ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
10.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 6 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)
Presidente – Patricolo – Porzio – Perassi – Calamandrei – Targetti – Tosato – Lussu – Castiglia – La Rocca – Lami Starnuti – Ambrosini – Mannironi – Nobile – Mortati – Rossi Paolo – Bulloni.
La seduta comincia alle 17.
Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.
PRESIDENTE ricorda che con la votazione dell’ordine del giorno fatta ieri è stata esaurita una parte delle premesse relative ai vari poteri dello Stato e in particolare a quello legislativo. Si tratta ora di affrontare il problema del potere legislativo nei suoi particolari, e cioè se debba adottarsi il sistema unicamerale o quello bicamerale, per passare poi alla formazione della prima ed eventualmente della seconda Camera.
PATRICOLO, prima di iniziare la discussione dei vari problemi, ritiene opportuno che la Sottocommissione riprenda in esame l’ordine del giorno da lui già presentato ieri e che oggi ripresenta con una lieve modifica, per conformarlo all’ordine del giorno Perassi. E ciò perché ritiene necessaria una affermazione di principio sulla divisione dei poteri, affermazione di carattere pregiudiziale all’esame dei singoli poteri dello Stato.
Dà lettura del suo ordine del giorno nel testo modificato:
«La seconda Sottocommissione, premesso che la Costituzione del nuovo Stato italiano deve ispirarsi ai concetti di una sana democrazia;
considerato che la forma di governo più rispondente alle esigenze dell’attuale situazione politica italiana è quella della repubblica parlamentare, con i correttivi indicati dall’ordine del giorno dell’onorevole Perassi approvato nella seduta del 5 settembre 1946;
ritenuto che l’ordinamento giuridico dello Stato debba uniformarsi al principio della divisione dei poteri;
riconosciuto che il Parlamento, rappresentante della volontà popolare, oltre alla sua funzione legislativa, ha anche una funzione politica di vigilanza, e controllo su tutti i poteri dello Stato;
propone che lo schema di Costituzione che sarà presentato all’approvazione della Costituente, risponda alle seguenti esigenze di ordine giuridico e politico:
1°) adozione della forma di governo parlamentare;
2°) rispetto della divisione dei poteri;
3°) riconoscimento delle funzioni politiche di vigilanza e di controllo del Parlamento sui poteri dello Stato».
PRESIDENTE osserva che in quest’ordine del giorno viene anzitutto ribadito il concetto di repubblica parlamentare; e poi si fissano altri due punti e cioè il rispetto della divisione dei poteri e la funzione politica di vigilanza e controllo del Parlamento sui poteri dello Stato.
È vero che la questione della divisione dei poteri fa parte di quell’inquadramento iniziale di cui si è già parlato nella seduta di ieri e per il quale potrà avvertirsi l’esigenza di parlarne ancora e concludere in maniera specifica, prima di affrontare i problemi singoli (per quanto potrebbe essere anche affrontata implicitamente durante la discussione sui singoli poteri); ma è vero altresì che la proposta di riconoscere al Parlamento e quindi all’organo specifico del potere legislativo, una funzione di controllo politico sopra gli altri poteri dello Stato è già un modo particolare di concepire ed applicare il criterio della divisione dei poteri. È da rilevare tuttavia che l’ordine del giorno Patricolo distingue i due compiti del Parlamento: da una parte la funzione legislativa e dall’altra una funzione di carattere preminente e sovrano.
PORZIO propone che l’ordine del giorno venga posto in votazione per divisione, perché sulla prima parte, concernente la divisione dei poteri non v’è da-discutere, in quanto non esiste Costituzione che non attui la divisione dei poteri, mentre sulla seconda parte, relativa alla vigilanza e controllo del Parlamento sugli altri poteri dello Stato, vi possono essere dissensi.
PERASSI osserva che sul concetto della divisione dei poteri tutti sono concordi, ma vi è un altro punto sul quale sarebbe opportuno che il proponente desse qualche spiegazione: quello in cui parla di un riconoscimento delle funzioni politiche di vigilanza e di controllo del Parlamento su tutti i poteri dello Stato.
Fin che si tratta di vigilanza e controllo sul potere esecutivo, egli è d’accordo; ma qui si parla di tutti i poteri dello Stato. Ora, in che senso il proponente intende quest’ultima proposizione? Su questo punto ritiene opportuno qualche chiarimento.
PATRICOLO precisa che, ove sia stabilito che i poteri dello Stato devono essere divisi, si deve andare fino alle ultime conseguenze di questa affermazione, perché in tutte le legislazioni moderne si parla di divisione dei poteri, ma altro è parlarne ed altro è attuarla. Il potere giudiziario, oggi, in un certo senso, dipende dal potere esecutivo.
Esiste un ministro politico a capo del potere giudiziario che ha, come tutti sanno, le sue inframmettenze attraverso l’istituto del pubblico ministero. Il giorno in cui si crei un potere giudiziario veramente indipendente, le funzioni del Ministero di grazia e giustizia devono passare integralmente al potere giudiziario, ed allora anche il potere giudiziario, come il potere esecutivo, deve essere in un certo senso soggetto alla sovranità popolare che si esprime attraverso il Parlamento in tutte quelle manifestazioni che non sono di stretto carattere funzionale della magistratura. Ecco perché egli estende il controllo e la vigilanza del Parlamento a tutti gli altri poteri, in quanto il potere giudiziario, se è autonomo, ha delle funzioni, oltreché di amministrazione della giustizia, anche amministrative. Quando si concepisce la divisione dei poteri con l’indipendenza del potere giudiziario, è necessario che si estenda la vigilanza e il controllo del Parlamento anche al potere giudiziario, controllo su quelle funzioni amministrative che oggi sono esercitate dal Ministero di grazia e giustizia. Posta la divisione dei poteri, è giusto che anche il potere giudiziario, e per esso il suo capo, risponda al Parlamento dei suoi atti. Quando sia stabilito nella Costituzione quali sono i compiti e le funzioni del potere giudiziario, ove la magistratura abbia a mancare a questi suoi compiti, il Parlamento, rappresentante della volontà popolare, deve poter chiedere spiegazioni e delucidazioni.
CALAMANDREI, come relatore sul potere giudiziario, non vorrebbe che si pregiudicasse con enunciazioni puramente teoriche che possono avere ripercussioni varie sull’argomento, che invece va trattato in pieno sotto tutti i suoi aspetti. Non crede che abbia importanza un articolo in cui si enunci il proposito di voler rispettare il principio della divisione dei poteri: questo principio sarà rispettato più o meno, secondo il modo in cui si organizzano in concreto i vari organi. Quindi non vede la necessità di prendere una posizione preliminare teorica su questo punto, e chiede che sia riservata la discussione al momento in cui uno dei senatori farà la relazione sul tema del potere giudiziario.
TARGETTI, per evitare di entrare in una discussione teorica che occuperebbe molto tempo, suggerisce di considerare il principio affermato, più che come una premessa, come una conseguenza di quello che verrà deliberato quando si stabiliranno i poteri del Parlamento. Non vede quindi alcuna necessità di fare una affermazione di principio.
TOSATO concorda con l’onorevole Targetti e propone anch’egli di rinviare la discussione dell’ordine del giorno Patricolo. Il problema della divisione dei poteri verrà in discussione di volta in volta, quando si tratterà di determinare le competenze specifiche del potere legislativo e del potere giudiziario.
D’altra, parte, l’ordine del giorno di Patricolo non gli sembra felice, perché di divisione di poteri si può parlare in due sensi: come divisione di organi e come divisione costituzionale di funzioni.
PRESIDENTE osserva che, se l’onorevole Patricolo accedesse al criterio indicato, che non significa repulsa del suo ordine del giorno, ma attesa del momento più opportuno per esaminarlo, si potrebbe riprendere la discussione dal punto in cui è rimasta sospesa. Se l’onorevole Patricolo chiede invece che il suo ordine del giorno sia posto ai voti, non vi è che procedere alla votazione.
PATRICOLO insiste nel chiedere che la Sottocommissione prenda in esame il suo ordine del giorno, perché è pregiudiziale che la Sottocommissione ammetta o respinga fin dal principio il concetto assolutamente democratico della divisione dei poteri.
PRESIDENTE teme che si entri in una di quelle questioni procedurali che, se risolte solamente sulla base della procedura, possono sboccare in una conclusione non rispondente in realtà al pensiero e all’intenzione di coloro che votano.
La questione della divisione dei poteri sta alla base, anzi rappresenta il midollo della discussione che si deve affrontare; ma l’affrontarla e deciderla in questo momento, come risulta evidente dalle dichiarazioni fatte da alcuni commissari, lascerebbe in dubbio parecchi colleghi, che potrebbero perciò essere tratti a respingere l’ordine del giorno Patricolo. Ciò potrebbe determinare l’impressione che la Sottocommissione sia contraria al principio della divisione dei poteri, ciò che non sarebbe corrispondente alla realtà, o al pensiero di almeno una parte dei commissari.
LUSSU, per rendere omaggio al pensiero espresso da vari colleghi, propone che sia votato il rinvio della discussione dell’ordine del giorno Patricolo.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta Lussu.
(È approvata).
Mette in discussione il problema della struttura del potere legislativo.
CASTIGLIA, Relatore, crede che, risolto in via pregiudiziale il problema del tipo di regime da scegliere, sia altrettanto importante risolvere ora in via pregiudiziale la questione accennata dai due relatori, onorevole Mortati e onorevole Conti, del sistema bicamerale o monocamerale, perché dalla risoluzione di questo problema possono derivare delle conseguenze suscettibili di influenzare tutto il resto della discussione e l’attuazione pratica dei principî che sono stati e saranno ancora esposti, specialmente quando sarà il momento di venire all’articolazione ed alle conclusioni pratiche.
Personalmente accetta il sistema bicamerale, per varie considerazioni, molte delle quali sono state già espresse dai relatori.
La genesi del sistema bicamerale è inglese e rimonta a parecchi secoli fa. Il richiamo alla genesi sta a dimostrare come il sistema bicamerale abbia avuto ed abbia delle ragioni di vitalità che trascendono i motivi contingenti che ne determinarono la nascita allora, motivi contingenti che sono stati superati dagli avvenimenti.
Ma, accanto a questa genesi storica, statino altre ragioni che consigliano l’adozione del sistema bicamerale: ragioni di carattere pratico e di carattere giuridico.
Per ovviare all’inconveniente di cui tutti sentono la preoccupazione, cioè alla instabilità del governo, prima di tutto è necessario il sistema bicamerale.
Non è opportuno accentrare in una sola Camera il potere legislativo che diventerebbe così quasi onnipotente. È opportuno, invece, contrapporre all’un corpo legislativo un altro corpo, non per desiderio di contrapposizione o di ostacolo, ma affinché attraverso l’urto delle convinzioni, l’urto delle mentalità, possa la legge aderire veramente alle esigenze del paese.
Altra ragione che è stata particolarmente sottolineata dall’onorevole Mortati ed anche dall’onorevole Conti è quella della integrazione della rappresentanza secondo due criteri: uno di carattere regionale, e l’altro di interesse sociale.
Dal punto di vista dell’interesse sociale, crede che l’integrazione della rappresentanza possa essere raggiunta con l’istituzione di due Camere, mentre non potrebbe esserlo con una sola, perché col sistema elettorale attuale, o con quello che sarà stabilito, non si può ottenere la completezza della rappresentanza secondo il criterio dell’interesse sociale. Della seconda Camera i componenti dovranno essere scelti con criteri, che si stabiliranno in seguito, diversi da quelli che devono seguirsi per l’elezione dei deputati alla Camera dei deputati.
Sarebbe poi possibile integrare la rappresentanza secondo gli interessi regionali, la qual cosa è molto importante perché la nostra Costituzione, a quanto pare, si avvia verso l’istituzione dell’ente regione munito di potere legislativo ed esecutivo. Nella dottrina è stata riconosciuta assolutamente necessaria nei regimi federalistici l’istituzione della seconda Camera con riguardo agli interessi regionali. In un regime regionalistico, il quale ha molti punti di contatto con quello federalistico, tanto che può forse dirsi che la differenza sia solo di terminologia, per gli stessi motivi diventa necessaria una integrazione della rappresentanza.
Altra ragione che milita a favore della bicameralità è quella delle competenze, che spesso rimangono fuori della prima Camera, a causa del sistema elettorale.
Poi vi è il motivo della maggiore elaborazione e del perfezionamento delle leggi, che, attraverso un duplice esame, possono guadagnare dal punto di vista tecnico giuridico. Ed è da considerare anche il punto di vvista della tempestività, perché spesso il ritardare un provvedimento o l’elaborazione di una legge può far sì che questo provvedimento non abbia la voluta efficacia.
Il sistema bicamerale infine è particolarmente sentito come necessario nel regime, che si è deciso di adottare, della repubblica parlamentare, perché la duplicità agevola la soluzione di conflitti che potrebbero sorgere tra Parlamento e Gabinetto; essa, cioè, assicura la necessaria maggiore stabilità del Governo.
Naturalmente non sono, queste, considerazioni complete: ha fatto una elencazione, grosso modo, delle principali ragioni che militano a favore della bicameralità; ma altre ve ne sono che potrebbero essere esposte.
Dall’accoglimento del sistema bicamerale discendono altri importanti problemi, come quello della equiparazione o meno dei poteri delle due Camere. Il precedente inglese dei poteri della Camera Alta più limitati rispetto a quelli della Camera dei Comuni, è la conseguenza di un fatto contingente, verificatosi nel 1911 a proposito della questione irlandese, e quindi non pregiudica la questione di carattere sostanziale della perfetta eguaglianza dei poteri delle due Assemblee.
Altra questione è quella delle fonti di derivazione, circa la quale, seguendo il criterio indicato dall’onorevole Conti nella sua relazione, si dovrebbe ricorrere ad un sistema misto per il reclutamento dei senatori, che dovrebbero essere scelti per la massima parte con un metodo elettivo di secondo grado, e cioè attraverso le Assemblee regionali. Altri modi di reclutamento potrebbero essere quello della cooptazione, cioè della scelta da parte dello stesso Senato di un certo numero di senatori, e, sempre in armonia a ciò che è stato detto a proposito degli interessi sociali e delle competenze, la elezione da parte di Consigli accademici, di organizzazioni sindacali, di enti culturali. Si dovrebbe, infine, lasciare una limitata possibilità di nomina diretta al Capo dello Stato, entro determinate categorie.
A conclusione del suo dire, presenta il seguente ordine del giorno:
«La Seconda Sottocommissione:
ritenuto che il sistema bicamerale appare il più idoneo ad assicurare la integrazione della rappresentanza secondo il criterio degli interessi sociali regionali:
che esso assicura l’assunzione di quelle competenze specifiche che col sistema monocamerale potrebbe rimanere incompleta;
che tale sistema garantisce un corpo di leggi politicamente più rispondenti ai bisogni del Paese, tecnicamente più elevate e perfette;
tenuto presente che la istituzione delle due Camere è più aderente all’esigenze politico-giuridiche nascenti dall’adozione del regime parlamentare;
fa voti perché la nuova Costituzione della Repubblica italiana adotti il sistema bicamerale, istituendo accanto alla Camera dei Deputati, espressione della volontà politica del popolo, il Senato, espressione oltre che della stessa volontà politica, degli interessi sociali e regionali del Paese, nella cui sintesi e armonia si ravvisano i mezzi più idonei per una legislazione veramente rispondente alle aspirazioni della Nazione».
LA ROCCA dichiara che, per principio, i Commissari comunisti sono favorevoli al sistema della Camera unica. Se la radice della sovranità è unica, ed è il popolo, la volontà popolare trova la sua espressione in una Assemblea, la quale rispecchia questa volontà ed è chiamata ad attuarla.
La seconda Camera ebbe il compilo ben chiaro e preciso di funzionare da freno, da contrappeso, per impedire eventuali eccessi, precipitazioni, cioè provvedimenti legislativi troppo affrettati, nell’attività della Camera dei Deputati. La Camera Alta funzionò pertanto come crivello, ed eventualmente anche come coperchio. Ma, se si vuole veramente gettare le basi di un regime democratico che aderisca alla realtà moderna, e cioè che attui una radicale trasformazione della base sociale – perché altrimenti non sarà mai risolta la situazione – bisogna aderire a questa realtà: la Camera unica è la più adatta, la più acconcia ad eseguire la volontà popolare e non si può ammettere una seconda Camera formata da privilegiati, da nominati dall’alto, da persone investite a vita della carica, perché questo significherebbe riportare nella Repubblica democratica la vecchia impalcatura della monarchia.
Se si dovesse pensare ad una seconda Camera elettiva, posto che la sorgente della sovranità è unica, si dovrebbe riconoscere che, quando la volontà del popolo è bene espressa in una Camera, è inutile che si crei un duplicato; che se, invece, si determinano conflitti fra due volontà che derivano dalla stessa fonte, questo significa che si è verificato quello che in partenza deve sembrare un assurdo, dato che la fonte della volontà è unica.
Questo vale come affermazione di principio. Ma, poiché i comunisti non sono quali di solito vengono presentati, e poiché pare che vi possano essere delle preoccupazioni e che si voglia abbondare nelle garanzie, fatta questa affermazione di principio, essi non si oppongono in maniera categorica alla istituzione di una seconda Camera, che però, anche per evitare un cattivo ricordo, non potrà più essere chiamata Senato. Ma un fatto dovrà essere ben chiaramente stabilito: la seconda Camera non potrà né dovrà essere se non elettiva. Naturalmente si dovrà trovare il corpo elettorale adatto, perché, per le ragioni spiegate prima, non si può ammettere che dalla stessa fonte elettorale derivino due volontà diverse. E poiché si inclina verso l’adozione dello stato regionale, bisognerà vedere se nella regione non possa trovarsi la fonte per l’elezione della seconda Camera, per quanto in fatto di autonomia bisogna intendersi e procedere con cautela, perché i rischi non sono pochi: e questo dice nell’interesse generale dell’unità politica ed economica del Paese che sta soprattutto a cuore a tutti.
Questo corpo elettorale potrebbe eventualmente essere costituito dai Consigli regionali. Il Parlamento risulterà composto di due organi, che potranno chiamarsi Consiglio Nazionale e Assemblea Nazionale; e si stabiliranno la competenza e gli attributi di ognuno, su piede di parità o no, con un determinato numero di membri, ecc., ma, ripete, la base dell’esistenza della seconda Camera non potrà essere se non l’elettorato, con esclusione di qualsiasi corpo estraneo e di nicchie in cui collocare delle statue in una maniera fissa, soltanto per la ragione che Tizio o Caio sono diventati capi di un determinato ufficio. Se si ritiene opportuno che esista questo secondo organo, che funzioni non già da freno, perché questa è un’idea non accettabile, ma per maggiore garanzia del sistema parlamentare, per collaborare e dare il suo contributo alla formazione delle leggi, i membri della seconda Camera non possono che essere l’espressione di un bisogno nazionale e soprattutto di una volontà popolare.
LUSSU deve enunciare il principio che un regime democratico parlamentare in tanto è solido in quanto sia la conseguenza di una evoluzione, di una rivoluzione democratica e tenda a razionalizzare le conquiste ottenute attraverso la rivoluzione. Ma deve pur constatare che non siamo in questa situazione, ciò che gli rincresce profondamente. Quindi bisogna rendersi conto della situazione presente, che è fatta di compromesso: così è possibile il governo, così è possibile la nostra democrazia. L’ Italia è entrata in quello che gli stranieri considerano il suo genio particolare: il compromesso; e il criterio delle due Camere è il risultato di questo compromesso. Teoricamente egli sarebbe per una Camera unica; ma ne mancano le premesse, e quindi bisogna arrivare alle due Camere, e la maggioranza della Sottocommissione arriverà per necessità a questa conclusione.
Ma, prima di entrare in merito alla composizione della seconda Camera, crede che sarebbe utile conoscere quali poteri si intende attribuirle perché, se questa Camera ha un potere vasto, la sua composizione dovrà risultare in un modo, e se ha un potere molto minore, dovrà risultare in un altro.
Trova strano, per esempio, che, a parità di poteri fra le due Camere, la seconda Camera debba essere eletta come risulta dal testo proposto dall’onorevole Conti, al quale l’onorevole Castiglia aderisce. Trova strano che una seconda Camera, composta da rappresentanti degli ordini professionali e da professori di università – con tutta la stima che ha per l’alta cultura – abbia il diritto di mettere in mora o di far cadere la Camera sovrana eletta dal popolo con libere elezioni.
Ancora di più trova strana la proposta dell’onorevole Conti – che, se non fosse quel puro repubblicano che tutti conoscono, sembrerebbe imbevuto di spirito monarchico – che questo potere debbano avere i dieci eletti a vita. È deferente verso gli scienziati, ma non può deferire ad uno che diventa uomo politico perché professore universitario o scienziato.
Bisogna dunque fissare anzitutto i poteri della seconda Camera. Quelli che aveva la Camera francese e quelli che ha l’Alta Camera in Inghilterra sono totalmente differenti. In Francia il Senato rappresentava un grosso correttivo alla Camera dei Deputati e sono numerose le crisi create dal Senato. Bisogna dire che, per quanto composto da un corpo prevalentemente conservatore, in gran parte eletto dal partito radicale, il Senato francese più volte ha fatto cadere governi sia di destra che di sinistra. Comunque, aveva un potere estremamente accentuato nell’ingranaggio statale. Invece l’Alta Camera in Inghilterra non ha nessuno di questi poteri: ne aveva qualcuno, ma ne è stato totalmente spodestato all’epoca della magnifica lotta sostenuta dall’Irlanda e, pure essendo un rispettabile consesso, non ha più alcun valore politico nella vita inglese.
Se la seconda Camera deve uniformarsi al tipo inglese, sarà possibile immettervi dei professori d’università o dei vescovi o altre categorie di cittadini, che invece non potranno trovarvi posto per il solo fatto di essere vescovi o professori, se il tipo sarà quello francese.
Vede con una certa preoccupazione le due Camere aventi gli stessi poteri, ciò che costituirebbe un intralcio allo sviluppo dell’azione politica. La seconda Camera dovrebbe avere un potere ridotto, e non quello stesso della prima. E aggiunge che a suo parere costituisce una confusione l’elezione di una seconda Camera, anche se essa debba avere poteri limitati.
Quanto alla composizione quale risulta dalla proposta del relatore, accolta dall’onorevole Castiglia, trova che questa non si adatta alla democrazia moderna, ma è un sistema arretrato, come quello dei paesi balcanici di prima dell’entrata in guerra. Se si vuol tener conto del particolare apporto che può essere dato da professori di università o da rappresentanti di organizzazioni sindacali, non si può dimenticare che essi devono essere prevalentemente l’espressione di una aspirazione, di un ideale politico: solo a questa condizione quegli elementi possono entrare nel Parlamento. Così oggi si assiste all’elezione di uomini altamente rappresentativi dal punto di vista sindacale, come gli onorevoli Di Vittorio, Grandi, Lizzadri ed altri, senza che sia necessario includerli nell’elenco dei senatori affinché possano esprimere i loro concetti sociali e tecnici nel Parlamento.
LAMI STARNUTI è in gran parte d’accordo con quanto hanno detto l’onorevole La Rocca e l’onorevole Lussu.
Senza dubbio una Camera unica riuscirebbe meglio a interpretare la volontà popolare, mentre il sistema bicamerale non è essenziale al regime parlamentare. Basta l’esempio inglese in cui la Camera dei Lords non è più, può dirsi, che una superfetazione. Solo vi può essere l’opportunità, e non lo nega, di un secondo esame, di una rielaborazione della legge, e dovrebbe questo essere il compito della seconda Camera.
Sostanziale in questo problema è lo stabilire la derivazione della seconda Camera. A questo proposito deve dire subito e apertamente che i deputati socialisti non aderiranno mai ad un sistema che voglia fare di questa un correttivo del suffragio universale, dell’espressione della volontà popolare manifestata attraverso le elezioni politiche, e quindi combatteranno tutte le proposte che sono state fatte per una formazione mista della seconda Camera. Questa, dal punto di vista politico, deve ripetere, quasi in modo esatto, la prima Camera. Se ciò non fosse e, soprattutto se la seconda Camera avesse parità di poteri con la prima, potrebbero sorgere spesso conflitti quasi insanabili, come quello fra la Camera e il Senato francese, presidente del consiglio Léon Blum. Il conflitto non si avrà quando la seconda Camera, nel suo quadro generale, rappresenterà la stessa formazione politica della prima, tanto che egli non sarebbe contrario al sistema norvegese, di cui parlava l’onorevole Mortati, cioè ad una seconda Camera per geminazione, eletta dalla prima; sistema che, come ha detto l’onorevole Mortati, ha dato buoni frutti.
Se l’opinione della Sottocommissione non fosse questa, pensa che soltanto attraverso le assemblee regionali si dovrebbe far luogo alla formazione della seconda Camera, escluso ogni ricorso a consigli professionali o universitari, a consigli accademici, ogni ricorso a sistemi di cooptazione e, specialmente a quella specie di nomina «regia» affidata al Presidente della Repubblica di dieci senatori a vita. Quindi: formazione della seconda Camera attraverso le assemblee regionali, i consigli regionali, avendo cura che questi siano creati nello stesso modo del Parlamento nazionale. Aggiunge, al riguardo, che la legge elettorale deve avere sempre carattere nazionale. L’accenno contenuto nelle proposte dell’onorevole Ambrosini, ad una legge elettorale di carattere regionale non lo trova consenziente, perché una legge elettorale particolare potrebbe alterare la proporzione tra le varie regioni e ripercuotersi, quindi, successivamente nella formazione della seconda Camera: se il sistema di elezione della seconda Camera sarà, come è probabile, quello delle assemblee regionali, i Consigli delle regioni dovranno essere formati con lo stesso criterio elettorale con cui si formerà la Camera dei Deputati, appunto per impedire che, attraverso questa diseguaglianza, la seconda Camera abbia un colore politico diverso dalla prima e contrario all’opinione del corpo elettorale nazionale.
Con questi criteri e con queste riserve, voterà non l’ordine del giorno Castiglia, ma una proposta pura e semplice di accettazione del sistema bicamerale.
AMBROSINI. Se il Senato deve nascere occorre che nasca vitale, non collocato in una posizione di netta inferiorità di fronte alla Camera dei Deputati, né costituito sulla base dello stesso sistema di questa. Si deve trattare, è evidente, di una seconda Camera diversa da quella che esisteva, e la diversità deve essere segnata dal modo diverso della sua composizione, s’intende su base elettiva.
L’adottare, sia pur con varianti, il criterio che informa la legge elettorale preposta alla formazione della prima Camera, importerebbe in sostanza fare della seconda un doppione e diminuirne quindi in partenza l’autonomia e fors’anche la stessa ragione di esistenza.
Infatti, se è vero che l’utilità del Senato deriva dal fatto che può servire da organo di remora verso le eventuali decisioni precipitate della Camere, e di elaborazione più perfetta della legislazione, è pur vero che esiste in suo favore un’altra ragione più forte, non di sola opportunità, ma di principio: quella appunto della sua radice, del suo modo di composizione diverso da quello della Camera dei Deputati.
Mentre questa è formata sulla base delle ideologie politiche e dei partiti da parte dei cittadini elettori raggruppati in modo indifferenziato in collegi elettorali, nei quali è meccanicamente diviso il territorio nazionale, l’altra Camera, il Senato, dovrebbe essere formata in modo da rispecchiare le varie forze economiche, sociali, culturali e delle attività lavorative in generale, che per la stessa impostazione del sistema del suffragio diretto, non riescono ad avere una propria compiuta rappresentanza.
Si tratta di quella rappresentanza della membratura effettiva della società, di quelle forze vive della Nazione a cui nelle precedenti discussioni accennò l’onorevole Piccioni propugnando la necessità del riconoscimento giuridico delle Regioni.
È stato detto che una tale rappresentanza diminuirebbe quasi la rappresentanza popolare che si ha nella Camera dei Deputati. Ma non è così. L’assegnare una speciale rappresentanza alle varie categorie del corpo sociale non significherebbe affatto fare un passo indietro, né tanto meno limitare sostanzialmente quella che suole chiamarsi la rappresentanza popolare, ma significherebbe completarla, integrarla, in modo che tutti i bisogni, tutte le esigenze del paese possano avere una propria espressione ed una propria voce.
Ciò è sommamente utile dal punto di vista tecnico, perché nessuno come i rappresentanti delle categorie interessate può prospettarne ed illustrarne i bisogni avanti all’Assemblea; ed è egualmente utile dal punto di vista politico, per il peso appunto che tali categorie vengono ad assumere nella rappresentazione di tutta la realtà economica, sociale e culturale della Nazione.
Ne è a dire che si tratta di rappresentanza di interessi particolaristici, perché si tratta di interessi di vaste categorie dell’attività umana, che possono magari essere prospettati da un punto di vista specifico, ma che necessariamente finiscono per venire esaminati e vagliati dall’Assemblea nel suo complesso dal punto di vista generale, con criterio armonico, globale, cioè, in definitiva, con criterio politico.
È per ciò che, pur divergendo dalla prima Camera nel modo della sua formazione, la seconda Camera finisce per funzionare e per arrivare alle sue decisioni in vista dello stesso scopo generico che persegue la prima, in vista cioè dell’interesse generale della Nazione. Cosicché ne deriva non la menomazione della volontà popolare, sibbene il suo completamento, la sua integrazione.
Come dovrebbe procedersi, guardando la questione da un punto di vista concreto, alla costituzione di questa seconda Camera?
Tenendo presente la complessa realtà sociale, sembra utile arrivare ad una forma mista di rappresentanza.
Per quanto si riferisce alle attività produttive, intesa questa espressione nel senso più lato, ci sono gli interessi dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, dei trasporti e di altre attività produttive, per l’insieme delle quali vanno naturalmente prese in considerazione le varie categorie dei lavoratori.
Ci sono le esigenze della cultura, delle arti, delle scienze, delle professioni, che debbono anch’esse avere la loro voce dell’Assemblea.
E c’è poi il campo vastissimo delle esigenze e degli interessi territoriali, anzitutto della Regioni. Al qual proposito è opportuno notare che la rappresentanza non potrebbe essere eguale per tutti le Regioni, ma che dovrebbe attribuirsi ad ogni Regione una rappresentanza proporzionata alla sua popolazione.
Ci sono inoltre gli interessi territoriali dei Comuni e, nel caso che siano conservate, delle Provincie, che vanno anch’essi tenuti presenti.
Ed infine si potrebbe accettare la proposta dell’onorevole Conti tendente all’ammissione nella seconda Camera di un ristretto, o magari ristrettissimo numero di senatori nominati dal Capo dello Stato.
Ci sono personalità di altissima esperienza e valore, che per il loro temperamento od il loro ufficio non vogliono o non possono prendere parte alle competizioni elettorali. Privare la seconda Camera dell’apporto di tali uomini non è opportuno. Per ciò può ammettersi che il Capo dello Stato possa procedere, in misura, siccome si è detto, limitata o limitatissima alla nomina di tali uomini, predeterminandosi magari le categorie dalle quali sarebbe consentito di presceglierli.
Prima di chiudere ritiene opportuno di dare un chiarimento a quanto si è detto circa la Camera dei Lords.
I poteri di questa Camera sono stati molto limitati, ma non ridotti a nulla.
I Lords possono ancora mettere una remora alle leggi votate dai Comuni, ed i Lords inoltre esercitano sull’operato del Governo e sulla politica in generale una funzione di critica, che in un paese come l’Inghilterra, dove la pubblica opinione ha molto peso, non va affatto svalutata.
Dovrebbe inoltre chiarire un altro punto riguardo alla similitudine che da un collega è stata fatta, parlando della rappresentanza regionale nel Senato, tra il sistema dell’autonomia regionale ed il sistema federale. Ma si riserva di intrattenersi su tale problema, quando verrà in discussione il progetto sulle autonomie regionali.
(La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.25).
MANNIRONI condivide pienamente le argomentazioni dell’onorevole Ambrosini. Non può invece condividere il punto di vista, espresso dagli onorevoli La Rocca, Lussu e Lami Starnuti, i quali, pur manifestando, in linea di principio, la loro simpatia per il sistema unicamerale, finiscono però per aderire al sistema bicamerale, quasi per effetto di un compromesso, come si è espresso l’onorevole Lussu. Ora, non si può accogliere un istituto di tanta importanza per semplice compromesso; né si capisce con chi sarebbe da farsi questo compromesso. Se sono convinti che la maggioranza della Sottocommissione è per il sistema bicamerale in contrasto con la loro teoria o col loro punto di vista, ma ritengono che questo sia pienamente fondato, essi non hanno motivo di arrendersi così facilmente. Si tratta di creare un nuovo istituto e non si può, come diceva l’onorevole Ambrosini, svalutarlo con l’affermare che lo creiamo per compromesso, perché si creerebbe un organismo non vitale, screditato a priori e che il popolo italiano non prenderebbe nella dovuta considerazione.
Il sistema bicamerale è assolutamente necessario ed è fondato su diverse ragioni, che l’onorevole Ambrosini ha già espresse lucidamente e che egli intende integrare. È un organismo necessario, in quanto deve servire a portare in seno al potere legislativo la voce e delle regioni e delle classi produttive, che hanno diritto di dare alla formazione delle leggi quel contributo tecnico, di specializzazione, che gli uomini puramente politici spesso non possono dare.
Circa l’affermazione che la seconda Camera dovrebbe essere espressione, prima di tutto, delle regioni, richiama le discussioni fatte quando si è parlato di regione, nelle quali si è riconosciuto che si vuole determinare uno spostamento del centro di gravità nella struttura dello Stato, nel senso di far passare molte funzioni dallo Stato alle regioni. Perciò si è riconosciuta alle regioni una funzione specifica, organica, autonoma, istituzionale. Ora, da quelle premesse deriva l’inevitabile conseguenza che le regioni devono avere la loro rappresentanza in seno al potere legislativo, devono avere la possibilità costituzionale di portare la loro voce là dove si legifera, anche nella sfera che interessa direttamente le regioni.
Data alle regioni la possibilità di avere una loro rappresentanza diretta in seno al potere legislativo, si può finalmente rendere giustizia anche alle cosiddette regioni povere, le quali hanno creduto finora di non avere avuto la debita considerazione in sede nazionale. Facendole partecipare, con poteri eguali o con paritetica rappresentanza, alla seconda Camera legislativa, si dà loro il modo e la possibilità di far sentire finalmente la loro voce e di far valere i loro interessi diretti in sede nazionale; e con ciò si evita anche il pericolo, da molti accennato e temuto, che con il regionalismo si crei una specie di forza centrifuga, disintegratrice dell’unità nazionale. Infatti, quando si dà alle regioni la possibilità di partecipare alla vita dello Stato in seno alla seconda Camera, si dà loro il modo di partecipare direttamente alla vita del paese in sede nazionale, ravvicinandole tra di loro e ravvicinandole, soprattutto, alla vita dello Stato e alla fonte della legge. Onde, assegnando alla seconda Camera la rappresentanza degli organi territoriali fondamentali, quali sono le regioni, si è in perfetta aderenza logica alle premesse che si sono poste quando si è votata la mozione relativa all’istituto dell’ente regione.
Ma la seconda Camera deve dare anche possibilità a tutte le classi produttrici di essere rappresentate nell’organizzazione del potere legislativo. Non si intende con ciò tornare all’organo corporativo di infausta memoria; ma si vuole che tutte le classi produttrici, in tutti i loro settori e in tutti i loro gradi, abbiano il diritto di far valere le loro ragioni, di tutelare i loro interessi, di portare la voce della loro esperienza là dove si elaborano le leggi.
Accenna quindi al modo in cui questa Camera si deve costituire, senza entrare in dettagli, e per aderire all’invito dell’onorevole Lussu, il quale diceva che, per potersi decidere ad accettare il sistema bicamerale, dovrebbe sapere quale sia la funzione della seconda Camera e come questa si debba costituire.
La funzione di questa seconda Camera, se non sarà di piena parità con la prima, dovrà avere notevole importanza, nel senso che essa dovrà collaborare con la prima nella formazione delle leggi. Non avrà il potere di provocare delle crisi dando voti di sfiducia al Governo, ma dovrà avere questa parità di funzioni nel campo legislativo, affinché sia un organismo vitale e possa portare un contributo rilevante nella elaborazione legislativa. E allora, come potrà costituirsi la seconda Camera, tenendo presenti le esigenze della rappresentanza territoriale delle regioni e della rappresentanza delle classi produttive?
Non aderisce all’idea, alla quale pare abbia aderito l’onorevole Ambrosini, già espressa dall’onorevole La Rocca e da altri: che, cioè, la seconda Camera debba essere eletta a suffragio universale, come la prima, perché, con questa soluzione si creerebbe un doppione veramente inutile e pericoloso, mettendo ogni cittadino, probabilmente nella stessa epoca o data, nella condizione di esprimere in duplice sede un unico pensiero ed un unico orientamento. Questa rappresentanza territoriale delle regioni e delle classi produttive si può realizzare utilmente in sede di formazione della seconda Camera, stabilendo che la seconda Camera debba essere formata dalle assemblee regionali con una elezione di secondo grado. È stato detto che le assemblee regionali sono la espressione più diretta della volontà popolare in sede di regione. Se si parte da questo presupposto, non vi è motivo per non concedere a queste assemblee la facoltà e il diritto di eleggere la seconda Camera, la quale risulterebbe come una riproduzione ingrandita dell’aspetto delle assemblee regionali, così come si costituiscono in seguito alla elezione a suffragio universale.
Si potrebbe obiettare che in tal modo si corre il rischio di non avere la rappresentanza paritetica delle regioni e la rappresentanza delle categorie produttive; ma a questo eventuale inconveniente si può rimediare, facendo in modo che le Assemblee regionali siano costituite per un terzo da elementi politici, e per due terzi da elementi tecnici. Cioè, si dovrebbe porre una limitazione alla libertà di voto dei cittadini, nel senso che essi debbano scegliere come rappresentanti regionali esponenti di determinate categorie economiche e produttive o sindacali. Così si potrebbe avere la riproduzione, in sede nazionale, dell’ambiente economico e sociale delle regioni: e si raggiungerebbe lo scopo di creare un organismo, quale tutti desiderano, che sia non un inutile doppione della prima Assemblea, ma un organo quasi tecnico, il quale porti nella elaborazione delle leggi quel contributo che solo le classi direttamente interessate possono portare.
Conclude che in questo modo si va incontro alle esigenze progressiste che sono state fatte presenti. Se tutte le classi produttrici potranno essere rappresentate nella seconda Camera, si sarà compiuta opera veramente democratica. E a chi obietta che i rappresentanti delle organizzazioni sindacali possono essere eletti nella prima Camera, si risponde che una cosa è dare veste di uomini politici a quegli organizzatori sindacali, facendoli entrare nella prima Camera legislativa, ed altra cosa è dare direttamente al lavoratore la possibilità di partecipare di persona alla formazione delle leggi.
NOBILE ritiene di dover intervenire nella discussione – per quanto prima di lui abbiano interloquito così alte competenze nella materia in discussione – e di considerare il problema da un punto di vista personale, con la mentalità del tecnico.
Afferma di non credere alla opportunità e tanto meno alla necessità di due Camere. È un errore riferirsi alle tradizioni storiche per giustificare la creazione di una seconda Camera, nel momento attuale in cui il mondo sta subendo così profondi sconvolgimenti. Una seconda Camera si potrebbe ammettere solo se lo Stato italiano fosse uno stato federale, perché in una federazione di stati è necessario dare la possibilità di manifestarsi agli interessi dei singoli stati, così come avviene in America e nell’Unione Sovietica. A questo proposito però dissente da chi afferma che le due Assemblee, in tal caso, non possono trovare origine dallo stesso corpo elettorale. Avviene così in America e nell’U.R.S.S.; solo che in quest’ultimo stato le singole repubbliche hanno un numero eguale di rappresentanti indipendentemente dalla loro estensione e dalla loro popolazione.
Ma l’Italia non è uno stato federale. Vi sono, è vero, delle regioni, ed è stato rilevato il pericolo che da uno stato regionalista si finisca con lo scivolare lentamente verso uno stato federalista. Ricorda di essersi pronunciato contro la creazione dell’ente regione e coerentemente è ora avverso all’istituzione della seconda Camera, anche se questa dovesse essere soltanto espressione delle regioni.
Un motivo della sua avversione è in ciò che ha detto l’onorevole La Rocca: se le due Camere sono d’accordo, la seconda è superflua; se sono in disaccordo allora la bicameralità è dannosa. Ricorda, al riguardo che in Inghilterra, ove anche i conservatori come Churchill non sono affatto contenti del loro sistema parlamentare, sono state proposte Camere suppletive a quella dei Comuni, ma con competenza completamente distinta: così Churchill proponeva un Parlamento, emanazione della Camera dei Comuni, che si occupasse esclusivamente di questioni economiche; ed una socialista, Beatrice Webb, sosteneva l’istituzione di una Camera che si occupasse di questioni sociali. Ma queste proposte non ebbero alcun seguito.
L’altra ragione per cui è contrario alla istituzione della seconda Camera è che una seconda Camera è una cosa assurda, se ha gli stessi compiti della prima; come è assurdo in un’azienda industriale avere due Consigli di amministrazione.
Circa il vantaggio, di cui si è detto, di completare la rappresentanza con l’apporto di competenze che altrimenti non potrebbero pervenire all’Assemblea legislativa, osserva che nonostante le affermazioni contrarie, con ciò si tende in sostanza a ricostituire una specie di Camera delle Corporazioni. Non crede che il sistema attuale di elezione non consenta ai rappresentanti delle varie categorie di pervenire all’Assemblea legislativa: col sistema della rappresentanza proporzionale si ha di fatto l’immissione in questa Assemblea, non soltanto di politici professionali, ma anche di rappresentanti di categoria, e nell’attuale Assemblea Costituente, tutte le categorie sono rappresentate da operai, ingegneri, professionisti ed anche industriali. L’apporto delle competenze specifiche, d’altronde, si potrebbe avere assicurando a tutti i progetti di legge una preventiva od una contemporanea discussione pubblica, attraverso la stampa e le istituzioni varie. Quando l’Assemblea legislativa è obbligata a seguire queste discussioni, essa deve tener conto delle opinioni espresse dalle varie categorie interessate. E questo, d’altronde, è sempre avvenuto.
Non crede all’affermazione che la seconda Camera potrebbe contribuire alla stabilità del Governo, e ritiene anzi più efficace il sistema unicamerale anche per questo scopo.
Conclude che voterà contro l’istituzione della seconda Camera e, se la seconda Camera verrà adottata, voterà contro tutte le misure particolari che tendano ad aggravare quello che ritiene essere un danno e non un progresso delle nostre istituzioni.
PERASSI dopo l’ampia discussione che si è svolta, si limiterà ad una esposizione sintetica del proprio punto di vista.
L’onorevole La Rocca, all’inizio del suo discorso, ha richiamato i principî che, oltre che espressi dal Bentham, erano stati sostenuti da altri, per esempio dall’abate Sieyès: ma è da domandarsi se quel ragionamento famoso sia veramente fondato o se non sia inficiato da un eccessivo semplicismo. Ritiene che il problema della scelta del sistema debba porsi partendo dal concetto stesso di legge e di funzione legislativa; e a questo proposito richiama una frase di Carlo Cattaneo, il quale definiva la legge come una grande transazione, ossia un atto che tende a contemperare interessi diversi e contrastanti. Da questo concetto discende logicamente l’opportunità che il processo di formazione della legge avvenga in maniera tale che tutti gli interessi, tutti i punti di vista siano adeguatamente rappresentati e quindi l’opportunità, che, accanto ad una Assemblea che esce dal suffragio universale-diretto, cioè dalla massa della popolazione considerata come massa di individui, ci sia una seconda Camera, la quale esprima altre cose che pure esistono, perché la nazione non si può risolvere semplicemente in una massa di individui, ma è qualcosa di assai più complesso, e accanto agli individui esistono le istituzioni e quindi interessi particolari che hanno bisogno di essere adeguatamente rappresentati.
Ritiene perciò che sia più conveniente il sistema bicamerale che risponde a questa esigenza c rileva che lo stesso onorevole La Rocca, dopo aver reso omaggio al principio teorico dell’inutilità della seconda Camera, in linea pratica ha riconosciuto che il sistema bicamerale assicura una maggiore ponderazione nella formazione delle leggi, espressione perfettamente accettabile, intendendo la parola ponderazione in tutto il suo ampio significato, non soltanto nel senso di una maggiore perfezione tecnica, ma anche e soprattutto di maggiore ponderazione dei diversi interessi che la legge deve regolare.
Affermato questo concetto, non crede che in questo momento convenga entrare (per quanto sia un po’ difficile fare una netta separazione) nel problema del come organizzare la seconda Camera, che dovrà essere affrontato in seguito. Solo qui conviene fare qualche accenno di carattere generale.
Il fatto che si vogliano creare in Italia le regioni comporta quasi necessariamente la opportunità che la seconda Camera debba anzitutto fondarsi sulla creazione di questo ente, cioè che i membri della seconda Camera escano dalle Assemblee generali. Non crede che la rappresentanza a base regionale possa mettere in pericolo l’unità dello Stato; al contrario, la presenza di una rappresentanza regionale giova all’unità dello Stato e assicura una legislazione statale che meglio tenga conto delle diverse esigenze regionali, perché vi sono problemi in cui il punto di vista degli interessi regionali ha un peso notevole.
La creazione della seconda Camera ha inoltre l’utilità di permettere di avere un organo costituito dalla riunione delle due Camere, cioè l’Assemblea nazionale, alla quale si possono attribuire determinate funzioni, come l’elezione del capo dello Stato e qualche altra.
Non è forse questo il momento di affrontare il problema se la seconda Camera debba essere in una posizione perfettamente eguale alla prima; problema delicato, che va anzitutto esaminato in rapporto al concorso nella formazione della legge (potere legislativo in senso stretto). Da questo punto di vista ritiene che la parità di concorso sia preferibile; per quanto la Costituzione francese che si sta elaborando, pur cercando di temperare il difetto della prima redazione, abbia mantenuto nel Consiglio della Repubblica il carattere di una seconda Camera posta in una posizione di inferiorità rispetto alla prima, tanto che la si è definita una Chambre de réflexion, che, in fondo, si riduce ad una Camera consultiva.
MORTATI presenta il seguente ordine del giorno:
«La seconda Sottoconimissione afferma che l’istituzione di una seconda Camera è necessaria a dare alla rappresentanza politica pienezza di espressione, collegandola più intimamente con la complessiva struttura sociale, e passa all’esame del problema dei rapporti tra le due Camere ed al loro modo di composizione».
ROSSI PAOLO nota che tutti sono convinti che i partiti politici non esauriscono l’infinita varietà delle esigenze sociali e che, ad esempio, l’economia, il lavoro, la cultura, non riescono ad essere rappresentati in maniera piena dai partiti politici. Ma la speranza, espressa dall’onorevole Ambrosini, di conseguire una precisa ed equilibrata rappresentanza di tutti gli interessi economici, sociali e culturali in una seconda Camera, supera quello che si può raggiungere. Innanzi tutto si deve considerare che la vita sociale è in continua evoluzione, e che riuscirebbe assai difficile cristallizzarla in una rappresentanza della durata di 6 anni. Quando si fosse straordinariamente fortunati, la seconda Camera potrebbe rispecchiare le esigenze economiche e sociali dell’oggi. Ma è certo che, per la legge inesorabile del trascorrere continuo delle cose, quello che si fissasse oggi sarebbe inadeguato alla realtà di domani. Si dovrebbe allora immaginare una legge sulla composizione del Senato che fosse modificabile di legislatura in legislatura. In questo modo la politica, che si vuole mettere fuori dalla porta di questa seconda Camera, entrerebbe subito di nuovo dalla finestra: entrerebbe con la necessità di apportare queste modificazioni, di stabilire il nuovo modo di composizione del Senato e di interpretazione dei nuovi interessi in conflitto, allo scopo di determinare una loro proporzionale rappresentanza. Tutto ciò comporta infatti un giudizio politico che sarebbe influenzato dal mutevole clima politico. Se al momento di modificare la legge sulla composizione del Senato vi fosse alla Camera una maggioranza di destra, si cercherebbe di dare una maggiore rappresentanza nel Senato ai datori di lavoro; se la maggioranza suddetta fosse di sinistra, si cercherebbe di dare una maggiore rappresentanza in Senato ai lavoratori. Quella perfezione, che anche teoricamente pare irraggiungibile, verrebbe pertanto immediatamente deformata dalla necessità di modificare la legge secondo una concezione politica e soltanto politica.
Per queste ragioni i Commissari socialisti sono contrari, non per antipatia preconcetta, ad una Camera corporativa, ad una Camera di interessi di categoria, come press’a poco ora si ha nella Spagna e nel Portogallo: una siffatta Camera non sarebbe efficace e non si raggiungerebbero con essa gli scopi enunciati dall’onorevole Ambrosini.
Una seconda Camera formata mediante elezioni di secondo grado sarebbe certo meno imperfetta e meno arbitraria di quella corporativa.
BULLONI ritiene che l’istituzione della seconda Camera sia reclamata quale elemento moderatore e integratore, con parità di concorso con l’altra Camera, nella elaborazione ponderata della legge, che costituisce la funzione essenziale del potere legislativo.
L’istituzione della seconda Camera, come rappresentanza di interessi politici generali, risponde ad una esigenza profondamente sentita nel Paese, come la consultazione del 2 giugno ha potuto chiaramente esprimere, talché anche in questa sede, salva l’eccezione dell’onorevole Nobile, e pur con talune riserve da parte di qualcuno, si è aderito al principio del sistema bicamerale.
La seconda Camera non può non derivare da una fonte elettorale diversa da quella della prima, sia pure concepita con criterio elettivo. Le difficoltà sorgono allorquando si affronta il problema della composizione della seconda Camera; difficoltà, che s’incontrano sempre quando si affrontano problemi nuovi, ma che non sono insuperabili.
Innanzitutto occorre fare riferimento ad organismi che hanno già una configurazione giuridica riconosciuta; primi tra i quali le regioni. Attraverso le designazioni delle regioni, la seconda Camera verrebbe ad essere anche espressione di interessi spiccatamente locali.
Ma, accanto alle regioni, occorre considerare, dal punto di vista della funzione elettorale della seconda Camera, la cultura. Non si reca ingiuria ai principii della democrazia, se si riconosce ad esempio al professore di università il diritto ad una pluralità di voto, che egli di fatto verrebbe a conseguire. Chi consuma tutta la sua esistenza e le risorse del suo ingegno nello studio deve avere riconosciuta una posizione che lo differenzi, ad esempio, dal portiere della università stessa. Né è questo un argomento demagogico a rovescio; anzi è l’espressione del doveroso omaggio di ogni cittadino alle benemerenze della intelligenza e dello studio. Gli atenei hanno una fisionomia giuridica ben definita e possono contribuire alla designazione di loro rappresentanti nella seconda Camera.
Anche per le forze produttrici la capacità elettorale è conseguibile allorquando si riconoscano giuridicamente gli enti e le associazioni che tali forze organizzano. Fra gli organismi che hanno già una configurazione giuridica riconosciuta sono le camere di commercio, che rappresentano gli interessi dell’agricoltura, dell’industria, ivi compresi i trasporti, del commercio e della banca. Fra le altre forze produttrici, forse in via primaria, sono le forze del lavoro, circa le quali confessa di non essere ancora riuscito a trovare una soluzione da proporre alla considerazione della Sottocommissione. La difficoltà per la designazione delle forze del lavoro consiste nel fatto che il sindacato non è ancora giuridicamente riconosciuto e vige il principio della libertà di organizzazione. Fa quindi appello alla più consumata esperienza in materia degli onorevoli colleghi, perché si deve pur trovare una soluzione anche per la legittima rappresentanza delle forze del lavoro, superando quelle difficoltà che invece non si incontrerebbero per le altre categorie, che poggiano su istituti giuridicamente riconosciuti e accettati.
Altra fonte per la costituzione della seconda Camera dovrebbero essere i Consigli professionali; e ricorda che non ci sono soltanto i Consigli forensi, ma anche quelli dell’ordine dei Medici, dei Farmacisti, degli Ingegneri ecc. Tutte le professioni hanno un ordinamento giuridico al quale può essere affidata l’elezione dei rappresentanti alla seconda Camera. Ed anche gli artisti devono avere la loro rappresentanza nella seconda Camera. Anche per essi però si incontrano le difficoltà enunciate a proposito dei rappresentanti delle forze del lavoro.
Una parte dei componenti della seconda Camera dev’essere riservata alla nomina del Presidente della Repubblica. È evidente che questi non può avere solo una funzione decorativa, e già è stato rilevato che, per garantire una relativa stabilità di governo, occorre attribuire dati poteri al Capo dello Stato. Ora, uno degli elementi che valgono a conferire autorità e prestigio effettivo al Capo dello Stato è quello di demandare a lui la nomina di una aliquota, sia pure minima, dei componenti della seconda Camera, poiché in tal modo potranno essere integrate le deficienze delle designazioni dei vari corpi ed organi elettorali con la nomina delle più alte personalità della scienza, dell’arte, delle superiori attività del cittadino.
Accenna infine alla possibilità di trovare una soluzione delle difficoltà accennate per quanto riguarda le forze del lavoro, se non anticipando la adozione di provvedimenti legislativi in argomento, almeno accettando, per necessità incombenti, la situazione di fatto, e rimettendosi alle designazioni delle Camere del Lavoro.
LAMI STARNUTI presenta il seguente ordine del giorno, firmato anche dagli onorevoli Rossi Paolo, Bocconi, La Rocca, Ravagnan, Grieco, Calamandrei e Lussu:
«La seconda Sottocommissione esprime parere favorevole al sistema bicamerale, a condizione che la seconda Camera non sia costituita in modo da alterare la fisonomia politica del Paese, quale è stata rispecchiata dalla composizione della prima Camera».
AMBROSINI risponde subito alle osservazioni interessanti dell’onorevole Paolo Rossi, il quale ha affermato che quanto l’Ambrosini sostiene è un optimum, che però non si può raggiungere per l’impossibilità di dosare il quantitativo di rappresentanti da attribuire alle singole categorie della produzione e dell’attività lavorativa nelle sue varie espressioni fondamentali.
Si tratterebbe adunque di difficoltà d’ordine pratico, le quali è da credere che possano superarsi ricorrendo a certi criteri generali da fissare pregiudizialmente. Così per quanto riguarda l’agricoltura, l’industria, il commercio, i trasporti, le varie forme di attività intellettuale, quali la scienza, l’arte, le professioni libere, ed altre attività ancora, quali, ad esempio, l’artigianato, che per le sue peculiari caratteristiche tecniche e per la sua funzione sociale può bene essere considerato come una categoria a sé stante, meritevole di avere una propria voce ed una propria rappresentanza.
Indubbiamente, sarà sempre in base ad una valutazione empirica dell’importanza approssimativa delle singole categorie nella vita economico-sociale del Paese che si procederà all’assegnazione di un differente numero di rappresentanti a ciascuna di esse.
Questa valutazione verrà di necessità fatta e giustamente fatta, in base ad un orientamento politico, quell’orientamento politico che in definitiva segna gli scopi da raggiungere e suggerisce i mezzi tecnici più idonei allo scopo.
È stato detto che l’insieme delle varie categorie produttrici può paragonarsi ad un fiume fluido, nel quale però non sarebbe possibile captare ed isolare le singole correnti. Si potrebbe aggiungere, continuando i paragoni, che le categorie in questione possono raffigurarsi come fondibili in un arcobaleno.
Orbene, l’isolare i vari colori è difficile, ma non impossibile. Comunque non è affatto impossibile determinare quali essi fondamentalmente sono, ed attribuire ad ognuno dei colori una data importanza. Per tornare al concreto è difficoltoso, ma non impossibile determinare l’importanza delle varie categorie produttive e stabilirne il relativo quantitativo di rappresentanza.
Né c’è alcun pericolo nell’adozione d’un criterio relativo, empirico. Il pericolo ci sarebbe se vi volesse cristallizzare, una volta stabilitolo, tale criterio, proibendone per l’avvenire la modificazione. Ma tale cristallizzazione deve escludersi a priori. Quando si ritenga che siano cambiati i presupposti che servirono nel primo tempo di criterio d’orientamento e di decisione per stabilire il numero di rappresentanti per ogni categoria, il legislatore potrà sempre rivedere la precedente deliberazione, e modificarla nel senso di assegnare a ciascuna categoria quel nuovo quantitativo di rappresentanza che fosse suggerito dalle mutate condizioni ed esigenze della vita economico-sociale-politica del Paese.
Nessun ostacolo quindi sussiste per l’adozione del propugnato sistema. In proposito si richiama ai precedenti della legislazione spagnuola del 1896 e della Costituzione di Weimar del 1919, che creò il Consiglio Economico del Reich sulla base dei principii propri del sistema in discussione. Accenna anche al sistema di votazione per l’elezione dei deputati assegnati alle Università in Inghilterra. Concludendo, rileva che si potrà arrivare con opportuni accorgimenti e cautele ad immettere nella seconda Camera le rappresentanze degli interessi territoriali e professionali e dell’attività lavorativa in genere, in modo tale che integrino e completino la rappresentanza della Camera dei Deputati, funzionando sempre, s’intende, in vista del perseguimento degli interessi generali del Paese globalmente ed unitariamente considerati.
La seduta termina alle 20.45.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.
In congedo: Amendola, Conti, Einaudi.
Assenti: Leone Giovanni, Maffi, Uberti.