Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Fabbri – Nobile – Perassi – Mortati, Relatore – Ambrosini – Einaudi – Zuccarini – Lussu – Laconi – Leone Giovanni – Conti, Relatore – Vanoni.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE informa che sarà prossimamente distribuito il testo delle decisioni finora approvate dalla Sottocommissione, testo che sarà molto utile avere sott’occhio per lo svolgimento delle successive discussioni. Ritiene che, esaurita la questione relativa alla composizione della prima Camera, prima di iniziare la discussione sulla costituzione della seconda, sia opportuno riprendere in esame il problema dei decreti catenaccio. Ricorda che la Sottocommissione nella seduta precedente deliberò che fosse esclusa ogni facoltà del potere esecutivo di emanare provvedimenti di legge sotto qualsiasi forma. C’è da domandarsi se in tale deliberazione fossero compresi anche i decreti anzidetti. Personalmente è del parere che la facoltà di emanare questo genere di provvedimenti non possa essere tolta al potere esecutivo. I decreti-catenaccio infatti hanno valore solo in materia fiscale e non consentirne l’emanazione potrebbe essere un errore, perché spesso in materia fiscale si rende necessaria l’adozione di misure particolarmente tempestive.

FABBRI ricorda che egli aveva già proposto che, in materia di imposizioni fiscali, dazi e variazioni delle imposte di fabbricazione, fossero ammessi i decreti legge. Torna ad insistere su questa proposta.

NOBILE, richiamandosi alle osservazioni fatte in proposito dall’onorevole Einaudi, che ha una particolare esperienza in materia, propone che lo si inviti a formulare precise proposte al riguardo.

PERASSI esprime l’avviso che la questione dei decreti-catenaccio debba essere rimandata a quando si discuterà della competenza del potere esecutivo.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza condivida questo avviso e che il problema debba essere riesaminato con quello generale della competenza del potere esecutivo.

(Così rimane stabilito).

Invita la Sottocommissione ad esaminare il problema della costituzione della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, fa una questione, pregiudiziale. Considerato che il progetto dell’onorevole Conti prevede come base di formazione del Senato le assemblee regionali, gli sembra che non si possa prendere una decisione in merito, senza prima aver definito il carattere di tali assemblee, le loro attribuzioni e la loro costituzione. Attualmente si hanno due progetti in materia, uno dell’onorevole Ambrosini e l’altro dell’onorevole Zuccarini; ma lo speciale Comitato incaricato di esaminarli non ha ancora riferito in proposito. A suo avviso occorrerebbe attendere il risultato di tali lavori prima di intraprendere l’esame della costituzione della seconda Camera.

AMBROSINI informa i colleghi che il Comitato per l’autonomia regionale è in attesa di un terzo progetto, dell’onorevole Lami Starnuti, e d’altra parte data la frequenza delle sedute dell’Assemblea plenaria, della Sottocommissione e dei gruppi parlamentari, subisce purtroppo delle remore nell’esplicazione del suo incarico. In ogni modo è del parere che la Sottocommissione possa frattanto prendere una decisione di massima circa la costituzione del Senato.

 PRESIDENTE chiarisce che per il momento non si tratta già di stabilire il modo in cui le Assemblee regionali dovranno inviare i loro rappresentanti in Senato, bensì di risolvere una questione di principio: se, cioè, le Assemblee regionali, sole o insieme con altri organi, debbano costituire la base per la formazione del Senato. Ritiene quindi che la pregiudiziale dell’onorevole Mortati non possa essere accolta e lo invita ad iniziare, quale Relatore, la discussione sulla composizione del Senato.

MORTATI, Relatore, desidera fare alcune dichiarazioni di carattere personale. Premette di ritenere che il Senato debba essere posto in condizioni di parità con la Camera dei Deputati e che pertanto debba avere una efficienza politica pari a quella della Camera stessa. È anche del parere che per la formazione del Senato debbano essere escluse le elezioni di secondo grado, perché esse annullerebbero l’immediatezza del rapporto rappresentativo tra elettori ed eletti, che è la condizione necessaria per l’efficienza politica di ogni assemblea elettiva.

Sicuro di interpretare il pensiero dei componenti la Sottocommissione, afferma che essi non sono animati dal proposito di fare della seconda Camera un contraltare della prima: tutti, infatti, anche coloro che appartengono a partiti diversi dal suo, vogliono che il Senato sia espressione della volontà popolare e quindi che i suoi membri siano eletti da una massa di cittadini il più possibilmente estesa.

In ogni modo ritiene che per la formazione del Senato dovrebbe esigersi uno schieramento di forze diverso da quello richiesto per la prima Camera. In altre parole gli stessi elettori della prima Camera dovrebbero intervenire alla formazione della seconda, ma in una veste diversa, come rappresentanti, cioè, di interessi.

Ricorda che la rappresentanza politica indifferenziata è sorta dalla Rivoluzione francese, la quale soppresse tutti gli organismi sociali intermedi tra il cittadino e lo Stato, ritenendoli elementi di turbamento. Naturalmente la realtà si è incaricata di ricostituire quegli organismi, indispensabili alla vita sociale, e tra essi i più importanti furono i partiti, che vennero a formarsi in seno alla classe dominante, cioè alla borghesia. L’estendersi del suffragio fece poi venir meno l’unicità della classe politica borghese: nuove classi infatti assunsero un’importanza politica che prima non avevano, essendo escluse, per un pretesto o l’altro, dal suffragio. Generalmente furono gli interessi di classe che fecero sorgere tali nuovi organismi: alcuni però di quegli interessi rimasero esclusi, o per lo meno non furono direttamente rappresentati in quello schieramento di forze che oggi costituisce la base di formazione della prima Camera.

Si domanda se, dal momento che tali gruppi sociali esistono e fanno sentire il loro peso, non sia più opportuno che essi assumano precise responsabilità politiche. Oggi, com’è noto, esistono potentissime organizzazioni che esercitano, per quanto in forma indiretta, una notevole pressione politica, sotto la veste di tutelare, anche con azioni di forza, gli interessi delle classi sociali rappresentate, senza però che esse siano impegnate ad indicare in sede politica il modo in cui gli interessi così fatti valere si inquadrino nell’interesse generale dello Stato. Politicizzare tali organizzazioni significherebbe fare assumere ad essi una diretta responsabilità nell’indirizzo politico del Paese e costringerli ad adeguare a questa la loro attività.

Sono queste appunto, a suo avviso, le forze che dovrebbero concorrere e costituire la nuova seconda Camera. I rappresentanti delle organizzazioni anzidette, chiamati a far parte del Senato, finirebbero con l’avere una visione più ampia dei loro interessi particolari, perché sarebbero costretti ad inquadrarli negli interessi generali dello Stato.

La realtà sociale odierna dimostra l’utilità di una seconda Camera così formata. Oggi, infatti, lo schieramento dei partiti non esaurisce e non rappresenta tutta la realtà sociale. Contro l’obiezione mossa dall’onorevole Nobile, e cioè che nella prima Camera sono già rappresentate tutte le professioni, talché non vi sarebbe bisogno di una loro rappresentanza autonoma, osserva che, se tale obiezione fosse giusta, bisognerebbe anche ammettere che nella Camera sono rappresentate le regioni per il solo fatto che i deputati provengono dalle diverse parti d’Italia. Evidentemente il ragionamento che occorre fare è un altro: nella seconda Camera non si vuole una rappresentanza casuale, fortuita, delle varie regioni o professioni, bensì una rappresentanza istituzionale organica, per la quale i rappresentanti delle diverse categorie sociali e regionali abbiano un loro peso e una loro efficienza politica predeterminata.

All’onorevole Ravagnan, che ha osservato che con il sistema della rappresentanza organica si potrebbe avere una deformazione arbitraria dei risultati delle elezioni, obietta che non è detto che ciò necessariamente abbia a verificarsi.

Riconosce l’esattezza del rilievo dell’onorevole Einaudi, che la rappresentanza organica trova la sua origine storica nelle correnti romantiche sorte in opposizione alla Rivoluzione francese, ed ammette che essa ha avuto alle origini una ispirazione politica conservatrice e che anche di tendenza conservatrice sono state le realizzazioni storiche avutesi nell’epoca moderna specialmente in alcuni Stati, come l’Austria e la Russia, i quali meno degli altri subirono l’influsso della Rivoluzione francese, e adottarono appunto tale sistema di rappresentanza. Comunque afferma che, se per la formazione della seconda Camera si riterrà opportuna la rappresentanza delle categorie, bisognerà impedire che si verifichino situazioni che possano legittimare l’impressione del ricorso ad un espediente di carattere conservatore.

All’obiezione che la predeterminazione del peso da attribuire alle varie categorie professionali da rappresentare nella seconda Camera introdurrebbe un elemento di arbitrio, oppone che un certo grado di artificio e di arbitrarietà si riscontra in tutte le riforme e specialmente in quelle relative ai vari sistemi di rappresentanza. Così quando si spostano i limiti di età per il voto, o si stabilisce di utilizzare in uno piuttosto che in altro modo i resti delle votazioni, si hanno sempre decisioni politiche che in certo senso possono dirsi arbitrarie e che in ogni modo mirano a realizzare determinati scopi politici. Ma in realtà, arbitraria si può dire una riforma sociale solo quando essa sia profondamente contrastante con la coscienza sociale di una data epoca storica.

Richiama l’attenzione sul compito della Costituente, che è quello di determinare una rappresentanza organica che sia un riflesso quanto più è possibile fedele dell’odierna realtà sociale. Bisogna quindi assumere a questo scopo adeguati criteri direttivi. Non ritiene certo consigliabile il criterio del censo che, se fu assunto come base della rappresentanza nell’800, contrasterebbe con le attuali esigenze sociali così profondamente diverse. Né d’altra parte può essere accettato il criterio, seguito in Russia subito dopo la Rivoluzione, di concedere il diritto all’elettorato soltanto alla categoria dei lavoratori manuali, perché sarebbe troppo unilaterale e non rifletterebbe tutta la nostra realtà sociale. Si deve ammettere invece la rappresentanza del lavoro, perché la nostra è civiltà del lavoro e intende affermare il lavoro come fondamentale valore sociale. Si dovrà risolvere il problema delle necessarie differenziazioni nella categoria dei lavoratori; stabilire, cioè, se dare un peso politico maggiore al lavoro qualificato e di direzione, che implica una maggiore responsabilità sociale, rispetto a quello manuale e non qualificato. A chi ritiene che una simile differenziazione sarebbe ingiusta, perché nessun criterio soccorre nella determinazione di questa diversa responsabilità politica, si può obiettare che in tutti gli Stati in cui si è adottato il criterio della rappresentanza del lavoro, è stata sempre operata una graduazione, corrispondente alla valutazione propria delle classi politiche dominanti. Così, per esempio, nell’ordinamento sovietico del 1918 le categorie operaie sono state nettamente differenziate da quelle dei contadini. Gli operai potevano infatti eleggere un deputato ogni 25 mila elettori, mentre i contadini uno ogni 125 mila abitanti; onde i contadini avevano un’influenza politica due volte e mezzo inferiore a quella degli operai.

Concludendo, osserva che le principali obiezioni, rivolte finora al sistema della rappresentanza per categoria, non sono tali da sconsigliarne l’adozione. La grande utilità della partecipazione delle diverse categorie lavoratrici alla formazione della seconda Camera è invece confermata dalla possibilità di contribuire in tal modo alla auspicata pacificazione sociale, perché con la rappresentanza integrale dei loro interessi le categorie stesse saranno sottratte al monopolio di alcuni partiti che non rappresentano le masse, ma solo determinati gruppi sociali, spesso assai ristretti, e porta ad un riavvicinamento sul piano parlamentare dei rispettivi punti di vista.

Un risultato utile che potrà derivare dal sistema sarà di riavvicinare partiti ed associazioni professionali, attuando uno scambio fra di essi, capace di dare all’azione della prima concretezza ed a quella dei secondi consapevolezza degli interessi politici generali.

EINAUDI desidera fare qualche breve considerazione sul vecchio Senato, di cui è uno dei pochi superstiti nella Costituente. Dall’aprile del 1919 al 1922, partecipando assiduamente ai lavori del Senato, ebbe modo di raccogliere alcune impressioni sull’attività svolta dalla Camera alta, che forse potranno essere utili per la risoluzione del problema in discussione.

Accennò altra volta, e desidera tornarvi sopra, alla questione della nomina regia. A tale proposito egli ebbe sempre l’impressione che nessuno dei senatori immaginasse di dovere la sua nomina al Re. Chi li nominava effettivamente era sempre il Presidente del Consiglio e, poiché il Presidente del Consiglio era una emanazione della Camera dei deputati, e la Camera dei deputati a sua volta una emanazione degli elettori, si poteva anche ammettere che i senatori, in ultima analisi, fossero nominati, per quanto assai indirettamente, dagli elettori, sebbene non da quelli viventi in un dato periodo di tempo, bensì da quelli di un’epoca passata. Domanda se tale criterio non sia da tenersi ancora in considerazione, dal momento che il passato esercita sempre un’influenza sul presente: innegabilmente si è figli del passato e non si può rinunciare alle tradizioni. Pensa perciò che non sarebbe un male, né cosa contraria all’interesse comune se nella nuova seconda Camera qualche senatore rappresentasse le tradizioni del passato.

Ricorda di aver parlato una sola volta col re, in occasione della visita che tutti i nuovi senatori erano soliti fare al sovrano per ringraziarlo della nomina. Recatosi al Quirinale, il sovrano, anche egli piemontese, si mise a parlare con lui in dialetto di avvenimenti legati alla stona del Piemonte. Ebbe l’impressione, in un’ora circa di colloquio, che Vittorio Emanuele III fosse non solo un grande numismatico, ma anche un valente storico (cosa che, del resto, era stata detta anche da Francesco Ruffini) e possedesse un senso non comune di penetrazione psicologica intorno agli uomini ed agli avvenimenti politici. Terminata l’udienza, si accorse di essersi dimenticato di ringraziarlo per la sua nomina a senatore. Ha riferito questo episodio per dimostrare che non si dava allora gran peso alla nomina regia.

A proposito dei senatori nominati per censo, avverte che questi non erano tra quelli che partecipavano più attivamente ai lavori del Senato. Inoltre, se in un primo tempo erano ben pochi i senatori nominati per censo, richiedendosi per essi il pagamento dì 3.000 lire annue per imposizioni dirette, in seguito, per effetto del diminuito valore del denaro, essendo cresciuto il numero di coloro che possedevano il necessario requisito, si finì per concedere la nomina di senatore per tale titolo a molte persone che non avevano in realtà un patrimonio vistoso e spesso erano semplici funzionari di grado elevato.

A suo avviso il Senato era affetto da quello che oggi si chiamerebbe un complesso di inferiorità, perché erano diventati sempre più numerosi i senatori provenienti dalle alte cariche dello Stato. L’abitudine di questi senatori all’obbedienza si ripercuoteva sull’attività del Senato, che non fu mai capace di assumere un atteggiamento fortemente autonomo di fronte alle iniziative del Governo. Nella nuova seconda Camera dovrà evitarsi questo inconveniente. Quel complesso di inferiorità era ribadito dal numero illimitato dei senatori, per cui il Governo poteva sempre variare la composizione del Senato a suo favore, facendo assegnamento sul fatto che i sentori di nuova nomina partecipavano più assiduamente alle sedute che non quelli di vecchia data. Per eliminare questo abuso converrà stabilire per l’avvenire che il numero dei componenti la seconda Camera debba essere fisso e non variabile a beneplacito del Capo dello Stato e, per via indiretta, del Presidente del Consiglio.

La degenerazione del principio che riservava alla Camera dei deputati la priorità nell’esame delle leggi di carattere finanziario, estendendosi via via a tutte le altre leggi, venne ancor più a deprimere l’importanza del Senato che, costretto a deliberare spesso frettolosamente su provvedimenti già approvati della Camera, non poté attendere alla sua funzione peculiare, che era quella della revisione accurata, attraverso la critica tecnica, dei disegni di legge, fatta da uomini che avevano una particolare perizia in ogni campo dell’attività statale. I disegni di legge che eccezionalmente furono presentati prima al Senato furono assoggettati ad un approfondito esame in lunghe ed interessanti discussioni, come avvenne ad esempio per la legge sul blocco degli affitti, su cui egli ebbe incarico di riferire, e che provocò una discussione durata oltre un mese.

Altra causa del complesso di inferiorità del Senato derivava dalla sua costituzione di esclusiva nomina regia. Se, a fianco dei senatori di nomina regia, vi fosse stato un certo numero di senatori eletti direttamente dal popolo, costoro, essendo a più diretto contatto con le forze politiche del Paese, avrebbero immesso nell’istituto una maggiore vitalità ed alacrità, suscitando l’emulazione dei senatori di nomina regia.

Circa la composizione della nuova seconda Camera, dissentendo dall’onorevole Mortati, dichiara di ritenere opportuno che, astrazion fatta dal modo di sceglierli, il numero dei rappresentanti professionali sia inferiore di quello dei rappresentanti regionali. Obietta inoltre all’onorevole Mortati che l’attuazione di una rappresentanza professionale prestabilita, da lui propugnata, significherebbe cristallizzare la situazione attuale, rendendo difficile, se non impossibile, in seguito un cambiamento, e consolidando quindi una specie di monopolio a beneficio delle classi che presentemente sono al potere. Il che non crede sia opportuno. Bisogna pensare non soltanto a coloro che vivono nel momento presente, ma anche a coloro che ancora debbono nascere. Ogni monopolio, di qualunque genere sia, è sempre avverso a tutti coloro che hanno idee nuove. È del parere, quindi, che una rappresentanza professionale, quale spontaneamente si ha e certo si avrà ancora nella prima Camera, sia sempre migliore di quella che si potrebbe avere in una seconda Camera a classi prestabilite. Il nuovo Senato, a suo avviso, dovrebbe essere composto prevalentemente di rappresentanti regionali. Il restante minor numero di posti dovrebbe essere, purché l’elezione non avvenga da parte di categorie prestabilite, riservato ai rappresentanti professionali od anche ad altre persone. A questo proposito rileva che nella relazione dell’onorevole Conti si parla di membri dei Consigli accademici, di professori di Università, di rappresentanti delle organizzazioni professionali, nonché di componenti la seconda Camera nominati dal Presidente della Repubblica. Questo criterio di composizione del Senato, riferito ad una minoranza dei suoi membri, 100 su 300, potrebbe essere accettabile e dare buoni frutti. In questa minoranza sarebbe bene dare la preponderanza ai membri delle Accademie, ai professori di Università e ai rappresentanti degli organi professionali che sarebbero l’eco dei cosiddetti interessi morali.

Ritiene pure che sia da riservare in certo numero di posti a sanatori nominati a vita dal Capo dello Stato. Tali Senatori dovrebbero essere scelti in categorie prestabilite e il loro numero dovrebbe essere fisso, per evitare il pericolo delle «infornate». La nomina a vita presenta anch’essa i suoi vantaggi, perché colui che viene così nominato, in quanto si sente al coperto del pericolo di non essere più gradito, finisce quasi sempre con l’assumere un notevole grado di indipendenza morale. Nel vecchio Senato vigeva la regola che i neonominati dovessero dare il loro voto favorevole al Ministero in carica, ossia al Presidente del Consiglio dal cui favore era dipesa la loro nomina a Senatore. Ma quest’obbligo morale durava assai poco, perché era limitato alla durata in carica del Presidente del Consiglio che aveva proposto al re, ossia di fatto nominato i nuovi senatori. Il numero dei futuri senatori nominati a vita dal Presidente della Repubblica dovrebbe essere fissato tra i 10 e i 50; in ogni modo essi dovrebbero essere persone di indiscusso, altissimo valore, risultante da titoli accertabili. Del resto, anche in passato assai pochi furono i senatori nominati per la categoria ventesima, cioè per avere illustrato la Patria con servizi o meriti eminenti.

ZUCCARINI osserva che quella della rappresentanza degli interessi è una vecchia questione, che fu ampiamente dibattuta in Italia dopo l’altra grande guerra. Il problema sorse perché le rappresentanze politiche, dato l’enorme sviluppo delle attribuzioni che lo Stato era venuto assumendo, si dimostravano per la maggior parte impreparate e incompetenti a risolvere particolari problemi economici e finanziari. Il problema della ripartizione dei compiti tra Senato e Camera avrebbe dovuto essere risolto sin da quel tempo; oggi esso è nuovamente all’ordine del giorno, soprattutto in vista del fatto che lo Stato, con la nuova Costituzione, molto probabilmente verrà ad avere funzioni limitate allo svolgimento di compiti di carattere politico e generale, mentre le funzioni di carattere particolare saranno affidate ai nuovi enti regionali. C’è da domandarsi quindi quali funzioni dovranno essere demandate alla nuova seconda Camera: in altri termini, occorrerà decidere se essa dovrà essere l’organo degli interessi economici da contrapporsi alla prima Camera, intesa come organo degli interessi politici, o se dovrà invece essere un istituto degli interessi politici, limitatore dell’invadenza del potere esecutivo e di quello legislativo della Camera dei deputati.

Dichiara senz’altro di essere favorevole alla seconda ipotesi. Nel Senato dovrebbe trovare posto la rappresentanza delle regioni. I rappresentanti della seconda Camera, secondo il suo parere, dovrebbero essere eletti non con elezioni di primo, bensì di secondo grado, attraverso i Comuni o le stesse Assemblee regionali. Le regioni così assolverebbero una funzione prevalentemente amministrativa, sottraendo al centro la risoluzione di un gran numero di problemi aventi un carattere più che politico, economico, e l’amministrazione dello Stato ne verrebbe alleggerita. Nella seconda Camera, pertanto, quasi automaticamente verrebbe a trovare il suo posto la rappresentanza dei cosiddetti interessi «particolari».

Sulla ripartizione degli interessi politici ed economici crede di avere una visione assai più semplice di quella comune. Nel suo progetto ha previsto l’istituzione, nell’interno delle regioni, di particolari organismi delle varie branche dell’attività economica e sociale. Essi avrebbero una funzione consultiva; e dovrebbero anche svolgere speciali servizi, ciascuno nel proprio campo, autonomamente, presso a poco come avviene oggi, ma in modo imperfetto, per le Camere di Commercio. L’Assemblea regionale avrebbe invece facoltà legislativa e deliberativa.

L’Ente regione potrebbe così inviare, con elezione di secondo grado, ottimi rappresentanti alla seconda Camera, la quale acquisterebbe pertanto un’autorità di gran lunga superiore a quella della vecchia Camera alta, perché non sarebbe più costituita sulla base di una rappresentanza assai discutibile, bensì su quella effettiva di organi già costituiti nello Stato.

È necessario inoltre che, per quanto riguarda i loro poteri, le due Camere si equilibrino fra di loro e, pure avendo origini diverse, stiano perfettamente sullo stesso piano, perché in un ordinamento veramente democratico ogni potere deve non sovrapporsi mai ad un altro.

Può accedere all’idea, pure discutibile, esposta dall’onorevole Einaudi che accanto ad una rappresentanza regionale possa esservi, per una parte limitata, anche una rappresentanza di interessi morali. In ogni modo, tiene ad affermare che non crede possibile che il Senato diventi un organo di rappresentanze di interessi, perché è difficile determinare l’importanza diversa che dovrebbe essere attribuita a ciascuno di essi. La rappresentanza degli interessi si ha già nella prima Camera: non si esplica in un modo perfetto, perché a deliberare su determinate questioni è chiamata una maggioranza che non è a conoscenza delle questioni e che quindi non è in grado di giudicarne obiettivamente; ma voler riparare a questo inconveniente con un’Assemblea in cui fossero rappresentate in modo organico tutte le categorie degli interessi, vorrebbe dire peggiorare la situazione, perché il numero di coloro che sarebbero competenti in un ramo di attività e incompetenti per tutto il resto aumenterebbe.

A suo parere, il problema deve esser risolto separando le due funzioni: limitando, cioè, i compiti dell’amministrazione dello Stato e demandando la risoluzione dei problemi di carattere particolare alle regioni. In ogni modo, si dovrà tener presente che con tutta probabilità in futuro si avranno formazioni politiche assai più complesse di quelle odierne, perché i partiti come oggi sono costituiti non avranno più forse quella importanza che godono oggi e prevarranno i sindacati, limitando il campo di azione delle organizzazioni di partito. Gli interessi particolari organizzati nei sindacati sono destinati fatalmente a conquistare posizioni di monopolio, a tentare cioè la conquista di condizioni particolarmente favorevoli di privilegio. Allora si potrebbe avere una seconda Camera che cercasse in ogni modo di far prevalere gli interessi particolari su quelli nazionali rappresentati nella prima, sovrapponendosi a questa. Perciò occorre che siano bene delineati i poteri della seconda Camera: essa potrà essere anche un organo ristretto purché sia di qualità, se così si vuol dire, superiore. Dovrebbero pertanto essere fissati alcuni requisiti necessari per poter fare parte del Senato; per esempio: avere già esercitato funzioni amministrative o politiche, aver ricoperto la carica di consigliere comunale, deputato regionale o magari di deputato alla Camera. Ciò servirebbe ad eliminare elementi più scadenti. In tal modo, la seconda Camera acquisterebbe quel prestigio e quella autorità senza di cui non potrebbe svolgere i compiti che le saranno affidati. Termina associandosi alle considerazioni fatte dall’onorevole Einaudi nella seconda parte del suo discorso.

AMBROSINI osserva che la discussione è stata riportata sul campo dei supremi principî. Ha già in una precedente riunione esposto chiaramente il suo pensiero. Si limiterà quindi a fare qualche osservazione in merito al problema in esame.

Gli sembra innanzitutto che possa sorgere un grave equivoco dalla contrapposizione, che da alcuni viene fatta, tra rappresentanza politica e rappresentanze degli interessi. A tal proposito sarà bene precisare che, quando si parla di rappresentanza degli interessi, non è soltanto implicito il concetto di rappresentanza degli interessi morali e materiali, ma anche quello di rappresentanza politica; perché non è vero che vi sia una contrapposizione tra le due espressioni. In sostanza, la rappresentanza degli interessi è una rappresentanza generale e politica, pur essendo diversa, quanto all’origine e al modo di attuazione, da quella sorta con la Rivoluzione francese e comunemente detta rappresentanza nazionale.

Difatti, nella rappresentanza nazionale i problemi sono considerati dal punto di vista ideologico, politico e prospettati in sintesi; nella rappresentanza degli interessi invece ogni questione viene esaminata inizialmente da un punto di vista più preciso, particolaristico, analitico, per poi naturalmente passare alla sintesi.

Se pertanto si arrivasse a considerare la rappresentanza degli interessi secondo il punto di vista sopra accennato, vale a dire come rappresentanza di funzioni sociali, di attività lavorative e quindi di interessi esprimenti effettivamente le forze vive della società, forse ogni equivoco verrebbe subitamente a cessare.

Né è a pensare, come osservava l’onorevole Zuccarini, che un tal genere di rappresentanza possa essere contrapposto a quello della prima Camera, visto che non si tratta di contrapposizione, bensì di integrazione di rappresentanza. E non è neppur da temere che, con una predeterminazione delle categorie, si immobilizzerebbe e si cristallizzerebbe, come è stato detto, la realtà sociale, perché nulla vieta che tale predeterminazione e la conseguente ripartizione dei seggi fra le varie categorie possano essere mutate in seguito. Nessuno può pensare che la decisione che oggi si prendesse in proposito dovrebbe vincolare in avvenire il legislatore, specie per quanto si riferisce alle modalità di applicazione del principio.

Il sistema della rappresentanza delle categorie della produzione, della cultura e delle attività lavorative in genere non contrasta col principio della rappresentanza popolare della prima Camera, ma lo integra. Per altro va rilevato che non tutti i seggi della seconda Camera andrebbero assegnati ai rappresentanti delle categorie di cui si discute, ma solo una parte; cosicché non è a temere che tali rappresentanti potrebbero trovarsi in condizione d’imporre la loro volontà. Né si dimentichi che una piccola aliquota di membri della seconda Camera dovrebbe essere nominata dal Capo dello Stato, oltre che per le ragioni già esposte da lui e dall’onorevole Einaudi, anche per non correre il rischio di non avere come rappresentanti né al Senato né alla Camera alcuni uomini di eminente ingegno ma alieni dalle lotte politiche.

È appunto questa forma di composizione mista della seconda Camera che impedirebbe il sorgere degli inconvenienti accennati dallo onorevole Zuccarini.

(La riunione, sospesa alle 10.20, è ripresa alle 10.50).

LUSSU ricorda che nella discussione svoltasi quando si trattò di decidere se adottare o no il sistema bicamerale, egli dichiarò che considerava la seconda Camera come un’Assemblea che rappresentasse esclusivamente le regioni e ciò in relazione alla riforma dell’ordinamento dello Stato, basata sulla creazione degli enti regionali.

Personalmente dichiara di ritenere l’autonomia regionale una necessità imprescindibile per il Paese. Soltanto con un ordinamento autonomo regionale sarà possibile abbattere il prepotere della burocrazia centralizzata e richiamare le energie della periferia ad una maggiore partecipazione alla vita dello Stato. L’Ente regionale costituirà uno dei mezzi più idonei per dare al Mezzogiorno, che finora è rimasto quasi assente dalla vita italiana, un maggior senso di responsabilità e di iniziativa.

Non si nasconde però il pericolo che l’Ente regione possa, non già disgregare (il che gli sembra impossibile, malgrado qualche esempio in contrario) ma sminuire quella unità nazionale che è l’essenza della nostra rinascita. Ritiene quindi che la seconda Camera, concepita come espressione dell’Ente regione, sia veramente necessaria come integrazione dell’autonomia regionale, come superamento del particolare per giungere al generale, allo unitario.

Quindi il problema della composizione della seconda Camera è quello dell’istituzione dell’Ente regione sono strettamente legati fra loro.

Raccogliendo e sviluppando il concetto dell’onorevole Ambrosini, conferma che la prima Camera è la rappresentanza politica di tutti gli interessi e soggiunge che se a queste forze vive, rappresentanti tutti gli interessi, saranno aggiunte altre forze vive, rappresentanti gli interessi della regione, si avranno due Assemblee perfettamente esprimenti il superiore interesse nazionale.

Ciò che lo preoccupa è però il proposito nutrito da alcuni di costituire una seconda Camera da contrapporsi come freno al potere sovrano della prima. Qualcuno va forse col pensiero al Senato francese e, senza averne forse coscienza, è animato da propositi conservatori. Ricorda che il Senato in Francia è sorto in seguito ad un compromesso tra repubblicani e monarchici, per contrapporre alla prima Camera, che poteva avere un’influenza prevalentemente repubblicana e indirizzi troppo democratici, una seconda in cui gli interessi conservatori fossero in un certo senso garantiti.

La tendenza a fare del Senato un organo conservatore potrebbe anche accentuarsi, se fosse accolto il principio della rappresentanza organica istituzionale, accennata dall’onorevole Mortati. Ora, in nessuno dei moderni Stati democratici esiste una seconda Camera basata sulla rappresentanza istituzionale delle categorie; non in America, non in Inghilterra, non in Francia e nemmeno in Russia, per quanto la Russia sia uno stato fortemente autoritario, ove i problemi sociali sono infinitamente più accentuati che in qualsiasi altra democrazia. La Russia è il paese in cui più che in ogni altro avrebbe potuto affermarsi la concezione di un’Assemblea intesa come espressione degli interessi delle grandi categorie (metallurgici, meccanici, agrari, ecc.), e invece anche in Russia questo sistema è stato scartato. Qualche cosa di analogo si è avuto soltanto in paesi fascisti (Spagna e Portogallo) e nelle più arretrate democrazie balcaniche. Ciò vuol dire che nella rappresentanza per categorie c’è qualche cosa di non buono, che giustifica il timore che in un organo così costituito possano essere favorite e rafforzate le correnti conservatrici.

Ricorda che l’Olivetti ha scritto un libro interessante sulle autonomie regionali, in cui si auspica un’organizzazione interna delle autonomie, secondo una concezione che potrebbe costituire un ponte di passaggio tra il suo punto di vista personale e quello dell’onorevole Mortati relativamente alla Costituzione del Senato. Ma ciò che gli preme di affermare è che occorre assolutamente evitare una formazione del Senato fondata su criteri arbitrari.

Riconosce il rispetto che la civiltà deve all’alta cultura: ma come uomo politico non può ammettere che il Rettore di un’Università solo per questo titolo debba avere il diritto di sedere nella seconda Camera. Parimenti non concepisce il diritto di un sindacato ad avere la sua rappresentanza nella seconda Camera: esso avrà i suoi rappresentanti nella Camera dei deputati e saranno uomini politici, anche perché non si può immaginare che i rappresentanti di un sindacato alla seconda Camera si possano spogliare della loro veste politica per rivestire soltanto quella di rappresentanti tecnici. Non si può, insomma, non sentire un profondo disagio di fronte all’idea di adottare per la seconda Camera una rappresentanza per categorie, sistema complesso, pesante e, ciò che è più grave, arbitrario, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Mortati. Costituisce appunto un caso di arbitrarietà la norma della vecchia Costituzione russa, ormai superata, per cui gli operai avevano un rappresentante per ogni venticinquemila elettori, mentre i contadini ne avevano uno ogni centoventicinquemila. Il popolo russo, che per settecento anni aveva avuto soltanto dittatori, rovesciato un regime odioso, spezzate le vecchie forme dell’organizzazione politica e sociale, per salvare il paese dall’anarchia e dal caos e attuare il suo programma (che d’altronde è quello che ha portato la Russia alla vittoria), era costretto a valersi di alcuni sistemi arbitrari; ma questi non possono trovare applicazione in un Paese come il nostro, in cui sono stati sempre vivi il culto della libertà e un profondo senso democratico.

LACONI osserva che la discussione odierna risente del fatto che non è stata decisa inizialmente la funzione delle due Camere ed in special modo quella del Senato. Se la seconda Camera non deve esercitare una funzione di freno, di correttivo, non può rimanerle che una funzione integrativa delle funzioni esercitate dalla prima. Ciò implica che la seconda Camera non potrà trovarsi nello stesso piano della prima, ed infatti in tutte le Costituzioni democratiche essa ha sempre poteri più o meno subordinati a quelli attribuiti all’altra. Ciò non significa che si voglia fare del Senato un organo inutile e soltanto decorativo: esso dovrà avere le sue precise funzioni anche se in un certo senso limitate (l’esame dei bilanci dovrebbe essere affidato alla prima Camera, come storicamente è sempre stato ed è in tutti i Paesi democratici e nella stessa Inghilterra), dovrà intervenire in materia di legislazione ordinaria con cautele previste dalle principali Costituzioni democratiche moderne, e deliberare anche sull’operato del Governo entro quei limiti che potranno essere in seguito determinati.

Affinché la seconda Camera possa esercitare funzioni così importanti, anche se in un certo senso limitate rispetto a quelle della prima, si rende quanto mai necessario che essa sia costituita su base soltanto elettiva. Dissentendo da quanto ha osservato al riguardo l’onorevole Einaudi, afferma che non si può avere una buona Assemblea, se essa non è composta in modo omogeneo, cioè con rappresentanti tutti eletti e specificatamente qualificati a farne parte. Non si può quindi ammettere che nella seconda Camera siano per una metà od un terzo rappresentati gli interessi economici e per la restante parte quelli regionali, e per di più che possa esservi un certo numero di membri nominati dal Capo dello Stato.

La domanda che si pone è se si vuole avere nella seconda Camera una rappresentanza degli interessi economici e morali, che hanno indubbiamente una parte rilevante nella vita della nazione, oppure si vuol dare una rappresentanza agli interessi particolari, territorialmente raffigurati. La prima soluzione gli sembra inutile, in quanto esiste una prima Camera: difatti nella vita di un Paese democratico non si può tener conto degli interessi economici e morali se non da un punto di vista squisitamente politico. Sono appunto i partiti rappresentati nella prima Camera ad esprimere le esigenze della Nazione sul piano politico. Quanto agli interessi non ancora delineati e che ancora si trovano, per così dire, allo stato bruto e iniziale, è da escludere per essi ogni diritto ad essere rappresentati.

Non ritiene sia ora il caso di parlare nella soluzione prospettata dall’onorevole Mortati di una rappresentanza cioè delle categorie nell’ambito delle regioni. Pensa che sia opportuno rinviare l’esame della questione a quando si discuterà sull’ordinamento da darsi alle regioni stesse: si vedrà allora in base a quali criteri dovranno essere costituite le Assemblee regionali. Nella seduta odierna invece sarà bene deliberare soltanto sui seguenti due punti: se la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza diretta ed immediata degli interessi economici o di tutti gli interessi delle regioni. Alla prima soluzione ostano difficoltà insormontabili di ordine pratico, poiché sarebbe in verità assai arduo determinare una rappresentanza proporzionale degli interessi, data la schiacciante prevalenza, ad esempio, delle categorie agricole contadine su quelle industriali o padronali. D’altra parte sarebbe anche assai arduo e nello stesso tempo assurdo, ricorrere a soluzioni estreme nel senso opposto. Ad ogni modo, adottare la rappresentanza proporzionale o paritetica delle diverse categorie, equivarrebbe ad adottare il sistema del voto plurimo, che non può essere preso in considerazione perché assolutamente antidemocratico. Crede inutile riferirsi all’esempio della Russia, perché la situazione politica dell’Unione Sovietica, nell’attuale periodo storico, non può compararsi in alcun modo con la nostra.

Gli sembra esatta l’affermazione dell’onorevole Lussu che la creazione della seconda Camera su base regionale eviterà il pericolo insito in ogni Costituzione regionalistica dello Stato. Questo pericolo esiste e sarà tanto più grave quanto più ampi saranno i poteri deliberativi attribuiti alle Assemblee regionali. Quando manca la possibilità di accedere ad un’Assemblea più vasta o soltanto di farsi sentire in qualche modo e sentire anche la voce degli altri, è istintivo il chiudersi in una visione particolaristica o, peggio ancora, separatistica dei propri interessi e delle proprie esigenze. È quanto appunto ha veduto accadere nella Consulta regionale sarda. Ritiene quindi che la costituzione di una seconda Camera su base regionale possa essere una garanzia dell’unità dello Stato italiano.

Conclude dichiarandosi favorevole ad una seconda Camera che rappresenti in maniera uniforme gli interessi della regione, con esclusione di membri designati da parte del Capo dello Stato, e che sia quindi emanazione diretta del popolo, non già degli interessi economici già sufficientemente rappresentati nella Camera dei deputati.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Laconi sulla pregiudiziale che sarebbe stato più opportuno stabilire prima l’ambito dei poteri della seconda Camera e poi decidere sulla sua composizione. Dissente invece da lui sulla sostanza, in quanto ritiene che la seconda Camera debba avere poteri eguali alla prima. Osserva per altro che quando l’onorevole Laconi sosteneva che la seconda Camera doveva essere integrativa della prima e aggiungeva che essa doveva rappresentare gli stessi interessi economici e morali rappresentati nella Camera dei deputati, poneva, senza avvedersene, le premesse della parità tra l’una e l’altra Assemblea.

A suo avviso, è di fondamentale importanza il principio della parità tra Senato e Camera, ed occorrerà su questo prendere una chiara decisione nel senso appunto che la seconda Camera nella funzione legislativa, nel controllo sull’azione governativa e nelle elezioni del Capo dello Stato deve avere situazione eguale a quella della prima.

CONTI, Relatore, osserva che la prima Camera è composta quasi esclusivamente da rappresentanti di partiti. In essa v’è un conflitto permanente di ideologie, di interessi, di punti di vista, i più diversi fra loro. Si può dire anzi che nella prima Camera i partiti rappresentano non solo le ideologie, ma anche le opinioni e i principî popolari che animano la loro azione. In ogni modo, se si affermasse che nella prima Camera sia rappresentato tutto il popolo nella sua effettiva realtà, si direbbe cosa forse azzardata o per lo meno non esatta.

Mette in rilievo il fatto che l’opera del legislatore oggi è diventata assai difficile proprio per questo scontro di ideologie fra i diversi partiti nell’Assemblea legislativa.

Ha sentito dire che la seconda Camera dovrebbe avere una funzione integrativa della prima. Non sa se con tale espressione si voglia intendere che la seconda Camera dovrebbe avere il compito di migliorare l’opera svolta dalla prima: a suo avviso questa e non altra dovrebbe essere la funzione della seconda Camera.

Essa dovrebbe essere costituita quasi esclusivamente su base regionale; il che non toglie che altre forze vi potrebbero accedere, secondo quanto egli stesso ha proposto nel suo progetto. E, poiché ogni legge è sempre il frutto di un concorso di interessi e di opinioni, quanto maggiore sarà il numero di coloro che contribuiranno alla formazione delle leggi, tanto migliori queste potranno essere.

Dichiara che se fossero messe in votazione la proposta dell’onorevole Mortati per una rappresentanza d’interessi materiali e morali e quella dell’onorevole Lussu per una rappresentanza esclusivamente ragionale, voterebbe per la seconda, perché la prima non lo persuade, in quanto la cosiddetta rappresentanza organica o degli interessi, a suo avviso, non rappresenta nulla; è un’illusione, una finzione.

Qualcuno ha messo in dubbio l’opportunità che nella seconda Camera la rappresentanza su base regionale sia completata dall’intervento di uomini di indiscussa autorità e cultura. Osserva che è facile fare dell’ironia al riguardo, ma la verità è che è sempre assai utile in un’Assemblea parlamentare la presenza di uomini particolarmente preparati alla trattazione di determinati problemi spesso di grandissima importanza. I professori di Università portano di solito nelle Assemblee un alto contributo di pensiero e di esperienza, ciò che è dimostrato dal particolare interesse con cui sono ascoltati anche in queste riunioni della Sottocommissione. Il contributo degli uomini di cultura alla risoluzione di vari problemi non deve essere trascurato nei consessi che si propongono di fare buone leggi, e non di trasformarsi in comizi, come talvolta è purtroppo accaduto per le sedute plenarie della Costituente. Del pari è desiderabile che in questi consessi non manchino i rappresentanti di altre categorie, ad esempio quelli della classe lavoratrice e dei sindacati, i quali potranno evitare decisioni avventate o errate su problemi particolari attinenti al lavoro, sui quali essi hanno una specifica competenza. Nell’opera legislativa tutti possono e debbono concorrere a seconda della propria capacità, esperienza e cultura. Queste le ragioni per cui ritiene che, nella composizione della seconda Camera, alla rappresentanza regionale debba essere associata anche quella di date categorie, non però cooperativizzate, come vorrebbe l’onorevole Mortati, perché ciò implicherebbe il ritorno al sistema dei cittadini incasellati nelle organizzazioni secondo i principî del corporativismo.

Quanto alla parità delle funzioni della Camera e del Senato essa, a suo avviso, deve essere senz’altro riconosciuta, perché la seconda Camera, se non avesse la possibilità di affermare le proprie decisioni nei confronti della prima, non avrebbe ragione di essere. Insiste quindi sull’opportunità di costituire la seconda Camera, come nel suo progetto, con una rappresentanza regionale, integrata da una rappresentanza di altre forze sociali e del mondo della cultura.

Su un punto solo pensa possa esservi qualche dubbio: se sia opportuno riservare al Presidente della Repubblica la nomina di qualche senatore, a vita o a tempo. Egli lo ritiene utile, per un limitato numero di posti da riservarsi a uomini di chiara fama, che in genere si mantengono estranei alle competizioni politiche, ma che potrebbero apportare all’opera legislativa il contributo della loro cultura ed esperienza. Ricorda al riguardo Augusto Murri che non fu mai nominato senatore e che pure avrebbe onorato della sua presenza il Senato, come uno dei più alti rappresentanti della scienza e del pensiero.

VANONI, poiché da alcuni oratori, discutendosi il problema delle funzioni della seconda Camera, si è detto che una qualsiasi composizione della seconda Camera che non fosse fondata su una forma di suffragio diretto, verrebbe a dare ad essa un carattere conservatore, osserva che questo è un equivoco da chiarire, perché, impostando in questo modo il problema, si sorvola sull’attuale situazione politica e sociale italiana. Oggi il Paese sta tirando le somme di una rivoluzione politica e sociale che si è venuta compiendo nell’ultima generazione, e nello stesso tempo sta preparando le basi di un ulteriore progresso sociale. Quando si cercasse di costituire una seconda Camera, che avesse tra l’altro la possibilità di assicurare una certa stabilità all’attività legislativa, non si farebbe un’opera di conservazione o ricostituzione di determinate strutture sociali, che ormai sono da considerarsi superate, ma si farebbe un’opera di conservazione di determinati valori politici, che sono stati conquistati a tanto duro prezzo e che quindi non bisogna perdere. Oggi si è conquistata la Repubblica e si spera di conquistare un ordinamento costituzionale di libertà, e questo che è stato conquistato bisogna conservarlo. Se domani la seconda Camera, tra i suoi diversi compiti, tra i quali quello di perfezionare la nostra legislazione, acquistasse attraverso una sua struttura la possibilità di conservare, contro qualsiasi oscillazione possibile di maggioranze nella prima Camera, questi valori fondamentali, egli sarebbe favorevole a tale struttura e con perfetta tranquillità di coscienza si dichiarerebbe conservatore.

Se si desse alla seconda Camera l’identica composizione della prima, evidentemente non ci sarebbe più una garanzia di difesa contro le possibili oscillazioni della prima. Sostanzialmente per queste ragioni crede che l’onorevole Conti, nella sua passione di uomo che vuol difendere quello che ha contribuito a conquistare la Repubblica e la libertà abbia redatto il suo progetto di costituzione della seconda Camera. E con la stessa passione i suoi amici di parte stanno cercando di chiarificare il problema della costituzione della seconda Camera, per far sì che essa possa difendere quei supremi valori politici e spirituali che si sono conquistati e che non bisogna perdere mai più.

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Liberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Calamandrei, Finocchiaro Aprile.