Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Nobile – Leone Giovanni – Lussu – Porzio – Perassi – Presidente – Laconi – Targetti – Conti, Relatore  – Grieco – Tosato – La Rocca – Mortati, Relatore – Piccioni – Mannironi – Bozzi – Fabbri –Ambrosini – Ravagnan – Fuschini – Einaudi.

La seduta comincia alle 8.30.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

NOBILE rileva che, a proposito della composizione e delle funzioni della seconda Camera, qualcuno ha affermato che il Senato deve essere un organo moderatore della prima Camera; altri ha sostenuto che deve servire a perfezionare le leggi; l’onorevole Vanoni vede in essa la difesa suprema dei valori morali della Nazione, quasi una specie di baluardo della libertà; taluno ci vuole la rappresentanza istituzionale delle varie categorie professionali e degli interessi economici; altri quella della cultura, dell’arte e della letteratura; altri ancora intendono farne un corpo di rappresentanti di interessi economici e di organizzazioni sindacali.

La diversità delle opinioni, a suo avviso, sta a significare che il Senato non risponde effettivamente ad alcuna necessità, perché altrimenti dovrebbero risultarne subito evidenti le funzioni. Non desidera ritornare su una discussione già fatta, ma gli sembra che la Sottocommissione si trovi nella stessa condizione di chi voglia costruire un edificio, senza sapere quale uso farne; il che dimostra, in ultima analisi, l’inutilità della costruzione.

Comunque, poiché è stato deciso che una seconda Camera debba esistere, interessa renderla il meno possibile dannosa. Condivide pertanto il parere dell’onorevole Lussu, che cioè il Senato sia costituito con rappresentanza diretta ed esclusiva delle Regioni.

LEONE GIOVANNI ricorda di essersi nella precedente riunione associato all’onorevole Laconi che sosteneva la necessità di dare la precedenza all’esame delle attribuzioni della seconda Camera; ma dissente da lui nel merito, in quanto fermamente ritiene che la seconda Camera debba avere funzioni pari a quelle della prima. È di avviso che su tale questione occorra prendere una decisione definitiva, in quanto che, a seconda delle attribuzioni del Senato, potrà variare l’orientamento delle successive decisioni in merito agli altri problemi concernenti il Senato stesso. Soggiunge che assai più numerose sono le Costituzioni che riconoscono la parità delle funzioni delle due Camere, che non quelle che la negano. Fra le prime è anche la stessa Costituzione russa.

Propone il seguente ordine del giorno.

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

Chiarisce che in quest’ordine del giorno non si fa cenno della elezione del Presidente della Repubblica, in quanto tale problema non è ancora stato discusso. In ogni modo, se l’elezione del Capo dello Stato dovesse essere di secondo grado, dovrebbe anche per questa riconoscersi la parità della seconda Camera.

LUSSU ha l’impressione che la proposta dell’onorevole Leone capovolgerebbe l’ordine delle discussioni finora seguito. Comunque se ne potrebbe tener conto, abbinando però i due problemi della parità delle due Camere e della composizione del Senato.

PORZIO crede che l’ordine del giorno Leone possa essere considerato come una mozione d’ordine. Ricorda che quando si cominciò a discutere del Senato, egli avvertì che bisognava procedere con un certo ordine nella discussione; al che appunto mira la proposta dell’onorevole Leone. Ritiene quindi che non possa parlarsi della composizione del Senato e del suo corpo elettorale, se prima non sia stata presa una decisione sulle sue attribuzioni.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PERASSI ritiene che nell’ordine del giorno Leone sarebbe opportuno, per quanto concerne la parità del le funzioni del Senato, tenere distinta la parte riguardante il potere legislativo da quella che concerne il controllo sull’opera del Governo.

PRESIDENTE non lo ritiene necessario, in quanto la questione della parità delle funzioni del Senato, in relazione sia al potere legislativo che al controllo sul Governo, potrà formare oggetto di un’unica discussione.

LCGONI propone che la votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, che investe una questione di sostanza, sia rinviata al termine della discussione, quando cioè saranno stati risolti tutti i problemi attinenti alla seconda Camera.

TARGETTI ritiene che la proposta dell’onorevole Leone abbia portato la discussione su un tema diverso da quello che doveva formare oggetto della seduta odierna. In ogni modo, poiché il principio della parità delle funzioni del Senato è affermato nel progetto Conti in un articolo susseguente a quello in cui si fissano i criteri relativi alla formazione del Senato stesso, è di avviso che nell’odierna seduta si debba, affrontare quest’ultima questione.

CONTI, Relatore, fa presente che in un articolo del suo progetto, così concepito: «Il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Deputati e dal Senato», si afferma, senza possibilità di equivoci, la perfetta parità delle funzioni delle due Camere. Ritiene quindi che si dovrebbe considerare come presuntiva e quindi implicitamente riconosciuta la parità tra le due Camere. Ma se qualcuno avesse ancora qualche dubbio al riguardo, si potrebbe prendere subito una decisione su tale punto, per potere iniziare poi la discussione sulla composizione del Senato.

LEONE GIOVANNI teme che si stia compiendo un errore di impostazione. Ricorda che quando furono assegnati i temi ai Relatori, fu proprio l’onorevole Mortati ad affermare che era necessario distinguere tra funzioni e organizzazione dei vari poteri dello Stato. Si accettò quindi come cosa implicita che si dovesse prima stabilire la funzione, per passare poi a determinare l’organizzazione di ogni istituto. Il che è ovvio. Se in un trattato o in una legge si può prima parlare dell’organizzazione e poi delle funzioni di un dato ente, ciò è impossibile in una discussione «de jure condendo», nella quale non si può creare un istituto, senza aver prima stabilito come esso debba agire nell’ordinamento dello Stato, quali siano suoi compiti rispetto alle finalità che si vogliono conseguire e quali i suoi rapporti con gli altri organi dello Stato. È necessario quindi esaminare prima la questione della parità delle funzioni tra le due Camere, problema che riveste una notevole importanza perché se, ad esempio, alla seconda Camera dovessero essere assegnate funzioni subordinate, si potrebbe arrivare, nello stabilire la sua composizione, a conclusioni diverse da quelle che scaturirebbero dal concetto della parità con l’altra Camera.

NOBILE si associa alla tesi dell’onorevole Leone.

GRIECO rileva che il problema delle funzioni del Senato è legato inscindibilmente a quello della sua composizione. Difatti, chiunque parlerà sulle funzioni della seconda Camera non potrà fare a meno di riferirsi implicitamente o esplicitamente alla sua composizione; ma la stessa cosa accadrà nel caso inverso, in quanto la seconda Camera si giustifica non solo per le sue funzioni, ma anche per la sua composizione. Teme che se si accedesse alla proposta dell’onorevole Leone, dopo breve tempo si dovrebbe ritornare sulla discussione generale. Dichiara pertanto di essere favorevole alla proposta di riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella precedente seduta.

TOSATO trova che le osservazioni dell’onorevole Grieco hanno una parte di vero, perché non si possono stabilire le funzioni del Senato senza, nello stesso tempo, pensare alla sua costituzione; e la stessa cosa si può dire per il caso inverso. Si tratta quindi di due problemi connessi e interdipendenti, e la questione è solo di stabilire da quale dei due debba avere inizio la discussione.

Giova, frattanto, ricordare che già si è fatta una discussione generale, che ha portato ad una duplice conclusione: si è ravvisata la necessità di una seconda Camera e si è riconosciuto che essa, per non essere eguale alla prima, dovrà rappresentare le forze vive della Nazione.

Considerato quindi che è già ammessa la esistenza di una seconda Camera e in via generale è stato fissato un certo orientamento nei riguardi della sua configurazione, ritiene che, se si trovasse un punto d’accordo fra le diverse opinioni sulla questione delle funzioni del Senato, i lavori della Sottocommissione non solo si svolgerebbero con maggiore celerità, ma porterebbero anche a risultati concreti.

PRESIDENTE comprende il desiderio di arrivare ad una semplificazione della discussione; ricorda però che, sebbene nella precedente riunione si fosse deciso di discutere soltanto il problema relativo alla organizzazione della seconda Camera, di fatto si parlò anche largamente delle sue funzioni e perfino della struttura delle Assemblee regionali. Se anche, dunque, si stabilisse ora, in base alla proposta dell’onorevole Leone, di esaminare per primo il problema delle funzioni della seconda Camera, inevitabilmente si finirebbe poi col fare degli accenni più o meno larghi al problema della sua composizione.

Ritiene perciò che la proposta dell’onorevole Leone possa essere considerata soltanto come un invito ai membri della Sottocommissione di attenersi quanto più possibile all’esame del problema della parità delle funzioni delle due Camere.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che, se la mozione dell’onorevole Leone fosse accolta, si semplificherebbe il corso della discussione. Acquisito, infatti, il punto della parità delle funzioni delle due Camere, il campo delle indagini resterebbe più limitato, in quanto si dovrebbe esaminare soltanto il problema della composizione del Senato stesso.

Ritiene infine, quanto al merito, che la questione della parità delle funzioni tra le due Camere sia implicita nell’affermazione che la seconda Camera debba essere la rappresentanza delle forze vive della Nazione.

TOSATO propone di procedere alla votazione sulla questione procedurale, se cioè debba essere posta prima in discussione la parità delle funzioni tra le due Camere, ovvero la composizione del Senato.

PRESIDENTE osserva che, se la proposta dell’onorevole Tosato dovesse essere accolta, occorrerebbe modificare l’ordine del giorno dell’onorevole Leone: «La seconda Sottocommissione ritiene che debba in precedenza discutersi sulla parità delle attribuzioni fra le due Camere».

LEONE GIOVANNI preferisce non modificare il testo della sua proposta e ritiene che per il momento non si possa votare sulla questione se debba oppur no essere iniziato nella seduta odierna l’esame del problema relativo alla parità delle funzioni fra le due Camere.

LACONI dichiara di. essere contrario alla procedura che viene proposta, perché ritiene che le due questioni, della parità delle funzioni fra le due Camere e della composizione del Senato, siano talmente connesse tra loro da non poter essere discusse distintamente. Rileva inoltre che sarebbe assai strano discutere sulle funzioni del Senato quando non ancora sono state discusse e precisate le funzioni della Camera. Anche per questa ragione, quindi, è contrario alla proposta dell’onorevole Leone.

PRESIDENTE ritiene che la questione possa essere risolta assai facilmente aprendo la discussione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, con l’intesa che gli ordini del giorno che fossero in seguito eventualmente presentati potrebbero essere, a seconda dei casi, fusi con quello dell’onorevole Leone o messi in votazione distintamente da esso.

PORZIO osserva che, per poter giungere ad una precisa articolazione delle proposte, occorre stabilire, mediante votazione, dei punti fermi. Come ha già detto, egli interpreta l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Leone come una mozione d’ordine, che a suo avviso deve essere messa in votazione. Occorre precisare innanzi tutto le funzioni del Senato e poi discutere sulla sua composizione.

PICCIONI ritiene che l’ordine del giorno dell’onorevole Leone possa rimanere come un’affermazione dell’esigenza da tutti sentita che la discussione non debba esser circoscritta e limitata alla sola questione della composizione del Senato, ma debba riferirsi anche alle sue funzioni.

MORTATI, Relatore, osserva che l’onorevole Laconi ha espresso qualche dubbio sulle future funzioni della prima Camera. Ora, gli sembra che su tale argomento si abbia già un dato di fatto acquisito, in quanto che si è accettato il regime parlamentare. Se così non fosse, ogni discussione ulteriore sarebbe del tutto inutile.

PRESIDENTE riconosce non esser dubbio che la nuova Costituzione dello Stato si baserà sul regime parlamentare; ma anche in un regime parlamentare rappresentativo possono essere attribuite alla Camera funzioni che non siano esclusivamente quelle di discutere e approvare le leggi e di esercitare un controllo sul Governo. Nel regime parlamentare esistente in Italia prima del 1922, il diritto di dichiarare la guerra e di fare la pace, ad esempio, non competeva alla Camera, come non le competeva la concessione di amnistia, mentre con la nuova Costituzione probabilmente qualcuna di tali facoltà sarà attribuita piuttosto alba prima Camera che non alla seconda.

MANNIRONI afferma innanzi tutto che la seconda Camera dovrà essere posta in grado di partecipare in condizione di parità con la prima alla funzione legislativa e a quella di controllo sul Governo. Se così non fosse non vi sarebbe ragione di costituirla.

Ricorda di aver già detto in altre occasioni che la seconda Camera dovrà essere espressione della vita delle Regioni, costituita con elezioni di secondo grado, attraverso cioè le Assemblee regionali. Gli sembra frattanto che il criterio della rappresentanza su base regionale sia ormai accettato pressoché da tutti. Si tratterà di vedere se le regioni dovranno essere rappresentate paritariamente, oppure se si dovrà ricorrere ad un sistema misto, col quale per una certa parte i senatori saranno eletti in pari numero e per un’altra parte in rapporto alle popolazioni delle singole regioni. Riconosce che il sistema del numero pari per ciascuna regione costituirebbe un atto di giustizia verso le regioni meno popolate e più povere, che così avrebbero lo stesso peso delle altre nella seconda Assemblea; ma si rende conto delle maggiori esigenze delle regioni economicamente più importanti e popolate. Conferma perciò, come già in precedenza ebbe a dichiarare, di essere favorevole al primo sistema, purché sia fatto salvo il principio della parziale pariteticità di rappresentanza fra le vari regioni.

Soggiunge che, affermato il principio della rappresentanza regionale, si dovrà fare in modo che la seconda Camera sia non soltanto una rappresentanza politica del Paese, ma anche una rappresentanza di interessi o di categorie, o, per meglio dire, una rappresentanza di forze produttive, perché altrimenti si verrebbe meno ai più sani principi democratici.

Naturalmente la rappresentanza di tali forze produttive non starebbe a significare una difesa aprioristica di interessi particolari, bensì un prezioso contributo alla risoluzione di determinati problemi, da parte di uomini di provata esperienza e competenza, a tutela, sì, di singolari interessi, ma inquadrati nella considerazione dei superiori interessi del Paese.

Questa forma di rappresentanza del resto esiste in molti Stati democratici; ad esempio in Grecia, in Ungheria, nell’Equatore, in Estonia, in Romania e in Austria. In altri Stati, in cui essa non è prevista, si richiede tuttavia che i senatori appartengano a determinate categorie economiche produttive e culturali. Così avviene nel Belgio, in Brasile, nell’Egitto e nell’Irlanda.

All’onorevole Laconi che ha dimostrato di temere che la seconda Camera, così costituita, possa perdere ogni carattere di omogeneità, obietta che non vede affatto la necessità che la rappresentanza della seconda Camera sia costituita in modo omogeneo come la prima. Se così fosse, si creerebbe un doppione della Camera dei Deputati, ciò che si è deciso di evitare e che appunto è valso come argomento decisivo per contestare la necessità di una seconda Camera.

Gli sembra giusta l’osservazione dell’onore vole Mortati che, per occuparsi della composizione della seconda Camera, si sarebbe anche dovuto risolvere il problema della Costituzione delle Assemblee regionali, visto che la rappresentanza della seconda Camera avrà certamente una base regionale. Al riguardo tiene a dichiarare che in tali Assemblee non dovrà aversi soltanto la rappresentanza politica delle regioni, ma anche quella delle forze produttive e culturali, che a loro volta dovranno essere rappresentate nella seconda Camera.

Afferma poi che sarebbe anche necessario che le Assemblee regionali avessero la facoltà di distribuire i loro membri fra le varie categorie a seconda delle necessità. Ad esempio, nel momento presente le forze produttive più importanti in Sardegna sono l’agricoltura e la pastorizia; quindi in sede di Assemblea regionale sono appunto queste forze che dovranno essere adeguatamente rappresentate. Ché se in avvenire l’attività economica dell’Isola prenda un diverso indirizzo e diventi prevalentemente industriale, l’Assemblea regionale sarda dovrà poter variare conseguentemente la sua composizione.

Si dichiara infine d’accordo con gli onorevoli Zuccarini e Conti, i quali ritengono che una percentuale minima di senatori debba essere nominata dal Capo dello Stato, per riparare eventuali omissioni nella utilizzazione di elementi particolarmente capaci; né crede che la nomina presidenziale possa menomare il principio democratico al quale dovrà ispirarsi la nuova Costituzione.

TOSATO osserva che le questioni in esame sono due: rapporto tra le due Camere e composizione della seconda.

A suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere posta in una posizione di assoluta parità alla prima, sia per quanto riguarda l’esercizio della funzione legislativa, sia per quanto riguarda il potere di controllo sull’azione del Governo. Tra le varie ragioni a favore di una seconda Camera crede che non si debba perderne di vista una fondamentale: cioè, che la seconda Camera si istituisce per attuare un principio che è ormai generale in tutti i moderni ordinamenti costituzionali di equilibrio nella organizzazione dello Stato. Si tratta di dividere gli organi dello Stato e di creare fra di loro dei contrappesi al fine che nessun organo abbia tali poteri da poter promuovere forme più o meno larvate di assolutismo. Come c’è stato un assolutismo monarchico, così si potrebbe avere un assolutismo democratico, se tutti i poteri fossero concentrati in un solo organismo. Di qui la necessità di istituire una seconda Camera che abbia i medesimi poteri della prima.

Sono state mosse alcune obiezioni di ordine teorico generale contro l’istituzione di una seconda Camera, tra cui quello assai noto che la volontà popolare è unica e non può trovare espressione che in una sola Camera. Quindi una seconda Camera verrebbe ad esprimere o la volontà della prima e sarebbe inutile oppure una volontà diversa e sarebbe dannosa, in quanto non rifletterebbe esattamente la volontà del Paese. A suo avviso occorre essere molto cauti nel fare queste affermazioni. Può darsi, infatti, che la seconda Camera abbia torto nei confronti della prima, come può darsi non solo il caso inverso, ma anche il caso che i torti siano egualmente divisi fra le due Assemblee. Comunque, secondo il suo parere, ciò che più importa è che la Camera esprima, sì, in un certo senso la volontà del popolo, ma non la esprima in modo dogmatico: difatti il popolo, per sé stesso, non ha una propria volontà; compie solo un atto di fiducia nei confronti della Camera, la quale appunto deve cercare di interpetrarla sinteticamente nel modo migliore.

È questa una delle ragioni per cui si istituisce la seconda Camera.

Naturalmente occorrerà che anch’essa sia un’assemblea rappresentativa, che rispetti il principio della sovranità popolare, che in definitiva direttamente o indirettamente derivi dal popolo. Così sorge il problema della composizione della seconda Camera.

Nell’ordine del giorno in cui fu decisa l’istituzione di una seconda Camera si affermò che essa doveva essere l’espressione delle forze vive della Nazione. Questa affermazione ha anzitutto un significato negativo, nel senso cioè che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima, perché altrimenti sarebbe veramente inutile. Con l’affermazione anzidetta, infatti, si fa chiaramente allusione a quegli interessi di carattere generale che, nella loro completezza, non trovano adeguata espressione nella prima Camera, la quale rappresenta il popolo nelle sue grandi suddivisioni politiche e, in sostanza, i partiti. Rileva, in proposito, che in fondo gli interessi perseguiti dai partiti sono generalissimi, o per meglio dire generici, perché concernono le grandi direttive della politica dello Stato; ma accanto a tali interessi ne esistono nel Paese altri, anch’essi generali, e quindi politici, che sono però molto più concreti, come, ad esempio, gli interessi dei cittadini intorno all’amministrazione delle cose locali (vita della regione, dei comuni, delle provincie), intorno al lavoro, alla scuola, alla cultura, all’arte, all’agricoltura, al commercio, all’industria, all’artigianato, alla sanità pubblica e così via. Ed è in questo senso che, a suo parere, deve essere costituita la seconda Camera, come organo cioè rappresentativo di questi interessi generali e non soltanto di interessi sindacali. I sindacati perseguono gli interessi economici di una data categoria rispetto ad un’altra; ma, oltre ad essi, ci sono gli altri gruppi di interessi generali ai quali corrispondono altrettanti bisogni reali di carattere generale. La difficoltà sta tutta, come giustamente ha rilevato l’onorevole Mortati, nell’attuare una rappresentanza politica di questi interessi generali.

Nota che l’onorevole Einaudi ha fatto alcune osservazioni molto importanti, specie sulla difficoltà di stabilire un’adeguata proporzione nella rappresentanza di questi interessi, ed ha concluso che ciò importerebbe nell’ordinamento costituzionale una rigidità, una statica del tutto contrastanti col movimento continuo della vita. Ma egli non crede che a questo problema certamente di rilievo non possa trovarsi adeguata soluzione.

Ritiene che, in via generale, i membri della Sottocommissione siano tutti concordi nell’attribuire alla seconda Camera il carattere di una rappresentanza, prevalente se non esclusiva, su base regionale. Al che si può obiettare che così si verrebbe a dare un’attuazione forse assai più ampia di quel che non si pensi al principio federalistico. Ha già avuto occasione di osservare, parlandosi di regionalismo, che, almeno dal punto di vista scientifico, non si concepisce una differenza sostanziale tra l’ordinamento regionale e quello federale. Difatti si ha un ordinamento federale quando un ente, distinto dallo Stato, può emanare, sia pure in minima parte, atti che abbiano forza eguale a quella degli atti emanati dallo Stato. Se a ciò si aggiunge la notevole importanza che assumeranno le regioni, dando vita alla seconda Camera, si deve concludere che effettivamente la seconda Camera ricorda le cosiddette Camere federali.

Anche per questa ragione ritiene che bisogna dare una rappresentanza in Senato a tutti gli interessi ai quali si riconosca la natura di interessi generali e vivi della Nazione. Sottopone pertanto all’esame della Sottocommissione i seguenti articoli formulati sulla base dei principi da lui esposti:

«Art. 1. – Il Senato è composto dai rappresentanti effettivi degli interessi generali attinenti:

1°) agli enti locali territoriali; 2°) alla scuola, alla cultura, all’arte; 3°) al lavoro;

4°) all’industria e al commercio; 5°) all’agricoltura; 6°) all’artigianato; 7°) alla giustizia; 8°) alla sanità pubblica».

«Art. 2. – I senatori sono eletti, per 5 anni, dalle Assemblee regionali, su designazione delle istituzioni e delle associazioni che perseguono gli interessi di cui all’articolo precedente nell’ambito della regione».

Fa presente che ha fissato la durata di 5 anni, intendendo che la seconda Camera debba avere una vita di durata eguale a quella della prima, e seguirne le sorti anche in caso di scioglimento.

Rileva altresì che con una elezione così congegnata si avrebbe modo di stabilire una rappresentanza proporzionata ai vari interessi generali delle singole regioni.

Dà lettura quindi dei successivi articoli:

«Art. 3. – Una legge provvederà alla determinazione delle istituzioni e associazioni legittimate, in ciascuna regione, alla designazione dei senatori. Una legge provvederà pure alla determinazione del procedimento con cui le designazioni avranno luogo».

«Art. 4. – Nessuno potrà essere designato ed eletto senatore se non abbia compiuto 40 anni. I requisiti generali di eleggibilità e le incompatibilità saranno stabiliti dalla legge. Nessuno può essere ad un tempo deputato e senatore».

«Art. 5. – Le Assemblee regionali eleggeranno ciascuna 15 senatori fra quelli designati. Ognuna delle categorie indicate nell’articolo 1 sarà rappresentata almeno da un senatore».

Richiama l’attenzione dei colleghi sul fatto che le categorie, a norma del primo articolo da lui proposto, sarebbero 8 e che le Assemblee regionali dovrebbero nominare almeno un rappresentante per ciascuna categoria. Così resterebbe un margine di notevole discrezionalità a tali assemblee, che consentirebbe loro di eleggere un numero maggiore di rappresentanti per quelle categorie che nelle singole regioni avessero maggiore importanza. Si eviterebbero pertanto gli inconvenienti temuti dall’onorevole Einaudi.

Per consentire infine al nuovo Parlamento di funzionare immediatamente, aggiungerebbe la seguente disposizione transitoria:

«Fino alla emanazione della legge prevista dall’articolo 3, le Assemblee regionali procederanno alla elezione dei senatori, rappresentanti delle categorie indicate nell’articolo 1, prescindendo, dalle designazioni degli enti interessati».

LA ROCCA osserva che l’onorevole Tosato ha sollevato una questione di grande importanza quando ha sostenuto la necessità di porre la seconda Camera sul medesimo piano della prima, partendo dal principio al quale si dichiara nettamente contrario che bisogna di nuovo tornare alla teoria degli equilibri e dei contrappesi. L’onorevole Tosato ha aggiunto che la struttura dello Stato deve basarsi su un altro principio ormai superato: quello della divisione dei poteri; intendendosi con ciò che ogni organo debba avere un suo proprio potere, in modo che l’uno non possa invadere il campo dell’altro.

Senza addentrarsi in una discussione teorica, osserva che tale teoria ha avuto la sua ragione di essere e il suo compito progressivo in altri tempi, quando si trattava di garantire le libertà politiche e i diritti dei cittadini di fronte all’onnipotenza dello Stato. Ma oggi altra è la situazione: la sorgente della sovranità è nel popolo e quindi l’emanazione del potere proviene dallo stesso popolo. Il potere, così considerato, è unico e trova la sua espressione compiuta nella Camera che è il riflesso della volontà popolare.

Ha già detto altre volte che, a suo avviso, il potere dovrebbe essere concentrato nella Camera dei Deputati, la quale poi dovrebbe esprimere dal suo seno gli incaricati di esercitarlo sotto il suo controllo.

Partendo quindi dalla premessa che la Camera è l’organo supremo della Nazione, bisogna procedere con ogni cautela nell’affermare il principio della parità delle due Camere, principio al quale forse si potrebbe accedere, se la seconda Camera fosse integrazione della prima e anch’essa costituita su base essenzialmente elettiva. Ricorda che alcuni Paesi molto avanzati negli ordinamenti democratici non hanno una seconda Camera; in altri, invece, la prima Camera sta a rappresentare gli interessi generali, mentre la seconda, posta sullo stesso piano di diritto, gli interessi reali e concreti di alcuni determinati enti. Il secondo caso si ha negli Stati a carattere plurinazionale; ma l’Italia non si trova in questa situazione e, d’altra parte, sarebbe opportuno giovarsi dell’insegnamento e dell’esperienza del passato, in cui il sistema bicamerale ha dato risultati del tutto negativi e la seconda Camera è diventata troppe volte un centro di reazione e di freno al progresso.

All’onorevole Tosato, che attribuisce alla seconda Camera una funzione di freno e di correttivo alla prima, ricorda che l’espressione della volontà popolare non può essere che una ed è inconcepibile che il popolo possa trovarsi in contrasto con sé stesso. Ciò però potrebbe accadere e la sovranità popolare ne avrebbe grave danno se fosse eletta una seconda Camera per contrastare le decisioni prese dalla prima.

L’onorevole Tosato ha manifestato anche l’avviso che occorrerebbe allargare l’espressione della volontà popolare con la rappresentanza degli interessi di categoria. Deve a tal proposito far rilevare che una simile rappresentanza non sarà già dei lavoratori, bensì di alcune determinate associazioni, come ad esempio quelle degli agricoltori, degli industriali, degli avvocati, degli ingegneri, dei medici e così via.

Ricorda d’aver già in altre occasioni esposto nettamente il suo pensiero circa la necessità di evitare che il futuro ordinamento regionale possa tramutarsi in un ordinamento federalistico. È d’accordo che con la seconda Camera si crei un organo che sia la diretta espressione degli interessi e dei bisogni locali, ma ammonisce di andar molto guardinghi in questo campo, per non correre il pericolo di spezzare l’unità politica ed economica della Nazione.

Circa la questione della parità felle funzioni, osserva che la seconda Camera, in quanto più o meno costituita sulla base della rappresentanza regionale, sostanzialmente sarà l’espressione degli interessi degli enti regionali. Ed è perciò che essa non dovrebbe essere posta su un piano di parità con la prima, che è l’espressione integrale della volontà della Nazione. Soggiunge che, accogliendo la proposta dell’onorevole Tosato, per cui accanto alla rappresentanza su base regionale dovrebbe aversi nella seconda Camera anche la rappresentanza degli interessi di alcune determinate categorie, si potrebbe avere una prevalenza di questi ultimi interessi su quelli di carattere generale, ed allora la seconda Camera tenderebbe a smorzare, ad attenuare, e forse a distruggere l’opera della prima.

Si dichiara perciò nettamente contrario: innanzi tutto al principio che la seconda Camera debba essere posta su un piede di parità con la prima, e in secondo luogo a che la seconda Camera possa essere composta sulla base della rappresentanza degli interessi di alcune determinate associazioni e categorie. In sostanza, secondo il suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere l’espressione democratica degli organi locali, su base elettiva, e dovrebbe avere soltanto poteri consultivi e integrativi,

PERASSI ritiene che la seconda Camera debba avere parità di funzioni con la prima. Per quanto concerne la funzione legislativa, ogni dubbio gli sembra impossibile. Innanzi tutto ricorda che a giustificazione del sistema bicamerale si è riconosciuta la necessità che la legge risulti dalla più ampia valutazione di tutti i possibili interessi da tutelarsi con la legge stessa. Inoltre, dal punto di vista pratico, è indiscutibile che la legge, assoggettata nella sua formazione ad un riesame, riesca sempre migliore, anche se ciò vada a scapito della celerità, la quale non è sempre un vantaggio né per la legge né per il Paese.

Ritiene poi che il riconoscimento della parità delle funzioni non possa dar luogo a dubbi per quanto riguarda il controllo politico effettuato a mezzo delle interrogazioni e delle interpellanze. Qualche perplessità invece teme si possa nutrire nei riguardi del voto di fiducia al Governo. A suo parere, la parità potrebbe teoricamente affermarsi nella Costituzione, senza escludere nell’attuazione pratica del principio la possibilità di ricorrere a qualche adattamento, come è avvenuto in altri Paesi.

Per quanto concerne la formazione del Senato, gli sembra che ormai sia da tutti ammesso il principio che il Senato debba trovare la sua base nelle regioni. Al riguardo dichiara di non condividere il timore da altri nutrito di un mascherato federalismo. Pur avendo aderito ad una soluzione più attenuata del problema delle autonomie locali, non ritiene che una prevalenza della rappresentanza regionale nella formazione del Senato possa offrire dei pericoli per il funzionamento dello Stato nell’esercizio della sua attività legislativa e politica.

Circa la composizione numerica del Senato osserva in linea di principio che non vi è nessuna ragione né logica, né politica perché una Camera debba essere costituita con un solo sistema: possono esservi membri eletti o nominati con un sistema e membri nominati o eletti con un altro. Ritiene eccessivo che ogni Assemblea regionale elegga lo stesso numero di senatori. A suo avviso, ciascuna regione dovrebbe eleggere un certo numero minimo di senatori e per il resto si dovrebbe tener conto della popolazione e della estensione geografica della regione stessa. Si ottiene così la possibilità che del Senato facciano parte, in misura determinata, altri elementi non eletti dalle regioni, e questi potrebbero essere i rappresentanti di enti titolari di particolari interessi economici. Non esclude infine, senza insistere sulle ragioni di opportunità pratica e politica, da altri già lumeggiate, che la nomina di un numero ristrettissimo di senatori possa rientrare nelle facoltà del Capo dello Stato.

Nei riguardi del progetto dell’onorevole Tosato, dichiara che esso non corrisponde esattamente con le sue vedute. A suo parere sarebbe conveniente che le Assemblee regionali avessero facoltà di indicare il numero dei rispettivi senatori.

Quanto alle norme transitorie, osserva che si tratta di un problema di carattere particolare che per ora non è il caso di approfondire. È indubbio, per altro, che non si potrà non tener conto del fatto che le Assemblee regionali non saranno subito costituite; quindi il primo Senato potrà essere eletto dalle regioni con un procedimento che non sarà quello definitivo.

MORTATI, Relatore, invita coloro che sono favorevoli alla nomina di una aliquota di senatori da parte del Capo dello Stato a precisare se tale nomina dovrebbe essere a vita o a tempo determinato.

PERASSI preferirebbe la nomina a tempo determinato; non escludendo quella a vita per un ristrettissimo numero di senatori.

BOZZI è favorevole al principio della parità delle funzioni, sia per quanto attiene al processo formativo delle leggi, sia per l’intervento nelle questioni politiche ed il controllo sul Governo, soprattutto considerando il problema dal punto di vista dell’equilibrio politico.

Essendosi affermato che il Senato deve avere una base politica e rappresentativa, ne consegue che per questa sua struttura esso non contraddice, ma integra e completa la rappresentanza della prima Camera. In sostanza il Senato viene a rappresentare quelle forze sociali, di cui la Camera, per la sua particolare configurazione di rappresentanza di partiti, non può esprimere in modo autonomo la volontà.

Osserva che il problema della composizione del Senato non è facile, e che esso può essere variamente risolto: così la sua struttura da alcuni viene ricollegata alle regioni, quando ancora non si sa come le regioni dovranno essere costituite; da altri invece all’intervento delle associazioni sindacali, quando non si sa ancora quale sarà la legge che regolerà la formazione ed il potere di tali associazioni.

Richiamandosi alle osservazioni degli onorevoli Tosato e Perassi, nota che, se si parla di rappresentanza delle regioni, si deve anche precisare se si intende parlare di queste come enti di diritto pubblico, come soggetti titolari di autonomia ed autarchia. Teme però che in tal modo si possa favorire il sorgere di una struttura federalistica, specialmente se si aderisce alla tesi, prospettata dall’onorevole Lussu e da altri seguita, di dare ad ogni regione una rappresentanza eguale. Si arriverebbe così facilmente alla regione considerata come un ente sovrano, come membro di uno Stato federale, il che è assolutamente da evitare. Ricorda che nell’accogliere il principio dell’ente regione si partì dal presupposto di uno Stato unitario; presupposto che assolutamente non deve essere dimenticato.

Dissente da quanti vorrebbero che il corpo elettorale del Senato non fosse quello stesso della Camera: se si vuole creare un Senato che possa efficacemente esplicare una funzione in condizioni di parità con la Camera, occorre che il corpo elettorale dell’uno sia eguale a quello dell’altra. Un Senato con un corpo elettorale più ristretto di quello della Camera, la quale appunto trae la sua autorità dalla volontà generale dei cittadini, sarebbe un organo privo di prestigio, che, automaticamente, anche se fosse affermato il principio della parità delle funzioni delle due Assemblee, si troverebbe in una situazione di subordinazione rispetto all’altro ramo del Parlamento. Pertanto, contrariamente a quanto è stato proposto dall’onorevole Tosato, suggerisce l’adozione di un sistema orientato verso il suffragio universale, sempre però nell’ambito della regione: in altri termini, dovrebbero essere i cittadini delle regioni e non le Assemblee regionali ad eleggere i membri del Senato, perché, se si ricollega la vita del Senato a quella delle Assemblee regionali, quali specifici corpi elettorali, qualunque mutamento queste eventualmente subissero si ripercuoterebbe sulla vita del Senato.

Occorrerebbe invece determinare nella Carta costituzionale le categorie dei cittadini che potrebbero essere eletti senatori ed allo scopo potrebbero servire come punto di partenza le specificazioni dell’onorevole Tosato, così che la seconda Camera rappresenterebbe quelle forze vive della Nazione, economiche, culturali, artistiche ecc., alle quali spesso si è fatto riferimento.

Bisognerebbe poi procedere all’operazione più difficile, cioè al dosaggio di tali forze, per determinare quanti dovrebbero essere i rappresentanti di una data categoria e quanti quelli di un’altra. Ricorda al riguardo l’acuta osservazione già fatta dall’onorevole Rossi e poi ripresa dall’onorevole Einaudi, che in una norma statutaria non si possono cristallizzare le situazioni, tanto più che si tratta di forze vive e, come tali, in continuo movimento. Si potrebbe pertanto lasciare alle Assemblee regionali la determinazione dei seggi che in ogni regione dovrebbero essere affidati a ciascuna delle categorie previste in via generale dalla Costituzione.

Si avrebbe così una combinazione di tre principi diversi, che potrebbero dare utili risultati: 1°) il principio del suffragio universale, cioè della investitura diretta da parte del popolo, che darebbe autorità e prestigio alla seconda Camera, per cui essa verrebbe a trovarsi senz’altro in una situazione di parità con la prima; 2°) l’indicazione di categorie da considerarsi come forze vive della Nazione; 3°) l’attribuzione alle Assemblee regionali della possibilità di valutare le particolari esigenze e gli specifici aspetti della vita della regione. E naturalmente il sistema dovrebbe trovare la sua concretizzazione in una legge elettorale speciale.

Aggiunge che non è d’accordo con l’onorevole Tosato quando propone che le associazioni sindacali indichino i nomi dei candidati alle Assemblee regionali, perché così si verrebbe a costituire una Camera di rappresentanti di associazioni e di enti in genere, e non già di rappresentanti del popolo.

FABBRI constata che vi sono due punti acquisiti nella discussione: il sistema bicamerale e la costituzione del Senato quale rappresentanza delle forze vive del Paese. Resta ora da risolvere un problema grave e delicato: quello delle modalità per la scelta dei senatori.

L’onorevole Tosato ha proposto un sistema che in sostanza ne rinvia ad una legge speciale la fissazione, mentre a suo avviso la questione va affrontata in sede di Sottocommissione, risolvendo innanzi tutto il problema se occorra procedere con elezione diretta o di secondo grado. Premesso che il Senato non dovrebbe avere minori funzioni della Camera, sia nel campo legislativo che in quello di controllo sull’azione di governo, ritiene che la Carta statutaria dovrebbe fissare il numero dei senatori e determinare la loro ripartizione tra le varie regioni.

Quanto al delicato argomento del voto di fiducia, associandosi all’onorevole Perassi, aggiunge che concepirebbe il Senato come un organo, in un certo senso permanente della vita rappresentativa dello Stato, e non con una durata legata a quella della Camera come propone l’onorevole Tosato. Pensa pertanto ad una durata di sei anni per il mandato dei senatori, con la rinnovazione di un terzo ogni due anni. Si assicurerebbe così la continuità di un organo rappresentativo dello Stato anche in caso di vacanza di altri organi, compreso il Capo dello Stato. D’altra parte il parziale rinnovamento biennale importerebbe un esercizio di attività politica da parte dei cittadini, assai utile per la loro educazione, ed insieme un orientamento sugli indirizzi del corpo elettorale, che non è male verificare con una certa periodicità e frequenza.

Circa il riparto dei senatori tra le varie regioni, egli preferisce considerare le regioni come collegi elettorali più che come organi capaci di avere propri rappresentanti, per allontanare il pericolo di addivenire ad un ordinamento federalistico. Sia i deputati che i senatori a suo avviso debbono essere i rappresentanti della Nazione.

Nei riguardi del criterio da seguire per l’elezione dei senatori, osserva che se si accedesse al sistema maggioritario relativo, potrebbero sussistere fondati motivi per dare la preferenza alla elezione diretta anziché a quella di secondo grado. Se invece si adottasse anche per la seconda Camera la proporzionale, per non avere duplicazioni della fisionomia della prima, bisognerebbe dare la preferenza alla elezione di secondo grado. Inoltre con l’elezione diretta basata sul sistema maggioritario si potrebbe fare a meno di attribuire al Capo dello Stato la prerogativa della nomina di un ristretto numero di senatori, prerogativa che invece sarebbe utile riconoscere se si accedesse al concetto dell’elezione di secondo grado.

CONTI, Relatore, rileva che la discussione si è svolta con scarsa organicità, ed esprime il parere che si possa chiudere la discussione generale.

Desidera poi precisare il netto punto di vista suo e del suo partito in merito ad una questione di principio. È stato più volte sostenuto che, per realizzare la volontà popolare, non ci sia altro modo che quello dell’elezione di una sola Camera. Premesso che i repubblicani storici si considerano e si vantano di essere i bigotti della sovranità popolare, afferma che la pretesa di realizzarla con l’istituzione di una sola Camera viola il principio stesso della sovranità popolare. Una sola Camera si può trasformare facilmente, come è avvenuto in molti Paesi, in una oligarchia pericolosissima, mentre solo con l’istituzione di molteplici enti rappresentativi si può realizzare la sovranità popolare. Per questa ragione i repubblicani sostengono che, accanto alla Camera dei Deputati, debba essere istituita una seconda Camera e che entrambe debbano essere integrate da quelle istituzioni regionali con le quali si può creare una vera democrazia. Essi aspirano in sostanza a che sia data vita a tutte quelle istituzioni che veramente derivino dalla volontà popolare e rappresentino gli interessi immediati delle popolazioni. L’idea che si possa trasferire la volontà popolare soltanto in cinque o seicento individui rasenta l’assurdo, poiché questi non potranno mai rappresentare 45 milioni di italiani.

TOSATO dichiara di aderire in pieno alle affermazioni dell’onorevole Conti.

PORZIO, non essendo intervenuto a procedenti riunioni e sentendo parlare oggi del Senato, desidera esprimere il proprio punto di vista.

Si è votato per il sistema bicamerale, e questo è il punto fermo da cui si deve partire; onde talune osservazioni dell’onorevole La Rocca contro il sistema bicamerale sono ormai superate.

Ricorda di aver preveduto in una precedente riunione che forse si voleva un Senato con poteri e compiti più o meno ristretti; e la discussione su questo punto dovrebbe essere fatta ampiamente, esponendo ciascuno il proprio punto di vista apertamente, senza sottintesi e senza circonlocuzioni di parole.

Quando si è affermato il principio del sistema bicamerale, il fine che si intendeva perseguire era quello di costituire non già un meccanismo, ma un organismo; e come negli organismi naturali le varie facoltà si integrano, si completano, si rafforzano, lo stesso si desiderava che avvenisse per le due Camere, che insieme costituiranno l’Assemblea Nazionale.

Non parlerà di sistemi parlamentari stranieri perché già altra volta ha detto che, se l’Italia ha subito una tremenda disfatta, l’intelletto italiano non è stato sconfitto ed è e sarà capace sempre di legiferare originalmente. Potrebbe forse dire in linea politica all’onorevole La Rocca che, se in Francia fosse stato accolto il sistema unicamerale, certamente non avremmo avuto in Italia la presente adesione pressoché di tutti al sistema bicamerale.

Si sta ora creando una nuova Costituzione. In materia politica la condotta di chi, specialmente come lui, non è iscritto ad alcun partito, può essere erroneamente giudicata e dare adito a qualche equivoco. Tiene perciò a dichiarare che egli è per indole, per vita di lavoro, per anima, un democratico. Nella sua vita politica ha seguito unicamente Giolitti, questo grande piemontese e grande italiano che aveva le lacrime agli occhi se gli si parlava di Torino e diventava pieno di sollecitudini, premure, riconoscimenti, se gli si parlava del Mezzogiorno. Fu Giolitti ad imprimere, tra lotte immani e spesso fra ostili incomprensioni, il moto progressivo democratico al nostro Paese. Il Presidente onorevole Terracini, quando affermava che la Camera, tra le altre sue facoltà, deve anche avere quella di poter dichiarare o negare la guerra, avrà forse pensato che il progetto di legge per la modifica dell’articolo 5 dello Statuto fu presentato da Giolitti e che egli ebbe l’alto onore per incarico di questo uomo eminente di scriverne la relazione. Questa è la sua carta da visita, una volta per tutte.

È d’accordo con l’onorevole Conti. Un maestro diceva che vi era una sorta di teologia politica: la Camera ardimentosa, tumultuante ed impulsiva; il Senato conservatore, severo – l’Assemblea seduta di carducciana memoria – intransigente nel suo rigore. Ma tutto questo non è più. Se la base della rappresentanza nel Senato non sarà più la nomina dall’alto, ma l’elezione attraverso il suffragio universale, ogni prevenzione su un possibile carattere conservatore del Senato sarebbe fuori luogo. Il Senato non potrà essere che la legiferazione meditata, approfondita, riveduta; non potrà essere che il limite ad un potere che sarebbe assoluto e dal quale deriverebbero giudizi, leggi irrevocabili ed irreparabili. È la Corte d’appello. Ciò pare che sia voluto, consapevolmente o inconsapevolmente, da tutti, dal momento che per il deputato si pone come condizione avere soltanto 25 anni di età, mentre per il senatore si pone quella di averne 40; ossia l’età di una riflessione e di una esperienza più matura. Ma sarebbe una contraddizione in termini richiedere tale maggiore maturità intellettuale da chi dovesse compiere funzioni più ristrette e più limitate.

Vi deve dunque essere parità fra le due Camere.

In ogni modo, è comune a tutte le legislazioni il principio secondo il quale la seconda Camera ha una base più ristretta per le elezioni ed è eletta con votazione indiretta. Ricorda un antico progetto di un eminente uomo politico, Antonio Scialoja, secondo il quale la base del Senato elettivo doveva essere costituita dai Consigli provinciali, comunali, professionali, industriali, lavoratori. Nihil sub sole novi, se il progetto di Antonio Scialoja si avvicina molto all’idea espressa dall’onorevole Bozzi.

È del parere poi che il Capo dello Stato debba avere la facoltà di nominare alcuni senatori, specialmente le grandi personalità che onorano la Patria, perché vi sono alcune personalità che rifuggono dalla lotta elettorale, ma il cui valore può dar lume e decoro all’Assemblea.

Termina esortando i componenti la Sottocommissione a pensare che, specialmente nell’ora che si attraversa, il Paese sarebbe profondamente deluso se nella nuova Carta costituzionale vedesse ridotte le facoltà del Senato, che nella tradizionale coscienza del popolo è stato sempre un istituto che ha conferito autorità e prestigio alla Nazione.

AMBROSINI rileva che la Sottocommissione sembra ormai orientata ad assegnare la maggioranza dei seggi della seconda Camera ai rappresentanti delle regioni. Occorre pertanto che sia determinato in modo tassativo il numero dei membri da assegnare alle singole regioni. A tale proposito ritiene che dovrebbe essere assicurato ad ogni regione un minimo di rappresentanza (da due a quattro senatori) mentre il numero degli altri dovrebbe essere fissato in base all’entità della popolazione, perché quanto maggiore è la popolazione e tanto maggiori sono i bisogni, ed è quindi giusto che le regioni più popolose abbiano un maggior numero di rappresentanti.

RAVAGNAN dichiara che, innanzi tutto, è bene partire, per dare un certo ordine alla discussione odierna, da un dato di fatto ormai acquisito, che cioè è stata già decisa l’istituzione di una seconda Camera. In secondo luogo, circa la questione relativa alle funzioni da attribuirsi alla seconda Camera, gli pare si potrebbe essere d’accordo nell’affermare che essa debba essere chiamata a migliorare la elaborazione delle leggi, e così a perfezionare l’opera legislativa della Camera dei Deputati.

Quanto al modo di costituire la seconda Camera, sarà bene risolvere pregiudizialmente il problema se debba essere costituito un corpo elettorale, basandosi sull’elezione da parte dei cittadini, oppure se i membri della seconda Assemblea debbano essere in tutto o in parte nominati dall’alto. Secondo il suo parere, non dovrebbe essere accettato il criterio della nomina dall’alto e ciò per una questione di principio, e cioè che nella coscienza universale moderna il mandato legislativo è concepito come un’emanazione della sovranità popolare.

Altra questione da decidere, ma sulla quale sostanzialmente si è già d’accordo, è quella se il corpo elettorale, chiamato ad eleggere i membri della seconda Camera, debba essere costituito o meno sulla base della regione. In proposito è da domandarsi se tale corpo elettorale debba essere costituito dalla universalità dei cittadini, sempre nell’ambito della regione, oppure da categorie speciali determinate dalla legge; ed egli è personalmente favorevole alla prima delle due ipotesi.

PRESIDENTE, data l’importanza dei problemi in discussione, desidera esprimere il suo parere personale.

Dichiara innanzi tutto di essere contrario alla parità di funzioni della seconda Camera rispetto alla prima, perché, mentre questa è senz’alcun dubbio espressione genuina della sovranità popolare, l’altra sarà comunque costituita espressione di funzioni ed esigenze che con tale sovranità perfettamente non coincidono. L’onorevole Conti, quando ha affermato che la sovranità popolare trova la sua espressione non solo nell’Assemblea Nazionale, ma in qualunque altra Assemblea che sorga nel seno della Nazione, avrebbe dovuto aggiungere: e che si formi senza esclusione di nessun gruppo, sia pure limitato, di cittadini. Condivide l’opinione che quanto più si moltiplicano gli organismi di rappresentanza collettiva e tanto più la democrazia si afferma e la volontà popolare può farsi valere; ma respinge l’idea che questa volontà trovi maggiore espressione in organi periferici, limitati e parziali, anziché nell’Assemblea Nazionale. In questa la sovranità del popolo trova la sua più completa e valida estrinsecazione, mentre ogni altra assemblea locale non può essere che integratrice e subordinata. Se poi le Assemblee regionali dovessero formarsi secondo quanto propone l’onorevole Conti, la loro base elettiva sarebbe senz’altro mutilata, ed uguale pecca avrebbe una seconda Camera che trovasse in esse la sua sorgente; infatti, una rappresentanza di categorie escluderebbe dal quadro immediatamente quasi tutte le donne, in massima parte non partecipi in modo diretto al processo produttivo e pertanto non ineludibili nei particolari collegi elettorali. Semplici massaie, esse non avrebbero diritto al voto, perché non esiste un sindacato delle massaie; e se sotto il fascismo esiste un’associazione delle massaie rurali, di fatto essa era l’organizzazione delle contadine, lavoratrici dei campi.

Si è affermato che, così come la dualità delle due Camere, la parità dei loro poteri sarebbe giustificata dall’esigenza di realizzare un equilibrio interno del sistema parlamentare. Ma perché la necessità di tale equilibrio non si avverte rispetto agli altri poteri dello Stato, come, ad esempio, in quello esecutivo? Si potrebbe affermare che l’equilibrio si raggiunge con la presenza, accanto al Capo del Governo, del Capo dello Stato. Ma questo, se una tale funzione di equilibrio esercita, lo fa non nell’interno dell’esecutivo, ma nei rapporti fra i vari poteri, tanto che è proprio con questa giustificazione che si vuole da taluno elevare oltre l’ammissibile la sua autorità. Parimenti a nessuno verrebbe in mente di chiedere uno sdoppiamento del potere giudiziario allo scopo di equilibrarne il funzionamento. È evidente insomma che, se un equilibrio è necessario nel sistema generale dei poteri, e cioè nei rapporti fra l’uno e l’altro, è illogico rivendicarlo nell’interno di ciascuno di essi.

Passa poi a ricercare quali siano le materie da escludere dalla competenza della seconda Camera. Pensa, ad esempio, che questa non abbia titoli per discutere ed approvare i bilanci. L’esame delle entrate ha costituito storicamente la ragione prima del sorgere dell’Assemblea elettiva, che ha condotto progressivamente all’attuale Camera dei Deputati. Non si comprende come coloro che pensano ad una seconda Camera, formata sulla base della rappresentanza degli interessi, possano volerle poi assegnare il compito di approvazione del bilancio. La imposta è pagata dal cittadino in quanto tale, dal cittadino indifferenziato, e non dal contadino, o dall’industriale, o dal commerciante. Tutti sono tenuti a contribuire alle spese dello Stato, e la prima Camera, eletta col suffragio universale ed eguale, è appunto la Camera di tutti; e lo è essa sola.

Egli sottrarrebbe del pari alla seconda Camera il diritto di interloquire e deliberare in materia di amnistia, perché non vede quale particolare apporto potrebbe arrecare alla valutazione della sua opportunità ed estensione un organo comunque meno pronto della Camera dei deputati ad avvertire il tono e l’orientamento politico del Paese. Si tratta infatti di materia squisitamente politica, perché in genere è la «necessità politica» a suggerire l’amnistia. Ed ancora una volta non può sorprendere il fatto che siano proprio coloro che vogliono dare alla seconda Camera la fisionomia meno politica possibile, quelli che intendono lasciarle invece le facoltà più tipicamente politiche.

Così pure il diritto di inchiesta dovrebbe rimanere attribuito soltanto alla prima Camera, che è l’organo il quale, più direttamente ed immediatamente collegato col Paese, meglio ne riflette le emozioni, i turbamenti, le preoccupazioni, il bisogno di essere illuminato su fatti e circostanze che abbiano colpita la pubblica opinione.

Ritiene infine che alla seconda Camera non possa riconoscersi il potere di accordare o negare la fiducia al Governo. Non è forse il caso per questo di richiamarsi alla tradizione del vecchio Senato italiano, cui era negata tale facoltà, in quanto si potrebbe opporre che ciò era dovuto al fatto di essere esso di nomina regia e che perciò, con una seconda Camera divenuta elettiva, il peso della tradizione verrebbe meno. Indipendentemente da altre ragioni già esposte nel corso della discussione, egli pensa che, riservando ad una sola Camera tale potere, si evita il frequente insorgere di conflitti fra le due Camere ogni qual volta l’una accordi e l’altra neghi la fiducia al Governo. Alla seconda Camera resterebbe però sempre il potere di controllo sul Governo da esercitarsi col diritto d’interrogazione e di interpellanza.

Resta a parlare del diritto di guerra e di pace. Al riguardo, egli pensa che ogni decisione dovrebbe essere presa dalle due Camere insieme riunite, e pertanto che tale diritto spetterebbe così alla prima come alla seconda Camera. Si è obiettato che nell’Assemblea Nazionale le due Camere, se fornite l’una di maggiori e l’altra di minori poteri, male potrebbero sedere e provvedere insieme. Ma l’argomentazione è artificiosa. Ciò che importa non è che le due Camere abbiano poteri differenziati quando seggono ciascuna a sé, nell’esercizio delle distinte funzioni; ma che abbiano eguale potere nei confronti di quelle materie che devono affrontare in sede comune e con unico giudizio.

Così elencate le esclusioni, ritiene che le due Camere debbano stare su piede di parità per quanto riguarda il potere di legiferare. La seconda Camera esaminerà e voterà dunque tutte le leggi dello Stato, perché è nella elaborazione di queste che insorge la necessità da tutti asserita che i vari problemi siano visti non solo da un punto di vista generale, ma da tutti i punti di vista particolari, ed in relazione a tutti gli interessi specifici che si manifestino nell’interno del Paese.

Passando al problema della composizione della seconda Camera, afferma che occorre respingere ogni designazione dall’alto. Non si pone qui un problema di quantità, ma un problema di principio. Ogni designazione dall’alto, sia pure di pochi membri, di un’Assemblea rappresentativa, costituisce in regime democratico una mostruosità, da cui uomini adunati ed intenti ad un’opera razionale devono assolutamente rifuggire. In un sistema democratico ogni autorità deve provenire dai cittadini. L’opinione di quanti pensano che in sostanza la stessa designazione dall’alto potrebbe in certa guisa considerarsi come una elezione di forma indiretta, non è accettabile,

perché la designazione del Capo dello Stato sorge da una elezione di secondo grado; coloro che da lui fossero designati come membri della seconda Camera, trarrebbero la propria investitura da una elezione di terzo grado, e a questo punto parlare ancora di volontà e di scelta popolare sarebbe puro artifizio, perché il tramite tra gli pseudo eletti e la volontà degli elettori di primo grado sarebbe del tutto evanescente. Se è concepibile una elezione di secondo grado, ed è anzi sperimentata presso molti Stati, quella di terzo grado rappresenta una pura esasperazione annichilitrice del sistema.

È stato affermato che comunque sarebbe opportuno consentire al Capo dello Stato di chiamare a far parte della seconda Camera uomini celebri, che per le loro capacità rappresentano una illustrazione del Paese, ma che, in genere, si mantengono estranei alla lotta politica e sono schivi e spesso pavidi del contatto con le folle. Ma appunto per questa ultima ragione tali uomini sono i meno indicati a far parte di un consesso politico, non potendo rendervisi interpreti dei bisogni e delle aspirazioni del popolo, col quale non sanno comunicare ed intendersi. Al riguardo ricorda quanto sia stato modesto il contributo dato alla vita politica del nostro Paese dagli uomini portati, contro voglia, a sedere nelle Assemblee parlamentari. Immessi in Senato, Manzoni, Carducci, Verdi, Marconi raramente ne varcarono le soglie; e Verdi addirittura si vantava di non averlo fatto se non una volta sola per la formalità del giuramento. Chi non è attratto alla lotta politica, la quale in confronto delle maggiori imprese intellettuali può a volte sembrare volgare e umiliante, non vi adirà per il fatto di un’investitura dall’alto. Le nomine riservate al Capo dello Stato si risolverebbero quindi a fornire la seconda Camera meno ancora che di figure, di nomi decorativi; ma né la prima né la seconda Camera necessitano di tale decorazione speciale: o si procacceranno da sé, con le loro opere, rispetto o prestigio, o rimarranno comunque senza stima e senza consenso.

Né gli sembra opportuno riservare alle alte cariche dello Stato l’ingresso di diritto alla seconda Camera. Pensa anzi che si dovrebbe dichiarare l’incompatibilità tra le loro funzioni e l’appartenenza al potere legislativo. A parte quel certo spirito di dipendenza che i funzionari delle pubbliche Amministrazioni conservano sempre nei riguardi del potere esecutivo, sarebbe assai difficile per essi assolvere contemporaneamente e con piena efficienza ambedue gli incarichi. Sorgerebbe poi per essi il problema della durata del mandato, se sia cioè da rinnovarsi ad ogni spirare di legislatura, o continuativo in relazione alla permanenza nell’ufficio; onde l’esigenza di norme che appesantirebbero la Costituzione, togliendole quella semplicità di linee che è necessario assicurarle.

Il problema se i membri della seconda Camera siano i rappresentanti delle regioni territorialmente considerate, oppure di certe determinate categorie nell’ambito regionale o nazionale è cosa certamente di rilievo; ma peso maggiore ha l’altro della elettività della seconda Camera, come base esclusiva della sua formazione. Egli opina, anzi, che una affermazione incisiva del principio dovrebbe essere contenuta in un articolo che precedesse tutta la stesura delle norme costituzionali relative agli organi parlamentari, e che dovrebbe suonare nei seguenti termini: «Il potere legislativo, sulla base delle due Camere, ha una sorgente di carattere elettivo».

Stabilità la base regionale della feconda Camera, resta da decidere se l’elezione ne debba essere di primo o di secondo grado. Personalmente esprime l’opinione che debba essere di secondo grado. La proposta dell’onorevole Fabbri per le elezioni dirette, più democratica all’apparenza, ha in realtà un carattere antipopolare. L’elezione alla seconda Camera con collegio uninominale e sistema maggioritario, darebbe luogo a risultati certamente più di destra, ad un allineamento molto più arretrato di quel che non si verificherebbe nelle elezioni per la prima Camera fatte col sistema proporzionale. Ne sorgerebbe un netto distacco tra le due Camere, tale che non può essere desiderato né favorito da chiunque aspiri alla maggiore armonia tra i due organi.

Quanto alle proposte dell’onorevole Bozzi rileva che esse implicano un collegio unico regionale, ed il sistema maggioritario nella elezione. Non è infatti pensabile che si possa giungere ai risultati desiderati dall’onorevole Bozzi, cioè ad una rappresentanza di categorie con rapporti prefissati, con il sistema proporzionale. Senza collegio unico con sistema maggioritario, potrebbe avvenire infatti che riuscissero eletti fra i candidati delle varie liste, un maggior numero in alcune categorie ed in altre uno minore di quanto non sia previsto nello schema iniziale. Crede quindi che anche il progetto Bozzi, così attraente a primo acchito, non possa resistere ad un esame accurato del suo giuoco interno.

Aggiunge ancora poche parole sulla rivendicata rappresentanza degli interessi. L’onorevole Ambrosini in una riunione precedente ha sostenuto che gli interessi che dovrebbero essere rappresentati in seno alla seconda Camera non dovrebbero riferirsi alle piccole categorie od a gruppi polverizzati, ma a grandi raggruppamenti sociali. Questi raggruppamenti verrebbero a coincidere, per ricorrere ad una terminologia corrente, con le classi. Ora, che cosa rappresentano i partiti, non in senso immediato, ma nella loro genesi e natura, se non appunto le classi, ed i loro interessi generali? E che cosa ne sono le ideologie, se non la sublimazione di questi interessi di classe concepiti nella loro continuità e comprensività? Ma i partiti sono, nell’opinione di tutti, i sostenitori della prima Camera. Secondo questa legittima interpretazione della tesi dell’onorevole Ambrosini e di molti altri membri della Sottocommissione, essi diverrebbero anche momenti essenziali del processo formativo della seconda. In definitiva dunque, la seconda Camera finirebbe per essere quasi un duplicato, salvo alcuni aspetti formali, della prima. Superflua dunque; non necessaria. E questa è stata la tesi iniziale che egli sostenne, quando fu incominciata questa discussione.

Prima di concludere, non può non richiamare l’attenzione della Commissione sul pericolo grave insito in una formazione della seconda Camera a base di rappresentanza di interessi. Se collusioni oscure di gruppi di interessi, spesso all’apparenza nettamente antitetici, a danno della collettività sono già possibili in seno ad un’assemblea eletta con criteri indifferenziati, essi potrebbero divenire la regola in un consesso in cui ognuno di tali gruppi si presentasse nettamente distinto ed individuato. Ricorda che un’alleanza obliqua di tal genere, fra operai ed imprenditori dell’industria pesante, ha valso all’Italia il sorgere ed il giganteggiare del protezionismo doganale, terreno sul quale nazionalismo e fascismo eressero la loro disastrosa dittatura. Ogni struttura costituzionale che facilitasse il ripetersi di un tale disastroso processo deve essere deprecata e combattuta. Non vi è dubbio che una Camera degli interessi vedrebbe la sua opera permanentemente insidiata da questo pericolo; e per eluderlo occorre attenersi ad un criterio che, anziché individuare ed isolare gli interessi, li fonda smorzandone le manifestazioni più caratteristiche.

TOSATO risponde alla domanda postagli dall’onorevole Terracini: perché dovrebbe attuarsi il principiò dell’equilibrio solo nel potere legislativo, e non anche, allora, nel potere esecutivo e in quello giudiziario? La risposta gli sembra molto semplice. Bisogna tener presente che il potere esecutivo e il potere giudiziario (che poi risultano da un complesso numeroso di organi fra i quali l’attività esecutiva e l’attività giurisdizionale sono suddivise) non sono poteri sovrani. Sia l’uno che l’altro, sia pure in misura e sotto aspetti diversi, sono vincolati dalle leggi poste dal potere legislativo. Questo invece si pone nell’organizzazione dello Stato come organo sovrano ed è proprio rispetto all’organo sovrano che si appalesa la necessità di un equilibrio, che si attua appunto attraverso il bicameralismo. Per la stessa ragione che, posto il principio della sovranità popolare, non si vuole che la sovranità stessa sia concentrata in una sola persona fisica, così si ritiene opportuno e necessario che il Parlamento, anziché da una sola, sia composto da due Camere, per evitare appunto eventuali abusi ed attuare quindi l’equilibrio.

FUSCHINI, per evitare discussioni inutili e contraddittorie e rendere così più proficuo il lavoro della Sottocommissione, propone che sia nominato un Sottocomitato composto di un numero ristrettissimo di persone, il quale riesamini e rielabori le varie proposte fatte nel corso della discussione e sottoponga poi alla Sottocommissione un quadro preciso delle questioni fondamentali e possibilmente un progetto articolato.

LUSSU si rende conto delle ragioni che hanno consigliato l’onorevole Fuschini a presentare la sua proposta, ma ha la netta sensazione che, accettandola, si otterrebbero risultati contrari a quelli da lui sperati. Ritiene infatti che il problema riguardante la costituzione del Senato sia stato ormai ampiamente discusso e che si possa così arrivare a delle conclusioni. Viceversa, se si sospendessero le riunioni per consentire al Comitato di presentare le sue proposte, i lavori della Sottocommissione diventerebbero più complessi e durerebbero più a lungo.

EINAUDI osserva che la proposta dell’onorevole Fuschini potrà essere accettata fra qualche tempo, non quindi immediatamente, perché non ancora sono state prese decisioni sulle questioni fondamentali attinenti alla costituzione del Senato.

PRESIDENTE fa presente che ormai le idee, per quel che riguarda il problema in esame, sono abbastanza chiare e la strada da percorrere è evidente.

La discussione generale è chiusa e nella prossima seduta si potrà mettere in votazione anzitutto la questione della parità dei poteri tra le due Camere. Nell’ipotesi che si approvasse una disparità di poteri, si potrà esaminare la questione delle funzioni da attribuire alla seconda Camera. In secondo luogo, occorrerà prendere una decisione sul problema della formazione dei Senato, stabilire cioè se la seconda Camera dovrà avere una base esclusivamente elettiva o se saranno consentite anche le nomine dall’alto e quella di diritto in funzione delle cariche ricoperte. Qualora la risposta, nei riguardi dell’ultimo quesito, fosse affermativa, si potrebbe passare all’elencazione delle cariche e alla fissazione del numero massimo degli eleggibili. Infine occorrerà stabilire il criterio da seguire per l’elezione: se, cioè, essa dovrà essere diretta o indiretta.

FUSCHINI non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, purché possa essere presa in considerazione in un secondo momento.

La seduta termina alle 12.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Bocconi, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile.