall’onorevole Corsanego.

MANCINI dichiara di votare a favore della proposta Togliatti, perché sarebbe immorale far ricadere le colpe dei genitori sui figli che diventerebbero vittime del più iniquo atto che vi sia, quale è quello di denegata paternità.

MASTROJANNI condivide l’opinione di coloro che hanno rilevato la gravità e la complessità del problema, che per questo motivo non può essere trattato in breve tempo. D’altra parte, con il concetto contenuto nell’articolo dell’onorevole Corsanego, indirettamente si viene ad ammettere la possibilità di un trattamento diverso tra figli legittimi ed illegittimi. Infatti, se non si volesse pervenire a tale risultato, non si escogiterebbe una simile formula per dare protezione ai figli illegittimi. Ritenendo che questa possibilità di differenziazione pregiudichi gli interessi di questi figli e vincoli il pensiero del legislatore, sarebbe anch’egli del parere dell’onorevole Grassi di non parlare nella Costituzione di tale argomento. Il legislatore che avrà il compito di esaminare sotto ogni aspetto il delicato problema dei figli illegittimi, potrà forse escogitare un sistema che dal punto di vista materialistico soddisfi l’interesse dei figli illegittimi, equiparandoli, magari solo per quanto riguarda la parte economica, ai figli legittimi.

Qualora invece, si ritenesse necessario fare cenno nella Costituzione di tale argomento, completerebbe la proposta dell’onorevole Corsanego nel senso che ai figli naturali lo Stato deve assicurare un trattamento economico eguale a quello dei figli legittimi.

CEVOLOTTO aderisce alla formula dell’onorevole Togliatti che ritiene più comprensiva e con migliori effetti pratici, in quanto parte dal principio che i figli non devono sopportare le conseguenze di colpe non loro. La legge studierà poi il modo di attuare questo principio tenendo conto di tutte le altre esigenze e degli eventuali diritti dei terzi. Dichiara, pertanto, di essere contrario alla formula dell’onorevole Corsanego e di aderire a quella dell’onorevole Togliatti.

MASTROJANNI propone la seguente formulazione:

«I diritti di natura patrimoniale per i figli naturali non possono essere difformi da quelli dei figli legittimi».

Premette innanzi tutto che si è reso conto dei pericoli che possono derivare da un eguale trattamento tra i figli naturali e i legittimi, in relazione alla compagine della famiglia che potrebbe essere turbata dall’immissione di elementi estranei ad uno dei coniugi. Per questo ha voluto affermare il principio della parità solo dal punto di vista economico, che non comporta assolutamente la convivenza dei figli naturali nell’ambito della famiglia legittima. Ritiene d’altra parte che i figli naturali, pur vivendo fuori della famiglia legittima, abbiano diritto ad avere un eguale trattamento materiale che, anche se può avere ripercussioni economiche nei riguardi degli altri figli legittimi, trova giustificazione nel fatto che tra gli uni e gli altri, come figli di uno stesso genitore, esiste sempre, sia pure non completo, un vincolo di sangue.

MERLIN UMBERTO dichiara di non essere favorevole alla formula dell’onorevole Mastrojanni, perché gli sembra che una questione così grave sia trattata troppo superficialmente. Infatti quando si vuole assicurare una parità economica ai figli illegittimi, non si pensa alla moglie innocente che si troverebbe poi a dividere il patrimonio tra i suoi figli legittimi ed i figli adulterini che il marito ha procreato con un’altra donna.

MASTROJANNI fa osservare che si verrebbe a turbare soltanto il patrimonio e non la famiglia come tale.

MERLIN UMBERTO fa notare inoltre che accettando il principio dell’eguaglianza tra figli naturali e figli legittimi si verrebbe ad ammettere la ricerca della paternità. Ricorda che egli è stato sempre favorevole a tale indagine, purché circondata dalle dovute cautele per evitare l’inconveniente che spesse volte si verifica, per cui si attribuisce la paternità non al padre vero, ma al padre più ricco.

GRASSI osserva che la formula dell’onorevole Mastrojanni, stabilendo una differenziazione, in un certo senso verrebbe a vincolare il legislatore, che invece dovrebbe essere libero di scegliere la via che riterrà più opportuna per la tutela dei figli naturali.

Non crede necessario che la Costituzione si occupi di tutte le questioni attinenti al diritto familiare, dovendosi limitare a qualche affermazione di principio di carattere generale.

Per queste ragioni è del parere che sia meglio rinviare tutta la materia alla legge, in modo che non si venga a pregiudicare in nessuna maniera l’opera del futuro legislatore.

MASTROJANNI teme che si voglia affrontare una questione così importante come quella in esame, senza una preparazione adeguata.

Nella sua formula ha cercato di limitare il più possibile le gravi conseguenze derivanti dalla applicazione del principio della parità di trattamento tra i figli naturali ed i figli legittimi, sembrandogli che la formula dell’onorevole Togliatti fosse molto più ampia e investisse sia il lato economico che quello morale.

In definitiva, sarebbe anch’egli del parere di non parlare assolutamente nella Costituzione di questo argomento, che dovrebbe essere di competenza esclusiva del legislatore.

MORO rileva che la Sottocommissione è combattuta da due esigenze egualmente umane e nobili: da un lato assicurare l’esistenza e la stabilità della famiglia legittima, e dall’altro permettere che coloro i quali, senza loro colpa, sono venuti al mondo al di fuori del vincolo matrimoniale, non debbano sopportare le conseguenze di una situazione che si è verificata senza loro colpa. Se si volessero conciliare queste due diverse esigenze si dovrebbe introdurre nella Costituzione un complesso di disposizioni precise e combinate, in quanto non sarebbe sufficiente fare un’affermazione generica che potrebbe anche risultare equivoca.

Non ritiene però che alcuno dei Commissari abbia una preparazione adeguata per la trattazione del tema, e pertanto pensa che non si debba enunciare altro che un principio generico, salvo stabilire se sia anche da accennare esplicitamente ad un rinvio al futuro legislatore.

Dissente però dall’opinione dell’onorevole Grassi e di altri Commissari di tacere completamente nella Costituzione questo argomento, poiché ciò darebbe l’impressione che o si sia voluto appositamente ignorarlo, oppure che, a causa dei contrasti che sono sorti in seno alla Sottocommissione, non si sia potuto arrivare a formulare un qualsiasi principio.

I termini con cui è formulata la proposta dell’onorevole Corsanego sono, a suo avviso, tali da non pregiudicare in nessun modo né l’una né l’altra esigenza, perché mentre da un lato si dà un principio ispiratore al futuro legislatore, non si pregiudica dall’altro in nessun modo ogni possibile provvidenza in favore dei figli naturali.

Per queste ragioni dichiara di essere favorevole alla formula dell’onorevole Corsanego.

LUCIFERO rileva che l’onorevole Mastrojanni, con la sua formula, si preoccupa soltanto di un lato del problema, cioè di quello economico, che per quanto abbia la sua importanza, non è quello che maggiormente deve preoccupare. Il lato più preoccupante è invece quello morale e cioè la posizione di inferiorità dei figli naturali dal punto di vista anagrafico di fronte agli altri che hanno la fortuna di avere un nome legittimo. Si tratta di un problema complesso che può riguardare non soltanto una questione anagrafica, ma anche una questione sociale.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Merlin, che cioè si arrecherebbe un’offesa ai terzi innocenti, afferma che innocenti sono tutti, sia i figli legittimi, come gli adulterini. Circa poi la ricerca della paternità, nega che con la formula dell’onorevole Togliatti si debba arrivare a simile indagine, potendosi configurare, come del resto era stato proposto in alcuni progetti di legge, la possibilità di dare a questi poveri figli una paternità fittizia.

TOGLIATTI concorda con l’onorevole Lucifero nel ritenere che la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni restringa in un certo senso il problema, poiché lo limita in sostanza al diritto successorio ed alla questione alimentare. Se per quanto riguarda l’aspetto alimentare può essere d’accordo, per quanto invece concerne il diritto successorio la questione è molto più delicata, perché si potrebbe andare contro la stessa volontà dei testatori.

Tiene poi a mettere in evidenza che non lo interessa tanto una perfetta parità di trattamento economico tra i figli naturali e quelli legittimi, quanto invece l’approvazione di un principio da mettersi in relazione con quello affermato circa i diritti della persona. Si richiama specificamente al principio per cui nessuno può essere privato del proprio nome. Poiché ora ad una determinata categoria di figli illegittimi non si dà nemmeno il nome, verrebbe ad essere intaccata, in uno dei suoi attributi fondamentali, la pienezza della personalità umana che deve essere riconosciuta a tutti, indipendentemente dalla condizione della nascita. Questo lato della questione ha un valore che, a suo avviso, trascende quello puramente patrimoniale, sul quale non sarebbe alieno dal fare le più ampie concessioni.

All’onorevole Merlin, che ha espresso la sua preoccupazione nei confronti della situazione degli altri componenti della famiglia, fa rilevare che è giunto il momento di abbandonare la concezione conservatrice che ancora esiste nel campo della famiglia, se si vuole che diventi un organismo rinnovato e moderno. D’altra parte, si dichiara convinto che una parità riconosciuta legislativamente avrebbe la conseguenza di far cessare tante ipocrisie e tanti mezzi subdoli, spesso al margine del Codice, che attualmente hanno luogo per favorire i figli illegittimi a danno dei legittimi.

Conclude affermando che il principio contenuto nella sua proposta deve considerarsi come il complemento indispensabile di una famiglia in cui non è consentito il divorzio, quale temperamento necessario appunto per non creare una categoria di esseri a cui si vengano a negare, sulla base di un diritto familiare arretrato, quelli che sono i diritti fondamentali della persona umana.

CEVOLOTTO osserva che, se è indubitabile un orientamento del diritto vigente verso il progressivo riconoscimento della ricerca della paternità, anche per i figli adulterini, con determinate cautele, sono però da tenersi presenti le conseguenze molto gravi che possono verificarsi nei confronti del vincolo familiare e della famiglia legittima. Tale questione, peraltro, dovrà essere esaminata in sede di Codice civile o di una legge speciale.

Invece il principio espresso nella formula dell’onorevole Togliatti non tocca, a suo giudizio, la questione di tecnica legislativa, perché tende soltanto a dare un indirizzo, lasciando poi alla legislazione speciale di procedere per la strada indicata con la dovuta prudenza e cautela ed anche progressivamente, in relazione alla evoluzione delle idee che dovrà appunto essere favorita dalla legislazione stessa.

Per questo motivo, crede che la formula proposta dall’onorevole Togliatti possa essere adottata senza soverchie preoccupazioni.

MASTROJANNJ ritiene che né l’onorevole Lucifero né l’onorevole Togliatti abbiano considerato l’eventualità dei figli incestuosi, i quali sono anch’essi figli naturali.

Secondo la formula dell’onorevole Togliatti, si dovrebbe infatti giungere a parificare ai figli legittimi coloro che, per ovvie ragioni, non possono rimanere nell’ambito familiare. Per i figli incestuosi è, poi, da escludersi in modo assoluto la possibilità di dar loro una paternità che potrebbe essere quella del fratello o della sorella, perché ciò ripugnerebbe non soltanto alla società, ma anche a quei disgraziati innocenti che, invece di essere favoriti, dovrebbero portare un nome che rappresenterebbe un marchio di infamia per tutta la vita.

CEVOLOTTO osserva che il caso richiamato dall’onorevole Mastrojanni conferma proprio la bontà della formula dell’onorevole Togliatti, perché se si ammettesse di dare ai figli incestuosi la paternità o la maternità naturale come legittima, si verrebbero proprio a far ricadere su di essi le colpe dei genitori. Invece la formula dell’onorevole Togliatti lascerebbe la possibilità di poter trovare una soluzione soddisfacente anche per questi casi particolari.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con la formula dell’onorevole Togliatti, integrata dalle osservazioni dell’onorevole Cevolotto. All’onorevole Mastrojanni fa rilevare che non devesi mai parlare di indegnità dei figli, ma di coloro che li hanno concepiti e che, d’altra parte, non è escluso che in determinati casi, come ha precedentemente affermato, non si possa attribuire ai figli incestuosi o adulterini una paternità fittizia, in modo che non risulti dagli atti dello Stato civile la loro origine.

Ripete, pertanto, di essere favorevole all’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, che non impone determinate modalità, ma rimette al legislatore di escogitare caso per caso i modi di protezione.

PRESIDENTE osserva che una formulazione lata e generale come quella dell’onorevole Togliatti presenta – o può presentare – nell’applicazione che ne dovesse fare il legislatore, una serie di problemi di grave e difficile soluzione, che del resto sono emersi dalla stessa discussione.

Per questa ragione, dichiara di aderire alla formula dell’onorevole Corsanego, alla quale è stata apportata una lieve modifica, che del resto era nelle sue intenzioni di proporre, essendosi sostituita alla espressione: «figli naturali» l’altra: «nati fuori del matrimonio».

La formula definitiva verrebbe quindi ad essere la seguente:

«La legge detta le norme per l’efficace protezione dei figli nati fuori del matrimonio».

Domanda all’onorevole Mastrojanni se insiste sulla sua proposta.

MASTROJANNI dichiara di insistere sulla sua proposta e chiede che sia messa in votazione.

MANCINI dichiara che voterà contro la proposta Mastrojanni, perché i diritti dei figli naturali non sono soltanto di natura economica, ma soprattutto di natura morale e sociale. Aderendo a tale proposta, si verrebbe a creare una sperequazione fra i figli naturali e quelli legittimi, mentre la famiglia è un organismo etico che deve soprattutto avere ima superiore esigenza: quella di saper correggere in tutti i modi gli errori dei suoi componenti. La personalità umana non si può annullare e lo stato giuridico non si può sopprimere. Se la morale deve informare il diritto, non si può rimanere indifferenti alla sorte di tanti innocenti.

Il principio affermato dall’onorevole Togliatti è invece un principio, o meglio una norma morale, degna di essere inserita in una Costituzione moderna.

MASTROJANNI osserva che nella dichiarazione di voto dell’onorevole Mancini il suo pensiero è stato alquanto travisato.

Pone in evidenza, infatti, che è stato lungi dalle sue intenzioni escludere qualsiasi protezione di ordine morale nei confronti dei figli naturali. Assicurare ai nati fuori del matrimonio un identico trattamento economico nei confronti dei figli legittimi, non impedisce un’adeguata protezione anche dal punto di vista etico e morale. La sua principale preoccupazione è stata quella di non turbare l’ordine della famiglia e la sensibilità dei coniugi, ammettendo una eventuale convivenza tra figli dello stesso letto e figli adulterini o incestuosi.

PRESIDENTE dichiara chiusa la discussione generale e mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti così formulata:

«Nessuna norma di legge potrà far ricadere sui figli le conseguenze di uno stato familiare dei genitori che non sia conforme alla legge».

(La proposta è respinta con 7 voti contrari e 5 favorevoli).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni così formulata:

«I diritti di natura patrimoniale per i figli naturali non possono essere difformi da quelli dei figli legittimi».

(È respinta con 11 voti contrari e 1 favorevole).

Pone infine ai voti la proposta ultima dell’onorevole Corsanego:

«La legge detta le norme per la efficace protezione dei figli nati fuori del matrimonio».

MORO dichiara di approvare la formula proposta dall’onorevole Corsanego, non perché l’idea sostenuta dall’onorevole Togliatti sia da respingere completamente, ma perché ritiene che si debba dare ai figli illegittimi una protezione adeguata di ordine spirituale ed economico, senza infrangere l’ordinamento familiare, che è essenziale perché la famiglia possa assolvere la sua funzione sociale.

LUCIFERO dichiara di astenersi dalla votazione. Non voterà contro, unicamente perché preferisce che nella Costituzione vi sia questa formula, piuttosto che non ve ne sia nessuna, riservandosi però di risollevare la questione in sede più ampia.

MASTROJANNI dichiara che voterà in favore della formula dell’onorevole Corsanego.

TOGLIATTI dichiara che si asterrà dal voto, riproponendosi di risollevare la questione in sede di Commissione plenaria, anche in considerazione del fatto che mancano tre Commissari il cui voto egli ha motivo di ritenere sarebbe stato favorevole alla sua tesi.

MANCINI dichiara di astenersi dalla votazione, riservandosi anch’egli di risollevare la questione in altra sede.

(La proposta Corsanego è approvata con 7 voti favorevoli e 5 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che dovrebbe riprendersi la discussione dell’articolo sul matrimonio che era rimasto in sospeso in relazione alla opportunità di fare, o meno, una affermazione della sua indissolubilità. Ricorda che l’onorevole La Pira aveva proposto di aggiungere all’articolo un comma così formulato:

«La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia».

Poiché l’onorevole La Pira nel giustificare la sua assenza, lo ha pregato di far sua, davanti alla Sottocommissione, tale proposta, la sottopone all’esame della Sottocommissione stessa.

CEVOLOTTO propone che la questione della indissolubilità del matrimonio venga rinviata ad altra seduta, anche in considerazione del fatto che sono assenti molti dei componenti della Commissione e che trattandosi di una delle questioni più importanti sarebbe necessario vi fosse il maggior numero possibile di presenti. Rileva poi, in particolare, che manca ancora un rappresentante del Partito socialista, in sostituzione dell’onorevole Lombardi.

TOGLIATTI si associa alle considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto e chiede che la discussione sia rinviata, anche per dar modo ai Relatori di incontrarsi per cercare di addivenire ad una formula che raccolga i consensi della maggioranza della Sottocommissione.

PRESIDENTE rinvia la discussione alla seduta di mercoledì 13, alle ore 17.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Caristia, Cevolotto, Corsanego, Grassi, Iotti Leonilde, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Basso, De Vita, Dossetti, La Pira e Marchesi.

GIOVEDÌ 7 NOVEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

34.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 7 NOVEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

La famiglia (Seguilo della discussione)

Presidente – La Pira – Corsanego, Relatore – Grassi – Moro – Iotti Leonilde, Relatrice – Mastrojanni – Merlin Umberto – Basso – De Vita – Cevolotto – Togliatti.

La seduta comincia alle 10.45.

Seguito della discussione sulla famiglia.

PRESIDENTE dà lettura del seguente articolo formulato dai Relatori onorevoli Corsanego e Iotti, con la partecipazione dell’onorevole Moro, facendo però notare che l’accordo è intervenuto soltanto sulla prima parte:

«Il matrimonio è basato sul principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ai quali spettano il diritto e il dovere di alimentare, istruire ed educare la prole. Lo Stato sorveglia e, occorrendo, integra l’adempimento di tale compito.

«La legge regola la condizione giuridica dei coniugi, allo scopo di garantire l’unità della famiglia».

Apre la discussione sulla prima parte del suddetto articolo.

LA PIRA, pur essendo perfettamente d’accordo sul criterio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, desidererebbe che fosse messa maggiormente in luce la posizione preminente del padre di famiglia, come capo dell’organismo familiare. Tale posizione di primus inter pares, a suo avviso, è posta in rilievo dalla seconda parte dell’articolo, secondo la quale la legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di assicurare l’unità della famiglia. Perciò, essendo le due parti solidali tra loro, dichiara di non poter accettare la prima, se non sarà parimenti approvata la seconda.

CORSANEGO, Relatore, concorda con l’onorevole La Pira, il cui concetto, del resto, aveva già espresso nella sua relazione, nella quale rimandava alla legge di determinare i casi in cui l’esercizio della patria potestà doveva essere lasciato al padre, nonché quelli nei quali, in caso di conflitto tra coniugi, dovesse prevalere la volontà del marito, come capo di famiglia. Perciò, dopo l’affermazione generale concordata dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, la sua formulazione continuava affermando che: «la legge regola l’esercizio della patria potestà», appunto per lasciare al padre quel carattere di primus inter pares a cui ha fatto cenno l’onorevole La Pira.

PRESIDENTE desidera dai Relatori qualche chiarimento in ordine alla proposizione in cui si stabilisce che lo Stato sorveglia e, occorrendo, integra l’adempimento del compito familiare. Tale espressione gli ricorda analogo articolo del Codice civile del tempo fascista, secondo il quale lo Stato si arrogava il diritto di interferire nell’educazione della prole entro l’ambito della famiglia. Apposito decreto legislativo, da lui stesso elaborato quando era Ministro Guardasigilli, ne sancì l’abolizione. Non vorrebbe quindi che la nuova Costituzione rimettesse in onore certi principî.

GRASSI si dichiara d’accordo col Presidente nel ritenere che l’espressione può effettivamente prestarsi a una interpretazione che richiami la situazione precedente creata dal fascismo, in cui lo Stato interferiva nella famiglia. Sarebbe, pertanto, favorevole alla sua soppressione.

MORO, pur condividendo le preoccupazioni manifestate dal Presidente e dall’onorevole Grassi, relativamente alle possibili ingerenze dello Stato nell’ambito della vita familiare, osserva che vi possono essere dei casi-limite in cui è necessario fare riferimento ad un eventuale intervento dello Stato per ragioni economiche e morali, come ad esempio nel caso di famiglie che abbandonino la loro prole in mezzo alla strada. Riconosce il valore delle iniziative caritative private in questo campo, ma non ritiene sufficiente fare affidamento solo su di esse, togliendo allo Stato la facoltà di intervenire per sostituire i genitori, quando questi non possano o non vogliano provvedere adeguatamente all’educazione dei propri figliuoli. Per questo motivo ha dato la sua adesione alla formula proposta.

LA PIRA, di fronte alla preoccupazione del Presidente e dell’onorevole Grassi ed alle argomentazioni dell’onorevole Moro, pensa che sarebbe opportuno trovare una formula la quale, mentre contempli specificamente quei casi-limite cui ha accennato l’onorevole Moro, salvaguardi del pari l’autonomia della famiglia.

IOTTI LEONILDE, Relatrice, dichiara che, nel proporre la formula in discussione, intendeva appunto riferirsi a quei casi-limite su cui ha richiamato l’attenzione l’onorevole Moro. Cita, ad esempio, l’ipotesi di un bambino, divenuto orfano improvvisamente, nei cui riguardi lo Stato intervenga sostituendosi ai genitori per provvedere alla sua alimentazione ed educazione.

PRESIDENTE ritiene che le esigenze d’ordine economico alle quali hanno fatto richiamo l’onorevole Moro e la onorevole Iotti possano essere egualmente soddisfatte con l’articolo approvato nella seduta precedente, secondo il quale lo Stato prende appropriate misure per facilitare il matrimonio e per agevolare l’adempimento degli oneri familiari. Se invece le esigenze che si vogliono soddisfare non sono solamente di ordine economico, alle sue preoccupazioni si deve riconoscere un notevole fondamento.

MORO esprime l’avviso che non si tratta di soddisfare esigenze soltanto di carattere economico, ma anche di carattere morale, come nel caso di genitori che, essendo dediti al vizio o alla vita delittuosa, non sono in condizioni morali tali da poter educare convenientemente la prole. Sarebbe disposto ad accettare la soppressione della proposizione, se con una esplicita dichiarazione si autorizzasse lo Stato a surrogare la famiglia nei suoi compiti, quando questa per ragioni morali o economiche non potesse adempierli.

PRESIDENTE richiama l’attenzione della Commissione sul successivo articolo proposto dai Relatori:

«Lo Stato provvederà ad una adeguata protezione morale e materiale della maternità, dell’infanzia e della gioventù, istituendo gli organismi necessari a tale scopo».

Ritiene che la formulazione di tale articolo potrebbe soddisfare anche le esigenze di indole morale cui alludeva l’onorevole Moro, mentre invece affermando che lo Stato sorveglia e, occorrendo, integra i compiti che spettano alla famiglia, si adotta una formula che potrebbe vulnerare seriamente l’autonomia e la libertà della famiglia.

MASTROJANNI considera innanzi tutto dannosa l’espressione in discussione, perché non solo non risponde alle finalità che i Relatori si sono proposti di assolvere, ma può pregiudicare la libertà della famiglia. Tale espressione è inoltre pleonastica, perché, essendosi affermato nel periodo precedente il dovere dei coniugi di alimentare, istruire ed educare la prole, si viene contemporaneamente ad ammettere il diritto dello Stato di intervenire in caso di inadempienza; altrimenti la parola: «dovere» non avrebbe alcun significato pratico.

MERLIN UMBERTO riconosce la serietà e la fondatezza delle preoccupazioni del Presidente, ma, in relazione anche a quanto è stato affermato dall’onorevole Moro, ritiene che lo Stato non possa non preoccuparsi di particolari casi, come quello, abbastanza comune per effetto della guerra, della prole lasciata abbandonata a se stessa. Propone, pertanto, la seguente formulazione, che, a suo avviso, non tocca la sostanza della prima parte, su cui tutti sono d’accordo:

«Solo nei casi in cui i genitori vengano meno a questo loro obbligo, lo Stato può ad essi sostituirsi provvedendo all’educazione e all’istruzione dei figli».

BASSO ritiene errata la conclusione a cui è giunto l’onorevole Mastrojanni, in quanto, proprio come conseguenza del dovere dei coniugi, affermato nella prima proposizione, bisogna che nella seconda si dia allo Stato la possibilità di potersi sostituire ai genitori, nel caso in cui quel dovere non sia adempiuto.

Non ritiene d’altra parte che possa farsi riferimento all’articolo successivo il cui contenuto si inserisce nel quadro generale dell’educazione morale dei fanciulli affidati alle famiglie, mentre la proposizione in esame si riferisce ai casi in cui le famiglie, moralmente o economicamente, non siano in condizioni di poter provvedere all’alimentazione e all’educazione della prole.

Dichiara perciò che non avrebbe alcuna difficoltà ad accettare la formula dell’onorevole Merlin, purché venisse mantenuta allo Stato la facoltà di intervenire, altrimenti l’affermazione di principio della prima proposizione non avrebbe alcun valore.

CORSANEGO, Relatore, dichiara di poter accettare il concetto, ma non la formulazione dell’onorevole Merlin, che gli sembra inadatta per una Costituzione. Lo stesso risultato potrebbe ottenersi, a suo avviso, aggiungendo al successivo articolo la seguente espressione: «con particolare riguardo a quei ragazzi per i quali i genitori non sono capaci di esercitare la funzione della patria potestà».

IOTTI LEONILDE, Relatrice, non ritiene che le preoccupazioni del Presidente e di altri Commissari siano giustificate, perché lo spirito a cui si ispira l’articolo in discussione è completamente diverso da quello che animava il soppresso articolo del codice fascista.

Si dichiara anche contraria alla proposta dell’onorevole Corsanego, ritenendo che la sede più adatta per sancire la potestà dello Stato di intervenire in particolari casi ed anche sostituirsi ai genitori, sia l’articolo che tratta del dovere e del diritto dei coniugi di istruire ed educare la prole.

MASTROJANNI richiama l’attenzione sul fatto che le libertà individuali hanno un valore che non può essere trascurato per ragioni né economiche né sociali, ma che deve essere tenuto nella massima considerazione, specialmente nel campo della famiglia. Stabilire che lo Stato possa sostituirsi ai genitori in caso di incapacità economica o morale, vorrebbe dire, a suo avviso, mettere il cittadino, senza alcuna garanzia, sotto l’arbitrio dello Stato stesso, il quale, con i suoi poteri discrezionali, potrebbe sottrarre i figli al loro naturale ambiente, quando ritenesse, in seguito ad un suo esclusivo giudizio, eventualmente ispirato da motivi politici, che la moralità e la potenzialità economica della famiglia non sia sufficiente per una retta e sana educazione.

Esprime, invece, il parere che quando, per incapacità morale od economica dei genitori di educare ed istruire la prole, lo Stato fosse costretto ad intervenire, dovrebbe affidare l’educazione dei figli a consigli di famiglia, nominati dal giudice delle tutele.

PRESIDENTE è convinto che il pensiero di ognuno sia ben lungi dall’idea di voler determinare da parte dello Stato un intervento che possa ledere in qualsiasi modo l’autonomia dei genitori. D’altra parte è stata anche espressa la preoccupazione di prevedere l’ipotesi di un intervento superiore, al fine di integrare una constatata incapacità morale e materiale dei coniugi all’adempimento degli obblighi verso la loro prole. Proporrebbe, perciò, la seguente formula che ritiene potrebbe essere approvata dalle due diverse tendenze: «La legge provvede all’eventuale integrazione di tali compiti per i casi di provata incapacità morale e materiale dei coniugi».

MASTROJANNI dichiara che sarebbe favorevole all’emendamento proposto dal Presidente, purché venisse integrato nel modo seguente: «La legge provvede, per mezzo dei consigli di famiglia e del giudice delle tutele, all’eventuale integrazione di tali compiti per i casi di provata incapacità morale o materiale dei coniugi».

In tale modo, potrebbe ovviarsi, a suo giudizio, al pericolo che lo Stato possa servirsi delle disavventure dei due coniugi per inserirsi nell’ambito della famiglia.

DE VITA si dichiara d’accordo con l’onorevole Mastrojanni sull’opportunità di sopprimere il secondo periodo del primo comma limitando l’articolo in esame alla prima proposizione, senza altra aggiunta.

MORO desidera fare osservare all’onorevole Mastrojanni che i casi per i quali lo Stato dovrà intervenire nell’ambito della famiglia sono solamente quelli limite, nei quali, sia dal punto di vista economico che morale, le famiglie non abbiano più consistenza. Non vede come sarebbe possibile in questi casi fare ricorso ai consigli di famiglia. Invece, facendo riferimento alla legge, nulla vieta che essa possa provvedere, sia a mezzo dei consigli di famiglia, sia intervenendo direttamente.

Crede poi che la preoccupazione dell’onorevole Mastrojanni parta da una preconcetta diffidenza verso lo Stato, mentre la nuova Costituzione deve ispirarsi alla ipotesi di uno Stato nel quale si possa avere fiducia.

DE VITA ricorda di essersi pronunciato, in una precedente riunione, contro lo Stato-scuola e lo Stato-educatore. Si dichiara perciò contrario alla formula proposta, perché gli sembra che si apra la via all’intervento dello Stato nell’educazione della prole, in quanto esso sarebbe l’unico giudice della maggiore o minore educazione familiare.

MERLIN UMBERTO dichiara di aderire alla formula del Presidente, la quale, a suo parere, è più chiara e migliore di quella che egli stesso ha proposta.

Per persuadere l’onorevole Mastrojanni a non insistere nel suo emendamento, cita l’esempio dei cosiddetti «sciuscià», nei riguardi dei quali, se si adottasse l’emendamento da lui proposto, relativo ai consigli di famiglia ed al giudice di tutela, non sarebbe possibile intervenire e provvedere d’urgenza, magari per mezzo della pubblica sicurezza, essendo essi privi di qualsiasi familiare.

MASTROJANNI fa rilevare all’onorevole Merlin che il caso dei ragazzi privi di famiglia e senza fissa dimora è previsto già dalla legge di pubblica sicurezza, che provvede in modo tassativo a prevenire e a regolare d’urgenza quanto turba l’equilibrio sociale.

Poiché non si tratta di provvedere a casi di urgenza, ma di risolvere situazioni definitive, non vede perché non si debba fissare nella Costituzione il sistema per sottrarre alla famiglia i figli in particolari circostanze. Ad ogni modo, per ovviare agli inconvenienti accennati dagli onorevoli Moro e Merlin, integrerebbe la sua formula nel modo seguente:

«La legge provvede con i consigli di famiglia e di patronato, presieduti dal giudice tutelare, all’eventuale integrazione di tali compiti per i casi di provata incapacità morale e materiale dei coniugi».

PRESIDENTE, a richiesta di alcuni Commissari, mette ai voti la chiusura della discussione.

(È approvata).

Mette ai voti la prima proposizione dell’articolo così formulata:

«Il matrimonio è basato sul principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ai quali spettano il diritto e il dovere di alimentare, istruire ed educare la prole».

LA PIRA dichiara di votare a favore della formula, ma ripete che il principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, che egli accoglie, va integrato con l’altro principio che fa del pater familias il primus inter pares, responsabile del gruppo familiare.

CORSANEGO, Relatore, si associa alla dichiarazione dell’onorevole La Pira.

IOTTI LEONILDE, Relatrice, si dichiara contraria all’integrazione proposta dall’onorevole La Pira.

(La prima proposizione dell’articolo è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE dà lettura della seguente formula concordata tra gli onorevoli Iotti, Corsanego e Moro, sostitutiva della seconda parte del primo comma:

«Nei casi di provata incapacità morale ed economica dei coniugi, lo Stato provvede in modo da assicurare l’adempimento di tali compiti».

In relazione alla sua precedente proposta, invece che allo «Stato» preferirebbe fare riferimento alla «legge», formulando così la proposizione: «Nei casi di provata incapacità morale ed economica dei coniugi, la legge detta le norme per assicurare l’adempimento di tali obblighi».

Domanda all’onorevole Mastrojanni se insiste nella sua proposta.

MASTROJANNI in linea principale sostiene la soppressione della seconda proposizione; in linea subordinata, se dovesse approvarsi una delle nuove formule proposte, insisterebbe per l’approvazione del suo emendamento.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni che, è quella che si discosta di più sia dal suo testo che da quello concordato tra i Relatori.

MERLIN UMBERTO dichiara di essere contrario alla formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, non perché non apprezzi il pensiero ed i concetti che la informano, ma perché essa pone dei limiti a quelle che potranno essere le più ampie facoltà del legislatore.

MORO dichiara che voterà contro l’emendamento, perché eccessivamente limitativo, in quanto impone una procedura che in alcuni casi potrebbe essere insufficiente allo scopo.

(L’emendamento è respinto con 1 voto favorevole e 10 contrari).

PRESIDENTE domanda alla onorevole Iotti se accetta che alla parola «lo Stato» sia sostituita la parola «la legge».

IOTTI LEONILDE, Relatrice, dichiara di preferire la formula concordata.

LA PIRA osserva che si tratta di due formule sostanzialmente identiche.

GRASSI ritiene che la proposta del Presidente dovrebbe avere la precedenza nella discussione, dovendo considerarsi come un emendamento del testo concordato dai Relatori.

MORO osserva che se può essere d’accordo circa la procedura da seguire nella discussione, non può essere d’accordo circa il concetto, perché con la parola «Stato» si intende insieme «Stato legislatore ed esecutore» e non soltanto «Stato esecutore».

MASTROJANNI si dichiara contrario alla dizione proposta dal Presidente, perché in una materia tanto grave si lascerebbe alla legge di statuire in tema di libertà individuale, senza garantire le modalità di esecuzione.

PRESIDENTE mette ai voti la formula da lui proposta.

(È respinta con 3 voti favorevoli e 8 contrari).

Pone in votazione la proposta concordata dagli onorevoli Iotti, Corsanego e Moro.

(È approvata con 8 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

Pone in discussione il secondo comma dell’articolo proposto dai Relatori, così formulato:

«La legge regola la condizione giuridica dei coniugi, allo scopo di garantire l’unità della famiglia».

LA PIRA propone la seguente formula sostitutiva, nella quale è sempre compreso il concetto del padre di famiglia primus inter pares: «La legge regola la condizione giuridica dei coniugi allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia».

Indipendentemente dal principio religioso dell’indissolubilità del sacramento, la sua proposta è basata sul fatto che effettivamente gli studi più recenti di cattolici e non cattolici nel campo biologico, fisiologico e sociologico, hanno dimostrato sempre più come il principio dell’indissolubilità sia corrispondente alla struttura e alle finalità che il matrimonio si propone di raggiungere.

A questo motivo di carattere razionale ne aggiunge uno di carattere legislativo, nel senso che sia l’attuale legislazione russa che molte altre Costituzioni moderne, si sono orientate verso l’affermazione del principio della indissolubilità del matrimonio.

Perciò, per ragioni scientifiche, legislative e storiche, ritiene che tale principio debba essere affermato nella Costituzione italiana, se si vuole veramente costruire una società nella quale non valga più il principio individualistico, ma quello della responsabilità sociale. Per quanto sia stato affermato che non si farà cenno al divorzio né nella Costituzione, né nella futura legislazione, è dell’avviso che bisogna dare al legislatore una indicazione che limiti la sua volontà in questo campo.

Come credente, poi, non può tacere il principio religioso, secondo il quale quos Deus conjunxit, homo non separet.

CEVOLOTTO non ritiene che si debba portare in sede costituzionale il problema del divorzio, in quanto più che di un problema sociologico si tratta di un problema politico che non è di attualità in Italia, tanto è vero che, malgrado lo Statuto Albertino non parlasse di indissolubilità del matrimonio, fino ad oggi, salvo una discussione alla Camera dei Deputati che non portò ad alcuna decisione, e un accenno in un discorso della Corona, non è mai stata sollevata in concreto la questione del divorzio. Non intende, quindi, affrontare tale questione, né dal punto di vista giuridico né sociologico, pur facendo rilevare all’onorevole La Pira alcune ipotesi degne di attento esame, come i matrimoni puramente civili, che sono considerati dalla religione dei concubinati, i condannati all’ergastolo, e il caso di coniugi separati che abbiano costituito due distinte famiglie.

MASTROJANNI concorda con l’onorevole Cevolotto. Non discute sui criteri che secondo l’onorevole La Pira giustificano l’indissolubilità del matrimonio, ma ritiene che la formula, così come è concepita, non abbia alcun valore pratico, perché la legge non può regolare l’unità della famiglia, ma, tutt’al più, può intervenire per regolarne i rapporti; il Codice civile, anzi, non solo non garantisce l’unità della famiglia, ma interviene per consentire e regolare i casi di separazione dei coniugi. L’unità della famiglia, d’altra parte, la legge non potrebbe ottenerla se non attraverso una coazione fisica, vale a dire costringendo i coniugi alla convivenza e alla coabitazione anche quando esista una manifesta incompatibilità di carattere. In tal modo, però, si verrebbero a creare quelle situazioni incresciose a cui la legge dovrebbe ovviare. Per queste ragioni riterrebbe prudente ed opportuno sopprimere il secondo comma dell’articolo.

MORO è d’avviso contrario a quello dell’onorevole Mastrojanni, al quale fa rilevare che l’ipotesi della separazione dei coniugi, che la legge consente, è un caso limitato che non incide sulla disciplina normale che la legge si deve proporre allo scopo di garantire l’unità della famiglia. Sarebbe forse preferibile parlare piuttosto di «unità di indirizzo nella vita familiare», perché, come ha chiarito l’onorevole La Pira, tale espressione sta a indicare che la legge nel disciplinare la posizione reciproca dei coniugi deve fare in modo che sia permesso di realizzare un’unità di indirizzo nella vita familiare. Quindi le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni non toccano la sostanza della questione, in quanto si può discutere se sia il caso di parlare o meno nella Costituzione di indissolubilità del matrimonio, ma non si può affermare che il comma in discussione non abbia alcun significato.

MASTROJANNI dichiara che le spiegazioni dell’onorevole Moro né lo hanno persuaso, né hanno distrutto le sue argomentazioni. Ribadisce che la legge potrà regolare i rapporti familiari, ma non potrà garantire l’unità della famiglia, se non giungendo all’assurdo di una coercizione sui coniugi che non è ammissibile.

MORO non crede che per i casi di separazione, che rappresentano una percentuale all’incirca dell’1 per cento, si debba sottrarre alla legge il potere di regolare la vita familiare, allo scopo di garantirne l’unità di indirizzo.

MASTROJANNI dissente dall’onorevole Moro, perché l’unità implica un concetto materiale e uno spirituale. Ora, dal punto di vista spirituale, nessuna legge può intervenire per coartare lo spirito; dal punto di vista materiale, considera un assurdo che la legge possa garantire l’unità del matrimonio, perché verrebbe a ledere il sacrosanto principio della libertà dell’individuo.

MORO fa presente che tutte le leggi, in senso generale, tendono a realizzare l’unità delle discipline giuridiche, senza che per questo vi sia alcuna coazione.

LA PIRA, anche dichiarandosi d’accordo con l’onorevole Mastrojanni che la legge regola i rapporti familiari, pone in evidenza che quando nell’interno di un organismo, come la famiglia, si ha una pluralità di rapporti, è necessaria anche l’unità, la quale presuppone dei rapporti organicamente concepiti.

TOGLIATTI desidererebbe che sulla questione in discussione, che è una delle più gravi, non si verificasse una scissione tra i membri della Sottocommissione. Bisognerebbe, quindi, trovare una formula, la quale desse soddisfazione alle diverse tendenze. Come è stato dimostrato dalla discussione generale, ed è lieto che anche l’onorevole Cevolotto abbia dichiarato la stessa tendenza, non è stata posta sul tappeto la questione del divorzio, che personalmente, in relazione alle esigenze della attuale società italiana, considera innaturale e anzi dannoso.

Ritiene che i colleghi democristiani possano limitarsi a sancire il principio della indissolubilità del matrimonio nel Codice civile, dichiarandosi soddisfatti dell’affermazione, che egli fa a nome del suo gruppo, di non ritenere opportuno di sollevare il problema del divorzio. Dichiara perciò di accettare la formulazione che è stata presentata, dove si parla di unità della vita familiare; ed anzi, per venire ancora maggiormente incontro ai desideri dei democristiani, potrebbe anche accedere ad una formula che parlasse di solidità della famiglia, ma prega che non si voglia insistere nell’inserire nella Costituzione il principio della indissolubilità del matrimonio.

BASSO è d’accordo con l’onorevole Togliatti, in quanto anche da parte del suo gruppo non si ritiene che esista un problema del divorzio, né si ha intenzione di porlo in sede di Codice civile. È anch’egli dell’avviso che sarebbe deplorevole arrivare ad una votazione che dividesse i membri della Sottocommissione su una questione che in effetti oggi non ha ragione di esser posta. Si rende conto delle preoccupazioni religiose dell’onorevole La Pira, ma in alcuni casi, già ricordati dall’onorevole Cevolotto, come quello dei matrimoni conchiusi secondo il rito civile, tali preoccupazioni non sarebbero sufficienti a giustificare una richiesta categorica dell’indissolubilità del matrimonio, che potrebbe portare ad una scissione della Sottocommissione.

LA PIRA dichiara che, a suo parere, occorre guardare il problema da due punti di vista. Il primo punto di vista è quello del popolo italiano, che attende su tale argomento una parola precisa che affermi l’indissolubilità del matrimonio. Il secondo punto di vista si basa su due altre ragioni: una riguarda la sua posizione di cristiano, per cui non può fare a meno di insistere nella sua richiesta; l’altra è di natura razionale, perché effettivamente, a prescindere dal fattore religioso, si è persuaso, seguendo gli studi di questi ultimi venti anni, che vi è un’affermazione sempre più decisa nel campo scientifico verso l’indissolubilità del matrimonio considerato come elemento strutturale della famiglia. Invita pertanto la Sottocommissione a superare la questione dei partiti, in modo che la tesi affermata non sia quella della democrazia cristiana, ma di tutto il popolo italiano.

MORO dichiara che, in quanto democristiano, è favorevole alla indissolubilità del matrimonio, ma lo è anche per una ragione giuridica; poiché ritiene che quando due volontà si sono incontrate per creare qualche cosa che vada al di là delle singole persone, vi sia un impegno sociale a che il vincolo rimanga indissolubile.

DE VITA si dichiara contrario al comma proposto ed a qualsiasi altra formula di compromesso, ritenendo non opportuno trattare nella Costituzione tale argomento. Riconosce che il principio dell’unione indissolubile e perpetua dell’uomo e della donna è quello più accetto alla popolazione, ma bisogna, a suo avviso, altresì riconoscere che l’indissolubilità dell’unione può derivare soltanto dall’amore vero, naturale e libero.

PRESIDENTE propone una breve sospensione per dar modo ai Commissari di trovare una formula conciliativa.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che malgrado gli sforzi, condotti con un notevole e accentuato proposito di tutte le parti di trovare una formula che potesse soddisfare le diverse esigenze, non si è potuto arrivare ad una intesa.

Propone, pertanto, di rinviare la discussione di questa ultima parte dell’articolo alla prossima seduta, che rimane fissata per martedì, e di iniziare subito la discussione del successivo articolo, così formulato:

«Lo Stato provvederà ad una adeguata protezione morale e materiale della maternità, dell’infanzia e della gioventù, istituendo gli organismi necessari a tale scopo».

(Così rimane stabilito).

Apre allora la discussione sul suddetto articolo.

MASTROJANNI propone la soppressione delle parole: «istituendo gli organismi necessari a tale scopo», con le quali si potrebbe dare l’impressione di voler tornare all’antico e vieto sistema delle organizzazioni giovanili del fascismo.

LA PIRA, pur essendo favorevole a che lo Stato provveda alla protezione morale e materiale della maternità e dell’infanzia, per quanto riguarda la gioventù ha anch’egli il dubbio che si possa far rinascere una organizzazione come quella dell’Opera nazionale Balilla. Sopprimerebbe quindi le parole: «e della gioventù».

IOTTI LEONILDE, Relatrice, insiste perché l’articolo venga approvato integralmente nel testo concordato e in ispecie perché non vengano soppresse le parole «e della gioventù». È giusto che si protegga la maternità e l’infanzia, ma ritiene che una eguale protezione dovrebbe anche essere data alla gioventù, che è quella che maggiormente ha sofferto moralmente e materialmente.

CORSANEGO, Relatore, dopo le osservazioni degli onorevoli Mastrojanni e La Pira, condivide le loro preoccupazioni e i loro dubbi. Per impedire l’eventuale risorgere di organizzazioni del tipo fascista, ritiene che si potrebbe emendare l’articolo nel modo seguente: «…istituendo e favorendo gli organismi necessari a tale scopo», in modo che non si costituisca in questo campo il monopolio dello Stato.

La Pira accede all’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego.

MASTROJANNI, nonostante l’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego, insiste sulla soppressione della seconda parte dell’articolo, a cominciare dalle parole «e della gioventù».

IOTTI LEONILDE, Relatrice, dichiara di non accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego, in quanto ritiene inutile raggiunta delle parole «e favorendo».

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di sopprimere puramente e semplicemente la seconda parte dell’articolo a partire dalle parole «e della gioventù».

DE VITA dichiara che voterà in favore dell’emendamento proposto dall’onorevole Mastrojanni.

(L’emendamento è respinto con 2 voti favorevoli e 10 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Corsanego, tendente ad introdurre dopo la parola «istituendo» le altre «e favorendo».

(L’emendamento è approvato con 10 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette poscia ai voti l’intiero articolo, il quale, dopo gli emendamenti approvati, risulta così formulato:

«Lo Stato provvederà ad una adeguata protezione morale e materiale della maternità, della infanzia e della gioventù, istituendo e favorendo gli organismi necessari a tale scopo».

MASTROJANNI dichiara che voterà contro l’articolo, perché nella prima parte consente che la protezione dello Stato si esplichi senza le dovute forme e garanzie per le libertà individuali e delle famiglie. La seconda parte, poi, consente allo Stato di intervenire nella educazione e formazione della gioventù, secondo criteri politici che possono urtare contro la libertà delle famiglie alle quali compete per prime la protezione della gioventù.

Per queste ragioni e anche per l’insegnamento recente dato dal fascismo, che ha formato la gioventù secondo orientamenti che hanno provocato l’attuale grave crisi, ha ragione di diffidare circa l’intervento statale e si riserva di riproporre la questione in sede di Commissione plenaria.

DE VITA dichiara di votare contro per le ragioni esposte dall’onorevole Mastrojanni.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo.

(È approvato con 10 voti favorevoli e 2 contrari).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Caristia, Dossetti, Mancini, Lucifero e Marchesi.