Come nasce la Costituzione

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SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione Costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Patricolo – Mortati, Relatore – La Rocca – Laconi – Perassi – Di Giovanni – Nobile – Lussu – Ambrosini – Fabbri– Einaudi – Uberti – Tosato – Mannironi – Bozzi – Cappi – Bulloni – Zuccarini – Ravagnan – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 8.30.

 

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE invita la seconda Sottocommissione di procedere all’esame dell’attività legislativa della Camera.

PATRICOLO si richiama all’ordine del giorno da lui presentato nella seduta del 6 settembre scorso e nel quale, premesso il principio della divisione dei poteri, si sostiene l’opportunità di sancire nella Costituzione che il Parlamento ha due funzioni distinte: quella legislativa propriamente detta e quella di vigilanza e di controllo, la quale ultima non va intesa come una funzione inerente al potere legislativo in sé, ma come una funzione politica inerente al potere legislativo, in quanto rappresentanza del popolo. Nota, a questo riguardo, che nello Statuto Albertino è fatto cenno solo del potere di accusa della Camera all’Alta Corte di Giustizia e non del diritto di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che vengono riconosciuti invece dal regolamento interno della Camera. Ritiene che sarebbe opportuno farne menzione nella nuova Costituzione per il loro fondamento democratico.

Propone quindi di precisare in un articolo succinto le funzioni del potere legislativo, ammettendo in linea di principio che esso ne ha alcune che sono al di fuori di quelle legislative propriamente dette.

PRESIDENTE osserva che dovrebbe anzitutto decidersi una questione pregiudiziale; se, cioè, nella Costituzione debba inserirsi un articolo con l’elencazione delle funzioni della Camera.

MORTATI, Relatore, precisa che le funzioni del potere legislativo sono due: quella legislativa a quella di controllo ed ispettiva. Implicitamente nella funzione di controllo si sostanzia anche il potere di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che costituiscono quattro aspetti di una stessa funzione.

Per ora crede che sia il caso di occuparsi della funzione legislativa, per poi vedere quali aspetti della funzione di controllo converrà consacrare nella Costituzione.

LA ROCCA sostiene che si dovrebbe in primo luogo affermare il principio che l’Assemblea Nazionale è organo supremo della Repubblica italiana e il potere legislativo è esercitato esclusivamente dal Parlamento e non può essere delegato ad altri organi.

MORTATI, Relatore, nota che ci si trova sempre impigliati nella stessa difficoltà di prendere decisioni intorno a questioni che presuppongono una delineazione complessiva della struttura dello Stato. A suo avviso bisognerebbe stabilire anzitutto quali sono i poteri dello Stato, quale la loro organizzazione e quali le loro funzioni, perché altrimenti questo continuo intreccio fra organizzazione e funzioni determina delle difficoltà inestricabili.

Nei riguardi dell’idea dell’onorevole La Rocca, di stabilire che al solo potere legislativo spetti l’emanazione della legge, osserva che occorrerebbe in primo luogo precisare il modo di formazione del potere legislativo, per poi vedere se e in quanto sia possibile ammettere una delegazione; in altri termini, esaurire tutta la materia della organizzazione, e, in un secondo momento, passare all’esame delle funzioni.

LACONI dichiara che, se la proposta dell’onorevole Mortati lascia impregiudicata la questione della eventualità di introdurre nella Costituzione un articolo in cui siano specificati i poteri e le funzioni della Camera, può essere d’accordo. Conviene infatti che soltanto in un secondo momento, dopo esaurita la parte organizzativa, si potrebbero discutere le funzioni del potere legislativo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(É approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che si potrebbe riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella seduta precedente. Si era iniziato l’esame del potere di inchiesta da parte della Camera e si era concluso che dovesse essere sancito dalla Costituzione. Ora si tratta di vedere se, una volta ammesso il principio, si debbano fissare i criteri organizzativi.

Ricorda al riguardo che egli aveva proposto che, in armonia con la esigenza della protezione delle minoranze, si riconoscesse ad una minoranza cospicua il potere di provocare una inchiesta, indipendentemente dal consenso degli altri deputati. Riconosce che questo potere ispettivo affidato alle minoranze, come tutela nei confronti delle maggioranze che potrebbero non far uso di tale facoltà, costituirebbe una innovazione nei riguardi della precedente legislazione. Sarà pertanto necessario fissare dei limiti per non turbare eccessivamente il buon andamento dei lavori parlamentari, ed uno di questi potrebbe consistere nel richiedere una minoranza non inferiore ad un terzo dei deputati.

In secondo luogo bisognerebbe determinare nella Costituzione i poteri della Commissione d’inchiesta di fronte ai terzi, che altrimenti potrebbero rifiutarsi di fornire le informazioni di cui fossero richiesti.

PERASSI ricorda che si è poc’anzi deciso, in merito all’ordine dei lavori, che si dovesse esaurire l’esame della parte organizzativa. Non comprende quindi come l’onorevole Mortati concilii questa decisione con le sue attuali proposte.

MORTATI, Relatore, ritiene che la questione da lui sollevata rientri nella parte organizzativa, in quanto si tratta di decidere le modalità di organizzazione di Commissioni parlamentari.

Richiama l’attenzione sul fatto che nella riunione precedente ci si è soffermati su di un articolo del progetto Conti che prevede, tra l’altro, la costituzione di Commissioni e si è concluso che non fosse il caso di occuparsene, in quanto che non è opportuno introdurre nella Costituzione delle norme che andrebbero lasciate al potere interno organizzativo della Camera attraverso il regolamento. Viceversa, era sembrato opportuno disciplinare la materia delle Commissioni d’inchiesta perché i loro atti non si esauriscono nell’interno della Camera, ma hanno anche una influenza esterna e richiedono delle norme che determinino i poteri delle Commissioni stesse nei riguardi dei terzi. Sotto questo aspetto la discussione rientra nella parte organizzativa.

DI GIOVANNI ritiene che anche la materia delle Commissioni d’inchiesta sia da rinviare al regolamento. Anche l’attuale regolamento della Camera all’articolo 135 equipara le proposte d’inchiesta alle altre proposte di iniziativa parlamentare, stabilisce le modalità del funzionamento delle Commissioni e prevede anche il caso in cui esse debbano esplicare le loro funzioni all’esterno, stabilendo che i relativi poteri dovranno essere richiesti alla Camera.

MORTATI, Relatore, obietta che la Camera dovrebbe disciplinare questi poteri e facoltà di volta in volta con un’apposita legge.

Orbene, dal momento che occorre una legge per determinare certe deroghe al diritto comune (una deroga, per esempio, potrebbe consistere nello svincolare dal segreto d’ufficio i pubblici funzionari chiamati a deporre in sede di inchiesta), si tratta di vedere se è opportuno che la Camera provochi di volta in volta una legge, o se non sia preferibile che in una legge generale, o nella Costituzione stessa, siano determinate le modalità dell’esercizio del potere d’inchiesta.

Personalmente è di quest’ultimo avviso, sia per dare uniformità di trattamento alla materia, sia per affermare dei principî che può essere opportuno introdurre nella Costituzione, come quello del diritto di una certa minoranza di provocare un’inchiesta anche contro il parere della maggioranza.

NOBILE è pienamente d’accordo con l’onorevole Mortati.

LUSSU rileva che la Sottocommissione si è messa su di una via nettamente antitetica al criterio, adottato in seduta plenaria di Commissione, di creare una Costituzione molta breve ed estremamente semplice.

Quanto al merito, esprime l’avviso che il potere di inchiesta può considerarsi un diritto acquisito, che nessuno penserà di far scomparire dalla vita parlamentare e la cui affermazione e disciplina possono restare nell’ambito regolamentare.

Né ritiene accettabile la forma di tutela delle minoranze proposta dall’onorevole Mortati. Con tutto il rispetto che si può avere per le minoranze, pensa che esse potrebbero finire per sabotare la maggioranza e gli stessi fondamentali principî della democrazia. Se si vuole evitare uno stato di anarchia, la maggioranza deve dirigere la Nazione, con rispetto, s’intende, della minoranza che potrà in seguito divenire a sua volta maggioranza.

DI GIOVANNI concorda con l’onorevole Lussu ed aggiunge che la Costituzione dovrebbe essere un’enunciazione di principî stilata in forma epigrafica.

Nel merito, non trova fondata la preoccupazione dell’onorevole Mortati. I precedenti parlamentari insegnano che solo in casi gravissimi il Parlamento ha deliberato delle inchieste. Non ci sarà niente di strano se esse resteranno equiparate alle altre proposte di iniziativa parlamentare previste dal regolamento e la Camera di volta in volta emetterà una legge che determini le funzioni della Commissione ed i suoi poteri di fronte ai terzi.

PATRICOLO si associa agli onorevoli Lussu e Di Giovanni, circa l’opportunità di non appesantire la Costituzione, ma condivide l’opinione dell’onorevole Mortati che la questione non può essere risolta soltanto in sede di regolamento. In Italia è stata sempre avvertita la necessità di una legge generale che disciplinasse la materia nel suo complesso. Ricorda, ad esempio, che durante l’altra guerra, in occasione di un grosso scandalo, apparve la difficoltà di funzionamento della Commissione di inchiesta all’uopo nominata, di fronte al rifiuto della pubblica amministrazione di fornire i necessari elementi di indagine.

Se il diritto d’inchiesta è uno dei quattro aspetti della funzione politica di controllo, una volta affermato nella Costituzione questo potere del Parlamento, sarà compito di una legge particolare stabilirne r limiti e le modalità di esercizio.

AMBROSINI pone la questione in questi termini: se una Commissione d’inchiesta nominata dalla Camera, abbia, oppur no, poteri tali da obbligare non solo i funzionari delle pubbliche Amministrazioni, ma anche qualsiasi cittadino, a rispondere alle domande che essa credesse opportuno di rivolgergli. Se si ritiene che per questo occorra una legge speciale, è superfluo parlarne in questa sede, perché il legislatore di volta in volta che nomina una Commissione può attribuirle i poteri necessari. Se, invece, la Commissione è nominata da una sola Camera e non da tutto il potere legislativo, occorre stabilire nella Costituzione che la Camera ha il diritto di inchiesta che esercita a mezzo di Commissioni, le quali hanno i poteri che competono agli organi giudiziari.

PATRICOLO osserva che, portando al paradosso quello che ha detto l’onorevole Lussu, si potrebbe pensare che le stesse difficoltà che sorgono per il diritto di inchiesta possano verificarsi anche per il diritto di interpellanza, di interrogazione e di mozione; perché il potere esecutivo anche in questi casi potrebbe rifiutarsi di rispondere. Si chiede di stabilire se è necessario fissare nella Costituzione il diritto d’inchiesta. In caso affermativo, potrebbe pensarsi che la stessa necessità sorga per il diritto di interpellanza, di interrogazione o di mozione.

AMBROSINI osserva che tali diritti sono insiti nell’essenza stessa della Costituzione. Ma avviene per questi quello stesso che avviene per la funzione di sindacato sul Governo, che si concreta a mezzo di una mozione di sfiducia: per esercitarla la Camera deve seguire la procedura necessaria per arrivare ad un giudizio e può quindi interpellare il Governo per avere spiegazioni sul suo operato.

FABBRI è d’accordo con l’onorevole Ambrosini, ma osserva che la questione si è spostata. L’onorevole Mortati ritiene che un terzo dei componenti la Camera debba avere il diritto di provocare un’inchiesta e che, deliberata la nomina della relativa Commissione, questa debba essere investita di determinati poteri anche in confronto ai terzi. Si domanda come ciò possa accordarsi con i diritti della maggioranza. Non contesta il diritto di inchiesta nei rappresentanti del popolo, che è poi un diritto di controllo e costituisce una garanzia di ordine democratico; ma osserva che se si afferma che una minoranza può imporla, si viene a formulare nella Costituzione un principio per cui alla minoranza si riconosce un diritto superiore a quello della maggioranza.

EINAUDI esprime, in aggiunta alle osservazioni degli onorevoli Ambrosini e Fabbri, un dubbio.

Non si può discutere il potere della Camera di fare un’inchiesta, altrimenti la potestà legislativa sarebbe diminuita nel suo valore, in quanto la Camera potrebbe esser posta nella condizione di dover legiferare senza piena conoscenza dei fatti. Si deve però tener presente che le inchieste possono essere di diversa natura. Ve ne sono alcune che hanno semplicemente lo scopo di informare il legislatore: ricorda, ad esempio, quella sul corso forzoso del 1866; la grande inchiesta doganale, fatta attraverso interrogatori per tutta Italia, nel 1874-76; la grande inchiesta agraria del 1881, ai cui atti si ricorre ancora come fonte di informazioni sulle condizioni dell’agricoltura italiana; l’inchiesta sui contadini del Mezzogiorno prima della guerra mondiale ed altre ancora. Non crede che per simili inchieste sia necessario un provvedimento legislativo speciale o che si possa mettere in dubbio la loro legalità. Ma vi è un altro tipo d’inchiesta, che ha stretta attinenza con la giustizia ed ha un carattere nettamente giudiziario; ad esempio quelle sulla Banca Romana, sul Palazzo di giustizia, sulle spese di guerra, sull’amministrazione delle città di Palermo e Napoli.

Questo premesso, si domanda se si deve porre nella presente sede la questione di come organizzare il potere di inchiesta con carattere giudiziario. Rileva che si è solennemente affermato che ogni cittadino non può essere portato se non dinanzi ai suoi giudici naturali: ora, se non saranno stabilite norme relative a questo potere d’inchiesta con carattere giudiziario, potrà una delle due Camere modificare questo diritto fondamentale del cittadino? Se non si determina con precisione questo potere nella sua attinenza con l’esercizio della giustizia, potranno sorgere dubbi del genere di quelli da lui prospettati.

UBERTI osserva che oltre ai due tipi di inchiesta di cui ha parlato l’onorevole Einaudi, ve ne è un terzo che può essere stabilito, appunto, con la proposta Mortati. In un regime essenzialmente democratico, in cui le minoranze possono porre determinati problemi che investano tutta la vita nazionale, crede che non si possa negar loro il potere di rivendicare, in condizioni determinate, anche se la maggioranza non consenta questo diritto d’inchiesta. Il carattere peculiare della richiesta dell’onorevole Mortati è questo, che anche le minoranze possano domandare che sia fatta una determinata inchiesta, ed egli crede che debba essere riconosciuto questo diritto alle minoranze, tanto più che nel caso in esame non si tratta di una minoranza qualsiasi, ma di una minoranza qualificata.

Osserva infine che, se si accettasse il criterio esposto dall’onorevole Di Giovanni, la Camera non avrebbe più la possibilità di determinare da sola il potere d’inchiesta, poiché questo dovrebbe essere attuato attraverso una legge con il concorso degli altri organi legislativi.

LA ROCCA osserva che le questioni sono due: una relativa al diritto di controllo e di inchiesta da attribuirsi alla Camera; l’altra relativa al diritto di una minoranza della Camera di provocare un’inchiesta, la cui utilità sia determinata dalle contingenze del momento.

Crede che la Costituzione non debba contenere norme troppo particolari, ma soltanto porre la base giuridica per l’attività futura degli organi legislativi competenti. Ora, nessuno può mettere in dubbio il diritto di inchiesta, poiché entra nell’orbita dei poteri dell’organo legislativo, che non può limitarsi all’approvazione delle leggi, ma deve poter esercitare un controllo politico su tutta la vita della Nazione. Quanto al modo di proceder in determinate indagini, lo si stabilirà volta per volta e crede che ciò debba rientrare nella sfera del regolamento.

TOSATO dichiara di essere decisamente favorevole alla proposta Mortati, la quale implica una questione di forma ed una di sostanza.

Quanto a quella di forma, rileva che si è manifestato un grave dissenso. Si afferma che la Costituzione deve essere breve e contenere soltanto affermazioni di principio; ma la concezione della brevità della Costituzione è, a suo avviso poco progressista, perché la Costituzione deve disciplinare tutti i problemi che hanno importanza costituzionale. Nello Stato moderno, il quale sta estendendo notevolmente la sua attività politica ed economica, il potere d’inchiesta assume grandissima importanza, e poiché l’esercizio di questo potere, non essendo esplicitamente considerato nella precedente Costituzione, ha dato luogo a gravi difficoltà, la Costituzione non può non occuparsene. Né si può rinviare questa materia al Regolamento, perché con il Regolamento non si può disciplinare il potere d’inchiesta della Camera rispetto ai terzi.

È stato detto dall’onorevole Praticolo che una legge potrà regolare il potere d’inchiesta fissato, in linea di massima, dalla Costituzione. Ma qui sorge il problema della sostanza; perché, col rinvio ad una legge si evita la questione, sollevata dall’onorevole Mortati, se convenga o meno attribuire alle minoranze il potere di ottenere una inchiesta su un determinato oggetto.

Non crede che abbia fondamento il timore che le minoranze potrebbero ostacolare i poteri della maggioranza, perché il potere d’inchiesta è un aspetto del potere di controllo che le minoranze esercitano anche nello svolgimento dell’attività legislativa. Questo potere di controllo è proprio delle minoranze, e non paralizza l’Attività del Governo, perché una cosa è controllare il Governo e altra governare. Come una minoranza qualsiasi può presentare interpellanze e mozioni a fini di controllo, così essa deve poter provocare anche un’inchiesta. Sotto questo aspetto gli sembra giustificata la richiesta dell’onorevole Mortati di inserire nella Costituzione il riconoscimento di questo diritto delle minoranze: è un aspetto nuovo e sostanziale di quello che deve essere la Costituzione, la quale deve garantire la maggioranza, ma riconoscere anche i diritti delle minoranze.

Ritiene che opportunamente l’onorevole Einaudi abbia distinto due tipi di inchiesta: vi sono inchieste che hanno solo scopo informativo, e queste non dànno luogo a difficoltà; ma ve ne seno altre, che possono determinare particolari rapporti di carattere giudiziario. A più forte ragione pertanto si deve riconoscere l’opportunità di ammettere questo potere delle minoranze: con l’estensione dell’attività dello Stato, il Parlamento è investito di questioni di Carattere economico e industriale; domani si parlerà di nazionalizzazioni; e la minoranza non può non avere il diritto di provocare un’inchiesta su determinate aziende statali. Crede perciò che si debbano regolare costituzionalmente i poteri delle Commissioni d’inchiesta, che esulano da quelli normali della Camera.

LACONI non è favorevole alla tesi prospettata dall’onorevole Lussu che la Costituzione debba essere breve, perché pensa che la democrazia italiana non è sufficientemente ricca di tradizioni. Ma non può concordare con l’onorevole Tosato, il quale ha mostrato di ritenere che una Costituzione dettagliata sia per ciò stesso una Costituzione progressista. La Costituzione deve essere breve solo per quanto possibile, aperta, elastica, e deve fare, più che al passato, riferimento al futuro.

Vi è una serie di questioni che potranno essere assorbite dalla futura discussione sui poteri della Camera; ma è necessario che si precisi il pensiero della Sottocommissione in ordine al potere di inchiesta della Camera, e che questo potere sia affermato nella Costituzione. Ritiene però che l’eventuale diritto di una minoranza a provocare un’inchiesta dovrebbe essere rimandato al Regolamento della Camera.

NOBILE, d’accordo con l’onorevole Tosato, osservando che le funzioni dello Stato si vanno sempre più estendendo, afferma che il principio del diritto di inchiesta deve essere sancito nella Costituzione. Trova anche opportuno che questo diritto sia riconosciuto ad una minoranza qualificata.

MORTATI, Relatore, non comprende come ad una proposta di carattere generale si possa opporre la necessità di una formulazione breve della Costituzione. Se una norma ha rilevanza costituzionale, deve trovare una corrispondente affermazione nella Costituzione. Di fronte ad una proposta si tratta di stabilire se essa risponda o non risponda ad esigenze politiche, e non le si può opporre la prevenzione della brevità della Costituzione.

MANNIRONI, agli argomenti esposti dall’onorevole Tosato, aggiunge che varie altre Costituzioni hanno sancito il principio del potere di inchiesta. A suo avviso, la Sottocommissione dovrebbe, a proposito della questione in esame, conformarsi a quanto è stato già deciso circa il diritto di autoconvocazione: se si è riconosciuto alle minoranze il diritto di provocare una riunione dell’Assemblea, non vede perché non si dovrebbe ammettere analogo diritto nei riguardi dell’inchiesta.

BOZZI, aderendo alle osservazioni degli onorevoli Mortati e Tosato, propone la seguente formula:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di una inchiesta parlamentare.

«La Commissione d’inchiesta svolge la sua attività procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

LUSSU nota il carattere rivoluzionario, nei confronti delle abitudini e tradizioni parlamentari, del principio per cui una minoranza potrebbe provocare delle inchieste anche contro il parere della maggioranza, ed osserva pure che un principio simile difficilmente potrebbe trovar posto nel Regolamento, in quanto capovolge il criterio democratico della vita parlamentare. Questo principio servirebbe non tanto a tutelare le minoranze, quanto a dar loro la possibilità di sabotare la maggioranza. Non si può temere che, ove sia sollevato uno scandalo, la maggioranza resti insensibile, e ciò per ovvie ragioni di carattere morale, e in realtà nei dibattiti parlamentari su inchieste sempre si sono manifestate l’imparzialità e la rettitudine sia della destra che della sinistra. Oggi, poi, una coscienza democratica presiede alla ricostruzione dello Stato. Viceversa, ove si facilitasse eccessivamente la possibilità per le minoranze di provocare inchieste, l’acredine delle posizioni di partito potrebbe spingerle a creare imbarazzi continui alla maggioranza e al Governo. La proposta Mortati richiama con preoccupazione alla memoria la disposizione della Dieta polacca per cui il voto di un solo membro poteva impedire l’approvazione di una legge; disposizione che determinò l’anarchia.

E un altro inconveniente potrebbe verificarsi. Quando la minoranza provocasse un’inchiesta, la determinazione dei poteri della Commissione sarebbe rimessa al Parlamento, e in questa sede la maggioranza potrebbe vendicarsi della minoranza, negando alla Commissione tutti i poteri di cui essa avrebbe bisogno per espletare il suo mandato.

Conclude dichiarando di non condividere l’eccessiva simpatia di alcuni colleghi per la Costituzione austriaca che, a suo avviso, può sedurre l’acume e la preparazione culturale di un tecnico del diritto, ma lascia assai scettici i politici che non vi trovano l’esplicita consacrazione di quei principî politici fondamentali che una Costituzione deve contenere.

AMBROSINI dissente dall’onorevole Lussu. A suo avviso una minoranza qualificata non potrà sabotare l’azione della maggioranza attraverso il potere d’inchiesta, che ha per scopo e si esplica in una azione di accertamento. Non si tratta di inficiare un principio di azione di Governo, ma di promuovere un accertamento di fatto, che può condurre ad una maggiore conoscenza dei fatti e ad un giudizio più sicuro sull’azione del Governo e sullo stesso orientamento politico dello Stato.

Crede che l’ordine del giorno Bozzi risponda allo scopo, senza contrastare con le esigenze di governo, e fa presente che, se si accettasse il punto di vista dell’onorevole Lussu, si dovrebbe senz’altro condannare il principio stesso della proporzionale, che mira esso pure alla protezione delle minoranze.

CAPPI, prendendo lo spunto dalle parole dell’onorevole Ambrosini, propone un’aggiunta alla formula dell’onorevole Bozzi, nel senso di stabilire che le Commissioni d’inchiesta debbano essere costituite con il sistema della rappresentanza proporzionale; altrimenti risulterebbe illusoria la facoltà concessa alle minoranze.

BULLONI rileva che gli argomenti dell’onorevole Ambrosini non eliminano la preoccupazione che col potere di inchiesta una minoranza possa svolgere un’attività sabotatrice od ostruzionistica nei confronti del Parlamento e del Governo, che è l’espressione della maggioranza.

Non va dimenticato che in definitiva esiste un giudice di seconda istanza, che è il popolo. Se la minoranza proporrà un’inchiesta fondata su motivi profondamente sentiti dal popolo, non sarà certo la maggioranza che vorrà impedire l’espletazione di un’indagine; ma, se dovesse avvertire che l’istanza nasconde fini obliqui, la maggioranza che rifiuterà l’esperimento dell’inchiesta sarà assistita e confortata dal popolo, il quale rileverà, attraverso il pubblico dibattito e la stampa, l’infondatezza della richiesta della minoranza.

Propone perciò di stabilire che la richiesta può partire da un terzo dei deputati, ma deve essere approvata dalla maggioranza.

PRESIDENTE obietta che una simile disposizione sarebbe incongruente, perché la semplice richiesta può essere fatta anche da un solo deputato.

LAGONI chiede che il primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Bozzi sia votato per divisione, perché sull’inciso «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri» può esservi dissenso.

PRESIDENTE, accedendo alla richiesta, pone ai voti la formula: «La Camera può disporre l’esecuzione di un’inchiesta parlamentare».

LUSSU e DI GIOVANNI dichiarano che voteranno contro, pur riconoscendo il diritto della Camera di provocare inchieste, unicamente perché ritengono che la Costituzione non sia sede opportuna per una norma del genere.

(È approvata).

TOSATO prospetta l’opportunità di specificare anche l’oggetto dell’inchiesta.

FABBRI concorda. A suo avviso il potere andrebbe limitato alle inchieste sulle amministrazioni statali e parastatali, escludendo gli affari privati.

BOZZI ritiene che non dovrebbero esservi limiti al potere d’inchiesta e propone la formula: «su materie di pubblico interesse».

PRESIDENTE pone ai voti la formula: «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri».

(È approvata).

Pone ai voti l’insieme del primo comma che, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Bozzi, risulta così concepito:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di un’inchiesta su materie di pubblico interesse».

(È approvato).

Pone in discussione il secondo comma dell’articolo:

«La Commissione d’inchiesta svolge da sua attività, procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

CAPPI ricorda il suo emendamento che potrebbe concretarsi nell’aggiunta alle parole: «La Commissione d’inchiesta», delle altre: «che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera».

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma che, con l’emendamento Cappi, risulta così formulato:

«La Commissione d’inchiesta, che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera, svolge la sua attività, ecc…».

(È approvato).

Avverte che si dovrebbe ora prendere in esame la sua proposta di una Giunta permanente, concretata nei seguenti termini:

«Elegge, ogni anno, all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente, presieduta dal Presidente della Camera, composta di trenta deputati, con il mandato di procedere, nella vacanza del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame e all’approvazione in via di urgenza di progetti di legge del Governo».

FABBRI ricorda che la Sottocommissione ha già esclusa la funzione legislativa di una delegazione di una Camera sciolta, limitando la questione alla opportunità o meno di mantenere in funzione un organo per l’insediamento della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che la Giunta da lui proposta potrebbe avere il suo utile funzionamento, non solo dopo lo scioglimento della Camera, ma anche nella sua vacanza per sospensione dei lavori o per aggiornamento.

ZUCCARINI è contrario alla creazione di una Giunta permanente, cui sarebbero affidati dei compiti che devono invece essere assolti esclusivamente dall’Assemblea.

Oggi ci si è abituati all’idea che il Governo fa le leggi, le approva e le rende esecutive, ma tutto questo non deve più verificarsi in avvenire: non deve esserci una legge che non sia approvata dalla Camera. Il potere esecutivo deve essere il mandatario del potere legislativo. Pertanto, quell’abitudine non può trovare riconoscimento, sia pur limitato, nella Costituzione, perché ciò farebbe rinunciare la Camera alla sua funzione essenziale.

PRESIDENTE fa presente che un solo concetto ispira l’articolo: l’urgenza. Crede che il sistema sia accettabile per evitare il male dei decreti-legge, senza mettere il Governo in condizioni di non poter funzionare in determinati momenti.

MORTATI, Relatore, osserva che l’articolo, come è formulato, conduce necessariamente all’esame del principio della ammissibilità della decretazione di urgenza.

Quanto al merito si associa all’onorevole Zuccarini. Che il Governo sia costretto in casi eccezionali e straordinarissimi a prendere un provvedimento all’infuori delle Camere, è una eventualità ammissibile e il quesito che si deve porre è se sia il caso di legalizzare questa eventualità.

Intanto bisognerebbe considerare se la vacanza della Camera sia dovuta a scioglimento o ad aggiornamento. Nell’ipotesi dell’aggiornamento, ritiene che a parte i decreti-catenaccio, per i quali neanche la Giunta potrebbe servire, tutti gli altri casi possono essere affrontati e risolti (nell’epoca degli aeroplani, del telegrafo e dei treni lampo) in regime di Parlamento, attraverso una convocazione straordinaria.

Rileva che di tutti i decreti-legge che la storia parlamentare ricorda, solo una percentuale minima è giustificata dall’urgenza; in tutti gli altri casi questa è un pretesto che il Governo, e per esso la burocrazia, usa per decretare a sua volontà. Contro questo cattivo uso del potere esecutivo bisogna reagire, vietando al Governo l’emissione autonoma di qualsiasi provvedimento di urgenza. Se il Governo non potesse fare assolutamente a meno di prendere un provvedimento del genere, lo farà sotto la sua responsabilità e potrà ottenere come si dice in Inghilterra un bill d’indennità. Ma egli teme che, accogliendo la proposta dell’onorevole Conti, si corra il pericolo di estromettere il Parlamento proprio dalla sua funzione caratteristica che è quella di legiferare.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione debba prima deliberare sul principio se ammettere o no la decretazione di urgenza.

BOZZI esprime il parere che, in linea di massima, dovrebbe essere vietata al Governo questa facoltà, che è stata una delle piaghe del nostro Paese e che in periodo di Camera aperta è assolutamente inammissibile. L’onorevole Conti propone in sostanza un temperamento, per il quale, a Camera chiusa, anziché convocare l’Assemblea plenaria, si riunirebbe una Giunta permanente; ma egli non può accedervi. Potrebbe ammettere questa Commissione come organo di preparazione, di studio, di indagine, ma non come organo deliberativo, perché la deliberazione deve rimanere funzione della Camera. Al massimo si potrebbe consentire un’eccezione per i decreti-catenaccio.

EINAUDI dichiara che non da oggi soltanto egli è per il divieto assoluto della decretazione d’urgenza e, senza alcuna eccezione, neanche per i decreti-catenaccio, dei quali nega qualunque giustificazione. Se nel campo fiscale-tributario si temono possibili inconvenienti, spetterà all’amministrazione di ricorrere agli opportuni accorgimenti per evitarli.

FABBRI richiama l’attenzione sul caso delle imposte di fabbricazione, per le cui variazioni di tariffa il decreto-catenaccio potrebbe essere giustificato dallo scopo di impedire facili frodi.

EINAUDI ripete che all’Amministrazione finanziaria non manca il modo di evitare queste frodi, ricorrendo, ad esempio, alle risultanze delle giacenze e a quelle dei registri di carico, e scarico e delle lavorazioni, ormai obbligatori in tutte le fabbriche soggette a controllo fiscale.

NOBILE è pure contrario ad ogni decretazione di urgenza, perché è sempre possibile convocare tempestivamente il Parlamento, data la odierna rapidità dei mezzi di comunicazione.

PATRICOLO chiede ai vecchi parlamentari, che fanno parte della Commissione, se non credono che vi siano casi di vera ed assoluta urgenza nei quali occorre legiferare senza avere il tempo di riunire l’Assemblea. Trova convincenti le argomentazioni degli onorevoli Zuccarini e Mortati, ma non crede che la Giunta proposta dall’onorevole Conti debba essere svalutata. Certo, si deve rispettare il principio che il potere esecutivo non abbia la facoltà di emettere decreti; ma il principio stesso non può considerarsi violato se il potere legislativo delega ad una sua, sia pur modesta, rappresentanza di intervenire eccezionalmente con provvedimenti di urgenza per fronteggiare le conseguenze di avvenimenti impreveduti (come ad esempio terremoti od altre calamità) o provvedere a necessità impellenti di politica tributaria.

LUSSU non nasconde la sua perplessità di fronte alla importanza del problema. Antico assertore della assoluta ed esclusiva prerogativa del Parlamento nel campo della legislazione, crede di dover rettificare alquanto questo suo modo di vedere, in seguito alla sua recente esperienza di Governo. All’onorevole Einaudi, che si è richiamato a principî di liberalismo puro, osserva che la vita moderna ha esigenze democratiche più che liberali: essa è così piena di problemi urgenti che non si può negare che vi sono casi in cui il Governo è obbligato ad intervenire immediatamente. Vero che la Camera potrà essere convocata in breve termine, e ciò potrà avvenire per questioni importanti; ma vi sono infiniti piccoli problemi per i quali non si può convocare il Parlamento e che d’altra parte richiedono immediatezza di decisione, se non si vuole intralciare l’opera del Governo.

È quindi perplesso e ritiene che il principio rigido dell’ostilità alla decretazione d’urgenza dovrebbe essere attenuato. D’altronde gli sembra che la proposta dell’onorevole Conti di creare una Giunta, in cui siano rappresentate le varie correnti politiche, costituisca una garanzia. Delegherebbe quindi a questa Giunta la facoltà di decidere se il provvedimento è veramente urgente.

UBERTI osserva che, nella complessità dei problemi che possono presentarsi, ve ne sono molti che hanno un carattere locale e quindi potranno rientrare nella competenza delle Assemblee regionali: di fronte a questa osservazione spera che la perplessità dell’onorevole Lussu sarà superata. Inoltre fa presente che un atteggiamento spirituale diverso deve ormai improntare la vita politica del Paese. Certo si governa più facilmente e più rapidamente senza l’approvazione della Assemblea, in cui possono sorgere ostacoli od opposizioni; ma è proprio in questo che si rivela e si afferma la vita democratica: in materia di leggi il Governo non deve agire senza il preventivo consenso dell’Assemblea legislativa. Contesta che non si possa governare senza ricorrere alla decretazione d’urgenza, e ricorda che in passato vi sono state leggi che, presentateci Parlamento con carattere d’urgenza, sono state nella stessa seduta approvate, con una relazione orale, dalla Camera e talvolta anche dal Senato nella giornata medesima. Quindi si può e si deve mutare il sistema. Ricorda che dal 1921 si cominciò a legiferare per decreto-legge, malgrado una vera insurrezione contro questo sistema, e così, con l’andare del tempo, ci si è talmente abituati ad esso che sembra quasi impossibile governare senza farvi ricorso. Ma è appunto questo il sistema che deve essere capovolto: deve essere negata al Governo la facoltà di decretare d’urgenza ed il Governo, come ha osservato l’onorevole Einaudi, ha il modo per trarsi d’impaccio anche nei casi più complicati e difficili senza ledere questo principio, che deve rimanere integro ed assoluto.

RAVAGNAN confessa che la rigida formulazione di questo principio è seducente, ma le osservazioni dell’onorevole Lussu fanno pensare che la questione debba essere ricondotta nei suoi termini pratici. Occorre preoccuparsi del come provvedere a legiferare in caso di riconosciuta urgenza nel periodo di sospensione dei lavori parlamentari. Pertanto bisogna o abolire le vacanze del Parlamento o ridurle al minimo, o creare un organismo che provveda alla continuità dell’attività legislativa.

MORTATI, Relatore, non nega il fondamento delle riserve che l’esperienza di Governo ha suggerito all’onorevole Lussu, ma desidererebbe sapere da lui se tutti i provvedimenti portati alle riunioni del Consiglio dei Ministri quando egli ne faceva parte rivestissero un effettivo carattere di urgenza o non fossero gabellati per tali dai direttori generali che li improvvisavano all’ultimo momento, concorrendo a formare quella legislazione tumultuaria, caotica e contraddittoria di cui tutti i cittadini sono vittime.

Nel caso di pubblica calamità, per cui anche il termine più breve per la convocazione dell’Assemblea potrebbe riuscire di danno, il Governo, sotto l’incalzare della necessità, potrà ricorrere a provvedimenti che, a stretto rigore, dovrebbero ritenersi illegittimi, ma che avranno applicazione di fatto almeno fino a quando un giudice non ne riconoscerà l’illegittimità. È questo l’espediente dotato in Inghilterra, dove il Governo chiede, caso per caso, al Parlamento di essere esonerato da ogni responsabilità col cosiddetto bill d’indennità. Non è poi da escludersi che in sede di Costituzione o di regolamento si possano imporre termini ristretti per la trasmissione di progetti urgenti e per abbreviare la procedura parlamentare di approvazione delle leggi.

Insiste pertanto nella proposta di abolire la decretazione di urgenza. Per i decreti-catenaccio confessa di rimanere alquanto perplesso, ma si arrende alla competenza dell’onorevole Einaudi circa gli accorgimenti ai quali la pubblica amministrazione potrebbe ricorrere per ovviare alle dannose conseguenze che deriverebbero da ritardi e dalla pubblicità nell’emanazione dei provvedimenti.

TOSATO è anch’egli contrario alla decretazione d’urgenza per ragioni teoriche generali e per ragioni di carattere particolare. Ricorda che è nella teoria controverso se l’istituto dell’urgenza sia fonte di diritto: alcuni lo negano in ogni caso, altri quando manchi il riconoscimento del carattere di urgenza nel provvedimento. Anche se la facoltà della decretazione di urgenza viene limitata, la questione non è risolta; onde crede più opportuno o andare incontro alla pratica invalsa, o stabilire esplicitamente che l’istituto della decretazione di urgenza è escluso.

È contrario, anche per ragioni di carattere pratico, alla nomina della Giunta permanente proposta dall’onorevole Conti. Infatti, o essa è investita di poteri legislativi, ed allora l’attività legislativa sarà concentrata nel periodo di sospensione dei lavori dell’Assemblea e diventerà assorbente; o si conferisce a questa Giunta soltanto il potere di stabilire se il provvedimento rivesta o no carattere di urgenza, ed allora dalla maggioranza della Giunta il Governo otterrà sempre l’autorizzazione ad emanare il provvedimento e la minoranza non conseguirà altro risultato che di intralciare e ritardare l’emanazione del provvedimento stesso.

Ammette piuttosto che si possa escogitare una procedura abbreviata per i casi di vera urgenza.

Quanto ai decreti-catenaccio, ritiene che la questione sia piuttosto delicata e connessa con un problema di carattere più generale: quello dei rapporti fra Cantera e Governo rispetto alle funzioni dell’Amministrazione finanziaria, sì che sarà bene esaminarla in una fase successiva.

NOBILE ripete che nessun provvedimento avrà mai tale urgenza che non si possano aspettare nemmeno tre giorni, quanti oggi ne potranno occorrere per una decisione, anche se il Parlamento dovesse essere appositamente convocato. Concorda con i colleghi che sostengono doversi porre fine una buona volta all’uso dei decreti-legge, e assicura che ne conosce centinaia che si sono dimostrati del tutto inapplicabili, perché occasionati da esigenze transitorie o dovuti magari al capriccio di qualche direttore generale di Ministero.

PATRICOLO richiama l’attenzione sopra un altro aspetto della complessa questione. La gravissima situazione economica, che purtroppo esiste oggi nel Paese, potrebbe da un momento all’altro provocare sommosse popolari o comunque determinare uno stato di irrequietezza tale da consigliare il ricorso alla proclamazione del così detto stato di emergenza o di una legge marziale. Orbene, egli ritiene che non si dovrebbe lasciare al potere esecutivo la facoltà di compiere atti di tale gravità e, se non si potesse riunire l’Assemblea al completo, si dovrebbe almeno mettere a fianco del Governo un gruppo di parlamentari che rappresentassero il potere legislativo.

FABBRI non condivide l’ottimismo dell’onorevole Einaudi sulla facile eliminazione degli inconvenienti che abolita la decretazione di urgenza si possono determinare in materia fiscale. La sua preoccupazione riguarda particolarmente i dazi di importazione e soprattutto le imposte di fabbricazione, perché ritiene che il fermo sui magazzini sarebbe arbitrario e scarsamente efficace. Viceversa crede che il decreto-catenaccio, che ormai ha un riconoscimento nella prassi e una dottrina che lo giustifica, sia l’unico modo per impedire speculazioni e illeciti arricchimenti. Pertanto, alla norma relativa al divieto della decretazione di urgenza, aggiungerebbe un’eccezione per i decreti fiscali.

All’onorevole Patricolo fa osservare che la proclamazione dello stato di emergenza o della legge marziale rientra in un altro campo delle funzioni del potere esecutivo e deve avere una sua propria regolamentazione.

Per queste ragioni è assolutamente contrario ad una semplice limitazione di carattere generico, magari in forma indiretta, mediante la costituzione di una Giunta, anche perché potrebbe avvenire che qualche direttore generale, pur avendo in animo un provvedimento da due o tre mesi, lo presentasse, qualificandolo urgente, a Camera chiusa per evitare il fastidio della critica e della censura.

CODACC1 PISANELLI esprime il parere che il problema della legislazione di urgenza si ripresenterà sempre, anche se si cercherà di escludere tale competenza del potere esecutivo. È stato ricordato che anche in Inghilterra di fronte alle reali necessità si è trovato modo di sanare l’illegittimità di questi atti del potere esecutivo mediante il così detto bill d’indennità. In Italia se ne è discusso a lungo fin dai tempi dello Statuto Albertino, ricercando il fondamento di questo potere, di cui in ultima analisi il Governo si è sempre servito, e si arrivati alla ben nota legge del 1926 che ha avuto anche una certa elaborazione scientifica. Ritiene quindi che occorra essere aderenti alla realtà e disciplinare la materia, perché altrimenti il problema risorgerebbe.

Si è accennato al timore di arbitri da parte di direttori generali, ma tutto dipenderà dalla disciplina che sarà data alla decretazione di urgenza. Se, per esempio, si riconoscesse al Governo, in caso di necessità o di urgenza, la facoltà di emanare provvedimenti legislativi speciali salvo a presentarli entro un brevissimo tempo (pena la decadenza) alle Assemblee legislative, l’arbitrio diverrebbe difficile: infatti, un sindacato ci sarebbe e di natura ancora più grave, perché ove il decreto non fosse approvato sorgerebbe una questione di responsabilità politica.

Giova infine tener presente che l’istituzione della Suprema Corte costituzionale, per il controllo sulla costituzionalità della legge, assicurerebbe un’ulteriore garanzia. Se l’Italia esce da un periodo in cui la Costituzione non è stata rispettata, non si deve pensare che in avvenire ciò si ripeterà, anche perché le garanzie saranno molto maggiori.

MANNIRONI osserva che la discussione sulla decretazione di urgenza risolleva la questione della continuità dell’istituto parlamentare. È d’accordo, in linea di massima, che la decretazione di urgenza non debba essere ammessa; ma si preoccupa della realtà di fatto a cui accennava l’onorevole Codacci Pisanelli e pensa che, alla stessa maniera che non si può concepire una nazione senza governo o in vacanza di governo, non si può neppure concepire un governo senza l’istituto parlamentare o qualche cosa che lo rappresenti durante la sospensione dei lavori parlamentari o l’intervallo tra due legislature.

È d’accordo con la proposta Conti per l’istituzione di una Giunta permanente che, a suo avviso, dovrebbe avere i particolari compiti di assicurare la salvaguardia delle prerogative del Parlamento rispetto all’azione del Gabinetto e di controllare l’azione del Gabinetto stesso nei periodi in cui il Parlamento non è in grado di funzionare. Rileva che l’istituto trova il suo riscontro in altre costituzioni. Per esempio, quella di Weimar prevedeva due diverse Commissioni: una per gli affari esteri ed un’altra per il controllo legislativo del Gabinetto; qualche cosa di analogo è previsto anche nell’ultima Costituzione francese.

Trova eccessiva la preoccupazione di forma di coloro che sostengono che una Camera che ha cessato di esistere per fine della legislatura o per scioglimento non dovrebbe avere più alcun diritto di sopravvivenza, e conclude che, se al Governo in determinati casi urgentissimi sarà data la possibilità costituzionale e giuridica di emanare qualche provvedimento, converrà non lasciarlo del tutto solo, e consentirgli di appoggiarsi a un organo che rappresenti il Parlamento.

PERASSI premette che è sempre stato nemico dei decreti-legge e che perciò incontra le sue simpatie la posizione rigida che esclude la possibilità per il Governo di emanare norme giuridiche senza l’ausilio del Parlamento. Non disconosce però che nella realtà si possono incontrare difficoltà di ordine pratico per cui non si può essere fondamentalmente avversi al sistema previsto dall’onorevole Conti.

Circa i decreti-catenaccio non sarebbe esatto il riferimento ai prezzi dei generi di monopolio, perché ormai la legislazione ha attribuito al Ministro delle finanze la facoltà di fissarli. Resta invece la materia delle imposte di fabbricazione, per cui potrebbe forse ammettersi una eccezione.

PRESIDENTE invita i Commissari ad esprimere il loro parere unicamente sulla questione pregiudiziale se, cioè, debba ammettersi o no una decretazione di urgenza.

LUSSU si pronuncia contro l’ammissione di qualsiasi legislazione di eccezione che non abbia almeno il correttivo della Giunta.

FABBRI insiste sulla possibilità di limitare la decretazione di urgenza alla materia fiscale e in particolare alle imposte di fabbricazione.

ZUCCARINI non ammette alcuna delega al potere esecutivo ed è contrario all’istituzione di una Giunta permanente che operi in caso di aggiornamento della Camera. A suo avviso, la Camera deve essere sempre in condizioni di legiferare.

PRESIDENTE chiarisce che la Giunta dovrebbe in primo luogo valutare il carattere di urgenza del provvedimento (perché, se riconoscesse che non sussiste, sarebbe autorizzata a respingere la pretesa governativa); in secondo luogo, una volta riconosciuta l’urgenza, dovrebbe partecipare all’opera legislativa assunta dal Governo.

LACONI propone di non votare sulla questione di principio, che è fuori causa, ma sulla proposta Conti. Non crede che si menomi in alcun modo la sovranità della Camera quando le si riconosca la facoltà di delegare i suoi poteri ad una parte dei suoi membri.

MORTATI, Relatore, obietta che la delegazione di poteri in una costituzione rigida deve essere oggetto di espressa autorizzazione costituzionale.

BULLONI sostiene che il potere legislativo spetta esclusivamente alla Camera e non deve subire eccezioni nemmeno nelle materie fiscali, per le quali si potrà ricorrere alle misure amministrative accennate dall’onorevole Einaudi.

Propone la seguente formula:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

PRESIDENTE fa presente che una simile affermazione non esclude la possibilità dell’istituzione della Giunta permanente.

PERASSI aggiunge che, con questa formulazione, si potrebbe procedere alla costituzione della Giunta con una legge apposita.

FABBRI suggerisce una nuova dizione:

«Solo per l’istituzione o la variazione di imposte di fabbricazione e atti fiscali è nella facoltà del potere esecutivo di emettere decreti aventi forza di legge».

MANNIRONI propone la seguente formulazione:

«Al principio di ogni legislatura la Camera nomina una Commissione permanente di trenta deputati con la rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi. Tale Commissione nella vacanza del Parlamento e congiuntamente con analoga Commissione nominata dalla seconda Camera, controllerà l’opera del Gabinetto, decidendo se ricorrono ragioni di urgenza per la emanazione di provvedimenti legislativi di carattere eccezionale».

Chiarisce che questa sua proposta dovrebbe in ogni caso essere messa ai voti dopo approvata la formulazione proposta dall’onorevole Bulloni sul divieto generico.

TOSATO propone di mettere in votazione prima l’ordine del giorno Bulloni per passare poi alle eccezioni.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Bulloni:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

(É approvata all’unanimità).

Avverte che all’articolo da lui proposto sono state apportate talune modificazioni, ond’esso risulta così formulato:

«La Camera elegge ogni anno all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente presieduta dal Presidente della Camera, composta da trenta deputati, con il mandato di procedere nell’aggiornamento del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame ed all’approvazione in caso di urgenza di progetti di legge del Governo».

LUSSU propone che invece di «all’inizio della sessione di primavera», si dica: «all’inizio dei suoi lavori».

FABBRI domanda se con tale disposizione i decreti-catenaccio restino esclusi. Non vuol dire cosa men che deferente verso il Parlamento, ma fa presente che quando un provvedimento che si intende emanare è a conoscenza di trenta persone, potranno verificarsi complicazioni che ben si possono immaginare. Ritiene che i decreti-catenaccio debbano rimanere tali.

UBERTI ammette che, da un certo punto di vista, questa Giunta potrebbe rappresentare una tutela del diritto parlamentare; ma poiché ritiene che si debba rovesciare un costume invalso da decenni, voterà contro la nomina di questa Giunta per affermare integralmente il diritto del Parlamento.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo da lui proposto nella formulazione definitiva di cui ha appena dato lettura.

(Non è approvato).

Avverte che, in conseguenza, resta implicitamente respinta anche la formulazione Mannironi.

La seduta termina alle 11.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Terracini.

Assenti: Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni.

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – La Rocca – Nobile – Bulloni – Ravagnan – Di Giovanni – Conti, Relatore – Calamandrei – Leone – Mortati, Relatore – Targetti – Fabbri – Lussu – Laconi – Tosato – Patricolo – Ambrosini – Mannironi – Codacci Pisanelli – Perassi – Zuccarini – Uberti – Rossi Paolo.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mortati ha proposto un articolo così concepito: «I deputati ricevono un’indennità che sarà fissata dalla legge». Si tratta di decidere se l’argomento possa essere contemplato nella Costituzione, e in caso affermativo, con quale formula. Personalmente ritiene opportuna l’affermazione, che si trova in altre Costituzioni, come quella francese, del principio dell’indennità parlamentare, a cui si attribuisce un particolare significato.

LA ROCCA ritiene indispensabile fissare questo principio, del tutto aderente alle necessità della carica di deputato. Osserva che per lungo tempo i rappresentanti delle correnti popolari sono stati praticamente esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica, che era in tal modo riservata a coloro che potevano trarne profitto o a coloro che erano largamente provvisti di beni di fortuna. Oggi non può esservi dubbio sull’assoluta necessità di porre coloro che difendono gli interessi del popolo nella condizione di potere, senza preoccupazioni di ordine materiale, assolvere al loro compito con dignità, con fierezza, con indipendenza, con serenità.

NOBILE ritiene che tale indennità dovrebbe essere considerata come un rimborso di spese.

BULLONI suggerisce, per la fissazione dell’indennità, un criterio analogo a quello adottato dalla Costituzione francese, che fa riferimento al trattamento di determinate categorie.

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Bulloni. Ritiene che nella Costituzione non solo debba essere affermato il principio della indennità, ma debba anche esser detto perché i deputati vi hanno diritto. Se ben ricorda, la Costituzione francese dice: «per assicurare la loro indipendenza e la loro dignità».

DI GIOVANNI riconosce che corrisponde al principio democratico assicurare un’indennità a coloro che esplicano la loro opera a vantaggio della collettività; ma preferirebbe che tale norma fosse rimandata al regolamento interno, non sembrandogli la cosa di tale importanza da dover trovar posto nella Costituzione.

Comunque, se la Sottocommissione propende ad affermare questo principio nella Costituzione rimandando, come del resto fa il progetto della Costituzione francese, ad una legge speciale la determinazione di questa indennità, non intende fare alcuna opposizione.

CONTI, Relatore, propone che la disposizione relativa all’indennità sia inserita nel suo progetto, dove si dice che «La Camera delibera il proprio Regolamento, provvede alla propria amministrazione, disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato, aggiungendovi: «anche per l’indennità per i deputati».

CALAMANDREI si domanda se non sia il caso di stabilire il criterio che l’indennità debba essere data in quanto la condizione economica dei deputati la renda necessaria, e ciò soprattutto considerando il ragguardevole numero di avvocati che fanno parte di tutti i Parlamenti del mondo. Risulta dai rilievi fatti altra volta dall’onorevole Nobile che all’Assemblea Costituente ve ne sono 157. Ciò dipende certamente dal fatto che essi, come giuristi, hanno attitudine a ragionare sulle leggi e sono quindi i più idonei a far parte del corpo legiferante; ma non bisogna dimenticare che in passato si riteneva che per un avvocato diventare deputato fosse un modo per aumentare il prestigio professionale, la clientela e quindi i guadagni. Si domanda allora se sia giusto dare a costoro anche il vantaggio dell’indennità parlamentare, o se invece non si debba inibire agli avvocati-deputati l’esercizio dell’attività professionale durante il tempo in cui fanno parte del Parlamento.

DI GIOVANNI è di parere opposto a quello dell’onorevole Calamandrei. Anzitutto nega che la funzione di deputato faciliti lo sviluppo della professione, avendo egli invece constatato che le cariche di natura politica fanno esulare gli affari dallo studio dell’avvocato, perché questi non può attendere con il fervore necessario contemporaneamente alla funzione di deputato e alle necessità della clientela.

D’altra parte ritiene che non sia possibile discriminare le condizioni economiche degli avvocati investiti del mandato parlamentare e stabilire se i deputati-avvocati possono provvedere con dignità ai bisogni della propria vita con mezzi propri, facendo a meno dell’indennità parlamentare. A suo avviso, o si afferma il principio che il deputato deve avere l’indennità, e allora non si possono fare eccezioni per gli avvocati; o si stabilisce che si può fare a meno dell’indennità, e tale decisione deve valere per tutti. Sarebbe poi enorme impedire l’esercizio professionale agli avvocati per la durata del mandato parlamentare; ciò che, assai probabilmente, terrebbe lontani dalla Camera gli uomini che per la loro preparazione potrebbero dare il più utile contributo all’elaborazione delle leggi.

CONTI, Relatore, si associa all’onorevole Calamandrei, ricordando di aver fatto le stesse considerazioni in seno al Consiglio di Presidenza, che deliberò l’assegnazione dell’indennità. Il suo pensiero ricorre ai tristi periodi del parlamentarismo, quando gli avvocati-deputati speculavano, per così dire, sulla medaglietta. È un fatto storico ed innegabile questo, che dovrebbe indurre ad opportune meditazioni.

Dubita che possa giovare a rimuovere l’inconveniente lo stabilire che gli avvocati, durante l’esercizio del mandato parlamentare, debbano astenersi dall’attività professionale. Ad ogni modo riconosce l’opportunità della discussione su questo problema.

CALAMANDREI rileva essere significativa la circostanza che il problema sia stato sollevato in questa sede da due avvocati.

LEONE GIOVANNI dissente dagli onorevoli Calamandrei e Conti, in particolar modo perché essi partono da una situazione del passato, che era manifestazione della decadenza del Parlamento. Ora, invece, si tratta di fondare una Costituzione su nuove basi e con visione più ottimistica, in considerazione del fatto che la parte più scadente della vita parlamentare è già molto lontana dallo spirito degli italiani. Né può trascurarsi l’osservazione che le speculazioni fatte in altri tempi da parte di alcuni avvocati si fondavano sul rapporto di subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo. Le norme che la nuova Costituzione conterrà sulla disciplina del potere giudiziario assicureranno invece alla magistratura il massimo dell’indipendenza, onde non sarà più possibile speculare sull’influenza che l’avvocato-deputato potrebbe esercitare sull’autorità giudiziaria.

Pensa, infine, che non si possa limitare l’indagine all’attività professionale degli avvocati; ma si debba piuttosto esaminare il problema della posizione del deputato in rapporto agli impieghi e agli incarichi di qualsiasi genere (ad esempio, quello di curatore fallimentare) che potrebbero essergli affidati e stabilire pertanto che nel periodo in cui si è investiti della carica di deputato non si possano accettare incarichi di qualsiasi genere e in qualsiasi modo retribuiti.

MORTATI, Relatore, condivide il pensiero di altri colleghi circa l’opportunità che in qualche modo risulti dalla Costituzione il rapporto che esiste fra la concessione dell’indennità e il dovere del deputato di dedicare la maggiore e migliore parte della propria attività all’esercizio del mandato parlamentare. Suggerisce perciò di statuire una specie di incompatibilità fra l’attività professionale e quella parlamentare, aggiungendo una sanzione a cui andrebbero incontro i deputati in caso di inadempienza. Propone la seguente formula: «In considerazione del fatto che il deputato è tenuto a dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare».

TARGETTI è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, anche per quei precedenti che l’onorevole Conti ha richiamato. Ricorda a tale proposito che in passato i deputati dell’estrema sinistra, per questa ragione, venivano a trovarsi in condizioni diverse da quelle dei deputati di centro e di destra, ed aggiunge che nel periodo pre-fascista il tipo dell’avvocato che si serviva della carica a scopo professionale in realtà esisteva. Ritiene egli pure che il problema vada risolto in modo da mettere tutti i deputati (e non solo gli avvocati, ma anche i medici, gli ingegneri, in genere i professionisti) nella condizione di dedicare esclusivamente la propria attività alla funzione parlamentare. Non crede fondata la preoccupazione che in questo modo si allontanerebbero dal Parlamento molti professionisti: salvo qualche caso isolato, non è avvenuto, ad esempio, che un deputato-avvocato abbia rifiutato la carica di Sottosegretario di Stato, pur essendo evidente che, quando si copre tale carica, non è possibile attendere all’esercizio professionale.

L’affermazione del principio dell’indennità s’inquadra in una concezione nuova della funzione del deputato, il quale, entro certi limiti, deve sforzarsi di penetrare in fondo a tutte le questioni e non ha più tempo quindi per esercitare la professione. Pertanto ritiene egli pure che nella disposizione relativa all’indennità parlamentare debba essere affermato in modo esplicito che la funzione del deputato richiede l’assorbimento quasi totale della sua attività.

FABBRI, per ragioni materiali e morali, è contrario a qualunque discriminazione e ritiene inammissibile che vi siano deputati retribuiti e deputati onorari. Non crede neppure che sia il caso di stabilire delle incompatibilità specifiche per legge, perché la materia è estremamente difficile a codificarsi. A suo avviso, è cosa che deve restare affidata specialmente alla sensibilità dell’individuo, al costume politico e alla censura dei colleghi e del corpo elettorale. È favorevole all’indennità perché crede che corrisponda ad un elementare principio di democrazia. Per altro, più che di «indennità», preferirebbe si parlasse di «assegno».

Come formulazione proporrebbe di dire che è concessa l’indennità parlamentare al deputato per garantirne in ogni caso l’indipendenza economica («in ogni caso» vuol dire che, se è ricco, non vi è bisogno dell’assegno, se è povero ve n’è bisogno) e la prestazione della sua attività diretta alla doverosa e migliore esecuzione del mandato.

LUSSU, avendo esercitato la professione di avvocato fino a ventidue anni fa, quando venne cancellato dall’albo come antifascista, si trova in condizioni di pura serenità. Riconosce che il criterio dell’indennità parlamentare è acquisito in ogni democrazia, e non è possibile sopprimerlo; ma non ritiene che l’affermazione di questo principio debba trovar posto nella Costituzione. I democratici italiani dovrebbero abituarsi a vivere non solo sulla traccia della Costituzione scritta, ma sulla tradizione che si crea a mano a mano che un istituto si viene formando, come è avvenuto in altri Paesi. Ma, se la Sottocommissione ritenesse di dover fare questa affermazione, egli vorrebbe fosse stabilito che l’indennità è concessa per assicurare al deputato la sua indipendenza durante l’esercizio del mandato, e sarebbe contrario ad ogni eccezione relativa agli avvocati. Si rende conto del criterio morale che ha spinto gli onorevoli Calamandrei e Conti a sostenere l’incompatibilità tra il mandato di deputato e la professione di avvocato e a richiedere la sospensione dell’esercizio professionale per il periodo in cui si ricopre la carica di deputato. Ritiene però che una norma di tal genere non possa trovar posto nella Carta costituzionale e neppure in una legge speciale, perché non è ammissibile si inibisca ad un avvocato di esercitare la sua professione quando è deputato, mentre vi sono parecchi deputati (e questo è un problema che si dovrebbe esaminare in separata sede) i quali guadagnano somme assai considerevoli ricoprendo cariche importanti in organismi industriali, bancari o commerciali, che talvolta possono avere interessi in contrasto con quelli dello Stato. Bisogna evitare il pericolo di formare una legislazione molto complicata e che scenda troppo nei dettagli.

LEONE GIOVANNI premette che sarebbe desiderabile essere nelle condizioni, accennate dall’onorevole Lussu, di formare una Costituzione che trovasse il suo fondamento in un complesso di tradizioni democratiche; ma purtroppo la democrazia non ha tradizioni nel nostro Paese e si è costretti a formulare principî che ancora debbono entrare nel costume. Per queste considerazioni è del parere che sia indispensabile stabilire la corresponsione di una indennità, facendo seguire alla norma una motivazione.

Per quanto riguarda l’incompatibilità con altri incarichi, ritiene che la questione debba essere rinviata.

Dichiara di preferire la formula proposta dall’onorevole Mortati, che stabilisce un limite di fatto, richiamando il deputato all’obbligo di dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare.

PRESIDENTE rileva che sono in discussione tre distinte questioni: se stabilire la corresponsione di una indennità; se farla seguire da una motivazione; se determinare eventuali esclusioni.

Personalmente approva i due primi criteri e, quanto al terzo, crede che sarebbe opportuno escogitare una formula che consentisse di accoglierla nella Costituzione. Se è vero che l’indennità è concessa al fine di permettere al deputato non abbiente di esplicare la sua attività senza eccessive preoccupazioni economiche, gli sembrerebbe giusto che coloro che hanno altri cespiti – appurabili immediatamente, perché non si possono fare lunghe indagini – dovessero rinunciarvi, mancando nei loro riguardi il motivo della concessione.

Sottopone ai colleghi la possibilità di congegnare la disposizione nel senso di dire che l’indennità non viene concessa ai deputati che non rinuncino espressamente alla loro attività professionale (comprendendo così, oltre agli avvocati, anche i medici, gli ingegneri, ecc.). Il deputato sarebbe quindi posto di fronte ad una alternativa e dovrebbe pronunciarsi, libero nella sua scelta e senza alcuna coazione. Infatti non si può non sentire un certo disagio all’idea che ci siano deputati che, pur avendo altri cespiti, percepiscano la modesta indennità loro assegnata, mentre altri debbano vivere sulla base di questa sola entrata, senza poter altrimenti sostenere il proprio bilancio familiare.

Pone in votazione la proposta che nella Costituzione sia stabilito il principio dell’indennità parlamentare.

(È approvata).

Pone ai voti la proposta di motivare la disposizione con cui viene determinata la concessione di una indennità, salvo a concretare la relativa formula.

(È approvata).

Quanto alla motivazione, ricorda i termini precisi delle due proposte fatte finora. La formula Fabbri suona così: «per garantire in ogni caso l’indipendenza economica e le prestazioni dell’attività alla doverosa, migliore esecuzione del mandato»; quella Mortati è del seguente tenore: «in relazione all’obbligò loro imposto di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare».

LUSSU propone la seguente formula: «una indennità che consenta l’indipendenza economica e l’esercizio del loro mandato con dignità».

PRESIDENTE osserva che nella formulazione dell’onorevole Mortati si accenna all’obbligo per i deputati di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare, ma evidentemente l’osservanza di detto obbligo è rimessa al loro senso di responsabilità senza che vi sia alcuna possibilità di controllo né, tanto meno, di sanzioni.

MORTATI, Relatore, rileva che non è possibile usare una formula più assoluta e stabilire che il deputato debba dedicare tutta la sua attività all’esercizio del mandato, perché ne deriverebbero conseguenze molto gravi: uno studioso, per esempio, non potrebbe scrivere un libro e percepire i relativi diritti di autore durante la legislatura.

D’altra parte vi sono attività che si prestano ad essere esercitate anche indirettamente.

Propone di integrare la disposizione in esame con un articolo nel quale si sanciscano i doveri del deputato e la conseguente decadenza del mandato in caso di cattivo adempimento, di assenze prolungate, ecc.

CONTI, Relatore, fa presente che una disposizione del genere potrà costituire materia di Regolamento.

DI GIOVANNI, aderendo al concetto esposto dal Presidente, eliminerebbe dalla formulazione Mortati le parole: «la maggior parte», in modo da dire soltanto: «dedicare la propria attività, ecc.».

BULLONI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Lussu, che si richiama a quella della Costituzione francese, ritenendo che la sola affermazione del principio sia di per sé sufficiente a moralizzare l’ambiente parlamentare. Affermare in una Carta costituzionale che viene concessa una indennità ai deputati per garantirne l’indipendenza e la dignità, significa richiamare tutti coloro che hanno cespiti al di fuori dell’attività parlamentare al dovere di uniformare la loro attività alla solennità di questo principio. A chi ha ricordato alcune degenerazioni di passati regimi parlamentari fa osservare che non si debbono dimenticare anche le nobilissime tradizioni del nostro vecchio Parlamento ed i frequenti casi di insigni avvocati, e professionisti in genere, che non solo non hanno sfruttato la medaglietta, ma hanno fatto sacrificio di altissime posizioni personali.

TOSATO propone la seguente formulazione: «I deputati hanno l’obbligo di esercitare il loro mandato. Al fine di permettere l’adempimento di tale obbligo, riceveranno una indennità nella misura stabilita dalla legge».

PATRICOLO, in merito alla proposta Fabbri, osserva che il concetto dell’indipendenza economica è troppo elastico e comporterebbe un aumento delle normali indennità parlamentari.

PRESIDENTE precisa che la misura della indennità deve esser posta in rapporto al sistema di vita. Quando la Costituzione, ovvero la legge speciale che regolerà la materia, assegnerà una somma corrispondente alla media del reddito mensile della maggioranza del popolo italiano, il principio sarà realizzato. Taluno dovrà forse diminuire il suo regime di vita domestica in relazione alla somma percepita, ma non si potrà dire che non gli si è assicurata l’indipendenza economica. Ricorda che il progetto francese parla di una indennità riferita allo stipendio di una data categoria di funzionari dello Stato, con il che già si stabilisce un termine di riferimento che eventualmente potrebbe essere tenuto presente.

Ritiene che, tra le altre, sia da preferire la formulazione dell’onorevole Fabbri, perché, almeno nella sua prima parte, riflette un po’ le opinioni espresse da tutti.

TAGDETTI non trova felice l’espressione «indipendenza economica»,

BULLONI sottopone all’esame della Commissione la seguente formula, ispirata a quella della Costituzione francese: «Al deputato verrà assegnata una indennità, riferita al trattamento di una categoria di funzionari, per garantirne l’indipendenza e la dignità».

AMBROSINI nota che, se si vuole affermare il concetto che ha spinto a stabilire la corresponsione di una indennità e a giustificarla, è assolutamente necessario richiamarsi alla situazione economica, poiché, in caso contrario, la motivazione diverrebbe inutile.

FABBRI non ha indicato, e non crede si debba indicare, il concetto della dignità, in considerazione della sua aleatorietà. Non si acquista la dignità percependo l’indennità, poiché dignità se ne può avere anche se poveri.

Non è favorevole alla frase proposta dall’onorevole Mortati: «in relazione all’obbligo loro imposto», che gli sembra eccessiva trattandosi di un mandato politico.

PRESIDENTE, poiché è difficile raggiungere un completo accordo su di una determinata formula, invita i commissari a rinunciare a talune sfumature e ad accedere a quella che nella sostanza più si avvicina al loro modo di vedere.

MANNIRONI vorrebbe che dalla formula Fabbri fosse soppressa la parola «economica» dopo «indipendenza».

PRESIDENTE non lo ritiene necessario. Non vede perché si dovrebbe avere un ritegno a parlare di situazione economica, quando in realtà di questo appunto si tratta. L’unica indipendenza che lo Sfato può garantire è appunto quella materiale, economica.

Considerato che la formula Fabbri è quella che più si avvicina al pensiero della maggior parte dei commissari, prega i colleghi di rivolgere ad essa la loro attenzione per poterla eventualmente migliorare. A suo avviso, potrebbero essere soppresse le parole: «le prestazioni della attività», lasciando soltanto «la indipendenza economica e la doverosa migliore esecuzione del mandato».

AMBROSINI propone la soppressione della parola «migliore» e la sostituzione di «esecuzione» con «adempimento».

TARGETTI preferirebbe la formula «una indennità tale da metterli in grado di adempiere al loro obbligo e di dare tutta l’attività necessaria all’esercizio del mandato».

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Targetti che con ciò si rimetterebbe in discussione la questione dell’attività, sulla quale non c’era accordo, frustrando i tentativi di eliminare le parole sulle quali un accordo è difficile. D’altra parte l’espressione «adempimento del mandato» implica appunto l’attività in cui esso si sostanzia.

CONTI, Relatore, introdurrebbe nella disposizione un concetto di necessità. L’indennità dovrebbe provvedere alle necessità economiche del deputato e non alla sua «indipendenza», espressione che potrebbe anche essere superflua.

BOZZI non afferra bene il significato dell’inciso «in ogni caso» contenuto nella formula Fabbri.

PRESIDENTE chiarisce che vi possono essere dei casi in cui l’indennità non sarebbe necessaria, ed altri casi in cui la mancanza di essa determinerebbe quasi l’impossibilità per il deputato di esplicare il suo mandato. Se i Commissari lo ritengono, l’inciso si potrebbe anche sopprimere.

FABBRI preferirebbe che fosse mantenuto, anche per andare incontro alle osservazioni dell’onorevole Targetti.

DI GIOVANNI segnala l’opportunità di una semplice rettifica grammaticale. Dicendo «garantirne», potrebbe sembrare che ci si riferisse alla legge e non al deputato. Più esatto sarebbe dire «per garantire la loro indipendenza economica».

LAMI STARNUTI preferirebbe che si dicesse «consentire», invece di «garantire».

LEONE GIOVANNI sopprimerebbe anche la parola «doverosa», essendo implicito nel concetto di adempimento il carattere obbligatorio.

PRESIDENTE ritiene invece che sia essenziale, essendo il solo richiamo esistente negli articoli fin qui approvati al senso di responsabilità dei deputati.

Mette ai voti la formula risultante dalle varie proposte:

«I deputati ricevono una indennità nella misura fissata dalla legge per garantire loro in ogni caso l’indipendenza economica e il doveroso adempimento del mandato».

(È approvata).

Dà lettura dell’articolo successivo nel testo proposto dall’onorevole Mortati: «È fatto divieto ai deputati di acquistare o di prendere in fitto beni demaniali, di ottenere concessioni od altri vantaggi personali». Personalmente osserva che è forse opportuno, ma certo non necessario, porre una simile disposizione nella Costituzione: essa potrà trovar posto nella legge elettorale.

MORTATI, Relatore, crede sia necessario decidere se convenga oppure no fissare nella Costituzione dei limiti alla legge elettorale, vincolando così il futuro legislatore.

PRESIDENTE crede che, se si volessero porre questi limiti nella Costituzione, bisognerebbe fare una elencazione assai più lunga, perché possono sorgere molte altre incompatibilità, soprattutto di ordine morale. Considerandone soltanto alcune, si potrebbe far ritenere che per le altre non esistono limiti o divieti. Condivide il pensiero dell’onorevole Mortati, essendo necessario prevedere che non avvengano collusioni di interessi fra lo Stato e i rappresentanti del Paese; ma non gli sembra che possa inserirsi nel testo della Costituzione un articolo che consideri questo problema. Ad ogni modo mette ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

A proposito della convocazione della Camera ricorda che l’onorevole Conti ha fatto la seguente proposta: «La Camera dei Deputati deve riunirsi appena eletta ed in ogni caso non oltre 20 giorni da quello della proclamazione degli eletti».

Nota che una disposizione di tale natura è in genere contenuta nella legge elettorale. Gli sembrerebbe invece utile una disposizione circa la convocazione della Camera nelle sue sessioni.

Vi è poi, in questa materia, anche una formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, crede necessario che la Costituzione fissi il termine massimo per la convocazione della nuova Camera dopo lo scioglimento di quella precedente. Ritiene inoltre che l’articolo dovrebbe essere collegato con l’altro che fissa la durata della Camera. Dove si dice che la Camera dura 4-5 anni si dovrebbe aggiungere che le elezioni debbono avvenire entro 60-70 giorni dalla scadenza del termine predetto, e poi inserire una disposizione con cui si stabilisca che la prima riunione della Camera debba aver luogo non oltre una certa data (20 o 30 giorni) dalle elezioni. Ciò gli sembra necessario per eliminare qualunque arbitrarietà in ordine al regolare funzionamento della Camera. Si dovrebbe poi precisare l’organo cui spetta di fissare il giorno della prima convocazione, al quale proposito alcune Costituzioni stabiliscono che debbano provvedere i tre membri più anziani della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che le questioni in discussione sono due. La prima riguarda la convocazione dei comizi elettorali, per la quale l’onorevole Mortati ha proposto di dire che «le elezioni della nuova Camera debbono farsi entro 60 giorni dallo scioglimento della precedente». Mette ai voti questa formula.

(È approvata).

La seconda questione è quella di stabilire un termine, dopo l’elezione, entro il quale la Camera deve essere convocata. Questo termine dall’onorevole Mortati è proposto in 20 giorni.

LUSSU domanda se non sarebbe meglio precisare addirittura la data e dire cioè, ad esempio, il ventesimo o il diciottesimo giorno dalle elezioni.

PRESIDENTE crede che attraverso la Costituzione si debba dare soltanto una garanzia di carattere pubblico e niente altro. A tale effetto gli sembra basti indicare il termine massimo oltre il quale non è possibile prorogare la convocazione.

DI GIOVANNI domanda se il termine decorre dal giorno delle elezioni o da quello della proclamazione degli eletti, come gli pare proponesse l’onorevole Conti.

PRESIDENTE fa rilevare che non vi può essere una data unica di proclamazione degli eletti, variando essa in relazione allo svolgimento dei lavori delle singole circoscrizioni elettorali. Quanto meno bisognerebbe dire «dalla data dell’ultima proclamazione», ma la cosa non gli sembra praticamente utile.

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati: «la prima riunione della Camera deve aver luogo non oltre 20 giorni dalle elezioni».

(È approvata).

MANNIRONI ritiene opportuno che la legislatura duri fino alle nuove elezioni, per mantenere la continuità della funzione parlamentare e per garantire, ad esempio, l’immunità dei deputati nell’intervallo tra la vecchia e la nuova Camera.

PRESIDENTE non vede la necessità di garantire l’immunità, quando la funzione parlamentare è finita: a Camera sciolta il deputato è un cittadino qualsiasi.

Avverte che secondo la formula proposta dall’onorevole Mortati il provvedimento che indice le elezioni fissa anche il giorno per la prima convocazione della nuova Camera.

FABBRI per determinare questa data, riterrebbe più opportuno si attendesse che fosse avvenuta la proclamazione.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, stabilito il principio che entro 20 giorni si deve convocare la nuova Camera, si tratta solo di precisare il giorno, e a questa esigenza può provvedere la legge che convoca i comizi elettorali, come ha appunto fatto anche l’ultima legge per la Costituente.

ZUCCARINI rileva che ciò è conforme alla più vecchia tradizione parlamentare.

LUSSU aderisce a quanto ha detto l’onorevole Mortati, ma si preoccupa dell’organo o della persona che dovrebbe fissare la data. Suggerisce di dire che spetta al deputato più anziano.

PRESIDENTE teme sia un po’ audace lasciare al più anziano una facoltà di carattere così importante.

CODACCI PISANELLI propone che questa facoltà venga riconosciuta al Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, nota che queste proposte debbono considerarsi in relazione all’ordinamento che si vuole stabilire, di maggiore o minore autonomia della Camera. Il punto da chiarire è se si intende opportuno che la Camera si convochi indipendentemente dal potere esecutivo.

PERASSI crede opportuno fissare un sistema di convocazione automatico.

PRESIDENTE, per non dare luogo ad inconvenienti, suggerisce di stabilire chi è che convoca la Camera e gli pare dovrebbe essere il Capo dello Stato.

FABBRI ritiene che il concetto della sovranità dell’Assemblea che scade sia male invocato con riferimento al provvedimento di scioglimento della Camera; perché non è l’Assemblea che si scioglie, ma lo scioglimento è conseguenza di un provvedimento di chi ha la facoltà di adottarlo; sia il Capo dello Stato o il Capo del Governo. Ed allora quello stesso organo che ha la facoltà di sciogliere la Camera esistente dovrebbe avere, in forza della Costituzione, l’obbligo di convocarne un’altra entro un determinato termine. Non gli sembra che qui entri in gioco la sovranità dell’Assemblea.

PRESIDENTE osserva anche che se la Camera giunge normalmente alla fine del suo mandato, deve esservi sempre un’autorità estranea che ordina il suo scioglimento, onde non può attribuirsi alla Camera vecchia l’incarico di indire le elezioni e fissare la data di convocazione della Camera nuova.

L’alternativa è questa: o lasciare al potere esecutivo, al Presidente della Repubblica o al Governo, la facoltà di scegliere la data nel termine dei 20 giorni già stabilito, oppure stabilire che il provvedimento stesso col quale si indicono le elezioni fisserà anche il giorno della prima convocazione.

Mette ai voti quest’ultima proposta.

(È approvata).

Poiché si è in tema di convocazione, pensa che possa essere affrontata la questione delle convocazioni successive, circa la quale l’onorevole Conti propone la seguente formula:

«Nel quadriennio si riunirà senza alcuna convocazione nella prima decade del marzo e dell’ottobre di ogni anno, e terrà le sedute che saranno necessarie allo svolgimento dell’opera legislativa».

Mette innanzitutto ai voti il principio della convocazione automatica, sul quale sono d’accordo ambedue i relatori.

(È approvato).

Circa la data delle due convocazioni annuali, avverte che per la prima sia l’onorevole Mortati che l’onorevole Conti convengono di fissarla in marzo; mentre per l’altra è questione se debba avvenire in ottobre o novembre.

MORTATI, Relatore, ritiene che la data della seconda convocazione debba mettersi in relazione con la presentazione dei bilanci preventivi e consuntivi, e perciò propone che avvenga in novembre.

CONTI, Relatore, NOBILE e ZUCCARINI propenderebbero per l’ottobre, perché in tal mese comincia un nuovo trimestre.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che la seconda convocazione della Camera avvenga nel mese di ottobre.

(È approvata).

CODACCI PISANELLI propone che si fissi il primo giorno non festivo del mese.

PRESIDENTE ritiene accettabile questa proposta e crede che la disposizione potrebbe essere così formulata: «La Camera si riunisce di pieno diritto, senza uopo di convocazione, il primo giorno festivo del mese di marzo e di ottobre di ogni anno».

La pone ai voti.

(È approvata).

Passando all’argomento della possibilità di altre convocazioni, oltre quelle automatiche, avverte che l’onorevole Mortati propone un’aggiunta al comma ora approvato, così concepita: «Deve altresì essere convocata dal suo Presidente quando lo richiedano il Presidente del Consiglio dei Ministri o un quarto dei suoi membri con istanza motivata».

Invece l’onorevole Conti aveva proposto la seguente formula: «Può essere convocata in via straordinaria dal Presidente della Repubblica, con messaggio motivato al Presidente della Camera, dalla sua Presidenza, o da questa a richiesta motivata del Capo del Governo.

«La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un decimo dei componenti la Camera».

Osserva che con la formula dell’onorevole Conti viene affrontata, per la prima volta, la questione dei poteri del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, ritiene che su questo punto sarebbe necessaria una sospensiva, perché la Sottocommissione non è ancora entrata nel merito dei poteri del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo.

PRESIDENTE crede che intanto potrebbe esaminarsi l’ipotesi della autoconvocazione, relativamente alla quale fra le due proposte v’è una differenza notevole, in quanto l’onorevole Mortati propone un quarto dei membri della Camera, mentre l’onorevole Conti un decimo.

Poiché ritiene che possa considerarsi tacitamente accolto il principio di autoconvocazione dell’Assemblea, apre la discussione sulla determinazione del numero dei richiedenti necessario per ottenere la suddetta convocazione.

DI GIOVANNI è del parere che sia sufficiente un decimo e che un quarto sia difficilmente raggiungibile.

MORTATI, Relatore, giustifica la maggiore rigidità della sua proposta con la considerazione che la convocazione della Camera è un evento di notevole importanza, che implica anche uno spostamento dell’ordinaria attività di governo. Un decimo dei componenti la Camera, con la composizione prevista di questa, significherebbe circa 40 deputati, che gli sembrano troppo pochi.

CONTI, Relatore, sostiene la necessità di mantenere bassa la percentuale anche per il criterio della tutela delle minoranze.

PERASSI crede che sarebbe opportuno limitarsi per il momento a fissare il principio dell’autoconvocazione, salvo a determinare successivamente la percentuale di deputati necessaria. Ricorda che il problema in passato è stato affrontato in sede regolamentare e potrebbe essere utile consultare i precedenti.

PATRICOLO non approva il criterio di rinviare la materia al Regolamento della Camera. Se si ritiene che la Costituzione debba effettivamente fissare le garanzie democratiche nel Paese, non si può non volere che contenga anche la determinazione di questa percentuale che rappresenta appunto una garanzia per le minoranze.

NOBILE è sostanzialmente d’accordo sull’opportunità di fissare questa percentuale, e ritiene che, se il numero minimo di deputati richiesti per l’autoconvocazione sarà basso, non per questo si dovrà temere qualche inconveniente. Se anche un piccolo gruppo di deputati invitasse i colleghi a mettersi al lavoro nell’interesse del Paese, l’invito dovrebbe essere sempre accettato volentieri.

PRESIDENTE osserva, e non per semplice amore della transazione, che tra le due proposte c’è una sensibile differenza, onde si potrebbero contemperare le varie esigenze.

Personalmente ritiene che sia necessario dare, attraverso al diritto di autoconvocazione, una garanzia alle minoranze, che tuttavia debbono essere considerate in rapporto alla loro efficienza e al loro reale valore politico, perché anche un uomo solo in una assemblea potrebbe, a volte, costituire una minoranza. Nel quadro di una società nazionale che va sempre più organizzandosi sulla base dei partiti, bisogna tener conto del fatto che non sarà una persona e neanche piccoli gruppi di persone che potranno avere un peso decisivo. Non condivide la opinione dell’onorevole Nobile che bisogna sempre accogliere benevolmente gli inviti al lavoro: se v’è una richiesta di convocazione della Camera fuori della sessione ordinaria, ciò vuol dire che v’è una crisi politica o si intende di provocarla. Ora, le crisi possono essere necessarie, ma in linea generale bisognerebbe evitare di facilitarle, soprattutto se non sono espressione di una forza politica notevole. Più volte si è parlato della necessità di dare una certa garanzia di stabilità al Governo ed è evidente che l’autoconvocazione della Camera in tal caso gioca in senso contrario. Personalmente non è tra coloro che richiedono in maniera assoluta garanzie di stabilità al Governo tali da impedire che le giuste esigenze delle minoranze siano fatte valere; ma ritiene che deve trattarsi di minoranze che rappresentino un qualche cosa di concreto. In una Assemblea di circa 420 membri, 40 deputati non rappresentano una forza che possa pesare in modo decisivo sopra la vita politica del Paese. D’altra parte pensa che sia esagerato richiedere la percentuale di un quarto dei componenti l’Assemblea. Sarebbe sempre difficile arrivarci e dovrebbe entrare in gioco la maggioranza.

Ritiene quindi che si potrebbe fissare una cifra intermedia, tale da soddisfare la necessità di una tutela alle minoranze efficienti e, nello stesso tempo, di una convocazione che si faccia quando la situazione politica realmente la richieda.

NOBILE obietta che una piccola minoranza non potrebbe provocare una crisi, onde la preoccupazione cui ha accennato il Presidente non è fondata.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, a parte la possibilità di provocare una crisi, bisogna evitare che questo istituto possa diventare un mezzo con cui le minoranze insoddisfatte riescano a turbare l’ordinario svolgimento dell’attività del Governo attraverso una con vocazione della Camera che non risponda ad una esigenza effettivamente sentita nel Paese.

LACONI propone la percentuale di un quinto che rappresenterebbe circa ottanta deputati.

MORTATI, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Laconi, richiamando l’attenzione sul fatto che la maggior parte delle legislazioni, anche le più liberali (come la tedesca del 1919 e la cecoslovacca) contemplano percentuali varianti dal quinto al sesto. Ove la Sottocommissione non accettasse il quinto, potrebbe adottare il sesto.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di fissare la percentuale necessaria per la convocazione ad un quinto dei componenti la Camera.

(Non è approvata).

Pone ai voti la percentuale di un sesto dei deputati.

(È approvata).

Avverte che quest’altra disposizione rimane quindi così formulata: «La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un sesto dei componenti la Camera».

MORTATI, Relatore, sottopone all’attenzione dei colleghi un altro argomento di discussione: se, cioè, la Presidenza della Camera possa, indipendentemente dalla richiesta di un sesto dei deputati, procedere di sua iniziativa alla convocazione. Una proposta in tal senso è contenuta nella formula dell’onorevole Conti.

FABBRI dichiara di esservi favorevole.

PRESIDENTE invita l’onorevole Conti ad illustrare i motivi per cui ha voluto si riconoscesse questo diritto alla Presidenza. Personalmente è d’avviso che, se neppure una modesta percentuale dei deputati ha ritenuto che si debba procedere alla convocazione, non possono esserci seri motivi che stimolino la Presidenza – la quale dovrebbe essere interprete della volontà dell’Assemblea – a prenderne l’iniziativa.

CONTI, Relatore, precisa che, a suo avviso, l’iniziativa della Presidenza dovrebbe sostituirsi all’inerzia della percentuale fissata di deputati, così come l’iniziativa di un sesto dei deputati può sostituirsi all’inerzia della Presidenza. In sostanza questa, in certi momenti potrebbe ritenere, di fronte ad un Governo inerte ed a deputati insensibili al loro dovere, di dover provvedere direttamente.

MORTATI, Relatore, è contrario, perché, o il Presidente è interprete della volontà della maggioranza – come dovrebbe esserlo, in quanto espressione di gruppi di maggioranza – e allora raccoglierà facilmente quel sesto che occorre per ottenere la convocazione, o non è interprete della maggioranza ed attua una sua iniziativa personale, ed allora questo suo giudizio non dovrebbe sovrapporsi a quello dei componenti l’Assemblea.

FABBRI si associa alle considerazioni dell’onorevole Conti, facendo presente che la raccolta di circa 70 firme dovrebbe essere fatta a Camera chiusa, il che potrebbe risultare difficile. Viceversa al Presidente possono pervenire delle richieste anche in forma non ufficiale, oppure egli può avere la sensazione che una notevole frazione della Camera desideri la convocazione, e nessuno più di lui dovrebbe avere l’autorità e la veste per farlo.

CONTI, Relatore, non accetta l’interpretazione dell’onorevole Mortati, secondo la quale il Presidente è l’eletto da una maggioranza. Conviene che effettivamente egli è eletto dalla maggioranza, ma, dal momento in cui sale al banco della Presidenza, diventa l’eletto dalla Camera e deve svestirsi della sua qualità di uomo di parte, elevandosi al di sopra di tutti i gruppi, poiché altrimenti non sarebbe più il Presidente dell’Assemblea, ma un rappresentante di partito, il che è inconcepibile, malgrado la tendenza che oggi si riscontra verso la supremazia dei partiti.

LACONI osserva che nulla vieta che si pongano dei limiti all’iniziativa del Presidente: si potrebbe dire, ad esempio: «sentiti i Presidenti dei gruppi parlamentari».

MANNIRONI ha l’impressione che il concedere al Presidente della Camera questa facoltà contrasterebbe col criterio già approvato di riconoscere ad una aliquota di deputati il diritto di provocare la convocazione della Camera. Potrebbe infatti verificarsi che il Presidente, anche su richiesta di un ristrettissimo numero di deputati, convocasse l’Assemblea, mentre si è affermato il principio che essa non può essere convocata se non per ragioni veramente importanti, così da non turbare la normalità del lavoro del potere esecutivo.

CONTI, Relatore, dichiara di essere un sostenitore della tesi del libero sviluppo delle idee nelle Assemblee e di ritenere che il buon funzionamento di un organo è possibile solo in quanto ci sia una buona direzione. La Camera è diretta dal Presidente e questo deve avere ampia facoltà di azione come interprete nei pensieri, dei desideri e dei doveri dei rappresentanti del Paese.

PERASSI nota che, nonostante i dubbi che ci potevano essere sulla opportunità di prevedere nella Costituzione la convocazione della Camera su richiesta di un certo numero di deputati, la questione è stata risolta in senso affermativo allo scopo di garantire la protezione delle minoranze. Ora, per quel che riguarda la possibilità di convocazione ad iniziativa del Presidente, invita la Sottocommissione a considerare se sia proprio indispensabile introdurre anche questa norma nella Costituzione o se non sia preferibile lasciare che questa possibilità sia disciplinata dal Regolamento della Camera, senza pregiudicare la questione.

LEONE GIOVANNI ritiene che il problema debba essere risolto in questa sede. Posto che la Carta costituzionale ha stabilito la possibilità di convocazione dell’Assemblea ad iniziativa di un certo numero di deputati, il fatto di non stabilire nulla circa il potere del Presidente di fare altrettanto potrebbe apparire come una esclusione, soprattutto considerato l’aspetto rigido che si vuol dare alla nuova Costituzione.

Quanto al merito, è favorevole al criterio di concedere al Presidente, per la sua funzione direttiva, la facoltà di convocazione dell’Assemblea.

PRESIDENTE è contrario alla proposta perché, se è vero che il Presidente dirige i lavori dell’Assemblea e la rappresenta nei suoi rapporti con l’esterno, e che si incarnano in lui i poteri e i valori dell’Assemblea, è anche vero che una facoltà o spetta al Presidente quale interprete della volontà dell’Assemblea o spetta all’Assemblea stessa.

Il diritto di autoconvocazione della Camera non ha due soggetti, bensì uno solo, e se lo si riconosce all’Assemblea, nel suo complesso, o attraverso ad una percentuale di deputati, non lo si può riconoscere anche al Presidente. Ove avesse questo potere, il Presidente potrebbe usarne non interpretando la volontà dell’Assemblea, se pure in perfetta buona fede, ma sostituendo una propria valutazione e una propria volontà a quella dell’Assemblea.

Non crede neppure che possano farsi valere le invocate ragioni di ordine pratico. Si è detto che, nel momento in cui la convocazione è sentita come necessaria, può esser difficile raccogliere le firme di settanta deputati. Ma l’eventualità di una richiesta di convocazione straordinaria presuppone una situazione politica tesa ed agitata, nella quale il venire a Roma o spedire un telegramma o una lettera non costituiscono una difficoltà. E se tali espressioni non raggiungono la percentuale del sesto, non si vede perché il Presidente dovrebbe sostituirsi ad esse.

Fatte queste dichiarazioni personali, pone ai voti la proposta di concedere anche al Presidente la facoltà di convocare l’Assemblea fuori delle sessioni ordinarie.

(È approvata).

Crede che si debba accogliere la proposta dell’onorevole Mortati di sospendere ogni decisione circa la convocazione da parte del Capo dello Stato o del Capo del Governo.

(Così rimane stabilito).

Comunica che l’onorevole Mortati ha presentata una nuova proposta: «La chiusura della sessione può essere pronunciata dal Capo dello Stato non più di una volta in un anno».

Crede che il problema della chiusura delle sessioni potrebbe essere ora affrontato.

MORTATI, Relatore, sostiene che il problema dovrebbe risolversi in questa sede, decidendo in via pregiudiziale se si vuole ammettere l’istituto della sessione oppur no. Fa presente che si tratta di una questione di una certa importanza, poiché implica che il periodo della legislatura possa essere diviso in sessioni, la cui chiusura importa conseguenze rilevanti, come la decadenza di tutti i progetti in discussione, delle cariche dell’Assemblea, delle Commissioni, Uffici, ecc. Ricorda che l’istituto della sessione è strettamente legato ai regimi parlamentari ed è impiegato in caso di mutamento di indirizzo politico, per provocare un mutamento automatico nell’orientamento generale e della organizzazione del Parlamento, per uniformarli al nuovo indirizzo rappresentato dal Governo che assume il potere.

ZUCCARINI osserva che la sessione è stata creata per utilità del potere esecutivo e non rappresenta una necessità del funzionamento del sistema parlamentare: il potere esecutivo, che in un certo momento credeva utile interrompere i lavori della Camera, chiudeva la sessione, facendo decadere tutti i progetti in discussione. Questo istituto ha reso possibile, nei tempi passati, molti arbitri da parte del potere esecutivo. Ora che si vuole dar vita ad una Costituzione veramente democratica, non crede che lo si possa mantenere. Si domanda se sia proprio necessario, in occasione della formazione di un nuovo Governo, interrompere tutto quello che è stato iniziato dal precedente, e far cadere nel nulla le discussioni fatte, i progetti preparati e in corso di approvazione, le Commissioni nominate e così via dicendo. A suo parere, questa facoltà di aprire e chiudere le sessioni non dovrebbe essere contemplata nella nuova Costituzione.

FABBRI è favorevole al mantenimento delle sessioni. Osserva che, se si determina una situazione politica per la quale appaia utile un cambiamento del Governo, la chiusura della sessione è l’espediente più semplice per abbandonare, ad esempio, progetti di legge senza chiederne il formale ritiro; rinnovare uffici e commissari. Dal punto di vista pratico la sessione gli sembra, cioè, una garanzia di più snello funzionamento del gioco parlamentare.

TOSATO non è favorevole alla conservazione dell’istituto della sessione. Non gli sembra che un mutamento di Governo possa avere conseguenze politiche tali da richiedere un rinnovamento nell’organizzazione del lavoro parlamentare. Se ciò era ammissibile in un periodo in cui i deputati passavano con tanta facilità da un gruppo all’altro, oggi che si ha una organizzazione di partiti non lo è più. Né gli sembra comunque conveniente interrompere l’attività dell’Assemblea.

MORTATI, Relatore, osserva che si è parlato di arbitri del Governo riferendosi evidentemente a situazioni sorpassate, perché se ci si riferisce a Governi parlamentari, tali arbitri non sono possibili, in quanto si tratta di Governi che hanno ottenuto la fiducia della Camera. Del resto, la chiusura della sessione potrebbe limitarsi a non più di una volta all’anno e si potrebbe ammettere nel Regolamento della Camera la possibilità di riprendere, nonostante la chiusura della sessione, i progetti allo stato in cui si trovavano al momento della chiusura stessa.

PRESIDENTE personalmente condivide l’opinione dell’onorevole Tosato.

Mette ai voti la proposta di conservazione dell’istituto della sessione.

(Non è approvato).

Avverte che, con ciò, è implicitamente non approvato il relativo articolo proposto dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul problema di mantenere in vita o meno, fino alle nuove elezioni, la Camera nel suo complesso e per lo meno il suo Ufficio di Presidenza. Quanto al primo punto, alcune Costituzioni e recentemente quella francese affermano il principio della continuità dell’Assemblea fino alla convocazione della nuova. Ciò può impedire l’emanazione di provvedimenti legislativi da parte del Governo nel periodo di intervallo tra l’una e l’altra legislatura. Poiché è favorevole alla eliminazione della decretazione di urgenza da parte del Governo, pensa che nell’intervallo fra due legislature si potrebbe, per ragioni di continuità amministrativa, mantenere in vita la Presidenza, come avveniva anteriormente alla Camera fascista.

TOSATO è favorevole alla continuità di vita della Camera fino alla convocazione della nuova, anche perché potrebbe avvenire che, sciolta la Camera dei Deputati, si verificasse la mancanza del Presidente della Repubblica. Richiedendosi per la nomina del successore la deliberazione di ambedue le Camere, se quella dei deputati non potesse convocarsi, ci si troverebbe in difficoltà.

NOBILE domanda come possa continuare i suoi lavori la Camera, se viene sciolta per decreto del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, osserva che esiste l’istituto della cosiddetta prorogatio. Perciò egli vorrebbe che fosse mantenuto l’ufficio di Presidenza che, fino alla convocazione della nuova Camera, provvederebbe all’ordinaria amministrazione, ma senza facoltà di adottare provvedimenti di carattere politico. Durante quel periodo, ove sorgesse la necessità di decretazione di urgenza, la Camera potrebbe essere chiamata ad intervenire.

CODACCI PISANELLI crede assai difficile realizzare l’abolizione della decretazione di urgenza, come dimostrano tutti i precedenti storici. Una volta sciolta, la Camera non solo non potrebbe compiere il lavoro ordinario legislativo, ma nemmeno altre sue funzioni, anche delle meno importanti. Nell’eventuale necessità di provvedimenti di urgenza, non si potrebbe fare a meno della decretazione da parte del Governo. Ritiene perciò indispensabile che la Costituzione la contempli, pur fissandone rigorosamente i limiti e la disciplina.

PATRICOLO crede che il problema debba essere esaminato insieme con quello dei poteri del Capo dello Stato: si potrà allora stabilire, ad esempio, che nella legge che indice le elezioni sia previsto il modo di provvedere alla decretazione di urgenza. Ma se si ammette che il Capo dello Stato possa convocare anticipatamente la Camera, viene meno la necessità di un’apposita norma. Non gli appare poi chiara la distinzione che taluno vorrebbe istituire fra provvedimenti amministrativi e qualsiasi altra attività della Camera, ad esempio quella politica.

LUSSU è del parere che la questione debba essere risolta nell’attuale fase della discussione e si dichiara d’accordo con l’onorevole Codacci Pisanelli circa la difficoltà di eliminare la decretazione d’urgenza. Soggiunge che non si è senz’altro autorizzati ad imitare la Costituzione francese che ha stabilito la continuità della funzione della Camera sciolta fino alla convocazione della nuova. A suo avviso la Camera sciolta perde ogni prestigio e non può quindi, nel periodo antecedente alla convocazione della nuova, esercitare alcuna attività.

Non si nasconde la gravità dell’ipotesi prospettata dall’onorevole Tosato e cioè che venga meno il Presidente della Repubblica nell’intervallo fra le due legislature, con la conseguente necessità di provvedere immediatamente alla nomina del successore. Ma è questo un atto di così grande importanza politica che proprio la Camera sciolta non avrebbe il diritto di compiere. In Francia verificandosi questo fatto, era il Presidente del Senato che si sostituiva immediatamente – ope legis – al Capo dello Stato. Pensa che qualche cosa di simile si potrebbe fare anche in Italia per evitare carenza nell’esercizio delle funzioni del Capo dello Stato.

NOBILE propone che la questione sia rinviata a quando si tratterà delle attribuzioni del Capo dello Stato. Per risolvere il caso prospettato dall’onorevole Tosato si riserva di proporre che a fianco del Capo dello Stato si crei un Consiglio supremo della Repubblica, di cinque membri, a cui potrebbero conferirsi alcune delle attribuzioni del Capo dello Stato. Quest’organo sarebbe un’emanazione dell’Assemblea legislativa.

LACONI, poiché evidentemente è impossibile evitare che tra lo scioglimento della Camera precedente e la convocazione della successiva vi sia un intervallo in cui possano presentarsi le necessità accennate da altri colleghi, ritiene che il problema vada affrontato e risolto. Si è affermato che la Camera, continuando a legiferare dopo sciolta, commetterebbe un abuso dei suoi poteri; ma tanto più lo commetterebbe con le decretazioni di urgenza il Governo, che è stato designato da quella Camera.

L’istituto della prorogatio, cui si è richiamato l’onorevole Mortati, non elimina gli inconvenienti e i pericoli derivanti da una carenza di poteri; ond’egli si dichiara favorevole alla continuità delle funzioni della vecchia Camera fino alla convocazione della nuova.

TOSATO avverte che è un principio fondamentale di diritto pubblico preoccuparsi della continuità delle funzioni di un istituto: lo stesso Governo in crisi può prendere provvedimenti di ordinaria amministrazione anche importanti. Altrettanto potrà fare la Camera. Richiamandosi all’ipotesi dei decreti-legge e a quella della vacanza del Capo dello Stato, fa rilevare che, poiché l’intervallo fra lo scioglimento della vecchia e la convocazione della nuova Camera sarà di quasi tre mesi, il problema appare grave e richiede una soluzione.

FABBRI rileva che si è parlato di prorogatio ed è d’accordo con l’onorevole Lussu che la Camera privata d’ogni prestigio non potrebbe esercitare degnamente la sua funzione. Si preoccupa però di una soluzione di continuità e quindi pensa che i poteri e gli uffici, specialmente di carattere rappresentativo, della Presidenza uscente potrebbero fino all’inizio della nuova Legislatura essere prorogati. In caso di vacanza del Capo dello Stato, la Presidenza della Camera potrebbe provvedere alla nomina di un Vicepresidente della Repubblica, per non attribuire le funzioni del Capo dello Stato al Capo del Governo. Non gli sembra possibile che durante questa vacatio si proceda alla nomina definitiva del Presidente della Repubblica.

MORTATI, Relatore, crede necessario esaminare distintamente i problemi che sono affiorati nella discussione.

Osserva che al quesito se durante l’intervallo fra due legislature debba esistere un organo che collabori col Governo nella attività legislativa, il progetto Conti risponde con la proposta di una Giunta permanente, formata da membri delle due Camere, che dovrebbe rimanere in vita durante il periodo di scioglimento. Si domanda se sia più opportuno affidare questo compito a gruppi particolari di deputati o mantenere in carica tutto l’apparato della Camera nel suo complesso. Una volta ammesso il principio della continuità, questa seconda soluzione gli sembra migliore, perché una Giunta come quella proposta dall’onorevole Conti rappresenterebbe assai imperfettamente l’Assemblea.

Circa i provvedimenti di ordinaria amministrazione o le funzioni legislative cui si è fatto cenno, osserva che la Camera, in questa eccezionale posizione, non dovrebbe prendere provvedimenti di importanza politica, e per questo soccorre la norma di correttezza costituzionale richiamata dall’onorevole Tosato, per cui deve essere inibito ad una tale Camera ogni potere di iniziativa.

Per il caso di vacanza del Capo dello Stato, ritiene invece, contrariamente a quanto è stato affermato dall’onorevole Tosato, che non sia opportuno fare intervenire alla elezione del nuovo titolare una Camera ormai sfornita di potere rappresentativo. Per provvedere all’ipotesi prospettata sarebbe più opportuno ricorrere ad un Capo detto Stato supplente, da nominare all’atto della nomina del titolare.

Crede, in conclusione, che si debbano scindere i due problemi: se nell’intervallo fra le due legislature deve sussistere un organo legislativo, per esercitare le funzioni legislative in senso proprio nella forma di provvedimenti straordinari, all’infuori del potere di iniziativa; e, in secondo luogo, chi debba rappresentare la Camera.

UBERTI si preoccupa di un problema essenzialmente pratico e cioè se potrà effettivamente ottenersi la continuità delle funzioni legislative da parte della Camera dopo il suo scioglimento. Ricorda in proposito le difficoltà che si incontrarono nelle ultime riunioni delle Commissioni della Consulta per raccogliere il numero legale, perché, indette le elezioni, quasi tutti i consultori si erano allontanati.

BOZZI nota che il problema della prorogatio della Camera è in funzione di due necessità: provvedere alla eventuale nomina del Capo dello Stato e provvedere altresì alla decretazione di urgenza.

Per quanto attiene alla nomina del Capo dello Stato, osserva che altri sistemi possono supplire all’eventuale vacanza del Parlamento, senza bisogno di ricorrere alla prorogatio di una Camera che ha ormai perduto il suo prestigio e la sua funzione rappresentativa.

Per quel che riguarda la decretazione di urgenza, non crede indispensabile la continuità della funzione legislativa. Anzitutto si potrebbe escogitare una norma che inibisse al Governo, tra lo scioglimento di una Camera e la convocazione dell’altra, la decretazione di urgenza; ma un correttivo migliore sarebbe quello proposto dall’onorevole Conti e cioè la creazione di un ristretto organo, costituito da rappresentanti della prima e della seconda Camera, che assistesse il Governo in questa particolare evenienza.

PRESIDENTE avverte che è stata avanzata una proposta di rinvio, che appare giustificata.

Infatti, l’ipotesi che durante l’intervallo di tre mesi si presenti la necessità di qualche misura di urgenza, è verosimile, ma potrà essere disciplinata quando sarà esaminata nel suo complesso la questione delle misure di urgenza.

La necessità poi di un organo che provveda alla eventuale nomina del Capo dello Stato nella vacanza del Parlamento, potrà più opportunamente essere presa in considerazione quando saranno esaminate le modalità per la nomina del Capo dello Stato, tenendo conto dei punti di vista manifestatisi nel corso della presente discussione.

Crede perciò che la questione possa essere rinviata.

(Così rimane stabilito).

MORTATI, Relatore, procedendo nell’esame delle norme sul funzionamento della Camera, prospetta l’opportunità di un articolo per disciplinare l’elezione dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE rileva che la proposta è stata concretata dall’onorevole Conti nei seguenti termini: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente, due Vicepresidenti, i Questori, i Segretari e le Commissioni, a norma del proprio Regolamento».

MORTATI, Relatore, riterrebbe preferibile evitare precisazioni, e soprattutto l’accenno alle Commissioni, limitandosi a stabilire che la Camera elegge l’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE conviene che la formula dovrebbe essere meno impegnativa nei suoi particolari. Sarà la Camera attraverso il Regolamento a decidere su questi. La formulazione della norma potrebbe, a suo avviso, essere la seguente: «La. Camera elegge nel suo seno l’Ufficio di Presidenza».

LUSSU preferirebbe la formula: «il Presidente ed il suo ufficio».

PRESIDENTE mette ai voti la seguente dizione: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvata).

LACONI osserva che, qualora si ammettesse l’esistenza di una Giunta, come quella proposta dall’onorevole Conti, la sua nomina dovrebbe precedere quella dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE obietta che la nomina della Presidenza risponde ad altre esigenze. Si potrebbe pensare ad un Parlamento che non avesse una Giunta, non ad un’Assemblea che non avesse il suo Presidente col relativo Ufficio di Presidenza.

Nota che ora si affacciano due questioni: in primo luogo, se nel testo della Costituzione occorre senz’altro risolvere il problema del modo come la Camera si articola nel suo interno e lavora (se attraverso Commissioni oppure no); in secondo luogo, se sia necessaria la formazione di una Giunta permanente che possa rappresentare la Camera ed agire in sua vece nella vacanza del Parlamento.

MORTATI, Relatore, crede che sarebbe opportuno esaminare anzitutto quale parte della regolamentazione della Camera debba rientrare nella Costituzione, cioè, quali limiti sarà utile porre all’autodisciplina della Camera.

PRESIDENTE fa presente che in altro articolo l’onorevole Conti propone la seguente disposizione: «La Camera delibera il proprio Regolamento».

La mette ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, osserva che occorre pure decidere se le deliberazioni in materia regolamentare debbano avvenire da parte della Camera con certe determinate modalità, se cioè, sia o meno necessaria una maggioranza qualificata. Si tratta di garanzie di regolarità che potrebbero includersi nella Costituzione.

FABBRI propone che la deliberazione del Regolamento sia fatta a maggioranza semplice dei componenti l’Assemblea e non dei presenti, cioè a dire, la metà più uno dei deputati.

LUSSU è contrario alla introduzione nella Costituzione di una simile precisazione, che può ritenersi sottintesa anche, perché non crede che in questo giochi la preoccupazione della tutela delle minoranze.

MORTATI, Relatore, non trova esatta l’obiezione dell’onorevole Lussu. Una maggioranza può approfittare del fatto di essere tale per imporre nel Regolamento eccessive limitazioni del diritto di discussione o altrimenti attentare al normale svolgimento dell’attività parlamentare. L’esigenza della protezione delle minoranze in sede di formulazione del Regolamento può avere il suo peso. Ricorda che la Costituzione austriaca – che è importante per l’accurata elaborazione tecnica che ha avuto – richiedeva per l’approvazione del Regolamento la presenza di metà dei membri della Camera e la maggioranza dei due terzi dei voti.

TARGETTI consiglierebbe l’obbligo dell’approvazione del Regolamento in duplice lettura.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che per la formazione del Regolamento si debba richiedere una maggioranza qualificata.

(È approvato).

Osserva che resta da stabilire quale deve essere questa maggioranza qualificata, e mette ai voti la proposta dell’onorevole Fabbri che il Regolamento sia approvato con la maggioranza della metà più uno dei membri dell’Assemblea.

(È approvata).

Comunica che alla parte ora approvata dell’articolo proposto dall’onorevole Conti circa la deliberazione del Regolamento, seguono le seguenti parole: «…e provvede alla propria amministrazione disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato».

MORTATI, Relatore, ritiene che la disposizione si possa sopprimere, non costituendo materia costituzionale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressione.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede sia da esaminare la questione della pubblicità delle sedute dell’Assemblea stabilendo, eventualmente, dei limiti alla possibilità di far venire meno questa garanzia, determinando, cioè, i casi in cui la Camera può riunirsi in seduta segreta; uno dei quali si ha quando essa tratta della propria amministrazione interna.

LACONI crede che si possa rimandare la materia al Regolamento, stabilendo soltanto il principio della pubblicità.

PRESIDENTE obietta che, stabilendosi solo il principio, si escluderebbe la possibilità di eccezioni. Occorrerà precisare quando la Camera può convocarsi in seduta segreta.

MANNIRONI propone che la convocazione in seduta segreta sia consentita quando viene richiesta da un certo numero di deputati.

LUSSU ritiene che non sia necessario introdurre questa norma nella Costituzione e che possa supplire la tradizione, alla quale è ormai acquisita questa garanzia della pubblicità.

UBERTI condivide l’opinione dell’onorevole Lussu, anche per la considerazione che, durante l’altra guerra, è stato possibile convocare la Camera in seduta segreta per affrontare questioni di politica estera, che non potevano essere trattate in pubblico, e una norma tassativa potrebbe costituire un impedimento di fronte ad improvvise necessità.

FABBRI suggerisce una formula concisa e cioè: «Il Regolamento della Camera fissa i casi e le forme in cui può convocarsi in seduta segreta». In questa dizione sarebbe implicito il principio della pubblicità e nello stesso tempo resterebbe stabilito che possono esservi anche dei casi di convocazione segreta, rimessi all’apprezzamento della stessa Camera.

DI GIOVANNI ritiene utile l’affermazione esplicita del principio della pubblicità e propone la seguente dizione: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera può convocarsi in seduta segreta a norma del Regolamento».

MORTATI, Relatore, ricorda che l’articolo 52 dello Statuto Albertino stabiliva la pubblicità delle sedute e osserva che la soppressione di una tale norma potrebbe sembrare fatta di proposito.

LUSSU insiste sull’opportunità di non introdurre la disposizione nella Costituzione.

RAVAGNAN crede opportuno affermare il principio della pubblicità delle sedute; ma l’espressione immediatamente successiva, secondo cui la Camera si riunisce in seduta segreta a norma del Regolamento, sembra in contraddizione con la prima affermazione. Crede perciò necessario far risaltare il carattere di eccezionalità delle sedute segrete.

ROSSI PAOLO propone la formula: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera si riunisce in seduta segreta soltanto nei casi previsti dal Regolamento».

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede che non sia il caso di addentrarsi nell’esame delle modalità di svolgimento del lavoro parlamentare e che la costituzione delle Commissioni sia materia da lasciare al Regolamento.

Sarebbe piuttosto importante, innovando nei confronti della precedente legislazione, parlare della possibilità di provocare la convocazione di Commissioni d’inchiesta e dei loro poteri. Attraverso il potere d’inchiesta, infatti, si può esercitare quel controllo sull’attività del potere esecutivo che costituisce una delle funzioni del Parlamento. Anche nei riguardi di queste Commissioni si potrebbe pensare ad una forma di tutela dei diritti delle minoranze, ammettendo che una minoranza cospicua possa ottenere, anche contro il parere della maggioranza, la nomina di una Commissione d’inchiesta.

In sostanza le questioni che si pongono sono due: se la Costituzione debba contenere una regolamentazione circa il potere di inchiesta e, in caso affermativo, determinare le modalità di esercizio di questo potere.

PRESIDENTE crede che il potere di inchiesta potrebbe essere previsto in una forma più ampia che occorrerà introdurre nella Costituzione, e nella quale saranno indicati tutti i poteri della Camera. È questo un campo in cui ritiene che potrà esservi qualche innovazione da fare nei confronti della tradizione rimettendo, ad esempio, alle decisioni delle Assemblee legislative il diritto di amnistia, il diritto di guerra e di pace, la ratifica dei trattati ecc. In questa elencazione, che avrebbe un carattere tassativo e non dovrebbe essere molto lunga, si potrebbe includere la possibilità di provocare inchieste.

Personalmente ritiene che nel testo costituzionale non sarebbe opportuno scendere addirittura ad una regolamentazione del potere di inchiesta.

FABBRI condivide l’opinione dell’onorevole Mortati, trattandosi di una questione importantissima, e sostiene che sarebbe opportuno che il potere di inchiesta, piuttosto che costituire un paragrafo della specificazione dei poteri della Camera, fosse considerato a sé.

DI GIOVANNI ricorda che, secondo il Regolamento vigente (articolo 135), le inchieste parlamentari rientrano fra le proposte di iniziativa parlamentare. Inoltre l’articolo 136 attribuisce alla Camera la determinazione delle facoltà e dei poteri delle Commissioni di inchiesta. Ritiene che ciò sia sufficiente e non occorra una disposizione ad hoc nella Costituzione.

TOSATO osserva che numerose questioni sono sorte circa i poteri delle Commissioni di inchiesta. Esse operano non nell’interno del Parlamento, ma fuori; dal che deriva il problema dei doveri del cittadino e dei funzionari nei loro confronti. Si domanda, cioè, se i funzionari siano sciolti dal segreto di ufficio e se i cittadini siano obbligati a deporre. Tutto ciò investe i diritti dei cittadini ed esula dai campo specifico del Regolamento della Camera, che può interessare solo i rapporti interni. Sorge quindi la necessità di disciplinare la materia con disposizioni che possano valere erga omnes e si tratta di stabilire se a ciò basti una legge normale od occorra una disposizione inserita nella Costituzione. Dichiara di accedere a quest’ultimo concetto, soprattutto perché la Costituzione sola potrebbe ammettere la possibilità di provocare una inchiesta anche contro il volere della maggioranza e questo diritto della minoranza appare tanto più opportuno in quanto le attività dello Stato sono notevolmente accresciute e aumenteranno sempre più. Da questo punto di vista il diritto della minoranza di provocare inchieste è una salutare garanzia contro la possibilità di abusi del Governo e delle Amministrazioni.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Mortati sull’impostazione del problema: il Regolamento della Camera ha un valore interno e può quindi vincolare soltanto i deputati. È d’avviso che la Costituzione debba regolare le funzioni delle Commissioni d’inchiesta ed i loro poteri.

MORTATI, Relatore, data l’estrema delicatezza del problema, insiste perché trovi adeguata soluzione nella Carta costituzionale.

NOBILE è d’accordo con gli onorevoli Mortati e Leone sulla necessità di non rinviare la questione al Regolamento propone la seguente formula da introdurre nella Costituzione: «La Camera ha il diritto, a mezzo di sue Commissioni, di eseguire inchieste relative alle funzioni del potere esecutivo e giudiziario. La esecuzione di questo diritto è determinata dalla legge».

LUSSU, rendendosi conto delle preoccupazioni dei colleghi, fa rilevare che se si rinvia alla legge la fissazione dei dettagli, tanto vale che il principio venga addirittura considerato in una legge speciale e non nella Costituzione che per il suo carattere di documento solenne ed incisivo e quindi breve, non può scendere a particolari.

MANNJRONI non è d’accordo che la Costituzione debba essere breve e schematica. Crede giusto che certi principî entrati ormai nelle tradizioni politiche del nostro Paese trovino riconoscimento e proclamazione nella Carta costituzionale, se non altro per non dar luogo a dubbi e incertezze. In questa sede si dovranno stabilire i limiti e le modalità per il funzionamento di queste Commissioni d’inchiesta; cosa tanto più necessaria se esse, ad esempio, dovranno avvalersi dei poteri e dell’opera della magistratura, i cui obblighi devono essere fissati appunto in una legge costituzionale.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza della Commissione sia d’avviso che si debba contemplare nella Costituzione il potere di inchiesta della Camera. Si chiede per altro se la Costituzione dovrà limitarsi ad affermare il principio o entrare in maggiori dettagli. Personalmente si limiterebbe all’affermazione di questo potere di inchiesta, come di altri poteri della Camera, senza entrare in particolari.

TOSATO rileva la difficoltà di una compenetrazione tra parte funzionale e parte organizzativa. Una volta affermata la necessità del potere di inchiesta, si deve stabilire con quale organo la Camera potrà effettivamente esercitarlo.

PRESIDENTE, constatato che si è d’accordo sulla questione di principio, suggerisce la seguente formulazione, la quale non esclude per altro di considerare poi il modo come il potere di inchiesta debba essere esercitato: «La Camera vota i bilanci, approva le leggi, concede amnistia, decide la guerra e la pace, ratifica i trattati internazionali ed esercita il potere di inchiesta».

LEONE GIOVANNI sarebbe favorevole all’abolizione dell’istituto dell’amnistia, limitandosi solo a quelli della grazia e dell’indulto. Ma, poiché la questione involge principî di carattere giuridico e politico del massimo interesse, crede che debba essere definita in altra sede.

PRESIDENTE domanda se si debba, oppur no, elencare in un articolo tutti i poteri della Camera salvo poi a definirli.

MORTATI, Relatore, ritiene che non si possa pregiudicare la sistemazione formale del punto in questione. Affermato il principio, sorge il problema che riguarda l’organizzazione dell’istituto ed il funzionamento. Crede che un articolo programmatico dell’attività dell’Assemblea sia superfluo e meglio sarebbe formulare tanti articoli per i vari poteri dell’Assemblea, specificando anche il modo di esercizio. Affermato ora il principio generale dell’esistenza del potere d’inchiesta nella Camera, si potrà vedere poi se tale potere dovrà essere organizzato costituzionalmente o rinviato ad una legge ulteriore.

PATRICOLO, richiamandosi all’ordine del giorno sui poteri e sulle funzioni della Camera, da lui presentato all’inizio della discussione sul potere legislativo, prospetta la doppia funzione della Camera: funzione legislativa e funzione di vigilanza e di controllo sugli organi dello Stato. In questa seconda funzione rientra appunto la questione delle Commissioni d’inchiesta.

PRESIDENTE aveva pensato che l’affermazione del diritto di inchiesta non dovesse restare a sé. Crede che proprio per dare alla Costituzione quel carattere di solennità incisiva che si ritiene necessario, si debba fissare in maniera parimenti incisiva quali sono i poteri ed i compiti dell’Assemblea. Gli sembra che non sia necessario che il cittadino italiano, per la formazione della sua coscienza civica, debba proprio conoscere in qual modo si autorizza una inchiesta e come la si porta a compimento.

Ad ogni modo, osserva che sarebbe bene precisare un indirizzo per la prosecuzione dei lavori della Commissione. Affermato il potere di inchiesta, si è entrati nel campo della competenza, dei limiti e delle funzioni. Crede che sarebbe meglio esaminare prima tutti i diritti della Camera. Quando saranno stati definiti questi, si passerà a determinare gli organi mediante i quali essa potrà esplicarli e si disciplinerà il loro funzionamento.

La seduta termina alle 11.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Castiglia, Einaudi, Farina, Fuschini, Piccioni, Porzio, Vanoni.

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

17.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – La Rocca – Mortati, Relatore – Grieco – Ambrosini – Conti, Relatore – Di Giovanni – Lusso – Leone Giovanni – Bozzi – Bulloni – Nobile – Uberti – Codacci Pisanelli – Tosato – Perassi – Fabbri – Mannironi – Ravagnan – Lami Starnuti – Calamandrei.

La seduta comincia alle 8.15.

Seguito della discussione sull’ordinamento costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione nella seduta odierna è chiamata ad esaminare la questione della verifica dei poteri presso la Camera. Il relatore onorevole Mortati ha predisposto il seguente articolo:

«Presso la Camera dei Deputati è istituito un tribunale per la verifica delle elezioni. Esso è composto da cinque membri, che rimangono in carica per la durata della legislatura, designati uno per ciascuno dai cinque Uffici parlamentari che hanno il maggior numero di membri scelti fuori del proprio seno, da cinque consiglieri di Stato scelti a sorte (oppure su votazione del Consiglio in assemblea plenaria) e presieduto dal Presidente della Corte di cassazione.

«Le decisioni sono prese a maggioranza con la procedura che sarà fissata da apposita legge».

Nota che la proposta mira a sovvertire radicalmente una vecchia tradizione in materia, poiché in generale le assemblee rappresentative hanno sempre preferito avocare a se stesse la verifica dei poteri dei propri membri.

L’altro relatore, onorevole Conti, ha invece proposto la seguente formula:

«La Camera verifica la validità dell’elezione dei deputati».

BULLONI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, sia perché la verifica dei poteri è stata sempre una peculiare prerogativa di ogni Assemblea legislativa, sia perché l’intervento dei consiglieri di Stato e del Presidente della Corte di cassazione in tale campo diminuirebbe il prestigio della Camera, quasi che essa non fosse capace di esprimere dal proprio seno un organo giurisdizionale competente, serio e superiore ad ogni sospetto.

Per tali considerazioni accetta invece la formula proposta dall’onorevole Conti, salva la sostituzione della parola «giudica» alla parola «verifica».

LA ROCCA è decisamente contrario alla proposta dell’onorevole Mortati per le stesse ragioni esposte dal precedente oratore.

MORTATI Relatore, chiarisce che la sua proposta muove soprattutto dalla esigenza della tutela delle minoranze da ogni possibile ingiustizia commessa a loro danno dalla maggioranza. Il sistema da lui proposto di accertamento giudiziario delle contestazioni in materia di elezioni è usato in Inghilterra, paese classico delle immunità parlamentari, ed è in relazione al principio che l’accertamento della regolarità delle elezioni è per sua natura intrinsecamente giurisdizionale.

Nell’altro dopo guerra molte nazioni europee hanno imitato l’esempio inglese che in passato era rimasto isolato o quasi: così oggi si ha una serie numerosa di Costituzioni che hanno fatto ricorso a tale istituto extra-parlamentare o, per dir meglio, para-parlamentare.

GRIECO ritiene che l’esperienza fatta in Italia con la Giunta delle elezioni non sia tale da consigliare di modificarne la forma e le funzioni. Ha avuto occasione di parlare sull’argomento con vecchi parlamentari: tutti hanno affermato che la Giunta delle elezioni ha sempre svolto il suo compito col più scrupoloso e disinteressato zelo. L’argomento della tutela delle minoranze non regge, perché nella Giunta delle elezioni le minoranze hanno avuto sempre una rappresentanza. Non è necessario, quindi, che tale organo sia soppresso: tutt’al più dovrebbe vedere accresciuti i suoi diritti di iniziativa, dei quali di solito esso non si serve, perché le sue decisioni sono prese soltanto dietro reclamo.

AMBROSINI rileva che la questione non va impostata dal punto di vista del principio della sovranità dell’Assemblea, che è fuori discussione. Tale sovranità si esplica nell’attività legislativa e nella funzione di controllo sugli atti del potere esecutivo, che è propria di ogni Assemblea parlamentare. Qui invece si tratta soltanto di accertare se le operazioni elettorali si siano svolte in conformità della legge e se colui che è stato eletto deputato possegga tutti i requisiti richiesti.

È una questione quindi di accertamento giuridico. Ciò considerato, se si vuole valorizzare l’attività giurisdizionale, senza menomare nello stesso tempo l’autorità dell’Assemblea, non c’è ragione di preoccuparsi per una eventuale modificazione dell’ordinamento esistente in materia i di verifica dei poteri.

Non è quindi contrario a che il giudizio in questo campo sia deferito ad un organo costituito da esponenti del potere giurisdizionale, pur con una notevole rappresentanza di membri dell’Assemblea legislativa.

CONTI, Relatore, è contrario alla proposta Mortati perché, tra tante cose non buone del passato regime parlamentare, il funzionamento della Giunta delle elezioni è stato sempre quello che ha dato minor materia di doglianze da parte della pubblica opinione e dei deputati, avendo sempre funzionato con sufficiente serenità e avendovi le minoranze trovato sempre un assoluto rispetto.

DI GIOVANNI non è favorevole alla proposta Mortati e ritiene che le giustificazioni da lui esposte non siano sufficienti a fargli mutare parere circa l’opportunità di conservare intatto l’attuale ordinamento relativo alla verifica dei poteri.

Non crede neppure che sia opportuna la proposta fatta dall’onorevole Bulloni, di sostituire cioè la parola «giudica» alla parola «verifica», perché il caso in esame implica proprio un processo di verifica delle condizioni di eleggibilità e della validità delle votazioni elettorali.

LUSSU si associa alle considerazioni fatte dai precedenti oratori in opposizione alla proposta Mortati, e aggiunge che la nuova forma di controllo auspicata dall’onorevole Mortati servirebbe a rendere più complessa ed estesa la burocrazia giurisdizionale.

LEONE GIOVANNI dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, richiamandosi a quanto ha giustamente osservato l’onorevole Ambrosini, che, cioè, non si tratta di limitare la sovranità dell’Assemblea legislativa, ma soltanto di risolvere un problema di carattere tecnico.

A suo avviso la Giunta delle elezioni non si può dire un organo esclusivamente giurisdizionale o parlamentare; il suo contenuto, infatti, è giurisdizionale, ma la sua disciplina non è tale. In ogni modo, non si può dubitare che, per verificare la validità delle elezioni, occorre spesso esaminare problemi di natura giuridica. Affinché un controllo di tale natura possa veramente aver luogo, il potere di effettuarlo dovrebbe essere affidato ad un organo giurisdizionale. Tutt’al più si potrebbe discutere della sua composizione, della proporzione, cioè, tra magistrati ed elementi parlamentari chiamati a costituirlo. A coloro che hanno mostrato di preoccuparsi della difesa delle prerogative della Camera, osserva che con la proposta dell’onorevole Mortati esse non sono diminuite; anzi la Camera, autolimitatosi in materia di verifica dei poteri, darebbe al Paese un grande esempio di serenità e di nobiltà di comportamento. Ciò che gioverebbe, non nuocerebbe al suo prestigio.

BOZZI è d’accordo sostanzialmente con l’onorevole Mortati per le ragioni esposte dall’onorevole Leone. Poiché si tratta di un’attività prettamente di carattere giurisdizionale, non vede perché tale attività non debba essere demandata ad un organo tecnicamente composto in modo tale da garantire il compiuto svolgimento delle sue funzioni.

Non contesta l’affermazione che la Giunta delle elezioni abbia finora funzionato bene, ma la vita parlamentare oggi si basa più che altro sulla rappresentanza dei partiti, sicché maggiormente si fa sentire la necessità di sottrarre la funzione squisitamente tecnica, giuridica e sostanzialmente giurisdizionale di verifica dei poteri all’eventuale influenza dei partiti stessi.

D’altra parte, come è stato giustamente rilevato dall’onorevole Ambrosini, il nuovo sistema non verrebbe a limitare la sovranità dell’Assemblea, in quanto ogni attività concernente la verifica dei poteri è anteriore alla regolare costituzione dell’Assemblea, da cui soltanto discende la sovranità di essa.

BULLONI fa rilevare che, con la proposta da lui fatta, l’attuale sistema di verifica dei poteri sarebbe sostanzialmente modificato. La Giunta delle elezioni, in altre parole, diventerebbe un organo giurisdizionale che emetterebbe sentenze e sarebbe chiamata a un senso di maggiore responsabilità, il che costituirebbe una più sicura garanzia per le minoranze.

NOBILE è contrario tanto alla proposta Mortati, quanto a quella Bulloni, visto che la Giunta delle elezioni ha sempre svolto i suoi compiti nel modo migliore.

UBERTI osserva che in realtà la Giunta delle elezioni non solo verifica, ma anche giudica, perché a volte funziona come organo di accertamento e altre volte, in sede di contestazione, come organo giurisdizionale.

GRIECO non trova giusta l’affermazione dell’onorevole Uberti, perché in definitiva la Giunta non fa che delle proposte, in merito alle quali è l’Assemblea che decide.

CONTI, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Bulloni di usare la parola «giudica», che gli sembra più adatta per un testo legislativo.

AMBROSINI è favorevole alla proposta dell’onorevole Bulloni, sul presupposto però che con essa si miri a fare della Giunta delle elezioni un organo giurisdizionale che decida in via definitiva, senza inviare proposte all’Assemblea.

PRESIDENTE esprime il suo pensiero personale.

Circa la valorizzazione, di cui si è parlato, dell’attività giurisdizionale, osserva che non è giustificato il proporsi tale scopo, almeno per ciò che riguarda la questione in esame.

La proposta fatta dall’onorevole Mortati sarebbe contraria all’esigenza che si è manifestata quasi generalmente, anche se non ha dato ancora i risultati auspicati, di limitare quanto più sia possibile l’istituzione di magistrature speciali.

A chi nega che una diminuzione della Camera deriverebbe dalla creazione del nuovo organo, osserva che sempre il togliere delle funzioni a un dato organo implica uno sminuirne l’autorità. Nel caso particolare lasciare alla Camera le attribuzioni in esame vorrebbe dire che nessuna autorità si pone al di sopra della Camera stessa, cioè al disopra della volontà degli elettori; e solo così il prestigio dell’Assemblea rimane intatto.

Riconosce che per i problemi esaminati dalla Giunta delle elezioni occorrono cognizioni di carattere giuridico, ma è appunto a tale scopo che i diversi gruppi parlamentari designano a far parte della Giunta deputati che abbiano la competenza necessaria, avvocati, professori di diritto o dottori in legge. In ogni modo gli interessati possono farsi assistere da legali.

Quanto alla tutela delle minoranze, su cui l’onorevole Mortati ha richiamato insistentemente l’attenzione, osserva che proprio nell’articolo da lui proposto è considerata una norma che sta ad indicare come di tale tutela egli si preoccupi sino ad un certo punto. Infatti, egli propone che i cinque deputati componenti il nuovo organo siano designati dai cinque gruppi che abbiano il maggior numero di membri, e quindi, in definitiva, da quei partiti che abbiano il maggior numero di rappresentanti, lasciando in disparte le minoranze che avrebbero bisogno di essere meglio tutelate.

Osserva infine che nel Parlamento italiano si è affermato un principio che, se non è codificato, ha non di meno un suo grande valore: il Parlamento si considera come una zona extra-territoriale; la Camera ha un’amministrazione sua e persino un suo piccolo governo interno, perché il Presidente emette autonomamente i suoi decreti. Il che sta a provare che la Camera ha una sovranità che non tollera neppure nelle cose di minore importanza una qualsiasi limitazione. Potrà trattarsi di una posizione di carattere simbolico; tuttavia essa significa che ogni intromissione, sia pure della magistratura, è da evitarsi.

Attraverso la Giunta delle elezioni, è ancora la massa dogli elettori che giudica la propria azione; quindi è proprio il principio della sovranità popolare che si afferma nuovamente nella verifica dei poteri.

Mette in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

(Non è approvato).

Mette in discussione la proposta dell’onorevole Bulloni di sostituzione della parola «giudica» alla parola «verifica», nell’articolo proposto dall’onorevole Conti.

CODACCI PISANELLI ritiene preferibile conservare il termine «verifica», per non pregiudicare la questione se si tratti o meno di svolgimento di un’attività giurisdizionale. Infatti, la Giunta deve accertare se esistono negli eletti determinati requisiti, ma per esplicare tale funzione non è necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria. In altri casi essa sarà chiamata a decidere delle controversie; ma anche allora non è detto che si tratti di funzioni giurisdizionali. Vi sono infatti anche altri organi che, nell’esercizio delle loro funzioni, risolvono controversie, senza che si possa parlare per essi di un’attività giurisdizionale vera e propria.

BOZZI preferisce il termine «verifica», perché indica più particolarmente la funzione di accertamento che la Camera nel caso in esame è chiamata a svolgere. In ogni caso, se si volesse sostituire la parola «giudica», dovrebbe essere ben chiaro che è la Camera la quale giudica definitivamente in Assemblea plenaria e non la Giunta delle elezioni.

DI GIOVANNI osserva che, se si vuol porre in rilievo che la Camera è chiamata anche ad esprimere giudizi su eventuali contestazioni, si può adottare la formula: «La Camera verifica la validità delle elezioni dei deputati e giudica sulle eventuali contestazioni».

BULLONI fa osservare che il concetto accennato dall’onorevole Di Giovanni è compreso nella parola «giudica».

TOSATO propone di sostituire alla parola «verifica» la parola «accerta», per precisare che si tratta di un giudizio di accertamento.

AMBROSINI è favorevole al mantenimento della dizione tradizionale, a cui dovrebbero essere aggiunte, secondo la proposta Di Giovanni, le parole esplicative: «e giudica sulle eventuali contestazioni».

BULLONI ritiene pleonastico dire che la Camera giudica nei casi di contestazione: sarebbe meglio usare l’espressione «verifica e giudica la validità delle elezioni».

LEONE GIOVANNI osserva che, dal punto di vista giuridico, il verificare è una delle fasi dell’attività giurisdizionale. Tale fase è anteriore all’altra in cui si emette il giudizio sulle eventuali contestazioni. Secondo il suo avviso, quindi, il verificare ed il giudicare non sono che due momenti di un’unica funzione. In ogni modo, per l’esattezza della espressione, ritiene più opportuna e comprensiva la parola «giudicare».

PERASSI è del parere che sia più opportuno mantenersi aderenti alle disposizioni vigenti che rispondono meglio allo scopo. In esse è stabilito che soltanto le due Camere sono competenti a giudicare della validità dei titoli dei loro componenti. Propone quindi la seguente formulazione: «La Camera è sola competente a giudicare della validità delle elezioni dei propri membri», che dovrebbe poi essere adottata anche per la seconda Camera.

LUSSU, contrario per principio ad includere nella Costituzione anche una sola parola non necessaria, trova pleonastica nella formula dell’onorevole Perassi la parola «sola».

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dall’onorevole Perassi, avvertendo che, ove questa sia approvata, tutte le altre proposte dovranno considerarsi assorbite.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che in sede di verifica dei poteri possono a volte essere accertate irregolarità che, pur essendo gravi, non sono tali però da provocare l’invalidazione di tutta l’elezione, ma pongono in cattiva luce colui che, in particolare, si è reso responsabile di questi fatti. Si domanda pertanto se in questi casi, in cui non si giunge all’estremo dell’invalidazione di tutta l’elezione, non sia opportuno dichiarare invalidata l’elezione del singolo che si è reso responsabile del fatto accertato.

PRESIDENTE osserva che nel caso accennato dall’onorevole Mortati, l’incertezza di quegli elementi, che in materia di regolarità dovrebbero portare all’invalidazione delle elezioni, potrebbe provocare un giudizio arbitrario dell’Assemblea. D’altra parte, di fronte a casi del genere, qualora fossero gravi, si avrebbe indubbiamente nel Paese un movimento dell’opinione pubblica per cui si potrebbe pervenire allo stesso risultato previsto dall’onorevole Mortati. Per queste considerazioni ritiene sia meglio non prendere alcuna decisione al riguardo.

Avverte che l’onorevole Mortati ha fatto un’altra proposta tendente all’inclusione, nella nuova carta statutaria, di un articolo così concepito: «Al momento di assumere l’esercizio delle loro funzioni i deputati presteranno giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana e di coscienzioso adempimento dei propri doveri».

CONTI, Relatore, dichiara di esservi contrario.

FABBRI domanda se non sia possibile escogitare una formula un po’ più lata, alla quale possano aderire anche i deputati che appartengano ai partiti di opposizione.

LEONE GIOVANNI è contrario alla formula del giuramento proposta, perché vincolerebbe la libertà dei deputati. Il giuramento di osservare la Costituzione potrebbe essere in aperto contrasto con il mandato di coloro che fossero eletti deputati per chiedere appunto la modifica della Costituzione stessa, il che non potrebbe essere impedito. Si può obiettare che la nuova Costituzione stabilirà una procedura speciale per la sua modifica; ma è da osservare che l’espressione: «giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana» potrebbe essere interpretato nel senso che, finché non fosse approvata una nuova Costituzione, non si potrebbe far valere, attraverso il mandato parlamentare, l’intenzione di modificare quella in vigore.

LUSSU dichiara di appartenere a quel numero di persone, forse ingenue, che attribuiscono al giuramento un valore notevole. Il giuramento, se prestato come deve essere, è cosa estremamente seria, che impegna la moralità e l’azione del cittadino. Ricorda esempi nobilissimi di uomini politici che, nel passato, per non compiere un atto solenne contrario alla loro coscienza, rifiutarono il mandato di deputato. Altri invece, fra i quali egli stesso, preferirono giurare con riserva mentale, ritenendo più opportuno esercitare il mandato per il quale gli elettori li avevano eletti deputati.

PERASSI ricorda che questi fatti si verificarono in passato per la posizione assunta da coloro che in quell’epoca rappresentavano l’idea repubblicana. Per coerenza a tale idea, contraria al vincolo del giuramento per i deputati, dichiara che non è favorevole a che sia introdotto nella nuova Costituzione l’obbligo del giuramento.

FABBRI fa presente che è necessario tener conto della situazione del Paese, anche in ordine ai risultati del referendum istituzionale, e non si può quindi imporre l’obbligo del giuramento, che in molti casi rappresenterebbe una presumibile coercizione morale.

Se, tuttavia, la maggioranza dei presenti ritenesse indispensabile fissare nella Costituzione tale obbligo, esso dovrebbe essere limitato alla sola osservanza delle leggi.

NOBILE è del parere che l’obbligo del giuramento debba essere nettamente stabilito nella Costituzione, e non è d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Perassi a proposito dell’idea repubblicana: in passato la repubblica era soltanto una aspirazione al progresso; oggi che si è finalmente realizzata, concedere che non si giuri ad essa fedeltà sarebbe cosa del tutto assurda. Propone perciò la seguente disposizione: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica italiana e ogni riserva mentale viene considerata disonorevole».

GRIECO è favorevole all’obbligo del giuramento, che, se è un atto simbolico, ha pure un grande valore politico. Se dovranno giurare gli impiegati, i militari, i magistrati, ecc., dovranno farlo anche i deputati.

Perciò la questione va posta in relazione con le decisioni che saranno prese in altri campi.

CONTI, Relatore, precisa che è nettamente contrario al vincolo del giuramento, in quanto ritiene che il deputato debba avere la più ampia libertà di esercitare il mandato che gli è stato affidato dagli elettori. I casi presi in considerazione dall’onorevole Grieco non possono essere accomunati con la posizione del deputato, poiché in quelli c’è un rapporto di dipendenza, mentre lo stesso non si può dire per la carica di deputato. I deputati non sono dei funzionari che servono un dato regime, ma solo uomini che liberamente contribuiscono all’opera svolta dallo Stato con la loro cultura e la loro esperienza.

MORTATI, Relatore, osserva che la questione in esame è in relazione con altri problemi che non ancora sono stati risolti. In primo luogo, quando si parla di fedeltà alla Costituzione repubblicana, sorge il quesito se nella Costituzione debba oppur no introdursi un limite assoluto come quello accolto dalla Costituzione francese, cioè una norma precisa che vieti il cambiamento della forma dello Stato. Indubbiamente è un’assurdità pensare che la forma statale possa essere modificata mediante un decreto del presidente della Repubblica; tuttavia resta da esaminare la questione dell’opportunità di introdurre nella Costituzione una norma di quel tipo. In ogni modo, se essa dovesse essere adottata, si renderebbe necessario un impegno di fedeltà da parte dei deputati alla forma repubblicana.

In secondo luogo la finalità del giuramento sarebbe quella di impegnare il deputato ad esercitare il suo mandato soltanto nelle forme e secondo gli indirizzi voluti dalla Costituzione, mentre lo lascerebbe libero di proporre ogni eventuale modificazione nelle forme consentite dalla Costituzione stessa. In sostanza, si mira ad impegnare all’astensione dall’azione illegale.

TOSATO si associa alle considerazioni fatte dall’onorevole Mortati.

BULLONI è dell’avviso che l’obbligo del giuramento debba essere sancito nella Costituzione e propone pertanto la seguente formula: «I deputati giurano fedeltà alle leggi della Repubblica».

PRESIDENTE pone ai voti la questione di principio: se, cioè, debba introdursi nella Costituzione l’obbligo per i deputati di giurare al momento di assumere l’esercizio delle loro funzioni.

(È approvata).

Invita quindi la Sottocommissione a stabilire la formula del giuramento.

LEONE GIOVANNI propone la seguente formula: «I deputati giurano di esercitare il loro mandato nei limiti della Costituzione».

GRIECO propone la dizione: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi».

NOBILE accetta la formulazione dell’onorevole Grieco, rinunciando alla propria.

FABBRI ricorda che la formula del giuramento richiesta durante il regime fascista per l’esercizio dell’avvocatura non era affatto vincolante della coscienza politica del cittadino. Viceversa, la formula proposta dall’onorevole Grieco mira ad escludere recisamente tutti coloro che non siano favorevoli alla forma repubblicana dello Stato, il che gli sembra non molto democratico.

MORTATI, Relatore, suggerisce di limitarsi per ora ad affermare il principio della obbligatorietà del giuramento, perché ogni questione in merito alla formula da adottarsi potrebbe più facilmente essere risolta dopo che siano definitivamente stabiliti i lineamenti della nuova Costituzione.

LUSSU obietta che la Sottocommissione dovrebbe sempre arrivare a delle decisioni, evitando quanto più è possibile il rinvio delle questioni esaminate.

DI GIOVANNI reputa che il giuramento, una volta che la Sottocommissione a maggioranza ha affermato il principio che esso debba essere richiesto, debba logicamente riguardare la fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi.

PRESIDENTE osserva che le proposte in discussione possono raccogliersi in due gruppi: quelle con le quali si vuole che il giuramento implichi il rispetto delle istituzioni repubblicane come forma dello Stato e quelle con le quali si vorrebbe che fosse limitato alla osservanza delle leggi. Crede che intanto la Sottocommissione potrebbe decidere quali dei due criteri accogliere, salvo ad accettare, per quel che riguarda la formulazione definitiva della norma, il suggerimento dell’onorevole Mortati.

NOBILE chiede che la votazione avvenga per appello nominale.

LEONE GIOVANNI nota che il Presidente ha posto la questione nei suoi giusti termini, scindendo in due gruppi le proposte. Ritiene però che si renda sempre più indispensabile la sospensiva proposta dall’onorevole Mortati. Difatti non si potrebbe non votare una delle formule del primo gruppo – quelle che contengono un impegno di fedeltà verso la Repubblica – nel caso che nella Costituzione fosse introdotto il principio dell’inammissibilità di una modificazione della forma istituzionale. Viceversa, nel caso che tale principio non fosse affermato, introdurre una formula del tenore di quelle del primo gruppo rappresenterebbe un contrasto con la Costituzione stessa.

PRESIDENTE rileva che anche il problema della modifica in via legale della forma dello Stato è materia di esame della Sottocommissione, onde cadrebbe il motivo del rinvio, accennato dall’onorevole Mortati. Naturalmente non si può sapere ancora quale decisione sarà presa sull’argomento, ma ogni Commissario saprà fin da ora quale posizione assumerà di fronte al problema anzidetto, e con il voto odierno non si farà che anticiparne in parte la risoluzione.

È evidente che chi voterà la formula che implichi fedeltà alle istituzioni repubblicane intenderà sostenere la tesi che non si possa perseguire un mutamento della forma dello Stato per via legale.

LUSSU ritiene che non ci sia notevole differenza fra il giuramento di fedeltà alla Repubblica e quello di osservanza alle sue leggi.

PRESIDENTE ripete che nella Costituzione francese è detto esplicitamente che non si può chiedere la modifica della forma istituzionale dello Stato e si sbarra così la via ad ogni mezzo legale, sicché rimane solo quella dell’insurrezione.

L’onorevole Lussu, con le sue considerazioni, dà per risolta una questione che, invece, è ancora da risolvere: quella dell’introduzione di una norma analoga nella nostra Costituzione. Personalmente ritiene che sia consigliabile, allo stato attuale delle cose, accogliere la proposta di rinvio dell’onorevole Mortati.

LUSSU non comprende, una volta che la maggioranza ha votato per l’obbligo del giuramento, come si possa introdurre nella Costituzione una norma qualsiasi che consenta di rovesciare la Repubblica. Per evitare questo controsenso, il giuramento deve necessariamente essere di fedeltà alla Repubblica.

PRESIDENTE torna a chiarire che, per il momento, si è approvato soltanto l’obbligo del giuramento per i deputati; ma resta ancora da stabilirne il contenuto.

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati di sospendere ogni decisione in merito alla formula da usarsi per il giuramento fino a quando non sarà stabilito se nella Costituzione debba o non debba essere introdotta una norma relativa alla possibilità di modificare per via legale la forma istituzionale dello Stato.

(Non è approvata).

PRESIDENTE avverte che si deve ora decidere la formula da usarsi per il giuramento: se cioè esso debba riferirsi alla forma istituzionale repubblicana o all’osservanza soltanto delle leggi.

LEONE GIOVANNI ritiene che nella formula da lui proposta: «I deputati giurano di esercitare il mandato nei limiti della Costituzione», si possa trovare la confluenza delle opposte tesi. Per essa il deputato potrà sempre esercitare il suo mandato nella maniera più insindacabile, purché non violi i confini della Costituzione. Se poi nella Costituzione verrà introdotta una norma sulla impossibilità di variare la forma dello Stato, è chiaro che una tale norma varrà anche per il deputato a delimitare la sua azione politica.

DI GIOVANNI ritiene che la formula del giuramento debba essere lineare, precisa. Direbbe pertanto che i deputati debbono prestare giuramento «alla Repubblica e alle sue leggi».

BOZZI propone la seguente dizione: «I deputati prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione dello Stato». In tali parole è implicito il concetto di fedeltà alla Repubblica.

PRESIDENTE crede opportuno, per risolvere la questione più rapidamente, ridurre le proposte a due formule che si contraddistinguano per la presenza o meno della parola «Repubblica». Esse potrebbero essere quella dell’onorevole Bozzi: «I deputati prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione dello Stato» e quella dell’onorevole Grieco: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica e alle sue leggi».

LEONE GIOVANNI si associa alla formula proposta dall’onorevole Bozzi e ritira quella da lui presentata.

TOSATO propone che alla parola «Repubblica» sia aggiunta la parola «democratica».

GRIECO accetta l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato.

PRESIDENTE mette in votazione, per appello nominale, le due formule di giuramento proposte rispettivamente dall’onorevole Grieco, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato, e dagli onorevoli Bozzi e Leone Giovanni.

UBERTI, per dichiarazione di voto, si professa, e non da oggi, repubblicano; ma, poiché è contrario al giuramento dei deputati, si asterrà dalla votazione.

MANNIRONI dichiara, associandosi all’onorevole Uberti, che si asterrà dal voto.

Votano a favore della proposta dell’onorevole Grieco i deputati: Bocconi, Bulloni, Calamandrei, De Michele, Di Giovanni, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Ravagnan, Terracini e Tosato.

Votano a favore della proposta degli onorevoli Bozzi e Leone Giovanni i deputati: Ambrosini, Bozzi, Codacci Pisanelli, Leone Giovanni.

Si astengono dalla votazione i deputati: Fabbri, Mannironi, Perassi, Uberti.

Non partecipano alla votazione i deputati: Cappi, Conti, Piccioni.

PRESIDENTE dichiara che la formula dell’onorevole Grieco, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato, è stata approvata con 14 voti favorevoli contro 4 contrari e 4 astenuti.

Domanda all’onorevole Nobile se, ritirando la formula da lui proposta, ha inteso rinunziare anche alle parole «Ogni reticenza mentale viene considerata disonorevole».

NOBILE dichiara di rinunciarvi.

PRESIDENTE apre la discussione sul seguente articolo proposto dall’onorevole Mortati:

«La durata della legislatura è di quattro anni a datare dal giorno della sua prima convocazione». Fa osservare all’onorevole Mortati che è necessario cambiare la durata della legislatura portandola a cinque anni, in relazione alla durata del mandato parlamentare che è stata fissata in un quinquennio.

LUSSU ritiene inutile dire che la legislatura comincia «dal giorno della sua prima convocazione», per quella economia di parole che serve a dare maggiore solennità alla Costituzione.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che la redazione definitiva della Costituzione non è affidata alla seconda Sottocommissione, ma alla Commissione plenaria.

Mette frattanto in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Mortati, con l’emendamento sostitutivo dei «quattro anni» con «cinque anni».

(È approvato).

Apre la discussione sul seguente articolo proposto dall’onorevole Mortati: «I deputati rappresentano la Nazione nel suo insieme».

MORTATI, Relatore, osserva che qui si dovrebbe affrontare la questione del divieto del mandato imperativo. Sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme. Si domanda se la disposizione da lui proposta si possa omettere o meno, perché potrebbe anche assumere una particolare importanza, se, ad esempio, si facesse del Senato la rappresentanza della regione o di categorie, e perché non si può dimenticare che oggi i deputati sono espressione dei partiti con i quali hanno un diretto legame. Sta di fatto che il problema esiste ed ha anche avuto un riflesso negli ordinamenti in cui è stabilita la decadenza del deputato quando è sconfessato dal suo partito.

PRESIDENTE ritiene che la disposizione in esame si potrebbe omettere. Essa poteva avere la sua ragion d’essere nei tempi passati e col collegio uninominale, quando il deputato si sentiva anche rappresentante di interessi di classe o vincolato al partito che ne aveva proposta e sostenuta la candidatura e quando la rappresentanza era circoscritta al collegio. Conviene comunque con l’onorevole Mortati che la questione non è di facile risoluzione e che qualsiasi disposizione, inserita nella Costituzione, non varrebbe a rallentare i legami tra l’eletto ed il partito che esso rappresenta, o tra l’eletto e i comitati sorto per sostenere la sua candidatura.

MANNIRONI desidererebbe che nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, o eventualmente in un altro, fosse espressamente stabilito che il deputato possa liberamente esercitare il suo mandato senza vincoli di sorta.

FABBRI osserva che la questione si potrebbe semplificare, discutendo se si debba oppor no introdurre nella Costituzione la vecchia formula dello Statuto Albertino, nella quale espressamente si vietava il mandato imperativo da parte degli elettori. In ogni modo è favorevole all’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

DI GIOVANNI ritiene che il concetto espresso nell’articolo in questione venga a caratterizzare la rappresentanza politica. Dire, infatti, che i deputati sono i rappresentanti della Nazione equivale a dire che essi sono rappresentanti politici. C’è anche un’altra rappresentanza, quella organica degli interessi, che può trovar posto in altra sede, ad esempio nella seconda Camera.

LUSSU ritiene indispensabile introdurre in un articolo della Costituzione il concetto di rappresentanza nazionale del deputato. Ricorda che nel passato essa si intendeva come ammessa; tuttavia vi furono lunghe ed aspre discussioni per stabilire se il deputato rappresentasse il suo collegio o la Nazione. Se, come è probabile, si arriverà ad una Costituzione dello Stato su basi regionalistiche o autonomistiche, sarà necessario affermare, nella nuova Carta statutaria, che il deputato rappresenta la Nazione, e ciò per ovvie ragioni di opportunità.

BOZZI si associa a quanto ha detto l’onorevole Lussu: crede indispensabile introdurre nella Costituzione una norma nel senso indicato, in vista della struttura regionale dello Stato. Nel vecchio Statuto c’era e il non volerla includere nel nuovo potrebbe avere un significato lontano dagli intendimenti della Sottocommissione.

PRESIDENTE, per risolvere la questione in esame, mette in votazione la seguente dizione contenuta nel progetto dell’onorevole Conti e assorbente quella proposta dall’onorevole Mortati: «I deputati sono i rappresentanti della Nazione».

(È approvata).

Apre la discussione sulla seguente formula proposta dall’onorevole Conti: «I deputati esercitano liberamente la loro funzione», formula che preclude la possibilità di un mandato imperativo.

LUSSU ritiene implicito che l’esercizio della funzione di deputati sia libero.

MANNIRONI dichiara che l’avverbio «liberamente» non gli sembra pleonastico: proporrebbe anzi che dopo le parole: «esercitano liberamente le loro funzioni» si aggiungessero le altre: «e senza vincoli di mandato».

LUSSU ritiene che l’onorevole Conti, con la parola «liberamente», abbia inteso indicare la libertà assoluta. Ciò rende impossibile che il deputato sia perseguito penalmente per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari. Difatti, l’articolo proposto dall’onorevole Conti così prosegue: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati».

BOZZI ritiene che l’espressione «liberamente» abbia un contenuto più ampio di quello racchiuso nel concetto di mandato, e debba intendersi nel senso di «libertà assoluta», onde è inutile aggiungere le parole: «senza vincoli di mandato».

GRIECO è contrario a includere la formula «senza vincoli di mandato», perché, a suo avviso, i deputati sono tutti vincolati ad un mandato: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma, un orientamento politico particolare. Con l’aggiunta proposta dall’onorevole Mannironi si favorirebbe il sorgere del malcostume politico.

MORTATI, Relatore, fa presente che nell’ultimo articolo da lui proposto e non approvato dalla Sottocommissione, si era astenuto dall’introdurre l’avverbio «liberamente», pensando che esso potesse riferirsi tanto alle opinioni espresse dai deputati, quanto ai rapporti tra deputati ed elettori o partiti. Ciò per non pregiudicare una questione che dovrà essere risolta in un secondo momento: quella dei rapporti tra deputati ed elettori. Difatti si dovrà decidere se includere o meno nella Costituzione il criterio della revocabilità del mandato da parte degli elettori.

LUSSU dichiara di essere contrario all’uso della parola «liberamente», poiché crede che con essa possano sorgere dubbi di interpretazione.

PRESIDENTE mette in votazione la formula: «I deputati esercitano liberamente la loro funzione».

(È approvata).

MANNIRONI insiste sulla sua proposta di aggiungere, alla formula approvata, l’espressione: «senza vincoli di mandato».

FABBRI propone, qualora fosse accolta l’aggiunta dell’onorevole Mannironi, di farla seguire da un punto e virgola e dall’espressione: «nessun mandato imperativo può darsi dagli elettori».

MANNIRONI dichiara di non aver nulla in contrario alla proposta fatta dall’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta alle parole: «i deputati esercitano liberamente la loro funzione», delle seguenti, proposte dagli onorevoli Mannironi e Fabbri: «e senza vincoli di mandato; nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori».

(È approvata).

Avverte che le successive proposte si riferiscono alle immunità parlamentari. Si ha al riguardo una formulazione proposta dall’onorevole Conti e così concepita:

«I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati se non in flagranza di reato. Non possono essere arrestati neppure in esecuzione di sentenza di condanna, né possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera».

Un’altra formula, suggerita dall’onorevole Mortati, è del seguente tenore:

«I deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale, né essere privati della loro libertà personale, neanche in esecuzione di sentenza penale, senza l’autorizzazione della Camera. L’autorità, che abbia proceduto all’arresto di un deputato in caso di flagrante reato, deve darne senza alcun indugio comunicazione alla Presidenza della Camera che promuove l’immediata deliberazione dell’Assemblea».

BULLONI ravvisa l’opportunità di porre un limite alla possibilità di arresto del deputato durante l’esercizio del suo mandato, anche nel caso di flagranza di reato. Ci sono infatti reati di tenuissima importanza per i quali è consentito l’arresto nel caso di flagranza. Del pari gli sembra eccessivo l’arresto del deputato in flagranza di altri reati, per cui attualmente è obbligatoria l’emissione del mandato di cattura, come ad esemplificazione del reato di lesioni gravi.

Per evitare simile inconveniente, si dovrebbe stabilire che l’arresto, in caso di flagranza, debba essere limitato ai soli reati di competenza della Corte d’assise.

LEONE GIOVANNI trova eccessiva la innovazione disposta negli articoli proposti dagli onorevoli Conti e Mortati, relativamente all’immunità anche nel caso di esecuzione di sentenza penale. È d’accordo, per quanto concerne l’arresto preventivo, che occorra l’autorizzazione a procedere, ma, nel caso di arresto per esecuzione di un giudicato penale, non dovrebbero essere posti limiti al diritto dello Stato di immediata esecuzione del giudicato stesso. E ciò anche perché ci si può trovare di fronte al caso limite di un deputato che venga confermato per una serie di legislature, nei cui confronti quindi non si potrebbe mai eseguire, senza l’autorizzazione della Camera, l’ordine di arresto in esecuzione di una condanna.

Gli articoli proposti dagli onorevoli Conti e Mortati mirano naturalmente ad impedire che un atto dell’autorità giudiziaria o di polizia possa essere ispirato da una valutazione o da un orientamento politico e avere lo scopo di rendere impossibile ad un deputato la libera esplicazione del suo mandato parlamentare. Tale criterio però non soccorre nei confronti dell’esecuzione di un giudicato, perché questo presuppone l’esistenza di un processo e l’emanazione di una sentenza passata in giudicato, tutti atti che debbono essere accompagnati da quel senso di indipendenza che è una delle caratteristiche peculiari della magistratura.

Osserva poi, riferendosi alla proposta dell’onorevole Bulloni, che forse non sarebbe male porre un limite alla possibilità di arresto del deputato in caso di flagranza di reato e suggerisce di stabilire che il deputato non possa essere arrestato in flagranza se non per un reato per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura.

DI GIOVANNI è favorevole ad un maggiore ampliamento delle immunità parlamentari. In considerazione di ciò aggiungerebbe alle ultime parole degli articoli proposti: «senza l’autorizzazione della Camera», le seguenti: «la quale pronuncerà anche sulla convalida o meno dell’arresto in caso di flagranza». Ritiene infatti che l’intervento della Camera sia necessario non soltanto per concedere l’autorizzazione a procedere e ad emettere un mandato di cattura, ma anche per convalidare l’arresto in flagranza.

PRESIDENTE fa presente che una disposizione del genere è contenuta nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, avverte che nell’articolo da lui proposto ha omesso di proposito l’espressione: «durante la sessione», contenuta nello Statuto Albertino, considerando che il redattore di tale statuto evidentemente stimava che l’attività del deputato consistesse soltanto in quella che di solito egli esplica nel momento in cui i lavori parlamentari sono in corso. La sua opinione personale è, invece, che l’attività del deputato abbia una sfera più ampia e non si esaurisca in quella svolta nell’ambito dell’aula della Camera.

Dichiara poi che non può accogliere la proposta dell’onorevole Leone. Innanzi tutto l’accertamento relativo alla natura del reato dovrebbe esser fatto dall’agente di pubblica sicurezza perché, se ci si rimettesse alla convalida del giudice, questa si avrebbe senza dubbio dopo quella fatta dalla Camera dei Deputati, dato che nell’articolo da lui proposto si prescrive l’immediato avviso alla Camera da parte della autorità e l’immediata deliberazione dell’Assemblea.

LEONE GIOVANNI osserva che l’onorevole Di Giovanni ha sollevato un’altra questione, quella cioè della necessità o meno di stabilire che l’autorizzazione a procedere debba riferirsi non solo alla promozione dell’azione penale, ma anche alla libertà di esecuzione dell’arresto. Così, per esempio, recentemente nel caso dell’onorevole Gallo, il Relatore Rubilli si è posto il problema se l’autorizzazione a procedere doveva intendersi implicitamente anche come autorizzazione alla libera esecuzione del mandato di cattura.

Desidera pertanto di richiamare l’attenzione della Sottocommissione sulla necessità di esaminare la questione se convenga parlare soltanto di autorizzazione a procedere o si debba specificare che l’autorizzazione stessa occorre in ambedue i casi accennati.

Circa la sua proposta e le obiezioni che ad essa sono state fatte dall’onorevole Mortati, ricorda che nella legislazione attuale, l’arresto in flagranza non è consentito per tutti i reati, ma solo in relazione alla possibilità di emettere il mandato di cattura. Esiste dunque già nella nostra legislazione il sistema di demandare, sia pure in maniera imperfetta ed imprecisa, all’autorità di polizia una prima valutazione dei reati al fine di accertare se per essi possa aver luogo l’arresto in flagranza.

LUSSU ritiene che le garanzie delle immunità parlamentari debbano essere concesse non soltanto in periodo di sessione, ma in qualsiasi momento, fino alla scadenza del mandato parlamentare. Accedendo alla proposta di allargare il campo delle immunità, pensa che si potrebbe in parte raggiungere lo scopo, sostituendo alle parole «in flagranza di reato» le altre «in flagranza di delitto», perché sotto la denominazione di reati vengono comprese anche le contravvenzioni. Viceversa non crede si possa dare eccessivo peso alle osservazioni dell’onorevole Bulloni circa alcuni reati particolarmente lievi. L’essenziale è che il deputato non commetta nessun delitto; ma, se ne commette, deve ricadere sotto la legge comune e non godere di una situazione di privilegio.

Quanto all’affermazione che i deputati non debbano essere arrestati, neppure in esecuzione di sentenza di condanna, osserva che non comprende esattamente a quale sentenza di condanna si riferisca tale affermazione. Se si prevede il caso di un deputato condannato per una azione penale ed arrestato prima della sua elezione, bisogna tener presente che in tale caso interviene la Camera in sede di convalida: è essa che deciderà se il deputato dovrà essere immediatamente rimesso in libertà oppure no.

DI GIOVANNI, aderendo a quanto ha detto l’onorevole Leone, propone un emendamento all’articolo formulato dall’onorevole Conti: sostituire alle parole «non possono essere arrestati se non in flagranza di reato» le altre: «non possono essere arrestati se non in flagranza di delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura». Completa poi l’altro emendamento già da lui proposto, nel senso di aggiungere alle ultime parole dell’articolo stesso: «senza autorizzazione della Camera», le seguenti: «la quale pronuncerà anche sulla convalida o meno dell’arresto in flagranza e sulla autorizzazione al mandato di cattura».

Ritiene che con questi emendamenti i limiti della immunità parlamentare siano meglio delineati.

BULLONI ritiene che gli emendamenti proposti dall’onorevole Di Giovanni non siano sufficienti a garantire le immunità parlamentari, tenuto presente il fatto che vi sono dei reati per i quali è obbligatoria l’emissione del mandato di cattura, pure essendo reati di una entità non rilevante, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, e tali che per essi non sembra giustificata un’eccezione al principio generale della immunità parlamentare. Per questi casi ritiene che sia meglio escludere in maniera assoluta la possibilità di arresto di un deputato anche nel caso di flagranza. Insiste quindi nella proposta formale già fatta in questo senso.

NOBILE dichiara che non è favorevole a un troppo largo ampliamento delle immunità parlamentari, perché i deputati non debbono essere incoraggiati a perdere il dominio di se stessi ed essere indotti così ad atti inconsulti: ogni deputato deve essere di esempio agli altri cittadini non solo nella sua condotta politica, ma anche negli atti della, sua vita privata. Per tali considerazioni è contrario alla proposta fatta dall’onorevole Bulloni.

PERASSI desidera fare una sola osservazione. Lo scopo dell’arresto in flagranza, infatti, può essere non soltanto quello di impadronirsi del colpevole, ma anche quello di impedire che la giustizia si compia contro di lui in altro modo. L’esclusione dell’arresto in flagranza potrebbe produrre l’effetto di esporre il deputato al pericolo di un linciaggio.

LA ROCCA ritiene che il principio della immunità parlamentare sia ispirato non già al criterio di creare una posizione di privilegio al deputato nei confronti delle supreme esigenze della giustizia, bensì a quello di garantirlo da una eventuale sopraffazione di carattere politico.

Dichiara quindi di essere favorevole alla concessione della immunità più piena: ciò non significa però che, qualora un deputato diventi un criminale, la giustizia nei suoi confronti non debba avere il suo corso. Ciò che a suo avviso occorre evitare è che in un periodo di lotte sociali, quali quelle che si svolgono presentemente, un deputato possa essere vittima di una provocazione. Infatti, se si adottasse il principio che in flagranza di reato il deputato possa essere arrestato, ogni deputato potrebbe diventare preda di un agente provocatore, a meno che non si voglia giungere alla limitazione proposta dall’onorevole Di Giovanni, che cioè un deputato non debba essere arrestato se non per i delitti per i quali sia obbligatorio il mandato di cattura. Ma a ben considerare, neanche l’aggiunta proposta dall’onorevole Di Giovanni è sufficiente allo scopo: difatti può darsi sempre il caso che un deputato sia aggredito e che, per difendersi, compia un atto assai grave di quelli per cui sia appunto obbligatorio il mandato di cattura. Per tali ragioni, a suo avviso, il giudizio dovrebbe essere sempre riservato all’organo competente della Camera, cioè alla Commissione per l’autorizzazione a procedere. In altre parole, l’arresto del deputato non dovrebbe essere possibile se non quando si avesse l’apposita autorizzazione da parte dell’organo competente.

MANNIRONI è d’accordo sul concetto che debba essere assicurata l’immunità parlamentare nella forma più larga. Ritiene quindi che sia da escludersi la possibilità di arresto del deputato anche in flagranza di reato. Con questa immunità non si altera sostanzialmente l’ordine giuridico, perché anche se un deputato abbia commesso un reato per il quale è facoltativo o obbligatorio il mandato di cattura, la possibilità di perseguirlo in giudizio non è mai esclusa; sarà la Camera che, con il suo organo competente, metterà in grado l’autorità giudiziaria di perseguire il colpevole, dopo aver valutato le condizioni di fatto riferite nella denuncia. Il fatto che il deputato sia in libertà fra il momento del reato e il momento in cui si decide della sua sorte da parte della Camera non importa alcun pericolo sociale né altera l’ordine giuridico.

È anche del parere che, di fronte ad un delitto, sia pure grave, commesso da un deputato, l’arresto non possa essere eseguito dall’autorità di pubblica sicurezza, ma debba essere reso possibile alla autorità giudiziaria dall’autorizzazione della Camera.

Non è infine d’accordo con l’idea dell’onorevole Leone di modificare la formula adottata dall’onorevole Conti, per la quale i deputati non possono essere arrestati neppure in esecuzione di sentenza di condanna. Vero che in caso di esecuzione di sentenza di condanna, tutte le fasi del giudizio si dovrebbero presumere esaurite, e che il giudicato dell’autorità giudiziaria deve essere rispettato anche in sede parlamentare: tuttavia gli pare che non sia male riservare alla Camera dei deputati il potere di decidere dell’arresto di un suo membro, anche in caso di esecuzione di sentenza di condanna. La Camera dei deputati non potrà mai intervenire per modificare il giudicato dell’autorità giudiziaria; ma interverrà, se mai, per fare sospendere l’esecuzione della condanna; e i motivi per i quali tale sospensione può essere accordata, come è noto, sono numerosi.

Alla formula proposta dall’onorevole Conti, là dove è detto: «Non possono essere sottoposti a procedimento penale» proporrebbe di aggiungere «né a perquisizione domiciliare», perché se ci si preoccupa della libertà personale del deputato, per la stessa ragione ci si dovrà preoccupare della inviolabilità del suo domicilio. Ricorda che nel passato gravi abusi furono commessi in proposito da parte delle autorità di pubblica sicurezza, e appunto per evitare che possano ancora verificarsi, crede opportuno proporre l’aggiunta anzidetta.

FABBRI dichiara che certamente non gli è ignota la differenza che passa fra contravvenzione e delitto; pur tuttavia non è molto favorevole alla proposta di sopprimere la formula tradizionale della «flagranza di reato». Se dovesse essere accolta l’altra, che i deputati non debbano essere arrestati nemmeno in flagranza di delitto, l’impressione che proverebbe il popolo alla lettura di una simile norma sarebbe pessima. Perciò si atterrebbe alla formula tradizionale, che cioè non possa essere arrestato un deputato se non in flagranza di reato.

In ogni modo, poiché si tratta di un testo che dovrà essere conosciuto dal popolo, non avrebbe difficoltà a dire «in flagranza di grave reato», espressione che certo non ha un valore tecnico, ma che meglio dell’altra può significare per l’uomo comune che il deputato non è sottratto all’arresto almeno per fatti di una grave entità. Non è d’accordo sulla questione sollevata dall’onorevole Leone a proposito della esecuzione della sentenza di condanna, perché assai comune è il caso in cui è consentita, anche su richiesta dello stesso interessato, l’autorizzazione a procedere – ad esempio per un giudizio di diffamazione – e può intervenire una sentenza di lieve condanna. Ora, è inammissibile che in esecuzione di una tale sentenza possa aver luogo l’arresto.

RAVAGNAN ritiene che in un articolo della Costituzione non debbano essere introdotte disposizioni troppo dettagliate. Per la questione in esame basterebbe preoccuparsi soltanto di garantire il deputato dagli arresti arbitrari e dalle sopraffazioni politiche, concetto che potrebbe essere espresso in una norma così concepita: «Durante l’esercizio del mandato i deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera».

PRESIDENTE riassume le questioni controverse che sono le seguenti:

1°) se l’immunità debba aver vigore per tutta la durata della legislatura o debba subire un’interruzione nell’intervallo fra le sessioni;

2°) se per l’arresto in esecuzione di sentenza penale si debba richiedere l’autorizzazione della Camera;

3°) delimitazione dei casi in cui la flagranza deve avere efficacia o meno per procedere all’arresto del deputato;

4°) proposta di estendere l’immunità anche al domicilio del deputato.

Relativamente alla prima questione, mette ai voti la proposta che l’immunità duri per tutto il tempo della legislatura e quindi anche nell’intervallo tra le sessioni.

(È approvata).

Osserva, circa la seconda questione, se cioè occorra l’autorizzazione della Camera anche per arresto derivante da esecuzione di sentenza penale, che si fa qui riferimento sia ad una sentenza penale pronunciata in base ad autorizzazione già concessa, che ad una sentenza penale pronunciata prima o dopo l’elezione per procedimento già in corso, per il quale non è stata necessaria l’autorizzazione a procedere.

Ricorda, a questo proposito, la formula proposta dall’onorevole Mortati, secondo la quale i deputati non possono essere privati della libertà personale neanche in esecuzione di sentenza penale senza l’autorizzazione della Camera; ed aggiunge che l’onorevole Di Giovanni ha presentato un emendamento che coincide con tale punto di vista.

Mette in votazione la proposta che i deputati non possano essere privati della loro libertà personale neanche in esecuzione di sentenza penale senza l’autorizzazione della Camera.

(È approvata).

Domanda se, circa la terza questione, relativa alla delimitazione dei casi in cui la flagranza deve avere efficacia o meno per procedere all’arresto del deputato, debba essere o meno conservata la dizione proposta dall’onorevole Conti secondo la quale i deputati non possono essere arrestati se non in flagranza di reato, o se la facoltà dell’arresto debba essere ristretta in relazione alla gravità del reato e cioè se il deputato possa essere arrestato senz’altro o debba essere richiesta l’autorizzazione della Camera.

Ritiene consigliabile cominciare ad esaminare l’ultima ipotesi, come quella più lata.

CODACCI PISANELLI propone la seguente formula: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati o sottoposti a perquisizioni personali o domiciliari senza autorizzazione della Camera». Aggiunge che in questa formulazione non ha fatto cenno alla flagranza di reato per le ragioni già esposte dall’onorevole Fabbri.

LAMI STARNUTI propone il seguente articolo: «Durante l’esercizio del mandato i deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale, né arrestati o mantenuti in arresto in esecuzione di condanna senza autorizzazione della Camera.»

PRESIDENTE osserva che la proposta formulata dall’onorevole Codacci Pisanelli si potrebbe fondere con quella suggerita dall’onorevole Lami Starnuti, aggiungendo alla prima che i deputati «non possono essere sottoposti a procedimento penale», onde l’articolo in questione potrebbe essere così concepito: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere sottoposti a procedimento penale, arrestati o sottoposti a perquisizioni personali o domiciliari senza autorizzazione della Camera».

LAMI STARNUTI concorda.

BULLONI osserva che la perquisizione non è possibile se non c’è un procedimento penale.

PRESIDENTE obietta che sono numerosi i casi di perquisizioni effettuate anche senza procedimento penale in corso.

MANNIRONI desidera che sia chiarito se l’espressione «non possono essere sottoposti a procedimento penale» sia da intendere nel senso che si debba anche escludere la prosecuzione di un eventuale procedimento già iniziato.

NOBILE propone che la votazione abbia luogo per divisione, poiché egli è favorevole ad alcune norme e contrario ad altre.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente parte dell’articolo in esame. «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere sottoposti a procedimento penale», a cui ha aderito l’onorevole Ravagnan.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, domanda se non sia il caso di considerare anche i procedimenti disciplinari quando questi comportino l’arresto.

PRESIDENTE ritiene che si tratti di casi troppo limitati perché sia opportuno parlarne.

MORTATI, Relatore, non insiste.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente espressione: «Non possono essere arrestati». Si tratta di una formula generale che implica anche l’esclusione di ogni arresto in caso di flagranza, secondo la proposta fatta dall’onorevole Mannironi.

(Non è approvato).

Ricorda che, a proposito della definizione del caso in cui la flagranza comporta la possibilità di arresto, sono state presentate alcune formulazioni. Una dell’onorevole Bulloni che considera i casi in cui si tratti di delitti di competenza della Corte d’assise; un’altra dell’onorevole Di Giovanni, per cui i deputati non possono essere arrestati se non in flagranza per delitti per i quali sia obbligatorio il mandato di cattura; una terza dell’onorevole Leone di contenuto pari alla precedente.

LAMI STARNUTI osserva che secondo le nostre leggi penali l’offesa per mezzo della stampa alla persona del Re era di competenza della Corte d’assise. Potrebbe ora diventare di competenza delle Assise l’offesa per mezzo della stampa alla persona del Presidente della Repubblica. In questo caso la formula proposta dall’onorevole Bulloni consentirebbe l’arresto per un delitto tipicamente politico. Si domanda se ciò sia opportuno.

MORTATI, Relatore, propone di mettere prima in votazione la formula più ampia, cioè quella concernente l’arresto solo in flagranza di delitto. Evidentemente se tale formula verrà approvata dalla Sottocommissione, tutte le altre proposte cadranno.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

Mette ai voti la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Di Giovanni ispirato dallo stesso concetto di quello proposto dall’onorevole Leone, secondo cui è ammesso l’arresto solo in caso di flagranza di delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura, restando inteso che qualora tale formulazione fosse approvata renderebbe superflua la votazione della proposta dell’onorevole Bulloni.

MANNIRONI e MORTATI, Relatore, dichiarano di astenersi dalla votazione.

(È approvato).

LEONE GIOVANNI richiama l’attenzione della Sottocommissione sull’opportunità di completare la formula approvata facendo precedere le parole «mandato di cattura» dalle altre «ordine o…». Infatti, secondo il nostro ordinamento processuale, si chiama ordine di cattura quello emesso dal pubblico ministero e mandato quello del giudice istruttore, nonostante che i due provvedimenti abbiano la medesima essenza.

PRESIDENTE ritiene, poiché nessuno muove obbiezioni, che la precisazione possa essere accettata, salvo a formulare in un secondo momento l’articolo in maniera definitiva.

(Così rimane stabilito).

Avverte che resta ora da decidere l’ultima questione, se cioè anche per le perquisizioni, secondo la proposta dell’onorevole Mannironi, sia necessaria l’autorizzazione della Camera. A suo parere la garanzia è comprensibile nel caso di perquisizioni domiciliari e non in quello di perquisizioni personali, che potrebbero avvenire in istrada, in occasione di un furto, di un tumulto od altro, senza che possa attendersi l’autorizzazione della Camera. Si aggiunga che generalmente un agente che si accinga a perquisire un deputato rinuncia immediatamente al suo proposito non appena questi presenti i suoi documenti di riconoscimento.

FABBRI considera poco seria una norma che prescriva per le perquisizioni domiciliari l’autorizzazione della Camera, perché il deputato sospetto, venuto a conoscenza della cosa, farà scomparire ciò che potrebbe nuocergli.

BULLONI nota che una disposizione nel senso accennato sarebbe poco seria anche dal punto di vista giuridico, in quanto non si può eseguire una perquisizione domiciliare senza un procedimento penale.

PRESIDENTE obietta che ciò avviene in teoria, ma che in pratica le cose vanno ben diversamente.

MORTATI, Relatore, fa presente che la prima Sottocommissione sta studiando alcune proposte di limitazione della possibilità di perquisizioni domiciliari di cui occorrerà tener conto.

PRESIDENTE assicura che ciò sarà fatto in sede di coordinamento e mette in votazione la proposta Mannironi contenuta nella formula «né a perquisizione domiciliare».

(È approvata).

Fa presente che resta da esaminare la questione delle immunità da procedimento disciplinare. A tal proposito l’onorevole Mortati ha proposto la seguente formula: «I deputati non possono essere chiamati a. rispondere in via giudiziaria o disciplinare dei voti o delle opinioni espressi nell’esercizio delle loro funzioni. Una responsabilità per le dichiarazioni formulate non può essere fatta valere se non dalla stessa Camera».

LEONE GIOVANNI ritiene opportuno porre alcuni limiti al godimento delle immunità in questione. Occorrerebbe ad esempio considerare il caso delle offese personali.

PRESIDENTE chiarisce che nel caso accennato dall’onorevole Leone provvede il regolamento della Camera.

LEONE GIOVANNI obietta che il cittadino offeso dal discorso di un deputato rimarrebbe senza difesa. Un qualche limite all’estensione delle immunità in esame potrebbe, ad esempio, essere costituito dalla aggiunta delle seguenti parole: «concernenti l’attività politica o parlamentare» alle parole «dei voti o delle opinioni espresse».

PRESIDENTE ritiene che con la formula proposta dall’onorevole Mortati la questione accennata dall’onorevole Leone possa considerarsi superata, in quanto in essa si parla di voti e di opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di deputato. Comunque, una precisazione non sarebbe inopportuna, ma personalmente desidererebbe che l’onorevole Leone trovasse una formula più felice per esprimere il suo pensiero.

PERASSI osserva che forse potrebbe servire allo scopo l’aggiunta delle parole «nella Camera», dopo le altre: «dei voti o delle opinioni espresse».

PRESIDENTE obietta che è pacifico che la funzione del deputato, da un punto di vista legislativo, è quella che si svolge nella Camera.

LUSSU non è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi né è d’accordo col Presidente. Un deputato è sempre nell’esercizio delle sue funzioni. Se, ad esempio, farà un’interrogazione scritta dalla sede del suo collegio, inoltrandola per posta ed eventualmente informandone anche la stampa, ed in tale interrogazione scriverà delle offese per qualche cittadino, quando fosse accettata la proposta dell’onorevole Perassi, quel deputato non potrebbe essere perseguito.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati e cioè sino alle parole: «nell’esercizio delle loro funzioni», restando inteso che tale articolo potrà essere completato con una precisazione del concetto accennato dall’onorevole Leone, sempre se per esso si troverà un’espressione adeguata.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, chiarisce che la seconda parte dell’articolo da lui proposto si riferisce alla responsabilità disciplinare nei confronti della Camera e si richiama a quanto è disposto dal Regolamento della Camera stessa.

Intesa in questo senso, la disposizione potrebbe ritenersi superflua, a meno che non si pensi che la Camera possa poi venirsi a trovare nella impossibilità di disciplinare la questione in esame nel suo Regolamento per l’assenza di una simile norma nella Costituzione.

CALAMANDREI rileva che, oltre alla responsabilità disciplinare o penale, si può avere anche una responsabilità civile derivante da una osservazione fatta da un deputato alla Camera. La diffamazione per mezzo di un discorso in Assemblea potrebbe, ad esempio, produrre gravissimi danni ad un cittadino. Ora, con la formula proposta, gli sembra che tale responsabilità non possa farsi valere se non dalla stessa Camera.

PRESIDENTE ritiene che con l’espressione «in via giudiziaria» usata nella disposizione proposta dall’onorevole Mortati e testé approvata, si comprenda tanto la responsabilità penale quanto quella civile e la Sottocommissione, approvandola, abbia escluso la possibilità di una azione di risarcimento da parte di un cittadino per la responsabilità civile di un deputato.

MORTATI, Relatore, condivide il parere del Presidente e pertanto rinuncia alla seconda parte del suo articolo.

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti.

In congedo: Bordon.

Assenti: Amendola, Castiglia, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Maffi, Patricolo, Porzio, Rossi Paolo, Targetti, Vanoni, Zuccarini.

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Cappi – Fuschini – La Rocca – Conti, Relatore – Lussu – Nobile – Perassi – Targetti – Einaudi – Ambrosini – Fabbri – Bulloni – Zuccarini – Mortati, Relatore – Tosato – Leone Giovanni – Lami Starnuti – Di Giovanni – Uberti – Mannironi – Codacci pisanelli – Calamandrei.

La sedata comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione deve determinare il numero dei componenti la prima Camera. Secondo il progetto dell’onorevole Conti, dovrebbe essere eletto un deputato per ogni 150.000 abitanti. La nuova Camera dei Deputati, quindi, calcolata la popolazione del Paese in 45.000.000 di abitanti, verrebbe ad essere composta da circa 300 membri. Ma si è accennato all’opportunità di elevare il numero a 400 o 450.

CAPPI ricorda che aveva proposto: un deputato ogni 100.000 abitanti. Ne risulterebbe una Camera di 420-450 membri.

FUSCHINI crede che sia opportuno andare cauti nello stabilire la proporzione fra abitanti ed eletti. Non è sufficiente tener conto soltanto della popolazione: la questione va risolta, a suo parere, anche in rapporto al modo di formazione della seconda Camera e al numero dei suoi componenti. Infatti, Camera e Senato saranno chiamati a riunirsi non solo in occasione della nomina del Presidente della Repubblica, ma anche in determinate speciali situazioni; è quindi il rapporto tra il numero dei componenti dell’una e di quelli dell’altra che bisogna tener presente, per evitare la possibilità che sia il Senato a determinare l’indirizzo politico del Paese. Se, ad esempio, nella prima Camera dovessero assottigliarsi ad un dato momento le correnti di destra, queste nell’Assemblea Nazionale potrebbero unirsi con la maggioranza della Camera Alta, che per sua natura ha sempre una tendenza prevalentemente conservatrice, ponendo la Camera dei Deputati in gravi condizioni di inferiorità.

La questione è senza dubbio assai importante e va esaminata con la dovuta attenzione: occorre assolutamente impedire che la volontà popolare possa essere alterata da un errato rapporto fra il numero dei membri delle due Camere.

Aggiunge un’altra considerazione di carattere localistico. Le popolazioni considerano sempre il deputato che hanno eletto anche da un particolare punto di vista, per cui quel deputato riceve di continuo dai suoi elettori sollecitazioni che non sempre sono per bassi servigi, come per lo più si dice, ma spesso sono dettate dalle improrogabili necessità di una data circoscrizione e costituiscono un comodo mezzo per intrecciare rapporti di maggior fiducia fra eletto ed elettori. Ma un deputato non riuscirà mai a soddisfare le necessità di una massa di 150.000 abitanti. Sarebbe quindi più opportuno fissare un deputato per non più di 80.000 abitanti, come è stato finora tradizionale nel nostro Paese, oppure rinviare la risoluzione del problema (e ciò sarebbe il migliore avviso) a quando dovrà essere discussa la futura legge elettorale.

LA ROCCA crede necessario fissare nella nuova Costituzione il numero dei deputati, mentre la definizione dei dettagli potrà essere rinviata alla legge elettorale.

Ma occorre intanto chiarir bene una questione. La Sottocommissione, attraverso reciproche concessioni, è giunta alla istituzione di una Camera Alta. Da qualcuno è stato manifestato il timore che questa possa funzionare da freno alla volontà espressa dal popolo mediante il suffragio universale. A tal riguardo sarà bene affermare che l’organismo sovrano, rispecchiante la volontà popolare, non potrà essere che la prima Camera. È ad essa che occorrerà dare una prevalenza netta, indiscussa e indiscutibile, perché è attraverso quest’organo che veramente si manifesta la volontà del popolo. La tradizione, anche se a volte è una vis inertiae, non sempre dev’essere trascurata. Il popolo italiano è avvezzo ad avere 500 e più deputati. Inoltre non è opportuno, in regime democratico, diminuire questo numero, perché a tutti deve esser dato il modo di far sentire la loro voce. Restringendo il numero dei deputati, si potrebbe far sorgere il sospetto di essere animati a tal proposito di soffocare la volontà delle minoranze.

In ogni modo, non crede che sia opportuno fissare una proporzione fra numero di abitanti e numero di deputati: sarebbe meglio stabilire soltanto che la Camera bassa debba essere costituita da un numero di membri non minore di 500.

CAPPI non è d’accordo con i precedenti oratori che hanno basato il loro ragionamento su un presupposto ormai inesistente: il Senato di nomina regia, che quasi sempre fu di tendenze politiche contrarie a quelle della prima Camera. Nel progetto dell’onorevole Conti la seconda Camera è invece un’Assemblea eletta a suffragio universale, perché ben pochi dei suoi membri saranno nominati dal Capo dello Stato: ed è a questo proposito opportuno ricordare che il Capo dello Stato è, in definitiva, eletto dal popolo.

Caduto il presupposto, cadono anche le conseguenze a cui sono arrivati gli onorevoli Fuschini e La Rocca.

CONTI, Relatore, dichiara che gli oppositori alla restrizione del numero dei deputati partono da un criterio non democratico, perché capovolgono la concezione del nuovo Stato che sarà organizzato con il criterio non tanto della rappresentanza al centro, quanto della rappresentanza alla periferia. Con la nuova organizzazione statale, la risoluzione di molti problemi sarà affidata alle regioni. Se non si tiene presente questo punto di vista, si torna al concetto dello Stato accentrato, affidando nuovamente tutte le mansioni dello Stato al Governo, alla Camera e al Senato.

Circa la questione, accennata dall’onorevole Fuschini, della prevalenza della prima Camera sulla seconda, avverte che, a suo avviso, il potere legislativo deve essere composto di due organi che abbiano perfetta parità e ciò anche perché le due Camere dovranno, in determinate occasioni, fondersi in un’unica Assemblea. Si deve quindi escludere in modo assoluto che il Senato possa essere sottomesso al volere della Camera e viceversa: fra l’una e l’altro organo dovrà aversi uno scambio continuo di deliberazioni, di pareri, di critiche e quindi non si potrà stabilire alcuna prevalenza dell’una Camera sull’altra.

Riguardo al numero dei componenti la prima Camera, ritiene che tanto meglio sarà quanto più esso sarà ridotto: l’affollamento non costituisce alcun vantaggio. Non condivide l’opinione dell’onorevole Fuschini intorno alle funzioni accessorie del deputato, la quale perde di vista la funzione del deputato stesso: quella legislativa. Il deputato futuro non dovrà essere che un legislatore, un po’ distaccato dal corpo elettorale, che per le sue esigenze particolari avrà come patrocinatori i deputati delle Assemblee regionali. Il concetto del deputato tutore degli interessi personali dei vari gruppi ricorda costumi politici d’altri tempi, che sarà bene abbandonare, se veramente si vuol dare un impulso più sano alla vita politica del Paese.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi e tanto meno al concetto espresso dall’onorevole La Rocca che non si debba abbandonare l’abitudine del popolo italiano ad avere 500 e più deputati. Il popolo italiano disgraziatamente ha una sola abitudine circa il Parlamento: parlarne male; e con la nuova Costituzione occorrerà elevare il prestigio del Parlamento, al che si giunge per una via soltanto: diminuire il numero dei componenti alla futura Camera.

LUSSU ritiene che sia necessario fissare nella seduta odierna il numero dei deputati, e ciò per affrettare la risoluzione di una delle tante questioni sottoposte all’esame della Sottocommissione. Sarà anche bene determinare questo numero in rapporto al numero degli abitanti, perché altrimenti potrebbero sorgere altre difficoltà. A tale proposito occorrerà tener presente la costituzione dell’Ente regione, perché, se ad esso saranno attribuiti poteri molto estesi, logicamente dovrà essere diminuito il numero dei rappresentanti alla prima Camera. Difatti, quanto più sarà estesa la facoltà dell’Ente regione di legiferare su problemi particolari, tanto minore sarà la mole del lavoro che sarà chiamata ad assolvere la prima Camera. A questa, in tal caso, resterebbe soltanto la risoluzione dei grandi problemi d’ordine generale. Se tale decentramento fosse attuato senza diminuire contemporaneamente il numero dei componenti la prima Camera, si modificherebbe soltanto l’attuale burocrazia statale, non già quella politica. Per conseguire anche questo scopo occorre inviare alla Camera un numero non troppo largo di deputati, ed evitare che, attraverso il sistema della proporzionale, si verifichino gli stessi inconvenienti creati dal collegio uninominale. Con l’elezione infatti di un gran numero di deputati si potrebbe avere lo stesso fenomeno di corruzione a cui dava adito il sistema maggioritario: ogni deputato si creerebbe una piccola o grande clientela, divenendo deputato a vita. Riducendo, invece, il numero dei deputati, si obbligherebbe il corpo elettorale ad una moralizzazione della vita politica; gli elettori si rivolgerebbero alle locali organizzazioni e farebbero capo al deputato soltanto per questioni veramente importanti. Vero è che anche in tal modo si può correre il rischio che la seconda Camera alteri la volontà popolare, se, come vorrebbe l’onorevole Conti, si dovesse stabilire la parità tra le due Camere. Ma la seconda Camera ha di solito una caratteristica propria e non ne esiste una al mondo che abbia parità di poteri con la prima. Bisogna evitare una seconda Camera fatta a somiglianza del Senato francese che aveva volutamente, nella Costituzione, un carattere conservatore.

Conclude che il numero degli abitanti per ogni deputato dovrebbe essere inferiore ai 150.000 ed aggirarsi sui 100-120 mila. Qualora, però, il principio delle larghe autonomie regionali non dovesse essere adottato, occorrerebbe elevare al massimo il numero dei deputati.

NOBILE, contrario all’istituzione di una seconda Camera, dal momento che è stato deciso di mantenerla, si associa all’onorevole La Rocca, affermando la necessità di una prevalenza della prima Camera sulla seconda. Non è però d’accordo con lui nel volere assicurata tale prevalenza attraverso il maggior numero dei deputati.

D’altra parte pensa che non possa fissarsi il numero dei componenti la prima Camera, quando non ancora è stato stabilito quello dei membri del Senato e dei Parlamenti regionali. L’una e l’altra questione dovrebbero essere decise contemporaneamente. Sarebbe opportuno, quindi, aggiornare la discussione sul problema in esame.

Aggiunge che da un primo calcolo di quello che sarebbe il numero dei parlamentari italiani, secondo le proposte fatte, è venuto alla conclusione che si avrebbero 400-420 deputati circa, 300 Senatori e, in ciascuna delle forse 15 Assemblee regionali, un minimo di cento: cioè, più di 2000 parlamentari.

CONTI, Relatore, avverte che, secondo calcoli approssimativi, si arriverebbe-invece a circa seimila parlamentari.

NOBILE dichiara che l’interruzione dell’onorevole Conti, dalla quale risulta che le sue previsioni sono state superate, lo convince ancora di più nella sua opinione. Per le indennità a un così gran numero di parlamentari e per le spese di funzionamento dei relativi organi dovrebbero essere impiegate somme ingenti: forse più di due miliardi, che costituirebbero un peso eccessivo per lo Stato, specie nelle attuali condizioni.

PERASSI è pienamente d’accordo con l’onorevole Conti. Ha l’impressione che nelle riunioni precedenti sia largamente prevalso il concetto di ridurre il numero dei deputati, rispetto a quello passato, per diverse considerazioni, e innanzi tutto perché si passerà da uno Stato accentrato ad uno decentrato, con tutte le conseguenze che ne derivano, fra le quali di assai notevole importanza quella per cui gli affari locali non saranno più di competenza del centro. Con ciò il campo di attività di ogni deputato non sarà più così esteso come nel passato; onde l’opportunità di ridurre il numero dei membri della prima Camera.

Anche altre considerazioni consigliano di giungere alla riduzione, fra cui quella di carattere economico accennata dall’onorevole Nobile, che pure ha la sua importanza. All’opinione pubblica farebbe assai buona impressione una riduzione degli organi dello Stato, anche in riferimento alla situazione finanziaria del Paese.

Non ritiene opportuno risolvere nell’odierna seduta la questione del rapporto delle rispettive funzioni fra Camera e Senato: essa potrà essere esaminata a suo tempo. Ciò che ora interessa è venire ad una decisione sul problema relativo alla convenienza o meno che la prima Camera abbia una formazione numericamente limitatissima rispetto all’attuale. Aderisce in proposito all’opinione dell’onorevole Conti, nel senso di affermare in maniera netta il concetto che la Camera dei Deputati debba avere una composizione relativamente ristretta, sulla base della proporzione di un deputato ogni 150.000 abitanti.

TARGETTI dichiara d’essere decisamente contrario alla proposta dell’onorevole Conti, non perché sia attaccato alla tradizione a cui si richiama l’onorevole La Rocca, ma perché non gli pare siano stati portati argomenti troppo convincenti in favore di una riduzione del numero dei componenti la Camera. L’unica argomentazione di notevole importanza in favore di tale riduzione è quella che si basa sulle funzioni che dovrà avere l’Ente regione. A tale proposito giova tuttavia rilevare che l’Ente regione è nato per ora soltanto nelle proposte della Sottocommissione, ma prima che possa diventare vitale occorrerà attendere le proposte concrete della Commissione e le decisioni dell’Assemblea Costituente. Al momento attuale un solo concetto può essere acquisito: quello affermato dagli onorevoli Conti e Lussu, che cioè solo quando siano stabilite le funzioni delle Assemblee regionali si potrà decidere fino a qual punto saranno ridotte quelle del Parlamento e, conseguentemente, l’eventuale riduzione del numero dei deputati. Quindi la Sottocommissione si trova dinanzi ad un’alternativa: o rinviare alla legge elettorale la determinazione del numero dei deputati, cosa che non sarebbe affatto assurda, oppure attendere, per decidere in proposito, che siano state risolte le altre due questioni: quella del funzionamento delle Assemblee regionali e quella della composizione della seconda Camera.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata.

A proposito poi del necessario rapporto fra il numero dei componenti le due Camere, osserva che non dipende dal maggior numero dei membri la maggiore autorità di un consesso rispetto all’altro. Se si volesse conferire uguali poteri alla Camera e al Senato, si potrebbe farlo anche con un numero di componenti diverso. Ricorda l’esempio del Senato francese in cui il numero dei membri era inferiore a quello della Camera, pure avendo i due organi eguale potestà legislativa, e quello del Senato americano che è composto di solo 96 persone contro le 400 circa della Camera dei rappresentanti: ciò nonostante il Senato americano ha poteri legislativi e politici di gran lunga superiori a quelli della Camera.

Quanto al costo per il funzionamento del nuovo sistema rappresentativo, fa osservare che, anche se esso dovesse aggirarsi intorno ai due miliardi, non sarebbe così eccessivo come sulle prime può sembrare. Basti considerare a tale proposito che la spesa relativa dev’essere messa in rapporto al bilancio dell’esercizio in corso che, purtroppo, si aggira, secondo le previsioni, sui 500 miliardi e con ogni probabilità supererà i 600. Né è dato sperare che tale cifra possa essere suscettibile di notevoli riduzioni negli esercizi successivi.

AMBROSINI è d’avviso che non sia opportuno rinviare la risoluzione del problema in esame: è necessario che una decisione sia presa nell’odierna seduta, tanto più che eventualmente vi si potrà sempre tornare sopra. Non è neanche opportuna la proposta di rinvio alla legge elettorale, trattandosi di una questione di principio.

Dopo aver rilevato che sono state sostenute, rispettivamente dagli onorevoli Conti e Fuschini, due tesi completamente contrarie, osserva che, se si riuscisse ad attutire l’urto del opposte premesse dottrinarie, un contrasto effettivo tra le due tesi non sussisterebbe. Per esempio, ciò che ha sostenuto l’onorevole Fuschini, che bisogna, cioè, tener conto degli interessi locali, a suo modo di vedere non va interpretato nel senso che occorre assecondare gli interessi particolaristici degli elettori, bensì nel senso che, oltre che degli interessi generali della Nazione, concepiti in un modo assolutamente unitario, è necessario tener conto di altri interessi egualmente nazionali, pure aventi un carattere prevalentemente locale, dei quali i deputati non possono naturalmente non rendersi interpreti.

La difficoltà, dunque, sta nel trovare un punto di incontro fra le due tesi, il che è reso difficile da altre pregiudiziali sorte nel corso della discussione e, particolarmente, da quella dei rapporti tra Camera e Senato. Ha inteso sostenere da alcuni oratori, anticipando una discussione che dovrà essere fatta a suo tempo, che il Senato dovrebbe avere un numero di componenti inferiore a quello della Camera, per impedire che possa venire alterato come taluno teme il risultato dell’espressione della volontà popolare. Visto che il problema è stato sollevato, esprime il proprio avviso nel senso che occorre evitare che il Senato sia messo in una condizione di assoluta inferiorità di fronte alla Camera, riducendolo a un corpo puramente consultivo. D’altra parte ritiene, e in questo è d’accordo con l’onorevole Einaudi, che il numero dei componenti di un’Assemblea non abbia alcuna influenza sulle sue funzioni. L’influenza della seconda Camera sulla vita politica del Paese potrà dipendere non solo dal modo con cui essa sarà costituita nella nuova carta statutaria, ma anche dallo svolgimento naturale delle cose, dal prestigio che una tale Assemblea potrà acquistare, da un insieme di fattori, quindi, che difficilmente può essere previsto nelle sue particolarità.

Conclude affermando di condividere le osservazioni dell’onorevole Conti circa l’opportunità di ridurre l’attuale numero dei Deputati, soprattutto in quanto è d’augurarsi che l’Ente Regione possa assorbire molti dei compiti fino ad ora demandati al Parlamento. Non bisognerebbe però addivenire ad una riduzione eccessiva. Sarebbe preferibile, quindi, una soluzione intermedia, come quella consigliata dall’onorevole Cappi, stabilire, cioè, la proporzione di un deputato per ogni centomila abitanti.

FABBRI non crede che sia giusto, agli effetti della determinazione del numero dei componenti la prima Camera, basarsi su una probabile limitazione delle sue attività in vista della futura costituzione dell’Ente Regione. Difatti, ammesso pure che la Camera dei Deputati risulti straordinariamente alleggerita nel suo lavoro legislativo, ciò non potrà avere che una sola ripercussione, di carattere economico: si spenderà di meno per la diminuita attività dell’Assemblea e per la probabile riduzione della indennità parlamentare. In altri termini, il fatto che i deputati saranno chiamati a riunirsi soltanto nelle grandi occasioni e per questioni di massima importanza non è, o per lo meno non dovrebbe essere, causa di una riduzione del numero dei componenti la prima Camera. Anzi, le stesse grandi questioni che essi sono chiamati a risolvere rendono più che mai indispensabile una rappresentanza assai larga di tutte le correnti politiche del Paese, anche di quelle costituite dai partiti di minoranza, se veramente si vuole un regime democratico.

Ciò posto, è necessario fissare nella Costituzione il numero dei deputati e anticipare fin. da ora il parere della Sottocommissione sul numero dei componenti il Senato. Una proposta concreta potrebbe essere quella di stabilire il numero compreso fra 450 e 500 membri della prima Camera, senza fissare un rapporto preciso con la popolazione. Con ciò si avrebbe il vantaggio di lasciare ai compilatori della legge elettorale una certa libertà di azione, quanto mai necessaria se si vuole tener conto dell’elemento demografico e della sua ripartizione nel territorio dello Stato.

Per il Senato dovrebbe essere mantenuto fisso il principio di un numero dei suoi Componenti non superiore ai 300. In tal modo sarebbero anche rispettati quei criteri di preponderanza numerica a cui ha fatto cenno l’onorevole La Rocca.

BULLONI si associa alle dichiarazioni di quegli oratori che hanno affermato la necessità di fissare nella Costituzione il numero dei componenti la prima Camera. Si tratta infatti di un elemento essenziale che non può essere omesso in una Costituzione.

PRESIDENTE rileva che la questione in esame è più importante di quanto forse non sembri e che non si tratta già di mettersi d’accordo su un numero preciso, bensì su una questione di principio, o meglio su un problema nel quale si riassumono e si confondono molte questioni di principio, già toccate nel corso delle precedenti discussioni ed altre ancora, che forse potranno sorgere nelle future riunioni. Ritiene evidente che, se i Parlamenti regionali verranno ad essere quelli che l’onorevole Conti ed in particolare l’onorevole Lussu si auspicano, l’adozione di tali istituzioni eserciterà la sua influenza sulle decisioni della Sottocommissione nella materia in esame.

Personalmente tiene a sottolineare che non è favorevole ad una definizione dello Stato in senso autonomistico; come d’altra parte resterebbe assai perplesso se nella Costituzione si parlasse di uno Stato regionale. È d’avviso che lo Stato debba essere unitario; non può essere autonomistico, così come non è mai venuto in mente ad alcuno che possa essere provinciale o provincialissimo e tanto meno municipale, quand’anche si voglia concedere, come è nei propositi, una larga autonomia ai Comuni. Sarebbe quindi un grave errore non tenere nel dovuto conto quest’aspetto della coesione e della compattezza che lo Stato deve avere.

Ora, qualcuno ha affermato che specialmente nelle assemblee regionali si esplicherà la vera volontà popolare: ma questo significherebbe che lo Stato italiano dovrebbe essere federalistico. Bisogna procedere con una certa cautela in questo campo se non si vuole la disgregazione dell’unità statale.

Ha avvertito una notevole dissonanza quando, da qualche oratore, è stato accennato all’eccessivo numero dei parlamentari che si avrà con le future assemblee regionali, poiché, nonostante tutti i poteri che a queste saranno concesse, non si potranno ravvisare in tali assemblee dei Parlamenti; né i loro componenti potranno chiamarsi parlamentari, sia nel senso peggiore che in quello più nobile della parola. Dovrà sempre esserci una diversità di rappresentanza e di poteri fra i membri delle assemblee nazionali e quelli delle assemblee regionali.

Crede pure che l’affermazione secondo cui un migliore funzionamento della Camera sarebbe assicurato se questa fosse composta di pochi membri perda di vista l’esperienza. Oggi, ad esempio, si ha una Camera di circa 560 membri, ma le forze effettive, i deputati che effettivamente contribuiscono al lavoro della stessa, rappresentano soltanto una percentuale.

Se si stabilisse che la prima Camera dovesse essere composta di 300 deputati, si creerebbe un’assemblea nella quale probabilmente solo 150 membri parteciperebbero veramente al lavoro legislativo. Infatti l’elezione dei deputati non è, in sostanza, che una prima scelta fatta dalla massa degli elettori; ma una seconda ne viene fatta in seguito, sulla base delle capacità rivelate da ogni eletto nel periodo del suo lavoro legislativo.

D’altra parte il numero dei componenti un’assemblea deve essere in certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale. Non è, come ha accennato l’onorevole La Rocca, che si vorrebbe conservare l’attuale numero dei deputati per rispetto ad una tradizione, ma perché la diminuzione del numero dei componenti la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.

Quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Nobile circa l’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, rileva che, se una Nazione spende un miliardo di più per avere buone leggi, non si può dire che fa spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone ed anche se si consideri l’ammontare complessivo del bilancio in corso.

Personalmente, quindi, ritiene che il problema in questione non si sarebbe nemmeno dovuto porre: non tanto quello concernente la determinazione del numero dei componenti l’assemblea nella Costituzione, quanto quello della diminuzione di tale numero. Si sarebbe dovuto accettare ciò che poteva essere suggerito dall’attuale vita politica del Paese, vale a dire che esso assai opportunamente ha sentito la necessità di adeguare nelle ultime elezioni il numero dei suoi rappresentanti alla aumentata massa della popolazione. Per queste considerazioni un’eventuale riduzione del numero dei componenti la prima Camera costituirebbe a suo avviso un grave errore politico.

Ritiene che la Sottocommissione dovrebbe deliberare su tre punti:

1°) se si debba fissare il numero dei deputati nella Costituzione;

2°) in qual modo, e ciò evidentemente costituisce una subordinata della prima questione, si debba fissare tale numero; se in cifra assoluta o in rapporto a un dato numero di abitanti;

3°) nel caso di approvazione del secondo criterio di cui al secondo punto, quale dovrà essere la proporzione fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

Mette pertanto in votazione la proposta che nella Costituzione si debba fissare il numero dei deputati.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a passare all’esame del secondo quesito.

ZUCCARINI prospetta l’opportunità di fissare un numero massimo, poiché teme che, non stabilendo limiti precisi, il numero dei deputati possa via via essere aumentato con successive leggi elettorali, come del resto si è verificato nel passato.

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Zuccarini potrebbe costituire una subordinata del secondo quesito in discussione. In ogni modo la mette in votazione.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che nella Costituzione debba essere fissata in cifra assoluta il numero dei componenti la prima Camera.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che il numero dei componenti la prima Camera debba essere indicato in rapporto all’entità della popolazione.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a fissare il rapporto fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

BULLONI propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, a chiusura della discussione circa la composizione della Camera dei Deputati,

ritenuto che il numero dei componenti della detta Camera quale elemento essenziale alla sua costituzione, deve essere stabilito in sede costituzionale;

ritenuta la necessità che la Camera stessa risponda alla suprema esigenza della funzione legislativa attraverso una rigorosa selezione, al fine di assicurare al deputato prestigio e indipendenza;

ritenuta la necessità che la Camera dei Deputati risulti sempre più aderente alla diretta espressione della volontà popolare;

ritenuta necessaria la forma elettiva della seconda Camera;

propone

che la composizione della Camera dei Deputati sia costituita in ragione di un deputato ogni 100 mila abitanti».

TARGETTI propone di abbassare la cifra da 100 mila a 80 mila.

NOBILE insiste nella sua proposta di rinviare la decisione sul numero dei deputati a quando sarà stabilito il numero dei membri della seconda Camera e delle Assemblee regionali.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Nobile.

(Non è approvata).

CONTI, Relatore, prega l’onorevole Bulloni di rinunciare a vari «considerando» del suo ordine del giorno, perché, oltre quelli da lui elencati, ve ne potrebbero essere altri relativi ad altre non meno importanti questioni.

PRESIDENTE osserva che dai verbali appariranno tutte le considerazioni aggiuntive e di carattere diverso. In sostanza l’ordine del giorno dell’onorevole Bulloni può ridursi ad una sola proposta: a quella di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti. Si tratta perciò di decidere se si debba eleggere un deputato per ogni 80 mila abitanti, come propone l’onorevole Targetti, o per ogni 100 mila abitanti, come propone l’onorevole Bulloni, o per ogni 150 mila, secondo quanto è stato proposto dall’onorevole Conti.

CONTI, Relatore, è disposto a ridurre la cifra da 150 a 125 mila.

MORTATI, Relatore, voterà a favore dei 100 mila abitanti. Se la proposta relativa sarà approvata dalla Sottocommissione, si avrà una riduzione del numero dei deputati in confronto a quello della precedente Camera, il che non significherà svalutazione del potere politico della Camera dei Deputati. A tale proposito occorre tener presente che la vecchia Camera italiana era l’unica rappresentativa mentre con la nuova Costituzione sarà rappresentativa anche la seconda Camera, che integrerà la prima. È necessario quindi tenere nel debito conto questa integrazione di rappresentanza, che non può non influire sulla determinazione del numero dei rappresentanti della Camera dei Deputati.

LUSSU rileva che il Presidente ha fatto alcune dichiarazioni che, malgrado l’autorità da cui provengono, non possono essere lasciate inosservate. Dichiara così di non poter condividere le opinioni espresse dall’onorevole Terracini a proposito del valore antidemocratico attribuito a una eventuale riduzione del numero dei deputati, ed a proposito della questione autonomistica e federalistica,. osserva che a tale riguardo esistono correnti comuniste e socialiste assai favorevoli ai punti di vista contro i quali si è pronunciato l’onorevole Terracini.

La riduzione nel numero dei deputati non ha un significato antidemocratico, specie se esso è messo in relazione con la nuova organizzazione dello Stato. L’onorevole Terracini può non essere molto favorevole a tale nuova organizzazione, ma essa corrisponde ai desideri della maggioranza del paese. Dichiara, pertanto, che voterà per la cifra di 100 mila abitanti proposta dall’onorevole Bulloni.

TARGETTI chiede che la votazione abbia luogo per appello nominale.

TOSATO voterà per la proposta dell’onorevole Cappi cui si è associato l’onorevole Bulloni, che cioè si elegga un deputato ogni 100 mila abitanti e si associa alle considerazioni degli onorevoli Mortati e Lussu.

Un’altra considerazione lo spinge a votare in tal senso; poiché la nuova legge elettorale adotterà il sistema della rappresentanza proporzionale, ritiene che sia necessario ridurre il numero dei deputati, per impedire quella moltiplicazione dei partiti che nelle ultime elezioni è stata appunto causata dalla proporzionale.

CONTI, Relatore, dichiara che, proponendo una riduzione del numero dei abitanti da 150 a 125 mila, ha voluto avvicinarsi alle proposte degli onorevoli Bulloni e Cappi. Tiene in ogni modo ad affermare che la riduzione nel numero dei deputati non significa una limitazione del potere della Camera, ché anzi con essa si intende conferire un maggior prestigio alla Camera dei Deputati. Aggiunge anche che tale riduzione è in relazione all’istituzione delle Assemblee regionali, le quali daranno alla nuova Costituzione il carattere di una Costituzione mista fra il sistema parlamentare e la democrazia diretta, che è poi l’unico modo per realizzare veramente la sovranità popolare in tutta la sua estensione.

LA ROCCA voterà a favore della cifra di 80 mila, perché ritiene che occorra rafforzare l’istituto parlamentare e dargli quella autorità che gli è necessaria per essere l’organo sovrano della Nazione.

CONTI, Relatore, rinuncia anche alla proposta relativa all’elezione di un deputato per ogni 125 mila abitanti.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale sulle due proposte, l’una dell’onorevole Targetti, l’altra dell’onorevole Bulloni, relative rispettivamente all’elezione di un deputato per ogni 80 mila e per ogni 100 mila abitanti.

Votano a favore della proposta Targetti per gli 80 mila abitanti i deputati: Bocconi, Di Giovanni, Fabbri, Lami Starnuti, La Rocca, Ravagnan, Targetti, Terracini.

Votano a favore della proposta Bulloni per i 100 mila abitanti i deputati: Ambrosini, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fuschini, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Si astiene dalla votazione il deputato Nobile.

PRESIDENTE comunica che la proposta di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti ha riportato 18 voti favorevoli contro 8 voti favorevoli all’altra proposta, e un astenuto.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione sul primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Conti, concernente la elezione della Camera dei Deputati in forza del quale lo Stato è suddiviso in collegi elettorali a norma di legge speciale, col che si esclude il collegio unico nazionale.

CONTI, Relatore, avverte che questa disposizione è stata introdotta appunto per il fine cui ha accennato l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE non crede che questo comma debba essere incluso nella Costituzione, la quale con ciò entrerebbe nel vivo della legge elettorale, mentre la Sottocommissione è stata dell’avviso di introdurre nella Costituzione il minor numero possibile di norme particolari, tanto che ha deciso di non dare alcuna indicazione relativamente al sistema della rappresentanza proporzionale.

MORTATI, Relatore, ritiene che in una Costituzione occorra prevedere tutti quei punti che si ritenga di dover sottrarre all’arbitrio del futuro legislatore ordinario.

Ricorda che la Sottocommissione si era informata a questo criterio nell’esame di un precedente articolo nel quale si stabilì, per impedire che il diritto all’elettorato potesse essere soggetto all’arbitrio del legislatore, che la decadenza da tale diritto dovesse aver luogo solo in seguito a sentenza civile o penale. Così egli si domanda se sia opportuno rinviare la disciplina dei partiti al futuro legislatore o se non sia più conveniente prendere una decisione al riguardo, quando saranno comunicate le relative decisioni della prima Sottocommissione. Anche a proposito dei collegi elettorali si tratta dunque di vedere se debbano oppure no essere stabilite eventuali limitazioni alla futura attività del legislatore, ed a suo avviso se non necessario, sarebbe opportuno che la Sottocommissione si pronunciasse in proposito.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mortati che le considerazioni da lui svolte sono state già fatte altre volte e si tratta ora di vedere entro quali limiti si debba restare aderenti a decisioni già prese per la sistemazione della materia.

Mette pertanto in votazione la proposta di soppressione del comma in esame.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, ricorda che, votando l’articolo relativo ai limiti del diritto elettorale sfuggì una conseguenza che potrebbe discendere dalla sua formulazione: difatti, ammesso che il legislatore non possa porre limiti all’elettorato attivo, ne verrebbe per conseguenza che i militari avrebbero la pienezza del diritto di voto. Ora, tale questione è assai delicata e non è il caso, quindi, di pregiudicarla con la decisione presa. Propone perciò che all’articolo anzidetto sia aggiunto il seguente comma: «Il diritto di voto ai militari e le eventuali limitazioni al suo esercizio saranno disciplinati dalla legge».

PRESIDENTE, per quanto ogni membro della Sottocommissione abbia diritto di fare quelle considerazioni che crede più opportune, pensa che vi siano alcune questioni che ormai dovrebbero considerarsi superate. Così quella del pieno diritto di voto ai militari è stata ampiamente dibattuta nel Paese durante gli ultimi mesi quando si trattava di redigere la legge per le elezioni all’Assemblea Costituente, e nessuna voce si levò contro la concessione di un tale diritto, ove si eccettui quella di qualche rappresentante del Partito d’Azione in seno alla Commissione ministeriale. Ove si risollevasse oggi tale questione, potrebbero sorgere motivi di timore non solo tra i militari, ma anche presso coloro che più si preoccupano della salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini.

Invita pertanto l’onorevole Mortati a non insistere nella sua proposta.

LEONE GIOVANNI rileva che occorre risolvere una questione pregiudiziale: ritiene cioè la Sottocommissione che sul problema accennato dall’onorevole Mortati si sia implicitamente deciso quando, in una delle riunioni precedenti, fu formulato l’articolo, secondo il quale l’incapacità all’elettorato attivo non può essere determinata che come decadenza derivante da una sentenza del giudice civile o penale? Il Presidente ha fatto presente l’opportunità di non addivenire ad una decisione sul problema in esame per esigenze di carattere politico; ma vi sono anche esigenze di carattere giuridico. Si tratta di decidere se la questione debba essere riesaminata e risolta in sede costituzionale, ammettendo i militari al voto in maniera incondizionata, nel quale caso la proposta del comma aggiuntivo fatta dall’onorevole Mortati dovrebbe essere respinta; ovvero se sia preferibile rinviare ogni decisione-in questo campo alla legge elettorale.

FABBRI ritiene che il principio di carattere generale introdotto nell’articolo in questione (cioè che la decadenza dal diritto di voto possa soltanto essere dichiarata da una sentenza del giudice civile o penale) implichi necessariamente il diritto al voto dei componenti le Forze armate. Il modo con cui l’esercizio di tale diritto dovrà esplicarsi potrà essere stabilito nella legge elettorale. Qualora, quindi, fosse stabilita nella Costituzione una limitazione del diritto di voto ai militari, si infirmerebbe una decisione già presa al riguardo. Per queste considerazioni è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, che, a suo avviso, tende a modificare una decisione già presa dalla Sottocommissione in materia di elettorato attivo.

DI GIOVANNI ricorda che quando si trattò di stabilire le esclusioni dal diritto elettorale egli chiese che ogni decisione in materia fosse rinviata alla legge elettorale. Tuttavia la maggioranza della Commissione decise di introdurre una sola norma, e cioè che ogni limitazione del diritto dovesse essere dichiarata da sentenza civile o penale. Ove la questione dovesse essere sottoposta ad un nuovo esame, si potrebbe anche concludere che gli appartenenti alle Forze armate, per i vincoli disciplinari, per ragioni di dipendenza e di subordinazione gerarchica, non godono di una piena libertà nell’espressione del voto. Una tale decisione, però, dovrebbe accompagnarsi ad altre simili decisioni per casi analoghi, come, ad esempio, per i Corpi di polizia e per tutti coloro che, come i religiosi dei monasteri, si sono estraniati dalla vita attiva. Tuttavia c’è da domandarsi se sia opportuno affrontare così ardui e complessi problemi.

Ciò considerato, dal momento che è già intervenuta una decisione sulla questione della decadenza del diritto elettorale, ritiene opportuno non risollevare la questione per non riaprire una spinosa discussione.

NOBILE è contrario a che si torni su di una decisione già presa.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta che la decisione già presa debba ritenersi preclusiva, avvertendo che, solo se questa proposta non fosse approvata, potrebbe essere messo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

Tiene nuovamente a dichiarare che con la votazione avvenuta, la Sottocommissione ha inteso di non limitare in alcun modo il diritto di voto ai militari, come a ogni altra categoria di cittadini.

Apre quindi la discussione sulla seguente formula proposta dall’onorevole Conti nel suo progetto: «I requisiti per la eleggibilità e i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale».

UBERTI osserva che questa materia è di competenza della Commissione incaricata della redazione della legge elettorale.

LEONE GIOVANNI reputa che, per ragioni di armonia con quanto già è stato stabilito in materia di elettorato attivo, alcuni elementi relativi all’elettorato passivo dovrebbero essere introdotti nella Costituzione. Come sono stati stabiliti limiti precisi riguardanti l’età e la capacità, altrettanto si dovrebbe fare per le ineleggibilità e le incompatibilità.

MORTATI, Relatore, propone il seguente articolo:

«Sono eleggibili alla carica di deputato tutti gli elettori che abbiano compiuto, al momento della elezione, l’età di anni 25, che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni e non siano membri dell’antica casa regnante italiana.

«La qualità di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera.

«Eventuali altre cause di incompatibilità saranno fissate dalla legge».

LUSSU è d’accordo sulla opportunità di fissare nella Costituzione, che deve avere un carattere solenne, la esclusione dell’elettorato passivo dei membri della ex famiglia Reale. Viceversa ritiene che le altre disposizioni contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

LEONE GIOVANNI segnala l’opportunità di un’aggiunta, consistente in un richiamo alle disposizioni contenute nel preambolo alla Costituzione circa il rispetto dei diritti fondamentali di ogni cittadino. I casi di ineleggibilità non dovrebbero identificarsi con limitazioni dipendenti da considerazioni d’indole razziale o religiosa.

PRESIDENTE crede che la proposta dell’onorevole Leone potrebbe essere accolta come un suggerimento di cui si potrebbe tener conto in sede di coordinamento dei vari articoli.

MORTATI, Relatore, tiene a dichiarare che la disposizione da lui proposta, per la quale sono eleggibili tutti gli elettori che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni, è stata suggerita dalla particolare situazione in cui si sono venuti a trovare gli altoatesini che optarono per la cittadinanza tedesca.

MANNIRONI propone di aggiungere alla parola « elettori»: «e le elettrici».

PRESIDENTE crede superflua l’aggiunta, perché nessuno certamente penserà di ritornare su una decisione che già è stata presa e di riporre in discussione il pieno diritta delle donne italiane così all’elettorato attivo, come a quello passivo.

PERASSI preferirebbe che si parlasse di «cittadini» anziché di «elettori» per comprendere anche il caso di cittadini italiani all’estero.

FABBRI condivide la proposta dell’onorevole Perassi, anche in considerazione del fatto che può darsi il caso di un cittadino non iscritto per errore nelle liste elettorali.

MORTATI, Relatore, suggerisce la formula: «tutti coloro che abbiano diritto ad essere elettori». Insiste sull’uso del termine «elettori» poiché, dicendo soltanto «cittadini», si prescinderebbe da tutti i requisiti e dai limiti che già sono stati decisi.

PERASSI nel far la sua proposta di usare la parola «cittadini» intendeva riferirsi a tutti coloro che hanno i requisiti già stabiliti.

LEONE GIOVANNI propone, per venire incontro alle varie esigenze manifestatesi nel corso della discussione, la seguente formula: «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

NOBILE non è favorevole all’uso del termine «elettori», in considerazione del caso verificatosi a volte di un cittadino condannato per motivi politici e che, per quanto privato del diritto di voto, può essere eletto deputato appunto per rimetterlo in libertà.

DI GIOVANNI ritiene che la disposizione proposta dall’onorevole Conti potrebbe essere accolta con maggiore favore ed eviterebbe così ogni discussione, perché è più lata di quella proposta dall’onorevole Mortati, non contenendo specificazioni che potrebbero anche essere incomplete.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Di Giovanni che la questione ormai può considerarsi superata, nel senso che la Sottocommissione ha mostrato di ritenere, seppure non attraverso ad una votazione, di dover porre nel testo della Costituzione alcune indicazioni precise sui requisiti per la eleggibilità.

LEONE GIOVANNI teme che il suo pensiero non sia stato chiaramente compreso. Dal momento che la Sottocommissione è stata in un certo senso abbastanza rigorosa nel fissare le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo, è dell’avviso che occorra essere altrettanto rigorosi nel determinare i limiti dall’elettorato passivo. Se si accogliesse la formula «tutti i cittadini» proposta dall’onorevole Perassi, si correrebbe il rischio di dichiarare eleggibili persone che non hanno il diritto di votare.

Quanto all’ipotesi accennata dall’onorevole Nobile, osserva che i casi sono due: o si tratta di persone che sono state già private del diritto all’Elettorato attivo e passivo per effetto di una precedente condanna, e questa situazione sarà presa in considerazione dalle disposizioni transitorie; o si tratta di situazioni che potranno verificarsi in avvenire, e ad esse potrà essere applicata la norma che già è stata approvata, secondo la quale non si può essere privati del diritto al voto se non da una sentenza del giudice civile o penale.

Concludendo, ritiene indispensabile, in primo luogo, stabilire per l’elettorato passivo requisiti per lo meno analoghi a quelli stabiliti per l’elettorato attivo; in secondo luogo, trovare una formula che risponda alle esigenze prospettate dagli onorevoli Perassi e Mortati.

FABBRI ritiene che non ci sia troppo da preoccuparsi del fatto che un non elettore possa essere eletto deputato: è un inconveniente che sempre è accaduto. Cita il caso dell’onorevole Bovio che fu eletto deputato, pur non essendo iscritto nelle liste elettorali.

MANNIRONI approva le considerazioni dell’onorevole Leone, mentre non può essere d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Di Giovanni, che cioè i requisiti per l’eleggibilità debbano essere fissati nella legge elettorale. Crede invece che tali requisiti debbano essere stabiliti nella Costituzione con la stessa latitudine con cui sono stati stabiliti quelli per l’elettorato attivo. Solo i casi di incompatibilità possono essere fissati nella legge.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione si trova di fronte alla proposta di due formule diverse: «tutti gli elettori» oppure «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

Personalmente esprime l’opinione che non sia necessaria la piena coincidenza tra le condizioni per l’esercizio del diritto elettorale attivo e quelle per l’esercizio del diritto elettorale passivo. Anche nell’ultima legge elettorale, come in altre precedenti, non esisteva questa completa coincidenza. Occorre anche tener presente che, in definitiva, è la stessa Camera dei Deputati che esamina la posizione degli eletti e decide volta per volta se ratificare o meno le elezioni. In questa maniera è stato possibile eleggere anche i condannati politici, che altrimenti non avrebbero potuto essere eletti. Ritiene pertanto che non sia necessario stabilire per l’elettorato passivo gli stessi requisiti già fissati per l’elettorato attivo.

UBERTI osserva che occorre formulare una Costituzione quanto più sia possibile breve, chiara, sì che essa possa essere compresa anche dalle classi popolari. Sarebbe opportuno pertanto rinviare alla legge elettorale la determinazione dei requisiti relativi all’eleggibilità, come del resto aveva proposto l’onorevole Conti.

LUSSU osserva che, da un punto di vista razionale, la parola «cittadini» non dovrebbe mai essere usata e che dovrebbe invece essere usata l’altra «elettori». D’altra parte gli sembra strano che il non elettore possa essere eleggibile. In ogni modo la preoccupazione manifestata a tale proposito da alcuni oratori gli sembra inutile, perché se un partito è capace di inviare alla Camera un suo rappresentante, anche se non iscritto nelle liste elettorali, è evidente che esso avrà il potere di ottenere il cambiamento della legge elettorale. Torna ad affermare che nella Costituzione dovrebbe essere fissata soltanto la esclusione dall’elettorato attivo dei membri dell’ex famiglia Reale e che tutte le altre limitazioni a tale diritto, contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati con la modifica da anni 28 a 25 e con l’altra modifica suggerita dall’onorevole Leone Giovanni. La formulazione della prima parte dell’articolo in questione sarebbe pertanto la seguente: «Sono eleggibili alla carica di deputato tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori, i quali, al momento delle elezioni, abbiano compiuto l’età di anni 25».

(È approvata).

Avverte che è ora in discussione un altro requisito richiesto nell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati, e cioè che gli eleggibili di cui alla votazione testé fatta abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni.

LUSSU osserva che del requisito in esame non si dovrebbe fare parola nella Costituzione: un caso simile non potrebbe essere contemplato che nella legge elettorale. Così pure nella nuova Carta costituzionale non dovrebbero essere previste esclusioni dal diritto elettorale per motivi di razza e di religione. Ciò non risponderebbe alla nostra coscienza popolare.

TOSATO propone che siano considerati eleggibili tutti coloro che abbiano acquistato la cittadinanza italiana, non da almeno due anni come vorrebbe l’onorevole Mortati, ma da almeno tre.

PERASSI domanda all’onorevole Mortati se la proposta da lui fatta riguarda il problema generale della cittadinanza o riguarda soltanto la situazione degli altoatesini.

MORTATI, Relatore, dichiara che il disposto della norma in questione, secondo il suo parere, dovrebbe riguardare la situazione degli altoatesini solo occasionalmente; la disposizione infatti potrebbe essere utile anche per altre evenienze del genere, quando si trattasse di situazioni che potrebbero rendere opportuno limitare l’accesso immediato a determinate cariche pubbliche.

PERASSI fa presente che relativamente agli altoatesini è in corso una legge che regola la loro situazione. In ogni caso ha l’impressione che quegli altoatesini che hanno optato per la cittadinanza germanica, saranno riammessi a rivedere la loro opzione: la conclusione di ciò sarebbe che essi, pur avendo optato per la Germania, non avrebbero mai perduto la cittadinanza italiana e quindi non verrebbero ad essere colpiti da questa disposizione. Rimarrebbe, perciò, da considerare solo il problema di carattere generale. Si domanda se sia conveniente che coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana non siano eleggibili se non dopo trascorso un certo termine. Una tale disposizione si spiega in quei paesi in cui le nazionalizzazioni costituiscono un fenomeno usuale: in Italia, invece, il fenomeno ha una minima importanza. Ritiene perciò che non valga la pena introdurre la norma suddetta nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, si domanda, in relazione a quanto ha detto l’onorevole Perassi, se non sia il caso di adottare una disposizione per gli altoatesini, nella quale si tenga conto del fatto che essi non hanno mai perduto la cittadinanza italiana.

PERASSI osserva che, se si adottasse una disposizione del genere, si potrebbe andare incontro a complicazioni internazionali.

PRESIDENTE ritiene che non sia un argomento a favore dell’accettazione della proposta fatta dall’onorevole Mortati quello di mantenere per un periodo di tempo più o meno lungo gli abitanti dei territori annessi all’Italia in una condizione di inferiorità nei confronti degli altri cittadini italiani. Si dovrebbe, invece, provvedere convocare in quelle località i comizi elettorali e concedere così a quelle popolazioni la possibilità di scegliersi subito i loro rappresentanti.

MORTATI, Relatore, ritira la sua proposta, in considerazione delle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi.

CODACCI PISANELLI risolleva una questione presa in esame giorni or sono e poi accantonata, quella, cioè, degli italiani che si indicavano un tempo col termine di non regnicoli.

Si è detto che si sarebbe potuto regolare questa categoria con una legge speciale, ma, poiché una legge speciale non può modificare la Costituzione, si dovrebbe far ricorso, per disciplinare questo caso, ad una nuova legge costituzionale. Sarebbe meglio quindi introdurre nella Costituzione per questa categoria di italiani che sono parificati ai cittadini, una norma di portata più ampia di quella costituita dall’articolo proposto. Ciò sempre che non si voglia escludere dal diritto di eleggibilità questa categoria di persone.

PERASSI osserva che, allo stato attuale della legislazione, non esiste una norma in virtù della quale gli italiani non regnicoli siano parificati automaticamente ai cittadini ai fini elettorali. Esiste una vecchia disposizione, che è stata implicitamente richiamata nella legge sulla cittadinanza, in virtù della quale gli italiani per nazionalità, non giuridicamente italiani, possono ottenere la cittadinanza con l’emanazione di un semplice decreto, senza che ad essi sia richiesta la condizione della residenza. Ne consegue che la formula dell’articolo recentemente approvata dalla Sottocommissione non pregiudica il problema, perché resta sempre la possibilità per l’italiano, cosiddetto non regnicolo, di diventare cittadino con la procedura particolare anzi detta. L’affermazione che siano parificati ai cittadini italiani, ai fini della legge elettorale politica, tutti gli italiani appartenenti ad altri Stati solleverebbe problemi assai delicati e complessi. Per queste considerazioni ritiene che la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli non possa essere accettata.

CODACCI PISANELLI fa presente che nella nostra legislazione vigono alcune norme concernenti l’ammissione al pubblico impiego, nelle quali gli italiani non regnicoli sono parificati ai cittadini italiani. Si potrebbe studiare la adozione di un criterio analogo nei riguardi dell’elettorato. Chiede che il problema sia esaminato dalla Sottocommissione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli per la quale il problema in questione dovrebbe essere ulteriormente sottoposto all’esame della Sottocommissione.

(Non è approvata).

Avverte che è ora in discussione il caso, previsto nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dell’esclusione dal diritto elettorale passivo dei membri dell’ex famiglia Reale. La formulazione dell’articolo circa questo punto sarebbe la seguente: «e non siano membri dell’antica casa regnante italiana».

DI GIOVANNI, poiché la parola «antica» può sembrare ambigua, propone di sostituirla con la parola «cessata».

PRESIDENTE fa presente che l’espressione usata dall’onorevole Mortati non può riferirsi che alla casa Savoia: non crede che sia opportuno adottare un’altra espressione che potrebbe implicare anche l’appartenenza alle altre vecchie case regnanti in Italia.

LUSSU crede che sia meglio lasciare l’aggettivo «antica».

LAMI STARNUTI ritiene che al primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere aggiunte le seguenti parole: «salvo gli altri casi di ineleggibilità stabiliti dalla legge elettorale». Gli parrebbe infatti strano che nella Costituzione fosse previsto un solo caso di ineleggibilità. Infatti, nell’ultimo comma dell’articolo proposto sì parla di cause di incompatibilità e non di ineleggibilità.

LEONE GIOVANNI osserva che, se si dovesse accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, diventerebbe inutile il comma già approvato. In esso sono stati rigidamente stabiliti i casi di ineleggibilità. Quindi, se l’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovesse essere modificato nel senso di riferirsi anche ad altri casi di ineleggibilità da stabilirsi volta per volta, l’articolo in questione non avrebbe più ragione d’essere introdotto nella Costituzione.

LAMI STARNUTI insiste nella sua proposta, perché i casi di ineleggibilità sono molteplici. Gli alti funzionari dello Stato, ad esempio, sono sempre stati considerati ineleggibili specialmente nel territorio in cui esercitano le loro funzioni. Così anche sono stati sempre considerati ineleggibili tutti coloro che abbiano rapporti di interessi con lo Stato.

MORTATI, Relatore, obietta che i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e non la ineleggibilità.

LAMI STARNUTI replica che l’ultima legge elettorale, a proposito dei casi da lui accennati, parla di ineleggibilità. In ogni modo, se si è d’accordo nel considerare i casi accennati come casi di incompatibilità, non insiste nella sua proposta.

DI GIOVANNI conferma che effettivamente la legge elettorale, in virtù della quale sono stati eletti i deputati alla Costituente, considera i casi accennati come casi di ineleggibilità. In ogni caso, c’è da osservare che l’inclusione nella Carta costituzionale di alcuni determinati casi di ineleggibilità potrebbe far presumere l’esclusione di altri, ciò che darebbe luogo ad inconvenienti assai gravi. Si potrebbe ovviare ad ogni inconveniente aggiungendo all’ultimo comma dell’articolo in questione le parole seguenti: «Eventuali casi di ineleggibilità e di incompatibilità saranno fissati dalla legge».

MANNIRONI osserva che in tal modo si verrebbe a distruggere il contenuto dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

LEONE GIOVANNI, per quanto si riferisce alla necessità di mantenere la formula già approvata e al suo svuotamento che potrebbe derivare dall’approvazione dell’emendamento degli onorevoli Lami Starnuti e Di Giovanni, si riporta a quanto ha già detto. Occorre frattanto precisare la differenza fra ineleggibilità e incompatibilità. Crede che ineleggibilità sia quel complesso di cause che impediscono la possibilità di porre la candidatura: incompatibilità invece un altro complesso di cause che rendono impossibile l’esercizio del mandato parlamentare conseguito attraverso l’elezione; per cui c’è da ritenere che le cause di ineleggibilità non siano eliminabili da un atto di volontà dell’interessato, mentre quelle di incompatibilità lo siano. In altri termini lo stato di ineleggibilità non può essere rimosso, mentre quello incompatibilità può essere rimosso con atto volontario, facendo cadere le condizioni che costituiscono ostacolo alla partecipazione all’attività parlamentare. Posta questa distinzione, tutti gli esempi indicati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e potranno essere esemplificati nella legge elettorale. Ha creduto bene stabilire, dal punto di vista concettuale, la delimitazione fra ineleggibilità e incompatibilità perché, se si è d’accordo su essa, si potrebbe accogliere la formula proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, riconosce che effettivamente l’ultima legge elettorale parla di ineleggibilità per tutti i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti. In realtà la parola ineleggibilità è impiegata per esprimere due diverse situazioni: una discendente da indegnità, per condanne, ecc., un’altra collegata al possesso di date cariche. Alcune di queste cariche sono ritenute preclusive della possibilità di presentazione della candidatura nelle elezioni politiche, altre invece solo dell’esercizio della funzione di deputato. Le ultime danno vita alle incompatibilità in senso stretto. Bisognerebbe giungere ad includere nel concetto di incompatibilità anche le ineleggibilità del secondo tipo.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mortati se la sua precisazione debba essere consacrata a verbale oppure essere contenuta nel testo dell’articolo.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che la questione in esame debba essere risolta con una norma precisa da introdursi nell’articolo da lui proposto. La difficoltà però sta nel trovare una formula che risponda allo scopo.

LUSSU pensa che, dal momento che la questione è stata sollevata, sia bene chiarirla il più possibile. Effettivamente non è cosa molto semplice determinare la differenza tra ineleggibilità e incompatibilità; tuttavia ritiene – e spera che le sue considerazioni possano costituire un qualche apporto al tentativo di chiarimento fatto dall’onorevole Leone – che si possa affermare che l’ineleggibilità consista nella incapacità di un cittadino ad essere eletto deputato, sia per una sua situazione giuridica, sia per una sua posizione nella vita politica in senso generico. Ad esempio il gerarca fascista, il ministro fascista, il federale, ecc. non dovrebbero mai godere del diritto di elettorato sia attivo che passivo e il loro sarebbe un caso di ineleggibilità e non di incompatibilità.

È però dell’avviso che la determinazione dei casi di ineleggibilità non dovrebbe essere fatta in un articolo della Costituzione, bensì nella legge elettorale.

AMBROSINI rileva che l’ineleggibilità – come è stato già chiarito – importa una incapacità ad essere eletto per varie ragioni. Ad esempio, l’Alto Commissario per la Sicilia o per la Sardegna secondo l’ultima legge elettorale è stato considerato ineleggibile, perché giustamente si è ritenuto che tale carica potesse influire sull’andamento delle elezioni. Invece nel caso dell’incompatibilità si ha la capacità ad essere eletti, ma la non possibilità di esercitare contemporaneamente due uffici.

Rileva che le legislazioni elettorali prevedono alcune cause di ineleggibilità cosiddetta relativa, che cioè possono essere rimosse dall’interessato, abbandonando l’ufficio o la situazione giuridica che fa luogo all’incapacità, ed altre invece che sono assolute, come sarebbe ad esempio il caso dei membri della ex casa Reale.

In questo stato di cose si pone il quesito se sia opportuno che nella Costituzione siano indicati alcuni casi più importanti di ineleggibilità, come ad esempio quelli accennati dall’onorevole Mortati, o se non sia preferibile (come egli ritiene che sarebbe opportuno) non includerne alcuno, rimandandoli tutti alla legge elettorale.

NOBILE dichiara che, se la Costituzione deve valere a garantire un minimo di diritti ai cittadini, essa deve contenere norme precise sui casi accennati dai precedenti oratori.

Se la Sottocommissione non riterrà esauriente la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, se ne potrà adottare un’altra per indicare tutti i casi in questione. Un rinvio puro e semplice alla legge elettorale potrebbe dar luogo ad eventuali arbitrî.

LUSSU ha già fatto notare le difficoltà che si incontrano quando si vuole distinguere tra ineleggibilità e incompatibilità. Si possono infatti avere in preposito idee contrastanti. Così egli non concorda affatto con l’onorevole Ambrosini circa l’affermazione che l’Alto Commissario per la Sicilia o la Sardegna sia ineleggibile: si tratta, a suo avviso, di un vero e proprio caso di incompatibilità.

MORTATI, Relatore, accoglie la proposta fatta dall’onorevole Di Giovanni di includere anche il termine «ineleggibilità» nell’articolo in esame, e ciò perché, come è provato dalla odierna discussione, possono sorgere gravi difficoltà di interpretazione nella distinzione fra ineleggibilità e incompatibilità. Desidera soltanto che si usino due distinte formule per fissare i casi dell’una e dell’altra specie, e propone che la restante parte dell’articolo in esame abbia la seguente formulazione: «altri eventuali casi di ineleggibilità saranno disposti dalla legge. La qualifica di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera. La legge fisserà le altre cause di incompatibilità».

DI GIOVANNI propone la soppressione dell’aggettivo «eventuali» premesso alle parole «casi di ineleggibilità».

PRESIDENTE non ritiene necessaria tale soppressione. Mette quindi in votazione la restante parte dell’articolo nel nuovo testo proposto dall’onorevole Mortati.

UBERTI dichiara di astenersi dal voto, perché non ritiene che sia il caso di introdurre nella Costituzione queste disposizioni.

(È approvata).

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Umberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bozzi, Grieco.

Assenti: Amendola, Castiglia, Finocchiaro Aprile, Maffi, Patricolo, Piccioni, Porzio, Rossi Giovanni.

SABATO 14 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 14 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Ordinamento costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Einaudi – Bulloni – Lussu – La Rocca – Zuccarini – Piccioni – Uberti – Nobile – Bozzi – Conti – Fabbri – Mannironi – Porzio – Tosato – Vanoni – Targetti.

La seduta comincia alle 8.15.

Seguito della discussione sull’ordinamento costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mortati a illustrare la mozione da lui presentata insieme con altri firmatari, relativa a talune indagini che si dovrebbero compiere sugli enti locali, e della quale la discussione fu rinviata. Dà lettura del testo della mozione:

«I sottoscritti, considerato

che, in conseguenza della deliberazione, presa dalla seconda Sottocommissione, di dare al nuovo Stato una struttura decentrata, si rende necessario predisporre fin da ora le ricerche necessarie ad adeguare le decisioni che verranno prese sia dalla Costituente, sia dal futuro legislatore sulla materia dell’ordinamento degli enti locali, alle situazioni concrete di questi

che tali ricerche non possono essere affidate ad organi burocratici, nei quali è da presumere un interesse al mantenimento in vita dell’attuale accentramento, rivelatosi così dannoso per un sano sviluppo del Paese;

che analoghe indagini si rendono necessarie in relazione ad una probabile partecipazione delle categorie professionali alla formazione di una delle due camere legislative, onde determinare sia la consistenza sia la ripartizione territoriale degli appartenenti alle categorie medesime

chiedono

che la seconda Sottocommissione deliberi intorno alle misure idonee al raggiungimento dello scopo enunciato».

 

MORTATI ricorda che l’esigenza delle indagini in parola fu già fatta presente al Presidente della Commissione, onorevole Ruini, il quale con molta comprensione ne accolse i criteri e, resosi conto dell’importanza della cosa, diede incarico ad alcuni esperti dell’ex Ministero della Costituente di iniziare le necessarie ricerche. Fu quindi interpellato anche il Comitato incaricato della redazione del testo sull’ordinamento regionale ed esso si è espresso nel senso che le indagini dovrebbero essere limitate a quelle, piuttosto ristrette, che sono possibili nella situazione attuale. Pare infatti che le nostre statistiche economiche e finanziarie non abbiano raggiunto risultati molto importanti nella materia della ripartizione regionale della ricchezza, dei carichi tributari, e della capacità economica delle regioni. Sembra che tali elementi debbano essere raccolti attraverso indagini piuttosto lunghe, di guisa che si presenta il quesito se sia opportuno limitare le indagini stesse a quelle che possono dare risultati immediati o spingerle oltre, anche a costo che non possano più essere utilizzate dalla Commissione, ma solo dal futuro legislatore che dovrà dare consistenza più concreta ai principî fondamentali affermati nella Costituzione. Qualora fosse accettato questo criterio, resterebbe ancora da stabilire chi dovrebbe compiere tali indagini: è da vedere, cioè, se esse debbano essere affidate agli organi burocratici o se invece non sia il caso di fare una specie di inchiesta di carattere parlamentare, sotto la guida dell’Assemblea Costituente, attraverso organi di sua fiducia, muniti dei poteri necessari a vincere le possibili resistenze, determinate da sentimenti spiegabili, se non giustificabili, al decentramento che si vorrebbe attuare col nuovo assetto statale.

Queste sono le considerazioni a cui si è ispirato e per le quali insiste sulla utilità di prendere una decisione espressa e collegiale sulla materia.

EINAUDI sente il dovere di illustrare ciò che è stato deliberato in una riunione del Comitato incaricato della redazione dell’ordinamento sulle autonomie locali, visto che l’onorevole Mortati ha accennato a una deliberazione presa in quella sede.

In una delle sedute del Comitato in questione è stato presentato un lungo memoriale, in cui erano esposti molti punti che sarebbe stato interessante chiarire per giungere a fondate conclusioni intorno al problema delle autonomie regionali. Dall’esame di questo memoriale risulta che esso poteva essere distinto in due parti: vi erano indagini che potevano essere compiute in breve tempo ed altre che sarebbero state molto lunghe. Le prime, che possono essere svolte rapidamente, non sono molto importanti e si riducono al riassunto di dati che sono a disposizione di tutti e possono essere raccolti senza troppa fatica nel Bollettino del Tesoro, negli Annuari Statistici ed in altre fonti note. Si è quindi pensato che una raccolta di tali elementi potesse essere compiuta tanto direttamente quanto indirettamente per mezzo di esperti, perché in fondo, seguendo l’una o l’altra via, il risultato sarebbe stato lo stesso, trattandosi di esaminare, copiare e riassumere elementi da tutti acclamabili.

Circa l’espletamento delle altre indagini l’oratore si professa molto scettico, poiché ritiene che richiederebbero degli anni, talché verrebbero ultimate molto tempo dopo la conclusione dei lavori della Commissione e difficilmente potrebbero dare risultati precisi, per la mancanza di sicuri dati in questo campo. Tutto si ridurrebbe a fare presenti elucubrazioni di carattere statistico, economico e sociologico.

Questa la sostanza delle conclusioni a cui si è arrivati in sede di Comitato: chiedere che siano approntate le statistiche rapidamente conseguibili, tralasciando le altre.

BULLONI domanda all’onorevole Mortati se ha elementi che giustifichino la manifestata diffidenza verso i funzionari incaricati delle inchieste.

MORTATI dichiara che attualmente non ci sono funzionari incaricati delle indagini in parola e che egli ha inteso unicamente sottolineare l’inopportunità di affidarle ai funzionari, preferendo a tale scopo persone di fiducia dell’Assemblea Costituente.

L’onorevole Einaudi dubita che tali indagini possano essere concludenti, il che potrebbe suggerire l’idea di rinunciarvi. Si tratterebbe quindi di vedere se esse possano essere condotte direttamente a Roma, col pericolo di avere come dati conclusivi quelle elucubrazioni statistiche e sociologiche a cui egli ha accennato, o se, invece, non sia possibile rendere tali indagini più concludenti attraverso inchieste decentrate e notizie raccolte sul posto. Personalmente non si sente di esprimere un giudizio: ha sentito infatti dire da taluno che sarebbe possibile giungere a risultati positivi, mentre poc’anzi l’onorevole Einaudi ha sostenuto il contrario. Quello che può affermare è che, se verrà accertata la possibilità di un esito concreto nelle indagini in parola, una decisione a tale proposito dovrà essere presa dalla Sottocommissione. Se si vuole dare una consistenza agli enti regionali, ci si deve preoccupare che essi nascano vivi e vitali: il che implica la necessità di compiere le indagini anzidette. Esse, ad esempio, dovrebbero riguardare anche la determinazione dei confini regionali: è una questione complessa, in merito alla quale si hanno vari criteri, di cui uno è il criterio empirico della regione storica ed un altro quello proposto dall’onorevole Zuccarini, di lasciare cioè la delimitazione dei confini delle regioni alle regioni stesse, il che, a suo avviso, è estremamente pericoloso in una situazione come quella attuale di campanilismo imperante. Secondo il suo parere si dovrebbe addivenire ad una ripartizione stabilita dal centro, basandosi sul criterio della relativa autosufficienza regionale, poiché i più si propongono di dare una certa autonomia finanziaria alle regioni.

PRESIDENTE obietta che è necessario fare una questione pregiudiziale: vedere, cioè, se è compito della Sottocommissione formulare proposte concrete per la risoluzione del problema in discussione o se piuttosto essa debba limitarsi alla affermazione del principio generale dell’autonomia degli Enti locali.

LUSSU fa presente che da oltre un mese, insieme ad alcuni colleghi, ha espresso il desiderio di avere alcuni dati sulla materia in questione ed ha così potuto constatare la riluttanza di alcuni organi burocratici a fornirli.

Ritiene che sia opportuno non creare complicazioni con ricerche che, d’altronde, possono essere in un certo senso eccessive, e in un altro manchevoli: eccessive perché richiederebbero un lavoro di anni, che non avrebbe neppure attinenza con i compiti della Commissione; manchevoli, in quanto non darebbero dati interessanti. Per esaminare il problema da un punto di vista pratico, convinto com’è della necessità per la Commissione di presentare all’Assemblea plenaria uno schema completo in cui, per esempio, siano definiti anche i limiti delle regioni, e poiché certi dati sono indispensabili, propone che alcuni membri della Sottocommissione, fra cui il Presidente e l’onorevole Mortati, prendano contatto con l’onorevole Ruini, per creare un organismo non burocratico e adatto allo scopo, che potrebbe inviare anche delle persone in missione nelle diverse località per raccogliere i dati necessari e che, al termine della sua inchiesta, dovrebbe riferire alla Sottocommissione. Gli sembra che questa sia la via più spedita e pratica che eviterebbe una lunga discussione inconcludente sulla questione in esame.

MORTATI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE è d’avviso che sarebbe preferibile che la Sottocommissione brevemente esprimesse la sua opinione sulla questione in esame, di guisa che coloro che eventualmente fossero incaricati di prendere contatti con l’onorevole Ruini fossero investiti di un mandato generico da parte della Sottocommissione. In ogni modo, ciò potrebbe risultare anche inutile, visto che la Sottocommissione, esaminato il problema, potrebbe giungere alla conclusione che in realtà non c’è bisogno delle indagini in parola o anche che la questione in esame non è di sua competenza.

MORTATI osserva che l’onorevole Lussu ha sollevato una questione che attende una precisa risposta: se cioè la Sottocommissione debba presentare un progetto completo e specificato, ovvero uno soltanto generico.

PRESIDENTE torna ad affermare che, a suo avviso, la Sottocommissione non deve presentare un progetto completo, che contempli anche la definizione dei limiti delle regioni, la loro denominazione, ecc. Non gli sembra che tutto ciò possa formare materia di una Costituzione.

LUSSU è del parere che la definizione dei limiti delle regioni e la loro denominazione potrebbero formare oggetto di atti addizionali alla Costituzione.

PRESIDENTE obietta che, per la formulazione degli atti addizionali, di cui ha fatto parola l’onorevole Lussu, l’Assemblea Costituente potrebbe nominare una apposita Commissione.

LA ROCCA ribadisce il pensiero, già espresso nella riunione precedente, che non è compito della Sottocommissione, chiamata a studiare l’organizzazione costituzionale dello Stato e quindi il problema regionale, di entrare in tanti minuti dettagli. La Sottocommissione deve soltanto preoccuparsi di dare un orientamento, un indirizzo generale, senza soffermarsi su tanti particolari che, nella fretta di prendere una decisione, potrebbero anche risultare errati. Ad esempio, se nella Costituzione dovessero essere delimitati in forma eccessivamente rigorosa i confini delle regioni, quando circostanze future consigliassero di apportare alcune modifiche ai-confini già decisi, ciò naturalmente darebbe luogo ad una revisione della Costituzione, il che sarebbe deprecabile. È opportuno quindi non entrare in discussioni che esorbitano dall’ambito della competenza della Sottocommissione, la quale anche nel campo delle autonomie locali deve limitarsi ad affermare principî d’ordine generale, che servano di base per la creazione dell’ente regione.

ZUCCARINI dichiara che quando firmò la mozione era d’accordo con l’onorevole Mortati nel senso che a compiere le indagini necessarie per l’attuazione del sistema regionale fossero chiamati, non già gli uffici burocratici, ma alcune persone di fiducia dell’Assemblea Costituente, ed anche che non dovessero essere predisposti altri lavori oltre quelli che ormai sono stati affidati al Comitato di cui ha fatto cenno l’onorevole Einaudi.

Ora, non si rende conto perché l’onorevole Mortati abbia voluto sollevare una questione che investe un’attività che già si sta svolgendo ed osserva che, se si dovessero compiere le indagini da lui proposte, il lavoro della Sottocommissione praticamente si arresterebbe, mentre entro il 20 ottobre questa deve presentare le sue conclusioni.

Queste le ragioni per cui si oppone a quanto ha proposto l’onorevole Mortati e chiarisce, per quanto lo riguarda personalmente, che la mozione deve intendersi nel senso che, se si rendessero necessari lavori di indagine, questi dovrebbero essere compiuti su incarico della Commissione e non da organi che possano sovrapporsi ad essa, ed anche che le indagini stesse dovrebbero non andare oltre le possibilità e servire allo scopo.

Conclude invitando i presenti a non riprendere la discussione sul tema dell’autonomia regionale. Quando il Comitato presenterà il suo progetto, la questione in esame potrà essere discussa adeguatamente.

PICCIONI desidera sottolineare la necessità che l’istituto dell’ente Regione esca dai lavori della Sottocommissione come qualche cosa di effettivamente realizzabile e, non come una delle solite affermazioni di principio astratte, che poi, poste allo studio per un lungo periodo di tempo presso altre commissioni e sottocommissioni, si risolvono in nulla. Secondo il suo avviso, il mandato della Sottocommissione di elaborare la struttura dello Stato anche nel settore locale e regionale deve intendersi nel senso che occorre dar vita ad un ente Regione con indicazioni ben precise circa la sua attuazione e il suo funzionamento. Per raggiungere questo obiettivo occorre risolvere anche il delicato problema dei confini della Regione perché, se si affida la risoluzione di questo problema ad altre Commissioni e Sottocommissioni, si discuterà ancora per molto tempo senza giungere ad alcuna conclusione. Anche le possibilità finanziarie ed economiche dell’ente Regione devono essere preventivamente stabilite, almeno nelle grandi linee, di modo che esso possa effettivamente funzionare.

Se, per raggiungere questo obiettivo, si renderanno necessari particolari accertamenti, essi dovranno essere effettuati su iniziativa e sotto la direzione del Comitato nominato appunto per redigere un progetto articolato e completo del futuro ordinamento regionale. In questo senso ritiene che debba essere inteso il significato della mozione presentata dall’onorevole Mortati.

UBERTI fa presente che altri dati, oltre quelli confermati nel Bollettino del Tesoro, possono essere forniti dalle Amministrazioni dello Stato, e che in alcune località, come ad esempio nel Veneto, sono stati compiti accurati studi sulle varie situazioni economiche locali.

Dichiara poi d’essere contrario alla mozione Mortati che, se fosse accolta, sarebbe causa di un’eccessiva durata dei lavori d’indagine. Ritiene, quindi, che per il momento dovrebbe essere raccolto tutto il materiale disponibile, non solo quello pubblicato dal Ministero del Tesoro, ma anche quello costituito da tutti gli eventuali altri studi compiuti in questo campo. Fare nuove inchieste in materia costituirebbe non solo una perdita di tempo, ma forse anche un pericolo di rinviare sine die la costituzione dell’ente Regione.

NOBILE dichiara che la competenza di delimitare le regioni non può non spettare all’Assemblea Costituente. Questo compito non può essere affidato alla Sottocommissione, perché il problema è di così grave importanza e complessità che evidentemente l’Assemblea Costituente sarà costretta a creare una speciale Commissione, affidandole il mandato di occuparsi di questo solo argomento. D’altra parte, dati i compiti demandati alla Sottocommissione e il breve tempo che è stato messo a sua disposizione, questa non può essere certamente in grado di assolvere nuovi incarichi.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Mortati nel senso di svolgere tutte le indagini che possano essere effettuate entro i limiti di tempo assegnati, e sempre per iniziativa della Sottocommissione o del Comitato che a tal fine è stato creato. A suo giudizio, però, le indagini che si possono compiere sono assai scarse, perché per la maggior parte dei quesiti posti esse sarebbero talmente complicate che non potrebbero essere esaurite assolutamente entro i limiti di tempo fissati. Per quanto concerne invece le indagini che possono essere effettuate, il sistema migliore gli sembra che consista nell’iniziativa di ognuno degli interessati: ciascuno di essi, previa deliberazione della Sottocommissione o del Comitato di redazione, dovrebbe cercare di ottenere il maggior numero di dati che sia a lui possibile e nella maniera più rapida e precisa. Naturalmente per quanto riguarda i dati relativi alle entrate e alle spese bisognerà rivolgersi al Ministero del Tesoro, non essendovi altra fonte. Tutto al più uno dei componenti del Comitato potrà chiedere maggiori spiegazioni ai funzionari che compilano i dati finanziari, per comprendere quale è il loro significato preciso e non far sorgere dubbi di interpretazione.

Uno dei dati, di cui si è parlato nel Comitato di redazione, è quello relativo al sistema bancario, ossia al rapporto tra i depositi di ogni singola regione e l’impiego che se ne fa nella regione stessa. Questo può costituire uno degli indici più importanti per stabilire la potenzialità economica di ogni singola regione. Per queste ricerche esiste una sola fonte, vale a dire l’Ufficio di vigilanza del credito presso la Banca d’Italia. Personalmente quando ha sentito che questa materia poteva interessare il Comitato di redazione, ha cercato di iniziare la ricerca di questi dati. Già sono pronti i dati relativi agli anni dal 1939 al 1942, che hanno un certo significato. Trascurando i dati del 1943 e del 1944, sui quali non si può fare affidamento, si stanno ora elaborando i dati relativi al 1945, ma sebbene abbia adibito esclusivamente a questo lavoro cinque dei suoi impiegati, non crede che prima di due mesi si potranno conoscere i risultati di tali ricerche. Vi sono infatti dei limiti di tempo che non possono essere superati: basti pensare che bisogna inviare una infinità di lettere a tutte le banche, attendere le risposte, esaminare e controllare i dati, riscrivere in caso di contraddizioni o di eventuali errori. In ogni modo, appena sarà a conoscenza dei risultati provvisori, li comunicherà al Comitato di redazione. Se occorreranno altre spiegazioni, potrà anche far intervenire alle riunioni qualcuno dei suoi funzionari. È inutile dire che mette a disposizione del Comitato stesso tutta l’organizzazione che ha già istituita a questo scopo.

Passa ora ad un punto accennato dall’onorevole Piccioni, col quale è d’accordo. Personalmente, al contrario di quanto hanno affermato l’onorevole Presidente e l’onorevole La Rocca, crede che la delimitazione delle regioni nei loro confini possa essere inserita nella Costituzione, o in un atto aggiuntivo. Ciò a suo parere è essenziale, in quanto è indispensabile, per il funzionamento di ogni buona Costituzione, che siano stabiliti i poteri fondamentali dello Stato. Se si lascia all’arbitrio del legislatore ordinario la delimitazione dei confini delle regioni, si viene certamente a mutare uno degli elementi essenziali della Costituzione e si potrebbe ripetere oggi quello che si è verificato in passato, quando si organizzavano i collegi uninominali ed anche quelli a scrutinio di lista, delimitandoli volta per volta pur di ottenere un determinato risultato elettorale, creando una situazione di favore ad una data corrente di opinioni piuttosto che ad un’altra.

A suo avviso la questione riveste senza dubbio una grande importanza, perché a seconda del modo con cui saranno delimitate le regioni si potranno ottenere risultati politici di diversa portata, con riflessi rilevanti anche sulla composizione della seconda Camera. Pertanto, se la Sottocommissione si vuole effettivamente rendere conto del suo lavoro, è necessario che le regioni siano delimitate fin dall’inizio e che tale delimitazione dei confini abbia valore costituzionale. Se invece la questione sarà rimessa all’arbitrio del legislatore ordinario, la Sottocommissione verrà a mancare ad uno dei suoi precisi doveri, che è appunto quello di fissare in modo chiaro i poteri fondamentali dello Stato.

Si potrà obiettare che oggi non è facile sapere quali siano le regioni auto-sufficienti. A questo proposito esprime l’opinione che è impossibile conoscere a priori l’autosufficienza delle singole regioni che saranno costituite. È questa una impossibilità oggettiva a cui non ci si può sottrarre in nessuna maniera. L’autosufficienza delle regioni si potrà conoscere a posteriori, cioè solo dopo che esse abbiano cominciato a funzionare. Naturalmente tale autosufficienza dipenderà anche dalla prudenza con la quale saranno fissati i compiti delle regioni, perché è ovvio che quanto più numerosi saranno i compiti ad esse attribuiti e tanto meno sarà possibile che esse siano autosufficienti. Se invece alle regioni saranno attribuiti soltanto alcuni determinati compiti, ben precisati, con oneri ristretti, si potrà avere la speranza di creare regioni effettivamente autosufficienti. La delimitazione dei compiti della regione può essere fatta soprattutto da un punto di vista negativo, stabilendo cioè le questioni in cui la regione non deve interferire e lasciando ad essa, fuori di quei limiti, una certa libertà ed autonomia. Compiuto un tale esperimento, se esso avrà dato buoni risultati, nulla potrà impedire che i compiti attribuiti alle regioni siano ampliati.

BOZZI osserva che la discussione si è allontanata alquanto dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Mortati. In sostanza sono affiorate due tesi, le quali fanno intravedere come non sia stata ancora raggiunta una concordanza di vedute sulla disciplina dell’ente Regione. Da una parte gli onorevoli Terracini e La Rocca sono dell’avviso che sia sufficiente inserire nella Costituzione disposizioni d’ordine generale circa la costituzione dell’ente Regione, salvo poi a rinviare le modalità di attuazione alla legge ordinaria. Gli onorevoli Piccioni ed Einaudi desiderano invece che l’ente Regione sia definito persino nei suoi confini nella Costituzione, di modo che esso possa essere in grado di funzionare prontamente.

Personalmente desidera richiamare l’attenzione dei presenti sull’accenno fatto alla possibilità di attribuire la delimitazione dei confini delle regioni alle regioni stesse. Si permette di dubitare di questa possibilità, perché l’ente Regione è un ente territoriale ed il territorio è uno dei suoi elementi costitutivi. Se si rimette la delimitazione del territorio all’ente Regione, che non ancora è nato, si rimette in sostanza a questo ente la sua stessa esistenza; si crea indirettamente la regione facoltativa, perché in tanto la regione si formerà, in quanto avrà determinato i suoi confini, cioè se e in quanto gli abitanti di determinati territori si metteranno d’accordo sulla delimitazione dei confini.

Per quanto riguarda le ricerche, alle quali ha fatto cenno l’onorevole Mortati, è d’accordo che esse si debbano fare, ma non è detto che non possano essere demandate al Comitato incaricato della redazione del testo sull’ordinamento regionale. Non gli sembra quindi opportuno creare nuove Commissioni con l’incarico di procedere ad altre indagini che intralcerebbero l’ulteriore svolgimento dei lavori del Comitato.

CONTI afferma che bisogna evitare che siano creati altri organi burocratici: evitare che intervenga, come si è sentito dire, il direttore generale del Tesoro ed altri funzionari ed ex funzionari.

Le nuove norme che dovranno regolare la vita del Paese dovranno essere semplici e pratiche. A suo avviso il problema è di una semplicità assoluta. È stato già istituito un Comitato per decidere intorno alla competenza, alla configurazione e alle attribuzioni dei futuri enti regionali. È a questo Comitato quindi che deve essere lasciata la facoltà di decidere come debba portare a termine il proprio lavoro.

Circa la raccolta di dati e di elementi di cui il Comitato possa aver bisogno, ritiene che si debba seguire il criterio espresso dall’onorevole Einaudi, quello cioè di affidare l’incarico di raccogliere gli elementi facilmente reperibili o ai membri della Sottocommissione o a chi per loro; per quei dati, poi, la cui indagine esigesse troppo lungo tempo, è del parere che il Comitato dovrebbe rinunziare ad ogni ricerca.

Anche per quanto riguarda il funzionamento dell’ente Regione il pensiero dell’onorevole Einaudi gli sembra chiarissimo: alcune decisioni potranno essere previste a priori, e molte altre invece potranno essere adottate solo dopo che l’ente Regione abbia cominciato a funzionare.

Concorda anche con le affermazioni dell’onorevole Einaudi per ciò che concerne la delimitazione dei confini delle regioni. La regione dovrà già apparire costituita nella Carta costituzionale. In caso contrario si rischierebbe di andare incontro ad incresciosi inconvenienti ed a situazioni ambigue. Prima di arrivare alla formulazione della Carta costituzionale, dovrà essere risolto il problema del modo di delimitazione dei confini. A tale proposito dichiara d’essere d’accordo con l’onorevole Zuccarini, il quale da moltissimo tempo sostiene che le delimitazioni territoriali dovrebbero derivare in parte, se non del tutto, dall’espressione della volontà degli interessati. Se così non si facesse, si creerebbero situazioni difficilissime, tali da arrecare seri fastidi al Governo. Il campanilismo sarà indubbiamente di intralcio in questo campo, ma non può negarsi che spesso anche l’ombra del campanile può essere utile per risolvere determinate questioni. D’altra parte è convinto che dalla concorde volontà delle popolazioni possano venir fuori precise ed utili indicazioni di carattere economico e finanziario.

FABBRI non ritiene proficuo proseguire nella discussione, se non si chiarisce in modo adeguato per quale delle due tesi propenda la Sottocommissione.

Ricorda che in una passata riunione, quando si parlava della regione indipendente, egli ebbe occasione di esprimere il suo pensiero, affermando che si sarebbe dovuto creare un ordinamento regionale e che ogni modificazione alle regioni non dovrebbe essere fatta se non per legge.

In quella occasione aveva anche accennato alla necessità assoluta di fissare per un lungo periodo di tempo un bilancio annuale per le regioni, perché sarebbe impossibile, negli attuali momenti, pensare ad una completa autosufficienza regionale. Era quindi d’avviso di formulare alcuni principî nella Costituzione, ma in modo astratto, salvo a lasciare al legislatore la facoltà di stabilire i principî concreti circa la pratica attuazione dell’istituto dell’ente Regione.

Gli sembra che se la Sottocommissione volesse aderire alla tesi opposta, essa non avrebbe più né tempo né modo di assolvere al suo incarico. Non è certo il caso di affrontare un problema di così vasta importanza come è quello della delimitazione dei confini delle regioni: esso, se è di facile risoluzione per la Sicilia e la Sardegna, non è tale per le altre zone d’Italia; anzi, per le restanti zone d’Italia è un problema di tale essenzialità che, risolvendolo in un modo piuttosto che in un altro, ne potrebbero derivare danni gravissimi per le popolazioni locali.

Se si adotterà il criterio che nella Costituzione debbano essere delimitate le regioni d’Italia e fissate le modalità della loro autosufficienza, si dovrà compiere un lavoro per cui occorrerà certamente un tempo assai più lungo di quello previsto. In questa materia dunque dovrebbe essere presa una decisione ben chiara, se del caso a Sottocommissioni riunite, nel senso di definire se nella Costituzione gli enti regionali debbano essere geograficamente determinati, ovvero se tale compito debba essere affidato al legislatore ordinario.

LUSSU osserva che il dibattito ha un’essenza tecnica e non politica, tanto è vero che egli, favorevole all’ordinamento regionale, si trova d’accordo con l’onorevole Einaudi, il quale non è certo molto propenso alle autonomie locali.

Egli parte dal principio che si debba non perdere, ma guadagnare tempo e non complicare le cose, ma semplificarle. A suo parere tutte le volte che si rinvia una decisione all’Assemblea Costituente, si contribuisce a rendere il lavoro della Costituente assai faticoso e complesso. È necessario presentarsi all’Assemblea plenaria con dati seri e con idee ben chiare: ogni relatore su ogni articolo dovrà essere in grado di rispondere esaurientemente ad ogni obiezione e richiesta di chiarimenti.

Per quanto riguarda la costituzione dell’ente Regione, ravvisa la necessità di avere alcuni dati indispensabili per chiarire le idee. Come ha già detto, egli ha rivolto da tempo, insieme ad altri, colleghi, alcune domande in proposito a vari Ministeri ed Enti pubblici, ma non ha avuto ancora alcuna risposta. Poiché dunque la sua autorità e quella dei suoi colleghi non sembra sia tenuta nella debita considerazione dai burocrati, per avere questi dati necessari è indispensabile creare un organo destinato a raccogliere e fornire ai deputati i dati stessi. Con ciò non intende davvero manifestare la sua propensione per la creazione di un organismo burocratico: ciò che occorre è un piccolo organismo, un comitato che non faccia perdere tempo, la cui composizione potrebbe essere studiata in separata sede.

MANNIRONI ritiene che, per decidere se debba essere approvata oppur no la mozione proposta dall’onorevole Mortati, non sia necessario discutere sui compiti dei nuovi enti regionali in relazione alla formulazione della futura Carta costituzionale. Propone perciò che la Sottocommissione dia pieno mandato agli onorevoli Einaudi e Mortati, di dirigere essi stessi i lavori di ricerca. Se la raccolta dei dati sarà compiuta quando la Sottocommissione avrà già predisposto il progetto della Costituzione, tali dati saranno sempre utili nella discussione che si farà nella Commissione plenaria ed anche in seno all’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE dubita che si possa concludere la discussione con una votazione pura e semplice sulla mozione Mortati, perché molti di coloro che hanno parlato hanno dichiarato di accettarne alcune parti e di non accettarne altre. Osserva inoltre che tutti gli oratori si sono soffermati sulla sua prima parte, mentre nessuno ha parlato sulla seconda, che riguarda le indagini da compiere in relazione ad una probabile partecipazione delle categorie professionali alla formazione di una delle due Camere legislative, per la qual cosa è necessario determinare la consistenza e la ripartizione territoriale degli appartenenti alle categorie medesime.

Desidera poi fare due osservazioni.

Non può, innanzitutto, credere quanto ha affermato l’onorevole Piccioni, e cioè che una norma inserita nella Costituzione possa rimanere inattuata e che pertanto possano trascorrere anni senza che una Assemblea legislativa non si senta impegnata a tradurla in pratica: se si cominciasse a pensare questo, sarebbe meglio rinunciare ad ogni lavoro. Rileva frattanto che la prima Sottocommissione ha votato recentemente alcuni articoli che contengono determinazioni assai più vaghe di quelle della formazione dell’ente Regione; e tuttavia l’oratore ha ferma persuasione che quelle statuizioni avranno pratica applicazione. Per quanto riguarda poi la formazione della regione, essa è così precisa e netta che eluderla significherebbe avere intenzione di eludere tutta la Costituzione.

La seconda osservazione riguarda la validità della discussione finora svolta. Indubbiamente prima di votare la decisione circa la formazione delle regioni, occorre sapere se esse possono o no essere autosufficienti. Ora, già è stato deciso di istituire gli enti regionali e ciò presuppone nella Sottocommissione la persuasione che essi possano essere autosufficienti. E una tale persuasione può bastare. L’indagine sulle risorse finanziarie delle regioni dovevano, se mai, essere fatte prima e alcuni colleghi avevano posto in evidenza tale necessità.

Ricorda che quando il Presidente onorevole Ruini, non per sua iniziativa, ma perché sollecitato da molte parti, avviò ricerche che oggi sembrano limitate, lo fece prima che la Sottocommissione votasse la creazione delle regioni, il che doveva implicare che i membri della Sottocommissione avessero già acquisito nei loro termini generali i dati che oggi molti vorrebbero più specificati. Aggiunge che sul prospetto preparato dal Presidente onorevole Ruini insieme ad altri esperti, tutti hanno fatto le necessarie osservazioni. È già pervenuto un materiale che è il risultato di quelle ricerche e che in un certo senso viene incontro ai desideri manifestati nella presente discussione. Quindi, le esigenze che sono state qui manifestate si presentano con un certo ritardo; a meno che la Sottocommissione non sia d’opinione che occorra affermare nella Costituzione non solo la struttura dello Stato italiano su basi regionali, ma anche la delimitazione in modo preciso dei confini delle regioni.

Il progetto presentato dall’onorevole Ambrosini sulla base delle discussioni svoltesi e delle decisioni adottate non contiene in sé alcun articolo che faccia un richiamo a tale aspetto della questione. L’onorevole Ambrosini ha adempiuto bene il suo compito, perché ha sviluppato i quattro punti votati nelle precedenti riunioni, essendo egli convinto giustamente che il Comitato di redazione non possa aggiungere all’articolazione nulla che non sia stato deciso in forma generale ed in via di principio dalla Sottocommissione.

Conclude dichiarando che quanto ha detto non è altro che una manifestazione del suo pensiero personale: comunque ha ritenuto opportuno farlo conoscere prima di passare alla votazione.

Fa infine presente che, se la mozione Mortati sarà approvata, bisognerà immediatamente affrontare il compito di tradurla in pratica, il che porrà la Sottocommissione di fronte ad estreme difficoltà di lavoro e di organizzazione, perché si dovrà necessariamente creare un nuovo organismo, anche se di troppo vasta portata. In tal caso c’è solo da augurarsi che esso non si ingigantisca, perché ciò metterebbe la Sottocommissione nella situazione di non poter concludere.

MORTATI dichiara che il risultato della discussione finora svolta potrebbe essere concretato in un ordine del giorno così concepito:

 

«La seconda Sottocommissione, preso atto con soddisfazione delle iniziative assunte dall’onorevole Presidente Ruini in ordine agli accertamenti da compiere per rendere possibile la determinazione recente del principio del decentramento regionale; ritenuto che accertamenti del genere rientrano nella competenza della Commissione, la quale ha la responsabilità di predisporre un progetto delineato negli elementi strutturali necessari al funzionamento della futura Costituzione; che, oltre alle ricerche necessarie per l’adempimento del compito immediato demandato alla Commissione, si rende opportuno promuovere una inchiesta parlamentare che raccolga i dati necessari per la futura evoluzione del principio del decentramento onde realizzare questi fini:

1o) adeguazione, quanto più perfezionata tra capacità economica (da potenziare progressivamente) e attribuzioni degli enti locali;

2°) progressivo passaggio di mansioni attualmente affidate all’amministrazione centrale agli enti locali, sia nella forma del decentramento istituzionale, sia in quello del decentramento burocratico;

delibera che il Comitato nominato per lo studio delle autonomie locali, con l’intervento del Presidente della seconda Sottocommissione e del Presidente della Commissione plenaria, proponga i mezzi adatti agli scopi predetti».

 

Quest’ordine del giorno mira a fissare quali debbano essere i limiti delle indagini da compiersi e che dovrebbero avere due scopi. Innanzitutto occorre, secondo quanto ha detto l’onorevole Einaudi, che nella Costituzione siano fissati alcuni elementi che dovranno essere determinati dalla Sottocommissione o dalla Costituente: fra questi elementi è anche la determinazione dei confini. Se si vuole costituire una seconda Camera su basi regionali, occorre che sia delimitato il numero dei suoi componenti e la loro ripartizione secondo il criterio che più sembrerà opportuno alla seconda Sottocommissione.

In secondo luogo, le regioni debbono essere create progressivamente perché non si può credere che esse possano sorgere immediatamente, ed i necessari adattamenti si verificheranno a mano a mano che i compiti dei nuovi enti saranno definiti. Fa presente il pericolo della persistenza dell’accentramento romano, che si risolverà in un continuo ostruzionismo per neutralizzare l’azione decentatrice. Per evitare ciò, bisogna che fin da ora si abbiano i dati necessari per determinare caso per caso, amministrazione per amministrazione, quali possano essere i compiti suscettibili di decentramento con vantaggio dell’amministrazione statale, e nello stesso tempo occorre che la prevista adeguazione fra attribuzioni locali e capacità e potenzialità economica si stabilisca sempre meglio. Al che ritiene possano giovare le indagini in questione, sempre che esse si possano fare con questo duplice scopo: uno immediato che serve direttamente oggi, uno futuro che è bene fin da ora tener presente per mettere il futuro legislatore di fronte ad una situazione ben precisa e consentirgli di prendere le sue determinazioni sulla base di elementi chiaramente accertati. Tutto ciò rende opportuna la costituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare, che, per evitare il pericolo a cui accennava l’onorevole Conti, dovrebbe essere un organismo non burocratico, ma agile e snello e di derivazione parlamentare, a somiglianza di altri organismi che svolsero attività di inchiesta per conto del Parlamento italiano.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mortati se il nuovo ordine del giorno sostituisca la mozione da lui precedentemente presentata.

MORTATI dichiara che la completa.

PICCIONI constata che, dopo la lunga discussione sulla mozione dell’onorevole Mortati si è arrivati a due conclusioni divergenti e che ora dovrebbe essere posto in votazione questo duplice indirizzo emerso dalla discussione.

Quanto al secondo ordine del giorno dell’onorevole Mortati, esso amplia molto la base della discussione e potrebbe essere oggetto di un’ulteriore disamina, tanto più che esso pone il problema dell’inchiesta parlamentare, che merita un approfondito esame. Ritiene che si debba concludere la discussione nei limiti che sono emersi dalla discussione stessa, tenendo presente il primo ordine del giorno. Chiede quindi la sospensiva sul secondo.

MORTATI dichiara che non ha difficoltà a ritirare il secondo ordine del giorno, che è stato da lui presentato perché riteneva che esso potesse costituire un completamento della mozione. Tiene in. ogni modo ad affermare che nel primo comma del secondo ordine del giorno era affermato questo duplice aspetto delle indagini da compiersi: uno immediato e uno futuro.

PRESIDENTE propone all’onorevole Mortati di sopprimere nella sua mozione il comma relativo alla struttura della seconda Camera. Esso potrà essere ripresentato quando la questione sarà sottoposta all’esame della Sottocommissione.

MORTATI non ha difficoltà a ritirare il comma in questione.

PORZIO, associandosi al Presidente e all’onorevole Fabbri, dichiara che voterà contro la mozione dell’onorevole Mortati. Ricorda di essersi astenuto dal voto quando si disse che tutto quello che doveva riguardare il metodo della composizione della Camera Alta sarebbe stato discusso in seguito. Ora la mozione in discussione ripropone quello che avrebbe dovuto essere il tema di una discussione molto più ampia, ed egli, come fu coerente allora astenendosi, deve dare ora voto nettamente contrario. Della questione in esame si potrà parlare a tempo più opportuno.

Voterà contro anche perché la Costituente è stata eletta per fare la Costituzione e non delle leggi speciali e questa Sottocommissione deve presentare uno schema di statuto, fissandovi le linee maestre principali dell’ordinamento statale. Ora, invece, la Sottocommissione vorrebbe fare anche lo statuto delle regioni. E allora, perché non fare anche quelli dei consigli provinciali?

La sola norma da stabilire è che nello Statuto della Repubblica entrino anche le regioni ma quello che potranno e dovranno essere le regioni dovrà essere detto dall’Assemblea con più approfondito esame.

Come diceva l’onorevole Einaudi, il limite di tempo imposto alla Sottocommissione è molto breve, e se si dovessero fare tutte le indagini per accertare le condizioni economiche delle regioni, la loro sufficienza o insufficienza, i loro compiti, e tutto ciò consultando le statistiche e svolgendo inchieste personali, e facendo le necessarie revisioni, sarebbe impossibile formulare il progetto fra un mese, ma occorrerebbe almeno un anno.

Un’altra considerazione desidera fare circa i limiti delle regioni che potrebbero essere determinati seguendo la delimitazione dei distretti delle Corti di appello (a meno che non si voglia risalire alle delimitazioni anteriori al 1848), o quelli dell’Intendenza di finanza. Ma tali ricerche, oltre ad ingolfare la Sottocommissione in una discussione di dettaglio, la porterebbero al di là del proprio compito.

Circa l’inconveniente che sorge dal comma della mozione Mortati relativo alla composizione della Camera Alta su base regionale osserva che si sta avvertendo ora l’assurdo che egli ebbe già prima a segnalare: far nascere i figli prima del padre.

Fa presente inoltre che, se saranno introdotti nella Costituzione dei dettagli, essi un giorno potranno apparire all’Assemblea legislativa superflui o erronei: sarà necessario allora riconvocare un’altra Assemblea Costituente per formulare una nuova Costituzione.

Per queste ragioni ritiene che la mozione dell’onorevole Mortati debba essere respinta e che invece ci si debba affidare a quel Comitato di cui ha fatto cenno il Presidente, che potrà dare dei ragguagli ai quali si dovrà adeguare la decisione della Sottocommissione.

LA ROCCA dichiara che la mozione dell’onorevole Mortati praticamente mira a questo scopo: decidere se dovranno essere compiuti oppur no da parte di elementi estranei alla Commissione alcuni determinati accertamenti. Con meraviglia ha assistito al fatto che la discussione si è notevolmente allargata. Torna pertanto a riaffermare il suo pensiero, vale a dire che gli accertamenti in parola esulano dalla competenza della Commissione. Essa è chiamata soltanto a dare direttive generali programmatiche sulla istituzione dell’ente Regione.

Non è opportuno, quindi, entrare in troppi dettagli che potrebbero domani trovarsi in contrasto con la realtà. Per queste considerazioni dichiara di votare contro la mozione Mortati.

MORTATI fa presente che la sua mozione invitava semplicemente la Commissione a deliberare, onde non può essere posta in votazione.

TOSATO propone di mettere in votazione il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, discussa la mozione dell’onorevole Mortati relativa alla necessità di indagini geografiche, economiche, finanziarie, sociali sugli enti regionali, da condursi anche al di fuori dei normali organi burocratici, accoglie il principio e dà mandato al Comitato di redazione dell’ordinamento regionale di procedere col metodo indicato a tutte le ricerche ed elaborazioni necessarie per chiarire gli elementi occorrenti alle determinazioni concrete indispensabili per un immediato funzionamento dell’ente Regione».

PRESIDENTE prega l’onorevole Mortati di dichiarare se aderisce all’ordine del giorno dell’onorevole Tosato.

MORTATI vi aderisce.

VANONI dichiara di votare in favore dell’ordine del giorno ora presentato, perché gli pare indispensabile arrivare ad una determinazione che porti al funzionamento della regione.

Non era favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, di fare cioè un’indagine di carattere parlamentare, perché le inchieste parlamentari sono lunghe e lente. Si potrà fare in un secondo momento. Invece, se fin dal primo momento si vuole che questo nuovo ente sorga occorre dargli caratteristiche sufficientemente determinate.

È necessario quindi muovere da alcuni elementi concreti, che, secondo il suo avviso, non è difficile raccogliere. Si tratta di elaborare dati già esistenti in statistiche e in censimenti di natura industriale. Tutto questo deve essere fatto sotto la direzione del Comitato di redazione, il quale sa quali siano gli elementi interessanti e in qual modo debbano essere elaborati.

PRESIDENTE pone in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Tosato, dichiarando che voterà contro per le ragioni anzidette.

TARGETTI dichiara di astenersi dalla votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE ritiene che la Commissione e il Comitato di redazione non siano impegnati per la questione generale ad attendere eventualmente la raccolta di qualche dato. Frattanto il problema della struttura e del funzionamento dell’ente Regione può essere affrontato e risolto.

La seduta termina alle 10.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Lusso, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Amendola, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Maffi, Ravagnan, Rossi Paolo.

In congedo: Bordon, Grieco.

VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

14.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 13 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Zuccarini – Ambrosini – La Rocca – Piccioni – Mannironi – Lussu – Di Giovanni – Castiglia – Einaudi – Bordon – Porzio – Tosato – Nobile – Rossi Paolo – Targetti – Cappi – Patricolo – Conti, Relatore – Fabbri – Bozzi.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE dà lettura della seguente mozione presentata dagli onorevoli Mortati, Piccioni, Fuschini, Tosato, Ambrosini, Zuccarini e Cappi:

«I sottoscritti, considerato che, in conseguenza della deliberazione presa dalla seconda Sottocommissione, di dare al nuovo Stato una struttura decentrata, si rende necessario predisporre fino ad ora le ricerche necessarie ad adeguare le decisioni che saranno prese sia dalla Costituente, sia dal futuro legislatore nella materia dell’ordinamento degli enti locali, alle situazioni concrete di questi; che tali ricerche non possono essere affidate ad organi burocratici, nei quali è da presumere un interesse al mantenimento in vita dell’attuale accentramento, rilevatosi così dannoso per un sano sviluppo del Paese;

che analoghe indagini si rendono necessarie in relazione ad una probabile partecipazione delle categorie professionali alla formazione di una delle due Camere legislative, onde determinare sia la consistenza e sia la ripartizione territoriale degli appartenenti alle categorie medesime;

chiedono

che la seconda Sottocommissione deliberi intorno alle misure idonee al conseguimento dello scopo enunciato».

 

È del parere che la seconda Sottocommissione non solo non sia competente a deliberare intorno alle misure idonee al raggiungimento dello scopo che l’ordine del giorno si propone, ma nemmeno ad esaminare il problema. Circa poi la prima enunciazione dell’ordine del giorno in questione, ricorda che la Presidenza della Commissione ha già incaricato alcuni esperti del Ministero dell’interno e dell’ex Ministero della Costituente di compiere delle ricerche sopra gli aspetti finanziari ed economici del problema, allo scopo di preparare il materiale necessario. Quanto al contenuto della seconda enunciazione, gli sembra che esso esorbiti dall’ambito dell’esame della Sottocommissione, nonché da quei compiti che essa potrebbe giustificatamente arrogarsi.

ZUCCARINI si duole che non sia presente l’onorevole Mortati, che più compiutamente avrebbe potuto illustrare il problema in esame. In ogni modo dichiara che uno dei motivi che hanno spinto i firmatari della mozione a presentarla è stato quello di stabilire che per i lavori e le indagini sul problema del futuro decentramento dello Stato non siano demandati incarichi ad organi burocratici. Ricorda che nel passato tutte le riforme dell’amministrazione statale si sono arenate, soprattutto perché ne fu affidato lo studio alla burocrazia. Qualche cosa in questo campo già si è cominciato a fare: si tratta però di programmi e di inchieste che non corrispondono allo scopo ed anzi se le decisioni della Sottocommissione dovessero essere subordinate ai programmi finora formulati, occorrerebbero quattro o cinque anni di lavoro prima di poter risolvere il problema in esame. Ciò praticamente vorrebbe dire che il problema non sarebbe mai risolto. Con la mozione presentata si è voluto manifestare il desiderio che i lavori della Sottocommissione per quanto concerne le autonomie locali non siano intralciati dalle interferenze della burocrazia. Dovrà essere quindi la Sottocommissione ad indicare quali siano le ricerche da compiere e fissare il momento in cui sarà opportuno che esse vengano effettuate. Questo da parte sua è il significato dell’ordine del giorno presentato, ma non può dire se l’onorevole Mortati con esso si sia proposto scopi più ampi.

AMBROSINI dichiara che ha firmato l’ordine del giorno perché ne condivide con gli altri firmatari il contenuto, ma che aveva espresso all’onorevole Mortati il desiderio di attenuare alcune espressioni relativamente alla burocrazia.

LA ROCCA crede che tutti i membri della Sottocommissione siano d’accordo sulla necessità di alleggerire l’organismo dello Stato di pesi inutili. È necessario però fare una questione di competenza, di opportunità e di possibilità. La Commissione in sostanza è chiamata a dare direttive generali per fissare i lineamenti della nuova struttura statale e non può quindi uscire da questo ambito per entrare nei particolari che potranno invece essere meglio esaminati al momento opportuno dagli organi competenti. Tali organi potranno essere o l’Assemblea Costituente o la futura Assemblea legislativa.

PICCIONI è del parere che la questione debba essere posta nei seguenti termini: la Sottocommissione è incaricata non solo di studiare ma di definire, nella fase di sua spettanza, il nuovo ordinamento amministrativo e politico dello Stato. Come si è visto, attraverso le discussioni che finora si sono svolte, in questa materia si inserisce tutta la parte che riguarda le autonomie locali e il decentramento amministrativo dello Stato. Su questi problemi la Sottocommissione non è chiamata soltanto a fissare le direttive generali, ma in un secondo momento, che si augura il più prossimo possibile, deve anche passare alla fase normativa del nuovo ordinamento. Per arrivare alla stesura di un progetto concreto, la Sottocommissione può avere quindi bisogno anche di accertamenti su fatti particolari, che devono essere predisposti e raccolti secondo le sue indicazioni e sotto il suo controllo. Sarebbe inutile affidare alla Sottocommissione il compito di redigere un progetto di questo genere, quando il relativo materiale fosse raccolto dietro iniziativa di altri organi e secondo direttive e criteri diversi. A questa eventuale sfasatura si è voluto porre riparo per tempo con la mozione in discussione, affinché non si crei una cristallizzazione nella raccolta del materiale che direttamente o indirettamente potrà interferire nelle decisioni nel campo dell’ordinamento degli enti locali.

Poiché non è presente l’onorevole Mortati, primo firmatario della mozione, ritiene opportuno proporre di rinviare la discussione di questa alla prossima riunione, affinché l’onorevole Mortati possa illustrare tutti gli altri aspetti del problema in esame.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta di rinvio.

(È approvata).

MANNIRONI crede che, prima di procedere oltre nella discussione, si debba decidere sulla questione se nel progetto della nuova Costituzione si debba affermare il principio della rappresentanza proporzionale.

PRESIDENTE condivide il punto di vista espresso dall’onorevole Mannironi.

LUSSU ritiene che la determinazione di un sistema elettorale non possa essere fatta nel testo di una Costituzione, ma debba esser rimessa alla legge elettorale. Una Costituzione non può contenere particolarità tecniche, ma solo principî generali; altrimenti non potrebbe avere, come è necessario, quel carattere permanente, quasi secolare, che costituisce la sua ragione di essere. Di solito l’adozione di un sistema elettorale avviene con un’apposita legge che, a differenza dei principî fondamentali di una Costituzione, non ha carattere di permanenza. Ogni legge elettorale ha infatti un carattere fluttuante e può essere modificata anche dopo poco tempo dalla sua entrata in vigore. Quindi, il voler includere nella Costituzione il principio di un dato sistema elettorale, che può essere mutato, è un fatto che contrasta con la caratteristica essenziale della Costituzione che è appunto, o almeno dovrebbe essere, la perennità dei suoi principî.

MANNIRONI non è d’accordo con l’onorevole Lussu. Pur riconoscendo che una Costituzione non può contenere norme troppo dettagliate e tecniche come una legge elettorale, crede che la Sottocommissione abbia già manifestato un avviso contrario a quello espresso dall’onorevole Lussu, nel senso di riconoscere la necessità di affermare nella Costituzione il principio del sistema elettorale che dovrebbe essere tenuto presente in seguito dalla Assemblea Costituente, quando studierà e approverà la futura legge elettorale. La Sottocommissione ha già deciso per quanto riguarda l’età minima necessaria perché un cittadino abbia diritto al voto e non si capisce perché non possa anche fare un’affermazione solenne per consacrare il principio del sistema proporzionale che può essere considerato come una delle conquiste più importanti delle democrazie moderne. In molte Costituzioni di Stati democratici moderni questo principio è stato già affermato. Se da un lato si riconosce che il sistema proporzionale è il migliore, non comprende perché non si debba consacrarlo in un articolo della Costituzione.

DI GIOVANNI dichiara, interpretando anche il pensiero di alcuni componenti la Sottocommissione, di essere d’accordo con l’onorevole Lussu nel senso di rinviare la questione alla legge elettorale.

CASTIGLIA aderisce al concetto espresso dall’onorevole Lussu. La Costituzione deve essere qualche cosa di definitivo, mentre il sistema elettorale può essere fluttuante. Crede perciò che si debba rinviare alla legge elettorale la determinazione del sistema che si vorrà adottare, lasciando impregiudicata la questione in sede di Costituzione.

EINAUDI dichiara di condividere il concetto espresso dall’onorevole Lussu, non solo perché si tratta di questione importante sulla quale le opinioni possono essere discordi, ma anche perché, se venisse inserito nella Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale, in sostanza si verrebbe ad inserire qualche cosa che non ha grande significato. Il principio che si diventa elettori alla maggiore età è un concetto preciso, di cui si conosce la portata esatta: ma quando invece nella Costituzione si affermasse che il sistema elettorale da adottare è quello della proporzionale, si direbbe ben poco, perché l’attuazione di tale principio sta tutta nei metodi adottati. Una cosa, ad esempio, è la proporzionale regionale; altra è la proporzionale nazionale o provinciale. A seconda che si adotti un sistema od un altro, varia il valore del principio della proporzionale. Questa è la ragione fondamentale della sua adesione al concetto dell’onorevole Lussu.

Poiché ha sentito affermare che il sistema della proporzionale è qualche cosa che quasi si identifica con la democrazia, manifesta il suo dissenso più aperto su questo punto, in quanto il sistema proporzionale non vige in tutti i Paesi democratici; non vige infatti in Inghilterra, né negli Stati Uniti, che senza dubbio sono Paesi democratici. In questi Paesi, anzi, tutti i partiti sono d’accordo nel ritenere che il sistema proporzionale sia da condannarsi, come assolutamente antidemocratico.

BORDON esprime l’avviso che la sede non sia opportuna per trattare l’argomento, in quanto la Costituzione non deve contenere che l’affermazione di principî generali.

Nel merito contesta che la proporzionale rappresenti un sistema maggiormente conforme allo spirito democratico. La Val d’Aosta che egli rappresenta ha usato il sistema uninominale e non per questo la si può accusare di scarso senso democratico.

ZUCCARINI osserva che il sistema proporzionale potrà essere più o meno perfetto, ma senza dubbio più compiutamente del sistema maggioritario realizza la democrazia, che appunto si identifica con la più esatta rappresentanza di tutte le correnti politiche nel governo del Paese.

Sostiene, perciò, che il principio della proporzionalità dovrebbe essere affermato nella Costituzione, salvo a stabilirne nella legge elettorale la forma di applicazione, secondo quel che sembrerà più opportuno.

PORZIO richiama l’attenzione della Sottocommissione sul fatto che la materia da discutere è ben altra che quella in esame, su cui ciascuno potrà esprimere il proprio parere quando si tratterà di elaborare la futura legge elettorale.

Aderisce pertanto incondizionatamente alle considerazioni dell’onorevole Lussu, poiché una Costituzione non può avere che un carattere del tutto contingente. È pacifico che le Costituzioni possono essere violate, ma ciò appunto a cui si deve mirare è che esse non lo siano soprattutto poco tempo dopo la loro entrata in vigore. A tale considerazione ne va aggiunta un’altra, già fatta dall’onorevole Einaudi, che, cioè, di modi di applicazione della proporzionale ce ne sono molti, non escluso quello collegato col sistema uninominale.

Si rende conto del fatto che oggi la proporzionale è di moda, ma fa rilevare che le Costituzioni più tradizionali e meno mutevoli, quelle dell’America e dell’Inghilterra, hanno sempre evitato di farvi ricorso.

Un’altra parola è anche di moda: «democrazia». Senza dubbio la democrazia è sovranità popolare, ma essa è anche, e soprattutto, sentimento di umanità che finalmente deve penetrare nelle leggi, affinché ne sia possibile l’attuazione nell’interesse della collettività.

TOSATO trova che il problema in discussione è assai delicato. Riconosce che la materia in questione dovrebbe costituire un elemento essenziale della Costituzione, perché, se non altro da un punto di vista teorico, è evidente che questa, a seconda che si adotterà un sistema elettorale piuttosto che un altro, funzionerà in un modo piuttosto che in un altro. L’influenza del sistema elettorale sul funzionamento della Costituzione è immediata. D’altra parte osserva che la Costituzione non è stata ancora redatta, non se ne conoscono ancora tutti gli elementi particolari, e quindi ancora non si è in grado di misurare quale influenza essa potrà subire dal sistema elettorale che sarà adottato.

Ricorda che la legge del 16 marzo 1946 stabilisce che la legge elettorale è in ogni caso materia di competenza dell’Assemblea Costituente. Con questa norma evidentemente si mirava alla formazione di una Commissione speciale per la elaborazione della legge elettorale. Il problema dunque va posto in altro momento e in altra sede.

Gli sembrano molto convincenti le argomentazioni dell’onorevole Einaudi: se nella Costituzione si vuole stabilire l’applicazione di un determinato sistema elettorale piuttosto che un altro, non basta dire semplicemente che si vuole adottare quel tale sistema, perché ci sono diversi modi di metterlo in pratica.

DI GIOVANNI rileva che nella legge sull’Assemblea Costituente sono stati affidati tre diversi compiti all’Assemblea stessa: elaborazione della nuova Costituzione, discussione ed approvazione dei trattati di pace, redazione della legge elettorale. Quindi, anche nella legge sulla Costituente si è voluto distinguere la materia elettorale della formulazione della nuova Costituzione. Anche per questo gli sembra che sia da rinviare ad altra sede l’esame del problema del sistema elettorale.

LA ROCCA osserva che, da un punto di vista puramente politico, la proporzionale, nonostante tutti i suoi difetti, costituisce un’ulteriore conquista della democrazia e, poiché è proponimento di tutti di elaborare una Costituzione eminentemente democratica, non si può fare a meno di inserirvi l’affermazione di un tale principio. Riconosce che la proporzionale ha innumerevoli varietà nei modi di applicazione, ma nella Costituzione si tratterà di affermare puramente e semplicemente il principio che la rappresentanza nazionale dovrà essere espressa attraverso questo sistema, lasciando alla Commissione competente il compito di determinare il modo d’applicazione.

PORZIO obbietta che non è affatto certo che il sistema proporzionale rappresenti un passo avanti nel progresso della democrazia.

LA ROCCA replica che i vantaggi del sistema proporzionale sono stati provati dall’esperienza. Difatti la proporzionale consente la rappresentanza più o meno integrale di tutte le correnti politiche del Paese, il che con gli altri sistemi non è possibile. Insiste pertanto sulla opportunità di sancire il principio della proporzionale nella Costituzione, affinché, essendo la legge elettorale espressione di un organo puramente legislativo, non possa avvenire che in un vicino domani l’Assemblea parlamentare annulli questo principio che rappresenta il risultato di anni di travaglio politico e di innumeri esperienze.

DI GIOVANNI dichiara di non essere contrario al principio del sistema proporzionale, ma soltanto al fatto che esso sia prescritto nella Costituzione.

NOBILE si associa alle osservazioni degli onorevoli La Rocca e Zuccarini ed insiste perché sia consacrato nella Costituzione il sistema della proporzionale che, anche a suo avviso, rappresenta una conquista della democrazia.

La preoccupazione dell’onorevole Einaudi può essere giusta, ma senza dubbio è eccessiva; onde propone che si usi una formula approssimativamente del seguente tenore: «Il sistema è quello proporzionale, applicato secondo i metodi che saranno indicati dalla legge elettorale».

AMBROSINI fa presente che, qualora la Sottocommissione decidesse di affermare il principio della proporzionale nella Costituzione, occorrerebbe quanto meno precisare alcuni dei criteri di applicazione. Così, ad esempio, sarebbe necessario determinare l’ampiezza delle circoscrizioni elettorali, poiché se in avvenire esse venissero troppo ristrette, il sistema della rappresentanza proporzionale verrebbe ad essere praticamente annullato nella sua essenza e nel suo funzionamento.

Per queste ragioni ritiene, a meno che non si voglia entrare nel merito dell’argomento, che sia opportuno rinviare l’esame della materia alla Commissione per la legge elettorale.

PORZIO ripete che non si è nella sede adatta per risolvere la questione. Questa Sottocommissione sta lavorando per preparare la Carta fondamentale dello Stato e questa non può vincolare la Nazione ad un dato sistema elettorale.

Richiamandosi alle costituzioni di altri Paesi, fa osservare che soltanto in quella di Weimar ed in altre di scarsa importanza, venne stabilito un determinato sistema elettorale. Infatti le costituzioni della Francia, degli Stati Uniti e della maggior parte dei grandi Stati democratici non contengono alcuna affermazione in proposito. Se infine la discussione circa il sistema elettorale dovesse affrontarsi in sede di Costituzione, non sa di che cosa si dovrebbe poi parlare in sede di Commissione per la legge elettorale. Viceversa in quella sede dovrà aversi prima una discussione di principio e poi una di tecnica sui metodi di applicazione. Il suo senso estetico ed il suo senso logico sarebbero offesi, se si volesse nella nuova Carta statutaria vincolare il Paese ad un determinato sistema elettorale.

ROSSI PAOLO ricorda che negli ultimi cinquant’anni in Italia non si è quasi mai votato per due volte di seguito con la stessa legge elettorale. Dopo il collegio uninominale è stato adottato lo scrutinio di lista; poi è tornato in uso il collegio uninominale; finalmente si è fatto ricorso alla proporzionale, che però è stata usata sempre con metodi diversi. Mai due Assemblee nell’ultimo cinquantennio sono state elette con lo stesso sistema.

Personalmente dichiara di essere favorevole al sistema della proporzionale, ma pensa che bisognerebbe adottare una proporzionale il più possibile perfetta; ed uno dei modi in cui la proporzionale può essere perfezionata è quello del premio al partito che ha riportato il maggior numero di voti. Potrebbe darsi che un giorno apparisse utile l’applicazione di questo correttivo. Ma se nella Costituzione venisse affermato il principio della proporzionale, l’applicazione del correttivo anzidetto potrebbe essere intesa come una questione di costituzionalità e per questo essere impedita. Per queste ragioni, pur dichiarandosi proporzionalista convinto, è contrario ad ogni determinazione del sistema elettorale nel testo della Costituzione.

PRESIDENTE esprime il proprio parere, che è in contrasto con quello manifestato dalla quasi totalità dei componenti la Sottocommissione.

Ritiene che nella discussione siano stati commessi alcuni errori di impostazione. Ad esempio, crede che l’onorevole La Rocca abbia errato parlando, a proposito della proporzionale, di un progresso democratico e che egualmente abbia errato l’onorevole Zuccarini quando parlava della proporzionale come di una affermazione della democrazia. Se, invece, essi avessero parlato del progresso democratico italiano e di come in Italia è venuta realizzandosi la democrazia prima ancora del lungo intervallo del fascismo, l’errata impostazione del problema sarebbe venuta meno. Trova inutile fare riferimento a ciò che è successo in Francia, in Inghilterra, in America; a tutti è noto, infatti, che in Inghilterra e in America non si usa il sistema proporzionale perché in questi Paesi la democrazia ha seguito strade diverse.

Ora, si è tutti d’accordo che in Italia, nel fare la Costituzione, non debbono essere ignorati i fatti degli altri Paesi, ma ciò che soprattutto interessa è che, per fare una nostra nuova Carta statutaria, occorra più che altro avere in vista le nostre esigenze, la nostra realtà. Inoltre, la storia dei nostri sistemi elettorali non è affatto quella accennata dall’onorevole Rossi, il quale, giova riconoscerlo, non ha fatto la storia, ma è sceso ad alcuni particolari che sono di cronaca. Non gli sembra esatto, infatti, affermare che in Italia nell’ultimo cinquantennio vi siano stati numerosi sistemi elettorali, perché in realtà ce ne sono stati soltanto due, con modi di applicazione diversi. Difatti la storia della democrazia italiana passa dal sistema maggioritario a quello proporzionale.

A suo avviso, la Costituzione deve anzitutto consolidare la conquista della democrazia ed in Italia una di queste conquiste è rappresentata appunto dall’adozione del sistema proporzionale. Ora, tale conquista dovrebbe trovare nella Costituzione il suo fondamento, per impedire che nel futuro essa possa essere annullata.

Richiama infine l’attenzione dei presenti sulla situazione politica italiana, rilevando che sono proporzionalisti i partiti democratici di massa, che intendono appunto sviluppare ulteriormente la democrazia, mentre sono antiproporzionalisti gli altri, come ad esempio il partito liberale, il quale così ama chiamarsi in quanto non è democratico. È noto infatti che alcune posizioni di questo partito non coincidono con le posizioni dei grandi partiti popolari.

Concludendo, afferma che se la Costituzione deve essere Costituzione della democrazia italiana, essa deve innanzi tutto dare come acquisito ciò che le masse sono riuscite a conquistare attraverso molti anni di travaglio politico.

TARGETTI dichiara di essere un proporzionalista convinto e di essersi sempre battuto, fin dagli anni della sua giovinezza, per l’adozione di questo sistema. Tuttavia, pure associandosi alle considerazioni del Presidente, deve fare qualche riserva per un accenno fatto dall’onorevole Rossi. Esclude da parte propria di potere un giorno persuadersi della opportunità di concedere un premio ai partiti che abbiano raggiunto la maggioranza, il che, come tutti sanno, serve a far sorgere prima delle elezioni quelle coalizioni che invece dovrebbero sorgere dopo; ma poiché il correttivo a cui ha accennato l’onorevole Rossi potrebbe sembrare utile un giorno al Paese, è contrario a che sia stabilito nella Costituzione il principio della proporzionale che potrebbe ostacolare l’adozione del correttivo suddetto.

PICCIONI fa presente che, secondo le dichiarazioni dell’onorevole Tosato, la Commissione dovrebbe essere chiamata innanzi tutto a decidere se convenga, oppur no, rinviare l’esame della questione. Sarebbe più opportuno, quindi, dare la precedenza alla proposta fatta dall’onorevole Tosato.

MANNIRONI aderisce all’idea di rinviare la decisione, pur tenendo a riaffermare la sua fede nel sistema della rappresentanza proporzionale.

LA ROCCA dichiara che, se la maggioranza è per la sospensiva, da parte sua non ha nulla in contrario. Tiene però a chiarire che, quando ha parlato di progresso della democrazia attraverso il sistema proporzionale, ha inteso riferirsi alla situazione storica italiana. Ha sempre ritenuto che il sistema proporzionale abbia rappresentato per l’Italia un passo innanzi e per questo ha sostenuto e sostiene che il principio della proporzionale debba essere affermato nella Costituzione. Saranno poi gli organi competenti a decidere il modo di applicazione.

LUSSU si dichiara contrario alla sospensiva. In linea di principio tutti i membri della Sottocommissione, per non far sorgere l’impressione che questa voglia abdicare ai suoi diritti e doveri, dovrebbero essere contrari a sospendere l’esame dei problemi che riguardano la Sottocommissione stessa. Tutti i problemi, quindi, debbono essere risolti a mano a mano che si presentano, anche se connessi ai lavori di altre Sottocommissioni. In questa ipotesi, infatti, si può sempre esprimere un pensiero e fissarlo in una proposta, salvo poi a modificarlo, quando si venisse a conoscenza di risultati diversi raggiunti da altre Sottocommissioni.

Tiene a dichiarare che non è animato da nessuna preoccupazione di carattere politico nel proporre che la questione in esame sia trattata in sede di formazione della legge elettorale. Ha dovuto constatare, nell’esperienza pratica compiuta, che il sistema del collegio uninominale è strettamente connesso alla corruzione politica italiana, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle Isole. Si dispensa dal citare dati di fatto che sono noti a tutti. È quindi favorevole in linea di principio alla rappresentanza proporzionale, pur rispettando l’opinione espressa dall’onorevole Bordon, quale rappresentante della Val d’Aosta, e non intende affatto rinunciare a questa conquista democratica. Ma la nuova legge elettorale, che verrà emanata, sarà senza dubbio l’espressione della rinata coscienza del popolo italiano.

Alla obiezione che, non fissando nella Costituzione il principio della proporzionale, questo possa essere abolito da una maggioranza al potere, risponde che anche il fascismo cambiò la legge elettorale, ma prima di tale cambiamento era avvenuto qualche cosa di assai grave che, se si ripetesse oggi, farebbe saltare in aria non solo la legge elettorale, ma anche la stessa Costituzione.

CAPPI avverte che la prima Sottocommissione si è già occupata del problema in esame è che anzi ha già stampato una relazione in cui, oltre alla questione dell’elettorato attivo e passivo, si tratta anche dei principî fondamentali della Costituzione, tra i quali quello della proporzionale. Gli sembrerebbe pertanto opportuno sospendere l’esame della questione per stabilire un’intesa tra le due Sottocommissioni.

PRESIDENTE ricorda che già è stato deciso di prendere contatto con le altre Sottocommissioni. Circa la proposta di sospensiva, ritiene che essa possa essere accettata, non tanto per le ragioni esposte dall’onorevole Piccioni, quanto perché il principio della proporzionale, se inserito nella Costituzione, verrebbe a dare alla Costituzione stessa una precisa fisionomia, e occorre prima sapere come sarà progettata la Costituzione, per poi stabilire il sistema di votazione che in essa dovrà essere prescritto.

Dopo le osservazioni dell’onorevole Cappi, crede quindi che la sospensiva possa essere accolta. Prega intanto gli onorevoli Conti e Mortati di informarsi delle conclusioni della prima Sottocommissione, augurandosi che esse siano tali da consentire alla seconda Sottocommissione di poter inserire il principio della proporzionale nel progetto di Costituzione.

PATRICOLO è del parere di rinviare alla legge elettorale qualsiasi determinazione circa il metodo da seguire nelle elezioni.

Desidera poi rispondere ad una affermazione fatta dall’onorevole Presidente, il quale ha dichiarato che solo i partiti di massa sono democratici, quasi che l’essere democratici sia dovuto al numero dei votanti. Si ha invece l’esempio di partiti di massa ingentissimi, come il fascismo in Italia, il nazionalsocialismo in Germania e il comunismo in Russia, che, pur essendo partiti di massa, non possono davvero dirsi democratici. Non è stata quindi giusta ed equanime l’affermazione dell’onorevole Terracini, quando ha escluso dall’essere democratici alcuni partiti non di massa.

Il partito dell’Uomo Qualunque, al quale l’oratore appartiene, è un partito di quasi massa ed egli si augura che diventerà ben presto un partito di massa; ma non sarà certamente il numero dei suoi componenti a far sì che esso sia più o meno democratico, ma piuttosto l’azione politica che esso svolgerà e perseguirà. Così anche il partito liberale non si può chiamare antidemocratico nel nome; se così fosse avremmo solo uno o due partiti democratici alla Camera e non sarebbero più democratici né il partito socialista, né il comunista, né molti altri.

PRESIDENTE risponde all’onorevole Patricolo che la sua elencazione era semplicemente esemplificativa. L’accenno al partito liberale non si riferiva al fatto del nome, ma alle lunghe e prolungate discussioni che si sono svolte in seno a quel partito circa l’organizzazione economico-politica della società.

CONTI, Relatore, comunica che nella prima Sottocommissione i Relatori Umberto Merlin e Pietro Mancini hanno formulato la proposta che il voto debba essere eguale, libero, segreto e personale, costituire un dovere pubblico, quindi essere obbligatorio, debba essere esercitato col sistema della rappresentanza proporzionale.

PORZIO insiste nella proposta di rinviare il problema alla legge elettorale, senza vincolarsi nella Costituzione ad un sistema prefisso, ripetendo che, per legge, l’Assemblea Costituente dovrà discutere ed approvare la futura legge elettorale.

Circa poi l’affermazione che soltanto i partiti favorevoli alla proporzionale sono veramente democratici, ricorda che la legge sul suffragio universale fu votata e approvata da una Camera eletta col sistema uninominale.

LUSSU dissente da quanto ha affermato il Presidente. Ha la preoccupazione che le sospensive alcune volte siano determinate non da ragioni giuridiche, ma piuttosto dal timore di molto lunghe discussioni. Il principio che invece, a suo avviso, dovrebbe dominare i lavori della Sottocommissione dovrebbe essere quello di pronunciarsi su tutti i problemi a mano a mano che essi si presentano, senza prendere contatto con le altre Sottocommissioni. Nessuna delle altre Sottocommissioni ha chiesto il parere della seconda, mentre questa ultima ricorre spesso a tale sistema, ciò che, se non le toglie dignità, le fa per lo meno perdere tempo assai prezioso.

Circa, poi, i cosiddetti partiti di massa e democratici, considera quanto ha affermato il Presidente come una esemplificazione e pertanto non si ritiene chiamato in causa, pure approvando il concetto espresso dall’onorevole Terracini. Deve dire però, dato che non appartiene ad un partito di massa, che tutti i partiti sono putativamente di massa, non essendo certo il numero degli iscritti che fa un partito di massa, bensì il suo comportamento sociale. Può citare a tale proposito un solo esempio che gli pare convincente, quello dell’«Indipendent Labour Party», che, pur non essendo numeroso, è senza dubbio un partito democratico e socialista.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di sospensiva.

(È approvata).

BORDON ha votato per la sospensiva, ma desidera riaffermare che è contrario al sistema della rappresentanza proporzionale.

PRESIDENTE avverte la Sottocommissione che occorre ora passare all’esame della questione dell’elettorato passivo e apre la discussione sul limite dell’età, che nel progetto dell’onorevole Conti è fissato ad anni 25.

NOBILE è del parere che coloro che sono chiamati ad essere eletti deputati debbano dare garanzie maggiori di quelle richieste ai comuni elettori. Per questo motivo è favorevole ad un elevamento del limite di età.

PATRICOLO ricorda che nell’ultima riunione aveva richiesto l’elevamento del limite di età per l’elettorato passivo, esprimendo l’avviso che il deputato all’Assemblea nazionale debba effettivamente possedere quella esperienza, capacità e maturità politica che sono necessarie per assolvere un compito tanto importante. In quella occasione aveva anche messo in evidenza che si potrebbe abbassare il limite di 25 anni per l’eleggibilità alle Assemblee regionali, che saranno dei Parlamenti in miniatura, nei quali i giovani che desiderano dedicarsi alla vita politica potranno addestrarsi ai più gravi compiti che li attenderanno nell’Assemblea nazionale. A 25 anni un uomo esce appena dall’Università e non può considerarsi preparato ai problemi della vita nazionale; spesso non ha nemmeno messo fuori il piede dalla sua provincia o dalla sua regione e quindi non possiede quel largo orizzonte di vedute che è necessario ad un rappresentante del popolo nell’Assemblea nazionale.

Ritiene, tuttavia, che la sua primitiva proposta di elevare l’età a 30 anni potrebbe essere modificata limitandola a 28 anni, così che sia contemperata l’esigenza di una certa maturità con quella di immettere nell’Assemblea nazionale elementi giovani, pronti a dare una attiva collaborazione.

NOBILE si associa alla proposta dell’onorevole Patricolo.

DI GIOVANNI esprime il parere che il limite di 25 anni, proposto dall’onorevole Conti, sia rispondente non solo al convincimento che i giovani più eletti e preparati possano essere in grado di ricoprire l’incarico, indubbiamente elevato, di componenti il Parlamento, ma anche al desiderio di valorizzare i giovani in generale.

CONTI, Relatore, ricorda che nel 1921-22 fu relatore di una proposta di legge mirante appunto a ridurre il limite di età dai 30 ai 25 anni, perché fin da allora era convinto che quest’ultima età fosse sufficiente per accedere alla Camera dei Deputati. Una volta superato l’attuale periodo di abbassamento intellettuale dovuto al fascismo, si andrà verso tempi in cui i giovani a 25 anni saranno all’altezza delle funzioni parlamentari. D’altra parte è sicuro che il corpo elettorale avvierà i più giovani prima di tutto alle Assemblee regionali, onde ben pochi saranno alla Camera i rappresentanti di 25 anni.

PICCIONI concorda con l’onorevole Conti, aggiungendo che il voler elevare il limite di età potrebbe sembrare un regresso rispetto al limite attualmente in vigore per poter essere eletti deputati alla Costituente, quasi che i giovani che fanno ora parte dell’Assemblea Costituente non abbiano dato buona prova, il che, almeno per quanto gli risulta, non può certo dirsi.

LUSSU voterà per il limite di 25 anni, esclusivamente per un criterio di opportunità, visto che in pratica i vecchi hanno dato più cattiva prova dei giovani.

Tiene poi a mettere in evidenza che, in relazione alla costituzione dell’Ente Regione e della nuova organizzazione della Camera, il numero dei deputati sarà probabilmente alquanto ridotto, poiché la risoluzione di molti problemi locali sarà demandata alle Assemblee regionali. La Camera, pertanto, con tutta probabilità, si dovrà occupare prevalentemente solo dei grandi problemi di interesse generale.

Non si stupirebbe, pertanto, se, data l’elevatezza del compito di deputato, da qualche settore si esprimesse il desiderio di portare l’età dei deputati ad un limite superiore ai 25 anni.

LA ROCCA è anch’egli favorevole al limite di 25 anni, anche perché la fissazione di questa età non dà senz’altro la possibilità di adire alla Camera a tutti i venticinquenni, ma solo a quelli che siano all’altezza del compito, e per i quali non vi sarebbe motivo di esclusione dalla vita pubblica.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Patricolo, alla quale si è associato l’onorevole Nobile, di elevare a 28 anni il limite di età per l’elettorato passivo.

(Non è approvata)

Pone in votazione il limite di età di 25 anni.

(È approvato).

Apre la discussione sulla durata del mandato, che nel progetto dell’onorevole Conti è fissato ad un periodo di quattro anni.

FABBRI crede più opportuno fissare la durata del mandato in cinque anni, come era in precedenza. Naturalmente tale durata dovrebbe essere connessa col problema dello scioglimento della Camera che, secondo quanto è nel desiderio di tutti, dovrebbe essere considerato in rapporto alle crisi ed all’opportunità di avere un congruo periodo di continuativa attività.

ROSSI PAOLO osserva che la durata del mandato della prima Camera deve essere connessa con la durata del mandato della seconda, che probabilmente sarà elettiva, onde non crede che sia possibile discutere separatamente le due questioni. La durata del mandato della seconda Camera è previsto per un periodo di sei anni con rinnovamento per metà dei suoi componenti ogni tre anni. Propone quindi di sospendere la decisione rinviandola a quando sarà discussa la durata del mandato per i componenti della seconda Camera.

CONTI, Relatore, avverte che, essendoci constatato che in passato solo qualche legislatura è giunta al quinto anno, è sembrato che il termine di cinque anni possa essere troppo lungo, in relazione alla possibilità di una Camera sufficientemente stabile.

Non ha, del resto, alcuna difficoltà a rinviare la discussione della durata del mandato per i componenti della prima Camera a quando sarà discussa quella per i componenti del Senato.

LUSSU è contrario al rinvio, ritenendo che si possa prendere egualmente una decisione, salvo a modificarla quando si discuterà della durata del mandato per i componenti del Senato.

PRESIDENTE condivide il parere espresso dall’onorevole Lussu, perché nessuna delle decisioni della Sottocommissione è talmente impegnativa che non possa essere successivamente modificata.

Pone in votazione la proposta dell’onorevole Fabbri di elevare a cinque anni la durata del mandato.

(È approvata).

Rileva che tra le proposte dell’onorevole Conti ce ne sono altre, in successivi articoli, che si riferiscono alla formazione della Camera dei Deputati. Così ad un certo punto si afferma: «I requisiti per l’eleggibilità ed i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale». In altro articolo poi si stabilisce: «Sarà eletto un deputato ogni 150 mila abitanti».

Apre la discussione sulla prima delle due proposte.

TOSATO ritiene che la norma non sia opportuna, poiché ci sono alcuni casi di incompatibilità che dovrebbero essere fissati dalla Costituzione, come ad esempio l’incompatibilità del Presidente della Repubblica con alcun uffici pubblici e l’incompatibilità per i componenti di una delle due Assemblee a far parte anche dell’altra.

D’altra parte un esplicito rinvio nella Costituzione alla legge elettorale non è del tutto indispensabile e può essere benissimo sottinteso.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Tosato di sopprimere la formula: «I requisiti per la eleggibilità ed i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale».

(È approvata).

Apre la discussione sulla proposta concernente l’elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti.

PATRICOLO osserva che si potrebbe sopprimere anche la disposizione in esame, rinviando ogni decisione a tal riguardo alla legge elettorale, poiché si tratta di un principio che non è opportuno sia affermato nella Costituzione.

NOBILE si dichiara favorevole ad una norma per la quale il numero dei Deputati dovrebbe essere ridotto a circa 300. Ricorda in proposito l’interessante osservazione di uno statista inglese, il quale sosteneva che un’assemblea legislativa composta di 5 o 600 persone è troppo numerosa per essere un’assemblea e troppo poco numerosa per essere un comizio, e che pertanto il numero giusto dei componenti un’assemblea legislativa dovrebbe essere di circa 250 persone.

D’altra parte, il lavoro che potrà essere svolto da trecento deputati non sarà molto diverso da quello che potrà essere svolto da seicento e non vede quindi quale vantaggio ci sia ad accrescere il numero dei componenti l’Assemblea. Tutto al più si potrà obiettare che potrebbe rimaner sacrificato qualche partito di minima importanza, che con un numero doppio di posti disponibili potrebbe, con la proporzionale, conquistarne uno. Ma l’eliminazione dalla vita politica di partiti di così scarsa importanza è più un bene che un male.

PATRICOLO chiede che sia preliminarmente posta ai voti la sua proposta di soppressione della formula in questione.

TOSATO ritiene che la materia non possa essere rinviata alla legge elettorale, poiché si tratta di stabilire la composizione di un organo costituzionale, e il non farlo rappresenterebbe una lacuna della Costituzione.

CAPPI propone un emendamento così concepito: «Sarà eletto un deputato ogni 100.000 abitanti». La sua proposta di accrescere il numero dei deputati trova giustificazione in due considerazioni: anzitutto dare una congrua rappresentanza regionale; in secondo luogo utilizzare con maggiore ampiezza le capacità.

FABBRI ritiene fondamentali le osservazioni dell’onorevole Tosato e non può aderire alla proposta di mettere ai voti la soppressione della disposizione in esame che, a suo avviso, ha un’importanza fondamentale nella Costituzione.

CONTI, Relatore, invita i presenti a considerare che il numero dei componenti della Camera dei Deputati deve essere commisurato alla struttura che dovrà assumere il corpo legislativo ed alle funzioni che l’Assemblea dovrà svolgere. Si richiama a quanto giustamente ha osservato l’onorevole Lussu, che, cioè, la nuova Camera dei Deputati, se veramente si vuole dare al Paese la possibilità di un sano sviluppo legislativo, dovrà essere un consesso destinato alla trattazione dei più alti e ardui problemi. Si augura che i compilatori delle norme statutarie delle singole regioni allarghino quanto più è possibile la competenza dei futuri organi regionali, affidando ad essi la trattazione di tutti i problemi che hanno un carattere locale e regionale; così potrà esser evitata alla Camera dei Deputati la trattazione di materie che renderebbero la sua vita assai difficile, spingendola a quelle degenerazioni parlamentaristiche delle quali la nostra Nazione ha tanto risentito in passato. Pensa che, se si riuscirà a creare un’Assemblea di alta preparazione e competenza, sarà reso veramente un grande servigio al Paese. Ora le assemblee che rispondono meglio a quelle elevate funzioni a cui sono chiamate sono appunto quelle composte di un numero ridotto di elementi. A chi considera il problema nella sua essenza crede non possa sfuggire l’enorme vantaggio di una riduzione del numero dei membri dell’Assemblea. Trecento deputati è un numero più che sufficiente.

Questa riduzione è poi opportuna anche per un’altra considerazione. È stata prevista, infatti, l’unione delle due Camere in Assemblea nazionale. Si avrà così un consesso molto numeroso, e questo, secondo le intenzioni dei più, dovrebbe spesso riunirsi per decidere in merito ad avvenimenti di grande importanza. Ciò impone una limitazione del numero dei deputati. Del resto in sede di coordinamento e in sede di discussione in Assemblea plenaria, tale numero, se apparisse esiguo, potrebbe essere accresciuto.

CASTIGLIA, riferendosi alle argomentazioni dell’onorevole Conti, e poiché effettivamente il numero dei rappresentanti della futura Camera dei Deputati non potrà essere che in stretta dipendenza con la determinazione dei compiti e delle materie che saranno assegnati all’ente regione, ritiene che sia più opportuno – pur affermando il principio che nella Costituzione deve essere determinato il numero dei deputati – differire ogni decisione a quando saranno meglio conosciuti i compiti dell’ente regione. Propone, cioè, una pura e semplice sospensiva e non un rinvio alla legge elettorale.

BOZZI non condivide il punto di vista dell’onorevole Patricolo, poiché ritiene che la determinazione del numero dei deputati sia necessaria in una Costituzione. Tuttavia ha qualche dubbio se il principio debba fissarsi seguendo il criterio contenuto nella dizione proposta dall’onorevole Conti, o se non sia preferibile determinare un numero fisso di deputati oltre il quale non si potrebbe andare.

NOBILE è contrario alla soppressione della disposizione in esame.

PATRICOLO rinuncia alla sua proposta e si associa a quella dell’onorevole Castiglia.

PRESIDENTE fa rilevare che certamente ognuno ha già le sue idee precise circa le funzioni delle assemblee regionali, e in relazione al suo punto di vista può con sicurezza esprimere il proprio parere in merito alla questione in discussione. Crede pertanto utile prendere una decisione, tenendo conto che il coordinamento delle varie decisioni sarà in parte compito della Commissione nel suo complesso e in parte dell’Assemblea plenaria. Il continuo rinvio dell’esame dei singoli problemi può condurre la Sottocommissione a trovarsi di fronte ad un cumulo di questioni sospese.

CASTIGLIA sa benissimo qual è il suo pensiero in merito alle varie questioni, ed immagina che ciascun’altro lo sappia, ma osserva che non si può prevedere quale sarà il risultato della discussione. Ciascuno tende a far prevalere il suo punto di vista, ma la decisione finale non si potrà avere che dalla risultante delle varie forze contrastanti. Per mantenersi nel caso in esame, se ciascuno dovesse determinare il numero dei Deputati in relazione a quelli che a suo avviso dovrebbero essere i compiti da affidare alle future assemblee regionali, si avrebbero innumerevoli proposte circa il numero dei componenti della Camera dei Deputati. Perciò ritiene che, per economia di tempo, sarebbe più opportuno rinviare ogni decisione, in merito all’importante argomento in discussione, a quando sarà stabilita la sfera di competenza delle assemblee regionali, pure affermando in via di principio che occorre che nella Costituzione sia fissato il numero dei componenti la Camera dei Deputati.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta che sia inserita nella Costituzione l’indicazione del numero dei Deputati che dovranno comporre la prima Camera.

(È approvata).

Pone ai voti la proposta, fatta dall’onorevole Castiglia, di rinviare la determinazione del numero dei componenti la Camera dei Deputati a quando saranno fissati i compiti delle assemblee regionali.

(Non è approvata).

Avverte che l’onorevole Bozzi gli ha presentato una proposta così concepita «La Camera dei Deputati è composta di un numero di membri non superiore ai 450».

FABBRI trova la formula alquanto elastica poiché, rientrando nella competenza della legge elettorale la possibilità di variare il numero dei deputati fino al limite massimo consentito, quella potrebbe fissare un numero troppo ristretto di componenti. D’altra parte, non gli sembra nemmeno simpatico ricorrere a questo espediente proposto dall’onorevole Bozzi, perché esso dà la netta sensazione che quattrocento deputati siano pochi e cinquecento troppi. Crede pertanto che sia preferibile il criterio della proporzione al numero degli abitanti.

PRESIDENTE, data l’ora tarda, rinvia la discussione a domani.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Grieco.

Assenti: Amendola, Bocconi, Calamandrei, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Leone Giovanni, Maffi, Mortati, Ravagnan.

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

13.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Piccioni – Perassi – Mortati, Relatore – Leone Giovanni – Ambrosini – Fabbri – Nobile – Uberti – Codacci Pisanelli

– Rossi Paolo – Mannironi – Fuschini – Tosato – Di Giovanni – Targetti – Patricolo – La Rocca – Lami Starnuti – Bozzi – Calamandrei.

La seduta comincia alle 8.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE, assumendo la Presidenza in sostituzione dell’onorevole Terracini, che si è dovuto assentare per gravi ragioni di famiglia, comunica che dai contatti presi con la prima Sottocommissione per conoscere come questa abbia trattato la questione dell’elettorato attivo e del suffragio popolare, è risultato che essa non ha ancora preso in merito alcuna decisione. In una relazione dell’onorevole Basso sui principî dei diritti politici si propone, tra l’altro, l’approvazione di un articolo del seguente tenore: «La sovranità popolare si esercita, attraverso la elezione degli organi costituzionali dello Stato, mediante suffragio universale, libero, segreto, personale ed eguale. Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto, tranne coloro che ne sono legalmente privati o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva».

LUSSU dichiara di apprezzare il lavoro diligente compiuto dalla prima Sottocommissione, ma fa presente che la seconda si è già occupata dell’esclusione dall’elettorato di coloro che non svolgono un lavoro produttivo.

Tiene a ripetere ancora una volta che egli è contrario ad una enunciazione di principî puramente teorici, perché è inutile se non è accompagnata da norme legislative che tolgano il diritto in questione a chi possegga ricchezze indebitamente acquistate od in forza di privilegio. Se così non avviene, si toglie il diritto all’elettorato alle persone più povere che non hanno possibilità di difesa, e si fa di tale diritto uno strumento di oppressione nelle mani delle classi privilegiate.

Ricorda in proposito che la prima parte della Costituzione spagnola del 1931 stabiliva che la Repubblica spagnola era la Repubblica di tutti i lavoratori: ma tale enunciazione rimase pura teoria e i lavoratori dovettero poi sostenere la guerra civile.

PRESIDENTE crede che, dopo le decisioni già prese, la questione può considerarsi superata.

Resta invece da risolvere la questione dell’età minima per essere ammessi all’esercizio del diritto di voto. Circa questo punto sono ancora in discussione due tesi; una mirante a stabilire l’età di anni 21, l’altra sostenuta dall’onorevole Perassi con la quale si propone di usare la formula «maggiore età».

PICCIONI ritiene che a questa formula si potrebbe aggiungere la precisazione «ai sensi della legge civile».

PERASSI la ritiene superflua; comunque della proposta si potrà tener conto in sede di redazione del testo definitivo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Perassi.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, rileva che, con le proposte contenute nella relazione Conti, in particolare nell’articolo 1, si lascia in sostanza alle leggi ordinarie la possibilità di determinare e quindi di restringere eventualmente l’esercizio dei diritti civili e politici. Si domanda se, dal momento che si lavora alla redazione di una Costituzione rigida il che ormai appare almeno sottinteso, se non esplicitamente affermato, non convenga introdurre nella Costituzione stessa alcuni limiti alla possibilità di restringere il diritto elettorale.

Nelle sue considerazioni intende riferirsi anche all’esempio della Costituzione russa, la quale garantisce il diritto elettorale a tutti i cittadini, prescindendo dal loro passato politico.

Per concludere, senza fare proposte precise, pone il quesito se la Commissione con la formula dell’articolo in discussione abbia inteso di deferire interamente al legislatore ordinario i casi di possibili restrizioni dell’elettorato salvo naturalmente il criterio dell’eguaglianza di tutti i cittadini, che è implicito, o se non ritenga invece opportuno determinare quei casi per sottrarli all’arbitrio indiscriminato del legislatore ordinario. Numerose sono le ipotesi su cui si dovrebbe fermare l’attenzione; gli ubriachi, le prostitute, i mendicanti, i militari, gli ex fascisti, coloro che sono sottoposti a provvedimenti di polizia, ecc…

LEONE GIOVANNI rileva l’importanza eccezionale del problema sollevato dall’onorevole Mortati. Riconosce che con la formula votata si rischia di far sorgere dei veri e propri arbitrî, in quanto la facoltà in questione è affidata a leggi speciali, che sono soggette ai mutevoli orientamenti di ogni determinata epoca storica. In particolari momenti politici possono aversi forme transitorie di incapacità, mentre sussistono sempre casi di incapacità di carattere obiettivo e tradizionale a proposito dei quali non c’è dubbio che debba essere negato il diritto elettorale.

Ritiene che le limitazioni relative alla prima ipotesi non possano essere introdotte in una Costituzione; esse dovrebbero formare materia della futura legge elettorale, la quale, essendo coeva, ed affidata alla stessa Costituente, avrà un particolare valore come fonte legislativa. La difficoltà maggiore riguarda più che altro la seconda ipotesi e consiste nel trovare una formula sintetica ed universale che consenta di stabilire le incapacità di carattere costituzionale.

Per le limitazioni al diritto di voto relative alla prima ipotesi è preferibile rimettersi alla Commissione che dovrà elaborare il progetto di legge elettorale.

AMBROSINI è del parere che per il momento non sia il caso di addentrarsi nell’esame del problema che è stato sollevato, la cui soluzione è in funzione delle particolari attuali contingenze e che è bene quindi sia lasciata al legislatore, sia esso la Costituente stessa o un legislatore venturo.

Dissente dall’affermazione dell’onorevole Leone, che la nuova legge elettorale potrà avere una importanza superiore a quella di una normale legge elettorale solo perché elaborata dall’Assemblea Costituente. Anche quella, infatti, sarà ispirata, come tutte le altre, a criteri contingenti che potranno apparire non accettabili al legislatore futuro.

FABBRI è d’avviso che la questione della decadenza dei diritti politici è troppo essenziale per non essere consacrata nella nuova Costituzione e ritiene che tate decadenza non possa discendere che da una pronuncia dell’autorità giudiziaria ordinaria, civile o penale. Questo concetto fondamentale dovrebbe essere formulato nel testo della nuova Costituzione e non già nella futura legge elettorale per ovvie ragioni di opportunità.

NOBILE si associa alle osservazioni dell’onorevole Fabbri, rilevando che anche la Costituzione russa ha adottato un consimile criterio, disponendo che ogni cittadino può essere elettore, ad eccezione del minorato e delle persone condannate dal Tribunale alla privazione del diritto elettorale.

LEONE GIOVANNI trova di massimo interesse la proposta dell’onorevole Fabbri, mirante a stabilire che soltanto una pronunzia del magistrato ordinario possa produrre la interdizione dai diritti politici e civili. Tuttavia gli sembra che ciò non sia sufficiente. La preoccupazione è che, in un determinato momento, una maggioranza che rispecchi o meno la volontà del Paese, possa adottare leggi con spirito di parte, sovrapponendo i propri interessi particolaristici a quelli del Paese e privando dei cittadini dei fondamentali diritti politici.

L’aggiunta proposta non può impedire infatti che una nuova legge, votata col consueto criterio delle leggi ordinarie, possa stabilire che per determinati reati od attività più o meno illecite si incorra de iure nell’interdizione dai diritti civili e politici e che il magistrato, ancorché possa sentire ripugnanza per una simile disposizione, si trovi poi nella necessità di applicarla. Da ciò gli sembra che derivi la necessità di stabilire, per lo meno in maniera negativa, oltre a questo primo limite di natura processuale, anche per quali forme di attività debba essere assolutamente inibito irrogare la interdizione dai diritti civili e politici.

Ritiene che sia difficilissimo trovare una formula precisa e di facile intelligenza che risponda all’intenzione. Tale difficoltà non deve però sconsigliare dal compiere ogni tentativo possibile per fissare in modo sintetico limiti precisi assoluti ed inderogabili all’attività della legislazione ordinaria su questo argomento.

FABBRI teme che il tentativo di arrivare ad un’espressione perfetta complichi eccessivamente il problema, mentre sarebbe più logico limitarsi alla formulazione di concetti generali. È dell’avviso, pertanto, che non si possa andare oltre l’affermazione che sia necessaria una pronunzia dell’autorità giudiziaria civile o penale ordinaria. Insiste sulla parola «ordinaria», che gli sembra fondamentale. L’ipotesi fatta dall’oratore che lo ha preceduto, e cioè che una legge futura stabilisca, in contraddizione con la coscienza sociale, una soppressione dei diritti politici collegata ad un dato fatto o ad una data attività, gli pare che ponga un problema concernente la costituzionalità di questa legge futura. Riguardo a tale questione, ricorda che con tutta probabilità, nella Costituzione sarà prevista una forma superiore di sindacato e quindi la possibilità di impugnativa delle leggi che venissero ad infrangere i diritti fondamentali dei cittadini, anche se formulate dal Parlamento. Tale garanzia può bastare ed anche per questo ritiene che non si possa scendere nel campo della casistica che è stata accennata, senza snaturare il giusto profilo della Costituzione.

MORTATI, Relatore, ritiene che la preoccupazione di una garanzia sostanziale dovrebbe essere soddisfatta in sede di principî generali, di garanzie costituzionali e di riferimento ai principî naturali. In questi elementi dovrebbero trovare la salvaguardia le giuste esigenze prospettate dall’onorevole Leone. Si potrebbe pertanto escogitare una formula che facesse riferimento ad un atto giurisdizionale, limitato, sia pure, al solo giudice ordinario.

FABBRI direbbe: «i cittadini che non risultino privati del diritto elettorale da sentenza civile o penale del magistrato ordinario».

LUSSU crede che la formula proposta dall’onorevole Fabbri non sia comprensiva di tutti i possibili casi, e ciò senza voler fare riferimento ai provvedimenti di polizia, per quanto questi abbiano il loro valore. Condivide quanto è stato detto poc’anzi circa la possibilità di inserire il caso della responsabilità fascista nelle esclusioni dal diritto elettorale, né vale a suo avviso, per controbattere questa tesi, l’affermazione che la Costituzione non debba essere il portato di una tendenza politica, in quanto tutte le Costituzioni sono sempre il risultato di una particolare situazione politica.

Ogni Costituzione è in un certo senso un’affermazione di parte e in tanto essa è viva in quanto ha una determinata fede di parte. Nulla impedirebbe, pertanto, che nella Costituzione italiana fosse contenuto un principio democratico, per cui i responsabili fascisti non potessero aspirare mai all’elettorale attivo.

Ripete, concludendo, che la formula preposta gli sembra un po’ ristretta e tale da permettere che sfuggano alcuni casi che possano avere notevole importanza.

FABBRI, essendo favorevole ad un criterio di maggiore libertà, non si preoccupa affatto della possibilità che alcuni casi abbiano a sfuggire.

MORTATI, Relatore, ritiene che il fulcro della questione stia nello stabilire se è bene che alcuni casi sfuggano o no. Se si usasse una formula come quella proposta dall’onorevole Fabbri, sfuggirebbero, per esempio, i cittadini sottoposti ai provvedimenti di polizia, gli ubriachi abituali, ecc. Il giudizio politico che deve essere dato in questa sede è appunto questo: se sia opportuno o meno che determinati casi siano motivo di esclusione dal diritto elettorale. Vi è una tendenza che vorrebbe riservare esclusivamente al giudice la sanzione della privazione del diritto elettorale; un’altra, invece, sarebbe propensa a lasciare una più ampia libertà.

In circostanze eccezionali, come quelle accennate dall’onorevole Lussu, si dovrà ricorrere ad una revisione della Costituzione e se questa sarà opportuna sarà ciò che dovrà discutersi.

Propone infine la seguente formula:

«La Camera dei Deputati è eletta da tutti i cittadini di ambo i sessi, giuridicamente capaci, sulla base del suffragio eguale, diretto, segreto e personale, che abbiano compiuto la maggiore età ai sensi delle leggi civili. Nessuno può essere dichiarato decaduto dal diritto elettorale se non per disposizione di legge e in forza di una sentenza». A questa formula si potrebbero aggiungere anche le parole «del giudice penale».

FABBRI aggiungerebbe invece: «civile o penale del magistrato ordinario».

NOBILE desidera leggere alla Sottocommissione il seguente articolo della Costituzione sovietica:

«La elezione dei deputati si fa a suffragio universale. Tutti i cittadini di diciotto anni, indipendentemente dalla nazionalità, grado di istruzione, residenza, professione sociale, condizione economica e della loro attività passata, hanno diritto di partecipare alle elezioni dei deputati ed essere eletti, ad eccezione dei minorati e delle persone condannate dal tribunale alla privazione del diritto elettorale».

MORTATI, Relatore, ripete che la questione è di sapere se convenga o meno escludere dal diritto elettorale certi casi come quelli dei mendicanti o delle prostitute. Ricorda che la Sottocommissione ha escluso che coloro che, potendo vivere di rendita, non lavorano, siano privati del diritto elettorale. Analogamente non vi è alcuna ragione per la quale i mendicanti dovrebbero essere esclusi da tale diritto. Infatti, le stesse ragioni che hanno indotto la maggioranza a non approvare la proposta Tosato, relativa a coloro che non lavorano, dovrebbero valere nei riguardi dei mendicanti o dei ricoverati negli ospizi, ed anche nei riguardi delle stesse prostitute che, del resto, compiono un lavoro penoso, dovuto in sostanza al cattivo assetto sociale.

AMBROSINI afferma, senza entrare nel merito della questione, che la difficoltà di una casistica e il fatto che le precedenti leggi elettorali consideravano già questi casi, possono indurre alla conclusione che non sia opportuno affrontare quest’argomento nella sede attuale. Sarebbe pertanto consigliabile rimandare ogni discussione, senza eccessiva preoccupazione, alla Commissione che elaborerà la legge elettorale che la Costituente dovrà approvare.

UBERTI ritiene invece che sia bene inserire nel testo della Costituzione una frase limitativa delle norme della futura legge elettorale. Si è visto, infatti, durante le recenti elezioni, che, mentre ogni esclusione dal diritto di voto doveva essere sancita attraverso una deliberazione giudiziaria, all’ultimo momento tale facoltà fu demandata anche alle Commissioni comunali, che spesso erano di partito. Ciò potrebbe dar luogo ad inconvenienti di notevole gravità, specialmente dove esistono situazioni di faziosità. Per quanto riguarda i mendicanti, dato che essi hanno già volato nelle ultime elezioni, non vede il motivo per cui non potrebbero votare anche in seguito.

Ritiene, perciò, che una certa precisazione debba essere inserita nel testo della nuova Costituzione, affinché non sia possibile che all’ultimo momento, sia con legge, sia con circolari o telegrammi ministeriali, possano essere tolti i diritti elettorali attraverso decisioni di Commissioni comunali, prive di qualsiasi capacità giudiziaria.

CODACCI PISANELLI si associa alla proposta dell’onorevole Ambrosini di rimandare alla legge elettorale la determinazione delle incapacità elettorali, senza occuparsene in sede di formulazione della Costituzione. Dato che d’ora innanzi esisterà un organo che dovrà giudicare sulla costituzionalità delle leggi ordinarie, si avrà come conseguenza che le leggi che saranno in contrasto con i principî della Costituzione potranno essere impugnate di fronte a tale organo. Quello che avrà importanza, e determinerà quindi una situazione diversa da quella precedente, è il controllo sulla costituzionalità delle leggi. Stabilito questo controllo, se verrà emanata una legge elettorale che non rispetterà i diritti elettorali di alcune classi di cittadini, essa sarà passibile di impugnativa. In passato la mancanza di qualunque controllo faceva sì che il legislatore potesse commettere qualsiasi arbitrio, ma per l’avvenire questo non sarà più possibile.

FABBRI si associa all’onorevole Codacci Pisanelli, ma rileva che le sue osservazioni portano ad escludere una qualsiasi casistica e non la consacrazione di un principio generale, specie se formulato in termini così precisi come il riferimento ad una sentenza civile o penale del magistrato ordinario. Si tratterebbe, in sostanza, di un concetto elementare, la cui violazione costituirebbe appunto il presupposto per una possibile impugnativa.

LEONE GIOVANNI fa rilevare che la tendenza attuale è quella di arrivare alla abolizione di tutte le giurisdizioni speciali. Ma se mai dovesse decidersi di far sussistere qualche giurisdizione speciale, si domanda perché tale giurisdizione non dovrebbe avere la facoltà di comminare la decadenza dai diritti elettorali. Si augura che ciò non avvenga; ma in caso positivo sarebbe strano che una giurisdizione avesse la facoltà di condannare a morte un cittadino e non quella di privarlo del diritto elettorale. Cita l’esempio della giurisdizione speciale (singolare invero nella sua composizione) che attualmente giudica dei delitti di rapina. Se sopravvivesse quest’organo giudiziario, sarebbe illogico dargli da un lato il diritto di applicare la pena di morte e impedirgli dall’altro di infliggere la connessa interdizione dai pubblici uffici.

MORTATI, Relatore, pensa che la questione si potrebbe risolvere risalendo ai principî fondamentali, stabilendo cioè una doppia garanzia: giurisdizionale e costituzionale. Crede perciò che non sia più il caso di insistere sulla specificazione del giudice ordinario.

LUSSU è d’avviso anch’egli che sia più opportuno rinviare la questione in sede di legge elettorale. Tuttavia, se la maggioranza della Sottocommissione non è di tale avviso, si dichiara contrario alla duplice specificazione, vale a dire a che la decadenza del diritto elettorale debba essere pronunziata per disposizione di legge od in forza di una sentenza, in quanto con tale dizione sembrerebbero obbligatorie per la decadenza, contemporaneamente, e una sentenza e una disposizione di legge. Se mai alla «e» sostituirebbe una «o», altrimenti tutta la norma diventerebbe inutile.

Richiama poi l’attenzione dell’onorevole Mortati sulla parola «personale», la quale potrebbe far pensare che siano esclusi dal voto i minorati fisici, per quanto mentalmente capaci di tale diritto. Ricorda che nelle ultime elezioni si è consentito di votare anche ai minorati fisici.

MORTATI, Relatore, spiega, che con l’aggettivo «personale» ha inteso riferirsi al fatto che il voto deve essere attribuito ad una singola persona. Ad ogni modo se l’aggettivo «personale» può far sorgere dubbi, non ha nulla in contrario a sopprimerlo.

PERASSI ritiene che debba essere mantenuta la congiunzione «e» di cui ha parlato l’onorevole Lussa. Infatti, una sentenza non può esser pronunziata se non in base ad una norma di legge. Quindi la congiunzione «e» è assolutamente necessaria.

ROSSI PAOLO osserva che è concetto comune quello di non ammettere esclusioni di ordine politico, amministrativo e morale. Pertanto la formulazione dovrebbe specificare che sono elettori della Camera dei Deputati tutti coloro che sono capaci ai sensi civili e che non siano stati condannati alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici; cioè tutti, salvo coloro la cui incapacità derivi necessariamente da una condanna penale.

MANNIRONI insiste perché la formulazione di questo principio fondamentale sia consacrato in un articolo della Costituzione senza rinviarlo in sede di legge elettorale.

Per quanto riguarda la formula proposta dall’onorevole Mortati, circa la questione della «e» e della «o», si dichiara favorevole a mantenere la «e», perché, se la legge esiste, dovrà pure essere applicata da un giudice e solamente attraverso la sentenza da questo emanata in applicazione della legge può aversi la necessaria garanzia costituzionale.

CODACCI PISANELLI osserva che molte volte possono esservi casi così evidenti per i quali la stessa autorità amministrativa può escludere un cittadino dall’elettorato, senza bisogno di arrivare ad una sentenza. Propone perciò che l’incapacità possa essere pronunciata dalla legge «o» da una sentenza.

ROSSI PAOLO è di parere contrario, nel senso che ritiene necessario mantenere la congiunzione «e» perché, se si vuole porre una limitazione, occorre che la decadenza dal diritto elettorale sia derivante, non solo da una disposizione di legge, ma anche da una applicazione della legge fatta dal giudice (e non da una Commissione speciale). Soltanto così si può avere la sicura garanzia di una pronuncia solenne quale è la sentenza. Se invece si usasse la «o» disgiuntiva, la decadenza potrebbe essere pronunciata anche da una Commissione elettorale.

FUSCHINI crede che sia più opportuno usare la lettera «o». Infatti, parlando di legge, si può intendere anche la legge elettorale, la quale naturalmente sancirà delle esclusioni e istituirà delle Commissioni elettorali che avranno l’incarico di eliminare coloro che, secondo la legge, non possono essere elettori. Così, per esempio, nella legge elettorale potrà essere stabilita la esclusione dei mendicanti e delle prostitute, senza bisogno che per queste categorie vi sia una speciale sentenza. A suo avviso, quindi, non vi è bisogno, per comminare la decadenza, della legge e della sentenza congiuntamente.

DI GIOVANNI ritiene che dovrebbe essere soppresso tutto il capoverso riguardante le esclusioni e propone di limitarsi alla sola affermazione del diritto elettorale. In questa sede si deve fare l’affermazione di principio sul diritto, mentre nella legge elettorale saranno precisati i criteri relativi alle eventuali esclusioni. In caso contrario la Sottocommissione rischia di perdersi in una lunga e forse inutile discussione su questioni di dettaglio che, a suo giudizio, esulano dall’attuale sede. Ritiene che tutte le discussioni finora fatte possano essere riprodotte con più profitto in altra sede.

TOSATO propone la seguente formula: «Tutti i cittadini acquistano alla maggiore età il godimento dei diritti politici. Nessuna eccezione potrà essere stabilita dalla legge se non in connessione a incapacità civile, o in dipendenza di sentenza penale».

TARGETTI crede che ci si trovi nell’impossibilità materiale di esprimere il concetto dell’onorevole Mortati, in modo da raccogliere il consenso di tutti. A suo avviso, la materia non può essere regolata altrimenti che con una casistica, in sede però di legge elettorale. Coloro che sono dell’opinione dell’onorevole Mortati avranno modo, in sede di discussione della legge elettorale, di trasfondere nella stessa i loro punti di vista. Se oggi si approvasse la formula proposta, si precluderebbe la possibilità di introdurre nella legge elettorale quei criteri e quei concetti che a ciascuno sembrano più logici.

Insiste pertanto sull’opportunità di non mettere ai voti la proposta dell’onorevole Mortati, bensì quella di rimandare alla Commissione, incaricata dalla elaborazione della legge elettorale, la determinazione dei casi di incompatibilità con l’esercizio del diritto elettorale.

PATRICOLO si associa alla proposta di rinviare alla legge elettorale la determinazione dei casi di esclusione. Se poi la Sottocommissione decidesse, invece, di occuparsi della questione, ritiene che non sarebbe sufficiente la formula proposta. In essa si specifica che l’esclusione dal diritto di voto debba essere stabilita soltanto per legge o per sentenza, ovvero per legge e sentenza. Ora, se per legge s’intende la legge elettorale, è necessario fare tale menzione; al contrario, se per legge s’intende la legge in generale, si fa un’affermazione pleonastica, in quanto non è ammissibile una sentenza che non sia emessa in forza di una legge.

FABBRI insiste sulla sua proposta, e osserva che rimandare la formulazione dei principî fondamentali dell’esclusione dal diritto di voto alla legge elettorale, significherebbe togliere ogni valore alla nuova Costituzione.

È necessario pertanto che nel testo della Costituzione sia chiaramente formulato il principio della esclusione dal diritto di voto, stabilendo cioè, che la esclusione non può derivare che da una sentenza civile e penale. Che questa poi debba essere conforme alla legge è pacifico.

Prega inoltre l’onorevole Mortati di chiarire perché propone l’aggiunta dell’espressione «giuridicamente capaci». Se si afferma il concetto che i cittadini elettori debbano essere maggiorenni e debbano godere dei diritti civili e politici, non è necessaria la specificazione «giuridicamente capaci».

MORTATI, Relatore, chiarisce che ha inteso riferirsi agli interdetti.

FABBRI osserva che in questo caso si avrà un impedimento che discende da una sentenza civile e la precisazione quindi non è necessaria.

MORTATI, Relatore, si dichiara favorevole alla proposta dell’onorevole Tosato, che corrisponde anche ai desideri dell’onorevole Fabbri.

DI GIOVANNI osserva che se la Sottocommissione insistesse sulla necessità di prevedere i casi di esclusione, si potrebbe adottare una formula generica, affermando il principio che tutti hanno diritto all’elettorato, salve le eccezioni stabilite dalla legge speciale.

MANNIRONI è del parere che la Sottocommissione dovrebbe decidere con precedenza sulla proposta dell’onorevole Ambrosini, di rinviare ad altra sede l’esame della questione.

Da parte sua però dichiara d’esservi contrario, ritenendo che la Costituzione debba limitarsi all’affermazione di principî fondamentali che salvaguardino i diritti dei cittadini in materia di voto.

Tra le varie formule proposte, miranti a questo scopo, preferisce quella suggerita dall’onorevole Rossi; in essa infatti chiaramente si afferma che non v’è alcuna possibilità di esclusione all’infuori del caso di interdizione dai pubblici uffici.

FABBRI concreta la sua proposta nella seguente formula: «La decadenza dal diritto elettorale può derivare soltanto da sentenza civile o penale».

NOBILE è d’accordo con l’onorevole Fabbri: preferisce però la dizione «legge e sentenza».

AMBROSINI ritiene che per ragioni tecniche, la materia dovrebbe essere considerata, in tutte le sue particolarità, in sede di elaborazione della futura legge elettorale, ma, dal momento che la discussione finora svolta è scesa alla considerazione dei supremi principî, e poiché la sua proposta di rinviare ad una legge futura la decisione in questa materia potrebbe dare l’impressione di un troppo tiepido riguardo per la libertà dei cittadini, è costretto a far prevalere il criterio politico, e perciò ritira la sua proposta.

TARGETTI e DI GIOVANNI dichiarano di far propria la proposta dell’onorevole Ambrosini.

LA ROCCA ha l’impressione che ci si metta su di un terreno che sconfina dall’ambito dei poteri della Sottocommissione. In sede di Costituzione debbono affermarsi solo i principî generali e si deve cercare di non addentrarsi in eccessivi dettagli. Gli sembra inoltre che si stia adoperando un linguaggio tecnico che rischia di non essere ben compreso nemmeno dai competenti in materia: c’è da prevedere facilmente, quindi, quale disastrosa impressione ne riceverà l’uomo della folla. Per queste considerazioni insiste affinché la Sottocommissione si limiti ad affermare il principio generale che il diritto al voto è riconosciuto ad ogni cittadino, naturalmente sulla base del suffragio universale, eguale, diretto e segreto, ecc. Una Costituzione deve rispecchiare la situazione del momento, ma non deve diventare un ostacolo inviolabile agli sviluppi futuri della società.

LAMI STARNUTI è favorevole alla proposta di rinvio della questione alla Commissione per la legge elettorale. Desidererebbe anche che fossero chiariti alcuni dubbi sull’applicazione del principio di carattere generale enunciato dall’onorevole Mortati. Con la formula proposta si ammettono, tra l’altro, i mendicanti all’elettorato. Ora, non c’è alcuna ragione di escluderli in via generale dal diritto di voto; ma ci sono i mendicanti ricoverati negli ospizi di mendicità, i quali nell’esplicazione del loro diritto di voto potrebbero subire, se non la violenza, certo l’influenza morale dei dirigenti dello ospizio, Potrebbero, dunque, esservi considerazioni che non consigliassero di ammettere questa categoria all’esercizio del voto. Inoltre, la proposta dell’onorevole Mortati potrebbe anche dar luogo in avvenire all’esclusione dal diritto elettorale di tutti coloro che sono stati condannati dai Tribunali speciali per la difesa dello Stato, e dai Tribunali ordinari per reati antifascisti, ed è certo che l’onorevole Mortati non vuole arrivare a tanto.

PICCIONI esprime l’avviso che sia preferibile votare uno degli emendamenti proposti, anziché rinviare l’esame della questione ad altra sede.

PATRICOLO dichiara che, in linea di massima, accetterebbe il rinvio della questione alla legge elettorale, ma vorrebbe che il rinvio fosse integrato da una formulazione più precisa dell’articolo in esame, così concepita: «salve le eccezioni previste dalla legge elettorale».

MORTATI, Relatore, osserva che tutta la questione sta nello stabilire se si vuole adottare una formula analoga a quella già approvata relativamente al godimento dei diritti civili e politici, oppure se si vogliono fissare i limiti nella Costituzione.

PATRICOLO ripete che, se si dovesse accettare la proposta di rinvio, occorrerebbe formulare l’articolo in maniera da consentire alla legge elettorale di stabilire limitazioni al diritto di voto.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Ambrosini, fatta propria dagli onorevoli Targetti e Di Giovanni, di rinviare alla legge elettorale l’esame dei casi di esclusione dal diritto elettorale.

AMBROSINI dichiara di astenersi dalla votazione.

(Non è approvata).

PRESIDENTE ricorda che restano allora da porre in votazione tre formule:

la prima, proposta dell’onorevole Tosato, è così concepita: «Tutti i cittadini acquistano alla maggiore età il godimento dei diritti politici. Nessuna eccezione potrà essere stabilita dalla legge se non in connessione a incapacità civile, o in dipendenza di sentenza penale»;

la seconda, proposta dall’onorevole Fabbri, è del seguente tenore: «La decadenza dal diritto elettorale può derivare soltanto da sentenza civile o penale al magistrato ordinario»;

la terza, proposta dall’onorevole Rossi è la seguente: «Nessuno può essere dichiarato decaduto dal diritto elettorale se non è condannato alla pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici».

FABBRI e ROSSI PAOLO ritirano le loro proposte, aderendo a quella dell’onorevole Tosato.

LAMI STARNUTI dichiara che voterà contro ed, in via subordinata, propone la seguente aggiunta alla formula dell’onorevole Tosato: «fatta eccezione per le esclusioni di cui all’articolo 6 del decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946 n. 74.

PRESIDENTE prega l’onorevole Lami Starnuti di non insistere, perché nel testo di una Costituzione non si può far richiamo ad una legge precedente.

LAMI STARNUTI insiste affinché la sua aggiunta sia per lo meno inserita nelle norme transitorie.

BOZZI dichiara di condividere il concetto espresso nella formula dell’onorevole Tosato, ma non gli sembra completamente felice la forma. Vi sono due espressioni, «in connessione» e «in dipendenza», che non lo soddisfano.

LEONE GIOVANNI suggerisce la seguente dizione: «o come effetto di una sentenza penale».

LA ROCCA desidera sapere se la Costituzione che si sta elaborando deve essere una specie di nuova amnistia più larga di qualsiasi altra. Già ci si è trovati di fronte ad una legge elettorale che, con tutte le sue restrizioni, non ha escluso dal diritto elettorale ben note persone e categorie. Si domanda ora se con la formula in questione non si vogliano aprire le porte a tutti i gerarchi fascisti.

LEONE GIOVANNI tiene a dichiarare che la questione sollevata dall’onorevole La Rocca ha indubbiamente la sua importanza. Va ricordato in proposito che con l’attuale legge elettorale sono stati eletti deputati perfino vecchi gerarchi fascisti, ciò che è deplorevole. Per evitare il ripetersi di tale inconveniente, si potrebbe stabilire che solo la coeva legge elettorale potrà contenere limiti al principio costituzionale. Il testo della nuova Costituzione, però, in materia di esclusione dal diritto di voto, non può contenere che dei principî generali formulati sinteticamente, ed impedire inoltre che una maggioranza qualsiasi che vada al potere tolga arbitrariamente l’esercizio di voto a determinate categorie che si trovino in particolari condizioni. Il testo di una Costituzione deve sempre cercare di impedire il sorgere di arbitrî.

CALAMANDREI desidera chiedere un chiarimento all’onorevole Mortati circa un problema attinente non al passato, ma all’avvenire. Si è discusso se nella Costituzione possa essere stabilito un controllo sui partiti, e qualcuno ha proposto che uno dei compiti della futura Corte Costituzionale sia anche quello di controllare i partiti per accertare se essi rispettino il giuoco democratico e possano essere ammessi alla vita politica legale dello Stato. È questo un argomento su cui si possono avere opinioni diverse. In ogni modo, nel caso che il controllo sui partiti sia ammesso, si può fare la seguente ipotesi: se in un domani dovesse sorgere un partito che ponesse come base della sua attività politica il principio dell’antropofagia per risolvere le questioni sociali, gli appartenenti a un tale partito potranno essere ammessi all’elettorato attivo e passivo, ovvero esserne privati? Gli sembra che questo sia un argomento di più per rinviare ad altra sede la risoluzione del problema in questione.

MORTATI, Relatore, non crede pertinente al problema in discussione il caso accennato dall’onorevole Calamandrei. In sostanza possono esservi molte associazioni illegittime i cui componenti, però, possono egualmente essere ammessi al voto. Nel diritto francese vi è una disposizione che stabilisce il divieto di associazioni che tendano al mutamento della forma dello Stato. Nel nostro diritto potrebbe così essere stabilito il divieto di associazioni di anarchici: il che non escluderebbe che i singoli associati potessero votare, fin quando una sentenza non togliesse loro la capacità giuridica.

PRESIDENTE dà lettura dell’emendamento dell’onorevole Tosato, nel seguente nuovo testo concertato dal proponente con gli onorevoli Bozzi e Leone Giovanni:

«Tutti i cittadini acquistano alla maggiore età il godimento dei diritti politici. Nessuna eccezione può essere stabilita dalla legge se non in conseguenza di sentenza civile o penale».

LEONE GIOVANNI direbbe piuttosto: «se non come conseguenza di sentenza civile o penale».

TOSATO dichiara che, dopo nuova riflessione, preferisce mantenere la formula: «Tutti i cittadini acquistano alla maggiore età il godimento dei diritti politici. Nessuna eccezione potrà essere stabilita dalla legge se non in connessione a incapacità civili, o in dipendenza di sentenza penale».

DI GIOVANNI proporrebbe di modificare così l’ultima parte della formula dell’onorevole Tosato: «Nessuna eccezione potrà essere stabilita se non per legge».

LUSSU ritiene che la prima parte della formula proposta sia pleonastica, dato quanto in precedenza è stato votato.

MORTATI, Relatore, osserva che nulla vieta di ritoccare l’articolo in sede di coordinamento.

FABBRI fa notare che in precedenza non si è votato un articolo preciso, ma unicamente si è stabilito di adottare per l’elettorato attivo il criterio della maggiore età.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Tosato.

(È approvato).

La seduta termina alle 10.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Amendola, Bordon, Grieco, Terracini.

Assenti: Maffi, Porzio.

MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

12.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 10 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Fabbri – Cappi – Lussu – Bozzi – Rossi Paolo – Bulloni – Perassi – Nobile – Tosato – Piccioni – Leone Giovanni – Codacci Pisanelli – Conti – Mannironi – La Rocca – Di Giovanni – Patricolo – Ambrosini – Einaudi – Zuccarini – Lami Starnuti – Amendola.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE avverte che, acquisito il concetto del sistema bicamerale del potere legislativo, si pone ora la questione della formazione e del funzionamento della prima e della seconda Camera, e crede naturale cominciare dalla prima.

MORTATI concorda col Presidente. Il primo punto da esaminare, a suo avviso, è se vi siano principî di carattere elettorale da inserire nella Costituzione, sul quale argomento qualche accenno si trova nell’articolazione Conti ove si parla del sesso e dell’età. Vi sarebbero da prendere in considerazione anche altri elementi.

FABBRI crede necessario stabilire preventivamente se il tipo della legge elettorale debba essere consacrato nella Costituzione o rimandato alla legge elettorale stessa.

PRESIDENTE rileva che, in sostanza, si tratta di determinare se nella Costituzione si debba parlare di proporzionale o di collegio uninominale. Ma, seguendo l’articolazione Conti, la prima cosa da determinare è chi è elettore. Mette quindi in discussione l’articolo 1 proposto dall’onorevole Conti:

«La Camera dei Deputati è composta di cittadini di ambo i sessi, dell’età di almeno venticinque anni, eletti per quattro anni, a suffragio universale, uguale, diretto e segreto».

CAPPI domanda se sia opportuno rimandare alla legge elettorale taluni particolari, o se si debba inserire in questo articolo il principio della rappresentanza proporzionale, aggiungendo, dopo «a suffragio universale, uguale, diretto e segreto», le parole: «mediante il sistema proporzionale». Personalmente crede che sia questo un principio che meriti di essere inserito nella Costituzione, salvo a indicare nella legge particolare il sistema di proporzionale.

LUSSU crede fuori luogo stabilire qui le modalità elettorali: può essere fatto semplicemente un riferimento alla legge speciale, che verrà successivamente, ma senza impegnarsi sul sistema elettorale su cui esistono serie divergenze, così che occorrerà esaminare in apposita seduta la questione.

BOZZI concorda con quanto ha detto l’onorevole Lussu. Non gli sembra conveniente inserire in una Costituzione, che per di più sembra sarà una Costituzione rigida, il meccanismo del sistema elettorale. Un mutamento di opinione su questo punto comporterebbe una revisione della Costituzione col particolare procedimento che sarà stabilito; e ciò non gli sembra consigliabile.

L’onorevole Mortati ritiene che questo debba costituire uno dei presupposti dell’essenza stessa della Costituzione; contro di che egli pensa che, assai più del meccanismo elettorale, sia il principio dell’organizzazione della vita pubblica in forma di partiti che può influire sull’essenza della Costituzione.

ROSSI PAOLO osserva che la proposta specifica avanzata dall’onorevole Cappi di stabilire con la Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale tocca una questione delicata, che sarebbe opportuno rinviare.

PRESIDENTE pensa che sia meglio esaminare intanto l’articolo proposto dall’onorevole Conti, salvo vedere poi se debba aggiungervisi qualche cosa.

Indubbiamente nella Costituzione la precisazione di chi è elettore non può mancare. Da taluno si vorrebbe dire che sono elettori tutti i cittadini maggiorenni. Ma bisogna allora precisare che cosa si debba intendere col termine «maggiorenne». Se alla parola «maggiorenne» si vuole attribuire il significato che ha nel diritto civile, si dovrà adottare una formula con la quale si stabilisca che il diritto elettorale attivo è riconosciuto ai cittadini italiani che hanno compiuto i 21 anni.

BULLONI fa osservare che la donna, passando a matrimonio, diventa maggiorenne anche se non ha compiuto i 21 anni.

PRESIDENTE suggerisce allora la formula. «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 21 anni di età e godano dei diritti civili»; oppure: «sono elettori tutti i cittadini aventi il godimento dei diritti civili e politici, che abbiano compiuto i 21 anni».

FABBRI domanda se la precisazione insita nella parola «cittadini», di fronte a coloro che possono essere originari di territori non più sotto la sovranità italiana, non possa dar luogo a qualche problema di cui occorra preoccuparsi.

PERASSI richiama l’articolo della legge Crispi il quale consolida la figura dell’italiano regnicolo (detto questo nel senso francese della parola e non nel senso monarchico). Crede opportuno attenersi allo stato attuale della legislazione, secondo cui chi è italiano per nazionalità, ma non cittadino italiano, non è senz’altro elettore: ha soltanto un titolo per acquistare la cittadinanza italiana, prescindendo da altre condizioni.

NOBILE ha qualche dubbio circa l’età che si richiede ai cittadini. Si è espresso da taluno il desiderio che l’età sia portata a 18 anni. Nello schema di Costituzione francese e stata tenuta una via intermedia: criterio che potrebbe essere adottato o, per lo meno, discusso.

LUSSU, per quanto, allorché si tratterà di compilare il testo definitivo, occorrerà rivedere tutto, e sarà possibile aggiungere qualche concetto che sia stato omesso, osserva che la Costituzione dovrebbe contenere anzitutto un accenno alla sovranità popolare.

PRESIDENTE crede che l’affermazione della sovranità popolare sarà senz’altro accettata non appena se ne parlerà. Ma sarà una questione da esaminare in occasione della stesura definitiva della Costituzione.

TOSATO concorda col Presidente, anche perché quando si dice che sono eleggibili e sono elettori tutti i cittadini, ecc., è implicito in ciò il principio della sovranità popolare.

Non è favorevole all’accoglimento della proposta Nobile. Crede che l’età di ventun anni sia la minima ammissibile per l’elezione di un corpo che viene a porsi al vertice dello Stato, per la quale funzione occorre una certa maturità politica. Anche senza voler arrivare ai venticinque anni di altri tempi, l’età di ventun anni gli pare necessaria e armonica a tutto il sistema giuridico, perché a ventun anni si acquistano i diritti civili.

NOBILE osserva che ai giovani di vent’anni si impone il servizio militare e, se occorre, dopo un breve periodo d’istruzione, il combattimento. All’onorevole Tosato, che trova una disarmonia nel fatto che si ammetta il ventenne a dare il voto per l’elezione all’Assemblea legislativa, mentre non gode ancora i diritti civili, oppone che non è affatto giusto, e quindi non è possibile chiedere ad un cittadino di dare la vita per il proprio paese e negargli i diritti civili e politici. O si eleva l’età per il servizio militare a ventun anni, o si deve anticipare la concessione dei diritti civili e politici.

TOSATO risponde che i criteri che regolano il servizio militare sono diversi da quelli relativi al diritto elettorale attivo: per il primo si tratta di sviluppo fisico, mentre per il secondo si tratta di capacità politica, e la capacità fisica di portare le armi non coincide con la capacità politica.

PICCIONI pensa che, trattandosi di Costituzione, che afferma principî generali, sia sufficiente affermare il concetto che la Camera dei Deputati è eletta a suffragio diretto, universale e segreto, senza cristallizzare definitivamente l’età dell’elettorato attivo.

LEONE GIOVANNI concorda col collega Piccioni, e, in contrasto con l’onorevole Nobile, osserva che la diversità tra l’età del servizio militare e l’età per l’esercizio dei diritti sussiste nella nostra legislazione e anche in quelle straniere, non solo riguardo ai diritti politici, ma anche a quelli privatistici. Aderisce, quindi, alla fissazione dei ventun anni, in quanto la capacità politica richiede una maggiore età ed una maggiore esperienza.

BOZZI non è d’accordo con l’onorevole Piccioni, perché l’età è un requisito essenziale dell’elettorato attivo. Ma non si nasconde che si tratta di una valutazione piuttosto arbitraria. In favore della tesi dell’onorevole Nobile si potrebbe osservare che, per esempio, la capacità giuridica in materia di lavoro si acquista a diciotto anni. Personalmente però propende a ritenere che, nello specifico settore dell’elettorato attivo, il limite debba essere fissato a ventun anni, perché dà la garanzia di maggiore ponderazione e serietà, di maggiore inserimento dell’individuo nella vita sociale e politica del paese, che è soprattutto necessario all’esercizio di questo diritto.

LUSSU, per quanto concordi con l’onorevole Piccioni nel ritenere che non si debbono specificare i dettagli del sistema elettorale, crede che l’età debba essere fissata. Ma gli argomenti dell’onorevole Nobile non lo convincono: il servizio militare è obbligatorio per gli uomini e non per le donne, quindi quegli argomenti non riguardano più della metà degli elettori. Poi al giovane chiamato sotto le bandiere le armi in realtà si dànno solo più tardi, mentre l’elettorato si esercita senz’altro dal momento in cui lo si acquista. Perciò, malgrado la Costituzione francese abbia fissato il limite a vent’anni, ritiene più opportuno il limite dei ventun anni, che gli sembra risponda alle esigenze di un compito politico estremamente serio, quale è quello di eleggere un’Assemblea legislativa.

NOBILE fa osservare che egli ha proposto di elevare a ventun anni il limite di età per il servizio militare. Bisogna tener presente, tuttavia, che in tempo di guerra la preparazione del militare dura talvolta solo due o tre mesi, e spesse volte si mandano al fronte anche i giovani di diciannove anni. D’altronde trova un po’ arrischiato dire che a vent’anni un giovane non sia politicamente maturo. Sarebbe forse più giusto chiedere una maggiore maturità politica ai candidati; ma quando si stabilisce per questi il limite di venticinque anni, non vede perché si debba fissarlo a ventun anni per gli elettori. Se mai, sarebbe giusto ritornare ai trent’anni che un tempo erano richiesti per essere eleggibile.

CODACCI PISANELLI rileva dalla discussione l’opportunità di non stabilire qui il limite di età, tanto più che in altri rami del diritto il limite minimo è andato spostandosi; nel diritto privato, per i rapporti di lavoro i ventun anni sono stati ridotti a diciotto; in diritto penale, per la capacità di intendere e di volere, è stato pure spostato. Poiché la Costituzione deve fissare solo dei principî che abbiano una certa presunzione di stabilità, è opportuno non pregiudicare la questione. Lo Statuto Albertino è durato circa un secolo ed è da augurarsi che anche la nuova Costituzione abbia la stessa durata: quindi non è necessario precisare dati che probabilmente saranno nel frattempo variati in seguito all’evoluzione dei tempi. Propone perciò di lasciare la semplice formula che la Camera dei Deputati sarà eletta a suffragio diretto, universale e segreto.

FABBRI è favorevole a che sia stabilito il limite di età, perché non crede logico riferirsi, in questo campo, al diritto privato o pubblico che fissa vari termini per diverse specifiche funzioni: è naturale che occorra una certa età per la capacità patrimoniale, un’altra per il servizio militare, ecc. D’altra parte, nella Costituzione non si può non fissare l’età per l’ammissione all’esercizio di un diritto che concerne milioni di persone chiamate a partecipare alla vita politica del paese.

CONTI, Relatore, si associa all’onorevole Fabbri. Crede necessaria l’indicazione dell’età, la quale comporta l’esercizio di un diritto così fondamentale, e osserva che non c’è una Costituzione in cui l’età per l’elettorato attivo non sia prevista.

Propone di fissare questo limite di età a 21 anni e osserva che fra questa e l’età di 18 anni v’è una enorme differenza di maturazione.

Questi elementi sono stati valutati specialmente quando si sono compiuti gli studi per la riforma del Codice penale, e nella fissazione della responsabilità penale si è scesi ai diciotto anni perché, in base a considerazioni fisiologiche, si è considerato che a questa età si è capaci di capire quello che si fa, quando si ferisce o si uccide. L’esercizio del diritto di voto comporta invece una maturazione di vedute, almeno generiche, che non si consegue prima dei ventun anni.

MANNIRONI non avrebbe difficoltà ad aderire alla tesi che non si debba fissare fin da ora il minimo dell’età per l’elettorato; ma, ove si voglia fissarlo, aderisce al termine di ventuno anni, in omaggio alla tradizione giuridica italiana. Nella legge civile, infatti, è fissato a ventun anni l’acquisto della capacità giuridica del cittadino, ed egli non vede che il richiamo all’età per il servizio militare o all’età per il diritto al lavoro menomi il valore che ha il principio generale fissato nella legislazione civile, la quale stabilisce a ventun anni la piena capacità giuridica.

LA ROCCA, senza voler dire nulla che possa parere sconveniente, manifesta l’impressione che tutti concordino nel dire di voler progredire sul terreno democratico, ma in pratica molti si mostrino conservatori. Se veramente si intende rinnovare gli istituti, bisogna portare un soffio nuovo nella vita politica italiana e non porre ostacoli alla manifestazione della volontà di una categoria così larga, come quella della gioventù italiana.

Sostiene che si deve ridurre al minimo l’età per l’elettorato, perché un giovane, che a diciotto anni scrive, organizza, frequenta le università, lavora, dà il proprio contributo vivo nelle officine, sposa, costituisce una famiglia, non può non avere il diritto di partecipare alla vita pubblica. La maggiore decapitazione che si possa fare ad un cittadino è quella di privarlo della facoltà di partecipare alla vita pubblica e di portare il proprio contributo alla soluzione dei grandi problemi nazionali. Ora, i giovani che sopportano il maggior peso nei periodi di gravi crisi sociali, che sono i più interessati alle decisioni politiche, perché sono gli attori dei grandi avvenimenti nazionali, non possono essere messi in disparte.

DI GIOVANNI osserva che nella formazione delle Carte costituzionali di massima si fanno affermazioni di principio, rimandando le questioni specifiche di dettaglio alle leggi particolari. Quando si sia affermato il principio che l’Assemblea nazionale è eletta a suffragio universale, eguale, diretto, e segreto, si è esaurito il compito inerente alla formazione della Carta costituzionale, e le condizioni sotto le quali sarà ammesso il cittadino ad esercitare il diritto dell’elettorato attivo saranno rimesse alla legge elettorale.

NOBILE, d’accordo con quanto ha detto l’onorevole Di Giovanni, propone il rinvio della discussione su questa questione, che non gli appare sufficientemente maturata. Non capisce, d’altra parte, come un giovane di venti anni, che da due anni ha compiuto gli studi medi, possa esser ritenuto non maturo per poter scegliere il suo partito e il suo deputato.

PATRICOLO riconosce il valore delle ragioni addotte dall’onorevole Fabbri, per il valore politico che può avere la determinazione del limite di età.

Riferendosi a quanto ha detto l’onorevole Nobile, afferma che, se non è troppo elevato il termine di ventun anni per l’elettorato attivo, è certo troppo basso quello di venticinque per l’elettorato passivo, e propone che venga elevato a trent’anni. A chi teme che con ciò troppi giovani siano esclusi dalla vita politica italiana, osserva che i più giovani potranno passare nelle Assemblee regionali, prima di arrivare alle soglie di Montecitorio.

LA ROCCA non trova opportuno richiamarsi, come altri han fatto, alle tradizioni, che nella vita di un popolo costituiscono qualcosa di morto che bisogna superare, e insiste affinché all’Assemblea Nazionale siano portate energie fresche ed attive.

PRESIDENTE è personalmente d’avviso che sia necessario fissare il limite di età nella Carta costituzionale. La legge elettorale dovrà stabilire i modi con cui si esercita il diritto, ma il limite di età non è un modo; è elemento integrante, che definisce il soggetto del diritto. Le leggi elettorali potranno variare all’infinito, ma vi sono dati che non dovrebbero poter variare. Contrariamente a quanto qualcuno ha detto, la consuetudine di fissare nella Costituzione il limite di età è talmente larga, che astenersene costituirebbe un’eccezione. Non si deve essere pedissequi di fronte alle altre costituzioni; ma, per essere originali, non è necessario fare una cosa non comprensibile.

Circa la proposta di far riferimento al limite della maggiore età, osserva che questo limite non è intangibile, e se vi è una buona occasione, in cui anche il problema del limite della maggiore età possa essere affrontato, questo è certo l’attuale.

Il problema della maggiore età è attinente ad elementi di carattere fisiologico e di carattere intellettuale, e l’Assemblea Costituente è organo capace per valutare e contemperare. Non è sufficiente dire che nella legge civile è stabilito il limite della maggiore età; non si deve cercare come punto di riferimento tutto ciò che è stabilito, perché si sta ora lavorando proprio per modificare lo stabilito, altrimenti la Costituente non avrebbe ragion d’essere, o si limiterebbe a confermare l’ordinamento precedente.

Pensa che sia opportuno diminuire a venti anni il limite di età per l’esercizio del diritto elettorale, e se la legge civile diminuisse corrispondentemente a vent’anni il limite della maggiore età, non ne subirebbe certo alcuna scossa la vita italiana. In pratica è già nella generale convinzione che i venti anni non costituiscono differenza sostanziale dai ventuno o dai venticinque, anche per quello che riguarda il diritto matrimoniale, specie in riferimento agli usi dell’Italia centro-meridionale. E quanto al punto di vista della formazione intellettuale, si è tutti convinti che, date le condizioni della vita moderna più febbrile e più rapida nel suo sviluppo, una sufficiente maturità è raggiunta anche prima dell’età stabilita in passato.

Quanto, al servizio militare, pur essendo giusto che per questo si ha riguardo alla robustezza fisica, non si può dimenticare che il servizio militare ha pure un contenuto spirituale e ideologico, onde i giovani chiamati al servizio militare devono essere anche in condizioni intellettuali di sentire e di valutare l’uso delle armi a cui sono chiamati.

Perciò propone di fissare nella Costituzione il limite di età e che per questo non ci si irrigidisca sui ventun anni tradizionali, ma si scenda ai venti.

Mette in votazione il concetto che si debba fissare un limite di età.

(È approvato).

PERASSI, circa il limite di età, per non pregiudicare attualmente la questione, propone di adottare la formula che sono elettori tutti i cittadini italiani maggiorenni, spiegando che il significato della proposta è questo, che se la legge comune abbasserà il limite della maggiore età da ventuno a venti anni, questo abbassamento avrà effetto anche per la legge elettorale.

PRESIDENTE credo però che una simile decisione sarebbe generalmente intesa nel senso che si vuole indicare l’età di ventuno anni secondo la legge civile attualmente in vigore, perché la prima legge elettorale, cioè quella da cui sorgerà la prima Assemblea legislativa, sarebbe applicata sotto l’impero dell’attuale legge civile, che nel frattempo non si avrebbe il tempo di modificare.

CODACCI PISANELLI ritiene che la proposta Perassi non risolverebbe la questiono perché, se nel diritto privato il limite della maggiore età è fisso, nel diritto pubblico è invece oscillante. E poiché il diritto elettorale fa parte del diritto pubblico, mancherebbe quel preciso riferimento di diritto generale che si vuole ottenere.

PERASSI trova eccessiva la preoccupazione dell’onorevole Codacci Pisanelli, perché il concetto di maggiore età è un concetto comune, che non viene infirmato dal fatto che norme speciali valgano in qualche caso di esercizio di diritti pubblici.

NOBILE insiste perché siano fissati i venti anni, osservando che, se si interessano i giovani il più presto possibile alla vita pubblica, si compie anche un’opera di educazione.

MORTATI si associa alla proposta dell’onorevole Perassi, non ritenendo decisive le obiezioni dell’onorevole Codacci Pisanelli. Il riferimento alla legge civile è la ragione logica della fissazione dei ventun anni, mentre le altre proposte non hanno alcuna giustificazione sostanziale. Intanto è possibile riferirsi al diritto civile, in quanto l’età di ventun anni è considerata come l’indice del raggiungimento di una maturità media; ed è a questa che bisogna riferirsi anche riguardo alla legge politica. Non si hanno elementi per affermare che si diventa maturi in politica prima che in altri campi. Si potrebbe dire che anche il limite dei ventun anni è un limite arbitrario, ma è il termine su cui la coscienza comune si fissa per presumere una capacità media.

L’argomento dell’età per il servizio militare non è probante, perché non v’è parallelismo fra le due capacità: si può anzi osservare che in tempo di guerra i giovani sono chiamati alle armi anche prima dei venti anni; e si dovrebbe allora abbassare ulteriormente il limite di età per l’esercizio dell’elettorato.

Per quanto riguarda il fattore educativo, osserva che l’educazione politica si matura con altri compiti, di partito, sindacali, ecc., che possono offrire largo campo di educazione politica ai giovani.

LUSSU propone che si dica esplicitamente che l’elettorato attivo si acquista a ventun anni.

FABBRI, circa l’ordine da seguire nella votazione sulle varie proposte, ritiene che quella dell’onorevole Perassi sia la più comprensiva, perché, pur riferendosi attualmente ai ventun anni, considera anche la possibilità di un eventuale abbassamento, che si attuerebbe qualora gli organi legislativi ritenessero di portare la capacità civile ai vent’anni. Quindi crede che dovrebbe avere la precedenza nella votazione.

AMBROSINI crede che la proposta Perassi sia da accettare, perché la determinazione della maggiore età dipende da una valutazione globale, fatta sempre con criteri contingenti. Se si stabilisse un’età inferiore a quella attualmente vigente per la determinazione della maggiore età, si giungerebbe a questa incongruenza che per l’esercizio del diritto elettorale, il più alto che vi sia, si richiederebbe un insieme di capacità minore di quello che l’ordinamento giuridico dello Stato richiede invece per negozi giuridici di importanza minore.

La proposta Perassi, invece, permette al legislatore, dopo queste discussioni che possono servirgli di orientamento, di risolvere a suo tempo il problema.

PRESIDENTE, poiché in definitiva il risultato non muta per l’ordine della votazione, mette ai voti la proposta che il limite per l’esercizio dell’elettorato attivo sia ridotto a diciotto anni.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta che il limite sia fissato ai vent’anni.

AMBROSINI dichiara che si asterrà dalla votazione su questa proposta.

(Non è approvata).

PRESIDENTE deve ora mettere in votazione la proposta Perassi.

PICCIONI propone che la formula Perassi, la quale si riferisce alla maggiore età, sia completata con l’indicazione che «la maggiore età attualmente è di ventun anni», perché sostanzialmente le due proposte Perassi e Lussu coincidono.

BOZZI osserva che le due proposte non coincidono esattamente, perché la scelta dell’una o dell’altra ha influenza sulla procedura da seguire per eventuali modifiche, in quanto col sistema Perassi una modificazione della legge civile si riflette automaticamente sulla legge costituzionale; mentre ciò non avviene con l’altro sistema.

EINAUDI voterà per i ventun anni, anche perché è bene che qualunque deliberazione il legislatore voglia prendere in avvenire circa la determinazione della maggiore età ai fini civili, sia presa senza preoccupazioni politiche, cioè all’infuori delle pressioni e delle decisioni di carattere politico.

PRESIDENTE può allora mettere in votazione la formula dei ventun anni.

ZUCCARINI ha votato a favore della proposta per i venti anni, perché effettivamente oggi la vita è accelerata e quindi abbassare di un anno il limite di età non presenta alcun grave inconveniente; né si possono dimenticare le agitazioni che si sono avute per questo fra i giovani. Ma, se non si ottiene la maggioranza per nessuno dei limiti di età proposti, dovrà mettersi in votazione la proposta Perassi, sulla quale potrà pure non determinarsi una maggioranza.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dei ventun anni.

BOCCONI, a nome anche di altri commissari, dichiara che si asterrà da questa votazione perché intende votare a favore dell’ordine del giorno Perassi.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, la proposta non è approvata).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Perassi.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, la proposta non è approvata).

NOBILE propone di lasciare la cifra in bianco.

PRESIDENTE, dato l’esito della votazione, pensa che si dovrà rimettere la determinazione dell’età alla Commissione plenaria, tanto più che la prima Sottocommissione esaminerà lo stesso problema.

FABBRI si è astenuto dal votare sulla proposta dei ventun anni, perché sperava che ottenesse la maggioranza la proposta Perassi per la quale ha poi votato. Ma egli è favorevole all’idea di fissare l’età a ventun anni.

Osserva che la Costituzione ha carattere di prevalenza su tutte le leggi, compreso il Codice civile, e rileva che la Costituzione francese stabilisce che sono elettori tutti coloro che usufruiscono dei diritti politici e la maggiore età è fissata a 20 anni. Evidentemente, questa statuizione si ripercuote anche sul Codice civile francese, che parla ancora di 21 anni.

PRESIDENTE osserva che la prima Sottocommissione esamina il problema a proposito dei diritti politici e senza riferimento a diritti civili o ad altri aspetti.

La Commissione plenaria e più tardi l’Assemblea, tenendo conto del risultato delle singole votazioni, prenderanno le loro decisioni. Intanto l’articolo potrebbe essere così formulato:

«Sono elettori tutti i cittadini che abbiano compiuto l’età di…».

CODACCI PISANELLI, sulla proposta dell’onorevole Perassi, osserva che l’espressione «maggiorenne», mentre ha un significato preciso in diritto privato, perché, salvo l’eccezione stabilita nei rapporti di lavoro, vuol dire compimento dei ventun anni, nel campo del diritto pubblico non ha significato univoco: in alcuni rapporti significa diciassette, in altri diciotto anni. Per questo nella Costituzione francese, dopo aver detto che sono elettori i maggiorenni, si fissa la maggiore età ai 20 anni. Crede che anche nella Costituzione italiana una dichiarazione del genere potrebbe essere utile. Ma prima di introdurla bisogna tener conto delle sue conseguenze, perché ove si dicesse che la maggiore età per l’elettorato è fissata in ventun anni, se ne potrebbe facilmente inferire che in ogni caso la maggiore età nel campo del diritto pubblico è quella. Si tratta di una questione tecnica, non di una sottigliezza, in quanto che negli studi giuridici si tiene conto della differenza che v’è fra il significato che l’espressione «maggiorenne» ha nel diritto privato e quello che ha nel diritto pubblico.

PRESIDENTE è d’avviso che una aggiunta di questo genere alla formula Perassi complicherebbe le cose, perché una eventuale modificazione del limite di età nella legge civile dovrebbe implicare una revisione della Costituzione, cioè la messa in moto di tutto il relativo meccanismo: ed è appunto per evitare questo che l’onorevole Perassi aveva formulato in quel modo la sua proposta.

Comunque, tenendo presente la dichiarazione dell’onorevole Fabbri e l’elemento fornito dall’onorevole Codacci Pisanelli, si potrebbe domani rimettere in votazione la proposta dell’onorevole Perassi: «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età».

FABBRI domanda all’onorevole Perassi se accetterebbe di aggiungervi: «secondo la legge civile».

PATRICOLO osserva che il concetto di maggiore età è esclusivamente civilistico, così che quando si parla di maggiore età, si intende sempre riferirsi al diritto civile.

PRESIDENTE rinvia la votazione su questo punto alla prossima seduta e invita la Sottocommissione a discutere se sia necessario aggiungere alla affermazione della eguaglianza e dell’universalità del suffragio la formula: «i cittadini di ambo i sessi», avvertendo che in alcune proposte della prima Sottocommissione, dove si parla del diritto elettorale, è aggiunto questo inciso: «salvo coloro che sono stati privati di questo diritto in seguito a condanne o a norma di legge».

TOSATO propone questa formulazione:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, diretto e segreto dai cittadini maggiorenni (o «dai cittadini di ambo i sessi» se si crede di aggiungere questa specificazione) che godono dei diritti civili e politici (aggiungendo «e abbiano raggiunto l’età di ventun anni» se questa formula è accettata).

PRESIDENTE osserva che la formula «universale, diretto e segreto» è oramai usuale.

La formulazione riassuntiva dei vari punti sui quali si è discusso sarebbe, dunque:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, diretto e segreto dai cittadini di ambo i sessi che godono dei diritti civili e politici e che abbiano raggiunta l’età di… », oppure «l’età maggiore».

BOZZI crede opportuno premettere una affermazione di carattere generale che dichiari a chi spetta il diritto di voto; altrimenti questa affermazione rimane in ombra e si mette in prima luce la Camera dei Deputati.

MORTATI osserva che non è inopportuno mettere in luce la Camera dei Deputati, perché per l’elezione del Senato potrebbe essere fissata un’età diversa.

PRESIDENTE trova che, in realtà, o si distingue il modo di formazione delle due Camere, oppure si deve premettere un’affermazione fondamentale democratica come quella indicata dall’onorevole Bozzi.

MORTATI obietta che la proposta dell’onorevole Bozzi si riferisce alla parte generale sui diritti, mentre nella parte concernente l’organizzazione del potere legislativo può essere più congrua la formulazione dell’onorevole Tosato. Poiché la prima Sottocommissione-si occupa di questa stessa materia, sarebbe utile conoscere le sue conclusioni per prendere in considerazione eventuali proposte che riguardano la materia esaminata dalla seconda.

Fa notare inoltre che vi sono altri elementi che si riferiscono all’elettorato attivo: limiti derivanti dall’esercizio o dal non esercizio di determinate attività, dal possesso o dal non possesso di determinate qualifiche.

Vi è, ad esempio, il problema di coloro che non esercitano volontariamente un’attività lavorativa, a carico dei quali si potrebbe anche stabilire una limitazione, in relazione al principio che il lavoro è un dovere civile.

Vi è la questione del diritto all’esercizio effettivo del diritto elettorale. Vi sono Costituzioni che, secondo la tendenza moderna che vuol garantire le condizioni occorrenti a che le libertà divengano effettive, stabiliscono il diritto di coloro che prestano la loro opera al servizio altrui, di avere il tempo libero per poter esercitare i diritti costituzionali.

Vi è la questione del voto dei militari, e si tratta di stabilire se sia il caso di rinviarla alla legge speciale.

È anche da stabilire se si deve sancire il diritto «eguale», o rinviare questa materia ad una ulteriore determinazione, o mettere in discussione il punto relativo al voto plurimo.

Vi sarebbe infine la questione del voto obbligatorio, che tuttavia crede si possa rinviare.

CONTI, Relatore, ritiene che questa non sia materia di Costituzione, e, in ogni caso, che sia necessario formare una Costituzione di pochi articoli.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Conti. La Costituente dovrà redigere la legge elettorale, esaminando tutti questi argomenti. Solo è da risolvere nella Costituzione, a suo avviso, la questione del voto plurimo, e da risolverla aggiungendo la parola «eguale» alla formulazione Tosato, per escludere il voto plurimo.

TOSATO ha omesso volutamente la parola «eguale», proprio riferendosi all’opportunità di stabilire come limite del diritto di elettorato la dimostrazione di essere un elemento attivo nella vita della nazione. Troverebbe plausibile che nella Costituzione si stabilisse il principio per cui chi vive senza esercitare un’attività lavorativa è escluso dal diritto di voto.

Ritiene inoltre che sia opportuno fare un cenno all’obbligatorietà del voto, salvo a stabilire in quale forma e con quali limiti.

DI GIOVANNI non crede opportuno mettere in discussione il principio della obbligatorietà, che in ogni caso sarebbe un dettaglio da rinviare alla legge elettorale.

FABBRI ricorda che nelle discussioni fatte alla Costituente francese, sebbene si sia deliberato di rinviare tutta la materia alla legge elettorale, si è discusso sulla necessità di includere o di escludere l’obbligatorietà del voto in sede di formulazione della Costituzione. Su cinquecento votanti circa, si è avuta una maggioranza di cinque voti a favore della obbligatorietà.

Crede opportuno stabilire o escludere che il voto sia obbligatorio.

MORTATI osserva che le proposte fatte dall’onorevole Tosato sono indubbiamente di rilevanza costituzionale. Si può aderire al desiderio espresso dall’onorevole Conti di formulare una Costituzione concisa; ma bisogna preoccuparsi anche di sancire i principî fondamentali, che sono considerati da determinate forze politiche come basilari per un ordinamento dello Stato. L’escludere o includere coloro che non esercitano una attività lavorativa, lo stabilire o il negare il voto obbligatorio, come la proporzionalità o meno della rappresentanza, sono elementi che definiscono la fisionomia di un ordinamento politico e non possono perciò essere rimandati alla legge ordinaria.

LAMI STARNUTI non crede che l’obbligatorietà del voto abbia una tale rilevanza da richiedere che sia fissata nella Costituzione. Comunque, se la proposta sarà messa in votazione, voterà contro il voto obbligatorio.

Di rilevanza costituzionale gli pare invece la questione del voto eguale, ed egli accetta la proposta dell’onorevole Tosato di escludere coloro che non danno attività sociale al paese. Si dichiara assolutamente contrario al voto plurimo.

NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Tosato, di togliere il diritto di voto a chi non lavora. Preoccuparsi di coloro che non esplicano un’attività sociale, è giusto, ma che cosa si farà allora contro coloro che esercitano un’attività antisociale? Comunque, crede che questa sia materia della legge elettorale e che non sia il caso di inserire nella Costituzione qualche cosa che non è ancora completamente maturata.

(La seduta, sospesa alle 19.25, è ripresa alle 19.50).

BOZZI osserva che i due problemi, se si debba limitare il diritto di voto a coloro che non esplicano una attività lavorativa e se l’esercizio del diritto di voto debba essere obbligatorio, hanno indubbiamente un valore costituzionale.

Il primo attiene alla titolarità del diritto; il secondo all’esercizio del diritto medesimo. Tralasciando per ora quest’ultimo, riguardo al primo teme che si rischi di fare una enunciazione accademica, ed anche pericolosa sotto il riflesso della disciplina giuridica di una enunciazione di questo genere. Chi dovrà dire se il cittadino lavora o non lavora? Bisognerà creare tutto un congegno di Commissioni, di accertamenti difficilissimi, i quali potrebbero dare anche luogo ad arbitrî. Perciò è contrario a far menzione di un tale principio, che sarebbe condannato a rimanere un’affermazione astratta, mentre nella Costituzione si debbono inserire principî positivi, con la consapevolezza che possano avere attuazione.

AMENDOLA è rimasto sorpreso dalla proposta dell’onorevole Tosato. Indubbiamente esistono persone che non svolgono un lavoro socialmente utile e vivono in modo parassitario; ma questa considerazione si raffredda dopo un attento esame. Non si possono, in una Costituzione, enunciare dei principî la cui realizzazione sia poi impossibile. Finché non si siano operate trasformazioni profonde nel corpo sociale e non si sia avviata l’economia italiana su nuove basi, una proposta simile è difficilmente attuabile. Si vuole togliere influenza politica ad alcune persone che vivono come «rentiers», ma, data l’organizzazione della vita economica sociale, non è soltanto col voto che si esercita l’influenza di questi ceti sociali: essi hanno altre leve di comando attraverso il mondo finanziario, il giornalismo e, quindi, non solo si farebbe una affermazione di difficile attuazione, ma, in pratica, non si eliminerebbe affatto l’influenza di queste forze legate a posizioni parassitarie. Si creerebbero molte complicazioni e non si darebbe una solida base al sistema democratico.

Se veramente si vuole realizzare un’affermazione di questo genere, bisogna inquadrarla in un complesso di norme innovatrici. Per il momento, essa rimane al di fuori del sistema che si sta creando.

L’onorevole Tosato propone poi il voto obbligatorio. La contraddizione tra le due proposte appare chiara. Comunque, crede inutile ripetere la discussione su questo tema che già è stata svolta a lungo alla Consulta Nazionale.

EINAUDI è contrario alla proposta di attribuire il diritto elettorale soltanto a coloro che lavorano, proposta che non è solamente ardita od audace, ma che risale a tempi ed a situazioni che non si verificheranno mai più. Se v’è una discussione che nella scienza economica non abbia mai portato ad alcun risultato, è proprio quella della ricerca di ciò che è il lavoro produttivo o improduttivo, lavoro sociale o antisociale. La iniziarono i fisiocrati, fu fatta da Adamo Smith, ma senza alcun costrutto, perché è impossibile trovare una definizione. Questa impossibilità scientifica, poi, non ha soltanto importanza teorica, perché dà luogo all’arbitrio. Le decisioni non sarebbero mai improntate ad un concetto oggettivo, ma soltanto a faziosità, con l’esclusione dei nemici di coloro che al momento dominano la formazione delle liste elettorali.

LUSSU, per quanto, da un punto di vista puramente teorico, sia d’accordo con la proposta Tosato, vede la difficoltà pratica della sua attuazione. I fannulloni, per essere privati del loro potere, dovrebbero essere prima privati del loro privilegio economico, il che è difficilmente attuabile nell’attuale situazione. Ove fosse sancita una simile limitazione, i detentori di quel privilegio avrebbero le più ampie possibilità di nascondere la loro inattività, e continuerebbero a votare. È quindi contrario a quella proposta, almeno fino a quando non si giunga a trasformare la situazione presente.

È pure contrario al voto obbligatorio; quando il diritto al voto è concesso a tutti, chiunque abbia un’idea politica da manifestare può farlo liberamente. Ma costringere le persone a votare significa uscire dai limiti della libertà in cui si vuol rimanere. In tutti i corpi politici organizzati si hanno delle astensioni dal voto, e coloro che usano di questa facoltà non hanno diritto di pretendere che altri non possa astenersi.

PICCIONI, per una mozione d’ordine, domanda se la discussione su questo argomento si deve approfondire oppure se, risolta la questione del limite di età per quanto si riferisce al diritto elettorale attivo, tutto il resto, che riflette l’esercizio del diritto e i modi e le forme ed eventualmente le sanzioni, non debba essere senz’altro rinviato alla discussione della legge elettorale. Questo perché nella legge istitutiva della Costituente è previsto espressamente che questa debba redigere la Costituzione e, con una Commissione apposita, la legge elettorale. Se si intende oggi esaurire o pregiudicare le forme e i modi della legge elettorale in questa sede, evidentemente si va contro la regola fondamentale che deve stare a base del lavoro della Costituente.

Propone quindi che la discussione su questa materia sia rinviata all’organo più specificamente competente previsto; ché se invece si vuol farà una discussione, bisogna farla in modo approfondito.

AMENDOLA concorda con l’onorevole Piccioni. Pensa però che si deve stabilire chi sono gli elettori, poiché è già stabilito il principio che tutto il potere deriva dal popolo e nel popolo è la fonte della sovranità. Se questa volontà popolare si esprime attraverso le elezioni, occorre fissare chi sono gli elettori ed il modo del voto, non il sistema elettorale, il quale può variare nel tempo, senza turbare la base costituzionale fondamentale.

PICCIONI crede che nella Costituzione sia sufficiente sancire che il suffragio universale, diretto, eguale e segreto spetta ai cittadini che abbiano raggiunto una determinata età.

NOBILE si associa a quanto ha detto l’onorevole Piccioni, ritenendo che si debba rimandare questa discussione alla Commissione speciale per la legge elettorale.

PRESIDENTE invita la Sottocommissione a decidere sulla inserzione del termine «eguale» accanto agli altri «diretto, segreto e universale».

TOSATO avverte, circa la distinzione del lavoro utile da quello non utile, che egli, con la sua proposta, si riferiva al caso del non lavoro assoluto. Non crede poi che esista contraddizione fra obbligatorietà del voto ed esclusione di determinate categorie di cittadini, perché una questione è la capacità elettorale, ed altra l’esercizio del diritto al voto. Comunque ritira la proposta ed accede all’inserzione nell’articolo del principio dell’eguaglianza.

PRESIDENTE legge il testo che sarebbe da votare: «La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, dai cittadini di ambo i sessi che godano dei diritti civili e politici e abbiano raggiunto l’età…».

ROSSI PAOLO propone che si dica «da tutti i cittadini», per togliere ogni dubbio, dato che qui si è manifestato il proposito di escludere certe categorie di cittadini.

EINAUDI crede inutile quest’aggiunta perché il testo dice «suffragio universale».

ROSSI PAOLO rinunzia.

PICCIONI desidera sia bene stabilito che, non aggiungendosi la parola «obbligatorio» non si intende pregiudicare la soluzione del problema dell’obbligatorietà del voto che sarà discusso in sede di Commissione speciale.

PRESIDENTE gliene dà atto.

LUSSU esprime l’avviso che il termine «uguale» sia pleonastico.

FABBRI gli fa osservare che, con ciò, si conclude il voto plurimo.

CONTI crede che il testo ora letto dal Presidente dovrebbe essere preceduto da quello riguardante il modo di composizione della Camera.

PRESIDENTE osserva che sull’ordine delle varie disposizioni potrà discutersi in seguito e mette ai voti il testo di cui ha dato lettura.

(È approvato).

AMENDOLA crede che la norma, la quale precisa attraverso quali cittadini si esprime la volontà popolare nell’ordinamento democratico italiano, dovrebbe essere lasciata a sé, senza legarla all’elezione della Camera dei Deputati.

PRESIDENTE riconosce che manca una affermazione del tipo di quella che sta alla base di ogni sistema democratico. La democrazia si è sviluppata principalmente in relazione al diritto elettorale e ha raggiunto la sua piena affermazione col suffragio universale. La nuova Costituzione, che vuole essere democratica, dovrebbe contenere un’affermazione di questo genere, altrimenti si avvertirebbe la mancanza del punto di partenza. Il che non esclude che là dove si tratterà del modo di formazione della seconda Camera si potranno eventualmente indicare i modi particolari.

Propone che i due relatori Mortati e Conti prendano contatto coi relatori della prima Sottocommissione per conoscere come sono stati formulata gli articoli relativi.

MORTATI trova opportuna la proposta del Presidente dal punto di vista dell’economia del lavoro comune, cioè del coordinamento del lavoro delle varie Sottocommissioni.

(La proposta del Presidente è approvata).

La seduta termina alle 20.40.

Erano presenti: Ambrosini, Amendola, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Leone, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Grieco.

Assenti: Calamandrei, Castiglia, De Michele, Maffi, Porzio, Targetti.

SABATO 7 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

11.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 7 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Porzio – Presidente – Lussu – La Rocca – Lami Starnuti – Nobile – Ambrosini – Ravagnan – Targetti – Mortati – Uberti – Fabbri – Piccioni – Einaudi – Castiglia – Finocchiaro Aprile – Perassi – Mannironi.

La seduta comincia alle 10.45.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PORZIO dopo avere ascoltato i discorsi dei vari oratori, specie quelli degli onorevoli Ambrosini e Lussu, avrebbe voluto pregare il Presidente di porre in votazione la questione di principio: sistema monocamerale o sistema bicamerale? Perché, adottato l’uno o l’altro sistema, al momento opportuno si potrà disciplinare il sistema accettato. Non è, infatti, possibile dire che, se non sono accolte determinate condizioni del sistema bicamerale, si vota per il sistema monocamerale, perché si tratta di due principî troppo diversi, di due concezioni troppo dissimili l’una dall’altra.

Del resto, qui tutti sono convinti che bisogna adottare il sistema bicamerale. E allora tanto vale dirlo senz’altro. Si fanno da taluni delle riserve, cioè da quelli che hanno predilezione per il sistema monocamerale, che è stato respinto in Francia; ma il fatto è che tutti riconoscono che bisogna adottare quello bicamerale.

E allora sorge una questione, perché taluni vogliono una vera Camera alta o Senato elettivo (anche su questo si è d’accordo), mentre altri ammettono la Camera alta, o Senato, per una specie di transazione sul progetto, e quindi la riducono ad una sorta di consulta. Ebbene, il popolo italiano è un popolo non solamente sconfitto, ma disfatto; ha perduto la guerra, ma non l’intelletto; si può risollevare sul terreno intellettuale e sul terreno giuridico e, senza tanti richiami all’America, all’Inghilterra, alla Francia e perfino alla Norvegia, può creare una cosa italiana, il Senato italiano! Il Senato deve rispondere a particolari esigenze volute dal popolo italiano, dal costume del popolo italiano che si evolve, che è progressista, ma che nel fondo della sua coscienza vuole un organo moderatore, equilibratore.

Perciò prega il Presidente di porre in votazione il sistema bicamerale e quello monocamerale. Approvato il sistema bicamerale, si potrà passare al modo di elezione del Senato. Si è parlato del metodo che bisogna seguire per l’elezione delle Assemblee regionali; e allora si cadrebbe in errore se non si creasse un sistema armonico, col quale si possa formare la nostra organizzazione.

Tutti sono favorevoli ad un Senato elettivo salvo l’eccezione della nomina di una diecina di senatori da parte del capo dello Stato. Per suo conto è favorevole a questa nomina eccezionale, perché l’Italia deve avere una rappresentanza elevata, e certe personalità insigni della politica, della scienza e dell’arte non potranno entrare alla Camera, non potendo affrontare la lotta elettorale, che stanca ed esaurisce. Alcune personalità a scelta del Presidente della Repubblica debbono entrare nel Senato. Ma, all’infuori di questi, i senatori debbono essere nominati dagli elettori.

Si vedrà in seguito quali dovranno essere gli elettori, tenendo conto delle regioni, delle organizzazioni sindacali, delle organizzazioni professionali: e si avrà un corpo elettorale con una base un po’ diversa da quella che ha la Camera dei Deputati.

Il Senato esiste dovunque: in Francia, in Inghilterra – ove, checché se ne dica, la Camera dei Lords dirige – esiste in America ed anche in Russia. Non si comprende perché non debba esistere in Italia. E allora si deve fare questa riforma, concepita come deve essere concepita in terra latina.

In Francia, la Repubblica fu creata da Gambetta, il quale le diede la seconda Camera e mantenne in carica anche i senatori appartenenti al Senato dell’impero, animato, come era, da volontà di unione e di concordia nazionale. Senza arrivare a questo, si può, in Italia, creare una repubblica latina con quel Senato che in Francia fu concepito come freno, come moderazione, come riesame; come, insomma, una cosa utile ed efficace nel meccanismo dello Stato.

Perciò, prega il Presidente di far procedere senz’altro alla votazione sul sistema, salvo a decidere in seguito sui dettagli relativi alla nomina dei senatori; e propone il seguente ordine del giorno: «La seconda Sottocommissione approva il sistema bicamerale».

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Bozzi ed Einaudi gli hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione riconosce la utilità del sistema bicamerale, che esprime la rappresentanza di tutte le forze vive della società nazionale».

Crede che, prima di votare sull’ordine del giorno presentato dall’onorevole Porzio, sia necessario terminare la discussione iniziata.

PORZIO non ha difficoltà a ritirare l’ordine del giorno, che ha presentato per semplificare la. discussione, e ad aderire a quello presentato dagli onorevoli Einaudi e Bozzi.

LUSSU rinunzia alla parola, riservandosi di fare una dichiarazione di voto.

LA ROCCA fa analoga dichiarazione.

LAMI STARNUTI, circa l’eventuale formazione della seconda Camera attraverso i Consigli regionali, precisa che egli pensava ai Consigli regionali per l’elezione indiretta di secondo grado della Camera delle Regioni, analoga al Consiglio dei Cantoni in Svizzera; non per l’elezione di una seconda Camera.

Non avrebbe, del resto, difficoltà ad aderire al suggerimento dell’onorevole Ambrosini di dare il voto elettorale per la seconda Camera ai consigli comunali ed eventualmente ai consigli provinciali (se le provincie dovessero rimanere); ma ritiene che non vi sia possibilità tecnica di organizzare i consigli comunali ed eventualmente i consigli provinciali come organi di secondo grado per la elezione della seconda Camera, a meno che non si tratti di costituire un collegio vero e proprio di secondo grado per la nomina dei componenti della seconda Camera, analogo al collegio dei delegati per la nomina del Presidente degli Stati Uniti d’America. I consigli comunali, provinciali e regionali dovrebbero cioè delegare gli elettori senatoriali. All’infuori di questo sistema non vede come la elezione dei membri della seconda Camera potrebbe essere organizzata attraverso i consigli comunali e provinciali.

NOBILE desidera aggiungere alcune argomentazioni in sostegno della sua tesi, decisamente contraria alla istituzione della seconda Camera.

Gli argomenti che vengono comunemente addotti a difesa della seconda Camera sono: opportunità di un più accurato esame nella legge; necessità d’un organo moderatore e opportunità di chiamare a collaborare alla preparazione delle leggi gli esponenti delle varie categorie sociali.

Orbene, non è col creare un duplicato che si può garantire un buon esame della legge. La qualità della discussione in questo argomento vale assai più della quantità, e quando si discuterà del funzionamento della Camera legislativa, si potrà vedere quali accorgimenti sia possibile adottare affinché i disegni di legge vengano accuratamente esaminati.

In secondo luogo, una Camera di rappresentanti dei vari interessi che si agitano nel Paese, i quali prendano parte direttamente alla discussione di questioni che li interessano, non offrono migliore garanzia di obiettività dell’Assemblea. La seconda Camera dovrebbe essere costituita, secondo quello che è stato detto, da rappresentanti dell’industria, del lavoro, del commercio, della cultura, delle arti, e così via. Ma i sindacati, le associazioni professionali, le organizzazioni industriali e commerciali, gli istituti di cultura ecc., hanno anche nella Camera unica il modo di far sentire e di far pesare le loro opinioni e di agitare questioni; e possono anche indirettamente provocare la presentazione di progetti di legge. Basta, per convincersene, esaminare l’elenco dei deputati alla Costituente. In questa Assemblea si trovano sessantanove professori universitari; e se ne andassero un’altra settantina alla seconda Camera, troppi professori non avrebbero più tempo né di studiare né di fare studiare gli altri. Ci sono poi trentasei professori medi, centocinquantatré avvocati, ventinove medici, ventisei ingegneri, sedici industriali; e tutti possono essere i portavoce delle rispettive categorie. Ci sono ancora quindici organizzatori, quindici operai, nove agricoltori, sei commercianti, quattro bancari, sei commercialisti, perfino un armatore. Ci sono rappresentanti dei vari consessi statali: tre magistrati, un Consigliere di Stato, sette ferrovieri, quattro generali ed anche un editore ed un notaio. Quindi le varie categorie economiche del Paese non potrebbero essere meglio rappresentate.

Considerando poi la questione da un altro punto di vista, dal quale di solito queste questioni non vengono considerate, cioè da un punto di vista economico e delle attuali condizioni economiche del nostro Paese, si deve ricordare che il Paese è ridotto alla più estrema miseria, col bilancio dello Stato in condizioni disastrose, e non si può, senza un’assoluta necessità, duplicare gli organi statali. Senza fare un conto dettagliato, una valutazione sommaria conduce a concludere che la spesa occorrente per una seconda Camera sarebbe dell’ordine di grandezza di un miliardo, e questo è un argomento che oggi in Italia ha il suo peso.

Ricorda come già sia stato fuori di qui rilevato che «un Parlamento non è un collegio di esimi periti; se lo fosse, darebbe risultati ancora più mediocri di quelli che dà, perché, se uno è eccellente negli affari o in meccanica o in economia o in medicina, questa non è una ragione per credere che sia all’altezza del compito peculiare del Parlamento. Questo, nella sua essenza, sembra consistere in quattro cose: saper maneggiare gli uomini, vedere le questioni che occorre trattare, giudicare a quali si deve dare la precedenza per l’importanza che hanno, avere la forza e il coraggio di dare alle soluzioni proposte un esito favorevole. L’assemblea non è un corpo di statisti, ma è un campionario medio di uomini comuni avviati ora su questa, ora su quella strada, da spinte dell’opinione pubblica».

AMBROSINI si limiterà a rispondere al quesito che proponevano i precedenti colleghi. Per il caso che fosse decisa, in via di massima, la costituzione di un Senato, dando una rappresentanza agli interessi territoriali, egli ha prospettato la possibilità che, oltre agli interessi regionali come tali, abbiano una rappresentanza gli interessi territoriali dei comuni e delle provincie, (ove queste vengano mantenute). A costituire questa rappresentanza si potrebbe pervenire con una elezione di secondo grado. Lo stesso sarebbe forse per la rappresentanza regionale. Comunque, la rappresentanza degli interessi territoriali dei comuni e delle provincie potrebbe avvenire attraverso un collegio provinciale composto su per giù a questo modo: dai deputati della provincia, dai consiglieri provinciali e dai deputati provinciali, dai membri elettivi in carica della Giunta Provinciale Amministrativa o dell’organo che le venisse sostituito, dai componenti del Consiglio provinciale scolastico, della Commissione provinciale di assistenza e beneficenza, ed infine, per quanto si riferisce ai comuni, dai sindaci e dai delegati dei consigli comunali, secondo una certa proporzione.

Poiché è stato osservato che non sarebbe giusto affidare a tutti i comuni lo stesso numero di delegati per questa elezione, sia pure di secondo grado, dichiara che conviene in ciò completamente. Ma appunto per questa ragione aveva parlato di proporzione: il numero dei delegati dei consigli comunali sarà diverso, in proporzione del numero dei consiglieri comunali, o, come altri dice, della popolazione, il che è lo stesso.

Quindi le difficoltà di indole pratica, a cui alcuni colleghi hanno accennato, possono essere superate con l’adozione di questo criterio di proporzionalità nella determinazione dei delegati dei consigli comunali.

RAVAGNAN esprime l’opinione che alla base di molti dei discorsi pronunciati sull’argomento sia il presupposto che si debba preparare con accorgimenti e congegni legislativi un correttivo del suffragio universale, affinché i rapporti politici e lo schieramento politico che ne derivano siano spostati, per corrispondere, non più ai rapporti reali quali sono nel Paese, ma ad una specie di schema più o meno precostituito e corrispondere ad un concetto politico determinato. La seconda Camera non sarebbe più una Assemblea legislativa che concorre con propria autonomia alla preparazione delle leggi, ma sarebbe in primo luogo un freno, un correttivo della prima Camera.

La discussione attuale si svolge evidentemente, nella mente di molti colleghi, sulla base della seconda parte dell’ordine del giorno Perassi, intesa a trovare i mezzi per impedire il supposto prepotere della prima Camera: e la seconda sarebbe uno di questi mezzi. Questa impressione, la cui fondatezza gli sembra incontestabile, è alla base dell’atteggiamento tenuto in occasione del voto dell’altro giorno e ispira l’ordine del giorno presentato dai colleghi Rossi, Lami Starnuti ed altri.

Vi è stato anzi un collega il quale ha affacciato l’ipotesi di un prepotere della maggioranza della prima Camera, la quale potrebbe sopraffare la minoranza, nel qual caso, egli ha detto, si giustificano i correttivi costituiti dalla composizione della seconda. Per tal modo la seconda finirebbe in pratica per costituire come un rafforzamento della minoranza della prima.

Ed infatti se, per esempio, venisse ad essere accettato il criterio che una parte dei membri della seconda Camera fossero di nomina presidenziale o chiamati a farne parte per cooptazione, si verificherebbe in pratica qualche cosa di simile a quel che avveniva all’epoca del vecchio Senato nel periodo parlamentare prefascista, quando i candidati ministeriali caduti alle elezioni venivano nominati senatori: verrebbero chiamati a far parte della seconda Camera uomini che il suffragio universale non avrebbe eletto, o non sarebbero stati nemmeno designati candidati, cosa che implica un determinato giudizio politico contro cui la loro nomina si porrebbe.

Non può quindi accettare il sistema della nomina presidenziale, né quello della cooptazione.

Circa le categorie economiche, i Corpi accademici ed Ordini professionali che si vorrebbero far concorrere insieme con le Assemblee regionali alla elezione della Seconda Camera, osserva in linea generale che quando si afferma, e giustamente, che il popolo elegge i deputati, si intende il popolo indifferenziato, perché i suoi rappresentanti debbono legiferare non in nome di interessi particolari, ma sulla base degli interessi generali; di qui, e cioè, dall’apprezzamento della composizione degli interessi generali nasce la legge. Se invece si attribuisce potere legislativo a rappresentanti i quali esplicitamente esprimono interessi determinati, questi rappresentanti verranno a difendere interessi particolaristici in contrapposto con gli interessi generali. È evidente che non si devono trascurare tali interessi, ma non si può attribuire a coloro che li rappresentano la facoltà di legiferare sulla base di questi. Essi avranno diritto di essere consultati e niente vieta che si stabilisca che diventino effettivamente una cosa seria, organica e fattiva taluni organi, come il Consiglio superiore del lavoro, il Consiglio superiore della pubblica istruzione, dei lavori pubblici, delle belle arti, ecc.

Altro rilievo molto importante è che questi Corpi ed Ordini disporrebbero di due voti: uno che verrebbe dato dai singoli componenti di essi per le elezioni alla prima Camera, l’altro che darebbero come Corpo alla seconda: onde una specie di anacronistico ritorno agli ordini privilegiati. Così l’onorevole Bulloni ieri sera ha parlato, con schiettezza di cui gli va data lode, di voto plurimo. Ma, ove si accedesse a questo principio, si metterebbero in imbarazzo i membri della prima Sottocommissione, i quali, senza dubbio proporranno che la Costituzione proclami l’eguaglianza politica dei cittadini. Come sarebbe possibile affermare da un lato l’eguaglianza politica e dall’altro creare delle categorie di cittadini politicamente privilegiati?

Conclude che il presupposto aprioristico e artificiale del correttivo al suffragio universale deve essere abbandonato e che la seconda Camera deve essere eletta da un corpo elettorale composto solamente dalle Assemblee regionali. Stabilito questo principio, si potrà determinare la composizione numerica di questa seconda Camera e la sua competenza legislativa.

PRESIDENTE pensa che, per uscire dalla situazione complicata dei molteplici ordini del giorno presentati, si potrebbe accettare il criterio indicato dall’onorevole Porzio, di fare anzitutto una votazione sopra l’esigenza del sistema bicamerale, da tutti gli ordini del giorno affermata.

Rileva, tuttavia, che nel corso della discussione si è fatto presente il desiderio che questa accettazione sia diversamente legata ad alcuni elementi che avviano alla soluzione del problema. Quindi, dopo l’affermazione comune, si avrà contrasto circa l’elemento condizionale.

PORZIO concorda col Presidente e presenta un ordine del giorno puro e semplice: «La Sottocommissione approva il sistema bicamerale». Si procederà così con un ordine logico. Prima si stabilisce che si avrà una repubblica parlamentare (e questo è già fatto); ed allora si deve determinare quali sono i metodi per la proclamazione del Presidente della Repubblica. Qui interviene la questione della seconda Camera ed allora è anche logico che si dica se si deve adottare il sistema monocamerale o il sistema bicamerale. Approvato il sistema bicamerale, sarà stabilito che per l’elezione del Presidente della Repubblica l’Assemblea sarà formata dalla Camera dei Deputati e dal Senato. Dopo di ciò si dovrà discutere di tutte le questioni che sono state accennate sul modo di formare il Senato.

TARGETTI non crede che sia una questione di sostanza, ma per la forma osserva che, mettendo in votazione e approvando l’ordine del giorno Porzio, si turberebbe l’ordine della votazione, perché nessun altro degli ordini del giorno presentati potrebbe rimanere più così com’è, in quanto il principio delle due Camere sarebbe stato già adottato. Propone perciò di votare uno degli altri ordini del giorno per divisione.

MORTATI osserva che la discussione porrebbe essere abbreviata, se si cercasse di esaminare da vicino quali sono le ragioni del contrasto fra i vari ordini del giorno.

In sostanza l’ordine del giorno Mortati e quello Bozzi-Einaudi sono simili, e si differenziano da quello dell’onorevole Lami Starnuti semplicemente perché questo pone una condizione, cioè stabilisce che si accetta il sistema bicamerale, solo in quanto non si alteri il concetto della rappresentanza politica. Bisognerebbe esaminare questa condizione: se la si intende nel senso letterale dell’espressione, la seconda Camera non si potrà mai creare, perché tutte le seconde Camere sono fatalmente portate a spostare in qualche modo la fisionomia politica della prima. Anche quella norvegese, in sostanza, perché il semplice fatto, che essa sia più ristretta, altera in certo modo la fisionomia. Ma all’infuori di questa ipotesi, che poi è l’unica ed è difficilmente riproducibile in Italia, in un clima fisiologico completamente diverso, tutte le seconde Camere si differenziano dalle prime se non altro perché sono formate da individui di età superiore e il fattore dell’età è già un elemento differenziatore della fisionomia politica, e determina un funzionamento diverso.

Si può cercare di omogeneizzare le due Camere: egli non è d’accordo con quelli che vorrebbero vedere la seconda Camera in funzione di contrasto istituzionale con la prima, ma anche l’esigenza dell’omogeneità non si può estendere oltre certi limiti.

L’ordine del giorno Mortati esprime un concetto di completamento della rappresentanza politica: deve trattarsi di rappresentanza politica, non di rappresentanza di interessi. Non si intende la seconda Camera come rappresentanza professionale ma, se mai, di più grandi categorie, onde quest’ordine del giorno prospetta una seconda Camera che abbia una funzione politica, che non deve rispecchiare la prima, ma dev’essere una rappresentanza capace di esprimere interessi politici di carattere generale.

PRESIDENTE osserva che, dopo questo chiarimento, gli ordini del giorno potrebbero esser ridotti a tre: quello Porzio, puro e semplice, quello Lami Starnuti, e un terzo che potrebbe essere concordato fra gli onorevoli Mortati, Bozzi e Castiglia.

LAMI STARNUTI, poiché il suo ordine del giorno è più completo di quello dell’onorevole Porzio, crede che dovrebbe avere la precedenza e potrebbe essere votato per divisione: prima nella parte contenente parere favorevole alla istituzione della seconda Camera; e poi nella seconda che incomincia con le parole «a condizione che».

UBERTI non vede una differenza sostanziale tra gli ordini del giorno Lami Starnuti e Mortati, poiché anche l’onorevole Mortati non desidera una seconda Camera con una fisionomia di forze politiche diversa da quella della prima Camera e, per cercare questa corrispondenza, propone la pluralità delle fonti di derivazione.

FABBRI propone che i presentatori dei vari ordini del giorno si riuniscano separatamente per redigere non un testo unico, che è forse difficile concordare, ma una formulazione che si presti alla votazione per divisione delle sue varie parti.

LA ROCCA crede che i quesiti si pongano in questi termini: opportunità della creazione della seconda Camera; determinazione dei poteri che devono esserle attribuiti, ed innanzi tutto se convenga porla su di un piano di parità con la prima Camera. In caso di risposta affermativa a quest’ultimo quesito, occorre una estrema cautela nel determinare la composizione della seconda Camera. I commissari comunisti non accetterebbero mai che si istituisse una seconda Camera con gli stessi diritti e poteri della prima, ma formata con elementi tratti da una sorgente diversa, incerta ed aleatoria, perché, se così fosse, si verrebbe a riconoscere a determinate categorie di cittadini un doppio voto, laddove il Parlamento deve essere l’espressione della volontà di tutto il popolo.

MORTATI fa rilevare che, col sistema da lui proposto, tutti i cittadini, direttamente o attraverso elezioni di secondo grado, partecipano due volte alla votazione.

PICCIONI ritiene che l’ordine del giorno Porzio, che si limita ad affermare il principio della bicameralità, avrebbe potuto avere la precedenza in un’altra fase della discussione; non ora, dopo che la discussione si è ampliata al punto di fare affiorare le diverse opinioni fra le quali è divisa la Sottocommissione.

Tutti, eccettuato l’onorevole Nobile, sono d’accordo sul sistema bicamerale; ma il criterio informatore della seconda Camera, sia pure nelle sue grandi linee, non è evidentemente lo stesso nel pensiero dei componenti la Sottocommissione; tanto che nell’ordine del giorno Lami Starnuti, è detto che la creazione della seconda Camera dev’essere condizionata al fatto che non si alteri la fisionomia elettorale della prima. I commissari democristiani hanno un’altra visione della costituzione della seconda Camera, inutile scendere ai dettagli, ciò che sarebbe possibile solo se la divergenza investisse elementi formali, mentre investe la questione sostanziale.

In tali condizioni, o si rinvia l’ulteriore discussione sulle modalità dell’applicazione dell’uno o dell’altro criterio informatore; oppure, se non è ancora possibile affrontare il problema della sua integrità, si deve continuare la discussione sulle modalità pratiche di attuazione della seconda Camera e rinviare l’approvazione di un ordine del giorno concreto, pur tenendo conto fin da ora che effettivamente c’è un certo accordo sul criterio informatore della seconda Camera, anche se non è specificamente precisato.

Comunque, se si pensa di realizzare una seconda Camera, che riproduca sostanzialmente il gioco delle forze politiche che si svolge nella prima Camera, si pensa ad una cosa inutile, perché l’esigenza che si afferma creando la seconda Camera è un’esigenza di garanzia delle ragioni profonde del sistema democratico. La Camera unica costituisce un potenziale pericolo di queste profonde ragioni, perché in regime di Repubblica Parlamentare, con la maggioranza comunque costituita nella Camera unica, questa maggioranza, quasi fatalmente, è portata a comprimere in un primo momento e a sopprimere eventualmente in un secondo momento le ragioni della minoranza; mentre nella tutela della minoranza, senza che sia intaccato l’organismo sostanziale del regime democratico, stanno le ragioni più profonde del sistema democratico stesso:

Per evitare possibilità di questo genere, i democristiani, che hanno una concezione della funzionalità sociale in senso perfettamente organico e credono che, non soltanto l’individuo come tale abbia un valore e un peso decisivo nella vita sociale e politica della Nazione, ma che anche i gruppi abbiano un loro valore e peso da far valere, ritengono che questa concezione si debba riflettere nella seconda Camera, col preciso intendimento di garantire il sistema democratico. Il che non avverrebbe se la seconda Camera rispecchiasse esattamente la prima.

Occorre quindi decidere quale dei due criteri informatori si vuol seguire per la costituzione della seconda Camera; per passare poi, con maggiore concretezza, all’esame delle modalità di struttura della seconda Camera. Questo scopo sarebbe chiaramente raggiunto votando l’ordine del giorno Mortati, o quello Einaudi, o l’uno e l’altro fusi insieme, perché in questi è fissato un criterio informatore che si contrappone nettamente all’altro criterio che pure è stato qui esposto.

PORZIO chiede che si riponga la discussione nei suoi termini parlamentari. È stato presentato un ordine del giorno puro e semplice, e questo, in quanto tale, deve avere la precedenza su tutti gli altri.

Adesso si discute se bisogna scegliere il sistema monocamerale o quello bicamerale. Questo è il punto sostanziale. E allora non è perché vi sono divergenze circa il modo di eleggere i senatori che si può respingere il sistema bicamerale. Le modalità per creare questo sistema bicamerale rappresentano un’altra di quelle questioni sulle quali l’esame dovrà approfondirsi, fermo restando il principio. Si cercherà di trovare un sistema, nell’accordo di tutti; e se l’accordo non si avrà, chi otterrà la maggioranza vincerà. Ma non per questo si può dire che il principio essenziale, il punto di partenza debba essere abbandonato.

Chiede quindi che si voti l’ordine del giorno puro e semplice, salvo a passare poi ai vari ordini del giorno specifici. Quello Mortati si può fondere con quello di Einaudi e Bozzi. Vi saranno altri ordini del giorno. Ma questi, riguardando le modalità di applicazione, importeranno una discussione che sarà più breve, dopo risolta quella principale.

LUSSU crede possibile arrivare ad un accordo.

La formulazione dell’ordine del giorno Mortati, in quanto pone una condizione non rispecchia, a suo avviso, il pensiero di taluni dei colleghi della parte politica a cui l’onorevole Mortati appartiene; e, una volta affermata concordemente l’esigenza della seconda Camera, è probabile che una comprensione reciproca condurrà ad accettarla in quelle forme che siano conclusive. Spera che i colleghi Piccioni e Mortati si renderanno conto di alcune esigenze e che si passi ad impostare il problema in modo che quelle esigenze non siano accantonate e non si sospinga verso la Camera unica anche coloro che sono disposti ad accettare il sistema bicamerale.

Perciò suggerisce di votare, non sull’ordine del giorno Mortati, il quale pone una condizione che non rispecchia il pensiero di tutti, ma su quello Bozzi-Einaudi o su quello Lami Starnuti. Quest’ultimo soprattutto gli pare il più adatto, anche perché può dividersi in due parti da votarsi separatamente, e nella seconda parte darà l’occasione di meglio chiarire i differenti punti di vista e d’incontrarsi reciprocamente.

EINAUDI nella odierna discussione ha creduto di sentire l’eco delle più grandi discussioni che in materia sono state fatte in altri tempi.

Consapevolmente od inconsapevolmente, alcuni oratori si trasformano in seguaci e paladini delle idee illuministiche del secolo XVIII: quando si parla di due Camere, le quali devono derivare da una unica fonte – e, come è stato implicitamente accennalo da qualcuno, devono derivare unicamente dal popolo – in fondo, si riproduce la teoria della formazione degli stati del Rousseau, il quale aveva detto che tutta la fonte dei poteri sta unicamente nel popolo. Questa dottrina conduce alla conseguenza che vi debba essere una sola Camera; che se, per circostanze particolari, ci si decide ad ammettere anche una seconda Camera, questa deve uscire dalla medesima matrice della prima. Ma la conseguenza logica del sistema di Rousseau è che la sovranità popolare si concentra nella Camera, che è onnipotente. Essa ha una maggioranza e questa fa le leggi; contro queste leggi non c’è nessuna possibilità di giusta resistenza. Queste leggi devono essere obbligatorie per tutti; deve essere obbligatorio per tutti il Governo che esce da questa maggioranza eletta, che ha la sola sua sorgente nel popolo.

E ne vengono altre conseguenze, che del resto alcuni di quegli scrittori accettavano perfettamente. V’è un brano di Saint Simon, nel quale si dice: È la maggioranza che deve imporre le leggi; se avremo la maggioranza, dovremo, impedire che chiunque altro manifesti le proprie opinioni, perché la verità è quella che esce dalla maggioranza, dall’unica Camera (o dalle due Camere, se provengono dalla medesima sorgente). Queste altre conseguenze sono, dunque, i regimi totalitari, con quel che ne deriva. Questi regimi hanno come principio la teoria del contratto sociale di Rousseau.

Contro questa teoria abbiamo tutto il romanticismo, e coloro che vogliono due Camere, che siano diverse l’una dall’altra, sono consapevolmente od inconsapevolmente dei romantici, i quali riconoscono che nella società esistono molte forze che hanno il diritto di essere rappresentate. Alcune di queste sono persino forze morte, sono forze delle generazioni passate e non perché tali non hanno il diritto di far sentire la propria voce – diceva la scuola romantica – nella legislazione presente. È necessario che ci sia una struttura politica che non dimentichi nessuna delle forze esistenti nel Paese; per conseguenza ci deve essere una seconda Camera, diversa dalla prima, che non esca soltanto da una votazione numerica dei singoli, ma che rappresenti tutto l’insieme delle forze vive, sia una rappresentanza di quelli che sono vissuti e di quelli che vivranno.

Coloro che seguono questa seconda opinione rappresentano le forze moderne, cioè quelle che sono le esigenze della società moderna, perché le esigenze della società moderna sono tutte contrarie alla teoria che lo Stato, come emanazione della maggioranza del popolo, possa fare tutto. Lo Stato non deve fare tutto: lo Stato ha dei limiti ai suoi poteri e questi limiti vengono da molteplici fonti e cominciano a venire dall’intreccio che nasce tra uno Stato e l’altro. È una teoria sorpassata quella secondo cui lo Stato può fare tutto quello che crede: non esiste uno Stato che possa fare tutto quello che vuole. La teoria dello Stato a sovranità piena ci ha condotto alle due guerre moderne e continuerà a condurci ad altre guerre. Se vogliamo sottrarci a questa conseguenza fatale, dobbiamo ammettere che non esiste uno Stato che sia completamente sovrano; che ogni Stato deve avere dei limiti al proprio potere; che non sia possibile neppure immaginare che in uno Stato il legislatore possa fare tutte le leggi che crede. Questo sarebbe contrario alle esigenze della vita moderna e l’umanità morrebbe, se accettasse l’idolo dello Stato assolutamente sovrano.

Per questa ragione ha aderito all’ordine del giorno Bozzi, in cui è l’eco della teoria della rappresentanza di tutte le forze politiche e sociali che esistono nel Paese. La traduzione del principio nelle forme politiche la si vedrà poi.

CASTIGLIA, pur non tenendo a rivendicare una paternità, perché, più che una formulazione stilistica, gli importa l’affermazione di un principio e l’adozione di un sistema che risponda alle esigenze giuridiche del Paese, ricorda di aver presentato anch’egli un ordine del giorno.

Osserva che, per la votazione, si possono tenere diverse vie che sono le seguenti:

seguire l’ordine di presentazione degli ordini del giorno (ma sarebbe la più lunga); cercare – se gli altri presentatori non hanno nulla in contrario – di arrivare ad una redazione unica degli ordini del giorno che si somigliano; dare incarico all’onorevole Mortati di redigere un ordine del giorno (che potrebbe trovare anche la sua adesione personale); o ancora (ed è forse la via più semplice) mettere in votazione per primo l’ordine del giorno Porzio, che è il più sintetico ed il meno impegnativo.

Non crede si possa dare la precedenza all’ordine del giorno Lami Starnuti, anche perché esso è stato presentato dopo gli altri.

Pensa, che, per abbreviare la discussione, si possa scegliere fra due vie: o mettere in votazione l’ordine del giorno Porzio, o cercar di redigere due soli ordini del giorno per dare la possibilità di scelta fra l’uno e l’altro.

Poiché si è parlato dei criteri che dovrebbero presiedere all’adozione del sistema bicamerale, ricorda che questi, nel suo ordine del giorno, sono rimasti impregiudicati, dato che egli ha tenuto conto di criteri molto generali, non troppo impegnativi. Nella parte dispositiva, infatti, dice che «la Sottocommissione fa voti, perché la nuova Costituzione della Repubblica italiana adotti il sistema bicamerale, istituendo accanto alla Camera dei Deputati, espressione della volontà politica del popolo, il Senato, espressione, oltre che della stessa volontà politica… (qualcuno dei commissari teneva ad affermare che la seconda Camera dovesse essere anch’essa espressione della volontà politica, e questo nell’ordine del giorno è ribadito) «degli interessi sociali e regionali del paese nella cui sintesi e armonia si ravvisano i mezzi più idonei per una legislazione veramente rispondente alle aspirazioni della Nazione». Questa formulazione è di carattere così generico che non dovrebbe urtare suscettibilità politiche o giuridiche di alcuno.

Comunque, se gli altri presentatori volessero formulare un ordine del giorno il quale rispecchiasse un minimo di quello che è detto nel suo, egli sarebbe pronto ad accettarlo. In caso contrario aderirebbe alla proposta di votare per primo l’ordine del giorno Porzio, che è il più sintetico e generico, e quindi ha diritto alla precedenza.

TARGETTI crede che tutti desiderino eliminare le ragioni di contrasto e di dissidio; ma si capisce che questo desiderio deve essere sempre subordinato alla condizione di non essere costretti, per andare d’accordo gli uni con gli altri, a non andare più completamente d’accordo con sé stessi. Quando si tratta di una diversità sostanziale, non è prova di intransigenza, ma prova di serietà e di coerenza alle proprie idee, riconoscere le diversità di opinioni. Ora, la speranza di una conciliazione, che non sacrificasse la sostanza, sembrava possibile, ma le dichiarazioni dell’onorevole Piccioni hanno posto in luce un modo di vedere alquanto diverso da quello di altri che lo hanno preceduto. Vi sono alcuni che attribuiscono alla seconda Camera una funzione di remora verso eventuali ardimenti legislativi riformatori: altri invece attribuiscono alla seconda Camera soltanto una funzione di secondo esame, di maggiore elaborazione della legge. Esiste, dunque, questa differenza sostanziale, e l’onorevole Porzio deve convenire che questi altri sarebbero in contradizione con sé stessi se accedessero alla sua idea. Dopo le dichiarazioni del collega Piccioni, anzi, essi debbono ritirare anche la proposta di votazione per divisione perché, sia votando per divisione l’ordine del giorno Lami Starnuti, sia votando l’ordine del giorno Porzio, finirebbero col dare il loro parere favorevole alla formazione di una seconda Camera, che poi, ove dovesse essere eletta in certo modo, li troverebbe del tutto avversi. Non è esatto affermare che tutti vogliono la seconda Camera: vi sono alcuni che l’accettano solo se corrisponda alle loro esigenze. In altre parole, se, dato il modo di formazione della seconda Camera, dovesse crearsene una per darle la stessa funzione che il Senato regio ha esercitato nei riguardi del Parlamento italiano, essi dovrebbero pronunciarsi per il sistema monocamerale.

PRESIDENTE sospende brevemente la riunione, affinché gli onorevoli Mortati, Porzio, Bozzi, Einaudi e Castiglia vedano se è possibile redigere un unico testo dei loro ordini del giorno. Anche i colleghi che hanno firmato l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Lami Starnuti potranno vedere se è loro possibile modificarlo. Si avranno così due ordini del giorno soltanto.

(La seduta, sospesa alle 12.40, è ripresa alle 13.05).

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Mortati, Bozzi, Castiglia ed Einaudi hanno concordato il seguente ordine del giorno: «La seconda Sottocommissione, riconosciuta la necessità dell’istituzione di una seconda Camera, al fine di dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della società nazionale, passa all’esame del sistema del rapporto tra le due Camere ed al modo di composizione di ciascuna di esse».

L’ordine del giorno dell’onorevole Lami Starnuti ed altri ha avuto l’aggiunta di una parola ed è del seguente tenore:

«La seconda Sottocommissione esprime parere favorevole al sistema bicamerale a condizione che la seconda Camera non sia costituita in modo da alterare sostanzialmente la fisionomia politica del Paese, quale è stata rispecchiata dalla composizione della prima Camera».

Avverte che metterà in votazione ambedue questi ordini del giorno per appello nominale.

FINOCCHIARO APRILE dichiara che voterà l’ordine del giorno Lami Starnuti, in quanto gli sembra che sia più aderente alla situazione politica attuale.

Il 2 giugno il popolo italiano fece una solenne affermazione in senso democratico. Abbiamo un’Assemblea Costituente democratica; abbiamo una Repubblica democratica. L’ordine del giorno Lami riafferma inequivocabilmente i principî democratici che sono a base delle nuove istituzioni.

La Sottocommissione deliberò l’altro giorno di dare la preferenza al regime parlamentare anziché a quello presidenziale o a quello direttoriale e, l’oratore si dichiara spiacente di non avere potuto partecipare alla votazione. Se fosse stato presente, avrebbe votato in favore del regime presidenziale. Così avrebbe votato, dato il cattivo esperimento fatto in Italia dal regime parlamentare, che rivelò la sua incapacità a garantire la stabilità dei governi è perché, con il detto regime non v’è alcun modo per impedire, vigendo il sistema elettorale proporzionale, il ripetersi delle crisi a getto continuo. Non gioverebbe, a tal uopo, lo stabilire che, dato al governo un voto di fiducia, il governo abbia il diritto, come ha proposto l’onorevole Mortati, di rimanere indisturbato al potere per due anni, come non gioverebbero gli espedienti e i temperamenti suggeriti dall’onorevole Bozzi. Tutto ciò, del resto, porterebbe ad una evidente limitazione della sovranità della rappresentanza popolare.

Ma l’oratore avrebbe votato per il regime presidenziale anche per obbligo di coerenza e per sua particolare convinzione giuridica e costituzionale, essendosi sempre dichiarato favorevole all’introduzione del regime della democrazia diretta, di cui il regime parlamentare costituisce, in certo modo, l’antitesi. A riguardo ricorda che nel secondo congresso nazionale del «Movimento per l’indipendenza della Sicilia» fu, su proposta dell’oratore, accolta l’introduzione, nel disegno dell’auspicato Stato libero di Sicilia, del regime della democrazia diretta, in quanto esso non solo evita la pericolosa interdipendenza del deputato dal governo e del governo dal deputato, ma rende stabili i gabinetti e mantiene permanentemente la sovranità nel popolo, soprattutto mediante l’esercizio del referendum e dei diritti di iniziativa e di revisione.

Questi concetti basilari l’oratore riaffermò già nell’Assemblea Costituente, confidando che fossero attuati in Italia; e pertanto avrebbe dato il suo voto all’introduzione del regime presidenziale, del tipo statunitense, il quale presenta anch’esso degli inconvenienti, ma non così esagerati come, li ha descritti l’onorevole Einaudi, e comunque ben minori di quelli che presenta il regime parlamentare. Questo, in certi momenti, dette al paese la sensazione non di favorire il funzionamento e lo sviluppo dell’attività dello Stato, ma di provocarne addirittura l’arresto: e ciò fu tra le cause principali dell’avvento del fascismo.

D’altra parte oggi non è più possibile parlare di regime puramente parlamentare, nel senso classico della espressione, per l’ingresso nell’agone politico dei partiti di massa, che è venuto a trasformare radicalmente il vecchio concetto del regime parlamentare, per renderlo un vero e proprio regime di partiti, deliberanti al di fuori del parlamento stesso.

Secondo l’oratore, la questione del sistema monocamerale o bicamerale si presenta diversamente secondo che il regime sia presidenziale, una delle forme cioè di democrazia diretta, o puramente parlamentare. Ma, poiché la Sottocommissione si è pronunziata a favore del regime parlamentare, l’oratore deve rinunziare a considerare la questione dal punto di vista del regime presidenziale e si limiterà a considerarla esclusivamente sotto i riflessi del regime parlamentare e particolarmente sotto gli aspetti dei due ordini del giorno in discussione, riservando ad altro momento l’esame generale dell’importante problema.

È chiaro che il sistema bicamerale è quello che la maggioranza, anzi la quasi totalità dei commissari ha mostrato di preferire. Ma non si deve dimenticare che l’origine della seconda Camera, della Camera alta o del Senato, che dir si voglia, è stata diretta a garantire gli interessi delle monarchie e delle classi conservatrici dei vari tempi. Quando la classe borghese delle città, che aveva partecipato ai parlamenti delle monarchie medioevali, formando, accanto al braccio militare e feudale e al braccio ecclesiastico, il braccio demaniale o municipale – ed il primo di questi parlamenti sorse in Sicilia nel XII secolo e fu preso a modello dall’Inghilterra – si sentì abbastanza forte per imporre una sua volontà, essa avvertì il bisogno di organizzarsi per suo conto – anche ciò avvenne per la prima volta in Sicilia – e si ebbero così le assemblee rappresentative di un nuovo potere, destinato poi a rafforzarsi e a prevalere. Nacquero allora le Camere di nomina regia con il compito di infrenare le assemblee elettive e soprattutto di difendere i diritti e le prerogative della corona. Lo stesso Senato, creato in Piemonte nel 1848 e poi esteso a tutta l’Italia, era destinato a formare una specie di contro altare alla rappresentanza popolare.

A stretto rigore l’oratore non crede nella necessità del sistema bicamerale. Crede che, affermato il principio democratico, il principio cioè per cui la sovranità non risiede che nel popolo, basti una sola Camera per il funzionamento politico e legislativo dello Stato.

Ma si rende conto dell’opportunità dal punto divista puramente legislativo, non politico, che vi sia un’Assemblea, la quale riveda e perfezioni le leggi; non che abbia un effetto moderatore, perché questo effetto moderatore i senati avevano lo scopo di esercitarlo in passato; ma non avrebbe nessuna ragione una seconda Camera di esercitare questa funzione ora, dato il fatto che noi siamo in regime schiettamente e puramente democratico e che deve presumersi che la prima Camera sia la vera, unica e genuina interprete della volontà popolare da cui deriva.

Ed allora, ammessa la necessità, la opportunità, direbbe meglio, di una seconda Camera con scopi predeterminati, l’oratore pensa che le funzioni di questa seconda Camera – e ciò sarà discusso meglio in un secondo momento – debbano essere limitate e circoscritte e che essa non possa, né debba avere gli stessi poteri della Camera direttamente eletta dal popolo.

D’altra parte, se noi consideriamo il Senato cessato, se consideriamo le Camere alte di altri paesi, noi vediamo che le stesse funzioni non esistono nei due rami del Parlamento. Per esempio, in Italia, il diritto di stabilire le imposte spettava, in taluni casi esclusivamente, ma sempre con precedenza, all’Assemblea legislativa. Così era la Camera dei Deputati che doveva per prima esaminare e approvare i bilanci. Non era ammessa alcuna deroga in proposito.

Vi era già fin da allora qualche cosa che riduceva a ben poco il potere della seconda Assemblea, la quale approvava in massa i disegni di legge e solo raramente introduceva qualche modificazione che non sempre riusciva a migliorare i progetti. Da questo punto di vista l’esperienza dimostrò la superfluità del vecchio Senato. Ché se, poi, si guarda al suo potere politico, in senso stretto, il Senato non ne aveva alcuno, perché non poteva determinare una crisi ministeriale e, in caso di conflitto con la Camera dei Deputati, questa aveva sempre il sopravvento.

Quella che si vuole istituire, questo secondo ramo del potere legislativo non dovrà essere la riproduzione della prima Camera. L’oratore si dichiara in ciò concorde con vari Scolleghi. Per lui la seconda Camera dovrà essere espressione delle regioni, dovrebbe anzi chiamarsi la Camera delle regioni: ma queste non dovrebbero avere nessuna prefissione di categorie entro le quali scegliere i propri delegati alla seconda Camera. Questa elezione di secondo grado dovrebbe essere altrettanto libera quanto l’elezione dei rappresentanti del popolo. Penseranno i Consigli regionali a convergere i loro voti su persone particolarmente meritevoli di considerazione nei vari campi dell’attività umana e sui quali non si potrebbe attrarre l’attenzione dei comizi elettorali. Appunto su questo criterio fu impostata la Camera delle Valli nel progetto del costituendo Stato libero di Sicilia, approvato dal ricordato secondo congresso nazionale del «Movimento per l’indipendenza della Sicilia», nel quale alla seconda Camera è affidato l’alto compito non di interloquire su tutte le leggi indistintamente, ma sulle leggi fondamentali, sulle leggi costituzionali, organiche, sulla formazione dei codici, su quanto tocca i gangli vitali dello Stato. Questo dovrebbe essere l’ufficio della Camera delle regioni in Italia.

Ma l’elemento fondamentale che è affiorato in questa discussione è un elemento politico, squisitamente politico, che rispecchia le tendenze che sono rappresentate nella Sottocommissione e che non ha possibilità di univoche determinazioni. Occorre su ciò soffermarsi.

L’ordine del giorno Lami Starnuti è favorevole al sistema bicamerale a condizione che la seconda Camera non sia costituita in modo da alterare sostanzialmente la fisionomia politica del Paese, quale è stata rispecchiata dalla composizione della prima Camera; dice, cioè, una cosa giustissima, perché sarebbe molto strano che si desse vita ad una seconda Camera la quale fosse eventualmente in antitesi, in contrasto con la prima, espressione schietta del pensiero e della volontà del popolo sovrano. Il dubbio che sorge nell’oratore è precisamente questo che, quando nell’ordine del giorno Mortati si parla di forze vive della società nazionale, cioè di forze produttrici, economiche, industriali, capitalistiche e via dicendo, si venga a creare questa antitesi, questa antinomia, che invece si deve evitare. Non si deve avere un Senato di destra, quando il Paese ha voluto chiaramente che la rappresentanza politica e con essa tutto l’indirizzo dello Stato siano decisamente di sinistra.

Questa è questione politica, che va risolta con mero criterio politico. È ben lungi dal pensiero dell’oratore di escludere quelle tali forze vive di cui si parla dalla vita politica italiana: non sarebbe né giusto, né democratico. Anzi, come ha detto l’onorevole Conti nel suo progetto, le personalità eminenti della cultura, dell’arte, della letteratura, dell’industria, della produzione e così via, possono esser scelte a far parte della seconda Camera per nomina, sia pure in numero limitato, da parte del Capo dello Stato; ma dev’essere bene inteso che la seconda Camera elettivamente costituita, nella sua grande maggioranza, deve essere improntata agli stessi criteri che il popolo ha voluto determinare con le elezioni del 2 giugno, deve cioè essere una Camera democratica, in perfetta armonia con lo Stato democratico.

Per queste considerazioni l’oratore darà il suo voto all’ordine del giorno Lami Starnuti.

LUSSU lamenta la forzata assenza del relatore onorevole Conti il quale aveva esplicitamente dichiarato che il suo era uno schema e come tale suscettibile di tutte le modificazioni, nonché dell’onorevole Zuccarini, apprezzato cultore delle materie in discussione, ed avanza il dubbio che la loro assenza possa costituire quasi una debolezza di una decisione di tanto grande importanza.

Richiama l’attenzione della Sottocommissione sul problema della Camera a carattere regionale e sui poteri della seconda Camera. L’onorevole Ambrosini si è mostrato preoccupato della costituzione della seconda Camera a tipo regionale, nel senso che una tale istituzione potesse far pensare al federalismo ed osserva che tale preoccupazione è per lo meno eccessiva. Dichiara di essere innanzi tutto autonomista e poi federalista; sostiene l’autonomia regionale in quanto ritiene di non essere, dal punto di vista dell’unità nazionale, inferiore a nessun’altro uomo politico in Italia. Aggiunge di avere perduto in Sardegna gran parte della sua popolarità per il coraggio e la fermezza con cui ha respinto alcune aberrazioni politiche che avrebbero potuto, come è avvenuto in altre regioni, insanguinare il nostro Paese e di aver sostenuto con veemenza l’unità nazionale come base della nostra rinascita.

È per questo che le preoccupazioni dello onorevole Ambrosini suonano offesa ai suoi sentimenti. Afferma quindi che, come sostenitore, assieme alla grande maggioranza della Sottocommissione, dell’autonomia regionale, è convinto che creando l’Ente regione, bisogna contemporaneamente creare un organismo nel quale le varie regioni trovino maggiori possibilità di contatti e di vita unitaria e nello stesso tempo un correttivo ai pericoli di aberrazione separatista. L’onorevole Finocchiaro Aprile, da poco più di due mesi, ed in seguito ai contatti coi rappresentanti di altre correnti, è divenuto politicamente più socievole; e con la seconda Camera il suo confederalismo ripiegherebbe sul federalismo, per poi ripiegare ancora sull’autonomismo, perché la vita in comune porta a maggiormente comprendere le esigenze reciproche e soprattutto rivela la necessità della unità politica del Paese. La seconda Camera può perfettamente rispondere a questa esigenza e su un argomento di tale importanza richiama particolarmente l’attenzione della Sottocommissione.

Desidererebbe poi che i presentatori dell’ordine del giorno concordato riesaminassero le loro posizioni. Per quanto si voglia dare alla seconda Camera un contenuto di equilibrio rispetto alla prima, non le si potrebbe mai riconoscere un potere più moderatore di quello che aveva il disciolto Senato.

Osserva inoltre che la Camera regionale, dovrebbe essere concepita esclusivamente come rappresentativa dell’Ente Regione e degli interessi regionali, inquadrati questi ultimi in una visione unitaria dell’interesse generale della Nazione.

NOBILE fa rilevare come il ritiro dell’ordine del giorno Porzio lo ponga nell’impossibilità di esprimere la sua opposizione alla istituzione della seconda Camera, perché i due ordini del giorno posti in votazione contemplano entrambi il sistema bicamerale. In tali condizioni, e per contribuire a risolvere il problema nel senso meno dannoso, voterà per l’ordine del giorno Lami Starnuti.

PORZIO dichiara di astenersi dalla votazione, in quanto le risoluzioni proposte contengono entrambe un’affermazione generica, già per altro contemplata nel suo ordine del giorno ora ritirato, demandando la discussione sui singoli problemi ad un successivo esame. Poiché intende riservarsi completa libertà di giudizio, ritiene opportuno di non prendere posizione nel momento attuale. Mantiene tuttavia la sua affermazione nel ritenere necessario il sistema bicamerale.

PICCIONI dichiara che voterà l’ordine del giorno Mortati, intendendo così fare una affermazione di schietta e autentica democrazia. Ha già espresso precedentemente – e non intende quindi ripetersi – i motivi per cui la seconda Camera, così come è prevista nell’ordine del giorno Mortati, risponda ad una esigenza democratica; tiene tuttavia a sottolineare che, considerando in tal modo la seconda Camera, si risponde effettivamente all’istanza democratica. Non si deve equivocare sulla rappresentanza delle forze vive che costituiscono il tessuto della società nazionale; con queste parole si vuole sottolineare il carattere politico anche della seconda Camera, senza dar vita ad alcun organismo di carattere professionale od economico, in quanto nelle forze vive della società italiana sono comprese anche le forze del lavoro e non soltanto le forze capitalistiche.

PERASSI, considerando i due ordini del giorno da un punto di vista strettamente letterale, osserva che quello Mortati è il più ampio e il più generico e lascia aperta la via all’esame di molti problemi che devono essere ancora discussi; mentre l’ordine del giorno Lami Starnuti accenna ad un solo problema. Per tali considerazioni dichiara che darà il proprio voto all’ordine del giorno Mortati, che considera nella sua formulazione non contrario ai principî democratici.

MANNIRONI, dopo le considerazioni dell’onorevole Piccioni, dichiara di votare per l’ordine del giorno Mortati, pur mantenendo fermi i criteri che ha espresso ieri, e che oggi sono stati ribaditi dall’onorevole Lussu, nel senso che la seconda Camera possa essere espressione dell’Ente regione.

FINOCCHIARO APRILE ha chiesto la parola per fatto personale, in quanto l’onorevole Lussu ha detto che egli, venendo alla Assemblea Costituente, avrebbe mostrato una maggiore socievolezza. Ebbe già occasione di spiegare pubblicamente le ragioni della partecipazione sua e dei suoi colleghi indipendentisti alla lotta elettorale e poi ai lavori dell’Assemblea Costituente, ragioni che afferiscono esclusivamente alla difesa e alla divulgazione dell’idea che dette vita ed alimento all’agitazione siciliana. Non insisterà, quindi, su questo punto. Ritiene, tuttavia, di essere stato sempre socievole, più forse dell’onorevole Lussu. Evidentemente si equivoca, dappoiché sarebbe assai più opportuno parlare non di mutato atteggiamento dell’oratore, che è sempre stato e sempre sarà coerente ai principî professati, ma di manifesta resipiscenza in altri e di riconoscimento dei gravi, imperdonabili torti commessi verso l’indipendentismo siciliano.

Se l’onorevole Lussu con le sue parole, ha creduto di accennare a qualche modificazione del pensiero e dell’atteggiamento politico dell’oratore, è bene che si disilluda; egli è e rimane confederalista ed ha votato in favore della regione e dell’autonomia soltanto perché considera l’una e l’altra come un passo verso la disintegrazione del sistema unitario del 1860, tanto pregiudizievole agli interessi della Sicilia, e verso il raggiungimento del sistema dello Stato federale, prima, e del sistema della Confederazione di Stati, poi, quale è nei voti ardenti, del popolo siciliano. Se l’onorevole Lussu e altri colleghi pensano che la creazione della regione e l’istituzione della autonomia rafforzeranno l’unità italiana, nel sistema voluto da Cavour, è affar loro. Non tarderanno ad accorgersi di essersi ingannati.

PRESIDENTE invita il segretario a fare l’appello.

PERASSI, Segretario, fa l’appello.

Votano a favore dell’ordine del giorno Mortati i deputati: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Piganelli, De Michele, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Mannironi, Mortati, Patricolo, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Vanoni.

Votano a favore dell’ordine del giorno Lami Starnuti i deputati: Bordon, Calamandrei, Finocchiaro Aprile, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini.

Si astiene dalla votazione il deputato: Porzio.

Non hanno preso parte alla votazione i deputati: Bocconi, Castiglia.

Comunica il risultato della votazione:

Presenti e votanti: 30.

A favore dell’ordine del giorno Lami Starnuti: voti 12.

A favore dell’ordine del giorno Mortati: voti 17.

Astenuti 1.

Dichiara approvato l’ordine del giorno Mortati.

La seduta termina alle 13.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni.

Erano in congedo: Amendola, Conti, Zuccarini.

Assenti: Di Giovanni, Leone Giovanni, Maffi.

VENERDÌ 6 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

 

10.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 6 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Patricolo – Porzio – Perassi – Calamandrei – Targetti – Tosato – Lussu – Castiglia – La Rocca – Lami Starnuti – Ambrosini – Mannironi – Nobile – Mortati – Rossi Paolo – Bulloni.

La seduta comincia alle 17.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che con la votazione dell’ordine del giorno fatta ieri è stata esaurita una parte delle premesse relative ai vari poteri dello Stato e in particolare a quello legislativo. Si tratta ora di affrontare il problema del potere legislativo nei suoi particolari, e cioè se debba adottarsi il sistema unicamerale o quello bicamerale, per passare poi alla formazione della prima ed eventualmente della seconda Camera.

PATRICOLO, prima di iniziare la discussione dei vari problemi, ritiene opportuno che la Sottocommissione riprenda in esame l’ordine del giorno da lui già presentato ieri e che oggi ripresenta con una lieve modifica, per conformarlo all’ordine del giorno Perassi. E ciò perché ritiene necessaria una affermazione di principio sulla divisione dei poteri, affermazione di carattere pregiudiziale all’esame dei singoli poteri dello Stato.

Dà lettura del suo ordine del giorno nel testo modificato:

«La seconda Sottocommissione, premesso che la Costituzione del nuovo Stato italiano deve ispirarsi ai concetti di una sana democrazia;

considerato che la forma di governo più rispondente alle esigenze dell’attuale situazione politica italiana è quella della repubblica parlamentare, con i correttivi indicati dall’ordine del giorno dell’onorevole Perassi approvato nella seduta del 5 settembre 1946;

ritenuto che l’ordinamento giuridico dello Stato debba uniformarsi al principio della divisione dei poteri;

riconosciuto che il Parlamento, rappresentante della volontà popolare, oltre alla sua funzione legislativa, ha anche una funzione politica di vigilanza, e controllo su tutti i poteri dello Stato;

propone che lo schema di Costituzione che sarà presentato all’approvazione della Costituente, risponda alle seguenti esigenze di ordine giuridico e politico:

1°) adozione della forma di governo parlamentare;

2°) rispetto della divisione dei poteri;

3°) riconoscimento delle funzioni politiche di vigilanza e di controllo del Parlamento sui poteri dello Stato».

PRESIDENTE osserva che in quest’ordine del giorno viene anzitutto ribadito il concetto di repubblica parlamentare; e poi si fissano altri due punti e cioè il rispetto della divisione dei poteri e la funzione politica di vigilanza e controllo del Parlamento sui poteri dello Stato.

È vero che la questione della divisione dei poteri fa parte di quell’inquadramento iniziale di cui si è già parlato nella seduta di ieri e per il quale potrà avvertirsi l’esigenza di parlarne ancora e concludere in maniera specifica, prima di affrontare i problemi singoli (per quanto potrebbe essere anche affrontata implicitamente durante la discussione sui singoli poteri); ma è vero altresì che la proposta di riconoscere al Parlamento e quindi all’organo specifico del potere legislativo, una funzione di controllo politico sopra gli altri poteri dello Stato è già un modo particolare di concepire ed applicare il criterio della divisione dei poteri. È da rilevare tuttavia che l’ordine del giorno Patricolo distingue i due compiti del Parlamento: da una parte la funzione legislativa e dall’altra una funzione di carattere preminente e sovrano.

PORZIO propone che l’ordine del giorno venga posto in votazione per divisione, perché sulla prima parte, concernente la divisione dei poteri non v’è da-discutere, in quanto non esiste Costituzione che non attui la divisione dei poteri, mentre sulla seconda parte, relativa alla vigilanza e controllo del Parlamento sugli altri poteri dello Stato, vi possono essere dissensi.

PERASSI osserva che sul concetto della divisione dei poteri tutti sono concordi, ma vi è un altro punto sul quale sarebbe opportuno che il proponente desse qualche spiegazione: quello in cui parla di un riconoscimento delle funzioni politiche di vigilanza e di controllo del Parlamento su tutti i poteri dello Stato.

Fin che si tratta di vigilanza e controllo sul potere esecutivo, egli è d’accordo; ma qui si parla di tutti i poteri dello Stato. Ora, in che senso il proponente intende quest’ultima proposizione? Su questo punto ritiene opportuno qualche chiarimento.

PATRICOLO precisa che, ove sia stabilito che i poteri dello Stato devono essere divisi, si deve andare fino alle ultime conseguenze di questa affermazione, perché in tutte le legislazioni moderne si parla di divisione dei poteri, ma altro è parlarne ed altro è attuarla. Il potere giudiziario, oggi, in un certo senso, dipende dal potere esecutivo.

Esiste un ministro politico a capo del potere giudiziario che ha, come tutti sanno, le sue inframmettenze attraverso l’istituto del pubblico ministero. Il giorno in cui si crei un potere giudiziario veramente indipendente, le funzioni del Ministero di grazia e giustizia devono passare integralmente al potere giudiziario, ed allora anche il potere giudiziario, come il potere esecutivo, deve essere in un certo senso soggetto alla sovranità popolare che si esprime attraverso il Parlamento in tutte quelle manifestazioni che non sono di stretto carattere funzionale della magistratura. Ecco perché egli estende il controllo e la vigilanza del Parlamento a tutti gli altri poteri, in quanto il potere giudiziario, se è autonomo, ha delle funzioni, oltreché di amministrazione della giustizia, anche amministrative. Quando si concepisce la divisione dei poteri con l’indipendenza del potere giudiziario, è necessario che si estenda la vigilanza e il controllo del Parlamento anche al potere giudiziario, controllo su quelle funzioni amministrative che oggi sono esercitate dal Ministero di grazia e giustizia. Posta la divisione dei poteri, è giusto che anche il potere giudiziario, e per esso il suo capo, risponda al Parlamento dei suoi atti. Quando sia stabilito nella Costituzione quali sono i compiti e le funzioni del potere giudiziario, ove la magistratura abbia a mancare a questi suoi compiti, il Parlamento, rappresentante della volontà popolare, deve poter chiedere spiegazioni e delucidazioni.

CALAMANDREI, come relatore sul potere giudiziario, non vorrebbe che si pregiudicasse con enunciazioni puramente teoriche che possono avere ripercussioni varie sull’argomento, che invece va trattato in pieno sotto tutti i suoi aspetti. Non crede che abbia importanza un articolo in cui si enunci il proposito di voler rispettare il principio della divisione dei poteri: questo principio sarà rispettato più o meno, secondo il modo in cui si organizzano in concreto i vari organi. Quindi non vede la necessità di prendere una posizione preliminare teorica su questo punto, e chiede che sia riservata la discussione al momento in cui uno dei senatori farà la relazione sul tema del potere giudiziario.

TARGETTI, per evitare di entrare in una discussione teorica che occuperebbe molto tempo, suggerisce di considerare il principio affermato, più che come una premessa, come una conseguenza di quello che verrà deliberato quando si stabiliranno i poteri del Parlamento. Non vede quindi alcuna necessità di fare una affermazione di principio.

TOSATO concorda con l’onorevole Targetti e propone anch’egli di rinviare la discussione dell’ordine del giorno Patricolo. Il problema della divisione dei poteri verrà in discussione di volta in volta, quando si tratterà di determinare le competenze specifiche del potere legislativo e del potere giudiziario.

D’altra, parte, l’ordine del giorno di Patricolo non gli sembra felice, perché di divisione di poteri si può parlare in due sensi: come divisione di organi e come divisione costituzionale di funzioni.

PRESIDENTE osserva che, se l’onorevole Patricolo accedesse al criterio indicato, che non significa repulsa del suo ordine del giorno, ma attesa del momento più opportuno per esaminarlo, si potrebbe riprendere la discussione dal punto in cui è rimasta sospesa. Se l’onorevole Patricolo chiede invece che il suo ordine del giorno sia posto ai voti, non vi è che procedere alla votazione.

PATRICOLO insiste nel chiedere che la Sottocommissione prenda in esame il suo ordine del giorno, perché è pregiudiziale che la Sottocommissione ammetta o respinga fin dal principio il concetto assolutamente democratico della divisione dei poteri.

PRESIDENTE teme che si entri in una di quelle questioni procedurali che, se risolte solamente sulla base della procedura, possono sboccare in una conclusione non rispondente in realtà al pensiero e all’intenzione di coloro che votano.

La questione della divisione dei poteri sta alla base, anzi rappresenta il midollo della discussione che si deve affrontare; ma l’affrontarla e deciderla in questo momento, come risulta evidente dalle dichiarazioni fatte da alcuni commissari, lascerebbe in dubbio parecchi colleghi, che potrebbero perciò essere tratti a respingere l’ordine del giorno Patricolo. Ciò potrebbe determinare l’impressione che la Sottocommissione sia contraria al principio della divisione dei poteri, ciò che non sarebbe corrispondente alla realtà, o al pensiero di almeno una parte dei commissari.

LUSSU, per rendere omaggio al pensiero espresso da vari colleghi, propone che sia votato il rinvio della discussione dell’ordine del giorno Patricolo.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Lussu.

(È approvata).

Mette in discussione il problema della struttura del potere legislativo.

CASTIGLIA, Relatore, crede che, risolto in via pregiudiziale il problema del tipo di regime da scegliere, sia altrettanto importante risolvere ora in via pregiudiziale la questione accennata dai due relatori, onorevole Mortati e onorevole Conti, del sistema bicamerale o monocamerale, perché dalla risoluzione di questo problema possono derivare delle conseguenze suscettibili di influenzare tutto il resto della discussione e l’attuazione pratica dei principî che sono stati e saranno ancora esposti, specialmente quando sarà il momento di venire all’articolazione ed alle conclusioni pratiche.

Personalmente accetta il sistema bicamerale, per varie considerazioni, molte delle quali sono state già espresse dai relatori.

La genesi del sistema bicamerale è inglese e rimonta a parecchi secoli fa. Il richiamo alla genesi sta a dimostrare come il sistema bicamerale abbia avuto ed abbia delle ragioni di vitalità che trascendono i motivi contingenti che ne determinarono la nascita allora, motivi contingenti che sono stati superati dagli avvenimenti.

Ma, accanto a questa genesi storica, statino altre ragioni che consigliano l’adozione del sistema bicamerale: ragioni di carattere pratico e di carattere giuridico.

Per ovviare all’inconveniente di cui tutti sentono la preoccupazione, cioè alla instabilità del governo, prima di tutto è necessario il sistema bicamerale.

Non è opportuno accentrare in una sola Camera il potere legislativo che diventerebbe così quasi onnipotente. È opportuno, invece, contrapporre all’un corpo legislativo un altro corpo, non per desiderio di contrapposizione o di ostacolo, ma affinché attraverso l’urto delle convinzioni, l’urto delle mentalità, possa la legge aderire veramente alle esigenze del paese.

Altra ragione che è stata particolarmente sottolineata dall’onorevole Mortati ed anche dall’onorevole Conti è quella della integrazione della rappresentanza secondo due criteri: uno di carattere regionale, e l’altro di interesse sociale.

Dal punto di vista dell’interesse sociale, crede che l’integrazione della rappresentanza possa essere raggiunta con l’istituzione di due Camere, mentre non potrebbe esserlo con una sola, perché col sistema elettorale attuale, o con quello che sarà stabilito, non si può ottenere la completezza della rappresentanza secondo il criterio dell’interesse sociale. Della seconda Camera i componenti dovranno essere scelti con criteri, che si stabiliranno in seguito, diversi da quelli che devono seguirsi per l’elezione dei deputati alla Camera dei deputati.

Sarebbe poi possibile integrare la rappresentanza secondo gli interessi regionali, la qual cosa è molto importante perché la nostra Costituzione, a quanto pare, si avvia verso l’istituzione dell’ente regione munito di potere legislativo ed esecutivo. Nella dottrina è stata riconosciuta assolutamente necessaria nei regimi federalistici l’istituzione della seconda Camera con riguardo agli interessi regionali. In un regime regionalistico, il quale ha molti punti di contatto con quello federalistico, tanto che può forse dirsi che la differenza sia solo di terminologia, per gli stessi motivi diventa necessaria una integrazione della rappresentanza.

Altra ragione che milita a favore della bicameralità è quella delle competenze, che spesso rimangono fuori della prima Camera, a causa del sistema elettorale.

Poi vi è il motivo della maggiore elaborazione e del perfezionamento delle leggi, che, attraverso un duplice esame, possono guadagnare dal punto di vista tecnico giuridico. Ed è da considerare anche il punto di vvista della tempestività, perché spesso il ritardare un provvedimento o l’elaborazione di una legge può far sì che questo provvedimento non abbia la voluta efficacia.

Il sistema bicamerale infine è particolarmente sentito come necessario nel regime, che si è deciso di adottare, della repubblica parlamentare, perché la duplicità agevola la soluzione di conflitti che potrebbero sorgere tra Parlamento e Gabinetto; essa, cioè, assicura la necessaria maggiore stabilità del Governo.

Naturalmente non sono, queste, considerazioni complete: ha fatto una elencazione, grosso modo, delle principali ragioni che militano a favore della bicameralità; ma altre ve ne sono che potrebbero essere esposte.

Dall’accoglimento del sistema bicamerale discendono altri importanti problemi, come quello della equiparazione o meno dei poteri delle due Camere. Il precedente inglese dei poteri della Camera Alta più limitati rispetto a quelli della Camera dei Comuni, è la conseguenza di un fatto contingente, verificatosi nel 1911 a proposito della questione irlandese, e quindi non pregiudica la questione di carattere sostanziale della perfetta eguaglianza dei poteri delle due Assemblee.

Altra questione è quella delle fonti di derivazione, circa la quale, seguendo il criterio indicato dall’onorevole Conti nella sua relazione, si dovrebbe ricorrere ad un sistema misto per il reclutamento dei senatori, che dovrebbero essere scelti per la massima parte con un metodo elettivo di secondo grado, e cioè attraverso le Assemblee regionali. Altri modi di reclutamento potrebbero essere quello della cooptazione, cioè della scelta da parte dello stesso Senato di un certo numero di senatori, e, sempre in armonia a ciò che è stato detto a proposito degli interessi sociali e delle competenze, la elezione da parte di Consigli accademici, di organizzazioni sindacali, di enti culturali. Si dovrebbe, infine, lasciare una limitata possibilità di nomina diretta al Capo dello Stato, entro determinate categorie.

A conclusione del suo dire, presenta il seguente ordine del giorno:

«La Seconda Sottocommissione:

ritenuto che il sistema bicamerale appare il più idoneo ad assicurare la integrazione della rappresentanza secondo il criterio degli interessi sociali regionali:

che esso assicura l’assunzione di quelle competenze specifiche che col sistema monocamerale potrebbe rimanere incompleta;

che tale sistema garantisce un corpo di leggi politicamente più rispondenti ai bisogni del Paese, tecnicamente più elevate e perfette;

tenuto presente che la istituzione delle due Camere è più aderente all’esigenze politico-giuridiche nascenti dall’adozione del regime parlamentare;

fa voti perché la nuova Costituzione della Repubblica italiana adotti il sistema bicamerale, istituendo accanto alla Camera dei Deputati, espressione della volontà politica del popolo, il Senato, espressione oltre che della stessa volontà politica, degli interessi sociali e regionali del Paese, nella cui sintesi e armonia si ravvisano i mezzi più idonei per una legislazione veramente rispondente alle aspirazioni della Nazione».

LA ROCCA dichiara che, per principio, i Commissari comunisti sono favorevoli al sistema della Camera unica. Se la radice della sovranità è unica, ed è il popolo, la volontà popolare trova la sua espressione in una Assemblea, la quale rispecchia questa volontà ed è chiamata ad attuarla.

La seconda Camera ebbe il compilo ben chiaro e preciso di funzionare da freno, da contrappeso, per impedire eventuali eccessi, precipitazioni, cioè provvedimenti legislativi troppo affrettati, nell’attività della Camera dei Deputati. La Camera Alta funzionò pertanto come crivello, ed eventualmente anche come coperchio. Ma, se si vuole veramente gettare le basi di un regime democratico che aderisca alla realtà moderna, e cioè che attui una radicale trasformazione della base sociale – perché altrimenti non sarà mai risolta la situazione – bisogna aderire a questa realtà: la Camera unica è la più adatta, la più acconcia ad eseguire la volontà popolare e non si può ammettere una seconda Camera formata da privilegiati, da nominati dall’alto, da persone investite a vita della carica, perché questo significherebbe riportare nella Repubblica democratica la vecchia impalcatura della monarchia.

Se si dovesse pensare ad una seconda Camera elettiva, posto che la sorgente della sovranità è unica, si dovrebbe riconoscere che, quando la volontà del popolo è bene espressa in una Camera, è inutile che si crei un duplicato; che se, invece, si determinano conflitti fra due volontà che derivano dalla stessa fonte, questo significa che si è verificato quello che in partenza deve sembrare un assurdo, dato che la fonte della volontà è unica.

Questo vale come affermazione di principio. Ma, poiché i comunisti non sono quali di solito vengono presentati, e poiché pare che vi possano essere delle preoccupazioni e che si voglia abbondare nelle garanzie, fatta questa affermazione di principio, essi non si oppongono in maniera categorica alla istituzione di una seconda Camera, che però, anche per evitare un cattivo ricordo, non potrà più essere chiamata Senato. Ma un fatto dovrà essere ben chiaramente stabilito: la seconda Camera non potrà né dovrà essere se non elettiva. Naturalmente si dovrà trovare il corpo elettorale adatto, perché, per le ragioni spiegate prima, non si può ammettere che dalla stessa fonte elettorale derivino due volontà diverse. E poiché si inclina verso l’adozione dello stato regionale, bisognerà vedere se nella regione non possa trovarsi la fonte per l’elezione della seconda Camera, per quanto in fatto di autonomia bisogna intendersi e procedere con cautela, perché i rischi non sono pochi: e questo dice nell’interesse generale dell’unità politica ed economica del Paese che sta soprattutto a cuore a tutti.

Questo corpo elettorale potrebbe eventualmente essere costituito dai Consigli regionali. Il Parlamento risulterà composto di due organi, che potranno chiamarsi Consiglio Nazionale e Assemblea Nazionale; e si stabiliranno la competenza e gli attributi di ognuno, su piede di parità o no, con un determinato numero di membri, ecc., ma, ripete, la base dell’esistenza della seconda Camera non potrà essere se non l’elettorato, con esclusione di qualsiasi corpo estraneo e di nicchie in cui collocare delle statue in una maniera fissa, soltanto per la ragione che Tizio o Caio sono diventati capi di un determinato ufficio. Se si ritiene opportuno che esista questo secondo organo, che funzioni non già da freno, perché questa è un’idea non accettabile, ma per maggiore garanzia del sistema parlamentare, per collaborare e dare il suo contributo alla formazione delle leggi, i membri della seconda Camera non possono che essere l’espressione di un bisogno nazionale e soprattutto di una volontà popolare.

LUSSU deve enunciare il principio che un regime democratico parlamentare in tanto è solido in quanto sia la conseguenza di una evoluzione, di una rivoluzione democratica e tenda a razionalizzare le conquiste ottenute attraverso la rivoluzione. Ma deve pur constatare che non siamo in questa situazione, ciò che gli rincresce profondamente. Quindi bisogna rendersi conto della situazione presente, che è fatta di compromesso: così è possibile il governo, così è possibile la nostra democrazia. L’ Italia è entrata in quello che gli stranieri considerano il suo genio particolare: il compromesso; e il criterio delle due Camere è il risultato di questo compromesso. Teoricamente egli sarebbe per una Camera unica; ma ne mancano le premesse, e quindi bisogna arrivare alle due Camere, e la maggioranza della Sottocommissione arriverà per necessità a questa conclusione.

Ma, prima di entrare in merito alla composizione della seconda Camera, crede che sarebbe utile conoscere quali poteri si intende attribuirle perché, se questa Camera ha un potere vasto, la sua composizione dovrà risultare in un modo, e se ha un potere molto minore, dovrà risultare in un altro.

Trova strano, per esempio, che, a parità di poteri fra le due Camere, la seconda Camera debba essere eletta come risulta dal testo proposto dall’onorevole Conti, al quale l’onorevole Castiglia aderisce. Trova strano che una seconda Camera, composta da rappresentanti degli ordini professionali e da professori di università – con tutta la stima che ha per l’alta cultura – abbia il diritto di mettere in mora o di far cadere la Camera sovrana eletta dal popolo con libere elezioni.

Ancora di più trova strana la proposta dell’onorevole Conti – che, se non fosse quel puro repubblicano che tutti conoscono, sembrerebbe imbevuto di spirito monarchico – che questo potere debbano avere i dieci eletti a vita. È deferente verso gli scienziati, ma non può deferire ad uno che diventa uomo politico perché professore universitario o scienziato.

Bisogna dunque fissare anzitutto i poteri della seconda Camera. Quelli che aveva la Camera francese e quelli che ha l’Alta Camera in Inghilterra sono totalmente differenti. In Francia il Senato rappresentava un grosso correttivo alla Camera dei Deputati e sono numerose le crisi create dal Senato. Bisogna dire che, per quanto composto da un corpo prevalentemente conservatore, in gran parte eletto dal partito radicale, il Senato francese più volte ha fatto cadere governi sia di destra che di sinistra. Comunque, aveva un potere estremamente accentuato nell’ingranaggio statale. Invece l’Alta Camera in Inghilterra non ha nessuno di questi poteri: ne aveva qualcuno, ma ne è stato totalmente spodestato all’epoca della magnifica lotta sostenuta dall’Irlanda e, pure essendo un rispettabile consesso, non ha più alcun valore politico nella vita inglese.

Se la seconda Camera deve uniformarsi al tipo inglese, sarà possibile immettervi dei professori d’università o dei vescovi o altre categorie di cittadini, che invece non potranno trovarvi posto per il solo fatto di essere vescovi o professori, se il tipo sarà quello francese.

Vede con una certa preoccupazione le due Camere aventi gli stessi poteri, ciò che costituirebbe un intralcio allo sviluppo dell’azione politica. La seconda Camera dovrebbe avere un potere ridotto, e non quello stesso della prima. E aggiunge che a suo parere costituisce una confusione l’elezione di una seconda Camera, anche se essa debba avere poteri limitati.

Quanto alla composizione quale risulta dalla proposta del relatore, accolta dall’onorevole Castiglia, trova che questa non si adatta alla democrazia moderna, ma è un sistema arretrato, come quello dei paesi balcanici di prima dell’entrata in guerra. Se si vuol tener conto del particolare apporto che può essere dato da professori di università o da rappresentanti di organizzazioni sindacali, non si può dimenticare che essi devono essere prevalentemente l’espressione di una aspirazione, di un ideale politico: solo a questa condizione quegli elementi possono entrare nel Parlamento. Così oggi si assiste all’elezione di uomini altamente rappresentativi dal punto di vista sindacale, come gli onorevoli Di Vittorio, Grandi, Lizzadri ed altri, senza che sia necessario includerli nell’elenco dei senatori affinché possano esprimere i loro concetti sociali e tecnici nel Parlamento.

LAMI STARNUTI è in gran parte d’accordo con quanto hanno detto l’onorevole La Rocca e l’onorevole Lussu.

Senza dubbio una Camera unica riuscirebbe meglio a interpretare la volontà popolare, mentre il sistema bicamerale non è essenziale al regime parlamentare. Basta l’esempio inglese in cui la Camera dei Lords non è più, può dirsi, che una superfetazione. Solo vi può essere l’opportunità, e non lo nega, di un secondo esame, di una rielaborazione della legge, e dovrebbe questo essere il compito della seconda Camera.

Sostanziale in questo problema è lo stabilire la derivazione della seconda Camera. A questo proposito deve dire subito e apertamente che i deputati socialisti non aderiranno mai ad un sistema che voglia fare di questa un correttivo del suffragio universale, dell’espressione della volontà popolare manifestata attraverso le elezioni politiche, e quindi combatteranno tutte le proposte che sono state fatte per una formazione mista della seconda Camera. Questa, dal punto di vista politico, deve ripetere, quasi in modo esatto, la prima Camera. Se ciò non fosse e, soprattutto se la seconda Camera avesse parità di poteri con la prima, potrebbero sorgere spesso conflitti quasi insanabili, come quello fra la Camera e il Senato francese, presidente del consiglio Léon Blum. Il conflitto non si avrà quando la seconda Camera, nel suo quadro generale, rappresenterà la stessa formazione politica della prima, tanto che egli non sarebbe contrario al sistema norvegese, di cui parlava l’onorevole Mortati, cioè ad una seconda Camera per geminazione, eletta dalla prima; sistema che, come ha detto l’onorevole Mortati, ha dato buoni frutti.

Se l’opinione della Sottocommissione non fosse questa, pensa che soltanto attraverso le assemblee regionali si dovrebbe far luogo alla formazione della seconda Camera, escluso ogni ricorso a consigli professionali o universitari, a consigli accademici, ogni ricorso a sistemi di cooptazione e, specialmente a quella specie di nomina «regia» affidata al Presidente della Repubblica di dieci senatori a vita. Quindi: formazione della seconda Camera attraverso le assemblee regionali, i consigli regionali, avendo cura che questi siano creati nello stesso modo del Parlamento nazionale. Aggiunge, al riguardo, che la legge elettorale deve avere sempre carattere nazionale. L’accenno contenuto nelle proposte dell’onorevole Ambrosini, ad una legge elettorale di carattere regionale non lo trova consenziente, perché una legge elettorale particolare potrebbe alterare la proporzione tra le varie regioni e ripercuotersi, quindi, successivamente nella formazione della seconda Camera: se il sistema di elezione della seconda Camera sarà, come è probabile, quello delle assemblee regionali, i Consigli delle regioni dovranno essere formati con lo stesso criterio elettorale con cui si formerà la Camera dei Deputati, appunto per impedire che, attraverso questa diseguaglianza, la seconda Camera abbia un colore politico diverso dalla prima e contrario all’opinione del corpo elettorale nazionale.

Con questi criteri e con queste riserve, voterà non l’ordine del giorno Castiglia, ma una proposta pura e semplice di accettazione del sistema bicamerale.

AMBROSINI. Se il Senato deve nascere occorre che nasca vitale, non collocato in una posizione di netta inferiorità di fronte alla Camera dei Deputati, né costituito sulla base dello stesso sistema di questa. Si deve trattare, è evidente, di una seconda Camera diversa da quella che esisteva, e la diversità deve essere segnata dal modo diverso della sua composizione, s’intende su base elettiva.

L’adottare, sia pur con varianti, il criterio che informa la legge elettorale preposta alla formazione della prima Camera, importerebbe in sostanza fare della seconda un doppione e diminuirne quindi in partenza l’autonomia e fors’anche la stessa ragione di esistenza.

Infatti, se è vero che l’utilità del Senato deriva dal fatto che può servire da organo di remora verso le eventuali decisioni precipitate della Camere, e di elaborazione più perfetta della legislazione, è pur vero che esiste in suo favore un’altra ragione più forte, non di sola opportunità, ma di principio: quella appunto della sua radice, del suo modo di composizione diverso da quello della Camera dei Deputati.

Mentre questa è formata sulla base delle ideologie politiche e dei partiti da parte dei cittadini elettori raggruppati in modo indifferenziato in collegi elettorali, nei quali è meccanicamente diviso il territorio nazionale, l’altra Camera, il Senato, dovrebbe essere formata in modo da rispecchiare le varie forze economiche, sociali, culturali e delle attività lavorative in generale, che per la stessa impostazione del sistema del suffragio diretto, non riescono ad avere una propria compiuta rappresentanza.

Si tratta di quella rappresentanza della membratura effettiva della società, di quelle forze vive della Nazione a cui nelle precedenti discussioni accennò l’onorevole Piccioni propugnando la necessità del riconoscimento giuridico delle Regioni.

È stato detto che una tale rappresentanza diminuirebbe quasi la rappresentanza popolare che si ha nella Camera dei Deputati. Ma non è così. L’assegnare una speciale rappresentanza alle varie categorie del corpo sociale non significherebbe affatto fare un passo indietro, né tanto meno limitare sostanzialmente quella che suole chiamarsi la rappresentanza popolare, ma significherebbe completarla, integrarla, in modo che tutti i bisogni, tutte le esigenze del paese possano avere una propria espressione ed una propria voce.

Ciò è sommamente utile dal punto di vista tecnico, perché nessuno come i rappresentanti delle categorie interessate può prospettarne ed illustrarne i bisogni avanti all’Assemblea; ed è egualmente utile dal punto di vista politico, per il peso appunto che tali categorie vengono ad assumere nella rappresentazione di tutta la realtà economica, sociale e culturale della Nazione.

Ne è a dire che si tratta di rappresentanza di interessi particolaristici, perché si tratta di interessi di vaste categorie dell’attività umana, che possono magari essere prospettati da un punto di vista specifico, ma che necessariamente finiscono per venire esaminati e vagliati dall’Assemblea nel suo complesso dal punto di vista generale, con criterio armonico, globale, cioè, in definitiva, con criterio politico.

È per ciò che, pur divergendo dalla prima Camera nel modo della sua formazione, la seconda Camera finisce per funzionare e per arrivare alle sue decisioni in vista dello stesso scopo generico che persegue la prima, in vista cioè dell’interesse generale della Nazione. Cosicché ne deriva non la menomazione della volontà popolare, sibbene il suo completamento, la sua integrazione.

Come dovrebbe procedersi, guardando la questione da un punto di vista concreto, alla costituzione di questa seconda Camera?

Tenendo presente la complessa realtà sociale, sembra utile arrivare ad una forma mista di rappresentanza.

Per quanto si riferisce alle attività produttive, intesa questa espressione nel senso più lato, ci sono gli interessi dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, dei trasporti e di altre attività produttive, per l’insieme delle quali vanno naturalmente prese in considerazione le varie categorie dei lavoratori.

Ci sono le esigenze della cultura, delle arti, delle scienze, delle professioni, che debbono anch’esse avere la loro voce dell’Assemblea.

E c’è poi il campo vastissimo delle esigenze e degli interessi territoriali, anzitutto della Regioni. Al qual proposito è opportuno notare che la rappresentanza non potrebbe essere eguale per tutti le Regioni, ma che dovrebbe attribuirsi ad ogni Regione una rappresentanza proporzionata alla sua popolazione.

Ci sono inoltre gli interessi territoriali dei Comuni e, nel caso che siano conservate, delle Provincie, che vanno anch’essi tenuti presenti.

Ed infine si potrebbe accettare la proposta dell’onorevole Conti tendente all’ammissione nella seconda Camera di un ristretto, o magari ristrettissimo numero di senatori nominati dal Capo dello Stato.

Ci sono personalità di altissima esperienza e valore, che per il loro temperamento od il loro ufficio non vogliono o non possono prendere parte alle competizioni elettorali. Privare la seconda Camera dell’apporto di tali uomini non è opportuno. Per ciò può ammettersi che il Capo dello Stato possa procedere, in misura, siccome si è detto, limitata o limitatissima alla nomina di tali uomini, predeterminandosi magari le categorie dalle quali sarebbe consentito di presceglierli.

Prima di chiudere ritiene opportuno di dare un chiarimento a quanto si è detto circa la Camera dei Lords.

I poteri di questa Camera sono stati molto limitati, ma non ridotti a nulla.

I Lords possono ancora mettere una remora alle leggi votate dai Comuni, ed i Lords inoltre esercitano sull’operato del Governo e sulla politica in generale una funzione di critica, che in un paese come l’Inghilterra, dove la pubblica opinione ha molto peso, non va affatto svalutata.

Dovrebbe inoltre chiarire un altro punto riguardo alla similitudine che da un collega è stata fatta, parlando della rappresentanza regionale nel Senato, tra il sistema dell’autonomia regionale ed il sistema federale. Ma si riserva di intrattenersi su tale problema, quando verrà in discussione il progetto sulle autonomie regionali.

(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.25).

MANNIRONI condivide pienamente le argomentazioni dell’onorevole Ambrosini. Non può invece condividere il punto di vista, espresso dagli onorevoli La Rocca, Lussu e Lami Starnuti, i quali, pur manifestando, in linea di principio, la loro simpatia per il sistema unicamerale, finiscono però per aderire al sistema bicamerale, quasi per effetto di un compromesso, come si è espresso l’onorevole Lussu. Ora, non si può accogliere un istituto di tanta importanza per semplice compromesso; né si capisce con chi sarebbe da farsi questo compromesso. Se sono convinti che la maggioranza della Sottocommissione è per il sistema bicamerale in contrasto con la loro teoria o col loro punto di vista, ma ritengono che questo sia pienamente fondato, essi non hanno motivo di arrendersi così facilmente. Si tratta di creare un nuovo istituto e non si può, come diceva l’onorevole Ambrosini, svalutarlo con l’affermare che lo creiamo per compromesso, perché si creerebbe un organismo non vitale, screditato a priori e che il popolo italiano non prenderebbe nella dovuta considerazione.

Il sistema bicamerale è assolutamente necessario ed è fondato su diverse ragioni, che l’onorevole Ambrosini ha già espresse lucidamente e che egli intende integrare. È un organismo necessario, in quanto deve servire a portare in seno al potere legislativo la voce e delle regioni e delle classi produttive, che hanno diritto di dare alla formazione delle leggi quel contributo tecnico, di specializzazione, che gli uomini puramente politici spesso non possono dare.

Circa l’affermazione che la seconda Camera dovrebbe essere espressione, prima di tutto, delle regioni, richiama le discussioni fatte quando si è parlato di regione, nelle quali si è riconosciuto che si vuole determinare uno spostamento del centro di gravità nella struttura dello Stato, nel senso di far passare molte funzioni dallo Stato alle regioni. Perciò si è riconosciuta alle regioni una funzione specifica, organica, autonoma, istituzionale. Ora, da quelle premesse deriva l’inevitabile conseguenza che le regioni devono avere la loro rappresentanza in seno al potere legislativo, devono avere la possibilità costituzionale di portare la loro voce là dove si legifera, anche nella sfera che interessa direttamente le regioni.

Data alle regioni la possibilità di avere una loro rappresentanza diretta in seno al potere legislativo, si può finalmente rendere giustizia anche alle cosiddette regioni povere, le quali hanno creduto finora di non avere avuto la debita considerazione in sede nazionale. Facendole partecipare, con poteri eguali o con paritetica rappresentanza, alla seconda Camera legislativa, si dà loro il modo e la possibilità di far sentire finalmente la loro voce e di far valere i loro interessi diretti in sede nazionale; e con ciò si evita anche il pericolo, da molti accennato e temuto, che con il regionalismo si crei una specie di forza centrifuga, disintegratrice dell’unità nazionale. Infatti, quando si dà alle regioni la possibilità di partecipare alla vita dello Stato in seno alla seconda Camera, si dà loro il modo di partecipare direttamente alla vita del paese in sede nazionale, ravvicinandole tra di loro e ravvicinandole, soprattutto, alla vita dello Stato e alla fonte della legge. Onde, assegnando alla seconda Camera la rappresentanza degli organi territoriali fondamentali, quali sono le regioni, si è in perfetta aderenza logica alle premesse che si sono poste quando si è votata la mozione relativa all’istituto dell’ente regione.

Ma la seconda Camera deve dare anche possibilità a tutte le classi produttrici di essere rappresentate nell’organizzazione del potere legislativo. Non si intende con ciò tornare all’organo corporativo di infausta memoria; ma si vuole che tutte le classi produttrici, in tutti i loro settori e in tutti i loro gradi, abbiano il diritto di far valere le loro ragioni, di tutelare i loro interessi, di portare la voce della loro esperienza là dove si elaborano le leggi.

Accenna quindi al modo in cui questa Camera si deve costituire, senza entrare in dettagli, e per aderire all’invito dell’onorevole Lussu, il quale diceva che, per potersi decidere ad accettare il sistema bicamerale, dovrebbe sapere quale sia la funzione della seconda Camera e come questa si debba costituire.

La funzione di questa seconda Camera, se non sarà di piena parità con la prima, dovrà avere notevole importanza, nel senso che essa dovrà collaborare con la prima nella formazione delle leggi. Non avrà il potere di provocare delle crisi dando voti di sfiducia al Governo, ma dovrà avere questa parità di funzioni nel campo legislativo, affinché sia un organismo vitale e possa portare un contributo rilevante nella elaborazione legislativa. E allora, come potrà costituirsi la seconda Camera, tenendo presenti le esigenze della rappresentanza territoriale delle regioni e della rappresentanza delle classi produttive?

Non aderisce all’idea, alla quale pare abbia aderito l’onorevole Ambrosini, già espressa dall’onorevole La Rocca e da altri: che, cioè, la seconda Camera debba essere eletta a suffragio universale, come la prima, perché, con questa soluzione si creerebbe un doppione veramente inutile e pericoloso, mettendo ogni cittadino, probabilmente nella stessa epoca o data, nella condizione di esprimere in duplice sede un unico pensiero ed un unico orientamento. Questa rappresentanza territoriale delle regioni e delle classi produttive si può realizzare utilmente in sede di formazione della seconda Camera, stabilendo che la seconda Camera debba essere formata dalle assemblee regionali con una elezione di secondo grado. È stato detto che le assemblee regionali sono la espressione più diretta della volontà popolare in sede di regione. Se si parte da questo presupposto, non vi è motivo per non concedere a queste assemblee la facoltà e il diritto di eleggere la seconda Camera, la quale risulterebbe come una riproduzione ingrandita dell’aspetto delle assemblee regionali, così come si costituiscono in seguito alla elezione a suffragio universale.

Si potrebbe obiettare che in tal modo si corre il rischio di non avere la rappresentanza paritetica delle regioni e la rappresentanza delle categorie produttive; ma a questo eventuale inconveniente si può rimediare, facendo in modo che le Assemblee regionali siano costituite per un terzo da elementi politici, e per due terzi da elementi tecnici. Cioè, si dovrebbe porre una limitazione alla libertà di voto dei cittadini, nel senso che essi debbano scegliere come rappresentanti regionali esponenti di determinate categorie economiche e produttive o sindacali. Così si potrebbe avere la riproduzione, in sede nazionale, dell’ambiente economico e sociale delle regioni: e si raggiungerebbe lo scopo di creare un organismo, quale tutti desiderano, che sia non un inutile doppione della prima Assemblea, ma un organo quasi tecnico, il quale porti nella elaborazione delle leggi quel contributo che solo le classi direttamente interessate possono portare.

Conclude che in questo modo si va incontro alle esigenze progressiste che sono state fatte presenti. Se tutte le classi produttrici potranno essere rappresentate nella seconda Camera, si sarà compiuta opera veramente democratica. E a chi obietta che i rappresentanti delle organizzazioni sindacali possono essere eletti nella prima Camera, si risponde che una cosa è dare veste di uomini politici a quegli organizzatori sindacali, facendoli entrare nella prima Camera legislativa, ed altra cosa è dare direttamente al lavoratore la possibilità di partecipare di persona alla formazione delle leggi.

NOBILE ritiene di dover intervenire nella discussione – per quanto prima di lui abbiano interloquito così alte competenze nella materia in discussione – e di considerare il problema da un punto di vista personale, con la mentalità del tecnico.

Afferma di non credere alla opportunità e tanto meno alla necessità di due Camere. È un errore riferirsi alle tradizioni storiche per giustificare la creazione di una seconda Camera, nel momento attuale in cui il mondo sta subendo così profondi sconvolgimenti. Una seconda Camera si potrebbe ammettere solo se lo Stato italiano fosse uno stato federale, perché in una federazione di stati è necessario dare la possibilità di manifestarsi agli interessi dei singoli stati, così come avviene in America e nell’Unione Sovietica. A questo proposito però dissente da chi afferma che le due Assemblee, in tal caso, non possono trovare origine dallo stesso corpo elettorale. Avviene così in America e nell’U.R.S.S.; solo che in quest’ultimo stato le singole repubbliche hanno un numero eguale di rappresentanti indipendentemente dalla loro estensione e dalla loro popolazione.

Ma l’Italia non è uno stato federale. Vi sono, è vero, delle regioni, ed è stato rilevato il pericolo che da uno stato regionalista si finisca con lo scivolare lentamente verso uno stato federalista. Ricorda di essersi pronunciato contro la creazione dell’ente regione e coerentemente è ora avverso all’istituzione della seconda Camera, anche se questa dovesse essere soltanto espressione delle regioni.

Un motivo della sua avversione è in ciò che ha detto l’onorevole La Rocca: se le due Camere sono d’accordo, la seconda è superflua; se sono in disaccordo allora la bicameralità è dannosa. Ricorda, al riguardo che in Inghilterra, ove anche i conservatori come Churchill non sono affatto contenti del loro sistema parlamentare, sono state proposte Camere suppletive a quella dei Comuni, ma con competenza completamente distinta: così Churchill proponeva un Parlamento, emanazione della Camera dei Comuni, che si occupasse esclusivamente di questioni economiche; ed una socialista, Beatrice Webb, sosteneva l’istituzione di una Camera che si occupasse di questioni sociali. Ma queste proposte non ebbero alcun seguito.

L’altra ragione per cui è contrario alla istituzione della seconda Camera è che una seconda Camera è una cosa assurda, se ha gli stessi compiti della prima; come è assurdo in un’azienda industriale avere due Consigli di amministrazione.

Circa il vantaggio, di cui si è detto, di completare la rappresentanza con l’apporto di competenze che altrimenti non potrebbero pervenire all’Assemblea legislativa, osserva che nonostante le affermazioni contrarie, con ciò si tende in sostanza a ricostituire una specie di Camera delle Corporazioni. Non crede che il sistema attuale di elezione non consenta ai rappresentanti delle varie categorie di pervenire all’Assemblea legislativa: col sistema della rappresentanza proporzionale si ha di fatto l’immissione in questa Assemblea, non soltanto di politici professionali, ma anche di rappresentanti di categoria, e nell’attuale Assemblea Costituente, tutte le categorie sono rappresentate da operai, ingegneri, professionisti ed anche industriali. L’apporto delle competenze specifiche, d’altronde, si potrebbe avere assicurando a tutti i progetti di legge una preventiva od una contemporanea discussione pubblica, attraverso la stampa e le istituzioni varie. Quando l’Assemblea legislativa è obbligata a seguire queste discussioni, essa deve tener conto delle opinioni espresse dalle varie categorie interessate. E questo, d’altronde, è sempre avvenuto.

Non crede all’affermazione che la seconda Camera potrebbe contribuire alla stabilità del Governo, e ritiene anzi più efficace il sistema unicamerale anche per questo scopo.

Conclude che voterà contro l’istituzione della seconda Camera e, se la seconda Camera verrà adottata, voterà contro tutte le misure particolari che tendano ad aggravare quello che ritiene essere un danno e non un progresso delle nostre istituzioni.

PERASSI dopo l’ampia discussione che si è svolta, si limiterà ad una esposizione sintetica del proprio punto di vista.

L’onorevole La Rocca, all’inizio del suo discorso, ha richiamato i principî che, oltre che espressi dal Bentham, erano stati sostenuti da altri, per esempio dall’abate Sieyès: ma è da domandarsi se quel ragionamento famoso sia veramente fondato o se non sia inficiato da un eccessivo semplicismo. Ritiene che il problema della scelta del sistema debba porsi partendo dal concetto stesso di legge e di funzione legislativa; e a questo proposito richiama una frase di Carlo Cattaneo, il quale definiva la legge come una grande transazione, ossia un atto che tende a contemperare interessi diversi e contrastanti. Da questo concetto discende logicamente l’opportunità che il processo di formazione della legge avvenga in maniera tale che tutti gli interessi, tutti i punti di vista siano adeguatamente rappresentati e quindi l’opportunità, che, accanto ad una Assemblea che esce dal suffragio universale-diretto, cioè dalla massa della popolazione considerata come massa di individui, ci sia una seconda Camera, la quale esprima altre cose che pure esistono, perché la nazione non si può risolvere semplicemente in una massa di individui, ma è qualcosa di assai più complesso, e accanto agli individui esistono le istituzioni e quindi interessi particolari che hanno bisogno di essere adeguatamente rappresentati.

Ritiene perciò che sia più conveniente il sistema bicamerale che risponde a questa esigenza c rileva che lo stesso onorevole La Rocca, dopo aver reso omaggio al principio teorico dell’inutilità della seconda Camera, in linea pratica ha riconosciuto che il sistema bicamerale assicura una maggiore ponderazione nella formazione delle leggi, espressione perfettamente accettabile, intendendo la parola ponderazione in tutto il suo ampio significato, non soltanto nel senso di una maggiore perfezione tecnica, ma anche e soprattutto di maggiore ponderazione dei diversi interessi che la legge deve regolare.

Affermato questo concetto, non crede che in questo momento convenga entrare (per quanto sia un po’ difficile fare una netta separazione) nel problema del come organizzare la seconda Camera, che dovrà essere affrontato in seguito. Solo qui conviene fare qualche accenno di carattere generale.

Il fatto che si vogliano creare in Italia le regioni comporta quasi necessariamente la opportunità che la seconda Camera debba anzitutto fondarsi sulla creazione di questo ente, cioè che i membri della seconda Camera escano dalle Assemblee generali. Non crede che la rappresentanza a base regionale possa mettere in pericolo l’unità dello Stato; al contrario, la presenza di una rappresentanza regionale giova all’unità dello Stato e assicura una legislazione statale che meglio tenga conto delle diverse esigenze regionali, perché vi sono problemi in cui il punto di vista degli interessi regionali ha un peso notevole.

La creazione della seconda Camera ha inoltre l’utilità di permettere di avere un organo costituito dalla riunione delle due Camere, cioè l’Assemblea nazionale, alla quale si possono attribuire determinate funzioni, come l’elezione del capo dello Stato e qualche altra.

Non è forse questo il momento di affrontare il problema se la seconda Camera debba essere in una posizione perfettamente eguale alla prima; problema delicato, che va anzitutto esaminato in rapporto al concorso nella formazione della legge (potere legislativo in senso stretto). Da questo punto di vista ritiene che la parità di concorso sia preferibile; per quanto la Costituzione francese che si sta elaborando, pur cercando di temperare il difetto della prima redazione, abbia mantenuto nel Consiglio della Repubblica il carattere di una seconda Camera posta in una posizione di inferiorità rispetto alla prima, tanto che la si è definita una Chambre de réflexion, che, in fondo, si riduce ad una Camera consultiva.

MORTATI presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottoconimissione afferma che l’istituzione di una seconda Camera è necessaria a dare alla rappresentanza politica pienezza di espressione, collegandola più intimamente con la complessiva struttura sociale, e passa all’esame del problema dei rapporti tra le due Camere ed al loro modo di composizione».

ROSSI PAOLO nota che tutti sono convinti che i partiti politici non esauriscono l’infinita varietà delle esigenze sociali e che, ad esempio, l’economia, il lavoro, la cultura, non riescono ad essere rappresentati in maniera piena dai partiti politici. Ma la speranza, espressa dall’onorevole Ambrosini, di conseguire una precisa ed equilibrata rappresentanza di tutti gli interessi economici, sociali e culturali in una seconda Camera, supera quello che si può raggiungere. Innanzi tutto si deve considerare che la vita sociale è in continua evoluzione, e che riuscirebbe assai difficile cristallizzarla in una rappresentanza della durata di 6 anni. Quando si fosse straordinariamente fortunati, la seconda Camera potrebbe rispecchiare le esigenze economiche e sociali dell’oggi. Ma è certo che, per la legge inesorabile del trascorrere continuo delle cose, quello che si fissasse oggi sarebbe inadeguato alla realtà di domani. Si dovrebbe allora immaginare una legge sulla composizione del Senato che fosse modificabile di legislatura in legislatura. In questo modo la politica, che si vuole mettere fuori dalla porta di questa seconda Camera, entrerebbe subito di nuovo dalla finestra: entrerebbe con la necessità di apportare queste modificazioni, di stabilire il nuovo modo di composizione del Senato e di interpretazione dei nuovi interessi in conflitto, allo scopo di determinare una loro proporzionale rappresentanza. Tutto ciò comporta infatti un giudizio politico che sarebbe influenzato dal mutevole clima politico. Se al momento di modificare la legge sulla composizione del Senato vi fosse alla Camera una maggioranza di destra, si cercherebbe di dare una maggiore rappresentanza nel Senato ai datori di lavoro; se la maggioranza suddetta fosse di sinistra, si cercherebbe di dare una maggiore rappresentanza in Senato ai lavoratori. Quella perfezione, che anche teoricamente pare irraggiungibile, verrebbe pertanto immediatamente deformata dalla necessità di modificare la legge secondo una concezione politica e soltanto politica.

Per queste ragioni i Commissari socialisti sono contrari, non per antipatia preconcetta, ad una Camera corporativa, ad una Camera di interessi di categoria, come press’a poco ora si ha nella Spagna e nel Portogallo: una siffatta Camera non sarebbe efficace e non si raggiungerebbero con essa gli scopi enunciati dall’onorevole Ambrosini.

Una seconda Camera formata mediante elezioni di secondo grado sarebbe certo meno imperfetta e meno arbitraria di quella corporativa.

BULLONI ritiene che l’istituzione della seconda Camera sia reclamata quale elemento moderatore e integratore, con parità di concorso con l’altra Camera, nella elaborazione ponderata della legge, che costituisce la funzione essenziale del potere legislativo.

L’istituzione della seconda Camera, come rappresentanza di interessi politici generali, risponde ad una esigenza profondamente sentita nel Paese, come la consultazione del 2 giugno ha potuto chiaramente esprimere, talché anche in questa sede, salva l’eccezione dell’onorevole Nobile, e pur con talune riserve da parte di qualcuno, si è aderito al principio del sistema bicamerale.

La seconda Camera non può non derivare da una fonte elettorale diversa da quella della prima, sia pure concepita con criterio elettivo. Le difficoltà sorgono allorquando si affronta il problema della composizione della seconda Camera; difficoltà, che s’incontrano sempre quando si affrontano problemi nuovi, ma che non sono insuperabili.

Innanzitutto occorre fare riferimento ad organismi che hanno già una configurazione giuridica riconosciuta; primi tra i quali le regioni. Attraverso le designazioni delle regioni, la seconda Camera verrebbe ad essere anche espressione di interessi spiccatamente locali.

Ma, accanto alle regioni, occorre considerare, dal punto di vista della funzione elettorale della seconda Camera, la cultura. Non si reca ingiuria ai principii della democrazia, se si riconosce ad esempio al professore di università il diritto ad una pluralità di voto, che egli di fatto verrebbe a conseguire. Chi consuma tutta la sua esistenza e le risorse del suo ingegno nello studio deve avere riconosciuta una posizione che lo differenzi, ad esempio, dal portiere della università stessa. Né è questo un argomento demagogico a rovescio; anzi è l’espressione del doveroso omaggio di ogni cittadino alle benemerenze della intelligenza e dello studio. Gli atenei hanno una fisionomia giuridica ben definita e possono contribuire alla designazione di loro rappresentanti nella seconda Camera.

Anche per le forze produttrici la capacità elettorale è conseguibile allorquando si riconoscano giuridicamente gli enti e le associazioni che tali forze organizzano. Fra gli organismi che hanno già una configurazione giuridica riconosciuta sono le camere di commercio, che rappresentano gli interessi dell’agricoltura, dell’industria, ivi compresi i trasporti, del commercio e della banca. Fra le altre forze produttrici, forse in via primaria, sono le forze del lavoro, circa le quali confessa di non essere ancora riuscito a trovare una soluzione da proporre alla considerazione della Sottocommissione. La difficoltà per la designazione delle forze del lavoro consiste nel fatto che il sindacato non è ancora giuridicamente riconosciuto e vige il principio della libertà di organizzazione. Fa quindi appello alla più consumata esperienza in materia degli onorevoli colleghi, perché si deve pur trovare una soluzione anche per la legittima rappresentanza delle forze del lavoro, superando quelle difficoltà che invece non si incontrerebbero per le altre categorie, che poggiano su istituti giuridicamente riconosciuti e accettati.

Altra fonte per la costituzione della seconda Camera dovrebbero essere i Consigli professionali; e ricorda che non ci sono soltanto i Consigli forensi, ma anche quelli dell’ordine dei Medici, dei Farmacisti, degli Ingegneri ecc. Tutte le professioni hanno un ordinamento giuridico al quale può essere affidata l’elezione dei rappresentanti alla seconda Camera. Ed anche gli artisti devono avere la loro rappresentanza nella seconda Camera. Anche per essi però si incontrano le difficoltà enunciate a proposito dei rappresentanti delle forze del lavoro.

Una parte dei componenti della seconda Camera dev’essere riservata alla nomina del Presidente della Repubblica. È evidente che questi non può avere solo una funzione decorativa, e già è stato rilevato che, per garantire una relativa stabilità di governo, occorre attribuire dati poteri al Capo dello Stato. Ora, uno degli elementi che valgono a conferire autorità e prestigio effettivo al Capo dello Stato è quello di demandare a lui la nomina di una aliquota, sia pure minima, dei componenti della seconda Camera, poiché in tal modo potranno essere integrate le deficienze delle designazioni dei vari corpi ed organi elettorali con la nomina delle più alte personalità della scienza, dell’arte, delle superiori attività del cittadino.

Accenna infine alla possibilità di trovare una soluzione delle difficoltà accennate per quanto riguarda le forze del lavoro, se non anticipando la adozione di provvedimenti legislativi in argomento, almeno accettando, per necessità incombenti, la situazione di fatto, e rimettendosi alle designazioni delle Camere del Lavoro.

LAMI STARNUTI presenta il seguente ordine del giorno, firmato anche dagli onorevoli Rossi Paolo, Bocconi, La Rocca, Ravagnan, Grieco, Calamandrei e Lussu:

«La seconda Sottocommissione esprime parere favorevole al sistema bicamerale, a condizione che la seconda Camera non sia costituita in modo da alterare la fisonomia politica del Paese, quale è stata rispecchiata dalla composizione della prima Camera».

AMBROSINI risponde subito alle osservazioni interessanti dell’onorevole Paolo Rossi, il quale ha affermato che quanto l’Ambrosini sostiene è un optimum, che però non si può raggiungere per l’impossibilità di dosare il quantitativo di rappresentanti da attribuire alle singole categorie della produzione e dell’attività lavorativa nelle sue varie espressioni fondamentali.

Si tratterebbe adunque di difficoltà d’ordine pratico, le quali è da credere che possano superarsi ricorrendo a certi criteri generali da fissare pregiudizialmente. Così per quanto riguarda l’agricoltura, l’industria, il commercio, i trasporti, le varie forme di attività intellettuale, quali la scienza, l’arte, le professioni libere, ed altre attività ancora, quali, ad esempio, l’artigianato, che per le sue peculiari caratteristiche tecniche e per la sua funzione sociale può bene essere considerato come una categoria a sé stante, meritevole di avere una propria voce ed una propria rappresentanza.

Indubbiamente, sarà sempre in base ad una valutazione empirica dell’importanza approssimativa delle singole categorie nella vita economico-sociale del Paese che si procederà all’assegnazione di un differente numero di rappresentanti a ciascuna di esse.

Questa valutazione verrà di necessità fatta e giustamente fatta, in base ad un orientamento politico, quell’orientamento politico che in definitiva segna gli scopi da raggiungere e suggerisce i mezzi tecnici più idonei allo scopo.

È stato detto che l’insieme delle varie categorie produttrici può paragonarsi ad un fiume fluido, nel quale però non sarebbe possibile captare ed isolare le singole correnti. Si potrebbe aggiungere, continuando i paragoni, che le categorie in questione possono raffigurarsi come fondibili in un arcobaleno.

Orbene, l’isolare i vari colori è difficile, ma non impossibile. Comunque non è affatto impossibile determinare quali essi fondamentalmente sono, ed attribuire ad ognuno dei colori una data importanza. Per tornare al concreto è difficoltoso, ma non impossibile determinare l’importanza delle varie categorie produttive e stabilirne il relativo quantitativo di rappresentanza.

Né c’è alcun pericolo nell’adozione d’un criterio relativo, empirico. Il pericolo ci sarebbe se vi volesse cristallizzare, una volta stabilitolo, tale criterio, proibendone per l’avvenire la modificazione. Ma tale cristallizzazione deve escludersi a priori. Quando si ritenga che siano cambiati i presupposti che servirono nel primo tempo di criterio d’orientamento e di decisione per stabilire il numero di rappresentanti per ogni categoria, il legislatore potrà sempre rivedere la precedente deliberazione, e modificarla nel senso di assegnare a ciascuna categoria quel nuovo quantitativo di rappresentanza che fosse suggerito dalle mutate condizioni ed esigenze della vita economico-sociale-politica del Paese.

Nessun ostacolo quindi sussiste per l’adozione del propugnato sistema. In proposito si richiama ai precedenti della legislazione spagnuola del 1896 e della Costituzione di Weimar del 1919, che creò il Consiglio Economico del Reich sulla base dei principii propri del sistema in discussione. Accenna anche al sistema di votazione per l’elezione dei deputati assegnati alle Università in Inghilterra. Concludendo, rileva che si potrà arrivare con opportuni accorgimenti e cautele ad immettere nella seconda Camera le rappresentanze degli interessi territoriali e professionali e dell’attività lavorativa in genere, in modo tale che integrino e completino la rappresentanza della Camera dei Deputati, funzionando sempre, s’intende, in vista del perseguimento degli interessi generali del Paese globalmente ed unitariamente considerati.

La seduta termina alle 20.45.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Amendola, Conti, Einaudi.

Assenti: Leone Giovanni, Maffi, Uberti.