Come nasce la Costituzione

SABATO 28 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 28 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Mortati, Relatore – Ambrosini – Fabbri – Fuschini.

Per la morte dell’onorevole Grandi

Presidente – Piccioni – Lussu – Farini – Conti – Einaudi – Lami Starnuti – Patricolo.

La seduta comincia alle 8.45.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Ambrosini propone la seguente articolazione:

«Art. 1. – 1 seggi della seconda Camera sono distribuiti fra le regioni in ragione della loro popolazione con un numero minimo di … senatori per regione.

«Art. 2. – L’elezione dei senatori è fatta per due terzi sulla base della rappresentanza territoriale e per un terzo delle attività produttive.

«Art. 3. – I due terzi dei senatori attribuiti alle regioni sono eletti da un collegio elettorale regionale composto:

  1. a) dai membri dell’Assemblea regionale; b) dai membri dei Consigli elettivi degli altri enti locali territoriali.

«Art. 4. – Un terzo dei senatori assegnati alle regioni è eletto da Collegi speciali delle varie attività produttive secondo la ripartizione che verrà stabilita da una legge speciale».

Gli onorevoli Laconi, Farini, Ravagnan e La Rocca hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, in ordine al modo di costituzione della seconda Camera, decide: 1°) il numero dei rappresentanti di ogni regione nella seconda Camera è proporzionale alla sua popolazione; 2°) i deputati della seconda Camera sono eletti a suffragio diretto e segreto dai componenti i Consigli comunali di ciascuna regione; 3°) sono eleggibili a membri della seconda Camera tutti i cittadini che abbiano compiuto il trentesimo anno di età o concorrano attivamente alla vita economica, sociale e culturale della regione».

Un’altra articolazione ha proposto l’onorevole Fuschini:

«Art. 1. – (Eguale all’articolo presentato dall’onorevole Ambrosini).

«Art. 2. – Il Senato è composto di 300 membri, nominati dai Collegi elettorali conformemente alla legge elettorale, aventi l’età di 40 anni compiuti e appartenenti ad una delle categorie seguenti: 1°) i membri delle Assemblee regionali e deputati provinciali, i sindaci dei comuni dopo 4 anni di funzione; 2°) i professori di Università o di Istituti superiori; i professori di scuole medie pubbliche e private, e i direttori didattici dopo 10 anni di funzioni; 3°) i funzionari dello Stato dal 1° al 6° grado compreso dopo 3 anni di funzioni; 4°) i Presidenti e i membri dei Consigli direttivi delle Camere di commercio, industria c agricoltura dopo … anni di funzioni; 5°) i membri dei Consigli direttivi dei Consorzi agrari dopo … anni di attività; 6°) i membri dei Consigli direttivi dello Federazioni e dei Sindacati di categoria registrati secondo la legge dopo … anni di funzioni; 7°) i membri dei Consigli direttivi dei Collegi o albi professionali dopo … anni di funzioni.

«Art. 3. – Si può essere candidati nella regione ove si è nati e nella regione nella quale si ha il domicilio.

«Art. 4. – Le elezioni dei senatori avverrà col sistema del suffragio universale diretto, segreto e per regioni in base ad apposita legge elettorale».

Si tratta ora di cercare di raccogliere le varie proposte in pochi gruppi, tenendo conto delle loro affinità. Un primo elemento di distinzione potrebbe ravvisarsi nella base elettorale, in ordine alla quale sono state prospettate tre diverse soluzioni: rappresentanza esclusivamente territoriale; rappresentanza di categorie di interessi; rappresentanza mista, genericamente territoriale e di interessi.

Un secondo elemento di raggruppamento poi potrà essere costituito dal tipo di suffragio, diretto o indiretto (2° grado).

LUSSU ritiene che la prima cosa da esaminare è se si voglia ammettere o meno la rappresentanza di interessi.

PRESIDENTE lascia alla Sottocommissione di decidere se porre in votazione il principio puro e semplice senza riferirsi a nessuno degli ordini del giorno.

Dà notizia di un emendamento dell’onorevole Perassi all’articolo 4 proposto dallo onorevole Ambrosio, così formulato: «Il terzo dei senatori assegnato alle regioni è eletto dall’Assemblea regionale entro le categorie che saranno stabilite da una legge speciale, ecc.».

MORTATI, Relatore, esprime l’avviso che, in merito alla base elettorale, la Sottocommissione si sia già pronunciata. Quando fu approvato il concetto che la seconda Camera dovesse dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della Nazione, non solo secondo l’opinione dei presentatori dell’ordine del giorno, ma anche secondo quella degli oppositori, si intese affermare un maggior contatto con le associazioni o forze della produzione. Il dissenso si è manifestato invece sulla possibilità di dare o meno una rappresentanza a queste organizzazioni di categoria.

Ciò promesso, nota che alcune proposte, come quella dell’onorevole Lussu, che riguarda la graduazione della rappresentanza, e quella dell’onorevole Patricolo, relativa alla nomina di personalità locali di particolare valore, potrebbero per il momento essere accantonate, perché esorbitano dalla questione che si vuole risolvere.

Rileva poi che non si può procedere ad una violazione separata, della base elettorale prima e del modo di elezione dopo, perché questi sono elementi strettamente connessi. Occorre altresì tener conto della situazione transitoria, in quanto molti sarebbero favorevoli alla rappresentanza di interessi, ma si arrestano di fronte alla situazione attuale di carenza di organizzazioni di categorie, riconosciute dalla legge o comunque facili ad identificarsi. La preoccupazione in merito alle difficoltà di una immediata pratica attuazione del progetto apparo legittima, quando si consideri che la seconda Camera potrebbe essere chiamata a funzionare fra breve tempo. L’onorevole Lami Starnuti ha anche manifestato la sua perplessità di fronte alla assenza di progetti sufficientemente dettagliati e che diano un orientamento preciso sull’effettivo funzionamento della rappresentanza proposta. Crede che tutte queste considerazioni dovrebbero consigliare ai vari presentatori di proposte di cercare, con un lavoro più approfondito, di trovare delle formule di compromesso che possano orientare meglio le correnti manifestatesi nella Sottocommissione, precisando anche, nei limiti del possibile, sia gli ordinamenti futuri di questa rappresentanza di categorie, sia le disposizioni transitorie per rendere possibile un tentativo di attuazione immediata.

PRESIDENTE obietta all’onorevole Mortati che può essere sentita la necessità di norme transitorie per una immediata attuazione, ma occorre che sia soprattutto tenuto di vista il carattere permanente della Costituzione. Bisogna quindi che ci siano dei dati, se non accertati, almeno accertabili e precisi per trovare una formulazione che contemperi la provvisorietà con la stabilità.

Nota che, se l’interpretazione dell’onorevole Mortati riguardo ad una decisione precedente fosse valida, la maggior parte della discussione delle ultime riunioni sarebbe stata inutile e si potrebbero scartare diverse formulazioni, semplificando il problema. Ma nessuno si è accorto di una tale inutilità. Già si è trattato dell’interpretazione da dare all’espressione «forze vive», riconoscendo che non si è detto niente di inequivocabile e decisivo.

Invita pertanto a non considerare la questione pregiudicata dalla precedente decisione.

AMBROSINI fa rilevare che, tenendo conto della impossibilità od estrema difficoltà di mettere subito in moto il meccanismo elettorale per la prima elezione della seconda Camera, ha inserito nel suo progetto sulle autonomie regionali una disposizione transitoria, per cui l’elezione dei membri della seconda Camera avrebbe luogo per la prima volta a mezzo dei Consigli Comunali.

Passando ad illustrare il progetto che ha presentato poc’anzi, dichiara di essersi proposto di trovare una via di conciliazione delle vedute diverse. Accennerà ai punti fondamentali. Il primo riguarda il numero dei senatori e la loro distribuzione tra le regioni. Ha già espresso l’avviso che sarebbe utile adottare il criterio della proporzionalità con la popolazione, garantendo però un minimo di seggi ad ogni regione.

Siccome le regioni più popolose hanno un insieme di bisogni maggiore delle più piccole, è naturale e necessario che abbiano un quantitativo di rappresentanza maggiore.

Riguardo alla questione più controversa, della base, eguale o diversa, della rappresentanza per la composizione della nuova Camera, ricorda di avere già esposto i motivi per cui ritiene opportuno che venga adottato un sistema misto sulla base della rappresentanza degli interessi territoriali e della rappresentanza delle attività produttive, delle categorie professionali; alla quale seconda categoria di rappresentanza riserverebbe, per andare incontro al punto di vista degli avversari di questo sistema e per cercare di attenuare le loro apprensioni, soltanto un terzo dei seggi del Senato.

I due terzi dei seggi sarebbero, secondo la sua proposta, assegnati alla rappresentanza territoriale. Questa diversa proporzione potrebbe offrire un punto di incontro fra le due tendenze diverse che si sono manifestate decisamente nel seno della Sottocommissione.

Il desiderio di arrivare ad un accordo non può però spingere alla rinunzia completa, specie quando si tratta di una questione di principio.

Egli è d’avviso che l’attuale struttura della rappresentanza politica basata sull’elezione da parte di un corpo elettorale indifferenziato non arriva a rispecchiare nelle Assemblee legislative tutte le espressioni delle varie forze sociali, e che occorre integrare il sistema attuale, che dà voce soltanto alle ideologie politiche, con l’attribuzione di un quantitativo di rappresentanza alle particolari forze economiche, culturali e lavorativo in generale.

Si rileva in contrario che una tale rappresentanza specifica non è necessaria, in quanto le forze in questione avrebbero già la propria voce ed eserciterebbero appieno il loro peso per mezzo dei partiti.

Ciò può anche ammettersi, ma non basta per colmare la deficienza di rappresentanza specifica alla quale si è accennato.

I partiti, i grandi partiti, si basano sulle ideologie e ne sono i propugnatori. Essi partono da alte vedute di insieme, da un proprio modo di vedere e più ancora di sentire le cose della Nazione e del Mondo, partono cioè da una propria Weltanschauung, che necessariamente li porta a riguardare da quell’alto punto di vista generale le cose particolari, e tendenzialmente a piegare queste al raggiungimento degli scopi supremi segnati nel rispettivo programma di partito. È così che procede avanti la storia.

Ma, oltre alla necessità di alimentare la vita e di indirizzare i movimenti della società e dello Stato sulla scia della grande luce delle ideologie, si appalesa opportuno ed utile sentire la voce dei singoli interessi particolari, non come interessi particolaristici, ma come interessi di grandi categorie, di quelle grandi categorie delle attività produttive e delle varie funzioni sociali, che costituiscono una realtà ed una forza operante nella vita quotidiana, e che per ciò debbono, come tali, essere prese in considerazione anche nel campo politico.

La legislazione può anche arrivare a disconoscerle, ma non per ciò esse cessano di esistere. Ora, se esistono ed operano, è bene che non siano abbandonate a sé stesse, e che non si mettano nella condizione di far valere i loro interessi in modo coperto e magari subdolo attraverso i partiti. È bene cioè che possano direttamente esporre i propri punti di vista, e che all’uopo abbiano una propria rappresentanza in una delle Assemblee legislative.

Questo gioverà non solo ad assicurare alla seconda Camera l’apporto di tecnici che possano prospettare i problemi delle varie branche della produzione e del lavoro, con una competenza specifica superiore a quella che hanno gli uomini politici nella generalità dei casi, ma gioverà anche a stabilire la chiarezza delle situazioni, facendo apertamente assumere ai rappresentanti qualificati delle diverse categorie la precisa responsabilità di quello che sostengono.

Rileva che gli sembra infondato il timore che con l’adozione di questo sistema l’Assemblea si ridurrebbe ad un campo di lotta di particolaristici interessi contrari, che potrebbero finire o col non intendersi e causare così una maggiore confusione, o con l’intendersi e con ciò arrivare a soluzioni ad essi soli favorevoli e contrarie ai consumatori ed all’interesse della Nazione in generale.

Questo pericolo non esiste per varie ragioni: in primo luogo perché i rappresentanti delle categorie sarebbero indotti o, ai fine, costretti, occupandosi nell’Assemblea dei propri rispettivi interessi, a prospettarli da un punto di vista più generale, ad inquadrarli nell’interesse nazionale, e con ciò stesso a smorzarne o ad attenuarne l’ottusità ed il particolarismo.

Il pericolo, in secondo luogo, non c’è, perché l’Assemblea non può, in definitiva, che arrivare ad una decisione improntata a criteri politici.

È la stessa messa in moto del meccanismo dell’Assemblea che trasformerebbe l’impostazione particolaristica data dai rappresentanti delle categorie ai singoli problemi specifici, trasportando questi dal piano angustamente economico a quello più propriamente politico.

Ma c’è una ragione ancora più forte, decisiva che porta a far ritenere insussistente il pericolo da varie parti prospettato, ed è questa: che col progetto presentato, dell’attribuzione di due terzi dei seggi alla rappresentanza territoriale e soltanto di un terzo alla rappresentanza delle categorie in questione, queste sarebbero già in netta minoranza e non potrebbero in conseguenza, anche quando si mantenessero compatte, imporre la loro volontà all’Assemblea.

Deve aggiungersi, in riguardo ad un’altra obiezione che è stata fatta, che una tale rappresentanza non importerebbe affatto un contrapporsi o un diminuire in alcun modo la rappresentanza popolare espressa col sistema di formazione della Camera dei deputati.

L’assegnare una rappresentanza speciale alle varie categorie del corpo sociale, secondo la configurazione suddetta e con gli scopi suaccennati, non significherebbe limitare la sovranità popolare, ma completarla, integrarla, renderla più perfetta e più efficiente.

Continuando ad illustrare il suo progetto, fa rilevare che nell’articolo 3 sia configurato un collegio elettorale regionale di una semplicità lineare, per l’elezione dei due terzi dell’Assemblea non scelti tra i rappresentanti di interessi.

Le categorie di elettori indicate nell’articolo 3 potranno essere magari aumentate; ma ciò che a suo avviso è necessario affermare, anche per avere un nuovo criterio di differenziazione con la prima Camera, è l’opportunità di una elezione di secondo grado, con un collegio elettorale composto delle persone più rappresentative della regione e già investite della fiducia del popolo.

Quando all’altro terzo di cui all’articolo 4, ha ritenuto opportuno che se ne rimandi la ripartizione tra le varie attività produttivo ad una legge speciale; e ciò per evitare i pericoli di una decisione affrettata. Per l’applicazione del principio si dovrà naturalmente arrivare alla formazione degli elenchi degli appartenenti alle categorie. Ciò, per altro, dovrebbe farsi anche se si adottasse il criterio di trasferire il requisito dell’appartenenza alle categorie dagli elettori agli eleggibili

FABBRI sostiene che non sia necessaria una vera e propria iscrizione, perché i requisiti di idoneità personale sono costituiti dalla vita precedente. La Costituzione potrebbe stabilire che per essere eletto occorre aver esercitato una determinata professione, arte o mestiere per un determinato numero di anni. Si tratterebbe soltanto di una constatazione di fatto inerente all’attività svolta e non della iscrizione in un albo.

AMBROSINI ritiene che l’attuazione del principio della rappresentanza organica deve avvenire con l’elezione da parte dei Collegi elettorali di categoria, e non col semplice trasferimento del requisito di appartenenza alla categoria per gli eleggibili. Rileva che chi aspirasse a presentare la sua candidatura, non troverebbe difficoltà a procurarsi tale titolo, a meno che si richiedesse inoltre l’effettivo esercizio per un determinato tempo di una speciale attività produttiva. Comunque, ad un registro delle categorie si dovrebbe arrivare.

FUSCHINI osserva che un registro delle categorie significherebbe un ritorno alla, legislazione corporativa fascista.

AMBROSINI dissente decisamente da questa osservazione. Rileva anzitutto in proposito che il corporativismo non fu inventato dal fascismo. Il fascismo copiò, e malamente, e non attuò affatto il principio, non solo perché volle piegarlo e sfruttarlo a scopi puramente di egemonia di partito e di oligarchie gerarchiche, ma anche perché ne disconobbe lo spirito animatore, sopprimendo il sistema elettivo, che è connaturato con lo stesso principio. Non crede quindi che sia il caso di nutrire le apprensioni che può suscitare quel ricordo.

Per altro, osserva a sua volta che non può disconoscersi la necessità di riguardare e risolvere il problema di un qualche inquadramento degli appartenenti alle categorie, o per lo meno a talune categorie delle branche produttive, non foss’altro per regolare i rapporti di lavoro e stabilire a chi spetti la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro. È l’argomento di cui si sta occupando la terza Sottocommissione.

La verità è che contro il principio della rappresentanza organica agiscono delle prevenzioni alimentate dal ricordo del passato e fors’anche dalla dizione stessa che spesso si usa per indicare tale tipo di rappresentanza. L’espressione di «rappresentanza degli interessi» suscita dell’avversione. Vero è, che è risaputo che la parola «interesse» è adoperata nell’accezione più ampia, tale da comprendere gli interessi culturali, artistici, ecc. Ma la parola resta sempre ostica. Fu forse per questa ragione, e per evitare comunque il riferimento ad «interessi» prestabiliti o ad intenti e programmi conservativi o addirittura reazionari, che uno dei maggiori sostenitori della rappresentanza organica, il De Greef, socialista, usò l’espressione «rappresentanza di funzioni sociali», e che, sulla base appunto delle categorie comprendenti le varie funzioni sociali, elaborò un piano concreto di riforma di tutto il sistema rappresentativo.

Avviandosi alla conclusione, fa presente che molto più modesta è la richiesta di riforma avanzata con l’articolo 4 del suaccennato progetto; essa è limitata soltanto ad un terzo di seggi e di una sola Assemblea. Si augura quindi che venga presa in considerazione per vedere se può arrivarsi ad un punto di incontro fra le opposte tendenze manifestatesi nel seno della Sottocommissione.

Per la morte dell’onorevole Grandi.

PRESIDENTE deve purtroppo comunicare alla Sottocommissione la tristissima notizia, ora ricevuta, della morte dell’onorevole Achille Grandi, Vice Presidente della Camera. Da lungo tempo soffriva di un terribile male e, ciò nonostante, aveva voluto fino all’ultimo conservare i compiti e le responsabilità del suo ufficio, che disimpegnava con piena fiducia delle masse lavoratrici e dei suoi elettori. È, come tutti, profondamente turbato dalla ferale notizia, poiché in tutti è ancor vivo il ricordo di lui e dell’opera sua. Comprende che molti colleghi legati allo scomparso da stretti vincoli di studio e d’affetto, intendano in questo momento recare all’amico scomparso, all’antico compagno di lavoro il tributo della loro solidarietà c devozione.

Propone perciò di sospendere la seduta.

PICCIONI ringrazia il Presidente delle sue parole di sincero compianto per la scomparsa dell’illustre amico. Ringrazia anche gli altri colleghi della manifestazione di solidarietà che intendono dare in questo triste momento. È un gravo lutto, egli pensa, per l’Assemblea Costituente, per il partito, per il Paese e per la classe lavoratrice italiana.

Ricorda che l’onorevole Grandi fu prima di tutto un maestro di vita e un assertore di principî di democrazia, ispirati ad alti concetti di spiritualità e dedicò tutto sé stesso alla elevazione morale e materiale delle classi lavoratrici.

LUSSU si associa all’omaggio reverente reso ad una così grande figura di italiano; una di quelle figure così ricche di vita spirituale, d’intelligenza e di forza di carattere, che sono citate ad esempio perenne da quanti seguono la parola e la vita dei loro capi.

Ricorda che l’onorevole Grandi aveva la fortuna di venire dalla classe operaia e quindi di aver tratto insegnamento non dai libri o da concezioni filosofiche, ma dalle sofferenze stesse del mondo operaio; fortuna, perché è la vita dei lavoratori che determina la civiltà nuova, in contrasto con quella passata che era fondata sul privilegio.

L’onorevole Grandi rappresenta per tutti i partiti una delle più nobili figure che in questo periodo fosco della storia italiana, in mezzo a tante miserie, hanno illuminato la via per procedere verso un avvenire migliore.

FARINI trova difficoltà a parlare per la commozione profonda che lo invade per la scomparsa dell’onorevole Grandi, luminosa figura di combattente della democrazia e capo venerato di masse lavoratrici. Esse perdono in lui un uomo profondamente stimato, che dava alla lotta da loro combattuta uno spirito nuovo, per condurre in questo periodo di ricostruzione il Paese verso una nuova forma di democrazia. Afferma che la perdita dell’onorevole Grandi è una perdita pei tutti i partiti.

CONTI partecipa, a nome del partito repubblicano, all’omaggio reso alla memoria dell’onorevole Grandi. Non può dimenticare questa figura, caratteristica soprattutto per la grande serenità, per una sua propria concezione dei doveri della vita, che fanno onore all’uomo ed anche al partito a cuì apparteneva.

Come uomo di parte, ricorda che da lui furono proferite al Congresso della Democrazia cristiana parole di alta fede repubblicana, le quali indubbiamente influirono sulle decisioni di quel partito in favore della Repubblica. Non erano, le sue, parole di convenienza: erano quelle che poteva pronunciare un uomo che ha sempre seriamente, fortemente lottato per l’elevazione delle classi lavoratrici. Egli sentiva che il movimento operaio non poteva avviarsi verso la sua meta, se non attraverso questa grande conquista.

EINAUDI ha conosciuto l’onorevole Grandi solamente in questi ultimi tempi, ma dalle espressioni alte ed appassionate che lo ha inteso pronunciare ha compreso come l’illustre scomparso appartenesse a quella categoria di grandi organizzatori degli operai che formano il lievito della vera democrazia. Ritiene quindi doveroso il ricordo ed il rimpianto di coloro che, venuti dalla vanga, dall’officina, dal lavoro, hanno dato, come lui, un fattivo contributo alla formazione della nuova Italia.

LAMI STARNUTI si associa a nome dei colleghi di parte socialista alle espressioni di cordoglio in memoria dell’onorevole Grandi. Non ha avuto la fortuna di conoscerlo personalmente; ma di lui ha sentito come, nella lunga vigilia dell’oppressione fascista, fosse uno dei più forti e più tenaci oppositori al regime che opprimeva e disonorava l’Italia.

Crede doveroso ricordarlo ora sotto questo aspetto, mentre manda alla sua memoria un saluto commosso.

PATRICOLO si associa a nome del suo gruppo alle parole di cordoglio dei colleghi per la scomparsa dell’onorevole Grandi, che è stato un assertore degli alti ideali cristiani e dei diritti dei lavoratori.

La seduta termina alle 10.15

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri. Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Grieco, Leone, Rossi Paolo.

Assenti: Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Porzio, Targetti, Uberti.

VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Bordon – Farini – Presidente – Conti, Relatore – Lussu – Nobile – Bozzi –Tosato – Zuccarini – Einaudi – Laconi – Lami Starnuti – Mortati, Relatore – Patricolo – Mannironi – La Rocca – Piccioni – Fabbri – Uberti.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

BORDON dichiara che, se fosse stato presente nell’ultima riunione, avrebbe votato l’articolo proposto dall’onorevole Lussu.

FARINI fa analoga dichiarazione nei riguardi dell’ordine del giorno La Rocca-Grieco.

PRESIDENTE, ricordata l’approvazione nella riunione precedente di un ordine del giorno Tosato, ai termini del quale la base elettiva della seconda Camera deve essere comunque regionale, avverte che si deve passare ora all’esame del tema successivo: pratica attuazione del principio della rappresentanza regionale. Fa presente che nel corso della discussione si sono manifestate varie tendenze e precisamente: per una rappresentanza degli interessi regionali; per una rappresentanza tipicamente di categorie, sempre nell’ambito della regione; per una rappresentanza della regione considerata esclusivamente come entità territoriale. V’è altresì un sistema misto, previsto nell’articolazione dell’onorevole Conti, la quale, però, dovrebbe essere modificata per renderla aderente alla decisione presa circa la base regionale della rappresentanza.

CONTI Relatore, è d’accordo e aderisce anche al desiderio di alcuni colleghi di modificare le sue proposte nel senso di stabilire che ogni Assemblea regionale elegge un numero fisso di senatori.

LUSSU, ricordato che alla sua proposta di comporre la seconda Camera con un numero fisso ed eguale di rappresentanti per ogni regione fu mossa l’obiezione che essa tradiva una aspirazione federalistica, si dichiara disposto a scendere su un terreno di compromesso. Accetterebbe infatti la soluzione di determinare – scartando l’ipotesi della rappresentanza di categorie ed enti culturali, che è contraria alle sue idee – un numero di rappresentanti per ogni regione proporzionato alla popolazione.

A tale scopo propone la seguente formula:

«La seconda Camera è composta di un numero di rappresentanti proporzionale al numero degli abitanti (o, se si preferisce, degli elettori) della regione».

NOBILE chiede se la questione del tipo di rappresentanza debba considerarsi pregiudicata dalle decisioni precedenti.

PRESIDENTE precisa che nell’ordine del giorno votato si è usata un’espressione molto larga, in quanto si è parlato di «forze vive». Ora si tratterebbe, appunto, di stabilire che cosa s’intende per «forze vive».

BOZZI osserva che l’onorevole Lussu nel suo ordine del giorno non dice come i senatori dovrebbero essere eletti: se dalle Assemblee regionali oppure no.

LUSSU consiglierebbe una elezione di secondo grado.

PRESIDENTE avverte che la questione sarà presa in esame in un secondo tempo.

Dà notizia di un progetto presentato dall’onorevole Mortati, che prevede all’articolo 5 una forma di rappresentanza duplice. Detto progetto consta dei seguenti 10 articoli:

«Art. 1. – Il potere legislativo è esercitato collettivamente dalla Camera dei Deputali e dal Senato.

Art. 2. – La formazione e cessazione delle due Camere avvengono contemporaneamente.

Art. 3. – Il Senato è composto da membri eletti dalle regioni, in numero di 300, per la durata di 5 anni. Il numero dei senatori assegnato ad ogni regione è proporzionale a quello dei cittadini in essa domiciliati. Tuttavia nessuna regione potrà avere un numero di rappresentanti superiore a… né inferiore a…

Art. 4. – Per ogni senatore sarà eletto un supplente.

Art. 5. – I seggi di senatore assegnati ad ogni Regione sono per metà coperti con elezione a suffragio diretto, universale, e per l’altra metà con elezioni da effettuarsi nell’ambito di speciali collegi elettorali, formati in base alla appartenenza dei cittadini ad una delle seguenti categorie di attività produttive: a) agricoltura e pesca; b) industria, compresa quella dei trasporti e bancaria; c) commercio; d) scuola e cultura; e) giustizia; f) urbanistica, sanità ed igiene; g) amministrazione pubblica.

Art. 6. – I seggi assegnati ad ognuna delle categorie di cui all’ultima parte del precedente articolo, verranno attribuiti in parti uguali da distinti subcollegi formati rispettivamente dagli addetti ad attività di lavoro salariato, oppure di lavoro autonomo direttivo.

Art. 7. – L’assegnazione del numero dei membri da eleggere dalle singole categorie nell’ambito di ciascuna regione sarà fatta con legge costituzionale, da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni, tenendo conto del diverso grado di efficienza di ognuna.

Art. 8. – I procedimenti elettorali per la nomina dei due gruppi di senatori saranno determinati da apposita legge.

Art. 9. – Partecipano alle elezioni per la parte dei senatori da eleggere a suffragio generale tutti i cittadini, i quali abbiano compiuto il 25° anno di età.

Sono elettori nei collegi speciali i cittadini appartenenti alle singole categorie che abbiano compiuto il 21° anno di età (oppure, che abbiano raggiunto la maggiore età).

Art. 10. – Sono eleggibili alla carica di senatore i cittadini, i quali, oltre a possedere i requisiti richiesti per le elezioni alla Camera dei Deputati, abbiano raggiunto l’età di anni 40, e abbiano coperto per almeno due anni una delle seguenti cariche:

  1. a)

Per l’elezione nei collegi speciali occorre altresì che i candidali appartengano effettivamente alla categoria corrispondente a ciascuno dei collegi stessi».

TOSATO ricorda di aver presentato una proposta che differisce in parte da quella dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE fa rilevare che con la proposta Tosato si circoscrivono le elezioni nell’ambito ristretto di determinate categorie, escludendosi una rappresentanza puramente territoriale.

ZUCCARINI parte dal presupposto che il Senato debba avere una funzione integratrice e perfezionatrice nei riguardi della prima Camera, e debba essere espressione di un pensiero più maturo, di una maggiore ponderazione. Trova che porre a base della sua composizione la rappresentanza di interessi, significherebbe restringere la visuale ad un campo particolaristico, anziché generale. Se ciò è inopportuno, è altresì difficile stabilire quali sono questi interessi, e a quali va data la prevalenza. V’è inoltre da aggiungere un’altra considerazione, e cioè che, con questo sistema, non si conferirebbe alla seconda Camera maggiore competenza o capacità. Ogni rappresentante di interesse sarebbe particolarmente competente nel suo campo e l’unione di diverse competenze specifiche darebbe luogo all’incompetenza generale. Un agricoltore, ad esempio, potrà decidere con cognizione di causa su questioni che riguardano l’agricoltura, ma chiedere un parere al riguardo ai rappresentanti di altri interessi equivarrebbe a chiedere il parere di incompetenti.

Per queste ragioni è contrario alla rappresentanza di interessi, come pure alla rappresentanza mista, territoriale e di interessi, che comporterebbe una duplice partecipazione alle stesse elezioni; ed esprime il parere che il sistema migliore sia quello della rappresentanza esclusivamente regionale, che dà modo al cittadino di manifestare la sua volontà una prima volta come individuo politico, attraverso l’elezione della prima Camera, ed una seconda volta come persona interessata ai problemi amministrativi ed economici della sua regione.

EINAUDI non si rende conto di come una elezione lfatta unicamente per regioni possa dare una rappresentanza diversa da quella della prima Camera. A meno che per la prima Camera non si costituisca un collegio nazionale, anch’essa sarà eletta da elettori appartenenti alle singole regioni. Occorre un criterio discriminatore, affinché si possa dire che con la prima elezione non si ha una rappresentanza delle regioni, mentre lo si ha con la seconda.

NOBILE si dichiara contrario al criterio della rappresentanza di categorie. Spingendo al paradosso l’obiezione dell’onorevole Zuccarini, osserva che se, per esempio, i rappresentanti fossero 150 e 150 gli interessi rappresentati, nella trattazione di un qualsiasi argomento ci sarebbero un solo competente e 149 incompetenti. È invece favorevole all’elezione, senza limiti di interessi da rappresentare, da parte dell’Assemblea regionale e alla determinazione di un numero eguale di rappresentanti per ogni regione, così da dare a ciascuna lo stesso peso nelle decisioni.

LACONI condivide l’opinione dell’onorevole Zuccarini. Il sistema della doppia rappresentanza tipicamente regionale e di interessi regionali non considera l’assurdità di una distinzione tra rappresentanti regionali e rappresentanti di interessi regionali. In sostanza si dovrebbero creare come due piccoli Parlamenti che in comune non avrebbero che il fatto di sedere nella stessa aula.

A suo avviso, l’unica rappresentanza concepibile è invece quella genericamente regionale. D’altronde, una seconda Camera così composta potrebbe rimediare alle eventuali sue deficienze attraverso gli apparali tecnici di cui potrebbe circondarsi e mantenendosi in contatto con gli organismi tecnici della regione.

All’obiezione dell’onorevole Einaudi risponde che un criterio distintivo tra le due Camere si avrebbe già nella diversità del mandato: mentre i deputati ricevono un mandato genericamente politico, i senatori avrebbero un preciso mandato di rappresentanza regionale.

Una seconda distinzione si avrebbe poi nel corpo elettorale, poiché la seconda Camera non sarebbe costituita con i criteri larghi della prima, ma con una scelta oculata e selezionata.

Si dichiara infine contrario alla tesi Tosato di una rappresentanza unicamente di interessi regionali, che porrebbe le Assemblee regionali di fronte alla insormontabile difficoltà di determinare una proporzione ed una scala di valori tra i vari interessi.

Ripete, per concludere, che unica soluzione accettabile è quella di costituire la seconda Camera con rappresentanze regionali genericamente intese, rimanendo implicito che esse rispecchiano la situazione regionale sotto tutti i punti di vista, anche sotto quello degli interessi economici.

LAMI STARNUTÌ si dichiara contrario alla rappresentanza degli interessi, soprattutto tenuto conto del fatto che le categorie riescono sempre, anche se non è loro riconosciuta una rappresentanza diretta, a farsi valere attraverso le elezioni politiche.

Difficilissimo ritiene poi lo stabilire la proporzione tra le varie categorie di interessi, e gradirebbe che l’onorevole Mortali, uscendo dal generico, indicasse con un esempio pratico quale potrebbe essere la ripartizione dei seggi fra le categorie in una determinata circoscrizione regionale, presa come circoscrizione tipo.

Concorda con l’onorevole Lusso che il numero dei seggi dovrebbe essere stabilito in proporzione alla popolazione della regione, il che consentirebbe di mantenere esattamente il rapporto proporzionale tra eletti ed elettori. Assegnando a ciascuna regione un numero fisso di seggi, indipendentemente dalla rispettiva popolazione e con la sola differenziazione delle categorie, si creerebbe una fisionomia politica della seconda Camera non corrispondente a quella reale del Paese.

MORTATI, Relatore, si propone di illustrare più dettagliatamente le sue proposte, venendo così incontro al desiderio di alcuni colleghi.

Premette che, in sostanza, i fini politici che si vogliono realizzare con la seconda Camera si possono riassumere nelle seguenti tre proposizioni: 1°) maggior contatto tra l’orientamento generale e gli interessi concreti del Paese, che dovrebbero tutti avere una loro rappresentanza; 2°) realizzazione ad arte di quel necessario equilibrio fra tutte le forze politiche che consenta alle più deboli, a quelle che in sede di elezioni politiche non hanno potuto conseguire, per la natura stessa del suffragio universale, una adeguata affermazione, di organizzarsi e di acquistare coscienza di sé; 3°) maggiore idoneità ad affrontare i compiti affidati al Parlamento che in uno Stato moderno è chiamato a risolvere una quantità di questioni tecniche attraverso l’immissione di elementi particolarmente competenti.

Appunto per raggiungere questi fini egli ha proposto di abbinare al criterio funzionale quello organico, intendendo con quest’ultimo il collegamento della rappresentanza politica con le varie articolazioni, territoriali e di categorie produttive, che formano la struttura sociale della nazione.

Ritiene che la esigenza di una rappresentanza separata di interessi territoriali e di categoria non venga inficiata dalle obiezioni che sono state sollevate. L’onorevole Terracini ha opposto che la rappresentanza degli interessi trovasi già realizzata dai partiti nelle elezioni politiche. Se così fosse, il problema sarebbe già risolto. Ma l’onorevole Einaudi ha giustamente fatto rilevare che questa rappresentanza, se vi è, è casuale. Sebbene il concetto dell’onorevole Einaudi sottintenda uno dei postulati della teoria liberale, secondo il quale le forze sociali in lotta devono trovare da se stesso il loro equilibrio, l’affermazione della casualità di rappresentanza non può non fare riflettore che in una collettività, organizzata secondo criteri politici non puramente liberistici, occorre trovare i correttivi, non per mutare artificiosamente il rapporto di forze, ma por consentire a tutte le forzo politiche di avere assicurata una propria rappresentanza in seno agli organi legislativi. Lo stesso onorevole Einaudi ha ammesso, d’altra parte, la necessità di assicurare comunque la rappresentanza degli interessi culturali. La tendenza degli Stati moderni è non soltanto nel senso di affermare i diritti di libertà di rappresentanza, ma anche in quello di assicurare tali diritti, creando i presupposti necessari affinché sia garantita la partecipazione di tutti i cittadini e di tutte le categorie.

D’altra parte, quando si parla di interessi generali, non si deve dimenticare che l’interesse generale scaturisce dalla confluenza dei vari interessi particolari. I fascisti e i nazisti presumevano di avere dalla divinità la capacità di interpretare l’interesse generale, e quindi di potere esercitare dall’alto un compito equilibratore delle forze politiche. Ma l’interesse generale non è un «a priori»; al contrario, è un «a posteriori» cioè, la risultante dell’accordo fra vari interessi particolari. L’onorevole Terracini ha sostenuto che i partiti trovano nelle loro ideologie il mezzo per operare una sublimazione degli interessi delle varie classi. Ma in qual modo potrebbero fare ciò? Se essi non possono invocare l’intervento divino, non sono suscettibili di operare la sintesi precisa se non ascoltando la voce, allo scopo del coordinamento, del maggior numero di esponenti di interessi frazionari. Più si facilita la partecipazione degli interessi particolari alla cosa pubblica, e meglio si raggiunge l’interesse generale, la cui realizzazione riuscirà perciò più aderente alle situazioni create.

Non crede fondata l’eccezione che questi interessi rimarrebbero sempre interessi particolari, perché si tratta di organizzarli in modo che riescano a superarsi. A suo avviso un tale scopo meglio si otterrebbe facendo intervenire queste forze particolari in un organo che assumesse responsabilità politiche.

Con le proposte formulate si vuole proprio fare della camera di categorie una vera camera politica – si vuole cioè che quegli interessi siano messi in condizione di agire con piena coscienza di sé, e siano chiamati a trovare essi stessi la confluenza del particolare che rappresentano nell’interesse generale.

È noto che spesso quello che i partiti sbandierano quali interessi generali nascondono sotto questa etichetta interessi particolari. Per esempio i siderurgici, gli zuccherieri, i granari, sono titolari di interessi che fanno valere surrettiziamente attraverso l’etichetta del bene della Patria, dell’interesse nazionale. Se invece si costringessero a rivelarsi per quello che sono, ad assumere la loro responsabilità e ad inquadrare le loro esigenze particolari nell’interesse pubblico, si farebbe cosa utile.

Si vuole, in sostanza, ottenere che i portatori delle varie esigenze di categoria portino sì la voce della loro classe, ma siano anche obbligati ad uniformare la loro attività all’interesse generale, costringendoli a rispondere del loro operato di fronte a tutta la Nazione. Gli operai che chiedono un aumento salariale se, invece di agire fuori del campo politico, dovessero far sentire la loro voce direttamente in una Assemblea legislativa, sarebbero impegnati a prender posizione circa le conseguenze politiche della loro richiesta; sarebbero, obbligati a pronunziarsi sulla preferenza verso una politica di inflazione o di deflazione, a dichiarare i criteri circa un’eventuale redistribuzione del reddito, ecc. Così essi farebbero valere i loro interessi particolari in un quadro politico generale. È in questo modo che l’oratore concepisce la rappresentanza degli interessi.

Ciò premesso, osserva che si tratta di trovare i modi di organizzazione del suffragio di cui si parla più idonei ad ottenere la politicizzazione degli interessi di categoria. Taluni hanno pensato alle elezioni di secondo grado; altri, come l’onorevole Tosato, ritengono opportuno che questi interessi possano venire in luce attraverso la determinazione delle categorie degli eleggibili. Quindi l’industria, il commercio, l’agricoltura, ecc., sarebbero rappresentati, non attraverso rappresentanze di gruppi, ma attraverso ad elezioni generali o dirette o di secondo grado.

A chi si è posta la domanda perché egli, dal canto suo, abbia consigliato due specie di rappresentanza regionale, fa presente che certo l’ideale sarebbe una Camera tutta formata di rappresentanti di categorie; ma, limitandosi alla rappresentanza delle attività produttive, si lascerebbero fuori numerose categorie di cittadini non inquadrabili; per esempio, le donne non addette a lavori produttivi, i militari, i ministri del culto, i pensionati, gli studenti. Questi resterebbero esclusi dal suffragio, mentre essendosi premesso che la seconda Camera dovrà uniformarsi, nei limiti del possibile, alla prima per quanto riguarda l’efficacia rappresentativa, occorreva trovare una maniera per ovviare all’inconveniente. Perciò ha proposto che una metà dei seggi sia attribuita dai cittadini in generale, mediante suffragio diretto e universale.

Precisa all’onorevole Einaudi, che ha domandato se e come la seconda Camera si distinguerebbe dalla prima, che i criteri di differenziazione sono molteplici. Un primo riguarda la categoria degli elettori, che dovrebbero avere 25 anni di età; un secondo i requisiti per la eleggibilità (età superiore ai 40 anni e appartenenza a determinate categorie generali di capacità, da determinarsi con apposita elencazione); un terzo il metodo delle elezioni; un quarto la diversa rappresentanza attribuita alle regioni. Al riguardo osserva che, se si respinge la tesi di una rappresentanza paritetica per ogni regione, che è considerata troppo federalista, e si accoglie il criterio della proporzionalità con la popolazione, occorre determinare un limite minimo ed un limite massimo nel peso politico delle varie regioni. Come esempio di ordinamenti, in cui le due Camere elette entrambe a suffragio universale si differenziano per le diverse modalità dei congegni rappresentativi, cita la Svizzera, gli Stati Uniti, la Cecoslovacchia, ecc.

Superate queste obiezioni osserva che rimane la difficoltà pratica di individuare queste categorie. Qui si duole di non poter rispondere all’invito di precisare, rivoltogli dall’onorevole Lami Starnuti, perché purtroppo gli mancano quegli elementi concreti, che invano ha domandato da molto tempo, anche a mezzo di appositi ordini del giorno. È il primo a riconoscere che una riforma, che non si limiti ad un rimaneggiamento dello Statuto Albertino, come alcuni vorrebbero, ma che miri a sostanziali innovazioni nell’ordinamento statale, presuppone un complesso di studi e di ricerche statistiche ed economiche che mancano. C’è questa grave lacuna nel lavoro della Sottocommissione, che risente così di uno scarso contatto con la realtà. Ad ogni modo, riservandosi di fare maggiori precisazioni, esprime la convinzione che il problema, anche se molto arduo, non è di impossibile soluzione. Potrà invece risolversi attraverso la conoscenza di dati di fatto, ed il ricorso ad un criterio di peso politico secondo del resto è stato fatto in altri Stati, compreso lo Stato bolscevico, che per un certo tempo ha avuto una rappresentanza politica sulla base delle categorie.

C’è infine il pericolo della cristallizzazione, segnalato dall’onorevole Einaudi, da cui bisogna premunirsi. A questo scopo propone che l’assegnazione del numero dei membri, che dovrebbe eleggere ciascuna categoria nell’ambito della regione, sia fatta con legge costituzionale da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni. Così si evita che delle forze politiche possano contrastare la nascita e lo sviluppo di nuove categorie produttive.

L’onorevole Einaudi ha anche accennato all’opportunità di ammettere solo una rappresentanza di ceti culturali, escludendo le categorie economiche. Ritiene invece che utilmente anche queste potrebbero far udire la loro voce nelle decisioni che il Parlamento è chiamato a prendere, non solo nel campo tecnico, ma anche in quello politico; e rileva che l’utilità discende dalla possibilità di giungere per tal mezzo ad una integrale rappresentanza dei vari interessi. Quando, per esempio, gli agrari della Puglia o della Calabria avessero assicurato una loro rappresentanza nel Parlamento, sarebbero meglio in grado di far valere le loro specifiche esigenze di fronte agli agrari di Lombardia, i quali potrebbero essere portati dalla loro maggiore efficienza politica a tentare la realizzazione di interessi in contrasto con quelli di altre regioni meno difese. Il fenomeno storicamente è constatato. Per suffragare la sua tesi con un altro esempio, ricorda che il Partito socialista ha affermato e sostenuto la necessità della tutela degli interessi del proletariato, come classe unitaria, in Italia; ma in effetti sono stati gli operai dell’alta Italia, più organizzati, più vicini alla vita politica che hanno esplicato od appoggiato un atteggiamento politico che in taluni casi è tornato a danno degli interessi dei contadini o di altre categorie del Mezzogiorno.

Considera pertanto necessario trovare i congegni atti, se non a neutralizzare, a limitare questo predominio di ceti politicamente più potenti e ad equilibrare meglio le forze politiche e gli interessi delle varie regioni.

PATRICOLO concorda pienamente con l’onorevole Zuccarini sulla opportunità che la seconda Camera sia esclusivamente rappresentante delle regioni come entità territoriali e crede di ravvisare nella doppia rappresentanza politica e di interessi una sommessa nostalgia della Camera corporativa. Aggiunge che, se mai, questa forma di rappresentanza avrebbe potuto essere presa in considerazione agli effetti della composizione della prima Camera, sia perché essa, essendo più numerosa, avrebbe potuto meglio rispondere alle esigenze di una rappresentanza generale di interessi, sia perché, attraverso al suffragio universale, si sarebbe potuta ottenere una vera rappresentanza delle varie categorie di interessi del popolo italiano. Viceversa, una elezione di secondo grado verso la quale sembra che ci si orienti non consentirebbe una rappresentanza aderente alla realtà di questi interessi, intesi nella loro precisa funzione e nella loro vastità. Aggiunge che, partendo dal punto di vista che la seconda Camera debba avere un numero di componenti inferiore a quello della prima Camera, già si restringe la rappresentanza in maniera tale che non si vede come possa rispondere allo scopo. Ma se poi si ammette il 50 per cento di rappresentanza politica ed il 50 per cento di rappresentanza delle categorie, si arriva ad un massimo di 150 deputati rappresentanti degli interessi. Come potrebbe mai un così limitato numero di persone rappresentare adeguatamente gli interessi di tutte le categorie del popolo italiano?

Ciò premesso, osserva che occorre scegliere tra le due forme di rappresentanza: quella politica e quella degli interessi. Se si scegliesse quest’ultima, occorrerebbe ritornare sulle decisioni già prese in tema di composizione della prima Camera, e vagliare l’opportunità di affidarla ad essa.

Richiama anche l’attenzione sul fatto che, predeterminando le categorie che dovrebbero costituire la base della rappresentanza della seconda Camera, si corre il rischio di creare sperequazioni dannose ai fini della tutela degli interessi generali del Paese.

Riprendendo il tema dell’ammissione in Senato di uomini di alto merito, nota che si è esclusa la possibilità di nomina da parte del Capo dello Stato, ma che si potrebbe consentire a ciascuna Assemblea regionale di eleggerne uno. Si ovvierebbe così all’inconveniente di una investitura dall’alto e si avrebbe nello stesso tempo l’apporto di esperienza di uomini che costituiscono un lustro per la Nazione. Propone quindi una norma che suoni così: «Spetta a ciascuna Assemblea regionale la nomina di un senatore, scelto fra cittadini di alto merito della Regione».

MANNIRONI presenta il seguente ordine del giorno:

«Il Senato viene costituito dalle Assemblee regionali, le quali eleggeranno tre rappresentanti della regione ed inoltre un rappresentante per ogni 300 mila abitanti, scegliendoli fra gli esponenti dell’agricoltura, della industria, del commercio, del lavoro e degli studi, nella proporzione fissata dalle singole Assemblee regionali a ogni legislatura».

LA ROCCA manifesta la viva preoccupazione che si possano, volontariamente o no, alterare i risultati del suffragio universale. Pensa che, se non fosse stata accettata la parità della seconda Camera, si sarebbe anche potuto discutere di certe questioni; ma non lo si può più fare dopo che si è affermato che la seconda Camera è sul medesimo piano della prima per quanto riguarda non solo l’attività legislativa, ma anche l’indirizzo politico, potendo anch’essa concedere o rifiutare la fiducia al Governo. A suo avviso, alla base di tutte lo concezioni di cui ha inteso parlare, c’è un criterio antidemocratico nel senso che si vorrebbe che la seconda Camera divenisse un muro nei confronti della prima.

Con una schiacciante esuberanza di argomenti ritiene poi che si potrebbe rispondere alla lunga esposizione teorica dell’onorevole Mortati. Egli ha sostenuto che la seconda Camera dovrebbe servire a garantire un maggior contatto tra gli orientamenti generali e gli interessi concreti; nel che è implicito che tale compito esulerebbe dalla prima Camera che, pur essendo lo specchio, il riflesso della volontà popolare, non sarebbe in grado di assolverlo. Ritiene che a nessuno possa sfuggire come tale tesi comporti una svalutazione della prima Camera.

Un altro fine che il progetto Mortati si propone è quello di dare alla seconda Camera un carattere accentuatamente politico. Ora, questo nuovo contributo politico rappresenterebbe non tanto un elemento di equilibrio di forze politiche, quanto un elemento di contrasto con la prima Camera, tanto più che si tratterebbe di dar voce a degli interessi passando un colpo di spugna sulla volontà popolare. Infatti, questi interessi, non espressi dalla volontà popolare, finirebbero per opporsi e sovrapporsi a quelli che trovano la loro normale tutela nella prima Camera. Senza contare che la prevalenza di certi interessi economici muterebbe la fisonomia politica del Parlamento.

Rileva che nel congegno ideato dall’onorevole Mortati una metà dei rappresentanti sarebbe eletta con elezione a suffragio diretto e universale e l’altra metà sarebbe tratta dalle categorie degli agrari, industriali, professori di Università, e sia pure anche operai e contadini. Ma si tratta di vedere quale predominio di rappresentanza si darà ad alcune categorie rispetto alle altre.

PICCIONI obietta che questo dovrebbe decidersi in un secondo momento.

LA ROCCA nota che per ora su una cosa si è d’accordo: che, cioè, la seconda Camera debba essere l’espressione dell’ente regionale che si vuole creare. Spera che non si desideri invece che divenga il luogo di riunione di rappresentanti di ristrette categorie.

Posto che è altresì acquisito che la seconda Camera dovrebbe rappresentare le forze vive, produttive della Regione, crede che nessuno più delle Assemblee regionali sia in grado di scegliere quegli elementi che dànno maggior affidamento di saper tutelare gli interessi regionali; e che in omaggio ai principî democratici bisognerebbe opporsi nella maniera più assoluta a che si possano gabellare per interessi generali, interessi del tutto particolari ed a che si dia una posizione di privilegio a determinate categorie.

Concludendo, propone che siano le Assemblee generali o i consigli comunali dei centri maggiori della regione a designare o eleggere i rappresentanti, il cui numero andrebbe fissato in misura proporzionale alla popolazione della regione.

EINAUDI ricorda di aver domandato quali criteri autorizzino a considerare la rappresentanza della seconda Camera diversa da quella della prima ed a ritenere l’una espressione vera della regione e l’altra no. Non ritiene validi gli argomenti che sono stati prospettati (diversa età degli elettori, requisiti per l’eleggibilità, metodi di elezione, ecc.) a soddisfazione della sua richiesta. A suo avviso, l’unico elemento veramente discriminatore potrebbe consistere, se non si vuole arrivare a forme di rappresentanza come quella americana e svizzera, nello stabilire per la seconda Camera una rappresentanza non proporzionata alla popolazione. Questa sarebbe una condizione imprescindibile per evitare di creare un doppione.

Quanto alla rappresentanza di interessi, non si rende conto perché si siano fatti risalire i suoi dubbi a presupposti liberistici. Riteneva e ritiene che una rappresentanza di interessi non dovrebbe essere rigida, ma elastica, sì da adattarsi continuamente alle nuove esigenze. Pertanto i requisiti per l’eleggibilità, a parte quello generale dell’età, dovrebbero consistere in titoli elastici; come, ad esempio, il prolungato periodo di effettivo esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

Circa le elezioni di secondo grado, esprime l’avviso che esse hanno un significato soltanto in quanto gli elettori di secondo grado non siano stati eletti a questo scopo, ma siano già investiti di una funzione rappresentativa, come, ad esempio, i membri delle Assemblee regionali e i consiglieri comunali. Così pensa che potrebbe risolversi anche la questione della rappresentanza dei ceti culturali; a proposito della quale ricorda che in Inghilterra un limitato numero di seggi è riservato, nella Camera dei Comuni, ai rappresentanti delle Università, gli elettori dei quali hanno doppio voto: come tali e come elettori dei deputati politici.

Scendendo al campo dottrinale, osserva, a proposito della premessa (dalla quale parte sempre l’onorevole La Rocca nelle sue osservazioni) del rispetto della volontà popolare e della sovranità popolare, che oggi effettivamente non c’è altra formula dalla quale partire; ma si tratta soltanto di una formula e non di una verità scientificamente dimostrabile. Essa appartiene al novero di quei concetti che si chiamano miti, che sono, in sostanza, formule empiriche, accettabili in vista di determinati scopi (per esempio: trovare il migliore governo, stabilire un clima di libertà, evitare qualunque tipo di tirannia) ma che possono anche cambiare. In altri termini, la formula della sovranità popolare non appartiene al novero delle verità scientifiche, indiscutibili, dimostrabili, che risultano dalla evidenza medesima delle cose; è piuttosto un principio di fede, e le verità di fede sono discutibili, non si impongono alla mente, ma solo al cuore e alla immaginazione. Il mito della sovranità popolare, che trae origine dal contratto sociale di J.J. Rousseau, è quindi utile per il raggiungimento di determinate finalità pratiche e non si può prescinderne nella vita politica attuale, ma occorre tener bene presente che non è una verità scientifica.

FABBRI, dopo essersi associato alle considerazioni dell’onorevole Einaudi, conferma la propria opinione che la seconda Camera dovrebbe essere un organo di stabilità permanente nella vita del Paese. Insiste pertanto nella proposta di stabilire in sei anni la durata del mandato, con rinnovamento di un terzo della Assemblea ogni due anni, in modo da conservare la caratteristica di Assemblea rappresentativa sempre in funzione, con i due terzi dei suoi componenti ed un ufficio di Presidenza, e pronta alle esigenze positive del Paese.

A suo avviso, la Carta costituzionale dovrebbe determinare un numero totale dei componenti la seconda Camera, un numero fisso di seggi assegnati a ciascuna regione, i titoli di idoneità alla nomina e il meccanismo di elezione.

Circa le assegnazioni dei seggi a ciascuna regione, pensa che dovrebbe esser fatta seguendo un criterio politico. Si potrebbe, cioè, tenere particolare conto di quelle regioni del Mezzogiorno che si sono sempre considerate oppresse dal Nord, e assegnare loro un numero maggiore di seggi in confronto alle provincie settentrionali.

Le Assemblee regionali in occasione di ciascuna elezione, la prima volta totale, poi parziale, stabilirebbero la ripartizione dei rappresentanti tra le forze vive locali, tenuti sempre presenti i requisiti di idoneità fissati dalla Costituzione. Chiunque fosse in possesso di tutti requisiti potrebbe porre la propria candidatura e le elezioni dovrebbero avvenire per suffragio universale diretto, escluso il sistema della proporzionale, a maggioranza relativa, sempre che si raggiunga un determinato quorum di voti, ed eventualmente assicurando anche una rappresentanza di minoranza.

Come titolo di idoneità si riferirebbe a quello, consigliato dall’onorevole Einaudi, della esperienza compiuta nell’esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

LUSSU intende mantenere il suo ordine del giorno, a meno che non ne venga presentato un altro che esprima in forma migliore lo stesso concetto. Crede anche che esso non necessiti di una lunga illustrazione.

Ha la netta impressione che l’impostazione della questione fatta dagli onorevoli Tosato e Mortati comporti il pericolo di ineguaglianze nell’esercizio di determinati diritti e di patenti ingiustizie.

Quando l’onorevole Lami Starnuti ha chiesto all’onorevole Mortati di esemplificare le sue proposte, quest’ultimo ha opposto che la questione è troppo complessa e che richiede lo studio di elementi che per il momento mancano; ma la verità è che più ci si riflette, più il problema appare insolubile. Non vede come si potrebbero far rientrare in predeterminate categorie di interessi tutti i cittadini che svolgono una certa attività. Per esempio, il lavoratore alla giornata ha bisogno di protezione più di ogni altro, mentre non potrebbe mai essere compreso in una elencazione di categorie. Altrettanto potrebbe dirsi di vari altri casi.

Rileva che all’obiezione dell’onorevole Einaudi, che ha sottolineato come non potrebbe esservi una differenziazione di interessi tra le due Camere, onde la seconda costituirebbe una duplicazione della prima, l’onorevole Mortati ha risposto citando l’esempio degli Stati Uniti e della Svizzera, senza tener conto che sono ambedue esempi di stati federali. Forse più utilmente si potrebbe prospettare l’esempio francese, ove la seconda Camera non è una ripetizione della prima, ma risulta da una composizione ben differente.

Non può fare a meno di apprezzare i concetti dell’onorevole Mortati ed il modo come li ha esposti, ma desidera fargli notare che nell’era attuale tutto è politica; persino alle cooperative, persino alle elezioni amministrative, che si era tanto raccomandato di non confondere con le politiche, si è data un’impostazione politica. È politica anche la filosofia, come ben sanno gli elettori di Benedetto Croce. In questo stato di cose è vano tentare, attraverso ad una sottile e perspicace impostazione, di trovare dei correttivi.

All’emendamento presentato dall’onorevole Patricolo, per consentire ad ogni regione di nominare un senatore tra gli uomini di chiara fama della regione stessa, in linea di massima non avrebbe da opporre alcuna contrarietà; ma non può non fare delle riserve circa la strana situazione alla quale darebbe luogo la contrapposizione degli uomini di maggior valore di ciascuna regione.

Conclude rilevando che bisogna compiere ogni sforzo per creare uno Stato democratico, in cui la maggioranza possa lavorare per l’interesse generale, senza ritorni offensivi di interessi particolaristici; e fa appello agli onorevoli Mortati e Tosato affinché non insistano nello loro proposte che li fanno apparire come sostenitori di una causa ingiusta.

UBERTI richiama ad una più esatta visione della realtà gli onorevoli La Rocca e Lussu, i quali considerano l’idea di una rappresentanza delle forze produttive come una forma meno progressista di quella della sovranità popolare espressa mediante il suffragio universale.

Nella proposta dell’onorevole Mortati trova qualche cosa di veramente nuovo, che fa segnare un passo in avanti nella ricerca dell’espressione vera della volontà popolare. Occorre tener presente che nella società ci sono sempre nuove forze che premono, e confusamente si agitano nel tentativo di trovare più adeguata espressione. Tutti i rapporti di lavoro per mezzo della Confederazione del Lavoro o della Confederazione dell’Industria battono continuamente alle porte del Governo, che è costretto a trattare per risolvere determinati problemi. Ove una rappresentanza integrale di tali forze partecipasse ai lavori del Parlamento, questo non sembrerebbe più, come è sembrato finora, dissociato dalla vita fervida ed effettiva della Nazione. Si potrebbe obiettare che ci sono i sindacati, ma questi non sono nell’organizzazione statale. È pertanto indispensabile che tutte le forze produttive abbiano nel Parlamento una loro rappresentanza, attraverso la quale possano far ascoltare la loro voce, senza dover seguire altre vie.

Confuta quindi l’obiezione dell’onorevole La Rocca, secondo il quale il progetto Mortati avrebbe lo scopo di alterare i risultati del suffragio popolare, sostenendo che, invece, mira a rendere la rappresentanza più aderente alla realtà. Si tratterà di trovare il modo di darle pratica attuazione; ma, a suo avviso, la concezione Mortati è senza dubbio la formula dell’avvenire. Se non sembreranno accettabili le sue proposte, bisognerà che almeno la sua idea sia accolta nella Costituzione. Invita perciò i colleghi ad esaminarla senza prevenzioni, perché ha un contenuto essenziale che finirà per affermarsi; tanto più che l’onorevole Mortati è sceso al compromesso di un sistema misto, rinunciando alla sua idea iniziale di formare una seconda Camera esclusivamente con rappresentanti di categorie. Si è sempre lamentata la scarsa rispondenza fra il Paese e la sua rappresentanza, ed oggi che si dà una rappresentanza alla regione, bisogna che anche il lavoro o la produzione entrino trionfalmente nella vita politica del Paese.

BOZZI propone la. seguente articolazione:

«Art. 1 (come l’Art. 3 del progetto Mortati).

Art. 2. – I Senatori sono scelti con elezione a suffragio diretto, universale da parte dei cittadini domiciliati in ciascuna regione.

«Possono essere eletti cittadini domiciliati nelle regioni e appartenenti alle categorie indicale nell’articolo… (elencazione dell’onorevole Tosato).

«Ciascuna assemblea regionale determina, all’inizio di ogni legislatura, i seggi che debbono spellare ad ogni categoria».

MANNIRONI nota che, nonostante gli aspri contrasti fra le diverse teorie, ci si avvia progressivamente verso una soluzione che potrebbe considerarsi di compromesso.

Un primo accordo si è raggiunto sul concetto fondamentale che la composizione del Senato dev’essere a base regionale, con l’approvazione di un ordine del giorno col quale evidentemente non si intendeva solo fare un’affermazione formale. L’ordine del giorno ha un contenuto sostanziale che ora si tratta di concretare; si tratta, cioè, di vedere come il Senato possa, attraverso alla rappresentanza, divenire veramente l’espressione delle regioni.

Nell’animata discussione odierna ha ravvisato spesso il tentativo di annullare praticamente gli effetti di un’altra risoluzione, pure approvata e consacrata in un ordine del giorno, per la quale il Senato dovrà rappresentare le forze vive della Nazione. Occorre stabilire che cosa si è inteso per «forzo vive», ed egli crede fuori dubbio che non possa trattarsi unicamente di forze politiche. Per conto suo, quando ha votato quell’ordine del giorno, ha inteso riferirsi, e crede che molti colleghi siano dello stesso avviso ad attività, ad energie produttive del settore dell’agricoltura, dell’industria e del commercio.

Non può aderire alla definizione assolutistica dell’onorevole Lussu, che oggi tutto è politica, perché quando, per esempio, il Parlamento dovrà occuparsi dei problemi dell’agricoltura, la politica avrà ben poco a che fare. Quelle energie, dunque, hanno anch’esse un diritto di rappresentanza, non fosse altro che per portare un contributo di esperienza indispensabile al legislatore.

Richiama pertanto l’attenzione dei colleghi sulla sua formulazione, in cui ha tentato di conciliare le opposte tendenze. In essa ha previsto che nel Senato dovrebbero essere rappresentate le regioni con un numero paritetico di rappresentanti, e precisamente tre per ogni regione. La Sottocommissione, se crede, potrà anche elevarli a quattro o cinque. Quando si dicesse, per esempio, che ogni regione ha diritto di eleggerne cinque, si avrebbero già (posto che le regioni sono 16) 80 membri che sarebbero espressione esclusiva delle regioni, dal punto di vista politico, in un totale di circa 300 senatori. Il rimanente sarebbe invece l’espressione delle forze produttive, lasciando la determinazione delle rispettive proporzioni alle Assemblee Regionali. Queste potrebbero tener conto dei vari orientamenti dell’economia regionale, ovviando all’inconveniente della cristallizzazione segnalato dall’onorevole Einaudi.

Ha preferito rapportare alla popolazione il numero dei rappresentanti, per evitare di dare all’organizzazione statale un carattere federativo.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni. Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Bollati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti. Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Grieco, Leone Giovanni.

Assenti: Di Giovanni, Rossi Paolo.

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni – Patricolo – Lussu – Mortati, Relatore – La Rocca – Vanoni – Piccioni – Ambrosini – Bozzi – Tosato – Porzio – Laconi – Bulloni – Perassi – Nobile – Uberti – Fabbri – Conti, Relatore – Mannironi.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE avverte che la prima questione da risolvere è quella della parità o meno delle funzioni delle due Camere.

LEONE GIOVANNI ricorda di aver presentato nella precedente seduta il seguente ordine del giorno sul quale insiste:

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

Dichiara che in quest’ordine del giorno si sottintende anche la parità delle funzioni tra le due Camere per ciò che concerne l’elezione del Capo dello Stato.

PRESIDENTE, poiché vi potranno essere altri poteri attribuibili alle due Camere, come ad esempio quello di dichiarare la guerra e di concedere amnistie, suggerisce di modificare opportunamente l’espressione usata dall’onorevole Leone.

LEONE GIOVANNI aderisce e formula così il suo ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

GRIECO presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, considerando che alcune delle funzioni del potere legislativo (bilancio, fiducia al Governo, concessione di amnistia, potere di inchiesta) implicano necessariamente l’espressione diretta della volontà popolare attraverso il suffragio universale, diretto, segreto, riconosce che esse devono restare proprie ed esclusive della prima Camera».

PATRICOLO ritiene che, anche per le considerazioni fatte dal Presidente nella precedente seduta, non si possa decidere sulla parità delle funzioni tra le due Camere, se prima non sia stata stabilita la formazione di queste.

LUSSU dichiara di non condividere il parere espresso dall’onorevole Patricolo perché, per poter creare un qualsiasi organo, occorre prima sapere quale funzione esso debba svolgere.

Osserva che la preoccupazione di tutti è che si creino due Camere aventi le stesse potestà, e che sorga il pericolo che la seconda Camera, non eletta come la prima a suffragio diretto e universale, sia in contrasto permanente con l’altra. D’altro canto rileva che le considerazioni espresse ieri dal Presidente danno alcuni orientamenti dei quali non si può non tener conto. Confessa pure di essere rimasto impressionato di quanto l’onorevole Porzio ha detto a tale proposito.

Per non dare l’impressione che si crei un organismo inefficiente e superfluo, ritiene che non si dovrebbe sancire espressamente nella Costituzione che la seconda Camera non avrà gli stessi poteri della prima, ma che l’inferiorità della seconda Camera nei confronti della prima debba risultare implicitamente nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, osserva che non bisogna confondere la questione della parità del Senato alla Camera con quella della sua posizione quale potrà risultare dal suo funzionamento. La parità giuridica, l’intervento a pari condizioni della seconda Camera in tutte le funzioni della prima non significa che debba essere attribuita alla seconda Camera una posizione di eguaglianza effettiva; la disparità sarà conseguente, sarà un’inferiorità di fatto che potrà tradursi in un’inferiorità giuridica quando sarà stabilito il congegno con cui superare un eventuale conflitto tra le due Camere. In altri termini, il principio della parità non dovrebbe implicare quello di una parità assoluta. Frattanto, per fissare alcuni punti ben determinati, presenta il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione ritiene che la seconda Camera debba essere configurata quale mezzo per l’espressione degli interessi regionali e nello stesso tempo quale organismo di coordinazione degli interessi stessi nella superiore inscindibile unità dello Stato; che la seconda Camera debba trovare la fonte del potere di tutti i suoi membri (all’in-fuori di ogni intervento del Capo dello Stato) in una investitura popolare su una larghissima base di suffragio, con le necessarie differenziazioni di procedimenti elettivi rispetto alla prima Camera; che pertanto debba essere riconosciuto alla seconda Camera medesima un potere di intervento, con parità di posizione giuridica, nelle stesse funzioni attribuite alla prima Camera; che la predestinazione dei congegni diretti a dirimere gli eventuali conflitti fra le due Camere debba essere orientata nel senso di riaffermare nella sua pienezza la sovranità popolare; che alla seconda Camera debba essere confermato il nome, che si collega ad una antichissima tradizione storica, di Senato».

PRESIDENTE rileva che l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati si riferisce a troppe questioni che dovrebbero essere esaminate e vagliate separatamente. Esso quindi richiederebbe una troppo lunga discussione e non potrebbe essere posto in votazione che alla fine della discussione stessa.

LUSSU presenta un ordine del giorno così concepito:

«La seconda Camera è la Camera delle regioni. I suoi poteri, tranne quello sul bilancio, sono eguali a quelli della prima Camera».

Per meglio chiarire il criterio che lo ha indotto a presentare il suo ordine del giorno, dichiara che, secondo il suo avviso, la seconda Camera non rappresenta l’esclusività degli interessi regionali, ma la sintesi dei vari interessi legati all’unità della regione. Dicendo poi che i poteri della seconda Camera, tranne quello sul bilancio, sono eguali a quelli della prima, intende affermare che costituzionalmente non vi è alcuna differenza tra le due Camere, ma, in effetti tale differenza sussisterà; così ad esempio per quel che riguarda il voto di fiducia al Governo. Insomma, la seconda Camera avrà formalmente gli stessi poteri della prima, ma in pratica avverrà che il Senato, che avrà un minor numero di membri, guidati da criteri di saggezza e di prudenza, non voterà contro il Governo, specialmente se ad esso la Camera dei Deputati avrà già accordato la sua fiducia.

LA ROCCA dichiara di non condividere il pensiero espresso dall’onorevole Lussu. La questione della parità o meno delle funzioni tra le due Camere deve essere risolta in modo chiaro, senza equivoci. Anche il problema se la seconda Camera debba avere un minor numero di membri non ancora è stato risolto.

Personalmente è contrario a che la seconda Camera abbia le stesse funzioni della prima. In ogni modo, se ciò dovesse essere stabilito nella Costituzione, non si potrebbe poi impedire alla seconda Camera il pieno esercizio delle sue funzioni.

VANONI intende fare una precisazione di carattere tecnico e storico a proposito di un’eventuale differenza tra le due Camere in materia di legge di bilancio.

Nello Statuto Albertino una norma limitava il potere di iniziativa del Senato in questo campo. L’origine storica di questa norma era nel fatto che tutte le leggi di finanza nella storia parlamentare inglese erano state lo strumento attraverso il quale la Camera dei Comuni aveva potuto affermare il proprio intervento nell’attività legislativa prima e nell’attività politica in un secondo tempo. Si capisce allora come nell’evoluzione costituzionale inglese tra la Camera dei Lords, che in sostanza era un consiglio della Corona, e la Camera dei comuni, che era la rappresentanza delle varie categorie economiche e sociali del Paese, si sia potuta avere una diversa posizione di fronte alle leggi finanziarie, anche perché tali leggi costituivano un contratto tra le categorie che pagavano le imposte e la Corona che le domandava. Ma quando nella Costituzione le due Camere vennero a porsi sullo stesso piano, come aventi la stessa funzione legislativa, la differenza tra esse si attenuò e rimase solo una differenziazione (che risale alla Costituzione Belga del 1827, sulla cui falsariga fu redatto lo Statuto Albertino) per cui il potere di iniziativa in materia finanziaria fu riservato alla Camera Bassa. Nei commenti dei nostri più vecchi costituzionalisti allo Statuto Albertino, si trova un certo imbarazzo nello spiegare l’articolo 10 dello Statuto; chi dice che è stato riprodotto senza molta riflessione dallo Statuto belga e chi dice che, essendo la prima Camera l’espressione più diretta e immediata del popolo, riservare tale diritto ad essa risponde a criteri politici. Però si ammetteva che, in fondo, non v’era differenza nei confronti delle leggi finanziarie. E difatti, nella pratica, si è venuta attenuando la differenziazione e l’unica applicazione dell’articolo 10 non può essere considerata lodevole, perché, proprio rispetto alla legge di bilancio, avveniva che il ritardo della discussione da parte della Camera si risolvesse in un esame affrettato del bilancio stesso da parte del Senato.

Se fosse riprodotta la norma anzidetta nella nuova Costituzione, quando a giustificarla, almeno in parvenza, non vi sarebbe più un Senato nominato dall’alto e a vita, si creerebbe una seconda Camera che sarebbe di intralcio al normale svolgimento dei rapporti tra le due Camere. Non crede quindi che, affermando il principio della parità tra le due Camere, debba sussistere alcuna ragione tecnica perché in materia di finanza si faccia una discriminazione tra la competenza dell’una e quella dell’altra Camera. Secondo il processo dell’evoluzione storica, si dovrebbe arrivare ad un’altra conseguenza, cioè a fissare una completa parità di competenza, anche nel settore della finanza, tra le due Camere.

PATRICOLO osserva che, se si ritiene che la seconda Camera debba rappresentare le regioni, si ha una ragione di più per ammettere la parità fra le due Camere, anche in fatto di leggi fiscali e soprattutto di leggi di bilancio. Le regioni, infatti, sono gli organi più interessati a discutere il bilancio dello Stato; soprattutto se ad esse sarà consentito di avere un bilancio autonomo e di provvedere alla tassazione. Nel campo poi del potere politico di controllo, ritiene che potrebbe essere data una parità completa alle due Camere per la funzione legislativa, riservando tuttavia il potere politico (inchiesta, fiducia al Governo, ecc.) alla prima Camera, in quanto più genuina e diretta espressione della volontà popolare.

PRESIDENTE ricorda che sono stati presentati quattro ordini del giorno: il primo dell’onorevole Leone, proposto nella riunione precedente, in cui si afferma la parità di attribuzioni alle due Camere; un secondo dell’onorevole Grieco, in cui talune funzioni del potere legislativo sono considerate come esclusive della prima Camera; un terzo, dell’onorevole Mortati, che allarga la questione ed impegnerebbe a votare non soltanto sul fatto specifico della parità, ma anche su altri punti; un quarto, dell’onorevole Lussu, che a parte la premessa, si avvicina alla formulazione dell’onorevole Grieco.

MORTATI, Relatore, fa presente che intanto ha presentato il suo ordine del giorno in quanto gli sembrava acquisito che la questione della parità dovesse essere considerata in armonia con altre questioni ad essa connesse. Se viceversa si ritiene che si debba preliminarmente votare il principio della parità, è disposto a ritirarlo.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Leone, avvertendo che, ove esso sia approvato, dovranno intendersi superati quelli degli onorevoli Grieco e Lussu.

(È approvato con 18 voti favorevoli e 11 contrari).

Avverte che sul problema della formazione della seconda Camera gli onorevoli La Rocca, Grieco ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, considerando che ogni investitura di funzioni rappresentative dall’alto contraddice risolutamente ai più elementari principî di una democrazia, delibera che la seconda Camera abbia origine esclusivamente elettiva».

PICCIONI riconosce che la nomina della seconda Camera debba essere fondata sul suffragio, ma non crede che questo principio fondamentale sarebbe menomato se fosse consentita la nomina da parte del Capo dello Stato di un numero assai ristretto di persone. Intende riferirsi agli ex Presidenti della Repubblica e agli ex Presidenti del Consiglio. E se anche ai più alti magistrati si desse, per tutto il tempo che esercitano la loro funzione, la possibilità di partecipare alla vita del Senato, queste persone potrebbero portare un notevole contributo di cognizioni e di esperienze nelle discussioni della seconda Camera, che non per questo verrebbe a perdere la sua caratteristica fondamentale basata sulla rappresentanza elettiva.

LUSSU avrebbe aderito alla proposta dell’onorevole Piccioni, se fosse stato approvato il suo ordine del giorno; ma dopo l’approvazione della parità delle due Camere, se si immettessero nella seconda le figure più rappresentative del Paese ed i più alti magistrati, si darebbe alla seconda Camera una posizione di superiorità rispetto alla prima. Perciò è contrario alla proposta dell’onorevole Piccioni.

AMBROSINI ricorda che già in altre occasioni ha dichiarato che sarebbe opportuno lasciare al Capo dello Stato la possibilità di nominare una sia pur piccolissima quota di senatori. Né ha niente in contrario a che alcuni alti magistrati, per la durata della loro carica, facciano parte di diritto del Senato.

In ogni modo, se si ammette che almeno la maggior parte dei membri della seconda Camera debba essere eletta dalle assemblee regionali, con un’elezione di secondo grado, non vede un grave inconveniente nel fatto che un’aliquota assai ristretta di senatori possa essere nominata dal Capo dello Stato.

BOZZI dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Piccioni, la quale comporterebbe una contaminazione tra due principî: il principio elettivo e quello della nomina dall’alto. D’altra parte gli alti magistrati come pure gli ex Presidenti della Repubblica o del Consiglio troveranno la loro sistemazione nella composizione dell’Alta Corte di Giustizia costituzionale.

PICCIONI non insiste nella sua proposta.

MORTATI, Relatore, si associa all’ordine del giorno degli onorevoli La Rocca e Grieco.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno degli onorevoli La Rocca e Grieco.

(È approvato con 22 voti favorevoli e 7 contrari).

LUSSU sul problema della formazione della seconda Camera presenta la seguente proposta di articolo, avvertendo che essa porta la firma anche degli onorevoli Nobile e Patricolo:

«La seconda Camera è la Camera delle regioni».

TOSATO, poiché la Sottocommissione è sul punto di prendere una decisione sul problema della formazione della seconda Camera, ritiene che sia giunto il momento di prendere in considerazione gli articoli da lui proposti nella seduta precedente.

LUSSU, per spiegare la sua proposta, dichiara, secondo quanto ha già esposto in altre occasioni, che a suo avviso la seconda Camera deve soddisfare alle esigenze unitarie della Nazione, al fine di evitare il pericolo che qualche regione, affermando inopportunamente la priorità dei propri interessi, possa danneggiare gli interessi nazionali.

PORZIO non è soddisfatto delle spiegazioni dell’onorevole Lussu. Se ha ben compreso, l’onorevole Lussu desidera che i rappresentanti della seconda Camera provengano soltanto dai componenti le Assemblee regionali.

LUSSU fa presente che la questione accennata dall’onorevole Porzio può essere decisa in un secondo tempo, poiché riguarda il problema delle elezioni dirette o indirette.

VANONI non trova sufficientemente chiarito il pensiero dell’onorevole Lussu.

Quando si dice che la seconda Camera è la Camera delle regioni, o non si dice nulla o si dice troppo, nel senso di affermare che la seconda Camera debba essere l’espressione politica del regionalismo. La questione quindi va posta nettamente. A suo parere la seconda Camera deve essere, sì, di formazione regionale, ma non rappresentare soltanto gli interessi regionali; in altre parole, deve essere un organismo che si muove sul piano nazionale, esprimendo interessi di carattere nazionale. In un certo senso, come non si dice che la prima Camera è la Camera delle circoscrizioni elettorali, così non si potrebbe e non si dovrebbe affermare che la seconda Camera è la Camera delle regioni, anche se si sia accettato il principio che la base elettorale della seconda Camera debba essere regionale.

LEONE GIOVANNI non ritiene necessario definire nella Costituzione la seconda Camera, come del resto non si è cercato di definire la prima. Dovere della Sottocommissione è di stabilire le funzioni, l’organizzazione, il modo di eleggere i componenti del Senato: spetterà poi agli studiosi precisare il carattere costitutivo e definire l’essenza della nuova assemblea.

LACONI, pur condividendo l’opinione che la seconda Camera debba essere costituita sulla base della rappresentanza regionale, osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu è così scarno e sintetico da non esprimere sufficientemente un pensiero su cui sia facile l’accordo.

BULLONI propone la seguente formula: «La seconda Camera è una espressione degli interessi regionali connessi agli interessi nazionali ed è nominata sulla base di circoscrizioni regionali».

PERASSI riconosce che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu è estremamente sintetico. In ogni modo, qualora si tenga conto delle discussioni già avvenute in seno alla Sottocommissione, esso non può avere che il seguente significato: che il reclutamento dei membri del Senato verrà fatto su base regionale, restando allo stato attuale impregiudicate tutte le altre questioni relative al modo ed alle condizioni con cui saranno eletti i senatori.

MORTATI, Relatore, dichiara che quando dette la sua approvazione alla tesi del nuovo ordinamento regionale, era implicito nel suo pensiero che gli interessi della regione avrebbero dovuto trovare la loro espressione nella costituzione di una seconda Camera. Ciò prova che egli pensava alle regioni come ad enti forniti di propria autonomia politica. È poi da tener presente il quesito se occorrerà dare un diverso peso, in materia di rappresentanza, alle varie regioni, ovvero se tale peso dovrà essere eguale per tutte le regioni. Tutto ciò sta a provare che le regioni non possono essere considerate come circoscrizioni o collegi elettorali, ma come enti capaci di avere i loro rappresentanti autonomi.

AMBROSINI domanda se non sia il caso, invece di soffermarsi su una definizione o una affermazione di principio, di passare immediatamente all’esame del sistema di formazione della seconda Camera.

PATRICOLO dichiara di aver sottoscritto la proposta dell’onorevole Lussu perché intendeva di fare atto di adesione a una formulazione di principio e non ad un articolo che avrebbe dovuto trovar posto nella Costituzione. In ogni modo, se la formula proposta dall’onorevole Lussu non ha l’approvazione della Sottocommissione, potrebbe essere adottata quella dell’articolo che, relativamente alla Costituzione del Senato, è contenuta nel progetto dell’onorevole Conti.

TOSATO ritiene che occorra distinguere due questioni: una di sostanza ed una di forma. Occorre innanzi tutto stabilire se si vuole subito prendere una deliberazione sull’oggetto della rappresentanza del Senato, cioè sulla questione di ciò che verrà a rappresentare il Senato. In secondo luogo occorrerà vedere su quale base dovrà essere formata la seconda Camera.

Non gli sembra, a tal proposito, che sia decisiva l’osservazione fatta dall’onorevole Mortati, perché le regioni sotto certi aspetti possono essere considerate come enti territoriali, e sotto altri aspetti come circoscrizioni elettorali.

Propone quindi la formula: «La seconda Camera è eletta su base regionale».

PRESIDENTE osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu, pur non essendo certamente dettato dall’intenzione di insinuare nella Costituzione un principio regionalistico che possa poi svilupparsi oltre il dovuto, è però come un’eco di quelle aspirazioni federalistiche di cui lo stesso onorevole Lussu ha parlato più volte. Quindi la proposta anzidetta potrebbe incontrare un certo favore in alcune parti del Paese, mentre in altre incontrerebbe una recisa disapprovazione. Ritiene quindi più rispondente allo scopo la formula proposta dall’onorevole Tosato.

NOBILE dichiara che si è associato alla proposta dell’onorevole Lussu in considerazione di un concetto già espresso da questo deputato, e cioè che una seconda Camera eletta su base regionale può costituire l’unico mezzo efficace per ostacolare alcune tendenze disgregatrici dell’unità nazionale esistenti attualmente in Italia.

PATRICOLO propone la seguente formula: «La seconda Camera è composta dei rappresentanti eletti in seno alle regioni».

Avverte che tale formulazione costituisce una dichiarazione di principio.

LUSSU dichiara di essere stato sempre favorevole, in via di principio, al federalismo e che quindi in un primo tempo pensò all’attuazione di un ordinamento federale in Italia. Si decise però ad abbandonare tale idea, quando si accorse che essa nel nostro Paese non era sentita, era inattuabile e per conseguenza impolitica. Può dire quindi di aver lavorato con assoluta lealtà in materia di autonomie locali. Comunque, la maggior parte dei membri della Sottocommissione si è mostrata favorevole alla formazione dell’ente regione. Perciò, se si riconosce utile una nuova struttura dello Stato su base regionale, occorre che ciò sia affermato esplicitamente. Frattanto, poiché è un fatto oramai acquisito alla democrazia moderna che l’individuo deve essere subordinato all’interesse generale, è chiaro che anche la regione non può che essere subordinata all’interesse nazionale.

Nel suo articolo certamente ha inteso riferirsi a qualcosa di più vasto che non sia la circoscrizione elettorale, ossia all’ente regione che ormai è ammesso da tutti. Non comprende quindi le ragioni della diffidenza che esso ha suscitato.

BULLONI ritiene che la base elettorale per la elezione della seconda Camera debba poggiare sulla rappresentanza degli interessi regionali. Questo e non altro deve essere il significato della rappresentanza riservata al futuro Senato.

PORZIO fa osservare all’onorevole Lussu che l’affermazione: «La seconda Camera è la Camera delle Regioni è in contrasto con la decisione testé presa in merito alla riconosciuta parità delle funzioni nelle due Camere. Una Camera delle Regioni, infatti, sarebbe una Camera assai limitata nei suoi poteri; essa avrebbe soltanto il compito di risolvere problemi di carattere regionale. E non altro che questo sembra essere il significato dell’articolo proposto dall’onorevole Lussu.

LEONE GIOVANNI ritiene che la formula proposta dall’onorevole Lussu dovrebbe avere il carattere soltanto di un’affermazione di principio e non costituire proprio una norma articolata.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che se la sua formula ha solo un valore di dichiarazione di principio, occorreva proporla nel momento in cui fu iniziata la discussione generale sulla seconda Camera, e non nel momento in cui si è cominciato ad esaminare il modo pratico di formazione della stessa. Per queste ragioni lo prega di specificare il suo intendimento o di ritirare la proposta, aderendo a qualcuna delle altre formulazioni.

LUSSU considera la sua formulazione come una mozione interna e, come tale, intende mantenerla. Precisa che gli interessi particolaristici della regione saranno rappresentati secondo le proposte del progetto Ambrosini dal rappresentante del Consiglio regionale, che dovrebbe avere il diritto di presentarsi al Consiglio dei Ministri per sostenere i suoi punti di vista nell’interesse della regione. Soltanto in questo caso sarà giusto parlare di interessi particolaristici.

UBERTI prega l’onorevole Lussu di non insistere nella proposta, perché dal fatto che essa non fosse accolta potrebbe venire qualche pregiudizio alla costituzione delle regioni. Difatti il suo articolo ha tutto il carattere di un’affermazione solenne. A suo avviso sarebbe preferibile stabilire prima in concreto il modo in cui si deve costituire la seconda Camera. Da tale decisione balzerà evidente che essa sarà la Camera delle Regioni.

FABBRI dichiara che voterà contro la proposta Lussu perché, come eventuale formulazione di articolo nella Costituzione, la ritiene in contraddizione con altre norme e principî già approvati, e, come espressione invece di un principio generale, lo ritiene già compreso nella deliberazione con cui si è stabilito che la seconda Camera dovrà essere espressione delle forze vive della Nazione. Tra queste forze vive della Nazione non v’è dubbio che vi siano anche, e singolarmente, le regioni che la compongono nella sua totalità.

CONTI, Relatore, osserva che nella discussione odierna si sono ripresi tutti i temi già trattati, nel tentativo, da parte di taluni Commissari, di tornare su deliberazioni già prese. Ritiene che si debba desistere da questa linea di condotta, accettando le deliberazioni già approvate, senza recriminazioni e pentimenti.

Dichiara che ha sottoscritto anche lui la proposta Lussu, perché essa ha ridestato in lui la sua antica passione di federalista. Condivide però le preoccupazioni che hanno indotto l’onorevole Lussu a considerarla come per: «uso interno». Darà quindi voto favorevole alla formulazione Lussu, ma insiste perché abbia soltanto il valore di un’affermazione di principio a scopo interno.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Lussu se insiste affinché sia messa in votazione la sua formula, col rischio di quelle conseguenze non desiderabili che sono state accennate da precedenti oratori. Se poi l’onorevole Lussu desidera affermare il concetto che la seconda Camera, qualunque sia il meccanismo della sua formazione, debba avere come propria base elettorale la regione, potrebbe facilmente farlo aggiungendo poche parole a quella formula.

LUSSU insiste affinché questa sia messa in votazione.

PRESIDENTE mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Lussu dichiarando che personalmente voterà contro, perché ravvisa in essa qualche cosa che supera il principio che si vuole per ora affermare e perché ritiene che con il suo eventuale accoglimento il proponente sarebbe autorizzato a richiedere che nella redazione definitiva della Costituzione la seconda Camera prendesse la denominazione di Camera delle Regioni, il che appare inopportuno e contrario alle esigenze politiche del Paese.

MANNIRONI dichiara che voterà contro la formula dell’onorevole Lussu che fra l’altro gli sembra troppo generica.

LEONE GIOVANNI dichiara di astenersi dal voto, perché ritiene che una dichiarazione di principio non abbia ragione di essere in una formulazione articolata.

LACONI voterà contro, perché ne trova il contenuto contrario ai principî di uno Stato unitario.

(Non è approvata).

PRESIDENTE comunica che la Sottocommissione dovrebbe pronunciarsi ora sulle altre quattro formulazioni; una, dell’onorevole Tosato, secondo la quale la Camera è eletta su base regionale; la seconda dell’onorevole Patricolo, la quale, affermando che la seconda Camera è composta di rappresentanti eletti in seno alla regione, crea già un vincolo nella scelta dei candidati, il che consiglierebbe di rinviarne l’esame a quando si dovrà stabilire il sistema dell’elezione; la terza e la quarta, rispettivamente degli onorevoli Bulloni e Laconi, che pure introducono nuovi elementi e costituiscono in parte la ripetizione di alcune posizioni già determinate. Considerato che per il momento l’articolo più rispondente allo scopo di circoscrivere la questione è quello dell’onorevole Tosato, lo pone ai voti ricordandone i precisi termini: «La seconda Camera è eletta su base regionale».

MORTATI, Relatore, dichiara che darà voto favorevole con la riserva che l’ordine del giorno in questione non limiti la discussione successiva e non escluda l’esame del problema delle rappresentanze regionali degli interessi in seno alla seconda Camera.

(È approvato).

La sedata termina alle 10.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile.

MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Nobile – Leone Giovanni – Lussu – Porzio – Perassi – Presidente – Laconi – Targetti – Conti, Relatore  – Grieco – Tosato – La Rocca – Mortati, Relatore – Piccioni – Mannironi – Bozzi – Fabbri –Ambrosini – Ravagnan – Fuschini – Einaudi.

La seduta comincia alle 8.30.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

NOBILE rileva che, a proposito della composizione e delle funzioni della seconda Camera, qualcuno ha affermato che il Senato deve essere un organo moderatore della prima Camera; altri ha sostenuto che deve servire a perfezionare le leggi; l’onorevole Vanoni vede in essa la difesa suprema dei valori morali della Nazione, quasi una specie di baluardo della libertà; taluno ci vuole la rappresentanza istituzionale delle varie categorie professionali e degli interessi economici; altri quella della cultura, dell’arte e della letteratura; altri ancora intendono farne un corpo di rappresentanti di interessi economici e di organizzazioni sindacali.

La diversità delle opinioni, a suo avviso, sta a significare che il Senato non risponde effettivamente ad alcuna necessità, perché altrimenti dovrebbero risultarne subito evidenti le funzioni. Non desidera ritornare su una discussione già fatta, ma gli sembra che la Sottocommissione si trovi nella stessa condizione di chi voglia costruire un edificio, senza sapere quale uso farne; il che dimostra, in ultima analisi, l’inutilità della costruzione.

Comunque, poiché è stato deciso che una seconda Camera debba esistere, interessa renderla il meno possibile dannosa. Condivide pertanto il parere dell’onorevole Lussu, che cioè il Senato sia costituito con rappresentanza diretta ed esclusiva delle Regioni.

LEONE GIOVANNI ricorda di essersi nella precedente riunione associato all’onorevole Laconi che sosteneva la necessità di dare la precedenza all’esame delle attribuzioni della seconda Camera; ma dissente da lui nel merito, in quanto fermamente ritiene che la seconda Camera debba avere funzioni pari a quelle della prima. È di avviso che su tale questione occorra prendere una decisione definitiva, in quanto che, a seconda delle attribuzioni del Senato, potrà variare l’orientamento delle successive decisioni in merito agli altri problemi concernenti il Senato stesso. Soggiunge che assai più numerose sono le Costituzioni che riconoscono la parità delle funzioni delle due Camere, che non quelle che la negano. Fra le prime è anche la stessa Costituzione russa.

Propone il seguente ordine del giorno.

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

Chiarisce che in quest’ordine del giorno non si fa cenno della elezione del Presidente della Repubblica, in quanto tale problema non è ancora stato discusso. In ogni modo, se l’elezione del Capo dello Stato dovesse essere di secondo grado, dovrebbe anche per questa riconoscersi la parità della seconda Camera.

LUSSU ha l’impressione che la proposta dell’onorevole Leone capovolgerebbe l’ordine delle discussioni finora seguito. Comunque se ne potrebbe tener conto, abbinando però i due problemi della parità delle due Camere e della composizione del Senato.

PORZIO crede che l’ordine del giorno Leone possa essere considerato come una mozione d’ordine. Ricorda che quando si cominciò a discutere del Senato, egli avvertì che bisognava procedere con un certo ordine nella discussione; al che appunto mira la proposta dell’onorevole Leone. Ritiene quindi che non possa parlarsi della composizione del Senato e del suo corpo elettorale, se prima non sia stata presa una decisione sulle sue attribuzioni.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PERASSI ritiene che nell’ordine del giorno Leone sarebbe opportuno, per quanto concerne la parità del le funzioni del Senato, tenere distinta la parte riguardante il potere legislativo da quella che concerne il controllo sull’opera del Governo.

PRESIDENTE non lo ritiene necessario, in quanto la questione della parità delle funzioni del Senato, in relazione sia al potere legislativo che al controllo sul Governo, potrà formare oggetto di un’unica discussione.

LCGONI propone che la votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, che investe una questione di sostanza, sia rinviata al termine della discussione, quando cioè saranno stati risolti tutti i problemi attinenti alla seconda Camera.

TARGETTI ritiene che la proposta dell’onorevole Leone abbia portato la discussione su un tema diverso da quello che doveva formare oggetto della seduta odierna. In ogni modo, poiché il principio della parità delle funzioni del Senato è affermato nel progetto Conti in un articolo susseguente a quello in cui si fissano i criteri relativi alla formazione del Senato stesso, è di avviso che nell’odierna seduta si debba, affrontare quest’ultima questione.

CONTI, Relatore, fa presente che in un articolo del suo progetto, così concepito: «Il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Deputati e dal Senato», si afferma, senza possibilità di equivoci, la perfetta parità delle funzioni delle due Camere. Ritiene quindi che si dovrebbe considerare come presuntiva e quindi implicitamente riconosciuta la parità tra le due Camere. Ma se qualcuno avesse ancora qualche dubbio al riguardo, si potrebbe prendere subito una decisione su tale punto, per potere iniziare poi la discussione sulla composizione del Senato.

LEONE GIOVANNI teme che si stia compiendo un errore di impostazione. Ricorda che quando furono assegnati i temi ai Relatori, fu proprio l’onorevole Mortati ad affermare che era necessario distinguere tra funzioni e organizzazione dei vari poteri dello Stato. Si accettò quindi come cosa implicita che si dovesse prima stabilire la funzione, per passare poi a determinare l’organizzazione di ogni istituto. Il che è ovvio. Se in un trattato o in una legge si può prima parlare dell’organizzazione e poi delle funzioni di un dato ente, ciò è impossibile in una discussione «de jure condendo», nella quale non si può creare un istituto, senza aver prima stabilito come esso debba agire nell’ordinamento dello Stato, quali siano suoi compiti rispetto alle finalità che si vogliono conseguire e quali i suoi rapporti con gli altri organi dello Stato. È necessario quindi esaminare prima la questione della parità delle funzioni tra le due Camere, problema che riveste una notevole importanza perché se, ad esempio, alla seconda Camera dovessero essere assegnate funzioni subordinate, si potrebbe arrivare, nello stabilire la sua composizione, a conclusioni diverse da quelle che scaturirebbero dal concetto della parità con l’altra Camera.

NOBILE si associa alla tesi dell’onorevole Leone.

GRIECO rileva che il problema delle funzioni del Senato è legato inscindibilmente a quello della sua composizione. Difatti, chiunque parlerà sulle funzioni della seconda Camera non potrà fare a meno di riferirsi implicitamente o esplicitamente alla sua composizione; ma la stessa cosa accadrà nel caso inverso, in quanto la seconda Camera si giustifica non solo per le sue funzioni, ma anche per la sua composizione. Teme che se si accedesse alla proposta dell’onorevole Leone, dopo breve tempo si dovrebbe ritornare sulla discussione generale. Dichiara pertanto di essere favorevole alla proposta di riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella precedente seduta.

TOSATO trova che le osservazioni dell’onorevole Grieco hanno una parte di vero, perché non si possono stabilire le funzioni del Senato senza, nello stesso tempo, pensare alla sua costituzione; e la stessa cosa si può dire per il caso inverso. Si tratta quindi di due problemi connessi e interdipendenti, e la questione è solo di stabilire da quale dei due debba avere inizio la discussione.

Giova, frattanto, ricordare che già si è fatta una discussione generale, che ha portato ad una duplice conclusione: si è ravvisata la necessità di una seconda Camera e si è riconosciuto che essa, per non essere eguale alla prima, dovrà rappresentare le forze vive della Nazione.

Considerato quindi che è già ammessa la esistenza di una seconda Camera e in via generale è stato fissato un certo orientamento nei riguardi della sua configurazione, ritiene che, se si trovasse un punto d’accordo fra le diverse opinioni sulla questione delle funzioni del Senato, i lavori della Sottocommissione non solo si svolgerebbero con maggiore celerità, ma porterebbero anche a risultati concreti.

PRESIDENTE comprende il desiderio di arrivare ad una semplificazione della discussione; ricorda però che, sebbene nella precedente riunione si fosse deciso di discutere soltanto il problema relativo alla organizzazione della seconda Camera, di fatto si parlò anche largamente delle sue funzioni e perfino della struttura delle Assemblee regionali. Se anche, dunque, si stabilisse ora, in base alla proposta dell’onorevole Leone, di esaminare per primo il problema delle funzioni della seconda Camera, inevitabilmente si finirebbe poi col fare degli accenni più o meno larghi al problema della sua composizione.

Ritiene perciò che la proposta dell’onorevole Leone possa essere considerata soltanto come un invito ai membri della Sottocommissione di attenersi quanto più possibile all’esame del problema della parità delle funzioni delle due Camere.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che, se la mozione dell’onorevole Leone fosse accolta, si semplificherebbe il corso della discussione. Acquisito, infatti, il punto della parità delle funzioni delle due Camere, il campo delle indagini resterebbe più limitato, in quanto si dovrebbe esaminare soltanto il problema della composizione del Senato stesso.

Ritiene infine, quanto al merito, che la questione della parità delle funzioni tra le due Camere sia implicita nell’affermazione che la seconda Camera debba essere la rappresentanza delle forze vive della Nazione.

TOSATO propone di procedere alla votazione sulla questione procedurale, se cioè debba essere posta prima in discussione la parità delle funzioni tra le due Camere, ovvero la composizione del Senato.

PRESIDENTE osserva che, se la proposta dell’onorevole Tosato dovesse essere accolta, occorrerebbe modificare l’ordine del giorno dell’onorevole Leone: «La seconda Sottocommissione ritiene che debba in precedenza discutersi sulla parità delle attribuzioni fra le due Camere».

LEONE GIOVANNI preferisce non modificare il testo della sua proposta e ritiene che per il momento non si possa votare sulla questione se debba oppur no essere iniziato nella seduta odierna l’esame del problema relativo alla parità delle funzioni fra le due Camere.

LACONI dichiara di. essere contrario alla procedura che viene proposta, perché ritiene che le due questioni, della parità delle funzioni fra le due Camere e della composizione del Senato, siano talmente connesse tra loro da non poter essere discusse distintamente. Rileva inoltre che sarebbe assai strano discutere sulle funzioni del Senato quando non ancora sono state discusse e precisate le funzioni della Camera. Anche per questa ragione, quindi, è contrario alla proposta dell’onorevole Leone.

PRESIDENTE ritiene che la questione possa essere risolta assai facilmente aprendo la discussione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, con l’intesa che gli ordini del giorno che fossero in seguito eventualmente presentati potrebbero essere, a seconda dei casi, fusi con quello dell’onorevole Leone o messi in votazione distintamente da esso.

PORZIO osserva che, per poter giungere ad una precisa articolazione delle proposte, occorre stabilire, mediante votazione, dei punti fermi. Come ha già detto, egli interpreta l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Leone come una mozione d’ordine, che a suo avviso deve essere messa in votazione. Occorre precisare innanzi tutto le funzioni del Senato e poi discutere sulla sua composizione.

PICCIONI ritiene che l’ordine del giorno dell’onorevole Leone possa rimanere come un’affermazione dell’esigenza da tutti sentita che la discussione non debba esser circoscritta e limitata alla sola questione della composizione del Senato, ma debba riferirsi anche alle sue funzioni.

MORTATI, Relatore, osserva che l’onorevole Laconi ha espresso qualche dubbio sulle future funzioni della prima Camera. Ora, gli sembra che su tale argomento si abbia già un dato di fatto acquisito, in quanto che si è accettato il regime parlamentare. Se così non fosse, ogni discussione ulteriore sarebbe del tutto inutile.

PRESIDENTE riconosce non esser dubbio che la nuova Costituzione dello Stato si baserà sul regime parlamentare; ma anche in un regime parlamentare rappresentativo possono essere attribuite alla Camera funzioni che non siano esclusivamente quelle di discutere e approvare le leggi e di esercitare un controllo sul Governo. Nel regime parlamentare esistente in Italia prima del 1922, il diritto di dichiarare la guerra e di fare la pace, ad esempio, non competeva alla Camera, come non le competeva la concessione di amnistia, mentre con la nuova Costituzione probabilmente qualcuna di tali facoltà sarà attribuita piuttosto alba prima Camera che non alla seconda.

MANNIRONI afferma innanzi tutto che la seconda Camera dovrà essere posta in grado di partecipare in condizione di parità con la prima alla funzione legislativa e a quella di controllo sul Governo. Se così non fosse non vi sarebbe ragione di costituirla.

Ricorda di aver già detto in altre occasioni che la seconda Camera dovrà essere espressione della vita delle Regioni, costituita con elezioni di secondo grado, attraverso cioè le Assemblee regionali. Gli sembra frattanto che il criterio della rappresentanza su base regionale sia ormai accettato pressoché da tutti. Si tratterà di vedere se le regioni dovranno essere rappresentate paritariamente, oppure se si dovrà ricorrere ad un sistema misto, col quale per una certa parte i senatori saranno eletti in pari numero e per un’altra parte in rapporto alle popolazioni delle singole regioni. Riconosce che il sistema del numero pari per ciascuna regione costituirebbe un atto di giustizia verso le regioni meno popolate e più povere, che così avrebbero lo stesso peso delle altre nella seconda Assemblea; ma si rende conto delle maggiori esigenze delle regioni economicamente più importanti e popolate. Conferma perciò, come già in precedenza ebbe a dichiarare, di essere favorevole al primo sistema, purché sia fatto salvo il principio della parziale pariteticità di rappresentanza fra le vari regioni.

Soggiunge che, affermato il principio della rappresentanza regionale, si dovrà fare in modo che la seconda Camera sia non soltanto una rappresentanza politica del Paese, ma anche una rappresentanza di interessi o di categorie, o, per meglio dire, una rappresentanza di forze produttive, perché altrimenti si verrebbe meno ai più sani principi democratici.

Naturalmente la rappresentanza di tali forze produttive non starebbe a significare una difesa aprioristica di interessi particolari, bensì un prezioso contributo alla risoluzione di determinati problemi, da parte di uomini di provata esperienza e competenza, a tutela, sì, di singolari interessi, ma inquadrati nella considerazione dei superiori interessi del Paese.

Questa forma di rappresentanza del resto esiste in molti Stati democratici; ad esempio in Grecia, in Ungheria, nell’Equatore, in Estonia, in Romania e in Austria. In altri Stati, in cui essa non è prevista, si richiede tuttavia che i senatori appartengano a determinate categorie economiche produttive e culturali. Così avviene nel Belgio, in Brasile, nell’Egitto e nell’Irlanda.

All’onorevole Laconi che ha dimostrato di temere che la seconda Camera, così costituita, possa perdere ogni carattere di omogeneità, obietta che non vede affatto la necessità che la rappresentanza della seconda Camera sia costituita in modo omogeneo come la prima. Se così fosse, si creerebbe un doppione della Camera dei Deputati, ciò che si è deciso di evitare e che appunto è valso come argomento decisivo per contestare la necessità di una seconda Camera.

Gli sembra giusta l’osservazione dell’onore vole Mortati che, per occuparsi della composizione della seconda Camera, si sarebbe anche dovuto risolvere il problema della Costituzione delle Assemblee regionali, visto che la rappresentanza della seconda Camera avrà certamente una base regionale. Al riguardo tiene a dichiarare che in tali Assemblee non dovrà aversi soltanto la rappresentanza politica delle regioni, ma anche quella delle forze produttive e culturali, che a loro volta dovranno essere rappresentate nella seconda Camera.

Afferma poi che sarebbe anche necessario che le Assemblee regionali avessero la facoltà di distribuire i loro membri fra le varie categorie a seconda delle necessità. Ad esempio, nel momento presente le forze produttive più importanti in Sardegna sono l’agricoltura e la pastorizia; quindi in sede di Assemblea regionale sono appunto queste forze che dovranno essere adeguatamente rappresentate. Ché se in avvenire l’attività economica dell’Isola prenda un diverso indirizzo e diventi prevalentemente industriale, l’Assemblea regionale sarda dovrà poter variare conseguentemente la sua composizione.

Si dichiara infine d’accordo con gli onorevoli Zuccarini e Conti, i quali ritengono che una percentuale minima di senatori debba essere nominata dal Capo dello Stato, per riparare eventuali omissioni nella utilizzazione di elementi particolarmente capaci; né crede che la nomina presidenziale possa menomare il principio democratico al quale dovrà ispirarsi la nuova Costituzione.

TOSATO osserva che le questioni in esame sono due: rapporto tra le due Camere e composizione della seconda.

A suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere posta in una posizione di assoluta parità alla prima, sia per quanto riguarda l’esercizio della funzione legislativa, sia per quanto riguarda il potere di controllo sull’azione del Governo. Tra le varie ragioni a favore di una seconda Camera crede che non si debba perderne di vista una fondamentale: cioè, che la seconda Camera si istituisce per attuare un principio che è ormai generale in tutti i moderni ordinamenti costituzionali di equilibrio nella organizzazione dello Stato. Si tratta di dividere gli organi dello Stato e di creare fra di loro dei contrappesi al fine che nessun organo abbia tali poteri da poter promuovere forme più o meno larvate di assolutismo. Come c’è stato un assolutismo monarchico, così si potrebbe avere un assolutismo democratico, se tutti i poteri fossero concentrati in un solo organismo. Di qui la necessità di istituire una seconda Camera che abbia i medesimi poteri della prima.

Sono state mosse alcune obiezioni di ordine teorico generale contro l’istituzione di una seconda Camera, tra cui quello assai noto che la volontà popolare è unica e non può trovare espressione che in una sola Camera. Quindi una seconda Camera verrebbe ad esprimere o la volontà della prima e sarebbe inutile oppure una volontà diversa e sarebbe dannosa, in quanto non rifletterebbe esattamente la volontà del Paese. A suo avviso occorre essere molto cauti nel fare queste affermazioni. Può darsi, infatti, che la seconda Camera abbia torto nei confronti della prima, come può darsi non solo il caso inverso, ma anche il caso che i torti siano egualmente divisi fra le due Assemblee. Comunque, secondo il suo parere, ciò che più importa è che la Camera esprima, sì, in un certo senso la volontà del popolo, ma non la esprima in modo dogmatico: difatti il popolo, per sé stesso, non ha una propria volontà; compie solo un atto di fiducia nei confronti della Camera, la quale appunto deve cercare di interpetrarla sinteticamente nel modo migliore.

È questa una delle ragioni per cui si istituisce la seconda Camera.

Naturalmente occorrerà che anch’essa sia un’assemblea rappresentativa, che rispetti il principio della sovranità popolare, che in definitiva direttamente o indirettamente derivi dal popolo. Così sorge il problema della composizione della seconda Camera.

Nell’ordine del giorno in cui fu decisa l’istituzione di una seconda Camera si affermò che essa doveva essere l’espressione delle forze vive della Nazione. Questa affermazione ha anzitutto un significato negativo, nel senso cioè che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima, perché altrimenti sarebbe veramente inutile. Con l’affermazione anzidetta, infatti, si fa chiaramente allusione a quegli interessi di carattere generale che, nella loro completezza, non trovano adeguata espressione nella prima Camera, la quale rappresenta il popolo nelle sue grandi suddivisioni politiche e, in sostanza, i partiti. Rileva, in proposito, che in fondo gli interessi perseguiti dai partiti sono generalissimi, o per meglio dire generici, perché concernono le grandi direttive della politica dello Stato; ma accanto a tali interessi ne esistono nel Paese altri, anch’essi generali, e quindi politici, che sono però molto più concreti, come, ad esempio, gli interessi dei cittadini intorno all’amministrazione delle cose locali (vita della regione, dei comuni, delle provincie), intorno al lavoro, alla scuola, alla cultura, all’arte, all’agricoltura, al commercio, all’industria, all’artigianato, alla sanità pubblica e così via. Ed è in questo senso che, a suo parere, deve essere costituita la seconda Camera, come organo cioè rappresentativo di questi interessi generali e non soltanto di interessi sindacali. I sindacati perseguono gli interessi economici di una data categoria rispetto ad un’altra; ma, oltre ad essi, ci sono gli altri gruppi di interessi generali ai quali corrispondono altrettanti bisogni reali di carattere generale. La difficoltà sta tutta, come giustamente ha rilevato l’onorevole Mortati, nell’attuare una rappresentanza politica di questi interessi generali.

Nota che l’onorevole Einaudi ha fatto alcune osservazioni molto importanti, specie sulla difficoltà di stabilire un’adeguata proporzione nella rappresentanza di questi interessi, ed ha concluso che ciò importerebbe nell’ordinamento costituzionale una rigidità, una statica del tutto contrastanti col movimento continuo della vita. Ma egli non crede che a questo problema certamente di rilievo non possa trovarsi adeguata soluzione.

Ritiene che, in via generale, i membri della Sottocommissione siano tutti concordi nell’attribuire alla seconda Camera il carattere di una rappresentanza, prevalente se non esclusiva, su base regionale. Al che si può obiettare che così si verrebbe a dare un’attuazione forse assai più ampia di quel che non si pensi al principio federalistico. Ha già avuto occasione di osservare, parlandosi di regionalismo, che, almeno dal punto di vista scientifico, non si concepisce una differenza sostanziale tra l’ordinamento regionale e quello federale. Difatti si ha un ordinamento federale quando un ente, distinto dallo Stato, può emanare, sia pure in minima parte, atti che abbiano forza eguale a quella degli atti emanati dallo Stato. Se a ciò si aggiunge la notevole importanza che assumeranno le regioni, dando vita alla seconda Camera, si deve concludere che effettivamente la seconda Camera ricorda le cosiddette Camere federali.

Anche per questa ragione ritiene che bisogna dare una rappresentanza in Senato a tutti gli interessi ai quali si riconosca la natura di interessi generali e vivi della Nazione. Sottopone pertanto all’esame della Sottocommissione i seguenti articoli formulati sulla base dei principi da lui esposti:

«Art. 1. – Il Senato è composto dai rappresentanti effettivi degli interessi generali attinenti:

1°) agli enti locali territoriali; 2°) alla scuola, alla cultura, all’arte; 3°) al lavoro;

4°) all’industria e al commercio; 5°) all’agricoltura; 6°) all’artigianato; 7°) alla giustizia; 8°) alla sanità pubblica».

«Art. 2. – I senatori sono eletti, per 5 anni, dalle Assemblee regionali, su designazione delle istituzioni e delle associazioni che perseguono gli interessi di cui all’articolo precedente nell’ambito della regione».

Fa presente che ha fissato la durata di 5 anni, intendendo che la seconda Camera debba avere una vita di durata eguale a quella della prima, e seguirne le sorti anche in caso di scioglimento.

Rileva altresì che con una elezione così congegnata si avrebbe modo di stabilire una rappresentanza proporzionata ai vari interessi generali delle singole regioni.

Dà lettura quindi dei successivi articoli:

«Art. 3. – Una legge provvederà alla determinazione delle istituzioni e associazioni legittimate, in ciascuna regione, alla designazione dei senatori. Una legge provvederà pure alla determinazione del procedimento con cui le designazioni avranno luogo».

«Art. 4. – Nessuno potrà essere designato ed eletto senatore se non abbia compiuto 40 anni. I requisiti generali di eleggibilità e le incompatibilità saranno stabiliti dalla legge. Nessuno può essere ad un tempo deputato e senatore».

«Art. 5. – Le Assemblee regionali eleggeranno ciascuna 15 senatori fra quelli designati. Ognuna delle categorie indicate nell’articolo 1 sarà rappresentata almeno da un senatore».

Richiama l’attenzione dei colleghi sul fatto che le categorie, a norma del primo articolo da lui proposto, sarebbero 8 e che le Assemblee regionali dovrebbero nominare almeno un rappresentante per ciascuna categoria. Così resterebbe un margine di notevole discrezionalità a tali assemblee, che consentirebbe loro di eleggere un numero maggiore di rappresentanti per quelle categorie che nelle singole regioni avessero maggiore importanza. Si eviterebbero pertanto gli inconvenienti temuti dall’onorevole Einaudi.

Per consentire infine al nuovo Parlamento di funzionare immediatamente, aggiungerebbe la seguente disposizione transitoria:

«Fino alla emanazione della legge prevista dall’articolo 3, le Assemblee regionali procederanno alla elezione dei senatori, rappresentanti delle categorie indicate nell’articolo 1, prescindendo, dalle designazioni degli enti interessati».

LA ROCCA osserva che l’onorevole Tosato ha sollevato una questione di grande importanza quando ha sostenuto la necessità di porre la seconda Camera sul medesimo piano della prima, partendo dal principio al quale si dichiara nettamente contrario che bisogna di nuovo tornare alla teoria degli equilibri e dei contrappesi. L’onorevole Tosato ha aggiunto che la struttura dello Stato deve basarsi su un altro principio ormai superato: quello della divisione dei poteri; intendendosi con ciò che ogni organo debba avere un suo proprio potere, in modo che l’uno non possa invadere il campo dell’altro.

Senza addentrarsi in una discussione teorica, osserva che tale teoria ha avuto la sua ragione di essere e il suo compito progressivo in altri tempi, quando si trattava di garantire le libertà politiche e i diritti dei cittadini di fronte all’onnipotenza dello Stato. Ma oggi altra è la situazione: la sorgente della sovranità è nel popolo e quindi l’emanazione del potere proviene dallo stesso popolo. Il potere, così considerato, è unico e trova la sua espressione compiuta nella Camera che è il riflesso della volontà popolare.

Ha già detto altre volte che, a suo avviso, il potere dovrebbe essere concentrato nella Camera dei Deputati, la quale poi dovrebbe esprimere dal suo seno gli incaricati di esercitarlo sotto il suo controllo.

Partendo quindi dalla premessa che la Camera è l’organo supremo della Nazione, bisogna procedere con ogni cautela nell’affermare il principio della parità delle due Camere, principio al quale forse si potrebbe accedere, se la seconda Camera fosse integrazione della prima e anch’essa costituita su base essenzialmente elettiva. Ricorda che alcuni Paesi molto avanzati negli ordinamenti democratici non hanno una seconda Camera; in altri, invece, la prima Camera sta a rappresentare gli interessi generali, mentre la seconda, posta sullo stesso piano di diritto, gli interessi reali e concreti di alcuni determinati enti. Il secondo caso si ha negli Stati a carattere plurinazionale; ma l’Italia non si trova in questa situazione e, d’altra parte, sarebbe opportuno giovarsi dell’insegnamento e dell’esperienza del passato, in cui il sistema bicamerale ha dato risultati del tutto negativi e la seconda Camera è diventata troppe volte un centro di reazione e di freno al progresso.

All’onorevole Tosato, che attribuisce alla seconda Camera una funzione di freno e di correttivo alla prima, ricorda che l’espressione della volontà popolare non può essere che una ed è inconcepibile che il popolo possa trovarsi in contrasto con sé stesso. Ciò però potrebbe accadere e la sovranità popolare ne avrebbe grave danno se fosse eletta una seconda Camera per contrastare le decisioni prese dalla prima.

L’onorevole Tosato ha manifestato anche l’avviso che occorrerebbe allargare l’espressione della volontà popolare con la rappresentanza degli interessi di categoria. Deve a tal proposito far rilevare che una simile rappresentanza non sarà già dei lavoratori, bensì di alcune determinate associazioni, come ad esempio quelle degli agricoltori, degli industriali, degli avvocati, degli ingegneri, dei medici e così via.

Ricorda d’aver già in altre occasioni esposto nettamente il suo pensiero circa la necessità di evitare che il futuro ordinamento regionale possa tramutarsi in un ordinamento federalistico. È d’accordo che con la seconda Camera si crei un organo che sia la diretta espressione degli interessi e dei bisogni locali, ma ammonisce di andar molto guardinghi in questo campo, per non correre il pericolo di spezzare l’unità politica ed economica della Nazione.

Circa la questione della parità felle funzioni, osserva che la seconda Camera, in quanto più o meno costituita sulla base della rappresentanza regionale, sostanzialmente sarà l’espressione degli interessi degli enti regionali. Ed è perciò che essa non dovrebbe essere posta su un piano di parità con la prima, che è l’espressione integrale della volontà della Nazione. Soggiunge che, accogliendo la proposta dell’onorevole Tosato, per cui accanto alla rappresentanza su base regionale dovrebbe aversi nella seconda Camera anche la rappresentanza degli interessi di alcune determinate categorie, si potrebbe avere una prevalenza di questi ultimi interessi su quelli di carattere generale, ed allora la seconda Camera tenderebbe a smorzare, ad attenuare, e forse a distruggere l’opera della prima.

Si dichiara perciò nettamente contrario: innanzi tutto al principio che la seconda Camera debba essere posta su un piede di parità con la prima, e in secondo luogo a che la seconda Camera possa essere composta sulla base della rappresentanza degli interessi di alcune determinate associazioni e categorie. In sostanza, secondo il suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere l’espressione democratica degli organi locali, su base elettiva, e dovrebbe avere soltanto poteri consultivi e integrativi,

PERASSI ritiene che la seconda Camera debba avere parità di funzioni con la prima. Per quanto concerne la funzione legislativa, ogni dubbio gli sembra impossibile. Innanzi tutto ricorda che a giustificazione del sistema bicamerale si è riconosciuta la necessità che la legge risulti dalla più ampia valutazione di tutti i possibili interessi da tutelarsi con la legge stessa. Inoltre, dal punto di vista pratico, è indiscutibile che la legge, assoggettata nella sua formazione ad un riesame, riesca sempre migliore, anche se ciò vada a scapito della celerità, la quale non è sempre un vantaggio né per la legge né per il Paese.

Ritiene poi che il riconoscimento della parità delle funzioni non possa dar luogo a dubbi per quanto riguarda il controllo politico effettuato a mezzo delle interrogazioni e delle interpellanze. Qualche perplessità invece teme si possa nutrire nei riguardi del voto di fiducia al Governo. A suo parere, la parità potrebbe teoricamente affermarsi nella Costituzione, senza escludere nell’attuazione pratica del principio la possibilità di ricorrere a qualche adattamento, come è avvenuto in altri Paesi.

Per quanto concerne la formazione del Senato, gli sembra che ormai sia da tutti ammesso il principio che il Senato debba trovare la sua base nelle regioni. Al riguardo dichiara di non condividere il timore da altri nutrito di un mascherato federalismo. Pur avendo aderito ad una soluzione più attenuata del problema delle autonomie locali, non ritiene che una prevalenza della rappresentanza regionale nella formazione del Senato possa offrire dei pericoli per il funzionamento dello Stato nell’esercizio della sua attività legislativa e politica.

Circa la composizione numerica del Senato osserva in linea di principio che non vi è nessuna ragione né logica, né politica perché una Camera debba essere costituita con un solo sistema: possono esservi membri eletti o nominati con un sistema e membri nominati o eletti con un altro. Ritiene eccessivo che ogni Assemblea regionale elegga lo stesso numero di senatori. A suo avviso, ciascuna regione dovrebbe eleggere un certo numero minimo di senatori e per il resto si dovrebbe tener conto della popolazione e della estensione geografica della regione stessa. Si ottiene così la possibilità che del Senato facciano parte, in misura determinata, altri elementi non eletti dalle regioni, e questi potrebbero essere i rappresentanti di enti titolari di particolari interessi economici. Non esclude infine, senza insistere sulle ragioni di opportunità pratica e politica, da altri già lumeggiate, che la nomina di un numero ristrettissimo di senatori possa rientrare nelle facoltà del Capo dello Stato.

Nei riguardi del progetto dell’onorevole Tosato, dichiara che esso non corrisponde esattamente con le sue vedute. A suo parere sarebbe conveniente che le Assemblee regionali avessero facoltà di indicare il numero dei rispettivi senatori.

Quanto alle norme transitorie, osserva che si tratta di un problema di carattere particolare che per ora non è il caso di approfondire. È indubbio, per altro, che non si potrà non tener conto del fatto che le Assemblee regionali non saranno subito costituite; quindi il primo Senato potrà essere eletto dalle regioni con un procedimento che non sarà quello definitivo.

MORTATI, Relatore, invita coloro che sono favorevoli alla nomina di una aliquota di senatori da parte del Capo dello Stato a precisare se tale nomina dovrebbe essere a vita o a tempo determinato.

PERASSI preferirebbe la nomina a tempo determinato; non escludendo quella a vita per un ristrettissimo numero di senatori.

BOZZI è favorevole al principio della parità delle funzioni, sia per quanto attiene al processo formativo delle leggi, sia per l’intervento nelle questioni politiche ed il controllo sul Governo, soprattutto considerando il problema dal punto di vista dell’equilibrio politico.

Essendosi affermato che il Senato deve avere una base politica e rappresentativa, ne consegue che per questa sua struttura esso non contraddice, ma integra e completa la rappresentanza della prima Camera. In sostanza il Senato viene a rappresentare quelle forze sociali, di cui la Camera, per la sua particolare configurazione di rappresentanza di partiti, non può esprimere in modo autonomo la volontà.

Osserva che il problema della composizione del Senato non è facile, e che esso può essere variamente risolto: così la sua struttura da alcuni viene ricollegata alle regioni, quando ancora non si sa come le regioni dovranno essere costituite; da altri invece all’intervento delle associazioni sindacali, quando non si sa ancora quale sarà la legge che regolerà la formazione ed il potere di tali associazioni.

Richiamandosi alle osservazioni degli onorevoli Tosato e Perassi, nota che, se si parla di rappresentanza delle regioni, si deve anche precisare se si intende parlare di queste come enti di diritto pubblico, come soggetti titolari di autonomia ed autarchia. Teme però che in tal modo si possa favorire il sorgere di una struttura federalistica, specialmente se si aderisce alla tesi, prospettata dall’onorevole Lussu e da altri seguita, di dare ad ogni regione una rappresentanza eguale. Si arriverebbe così facilmente alla regione considerata come un ente sovrano, come membro di uno Stato federale, il che è assolutamente da evitare. Ricorda che nell’accogliere il principio dell’ente regione si partì dal presupposto di uno Stato unitario; presupposto che assolutamente non deve essere dimenticato.

Dissente da quanti vorrebbero che il corpo elettorale del Senato non fosse quello stesso della Camera: se si vuole creare un Senato che possa efficacemente esplicare una funzione in condizioni di parità con la Camera, occorre che il corpo elettorale dell’uno sia eguale a quello dell’altra. Un Senato con un corpo elettorale più ristretto di quello della Camera, la quale appunto trae la sua autorità dalla volontà generale dei cittadini, sarebbe un organo privo di prestigio, che, automaticamente, anche se fosse affermato il principio della parità delle funzioni delle due Assemblee, si troverebbe in una situazione di subordinazione rispetto all’altro ramo del Parlamento. Pertanto, contrariamente a quanto è stato proposto dall’onorevole Tosato, suggerisce l’adozione di un sistema orientato verso il suffragio universale, sempre però nell’ambito della regione: in altri termini, dovrebbero essere i cittadini delle regioni e non le Assemblee regionali ad eleggere i membri del Senato, perché, se si ricollega la vita del Senato a quella delle Assemblee regionali, quali specifici corpi elettorali, qualunque mutamento queste eventualmente subissero si ripercuoterebbe sulla vita del Senato.

Occorrerebbe invece determinare nella Carta costituzionale le categorie dei cittadini che potrebbero essere eletti senatori ed allo scopo potrebbero servire come punto di partenza le specificazioni dell’onorevole Tosato, così che la seconda Camera rappresenterebbe quelle forze vive della Nazione, economiche, culturali, artistiche ecc., alle quali spesso si è fatto riferimento.

Bisognerebbe poi procedere all’operazione più difficile, cioè al dosaggio di tali forze, per determinare quanti dovrebbero essere i rappresentanti di una data categoria e quanti quelli di un’altra. Ricorda al riguardo l’acuta osservazione già fatta dall’onorevole Rossi e poi ripresa dall’onorevole Einaudi, che in una norma statutaria non si possono cristallizzare le situazioni, tanto più che si tratta di forze vive e, come tali, in continuo movimento. Si potrebbe pertanto lasciare alle Assemblee regionali la determinazione dei seggi che in ogni regione dovrebbero essere affidati a ciascuna delle categorie previste in via generale dalla Costituzione.

Si avrebbe così una combinazione di tre principi diversi, che potrebbero dare utili risultati: 1°) il principio del suffragio universale, cioè della investitura diretta da parte del popolo, che darebbe autorità e prestigio alla seconda Camera, per cui essa verrebbe a trovarsi senz’altro in una situazione di parità con la prima; 2°) l’indicazione di categorie da considerarsi come forze vive della Nazione; 3°) l’attribuzione alle Assemblee regionali della possibilità di valutare le particolari esigenze e gli specifici aspetti della vita della regione. E naturalmente il sistema dovrebbe trovare la sua concretizzazione in una legge elettorale speciale.

Aggiunge che non è d’accordo con l’onorevole Tosato quando propone che le associazioni sindacali indichino i nomi dei candidati alle Assemblee regionali, perché così si verrebbe a costituire una Camera di rappresentanti di associazioni e di enti in genere, e non già di rappresentanti del popolo.

FABBRI constata che vi sono due punti acquisiti nella discussione: il sistema bicamerale e la costituzione del Senato quale rappresentanza delle forze vive del Paese. Resta ora da risolvere un problema grave e delicato: quello delle modalità per la scelta dei senatori.

L’onorevole Tosato ha proposto un sistema che in sostanza ne rinvia ad una legge speciale la fissazione, mentre a suo avviso la questione va affrontata in sede di Sottocommissione, risolvendo innanzi tutto il problema se occorra procedere con elezione diretta o di secondo grado. Premesso che il Senato non dovrebbe avere minori funzioni della Camera, sia nel campo legislativo che in quello di controllo sull’azione di governo, ritiene che la Carta statutaria dovrebbe fissare il numero dei senatori e determinare la loro ripartizione tra le varie regioni.

Quanto al delicato argomento del voto di fiducia, associandosi all’onorevole Perassi, aggiunge che concepirebbe il Senato come un organo, in un certo senso permanente della vita rappresentativa dello Stato, e non con una durata legata a quella della Camera come propone l’onorevole Tosato. Pensa pertanto ad una durata di sei anni per il mandato dei senatori, con la rinnovazione di un terzo ogni due anni. Si assicurerebbe così la continuità di un organo rappresentativo dello Stato anche in caso di vacanza di altri organi, compreso il Capo dello Stato. D’altra parte il parziale rinnovamento biennale importerebbe un esercizio di attività politica da parte dei cittadini, assai utile per la loro educazione, ed insieme un orientamento sugli indirizzi del corpo elettorale, che non è male verificare con una certa periodicità e frequenza.

Circa il riparto dei senatori tra le varie regioni, egli preferisce considerare le regioni come collegi elettorali più che come organi capaci di avere propri rappresentanti, per allontanare il pericolo di addivenire ad un ordinamento federalistico. Sia i deputati che i senatori a suo avviso debbono essere i rappresentanti della Nazione.

Nei riguardi del criterio da seguire per l’elezione dei senatori, osserva che se si accedesse al sistema maggioritario relativo, potrebbero sussistere fondati motivi per dare la preferenza alla elezione diretta anziché a quella di secondo grado. Se invece si adottasse anche per la seconda Camera la proporzionale, per non avere duplicazioni della fisionomia della prima, bisognerebbe dare la preferenza alla elezione di secondo grado. Inoltre con l’elezione diretta basata sul sistema maggioritario si potrebbe fare a meno di attribuire al Capo dello Stato la prerogativa della nomina di un ristretto numero di senatori, prerogativa che invece sarebbe utile riconoscere se si accedesse al concetto dell’elezione di secondo grado.

CONTI, Relatore, rileva che la discussione si è svolta con scarsa organicità, ed esprime il parere che si possa chiudere la discussione generale.

Desidera poi precisare il netto punto di vista suo e del suo partito in merito ad una questione di principio. È stato più volte sostenuto che, per realizzare la volontà popolare, non ci sia altro modo che quello dell’elezione di una sola Camera. Premesso che i repubblicani storici si considerano e si vantano di essere i bigotti della sovranità popolare, afferma che la pretesa di realizzarla con l’istituzione di una sola Camera viola il principio stesso della sovranità popolare. Una sola Camera si può trasformare facilmente, come è avvenuto in molti Paesi, in una oligarchia pericolosissima, mentre solo con l’istituzione di molteplici enti rappresentativi si può realizzare la sovranità popolare. Per questa ragione i repubblicani sostengono che, accanto alla Camera dei Deputati, debba essere istituita una seconda Camera e che entrambe debbano essere integrate da quelle istituzioni regionali con le quali si può creare una vera democrazia. Essi aspirano in sostanza a che sia data vita a tutte quelle istituzioni che veramente derivino dalla volontà popolare e rappresentino gli interessi immediati delle popolazioni. L’idea che si possa trasferire la volontà popolare soltanto in cinque o seicento individui rasenta l’assurdo, poiché questi non potranno mai rappresentare 45 milioni di italiani.

TOSATO dichiara di aderire in pieno alle affermazioni dell’onorevole Conti.

PORZIO, non essendo intervenuto a procedenti riunioni e sentendo parlare oggi del Senato, desidera esprimere il proprio punto di vista.

Si è votato per il sistema bicamerale, e questo è il punto fermo da cui si deve partire; onde talune osservazioni dell’onorevole La Rocca contro il sistema bicamerale sono ormai superate.

Ricorda di aver preveduto in una precedente riunione che forse si voleva un Senato con poteri e compiti più o meno ristretti; e la discussione su questo punto dovrebbe essere fatta ampiamente, esponendo ciascuno il proprio punto di vista apertamente, senza sottintesi e senza circonlocuzioni di parole.

Quando si è affermato il principio del sistema bicamerale, il fine che si intendeva perseguire era quello di costituire non già un meccanismo, ma un organismo; e come negli organismi naturali le varie facoltà si integrano, si completano, si rafforzano, lo stesso si desiderava che avvenisse per le due Camere, che insieme costituiranno l’Assemblea Nazionale.

Non parlerà di sistemi parlamentari stranieri perché già altra volta ha detto che, se l’Italia ha subito una tremenda disfatta, l’intelletto italiano non è stato sconfitto ed è e sarà capace sempre di legiferare originalmente. Potrebbe forse dire in linea politica all’onorevole La Rocca che, se in Francia fosse stato accolto il sistema unicamerale, certamente non avremmo avuto in Italia la presente adesione pressoché di tutti al sistema bicamerale.

Si sta ora creando una nuova Costituzione. In materia politica la condotta di chi, specialmente come lui, non è iscritto ad alcun partito, può essere erroneamente giudicata e dare adito a qualche equivoco. Tiene perciò a dichiarare che egli è per indole, per vita di lavoro, per anima, un democratico. Nella sua vita politica ha seguito unicamente Giolitti, questo grande piemontese e grande italiano che aveva le lacrime agli occhi se gli si parlava di Torino e diventava pieno di sollecitudini, premure, riconoscimenti, se gli si parlava del Mezzogiorno. Fu Giolitti ad imprimere, tra lotte immani e spesso fra ostili incomprensioni, il moto progressivo democratico al nostro Paese. Il Presidente onorevole Terracini, quando affermava che la Camera, tra le altre sue facoltà, deve anche avere quella di poter dichiarare o negare la guerra, avrà forse pensato che il progetto di legge per la modifica dell’articolo 5 dello Statuto fu presentato da Giolitti e che egli ebbe l’alto onore per incarico di questo uomo eminente di scriverne la relazione. Questa è la sua carta da visita, una volta per tutte.

È d’accordo con l’onorevole Conti. Un maestro diceva che vi era una sorta di teologia politica: la Camera ardimentosa, tumultuante ed impulsiva; il Senato conservatore, severo – l’Assemblea seduta di carducciana memoria – intransigente nel suo rigore. Ma tutto questo non è più. Se la base della rappresentanza nel Senato non sarà più la nomina dall’alto, ma l’elezione attraverso il suffragio universale, ogni prevenzione su un possibile carattere conservatore del Senato sarebbe fuori luogo. Il Senato non potrà essere che la legiferazione meditata, approfondita, riveduta; non potrà essere che il limite ad un potere che sarebbe assoluto e dal quale deriverebbero giudizi, leggi irrevocabili ed irreparabili. È la Corte d’appello. Ciò pare che sia voluto, consapevolmente o inconsapevolmente, da tutti, dal momento che per il deputato si pone come condizione avere soltanto 25 anni di età, mentre per il senatore si pone quella di averne 40; ossia l’età di una riflessione e di una esperienza più matura. Ma sarebbe una contraddizione in termini richiedere tale maggiore maturità intellettuale da chi dovesse compiere funzioni più ristrette e più limitate.

Vi deve dunque essere parità fra le due Camere.

In ogni modo, è comune a tutte le legislazioni il principio secondo il quale la seconda Camera ha una base più ristretta per le elezioni ed è eletta con votazione indiretta. Ricorda un antico progetto di un eminente uomo politico, Antonio Scialoja, secondo il quale la base del Senato elettivo doveva essere costituita dai Consigli provinciali, comunali, professionali, industriali, lavoratori. Nihil sub sole novi, se il progetto di Antonio Scialoja si avvicina molto all’idea espressa dall’onorevole Bozzi.

È del parere poi che il Capo dello Stato debba avere la facoltà di nominare alcuni senatori, specialmente le grandi personalità che onorano la Patria, perché vi sono alcune personalità che rifuggono dalla lotta elettorale, ma il cui valore può dar lume e decoro all’Assemblea.

Termina esortando i componenti la Sottocommissione a pensare che, specialmente nell’ora che si attraversa, il Paese sarebbe profondamente deluso se nella nuova Carta costituzionale vedesse ridotte le facoltà del Senato, che nella tradizionale coscienza del popolo è stato sempre un istituto che ha conferito autorità e prestigio alla Nazione.

AMBROSINI rileva che la Sottocommissione sembra ormai orientata ad assegnare la maggioranza dei seggi della seconda Camera ai rappresentanti delle regioni. Occorre pertanto che sia determinato in modo tassativo il numero dei membri da assegnare alle singole regioni. A tale proposito ritiene che dovrebbe essere assicurato ad ogni regione un minimo di rappresentanza (da due a quattro senatori) mentre il numero degli altri dovrebbe essere fissato in base all’entità della popolazione, perché quanto maggiore è la popolazione e tanto maggiori sono i bisogni, ed è quindi giusto che le regioni più popolose abbiano un maggior numero di rappresentanti.

RAVAGNAN dichiara che, innanzi tutto, è bene partire, per dare un certo ordine alla discussione odierna, da un dato di fatto ormai acquisito, che cioè è stata già decisa l’istituzione di una seconda Camera. In secondo luogo, circa la questione relativa alle funzioni da attribuirsi alla seconda Camera, gli pare si potrebbe essere d’accordo nell’affermare che essa debba essere chiamata a migliorare la elaborazione delle leggi, e così a perfezionare l’opera legislativa della Camera dei Deputati.

Quanto al modo di costituire la seconda Camera, sarà bene risolvere pregiudizialmente il problema se debba essere costituito un corpo elettorale, basandosi sull’elezione da parte dei cittadini, oppure se i membri della seconda Assemblea debbano essere in tutto o in parte nominati dall’alto. Secondo il suo parere, non dovrebbe essere accettato il criterio della nomina dall’alto e ciò per una questione di principio, e cioè che nella coscienza universale moderna il mandato legislativo è concepito come un’emanazione della sovranità popolare.

Altra questione da decidere, ma sulla quale sostanzialmente si è già d’accordo, è quella se il corpo elettorale, chiamato ad eleggere i membri della seconda Camera, debba essere costituito o meno sulla base della regione. In proposito è da domandarsi se tale corpo elettorale debba essere costituito dalla universalità dei cittadini, sempre nell’ambito della regione, oppure da categorie speciali determinate dalla legge; ed egli è personalmente favorevole alla prima delle due ipotesi.

PRESIDENTE, data l’importanza dei problemi in discussione, desidera esprimere il suo parere personale.

Dichiara innanzi tutto di essere contrario alla parità di funzioni della seconda Camera rispetto alla prima, perché, mentre questa è senz’alcun dubbio espressione genuina della sovranità popolare, l’altra sarà comunque costituita espressione di funzioni ed esigenze che con tale sovranità perfettamente non coincidono. L’onorevole Conti, quando ha affermato che la sovranità popolare trova la sua espressione non solo nell’Assemblea Nazionale, ma in qualunque altra Assemblea che sorga nel seno della Nazione, avrebbe dovuto aggiungere: e che si formi senza esclusione di nessun gruppo, sia pure limitato, di cittadini. Condivide l’opinione che quanto più si moltiplicano gli organismi di rappresentanza collettiva e tanto più la democrazia si afferma e la volontà popolare può farsi valere; ma respinge l’idea che questa volontà trovi maggiore espressione in organi periferici, limitati e parziali, anziché nell’Assemblea Nazionale. In questa la sovranità del popolo trova la sua più completa e valida estrinsecazione, mentre ogni altra assemblea locale non può essere che integratrice e subordinata. Se poi le Assemblee regionali dovessero formarsi secondo quanto propone l’onorevole Conti, la loro base elettiva sarebbe senz’altro mutilata, ed uguale pecca avrebbe una seconda Camera che trovasse in esse la sua sorgente; infatti, una rappresentanza di categorie escluderebbe dal quadro immediatamente quasi tutte le donne, in massima parte non partecipi in modo diretto al processo produttivo e pertanto non ineludibili nei particolari collegi elettorali. Semplici massaie, esse non avrebbero diritto al voto, perché non esiste un sindacato delle massaie; e se sotto il fascismo esiste un’associazione delle massaie rurali, di fatto essa era l’organizzazione delle contadine, lavoratrici dei campi.

Si è affermato che, così come la dualità delle due Camere, la parità dei loro poteri sarebbe giustificata dall’esigenza di realizzare un equilibrio interno del sistema parlamentare. Ma perché la necessità di tale equilibrio non si avverte rispetto agli altri poteri dello Stato, come, ad esempio, in quello esecutivo? Si potrebbe affermare che l’equilibrio si raggiunge con la presenza, accanto al Capo del Governo, del Capo dello Stato. Ma questo, se una tale funzione di equilibrio esercita, lo fa non nell’interno dell’esecutivo, ma nei rapporti fra i vari poteri, tanto che è proprio con questa giustificazione che si vuole da taluno elevare oltre l’ammissibile la sua autorità. Parimenti a nessuno verrebbe in mente di chiedere uno sdoppiamento del potere giudiziario allo scopo di equilibrarne il funzionamento. È evidente insomma che, se un equilibrio è necessario nel sistema generale dei poteri, e cioè nei rapporti fra l’uno e l’altro, è illogico rivendicarlo nell’interno di ciascuno di essi.

Passa poi a ricercare quali siano le materie da escludere dalla competenza della seconda Camera. Pensa, ad esempio, che questa non abbia titoli per discutere ed approvare i bilanci. L’esame delle entrate ha costituito storicamente la ragione prima del sorgere dell’Assemblea elettiva, che ha condotto progressivamente all’attuale Camera dei Deputati. Non si comprende come coloro che pensano ad una seconda Camera, formata sulla base della rappresentanza degli interessi, possano volerle poi assegnare il compito di approvazione del bilancio. La imposta è pagata dal cittadino in quanto tale, dal cittadino indifferenziato, e non dal contadino, o dall’industriale, o dal commerciante. Tutti sono tenuti a contribuire alle spese dello Stato, e la prima Camera, eletta col suffragio universale ed eguale, è appunto la Camera di tutti; e lo è essa sola.

Egli sottrarrebbe del pari alla seconda Camera il diritto di interloquire e deliberare in materia di amnistia, perché non vede quale particolare apporto potrebbe arrecare alla valutazione della sua opportunità ed estensione un organo comunque meno pronto della Camera dei deputati ad avvertire il tono e l’orientamento politico del Paese. Si tratta infatti di materia squisitamente politica, perché in genere è la «necessità politica» a suggerire l’amnistia. Ed ancora una volta non può sorprendere il fatto che siano proprio coloro che vogliono dare alla seconda Camera la fisionomia meno politica possibile, quelli che intendono lasciarle invece le facoltà più tipicamente politiche.

Così pure il diritto di inchiesta dovrebbe rimanere attribuito soltanto alla prima Camera, che è l’organo il quale, più direttamente ed immediatamente collegato col Paese, meglio ne riflette le emozioni, i turbamenti, le preoccupazioni, il bisogno di essere illuminato su fatti e circostanze che abbiano colpita la pubblica opinione.

Ritiene infine che alla seconda Camera non possa riconoscersi il potere di accordare o negare la fiducia al Governo. Non è forse il caso per questo di richiamarsi alla tradizione del vecchio Senato italiano, cui era negata tale facoltà, in quanto si potrebbe opporre che ciò era dovuto al fatto di essere esso di nomina regia e che perciò, con una seconda Camera divenuta elettiva, il peso della tradizione verrebbe meno. Indipendentemente da altre ragioni già esposte nel corso della discussione, egli pensa che, riservando ad una sola Camera tale potere, si evita il frequente insorgere di conflitti fra le due Camere ogni qual volta l’una accordi e l’altra neghi la fiducia al Governo. Alla seconda Camera resterebbe però sempre il potere di controllo sul Governo da esercitarsi col diritto d’interrogazione e di interpellanza.

Resta a parlare del diritto di guerra e di pace. Al riguardo, egli pensa che ogni decisione dovrebbe essere presa dalle due Camere insieme riunite, e pertanto che tale diritto spetterebbe così alla prima come alla seconda Camera. Si è obiettato che nell’Assemblea Nazionale le due Camere, se fornite l’una di maggiori e l’altra di minori poteri, male potrebbero sedere e provvedere insieme. Ma l’argomentazione è artificiosa. Ciò che importa non è che le due Camere abbiano poteri differenziati quando seggono ciascuna a sé, nell’esercizio delle distinte funzioni; ma che abbiano eguale potere nei confronti di quelle materie che devono affrontare in sede comune e con unico giudizio.

Così elencate le esclusioni, ritiene che le due Camere debbano stare su piede di parità per quanto riguarda il potere di legiferare. La seconda Camera esaminerà e voterà dunque tutte le leggi dello Stato, perché è nella elaborazione di queste che insorge la necessità da tutti asserita che i vari problemi siano visti non solo da un punto di vista generale, ma da tutti i punti di vista particolari, ed in relazione a tutti gli interessi specifici che si manifestino nell’interno del Paese.

Passando al problema della composizione della seconda Camera, afferma che occorre respingere ogni designazione dall’alto. Non si pone qui un problema di quantità, ma un problema di principio. Ogni designazione dall’alto, sia pure di pochi membri, di un’Assemblea rappresentativa, costituisce in regime democratico una mostruosità, da cui uomini adunati ed intenti ad un’opera razionale devono assolutamente rifuggire. In un sistema democratico ogni autorità deve provenire dai cittadini. L’opinione di quanti pensano che in sostanza la stessa designazione dall’alto potrebbe in certa guisa considerarsi come una elezione di forma indiretta, non è accettabile,

perché la designazione del Capo dello Stato sorge da una elezione di secondo grado; coloro che da lui fossero designati come membri della seconda Camera, trarrebbero la propria investitura da una elezione di terzo grado, e a questo punto parlare ancora di volontà e di scelta popolare sarebbe puro artifizio, perché il tramite tra gli pseudo eletti e la volontà degli elettori di primo grado sarebbe del tutto evanescente. Se è concepibile una elezione di secondo grado, ed è anzi sperimentata presso molti Stati, quella di terzo grado rappresenta una pura esasperazione annichilitrice del sistema.

È stato affermato che comunque sarebbe opportuno consentire al Capo dello Stato di chiamare a far parte della seconda Camera uomini celebri, che per le loro capacità rappresentano una illustrazione del Paese, ma che, in genere, si mantengono estranei alla lotta politica e sono schivi e spesso pavidi del contatto con le folle. Ma appunto per questa ultima ragione tali uomini sono i meno indicati a far parte di un consesso politico, non potendo rendervisi interpreti dei bisogni e delle aspirazioni del popolo, col quale non sanno comunicare ed intendersi. Al riguardo ricorda quanto sia stato modesto il contributo dato alla vita politica del nostro Paese dagli uomini portati, contro voglia, a sedere nelle Assemblee parlamentari. Immessi in Senato, Manzoni, Carducci, Verdi, Marconi raramente ne varcarono le soglie; e Verdi addirittura si vantava di non averlo fatto se non una volta sola per la formalità del giuramento. Chi non è attratto alla lotta politica, la quale in confronto delle maggiori imprese intellettuali può a volte sembrare volgare e umiliante, non vi adirà per il fatto di un’investitura dall’alto. Le nomine riservate al Capo dello Stato si risolverebbero quindi a fornire la seconda Camera meno ancora che di figure, di nomi decorativi; ma né la prima né la seconda Camera necessitano di tale decorazione speciale: o si procacceranno da sé, con le loro opere, rispetto o prestigio, o rimarranno comunque senza stima e senza consenso.

Né gli sembra opportuno riservare alle alte cariche dello Stato l’ingresso di diritto alla seconda Camera. Pensa anzi che si dovrebbe dichiarare l’incompatibilità tra le loro funzioni e l’appartenenza al potere legislativo. A parte quel certo spirito di dipendenza che i funzionari delle pubbliche Amministrazioni conservano sempre nei riguardi del potere esecutivo, sarebbe assai difficile per essi assolvere contemporaneamente e con piena efficienza ambedue gli incarichi. Sorgerebbe poi per essi il problema della durata del mandato, se sia cioè da rinnovarsi ad ogni spirare di legislatura, o continuativo in relazione alla permanenza nell’ufficio; onde l’esigenza di norme che appesantirebbero la Costituzione, togliendole quella semplicità di linee che è necessario assicurarle.

Il problema se i membri della seconda Camera siano i rappresentanti delle regioni territorialmente considerate, oppure di certe determinate categorie nell’ambito regionale o nazionale è cosa certamente di rilievo; ma peso maggiore ha l’altro della elettività della seconda Camera, come base esclusiva della sua formazione. Egli opina, anzi, che una affermazione incisiva del principio dovrebbe essere contenuta in un articolo che precedesse tutta la stesura delle norme costituzionali relative agli organi parlamentari, e che dovrebbe suonare nei seguenti termini: «Il potere legislativo, sulla base delle due Camere, ha una sorgente di carattere elettivo».

Stabilità la base regionale della feconda Camera, resta da decidere se l’elezione ne debba essere di primo o di secondo grado. Personalmente esprime l’opinione che debba essere di secondo grado. La proposta dell’onorevole Fabbri per le elezioni dirette, più democratica all’apparenza, ha in realtà un carattere antipopolare. L’elezione alla seconda Camera con collegio uninominale e sistema maggioritario, darebbe luogo a risultati certamente più di destra, ad un allineamento molto più arretrato di quel che non si verificherebbe nelle elezioni per la prima Camera fatte col sistema proporzionale. Ne sorgerebbe un netto distacco tra le due Camere, tale che non può essere desiderato né favorito da chiunque aspiri alla maggiore armonia tra i due organi.

Quanto alle proposte dell’onorevole Bozzi rileva che esse implicano un collegio unico regionale, ed il sistema maggioritario nella elezione. Non è infatti pensabile che si possa giungere ai risultati desiderati dall’onorevole Bozzi, cioè ad una rappresentanza di categorie con rapporti prefissati, con il sistema proporzionale. Senza collegio unico con sistema maggioritario, potrebbe avvenire infatti che riuscissero eletti fra i candidati delle varie liste, un maggior numero in alcune categorie ed in altre uno minore di quanto non sia previsto nello schema iniziale. Crede quindi che anche il progetto Bozzi, così attraente a primo acchito, non possa resistere ad un esame accurato del suo giuoco interno.

Aggiunge ancora poche parole sulla rivendicata rappresentanza degli interessi. L’onorevole Ambrosini in una riunione precedente ha sostenuto che gli interessi che dovrebbero essere rappresentati in seno alla seconda Camera non dovrebbero riferirsi alle piccole categorie od a gruppi polverizzati, ma a grandi raggruppamenti sociali. Questi raggruppamenti verrebbero a coincidere, per ricorrere ad una terminologia corrente, con le classi. Ora, che cosa rappresentano i partiti, non in senso immediato, ma nella loro genesi e natura, se non appunto le classi, ed i loro interessi generali? E che cosa ne sono le ideologie, se non la sublimazione di questi interessi di classe concepiti nella loro continuità e comprensività? Ma i partiti sono, nell’opinione di tutti, i sostenitori della prima Camera. Secondo questa legittima interpretazione della tesi dell’onorevole Ambrosini e di molti altri membri della Sottocommissione, essi diverrebbero anche momenti essenziali del processo formativo della seconda. In definitiva dunque, la seconda Camera finirebbe per essere quasi un duplicato, salvo alcuni aspetti formali, della prima. Superflua dunque; non necessaria. E questa è stata la tesi iniziale che egli sostenne, quando fu incominciata questa discussione.

Prima di concludere, non può non richiamare l’attenzione della Commissione sul pericolo grave insito in una formazione della seconda Camera a base di rappresentanza di interessi. Se collusioni oscure di gruppi di interessi, spesso all’apparenza nettamente antitetici, a danno della collettività sono già possibili in seno ad un’assemblea eletta con criteri indifferenziati, essi potrebbero divenire la regola in un consesso in cui ognuno di tali gruppi si presentasse nettamente distinto ed individuato. Ricorda che un’alleanza obliqua di tal genere, fra operai ed imprenditori dell’industria pesante, ha valso all’Italia il sorgere ed il giganteggiare del protezionismo doganale, terreno sul quale nazionalismo e fascismo eressero la loro disastrosa dittatura. Ogni struttura costituzionale che facilitasse il ripetersi di un tale disastroso processo deve essere deprecata e combattuta. Non vi è dubbio che una Camera degli interessi vedrebbe la sua opera permanentemente insidiata da questo pericolo; e per eluderlo occorre attenersi ad un criterio che, anziché individuare ed isolare gli interessi, li fonda smorzandone le manifestazioni più caratteristiche.

TOSATO risponde alla domanda postagli dall’onorevole Terracini: perché dovrebbe attuarsi il principiò dell’equilibrio solo nel potere legislativo, e non anche, allora, nel potere esecutivo e in quello giudiziario? La risposta gli sembra molto semplice. Bisogna tener presente che il potere esecutivo e il potere giudiziario (che poi risultano da un complesso numeroso di organi fra i quali l’attività esecutiva e l’attività giurisdizionale sono suddivise) non sono poteri sovrani. Sia l’uno che l’altro, sia pure in misura e sotto aspetti diversi, sono vincolati dalle leggi poste dal potere legislativo. Questo invece si pone nell’organizzazione dello Stato come organo sovrano ed è proprio rispetto all’organo sovrano che si appalesa la necessità di un equilibrio, che si attua appunto attraverso il bicameralismo. Per la stessa ragione che, posto il principio della sovranità popolare, non si vuole che la sovranità stessa sia concentrata in una sola persona fisica, così si ritiene opportuno e necessario che il Parlamento, anziché da una sola, sia composto da due Camere, per evitare appunto eventuali abusi ed attuare quindi l’equilibrio.

FUSCHINI, per evitare discussioni inutili e contraddittorie e rendere così più proficuo il lavoro della Sottocommissione, propone che sia nominato un Sottocomitato composto di un numero ristrettissimo di persone, il quale riesamini e rielabori le varie proposte fatte nel corso della discussione e sottoponga poi alla Sottocommissione un quadro preciso delle questioni fondamentali e possibilmente un progetto articolato.

LUSSU si rende conto delle ragioni che hanno consigliato l’onorevole Fuschini a presentare la sua proposta, ma ha la netta sensazione che, accettandola, si otterrebbero risultati contrari a quelli da lui sperati. Ritiene infatti che il problema riguardante la costituzione del Senato sia stato ormai ampiamente discusso e che si possa così arrivare a delle conclusioni. Viceversa, se si sospendessero le riunioni per consentire al Comitato di presentare le sue proposte, i lavori della Sottocommissione diventerebbero più complessi e durerebbero più a lungo.

EINAUDI osserva che la proposta dell’onorevole Fuschini potrà essere accettata fra qualche tempo, non quindi immediatamente, perché non ancora sono state prese decisioni sulle questioni fondamentali attinenti alla costituzione del Senato.

PRESIDENTE fa presente che ormai le idee, per quel che riguarda il problema in esame, sono abbastanza chiare e la strada da percorrere è evidente.

La discussione generale è chiusa e nella prossima seduta si potrà mettere in votazione anzitutto la questione della parità dei poteri tra le due Camere. Nell’ipotesi che si approvasse una disparità di poteri, si potrà esaminare la questione delle funzioni da attribuire alla seconda Camera. In secondo luogo, occorrerà prendere una decisione sul problema della formazione dei Senato, stabilire cioè se la seconda Camera dovrà avere una base esclusivamente elettiva o se saranno consentite anche le nomine dall’alto e quella di diritto in funzione delle cariche ricoperte. Qualora la risposta, nei riguardi dell’ultimo quesito, fosse affermativa, si potrebbe passare all’elencazione delle cariche e alla fissazione del numero massimo degli eleggibili. Infine occorrerà stabilire il criterio da seguire per l’elezione: se, cioè, essa dovrà essere diretta o indiretta.

FUSCHINI non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, purché possa essere presa in considerazione in un secondo momento.

La seduta termina alle 12.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Bocconi, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile.

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Fabbri – Nobile – Perassi – Mortati, Relatore – Ambrosini – Einaudi – Zuccarini – Lussu – Laconi – Leone Giovanni – Conti, Relatore – Vanoni.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE informa che sarà prossimamente distribuito il testo delle decisioni finora approvate dalla Sottocommissione, testo che sarà molto utile avere sott’occhio per lo svolgimento delle successive discussioni. Ritiene che, esaurita la questione relativa alla composizione della prima Camera, prima di iniziare la discussione sulla costituzione della seconda, sia opportuno riprendere in esame il problema dei decreti catenaccio. Ricorda che la Sottocommissione nella seduta precedente deliberò che fosse esclusa ogni facoltà del potere esecutivo di emanare provvedimenti di legge sotto qualsiasi forma. C’è da domandarsi se in tale deliberazione fossero compresi anche i decreti anzidetti. Personalmente è del parere che la facoltà di emanare questo genere di provvedimenti non possa essere tolta al potere esecutivo. I decreti-catenaccio infatti hanno valore solo in materia fiscale e non consentirne l’emanazione potrebbe essere un errore, perché spesso in materia fiscale si rende necessaria l’adozione di misure particolarmente tempestive.

FABBRI ricorda che egli aveva già proposto che, in materia di imposizioni fiscali, dazi e variazioni delle imposte di fabbricazione, fossero ammessi i decreti legge. Torna ad insistere su questa proposta.

NOBILE, richiamandosi alle osservazioni fatte in proposito dall’onorevole Einaudi, che ha una particolare esperienza in materia, propone che lo si inviti a formulare precise proposte al riguardo.

PERASSI esprime l’avviso che la questione dei decreti-catenaccio debba essere rimandata a quando si discuterà della competenza del potere esecutivo.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza condivida questo avviso e che il problema debba essere riesaminato con quello generale della competenza del potere esecutivo.

(Così rimane stabilito).

Invita la Sottocommissione ad esaminare il problema della costituzione della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, fa una questione, pregiudiziale. Considerato che il progetto dell’onorevole Conti prevede come base di formazione del Senato le assemblee regionali, gli sembra che non si possa prendere una decisione in merito, senza prima aver definito il carattere di tali assemblee, le loro attribuzioni e la loro costituzione. Attualmente si hanno due progetti in materia, uno dell’onorevole Ambrosini e l’altro dell’onorevole Zuccarini; ma lo speciale Comitato incaricato di esaminarli non ha ancora riferito in proposito. A suo avviso occorrerebbe attendere il risultato di tali lavori prima di intraprendere l’esame della costituzione della seconda Camera.

AMBROSINI informa i colleghi che il Comitato per l’autonomia regionale è in attesa di un terzo progetto, dell’onorevole Lami Starnuti, e d’altra parte data la frequenza delle sedute dell’Assemblea plenaria, della Sottocommissione e dei gruppi parlamentari, subisce purtroppo delle remore nell’esplicazione del suo incarico. In ogni modo è del parere che la Sottocommissione possa frattanto prendere una decisione di massima circa la costituzione del Senato.

 PRESIDENTE chiarisce che per il momento non si tratta già di stabilire il modo in cui le Assemblee regionali dovranno inviare i loro rappresentanti in Senato, bensì di risolvere una questione di principio: se, cioè, le Assemblee regionali, sole o insieme con altri organi, debbano costituire la base per la formazione del Senato. Ritiene quindi che la pregiudiziale dell’onorevole Mortati non possa essere accolta e lo invita ad iniziare, quale Relatore, la discussione sulla composizione del Senato.

MORTATI, Relatore, desidera fare alcune dichiarazioni di carattere personale. Premette di ritenere che il Senato debba essere posto in condizioni di parità con la Camera dei Deputati e che pertanto debba avere una efficienza politica pari a quella della Camera stessa. È anche del parere che per la formazione del Senato debbano essere escluse le elezioni di secondo grado, perché esse annullerebbero l’immediatezza del rapporto rappresentativo tra elettori ed eletti, che è la condizione necessaria per l’efficienza politica di ogni assemblea elettiva.

Sicuro di interpretare il pensiero dei componenti la Sottocommissione, afferma che essi non sono animati dal proposito di fare della seconda Camera un contraltare della prima: tutti, infatti, anche coloro che appartengono a partiti diversi dal suo, vogliono che il Senato sia espressione della volontà popolare e quindi che i suoi membri siano eletti da una massa di cittadini il più possibilmente estesa.

In ogni modo ritiene che per la formazione del Senato dovrebbe esigersi uno schieramento di forze diverso da quello richiesto per la prima Camera. In altre parole gli stessi elettori della prima Camera dovrebbero intervenire alla formazione della seconda, ma in una veste diversa, come rappresentanti, cioè, di interessi.

Ricorda che la rappresentanza politica indifferenziata è sorta dalla Rivoluzione francese, la quale soppresse tutti gli organismi sociali intermedi tra il cittadino e lo Stato, ritenendoli elementi di turbamento. Naturalmente la realtà si è incaricata di ricostituire quegli organismi, indispensabili alla vita sociale, e tra essi i più importanti furono i partiti, che vennero a formarsi in seno alla classe dominante, cioè alla borghesia. L’estendersi del suffragio fece poi venir meno l’unicità della classe politica borghese: nuove classi infatti assunsero un’importanza politica che prima non avevano, essendo escluse, per un pretesto o l’altro, dal suffragio. Generalmente furono gli interessi di classe che fecero sorgere tali nuovi organismi: alcuni però di quegli interessi rimasero esclusi, o per lo meno non furono direttamente rappresentati in quello schieramento di forze che oggi costituisce la base di formazione della prima Camera.

Si domanda se, dal momento che tali gruppi sociali esistono e fanno sentire il loro peso, non sia più opportuno che essi assumano precise responsabilità politiche. Oggi, com’è noto, esistono potentissime organizzazioni che esercitano, per quanto in forma indiretta, una notevole pressione politica, sotto la veste di tutelare, anche con azioni di forza, gli interessi delle classi sociali rappresentate, senza però che esse siano impegnate ad indicare in sede politica il modo in cui gli interessi così fatti valere si inquadrino nell’interesse generale dello Stato. Politicizzare tali organizzazioni significherebbe fare assumere ad essi una diretta responsabilità nell’indirizzo politico del Paese e costringerli ad adeguare a questa la loro attività.

Sono queste appunto, a suo avviso, le forze che dovrebbero concorrere e costituire la nuova seconda Camera. I rappresentanti delle organizzazioni anzidette, chiamati a far parte del Senato, finirebbero con l’avere una visione più ampia dei loro interessi particolari, perché sarebbero costretti ad inquadrarli negli interessi generali dello Stato.

La realtà sociale odierna dimostra l’utilità di una seconda Camera così formata. Oggi, infatti, lo schieramento dei partiti non esaurisce e non rappresenta tutta la realtà sociale. Contro l’obiezione mossa dall’onorevole Nobile, e cioè che nella prima Camera sono già rappresentate tutte le professioni, talché non vi sarebbe bisogno di una loro rappresentanza autonoma, osserva che, se tale obiezione fosse giusta, bisognerebbe anche ammettere che nella Camera sono rappresentate le regioni per il solo fatto che i deputati provengono dalle diverse parti d’Italia. Evidentemente il ragionamento che occorre fare è un altro: nella seconda Camera non si vuole una rappresentanza casuale, fortuita, delle varie regioni o professioni, bensì una rappresentanza istituzionale organica, per la quale i rappresentanti delle diverse categorie sociali e regionali abbiano un loro peso e una loro efficienza politica predeterminata.

All’onorevole Ravagnan, che ha osservato che con il sistema della rappresentanza organica si potrebbe avere una deformazione arbitraria dei risultati delle elezioni, obietta che non è detto che ciò necessariamente abbia a verificarsi.

Riconosce l’esattezza del rilievo dell’onorevole Einaudi, che la rappresentanza organica trova la sua origine storica nelle correnti romantiche sorte in opposizione alla Rivoluzione francese, ed ammette che essa ha avuto alle origini una ispirazione politica conservatrice e che anche di tendenza conservatrice sono state le realizzazioni storiche avutesi nell’epoca moderna specialmente in alcuni Stati, come l’Austria e la Russia, i quali meno degli altri subirono l’influsso della Rivoluzione francese, e adottarono appunto tale sistema di rappresentanza. Comunque afferma che, se per la formazione della seconda Camera si riterrà opportuna la rappresentanza delle categorie, bisognerà impedire che si verifichino situazioni che possano legittimare l’impressione del ricorso ad un espediente di carattere conservatore.

All’obiezione che la predeterminazione del peso da attribuire alle varie categorie professionali da rappresentare nella seconda Camera introdurrebbe un elemento di arbitrio, oppone che un certo grado di artificio e di arbitrarietà si riscontra in tutte le riforme e specialmente in quelle relative ai vari sistemi di rappresentanza. Così quando si spostano i limiti di età per il voto, o si stabilisce di utilizzare in uno piuttosto che in altro modo i resti delle votazioni, si hanno sempre decisioni politiche che in certo senso possono dirsi arbitrarie e che in ogni modo mirano a realizzare determinati scopi politici. Ma in realtà, arbitraria si può dire una riforma sociale solo quando essa sia profondamente contrastante con la coscienza sociale di una data epoca storica.

Richiama l’attenzione sul compito della Costituente, che è quello di determinare una rappresentanza organica che sia un riflesso quanto più è possibile fedele dell’odierna realtà sociale. Bisogna quindi assumere a questo scopo adeguati criteri direttivi. Non ritiene certo consigliabile il criterio del censo che, se fu assunto come base della rappresentanza nell’800, contrasterebbe con le attuali esigenze sociali così profondamente diverse. Né d’altra parte può essere accettato il criterio, seguito in Russia subito dopo la Rivoluzione, di concedere il diritto all’elettorato soltanto alla categoria dei lavoratori manuali, perché sarebbe troppo unilaterale e non rifletterebbe tutta la nostra realtà sociale. Si deve ammettere invece la rappresentanza del lavoro, perché la nostra è civiltà del lavoro e intende affermare il lavoro come fondamentale valore sociale. Si dovrà risolvere il problema delle necessarie differenziazioni nella categoria dei lavoratori; stabilire, cioè, se dare un peso politico maggiore al lavoro qualificato e di direzione, che implica una maggiore responsabilità sociale, rispetto a quello manuale e non qualificato. A chi ritiene che una simile differenziazione sarebbe ingiusta, perché nessun criterio soccorre nella determinazione di questa diversa responsabilità politica, si può obiettare che in tutti gli Stati in cui si è adottato il criterio della rappresentanza del lavoro, è stata sempre operata una graduazione, corrispondente alla valutazione propria delle classi politiche dominanti. Così, per esempio, nell’ordinamento sovietico del 1918 le categorie operaie sono state nettamente differenziate da quelle dei contadini. Gli operai potevano infatti eleggere un deputato ogni 25 mila elettori, mentre i contadini uno ogni 125 mila abitanti; onde i contadini avevano un’influenza politica due volte e mezzo inferiore a quella degli operai.

Concludendo, osserva che le principali obiezioni, rivolte finora al sistema della rappresentanza per categoria, non sono tali da sconsigliarne l’adozione. La grande utilità della partecipazione delle diverse categorie lavoratrici alla formazione della seconda Camera è invece confermata dalla possibilità di contribuire in tal modo alla auspicata pacificazione sociale, perché con la rappresentanza integrale dei loro interessi le categorie stesse saranno sottratte al monopolio di alcuni partiti che non rappresentano le masse, ma solo determinati gruppi sociali, spesso assai ristretti, e porta ad un riavvicinamento sul piano parlamentare dei rispettivi punti di vista.

Un risultato utile che potrà derivare dal sistema sarà di riavvicinare partiti ed associazioni professionali, attuando uno scambio fra di essi, capace di dare all’azione della prima concretezza ed a quella dei secondi consapevolezza degli interessi politici generali.

EINAUDI desidera fare qualche breve considerazione sul vecchio Senato, di cui è uno dei pochi superstiti nella Costituente. Dall’aprile del 1919 al 1922, partecipando assiduamente ai lavori del Senato, ebbe modo di raccogliere alcune impressioni sull’attività svolta dalla Camera alta, che forse potranno essere utili per la risoluzione del problema in discussione.

Accennò altra volta, e desidera tornarvi sopra, alla questione della nomina regia. A tale proposito egli ebbe sempre l’impressione che nessuno dei senatori immaginasse di dovere la sua nomina al Re. Chi li nominava effettivamente era sempre il Presidente del Consiglio e, poiché il Presidente del Consiglio era una emanazione della Camera dei deputati, e la Camera dei deputati a sua volta una emanazione degli elettori, si poteva anche ammettere che i senatori, in ultima analisi, fossero nominati, per quanto assai indirettamente, dagli elettori, sebbene non da quelli viventi in un dato periodo di tempo, bensì da quelli di un’epoca passata. Domanda se tale criterio non sia da tenersi ancora in considerazione, dal momento che il passato esercita sempre un’influenza sul presente: innegabilmente si è figli del passato e non si può rinunciare alle tradizioni. Pensa perciò che non sarebbe un male, né cosa contraria all’interesse comune se nella nuova seconda Camera qualche senatore rappresentasse le tradizioni del passato.

Ricorda di aver parlato una sola volta col re, in occasione della visita che tutti i nuovi senatori erano soliti fare al sovrano per ringraziarlo della nomina. Recatosi al Quirinale, il sovrano, anche egli piemontese, si mise a parlare con lui in dialetto di avvenimenti legati alla stona del Piemonte. Ebbe l’impressione, in un’ora circa di colloquio, che Vittorio Emanuele III fosse non solo un grande numismatico, ma anche un valente storico (cosa che, del resto, era stata detta anche da Francesco Ruffini) e possedesse un senso non comune di penetrazione psicologica intorno agli uomini ed agli avvenimenti politici. Terminata l’udienza, si accorse di essersi dimenticato di ringraziarlo per la sua nomina a senatore. Ha riferito questo episodio per dimostrare che non si dava allora gran peso alla nomina regia.

A proposito dei senatori nominati per censo, avverte che questi non erano tra quelli che partecipavano più attivamente ai lavori del Senato. Inoltre, se in un primo tempo erano ben pochi i senatori nominati per censo, richiedendosi per essi il pagamento dì 3.000 lire annue per imposizioni dirette, in seguito, per effetto del diminuito valore del denaro, essendo cresciuto il numero di coloro che possedevano il necessario requisito, si finì per concedere la nomina di senatore per tale titolo a molte persone che non avevano in realtà un patrimonio vistoso e spesso erano semplici funzionari di grado elevato.

A suo avviso il Senato era affetto da quello che oggi si chiamerebbe un complesso di inferiorità, perché erano diventati sempre più numerosi i senatori provenienti dalle alte cariche dello Stato. L’abitudine di questi senatori all’obbedienza si ripercuoteva sull’attività del Senato, che non fu mai capace di assumere un atteggiamento fortemente autonomo di fronte alle iniziative del Governo. Nella nuova seconda Camera dovrà evitarsi questo inconveniente. Quel complesso di inferiorità era ribadito dal numero illimitato dei senatori, per cui il Governo poteva sempre variare la composizione del Senato a suo favore, facendo assegnamento sul fatto che i sentori di nuova nomina partecipavano più assiduamente alle sedute che non quelli di vecchia data. Per eliminare questo abuso converrà stabilire per l’avvenire che il numero dei componenti la seconda Camera debba essere fisso e non variabile a beneplacito del Capo dello Stato e, per via indiretta, del Presidente del Consiglio.

La degenerazione del principio che riservava alla Camera dei deputati la priorità nell’esame delle leggi di carattere finanziario, estendendosi via via a tutte le altre leggi, venne ancor più a deprimere l’importanza del Senato che, costretto a deliberare spesso frettolosamente su provvedimenti già approvati della Camera, non poté attendere alla sua funzione peculiare, che era quella della revisione accurata, attraverso la critica tecnica, dei disegni di legge, fatta da uomini che avevano una particolare perizia in ogni campo dell’attività statale. I disegni di legge che eccezionalmente furono presentati prima al Senato furono assoggettati ad un approfondito esame in lunghe ed interessanti discussioni, come avvenne ad esempio per la legge sul blocco degli affitti, su cui egli ebbe incarico di riferire, e che provocò una discussione durata oltre un mese.

Altra causa del complesso di inferiorità del Senato derivava dalla sua costituzione di esclusiva nomina regia. Se, a fianco dei senatori di nomina regia, vi fosse stato un certo numero di senatori eletti direttamente dal popolo, costoro, essendo a più diretto contatto con le forze politiche del Paese, avrebbero immesso nell’istituto una maggiore vitalità ed alacrità, suscitando l’emulazione dei senatori di nomina regia.

Circa la composizione della nuova seconda Camera, dissentendo dall’onorevole Mortati, dichiara di ritenere opportuno che, astrazion fatta dal modo di sceglierli, il numero dei rappresentanti professionali sia inferiore di quello dei rappresentanti regionali. Obietta inoltre all’onorevole Mortati che l’attuazione di una rappresentanza professionale prestabilita, da lui propugnata, significherebbe cristallizzare la situazione attuale, rendendo difficile, se non impossibile, in seguito un cambiamento, e consolidando quindi una specie di monopolio a beneficio delle classi che presentemente sono al potere. Il che non crede sia opportuno. Bisogna pensare non soltanto a coloro che vivono nel momento presente, ma anche a coloro che ancora debbono nascere. Ogni monopolio, di qualunque genere sia, è sempre avverso a tutti coloro che hanno idee nuove. È del parere, quindi, che una rappresentanza professionale, quale spontaneamente si ha e certo si avrà ancora nella prima Camera, sia sempre migliore di quella che si potrebbe avere in una seconda Camera a classi prestabilite. Il nuovo Senato, a suo avviso, dovrebbe essere composto prevalentemente di rappresentanti regionali. Il restante minor numero di posti dovrebbe essere, purché l’elezione non avvenga da parte di categorie prestabilite, riservato ai rappresentanti professionali od anche ad altre persone. A questo proposito rileva che nella relazione dell’onorevole Conti si parla di membri dei Consigli accademici, di professori di Università, di rappresentanti delle organizzazioni professionali, nonché di componenti la seconda Camera nominati dal Presidente della Repubblica. Questo criterio di composizione del Senato, riferito ad una minoranza dei suoi membri, 100 su 300, potrebbe essere accettabile e dare buoni frutti. In questa minoranza sarebbe bene dare la preponderanza ai membri delle Accademie, ai professori di Università e ai rappresentanti degli organi professionali che sarebbero l’eco dei cosiddetti interessi morali.

Ritiene pure che sia da riservare in certo numero di posti a sanatori nominati a vita dal Capo dello Stato. Tali Senatori dovrebbero essere scelti in categorie prestabilite e il loro numero dovrebbe essere fisso, per evitare il pericolo delle «infornate». La nomina a vita presenta anch’essa i suoi vantaggi, perché colui che viene così nominato, in quanto si sente al coperto del pericolo di non essere più gradito, finisce quasi sempre con l’assumere un notevole grado di indipendenza morale. Nel vecchio Senato vigeva la regola che i neonominati dovessero dare il loro voto favorevole al Ministero in carica, ossia al Presidente del Consiglio dal cui favore era dipesa la loro nomina a Senatore. Ma quest’obbligo morale durava assai poco, perché era limitato alla durata in carica del Presidente del Consiglio che aveva proposto al re, ossia di fatto nominato i nuovi senatori. Il numero dei futuri senatori nominati a vita dal Presidente della Repubblica dovrebbe essere fissato tra i 10 e i 50; in ogni modo essi dovrebbero essere persone di indiscusso, altissimo valore, risultante da titoli accertabili. Del resto, anche in passato assai pochi furono i senatori nominati per la categoria ventesima, cioè per avere illustrato la Patria con servizi o meriti eminenti.

ZUCCARINI osserva che quella della rappresentanza degli interessi è una vecchia questione, che fu ampiamente dibattuta in Italia dopo l’altra grande guerra. Il problema sorse perché le rappresentanze politiche, dato l’enorme sviluppo delle attribuzioni che lo Stato era venuto assumendo, si dimostravano per la maggior parte impreparate e incompetenti a risolvere particolari problemi economici e finanziari. Il problema della ripartizione dei compiti tra Senato e Camera avrebbe dovuto essere risolto sin da quel tempo; oggi esso è nuovamente all’ordine del giorno, soprattutto in vista del fatto che lo Stato, con la nuova Costituzione, molto probabilmente verrà ad avere funzioni limitate allo svolgimento di compiti di carattere politico e generale, mentre le funzioni di carattere particolare saranno affidate ai nuovi enti regionali. C’è da domandarsi quindi quali funzioni dovranno essere demandate alla nuova seconda Camera: in altri termini, occorrerà decidere se essa dovrà essere l’organo degli interessi economici da contrapporsi alla prima Camera, intesa come organo degli interessi politici, o se dovrà invece essere un istituto degli interessi politici, limitatore dell’invadenza del potere esecutivo e di quello legislativo della Camera dei deputati.

Dichiara senz’altro di essere favorevole alla seconda ipotesi. Nel Senato dovrebbe trovare posto la rappresentanza delle regioni. I rappresentanti della seconda Camera, secondo il suo parere, dovrebbero essere eletti non con elezioni di primo, bensì di secondo grado, attraverso i Comuni o le stesse Assemblee regionali. Le regioni così assolverebbero una funzione prevalentemente amministrativa, sottraendo al centro la risoluzione di un gran numero di problemi aventi un carattere più che politico, economico, e l’amministrazione dello Stato ne verrebbe alleggerita. Nella seconda Camera, pertanto, quasi automaticamente verrebbe a trovare il suo posto la rappresentanza dei cosiddetti interessi «particolari».

Sulla ripartizione degli interessi politici ed economici crede di avere una visione assai più semplice di quella comune. Nel suo progetto ha previsto l’istituzione, nell’interno delle regioni, di particolari organismi delle varie branche dell’attività economica e sociale. Essi avrebbero una funzione consultiva; e dovrebbero anche svolgere speciali servizi, ciascuno nel proprio campo, autonomamente, presso a poco come avviene oggi, ma in modo imperfetto, per le Camere di Commercio. L’Assemblea regionale avrebbe invece facoltà legislativa e deliberativa.

L’Ente regione potrebbe così inviare, con elezione di secondo grado, ottimi rappresentanti alla seconda Camera, la quale acquisterebbe pertanto un’autorità di gran lunga superiore a quella della vecchia Camera alta, perché non sarebbe più costituita sulla base di una rappresentanza assai discutibile, bensì su quella effettiva di organi già costituiti nello Stato.

È necessario inoltre che, per quanto riguarda i loro poteri, le due Camere si equilibrino fra di loro e, pure avendo origini diverse, stiano perfettamente sullo stesso piano, perché in un ordinamento veramente democratico ogni potere deve non sovrapporsi mai ad un altro.

Può accedere all’idea, pure discutibile, esposta dall’onorevole Einaudi che accanto ad una rappresentanza regionale possa esservi, per una parte limitata, anche una rappresentanza di interessi morali. In ogni modo, tiene ad affermare che non crede possibile che il Senato diventi un organo di rappresentanze di interessi, perché è difficile determinare l’importanza diversa che dovrebbe essere attribuita a ciascuno di essi. La rappresentanza degli interessi si ha già nella prima Camera: non si esplica in un modo perfetto, perché a deliberare su determinate questioni è chiamata una maggioranza che non è a conoscenza delle questioni e che quindi non è in grado di giudicarne obiettivamente; ma voler riparare a questo inconveniente con un’Assemblea in cui fossero rappresentate in modo organico tutte le categorie degli interessi, vorrebbe dire peggiorare la situazione, perché il numero di coloro che sarebbero competenti in un ramo di attività e incompetenti per tutto il resto aumenterebbe.

A suo parere, il problema deve esser risolto separando le due funzioni: limitando, cioè, i compiti dell’amministrazione dello Stato e demandando la risoluzione dei problemi di carattere particolare alle regioni. In ogni modo, si dovrà tener presente che con tutta probabilità in futuro si avranno formazioni politiche assai più complesse di quelle odierne, perché i partiti come oggi sono costituiti non avranno più forse quella importanza che godono oggi e prevarranno i sindacati, limitando il campo di azione delle organizzazioni di partito. Gli interessi particolari organizzati nei sindacati sono destinati fatalmente a conquistare posizioni di monopolio, a tentare cioè la conquista di condizioni particolarmente favorevoli di privilegio. Allora si potrebbe avere una seconda Camera che cercasse in ogni modo di far prevalere gli interessi particolari su quelli nazionali rappresentati nella prima, sovrapponendosi a questa. Perciò occorre che siano bene delineati i poteri della seconda Camera: essa potrà essere anche un organo ristretto purché sia di qualità, se così si vuol dire, superiore. Dovrebbero pertanto essere fissati alcuni requisiti necessari per poter fare parte del Senato; per esempio: avere già esercitato funzioni amministrative o politiche, aver ricoperto la carica di consigliere comunale, deputato regionale o magari di deputato alla Camera. Ciò servirebbe ad eliminare elementi più scadenti. In tal modo, la seconda Camera acquisterebbe quel prestigio e quella autorità senza di cui non potrebbe svolgere i compiti che le saranno affidati. Termina associandosi alle considerazioni fatte dall’onorevole Einaudi nella seconda parte del suo discorso.

AMBROSINI osserva che la discussione è stata riportata sul campo dei supremi principî. Ha già in una precedente riunione esposto chiaramente il suo pensiero. Si limiterà quindi a fare qualche osservazione in merito al problema in esame.

Gli sembra innanzitutto che possa sorgere un grave equivoco dalla contrapposizione, che da alcuni viene fatta, tra rappresentanza politica e rappresentanze degli interessi. A tal proposito sarà bene precisare che, quando si parla di rappresentanza degli interessi, non è soltanto implicito il concetto di rappresentanza degli interessi morali e materiali, ma anche quello di rappresentanza politica; perché non è vero che vi sia una contrapposizione tra le due espressioni. In sostanza, la rappresentanza degli interessi è una rappresentanza generale e politica, pur essendo diversa, quanto all’origine e al modo di attuazione, da quella sorta con la Rivoluzione francese e comunemente detta rappresentanza nazionale.

Difatti, nella rappresentanza nazionale i problemi sono considerati dal punto di vista ideologico, politico e prospettati in sintesi; nella rappresentanza degli interessi invece ogni questione viene esaminata inizialmente da un punto di vista più preciso, particolaristico, analitico, per poi naturalmente passare alla sintesi.

Se pertanto si arrivasse a considerare la rappresentanza degli interessi secondo il punto di vista sopra accennato, vale a dire come rappresentanza di funzioni sociali, di attività lavorative e quindi di interessi esprimenti effettivamente le forze vive della società, forse ogni equivoco verrebbe subitamente a cessare.

Né è a pensare, come osservava l’onorevole Zuccarini, che un tal genere di rappresentanza possa essere contrapposto a quello della prima Camera, visto che non si tratta di contrapposizione, bensì di integrazione di rappresentanza. E non è neppur da temere che, con una predeterminazione delle categorie, si immobilizzerebbe e si cristallizzerebbe, come è stato detto, la realtà sociale, perché nulla vieta che tale predeterminazione e la conseguente ripartizione dei seggi fra le varie categorie possano essere mutate in seguito. Nessuno può pensare che la decisione che oggi si prendesse in proposito dovrebbe vincolare in avvenire il legislatore, specie per quanto si riferisce alle modalità di applicazione del principio.

Il sistema della rappresentanza delle categorie della produzione, della cultura e delle attività lavorative in genere non contrasta col principio della rappresentanza popolare della prima Camera, ma lo integra. Per altro va rilevato che non tutti i seggi della seconda Camera andrebbero assegnati ai rappresentanti delle categorie di cui si discute, ma solo una parte; cosicché non è a temere che tali rappresentanti potrebbero trovarsi in condizione d’imporre la loro volontà. Né si dimentichi che una piccola aliquota di membri della seconda Camera dovrebbe essere nominata dal Capo dello Stato, oltre che per le ragioni già esposte da lui e dall’onorevole Einaudi, anche per non correre il rischio di non avere come rappresentanti né al Senato né alla Camera alcuni uomini di eminente ingegno ma alieni dalle lotte politiche.

È appunto questa forma di composizione mista della seconda Camera che impedirebbe il sorgere degli inconvenienti accennati dallo onorevole Zuccarini.

(La riunione, sospesa alle 10.20, è ripresa alle 10.50).

LUSSU ricorda che nella discussione svoltasi quando si trattò di decidere se adottare o no il sistema bicamerale, egli dichiarò che considerava la seconda Camera come un’Assemblea che rappresentasse esclusivamente le regioni e ciò in relazione alla riforma dell’ordinamento dello Stato, basata sulla creazione degli enti regionali.

Personalmente dichiara di ritenere l’autonomia regionale una necessità imprescindibile per il Paese. Soltanto con un ordinamento autonomo regionale sarà possibile abbattere il prepotere della burocrazia centralizzata e richiamare le energie della periferia ad una maggiore partecipazione alla vita dello Stato. L’Ente regionale costituirà uno dei mezzi più idonei per dare al Mezzogiorno, che finora è rimasto quasi assente dalla vita italiana, un maggior senso di responsabilità e di iniziativa.

Non si nasconde però il pericolo che l’Ente regione possa, non già disgregare (il che gli sembra impossibile, malgrado qualche esempio in contrario) ma sminuire quella unità nazionale che è l’essenza della nostra rinascita. Ritiene quindi che la seconda Camera, concepita come espressione dell’Ente regione, sia veramente necessaria come integrazione dell’autonomia regionale, come superamento del particolare per giungere al generale, allo unitario.

Quindi il problema della composizione della seconda Camera è quello dell’istituzione dell’Ente regione sono strettamente legati fra loro.

Raccogliendo e sviluppando il concetto dell’onorevole Ambrosini, conferma che la prima Camera è la rappresentanza politica di tutti gli interessi e soggiunge che se a queste forze vive, rappresentanti tutti gli interessi, saranno aggiunte altre forze vive, rappresentanti gli interessi della regione, si avranno due Assemblee perfettamente esprimenti il superiore interesse nazionale.

Ciò che lo preoccupa è però il proposito nutrito da alcuni di costituire una seconda Camera da contrapporsi come freno al potere sovrano della prima. Qualcuno va forse col pensiero al Senato francese e, senza averne forse coscienza, è animato da propositi conservatori. Ricorda che il Senato in Francia è sorto in seguito ad un compromesso tra repubblicani e monarchici, per contrapporre alla prima Camera, che poteva avere un’influenza prevalentemente repubblicana e indirizzi troppo democratici, una seconda in cui gli interessi conservatori fossero in un certo senso garantiti.

La tendenza a fare del Senato un organo conservatore potrebbe anche accentuarsi, se fosse accolto il principio della rappresentanza organica istituzionale, accennata dall’onorevole Mortati. Ora, in nessuno dei moderni Stati democratici esiste una seconda Camera basata sulla rappresentanza istituzionale delle categorie; non in America, non in Inghilterra, non in Francia e nemmeno in Russia, per quanto la Russia sia uno stato fortemente autoritario, ove i problemi sociali sono infinitamente più accentuati che in qualsiasi altra democrazia. La Russia è il paese in cui più che in ogni altro avrebbe potuto affermarsi la concezione di un’Assemblea intesa come espressione degli interessi delle grandi categorie (metallurgici, meccanici, agrari, ecc.), e invece anche in Russia questo sistema è stato scartato. Qualche cosa di analogo si è avuto soltanto in paesi fascisti (Spagna e Portogallo) e nelle più arretrate democrazie balcaniche. Ciò vuol dire che nella rappresentanza per categorie c’è qualche cosa di non buono, che giustifica il timore che in un organo così costituito possano essere favorite e rafforzate le correnti conservatrici.

Ricorda che l’Olivetti ha scritto un libro interessante sulle autonomie regionali, in cui si auspica un’organizzazione interna delle autonomie, secondo una concezione che potrebbe costituire un ponte di passaggio tra il suo punto di vista personale e quello dell’onorevole Mortati relativamente alla Costituzione del Senato. Ma ciò che gli preme di affermare è che occorre assolutamente evitare una formazione del Senato fondata su criteri arbitrari.

Riconosce il rispetto che la civiltà deve all’alta cultura: ma come uomo politico non può ammettere che il Rettore di un’Università solo per questo titolo debba avere il diritto di sedere nella seconda Camera. Parimenti non concepisce il diritto di un sindacato ad avere la sua rappresentanza nella seconda Camera: esso avrà i suoi rappresentanti nella Camera dei deputati e saranno uomini politici, anche perché non si può immaginare che i rappresentanti di un sindacato alla seconda Camera si possano spogliare della loro veste politica per rivestire soltanto quella di rappresentanti tecnici. Non si può, insomma, non sentire un profondo disagio di fronte all’idea di adottare per la seconda Camera una rappresentanza per categorie, sistema complesso, pesante e, ciò che è più grave, arbitrario, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Mortati. Costituisce appunto un caso di arbitrarietà la norma della vecchia Costituzione russa, ormai superata, per cui gli operai avevano un rappresentante per ogni venticinquemila elettori, mentre i contadini ne avevano uno ogni centoventicinquemila. Il popolo russo, che per settecento anni aveva avuto soltanto dittatori, rovesciato un regime odioso, spezzate le vecchie forme dell’organizzazione politica e sociale, per salvare il paese dall’anarchia e dal caos e attuare il suo programma (che d’altronde è quello che ha portato la Russia alla vittoria), era costretto a valersi di alcuni sistemi arbitrari; ma questi non possono trovare applicazione in un Paese come il nostro, in cui sono stati sempre vivi il culto della libertà e un profondo senso democratico.

LACONI osserva che la discussione odierna risente del fatto che non è stata decisa inizialmente la funzione delle due Camere ed in special modo quella del Senato. Se la seconda Camera non deve esercitare una funzione di freno, di correttivo, non può rimanerle che una funzione integrativa delle funzioni esercitate dalla prima. Ciò implica che la seconda Camera non potrà trovarsi nello stesso piano della prima, ed infatti in tutte le Costituzioni democratiche essa ha sempre poteri più o meno subordinati a quelli attribuiti all’altra. Ciò non significa che si voglia fare del Senato un organo inutile e soltanto decorativo: esso dovrà avere le sue precise funzioni anche se in un certo senso limitate (l’esame dei bilanci dovrebbe essere affidato alla prima Camera, come storicamente è sempre stato ed è in tutti i Paesi democratici e nella stessa Inghilterra), dovrà intervenire in materia di legislazione ordinaria con cautele previste dalle principali Costituzioni democratiche moderne, e deliberare anche sull’operato del Governo entro quei limiti che potranno essere in seguito determinati.

Affinché la seconda Camera possa esercitare funzioni così importanti, anche se in un certo senso limitate rispetto a quelle della prima, si rende quanto mai necessario che essa sia costituita su base soltanto elettiva. Dissentendo da quanto ha osservato al riguardo l’onorevole Einaudi, afferma che non si può avere una buona Assemblea, se essa non è composta in modo omogeneo, cioè con rappresentanti tutti eletti e specificatamente qualificati a farne parte. Non si può quindi ammettere che nella seconda Camera siano per una metà od un terzo rappresentati gli interessi economici e per la restante parte quelli regionali, e per di più che possa esservi un certo numero di membri nominati dal Capo dello Stato.

La domanda che si pone è se si vuole avere nella seconda Camera una rappresentanza degli interessi economici e morali, che hanno indubbiamente una parte rilevante nella vita della nazione, oppure si vuol dare una rappresentanza agli interessi particolari, territorialmente raffigurati. La prima soluzione gli sembra inutile, in quanto esiste una prima Camera: difatti nella vita di un Paese democratico non si può tener conto degli interessi economici e morali se non da un punto di vista squisitamente politico. Sono appunto i partiti rappresentati nella prima Camera ad esprimere le esigenze della Nazione sul piano politico. Quanto agli interessi non ancora delineati e che ancora si trovano, per così dire, allo stato bruto e iniziale, è da escludere per essi ogni diritto ad essere rappresentati.

Non ritiene sia ora il caso di parlare nella soluzione prospettata dall’onorevole Mortati di una rappresentanza cioè delle categorie nell’ambito delle regioni. Pensa che sia opportuno rinviare l’esame della questione a quando si discuterà sull’ordinamento da darsi alle regioni stesse: si vedrà allora in base a quali criteri dovranno essere costituite le Assemblee regionali. Nella seduta odierna invece sarà bene deliberare soltanto sui seguenti due punti: se la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza diretta ed immediata degli interessi economici o di tutti gli interessi delle regioni. Alla prima soluzione ostano difficoltà insormontabili di ordine pratico, poiché sarebbe in verità assai arduo determinare una rappresentanza proporzionale degli interessi, data la schiacciante prevalenza, ad esempio, delle categorie agricole contadine su quelle industriali o padronali. D’altra parte sarebbe anche assai arduo e nello stesso tempo assurdo, ricorrere a soluzioni estreme nel senso opposto. Ad ogni modo, adottare la rappresentanza proporzionale o paritetica delle diverse categorie, equivarrebbe ad adottare il sistema del voto plurimo, che non può essere preso in considerazione perché assolutamente antidemocratico. Crede inutile riferirsi all’esempio della Russia, perché la situazione politica dell’Unione Sovietica, nell’attuale periodo storico, non può compararsi in alcun modo con la nostra.

Gli sembra esatta l’affermazione dell’onorevole Lussu che la creazione della seconda Camera su base regionale eviterà il pericolo insito in ogni Costituzione regionalistica dello Stato. Questo pericolo esiste e sarà tanto più grave quanto più ampi saranno i poteri deliberativi attribuiti alle Assemblee regionali. Quando manca la possibilità di accedere ad un’Assemblea più vasta o soltanto di farsi sentire in qualche modo e sentire anche la voce degli altri, è istintivo il chiudersi in una visione particolaristica o, peggio ancora, separatistica dei propri interessi e delle proprie esigenze. È quanto appunto ha veduto accadere nella Consulta regionale sarda. Ritiene quindi che la costituzione di una seconda Camera su base regionale possa essere una garanzia dell’unità dello Stato italiano.

Conclude dichiarandosi favorevole ad una seconda Camera che rappresenti in maniera uniforme gli interessi della regione, con esclusione di membri designati da parte del Capo dello Stato, e che sia quindi emanazione diretta del popolo, non già degli interessi economici già sufficientemente rappresentati nella Camera dei deputati.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Laconi sulla pregiudiziale che sarebbe stato più opportuno stabilire prima l’ambito dei poteri della seconda Camera e poi decidere sulla sua composizione. Dissente invece da lui sulla sostanza, in quanto ritiene che la seconda Camera debba avere poteri eguali alla prima. Osserva per altro che quando l’onorevole Laconi sosteneva che la seconda Camera doveva essere integrativa della prima e aggiungeva che essa doveva rappresentare gli stessi interessi economici e morali rappresentati nella Camera dei deputati, poneva, senza avvedersene, le premesse della parità tra l’una e l’altra Assemblea.

A suo avviso, è di fondamentale importanza il principio della parità tra Senato e Camera, ed occorrerà su questo prendere una chiara decisione nel senso appunto che la seconda Camera nella funzione legislativa, nel controllo sull’azione governativa e nelle elezioni del Capo dello Stato deve avere situazione eguale a quella della prima.

CONTI, Relatore, osserva che la prima Camera è composta quasi esclusivamente da rappresentanti di partiti. In essa v’è un conflitto permanente di ideologie, di interessi, di punti di vista, i più diversi fra loro. Si può dire anzi che nella prima Camera i partiti rappresentano non solo le ideologie, ma anche le opinioni e i principî popolari che animano la loro azione. In ogni modo, se si affermasse che nella prima Camera sia rappresentato tutto il popolo nella sua effettiva realtà, si direbbe cosa forse azzardata o per lo meno non esatta.

Mette in rilievo il fatto che l’opera del legislatore oggi è diventata assai difficile proprio per questo scontro di ideologie fra i diversi partiti nell’Assemblea legislativa.

Ha sentito dire che la seconda Camera dovrebbe avere una funzione integrativa della prima. Non sa se con tale espressione si voglia intendere che la seconda Camera dovrebbe avere il compito di migliorare l’opera svolta dalla prima: a suo avviso questa e non altra dovrebbe essere la funzione della seconda Camera.

Essa dovrebbe essere costituita quasi esclusivamente su base regionale; il che non toglie che altre forze vi potrebbero accedere, secondo quanto egli stesso ha proposto nel suo progetto. E, poiché ogni legge è sempre il frutto di un concorso di interessi e di opinioni, quanto maggiore sarà il numero di coloro che contribuiranno alla formazione delle leggi, tanto migliori queste potranno essere.

Dichiara che se fossero messe in votazione la proposta dell’onorevole Mortati per una rappresentanza d’interessi materiali e morali e quella dell’onorevole Lussu per una rappresentanza esclusivamente ragionale, voterebbe per la seconda, perché la prima non lo persuade, in quanto la cosiddetta rappresentanza organica o degli interessi, a suo avviso, non rappresenta nulla; è un’illusione, una finzione.

Qualcuno ha messo in dubbio l’opportunità che nella seconda Camera la rappresentanza su base regionale sia completata dall’intervento di uomini di indiscussa autorità e cultura. Osserva che è facile fare dell’ironia al riguardo, ma la verità è che è sempre assai utile in un’Assemblea parlamentare la presenza di uomini particolarmente preparati alla trattazione di determinati problemi spesso di grandissima importanza. I professori di Università portano di solito nelle Assemblee un alto contributo di pensiero e di esperienza, ciò che è dimostrato dal particolare interesse con cui sono ascoltati anche in queste riunioni della Sottocommissione. Il contributo degli uomini di cultura alla risoluzione di vari problemi non deve essere trascurato nei consessi che si propongono di fare buone leggi, e non di trasformarsi in comizi, come talvolta è purtroppo accaduto per le sedute plenarie della Costituente. Del pari è desiderabile che in questi consessi non manchino i rappresentanti di altre categorie, ad esempio quelli della classe lavoratrice e dei sindacati, i quali potranno evitare decisioni avventate o errate su problemi particolari attinenti al lavoro, sui quali essi hanno una specifica competenza. Nell’opera legislativa tutti possono e debbono concorrere a seconda della propria capacità, esperienza e cultura. Queste le ragioni per cui ritiene che, nella composizione della seconda Camera, alla rappresentanza regionale debba essere associata anche quella di date categorie, non però cooperativizzate, come vorrebbe l’onorevole Mortati, perché ciò implicherebbe il ritorno al sistema dei cittadini incasellati nelle organizzazioni secondo i principî del corporativismo.

Quanto alla parità delle funzioni della Camera e del Senato essa, a suo avviso, deve essere senz’altro riconosciuta, perché la seconda Camera, se non avesse la possibilità di affermare le proprie decisioni nei confronti della prima, non avrebbe ragione di essere. Insiste quindi sull’opportunità di costituire la seconda Camera, come nel suo progetto, con una rappresentanza regionale, integrata da una rappresentanza di altre forze sociali e del mondo della cultura.

Su un punto solo pensa possa esservi qualche dubbio: se sia opportuno riservare al Presidente della Repubblica la nomina di qualche senatore, a vita o a tempo. Egli lo ritiene utile, per un limitato numero di posti da riservarsi a uomini di chiara fama, che in genere si mantengono estranei alle competizioni politiche, ma che potrebbero apportare all’opera legislativa il contributo della loro cultura ed esperienza. Ricorda al riguardo Augusto Murri che non fu mai nominato senatore e che pure avrebbe onorato della sua presenza il Senato, come uno dei più alti rappresentanti della scienza e del pensiero.

VANONI, poiché da alcuni oratori, discutendosi il problema delle funzioni della seconda Camera, si è detto che una qualsiasi composizione della seconda Camera che non fosse fondata su una forma di suffragio diretto, verrebbe a dare ad essa un carattere conservatore, osserva che questo è un equivoco da chiarire, perché, impostando in questo modo il problema, si sorvola sull’attuale situazione politica e sociale italiana. Oggi il Paese sta tirando le somme di una rivoluzione politica e sociale che si è venuta compiendo nell’ultima generazione, e nello stesso tempo sta preparando le basi di un ulteriore progresso sociale. Quando si cercasse di costituire una seconda Camera, che avesse tra l’altro la possibilità di assicurare una certa stabilità all’attività legislativa, non si farebbe un’opera di conservazione o ricostituzione di determinate strutture sociali, che ormai sono da considerarsi superate, ma si farebbe un’opera di conservazione di determinati valori politici, che sono stati conquistati a tanto duro prezzo e che quindi non bisogna perdere. Oggi si è conquistata la Repubblica e si spera di conquistare un ordinamento costituzionale di libertà, e questo che è stato conquistato bisogna conservarlo. Se domani la seconda Camera, tra i suoi diversi compiti, tra i quali quello di perfezionare la nostra legislazione, acquistasse attraverso una sua struttura la possibilità di conservare, contro qualsiasi oscillazione possibile di maggioranze nella prima Camera, questi valori fondamentali, egli sarebbe favorevole a tale struttura e con perfetta tranquillità di coscienza si dichiarerebbe conservatore.

Se si desse alla seconda Camera l’identica composizione della prima, evidentemente non ci sarebbe più una garanzia di difesa contro le possibili oscillazioni della prima. Sostanzialmente per queste ragioni crede che l’onorevole Conti, nella sua passione di uomo che vuol difendere quello che ha contribuito a conquistare la Repubblica e la libertà abbia redatto il suo progetto di costituzione della seconda Camera. E con la stessa passione i suoi amici di parte stanno cercando di chiarificare il problema della costituzione della seconda Camera, per far sì che essa possa difendere quei supremi valori politici e spirituali che si sono conquistati e che non bisogna perdere mai più.

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Liberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Calamandrei, Finocchiaro Aprile.

SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione Costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Patricolo – Mortati, Relatore – La Rocca – Laconi – Perassi – Di Giovanni – Nobile – Lussu – Ambrosini – Fabbri– Einaudi – Uberti – Tosato – Mannironi – Bozzi – Cappi – Bulloni – Zuccarini – Ravagnan – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 8.30.

 

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE invita la seconda Sottocommissione di procedere all’esame dell’attività legislativa della Camera.

PATRICOLO si richiama all’ordine del giorno da lui presentato nella seduta del 6 settembre scorso e nel quale, premesso il principio della divisione dei poteri, si sostiene l’opportunità di sancire nella Costituzione che il Parlamento ha due funzioni distinte: quella legislativa propriamente detta e quella di vigilanza e di controllo, la quale ultima non va intesa come una funzione inerente al potere legislativo in sé, ma come una funzione politica inerente al potere legislativo, in quanto rappresentanza del popolo. Nota, a questo riguardo, che nello Statuto Albertino è fatto cenno solo del potere di accusa della Camera all’Alta Corte di Giustizia e non del diritto di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che vengono riconosciuti invece dal regolamento interno della Camera. Ritiene che sarebbe opportuno farne menzione nella nuova Costituzione per il loro fondamento democratico.

Propone quindi di precisare in un articolo succinto le funzioni del potere legislativo, ammettendo in linea di principio che esso ne ha alcune che sono al di fuori di quelle legislative propriamente dette.

PRESIDENTE osserva che dovrebbe anzitutto decidersi una questione pregiudiziale; se, cioè, nella Costituzione debba inserirsi un articolo con l’elencazione delle funzioni della Camera.

MORTATI, Relatore, precisa che le funzioni del potere legislativo sono due: quella legislativa a quella di controllo ed ispettiva. Implicitamente nella funzione di controllo si sostanzia anche il potere di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che costituiscono quattro aspetti di una stessa funzione.

Per ora crede che sia il caso di occuparsi della funzione legislativa, per poi vedere quali aspetti della funzione di controllo converrà consacrare nella Costituzione.

LA ROCCA sostiene che si dovrebbe in primo luogo affermare il principio che l’Assemblea Nazionale è organo supremo della Repubblica italiana e il potere legislativo è esercitato esclusivamente dal Parlamento e non può essere delegato ad altri organi.

MORTATI, Relatore, nota che ci si trova sempre impigliati nella stessa difficoltà di prendere decisioni intorno a questioni che presuppongono una delineazione complessiva della struttura dello Stato. A suo avviso bisognerebbe stabilire anzitutto quali sono i poteri dello Stato, quale la loro organizzazione e quali le loro funzioni, perché altrimenti questo continuo intreccio fra organizzazione e funzioni determina delle difficoltà inestricabili.

Nei riguardi dell’idea dell’onorevole La Rocca, di stabilire che al solo potere legislativo spetti l’emanazione della legge, osserva che occorrerebbe in primo luogo precisare il modo di formazione del potere legislativo, per poi vedere se e in quanto sia possibile ammettere una delegazione; in altri termini, esaurire tutta la materia della organizzazione, e, in un secondo momento, passare all’esame delle funzioni.

LACONI dichiara che, se la proposta dell’onorevole Mortati lascia impregiudicata la questione della eventualità di introdurre nella Costituzione un articolo in cui siano specificati i poteri e le funzioni della Camera, può essere d’accordo. Conviene infatti che soltanto in un secondo momento, dopo esaurita la parte organizzativa, si potrebbero discutere le funzioni del potere legislativo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(É approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che si potrebbe riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella seduta precedente. Si era iniziato l’esame del potere di inchiesta da parte della Camera e si era concluso che dovesse essere sancito dalla Costituzione. Ora si tratta di vedere se, una volta ammesso il principio, si debbano fissare i criteri organizzativi.

Ricorda al riguardo che egli aveva proposto che, in armonia con la esigenza della protezione delle minoranze, si riconoscesse ad una minoranza cospicua il potere di provocare una inchiesta, indipendentemente dal consenso degli altri deputati. Riconosce che questo potere ispettivo affidato alle minoranze, come tutela nei confronti delle maggioranze che potrebbero non far uso di tale facoltà, costituirebbe una innovazione nei riguardi della precedente legislazione. Sarà pertanto necessario fissare dei limiti per non turbare eccessivamente il buon andamento dei lavori parlamentari, ed uno di questi potrebbe consistere nel richiedere una minoranza non inferiore ad un terzo dei deputati.

In secondo luogo bisognerebbe determinare nella Costituzione i poteri della Commissione d’inchiesta di fronte ai terzi, che altrimenti potrebbero rifiutarsi di fornire le informazioni di cui fossero richiesti.

PERASSI ricorda che si è poc’anzi deciso, in merito all’ordine dei lavori, che si dovesse esaurire l’esame della parte organizzativa. Non comprende quindi come l’onorevole Mortati concilii questa decisione con le sue attuali proposte.

MORTATI, Relatore, ritiene che la questione da lui sollevata rientri nella parte organizzativa, in quanto si tratta di decidere le modalità di organizzazione di Commissioni parlamentari.

Richiama l’attenzione sul fatto che nella riunione precedente ci si è soffermati su di un articolo del progetto Conti che prevede, tra l’altro, la costituzione di Commissioni e si è concluso che non fosse il caso di occuparsene, in quanto che non è opportuno introdurre nella Costituzione delle norme che andrebbero lasciate al potere interno organizzativo della Camera attraverso il regolamento. Viceversa, era sembrato opportuno disciplinare la materia delle Commissioni d’inchiesta perché i loro atti non si esauriscono nell’interno della Camera, ma hanno anche una influenza esterna e richiedono delle norme che determinino i poteri delle Commissioni stesse nei riguardi dei terzi. Sotto questo aspetto la discussione rientra nella parte organizzativa.

DI GIOVANNI ritiene che anche la materia delle Commissioni d’inchiesta sia da rinviare al regolamento. Anche l’attuale regolamento della Camera all’articolo 135 equipara le proposte d’inchiesta alle altre proposte di iniziativa parlamentare, stabilisce le modalità del funzionamento delle Commissioni e prevede anche il caso in cui esse debbano esplicare le loro funzioni all’esterno, stabilendo che i relativi poteri dovranno essere richiesti alla Camera.

MORTATI, Relatore, obietta che la Camera dovrebbe disciplinare questi poteri e facoltà di volta in volta con un’apposita legge.

Orbene, dal momento che occorre una legge per determinare certe deroghe al diritto comune (una deroga, per esempio, potrebbe consistere nello svincolare dal segreto d’ufficio i pubblici funzionari chiamati a deporre in sede di inchiesta), si tratta di vedere se è opportuno che la Camera provochi di volta in volta una legge, o se non sia preferibile che in una legge generale, o nella Costituzione stessa, siano determinate le modalità dell’esercizio del potere d’inchiesta.

Personalmente è di quest’ultimo avviso, sia per dare uniformità di trattamento alla materia, sia per affermare dei principî che può essere opportuno introdurre nella Costituzione, come quello del diritto di una certa minoranza di provocare un’inchiesta anche contro il parere della maggioranza.

NOBILE è pienamente d’accordo con l’onorevole Mortati.

LUSSU rileva che la Sottocommissione si è messa su di una via nettamente antitetica al criterio, adottato in seduta plenaria di Commissione, di creare una Costituzione molta breve ed estremamente semplice.

Quanto al merito, esprime l’avviso che il potere di inchiesta può considerarsi un diritto acquisito, che nessuno penserà di far scomparire dalla vita parlamentare e la cui affermazione e disciplina possono restare nell’ambito regolamentare.

Né ritiene accettabile la forma di tutela delle minoranze proposta dall’onorevole Mortati. Con tutto il rispetto che si può avere per le minoranze, pensa che esse potrebbero finire per sabotare la maggioranza e gli stessi fondamentali principî della democrazia. Se si vuole evitare uno stato di anarchia, la maggioranza deve dirigere la Nazione, con rispetto, s’intende, della minoranza che potrà in seguito divenire a sua volta maggioranza.

DI GIOVANNI concorda con l’onorevole Lussu ed aggiunge che la Costituzione dovrebbe essere un’enunciazione di principî stilata in forma epigrafica.

Nel merito, non trova fondata la preoccupazione dell’onorevole Mortati. I precedenti parlamentari insegnano che solo in casi gravissimi il Parlamento ha deliberato delle inchieste. Non ci sarà niente di strano se esse resteranno equiparate alle altre proposte di iniziativa parlamentare previste dal regolamento e la Camera di volta in volta emetterà una legge che determini le funzioni della Commissione ed i suoi poteri di fronte ai terzi.

PATRICOLO si associa agli onorevoli Lussu e Di Giovanni, circa l’opportunità di non appesantire la Costituzione, ma condivide l’opinione dell’onorevole Mortati che la questione non può essere risolta soltanto in sede di regolamento. In Italia è stata sempre avvertita la necessità di una legge generale che disciplinasse la materia nel suo complesso. Ricorda, ad esempio, che durante l’altra guerra, in occasione di un grosso scandalo, apparve la difficoltà di funzionamento della Commissione di inchiesta all’uopo nominata, di fronte al rifiuto della pubblica amministrazione di fornire i necessari elementi di indagine.

Se il diritto d’inchiesta è uno dei quattro aspetti della funzione politica di controllo, una volta affermato nella Costituzione questo potere del Parlamento, sarà compito di una legge particolare stabilirne r limiti e le modalità di esercizio.

AMBROSINI pone la questione in questi termini: se una Commissione d’inchiesta nominata dalla Camera, abbia, oppur no, poteri tali da obbligare non solo i funzionari delle pubbliche Amministrazioni, ma anche qualsiasi cittadino, a rispondere alle domande che essa credesse opportuno di rivolgergli. Se si ritiene che per questo occorra una legge speciale, è superfluo parlarne in questa sede, perché il legislatore di volta in volta che nomina una Commissione può attribuirle i poteri necessari. Se, invece, la Commissione è nominata da una sola Camera e non da tutto il potere legislativo, occorre stabilire nella Costituzione che la Camera ha il diritto di inchiesta che esercita a mezzo di Commissioni, le quali hanno i poteri che competono agli organi giudiziari.

PATRICOLO osserva che, portando al paradosso quello che ha detto l’onorevole Lussu, si potrebbe pensare che le stesse difficoltà che sorgono per il diritto di inchiesta possano verificarsi anche per il diritto di interpellanza, di interrogazione e di mozione; perché il potere esecutivo anche in questi casi potrebbe rifiutarsi di rispondere. Si chiede di stabilire se è necessario fissare nella Costituzione il diritto d’inchiesta. In caso affermativo, potrebbe pensarsi che la stessa necessità sorga per il diritto di interpellanza, di interrogazione o di mozione.

AMBROSINI osserva che tali diritti sono insiti nell’essenza stessa della Costituzione. Ma avviene per questi quello stesso che avviene per la funzione di sindacato sul Governo, che si concreta a mezzo di una mozione di sfiducia: per esercitarla la Camera deve seguire la procedura necessaria per arrivare ad un giudizio e può quindi interpellare il Governo per avere spiegazioni sul suo operato.

FABBRI è d’accordo con l’onorevole Ambrosini, ma osserva che la questione si è spostata. L’onorevole Mortati ritiene che un terzo dei componenti la Camera debba avere il diritto di provocare un’inchiesta e che, deliberata la nomina della relativa Commissione, questa debba essere investita di determinati poteri anche in confronto ai terzi. Si domanda come ciò possa accordarsi con i diritti della maggioranza. Non contesta il diritto di inchiesta nei rappresentanti del popolo, che è poi un diritto di controllo e costituisce una garanzia di ordine democratico; ma osserva che se si afferma che una minoranza può imporla, si viene a formulare nella Costituzione un principio per cui alla minoranza si riconosce un diritto superiore a quello della maggioranza.

EINAUDI esprime, in aggiunta alle osservazioni degli onorevoli Ambrosini e Fabbri, un dubbio.

Non si può discutere il potere della Camera di fare un’inchiesta, altrimenti la potestà legislativa sarebbe diminuita nel suo valore, in quanto la Camera potrebbe esser posta nella condizione di dover legiferare senza piena conoscenza dei fatti. Si deve però tener presente che le inchieste possono essere di diversa natura. Ve ne sono alcune che hanno semplicemente lo scopo di informare il legislatore: ricorda, ad esempio, quella sul corso forzoso del 1866; la grande inchiesta doganale, fatta attraverso interrogatori per tutta Italia, nel 1874-76; la grande inchiesta agraria del 1881, ai cui atti si ricorre ancora come fonte di informazioni sulle condizioni dell’agricoltura italiana; l’inchiesta sui contadini del Mezzogiorno prima della guerra mondiale ed altre ancora. Non crede che per simili inchieste sia necessario un provvedimento legislativo speciale o che si possa mettere in dubbio la loro legalità. Ma vi è un altro tipo d’inchiesta, che ha stretta attinenza con la giustizia ed ha un carattere nettamente giudiziario; ad esempio quelle sulla Banca Romana, sul Palazzo di giustizia, sulle spese di guerra, sull’amministrazione delle città di Palermo e Napoli.

Questo premesso, si domanda se si deve porre nella presente sede la questione di come organizzare il potere di inchiesta con carattere giudiziario. Rileva che si è solennemente affermato che ogni cittadino non può essere portato se non dinanzi ai suoi giudici naturali: ora, se non saranno stabilite norme relative a questo potere d’inchiesta con carattere giudiziario, potrà una delle due Camere modificare questo diritto fondamentale del cittadino? Se non si determina con precisione questo potere nella sua attinenza con l’esercizio della giustizia, potranno sorgere dubbi del genere di quelli da lui prospettati.

UBERTI osserva che oltre ai due tipi di inchiesta di cui ha parlato l’onorevole Einaudi, ve ne è un terzo che può essere stabilito, appunto, con la proposta Mortati. In un regime essenzialmente democratico, in cui le minoranze possono porre determinati problemi che investano tutta la vita nazionale, crede che non si possa negar loro il potere di rivendicare, in condizioni determinate, anche se la maggioranza non consenta questo diritto d’inchiesta. Il carattere peculiare della richiesta dell’onorevole Mortati è questo, che anche le minoranze possano domandare che sia fatta una determinata inchiesta, ed egli crede che debba essere riconosciuto questo diritto alle minoranze, tanto più che nel caso in esame non si tratta di una minoranza qualsiasi, ma di una minoranza qualificata.

Osserva infine che, se si accettasse il criterio esposto dall’onorevole Di Giovanni, la Camera non avrebbe più la possibilità di determinare da sola il potere d’inchiesta, poiché questo dovrebbe essere attuato attraverso una legge con il concorso degli altri organi legislativi.

LA ROCCA osserva che le questioni sono due: una relativa al diritto di controllo e di inchiesta da attribuirsi alla Camera; l’altra relativa al diritto di una minoranza della Camera di provocare un’inchiesta, la cui utilità sia determinata dalle contingenze del momento.

Crede che la Costituzione non debba contenere norme troppo particolari, ma soltanto porre la base giuridica per l’attività futura degli organi legislativi competenti. Ora, nessuno può mettere in dubbio il diritto di inchiesta, poiché entra nell’orbita dei poteri dell’organo legislativo, che non può limitarsi all’approvazione delle leggi, ma deve poter esercitare un controllo politico su tutta la vita della Nazione. Quanto al modo di proceder in determinate indagini, lo si stabilirà volta per volta e crede che ciò debba rientrare nella sfera del regolamento.

TOSATO dichiara di essere decisamente favorevole alla proposta Mortati, la quale implica una questione di forma ed una di sostanza.

Quanto a quella di forma, rileva che si è manifestato un grave dissenso. Si afferma che la Costituzione deve essere breve e contenere soltanto affermazioni di principio; ma la concezione della brevità della Costituzione è, a suo avviso poco progressista, perché la Costituzione deve disciplinare tutti i problemi che hanno importanza costituzionale. Nello Stato moderno, il quale sta estendendo notevolmente la sua attività politica ed economica, il potere d’inchiesta assume grandissima importanza, e poiché l’esercizio di questo potere, non essendo esplicitamente considerato nella precedente Costituzione, ha dato luogo a gravi difficoltà, la Costituzione non può non occuparsene. Né si può rinviare questa materia al Regolamento, perché con il Regolamento non si può disciplinare il potere d’inchiesta della Camera rispetto ai terzi.

È stato detto dall’onorevole Praticolo che una legge potrà regolare il potere d’inchiesta fissato, in linea di massima, dalla Costituzione. Ma qui sorge il problema della sostanza; perché, col rinvio ad una legge si evita la questione, sollevata dall’onorevole Mortati, se convenga o meno attribuire alle minoranze il potere di ottenere una inchiesta su un determinato oggetto.

Non crede che abbia fondamento il timore che le minoranze potrebbero ostacolare i poteri della maggioranza, perché il potere d’inchiesta è un aspetto del potere di controllo che le minoranze esercitano anche nello svolgimento dell’attività legislativa. Questo potere di controllo è proprio delle minoranze, e non paralizza l’Attività del Governo, perché una cosa è controllare il Governo e altra governare. Come una minoranza qualsiasi può presentare interpellanze e mozioni a fini di controllo, così essa deve poter provocare anche un’inchiesta. Sotto questo aspetto gli sembra giustificata la richiesta dell’onorevole Mortati di inserire nella Costituzione il riconoscimento di questo diritto delle minoranze: è un aspetto nuovo e sostanziale di quello che deve essere la Costituzione, la quale deve garantire la maggioranza, ma riconoscere anche i diritti delle minoranze.

Ritiene che opportunamente l’onorevole Einaudi abbia distinto due tipi di inchiesta: vi sono inchieste che hanno solo scopo informativo, e queste non dànno luogo a difficoltà; ma ve ne seno altre, che possono determinare particolari rapporti di carattere giudiziario. A più forte ragione pertanto si deve riconoscere l’opportunità di ammettere questo potere delle minoranze: con l’estensione dell’attività dello Stato, il Parlamento è investito di questioni di Carattere economico e industriale; domani si parlerà di nazionalizzazioni; e la minoranza non può non avere il diritto di provocare un’inchiesta su determinate aziende statali. Crede perciò che si debbano regolare costituzionalmente i poteri delle Commissioni d’inchiesta, che esulano da quelli normali della Camera.

LACONI non è favorevole alla tesi prospettata dall’onorevole Lussu che la Costituzione debba essere breve, perché pensa che la democrazia italiana non è sufficientemente ricca di tradizioni. Ma non può concordare con l’onorevole Tosato, il quale ha mostrato di ritenere che una Costituzione dettagliata sia per ciò stesso una Costituzione progressista. La Costituzione deve essere breve solo per quanto possibile, aperta, elastica, e deve fare, più che al passato, riferimento al futuro.

Vi è una serie di questioni che potranno essere assorbite dalla futura discussione sui poteri della Camera; ma è necessario che si precisi il pensiero della Sottocommissione in ordine al potere di inchiesta della Camera, e che questo potere sia affermato nella Costituzione. Ritiene però che l’eventuale diritto di una minoranza a provocare un’inchiesta dovrebbe essere rimandato al Regolamento della Camera.

NOBILE, d’accordo con l’onorevole Tosato, osservando che le funzioni dello Stato si vanno sempre più estendendo, afferma che il principio del diritto di inchiesta deve essere sancito nella Costituzione. Trova anche opportuno che questo diritto sia riconosciuto ad una minoranza qualificata.

MORTATI, Relatore, non comprende come ad una proposta di carattere generale si possa opporre la necessità di una formulazione breve della Costituzione. Se una norma ha rilevanza costituzionale, deve trovare una corrispondente affermazione nella Costituzione. Di fronte ad una proposta si tratta di stabilire se essa risponda o non risponda ad esigenze politiche, e non le si può opporre la prevenzione della brevità della Costituzione.

MANNIRONI, agli argomenti esposti dall’onorevole Tosato, aggiunge che varie altre Costituzioni hanno sancito il principio del potere di inchiesta. A suo avviso, la Sottocommissione dovrebbe, a proposito della questione in esame, conformarsi a quanto è stato già deciso circa il diritto di autoconvocazione: se si è riconosciuto alle minoranze il diritto di provocare una riunione dell’Assemblea, non vede perché non si dovrebbe ammettere analogo diritto nei riguardi dell’inchiesta.

BOZZI, aderendo alle osservazioni degli onorevoli Mortati e Tosato, propone la seguente formula:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di una inchiesta parlamentare.

«La Commissione d’inchiesta svolge la sua attività procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

LUSSU nota il carattere rivoluzionario, nei confronti delle abitudini e tradizioni parlamentari, del principio per cui una minoranza potrebbe provocare delle inchieste anche contro il parere della maggioranza, ed osserva pure che un principio simile difficilmente potrebbe trovar posto nel Regolamento, in quanto capovolge il criterio democratico della vita parlamentare. Questo principio servirebbe non tanto a tutelare le minoranze, quanto a dar loro la possibilità di sabotare la maggioranza. Non si può temere che, ove sia sollevato uno scandalo, la maggioranza resti insensibile, e ciò per ovvie ragioni di carattere morale, e in realtà nei dibattiti parlamentari su inchieste sempre si sono manifestate l’imparzialità e la rettitudine sia della destra che della sinistra. Oggi, poi, una coscienza democratica presiede alla ricostruzione dello Stato. Viceversa, ove si facilitasse eccessivamente la possibilità per le minoranze di provocare inchieste, l’acredine delle posizioni di partito potrebbe spingerle a creare imbarazzi continui alla maggioranza e al Governo. La proposta Mortati richiama con preoccupazione alla memoria la disposizione della Dieta polacca per cui il voto di un solo membro poteva impedire l’approvazione di una legge; disposizione che determinò l’anarchia.

E un altro inconveniente potrebbe verificarsi. Quando la minoranza provocasse un’inchiesta, la determinazione dei poteri della Commissione sarebbe rimessa al Parlamento, e in questa sede la maggioranza potrebbe vendicarsi della minoranza, negando alla Commissione tutti i poteri di cui essa avrebbe bisogno per espletare il suo mandato.

Conclude dichiarando di non condividere l’eccessiva simpatia di alcuni colleghi per la Costituzione austriaca che, a suo avviso, può sedurre l’acume e la preparazione culturale di un tecnico del diritto, ma lascia assai scettici i politici che non vi trovano l’esplicita consacrazione di quei principî politici fondamentali che una Costituzione deve contenere.

AMBROSINI dissente dall’onorevole Lussu. A suo avviso una minoranza qualificata non potrà sabotare l’azione della maggioranza attraverso il potere d’inchiesta, che ha per scopo e si esplica in una azione di accertamento. Non si tratta di inficiare un principio di azione di Governo, ma di promuovere un accertamento di fatto, che può condurre ad una maggiore conoscenza dei fatti e ad un giudizio più sicuro sull’azione del Governo e sullo stesso orientamento politico dello Stato.

Crede che l’ordine del giorno Bozzi risponda allo scopo, senza contrastare con le esigenze di governo, e fa presente che, se si accettasse il punto di vista dell’onorevole Lussu, si dovrebbe senz’altro condannare il principio stesso della proporzionale, che mira esso pure alla protezione delle minoranze.

CAPPI, prendendo lo spunto dalle parole dell’onorevole Ambrosini, propone un’aggiunta alla formula dell’onorevole Bozzi, nel senso di stabilire che le Commissioni d’inchiesta debbano essere costituite con il sistema della rappresentanza proporzionale; altrimenti risulterebbe illusoria la facoltà concessa alle minoranze.

BULLONI rileva che gli argomenti dell’onorevole Ambrosini non eliminano la preoccupazione che col potere di inchiesta una minoranza possa svolgere un’attività sabotatrice od ostruzionistica nei confronti del Parlamento e del Governo, che è l’espressione della maggioranza.

Non va dimenticato che in definitiva esiste un giudice di seconda istanza, che è il popolo. Se la minoranza proporrà un’inchiesta fondata su motivi profondamente sentiti dal popolo, non sarà certo la maggioranza che vorrà impedire l’espletazione di un’indagine; ma, se dovesse avvertire che l’istanza nasconde fini obliqui, la maggioranza che rifiuterà l’esperimento dell’inchiesta sarà assistita e confortata dal popolo, il quale rileverà, attraverso il pubblico dibattito e la stampa, l’infondatezza della richiesta della minoranza.

Propone perciò di stabilire che la richiesta può partire da un terzo dei deputati, ma deve essere approvata dalla maggioranza.

PRESIDENTE obietta che una simile disposizione sarebbe incongruente, perché la semplice richiesta può essere fatta anche da un solo deputato.

LAGONI chiede che il primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Bozzi sia votato per divisione, perché sull’inciso «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri» può esservi dissenso.

PRESIDENTE, accedendo alla richiesta, pone ai voti la formula: «La Camera può disporre l’esecuzione di un’inchiesta parlamentare».

LUSSU e DI GIOVANNI dichiarano che voteranno contro, pur riconoscendo il diritto della Camera di provocare inchieste, unicamente perché ritengono che la Costituzione non sia sede opportuna per una norma del genere.

(È approvata).

TOSATO prospetta l’opportunità di specificare anche l’oggetto dell’inchiesta.

FABBRI concorda. A suo avviso il potere andrebbe limitato alle inchieste sulle amministrazioni statali e parastatali, escludendo gli affari privati.

BOZZI ritiene che non dovrebbero esservi limiti al potere d’inchiesta e propone la formula: «su materie di pubblico interesse».

PRESIDENTE pone ai voti la formula: «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri».

(È approvata).

Pone ai voti l’insieme del primo comma che, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Bozzi, risulta così concepito:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di un’inchiesta su materie di pubblico interesse».

(È approvato).

Pone in discussione il secondo comma dell’articolo:

«La Commissione d’inchiesta svolge da sua attività, procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

CAPPI ricorda il suo emendamento che potrebbe concretarsi nell’aggiunta alle parole: «La Commissione d’inchiesta», delle altre: «che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera».

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma che, con l’emendamento Cappi, risulta così formulato:

«La Commissione d’inchiesta, che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera, svolge la sua attività, ecc…».

(È approvato).

Avverte che si dovrebbe ora prendere in esame la sua proposta di una Giunta permanente, concretata nei seguenti termini:

«Elegge, ogni anno, all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente, presieduta dal Presidente della Camera, composta di trenta deputati, con il mandato di procedere, nella vacanza del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame e all’approvazione in via di urgenza di progetti di legge del Governo».

FABBRI ricorda che la Sottocommissione ha già esclusa la funzione legislativa di una delegazione di una Camera sciolta, limitando la questione alla opportunità o meno di mantenere in funzione un organo per l’insediamento della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che la Giunta da lui proposta potrebbe avere il suo utile funzionamento, non solo dopo lo scioglimento della Camera, ma anche nella sua vacanza per sospensione dei lavori o per aggiornamento.

ZUCCARINI è contrario alla creazione di una Giunta permanente, cui sarebbero affidati dei compiti che devono invece essere assolti esclusivamente dall’Assemblea.

Oggi ci si è abituati all’idea che il Governo fa le leggi, le approva e le rende esecutive, ma tutto questo non deve più verificarsi in avvenire: non deve esserci una legge che non sia approvata dalla Camera. Il potere esecutivo deve essere il mandatario del potere legislativo. Pertanto, quell’abitudine non può trovare riconoscimento, sia pur limitato, nella Costituzione, perché ciò farebbe rinunciare la Camera alla sua funzione essenziale.

PRESIDENTE fa presente che un solo concetto ispira l’articolo: l’urgenza. Crede che il sistema sia accettabile per evitare il male dei decreti-legge, senza mettere il Governo in condizioni di non poter funzionare in determinati momenti.

MORTATI, Relatore, osserva che l’articolo, come è formulato, conduce necessariamente all’esame del principio della ammissibilità della decretazione di urgenza.

Quanto al merito si associa all’onorevole Zuccarini. Che il Governo sia costretto in casi eccezionali e straordinarissimi a prendere un provvedimento all’infuori delle Camere, è una eventualità ammissibile e il quesito che si deve porre è se sia il caso di legalizzare questa eventualità.

Intanto bisognerebbe considerare se la vacanza della Camera sia dovuta a scioglimento o ad aggiornamento. Nell’ipotesi dell’aggiornamento, ritiene che a parte i decreti-catenaccio, per i quali neanche la Giunta potrebbe servire, tutti gli altri casi possono essere affrontati e risolti (nell’epoca degli aeroplani, del telegrafo e dei treni lampo) in regime di Parlamento, attraverso una convocazione straordinaria.

Rileva che di tutti i decreti-legge che la storia parlamentare ricorda, solo una percentuale minima è giustificata dall’urgenza; in tutti gli altri casi questa è un pretesto che il Governo, e per esso la burocrazia, usa per decretare a sua volontà. Contro questo cattivo uso del potere esecutivo bisogna reagire, vietando al Governo l’emissione autonoma di qualsiasi provvedimento di urgenza. Se il Governo non potesse fare assolutamente a meno di prendere un provvedimento del genere, lo farà sotto la sua responsabilità e potrà ottenere come si dice in Inghilterra un bill d’indennità. Ma egli teme che, accogliendo la proposta dell’onorevole Conti, si corra il pericolo di estromettere il Parlamento proprio dalla sua funzione caratteristica che è quella di legiferare.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione debba prima deliberare sul principio se ammettere o no la decretazione di urgenza.

BOZZI esprime il parere che, in linea di massima, dovrebbe essere vietata al Governo questa facoltà, che è stata una delle piaghe del nostro Paese e che in periodo di Camera aperta è assolutamente inammissibile. L’onorevole Conti propone in sostanza un temperamento, per il quale, a Camera chiusa, anziché convocare l’Assemblea plenaria, si riunirebbe una Giunta permanente; ma egli non può accedervi. Potrebbe ammettere questa Commissione come organo di preparazione, di studio, di indagine, ma non come organo deliberativo, perché la deliberazione deve rimanere funzione della Camera. Al massimo si potrebbe consentire un’eccezione per i decreti-catenaccio.

EINAUDI dichiara che non da oggi soltanto egli è per il divieto assoluto della decretazione d’urgenza e, senza alcuna eccezione, neanche per i decreti-catenaccio, dei quali nega qualunque giustificazione. Se nel campo fiscale-tributario si temono possibili inconvenienti, spetterà all’amministrazione di ricorrere agli opportuni accorgimenti per evitarli.

FABBRI richiama l’attenzione sul caso delle imposte di fabbricazione, per le cui variazioni di tariffa il decreto-catenaccio potrebbe essere giustificato dallo scopo di impedire facili frodi.

EINAUDI ripete che all’Amministrazione finanziaria non manca il modo di evitare queste frodi, ricorrendo, ad esempio, alle risultanze delle giacenze e a quelle dei registri di carico, e scarico e delle lavorazioni, ormai obbligatori in tutte le fabbriche soggette a controllo fiscale.

NOBILE è pure contrario ad ogni decretazione di urgenza, perché è sempre possibile convocare tempestivamente il Parlamento, data la odierna rapidità dei mezzi di comunicazione.

PATRICOLO chiede ai vecchi parlamentari, che fanno parte della Commissione, se non credono che vi siano casi di vera ed assoluta urgenza nei quali occorre legiferare senza avere il tempo di riunire l’Assemblea. Trova convincenti le argomentazioni degli onorevoli Zuccarini e Mortati, ma non crede che la Giunta proposta dall’onorevole Conti debba essere svalutata. Certo, si deve rispettare il principio che il potere esecutivo non abbia la facoltà di emettere decreti; ma il principio stesso non può considerarsi violato se il potere legislativo delega ad una sua, sia pur modesta, rappresentanza di intervenire eccezionalmente con provvedimenti di urgenza per fronteggiare le conseguenze di avvenimenti impreveduti (come ad esempio terremoti od altre calamità) o provvedere a necessità impellenti di politica tributaria.

LUSSU non nasconde la sua perplessità di fronte alla importanza del problema. Antico assertore della assoluta ed esclusiva prerogativa del Parlamento nel campo della legislazione, crede di dover rettificare alquanto questo suo modo di vedere, in seguito alla sua recente esperienza di Governo. All’onorevole Einaudi, che si è richiamato a principî di liberalismo puro, osserva che la vita moderna ha esigenze democratiche più che liberali: essa è così piena di problemi urgenti che non si può negare che vi sono casi in cui il Governo è obbligato ad intervenire immediatamente. Vero che la Camera potrà essere convocata in breve termine, e ciò potrà avvenire per questioni importanti; ma vi sono infiniti piccoli problemi per i quali non si può convocare il Parlamento e che d’altra parte richiedono immediatezza di decisione, se non si vuole intralciare l’opera del Governo.

È quindi perplesso e ritiene che il principio rigido dell’ostilità alla decretazione d’urgenza dovrebbe essere attenuato. D’altronde gli sembra che la proposta dell’onorevole Conti di creare una Giunta, in cui siano rappresentate le varie correnti politiche, costituisca una garanzia. Delegherebbe quindi a questa Giunta la facoltà di decidere se il provvedimento è veramente urgente.

UBERTI osserva che, nella complessità dei problemi che possono presentarsi, ve ne sono molti che hanno un carattere locale e quindi potranno rientrare nella competenza delle Assemblee regionali: di fronte a questa osservazione spera che la perplessità dell’onorevole Lussu sarà superata. Inoltre fa presente che un atteggiamento spirituale diverso deve ormai improntare la vita politica del Paese. Certo si governa più facilmente e più rapidamente senza l’approvazione della Assemblea, in cui possono sorgere ostacoli od opposizioni; ma è proprio in questo che si rivela e si afferma la vita democratica: in materia di leggi il Governo non deve agire senza il preventivo consenso dell’Assemblea legislativa. Contesta che non si possa governare senza ricorrere alla decretazione d’urgenza, e ricorda che in passato vi sono state leggi che, presentateci Parlamento con carattere d’urgenza, sono state nella stessa seduta approvate, con una relazione orale, dalla Camera e talvolta anche dal Senato nella giornata medesima. Quindi si può e si deve mutare il sistema. Ricorda che dal 1921 si cominciò a legiferare per decreto-legge, malgrado una vera insurrezione contro questo sistema, e così, con l’andare del tempo, ci si è talmente abituati ad esso che sembra quasi impossibile governare senza farvi ricorso. Ma è appunto questo il sistema che deve essere capovolto: deve essere negata al Governo la facoltà di decretare d’urgenza ed il Governo, come ha osservato l’onorevole Einaudi, ha il modo per trarsi d’impaccio anche nei casi più complicati e difficili senza ledere questo principio, che deve rimanere integro ed assoluto.

RAVAGNAN confessa che la rigida formulazione di questo principio è seducente, ma le osservazioni dell’onorevole Lussu fanno pensare che la questione debba essere ricondotta nei suoi termini pratici. Occorre preoccuparsi del come provvedere a legiferare in caso di riconosciuta urgenza nel periodo di sospensione dei lavori parlamentari. Pertanto bisogna o abolire le vacanze del Parlamento o ridurle al minimo, o creare un organismo che provveda alla continuità dell’attività legislativa.

MORTATI, Relatore, non nega il fondamento delle riserve che l’esperienza di Governo ha suggerito all’onorevole Lussu, ma desidererebbe sapere da lui se tutti i provvedimenti portati alle riunioni del Consiglio dei Ministri quando egli ne faceva parte rivestissero un effettivo carattere di urgenza o non fossero gabellati per tali dai direttori generali che li improvvisavano all’ultimo momento, concorrendo a formare quella legislazione tumultuaria, caotica e contraddittoria di cui tutti i cittadini sono vittime.

Nel caso di pubblica calamità, per cui anche il termine più breve per la convocazione dell’Assemblea potrebbe riuscire di danno, il Governo, sotto l’incalzare della necessità, potrà ricorrere a provvedimenti che, a stretto rigore, dovrebbero ritenersi illegittimi, ma che avranno applicazione di fatto almeno fino a quando un giudice non ne riconoscerà l’illegittimità. È questo l’espediente dotato in Inghilterra, dove il Governo chiede, caso per caso, al Parlamento di essere esonerato da ogni responsabilità col cosiddetto bill d’indennità. Non è poi da escludersi che in sede di Costituzione o di regolamento si possano imporre termini ristretti per la trasmissione di progetti urgenti e per abbreviare la procedura parlamentare di approvazione delle leggi.

Insiste pertanto nella proposta di abolire la decretazione di urgenza. Per i decreti-catenaccio confessa di rimanere alquanto perplesso, ma si arrende alla competenza dell’onorevole Einaudi circa gli accorgimenti ai quali la pubblica amministrazione potrebbe ricorrere per ovviare alle dannose conseguenze che deriverebbero da ritardi e dalla pubblicità nell’emanazione dei provvedimenti.

TOSATO è anch’egli contrario alla decretazione d’urgenza per ragioni teoriche generali e per ragioni di carattere particolare. Ricorda che è nella teoria controverso se l’istituto dell’urgenza sia fonte di diritto: alcuni lo negano in ogni caso, altri quando manchi il riconoscimento del carattere di urgenza nel provvedimento. Anche se la facoltà della decretazione di urgenza viene limitata, la questione non è risolta; onde crede più opportuno o andare incontro alla pratica invalsa, o stabilire esplicitamente che l’istituto della decretazione di urgenza è escluso.

È contrario, anche per ragioni di carattere pratico, alla nomina della Giunta permanente proposta dall’onorevole Conti. Infatti, o essa è investita di poteri legislativi, ed allora l’attività legislativa sarà concentrata nel periodo di sospensione dei lavori dell’Assemblea e diventerà assorbente; o si conferisce a questa Giunta soltanto il potere di stabilire se il provvedimento rivesta o no carattere di urgenza, ed allora dalla maggioranza della Giunta il Governo otterrà sempre l’autorizzazione ad emanare il provvedimento e la minoranza non conseguirà altro risultato che di intralciare e ritardare l’emanazione del provvedimento stesso.

Ammette piuttosto che si possa escogitare una procedura abbreviata per i casi di vera urgenza.

Quanto ai decreti-catenaccio, ritiene che la questione sia piuttosto delicata e connessa con un problema di carattere più generale: quello dei rapporti fra Cantera e Governo rispetto alle funzioni dell’Amministrazione finanziaria, sì che sarà bene esaminarla in una fase successiva.

NOBILE ripete che nessun provvedimento avrà mai tale urgenza che non si possano aspettare nemmeno tre giorni, quanti oggi ne potranno occorrere per una decisione, anche se il Parlamento dovesse essere appositamente convocato. Concorda con i colleghi che sostengono doversi porre fine una buona volta all’uso dei decreti-legge, e assicura che ne conosce centinaia che si sono dimostrati del tutto inapplicabili, perché occasionati da esigenze transitorie o dovuti magari al capriccio di qualche direttore generale di Ministero.

PATRICOLO richiama l’attenzione sopra un altro aspetto della complessa questione. La gravissima situazione economica, che purtroppo esiste oggi nel Paese, potrebbe da un momento all’altro provocare sommosse popolari o comunque determinare uno stato di irrequietezza tale da consigliare il ricorso alla proclamazione del così detto stato di emergenza o di una legge marziale. Orbene, egli ritiene che non si dovrebbe lasciare al potere esecutivo la facoltà di compiere atti di tale gravità e, se non si potesse riunire l’Assemblea al completo, si dovrebbe almeno mettere a fianco del Governo un gruppo di parlamentari che rappresentassero il potere legislativo.

FABBRI non condivide l’ottimismo dell’onorevole Einaudi sulla facile eliminazione degli inconvenienti che abolita la decretazione di urgenza si possono determinare in materia fiscale. La sua preoccupazione riguarda particolarmente i dazi di importazione e soprattutto le imposte di fabbricazione, perché ritiene che il fermo sui magazzini sarebbe arbitrario e scarsamente efficace. Viceversa crede che il decreto-catenaccio, che ormai ha un riconoscimento nella prassi e una dottrina che lo giustifica, sia l’unico modo per impedire speculazioni e illeciti arricchimenti. Pertanto, alla norma relativa al divieto della decretazione di urgenza, aggiungerebbe un’eccezione per i decreti fiscali.

All’onorevole Patricolo fa osservare che la proclamazione dello stato di emergenza o della legge marziale rientra in un altro campo delle funzioni del potere esecutivo e deve avere una sua propria regolamentazione.

Per queste ragioni è assolutamente contrario ad una semplice limitazione di carattere generico, magari in forma indiretta, mediante la costituzione di una Giunta, anche perché potrebbe avvenire che qualche direttore generale, pur avendo in animo un provvedimento da due o tre mesi, lo presentasse, qualificandolo urgente, a Camera chiusa per evitare il fastidio della critica e della censura.

CODACC1 PISANELLI esprime il parere che il problema della legislazione di urgenza si ripresenterà sempre, anche se si cercherà di escludere tale competenza del potere esecutivo. È stato ricordato che anche in Inghilterra di fronte alle reali necessità si è trovato modo di sanare l’illegittimità di questi atti del potere esecutivo mediante il così detto bill d’indennità. In Italia se ne è discusso a lungo fin dai tempi dello Statuto Albertino, ricercando il fondamento di questo potere, di cui in ultima analisi il Governo si è sempre servito, e si arrivati alla ben nota legge del 1926 che ha avuto anche una certa elaborazione scientifica. Ritiene quindi che occorra essere aderenti alla realtà e disciplinare la materia, perché altrimenti il problema risorgerebbe.

Si è accennato al timore di arbitri da parte di direttori generali, ma tutto dipenderà dalla disciplina che sarà data alla decretazione di urgenza. Se, per esempio, si riconoscesse al Governo, in caso di necessità o di urgenza, la facoltà di emanare provvedimenti legislativi speciali salvo a presentarli entro un brevissimo tempo (pena la decadenza) alle Assemblee legislative, l’arbitrio diverrebbe difficile: infatti, un sindacato ci sarebbe e di natura ancora più grave, perché ove il decreto non fosse approvato sorgerebbe una questione di responsabilità politica.

Giova infine tener presente che l’istituzione della Suprema Corte costituzionale, per il controllo sulla costituzionalità della legge, assicurerebbe un’ulteriore garanzia. Se l’Italia esce da un periodo in cui la Costituzione non è stata rispettata, non si deve pensare che in avvenire ciò si ripeterà, anche perché le garanzie saranno molto maggiori.

MANNIRONI osserva che la discussione sulla decretazione di urgenza risolleva la questione della continuità dell’istituto parlamentare. È d’accordo, in linea di massima, che la decretazione di urgenza non debba essere ammessa; ma si preoccupa della realtà di fatto a cui accennava l’onorevole Codacci Pisanelli e pensa che, alla stessa maniera che non si può concepire una nazione senza governo o in vacanza di governo, non si può neppure concepire un governo senza l’istituto parlamentare o qualche cosa che lo rappresenti durante la sospensione dei lavori parlamentari o l’intervallo tra due legislature.

È d’accordo con la proposta Conti per l’istituzione di una Giunta permanente che, a suo avviso, dovrebbe avere i particolari compiti di assicurare la salvaguardia delle prerogative del Parlamento rispetto all’azione del Gabinetto e di controllare l’azione del Gabinetto stesso nei periodi in cui il Parlamento non è in grado di funzionare. Rileva che l’istituto trova il suo riscontro in altre costituzioni. Per esempio, quella di Weimar prevedeva due diverse Commissioni: una per gli affari esteri ed un’altra per il controllo legislativo del Gabinetto; qualche cosa di analogo è previsto anche nell’ultima Costituzione francese.

Trova eccessiva la preoccupazione di forma di coloro che sostengono che una Camera che ha cessato di esistere per fine della legislatura o per scioglimento non dovrebbe avere più alcun diritto di sopravvivenza, e conclude che, se al Governo in determinati casi urgentissimi sarà data la possibilità costituzionale e giuridica di emanare qualche provvedimento, converrà non lasciarlo del tutto solo, e consentirgli di appoggiarsi a un organo che rappresenti il Parlamento.

PERASSI premette che è sempre stato nemico dei decreti-legge e che perciò incontra le sue simpatie la posizione rigida che esclude la possibilità per il Governo di emanare norme giuridiche senza l’ausilio del Parlamento. Non disconosce però che nella realtà si possono incontrare difficoltà di ordine pratico per cui non si può essere fondamentalmente avversi al sistema previsto dall’onorevole Conti.

Circa i decreti-catenaccio non sarebbe esatto il riferimento ai prezzi dei generi di monopolio, perché ormai la legislazione ha attribuito al Ministro delle finanze la facoltà di fissarli. Resta invece la materia delle imposte di fabbricazione, per cui potrebbe forse ammettersi una eccezione.

PRESIDENTE invita i Commissari ad esprimere il loro parere unicamente sulla questione pregiudiziale se, cioè, debba ammettersi o no una decretazione di urgenza.

LUSSU si pronuncia contro l’ammissione di qualsiasi legislazione di eccezione che non abbia almeno il correttivo della Giunta.

FABBRI insiste sulla possibilità di limitare la decretazione di urgenza alla materia fiscale e in particolare alle imposte di fabbricazione.

ZUCCARINI non ammette alcuna delega al potere esecutivo ed è contrario all’istituzione di una Giunta permanente che operi in caso di aggiornamento della Camera. A suo avviso, la Camera deve essere sempre in condizioni di legiferare.

PRESIDENTE chiarisce che la Giunta dovrebbe in primo luogo valutare il carattere di urgenza del provvedimento (perché, se riconoscesse che non sussiste, sarebbe autorizzata a respingere la pretesa governativa); in secondo luogo, una volta riconosciuta l’urgenza, dovrebbe partecipare all’opera legislativa assunta dal Governo.

LACONI propone di non votare sulla questione di principio, che è fuori causa, ma sulla proposta Conti. Non crede che si menomi in alcun modo la sovranità della Camera quando le si riconosca la facoltà di delegare i suoi poteri ad una parte dei suoi membri.

MORTATI, Relatore, obietta che la delegazione di poteri in una costituzione rigida deve essere oggetto di espressa autorizzazione costituzionale.

BULLONI sostiene che il potere legislativo spetta esclusivamente alla Camera e non deve subire eccezioni nemmeno nelle materie fiscali, per le quali si potrà ricorrere alle misure amministrative accennate dall’onorevole Einaudi.

Propone la seguente formula:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

PRESIDENTE fa presente che una simile affermazione non esclude la possibilità dell’istituzione della Giunta permanente.

PERASSI aggiunge che, con questa formulazione, si potrebbe procedere alla costituzione della Giunta con una legge apposita.

FABBRI suggerisce una nuova dizione:

«Solo per l’istituzione o la variazione di imposte di fabbricazione e atti fiscali è nella facoltà del potere esecutivo di emettere decreti aventi forza di legge».

MANNIRONI propone la seguente formulazione:

«Al principio di ogni legislatura la Camera nomina una Commissione permanente di trenta deputati con la rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi. Tale Commissione nella vacanza del Parlamento e congiuntamente con analoga Commissione nominata dalla seconda Camera, controllerà l’opera del Gabinetto, decidendo se ricorrono ragioni di urgenza per la emanazione di provvedimenti legislativi di carattere eccezionale».

Chiarisce che questa sua proposta dovrebbe in ogni caso essere messa ai voti dopo approvata la formulazione proposta dall’onorevole Bulloni sul divieto generico.

TOSATO propone di mettere in votazione prima l’ordine del giorno Bulloni per passare poi alle eccezioni.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Bulloni:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

(É approvata all’unanimità).

Avverte che all’articolo da lui proposto sono state apportate talune modificazioni, ond’esso risulta così formulato:

«La Camera elegge ogni anno all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente presieduta dal Presidente della Camera, composta da trenta deputati, con il mandato di procedere nell’aggiornamento del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame ed all’approvazione in caso di urgenza di progetti di legge del Governo».

LUSSU propone che invece di «all’inizio della sessione di primavera», si dica: «all’inizio dei suoi lavori».

FABBRI domanda se con tale disposizione i decreti-catenaccio restino esclusi. Non vuol dire cosa men che deferente verso il Parlamento, ma fa presente che quando un provvedimento che si intende emanare è a conoscenza di trenta persone, potranno verificarsi complicazioni che ben si possono immaginare. Ritiene che i decreti-catenaccio debbano rimanere tali.

UBERTI ammette che, da un certo punto di vista, questa Giunta potrebbe rappresentare una tutela del diritto parlamentare; ma poiché ritiene che si debba rovesciare un costume invalso da decenni, voterà contro la nomina di questa Giunta per affermare integralmente il diritto del Parlamento.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo da lui proposto nella formulazione definitiva di cui ha appena dato lettura.

(Non è approvato).

Avverte che, in conseguenza, resta implicitamente respinta anche la formulazione Mannironi.

La seduta termina alle 11.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Terracini.

Assenti: Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni.

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – La Rocca – Nobile – Bulloni – Ravagnan – Di Giovanni – Conti, Relatore – Calamandrei – Leone – Mortati, Relatore – Targetti – Fabbri – Lussu – Laconi – Tosato – Patricolo – Ambrosini – Mannironi – Codacci Pisanelli – Perassi – Zuccarini – Uberti – Rossi Paolo.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mortati ha proposto un articolo così concepito: «I deputati ricevono un’indennità che sarà fissata dalla legge». Si tratta di decidere se l’argomento possa essere contemplato nella Costituzione, e in caso affermativo, con quale formula. Personalmente ritiene opportuna l’affermazione, che si trova in altre Costituzioni, come quella francese, del principio dell’indennità parlamentare, a cui si attribuisce un particolare significato.

LA ROCCA ritiene indispensabile fissare questo principio, del tutto aderente alle necessità della carica di deputato. Osserva che per lungo tempo i rappresentanti delle correnti popolari sono stati praticamente esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica, che era in tal modo riservata a coloro che potevano trarne profitto o a coloro che erano largamente provvisti di beni di fortuna. Oggi non può esservi dubbio sull’assoluta necessità di porre coloro che difendono gli interessi del popolo nella condizione di potere, senza preoccupazioni di ordine materiale, assolvere al loro compito con dignità, con fierezza, con indipendenza, con serenità.

NOBILE ritiene che tale indennità dovrebbe essere considerata come un rimborso di spese.

BULLONI suggerisce, per la fissazione dell’indennità, un criterio analogo a quello adottato dalla Costituzione francese, che fa riferimento al trattamento di determinate categorie.

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Bulloni. Ritiene che nella Costituzione non solo debba essere affermato il principio della indennità, ma debba anche esser detto perché i deputati vi hanno diritto. Se ben ricorda, la Costituzione francese dice: «per assicurare la loro indipendenza e la loro dignità».

DI GIOVANNI riconosce che corrisponde al principio democratico assicurare un’indennità a coloro che esplicano la loro opera a vantaggio della collettività; ma preferirebbe che tale norma fosse rimandata al regolamento interno, non sembrandogli la cosa di tale importanza da dover trovar posto nella Costituzione.

Comunque, se la Sottocommissione propende ad affermare questo principio nella Costituzione rimandando, come del resto fa il progetto della Costituzione francese, ad una legge speciale la determinazione di questa indennità, non intende fare alcuna opposizione.

CONTI, Relatore, propone che la disposizione relativa all’indennità sia inserita nel suo progetto, dove si dice che «La Camera delibera il proprio Regolamento, provvede alla propria amministrazione, disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato, aggiungendovi: «anche per l’indennità per i deputati».

CALAMANDREI si domanda se non sia il caso di stabilire il criterio che l’indennità debba essere data in quanto la condizione economica dei deputati la renda necessaria, e ciò soprattutto considerando il ragguardevole numero di avvocati che fanno parte di tutti i Parlamenti del mondo. Risulta dai rilievi fatti altra volta dall’onorevole Nobile che all’Assemblea Costituente ve ne sono 157. Ciò dipende certamente dal fatto che essi, come giuristi, hanno attitudine a ragionare sulle leggi e sono quindi i più idonei a far parte del corpo legiferante; ma non bisogna dimenticare che in passato si riteneva che per un avvocato diventare deputato fosse un modo per aumentare il prestigio professionale, la clientela e quindi i guadagni. Si domanda allora se sia giusto dare a costoro anche il vantaggio dell’indennità parlamentare, o se invece non si debba inibire agli avvocati-deputati l’esercizio dell’attività professionale durante il tempo in cui fanno parte del Parlamento.

DI GIOVANNI è di parere opposto a quello dell’onorevole Calamandrei. Anzitutto nega che la funzione di deputato faciliti lo sviluppo della professione, avendo egli invece constatato che le cariche di natura politica fanno esulare gli affari dallo studio dell’avvocato, perché questi non può attendere con il fervore necessario contemporaneamente alla funzione di deputato e alle necessità della clientela.

D’altra parte ritiene che non sia possibile discriminare le condizioni economiche degli avvocati investiti del mandato parlamentare e stabilire se i deputati-avvocati possono provvedere con dignità ai bisogni della propria vita con mezzi propri, facendo a meno dell’indennità parlamentare. A suo avviso, o si afferma il principio che il deputato deve avere l’indennità, e allora non si possono fare eccezioni per gli avvocati; o si stabilisce che si può fare a meno dell’indennità, e tale decisione deve valere per tutti. Sarebbe poi enorme impedire l’esercizio professionale agli avvocati per la durata del mandato parlamentare; ciò che, assai probabilmente, terrebbe lontani dalla Camera gli uomini che per la loro preparazione potrebbero dare il più utile contributo all’elaborazione delle leggi.

CONTI, Relatore, si associa all’onorevole Calamandrei, ricordando di aver fatto le stesse considerazioni in seno al Consiglio di Presidenza, che deliberò l’assegnazione dell’indennità. Il suo pensiero ricorre ai tristi periodi del parlamentarismo, quando gli avvocati-deputati speculavano, per così dire, sulla medaglietta. È un fatto storico ed innegabile questo, che dovrebbe indurre ad opportune meditazioni.

Dubita che possa giovare a rimuovere l’inconveniente lo stabilire che gli avvocati, durante l’esercizio del mandato parlamentare, debbano astenersi dall’attività professionale. Ad ogni modo riconosce l’opportunità della discussione su questo problema.

CALAMANDREI rileva essere significativa la circostanza che il problema sia stato sollevato in questa sede da due avvocati.

LEONE GIOVANNI dissente dagli onorevoli Calamandrei e Conti, in particolar modo perché essi partono da una situazione del passato, che era manifestazione della decadenza del Parlamento. Ora, invece, si tratta di fondare una Costituzione su nuove basi e con visione più ottimistica, in considerazione del fatto che la parte più scadente della vita parlamentare è già molto lontana dallo spirito degli italiani. Né può trascurarsi l’osservazione che le speculazioni fatte in altri tempi da parte di alcuni avvocati si fondavano sul rapporto di subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo. Le norme che la nuova Costituzione conterrà sulla disciplina del potere giudiziario assicureranno invece alla magistratura il massimo dell’indipendenza, onde non sarà più possibile speculare sull’influenza che l’avvocato-deputato potrebbe esercitare sull’autorità giudiziaria.

Pensa, infine, che non si possa limitare l’indagine all’attività professionale degli avvocati; ma si debba piuttosto esaminare il problema della posizione del deputato in rapporto agli impieghi e agli incarichi di qualsiasi genere (ad esempio, quello di curatore fallimentare) che potrebbero essergli affidati e stabilire pertanto che nel periodo in cui si è investiti della carica di deputato non si possano accettare incarichi di qualsiasi genere e in qualsiasi modo retribuiti.

MORTATI, Relatore, condivide il pensiero di altri colleghi circa l’opportunità che in qualche modo risulti dalla Costituzione il rapporto che esiste fra la concessione dell’indennità e il dovere del deputato di dedicare la maggiore e migliore parte della propria attività all’esercizio del mandato parlamentare. Suggerisce perciò di statuire una specie di incompatibilità fra l’attività professionale e quella parlamentare, aggiungendo una sanzione a cui andrebbero incontro i deputati in caso di inadempienza. Propone la seguente formula: «In considerazione del fatto che il deputato è tenuto a dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare».

TARGETTI è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, anche per quei precedenti che l’onorevole Conti ha richiamato. Ricorda a tale proposito che in passato i deputati dell’estrema sinistra, per questa ragione, venivano a trovarsi in condizioni diverse da quelle dei deputati di centro e di destra, ed aggiunge che nel periodo pre-fascista il tipo dell’avvocato che si serviva della carica a scopo professionale in realtà esisteva. Ritiene egli pure che il problema vada risolto in modo da mettere tutti i deputati (e non solo gli avvocati, ma anche i medici, gli ingegneri, in genere i professionisti) nella condizione di dedicare esclusivamente la propria attività alla funzione parlamentare. Non crede fondata la preoccupazione che in questo modo si allontanerebbero dal Parlamento molti professionisti: salvo qualche caso isolato, non è avvenuto, ad esempio, che un deputato-avvocato abbia rifiutato la carica di Sottosegretario di Stato, pur essendo evidente che, quando si copre tale carica, non è possibile attendere all’esercizio professionale.

L’affermazione del principio dell’indennità s’inquadra in una concezione nuova della funzione del deputato, il quale, entro certi limiti, deve sforzarsi di penetrare in fondo a tutte le questioni e non ha più tempo quindi per esercitare la professione. Pertanto ritiene egli pure che nella disposizione relativa all’indennità parlamentare debba essere affermato in modo esplicito che la funzione del deputato richiede l’assorbimento quasi totale della sua attività.

FABBRI, per ragioni materiali e morali, è contrario a qualunque discriminazione e ritiene inammissibile che vi siano deputati retribuiti e deputati onorari. Non crede neppure che sia il caso di stabilire delle incompatibilità specifiche per legge, perché la materia è estremamente difficile a codificarsi. A suo avviso, è cosa che deve restare affidata specialmente alla sensibilità dell’individuo, al costume politico e alla censura dei colleghi e del corpo elettorale. È favorevole all’indennità perché crede che corrisponda ad un elementare principio di democrazia. Per altro, più che di «indennità», preferirebbe si parlasse di «assegno».

Come formulazione proporrebbe di dire che è concessa l’indennità parlamentare al deputato per garantirne in ogni caso l’indipendenza economica («in ogni caso» vuol dire che, se è ricco, non vi è bisogno dell’assegno, se è povero ve n’è bisogno) e la prestazione della sua attività diretta alla doverosa e migliore esecuzione del mandato.

LUSSU, avendo esercitato la professione di avvocato fino a ventidue anni fa, quando venne cancellato dall’albo come antifascista, si trova in condizioni di pura serenità. Riconosce che il criterio dell’indennità parlamentare è acquisito in ogni democrazia, e non è possibile sopprimerlo; ma non ritiene che l’affermazione di questo principio debba trovar posto nella Costituzione. I democratici italiani dovrebbero abituarsi a vivere non solo sulla traccia della Costituzione scritta, ma sulla tradizione che si crea a mano a mano che un istituto si viene formando, come è avvenuto in altri Paesi. Ma, se la Sottocommissione ritenesse di dover fare questa affermazione, egli vorrebbe fosse stabilito che l’indennità è concessa per assicurare al deputato la sua indipendenza durante l’esercizio del mandato, e sarebbe contrario ad ogni eccezione relativa agli avvocati. Si rende conto del criterio morale che ha spinto gli onorevoli Calamandrei e Conti a sostenere l’incompatibilità tra il mandato di deputato e la professione di avvocato e a richiedere la sospensione dell’esercizio professionale per il periodo in cui si ricopre la carica di deputato. Ritiene però che una norma di tal genere non possa trovar posto nella Carta costituzionale e neppure in una legge speciale, perché non è ammissibile si inibisca ad un avvocato di esercitare la sua professione quando è deputato, mentre vi sono parecchi deputati (e questo è un problema che si dovrebbe esaminare in separata sede) i quali guadagnano somme assai considerevoli ricoprendo cariche importanti in organismi industriali, bancari o commerciali, che talvolta possono avere interessi in contrasto con quelli dello Stato. Bisogna evitare il pericolo di formare una legislazione molto complicata e che scenda troppo nei dettagli.

LEONE GIOVANNI premette che sarebbe desiderabile essere nelle condizioni, accennate dall’onorevole Lussu, di formare una Costituzione che trovasse il suo fondamento in un complesso di tradizioni democratiche; ma purtroppo la democrazia non ha tradizioni nel nostro Paese e si è costretti a formulare principî che ancora debbono entrare nel costume. Per queste considerazioni è del parere che sia indispensabile stabilire la corresponsione di una indennità, facendo seguire alla norma una motivazione.

Per quanto riguarda l’incompatibilità con altri incarichi, ritiene che la questione debba essere rinviata.

Dichiara di preferire la formula proposta dall’onorevole Mortati, che stabilisce un limite di fatto, richiamando il deputato all’obbligo di dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare.

PRESIDENTE rileva che sono in discussione tre distinte questioni: se stabilire la corresponsione di una indennità; se farla seguire da una motivazione; se determinare eventuali esclusioni.

Personalmente approva i due primi criteri e, quanto al terzo, crede che sarebbe opportuno escogitare una formula che consentisse di accoglierla nella Costituzione. Se è vero che l’indennità è concessa al fine di permettere al deputato non abbiente di esplicare la sua attività senza eccessive preoccupazioni economiche, gli sembrerebbe giusto che coloro che hanno altri cespiti – appurabili immediatamente, perché non si possono fare lunghe indagini – dovessero rinunciarvi, mancando nei loro riguardi il motivo della concessione.

Sottopone ai colleghi la possibilità di congegnare la disposizione nel senso di dire che l’indennità non viene concessa ai deputati che non rinuncino espressamente alla loro attività professionale (comprendendo così, oltre agli avvocati, anche i medici, gli ingegneri, ecc.). Il deputato sarebbe quindi posto di fronte ad una alternativa e dovrebbe pronunciarsi, libero nella sua scelta e senza alcuna coazione. Infatti non si può non sentire un certo disagio all’idea che ci siano deputati che, pur avendo altri cespiti, percepiscano la modesta indennità loro assegnata, mentre altri debbano vivere sulla base di questa sola entrata, senza poter altrimenti sostenere il proprio bilancio familiare.

Pone in votazione la proposta che nella Costituzione sia stabilito il principio dell’indennità parlamentare.

(È approvata).

Pone ai voti la proposta di motivare la disposizione con cui viene determinata la concessione di una indennità, salvo a concretare la relativa formula.

(È approvata).

Quanto alla motivazione, ricorda i termini precisi delle due proposte fatte finora. La formula Fabbri suona così: «per garantire in ogni caso l’indipendenza economica e le prestazioni dell’attività alla doverosa, migliore esecuzione del mandato»; quella Mortati è del seguente tenore: «in relazione all’obbligò loro imposto di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare».

LUSSU propone la seguente formula: «una indennità che consenta l’indipendenza economica e l’esercizio del loro mandato con dignità».

PRESIDENTE osserva che nella formulazione dell’onorevole Mortati si accenna all’obbligo per i deputati di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare, ma evidentemente l’osservanza di detto obbligo è rimessa al loro senso di responsabilità senza che vi sia alcuna possibilità di controllo né, tanto meno, di sanzioni.

MORTATI, Relatore, rileva che non è possibile usare una formula più assoluta e stabilire che il deputato debba dedicare tutta la sua attività all’esercizio del mandato, perché ne deriverebbero conseguenze molto gravi: uno studioso, per esempio, non potrebbe scrivere un libro e percepire i relativi diritti di autore durante la legislatura.

D’altra parte vi sono attività che si prestano ad essere esercitate anche indirettamente.

Propone di integrare la disposizione in esame con un articolo nel quale si sanciscano i doveri del deputato e la conseguente decadenza del mandato in caso di cattivo adempimento, di assenze prolungate, ecc.

CONTI, Relatore, fa presente che una disposizione del genere potrà costituire materia di Regolamento.

DI GIOVANNI, aderendo al concetto esposto dal Presidente, eliminerebbe dalla formulazione Mortati le parole: «la maggior parte», in modo da dire soltanto: «dedicare la propria attività, ecc.».

BULLONI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Lussu, che si richiama a quella della Costituzione francese, ritenendo che la sola affermazione del principio sia di per sé sufficiente a moralizzare l’ambiente parlamentare. Affermare in una Carta costituzionale che viene concessa una indennità ai deputati per garantirne l’indipendenza e la dignità, significa richiamare tutti coloro che hanno cespiti al di fuori dell’attività parlamentare al dovere di uniformare la loro attività alla solennità di questo principio. A chi ha ricordato alcune degenerazioni di passati regimi parlamentari fa osservare che non si debbono dimenticare anche le nobilissime tradizioni del nostro vecchio Parlamento ed i frequenti casi di insigni avvocati, e professionisti in genere, che non solo non hanno sfruttato la medaglietta, ma hanno fatto sacrificio di altissime posizioni personali.

TOSATO propone la seguente formulazione: «I deputati hanno l’obbligo di esercitare il loro mandato. Al fine di permettere l’adempimento di tale obbligo, riceveranno una indennità nella misura stabilita dalla legge».

PATRICOLO, in merito alla proposta Fabbri, osserva che il concetto dell’indipendenza economica è troppo elastico e comporterebbe un aumento delle normali indennità parlamentari.

PRESIDENTE precisa che la misura della indennità deve esser posta in rapporto al sistema di vita. Quando la Costituzione, ovvero la legge speciale che regolerà la materia, assegnerà una somma corrispondente alla media del reddito mensile della maggioranza del popolo italiano, il principio sarà realizzato. Taluno dovrà forse diminuire il suo regime di vita domestica in relazione alla somma percepita, ma non si potrà dire che non gli si è assicurata l’indipendenza economica. Ricorda che il progetto francese parla di una indennità riferita allo stipendio di una data categoria di funzionari dello Stato, con il che già si stabilisce un termine di riferimento che eventualmente potrebbe essere tenuto presente.

Ritiene che, tra le altre, sia da preferire la formulazione dell’onorevole Fabbri, perché, almeno nella sua prima parte, riflette un po’ le opinioni espresse da tutti.

TAGDETTI non trova felice l’espressione «indipendenza economica»,

BULLONI sottopone all’esame della Commissione la seguente formula, ispirata a quella della Costituzione francese: «Al deputato verrà assegnata una indennità, riferita al trattamento di una categoria di funzionari, per garantirne l’indipendenza e la dignità».

AMBROSINI nota che, se si vuole affermare il concetto che ha spinto a stabilire la corresponsione di una indennità e a giustificarla, è assolutamente necessario richiamarsi alla situazione economica, poiché, in caso contrario, la motivazione diverrebbe inutile.

FABBRI non ha indicato, e non crede si debba indicare, il concetto della dignità, in considerazione della sua aleatorietà. Non si acquista la dignità percependo l’indennità, poiché dignità se ne può avere anche se poveri.

Non è favorevole alla frase proposta dall’onorevole Mortati: «in relazione all’obbligo loro imposto», che gli sembra eccessiva trattandosi di un mandato politico.

PRESIDENTE, poiché è difficile raggiungere un completo accordo su di una determinata formula, invita i commissari a rinunciare a talune sfumature e ad accedere a quella che nella sostanza più si avvicina al loro modo di vedere.

MANNIRONI vorrebbe che dalla formula Fabbri fosse soppressa la parola «economica» dopo «indipendenza».

PRESIDENTE non lo ritiene necessario. Non vede perché si dovrebbe avere un ritegno a parlare di situazione economica, quando in realtà di questo appunto si tratta. L’unica indipendenza che lo Sfato può garantire è appunto quella materiale, economica.

Considerato che la formula Fabbri è quella che più si avvicina al pensiero della maggior parte dei commissari, prega i colleghi di rivolgere ad essa la loro attenzione per poterla eventualmente migliorare. A suo avviso, potrebbero essere soppresse le parole: «le prestazioni della attività», lasciando soltanto «la indipendenza economica e la doverosa migliore esecuzione del mandato».

AMBROSINI propone la soppressione della parola «migliore» e la sostituzione di «esecuzione» con «adempimento».

TARGETTI preferirebbe la formula «una indennità tale da metterli in grado di adempiere al loro obbligo e di dare tutta l’attività necessaria all’esercizio del mandato».

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Targetti che con ciò si rimetterebbe in discussione la questione dell’attività, sulla quale non c’era accordo, frustrando i tentativi di eliminare le parole sulle quali un accordo è difficile. D’altra parte l’espressione «adempimento del mandato» implica appunto l’attività in cui esso si sostanzia.

CONTI, Relatore, introdurrebbe nella disposizione un concetto di necessità. L’indennità dovrebbe provvedere alle necessità economiche del deputato e non alla sua «indipendenza», espressione che potrebbe anche essere superflua.

BOZZI non afferra bene il significato dell’inciso «in ogni caso» contenuto nella formula Fabbri.

PRESIDENTE chiarisce che vi possono essere dei casi in cui l’indennità non sarebbe necessaria, ed altri casi in cui la mancanza di essa determinerebbe quasi l’impossibilità per il deputato di esplicare il suo mandato. Se i Commissari lo ritengono, l’inciso si potrebbe anche sopprimere.

FABBRI preferirebbe che fosse mantenuto, anche per andare incontro alle osservazioni dell’onorevole Targetti.

DI GIOVANNI segnala l’opportunità di una semplice rettifica grammaticale. Dicendo «garantirne», potrebbe sembrare che ci si riferisse alla legge e non al deputato. Più esatto sarebbe dire «per garantire la loro indipendenza economica».

LAMI STARNUTI preferirebbe che si dicesse «consentire», invece di «garantire».

LEONE GIOVANNI sopprimerebbe anche la parola «doverosa», essendo implicito nel concetto di adempimento il carattere obbligatorio.

PRESIDENTE ritiene invece che sia essenziale, essendo il solo richiamo esistente negli articoli fin qui approvati al senso di responsabilità dei deputati.

Mette ai voti la formula risultante dalle varie proposte:

«I deputati ricevono una indennità nella misura fissata dalla legge per garantire loro in ogni caso l’indipendenza economica e il doveroso adempimento del mandato».

(È approvata).

Dà lettura dell’articolo successivo nel testo proposto dall’onorevole Mortati: «È fatto divieto ai deputati di acquistare o di prendere in fitto beni demaniali, di ottenere concessioni od altri vantaggi personali». Personalmente osserva che è forse opportuno, ma certo non necessario, porre una simile disposizione nella Costituzione: essa potrà trovar posto nella legge elettorale.

MORTATI, Relatore, crede sia necessario decidere se convenga oppure no fissare nella Costituzione dei limiti alla legge elettorale, vincolando così il futuro legislatore.

PRESIDENTE crede che, se si volessero porre questi limiti nella Costituzione, bisognerebbe fare una elencazione assai più lunga, perché possono sorgere molte altre incompatibilità, soprattutto di ordine morale. Considerandone soltanto alcune, si potrebbe far ritenere che per le altre non esistono limiti o divieti. Condivide il pensiero dell’onorevole Mortati, essendo necessario prevedere che non avvengano collusioni di interessi fra lo Stato e i rappresentanti del Paese; ma non gli sembra che possa inserirsi nel testo della Costituzione un articolo che consideri questo problema. Ad ogni modo mette ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

A proposito della convocazione della Camera ricorda che l’onorevole Conti ha fatto la seguente proposta: «La Camera dei Deputati deve riunirsi appena eletta ed in ogni caso non oltre 20 giorni da quello della proclamazione degli eletti».

Nota che una disposizione di tale natura è in genere contenuta nella legge elettorale. Gli sembrerebbe invece utile una disposizione circa la convocazione della Camera nelle sue sessioni.

Vi è poi, in questa materia, anche una formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, crede necessario che la Costituzione fissi il termine massimo per la convocazione della nuova Camera dopo lo scioglimento di quella precedente. Ritiene inoltre che l’articolo dovrebbe essere collegato con l’altro che fissa la durata della Camera. Dove si dice che la Camera dura 4-5 anni si dovrebbe aggiungere che le elezioni debbono avvenire entro 60-70 giorni dalla scadenza del termine predetto, e poi inserire una disposizione con cui si stabilisca che la prima riunione della Camera debba aver luogo non oltre una certa data (20 o 30 giorni) dalle elezioni. Ciò gli sembra necessario per eliminare qualunque arbitrarietà in ordine al regolare funzionamento della Camera. Si dovrebbe poi precisare l’organo cui spetta di fissare il giorno della prima convocazione, al quale proposito alcune Costituzioni stabiliscono che debbano provvedere i tre membri più anziani della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che le questioni in discussione sono due. La prima riguarda la convocazione dei comizi elettorali, per la quale l’onorevole Mortati ha proposto di dire che «le elezioni della nuova Camera debbono farsi entro 60 giorni dallo scioglimento della precedente». Mette ai voti questa formula.

(È approvata).

La seconda questione è quella di stabilire un termine, dopo l’elezione, entro il quale la Camera deve essere convocata. Questo termine dall’onorevole Mortati è proposto in 20 giorni.

LUSSU domanda se non sarebbe meglio precisare addirittura la data e dire cioè, ad esempio, il ventesimo o il diciottesimo giorno dalle elezioni.

PRESIDENTE crede che attraverso la Costituzione si debba dare soltanto una garanzia di carattere pubblico e niente altro. A tale effetto gli sembra basti indicare il termine massimo oltre il quale non è possibile prorogare la convocazione.

DI GIOVANNI domanda se il termine decorre dal giorno delle elezioni o da quello della proclamazione degli eletti, come gli pare proponesse l’onorevole Conti.

PRESIDENTE fa rilevare che non vi può essere una data unica di proclamazione degli eletti, variando essa in relazione allo svolgimento dei lavori delle singole circoscrizioni elettorali. Quanto meno bisognerebbe dire «dalla data dell’ultima proclamazione», ma la cosa non gli sembra praticamente utile.

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati: «la prima riunione della Camera deve aver luogo non oltre 20 giorni dalle elezioni».

(È approvata).

MANNIRONI ritiene opportuno che la legislatura duri fino alle nuove elezioni, per mantenere la continuità della funzione parlamentare e per garantire, ad esempio, l’immunità dei deputati nell’intervallo tra la vecchia e la nuova Camera.

PRESIDENTE non vede la necessità di garantire l’immunità, quando la funzione parlamentare è finita: a Camera sciolta il deputato è un cittadino qualsiasi.

Avverte che secondo la formula proposta dall’onorevole Mortati il provvedimento che indice le elezioni fissa anche il giorno per la prima convocazione della nuova Camera.

FABBRI per determinare questa data, riterrebbe più opportuno si attendesse che fosse avvenuta la proclamazione.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, stabilito il principio che entro 20 giorni si deve convocare la nuova Camera, si tratta solo di precisare il giorno, e a questa esigenza può provvedere la legge che convoca i comizi elettorali, come ha appunto fatto anche l’ultima legge per la Costituente.

ZUCCARINI rileva che ciò è conforme alla più vecchia tradizione parlamentare.

LUSSU aderisce a quanto ha detto l’onorevole Mortati, ma si preoccupa dell’organo o della persona che dovrebbe fissare la data. Suggerisce di dire che spetta al deputato più anziano.

PRESIDENTE teme sia un po’ audace lasciare al più anziano una facoltà di carattere così importante.

CODACCI PISANELLI propone che questa facoltà venga riconosciuta al Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, nota che queste proposte debbono considerarsi in relazione all’ordinamento che si vuole stabilire, di maggiore o minore autonomia della Camera. Il punto da chiarire è se si intende opportuno che la Camera si convochi indipendentemente dal potere esecutivo.

PERASSI crede opportuno fissare un sistema di convocazione automatico.

PRESIDENTE, per non dare luogo ad inconvenienti, suggerisce di stabilire chi è che convoca la Camera e gli pare dovrebbe essere il Capo dello Stato.

FABBRI ritiene che il concetto della sovranità dell’Assemblea che scade sia male invocato con riferimento al provvedimento di scioglimento della Camera; perché non è l’Assemblea che si scioglie, ma lo scioglimento è conseguenza di un provvedimento di chi ha la facoltà di adottarlo; sia il Capo dello Stato o il Capo del Governo. Ed allora quello stesso organo che ha la facoltà di sciogliere la Camera esistente dovrebbe avere, in forza della Costituzione, l’obbligo di convocarne un’altra entro un determinato termine. Non gli sembra che qui entri in gioco la sovranità dell’Assemblea.

PRESIDENTE osserva anche che se la Camera giunge normalmente alla fine del suo mandato, deve esservi sempre un’autorità estranea che ordina il suo scioglimento, onde non può attribuirsi alla Camera vecchia l’incarico di indire le elezioni e fissare la data di convocazione della Camera nuova.

L’alternativa è questa: o lasciare al potere esecutivo, al Presidente della Repubblica o al Governo, la facoltà di scegliere la data nel termine dei 20 giorni già stabilito, oppure stabilire che il provvedimento stesso col quale si indicono le elezioni fisserà anche il giorno della prima convocazione.

Mette ai voti quest’ultima proposta.

(È approvata).

Poiché si è in tema di convocazione, pensa che possa essere affrontata la questione delle convocazioni successive, circa la quale l’onorevole Conti propone la seguente formula:

«Nel quadriennio si riunirà senza alcuna convocazione nella prima decade del marzo e dell’ottobre di ogni anno, e terrà le sedute che saranno necessarie allo svolgimento dell’opera legislativa».

Mette innanzitutto ai voti il principio della convocazione automatica, sul quale sono d’accordo ambedue i relatori.

(È approvato).

Circa la data delle due convocazioni annuali, avverte che per la prima sia l’onorevole Mortati che l’onorevole Conti convengono di fissarla in marzo; mentre per l’altra è questione se debba avvenire in ottobre o novembre.

MORTATI, Relatore, ritiene che la data della seconda convocazione debba mettersi in relazione con la presentazione dei bilanci preventivi e consuntivi, e perciò propone che avvenga in novembre.

CONTI, Relatore, NOBILE e ZUCCARINI propenderebbero per l’ottobre, perché in tal mese comincia un nuovo trimestre.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che la seconda convocazione della Camera avvenga nel mese di ottobre.

(È approvata).

CODACCI PISANELLI propone che si fissi il primo giorno non festivo del mese.

PRESIDENTE ritiene accettabile questa proposta e crede che la disposizione potrebbe essere così formulata: «La Camera si riunisce di pieno diritto, senza uopo di convocazione, il primo giorno festivo del mese di marzo e di ottobre di ogni anno».

La pone ai voti.

(È approvata).

Passando all’argomento della possibilità di altre convocazioni, oltre quelle automatiche, avverte che l’onorevole Mortati propone un’aggiunta al comma ora approvato, così concepita: «Deve altresì essere convocata dal suo Presidente quando lo richiedano il Presidente del Consiglio dei Ministri o un quarto dei suoi membri con istanza motivata».

Invece l’onorevole Conti aveva proposto la seguente formula: «Può essere convocata in via straordinaria dal Presidente della Repubblica, con messaggio motivato al Presidente della Camera, dalla sua Presidenza, o da questa a richiesta motivata del Capo del Governo.

«La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un decimo dei componenti la Camera».

Osserva che con la formula dell’onorevole Conti viene affrontata, per la prima volta, la questione dei poteri del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, ritiene che su questo punto sarebbe necessaria una sospensiva, perché la Sottocommissione non è ancora entrata nel merito dei poteri del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo.

PRESIDENTE crede che intanto potrebbe esaminarsi l’ipotesi della autoconvocazione, relativamente alla quale fra le due proposte v’è una differenza notevole, in quanto l’onorevole Mortati propone un quarto dei membri della Camera, mentre l’onorevole Conti un decimo.

Poiché ritiene che possa considerarsi tacitamente accolto il principio di autoconvocazione dell’Assemblea, apre la discussione sulla determinazione del numero dei richiedenti necessario per ottenere la suddetta convocazione.

DI GIOVANNI è del parere che sia sufficiente un decimo e che un quarto sia difficilmente raggiungibile.

MORTATI, Relatore, giustifica la maggiore rigidità della sua proposta con la considerazione che la convocazione della Camera è un evento di notevole importanza, che implica anche uno spostamento dell’ordinaria attività di governo. Un decimo dei componenti la Camera, con la composizione prevista di questa, significherebbe circa 40 deputati, che gli sembrano troppo pochi.

CONTI, Relatore, sostiene la necessità di mantenere bassa la percentuale anche per il criterio della tutela delle minoranze.

PERASSI crede che sarebbe opportuno limitarsi per il momento a fissare il principio dell’autoconvocazione, salvo a determinare successivamente la percentuale di deputati necessaria. Ricorda che il problema in passato è stato affrontato in sede regolamentare e potrebbe essere utile consultare i precedenti.

PATRICOLO non approva il criterio di rinviare la materia al Regolamento della Camera. Se si ritiene che la Costituzione debba effettivamente fissare le garanzie democratiche nel Paese, non si può non volere che contenga anche la determinazione di questa percentuale che rappresenta appunto una garanzia per le minoranze.

NOBILE è sostanzialmente d’accordo sull’opportunità di fissare questa percentuale, e ritiene che, se il numero minimo di deputati richiesti per l’autoconvocazione sarà basso, non per questo si dovrà temere qualche inconveniente. Se anche un piccolo gruppo di deputati invitasse i colleghi a mettersi al lavoro nell’interesse del Paese, l’invito dovrebbe essere sempre accettato volentieri.

PRESIDENTE osserva, e non per semplice amore della transazione, che tra le due proposte c’è una sensibile differenza, onde si potrebbero contemperare le varie esigenze.

Personalmente ritiene che sia necessario dare, attraverso al diritto di autoconvocazione, una garanzia alle minoranze, che tuttavia debbono essere considerate in rapporto alla loro efficienza e al loro reale valore politico, perché anche un uomo solo in una assemblea potrebbe, a volte, costituire una minoranza. Nel quadro di una società nazionale che va sempre più organizzandosi sulla base dei partiti, bisogna tener conto del fatto che non sarà una persona e neanche piccoli gruppi di persone che potranno avere un peso decisivo. Non condivide la opinione dell’onorevole Nobile che bisogna sempre accogliere benevolmente gli inviti al lavoro: se v’è una richiesta di convocazione della Camera fuori della sessione ordinaria, ciò vuol dire che v’è una crisi politica o si intende di provocarla. Ora, le crisi possono essere necessarie, ma in linea generale bisognerebbe evitare di facilitarle, soprattutto se non sono espressione di una forza politica notevole. Più volte si è parlato della necessità di dare una certa garanzia di stabilità al Governo ed è evidente che l’autoconvocazione della Camera in tal caso gioca in senso contrario. Personalmente non è tra coloro che richiedono in maniera assoluta garanzie di stabilità al Governo tali da impedire che le giuste esigenze delle minoranze siano fatte valere; ma ritiene che deve trattarsi di minoranze che rappresentino un qualche cosa di concreto. In una Assemblea di circa 420 membri, 40 deputati non rappresentano una forza che possa pesare in modo decisivo sopra la vita politica del Paese. D’altra parte pensa che sia esagerato richiedere la percentuale di un quarto dei componenti l’Assemblea. Sarebbe sempre difficile arrivarci e dovrebbe entrare in gioco la maggioranza.

Ritiene quindi che si potrebbe fissare una cifra intermedia, tale da soddisfare la necessità di una tutela alle minoranze efficienti e, nello stesso tempo, di una convocazione che si faccia quando la situazione politica realmente la richieda.

NOBILE obietta che una piccola minoranza non potrebbe provocare una crisi, onde la preoccupazione cui ha accennato il Presidente non è fondata.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, a parte la possibilità di provocare una crisi, bisogna evitare che questo istituto possa diventare un mezzo con cui le minoranze insoddisfatte riescano a turbare l’ordinario svolgimento dell’attività del Governo attraverso una con vocazione della Camera che non risponda ad una esigenza effettivamente sentita nel Paese.

LACONI propone la percentuale di un quinto che rappresenterebbe circa ottanta deputati.

MORTATI, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Laconi, richiamando l’attenzione sul fatto che la maggior parte delle legislazioni, anche le più liberali (come la tedesca del 1919 e la cecoslovacca) contemplano percentuali varianti dal quinto al sesto. Ove la Sottocommissione non accettasse il quinto, potrebbe adottare il sesto.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di fissare la percentuale necessaria per la convocazione ad un quinto dei componenti la Camera.

(Non è approvata).

Pone ai voti la percentuale di un sesto dei deputati.

(È approvata).

Avverte che quest’altra disposizione rimane quindi così formulata: «La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un sesto dei componenti la Camera».

MORTATI, Relatore, sottopone all’attenzione dei colleghi un altro argomento di discussione: se, cioè, la Presidenza della Camera possa, indipendentemente dalla richiesta di un sesto dei deputati, procedere di sua iniziativa alla convocazione. Una proposta in tal senso è contenuta nella formula dell’onorevole Conti.

FABBRI dichiara di esservi favorevole.

PRESIDENTE invita l’onorevole Conti ad illustrare i motivi per cui ha voluto si riconoscesse questo diritto alla Presidenza. Personalmente è d’avviso che, se neppure una modesta percentuale dei deputati ha ritenuto che si debba procedere alla convocazione, non possono esserci seri motivi che stimolino la Presidenza – la quale dovrebbe essere interprete della volontà dell’Assemblea – a prenderne l’iniziativa.

CONTI, Relatore, precisa che, a suo avviso, l’iniziativa della Presidenza dovrebbe sostituirsi all’inerzia della percentuale fissata di deputati, così come l’iniziativa di un sesto dei deputati può sostituirsi all’inerzia della Presidenza. In sostanza questa, in certi momenti potrebbe ritenere, di fronte ad un Governo inerte ed a deputati insensibili al loro dovere, di dover provvedere direttamente.

MORTATI, Relatore, è contrario, perché, o il Presidente è interprete della volontà della maggioranza – come dovrebbe esserlo, in quanto espressione di gruppi di maggioranza – e allora raccoglierà facilmente quel sesto che occorre per ottenere la convocazione, o non è interprete della maggioranza ed attua una sua iniziativa personale, ed allora questo suo giudizio non dovrebbe sovrapporsi a quello dei componenti l’Assemblea.

FABBRI si associa alle considerazioni dell’onorevole Conti, facendo presente che la raccolta di circa 70 firme dovrebbe essere fatta a Camera chiusa, il che potrebbe risultare difficile. Viceversa al Presidente possono pervenire delle richieste anche in forma non ufficiale, oppure egli può avere la sensazione che una notevole frazione della Camera desideri la convocazione, e nessuno più di lui dovrebbe avere l’autorità e la veste per farlo.

CONTI, Relatore, non accetta l’interpretazione dell’onorevole Mortati, secondo la quale il Presidente è l’eletto da una maggioranza. Conviene che effettivamente egli è eletto dalla maggioranza, ma, dal momento in cui sale al banco della Presidenza, diventa l’eletto dalla Camera e deve svestirsi della sua qualità di uomo di parte, elevandosi al di sopra di tutti i gruppi, poiché altrimenti non sarebbe più il Presidente dell’Assemblea, ma un rappresentante di partito, il che è inconcepibile, malgrado la tendenza che oggi si riscontra verso la supremazia dei partiti.

LACONI osserva che nulla vieta che si pongano dei limiti all’iniziativa del Presidente: si potrebbe dire, ad esempio: «sentiti i Presidenti dei gruppi parlamentari».

MANNIRONI ha l’impressione che il concedere al Presidente della Camera questa facoltà contrasterebbe col criterio già approvato di riconoscere ad una aliquota di deputati il diritto di provocare la convocazione della Camera. Potrebbe infatti verificarsi che il Presidente, anche su richiesta di un ristrettissimo numero di deputati, convocasse l’Assemblea, mentre si è affermato il principio che essa non può essere convocata se non per ragioni veramente importanti, così da non turbare la normalità del lavoro del potere esecutivo.

CONTI, Relatore, dichiara di essere un sostenitore della tesi del libero sviluppo delle idee nelle Assemblee e di ritenere che il buon funzionamento di un organo è possibile solo in quanto ci sia una buona direzione. La Camera è diretta dal Presidente e questo deve avere ampia facoltà di azione come interprete nei pensieri, dei desideri e dei doveri dei rappresentanti del Paese.

PERASSI nota che, nonostante i dubbi che ci potevano essere sulla opportunità di prevedere nella Costituzione la convocazione della Camera su richiesta di un certo numero di deputati, la questione è stata risolta in senso affermativo allo scopo di garantire la protezione delle minoranze. Ora, per quel che riguarda la possibilità di convocazione ad iniziativa del Presidente, invita la Sottocommissione a considerare se sia proprio indispensabile introdurre anche questa norma nella Costituzione o se non sia preferibile lasciare che questa possibilità sia disciplinata dal Regolamento della Camera, senza pregiudicare la questione.

LEONE GIOVANNI ritiene che il problema debba essere risolto in questa sede. Posto che la Carta costituzionale ha stabilito la possibilità di convocazione dell’Assemblea ad iniziativa di un certo numero di deputati, il fatto di non stabilire nulla circa il potere del Presidente di fare altrettanto potrebbe apparire come una esclusione, soprattutto considerato l’aspetto rigido che si vuol dare alla nuova Costituzione.

Quanto al merito, è favorevole al criterio di concedere al Presidente, per la sua funzione direttiva, la facoltà di convocazione dell’Assemblea.

PRESIDENTE è contrario alla proposta perché, se è vero che il Presidente dirige i lavori dell’Assemblea e la rappresenta nei suoi rapporti con l’esterno, e che si incarnano in lui i poteri e i valori dell’Assemblea, è anche vero che una facoltà o spetta al Presidente quale interprete della volontà dell’Assemblea o spetta all’Assemblea stessa.

Il diritto di autoconvocazione della Camera non ha due soggetti, bensì uno solo, e se lo si riconosce all’Assemblea, nel suo complesso, o attraverso ad una percentuale di deputati, non lo si può riconoscere anche al Presidente. Ove avesse questo potere, il Presidente potrebbe usarne non interpretando la volontà dell’Assemblea, se pure in perfetta buona fede, ma sostituendo una propria valutazione e una propria volontà a quella dell’Assemblea.

Non crede neppure che possano farsi valere le invocate ragioni di ordine pratico. Si è detto che, nel momento in cui la convocazione è sentita come necessaria, può esser difficile raccogliere le firme di settanta deputati. Ma l’eventualità di una richiesta di convocazione straordinaria presuppone una situazione politica tesa ed agitata, nella quale il venire a Roma o spedire un telegramma o una lettera non costituiscono una difficoltà. E se tali espressioni non raggiungono la percentuale del sesto, non si vede perché il Presidente dovrebbe sostituirsi ad esse.

Fatte queste dichiarazioni personali, pone ai voti la proposta di concedere anche al Presidente la facoltà di convocare l’Assemblea fuori delle sessioni ordinarie.

(È approvata).

Crede che si debba accogliere la proposta dell’onorevole Mortati di sospendere ogni decisione circa la convocazione da parte del Capo dello Stato o del Capo del Governo.

(Così rimane stabilito).

Comunica che l’onorevole Mortati ha presentata una nuova proposta: «La chiusura della sessione può essere pronunciata dal Capo dello Stato non più di una volta in un anno».

Crede che il problema della chiusura delle sessioni potrebbe essere ora affrontato.

MORTATI, Relatore, sostiene che il problema dovrebbe risolversi in questa sede, decidendo in via pregiudiziale se si vuole ammettere l’istituto della sessione oppur no. Fa presente che si tratta di una questione di una certa importanza, poiché implica che il periodo della legislatura possa essere diviso in sessioni, la cui chiusura importa conseguenze rilevanti, come la decadenza di tutti i progetti in discussione, delle cariche dell’Assemblea, delle Commissioni, Uffici, ecc. Ricorda che l’istituto della sessione è strettamente legato ai regimi parlamentari ed è impiegato in caso di mutamento di indirizzo politico, per provocare un mutamento automatico nell’orientamento generale e della organizzazione del Parlamento, per uniformarli al nuovo indirizzo rappresentato dal Governo che assume il potere.

ZUCCARINI osserva che la sessione è stata creata per utilità del potere esecutivo e non rappresenta una necessità del funzionamento del sistema parlamentare: il potere esecutivo, che in un certo momento credeva utile interrompere i lavori della Camera, chiudeva la sessione, facendo decadere tutti i progetti in discussione. Questo istituto ha reso possibile, nei tempi passati, molti arbitri da parte del potere esecutivo. Ora che si vuole dar vita ad una Costituzione veramente democratica, non crede che lo si possa mantenere. Si domanda se sia proprio necessario, in occasione della formazione di un nuovo Governo, interrompere tutto quello che è stato iniziato dal precedente, e far cadere nel nulla le discussioni fatte, i progetti preparati e in corso di approvazione, le Commissioni nominate e così via dicendo. A suo parere, questa facoltà di aprire e chiudere le sessioni non dovrebbe essere contemplata nella nuova Costituzione.

FABBRI è favorevole al mantenimento delle sessioni. Osserva che, se si determina una situazione politica per la quale appaia utile un cambiamento del Governo, la chiusura della sessione è l’espediente più semplice per abbandonare, ad esempio, progetti di legge senza chiederne il formale ritiro; rinnovare uffici e commissari. Dal punto di vista pratico la sessione gli sembra, cioè, una garanzia di più snello funzionamento del gioco parlamentare.

TOSATO non è favorevole alla conservazione dell’istituto della sessione. Non gli sembra che un mutamento di Governo possa avere conseguenze politiche tali da richiedere un rinnovamento nell’organizzazione del lavoro parlamentare. Se ciò era ammissibile in un periodo in cui i deputati passavano con tanta facilità da un gruppo all’altro, oggi che si ha una organizzazione di partiti non lo è più. Né gli sembra comunque conveniente interrompere l’attività dell’Assemblea.

MORTATI, Relatore, osserva che si è parlato di arbitri del Governo riferendosi evidentemente a situazioni sorpassate, perché se ci si riferisce a Governi parlamentari, tali arbitri non sono possibili, in quanto si tratta di Governi che hanno ottenuto la fiducia della Camera. Del resto, la chiusura della sessione potrebbe limitarsi a non più di una volta all’anno e si potrebbe ammettere nel Regolamento della Camera la possibilità di riprendere, nonostante la chiusura della sessione, i progetti allo stato in cui si trovavano al momento della chiusura stessa.

PRESIDENTE personalmente condivide l’opinione dell’onorevole Tosato.

Mette ai voti la proposta di conservazione dell’istituto della sessione.

(Non è approvato).

Avverte che, con ciò, è implicitamente non approvato il relativo articolo proposto dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul problema di mantenere in vita o meno, fino alle nuove elezioni, la Camera nel suo complesso e per lo meno il suo Ufficio di Presidenza. Quanto al primo punto, alcune Costituzioni e recentemente quella francese affermano il principio della continuità dell’Assemblea fino alla convocazione della nuova. Ciò può impedire l’emanazione di provvedimenti legislativi da parte del Governo nel periodo di intervallo tra l’una e l’altra legislatura. Poiché è favorevole alla eliminazione della decretazione di urgenza da parte del Governo, pensa che nell’intervallo fra due legislature si potrebbe, per ragioni di continuità amministrativa, mantenere in vita la Presidenza, come avveniva anteriormente alla Camera fascista.

TOSATO è favorevole alla continuità di vita della Camera fino alla convocazione della nuova, anche perché potrebbe avvenire che, sciolta la Camera dei Deputati, si verificasse la mancanza del Presidente della Repubblica. Richiedendosi per la nomina del successore la deliberazione di ambedue le Camere, se quella dei deputati non potesse convocarsi, ci si troverebbe in difficoltà.

NOBILE domanda come possa continuare i suoi lavori la Camera, se viene sciolta per decreto del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, osserva che esiste l’istituto della cosiddetta prorogatio. Perciò egli vorrebbe che fosse mantenuto l’ufficio di Presidenza che, fino alla convocazione della nuova Camera, provvederebbe all’ordinaria amministrazione, ma senza facoltà di adottare provvedimenti di carattere politico. Durante quel periodo, ove sorgesse la necessità di decretazione di urgenza, la Camera potrebbe essere chiamata ad intervenire.

CODACCI PISANELLI crede assai difficile realizzare l’abolizione della decretazione di urgenza, come dimostrano tutti i precedenti storici. Una volta sciolta, la Camera non solo non potrebbe compiere il lavoro ordinario legislativo, ma nemmeno altre sue funzioni, anche delle meno importanti. Nell’eventuale necessità di provvedimenti di urgenza, non si potrebbe fare a meno della decretazione da parte del Governo. Ritiene perciò indispensabile che la Costituzione la contempli, pur fissandone rigorosamente i limiti e la disciplina.

PATRICOLO crede che il problema debba essere esaminato insieme con quello dei poteri del Capo dello Stato: si potrà allora stabilire, ad esempio, che nella legge che indice le elezioni sia previsto il modo di provvedere alla decretazione di urgenza. Ma se si ammette che il Capo dello Stato possa convocare anticipatamente la Camera, viene meno la necessità di un’apposita norma. Non gli appare poi chiara la distinzione che taluno vorrebbe istituire fra provvedimenti amministrativi e qualsiasi altra attività della Camera, ad esempio quella politica.

LUSSU è del parere che la questione debba essere risolta nell’attuale fase della discussione e si dichiara d’accordo con l’onorevole Codacci Pisanelli circa la difficoltà di eliminare la decretazione d’urgenza. Soggiunge che non si è senz’altro autorizzati ad imitare la Costituzione francese che ha stabilito la continuità della funzione della Camera sciolta fino alla convocazione della nuova. A suo avviso la Camera sciolta perde ogni prestigio e non può quindi, nel periodo antecedente alla convocazione della nuova, esercitare alcuna attività.

Non si nasconde la gravità dell’ipotesi prospettata dall’onorevole Tosato e cioè che venga meno il Presidente della Repubblica nell’intervallo fra le due legislature, con la conseguente necessità di provvedere immediatamente alla nomina del successore. Ma è questo un atto di così grande importanza politica che proprio la Camera sciolta non avrebbe il diritto di compiere. In Francia verificandosi questo fatto, era il Presidente del Senato che si sostituiva immediatamente – ope legis – al Capo dello Stato. Pensa che qualche cosa di simile si potrebbe fare anche in Italia per evitare carenza nell’esercizio delle funzioni del Capo dello Stato.

NOBILE propone che la questione sia rinviata a quando si tratterà delle attribuzioni del Capo dello Stato. Per risolvere il caso prospettato dall’onorevole Tosato si riserva di proporre che a fianco del Capo dello Stato si crei un Consiglio supremo della Repubblica, di cinque membri, a cui potrebbero conferirsi alcune delle attribuzioni del Capo dello Stato. Quest’organo sarebbe un’emanazione dell’Assemblea legislativa.

LACONI, poiché evidentemente è impossibile evitare che tra lo scioglimento della Camera precedente e la convocazione della successiva vi sia un intervallo in cui possano presentarsi le necessità accennate da altri colleghi, ritiene che il problema vada affrontato e risolto. Si è affermato che la Camera, continuando a legiferare dopo sciolta, commetterebbe un abuso dei suoi poteri; ma tanto più lo commetterebbe con le decretazioni di urgenza il Governo, che è stato designato da quella Camera.

L’istituto della prorogatio, cui si è richiamato l’onorevole Mortati, non elimina gli inconvenienti e i pericoli derivanti da una carenza di poteri; ond’egli si dichiara favorevole alla continuità delle funzioni della vecchia Camera fino alla convocazione della nuova.

TOSATO avverte che è un principio fondamentale di diritto pubblico preoccuparsi della continuità delle funzioni di un istituto: lo stesso Governo in crisi può prendere provvedimenti di ordinaria amministrazione anche importanti. Altrettanto potrà fare la Camera. Richiamandosi all’ipotesi dei decreti-legge e a quella della vacanza del Capo dello Stato, fa rilevare che, poiché l’intervallo fra lo scioglimento della vecchia e la convocazione della nuova Camera sarà di quasi tre mesi, il problema appare grave e richiede una soluzione.

FABBRI rileva che si è parlato di prorogatio ed è d’accordo con l’onorevole Lussu che la Camera privata d’ogni prestigio non potrebbe esercitare degnamente la sua funzione. Si preoccupa però di una soluzione di continuità e quindi pensa che i poteri e gli uffici, specialmente di carattere rappresentativo, della Presidenza uscente potrebbero fino all’inizio della nuova Legislatura essere prorogati. In caso di vacanza del Capo dello Stato, la Presidenza della Camera potrebbe provvedere alla nomina di un Vicepresidente della Repubblica, per non attribuire le funzioni del Capo dello Stato al Capo del Governo. Non gli sembra possibile che durante questa vacatio si proceda alla nomina definitiva del Presidente della Repubblica.

MORTATI, Relatore, crede necessario esaminare distintamente i problemi che sono affiorati nella discussione.

Osserva che al quesito se durante l’intervallo fra due legislature debba esistere un organo che collabori col Governo nella attività legislativa, il progetto Conti risponde con la proposta di una Giunta permanente, formata da membri delle due Camere, che dovrebbe rimanere in vita durante il periodo di scioglimento. Si domanda se sia più opportuno affidare questo compito a gruppi particolari di deputati o mantenere in carica tutto l’apparato della Camera nel suo complesso. Una volta ammesso il principio della continuità, questa seconda soluzione gli sembra migliore, perché una Giunta come quella proposta dall’onorevole Conti rappresenterebbe assai imperfettamente l’Assemblea.

Circa i provvedimenti di ordinaria amministrazione o le funzioni legislative cui si è fatto cenno, osserva che la Camera, in questa eccezionale posizione, non dovrebbe prendere provvedimenti di importanza politica, e per questo soccorre la norma di correttezza costituzionale richiamata dall’onorevole Tosato, per cui deve essere inibito ad una tale Camera ogni potere di iniziativa.

Per il caso di vacanza del Capo dello Stato, ritiene invece, contrariamente a quanto è stato affermato dall’onorevole Tosato, che non sia opportuno fare intervenire alla elezione del nuovo titolare una Camera ormai sfornita di potere rappresentativo. Per provvedere all’ipotesi prospettata sarebbe più opportuno ricorrere ad un Capo detto Stato supplente, da nominare all’atto della nomina del titolare.

Crede, in conclusione, che si debbano scindere i due problemi: se nell’intervallo fra le due legislature deve sussistere un organo legislativo, per esercitare le funzioni legislative in senso proprio nella forma di provvedimenti straordinari, all’infuori del potere di iniziativa; e, in secondo luogo, chi debba rappresentare la Camera.

UBERTI si preoccupa di un problema essenzialmente pratico e cioè se potrà effettivamente ottenersi la continuità delle funzioni legislative da parte della Camera dopo il suo scioglimento. Ricorda in proposito le difficoltà che si incontrarono nelle ultime riunioni delle Commissioni della Consulta per raccogliere il numero legale, perché, indette le elezioni, quasi tutti i consultori si erano allontanati.

BOZZI nota che il problema della prorogatio della Camera è in funzione di due necessità: provvedere alla eventuale nomina del Capo dello Stato e provvedere altresì alla decretazione di urgenza.

Per quanto attiene alla nomina del Capo dello Stato, osserva che altri sistemi possono supplire all’eventuale vacanza del Parlamento, senza bisogno di ricorrere alla prorogatio di una Camera che ha ormai perduto il suo prestigio e la sua funzione rappresentativa.

Per quel che riguarda la decretazione di urgenza, non crede indispensabile la continuità della funzione legislativa. Anzitutto si potrebbe escogitare una norma che inibisse al Governo, tra lo scioglimento di una Camera e la convocazione dell’altra, la decretazione di urgenza; ma un correttivo migliore sarebbe quello proposto dall’onorevole Conti e cioè la creazione di un ristretto organo, costituito da rappresentanti della prima e della seconda Camera, che assistesse il Governo in questa particolare evenienza.

PRESIDENTE avverte che è stata avanzata una proposta di rinvio, che appare giustificata.

Infatti, l’ipotesi che durante l’intervallo di tre mesi si presenti la necessità di qualche misura di urgenza, è verosimile, ma potrà essere disciplinata quando sarà esaminata nel suo complesso la questione delle misure di urgenza.

La necessità poi di un organo che provveda alla eventuale nomina del Capo dello Stato nella vacanza del Parlamento, potrà più opportunamente essere presa in considerazione quando saranno esaminate le modalità per la nomina del Capo dello Stato, tenendo conto dei punti di vista manifestatisi nel corso della presente discussione.

Crede perciò che la questione possa essere rinviata.

(Così rimane stabilito).

MORTATI, Relatore, procedendo nell’esame delle norme sul funzionamento della Camera, prospetta l’opportunità di un articolo per disciplinare l’elezione dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE rileva che la proposta è stata concretata dall’onorevole Conti nei seguenti termini: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente, due Vicepresidenti, i Questori, i Segretari e le Commissioni, a norma del proprio Regolamento».

MORTATI, Relatore, riterrebbe preferibile evitare precisazioni, e soprattutto l’accenno alle Commissioni, limitandosi a stabilire che la Camera elegge l’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE conviene che la formula dovrebbe essere meno impegnativa nei suoi particolari. Sarà la Camera attraverso il Regolamento a decidere su questi. La formulazione della norma potrebbe, a suo avviso, essere la seguente: «La. Camera elegge nel suo seno l’Ufficio di Presidenza».

LUSSU preferirebbe la formula: «il Presidente ed il suo ufficio».

PRESIDENTE mette ai voti la seguente dizione: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvata).

LACONI osserva che, qualora si ammettesse l’esistenza di una Giunta, come quella proposta dall’onorevole Conti, la sua nomina dovrebbe precedere quella dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE obietta che la nomina della Presidenza risponde ad altre esigenze. Si potrebbe pensare ad un Parlamento che non avesse una Giunta, non ad un’Assemblea che non avesse il suo Presidente col relativo Ufficio di Presidenza.

Nota che ora si affacciano due questioni: in primo luogo, se nel testo della Costituzione occorre senz’altro risolvere il problema del modo come la Camera si articola nel suo interno e lavora (se attraverso Commissioni oppure no); in secondo luogo, se sia necessaria la formazione di una Giunta permanente che possa rappresentare la Camera ed agire in sua vece nella vacanza del Parlamento.

MORTATI, Relatore, crede che sarebbe opportuno esaminare anzitutto quale parte della regolamentazione della Camera debba rientrare nella Costituzione, cioè, quali limiti sarà utile porre all’autodisciplina della Camera.

PRESIDENTE fa presente che in altro articolo l’onorevole Conti propone la seguente disposizione: «La Camera delibera il proprio Regolamento».

La mette ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, osserva che occorre pure decidere se le deliberazioni in materia regolamentare debbano avvenire da parte della Camera con certe determinate modalità, se cioè, sia o meno necessaria una maggioranza qualificata. Si tratta di garanzie di regolarità che potrebbero includersi nella Costituzione.

FABBRI propone che la deliberazione del Regolamento sia fatta a maggioranza semplice dei componenti l’Assemblea e non dei presenti, cioè a dire, la metà più uno dei deputati.

LUSSU è contrario alla introduzione nella Costituzione di una simile precisazione, che può ritenersi sottintesa anche, perché non crede che in questo giochi la preoccupazione della tutela delle minoranze.

MORTATI, Relatore, non trova esatta l’obiezione dell’onorevole Lussu. Una maggioranza può approfittare del fatto di essere tale per imporre nel Regolamento eccessive limitazioni del diritto di discussione o altrimenti attentare al normale svolgimento dell’attività parlamentare. L’esigenza della protezione delle minoranze in sede di formulazione del Regolamento può avere il suo peso. Ricorda che la Costituzione austriaca – che è importante per l’accurata elaborazione tecnica che ha avuto – richiedeva per l’approvazione del Regolamento la presenza di metà dei membri della Camera e la maggioranza dei due terzi dei voti.

TARGETTI consiglierebbe l’obbligo dell’approvazione del Regolamento in duplice lettura.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che per la formazione del Regolamento si debba richiedere una maggioranza qualificata.

(È approvato).

Osserva che resta da stabilire quale deve essere questa maggioranza qualificata, e mette ai voti la proposta dell’onorevole Fabbri che il Regolamento sia approvato con la maggioranza della metà più uno dei membri dell’Assemblea.

(È approvata).

Comunica che alla parte ora approvata dell’articolo proposto dall’onorevole Conti circa la deliberazione del Regolamento, seguono le seguenti parole: «…e provvede alla propria amministrazione disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato».

MORTATI, Relatore, ritiene che la disposizione si possa sopprimere, non costituendo materia costituzionale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressione.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede sia da esaminare la questione della pubblicità delle sedute dell’Assemblea stabilendo, eventualmente, dei limiti alla possibilità di far venire meno questa garanzia, determinando, cioè, i casi in cui la Camera può riunirsi in seduta segreta; uno dei quali si ha quando essa tratta della propria amministrazione interna.

LACONI crede che si possa rimandare la materia al Regolamento, stabilendo soltanto il principio della pubblicità.

PRESIDENTE obietta che, stabilendosi solo il principio, si escluderebbe la possibilità di eccezioni. Occorrerà precisare quando la Camera può convocarsi in seduta segreta.

MANNIRONI propone che la convocazione in seduta segreta sia consentita quando viene richiesta da un certo numero di deputati.

LUSSU ritiene che non sia necessario introdurre questa norma nella Costituzione e che possa supplire la tradizione, alla quale è ormai acquisita questa garanzia della pubblicità.

UBERTI condivide l’opinione dell’onorevole Lussu, anche per la considerazione che, durante l’altra guerra, è stato possibile convocare la Camera in seduta segreta per affrontare questioni di politica estera, che non potevano essere trattate in pubblico, e una norma tassativa potrebbe costituire un impedimento di fronte ad improvvise necessità.

FABBRI suggerisce una formula concisa e cioè: «Il Regolamento della Camera fissa i casi e le forme in cui può convocarsi in seduta segreta». In questa dizione sarebbe implicito il principio della pubblicità e nello stesso tempo resterebbe stabilito che possono esservi anche dei casi di convocazione segreta, rimessi all’apprezzamento della stessa Camera.

DI GIOVANNI ritiene utile l’affermazione esplicita del principio della pubblicità e propone la seguente dizione: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera può convocarsi in seduta segreta a norma del Regolamento».

MORTATI, Relatore, ricorda che l’articolo 52 dello Statuto Albertino stabiliva la pubblicità delle sedute e osserva che la soppressione di una tale norma potrebbe sembrare fatta di proposito.

LUSSU insiste sull’opportunità di non introdurre la disposizione nella Costituzione.

RAVAGNAN crede opportuno affermare il principio della pubblicità delle sedute; ma l’espressione immediatamente successiva, secondo cui la Camera si riunisce in seduta segreta a norma del Regolamento, sembra in contraddizione con la prima affermazione. Crede perciò necessario far risaltare il carattere di eccezionalità delle sedute segrete.

ROSSI PAOLO propone la formula: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera si riunisce in seduta segreta soltanto nei casi previsti dal Regolamento».

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede che non sia il caso di addentrarsi nell’esame delle modalità di svolgimento del lavoro parlamentare e che la costituzione delle Commissioni sia materia da lasciare al Regolamento.

Sarebbe piuttosto importante, innovando nei confronti della precedente legislazione, parlare della possibilità di provocare la convocazione di Commissioni d’inchiesta e dei loro poteri. Attraverso il potere d’inchiesta, infatti, si può esercitare quel controllo sull’attività del potere esecutivo che costituisce una delle funzioni del Parlamento. Anche nei riguardi di queste Commissioni si potrebbe pensare ad una forma di tutela dei diritti delle minoranze, ammettendo che una minoranza cospicua possa ottenere, anche contro il parere della maggioranza, la nomina di una Commissione d’inchiesta.

In sostanza le questioni che si pongono sono due: se la Costituzione debba contenere una regolamentazione circa il potere di inchiesta e, in caso affermativo, determinare le modalità di esercizio di questo potere.

PRESIDENTE crede che il potere di inchiesta potrebbe essere previsto in una forma più ampia che occorrerà introdurre nella Costituzione, e nella quale saranno indicati tutti i poteri della Camera. È questo un campo in cui ritiene che potrà esservi qualche innovazione da fare nei confronti della tradizione rimettendo, ad esempio, alle decisioni delle Assemblee legislative il diritto di amnistia, il diritto di guerra e di pace, la ratifica dei trattati ecc. In questa elencazione, che avrebbe un carattere tassativo e non dovrebbe essere molto lunga, si potrebbe includere la possibilità di provocare inchieste.

Personalmente ritiene che nel testo costituzionale non sarebbe opportuno scendere addirittura ad una regolamentazione del potere di inchiesta.

FABBRI condivide l’opinione dell’onorevole Mortati, trattandosi di una questione importantissima, e sostiene che sarebbe opportuno che il potere di inchiesta, piuttosto che costituire un paragrafo della specificazione dei poteri della Camera, fosse considerato a sé.

DI GIOVANNI ricorda che, secondo il Regolamento vigente (articolo 135), le inchieste parlamentari rientrano fra le proposte di iniziativa parlamentare. Inoltre l’articolo 136 attribuisce alla Camera la determinazione delle facoltà e dei poteri delle Commissioni di inchiesta. Ritiene che ciò sia sufficiente e non occorra una disposizione ad hoc nella Costituzione.

TOSATO osserva che numerose questioni sono sorte circa i poteri delle Commissioni di inchiesta. Esse operano non nell’interno del Parlamento, ma fuori; dal che deriva il problema dei doveri del cittadino e dei funzionari nei loro confronti. Si domanda, cioè, se i funzionari siano sciolti dal segreto di ufficio e se i cittadini siano obbligati a deporre. Tutto ciò investe i diritti dei cittadini ed esula dai campo specifico del Regolamento della Camera, che può interessare solo i rapporti interni. Sorge quindi la necessità di disciplinare la materia con disposizioni che possano valere erga omnes e si tratta di stabilire se a ciò basti una legge normale od occorra una disposizione inserita nella Costituzione. Dichiara di accedere a quest’ultimo concetto, soprattutto perché la Costituzione sola potrebbe ammettere la possibilità di provocare una inchiesta anche contro il volere della maggioranza e questo diritto della minoranza appare tanto più opportuno in quanto le attività dello Stato sono notevolmente accresciute e aumenteranno sempre più. Da questo punto di vista il diritto della minoranza di provocare inchieste è una salutare garanzia contro la possibilità di abusi del Governo e delle Amministrazioni.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Mortati sull’impostazione del problema: il Regolamento della Camera ha un valore interno e può quindi vincolare soltanto i deputati. È d’avviso che la Costituzione debba regolare le funzioni delle Commissioni d’inchiesta ed i loro poteri.

MORTATI, Relatore, data l’estrema delicatezza del problema, insiste perché trovi adeguata soluzione nella Carta costituzionale.

NOBILE è d’accordo con gli onorevoli Mortati e Leone sulla necessità di non rinviare la questione al Regolamento propone la seguente formula da introdurre nella Costituzione: «La Camera ha il diritto, a mezzo di sue Commissioni, di eseguire inchieste relative alle funzioni del potere esecutivo e giudiziario. La esecuzione di questo diritto è determinata dalla legge».

LUSSU, rendendosi conto delle preoccupazioni dei colleghi, fa rilevare che se si rinvia alla legge la fissazione dei dettagli, tanto vale che il principio venga addirittura considerato in una legge speciale e non nella Costituzione che per il suo carattere di documento solenne ed incisivo e quindi breve, non può scendere a particolari.

MANNJRONI non è d’accordo che la Costituzione debba essere breve e schematica. Crede giusto che certi principî entrati ormai nelle tradizioni politiche del nostro Paese trovino riconoscimento e proclamazione nella Carta costituzionale, se non altro per non dar luogo a dubbi e incertezze. In questa sede si dovranno stabilire i limiti e le modalità per il funzionamento di queste Commissioni d’inchiesta; cosa tanto più necessaria se esse, ad esempio, dovranno avvalersi dei poteri e dell’opera della magistratura, i cui obblighi devono essere fissati appunto in una legge costituzionale.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza della Commissione sia d’avviso che si debba contemplare nella Costituzione il potere di inchiesta della Camera. Si chiede per altro se la Costituzione dovrà limitarsi ad affermare il principio o entrare in maggiori dettagli. Personalmente si limiterebbe all’affermazione di questo potere di inchiesta, come di altri poteri della Camera, senza entrare in particolari.

TOSATO rileva la difficoltà di una compenetrazione tra parte funzionale e parte organizzativa. Una volta affermata la necessità del potere di inchiesta, si deve stabilire con quale organo la Camera potrà effettivamente esercitarlo.

PRESIDENTE, constatato che si è d’accordo sulla questione di principio, suggerisce la seguente formulazione, la quale non esclude per altro di considerare poi il modo come il potere di inchiesta debba essere esercitato: «La Camera vota i bilanci, approva le leggi, concede amnistia, decide la guerra e la pace, ratifica i trattati internazionali ed esercita il potere di inchiesta».

LEONE GIOVANNI sarebbe favorevole all’abolizione dell’istituto dell’amnistia, limitandosi solo a quelli della grazia e dell’indulto. Ma, poiché la questione involge principî di carattere giuridico e politico del massimo interesse, crede che debba essere definita in altra sede.

PRESIDENTE domanda se si debba, oppur no, elencare in un articolo tutti i poteri della Camera salvo poi a definirli.

MORTATI, Relatore, ritiene che non si possa pregiudicare la sistemazione formale del punto in questione. Affermato il principio, sorge il problema che riguarda l’organizzazione dell’istituto ed il funzionamento. Crede che un articolo programmatico dell’attività dell’Assemblea sia superfluo e meglio sarebbe formulare tanti articoli per i vari poteri dell’Assemblea, specificando anche il modo di esercizio. Affermato ora il principio generale dell’esistenza del potere d’inchiesta nella Camera, si potrà vedere poi se tale potere dovrà essere organizzato costituzionalmente o rinviato ad una legge ulteriore.

PATRICOLO, richiamandosi all’ordine del giorno sui poteri e sulle funzioni della Camera, da lui presentato all’inizio della discussione sul potere legislativo, prospetta la doppia funzione della Camera: funzione legislativa e funzione di vigilanza e di controllo sugli organi dello Stato. In questa seconda funzione rientra appunto la questione delle Commissioni d’inchiesta.

PRESIDENTE aveva pensato che l’affermazione del diritto di inchiesta non dovesse restare a sé. Crede che proprio per dare alla Costituzione quel carattere di solennità incisiva che si ritiene necessario, si debba fissare in maniera parimenti incisiva quali sono i poteri ed i compiti dell’Assemblea. Gli sembra che non sia necessario che il cittadino italiano, per la formazione della sua coscienza civica, debba proprio conoscere in qual modo si autorizza una inchiesta e come la si porta a compimento.

Ad ogni modo, osserva che sarebbe bene precisare un indirizzo per la prosecuzione dei lavori della Commissione. Affermato il potere di inchiesta, si è entrati nel campo della competenza, dei limiti e delle funzioni. Crede che sarebbe meglio esaminare prima tutti i diritti della Camera. Quando saranno stati definiti questi, si passerà a determinare gli organi mediante i quali essa potrà esplicarli e si disciplinerà il loro funzionamento.

La seduta termina alle 11.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Castiglia, Einaudi, Farina, Fuschini, Piccioni, Porzio, Vanoni.

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

17.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – La Rocca – Mortati, Relatore – Grieco – Ambrosini – Conti, Relatore – Di Giovanni – Lusso – Leone Giovanni – Bozzi – Bulloni – Nobile – Uberti – Codacci Pisanelli – Tosato – Perassi – Fabbri – Mannironi – Ravagnan – Lami Starnuti – Calamandrei.

La seduta comincia alle 8.15.

Seguito della discussione sull’ordinamento costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione nella seduta odierna è chiamata ad esaminare la questione della verifica dei poteri presso la Camera. Il relatore onorevole Mortati ha predisposto il seguente articolo:

«Presso la Camera dei Deputati è istituito un tribunale per la verifica delle elezioni. Esso è composto da cinque membri, che rimangono in carica per la durata della legislatura, designati uno per ciascuno dai cinque Uffici parlamentari che hanno il maggior numero di membri scelti fuori del proprio seno, da cinque consiglieri di Stato scelti a sorte (oppure su votazione del Consiglio in assemblea plenaria) e presieduto dal Presidente della Corte di cassazione.

«Le decisioni sono prese a maggioranza con la procedura che sarà fissata da apposita legge».

Nota che la proposta mira a sovvertire radicalmente una vecchia tradizione in materia, poiché in generale le assemblee rappresentative hanno sempre preferito avocare a se stesse la verifica dei poteri dei propri membri.

L’altro relatore, onorevole Conti, ha invece proposto la seguente formula:

«La Camera verifica la validità dell’elezione dei deputati».

BULLONI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, sia perché la verifica dei poteri è stata sempre una peculiare prerogativa di ogni Assemblea legislativa, sia perché l’intervento dei consiglieri di Stato e del Presidente della Corte di cassazione in tale campo diminuirebbe il prestigio della Camera, quasi che essa non fosse capace di esprimere dal proprio seno un organo giurisdizionale competente, serio e superiore ad ogni sospetto.

Per tali considerazioni accetta invece la formula proposta dall’onorevole Conti, salva la sostituzione della parola «giudica» alla parola «verifica».

LA ROCCA è decisamente contrario alla proposta dell’onorevole Mortati per le stesse ragioni esposte dal precedente oratore.

MORTATI Relatore, chiarisce che la sua proposta muove soprattutto dalla esigenza della tutela delle minoranze da ogni possibile ingiustizia commessa a loro danno dalla maggioranza. Il sistema da lui proposto di accertamento giudiziario delle contestazioni in materia di elezioni è usato in Inghilterra, paese classico delle immunità parlamentari, ed è in relazione al principio che l’accertamento della regolarità delle elezioni è per sua natura intrinsecamente giurisdizionale.

Nell’altro dopo guerra molte nazioni europee hanno imitato l’esempio inglese che in passato era rimasto isolato o quasi: così oggi si ha una serie numerosa di Costituzioni che hanno fatto ricorso a tale istituto extra-parlamentare o, per dir meglio, para-parlamentare.

GRIECO ritiene che l’esperienza fatta in Italia con la Giunta delle elezioni non sia tale da consigliare di modificarne la forma e le funzioni. Ha avuto occasione di parlare sull’argomento con vecchi parlamentari: tutti hanno affermato che la Giunta delle elezioni ha sempre svolto il suo compito col più scrupoloso e disinteressato zelo. L’argomento della tutela delle minoranze non regge, perché nella Giunta delle elezioni le minoranze hanno avuto sempre una rappresentanza. Non è necessario, quindi, che tale organo sia soppresso: tutt’al più dovrebbe vedere accresciuti i suoi diritti di iniziativa, dei quali di solito esso non si serve, perché le sue decisioni sono prese soltanto dietro reclamo.

AMBROSINI rileva che la questione non va impostata dal punto di vista del principio della sovranità dell’Assemblea, che è fuori discussione. Tale sovranità si esplica nell’attività legislativa e nella funzione di controllo sugli atti del potere esecutivo, che è propria di ogni Assemblea parlamentare. Qui invece si tratta soltanto di accertare se le operazioni elettorali si siano svolte in conformità della legge e se colui che è stato eletto deputato possegga tutti i requisiti richiesti.

È una questione quindi di accertamento giuridico. Ciò considerato, se si vuole valorizzare l’attività giurisdizionale, senza menomare nello stesso tempo l’autorità dell’Assemblea, non c’è ragione di preoccuparsi per una eventuale modificazione dell’ordinamento esistente in materia i di verifica dei poteri.

Non è quindi contrario a che il giudizio in questo campo sia deferito ad un organo costituito da esponenti del potere giurisdizionale, pur con una notevole rappresentanza di membri dell’Assemblea legislativa.

CONTI, Relatore, è contrario alla proposta Mortati perché, tra tante cose non buone del passato regime parlamentare, il funzionamento della Giunta delle elezioni è stato sempre quello che ha dato minor materia di doglianze da parte della pubblica opinione e dei deputati, avendo sempre funzionato con sufficiente serenità e avendovi le minoranze trovato sempre un assoluto rispetto.

DI GIOVANNI non è favorevole alla proposta Mortati e ritiene che le giustificazioni da lui esposte non siano sufficienti a fargli mutare parere circa l’opportunità di conservare intatto l’attuale ordinamento relativo alla verifica dei poteri.

Non crede neppure che sia opportuna la proposta fatta dall’onorevole Bulloni, di sostituire cioè la parola «giudica» alla parola «verifica», perché il caso in esame implica proprio un processo di verifica delle condizioni di eleggibilità e della validità delle votazioni elettorali.

LUSSU si associa alle considerazioni fatte dai precedenti oratori in opposizione alla proposta Mortati, e aggiunge che la nuova forma di controllo auspicata dall’onorevole Mortati servirebbe a rendere più complessa ed estesa la burocrazia giurisdizionale.

LEONE GIOVANNI dichiara di essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, richiamandosi a quanto ha giustamente osservato l’onorevole Ambrosini, che, cioè, non si tratta di limitare la sovranità dell’Assemblea legislativa, ma soltanto di risolvere un problema di carattere tecnico.

A suo avviso la Giunta delle elezioni non si può dire un organo esclusivamente giurisdizionale o parlamentare; il suo contenuto, infatti, è giurisdizionale, ma la sua disciplina non è tale. In ogni modo, non si può dubitare che, per verificare la validità delle elezioni, occorre spesso esaminare problemi di natura giuridica. Affinché un controllo di tale natura possa veramente aver luogo, il potere di effettuarlo dovrebbe essere affidato ad un organo giurisdizionale. Tutt’al più si potrebbe discutere della sua composizione, della proporzione, cioè, tra magistrati ed elementi parlamentari chiamati a costituirlo. A coloro che hanno mostrato di preoccuparsi della difesa delle prerogative della Camera, osserva che con la proposta dell’onorevole Mortati esse non sono diminuite; anzi la Camera, autolimitatosi in materia di verifica dei poteri, darebbe al Paese un grande esempio di serenità e di nobiltà di comportamento. Ciò che gioverebbe, non nuocerebbe al suo prestigio.

BOZZI è d’accordo sostanzialmente con l’onorevole Mortati per le ragioni esposte dall’onorevole Leone. Poiché si tratta di un’attività prettamente di carattere giurisdizionale, non vede perché tale attività non debba essere demandata ad un organo tecnicamente composto in modo tale da garantire il compiuto svolgimento delle sue funzioni.

Non contesta l’affermazione che la Giunta delle elezioni abbia finora funzionato bene, ma la vita parlamentare oggi si basa più che altro sulla rappresentanza dei partiti, sicché maggiormente si fa sentire la necessità di sottrarre la funzione squisitamente tecnica, giuridica e sostanzialmente giurisdizionale di verifica dei poteri all’eventuale influenza dei partiti stessi.

D’altra parte, come è stato giustamente rilevato dall’onorevole Ambrosini, il nuovo sistema non verrebbe a limitare la sovranità dell’Assemblea, in quanto ogni attività concernente la verifica dei poteri è anteriore alla regolare costituzione dell’Assemblea, da cui soltanto discende la sovranità di essa.

BULLONI fa rilevare che, con la proposta da lui fatta, l’attuale sistema di verifica dei poteri sarebbe sostanzialmente modificato. La Giunta delle elezioni, in altre parole, diventerebbe un organo giurisdizionale che emetterebbe sentenze e sarebbe chiamata a un senso di maggiore responsabilità, il che costituirebbe una più sicura garanzia per le minoranze.

NOBILE è contrario tanto alla proposta Mortati, quanto a quella Bulloni, visto che la Giunta delle elezioni ha sempre svolto i suoi compiti nel modo migliore.

UBERTI osserva che in realtà la Giunta delle elezioni non solo verifica, ma anche giudica, perché a volte funziona come organo di accertamento e altre volte, in sede di contestazione, come organo giurisdizionale.

GRIECO non trova giusta l’affermazione dell’onorevole Uberti, perché in definitiva la Giunta non fa che delle proposte, in merito alle quali è l’Assemblea che decide.

CONTI, Relatore, accetta la proposta dell’onorevole Bulloni di usare la parola «giudica», che gli sembra più adatta per un testo legislativo.

AMBROSINI è favorevole alla proposta dell’onorevole Bulloni, sul presupposto però che con essa si miri a fare della Giunta delle elezioni un organo giurisdizionale che decida in via definitiva, senza inviare proposte all’Assemblea.

PRESIDENTE esprime il suo pensiero personale.

Circa la valorizzazione, di cui si è parlato, dell’attività giurisdizionale, osserva che non è giustificato il proporsi tale scopo, almeno per ciò che riguarda la questione in esame.

La proposta fatta dall’onorevole Mortati sarebbe contraria all’esigenza che si è manifestata quasi generalmente, anche se non ha dato ancora i risultati auspicati, di limitare quanto più sia possibile l’istituzione di magistrature speciali.

A chi nega che una diminuzione della Camera deriverebbe dalla creazione del nuovo organo, osserva che sempre il togliere delle funzioni a un dato organo implica uno sminuirne l’autorità. Nel caso particolare lasciare alla Camera le attribuzioni in esame vorrebbe dire che nessuna autorità si pone al di sopra della Camera stessa, cioè al disopra della volontà degli elettori; e solo così il prestigio dell’Assemblea rimane intatto.

Riconosce che per i problemi esaminati dalla Giunta delle elezioni occorrono cognizioni di carattere giuridico, ma è appunto a tale scopo che i diversi gruppi parlamentari designano a far parte della Giunta deputati che abbiano la competenza necessaria, avvocati, professori di diritto o dottori in legge. In ogni modo gli interessati possono farsi assistere da legali.

Quanto alla tutela delle minoranze, su cui l’onorevole Mortati ha richiamato insistentemente l’attenzione, osserva che proprio nell’articolo da lui proposto è considerata una norma che sta ad indicare come di tale tutela egli si preoccupi sino ad un certo punto. Infatti, egli propone che i cinque deputati componenti il nuovo organo siano designati dai cinque gruppi che abbiano il maggior numero di membri, e quindi, in definitiva, da quei partiti che abbiano il maggior numero di rappresentanti, lasciando in disparte le minoranze che avrebbero bisogno di essere meglio tutelate.

Osserva infine che nel Parlamento italiano si è affermato un principio che, se non è codificato, ha non di meno un suo grande valore: il Parlamento si considera come una zona extra-territoriale; la Camera ha un’amministrazione sua e persino un suo piccolo governo interno, perché il Presidente emette autonomamente i suoi decreti. Il che sta a provare che la Camera ha una sovranità che non tollera neppure nelle cose di minore importanza una qualsiasi limitazione. Potrà trattarsi di una posizione di carattere simbolico; tuttavia essa significa che ogni intromissione, sia pure della magistratura, è da evitarsi.

Attraverso la Giunta delle elezioni, è ancora la massa dogli elettori che giudica la propria azione; quindi è proprio il principio della sovranità popolare che si afferma nuovamente nella verifica dei poteri.

Mette in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

(Non è approvato).

Mette in discussione la proposta dell’onorevole Bulloni di sostituzione della parola «giudica» alla parola «verifica», nell’articolo proposto dall’onorevole Conti.

CODACCI PISANELLI ritiene preferibile conservare il termine «verifica», per non pregiudicare la questione se si tratti o meno di svolgimento di un’attività giurisdizionale. Infatti, la Giunta deve accertare se esistono negli eletti determinati requisiti, ma per esplicare tale funzione non è necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria. In altri casi essa sarà chiamata a decidere delle controversie; ma anche allora non è detto che si tratti di funzioni giurisdizionali. Vi sono infatti anche altri organi che, nell’esercizio delle loro funzioni, risolvono controversie, senza che si possa parlare per essi di un’attività giurisdizionale vera e propria.

BOZZI preferisce il termine «verifica», perché indica più particolarmente la funzione di accertamento che la Camera nel caso in esame è chiamata a svolgere. In ogni caso, se si volesse sostituire la parola «giudica», dovrebbe essere ben chiaro che è la Camera la quale giudica definitivamente in Assemblea plenaria e non la Giunta delle elezioni.

DI GIOVANNI osserva che, se si vuol porre in rilievo che la Camera è chiamata anche ad esprimere giudizi su eventuali contestazioni, si può adottare la formula: «La Camera verifica la validità delle elezioni dei deputati e giudica sulle eventuali contestazioni».

BULLONI fa osservare che il concetto accennato dall’onorevole Di Giovanni è compreso nella parola «giudica».

TOSATO propone di sostituire alla parola «verifica» la parola «accerta», per precisare che si tratta di un giudizio di accertamento.

AMBROSINI è favorevole al mantenimento della dizione tradizionale, a cui dovrebbero essere aggiunte, secondo la proposta Di Giovanni, le parole esplicative: «e giudica sulle eventuali contestazioni».

BULLONI ritiene pleonastico dire che la Camera giudica nei casi di contestazione: sarebbe meglio usare l’espressione «verifica e giudica la validità delle elezioni».

LEONE GIOVANNI osserva che, dal punto di vista giuridico, il verificare è una delle fasi dell’attività giurisdizionale. Tale fase è anteriore all’altra in cui si emette il giudizio sulle eventuali contestazioni. Secondo il suo avviso, quindi, il verificare ed il giudicare non sono che due momenti di un’unica funzione. In ogni modo, per l’esattezza della espressione, ritiene più opportuna e comprensiva la parola «giudicare».

PERASSI è del parere che sia più opportuno mantenersi aderenti alle disposizioni vigenti che rispondono meglio allo scopo. In esse è stabilito che soltanto le due Camere sono competenti a giudicare della validità dei titoli dei loro componenti. Propone quindi la seguente formulazione: «La Camera è sola competente a giudicare della validità delle elezioni dei propri membri», che dovrebbe poi essere adottata anche per la seconda Camera.

LUSSU, contrario per principio ad includere nella Costituzione anche una sola parola non necessaria, trova pleonastica nella formula dell’onorevole Perassi la parola «sola».

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dall’onorevole Perassi, avvertendo che, ove questa sia approvata, tutte le altre proposte dovranno considerarsi assorbite.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che in sede di verifica dei poteri possono a volte essere accertate irregolarità che, pur essendo gravi, non sono tali però da provocare l’invalidazione di tutta l’elezione, ma pongono in cattiva luce colui che, in particolare, si è reso responsabile di questi fatti. Si domanda pertanto se in questi casi, in cui non si giunge all’estremo dell’invalidazione di tutta l’elezione, non sia opportuno dichiarare invalidata l’elezione del singolo che si è reso responsabile del fatto accertato.

PRESIDENTE osserva che nel caso accennato dall’onorevole Mortati, l’incertezza di quegli elementi, che in materia di regolarità dovrebbero portare all’invalidazione delle elezioni, potrebbe provocare un giudizio arbitrario dell’Assemblea. D’altra parte, di fronte a casi del genere, qualora fossero gravi, si avrebbe indubbiamente nel Paese un movimento dell’opinione pubblica per cui si potrebbe pervenire allo stesso risultato previsto dall’onorevole Mortati. Per queste considerazioni ritiene sia meglio non prendere alcuna decisione al riguardo.

Avverte che l’onorevole Mortati ha fatto un’altra proposta tendente all’inclusione, nella nuova carta statutaria, di un articolo così concepito: «Al momento di assumere l’esercizio delle loro funzioni i deputati presteranno giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana e di coscienzioso adempimento dei propri doveri».

CONTI, Relatore, dichiara di esservi contrario.

FABBRI domanda se non sia possibile escogitare una formula un po’ più lata, alla quale possano aderire anche i deputati che appartengano ai partiti di opposizione.

LEONE GIOVANNI è contrario alla formula del giuramento proposta, perché vincolerebbe la libertà dei deputati. Il giuramento di osservare la Costituzione potrebbe essere in aperto contrasto con il mandato di coloro che fossero eletti deputati per chiedere appunto la modifica della Costituzione stessa, il che non potrebbe essere impedito. Si può obiettare che la nuova Costituzione stabilirà una procedura speciale per la sua modifica; ma è da osservare che l’espressione: «giuramento di fedeltà alla Costituzione repubblicana» potrebbe essere interpretato nel senso che, finché non fosse approvata una nuova Costituzione, non si potrebbe far valere, attraverso il mandato parlamentare, l’intenzione di modificare quella in vigore.

LUSSU dichiara di appartenere a quel numero di persone, forse ingenue, che attribuiscono al giuramento un valore notevole. Il giuramento, se prestato come deve essere, è cosa estremamente seria, che impegna la moralità e l’azione del cittadino. Ricorda esempi nobilissimi di uomini politici che, nel passato, per non compiere un atto solenne contrario alla loro coscienza, rifiutarono il mandato di deputato. Altri invece, fra i quali egli stesso, preferirono giurare con riserva mentale, ritenendo più opportuno esercitare il mandato per il quale gli elettori li avevano eletti deputati.

PERASSI ricorda che questi fatti si verificarono in passato per la posizione assunta da coloro che in quell’epoca rappresentavano l’idea repubblicana. Per coerenza a tale idea, contraria al vincolo del giuramento per i deputati, dichiara che non è favorevole a che sia introdotto nella nuova Costituzione l’obbligo del giuramento.

FABBRI fa presente che è necessario tener conto della situazione del Paese, anche in ordine ai risultati del referendum istituzionale, e non si può quindi imporre l’obbligo del giuramento, che in molti casi rappresenterebbe una presumibile coercizione morale.

Se, tuttavia, la maggioranza dei presenti ritenesse indispensabile fissare nella Costituzione tale obbligo, esso dovrebbe essere limitato alla sola osservanza delle leggi.

NOBILE è del parere che l’obbligo del giuramento debba essere nettamente stabilito nella Costituzione, e non è d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Perassi a proposito dell’idea repubblicana: in passato la repubblica era soltanto una aspirazione al progresso; oggi che si è finalmente realizzata, concedere che non si giuri ad essa fedeltà sarebbe cosa del tutto assurda. Propone perciò la seguente disposizione: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica italiana e ogni riserva mentale viene considerata disonorevole».

GRIECO è favorevole all’obbligo del giuramento, che, se è un atto simbolico, ha pure un grande valore politico. Se dovranno giurare gli impiegati, i militari, i magistrati, ecc., dovranno farlo anche i deputati.

Perciò la questione va posta in relazione con le decisioni che saranno prese in altri campi.

CONTI, Relatore, precisa che è nettamente contrario al vincolo del giuramento, in quanto ritiene che il deputato debba avere la più ampia libertà di esercitare il mandato che gli è stato affidato dagli elettori. I casi presi in considerazione dall’onorevole Grieco non possono essere accomunati con la posizione del deputato, poiché in quelli c’è un rapporto di dipendenza, mentre lo stesso non si può dire per la carica di deputato. I deputati non sono dei funzionari che servono un dato regime, ma solo uomini che liberamente contribuiscono all’opera svolta dallo Stato con la loro cultura e la loro esperienza.

MORTATI, Relatore, osserva che la questione in esame è in relazione con altri problemi che non ancora sono stati risolti. In primo luogo, quando si parla di fedeltà alla Costituzione repubblicana, sorge il quesito se nella Costituzione debba oppur no introdursi un limite assoluto come quello accolto dalla Costituzione francese, cioè una norma precisa che vieti il cambiamento della forma dello Stato. Indubbiamente è un’assurdità pensare che la forma statale possa essere modificata mediante un decreto del presidente della Repubblica; tuttavia resta da esaminare la questione dell’opportunità di introdurre nella Costituzione una norma di quel tipo. In ogni modo, se essa dovesse essere adottata, si renderebbe necessario un impegno di fedeltà da parte dei deputati alla forma repubblicana.

In secondo luogo la finalità del giuramento sarebbe quella di impegnare il deputato ad esercitare il suo mandato soltanto nelle forme e secondo gli indirizzi voluti dalla Costituzione, mentre lo lascerebbe libero di proporre ogni eventuale modificazione nelle forme consentite dalla Costituzione stessa. In sostanza, si mira ad impegnare all’astensione dall’azione illegale.

TOSATO si associa alle considerazioni fatte dall’onorevole Mortati.

BULLONI è dell’avviso che l’obbligo del giuramento debba essere sancito nella Costituzione e propone pertanto la seguente formula: «I deputati giurano fedeltà alle leggi della Repubblica».

PRESIDENTE pone ai voti la questione di principio: se, cioè, debba introdursi nella Costituzione l’obbligo per i deputati di giurare al momento di assumere l’esercizio delle loro funzioni.

(È approvata).

Invita quindi la Sottocommissione a stabilire la formula del giuramento.

LEONE GIOVANNI propone la seguente formula: «I deputati giurano di esercitare il loro mandato nei limiti della Costituzione».

GRIECO propone la dizione: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi».

NOBILE accetta la formulazione dell’onorevole Grieco, rinunciando alla propria.

FABBRI ricorda che la formula del giuramento richiesta durante il regime fascista per l’esercizio dell’avvocatura non era affatto vincolante della coscienza politica del cittadino. Viceversa, la formula proposta dall’onorevole Grieco mira ad escludere recisamente tutti coloro che non siano favorevoli alla forma repubblicana dello Stato, il che gli sembra non molto democratico.

MORTATI, Relatore, suggerisce di limitarsi per ora ad affermare il principio della obbligatorietà del giuramento, perché ogni questione in merito alla formula da adottarsi potrebbe più facilmente essere risolta dopo che siano definitivamente stabiliti i lineamenti della nuova Costituzione.

LUSSU obietta che la Sottocommissione dovrebbe sempre arrivare a delle decisioni, evitando quanto più è possibile il rinvio delle questioni esaminate.

DI GIOVANNI reputa che il giuramento, una volta che la Sottocommissione a maggioranza ha affermato il principio che esso debba essere richiesto, debba logicamente riguardare la fedeltà alla Repubblica ed alle sue leggi.

PRESIDENTE osserva che le proposte in discussione possono raccogliersi in due gruppi: quelle con le quali si vuole che il giuramento implichi il rispetto delle istituzioni repubblicane come forma dello Stato e quelle con le quali si vorrebbe che fosse limitato alla osservanza delle leggi. Crede che intanto la Sottocommissione potrebbe decidere quali dei due criteri accogliere, salvo ad accettare, per quel che riguarda la formulazione definitiva della norma, il suggerimento dell’onorevole Mortati.

NOBILE chiede che la votazione avvenga per appello nominale.

LEONE GIOVANNI nota che il Presidente ha posto la questione nei suoi giusti termini, scindendo in due gruppi le proposte. Ritiene però che si renda sempre più indispensabile la sospensiva proposta dall’onorevole Mortati. Difatti non si potrebbe non votare una delle formule del primo gruppo – quelle che contengono un impegno di fedeltà verso la Repubblica – nel caso che nella Costituzione fosse introdotto il principio dell’inammissibilità di una modificazione della forma istituzionale. Viceversa, nel caso che tale principio non fosse affermato, introdurre una formula del tenore di quelle del primo gruppo rappresenterebbe un contrasto con la Costituzione stessa.

PRESIDENTE rileva che anche il problema della modifica in via legale della forma dello Stato è materia di esame della Sottocommissione, onde cadrebbe il motivo del rinvio, accennato dall’onorevole Mortati. Naturalmente non si può sapere ancora quale decisione sarà presa sull’argomento, ma ogni Commissario saprà fin da ora quale posizione assumerà di fronte al problema anzidetto, e con il voto odierno non si farà che anticiparne in parte la risoluzione.

È evidente che chi voterà la formula che implichi fedeltà alle istituzioni repubblicane intenderà sostenere la tesi che non si possa perseguire un mutamento della forma dello Stato per via legale.

LUSSU ritiene che non ci sia notevole differenza fra il giuramento di fedeltà alla Repubblica e quello di osservanza alle sue leggi.

PRESIDENTE ripete che nella Costituzione francese è detto esplicitamente che non si può chiedere la modifica della forma istituzionale dello Stato e si sbarra così la via ad ogni mezzo legale, sicché rimane solo quella dell’insurrezione.

L’onorevole Lussu, con le sue considerazioni, dà per risolta una questione che, invece, è ancora da risolvere: quella dell’introduzione di una norma analoga nella nostra Costituzione. Personalmente ritiene che sia consigliabile, allo stato attuale delle cose, accogliere la proposta di rinvio dell’onorevole Mortati.

LUSSU non comprende, una volta che la maggioranza ha votato per l’obbligo del giuramento, come si possa introdurre nella Costituzione una norma qualsiasi che consenta di rovesciare la Repubblica. Per evitare questo controsenso, il giuramento deve necessariamente essere di fedeltà alla Repubblica.

PRESIDENTE torna a chiarire che, per il momento, si è approvato soltanto l’obbligo del giuramento per i deputati; ma resta ancora da stabilirne il contenuto.

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati di sospendere ogni decisione in merito alla formula da usarsi per il giuramento fino a quando non sarà stabilito se nella Costituzione debba o non debba essere introdotta una norma relativa alla possibilità di modificare per via legale la forma istituzionale dello Stato.

(Non è approvata).

PRESIDENTE avverte che si deve ora decidere la formula da usarsi per il giuramento: se cioè esso debba riferirsi alla forma istituzionale repubblicana o all’osservanza soltanto delle leggi.

LEONE GIOVANNI ritiene che nella formula da lui proposta: «I deputati giurano di esercitare il mandato nei limiti della Costituzione», si possa trovare la confluenza delle opposte tesi. Per essa il deputato potrà sempre esercitare il suo mandato nella maniera più insindacabile, purché non violi i confini della Costituzione. Se poi nella Costituzione verrà introdotta una norma sulla impossibilità di variare la forma dello Stato, è chiaro che una tale norma varrà anche per il deputato a delimitare la sua azione politica.

DI GIOVANNI ritiene che la formula del giuramento debba essere lineare, precisa. Direbbe pertanto che i deputati debbono prestare giuramento «alla Repubblica e alle sue leggi».

BOZZI propone la seguente dizione: «I deputati prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione dello Stato». In tali parole è implicito il concetto di fedeltà alla Repubblica.

PRESIDENTE crede opportuno, per risolvere la questione più rapidamente, ridurre le proposte a due formule che si contraddistinguano per la presenza o meno della parola «Repubblica». Esse potrebbero essere quella dell’onorevole Bozzi: «I deputati prestano giuramento di fedeltà alla Costituzione dello Stato» e quella dell’onorevole Grieco: «I deputati giurano fedeltà alla Repubblica e alle sue leggi».

LEONE GIOVANNI si associa alla formula proposta dall’onorevole Bozzi e ritira quella da lui presentata.

TOSATO propone che alla parola «Repubblica» sia aggiunta la parola «democratica».

GRIECO accetta l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato.

PRESIDENTE mette in votazione, per appello nominale, le due formule di giuramento proposte rispettivamente dall’onorevole Grieco, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato, e dagli onorevoli Bozzi e Leone Giovanni.

UBERTI, per dichiarazione di voto, si professa, e non da oggi, repubblicano; ma, poiché è contrario al giuramento dei deputati, si asterrà dalla votazione.

MANNIRONI dichiara, associandosi all’onorevole Uberti, che si asterrà dal voto.

Votano a favore della proposta dell’onorevole Grieco i deputati: Bocconi, Bulloni, Calamandrei, De Michele, Di Giovanni, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Ravagnan, Terracini e Tosato.

Votano a favore della proposta degli onorevoli Bozzi e Leone Giovanni i deputati: Ambrosini, Bozzi, Codacci Pisanelli, Leone Giovanni.

Si astengono dalla votazione i deputati: Fabbri, Mannironi, Perassi, Uberti.

Non partecipano alla votazione i deputati: Cappi, Conti, Piccioni.

PRESIDENTE dichiara che la formula dell’onorevole Grieco, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Tosato, è stata approvata con 14 voti favorevoli contro 4 contrari e 4 astenuti.

Domanda all’onorevole Nobile se, ritirando la formula da lui proposta, ha inteso rinunziare anche alle parole «Ogni reticenza mentale viene considerata disonorevole».

NOBILE dichiara di rinunciarvi.

PRESIDENTE apre la discussione sul seguente articolo proposto dall’onorevole Mortati:

«La durata della legislatura è di quattro anni a datare dal giorno della sua prima convocazione». Fa osservare all’onorevole Mortati che è necessario cambiare la durata della legislatura portandola a cinque anni, in relazione alla durata del mandato parlamentare che è stata fissata in un quinquennio.

LUSSU ritiene inutile dire che la legislatura comincia «dal giorno della sua prima convocazione», per quella economia di parole che serve a dare maggiore solennità alla Costituzione.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che la redazione definitiva della Costituzione non è affidata alla seconda Sottocommissione, ma alla Commissione plenaria.

Mette frattanto in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Mortati, con l’emendamento sostitutivo dei «quattro anni» con «cinque anni».

(È approvato).

Apre la discussione sul seguente articolo proposto dall’onorevole Mortati: «I deputati rappresentano la Nazione nel suo insieme».

MORTATI, Relatore, osserva che qui si dovrebbe affrontare la questione del divieto del mandato imperativo. Sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme. Si domanda se la disposizione da lui proposta si possa omettere o meno, perché potrebbe anche assumere una particolare importanza, se, ad esempio, si facesse del Senato la rappresentanza della regione o di categorie, e perché non si può dimenticare che oggi i deputati sono espressione dei partiti con i quali hanno un diretto legame. Sta di fatto che il problema esiste ed ha anche avuto un riflesso negli ordinamenti in cui è stabilita la decadenza del deputato quando è sconfessato dal suo partito.

PRESIDENTE ritiene che la disposizione in esame si potrebbe omettere. Essa poteva avere la sua ragion d’essere nei tempi passati e col collegio uninominale, quando il deputato si sentiva anche rappresentante di interessi di classe o vincolato al partito che ne aveva proposta e sostenuta la candidatura e quando la rappresentanza era circoscritta al collegio. Conviene comunque con l’onorevole Mortati che la questione non è di facile risoluzione e che qualsiasi disposizione, inserita nella Costituzione, non varrebbe a rallentare i legami tra l’eletto ed il partito che esso rappresenta, o tra l’eletto e i comitati sorto per sostenere la sua candidatura.

MANNIRONI desidererebbe che nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, o eventualmente in un altro, fosse espressamente stabilito che il deputato possa liberamente esercitare il suo mandato senza vincoli di sorta.

FABBRI osserva che la questione si potrebbe semplificare, discutendo se si debba oppor no introdurre nella Costituzione la vecchia formula dello Statuto Albertino, nella quale espressamente si vietava il mandato imperativo da parte degli elettori. In ogni modo è favorevole all’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

DI GIOVANNI ritiene che il concetto espresso nell’articolo in questione venga a caratterizzare la rappresentanza politica. Dire, infatti, che i deputati sono i rappresentanti della Nazione equivale a dire che essi sono rappresentanti politici. C’è anche un’altra rappresentanza, quella organica degli interessi, che può trovar posto in altra sede, ad esempio nella seconda Camera.

LUSSU ritiene indispensabile introdurre in un articolo della Costituzione il concetto di rappresentanza nazionale del deputato. Ricorda che nel passato essa si intendeva come ammessa; tuttavia vi furono lunghe ed aspre discussioni per stabilire se il deputato rappresentasse il suo collegio o la Nazione. Se, come è probabile, si arriverà ad una Costituzione dello Stato su basi regionalistiche o autonomistiche, sarà necessario affermare, nella nuova Carta statutaria, che il deputato rappresenta la Nazione, e ciò per ovvie ragioni di opportunità.

BOZZI si associa a quanto ha detto l’onorevole Lussu: crede indispensabile introdurre nella Costituzione una norma nel senso indicato, in vista della struttura regionale dello Stato. Nel vecchio Statuto c’era e il non volerla includere nel nuovo potrebbe avere un significato lontano dagli intendimenti della Sottocommissione.

PRESIDENTE, per risolvere la questione in esame, mette in votazione la seguente dizione contenuta nel progetto dell’onorevole Conti e assorbente quella proposta dall’onorevole Mortati: «I deputati sono i rappresentanti della Nazione».

(È approvata).

Apre la discussione sulla seguente formula proposta dall’onorevole Conti: «I deputati esercitano liberamente la loro funzione», formula che preclude la possibilità di un mandato imperativo.

LUSSU ritiene implicito che l’esercizio della funzione di deputati sia libero.

MANNIRONI dichiara che l’avverbio «liberamente» non gli sembra pleonastico: proporrebbe anzi che dopo le parole: «esercitano liberamente le loro funzioni» si aggiungessero le altre: «e senza vincoli di mandato».

LUSSU ritiene che l’onorevole Conti, con la parola «liberamente», abbia inteso indicare la libertà assoluta. Ciò rende impossibile che il deputato sia perseguito penalmente per l’attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari. Difatti, l’articolo proposto dall’onorevole Conti così prosegue: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati».

BOZZI ritiene che l’espressione «liberamente» abbia un contenuto più ampio di quello racchiuso nel concetto di mandato, e debba intendersi nel senso di «libertà assoluta», onde è inutile aggiungere le parole: «senza vincoli di mandato».

GRIECO è contrario a includere la formula «senza vincoli di mandato», perché, a suo avviso, i deputati sono tutti vincolati ad un mandato: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma, un orientamento politico particolare. Con l’aggiunta proposta dall’onorevole Mannironi si favorirebbe il sorgere del malcostume politico.

MORTATI, Relatore, fa presente che nell’ultimo articolo da lui proposto e non approvato dalla Sottocommissione, si era astenuto dall’introdurre l’avverbio «liberamente», pensando che esso potesse riferirsi tanto alle opinioni espresse dai deputati, quanto ai rapporti tra deputati ed elettori o partiti. Ciò per non pregiudicare una questione che dovrà essere risolta in un secondo momento: quella dei rapporti tra deputati ed elettori. Difatti si dovrà decidere se includere o meno nella Costituzione il criterio della revocabilità del mandato da parte degli elettori.

LUSSU dichiara di essere contrario all’uso della parola «liberamente», poiché crede che con essa possano sorgere dubbi di interpretazione.

PRESIDENTE mette in votazione la formula: «I deputati esercitano liberamente la loro funzione».

(È approvata).

MANNIRONI insiste sulla sua proposta di aggiungere, alla formula approvata, l’espressione: «senza vincoli di mandato».

FABBRI propone, qualora fosse accolta l’aggiunta dell’onorevole Mannironi, di farla seguire da un punto e virgola e dall’espressione: «nessun mandato imperativo può darsi dagli elettori».

MANNIRONI dichiara di non aver nulla in contrario alla proposta fatta dall’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta alle parole: «i deputati esercitano liberamente la loro funzione», delle seguenti, proposte dagli onorevoli Mannironi e Fabbri: «e senza vincoli di mandato; nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori».

(È approvata).

Avverte che le successive proposte si riferiscono alle immunità parlamentari. Si ha al riguardo una formulazione proposta dall’onorevole Conti e così concepita:

«I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati se non in flagranza di reato. Non possono essere arrestati neppure in esecuzione di sentenza di condanna, né possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera».

Un’altra formula, suggerita dall’onorevole Mortati, è del seguente tenore:

«I deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale, né essere privati della loro libertà personale, neanche in esecuzione di sentenza penale, senza l’autorizzazione della Camera. L’autorità, che abbia proceduto all’arresto di un deputato in caso di flagrante reato, deve darne senza alcun indugio comunicazione alla Presidenza della Camera che promuove l’immediata deliberazione dell’Assemblea».

BULLONI ravvisa l’opportunità di porre un limite alla possibilità di arresto del deputato durante l’esercizio del suo mandato, anche nel caso di flagranza di reato. Ci sono infatti reati di tenuissima importanza per i quali è consentito l’arresto nel caso di flagranza. Del pari gli sembra eccessivo l’arresto del deputato in flagranza di altri reati, per cui attualmente è obbligatoria l’emissione del mandato di cattura, come ad esemplificazione del reato di lesioni gravi.

Per evitare simile inconveniente, si dovrebbe stabilire che l’arresto, in caso di flagranza, debba essere limitato ai soli reati di competenza della Corte d’assise.

LEONE GIOVANNI trova eccessiva la innovazione disposta negli articoli proposti dagli onorevoli Conti e Mortati, relativamente all’immunità anche nel caso di esecuzione di sentenza penale. È d’accordo, per quanto concerne l’arresto preventivo, che occorra l’autorizzazione a procedere, ma, nel caso di arresto per esecuzione di un giudicato penale, non dovrebbero essere posti limiti al diritto dello Stato di immediata esecuzione del giudicato stesso. E ciò anche perché ci si può trovare di fronte al caso limite di un deputato che venga confermato per una serie di legislature, nei cui confronti quindi non si potrebbe mai eseguire, senza l’autorizzazione della Camera, l’ordine di arresto in esecuzione di una condanna.

Gli articoli proposti dagli onorevoli Conti e Mortati mirano naturalmente ad impedire che un atto dell’autorità giudiziaria o di polizia possa essere ispirato da una valutazione o da un orientamento politico e avere lo scopo di rendere impossibile ad un deputato la libera esplicazione del suo mandato parlamentare. Tale criterio però non soccorre nei confronti dell’esecuzione di un giudicato, perché questo presuppone l’esistenza di un processo e l’emanazione di una sentenza passata in giudicato, tutti atti che debbono essere accompagnati da quel senso di indipendenza che è una delle caratteristiche peculiari della magistratura.

Osserva poi, riferendosi alla proposta dell’onorevole Bulloni, che forse non sarebbe male porre un limite alla possibilità di arresto del deputato in caso di flagranza di reato e suggerisce di stabilire che il deputato non possa essere arrestato in flagranza se non per un reato per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura.

DI GIOVANNI è favorevole ad un maggiore ampliamento delle immunità parlamentari. In considerazione di ciò aggiungerebbe alle ultime parole degli articoli proposti: «senza l’autorizzazione della Camera», le seguenti: «la quale pronuncerà anche sulla convalida o meno dell’arresto in caso di flagranza». Ritiene infatti che l’intervento della Camera sia necessario non soltanto per concedere l’autorizzazione a procedere e ad emettere un mandato di cattura, ma anche per convalidare l’arresto in flagranza.

PRESIDENTE fa presente che una disposizione del genere è contenuta nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, avverte che nell’articolo da lui proposto ha omesso di proposito l’espressione: «durante la sessione», contenuta nello Statuto Albertino, considerando che il redattore di tale statuto evidentemente stimava che l’attività del deputato consistesse soltanto in quella che di solito egli esplica nel momento in cui i lavori parlamentari sono in corso. La sua opinione personale è, invece, che l’attività del deputato abbia una sfera più ampia e non si esaurisca in quella svolta nell’ambito dell’aula della Camera.

Dichiara poi che non può accogliere la proposta dell’onorevole Leone. Innanzi tutto l’accertamento relativo alla natura del reato dovrebbe esser fatto dall’agente di pubblica sicurezza perché, se ci si rimettesse alla convalida del giudice, questa si avrebbe senza dubbio dopo quella fatta dalla Camera dei Deputati, dato che nell’articolo da lui proposto si prescrive l’immediato avviso alla Camera da parte della autorità e l’immediata deliberazione dell’Assemblea.

LEONE GIOVANNI osserva che l’onorevole Di Giovanni ha sollevato un’altra questione, quella cioè della necessità o meno di stabilire che l’autorizzazione a procedere debba riferirsi non solo alla promozione dell’azione penale, ma anche alla libertà di esecuzione dell’arresto. Così, per esempio, recentemente nel caso dell’onorevole Gallo, il Relatore Rubilli si è posto il problema se l’autorizzazione a procedere doveva intendersi implicitamente anche come autorizzazione alla libera esecuzione del mandato di cattura.

Desidera pertanto di richiamare l’attenzione della Sottocommissione sulla necessità di esaminare la questione se convenga parlare soltanto di autorizzazione a procedere o si debba specificare che l’autorizzazione stessa occorre in ambedue i casi accennati.

Circa la sua proposta e le obiezioni che ad essa sono state fatte dall’onorevole Mortati, ricorda che nella legislazione attuale, l’arresto in flagranza non è consentito per tutti i reati, ma solo in relazione alla possibilità di emettere il mandato di cattura. Esiste dunque già nella nostra legislazione il sistema di demandare, sia pure in maniera imperfetta ed imprecisa, all’autorità di polizia una prima valutazione dei reati al fine di accertare se per essi possa aver luogo l’arresto in flagranza.

LUSSU ritiene che le garanzie delle immunità parlamentari debbano essere concesse non soltanto in periodo di sessione, ma in qualsiasi momento, fino alla scadenza del mandato parlamentare. Accedendo alla proposta di allargare il campo delle immunità, pensa che si potrebbe in parte raggiungere lo scopo, sostituendo alle parole «in flagranza di reato» le altre «in flagranza di delitto», perché sotto la denominazione di reati vengono comprese anche le contravvenzioni. Viceversa non crede si possa dare eccessivo peso alle osservazioni dell’onorevole Bulloni circa alcuni reati particolarmente lievi. L’essenziale è che il deputato non commetta nessun delitto; ma, se ne commette, deve ricadere sotto la legge comune e non godere di una situazione di privilegio.

Quanto all’affermazione che i deputati non debbano essere arrestati, neppure in esecuzione di sentenza di condanna, osserva che non comprende esattamente a quale sentenza di condanna si riferisca tale affermazione. Se si prevede il caso di un deputato condannato per una azione penale ed arrestato prima della sua elezione, bisogna tener presente che in tale caso interviene la Camera in sede di convalida: è essa che deciderà se il deputato dovrà essere immediatamente rimesso in libertà oppure no.

DI GIOVANNI, aderendo a quanto ha detto l’onorevole Leone, propone un emendamento all’articolo formulato dall’onorevole Conti: sostituire alle parole «non possono essere arrestati se non in flagranza di reato» le altre: «non possono essere arrestati se non in flagranza di delitto, per cui sia obbligatorio il mandato di cattura». Completa poi l’altro emendamento già da lui proposto, nel senso di aggiungere alle ultime parole dell’articolo stesso: «senza autorizzazione della Camera», le seguenti: «la quale pronuncerà anche sulla convalida o meno dell’arresto in flagranza e sulla autorizzazione al mandato di cattura».

Ritiene che con questi emendamenti i limiti della immunità parlamentare siano meglio delineati.

BULLONI ritiene che gli emendamenti proposti dall’onorevole Di Giovanni non siano sufficienti a garantire le immunità parlamentari, tenuto presente il fatto che vi sono dei reati per i quali è obbligatoria l’emissione del mandato di cattura, pure essendo reati di una entità non rilevante, sia dal punto di vista giuridico che da quello politico, e tali che per essi non sembra giustificata un’eccezione al principio generale della immunità parlamentare. Per questi casi ritiene che sia meglio escludere in maniera assoluta la possibilità di arresto di un deputato anche nel caso di flagranza. Insiste quindi nella proposta formale già fatta in questo senso.

NOBILE dichiara che non è favorevole a un troppo largo ampliamento delle immunità parlamentari, perché i deputati non debbono essere incoraggiati a perdere il dominio di se stessi ed essere indotti così ad atti inconsulti: ogni deputato deve essere di esempio agli altri cittadini non solo nella sua condotta politica, ma anche negli atti della, sua vita privata. Per tali considerazioni è contrario alla proposta fatta dall’onorevole Bulloni.

PERASSI desidera fare una sola osservazione. Lo scopo dell’arresto in flagranza, infatti, può essere non soltanto quello di impadronirsi del colpevole, ma anche quello di impedire che la giustizia si compia contro di lui in altro modo. L’esclusione dell’arresto in flagranza potrebbe produrre l’effetto di esporre il deputato al pericolo di un linciaggio.

LA ROCCA ritiene che il principio della immunità parlamentare sia ispirato non già al criterio di creare una posizione di privilegio al deputato nei confronti delle supreme esigenze della giustizia, bensì a quello di garantirlo da una eventuale sopraffazione di carattere politico.

Dichiara quindi di essere favorevole alla concessione della immunità più piena: ciò non significa però che, qualora un deputato diventi un criminale, la giustizia nei suoi confronti non debba avere il suo corso. Ciò che a suo avviso occorre evitare è che in un periodo di lotte sociali, quali quelle che si svolgono presentemente, un deputato possa essere vittima di una provocazione. Infatti, se si adottasse il principio che in flagranza di reato il deputato possa essere arrestato, ogni deputato potrebbe diventare preda di un agente provocatore, a meno che non si voglia giungere alla limitazione proposta dall’onorevole Di Giovanni, che cioè un deputato non debba essere arrestato se non per i delitti per i quali sia obbligatorio il mandato di cattura. Ma a ben considerare, neanche l’aggiunta proposta dall’onorevole Di Giovanni è sufficiente allo scopo: difatti può darsi sempre il caso che un deputato sia aggredito e che, per difendersi, compia un atto assai grave di quelli per cui sia appunto obbligatorio il mandato di cattura. Per tali ragioni, a suo avviso, il giudizio dovrebbe essere sempre riservato all’organo competente della Camera, cioè alla Commissione per l’autorizzazione a procedere. In altre parole, l’arresto del deputato non dovrebbe essere possibile se non quando si avesse l’apposita autorizzazione da parte dell’organo competente.

MANNIRONI è d’accordo sul concetto che debba essere assicurata l’immunità parlamentare nella forma più larga. Ritiene quindi che sia da escludersi la possibilità di arresto del deputato anche in flagranza di reato. Con questa immunità non si altera sostanzialmente l’ordine giuridico, perché anche se un deputato abbia commesso un reato per il quale è facoltativo o obbligatorio il mandato di cattura, la possibilità di perseguirlo in giudizio non è mai esclusa; sarà la Camera che, con il suo organo competente, metterà in grado l’autorità giudiziaria di perseguire il colpevole, dopo aver valutato le condizioni di fatto riferite nella denuncia. Il fatto che il deputato sia in libertà fra il momento del reato e il momento in cui si decide della sua sorte da parte della Camera non importa alcun pericolo sociale né altera l’ordine giuridico.

È anche del parere che, di fronte ad un delitto, sia pure grave, commesso da un deputato, l’arresto non possa essere eseguito dall’autorità di pubblica sicurezza, ma debba essere reso possibile alla autorità giudiziaria dall’autorizzazione della Camera.

Non è infine d’accordo con l’idea dell’onorevole Leone di modificare la formula adottata dall’onorevole Conti, per la quale i deputati non possono essere arrestati neppure in esecuzione di sentenza di condanna. Vero che in caso di esecuzione di sentenza di condanna, tutte le fasi del giudizio si dovrebbero presumere esaurite, e che il giudicato dell’autorità giudiziaria deve essere rispettato anche in sede parlamentare: tuttavia gli pare che non sia male riservare alla Camera dei deputati il potere di decidere dell’arresto di un suo membro, anche in caso di esecuzione di sentenza di condanna. La Camera dei deputati non potrà mai intervenire per modificare il giudicato dell’autorità giudiziaria; ma interverrà, se mai, per fare sospendere l’esecuzione della condanna; e i motivi per i quali tale sospensione può essere accordata, come è noto, sono numerosi.

Alla formula proposta dall’onorevole Conti, là dove è detto: «Non possono essere sottoposti a procedimento penale» proporrebbe di aggiungere «né a perquisizione domiciliare», perché se ci si preoccupa della libertà personale del deputato, per la stessa ragione ci si dovrà preoccupare della inviolabilità del suo domicilio. Ricorda che nel passato gravi abusi furono commessi in proposito da parte delle autorità di pubblica sicurezza, e appunto per evitare che possano ancora verificarsi, crede opportuno proporre l’aggiunta anzidetta.

FABBRI dichiara che certamente non gli è ignota la differenza che passa fra contravvenzione e delitto; pur tuttavia non è molto favorevole alla proposta di sopprimere la formula tradizionale della «flagranza di reato». Se dovesse essere accolta l’altra, che i deputati non debbano essere arrestati nemmeno in flagranza di delitto, l’impressione che proverebbe il popolo alla lettura di una simile norma sarebbe pessima. Perciò si atterrebbe alla formula tradizionale, che cioè non possa essere arrestato un deputato se non in flagranza di reato.

In ogni modo, poiché si tratta di un testo che dovrà essere conosciuto dal popolo, non avrebbe difficoltà a dire «in flagranza di grave reato», espressione che certo non ha un valore tecnico, ma che meglio dell’altra può significare per l’uomo comune che il deputato non è sottratto all’arresto almeno per fatti di una grave entità. Non è d’accordo sulla questione sollevata dall’onorevole Leone a proposito della esecuzione della sentenza di condanna, perché assai comune è il caso in cui è consentita, anche su richiesta dello stesso interessato, l’autorizzazione a procedere – ad esempio per un giudizio di diffamazione – e può intervenire una sentenza di lieve condanna. Ora, è inammissibile che in esecuzione di una tale sentenza possa aver luogo l’arresto.

RAVAGNAN ritiene che in un articolo della Costituzione non debbano essere introdotte disposizioni troppo dettagliate. Per la questione in esame basterebbe preoccuparsi soltanto di garantire il deputato dagli arresti arbitrari e dalle sopraffazioni politiche, concetto che potrebbe essere espresso in una norma così concepita: «Durante l’esercizio del mandato i deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera».

PRESIDENTE riassume le questioni controverse che sono le seguenti:

1°) se l’immunità debba aver vigore per tutta la durata della legislatura o debba subire un’interruzione nell’intervallo fra le sessioni;

2°) se per l’arresto in esecuzione di sentenza penale si debba richiedere l’autorizzazione della Camera;

3°) delimitazione dei casi in cui la flagranza deve avere efficacia o meno per procedere all’arresto del deputato;

4°) proposta di estendere l’immunità anche al domicilio del deputato.

Relativamente alla prima questione, mette ai voti la proposta che l’immunità duri per tutto il tempo della legislatura e quindi anche nell’intervallo tra le sessioni.

(È approvata).

Osserva, circa la seconda questione, se cioè occorra l’autorizzazione della Camera anche per arresto derivante da esecuzione di sentenza penale, che si fa qui riferimento sia ad una sentenza penale pronunciata in base ad autorizzazione già concessa, che ad una sentenza penale pronunciata prima o dopo l’elezione per procedimento già in corso, per il quale non è stata necessaria l’autorizzazione a procedere.

Ricorda, a questo proposito, la formula proposta dall’onorevole Mortati, secondo la quale i deputati non possono essere privati della libertà personale neanche in esecuzione di sentenza penale senza l’autorizzazione della Camera; ed aggiunge che l’onorevole Di Giovanni ha presentato un emendamento che coincide con tale punto di vista.

Mette in votazione la proposta che i deputati non possano essere privati della loro libertà personale neanche in esecuzione di sentenza penale senza l’autorizzazione della Camera.

(È approvata).

Domanda se, circa la terza questione, relativa alla delimitazione dei casi in cui la flagranza deve avere efficacia o meno per procedere all’arresto del deputato, debba essere o meno conservata la dizione proposta dall’onorevole Conti secondo la quale i deputati non possono essere arrestati se non in flagranza di reato, o se la facoltà dell’arresto debba essere ristretta in relazione alla gravità del reato e cioè se il deputato possa essere arrestato senz’altro o debba essere richiesta l’autorizzazione della Camera.

Ritiene consigliabile cominciare ad esaminare l’ultima ipotesi, come quella più lata.

CODACCI PISANELLI propone la seguente formula: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere arrestati o sottoposti a perquisizioni personali o domiciliari senza autorizzazione della Camera». Aggiunge che in questa formulazione non ha fatto cenno alla flagranza di reato per le ragioni già esposte dall’onorevole Fabbri.

LAMI STARNUTI propone il seguente articolo: «Durante l’esercizio del mandato i deputati non possono essere sottoposti a procedimento penale, né arrestati o mantenuti in arresto in esecuzione di condanna senza autorizzazione della Camera.»

PRESIDENTE osserva che la proposta formulata dall’onorevole Codacci Pisanelli si potrebbe fondere con quella suggerita dall’onorevole Lami Starnuti, aggiungendo alla prima che i deputati «non possono essere sottoposti a procedimento penale», onde l’articolo in questione potrebbe essere così concepito: «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere sottoposti a procedimento penale, arrestati o sottoposti a perquisizioni personali o domiciliari senza autorizzazione della Camera».

LAMI STARNUTI concorda.

BULLONI osserva che la perquisizione non è possibile se non c’è un procedimento penale.

PRESIDENTE obietta che sono numerosi i casi di perquisizioni effettuate anche senza procedimento penale in corso.

MANNIRONI desidera che sia chiarito se l’espressione «non possono essere sottoposti a procedimento penale» sia da intendere nel senso che si debba anche escludere la prosecuzione di un eventuale procedimento già iniziato.

NOBILE propone che la votazione abbia luogo per divisione, poiché egli è favorevole ad alcune norme e contrario ad altre.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente parte dell’articolo in esame. «I deputati, durante l’esercizio del mandato, non possono essere sottoposti a procedimento penale», a cui ha aderito l’onorevole Ravagnan.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, domanda se non sia il caso di considerare anche i procedimenti disciplinari quando questi comportino l’arresto.

PRESIDENTE ritiene che si tratti di casi troppo limitati perché sia opportuno parlarne.

MORTATI, Relatore, non insiste.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente espressione: «Non possono essere arrestati». Si tratta di una formula generale che implica anche l’esclusione di ogni arresto in caso di flagranza, secondo la proposta fatta dall’onorevole Mannironi.

(Non è approvato).

Ricorda che, a proposito della definizione del caso in cui la flagranza comporta la possibilità di arresto, sono state presentate alcune formulazioni. Una dell’onorevole Bulloni che considera i casi in cui si tratti di delitti di competenza della Corte d’assise; un’altra dell’onorevole Di Giovanni, per cui i deputati non possono essere arrestati se non in flagranza per delitti per i quali sia obbligatorio il mandato di cattura; una terza dell’onorevole Leone di contenuto pari alla precedente.

LAMI STARNUTI osserva che secondo le nostre leggi penali l’offesa per mezzo della stampa alla persona del Re era di competenza della Corte d’assise. Potrebbe ora diventare di competenza delle Assise l’offesa per mezzo della stampa alla persona del Presidente della Repubblica. In questo caso la formula proposta dall’onorevole Bulloni consentirebbe l’arresto per un delitto tipicamente politico. Si domanda se ciò sia opportuno.

MORTATI, Relatore, propone di mettere prima in votazione la formula più ampia, cioè quella concernente l’arresto solo in flagranza di delitto. Evidentemente se tale formula verrà approvata dalla Sottocommissione, tutte le altre proposte cadranno.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

Mette ai voti la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Di Giovanni ispirato dallo stesso concetto di quello proposto dall’onorevole Leone, secondo cui è ammesso l’arresto solo in caso di flagranza di delitto per il quale sia obbligatorio il mandato di cattura, restando inteso che qualora tale formulazione fosse approvata renderebbe superflua la votazione della proposta dell’onorevole Bulloni.

MANNIRONI e MORTATI, Relatore, dichiarano di astenersi dalla votazione.

(È approvato).

LEONE GIOVANNI richiama l’attenzione della Sottocommissione sull’opportunità di completare la formula approvata facendo precedere le parole «mandato di cattura» dalle altre «ordine o…». Infatti, secondo il nostro ordinamento processuale, si chiama ordine di cattura quello emesso dal pubblico ministero e mandato quello del giudice istruttore, nonostante che i due provvedimenti abbiano la medesima essenza.

PRESIDENTE ritiene, poiché nessuno muove obbiezioni, che la precisazione possa essere accettata, salvo a formulare in un secondo momento l’articolo in maniera definitiva.

(Così rimane stabilito).

Avverte che resta ora da decidere l’ultima questione, se cioè anche per le perquisizioni, secondo la proposta dell’onorevole Mannironi, sia necessaria l’autorizzazione della Camera. A suo parere la garanzia è comprensibile nel caso di perquisizioni domiciliari e non in quello di perquisizioni personali, che potrebbero avvenire in istrada, in occasione di un furto, di un tumulto od altro, senza che possa attendersi l’autorizzazione della Camera. Si aggiunga che generalmente un agente che si accinga a perquisire un deputato rinuncia immediatamente al suo proposito non appena questi presenti i suoi documenti di riconoscimento.

FABBRI considera poco seria una norma che prescriva per le perquisizioni domiciliari l’autorizzazione della Camera, perché il deputato sospetto, venuto a conoscenza della cosa, farà scomparire ciò che potrebbe nuocergli.

BULLONI nota che una disposizione nel senso accennato sarebbe poco seria anche dal punto di vista giuridico, in quanto non si può eseguire una perquisizione domiciliare senza un procedimento penale.

PRESIDENTE obietta che ciò avviene in teoria, ma che in pratica le cose vanno ben diversamente.

MORTATI, Relatore, fa presente che la prima Sottocommissione sta studiando alcune proposte di limitazione della possibilità di perquisizioni domiciliari di cui occorrerà tener conto.

PRESIDENTE assicura che ciò sarà fatto in sede di coordinamento e mette in votazione la proposta Mannironi contenuta nella formula «né a perquisizione domiciliare».

(È approvata).

Fa presente che resta da esaminare la questione delle immunità da procedimento disciplinare. A tal proposito l’onorevole Mortati ha proposto la seguente formula: «I deputati non possono essere chiamati a. rispondere in via giudiziaria o disciplinare dei voti o delle opinioni espressi nell’esercizio delle loro funzioni. Una responsabilità per le dichiarazioni formulate non può essere fatta valere se non dalla stessa Camera».

LEONE GIOVANNI ritiene opportuno porre alcuni limiti al godimento delle immunità in questione. Occorrerebbe ad esempio considerare il caso delle offese personali.

PRESIDENTE chiarisce che nel caso accennato dall’onorevole Leone provvede il regolamento della Camera.

LEONE GIOVANNI obietta che il cittadino offeso dal discorso di un deputato rimarrebbe senza difesa. Un qualche limite all’estensione delle immunità in esame potrebbe, ad esempio, essere costituito dalla aggiunta delle seguenti parole: «concernenti l’attività politica o parlamentare» alle parole «dei voti o delle opinioni espresse».

PRESIDENTE ritiene che con la formula proposta dall’onorevole Mortati la questione accennata dall’onorevole Leone possa considerarsi superata, in quanto in essa si parla di voti e di opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di deputato. Comunque, una precisazione non sarebbe inopportuna, ma personalmente desidererebbe che l’onorevole Leone trovasse una formula più felice per esprimere il suo pensiero.

PERASSI osserva che forse potrebbe servire allo scopo l’aggiunta delle parole «nella Camera», dopo le altre: «dei voti o delle opinioni espresse».

PRESIDENTE obietta che è pacifico che la funzione del deputato, da un punto di vista legislativo, è quella che si svolge nella Camera.

LUSSU non è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi né è d’accordo col Presidente. Un deputato è sempre nell’esercizio delle sue funzioni. Se, ad esempio, farà un’interrogazione scritta dalla sede del suo collegio, inoltrandola per posta ed eventualmente informandone anche la stampa, ed in tale interrogazione scriverà delle offese per qualche cittadino, quando fosse accettata la proposta dell’onorevole Perassi, quel deputato non potrebbe essere perseguito.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati e cioè sino alle parole: «nell’esercizio delle loro funzioni», restando inteso che tale articolo potrà essere completato con una precisazione del concetto accennato dall’onorevole Leone, sempre se per esso si troverà un’espressione adeguata.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, chiarisce che la seconda parte dell’articolo da lui proposto si riferisce alla responsabilità disciplinare nei confronti della Camera e si richiama a quanto è disposto dal Regolamento della Camera stessa.

Intesa in questo senso, la disposizione potrebbe ritenersi superflua, a meno che non si pensi che la Camera possa poi venirsi a trovare nella impossibilità di disciplinare la questione in esame nel suo Regolamento per l’assenza di una simile norma nella Costituzione.

CALAMANDREI rileva che, oltre alla responsabilità disciplinare o penale, si può avere anche una responsabilità civile derivante da una osservazione fatta da un deputato alla Camera. La diffamazione per mezzo di un discorso in Assemblea potrebbe, ad esempio, produrre gravissimi danni ad un cittadino. Ora, con la formula proposta, gli sembra che tale responsabilità non possa farsi valere se non dalla stessa Camera.

PRESIDENTE ritiene che con l’espressione «in via giudiziaria» usata nella disposizione proposta dall’onorevole Mortati e testé approvata, si comprenda tanto la responsabilità penale quanto quella civile e la Sottocommissione, approvandola, abbia escluso la possibilità di una azione di risarcimento da parte di un cittadino per la responsabilità civile di un deputato.

MORTATI, Relatore, condivide il parere del Presidente e pertanto rinuncia alla seconda parte del suo articolo.

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Grieco, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti.

In congedo: Bordon.

Assenti: Amendola, Castiglia, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Maffi, Patricolo, Porzio, Rossi Paolo, Targetti, Vanoni, Zuccarini.

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Cappi – Fuschini – La Rocca – Conti, Relatore – Lussu – Nobile – Perassi – Targetti – Einaudi – Ambrosini – Fabbri – Bulloni – Zuccarini – Mortati, Relatore – Tosato – Leone Giovanni – Lami Starnuti – Di Giovanni – Uberti – Mannironi – Codacci pisanelli – Calamandrei.

La sedata comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione deve determinare il numero dei componenti la prima Camera. Secondo il progetto dell’onorevole Conti, dovrebbe essere eletto un deputato per ogni 150.000 abitanti. La nuova Camera dei Deputati, quindi, calcolata la popolazione del Paese in 45.000.000 di abitanti, verrebbe ad essere composta da circa 300 membri. Ma si è accennato all’opportunità di elevare il numero a 400 o 450.

CAPPI ricorda che aveva proposto: un deputato ogni 100.000 abitanti. Ne risulterebbe una Camera di 420-450 membri.

FUSCHINI crede che sia opportuno andare cauti nello stabilire la proporzione fra abitanti ed eletti. Non è sufficiente tener conto soltanto della popolazione: la questione va risolta, a suo parere, anche in rapporto al modo di formazione della seconda Camera e al numero dei suoi componenti. Infatti, Camera e Senato saranno chiamati a riunirsi non solo in occasione della nomina del Presidente della Repubblica, ma anche in determinate speciali situazioni; è quindi il rapporto tra il numero dei componenti dell’una e di quelli dell’altra che bisogna tener presente, per evitare la possibilità che sia il Senato a determinare l’indirizzo politico del Paese. Se, ad esempio, nella prima Camera dovessero assottigliarsi ad un dato momento le correnti di destra, queste nell’Assemblea Nazionale potrebbero unirsi con la maggioranza della Camera Alta, che per sua natura ha sempre una tendenza prevalentemente conservatrice, ponendo la Camera dei Deputati in gravi condizioni di inferiorità.

La questione è senza dubbio assai importante e va esaminata con la dovuta attenzione: occorre assolutamente impedire che la volontà popolare possa essere alterata da un errato rapporto fra il numero dei membri delle due Camere.

Aggiunge un’altra considerazione di carattere localistico. Le popolazioni considerano sempre il deputato che hanno eletto anche da un particolare punto di vista, per cui quel deputato riceve di continuo dai suoi elettori sollecitazioni che non sempre sono per bassi servigi, come per lo più si dice, ma spesso sono dettate dalle improrogabili necessità di una data circoscrizione e costituiscono un comodo mezzo per intrecciare rapporti di maggior fiducia fra eletto ed elettori. Ma un deputato non riuscirà mai a soddisfare le necessità di una massa di 150.000 abitanti. Sarebbe quindi più opportuno fissare un deputato per non più di 80.000 abitanti, come è stato finora tradizionale nel nostro Paese, oppure rinviare la risoluzione del problema (e ciò sarebbe il migliore avviso) a quando dovrà essere discussa la futura legge elettorale.

LA ROCCA crede necessario fissare nella nuova Costituzione il numero dei deputati, mentre la definizione dei dettagli potrà essere rinviata alla legge elettorale.

Ma occorre intanto chiarir bene una questione. La Sottocommissione, attraverso reciproche concessioni, è giunta alla istituzione di una Camera Alta. Da qualcuno è stato manifestato il timore che questa possa funzionare da freno alla volontà espressa dal popolo mediante il suffragio universale. A tal riguardo sarà bene affermare che l’organismo sovrano, rispecchiante la volontà popolare, non potrà essere che la prima Camera. È ad essa che occorrerà dare una prevalenza netta, indiscussa e indiscutibile, perché è attraverso quest’organo che veramente si manifesta la volontà del popolo. La tradizione, anche se a volte è una vis inertiae, non sempre dev’essere trascurata. Il popolo italiano è avvezzo ad avere 500 e più deputati. Inoltre non è opportuno, in regime democratico, diminuire questo numero, perché a tutti deve esser dato il modo di far sentire la loro voce. Restringendo il numero dei deputati, si potrebbe far sorgere il sospetto di essere animati a tal proposito di soffocare la volontà delle minoranze.

In ogni modo, non crede che sia opportuno fissare una proporzione fra numero di abitanti e numero di deputati: sarebbe meglio stabilire soltanto che la Camera bassa debba essere costituita da un numero di membri non minore di 500.

CAPPI non è d’accordo con i precedenti oratori che hanno basato il loro ragionamento su un presupposto ormai inesistente: il Senato di nomina regia, che quasi sempre fu di tendenze politiche contrarie a quelle della prima Camera. Nel progetto dell’onorevole Conti la seconda Camera è invece un’Assemblea eletta a suffragio universale, perché ben pochi dei suoi membri saranno nominati dal Capo dello Stato: ed è a questo proposito opportuno ricordare che il Capo dello Stato è, in definitiva, eletto dal popolo.

Caduto il presupposto, cadono anche le conseguenze a cui sono arrivati gli onorevoli Fuschini e La Rocca.

CONTI, Relatore, dichiara che gli oppositori alla restrizione del numero dei deputati partono da un criterio non democratico, perché capovolgono la concezione del nuovo Stato che sarà organizzato con il criterio non tanto della rappresentanza al centro, quanto della rappresentanza alla periferia. Con la nuova organizzazione statale, la risoluzione di molti problemi sarà affidata alle regioni. Se non si tiene presente questo punto di vista, si torna al concetto dello Stato accentrato, affidando nuovamente tutte le mansioni dello Stato al Governo, alla Camera e al Senato.

Circa la questione, accennata dall’onorevole Fuschini, della prevalenza della prima Camera sulla seconda, avverte che, a suo avviso, il potere legislativo deve essere composto di due organi che abbiano perfetta parità e ciò anche perché le due Camere dovranno, in determinate occasioni, fondersi in un’unica Assemblea. Si deve quindi escludere in modo assoluto che il Senato possa essere sottomesso al volere della Camera e viceversa: fra l’una e l’altro organo dovrà aversi uno scambio continuo di deliberazioni, di pareri, di critiche e quindi non si potrà stabilire alcuna prevalenza dell’una Camera sull’altra.

Riguardo al numero dei componenti la prima Camera, ritiene che tanto meglio sarà quanto più esso sarà ridotto: l’affollamento non costituisce alcun vantaggio. Non condivide l’opinione dell’onorevole Fuschini intorno alle funzioni accessorie del deputato, la quale perde di vista la funzione del deputato stesso: quella legislativa. Il deputato futuro non dovrà essere che un legislatore, un po’ distaccato dal corpo elettorale, che per le sue esigenze particolari avrà come patrocinatori i deputati delle Assemblee regionali. Il concetto del deputato tutore degli interessi personali dei vari gruppi ricorda costumi politici d’altri tempi, che sarà bene abbandonare, se veramente si vuol dare un impulso più sano alla vita politica del Paese.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi e tanto meno al concetto espresso dall’onorevole La Rocca che non si debba abbandonare l’abitudine del popolo italiano ad avere 500 e più deputati. Il popolo italiano disgraziatamente ha una sola abitudine circa il Parlamento: parlarne male; e con la nuova Costituzione occorrerà elevare il prestigio del Parlamento, al che si giunge per una via soltanto: diminuire il numero dei componenti alla futura Camera.

LUSSU ritiene che sia necessario fissare nella seduta odierna il numero dei deputati, e ciò per affrettare la risoluzione di una delle tante questioni sottoposte all’esame della Sottocommissione. Sarà anche bene determinare questo numero in rapporto al numero degli abitanti, perché altrimenti potrebbero sorgere altre difficoltà. A tale proposito occorrerà tener presente la costituzione dell’Ente regione, perché, se ad esso saranno attribuiti poteri molto estesi, logicamente dovrà essere diminuito il numero dei rappresentanti alla prima Camera. Difatti, quanto più sarà estesa la facoltà dell’Ente regione di legiferare su problemi particolari, tanto minore sarà la mole del lavoro che sarà chiamata ad assolvere la prima Camera. A questa, in tal caso, resterebbe soltanto la risoluzione dei grandi problemi d’ordine generale. Se tale decentramento fosse attuato senza diminuire contemporaneamente il numero dei componenti la prima Camera, si modificherebbe soltanto l’attuale burocrazia statale, non già quella politica. Per conseguire anche questo scopo occorre inviare alla Camera un numero non troppo largo di deputati, ed evitare che, attraverso il sistema della proporzionale, si verifichino gli stessi inconvenienti creati dal collegio uninominale. Con l’elezione infatti di un gran numero di deputati si potrebbe avere lo stesso fenomeno di corruzione a cui dava adito il sistema maggioritario: ogni deputato si creerebbe una piccola o grande clientela, divenendo deputato a vita. Riducendo, invece, il numero dei deputati, si obbligherebbe il corpo elettorale ad una moralizzazione della vita politica; gli elettori si rivolgerebbero alle locali organizzazioni e farebbero capo al deputato soltanto per questioni veramente importanti. Vero è che anche in tal modo si può correre il rischio che la seconda Camera alteri la volontà popolare, se, come vorrebbe l’onorevole Conti, si dovesse stabilire la parità tra le due Camere. Ma la seconda Camera ha di solito una caratteristica propria e non ne esiste una al mondo che abbia parità di poteri con la prima. Bisogna evitare una seconda Camera fatta a somiglianza del Senato francese che aveva volutamente, nella Costituzione, un carattere conservatore.

Conclude che il numero degli abitanti per ogni deputato dovrebbe essere inferiore ai 150.000 ed aggirarsi sui 100-120 mila. Qualora, però, il principio delle larghe autonomie regionali non dovesse essere adottato, occorrerebbe elevare al massimo il numero dei deputati.

NOBILE, contrario all’istituzione di una seconda Camera, dal momento che è stato deciso di mantenerla, si associa all’onorevole La Rocca, affermando la necessità di una prevalenza della prima Camera sulla seconda. Non è però d’accordo con lui nel volere assicurata tale prevalenza attraverso il maggior numero dei deputati.

D’altra parte pensa che non possa fissarsi il numero dei componenti la prima Camera, quando non ancora è stato stabilito quello dei membri del Senato e dei Parlamenti regionali. L’una e l’altra questione dovrebbero essere decise contemporaneamente. Sarebbe opportuno, quindi, aggiornare la discussione sul problema in esame.

Aggiunge che da un primo calcolo di quello che sarebbe il numero dei parlamentari italiani, secondo le proposte fatte, è venuto alla conclusione che si avrebbero 400-420 deputati circa, 300 Senatori e, in ciascuna delle forse 15 Assemblee regionali, un minimo di cento: cioè, più di 2000 parlamentari.

CONTI, Relatore, avverte che, secondo calcoli approssimativi, si arriverebbe-invece a circa seimila parlamentari.

NOBILE dichiara che l’interruzione dell’onorevole Conti, dalla quale risulta che le sue previsioni sono state superate, lo convince ancora di più nella sua opinione. Per le indennità a un così gran numero di parlamentari e per le spese di funzionamento dei relativi organi dovrebbero essere impiegate somme ingenti: forse più di due miliardi, che costituirebbero un peso eccessivo per lo Stato, specie nelle attuali condizioni.

PERASSI è pienamente d’accordo con l’onorevole Conti. Ha l’impressione che nelle riunioni precedenti sia largamente prevalso il concetto di ridurre il numero dei deputati, rispetto a quello passato, per diverse considerazioni, e innanzi tutto perché si passerà da uno Stato accentrato ad uno decentrato, con tutte le conseguenze che ne derivano, fra le quali di assai notevole importanza quella per cui gli affari locali non saranno più di competenza del centro. Con ciò il campo di attività di ogni deputato non sarà più così esteso come nel passato; onde l’opportunità di ridurre il numero dei membri della prima Camera.

Anche altre considerazioni consigliano di giungere alla riduzione, fra cui quella di carattere economico accennata dall’onorevole Nobile, che pure ha la sua importanza. All’opinione pubblica farebbe assai buona impressione una riduzione degli organi dello Stato, anche in riferimento alla situazione finanziaria del Paese.

Non ritiene opportuno risolvere nell’odierna seduta la questione del rapporto delle rispettive funzioni fra Camera e Senato: essa potrà essere esaminata a suo tempo. Ciò che ora interessa è venire ad una decisione sul problema relativo alla convenienza o meno che la prima Camera abbia una formazione numericamente limitatissima rispetto all’attuale. Aderisce in proposito all’opinione dell’onorevole Conti, nel senso di affermare in maniera netta il concetto che la Camera dei Deputati debba avere una composizione relativamente ristretta, sulla base della proporzione di un deputato ogni 150.000 abitanti.

TARGETTI dichiara d’essere decisamente contrario alla proposta dell’onorevole Conti, non perché sia attaccato alla tradizione a cui si richiama l’onorevole La Rocca, ma perché non gli pare siano stati portati argomenti troppo convincenti in favore di una riduzione del numero dei componenti la Camera. L’unica argomentazione di notevole importanza in favore di tale riduzione è quella che si basa sulle funzioni che dovrà avere l’Ente regione. A tale proposito giova tuttavia rilevare che l’Ente regione è nato per ora soltanto nelle proposte della Sottocommissione, ma prima che possa diventare vitale occorrerà attendere le proposte concrete della Commissione e le decisioni dell’Assemblea Costituente. Al momento attuale un solo concetto può essere acquisito: quello affermato dagli onorevoli Conti e Lussu, che cioè solo quando siano stabilite le funzioni delle Assemblee regionali si potrà decidere fino a qual punto saranno ridotte quelle del Parlamento e, conseguentemente, l’eventuale riduzione del numero dei deputati. Quindi la Sottocommissione si trova dinanzi ad un’alternativa: o rinviare alla legge elettorale la determinazione del numero dei deputati, cosa che non sarebbe affatto assurda, oppure attendere, per decidere in proposito, che siano state risolte le altre due questioni: quella del funzionamento delle Assemblee regionali e quella della composizione della seconda Camera.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata.

A proposito poi del necessario rapporto fra il numero dei componenti le due Camere, osserva che non dipende dal maggior numero dei membri la maggiore autorità di un consesso rispetto all’altro. Se si volesse conferire uguali poteri alla Camera e al Senato, si potrebbe farlo anche con un numero di componenti diverso. Ricorda l’esempio del Senato francese in cui il numero dei membri era inferiore a quello della Camera, pure avendo i due organi eguale potestà legislativa, e quello del Senato americano che è composto di solo 96 persone contro le 400 circa della Camera dei rappresentanti: ciò nonostante il Senato americano ha poteri legislativi e politici di gran lunga superiori a quelli della Camera.

Quanto al costo per il funzionamento del nuovo sistema rappresentativo, fa osservare che, anche se esso dovesse aggirarsi intorno ai due miliardi, non sarebbe così eccessivo come sulle prime può sembrare. Basti considerare a tale proposito che la spesa relativa dev’essere messa in rapporto al bilancio dell’esercizio in corso che, purtroppo, si aggira, secondo le previsioni, sui 500 miliardi e con ogni probabilità supererà i 600. Né è dato sperare che tale cifra possa essere suscettibile di notevoli riduzioni negli esercizi successivi.

AMBROSINI è d’avviso che non sia opportuno rinviare la risoluzione del problema in esame: è necessario che una decisione sia presa nell’odierna seduta, tanto più che eventualmente vi si potrà sempre tornare sopra. Non è neanche opportuna la proposta di rinvio alla legge elettorale, trattandosi di una questione di principio.

Dopo aver rilevato che sono state sostenute, rispettivamente dagli onorevoli Conti e Fuschini, due tesi completamente contrarie, osserva che, se si riuscisse ad attutire l’urto del opposte premesse dottrinarie, un contrasto effettivo tra le due tesi non sussisterebbe. Per esempio, ciò che ha sostenuto l’onorevole Fuschini, che bisogna, cioè, tener conto degli interessi locali, a suo modo di vedere non va interpretato nel senso che occorre assecondare gli interessi particolaristici degli elettori, bensì nel senso che, oltre che degli interessi generali della Nazione, concepiti in un modo assolutamente unitario, è necessario tener conto di altri interessi egualmente nazionali, pure aventi un carattere prevalentemente locale, dei quali i deputati non possono naturalmente non rendersi interpreti.

La difficoltà, dunque, sta nel trovare un punto di incontro fra le due tesi, il che è reso difficile da altre pregiudiziali sorte nel corso della discussione e, particolarmente, da quella dei rapporti tra Camera e Senato. Ha inteso sostenere da alcuni oratori, anticipando una discussione che dovrà essere fatta a suo tempo, che il Senato dovrebbe avere un numero di componenti inferiore a quello della Camera, per impedire che possa venire alterato come taluno teme il risultato dell’espressione della volontà popolare. Visto che il problema è stato sollevato, esprime il proprio avviso nel senso che occorre evitare che il Senato sia messo in una condizione di assoluta inferiorità di fronte alla Camera, riducendolo a un corpo puramente consultivo. D’altra parte ritiene, e in questo è d’accordo con l’onorevole Einaudi, che il numero dei componenti di un’Assemblea non abbia alcuna influenza sulle sue funzioni. L’influenza della seconda Camera sulla vita politica del Paese potrà dipendere non solo dal modo con cui essa sarà costituita nella nuova carta statutaria, ma anche dallo svolgimento naturale delle cose, dal prestigio che una tale Assemblea potrà acquistare, da un insieme di fattori, quindi, che difficilmente può essere previsto nelle sue particolarità.

Conclude affermando di condividere le osservazioni dell’onorevole Conti circa l’opportunità di ridurre l’attuale numero dei Deputati, soprattutto in quanto è d’augurarsi che l’Ente Regione possa assorbire molti dei compiti fino ad ora demandati al Parlamento. Non bisognerebbe però addivenire ad una riduzione eccessiva. Sarebbe preferibile, quindi, una soluzione intermedia, come quella consigliata dall’onorevole Cappi, stabilire, cioè, la proporzione di un deputato per ogni centomila abitanti.

FABBRI non crede che sia giusto, agli effetti della determinazione del numero dei componenti la prima Camera, basarsi su una probabile limitazione delle sue attività in vista della futura costituzione dell’Ente Regione. Difatti, ammesso pure che la Camera dei Deputati risulti straordinariamente alleggerita nel suo lavoro legislativo, ciò non potrà avere che una sola ripercussione, di carattere economico: si spenderà di meno per la diminuita attività dell’Assemblea e per la probabile riduzione della indennità parlamentare. In altri termini, il fatto che i deputati saranno chiamati a riunirsi soltanto nelle grandi occasioni e per questioni di massima importanza non è, o per lo meno non dovrebbe essere, causa di una riduzione del numero dei componenti la prima Camera. Anzi, le stesse grandi questioni che essi sono chiamati a risolvere rendono più che mai indispensabile una rappresentanza assai larga di tutte le correnti politiche del Paese, anche di quelle costituite dai partiti di minoranza, se veramente si vuole un regime democratico.

Ciò posto, è necessario fissare nella Costituzione il numero dei deputati e anticipare fin. da ora il parere della Sottocommissione sul numero dei componenti il Senato. Una proposta concreta potrebbe essere quella di stabilire il numero compreso fra 450 e 500 membri della prima Camera, senza fissare un rapporto preciso con la popolazione. Con ciò si avrebbe il vantaggio di lasciare ai compilatori della legge elettorale una certa libertà di azione, quanto mai necessaria se si vuole tener conto dell’elemento demografico e della sua ripartizione nel territorio dello Stato.

Per il Senato dovrebbe essere mantenuto fisso il principio di un numero dei suoi Componenti non superiore ai 300. In tal modo sarebbero anche rispettati quei criteri di preponderanza numerica a cui ha fatto cenno l’onorevole La Rocca.

BULLONI si associa alle dichiarazioni di quegli oratori che hanno affermato la necessità di fissare nella Costituzione il numero dei componenti la prima Camera. Si tratta infatti di un elemento essenziale che non può essere omesso in una Costituzione.

PRESIDENTE rileva che la questione in esame è più importante di quanto forse non sembri e che non si tratta già di mettersi d’accordo su un numero preciso, bensì su una questione di principio, o meglio su un problema nel quale si riassumono e si confondono molte questioni di principio, già toccate nel corso delle precedenti discussioni ed altre ancora, che forse potranno sorgere nelle future riunioni. Ritiene evidente che, se i Parlamenti regionali verranno ad essere quelli che l’onorevole Conti ed in particolare l’onorevole Lussu si auspicano, l’adozione di tali istituzioni eserciterà la sua influenza sulle decisioni della Sottocommissione nella materia in esame.

Personalmente tiene a sottolineare che non è favorevole ad una definizione dello Stato in senso autonomistico; come d’altra parte resterebbe assai perplesso se nella Costituzione si parlasse di uno Stato regionale. È d’avviso che lo Stato debba essere unitario; non può essere autonomistico, così come non è mai venuto in mente ad alcuno che possa essere provinciale o provincialissimo e tanto meno municipale, quand’anche si voglia concedere, come è nei propositi, una larga autonomia ai Comuni. Sarebbe quindi un grave errore non tenere nel dovuto conto quest’aspetto della coesione e della compattezza che lo Stato deve avere.

Ora, qualcuno ha affermato che specialmente nelle assemblee regionali si esplicherà la vera volontà popolare: ma questo significherebbe che lo Stato italiano dovrebbe essere federalistico. Bisogna procedere con una certa cautela in questo campo se non si vuole la disgregazione dell’unità statale.

Ha avvertito una notevole dissonanza quando, da qualche oratore, è stato accennato all’eccessivo numero dei parlamentari che si avrà con le future assemblee regionali, poiché, nonostante tutti i poteri che a queste saranno concesse, non si potranno ravvisare in tali assemblee dei Parlamenti; né i loro componenti potranno chiamarsi parlamentari, sia nel senso peggiore che in quello più nobile della parola. Dovrà sempre esserci una diversità di rappresentanza e di poteri fra i membri delle assemblee nazionali e quelli delle assemblee regionali.

Crede pure che l’affermazione secondo cui un migliore funzionamento della Camera sarebbe assicurato se questa fosse composta di pochi membri perda di vista l’esperienza. Oggi, ad esempio, si ha una Camera di circa 560 membri, ma le forze effettive, i deputati che effettivamente contribuiscono al lavoro della stessa, rappresentano soltanto una percentuale.

Se si stabilisse che la prima Camera dovesse essere composta di 300 deputati, si creerebbe un’assemblea nella quale probabilmente solo 150 membri parteciperebbero veramente al lavoro legislativo. Infatti l’elezione dei deputati non è, in sostanza, che una prima scelta fatta dalla massa degli elettori; ma una seconda ne viene fatta in seguito, sulla base delle capacità rivelate da ogni eletto nel periodo del suo lavoro legislativo.

D’altra parte il numero dei componenti un’assemblea deve essere in certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale. Non è, come ha accennato l’onorevole La Rocca, che si vorrebbe conservare l’attuale numero dei deputati per rispetto ad una tradizione, ma perché la diminuzione del numero dei componenti la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.

Quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Nobile circa l’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, rileva che, se una Nazione spende un miliardo di più per avere buone leggi, non si può dire che fa spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone ed anche se si consideri l’ammontare complessivo del bilancio in corso.

Personalmente, quindi, ritiene che il problema in questione non si sarebbe nemmeno dovuto porre: non tanto quello concernente la determinazione del numero dei componenti l’assemblea nella Costituzione, quanto quello della diminuzione di tale numero. Si sarebbe dovuto accettare ciò che poteva essere suggerito dall’attuale vita politica del Paese, vale a dire che esso assai opportunamente ha sentito la necessità di adeguare nelle ultime elezioni il numero dei suoi rappresentanti alla aumentata massa della popolazione. Per queste considerazioni un’eventuale riduzione del numero dei componenti la prima Camera costituirebbe a suo avviso un grave errore politico.

Ritiene che la Sottocommissione dovrebbe deliberare su tre punti:

1°) se si debba fissare il numero dei deputati nella Costituzione;

2°) in qual modo, e ciò evidentemente costituisce una subordinata della prima questione, si debba fissare tale numero; se in cifra assoluta o in rapporto a un dato numero di abitanti;

3°) nel caso di approvazione del secondo criterio di cui al secondo punto, quale dovrà essere la proporzione fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

Mette pertanto in votazione la proposta che nella Costituzione si debba fissare il numero dei deputati.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a passare all’esame del secondo quesito.

ZUCCARINI prospetta l’opportunità di fissare un numero massimo, poiché teme che, non stabilendo limiti precisi, il numero dei deputati possa via via essere aumentato con successive leggi elettorali, come del resto si è verificato nel passato.

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Zuccarini potrebbe costituire una subordinata del secondo quesito in discussione. In ogni modo la mette in votazione.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che nella Costituzione debba essere fissata in cifra assoluta il numero dei componenti la prima Camera.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che il numero dei componenti la prima Camera debba essere indicato in rapporto all’entità della popolazione.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a fissare il rapporto fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

BULLONI propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, a chiusura della discussione circa la composizione della Camera dei Deputati,

ritenuto che il numero dei componenti della detta Camera quale elemento essenziale alla sua costituzione, deve essere stabilito in sede costituzionale;

ritenuta la necessità che la Camera stessa risponda alla suprema esigenza della funzione legislativa attraverso una rigorosa selezione, al fine di assicurare al deputato prestigio e indipendenza;

ritenuta la necessità che la Camera dei Deputati risulti sempre più aderente alla diretta espressione della volontà popolare;

ritenuta necessaria la forma elettiva della seconda Camera;

propone

che la composizione della Camera dei Deputati sia costituita in ragione di un deputato ogni 100 mila abitanti».

TARGETTI propone di abbassare la cifra da 100 mila a 80 mila.

NOBILE insiste nella sua proposta di rinviare la decisione sul numero dei deputati a quando sarà stabilito il numero dei membri della seconda Camera e delle Assemblee regionali.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Nobile.

(Non è approvata).

CONTI, Relatore, prega l’onorevole Bulloni di rinunciare a vari «considerando» del suo ordine del giorno, perché, oltre quelli da lui elencati, ve ne potrebbero essere altri relativi ad altre non meno importanti questioni.

PRESIDENTE osserva che dai verbali appariranno tutte le considerazioni aggiuntive e di carattere diverso. In sostanza l’ordine del giorno dell’onorevole Bulloni può ridursi ad una sola proposta: a quella di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti. Si tratta perciò di decidere se si debba eleggere un deputato per ogni 80 mila abitanti, come propone l’onorevole Targetti, o per ogni 100 mila abitanti, come propone l’onorevole Bulloni, o per ogni 150 mila, secondo quanto è stato proposto dall’onorevole Conti.

CONTI, Relatore, è disposto a ridurre la cifra da 150 a 125 mila.

MORTATI, Relatore, voterà a favore dei 100 mila abitanti. Se la proposta relativa sarà approvata dalla Sottocommissione, si avrà una riduzione del numero dei deputati in confronto a quello della precedente Camera, il che non significherà svalutazione del potere politico della Camera dei Deputati. A tale proposito occorre tener presente che la vecchia Camera italiana era l’unica rappresentativa mentre con la nuova Costituzione sarà rappresentativa anche la seconda Camera, che integrerà la prima. È necessario quindi tenere nel debito conto questa integrazione di rappresentanza, che non può non influire sulla determinazione del numero dei rappresentanti della Camera dei Deputati.

LUSSU rileva che il Presidente ha fatto alcune dichiarazioni che, malgrado l’autorità da cui provengono, non possono essere lasciate inosservate. Dichiara così di non poter condividere le opinioni espresse dall’onorevole Terracini a proposito del valore antidemocratico attribuito a una eventuale riduzione del numero dei deputati, ed a proposito della questione autonomistica e federalistica,. osserva che a tale riguardo esistono correnti comuniste e socialiste assai favorevoli ai punti di vista contro i quali si è pronunciato l’onorevole Terracini.

La riduzione nel numero dei deputati non ha un significato antidemocratico, specie se esso è messo in relazione con la nuova organizzazione dello Stato. L’onorevole Terracini può non essere molto favorevole a tale nuova organizzazione, ma essa corrisponde ai desideri della maggioranza del paese. Dichiara, pertanto, che voterà per la cifra di 100 mila abitanti proposta dall’onorevole Bulloni.

TARGETTI chiede che la votazione abbia luogo per appello nominale.

TOSATO voterà per la proposta dell’onorevole Cappi cui si è associato l’onorevole Bulloni, che cioè si elegga un deputato ogni 100 mila abitanti e si associa alle considerazioni degli onorevoli Mortati e Lussu.

Un’altra considerazione lo spinge a votare in tal senso; poiché la nuova legge elettorale adotterà il sistema della rappresentanza proporzionale, ritiene che sia necessario ridurre il numero dei deputati, per impedire quella moltiplicazione dei partiti che nelle ultime elezioni è stata appunto causata dalla proporzionale.

CONTI, Relatore, dichiara che, proponendo una riduzione del numero dei abitanti da 150 a 125 mila, ha voluto avvicinarsi alle proposte degli onorevoli Bulloni e Cappi. Tiene in ogni modo ad affermare che la riduzione nel numero dei deputati non significa una limitazione del potere della Camera, ché anzi con essa si intende conferire un maggior prestigio alla Camera dei Deputati. Aggiunge anche che tale riduzione è in relazione all’istituzione delle Assemblee regionali, le quali daranno alla nuova Costituzione il carattere di una Costituzione mista fra il sistema parlamentare e la democrazia diretta, che è poi l’unico modo per realizzare veramente la sovranità popolare in tutta la sua estensione.

LA ROCCA voterà a favore della cifra di 80 mila, perché ritiene che occorra rafforzare l’istituto parlamentare e dargli quella autorità che gli è necessaria per essere l’organo sovrano della Nazione.

CONTI, Relatore, rinuncia anche alla proposta relativa all’elezione di un deputato per ogni 125 mila abitanti.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale sulle due proposte, l’una dell’onorevole Targetti, l’altra dell’onorevole Bulloni, relative rispettivamente all’elezione di un deputato per ogni 80 mila e per ogni 100 mila abitanti.

Votano a favore della proposta Targetti per gli 80 mila abitanti i deputati: Bocconi, Di Giovanni, Fabbri, Lami Starnuti, La Rocca, Ravagnan, Targetti, Terracini.

Votano a favore della proposta Bulloni per i 100 mila abitanti i deputati: Ambrosini, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fuschini, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Si astiene dalla votazione il deputato Nobile.

PRESIDENTE comunica che la proposta di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti ha riportato 18 voti favorevoli contro 8 voti favorevoli all’altra proposta, e un astenuto.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione sul primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Conti, concernente la elezione della Camera dei Deputati in forza del quale lo Stato è suddiviso in collegi elettorali a norma di legge speciale, col che si esclude il collegio unico nazionale.

CONTI, Relatore, avverte che questa disposizione è stata introdotta appunto per il fine cui ha accennato l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE non crede che questo comma debba essere incluso nella Costituzione, la quale con ciò entrerebbe nel vivo della legge elettorale, mentre la Sottocommissione è stata dell’avviso di introdurre nella Costituzione il minor numero possibile di norme particolari, tanto che ha deciso di non dare alcuna indicazione relativamente al sistema della rappresentanza proporzionale.

MORTATI, Relatore, ritiene che in una Costituzione occorra prevedere tutti quei punti che si ritenga di dover sottrarre all’arbitrio del futuro legislatore ordinario.

Ricorda che la Sottocommissione si era informata a questo criterio nell’esame di un precedente articolo nel quale si stabilì, per impedire che il diritto all’elettorato potesse essere soggetto all’arbitrio del legislatore, che la decadenza da tale diritto dovesse aver luogo solo in seguito a sentenza civile o penale. Così egli si domanda se sia opportuno rinviare la disciplina dei partiti al futuro legislatore o se non sia più conveniente prendere una decisione al riguardo, quando saranno comunicate le relative decisioni della prima Sottocommissione. Anche a proposito dei collegi elettorali si tratta dunque di vedere se debbano oppure no essere stabilite eventuali limitazioni alla futura attività del legislatore, ed a suo avviso se non necessario, sarebbe opportuno che la Sottocommissione si pronunciasse in proposito.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mortati che le considerazioni da lui svolte sono state già fatte altre volte e si tratta ora di vedere entro quali limiti si debba restare aderenti a decisioni già prese per la sistemazione della materia.

Mette pertanto in votazione la proposta di soppressione del comma in esame.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, ricorda che, votando l’articolo relativo ai limiti del diritto elettorale sfuggì una conseguenza che potrebbe discendere dalla sua formulazione: difatti, ammesso che il legislatore non possa porre limiti all’elettorato attivo, ne verrebbe per conseguenza che i militari avrebbero la pienezza del diritto di voto. Ora, tale questione è assai delicata e non è il caso, quindi, di pregiudicarla con la decisione presa. Propone perciò che all’articolo anzidetto sia aggiunto il seguente comma: «Il diritto di voto ai militari e le eventuali limitazioni al suo esercizio saranno disciplinati dalla legge».

PRESIDENTE, per quanto ogni membro della Sottocommissione abbia diritto di fare quelle considerazioni che crede più opportune, pensa che vi siano alcune questioni che ormai dovrebbero considerarsi superate. Così quella del pieno diritto di voto ai militari è stata ampiamente dibattuta nel Paese durante gli ultimi mesi quando si trattava di redigere la legge per le elezioni all’Assemblea Costituente, e nessuna voce si levò contro la concessione di un tale diritto, ove si eccettui quella di qualche rappresentante del Partito d’Azione in seno alla Commissione ministeriale. Ove si risollevasse oggi tale questione, potrebbero sorgere motivi di timore non solo tra i militari, ma anche presso coloro che più si preoccupano della salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini.

Invita pertanto l’onorevole Mortati a non insistere nella sua proposta.

LEONE GIOVANNI rileva che occorre risolvere una questione pregiudiziale: ritiene cioè la Sottocommissione che sul problema accennato dall’onorevole Mortati si sia implicitamente deciso quando, in una delle riunioni precedenti, fu formulato l’articolo, secondo il quale l’incapacità all’elettorato attivo non può essere determinata che come decadenza derivante da una sentenza del giudice civile o penale? Il Presidente ha fatto presente l’opportunità di non addivenire ad una decisione sul problema in esame per esigenze di carattere politico; ma vi sono anche esigenze di carattere giuridico. Si tratta di decidere se la questione debba essere riesaminata e risolta in sede costituzionale, ammettendo i militari al voto in maniera incondizionata, nel quale caso la proposta del comma aggiuntivo fatta dall’onorevole Mortati dovrebbe essere respinta; ovvero se sia preferibile rinviare ogni decisione-in questo campo alla legge elettorale.

FABBRI ritiene che il principio di carattere generale introdotto nell’articolo in questione (cioè che la decadenza dal diritto di voto possa soltanto essere dichiarata da una sentenza del giudice civile o penale) implichi necessariamente il diritto al voto dei componenti le Forze armate. Il modo con cui l’esercizio di tale diritto dovrà esplicarsi potrà essere stabilito nella legge elettorale. Qualora, quindi, fosse stabilita nella Costituzione una limitazione del diritto di voto ai militari, si infirmerebbe una decisione già presa al riguardo. Per queste considerazioni è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, che, a suo avviso, tende a modificare una decisione già presa dalla Sottocommissione in materia di elettorato attivo.

DI GIOVANNI ricorda che quando si trattò di stabilire le esclusioni dal diritto elettorale egli chiese che ogni decisione in materia fosse rinviata alla legge elettorale. Tuttavia la maggioranza della Commissione decise di introdurre una sola norma, e cioè che ogni limitazione del diritto dovesse essere dichiarata da sentenza civile o penale. Ove la questione dovesse essere sottoposta ad un nuovo esame, si potrebbe anche concludere che gli appartenenti alle Forze armate, per i vincoli disciplinari, per ragioni di dipendenza e di subordinazione gerarchica, non godono di una piena libertà nell’espressione del voto. Una tale decisione, però, dovrebbe accompagnarsi ad altre simili decisioni per casi analoghi, come, ad esempio, per i Corpi di polizia e per tutti coloro che, come i religiosi dei monasteri, si sono estraniati dalla vita attiva. Tuttavia c’è da domandarsi se sia opportuno affrontare così ardui e complessi problemi.

Ciò considerato, dal momento che è già intervenuta una decisione sulla questione della decadenza del diritto elettorale, ritiene opportuno non risollevare la questione per non riaprire una spinosa discussione.

NOBILE è contrario a che si torni su di una decisione già presa.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta che la decisione già presa debba ritenersi preclusiva, avvertendo che, solo se questa proposta non fosse approvata, potrebbe essere messo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

Tiene nuovamente a dichiarare che con la votazione avvenuta, la Sottocommissione ha inteso di non limitare in alcun modo il diritto di voto ai militari, come a ogni altra categoria di cittadini.

Apre quindi la discussione sulla seguente formula proposta dall’onorevole Conti nel suo progetto: «I requisiti per la eleggibilità e i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale».

UBERTI osserva che questa materia è di competenza della Commissione incaricata della redazione della legge elettorale.

LEONE GIOVANNI reputa che, per ragioni di armonia con quanto già è stato stabilito in materia di elettorato attivo, alcuni elementi relativi all’elettorato passivo dovrebbero essere introdotti nella Costituzione. Come sono stati stabiliti limiti precisi riguardanti l’età e la capacità, altrettanto si dovrebbe fare per le ineleggibilità e le incompatibilità.

MORTATI, Relatore, propone il seguente articolo:

«Sono eleggibili alla carica di deputato tutti gli elettori che abbiano compiuto, al momento della elezione, l’età di anni 25, che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni e non siano membri dell’antica casa regnante italiana.

«La qualità di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera.

«Eventuali altre cause di incompatibilità saranno fissate dalla legge».

LUSSU è d’accordo sulla opportunità di fissare nella Costituzione, che deve avere un carattere solenne, la esclusione dell’elettorato passivo dei membri della ex famiglia Reale. Viceversa ritiene che le altre disposizioni contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

LEONE GIOVANNI segnala l’opportunità di un’aggiunta, consistente in un richiamo alle disposizioni contenute nel preambolo alla Costituzione circa il rispetto dei diritti fondamentali di ogni cittadino. I casi di ineleggibilità non dovrebbero identificarsi con limitazioni dipendenti da considerazioni d’indole razziale o religiosa.

PRESIDENTE crede che la proposta dell’onorevole Leone potrebbe essere accolta come un suggerimento di cui si potrebbe tener conto in sede di coordinamento dei vari articoli.

MORTATI, Relatore, tiene a dichiarare che la disposizione da lui proposta, per la quale sono eleggibili tutti gli elettori che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni, è stata suggerita dalla particolare situazione in cui si sono venuti a trovare gli altoatesini che optarono per la cittadinanza tedesca.

MANNIRONI propone di aggiungere alla parola « elettori»: «e le elettrici».

PRESIDENTE crede superflua l’aggiunta, perché nessuno certamente penserà di ritornare su una decisione che già è stata presa e di riporre in discussione il pieno diritta delle donne italiane così all’elettorato attivo, come a quello passivo.

PERASSI preferirebbe che si parlasse di «cittadini» anziché di «elettori» per comprendere anche il caso di cittadini italiani all’estero.

FABBRI condivide la proposta dell’onorevole Perassi, anche in considerazione del fatto che può darsi il caso di un cittadino non iscritto per errore nelle liste elettorali.

MORTATI, Relatore, suggerisce la formula: «tutti coloro che abbiano diritto ad essere elettori». Insiste sull’uso del termine «elettori» poiché, dicendo soltanto «cittadini», si prescinderebbe da tutti i requisiti e dai limiti che già sono stati decisi.

PERASSI nel far la sua proposta di usare la parola «cittadini» intendeva riferirsi a tutti coloro che hanno i requisiti già stabiliti.

LEONE GIOVANNI propone, per venire incontro alle varie esigenze manifestatesi nel corso della discussione, la seguente formula: «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

NOBILE non è favorevole all’uso del termine «elettori», in considerazione del caso verificatosi a volte di un cittadino condannato per motivi politici e che, per quanto privato del diritto di voto, può essere eletto deputato appunto per rimetterlo in libertà.

DI GIOVANNI ritiene che la disposizione proposta dall’onorevole Conti potrebbe essere accolta con maggiore favore ed eviterebbe così ogni discussione, perché è più lata di quella proposta dall’onorevole Mortati, non contenendo specificazioni che potrebbero anche essere incomplete.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Di Giovanni che la questione ormai può considerarsi superata, nel senso che la Sottocommissione ha mostrato di ritenere, seppure non attraverso ad una votazione, di dover porre nel testo della Costituzione alcune indicazioni precise sui requisiti per la eleggibilità.

LEONE GIOVANNI teme che il suo pensiero non sia stato chiaramente compreso. Dal momento che la Sottocommissione è stata in un certo senso abbastanza rigorosa nel fissare le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo, è dell’avviso che occorra essere altrettanto rigorosi nel determinare i limiti dall’elettorato passivo. Se si accogliesse la formula «tutti i cittadini» proposta dall’onorevole Perassi, si correrebbe il rischio di dichiarare eleggibili persone che non hanno il diritto di votare.

Quanto all’ipotesi accennata dall’onorevole Nobile, osserva che i casi sono due: o si tratta di persone che sono state già private del diritto all’Elettorato attivo e passivo per effetto di una precedente condanna, e questa situazione sarà presa in considerazione dalle disposizioni transitorie; o si tratta di situazioni che potranno verificarsi in avvenire, e ad esse potrà essere applicata la norma che già è stata approvata, secondo la quale non si può essere privati del diritto al voto se non da una sentenza del giudice civile o penale.

Concludendo, ritiene indispensabile, in primo luogo, stabilire per l’elettorato passivo requisiti per lo meno analoghi a quelli stabiliti per l’elettorato attivo; in secondo luogo, trovare una formula che risponda alle esigenze prospettate dagli onorevoli Perassi e Mortati.

FABBRI ritiene che non ci sia troppo da preoccuparsi del fatto che un non elettore possa essere eletto deputato: è un inconveniente che sempre è accaduto. Cita il caso dell’onorevole Bovio che fu eletto deputato, pur non essendo iscritto nelle liste elettorali.

MANNIRONI approva le considerazioni dell’onorevole Leone, mentre non può essere d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Di Giovanni, che cioè i requisiti per l’eleggibilità debbano essere fissati nella legge elettorale. Crede invece che tali requisiti debbano essere stabiliti nella Costituzione con la stessa latitudine con cui sono stati stabiliti quelli per l’elettorato attivo. Solo i casi di incompatibilità possono essere fissati nella legge.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione si trova di fronte alla proposta di due formule diverse: «tutti gli elettori» oppure «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

Personalmente esprime l’opinione che non sia necessaria la piena coincidenza tra le condizioni per l’esercizio del diritto elettorale attivo e quelle per l’esercizio del diritto elettorale passivo. Anche nell’ultima legge elettorale, come in altre precedenti, non esisteva questa completa coincidenza. Occorre anche tener presente che, in definitiva, è la stessa Camera dei Deputati che esamina la posizione degli eletti e decide volta per volta se ratificare o meno le elezioni. In questa maniera è stato possibile eleggere anche i condannati politici, che altrimenti non avrebbero potuto essere eletti. Ritiene pertanto che non sia necessario stabilire per l’elettorato passivo gli stessi requisiti già fissati per l’elettorato attivo.

UBERTI osserva che occorre formulare una Costituzione quanto più sia possibile breve, chiara, sì che essa possa essere compresa anche dalle classi popolari. Sarebbe opportuno pertanto rinviare alla legge elettorale la determinazione dei requisiti relativi all’eleggibilità, come del resto aveva proposto l’onorevole Conti.

LUSSU osserva che, da un punto di vista razionale, la parola «cittadini» non dovrebbe mai essere usata e che dovrebbe invece essere usata l’altra «elettori». D’altra parte gli sembra strano che il non elettore possa essere eleggibile. In ogni modo la preoccupazione manifestata a tale proposito da alcuni oratori gli sembra inutile, perché se un partito è capace di inviare alla Camera un suo rappresentante, anche se non iscritto nelle liste elettorali, è evidente che esso avrà il potere di ottenere il cambiamento della legge elettorale. Torna ad affermare che nella Costituzione dovrebbe essere fissata soltanto la esclusione dall’elettorato attivo dei membri dell’ex famiglia Reale e che tutte le altre limitazioni a tale diritto, contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati con la modifica da anni 28 a 25 e con l’altra modifica suggerita dall’onorevole Leone Giovanni. La formulazione della prima parte dell’articolo in questione sarebbe pertanto la seguente: «Sono eleggibili alla carica di deputato tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori, i quali, al momento delle elezioni, abbiano compiuto l’età di anni 25».

(È approvata).

Avverte che è ora in discussione un altro requisito richiesto nell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati, e cioè che gli eleggibili di cui alla votazione testé fatta abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni.

LUSSU osserva che del requisito in esame non si dovrebbe fare parola nella Costituzione: un caso simile non potrebbe essere contemplato che nella legge elettorale. Così pure nella nuova Carta costituzionale non dovrebbero essere previste esclusioni dal diritto elettorale per motivi di razza e di religione. Ciò non risponderebbe alla nostra coscienza popolare.

TOSATO propone che siano considerati eleggibili tutti coloro che abbiano acquistato la cittadinanza italiana, non da almeno due anni come vorrebbe l’onorevole Mortati, ma da almeno tre.

PERASSI domanda all’onorevole Mortati se la proposta da lui fatta riguarda il problema generale della cittadinanza o riguarda soltanto la situazione degli altoatesini.

MORTATI, Relatore, dichiara che il disposto della norma in questione, secondo il suo parere, dovrebbe riguardare la situazione degli altoatesini solo occasionalmente; la disposizione infatti potrebbe essere utile anche per altre evenienze del genere, quando si trattasse di situazioni che potrebbero rendere opportuno limitare l’accesso immediato a determinate cariche pubbliche.

PERASSI fa presente che relativamente agli altoatesini è in corso una legge che regola la loro situazione. In ogni caso ha l’impressione che quegli altoatesini che hanno optato per la cittadinanza germanica, saranno riammessi a rivedere la loro opzione: la conclusione di ciò sarebbe che essi, pur avendo optato per la Germania, non avrebbero mai perduto la cittadinanza italiana e quindi non verrebbero ad essere colpiti da questa disposizione. Rimarrebbe, perciò, da considerare solo il problema di carattere generale. Si domanda se sia conveniente che coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana non siano eleggibili se non dopo trascorso un certo termine. Una tale disposizione si spiega in quei paesi in cui le nazionalizzazioni costituiscono un fenomeno usuale: in Italia, invece, il fenomeno ha una minima importanza. Ritiene perciò che non valga la pena introdurre la norma suddetta nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, si domanda, in relazione a quanto ha detto l’onorevole Perassi, se non sia il caso di adottare una disposizione per gli altoatesini, nella quale si tenga conto del fatto che essi non hanno mai perduto la cittadinanza italiana.

PERASSI osserva che, se si adottasse una disposizione del genere, si potrebbe andare incontro a complicazioni internazionali.

PRESIDENTE ritiene che non sia un argomento a favore dell’accettazione della proposta fatta dall’onorevole Mortati quello di mantenere per un periodo di tempo più o meno lungo gli abitanti dei territori annessi all’Italia in una condizione di inferiorità nei confronti degli altri cittadini italiani. Si dovrebbe, invece, provvedere convocare in quelle località i comizi elettorali e concedere così a quelle popolazioni la possibilità di scegliersi subito i loro rappresentanti.

MORTATI, Relatore, ritira la sua proposta, in considerazione delle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi.

CODACCI PISANELLI risolleva una questione presa in esame giorni or sono e poi accantonata, quella, cioè, degli italiani che si indicavano un tempo col termine di non regnicoli.

Si è detto che si sarebbe potuto regolare questa categoria con una legge speciale, ma, poiché una legge speciale non può modificare la Costituzione, si dovrebbe far ricorso, per disciplinare questo caso, ad una nuova legge costituzionale. Sarebbe meglio quindi introdurre nella Costituzione per questa categoria di italiani che sono parificati ai cittadini, una norma di portata più ampia di quella costituita dall’articolo proposto. Ciò sempre che non si voglia escludere dal diritto di eleggibilità questa categoria di persone.

PERASSI osserva che, allo stato attuale della legislazione, non esiste una norma in virtù della quale gli italiani non regnicoli siano parificati automaticamente ai cittadini ai fini elettorali. Esiste una vecchia disposizione, che è stata implicitamente richiamata nella legge sulla cittadinanza, in virtù della quale gli italiani per nazionalità, non giuridicamente italiani, possono ottenere la cittadinanza con l’emanazione di un semplice decreto, senza che ad essi sia richiesta la condizione della residenza. Ne consegue che la formula dell’articolo recentemente approvata dalla Sottocommissione non pregiudica il problema, perché resta sempre la possibilità per l’italiano, cosiddetto non regnicolo, di diventare cittadino con la procedura particolare anzi detta. L’affermazione che siano parificati ai cittadini italiani, ai fini della legge elettorale politica, tutti gli italiani appartenenti ad altri Stati solleverebbe problemi assai delicati e complessi. Per queste considerazioni ritiene che la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli non possa essere accettata.

CODACCI PISANELLI fa presente che nella nostra legislazione vigono alcune norme concernenti l’ammissione al pubblico impiego, nelle quali gli italiani non regnicoli sono parificati ai cittadini italiani. Si potrebbe studiare la adozione di un criterio analogo nei riguardi dell’elettorato. Chiede che il problema sia esaminato dalla Sottocommissione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli per la quale il problema in questione dovrebbe essere ulteriormente sottoposto all’esame della Sottocommissione.

(Non è approvata).

Avverte che è ora in discussione il caso, previsto nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dell’esclusione dal diritto elettorale passivo dei membri dell’ex famiglia Reale. La formulazione dell’articolo circa questo punto sarebbe la seguente: «e non siano membri dell’antica casa regnante italiana».

DI GIOVANNI, poiché la parola «antica» può sembrare ambigua, propone di sostituirla con la parola «cessata».

PRESIDENTE fa presente che l’espressione usata dall’onorevole Mortati non può riferirsi che alla casa Savoia: non crede che sia opportuno adottare un’altra espressione che potrebbe implicare anche l’appartenenza alle altre vecchie case regnanti in Italia.

LUSSU crede che sia meglio lasciare l’aggettivo «antica».

LAMI STARNUTI ritiene che al primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere aggiunte le seguenti parole: «salvo gli altri casi di ineleggibilità stabiliti dalla legge elettorale». Gli parrebbe infatti strano che nella Costituzione fosse previsto un solo caso di ineleggibilità. Infatti, nell’ultimo comma dell’articolo proposto sì parla di cause di incompatibilità e non di ineleggibilità.

LEONE GIOVANNI osserva che, se si dovesse accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, diventerebbe inutile il comma già approvato. In esso sono stati rigidamente stabiliti i casi di ineleggibilità. Quindi, se l’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovesse essere modificato nel senso di riferirsi anche ad altri casi di ineleggibilità da stabilirsi volta per volta, l’articolo in questione non avrebbe più ragione d’essere introdotto nella Costituzione.

LAMI STARNUTI insiste nella sua proposta, perché i casi di ineleggibilità sono molteplici. Gli alti funzionari dello Stato, ad esempio, sono sempre stati considerati ineleggibili specialmente nel territorio in cui esercitano le loro funzioni. Così anche sono stati sempre considerati ineleggibili tutti coloro che abbiano rapporti di interessi con lo Stato.

MORTATI, Relatore, obietta che i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e non la ineleggibilità.

LAMI STARNUTI replica che l’ultima legge elettorale, a proposito dei casi da lui accennati, parla di ineleggibilità. In ogni modo, se si è d’accordo nel considerare i casi accennati come casi di incompatibilità, non insiste nella sua proposta.

DI GIOVANNI conferma che effettivamente la legge elettorale, in virtù della quale sono stati eletti i deputati alla Costituente, considera i casi accennati come casi di ineleggibilità. In ogni caso, c’è da osservare che l’inclusione nella Carta costituzionale di alcuni determinati casi di ineleggibilità potrebbe far presumere l’esclusione di altri, ciò che darebbe luogo ad inconvenienti assai gravi. Si potrebbe ovviare ad ogni inconveniente aggiungendo all’ultimo comma dell’articolo in questione le parole seguenti: «Eventuali casi di ineleggibilità e di incompatibilità saranno fissati dalla legge».

MANNIRONI osserva che in tal modo si verrebbe a distruggere il contenuto dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

LEONE GIOVANNI, per quanto si riferisce alla necessità di mantenere la formula già approvata e al suo svuotamento che potrebbe derivare dall’approvazione dell’emendamento degli onorevoli Lami Starnuti e Di Giovanni, si riporta a quanto ha già detto. Occorre frattanto precisare la differenza fra ineleggibilità e incompatibilità. Crede che ineleggibilità sia quel complesso di cause che impediscono la possibilità di porre la candidatura: incompatibilità invece un altro complesso di cause che rendono impossibile l’esercizio del mandato parlamentare conseguito attraverso l’elezione; per cui c’è da ritenere che le cause di ineleggibilità non siano eliminabili da un atto di volontà dell’interessato, mentre quelle di incompatibilità lo siano. In altri termini lo stato di ineleggibilità non può essere rimosso, mentre quello incompatibilità può essere rimosso con atto volontario, facendo cadere le condizioni che costituiscono ostacolo alla partecipazione all’attività parlamentare. Posta questa distinzione, tutti gli esempi indicati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e potranno essere esemplificati nella legge elettorale. Ha creduto bene stabilire, dal punto di vista concettuale, la delimitazione fra ineleggibilità e incompatibilità perché, se si è d’accordo su essa, si potrebbe accogliere la formula proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, riconosce che effettivamente l’ultima legge elettorale parla di ineleggibilità per tutti i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti. In realtà la parola ineleggibilità è impiegata per esprimere due diverse situazioni: una discendente da indegnità, per condanne, ecc., un’altra collegata al possesso di date cariche. Alcune di queste cariche sono ritenute preclusive della possibilità di presentazione della candidatura nelle elezioni politiche, altre invece solo dell’esercizio della funzione di deputato. Le ultime danno vita alle incompatibilità in senso stretto. Bisognerebbe giungere ad includere nel concetto di incompatibilità anche le ineleggibilità del secondo tipo.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mortati se la sua precisazione debba essere consacrata a verbale oppure essere contenuta nel testo dell’articolo.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che la questione in esame debba essere risolta con una norma precisa da introdursi nell’articolo da lui proposto. La difficoltà però sta nel trovare una formula che risponda allo scopo.

LUSSU pensa che, dal momento che la questione è stata sollevata, sia bene chiarirla il più possibile. Effettivamente non è cosa molto semplice determinare la differenza tra ineleggibilità e incompatibilità; tuttavia ritiene – e spera che le sue considerazioni possano costituire un qualche apporto al tentativo di chiarimento fatto dall’onorevole Leone – che si possa affermare che l’ineleggibilità consista nella incapacità di un cittadino ad essere eletto deputato, sia per una sua situazione giuridica, sia per una sua posizione nella vita politica in senso generico. Ad esempio il gerarca fascista, il ministro fascista, il federale, ecc. non dovrebbero mai godere del diritto di elettorato sia attivo che passivo e il loro sarebbe un caso di ineleggibilità e non di incompatibilità.

È però dell’avviso che la determinazione dei casi di ineleggibilità non dovrebbe essere fatta in un articolo della Costituzione, bensì nella legge elettorale.

AMBROSINI rileva che l’ineleggibilità – come è stato già chiarito – importa una incapacità ad essere eletto per varie ragioni. Ad esempio, l’Alto Commissario per la Sicilia o per la Sardegna secondo l’ultima legge elettorale è stato considerato ineleggibile, perché giustamente si è ritenuto che tale carica potesse influire sull’andamento delle elezioni. Invece nel caso dell’incompatibilità si ha la capacità ad essere eletti, ma la non possibilità di esercitare contemporaneamente due uffici.

Rileva che le legislazioni elettorali prevedono alcune cause di ineleggibilità cosiddetta relativa, che cioè possono essere rimosse dall’interessato, abbandonando l’ufficio o la situazione giuridica che fa luogo all’incapacità, ed altre invece che sono assolute, come sarebbe ad esempio il caso dei membri della ex casa Reale.

In questo stato di cose si pone il quesito se sia opportuno che nella Costituzione siano indicati alcuni casi più importanti di ineleggibilità, come ad esempio quelli accennati dall’onorevole Mortati, o se non sia preferibile (come egli ritiene che sarebbe opportuno) non includerne alcuno, rimandandoli tutti alla legge elettorale.

NOBILE dichiara che, se la Costituzione deve valere a garantire un minimo di diritti ai cittadini, essa deve contenere norme precise sui casi accennati dai precedenti oratori.

Se la Sottocommissione non riterrà esauriente la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, se ne potrà adottare un’altra per indicare tutti i casi in questione. Un rinvio puro e semplice alla legge elettorale potrebbe dar luogo ad eventuali arbitrî.

LUSSU ha già fatto notare le difficoltà che si incontrano quando si vuole distinguere tra ineleggibilità e incompatibilità. Si possono infatti avere in preposito idee contrastanti. Così egli non concorda affatto con l’onorevole Ambrosini circa l’affermazione che l’Alto Commissario per la Sicilia o la Sardegna sia ineleggibile: si tratta, a suo avviso, di un vero e proprio caso di incompatibilità.

MORTATI, Relatore, accoglie la proposta fatta dall’onorevole Di Giovanni di includere anche il termine «ineleggibilità» nell’articolo in esame, e ciò perché, come è provato dalla odierna discussione, possono sorgere gravi difficoltà di interpretazione nella distinzione fra ineleggibilità e incompatibilità. Desidera soltanto che si usino due distinte formule per fissare i casi dell’una e dell’altra specie, e propone che la restante parte dell’articolo in esame abbia la seguente formulazione: «altri eventuali casi di ineleggibilità saranno disposti dalla legge. La qualifica di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera. La legge fisserà le altre cause di incompatibilità».

DI GIOVANNI propone la soppressione dell’aggettivo «eventuali» premesso alle parole «casi di ineleggibilità».

PRESIDENTE non ritiene necessaria tale soppressione. Mette quindi in votazione la restante parte dell’articolo nel nuovo testo proposto dall’onorevole Mortati.

UBERTI dichiara di astenersi dal voto, perché non ritiene che sia il caso di introdurre nella Costituzione queste disposizioni.

(È approvata).

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Umberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bozzi, Grieco.

Assenti: Amendola, Castiglia, Finocchiaro Aprile, Maffi, Patricolo, Piccioni, Porzio, Rossi Giovanni.

SABATO 14 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 14 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Ordinamento costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati – Einaudi – Bulloni – Lussu – La Rocca – Zuccarini – Piccioni – Uberti – Nobile – Bozzi – Conti – Fabbri – Mannironi – Porzio – Tosato – Vanoni – Targetti.

La seduta comincia alle 8.15.

Seguito della discussione sull’ordinamento costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mortati a illustrare la mozione da lui presentata insieme con altri firmatari, relativa a talune indagini che si dovrebbero compiere sugli enti locali, e della quale la discussione fu rinviata. Dà lettura del testo della mozione:

«I sottoscritti, considerato

che, in conseguenza della deliberazione, presa dalla seconda Sottocommissione, di dare al nuovo Stato una struttura decentrata, si rende necessario predisporre fin da ora le ricerche necessarie ad adeguare le decisioni che verranno prese sia dalla Costituente, sia dal futuro legislatore sulla materia dell’ordinamento degli enti locali, alle situazioni concrete di questi

che tali ricerche non possono essere affidate ad organi burocratici, nei quali è da presumere un interesse al mantenimento in vita dell’attuale accentramento, rivelatosi così dannoso per un sano sviluppo del Paese;

che analoghe indagini si rendono necessarie in relazione ad una probabile partecipazione delle categorie professionali alla formazione di una delle due camere legislative, onde determinare sia la consistenza sia la ripartizione territoriale degli appartenenti alle categorie medesime

chiedono

che la seconda Sottocommissione deliberi intorno alle misure idonee al raggiungimento dello scopo enunciato».

 

MORTATI ricorda che l’esigenza delle indagini in parola fu già fatta presente al Presidente della Commissione, onorevole Ruini, il quale con molta comprensione ne accolse i criteri e, resosi conto dell’importanza della cosa, diede incarico ad alcuni esperti dell’ex Ministero della Costituente di iniziare le necessarie ricerche. Fu quindi interpellato anche il Comitato incaricato della redazione del testo sull’ordinamento regionale ed esso si è espresso nel senso che le indagini dovrebbero essere limitate a quelle, piuttosto ristrette, che sono possibili nella situazione attuale. Pare infatti che le nostre statistiche economiche e finanziarie non abbiano raggiunto risultati molto importanti nella materia della ripartizione regionale della ricchezza, dei carichi tributari, e della capacità economica delle regioni. Sembra che tali elementi debbano essere raccolti attraverso indagini piuttosto lunghe, di guisa che si presenta il quesito se sia opportuno limitare le indagini stesse a quelle che possono dare risultati immediati o spingerle oltre, anche a costo che non possano più essere utilizzate dalla Commissione, ma solo dal futuro legislatore che dovrà dare consistenza più concreta ai principî fondamentali affermati nella Costituzione. Qualora fosse accettato questo criterio, resterebbe ancora da stabilire chi dovrebbe compiere tali indagini: è da vedere, cioè, se esse debbano essere affidate agli organi burocratici o se invece non sia il caso di fare una specie di inchiesta di carattere parlamentare, sotto la guida dell’Assemblea Costituente, attraverso organi di sua fiducia, muniti dei poteri necessari a vincere le possibili resistenze, determinate da sentimenti spiegabili, se non giustificabili, al decentramento che si vorrebbe attuare col nuovo assetto statale.

Queste sono le considerazioni a cui si è ispirato e per le quali insiste sulla utilità di prendere una decisione espressa e collegiale sulla materia.

EINAUDI sente il dovere di illustrare ciò che è stato deliberato in una riunione del Comitato incaricato della redazione dell’ordinamento sulle autonomie locali, visto che l’onorevole Mortati ha accennato a una deliberazione presa in quella sede.

In una delle sedute del Comitato in questione è stato presentato un lungo memoriale, in cui erano esposti molti punti che sarebbe stato interessante chiarire per giungere a fondate conclusioni intorno al problema delle autonomie regionali. Dall’esame di questo memoriale risulta che esso poteva essere distinto in due parti: vi erano indagini che potevano essere compiute in breve tempo ed altre che sarebbero state molto lunghe. Le prime, che possono essere svolte rapidamente, non sono molto importanti e si riducono al riassunto di dati che sono a disposizione di tutti e possono essere raccolti senza troppa fatica nel Bollettino del Tesoro, negli Annuari Statistici ed in altre fonti note. Si è quindi pensato che una raccolta di tali elementi potesse essere compiuta tanto direttamente quanto indirettamente per mezzo di esperti, perché in fondo, seguendo l’una o l’altra via, il risultato sarebbe stato lo stesso, trattandosi di esaminare, copiare e riassumere elementi da tutti acclamabili.

Circa l’espletamento delle altre indagini l’oratore si professa molto scettico, poiché ritiene che richiederebbero degli anni, talché verrebbero ultimate molto tempo dopo la conclusione dei lavori della Commissione e difficilmente potrebbero dare risultati precisi, per la mancanza di sicuri dati in questo campo. Tutto si ridurrebbe a fare presenti elucubrazioni di carattere statistico, economico e sociologico.

Questa la sostanza delle conclusioni a cui si è arrivati in sede di Comitato: chiedere che siano approntate le statistiche rapidamente conseguibili, tralasciando le altre.

BULLONI domanda all’onorevole Mortati se ha elementi che giustifichino la manifestata diffidenza verso i funzionari incaricati delle inchieste.

MORTATI dichiara che attualmente non ci sono funzionari incaricati delle indagini in parola e che egli ha inteso unicamente sottolineare l’inopportunità di affidarle ai funzionari, preferendo a tale scopo persone di fiducia dell’Assemblea Costituente.

L’onorevole Einaudi dubita che tali indagini possano essere concludenti, il che potrebbe suggerire l’idea di rinunciarvi. Si tratterebbe quindi di vedere se esse possano essere condotte direttamente a Roma, col pericolo di avere come dati conclusivi quelle elucubrazioni statistiche e sociologiche a cui egli ha accennato, o se, invece, non sia possibile rendere tali indagini più concludenti attraverso inchieste decentrate e notizie raccolte sul posto. Personalmente non si sente di esprimere un giudizio: ha sentito infatti dire da taluno che sarebbe possibile giungere a risultati positivi, mentre poc’anzi l’onorevole Einaudi ha sostenuto il contrario. Quello che può affermare è che, se verrà accertata la possibilità di un esito concreto nelle indagini in parola, una decisione a tale proposito dovrà essere presa dalla Sottocommissione. Se si vuole dare una consistenza agli enti regionali, ci si deve preoccupare che essi nascano vivi e vitali: il che implica la necessità di compiere le indagini anzidette. Esse, ad esempio, dovrebbero riguardare anche la determinazione dei confini regionali: è una questione complessa, in merito alla quale si hanno vari criteri, di cui uno è il criterio empirico della regione storica ed un altro quello proposto dall’onorevole Zuccarini, di lasciare cioè la delimitazione dei confini delle regioni alle regioni stesse, il che, a suo avviso, è estremamente pericoloso in una situazione come quella attuale di campanilismo imperante. Secondo il suo parere si dovrebbe addivenire ad una ripartizione stabilita dal centro, basandosi sul criterio della relativa autosufficienza regionale, poiché i più si propongono di dare una certa autonomia finanziaria alle regioni.

PRESIDENTE obietta che è necessario fare una questione pregiudiziale: vedere, cioè, se è compito della Sottocommissione formulare proposte concrete per la risoluzione del problema in discussione o se piuttosto essa debba limitarsi alla affermazione del principio generale dell’autonomia degli Enti locali.

LUSSU fa presente che da oltre un mese, insieme ad alcuni colleghi, ha espresso il desiderio di avere alcuni dati sulla materia in questione ed ha così potuto constatare la riluttanza di alcuni organi burocratici a fornirli.

Ritiene che sia opportuno non creare complicazioni con ricerche che, d’altronde, possono essere in un certo senso eccessive, e in un altro manchevoli: eccessive perché richiederebbero un lavoro di anni, che non avrebbe neppure attinenza con i compiti della Commissione; manchevoli, in quanto non darebbero dati interessanti. Per esaminare il problema da un punto di vista pratico, convinto com’è della necessità per la Commissione di presentare all’Assemblea plenaria uno schema completo in cui, per esempio, siano definiti anche i limiti delle regioni, e poiché certi dati sono indispensabili, propone che alcuni membri della Sottocommissione, fra cui il Presidente e l’onorevole Mortati, prendano contatto con l’onorevole Ruini, per creare un organismo non burocratico e adatto allo scopo, che potrebbe inviare anche delle persone in missione nelle diverse località per raccogliere i dati necessari e che, al termine della sua inchiesta, dovrebbe riferire alla Sottocommissione. Gli sembra che questa sia la via più spedita e pratica che eviterebbe una lunga discussione inconcludente sulla questione in esame.

MORTATI dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Lussu.

PRESIDENTE è d’avviso che sarebbe preferibile che la Sottocommissione brevemente esprimesse la sua opinione sulla questione in esame, di guisa che coloro che eventualmente fossero incaricati di prendere contatti con l’onorevole Ruini fossero investiti di un mandato generico da parte della Sottocommissione. In ogni modo, ciò potrebbe risultare anche inutile, visto che la Sottocommissione, esaminato il problema, potrebbe giungere alla conclusione che in realtà non c’è bisogno delle indagini in parola o anche che la questione in esame non è di sua competenza.

MORTATI osserva che l’onorevole Lussu ha sollevato una questione che attende una precisa risposta: se cioè la Sottocommissione debba presentare un progetto completo e specificato, ovvero uno soltanto generico.

PRESIDENTE torna ad affermare che, a suo avviso, la Sottocommissione non deve presentare un progetto completo, che contempli anche la definizione dei limiti delle regioni, la loro denominazione, ecc. Non gli sembra che tutto ciò possa formare materia di una Costituzione.

LUSSU è del parere che la definizione dei limiti delle regioni e la loro denominazione potrebbero formare oggetto di atti addizionali alla Costituzione.

PRESIDENTE obietta che, per la formulazione degli atti addizionali, di cui ha fatto parola l’onorevole Lussu, l’Assemblea Costituente potrebbe nominare una apposita Commissione.

LA ROCCA ribadisce il pensiero, già espresso nella riunione precedente, che non è compito della Sottocommissione, chiamata a studiare l’organizzazione costituzionale dello Stato e quindi il problema regionale, di entrare in tanti minuti dettagli. La Sottocommissione deve soltanto preoccuparsi di dare un orientamento, un indirizzo generale, senza soffermarsi su tanti particolari che, nella fretta di prendere una decisione, potrebbero anche risultare errati. Ad esempio, se nella Costituzione dovessero essere delimitati in forma eccessivamente rigorosa i confini delle regioni, quando circostanze future consigliassero di apportare alcune modifiche ai-confini già decisi, ciò naturalmente darebbe luogo ad una revisione della Costituzione, il che sarebbe deprecabile. È opportuno quindi non entrare in discussioni che esorbitano dall’ambito della competenza della Sottocommissione, la quale anche nel campo delle autonomie locali deve limitarsi ad affermare principî d’ordine generale, che servano di base per la creazione dell’ente regione.

ZUCCARINI dichiara che quando firmò la mozione era d’accordo con l’onorevole Mortati nel senso che a compiere le indagini necessarie per l’attuazione del sistema regionale fossero chiamati, non già gli uffici burocratici, ma alcune persone di fiducia dell’Assemblea Costituente, ed anche che non dovessero essere predisposti altri lavori oltre quelli che ormai sono stati affidati al Comitato di cui ha fatto cenno l’onorevole Einaudi.

Ora, non si rende conto perché l’onorevole Mortati abbia voluto sollevare una questione che investe un’attività che già si sta svolgendo ed osserva che, se si dovessero compiere le indagini da lui proposte, il lavoro della Sottocommissione praticamente si arresterebbe, mentre entro il 20 ottobre questa deve presentare le sue conclusioni.

Queste le ragioni per cui si oppone a quanto ha proposto l’onorevole Mortati e chiarisce, per quanto lo riguarda personalmente, che la mozione deve intendersi nel senso che, se si rendessero necessari lavori di indagine, questi dovrebbero essere compiuti su incarico della Commissione e non da organi che possano sovrapporsi ad essa, ed anche che le indagini stesse dovrebbero non andare oltre le possibilità e servire allo scopo.

Conclude invitando i presenti a non riprendere la discussione sul tema dell’autonomia regionale. Quando il Comitato presenterà il suo progetto, la questione in esame potrà essere discussa adeguatamente.

PICCIONI desidera sottolineare la necessità che l’istituto dell’ente Regione esca dai lavori della Sottocommissione come qualche cosa di effettivamente realizzabile e, non come una delle solite affermazioni di principio astratte, che poi, poste allo studio per un lungo periodo di tempo presso altre commissioni e sottocommissioni, si risolvono in nulla. Secondo il suo avviso, il mandato della Sottocommissione di elaborare la struttura dello Stato anche nel settore locale e regionale deve intendersi nel senso che occorre dar vita ad un ente Regione con indicazioni ben precise circa la sua attuazione e il suo funzionamento. Per raggiungere questo obiettivo occorre risolvere anche il delicato problema dei confini della Regione perché, se si affida la risoluzione di questo problema ad altre Commissioni e Sottocommissioni, si discuterà ancora per molto tempo senza giungere ad alcuna conclusione. Anche le possibilità finanziarie ed economiche dell’ente Regione devono essere preventivamente stabilite, almeno nelle grandi linee, di modo che esso possa effettivamente funzionare.

Se, per raggiungere questo obiettivo, si renderanno necessari particolari accertamenti, essi dovranno essere effettuati su iniziativa e sotto la direzione del Comitato nominato appunto per redigere un progetto articolato e completo del futuro ordinamento regionale. In questo senso ritiene che debba essere inteso il significato della mozione presentata dall’onorevole Mortati.

UBERTI fa presente che altri dati, oltre quelli confermati nel Bollettino del Tesoro, possono essere forniti dalle Amministrazioni dello Stato, e che in alcune località, come ad esempio nel Veneto, sono stati compiti accurati studi sulle varie situazioni economiche locali.

Dichiara poi d’essere contrario alla mozione Mortati che, se fosse accolta, sarebbe causa di un’eccessiva durata dei lavori d’indagine. Ritiene, quindi, che per il momento dovrebbe essere raccolto tutto il materiale disponibile, non solo quello pubblicato dal Ministero del Tesoro, ma anche quello costituito da tutti gli eventuali altri studi compiuti in questo campo. Fare nuove inchieste in materia costituirebbe non solo una perdita di tempo, ma forse anche un pericolo di rinviare sine die la costituzione dell’ente Regione.

NOBILE dichiara che la competenza di delimitare le regioni non può non spettare all’Assemblea Costituente. Questo compito non può essere affidato alla Sottocommissione, perché il problema è di così grave importanza e complessità che evidentemente l’Assemblea Costituente sarà costretta a creare una speciale Commissione, affidandole il mandato di occuparsi di questo solo argomento. D’altra parte, dati i compiti demandati alla Sottocommissione e il breve tempo che è stato messo a sua disposizione, questa non può essere certamente in grado di assolvere nuovi incarichi.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Mortati nel senso di svolgere tutte le indagini che possano essere effettuate entro i limiti di tempo assegnati, e sempre per iniziativa della Sottocommissione o del Comitato che a tal fine è stato creato. A suo giudizio, però, le indagini che si possono compiere sono assai scarse, perché per la maggior parte dei quesiti posti esse sarebbero talmente complicate che non potrebbero essere esaurite assolutamente entro i limiti di tempo fissati. Per quanto concerne invece le indagini che possono essere effettuate, il sistema migliore gli sembra che consista nell’iniziativa di ognuno degli interessati: ciascuno di essi, previa deliberazione della Sottocommissione o del Comitato di redazione, dovrebbe cercare di ottenere il maggior numero di dati che sia a lui possibile e nella maniera più rapida e precisa. Naturalmente per quanto riguarda i dati relativi alle entrate e alle spese bisognerà rivolgersi al Ministero del Tesoro, non essendovi altra fonte. Tutto al più uno dei componenti del Comitato potrà chiedere maggiori spiegazioni ai funzionari che compilano i dati finanziari, per comprendere quale è il loro significato preciso e non far sorgere dubbi di interpretazione.

Uno dei dati, di cui si è parlato nel Comitato di redazione, è quello relativo al sistema bancario, ossia al rapporto tra i depositi di ogni singola regione e l’impiego che se ne fa nella regione stessa. Questo può costituire uno degli indici più importanti per stabilire la potenzialità economica di ogni singola regione. Per queste ricerche esiste una sola fonte, vale a dire l’Ufficio di vigilanza del credito presso la Banca d’Italia. Personalmente quando ha sentito che questa materia poteva interessare il Comitato di redazione, ha cercato di iniziare la ricerca di questi dati. Già sono pronti i dati relativi agli anni dal 1939 al 1942, che hanno un certo significato. Trascurando i dati del 1943 e del 1944, sui quali non si può fare affidamento, si stanno ora elaborando i dati relativi al 1945, ma sebbene abbia adibito esclusivamente a questo lavoro cinque dei suoi impiegati, non crede che prima di due mesi si potranno conoscere i risultati di tali ricerche. Vi sono infatti dei limiti di tempo che non possono essere superati: basti pensare che bisogna inviare una infinità di lettere a tutte le banche, attendere le risposte, esaminare e controllare i dati, riscrivere in caso di contraddizioni o di eventuali errori. In ogni modo, appena sarà a conoscenza dei risultati provvisori, li comunicherà al Comitato di redazione. Se occorreranno altre spiegazioni, potrà anche far intervenire alle riunioni qualcuno dei suoi funzionari. È inutile dire che mette a disposizione del Comitato stesso tutta l’organizzazione che ha già istituita a questo scopo.

Passa ora ad un punto accennato dall’onorevole Piccioni, col quale è d’accordo. Personalmente, al contrario di quanto hanno affermato l’onorevole Presidente e l’onorevole La Rocca, crede che la delimitazione delle regioni nei loro confini possa essere inserita nella Costituzione, o in un atto aggiuntivo. Ciò a suo parere è essenziale, in quanto è indispensabile, per il funzionamento di ogni buona Costituzione, che siano stabiliti i poteri fondamentali dello Stato. Se si lascia all’arbitrio del legislatore ordinario la delimitazione dei confini delle regioni, si viene certamente a mutare uno degli elementi essenziali della Costituzione e si potrebbe ripetere oggi quello che si è verificato in passato, quando si organizzavano i collegi uninominali ed anche quelli a scrutinio di lista, delimitandoli volta per volta pur di ottenere un determinato risultato elettorale, creando una situazione di favore ad una data corrente di opinioni piuttosto che ad un’altra.

A suo avviso la questione riveste senza dubbio una grande importanza, perché a seconda del modo con cui saranno delimitate le regioni si potranno ottenere risultati politici di diversa portata, con riflessi rilevanti anche sulla composizione della seconda Camera. Pertanto, se la Sottocommissione si vuole effettivamente rendere conto del suo lavoro, è necessario che le regioni siano delimitate fin dall’inizio e che tale delimitazione dei confini abbia valore costituzionale. Se invece la questione sarà rimessa all’arbitrio del legislatore ordinario, la Sottocommissione verrà a mancare ad uno dei suoi precisi doveri, che è appunto quello di fissare in modo chiaro i poteri fondamentali dello Stato.

Si potrà obiettare che oggi non è facile sapere quali siano le regioni auto-sufficienti. A questo proposito esprime l’opinione che è impossibile conoscere a priori l’autosufficienza delle singole regioni che saranno costituite. È questa una impossibilità oggettiva a cui non ci si può sottrarre in nessuna maniera. L’autosufficienza delle regioni si potrà conoscere a posteriori, cioè solo dopo che esse abbiano cominciato a funzionare. Naturalmente tale autosufficienza dipenderà anche dalla prudenza con la quale saranno fissati i compiti delle regioni, perché è ovvio che quanto più numerosi saranno i compiti ad esse attribuiti e tanto meno sarà possibile che esse siano autosufficienti. Se invece alle regioni saranno attribuiti soltanto alcuni determinati compiti, ben precisati, con oneri ristretti, si potrà avere la speranza di creare regioni effettivamente autosufficienti. La delimitazione dei compiti della regione può essere fatta soprattutto da un punto di vista negativo, stabilendo cioè le questioni in cui la regione non deve interferire e lasciando ad essa, fuori di quei limiti, una certa libertà ed autonomia. Compiuto un tale esperimento, se esso avrà dato buoni risultati, nulla potrà impedire che i compiti attribuiti alle regioni siano ampliati.

BOZZI osserva che la discussione si è allontanata alquanto dalle dichiarazioni fatte dall’onorevole Mortati. In sostanza sono affiorate due tesi, le quali fanno intravedere come non sia stata ancora raggiunta una concordanza di vedute sulla disciplina dell’ente Regione. Da una parte gli onorevoli Terracini e La Rocca sono dell’avviso che sia sufficiente inserire nella Costituzione disposizioni d’ordine generale circa la costituzione dell’ente Regione, salvo poi a rinviare le modalità di attuazione alla legge ordinaria. Gli onorevoli Piccioni ed Einaudi desiderano invece che l’ente Regione sia definito persino nei suoi confini nella Costituzione, di modo che esso possa essere in grado di funzionare prontamente.

Personalmente desidera richiamare l’attenzione dei presenti sull’accenno fatto alla possibilità di attribuire la delimitazione dei confini delle regioni alle regioni stesse. Si permette di dubitare di questa possibilità, perché l’ente Regione è un ente territoriale ed il territorio è uno dei suoi elementi costitutivi. Se si rimette la delimitazione del territorio all’ente Regione, che non ancora è nato, si rimette in sostanza a questo ente la sua stessa esistenza; si crea indirettamente la regione facoltativa, perché in tanto la regione si formerà, in quanto avrà determinato i suoi confini, cioè se e in quanto gli abitanti di determinati territori si metteranno d’accordo sulla delimitazione dei confini.

Per quanto riguarda le ricerche, alle quali ha fatto cenno l’onorevole Mortati, è d’accordo che esse si debbano fare, ma non è detto che non possano essere demandate al Comitato incaricato della redazione del testo sull’ordinamento regionale. Non gli sembra quindi opportuno creare nuove Commissioni con l’incarico di procedere ad altre indagini che intralcerebbero l’ulteriore svolgimento dei lavori del Comitato.

CONTI afferma che bisogna evitare che siano creati altri organi burocratici: evitare che intervenga, come si è sentito dire, il direttore generale del Tesoro ed altri funzionari ed ex funzionari.

Le nuove norme che dovranno regolare la vita del Paese dovranno essere semplici e pratiche. A suo avviso il problema è di una semplicità assoluta. È stato già istituito un Comitato per decidere intorno alla competenza, alla configurazione e alle attribuzioni dei futuri enti regionali. È a questo Comitato quindi che deve essere lasciata la facoltà di decidere come debba portare a termine il proprio lavoro.

Circa la raccolta di dati e di elementi di cui il Comitato possa aver bisogno, ritiene che si debba seguire il criterio espresso dall’onorevole Einaudi, quello cioè di affidare l’incarico di raccogliere gli elementi facilmente reperibili o ai membri della Sottocommissione o a chi per loro; per quei dati, poi, la cui indagine esigesse troppo lungo tempo, è del parere che il Comitato dovrebbe rinunziare ad ogni ricerca.

Anche per quanto riguarda il funzionamento dell’ente Regione il pensiero dell’onorevole Einaudi gli sembra chiarissimo: alcune decisioni potranno essere previste a priori, e molte altre invece potranno essere adottate solo dopo che l’ente Regione abbia cominciato a funzionare.

Concorda anche con le affermazioni dell’onorevole Einaudi per ciò che concerne la delimitazione dei confini delle regioni. La regione dovrà già apparire costituita nella Carta costituzionale. In caso contrario si rischierebbe di andare incontro ad incresciosi inconvenienti ed a situazioni ambigue. Prima di arrivare alla formulazione della Carta costituzionale, dovrà essere risolto il problema del modo di delimitazione dei confini. A tale proposito dichiara d’essere d’accordo con l’onorevole Zuccarini, il quale da moltissimo tempo sostiene che le delimitazioni territoriali dovrebbero derivare in parte, se non del tutto, dall’espressione della volontà degli interessati. Se così non si facesse, si creerebbero situazioni difficilissime, tali da arrecare seri fastidi al Governo. Il campanilismo sarà indubbiamente di intralcio in questo campo, ma non può negarsi che spesso anche l’ombra del campanile può essere utile per risolvere determinate questioni. D’altra parte è convinto che dalla concorde volontà delle popolazioni possano venir fuori precise ed utili indicazioni di carattere economico e finanziario.

FABBRI non ritiene proficuo proseguire nella discussione, se non si chiarisce in modo adeguato per quale delle due tesi propenda la Sottocommissione.

Ricorda che in una passata riunione, quando si parlava della regione indipendente, egli ebbe occasione di esprimere il suo pensiero, affermando che si sarebbe dovuto creare un ordinamento regionale e che ogni modificazione alle regioni non dovrebbe essere fatta se non per legge.

In quella occasione aveva anche accennato alla necessità assoluta di fissare per un lungo periodo di tempo un bilancio annuale per le regioni, perché sarebbe impossibile, negli attuali momenti, pensare ad una completa autosufficienza regionale. Era quindi d’avviso di formulare alcuni principî nella Costituzione, ma in modo astratto, salvo a lasciare al legislatore la facoltà di stabilire i principî concreti circa la pratica attuazione dell’istituto dell’ente Regione.

Gli sembra che se la Sottocommissione volesse aderire alla tesi opposta, essa non avrebbe più né tempo né modo di assolvere al suo incarico. Non è certo il caso di affrontare un problema di così vasta importanza come è quello della delimitazione dei confini delle regioni: esso, se è di facile risoluzione per la Sicilia e la Sardegna, non è tale per le altre zone d’Italia; anzi, per le restanti zone d’Italia è un problema di tale essenzialità che, risolvendolo in un modo piuttosto che in un altro, ne potrebbero derivare danni gravissimi per le popolazioni locali.

Se si adotterà il criterio che nella Costituzione debbano essere delimitate le regioni d’Italia e fissate le modalità della loro autosufficienza, si dovrà compiere un lavoro per cui occorrerà certamente un tempo assai più lungo di quello previsto. In questa materia dunque dovrebbe essere presa una decisione ben chiara, se del caso a Sottocommissioni riunite, nel senso di definire se nella Costituzione gli enti regionali debbano essere geograficamente determinati, ovvero se tale compito debba essere affidato al legislatore ordinario.

LUSSU osserva che il dibattito ha un’essenza tecnica e non politica, tanto è vero che egli, favorevole all’ordinamento regionale, si trova d’accordo con l’onorevole Einaudi, il quale non è certo molto propenso alle autonomie locali.

Egli parte dal principio che si debba non perdere, ma guadagnare tempo e non complicare le cose, ma semplificarle. A suo parere tutte le volte che si rinvia una decisione all’Assemblea Costituente, si contribuisce a rendere il lavoro della Costituente assai faticoso e complesso. È necessario presentarsi all’Assemblea plenaria con dati seri e con idee ben chiare: ogni relatore su ogni articolo dovrà essere in grado di rispondere esaurientemente ad ogni obiezione e richiesta di chiarimenti.

Per quanto riguarda la costituzione dell’ente Regione, ravvisa la necessità di avere alcuni dati indispensabili per chiarire le idee. Come ha già detto, egli ha rivolto da tempo, insieme ad altri, colleghi, alcune domande in proposito a vari Ministeri ed Enti pubblici, ma non ha avuto ancora alcuna risposta. Poiché dunque la sua autorità e quella dei suoi colleghi non sembra sia tenuta nella debita considerazione dai burocrati, per avere questi dati necessari è indispensabile creare un organo destinato a raccogliere e fornire ai deputati i dati stessi. Con ciò non intende davvero manifestare la sua propensione per la creazione di un organismo burocratico: ciò che occorre è un piccolo organismo, un comitato che non faccia perdere tempo, la cui composizione potrebbe essere studiata in separata sede.

MANNIRONI ritiene che, per decidere se debba essere approvata oppur no la mozione proposta dall’onorevole Mortati, non sia necessario discutere sui compiti dei nuovi enti regionali in relazione alla formulazione della futura Carta costituzionale. Propone perciò che la Sottocommissione dia pieno mandato agli onorevoli Einaudi e Mortati, di dirigere essi stessi i lavori di ricerca. Se la raccolta dei dati sarà compiuta quando la Sottocommissione avrà già predisposto il progetto della Costituzione, tali dati saranno sempre utili nella discussione che si farà nella Commissione plenaria ed anche in seno all’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE dubita che si possa concludere la discussione con una votazione pura e semplice sulla mozione Mortati, perché molti di coloro che hanno parlato hanno dichiarato di accettarne alcune parti e di non accettarne altre. Osserva inoltre che tutti gli oratori si sono soffermati sulla sua prima parte, mentre nessuno ha parlato sulla seconda, che riguarda le indagini da compiere in relazione ad una probabile partecipazione delle categorie professionali alla formazione di una delle due Camere legislative, per la qual cosa è necessario determinare la consistenza e la ripartizione territoriale degli appartenenti alle categorie medesime.

Desidera poi fare due osservazioni.

Non può, innanzitutto, credere quanto ha affermato l’onorevole Piccioni, e cioè che una norma inserita nella Costituzione possa rimanere inattuata e che pertanto possano trascorrere anni senza che una Assemblea legislativa non si senta impegnata a tradurla in pratica: se si cominciasse a pensare questo, sarebbe meglio rinunciare ad ogni lavoro. Rileva frattanto che la prima Sottocommissione ha votato recentemente alcuni articoli che contengono determinazioni assai più vaghe di quelle della formazione dell’ente Regione; e tuttavia l’oratore ha ferma persuasione che quelle statuizioni avranno pratica applicazione. Per quanto riguarda poi la formazione della regione, essa è così precisa e netta che eluderla significherebbe avere intenzione di eludere tutta la Costituzione.

La seconda osservazione riguarda la validità della discussione finora svolta. Indubbiamente prima di votare la decisione circa la formazione delle regioni, occorre sapere se esse possono o no essere autosufficienti. Ora, già è stato deciso di istituire gli enti regionali e ciò presuppone nella Sottocommissione la persuasione che essi possano essere autosufficienti. E una tale persuasione può bastare. L’indagine sulle risorse finanziarie delle regioni dovevano, se mai, essere fatte prima e alcuni colleghi avevano posto in evidenza tale necessità.

Ricorda che quando il Presidente onorevole Ruini, non per sua iniziativa, ma perché sollecitato da molte parti, avviò ricerche che oggi sembrano limitate, lo fece prima che la Sottocommissione votasse la creazione delle regioni, il che doveva implicare che i membri della Sottocommissione avessero già acquisito nei loro termini generali i dati che oggi molti vorrebbero più specificati. Aggiunge che sul prospetto preparato dal Presidente onorevole Ruini insieme ad altri esperti, tutti hanno fatto le necessarie osservazioni. È già pervenuto un materiale che è il risultato di quelle ricerche e che in un certo senso viene incontro ai desideri manifestati nella presente discussione. Quindi, le esigenze che sono state qui manifestate si presentano con un certo ritardo; a meno che la Sottocommissione non sia d’opinione che occorra affermare nella Costituzione non solo la struttura dello Stato italiano su basi regionali, ma anche la delimitazione in modo preciso dei confini delle regioni.

Il progetto presentato dall’onorevole Ambrosini sulla base delle discussioni svoltesi e delle decisioni adottate non contiene in sé alcun articolo che faccia un richiamo a tale aspetto della questione. L’onorevole Ambrosini ha adempiuto bene il suo compito, perché ha sviluppato i quattro punti votati nelle precedenti riunioni, essendo egli convinto giustamente che il Comitato di redazione non possa aggiungere all’articolazione nulla che non sia stato deciso in forma generale ed in via di principio dalla Sottocommissione.

Conclude dichiarando che quanto ha detto non è altro che una manifestazione del suo pensiero personale: comunque ha ritenuto opportuno farlo conoscere prima di passare alla votazione.

Fa infine presente che, se la mozione Mortati sarà approvata, bisognerà immediatamente affrontare il compito di tradurla in pratica, il che porrà la Sottocommissione di fronte ad estreme difficoltà di lavoro e di organizzazione, perché si dovrà necessariamente creare un nuovo organismo, anche se di troppo vasta portata. In tal caso c’è solo da augurarsi che esso non si ingigantisca, perché ciò metterebbe la Sottocommissione nella situazione di non poter concludere.

MORTATI dichiara che il risultato della discussione finora svolta potrebbe essere concretato in un ordine del giorno così concepito:

 

«La seconda Sottocommissione, preso atto con soddisfazione delle iniziative assunte dall’onorevole Presidente Ruini in ordine agli accertamenti da compiere per rendere possibile la determinazione recente del principio del decentramento regionale; ritenuto che accertamenti del genere rientrano nella competenza della Commissione, la quale ha la responsabilità di predisporre un progetto delineato negli elementi strutturali necessari al funzionamento della futura Costituzione; che, oltre alle ricerche necessarie per l’adempimento del compito immediato demandato alla Commissione, si rende opportuno promuovere una inchiesta parlamentare che raccolga i dati necessari per la futura evoluzione del principio del decentramento onde realizzare questi fini:

1o) adeguazione, quanto più perfezionata tra capacità economica (da potenziare progressivamente) e attribuzioni degli enti locali;

2°) progressivo passaggio di mansioni attualmente affidate all’amministrazione centrale agli enti locali, sia nella forma del decentramento istituzionale, sia in quello del decentramento burocratico;

delibera che il Comitato nominato per lo studio delle autonomie locali, con l’intervento del Presidente della seconda Sottocommissione e del Presidente della Commissione plenaria, proponga i mezzi adatti agli scopi predetti».

 

Quest’ordine del giorno mira a fissare quali debbano essere i limiti delle indagini da compiersi e che dovrebbero avere due scopi. Innanzitutto occorre, secondo quanto ha detto l’onorevole Einaudi, che nella Costituzione siano fissati alcuni elementi che dovranno essere determinati dalla Sottocommissione o dalla Costituente: fra questi elementi è anche la determinazione dei confini. Se si vuole costituire una seconda Camera su basi regionali, occorre che sia delimitato il numero dei suoi componenti e la loro ripartizione secondo il criterio che più sembrerà opportuno alla seconda Sottocommissione.

In secondo luogo, le regioni debbono essere create progressivamente perché non si può credere che esse possano sorgere immediatamente, ed i necessari adattamenti si verificheranno a mano a mano che i compiti dei nuovi enti saranno definiti. Fa presente il pericolo della persistenza dell’accentramento romano, che si risolverà in un continuo ostruzionismo per neutralizzare l’azione decentatrice. Per evitare ciò, bisogna che fin da ora si abbiano i dati necessari per determinare caso per caso, amministrazione per amministrazione, quali possano essere i compiti suscettibili di decentramento con vantaggio dell’amministrazione statale, e nello stesso tempo occorre che la prevista adeguazione fra attribuzioni locali e capacità e potenzialità economica si stabilisca sempre meglio. Al che ritiene possano giovare le indagini in questione, sempre che esse si possano fare con questo duplice scopo: uno immediato che serve direttamente oggi, uno futuro che è bene fin da ora tener presente per mettere il futuro legislatore di fronte ad una situazione ben precisa e consentirgli di prendere le sue determinazioni sulla base di elementi chiaramente accertati. Tutto ciò rende opportuna la costituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare, che, per evitare il pericolo a cui accennava l’onorevole Conti, dovrebbe essere un organismo non burocratico, ma agile e snello e di derivazione parlamentare, a somiglianza di altri organismi che svolsero attività di inchiesta per conto del Parlamento italiano.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mortati se il nuovo ordine del giorno sostituisca la mozione da lui precedentemente presentata.

MORTATI dichiara che la completa.

PICCIONI constata che, dopo la lunga discussione sulla mozione dell’onorevole Mortati si è arrivati a due conclusioni divergenti e che ora dovrebbe essere posto in votazione questo duplice indirizzo emerso dalla discussione.

Quanto al secondo ordine del giorno dell’onorevole Mortati, esso amplia molto la base della discussione e potrebbe essere oggetto di un’ulteriore disamina, tanto più che esso pone il problema dell’inchiesta parlamentare, che merita un approfondito esame. Ritiene che si debba concludere la discussione nei limiti che sono emersi dalla discussione stessa, tenendo presente il primo ordine del giorno. Chiede quindi la sospensiva sul secondo.

MORTATI dichiara che non ha difficoltà a ritirare il secondo ordine del giorno, che è stato da lui presentato perché riteneva che esso potesse costituire un completamento della mozione. Tiene in. ogni modo ad affermare che nel primo comma del secondo ordine del giorno era affermato questo duplice aspetto delle indagini da compiersi: uno immediato e uno futuro.

PRESIDENTE propone all’onorevole Mortati di sopprimere nella sua mozione il comma relativo alla struttura della seconda Camera. Esso potrà essere ripresentato quando la questione sarà sottoposta all’esame della Sottocommissione.

MORTATI non ha difficoltà a ritirare il comma in questione.

PORZIO, associandosi al Presidente e all’onorevole Fabbri, dichiara che voterà contro la mozione dell’onorevole Mortati. Ricorda di essersi astenuto dal voto quando si disse che tutto quello che doveva riguardare il metodo della composizione della Camera Alta sarebbe stato discusso in seguito. Ora la mozione in discussione ripropone quello che avrebbe dovuto essere il tema di una discussione molto più ampia, ed egli, come fu coerente allora astenendosi, deve dare ora voto nettamente contrario. Della questione in esame si potrà parlare a tempo più opportuno.

Voterà contro anche perché la Costituente è stata eletta per fare la Costituzione e non delle leggi speciali e questa Sottocommissione deve presentare uno schema di statuto, fissandovi le linee maestre principali dell’ordinamento statale. Ora, invece, la Sottocommissione vorrebbe fare anche lo statuto delle regioni. E allora, perché non fare anche quelli dei consigli provinciali?

La sola norma da stabilire è che nello Statuto della Repubblica entrino anche le regioni ma quello che potranno e dovranno essere le regioni dovrà essere detto dall’Assemblea con più approfondito esame.

Come diceva l’onorevole Einaudi, il limite di tempo imposto alla Sottocommissione è molto breve, e se si dovessero fare tutte le indagini per accertare le condizioni economiche delle regioni, la loro sufficienza o insufficienza, i loro compiti, e tutto ciò consultando le statistiche e svolgendo inchieste personali, e facendo le necessarie revisioni, sarebbe impossibile formulare il progetto fra un mese, ma occorrerebbe almeno un anno.

Un’altra considerazione desidera fare circa i limiti delle regioni che potrebbero essere determinati seguendo la delimitazione dei distretti delle Corti di appello (a meno che non si voglia risalire alle delimitazioni anteriori al 1848), o quelli dell’Intendenza di finanza. Ma tali ricerche, oltre ad ingolfare la Sottocommissione in una discussione di dettaglio, la porterebbero al di là del proprio compito.

Circa l’inconveniente che sorge dal comma della mozione Mortati relativo alla composizione della Camera Alta su base regionale osserva che si sta avvertendo ora l’assurdo che egli ebbe già prima a segnalare: far nascere i figli prima del padre.

Fa presente inoltre che, se saranno introdotti nella Costituzione dei dettagli, essi un giorno potranno apparire all’Assemblea legislativa superflui o erronei: sarà necessario allora riconvocare un’altra Assemblea Costituente per formulare una nuova Costituzione.

Per queste ragioni ritiene che la mozione dell’onorevole Mortati debba essere respinta e che invece ci si debba affidare a quel Comitato di cui ha fatto cenno il Presidente, che potrà dare dei ragguagli ai quali si dovrà adeguare la decisione della Sottocommissione.

LA ROCCA dichiara che la mozione dell’onorevole Mortati praticamente mira a questo scopo: decidere se dovranno essere compiuti oppur no da parte di elementi estranei alla Commissione alcuni determinati accertamenti. Con meraviglia ha assistito al fatto che la discussione si è notevolmente allargata. Torna pertanto a riaffermare il suo pensiero, vale a dire che gli accertamenti in parola esulano dalla competenza della Commissione. Essa è chiamata soltanto a dare direttive generali programmatiche sulla istituzione dell’ente Regione.

Non è opportuno, quindi, entrare in troppi dettagli che potrebbero domani trovarsi in contrasto con la realtà. Per queste considerazioni dichiara di votare contro la mozione Mortati.

MORTATI fa presente che la sua mozione invitava semplicemente la Commissione a deliberare, onde non può essere posta in votazione.

TOSATO propone di mettere in votazione il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, discussa la mozione dell’onorevole Mortati relativa alla necessità di indagini geografiche, economiche, finanziarie, sociali sugli enti regionali, da condursi anche al di fuori dei normali organi burocratici, accoglie il principio e dà mandato al Comitato di redazione dell’ordinamento regionale di procedere col metodo indicato a tutte le ricerche ed elaborazioni necessarie per chiarire gli elementi occorrenti alle determinazioni concrete indispensabili per un immediato funzionamento dell’ente Regione».

PRESIDENTE prega l’onorevole Mortati di dichiarare se aderisce all’ordine del giorno dell’onorevole Tosato.

MORTATI vi aderisce.

VANONI dichiara di votare in favore dell’ordine del giorno ora presentato, perché gli pare indispensabile arrivare ad una determinazione che porti al funzionamento della regione.

Non era favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, di fare cioè un’indagine di carattere parlamentare, perché le inchieste parlamentari sono lunghe e lente. Si potrà fare in un secondo momento. Invece, se fin dal primo momento si vuole che questo nuovo ente sorga occorre dargli caratteristiche sufficientemente determinate.

È necessario quindi muovere da alcuni elementi concreti, che, secondo il suo avviso, non è difficile raccogliere. Si tratta di elaborare dati già esistenti in statistiche e in censimenti di natura industriale. Tutto questo deve essere fatto sotto la direzione del Comitato di redazione, il quale sa quali siano gli elementi interessanti e in qual modo debbano essere elaborati.

PRESIDENTE pone in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Tosato, dichiarando che voterà contro per le ragioni anzidette.

TARGETTI dichiara di astenersi dalla votazione.

(È approvato).

PRESIDENTE ritiene che la Commissione e il Comitato di redazione non siano impegnati per la questione generale ad attendere eventualmente la raccolta di qualche dato. Frattanto il problema della struttura e del funzionamento dell’ente Regione può essere affrontato e risolto.

La seduta termina alle 10.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Lusso, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Amendola, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Maffi, Ravagnan, Rossi Paolo.

In congedo: Bordon, Grieco.