Come nasce la Costituzione

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SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione Costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Patricolo – Mortati, Relatore – La Rocca – Laconi – Perassi – Di Giovanni – Nobile – Lussu – Ambrosini – Fabbri– Einaudi – Uberti – Tosato – Mannironi – Bozzi – Cappi – Bulloni – Zuccarini – Ravagnan – Codacci Pisanelli.

La seduta comincia alle 8.30.

 

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE invita la seconda Sottocommissione di procedere all’esame dell’attività legislativa della Camera.

PATRICOLO si richiama all’ordine del giorno da lui presentato nella seduta del 6 settembre scorso e nel quale, premesso il principio della divisione dei poteri, si sostiene l’opportunità di sancire nella Costituzione che il Parlamento ha due funzioni distinte: quella legislativa propriamente detta e quella di vigilanza e di controllo, la quale ultima non va intesa come una funzione inerente al potere legislativo in sé, ma come una funzione politica inerente al potere legislativo, in quanto rappresentanza del popolo. Nota, a questo riguardo, che nello Statuto Albertino è fatto cenno solo del potere di accusa della Camera all’Alta Corte di Giustizia e non del diritto di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che vengono riconosciuti invece dal regolamento interno della Camera. Ritiene che sarebbe opportuno farne menzione nella nuova Costituzione per il loro fondamento democratico.

Propone quindi di precisare in un articolo succinto le funzioni del potere legislativo, ammettendo in linea di principio che esso ne ha alcune che sono al di fuori di quelle legislative propriamente dette.

PRESIDENTE osserva che dovrebbe anzitutto decidersi una questione pregiudiziale; se, cioè, nella Costituzione debba inserirsi un articolo con l’elencazione delle funzioni della Camera.

MORTATI, Relatore, precisa che le funzioni del potere legislativo sono due: quella legislativa a quella di controllo ed ispettiva. Implicitamente nella funzione di controllo si sostanzia anche il potere di interpellanza, di interrogazione, di mozione e di inchiesta, che costituiscono quattro aspetti di una stessa funzione.

Per ora crede che sia il caso di occuparsi della funzione legislativa, per poi vedere quali aspetti della funzione di controllo converrà consacrare nella Costituzione.

LA ROCCA sostiene che si dovrebbe in primo luogo affermare il principio che l’Assemblea Nazionale è organo supremo della Repubblica italiana e il potere legislativo è esercitato esclusivamente dal Parlamento e non può essere delegato ad altri organi.

MORTATI, Relatore, nota che ci si trova sempre impigliati nella stessa difficoltà di prendere decisioni intorno a questioni che presuppongono una delineazione complessiva della struttura dello Stato. A suo avviso bisognerebbe stabilire anzitutto quali sono i poteri dello Stato, quale la loro organizzazione e quali le loro funzioni, perché altrimenti questo continuo intreccio fra organizzazione e funzioni determina delle difficoltà inestricabili.

Nei riguardi dell’idea dell’onorevole La Rocca, di stabilire che al solo potere legislativo spetti l’emanazione della legge, osserva che occorrerebbe in primo luogo precisare il modo di formazione del potere legislativo, per poi vedere se e in quanto sia possibile ammettere una delegazione; in altri termini, esaurire tutta la materia della organizzazione, e, in un secondo momento, passare all’esame delle funzioni.

LACONI dichiara che, se la proposta dell’onorevole Mortati lascia impregiudicata la questione della eventualità di introdurre nella Costituzione un articolo in cui siano specificati i poteri e le funzioni della Camera, può essere d’accordo. Conviene infatti che soltanto in un secondo momento, dopo esaurita la parte organizzativa, si potrebbero discutere le funzioni del potere legislativo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(É approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che si potrebbe riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella seduta precedente. Si era iniziato l’esame del potere di inchiesta da parte della Camera e si era concluso che dovesse essere sancito dalla Costituzione. Ora si tratta di vedere se, una volta ammesso il principio, si debbano fissare i criteri organizzativi.

Ricorda al riguardo che egli aveva proposto che, in armonia con la esigenza della protezione delle minoranze, si riconoscesse ad una minoranza cospicua il potere di provocare una inchiesta, indipendentemente dal consenso degli altri deputati. Riconosce che questo potere ispettivo affidato alle minoranze, come tutela nei confronti delle maggioranze che potrebbero non far uso di tale facoltà, costituirebbe una innovazione nei riguardi della precedente legislazione. Sarà pertanto necessario fissare dei limiti per non turbare eccessivamente il buon andamento dei lavori parlamentari, ed uno di questi potrebbe consistere nel richiedere una minoranza non inferiore ad un terzo dei deputati.

In secondo luogo bisognerebbe determinare nella Costituzione i poteri della Commissione d’inchiesta di fronte ai terzi, che altrimenti potrebbero rifiutarsi di fornire le informazioni di cui fossero richiesti.

PERASSI ricorda che si è poc’anzi deciso, in merito all’ordine dei lavori, che si dovesse esaurire l’esame della parte organizzativa. Non comprende quindi come l’onorevole Mortati concilii questa decisione con le sue attuali proposte.

MORTATI, Relatore, ritiene che la questione da lui sollevata rientri nella parte organizzativa, in quanto si tratta di decidere le modalità di organizzazione di Commissioni parlamentari.

Richiama l’attenzione sul fatto che nella riunione precedente ci si è soffermati su di un articolo del progetto Conti che prevede, tra l’altro, la costituzione di Commissioni e si è concluso che non fosse il caso di occuparsene, in quanto che non è opportuno introdurre nella Costituzione delle norme che andrebbero lasciate al potere interno organizzativo della Camera attraverso il regolamento. Viceversa, era sembrato opportuno disciplinare la materia delle Commissioni d’inchiesta perché i loro atti non si esauriscono nell’interno della Camera, ma hanno anche una influenza esterna e richiedono delle norme che determinino i poteri delle Commissioni stesse nei riguardi dei terzi. Sotto questo aspetto la discussione rientra nella parte organizzativa.

DI GIOVANNI ritiene che anche la materia delle Commissioni d’inchiesta sia da rinviare al regolamento. Anche l’attuale regolamento della Camera all’articolo 135 equipara le proposte d’inchiesta alle altre proposte di iniziativa parlamentare, stabilisce le modalità del funzionamento delle Commissioni e prevede anche il caso in cui esse debbano esplicare le loro funzioni all’esterno, stabilendo che i relativi poteri dovranno essere richiesti alla Camera.

MORTATI, Relatore, obietta che la Camera dovrebbe disciplinare questi poteri e facoltà di volta in volta con un’apposita legge.

Orbene, dal momento che occorre una legge per determinare certe deroghe al diritto comune (una deroga, per esempio, potrebbe consistere nello svincolare dal segreto d’ufficio i pubblici funzionari chiamati a deporre in sede di inchiesta), si tratta di vedere se è opportuno che la Camera provochi di volta in volta una legge, o se non sia preferibile che in una legge generale, o nella Costituzione stessa, siano determinate le modalità dell’esercizio del potere d’inchiesta.

Personalmente è di quest’ultimo avviso, sia per dare uniformità di trattamento alla materia, sia per affermare dei principî che può essere opportuno introdurre nella Costituzione, come quello del diritto di una certa minoranza di provocare un’inchiesta anche contro il parere della maggioranza.

NOBILE è pienamente d’accordo con l’onorevole Mortati.

LUSSU rileva che la Sottocommissione si è messa su di una via nettamente antitetica al criterio, adottato in seduta plenaria di Commissione, di creare una Costituzione molta breve ed estremamente semplice.

Quanto al merito, esprime l’avviso che il potere di inchiesta può considerarsi un diritto acquisito, che nessuno penserà di far scomparire dalla vita parlamentare e la cui affermazione e disciplina possono restare nell’ambito regolamentare.

Né ritiene accettabile la forma di tutela delle minoranze proposta dall’onorevole Mortati. Con tutto il rispetto che si può avere per le minoranze, pensa che esse potrebbero finire per sabotare la maggioranza e gli stessi fondamentali principî della democrazia. Se si vuole evitare uno stato di anarchia, la maggioranza deve dirigere la Nazione, con rispetto, s’intende, della minoranza che potrà in seguito divenire a sua volta maggioranza.

DI GIOVANNI concorda con l’onorevole Lussu ed aggiunge che la Costituzione dovrebbe essere un’enunciazione di principî stilata in forma epigrafica.

Nel merito, non trova fondata la preoccupazione dell’onorevole Mortati. I precedenti parlamentari insegnano che solo in casi gravissimi il Parlamento ha deliberato delle inchieste. Non ci sarà niente di strano se esse resteranno equiparate alle altre proposte di iniziativa parlamentare previste dal regolamento e la Camera di volta in volta emetterà una legge che determini le funzioni della Commissione ed i suoi poteri di fronte ai terzi.

PATRICOLO si associa agli onorevoli Lussu e Di Giovanni, circa l’opportunità di non appesantire la Costituzione, ma condivide l’opinione dell’onorevole Mortati che la questione non può essere risolta soltanto in sede di regolamento. In Italia è stata sempre avvertita la necessità di una legge generale che disciplinasse la materia nel suo complesso. Ricorda, ad esempio, che durante l’altra guerra, in occasione di un grosso scandalo, apparve la difficoltà di funzionamento della Commissione di inchiesta all’uopo nominata, di fronte al rifiuto della pubblica amministrazione di fornire i necessari elementi di indagine.

Se il diritto d’inchiesta è uno dei quattro aspetti della funzione politica di controllo, una volta affermato nella Costituzione questo potere del Parlamento, sarà compito di una legge particolare stabilirne r limiti e le modalità di esercizio.

AMBROSINI pone la questione in questi termini: se una Commissione d’inchiesta nominata dalla Camera, abbia, oppur no, poteri tali da obbligare non solo i funzionari delle pubbliche Amministrazioni, ma anche qualsiasi cittadino, a rispondere alle domande che essa credesse opportuno di rivolgergli. Se si ritiene che per questo occorra una legge speciale, è superfluo parlarne in questa sede, perché il legislatore di volta in volta che nomina una Commissione può attribuirle i poteri necessari. Se, invece, la Commissione è nominata da una sola Camera e non da tutto il potere legislativo, occorre stabilire nella Costituzione che la Camera ha il diritto di inchiesta che esercita a mezzo di Commissioni, le quali hanno i poteri che competono agli organi giudiziari.

PATRICOLO osserva che, portando al paradosso quello che ha detto l’onorevole Lussu, si potrebbe pensare che le stesse difficoltà che sorgono per il diritto di inchiesta possano verificarsi anche per il diritto di interpellanza, di interrogazione e di mozione; perché il potere esecutivo anche in questi casi potrebbe rifiutarsi di rispondere. Si chiede di stabilire se è necessario fissare nella Costituzione il diritto d’inchiesta. In caso affermativo, potrebbe pensarsi che la stessa necessità sorga per il diritto di interpellanza, di interrogazione o di mozione.

AMBROSINI osserva che tali diritti sono insiti nell’essenza stessa della Costituzione. Ma avviene per questi quello stesso che avviene per la funzione di sindacato sul Governo, che si concreta a mezzo di una mozione di sfiducia: per esercitarla la Camera deve seguire la procedura necessaria per arrivare ad un giudizio e può quindi interpellare il Governo per avere spiegazioni sul suo operato.

FABBRI è d’accordo con l’onorevole Ambrosini, ma osserva che la questione si è spostata. L’onorevole Mortati ritiene che un terzo dei componenti la Camera debba avere il diritto di provocare un’inchiesta e che, deliberata la nomina della relativa Commissione, questa debba essere investita di determinati poteri anche in confronto ai terzi. Si domanda come ciò possa accordarsi con i diritti della maggioranza. Non contesta il diritto di inchiesta nei rappresentanti del popolo, che è poi un diritto di controllo e costituisce una garanzia di ordine democratico; ma osserva che se si afferma che una minoranza può imporla, si viene a formulare nella Costituzione un principio per cui alla minoranza si riconosce un diritto superiore a quello della maggioranza.

EINAUDI esprime, in aggiunta alle osservazioni degli onorevoli Ambrosini e Fabbri, un dubbio.

Non si può discutere il potere della Camera di fare un’inchiesta, altrimenti la potestà legislativa sarebbe diminuita nel suo valore, in quanto la Camera potrebbe esser posta nella condizione di dover legiferare senza piena conoscenza dei fatti. Si deve però tener presente che le inchieste possono essere di diversa natura. Ve ne sono alcune che hanno semplicemente lo scopo di informare il legislatore: ricorda, ad esempio, quella sul corso forzoso del 1866; la grande inchiesta doganale, fatta attraverso interrogatori per tutta Italia, nel 1874-76; la grande inchiesta agraria del 1881, ai cui atti si ricorre ancora come fonte di informazioni sulle condizioni dell’agricoltura italiana; l’inchiesta sui contadini del Mezzogiorno prima della guerra mondiale ed altre ancora. Non crede che per simili inchieste sia necessario un provvedimento legislativo speciale o che si possa mettere in dubbio la loro legalità. Ma vi è un altro tipo d’inchiesta, che ha stretta attinenza con la giustizia ed ha un carattere nettamente giudiziario; ad esempio quelle sulla Banca Romana, sul Palazzo di giustizia, sulle spese di guerra, sull’amministrazione delle città di Palermo e Napoli.

Questo premesso, si domanda se si deve porre nella presente sede la questione di come organizzare il potere di inchiesta con carattere giudiziario. Rileva che si è solennemente affermato che ogni cittadino non può essere portato se non dinanzi ai suoi giudici naturali: ora, se non saranno stabilite norme relative a questo potere d’inchiesta con carattere giudiziario, potrà una delle due Camere modificare questo diritto fondamentale del cittadino? Se non si determina con precisione questo potere nella sua attinenza con l’esercizio della giustizia, potranno sorgere dubbi del genere di quelli da lui prospettati.

UBERTI osserva che oltre ai due tipi di inchiesta di cui ha parlato l’onorevole Einaudi, ve ne è un terzo che può essere stabilito, appunto, con la proposta Mortati. In un regime essenzialmente democratico, in cui le minoranze possono porre determinati problemi che investano tutta la vita nazionale, crede che non si possa negar loro il potere di rivendicare, in condizioni determinate, anche se la maggioranza non consenta questo diritto d’inchiesta. Il carattere peculiare della richiesta dell’onorevole Mortati è questo, che anche le minoranze possano domandare che sia fatta una determinata inchiesta, ed egli crede che debba essere riconosciuto questo diritto alle minoranze, tanto più che nel caso in esame non si tratta di una minoranza qualsiasi, ma di una minoranza qualificata.

Osserva infine che, se si accettasse il criterio esposto dall’onorevole Di Giovanni, la Camera non avrebbe più la possibilità di determinare da sola il potere d’inchiesta, poiché questo dovrebbe essere attuato attraverso una legge con il concorso degli altri organi legislativi.

LA ROCCA osserva che le questioni sono due: una relativa al diritto di controllo e di inchiesta da attribuirsi alla Camera; l’altra relativa al diritto di una minoranza della Camera di provocare un’inchiesta, la cui utilità sia determinata dalle contingenze del momento.

Crede che la Costituzione non debba contenere norme troppo particolari, ma soltanto porre la base giuridica per l’attività futura degli organi legislativi competenti. Ora, nessuno può mettere in dubbio il diritto di inchiesta, poiché entra nell’orbita dei poteri dell’organo legislativo, che non può limitarsi all’approvazione delle leggi, ma deve poter esercitare un controllo politico su tutta la vita della Nazione. Quanto al modo di proceder in determinate indagini, lo si stabilirà volta per volta e crede che ciò debba rientrare nella sfera del regolamento.

TOSATO dichiara di essere decisamente favorevole alla proposta Mortati, la quale implica una questione di forma ed una di sostanza.

Quanto a quella di forma, rileva che si è manifestato un grave dissenso. Si afferma che la Costituzione deve essere breve e contenere soltanto affermazioni di principio; ma la concezione della brevità della Costituzione è, a suo avviso poco progressista, perché la Costituzione deve disciplinare tutti i problemi che hanno importanza costituzionale. Nello Stato moderno, il quale sta estendendo notevolmente la sua attività politica ed economica, il potere d’inchiesta assume grandissima importanza, e poiché l’esercizio di questo potere, non essendo esplicitamente considerato nella precedente Costituzione, ha dato luogo a gravi difficoltà, la Costituzione non può non occuparsene. Né si può rinviare questa materia al Regolamento, perché con il Regolamento non si può disciplinare il potere d’inchiesta della Camera rispetto ai terzi.

È stato detto dall’onorevole Praticolo che una legge potrà regolare il potere d’inchiesta fissato, in linea di massima, dalla Costituzione. Ma qui sorge il problema della sostanza; perché, col rinvio ad una legge si evita la questione, sollevata dall’onorevole Mortati, se convenga o meno attribuire alle minoranze il potere di ottenere una inchiesta su un determinato oggetto.

Non crede che abbia fondamento il timore che le minoranze potrebbero ostacolare i poteri della maggioranza, perché il potere d’inchiesta è un aspetto del potere di controllo che le minoranze esercitano anche nello svolgimento dell’attività legislativa. Questo potere di controllo è proprio delle minoranze, e non paralizza l’Attività del Governo, perché una cosa è controllare il Governo e altra governare. Come una minoranza qualsiasi può presentare interpellanze e mozioni a fini di controllo, così essa deve poter provocare anche un’inchiesta. Sotto questo aspetto gli sembra giustificata la richiesta dell’onorevole Mortati di inserire nella Costituzione il riconoscimento di questo diritto delle minoranze: è un aspetto nuovo e sostanziale di quello che deve essere la Costituzione, la quale deve garantire la maggioranza, ma riconoscere anche i diritti delle minoranze.

Ritiene che opportunamente l’onorevole Einaudi abbia distinto due tipi di inchiesta: vi sono inchieste che hanno solo scopo informativo, e queste non dànno luogo a difficoltà; ma ve ne seno altre, che possono determinare particolari rapporti di carattere giudiziario. A più forte ragione pertanto si deve riconoscere l’opportunità di ammettere questo potere delle minoranze: con l’estensione dell’attività dello Stato, il Parlamento è investito di questioni di Carattere economico e industriale; domani si parlerà di nazionalizzazioni; e la minoranza non può non avere il diritto di provocare un’inchiesta su determinate aziende statali. Crede perciò che si debbano regolare costituzionalmente i poteri delle Commissioni d’inchiesta, che esulano da quelli normali della Camera.

LACONI non è favorevole alla tesi prospettata dall’onorevole Lussu che la Costituzione debba essere breve, perché pensa che la democrazia italiana non è sufficientemente ricca di tradizioni. Ma non può concordare con l’onorevole Tosato, il quale ha mostrato di ritenere che una Costituzione dettagliata sia per ciò stesso una Costituzione progressista. La Costituzione deve essere breve solo per quanto possibile, aperta, elastica, e deve fare, più che al passato, riferimento al futuro.

Vi è una serie di questioni che potranno essere assorbite dalla futura discussione sui poteri della Camera; ma è necessario che si precisi il pensiero della Sottocommissione in ordine al potere di inchiesta della Camera, e che questo potere sia affermato nella Costituzione. Ritiene però che l’eventuale diritto di una minoranza a provocare un’inchiesta dovrebbe essere rimandato al Regolamento della Camera.

NOBILE, d’accordo con l’onorevole Tosato, osservando che le funzioni dello Stato si vanno sempre più estendendo, afferma che il principio del diritto di inchiesta deve essere sancito nella Costituzione. Trova anche opportuno che questo diritto sia riconosciuto ad una minoranza qualificata.

MORTATI, Relatore, non comprende come ad una proposta di carattere generale si possa opporre la necessità di una formulazione breve della Costituzione. Se una norma ha rilevanza costituzionale, deve trovare una corrispondente affermazione nella Costituzione. Di fronte ad una proposta si tratta di stabilire se essa risponda o non risponda ad esigenze politiche, e non le si può opporre la prevenzione della brevità della Costituzione.

MANNIRONI, agli argomenti esposti dall’onorevole Tosato, aggiunge che varie altre Costituzioni hanno sancito il principio del potere di inchiesta. A suo avviso, la Sottocommissione dovrebbe, a proposito della questione in esame, conformarsi a quanto è stato già deciso circa il diritto di autoconvocazione: se si è riconosciuto alle minoranze il diritto di provocare una riunione dell’Assemblea, non vede perché non si dovrebbe ammettere analogo diritto nei riguardi dell’inchiesta.

BOZZI, aderendo alle osservazioni degli onorevoli Mortati e Tosato, propone la seguente formula:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di una inchiesta parlamentare.

«La Commissione d’inchiesta svolge la sua attività procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

LUSSU nota il carattere rivoluzionario, nei confronti delle abitudini e tradizioni parlamentari, del principio per cui una minoranza potrebbe provocare delle inchieste anche contro il parere della maggioranza, ed osserva pure che un principio simile difficilmente potrebbe trovar posto nel Regolamento, in quanto capovolge il criterio democratico della vita parlamentare. Questo principio servirebbe non tanto a tutelare le minoranze, quanto a dar loro la possibilità di sabotare la maggioranza. Non si può temere che, ove sia sollevato uno scandalo, la maggioranza resti insensibile, e ciò per ovvie ragioni di carattere morale, e in realtà nei dibattiti parlamentari su inchieste sempre si sono manifestate l’imparzialità e la rettitudine sia della destra che della sinistra. Oggi, poi, una coscienza democratica presiede alla ricostruzione dello Stato. Viceversa, ove si facilitasse eccessivamente la possibilità per le minoranze di provocare inchieste, l’acredine delle posizioni di partito potrebbe spingerle a creare imbarazzi continui alla maggioranza e al Governo. La proposta Mortati richiama con preoccupazione alla memoria la disposizione della Dieta polacca per cui il voto di un solo membro poteva impedire l’approvazione di una legge; disposizione che determinò l’anarchia.

E un altro inconveniente potrebbe verificarsi. Quando la minoranza provocasse un’inchiesta, la determinazione dei poteri della Commissione sarebbe rimessa al Parlamento, e in questa sede la maggioranza potrebbe vendicarsi della minoranza, negando alla Commissione tutti i poteri di cui essa avrebbe bisogno per espletare il suo mandato.

Conclude dichiarando di non condividere l’eccessiva simpatia di alcuni colleghi per la Costituzione austriaca che, a suo avviso, può sedurre l’acume e la preparazione culturale di un tecnico del diritto, ma lascia assai scettici i politici che non vi trovano l’esplicita consacrazione di quei principî politici fondamentali che una Costituzione deve contenere.

AMBROSINI dissente dall’onorevole Lussu. A suo avviso una minoranza qualificata non potrà sabotare l’azione della maggioranza attraverso il potere d’inchiesta, che ha per scopo e si esplica in una azione di accertamento. Non si tratta di inficiare un principio di azione di Governo, ma di promuovere un accertamento di fatto, che può condurre ad una maggiore conoscenza dei fatti e ad un giudizio più sicuro sull’azione del Governo e sullo stesso orientamento politico dello Stato.

Crede che l’ordine del giorno Bozzi risponda allo scopo, senza contrastare con le esigenze di governo, e fa presente che, se si accettasse il punto di vista dell’onorevole Lussu, si dovrebbe senz’altro condannare il principio stesso della proporzionale, che mira esso pure alla protezione delle minoranze.

CAPPI, prendendo lo spunto dalle parole dell’onorevole Ambrosini, propone un’aggiunta alla formula dell’onorevole Bozzi, nel senso di stabilire che le Commissioni d’inchiesta debbano essere costituite con il sistema della rappresentanza proporzionale; altrimenti risulterebbe illusoria la facoltà concessa alle minoranze.

BULLONI rileva che gli argomenti dell’onorevole Ambrosini non eliminano la preoccupazione che col potere di inchiesta una minoranza possa svolgere un’attività sabotatrice od ostruzionistica nei confronti del Parlamento e del Governo, che è l’espressione della maggioranza.

Non va dimenticato che in definitiva esiste un giudice di seconda istanza, che è il popolo. Se la minoranza proporrà un’inchiesta fondata su motivi profondamente sentiti dal popolo, non sarà certo la maggioranza che vorrà impedire l’espletazione di un’indagine; ma, se dovesse avvertire che l’istanza nasconde fini obliqui, la maggioranza che rifiuterà l’esperimento dell’inchiesta sarà assistita e confortata dal popolo, il quale rileverà, attraverso il pubblico dibattito e la stampa, l’infondatezza della richiesta della minoranza.

Propone perciò di stabilire che la richiesta può partire da un terzo dei deputati, ma deve essere approvata dalla maggioranza.

PRESIDENTE obietta che una simile disposizione sarebbe incongruente, perché la semplice richiesta può essere fatta anche da un solo deputato.

LAGONI chiede che il primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Bozzi sia votato per divisione, perché sull’inciso «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri» può esservi dissenso.

PRESIDENTE, accedendo alla richiesta, pone ai voti la formula: «La Camera può disporre l’esecuzione di un’inchiesta parlamentare».

LUSSU e DI GIOVANNI dichiarano che voteranno contro, pur riconoscendo il diritto della Camera di provocare inchieste, unicamente perché ritengono che la Costituzione non sia sede opportuna per una norma del genere.

(È approvata).

TOSATO prospetta l’opportunità di specificare anche l’oggetto dell’inchiesta.

FABBRI concorda. A suo avviso il potere andrebbe limitato alle inchieste sulle amministrazioni statali e parastatali, escludendo gli affari privati.

BOZZI ritiene che non dovrebbero esservi limiti al potere d’inchiesta e propone la formula: «su materie di pubblico interesse».

PRESIDENTE pone ai voti la formula: «con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri».

(È approvata).

Pone ai voti l’insieme del primo comma che, con l’aggiunta proposta dall’onorevole Bozzi, risulta così concepito:

«La Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre l’esecuzione di un’inchiesta su materie di pubblico interesse».

(È approvato).

Pone in discussione il secondo comma dell’articolo:

«La Commissione d’inchiesta svolge da sua attività, procedendo agli esami e alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti della autorità giudiziaria ordinaria».

CAPPI ricorda il suo emendamento che potrebbe concretarsi nell’aggiunta alle parole: «La Commissione d’inchiesta», delle altre: «che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera».

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma che, con l’emendamento Cappi, risulta così formulato:

«La Commissione d’inchiesta, che dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera, svolge la sua attività, ecc…».

(È approvato).

Avverte che si dovrebbe ora prendere in esame la sua proposta di una Giunta permanente, concretata nei seguenti termini:

«Elegge, ogni anno, all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente, presieduta dal Presidente della Camera, composta di trenta deputati, con il mandato di procedere, nella vacanza del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame e all’approvazione in via di urgenza di progetti di legge del Governo».

FABBRI ricorda che la Sottocommissione ha già esclusa la funzione legislativa di una delegazione di una Camera sciolta, limitando la questione alla opportunità o meno di mantenere in funzione un organo per l’insediamento della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che la Giunta da lui proposta potrebbe avere il suo utile funzionamento, non solo dopo lo scioglimento della Camera, ma anche nella sua vacanza per sospensione dei lavori o per aggiornamento.

ZUCCARINI è contrario alla creazione di una Giunta permanente, cui sarebbero affidati dei compiti che devono invece essere assolti esclusivamente dall’Assemblea.

Oggi ci si è abituati all’idea che il Governo fa le leggi, le approva e le rende esecutive, ma tutto questo non deve più verificarsi in avvenire: non deve esserci una legge che non sia approvata dalla Camera. Il potere esecutivo deve essere il mandatario del potere legislativo. Pertanto, quell’abitudine non può trovare riconoscimento, sia pur limitato, nella Costituzione, perché ciò farebbe rinunciare la Camera alla sua funzione essenziale.

PRESIDENTE fa presente che un solo concetto ispira l’articolo: l’urgenza. Crede che il sistema sia accettabile per evitare il male dei decreti-legge, senza mettere il Governo in condizioni di non poter funzionare in determinati momenti.

MORTATI, Relatore, osserva che l’articolo, come è formulato, conduce necessariamente all’esame del principio della ammissibilità della decretazione di urgenza.

Quanto al merito si associa all’onorevole Zuccarini. Che il Governo sia costretto in casi eccezionali e straordinarissimi a prendere un provvedimento all’infuori delle Camere, è una eventualità ammissibile e il quesito che si deve porre è se sia il caso di legalizzare questa eventualità.

Intanto bisognerebbe considerare se la vacanza della Camera sia dovuta a scioglimento o ad aggiornamento. Nell’ipotesi dell’aggiornamento, ritiene che a parte i decreti-catenaccio, per i quali neanche la Giunta potrebbe servire, tutti gli altri casi possono essere affrontati e risolti (nell’epoca degli aeroplani, del telegrafo e dei treni lampo) in regime di Parlamento, attraverso una convocazione straordinaria.

Rileva che di tutti i decreti-legge che la storia parlamentare ricorda, solo una percentuale minima è giustificata dall’urgenza; in tutti gli altri casi questa è un pretesto che il Governo, e per esso la burocrazia, usa per decretare a sua volontà. Contro questo cattivo uso del potere esecutivo bisogna reagire, vietando al Governo l’emissione autonoma di qualsiasi provvedimento di urgenza. Se il Governo non potesse fare assolutamente a meno di prendere un provvedimento del genere, lo farà sotto la sua responsabilità e potrà ottenere come si dice in Inghilterra un bill d’indennità. Ma egli teme che, accogliendo la proposta dell’onorevole Conti, si corra il pericolo di estromettere il Parlamento proprio dalla sua funzione caratteristica che è quella di legiferare.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione debba prima deliberare sul principio se ammettere o no la decretazione di urgenza.

BOZZI esprime il parere che, in linea di massima, dovrebbe essere vietata al Governo questa facoltà, che è stata una delle piaghe del nostro Paese e che in periodo di Camera aperta è assolutamente inammissibile. L’onorevole Conti propone in sostanza un temperamento, per il quale, a Camera chiusa, anziché convocare l’Assemblea plenaria, si riunirebbe una Giunta permanente; ma egli non può accedervi. Potrebbe ammettere questa Commissione come organo di preparazione, di studio, di indagine, ma non come organo deliberativo, perché la deliberazione deve rimanere funzione della Camera. Al massimo si potrebbe consentire un’eccezione per i decreti-catenaccio.

EINAUDI dichiara che non da oggi soltanto egli è per il divieto assoluto della decretazione d’urgenza e, senza alcuna eccezione, neanche per i decreti-catenaccio, dei quali nega qualunque giustificazione. Se nel campo fiscale-tributario si temono possibili inconvenienti, spetterà all’amministrazione di ricorrere agli opportuni accorgimenti per evitarli.

FABBRI richiama l’attenzione sul caso delle imposte di fabbricazione, per le cui variazioni di tariffa il decreto-catenaccio potrebbe essere giustificato dallo scopo di impedire facili frodi.

EINAUDI ripete che all’Amministrazione finanziaria non manca il modo di evitare queste frodi, ricorrendo, ad esempio, alle risultanze delle giacenze e a quelle dei registri di carico, e scarico e delle lavorazioni, ormai obbligatori in tutte le fabbriche soggette a controllo fiscale.

NOBILE è pure contrario ad ogni decretazione di urgenza, perché è sempre possibile convocare tempestivamente il Parlamento, data la odierna rapidità dei mezzi di comunicazione.

PATRICOLO chiede ai vecchi parlamentari, che fanno parte della Commissione, se non credono che vi siano casi di vera ed assoluta urgenza nei quali occorre legiferare senza avere il tempo di riunire l’Assemblea. Trova convincenti le argomentazioni degli onorevoli Zuccarini e Mortati, ma non crede che la Giunta proposta dall’onorevole Conti debba essere svalutata. Certo, si deve rispettare il principio che il potere esecutivo non abbia la facoltà di emettere decreti; ma il principio stesso non può considerarsi violato se il potere legislativo delega ad una sua, sia pur modesta, rappresentanza di intervenire eccezionalmente con provvedimenti di urgenza per fronteggiare le conseguenze di avvenimenti impreveduti (come ad esempio terremoti od altre calamità) o provvedere a necessità impellenti di politica tributaria.

LUSSU non nasconde la sua perplessità di fronte alla importanza del problema. Antico assertore della assoluta ed esclusiva prerogativa del Parlamento nel campo della legislazione, crede di dover rettificare alquanto questo suo modo di vedere, in seguito alla sua recente esperienza di Governo. All’onorevole Einaudi, che si è richiamato a principî di liberalismo puro, osserva che la vita moderna ha esigenze democratiche più che liberali: essa è così piena di problemi urgenti che non si può negare che vi sono casi in cui il Governo è obbligato ad intervenire immediatamente. Vero che la Camera potrà essere convocata in breve termine, e ciò potrà avvenire per questioni importanti; ma vi sono infiniti piccoli problemi per i quali non si può convocare il Parlamento e che d’altra parte richiedono immediatezza di decisione, se non si vuole intralciare l’opera del Governo.

È quindi perplesso e ritiene che il principio rigido dell’ostilità alla decretazione d’urgenza dovrebbe essere attenuato. D’altronde gli sembra che la proposta dell’onorevole Conti di creare una Giunta, in cui siano rappresentate le varie correnti politiche, costituisca una garanzia. Delegherebbe quindi a questa Giunta la facoltà di decidere se il provvedimento è veramente urgente.

UBERTI osserva che, nella complessità dei problemi che possono presentarsi, ve ne sono molti che hanno un carattere locale e quindi potranno rientrare nella competenza delle Assemblee regionali: di fronte a questa osservazione spera che la perplessità dell’onorevole Lussu sarà superata. Inoltre fa presente che un atteggiamento spirituale diverso deve ormai improntare la vita politica del Paese. Certo si governa più facilmente e più rapidamente senza l’approvazione della Assemblea, in cui possono sorgere ostacoli od opposizioni; ma è proprio in questo che si rivela e si afferma la vita democratica: in materia di leggi il Governo non deve agire senza il preventivo consenso dell’Assemblea legislativa. Contesta che non si possa governare senza ricorrere alla decretazione d’urgenza, e ricorda che in passato vi sono state leggi che, presentateci Parlamento con carattere d’urgenza, sono state nella stessa seduta approvate, con una relazione orale, dalla Camera e talvolta anche dal Senato nella giornata medesima. Quindi si può e si deve mutare il sistema. Ricorda che dal 1921 si cominciò a legiferare per decreto-legge, malgrado una vera insurrezione contro questo sistema, e così, con l’andare del tempo, ci si è talmente abituati ad esso che sembra quasi impossibile governare senza farvi ricorso. Ma è appunto questo il sistema che deve essere capovolto: deve essere negata al Governo la facoltà di decretare d’urgenza ed il Governo, come ha osservato l’onorevole Einaudi, ha il modo per trarsi d’impaccio anche nei casi più complicati e difficili senza ledere questo principio, che deve rimanere integro ed assoluto.

RAVAGNAN confessa che la rigida formulazione di questo principio è seducente, ma le osservazioni dell’onorevole Lussu fanno pensare che la questione debba essere ricondotta nei suoi termini pratici. Occorre preoccuparsi del come provvedere a legiferare in caso di riconosciuta urgenza nel periodo di sospensione dei lavori parlamentari. Pertanto bisogna o abolire le vacanze del Parlamento o ridurle al minimo, o creare un organismo che provveda alla continuità dell’attività legislativa.

MORTATI, Relatore, non nega il fondamento delle riserve che l’esperienza di Governo ha suggerito all’onorevole Lussu, ma desidererebbe sapere da lui se tutti i provvedimenti portati alle riunioni del Consiglio dei Ministri quando egli ne faceva parte rivestissero un effettivo carattere di urgenza o non fossero gabellati per tali dai direttori generali che li improvvisavano all’ultimo momento, concorrendo a formare quella legislazione tumultuaria, caotica e contraddittoria di cui tutti i cittadini sono vittime.

Nel caso di pubblica calamità, per cui anche il termine più breve per la convocazione dell’Assemblea potrebbe riuscire di danno, il Governo, sotto l’incalzare della necessità, potrà ricorrere a provvedimenti che, a stretto rigore, dovrebbero ritenersi illegittimi, ma che avranno applicazione di fatto almeno fino a quando un giudice non ne riconoscerà l’illegittimità. È questo l’espediente dotato in Inghilterra, dove il Governo chiede, caso per caso, al Parlamento di essere esonerato da ogni responsabilità col cosiddetto bill d’indennità. Non è poi da escludersi che in sede di Costituzione o di regolamento si possano imporre termini ristretti per la trasmissione di progetti urgenti e per abbreviare la procedura parlamentare di approvazione delle leggi.

Insiste pertanto nella proposta di abolire la decretazione di urgenza. Per i decreti-catenaccio confessa di rimanere alquanto perplesso, ma si arrende alla competenza dell’onorevole Einaudi circa gli accorgimenti ai quali la pubblica amministrazione potrebbe ricorrere per ovviare alle dannose conseguenze che deriverebbero da ritardi e dalla pubblicità nell’emanazione dei provvedimenti.

TOSATO è anch’egli contrario alla decretazione d’urgenza per ragioni teoriche generali e per ragioni di carattere particolare. Ricorda che è nella teoria controverso se l’istituto dell’urgenza sia fonte di diritto: alcuni lo negano in ogni caso, altri quando manchi il riconoscimento del carattere di urgenza nel provvedimento. Anche se la facoltà della decretazione di urgenza viene limitata, la questione non è risolta; onde crede più opportuno o andare incontro alla pratica invalsa, o stabilire esplicitamente che l’istituto della decretazione di urgenza è escluso.

È contrario, anche per ragioni di carattere pratico, alla nomina della Giunta permanente proposta dall’onorevole Conti. Infatti, o essa è investita di poteri legislativi, ed allora l’attività legislativa sarà concentrata nel periodo di sospensione dei lavori dell’Assemblea e diventerà assorbente; o si conferisce a questa Giunta soltanto il potere di stabilire se il provvedimento rivesta o no carattere di urgenza, ed allora dalla maggioranza della Giunta il Governo otterrà sempre l’autorizzazione ad emanare il provvedimento e la minoranza non conseguirà altro risultato che di intralciare e ritardare l’emanazione del provvedimento stesso.

Ammette piuttosto che si possa escogitare una procedura abbreviata per i casi di vera urgenza.

Quanto ai decreti-catenaccio, ritiene che la questione sia piuttosto delicata e connessa con un problema di carattere più generale: quello dei rapporti fra Cantera e Governo rispetto alle funzioni dell’Amministrazione finanziaria, sì che sarà bene esaminarla in una fase successiva.

NOBILE ripete che nessun provvedimento avrà mai tale urgenza che non si possano aspettare nemmeno tre giorni, quanti oggi ne potranno occorrere per una decisione, anche se il Parlamento dovesse essere appositamente convocato. Concorda con i colleghi che sostengono doversi porre fine una buona volta all’uso dei decreti-legge, e assicura che ne conosce centinaia che si sono dimostrati del tutto inapplicabili, perché occasionati da esigenze transitorie o dovuti magari al capriccio di qualche direttore generale di Ministero.

PATRICOLO richiama l’attenzione sopra un altro aspetto della complessa questione. La gravissima situazione economica, che purtroppo esiste oggi nel Paese, potrebbe da un momento all’altro provocare sommosse popolari o comunque determinare uno stato di irrequietezza tale da consigliare il ricorso alla proclamazione del così detto stato di emergenza o di una legge marziale. Orbene, egli ritiene che non si dovrebbe lasciare al potere esecutivo la facoltà di compiere atti di tale gravità e, se non si potesse riunire l’Assemblea al completo, si dovrebbe almeno mettere a fianco del Governo un gruppo di parlamentari che rappresentassero il potere legislativo.

FABBRI non condivide l’ottimismo dell’onorevole Einaudi sulla facile eliminazione degli inconvenienti che abolita la decretazione di urgenza si possono determinare in materia fiscale. La sua preoccupazione riguarda particolarmente i dazi di importazione e soprattutto le imposte di fabbricazione, perché ritiene che il fermo sui magazzini sarebbe arbitrario e scarsamente efficace. Viceversa crede che il decreto-catenaccio, che ormai ha un riconoscimento nella prassi e una dottrina che lo giustifica, sia l’unico modo per impedire speculazioni e illeciti arricchimenti. Pertanto, alla norma relativa al divieto della decretazione di urgenza, aggiungerebbe un’eccezione per i decreti fiscali.

All’onorevole Patricolo fa osservare che la proclamazione dello stato di emergenza o della legge marziale rientra in un altro campo delle funzioni del potere esecutivo e deve avere una sua propria regolamentazione.

Per queste ragioni è assolutamente contrario ad una semplice limitazione di carattere generico, magari in forma indiretta, mediante la costituzione di una Giunta, anche perché potrebbe avvenire che qualche direttore generale, pur avendo in animo un provvedimento da due o tre mesi, lo presentasse, qualificandolo urgente, a Camera chiusa per evitare il fastidio della critica e della censura.

CODACC1 PISANELLI esprime il parere che il problema della legislazione di urgenza si ripresenterà sempre, anche se si cercherà di escludere tale competenza del potere esecutivo. È stato ricordato che anche in Inghilterra di fronte alle reali necessità si è trovato modo di sanare l’illegittimità di questi atti del potere esecutivo mediante il così detto bill d’indennità. In Italia se ne è discusso a lungo fin dai tempi dello Statuto Albertino, ricercando il fondamento di questo potere, di cui in ultima analisi il Governo si è sempre servito, e si arrivati alla ben nota legge del 1926 che ha avuto anche una certa elaborazione scientifica. Ritiene quindi che occorra essere aderenti alla realtà e disciplinare la materia, perché altrimenti il problema risorgerebbe.

Si è accennato al timore di arbitri da parte di direttori generali, ma tutto dipenderà dalla disciplina che sarà data alla decretazione di urgenza. Se, per esempio, si riconoscesse al Governo, in caso di necessità o di urgenza, la facoltà di emanare provvedimenti legislativi speciali salvo a presentarli entro un brevissimo tempo (pena la decadenza) alle Assemblee legislative, l’arbitrio diverrebbe difficile: infatti, un sindacato ci sarebbe e di natura ancora più grave, perché ove il decreto non fosse approvato sorgerebbe una questione di responsabilità politica.

Giova infine tener presente che l’istituzione della Suprema Corte costituzionale, per il controllo sulla costituzionalità della legge, assicurerebbe un’ulteriore garanzia. Se l’Italia esce da un periodo in cui la Costituzione non è stata rispettata, non si deve pensare che in avvenire ciò si ripeterà, anche perché le garanzie saranno molto maggiori.

MANNIRONI osserva che la discussione sulla decretazione di urgenza risolleva la questione della continuità dell’istituto parlamentare. È d’accordo, in linea di massima, che la decretazione di urgenza non debba essere ammessa; ma si preoccupa della realtà di fatto a cui accennava l’onorevole Codacci Pisanelli e pensa che, alla stessa maniera che non si può concepire una nazione senza governo o in vacanza di governo, non si può neppure concepire un governo senza l’istituto parlamentare o qualche cosa che lo rappresenti durante la sospensione dei lavori parlamentari o l’intervallo tra due legislature.

È d’accordo con la proposta Conti per l’istituzione di una Giunta permanente che, a suo avviso, dovrebbe avere i particolari compiti di assicurare la salvaguardia delle prerogative del Parlamento rispetto all’azione del Gabinetto e di controllare l’azione del Gabinetto stesso nei periodi in cui il Parlamento non è in grado di funzionare. Rileva che l’istituto trova il suo riscontro in altre costituzioni. Per esempio, quella di Weimar prevedeva due diverse Commissioni: una per gli affari esteri ed un’altra per il controllo legislativo del Gabinetto; qualche cosa di analogo è previsto anche nell’ultima Costituzione francese.

Trova eccessiva la preoccupazione di forma di coloro che sostengono che una Camera che ha cessato di esistere per fine della legislatura o per scioglimento non dovrebbe avere più alcun diritto di sopravvivenza, e conclude che, se al Governo in determinati casi urgentissimi sarà data la possibilità costituzionale e giuridica di emanare qualche provvedimento, converrà non lasciarlo del tutto solo, e consentirgli di appoggiarsi a un organo che rappresenti il Parlamento.

PERASSI premette che è sempre stato nemico dei decreti-legge e che perciò incontra le sue simpatie la posizione rigida che esclude la possibilità per il Governo di emanare norme giuridiche senza l’ausilio del Parlamento. Non disconosce però che nella realtà si possono incontrare difficoltà di ordine pratico per cui non si può essere fondamentalmente avversi al sistema previsto dall’onorevole Conti.

Circa i decreti-catenaccio non sarebbe esatto il riferimento ai prezzi dei generi di monopolio, perché ormai la legislazione ha attribuito al Ministro delle finanze la facoltà di fissarli. Resta invece la materia delle imposte di fabbricazione, per cui potrebbe forse ammettersi una eccezione.

PRESIDENTE invita i Commissari ad esprimere il loro parere unicamente sulla questione pregiudiziale se, cioè, debba ammettersi o no una decretazione di urgenza.

LUSSU si pronuncia contro l’ammissione di qualsiasi legislazione di eccezione che non abbia almeno il correttivo della Giunta.

FABBRI insiste sulla possibilità di limitare la decretazione di urgenza alla materia fiscale e in particolare alle imposte di fabbricazione.

ZUCCARINI non ammette alcuna delega al potere esecutivo ed è contrario all’istituzione di una Giunta permanente che operi in caso di aggiornamento della Camera. A suo avviso, la Camera deve essere sempre in condizioni di legiferare.

PRESIDENTE chiarisce che la Giunta dovrebbe in primo luogo valutare il carattere di urgenza del provvedimento (perché, se riconoscesse che non sussiste, sarebbe autorizzata a respingere la pretesa governativa); in secondo luogo, una volta riconosciuta l’urgenza, dovrebbe partecipare all’opera legislativa assunta dal Governo.

LACONI propone di non votare sulla questione di principio, che è fuori causa, ma sulla proposta Conti. Non crede che si menomi in alcun modo la sovranità della Camera quando le si riconosca la facoltà di delegare i suoi poteri ad una parte dei suoi membri.

MORTATI, Relatore, obietta che la delegazione di poteri in una costituzione rigida deve essere oggetto di espressa autorizzazione costituzionale.

BULLONI sostiene che il potere legislativo spetta esclusivamente alla Camera e non deve subire eccezioni nemmeno nelle materie fiscali, per le quali si potrà ricorrere alle misure amministrative accennate dall’onorevole Einaudi.

Propone la seguente formula:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

PRESIDENTE fa presente che una simile affermazione non esclude la possibilità dell’istituzione della Giunta permanente.

PERASSI aggiunge che, con questa formulazione, si potrebbe procedere alla costituzione della Giunta con una legge apposita.

FABBRI suggerisce una nuova dizione:

«Solo per l’istituzione o la variazione di imposte di fabbricazione e atti fiscali è nella facoltà del potere esecutivo di emettere decreti aventi forza di legge».

MANNIRONI propone la seguente formulazione:

«Al principio di ogni legislatura la Camera nomina una Commissione permanente di trenta deputati con la rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi. Tale Commissione nella vacanza del Parlamento e congiuntamente con analoga Commissione nominata dalla seconda Camera, controllerà l’opera del Gabinetto, decidendo se ricorrono ragioni di urgenza per la emanazione di provvedimenti legislativi di carattere eccezionale».

Chiarisce che questa sua proposta dovrebbe in ogni caso essere messa ai voti dopo approvata la formulazione proposta dall’onorevole Bulloni sul divieto generico.

TOSATO propone di mettere in votazione prima l’ordine del giorno Bulloni per passare poi alle eccezioni.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Bulloni:

«Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo».

(É approvata all’unanimità).

Avverte che all’articolo da lui proposto sono state apportate talune modificazioni, ond’esso risulta così formulato:

«La Camera elegge ogni anno all’inizio della sessione di primavera, con votazione a maggioranza assoluta, una Giunta permanente presieduta dal Presidente della Camera, composta da trenta deputati, con il mandato di procedere nell’aggiornamento del Parlamento, congiuntamente con la Giunta del Senato, all’esame ed all’approvazione in caso di urgenza di progetti di legge del Governo».

LUSSU propone che invece di «all’inizio della sessione di primavera», si dica: «all’inizio dei suoi lavori».

FABBRI domanda se con tale disposizione i decreti-catenaccio restino esclusi. Non vuol dire cosa men che deferente verso il Parlamento, ma fa presente che quando un provvedimento che si intende emanare è a conoscenza di trenta persone, potranno verificarsi complicazioni che ben si possono immaginare. Ritiene che i decreti-catenaccio debbano rimanere tali.

UBERTI ammette che, da un certo punto di vista, questa Giunta potrebbe rappresentare una tutela del diritto parlamentare; ma poiché ritiene che si debba rovesciare un costume invalso da decenni, voterà contro la nomina di questa Giunta per affermare integralmente il diritto del Parlamento.

PRESIDENTE pone ai voti l’articolo da lui proposto nella formulazione definitiva di cui ha appena dato lettura.

(Non è approvato).

Avverte che, in conseguenza, resta implicitamente respinta anche la formulazione Mannironi.

La seduta termina alle 11.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Terracini.

Assenti: Castiglia, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni.