Come nasce la Costituzione

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – La Rocca – Nobile – Bulloni – Ravagnan – Di Giovanni – Conti, Relatore – Calamandrei – Leone – Mortati, Relatore – Targetti – Fabbri – Lussu – Laconi – Tosato – Patricolo – Ambrosini – Mannironi – Codacci Pisanelli – Perassi – Zuccarini – Uberti – Rossi Paolo.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mortati ha proposto un articolo così concepito: «I deputati ricevono un’indennità che sarà fissata dalla legge». Si tratta di decidere se l’argomento possa essere contemplato nella Costituzione, e in caso affermativo, con quale formula. Personalmente ritiene opportuna l’affermazione, che si trova in altre Costituzioni, come quella francese, del principio dell’indennità parlamentare, a cui si attribuisce un particolare significato.

LA ROCCA ritiene indispensabile fissare questo principio, del tutto aderente alle necessità della carica di deputato. Osserva che per lungo tempo i rappresentanti delle correnti popolari sono stati praticamente esclusi dalla partecipazione alla vita pubblica, che era in tal modo riservata a coloro che potevano trarne profitto o a coloro che erano largamente provvisti di beni di fortuna. Oggi non può esservi dubbio sull’assoluta necessità di porre coloro che difendono gli interessi del popolo nella condizione di potere, senza preoccupazioni di ordine materiale, assolvere al loro compito con dignità, con fierezza, con indipendenza, con serenità.

NOBILE ritiene che tale indennità dovrebbe essere considerata come un rimborso di spese.

BULLONI suggerisce, per la fissazione dell’indennità, un criterio analogo a quello adottato dalla Costituzione francese, che fa riferimento al trattamento di determinate categorie.

RAVAGNAN è d’accordo con l’onorevole Bulloni. Ritiene che nella Costituzione non solo debba essere affermato il principio della indennità, ma debba anche esser detto perché i deputati vi hanno diritto. Se ben ricorda, la Costituzione francese dice: «per assicurare la loro indipendenza e la loro dignità».

DI GIOVANNI riconosce che corrisponde al principio democratico assicurare un’indennità a coloro che esplicano la loro opera a vantaggio della collettività; ma preferirebbe che tale norma fosse rimandata al regolamento interno, non sembrandogli la cosa di tale importanza da dover trovar posto nella Costituzione.

Comunque, se la Sottocommissione propende ad affermare questo principio nella Costituzione rimandando, come del resto fa il progetto della Costituzione francese, ad una legge speciale la determinazione di questa indennità, non intende fare alcuna opposizione.

CONTI, Relatore, propone che la disposizione relativa all’indennità sia inserita nel suo progetto, dove si dice che «La Camera delibera il proprio Regolamento, provvede alla propria amministrazione, disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato, aggiungendovi: «anche per l’indennità per i deputati».

CALAMANDREI si domanda se non sia il caso di stabilire il criterio che l’indennità debba essere data in quanto la condizione economica dei deputati la renda necessaria, e ciò soprattutto considerando il ragguardevole numero di avvocati che fanno parte di tutti i Parlamenti del mondo. Risulta dai rilievi fatti altra volta dall’onorevole Nobile che all’Assemblea Costituente ve ne sono 157. Ciò dipende certamente dal fatto che essi, come giuristi, hanno attitudine a ragionare sulle leggi e sono quindi i più idonei a far parte del corpo legiferante; ma non bisogna dimenticare che in passato si riteneva che per un avvocato diventare deputato fosse un modo per aumentare il prestigio professionale, la clientela e quindi i guadagni. Si domanda allora se sia giusto dare a costoro anche il vantaggio dell’indennità parlamentare, o se invece non si debba inibire agli avvocati-deputati l’esercizio dell’attività professionale durante il tempo in cui fanno parte del Parlamento.

DI GIOVANNI è di parere opposto a quello dell’onorevole Calamandrei. Anzitutto nega che la funzione di deputato faciliti lo sviluppo della professione, avendo egli invece constatato che le cariche di natura politica fanno esulare gli affari dallo studio dell’avvocato, perché questi non può attendere con il fervore necessario contemporaneamente alla funzione di deputato e alle necessità della clientela.

D’altra parte ritiene che non sia possibile discriminare le condizioni economiche degli avvocati investiti del mandato parlamentare e stabilire se i deputati-avvocati possono provvedere con dignità ai bisogni della propria vita con mezzi propri, facendo a meno dell’indennità parlamentare. A suo avviso, o si afferma il principio che il deputato deve avere l’indennità, e allora non si possono fare eccezioni per gli avvocati; o si stabilisce che si può fare a meno dell’indennità, e tale decisione deve valere per tutti. Sarebbe poi enorme impedire l’esercizio professionale agli avvocati per la durata del mandato parlamentare; ciò che, assai probabilmente, terrebbe lontani dalla Camera gli uomini che per la loro preparazione potrebbero dare il più utile contributo all’elaborazione delle leggi.

CONTI, Relatore, si associa all’onorevole Calamandrei, ricordando di aver fatto le stesse considerazioni in seno al Consiglio di Presidenza, che deliberò l’assegnazione dell’indennità. Il suo pensiero ricorre ai tristi periodi del parlamentarismo, quando gli avvocati-deputati speculavano, per così dire, sulla medaglietta. È un fatto storico ed innegabile questo, che dovrebbe indurre ad opportune meditazioni.

Dubita che possa giovare a rimuovere l’inconveniente lo stabilire che gli avvocati, durante l’esercizio del mandato parlamentare, debbano astenersi dall’attività professionale. Ad ogni modo riconosce l’opportunità della discussione su questo problema.

CALAMANDREI rileva essere significativa la circostanza che il problema sia stato sollevato in questa sede da due avvocati.

LEONE GIOVANNI dissente dagli onorevoli Calamandrei e Conti, in particolar modo perché essi partono da una situazione del passato, che era manifestazione della decadenza del Parlamento. Ora, invece, si tratta di fondare una Costituzione su nuove basi e con visione più ottimistica, in considerazione del fatto che la parte più scadente della vita parlamentare è già molto lontana dallo spirito degli italiani. Né può trascurarsi l’osservazione che le speculazioni fatte in altri tempi da parte di alcuni avvocati si fondavano sul rapporto di subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo. Le norme che la nuova Costituzione conterrà sulla disciplina del potere giudiziario assicureranno invece alla magistratura il massimo dell’indipendenza, onde non sarà più possibile speculare sull’influenza che l’avvocato-deputato potrebbe esercitare sull’autorità giudiziaria.

Pensa, infine, che non si possa limitare l’indagine all’attività professionale degli avvocati; ma si debba piuttosto esaminare il problema della posizione del deputato in rapporto agli impieghi e agli incarichi di qualsiasi genere (ad esempio, quello di curatore fallimentare) che potrebbero essergli affidati e stabilire pertanto che nel periodo in cui si è investiti della carica di deputato non si possano accettare incarichi di qualsiasi genere e in qualsiasi modo retribuiti.

MORTATI, Relatore, condivide il pensiero di altri colleghi circa l’opportunità che in qualche modo risulti dalla Costituzione il rapporto che esiste fra la concessione dell’indennità e il dovere del deputato di dedicare la maggiore e migliore parte della propria attività all’esercizio del mandato parlamentare. Suggerisce perciò di statuire una specie di incompatibilità fra l’attività professionale e quella parlamentare, aggiungendo una sanzione a cui andrebbero incontro i deputati in caso di inadempienza. Propone la seguente formula: «In considerazione del fatto che il deputato è tenuto a dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare».

TARGETTI è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, anche per quei precedenti che l’onorevole Conti ha richiamato. Ricorda a tale proposito che in passato i deputati dell’estrema sinistra, per questa ragione, venivano a trovarsi in condizioni diverse da quelle dei deputati di centro e di destra, ed aggiunge che nel periodo pre-fascista il tipo dell’avvocato che si serviva della carica a scopo professionale in realtà esisteva. Ritiene egli pure che il problema vada risolto in modo da mettere tutti i deputati (e non solo gli avvocati, ma anche i medici, gli ingegneri, in genere i professionisti) nella condizione di dedicare esclusivamente la propria attività alla funzione parlamentare. Non crede fondata la preoccupazione che in questo modo si allontanerebbero dal Parlamento molti professionisti: salvo qualche caso isolato, non è avvenuto, ad esempio, che un deputato-avvocato abbia rifiutato la carica di Sottosegretario di Stato, pur essendo evidente che, quando si copre tale carica, non è possibile attendere all’esercizio professionale.

L’affermazione del principio dell’indennità s’inquadra in una concezione nuova della funzione del deputato, il quale, entro certi limiti, deve sforzarsi di penetrare in fondo a tutte le questioni e non ha più tempo quindi per esercitare la professione. Pertanto ritiene egli pure che nella disposizione relativa all’indennità parlamentare debba essere affermato in modo esplicito che la funzione del deputato richiede l’assorbimento quasi totale della sua attività.

FABBRI, per ragioni materiali e morali, è contrario a qualunque discriminazione e ritiene inammissibile che vi siano deputati retribuiti e deputati onorari. Non crede neppure che sia il caso di stabilire delle incompatibilità specifiche per legge, perché la materia è estremamente difficile a codificarsi. A suo avviso, è cosa che deve restare affidata specialmente alla sensibilità dell’individuo, al costume politico e alla censura dei colleghi e del corpo elettorale. È favorevole all’indennità perché crede che corrisponda ad un elementare principio di democrazia. Per altro, più che di «indennità», preferirebbe si parlasse di «assegno».

Come formulazione proporrebbe di dire che è concessa l’indennità parlamentare al deputato per garantirne in ogni caso l’indipendenza economica («in ogni caso» vuol dire che, se è ricco, non vi è bisogno dell’assegno, se è povero ve n’è bisogno) e la prestazione della sua attività diretta alla doverosa e migliore esecuzione del mandato.

LUSSU, avendo esercitato la professione di avvocato fino a ventidue anni fa, quando venne cancellato dall’albo come antifascista, si trova in condizioni di pura serenità. Riconosce che il criterio dell’indennità parlamentare è acquisito in ogni democrazia, e non è possibile sopprimerlo; ma non ritiene che l’affermazione di questo principio debba trovar posto nella Costituzione. I democratici italiani dovrebbero abituarsi a vivere non solo sulla traccia della Costituzione scritta, ma sulla tradizione che si crea a mano a mano che un istituto si viene formando, come è avvenuto in altri Paesi. Ma, se la Sottocommissione ritenesse di dover fare questa affermazione, egli vorrebbe fosse stabilito che l’indennità è concessa per assicurare al deputato la sua indipendenza durante l’esercizio del mandato, e sarebbe contrario ad ogni eccezione relativa agli avvocati. Si rende conto del criterio morale che ha spinto gli onorevoli Calamandrei e Conti a sostenere l’incompatibilità tra il mandato di deputato e la professione di avvocato e a richiedere la sospensione dell’esercizio professionale per il periodo in cui si ricopre la carica di deputato. Ritiene però che una norma di tal genere non possa trovar posto nella Carta costituzionale e neppure in una legge speciale, perché non è ammissibile si inibisca ad un avvocato di esercitare la sua professione quando è deputato, mentre vi sono parecchi deputati (e questo è un problema che si dovrebbe esaminare in separata sede) i quali guadagnano somme assai considerevoli ricoprendo cariche importanti in organismi industriali, bancari o commerciali, che talvolta possono avere interessi in contrasto con quelli dello Stato. Bisogna evitare il pericolo di formare una legislazione molto complicata e che scenda troppo nei dettagli.

LEONE GIOVANNI premette che sarebbe desiderabile essere nelle condizioni, accennate dall’onorevole Lussu, di formare una Costituzione che trovasse il suo fondamento in un complesso di tradizioni democratiche; ma purtroppo la democrazia non ha tradizioni nel nostro Paese e si è costretti a formulare principî che ancora debbono entrare nel costume. Per queste considerazioni è del parere che sia indispensabile stabilire la corresponsione di una indennità, facendo seguire alla norma una motivazione.

Per quanto riguarda l’incompatibilità con altri incarichi, ritiene che la questione debba essere rinviata.

Dichiara di preferire la formula proposta dall’onorevole Mortati, che stabilisce un limite di fatto, richiamando il deputato all’obbligo di dedicare la maggior parte della sua attività all’esercizio del mandato parlamentare.

PRESIDENTE rileva che sono in discussione tre distinte questioni: se stabilire la corresponsione di una indennità; se farla seguire da una motivazione; se determinare eventuali esclusioni.

Personalmente approva i due primi criteri e, quanto al terzo, crede che sarebbe opportuno escogitare una formula che consentisse di accoglierla nella Costituzione. Se è vero che l’indennità è concessa al fine di permettere al deputato non abbiente di esplicare la sua attività senza eccessive preoccupazioni economiche, gli sembrerebbe giusto che coloro che hanno altri cespiti – appurabili immediatamente, perché non si possono fare lunghe indagini – dovessero rinunciarvi, mancando nei loro riguardi il motivo della concessione.

Sottopone ai colleghi la possibilità di congegnare la disposizione nel senso di dire che l’indennità non viene concessa ai deputati che non rinuncino espressamente alla loro attività professionale (comprendendo così, oltre agli avvocati, anche i medici, gli ingegneri, ecc.). Il deputato sarebbe quindi posto di fronte ad una alternativa e dovrebbe pronunciarsi, libero nella sua scelta e senza alcuna coazione. Infatti non si può non sentire un certo disagio all’idea che ci siano deputati che, pur avendo altri cespiti, percepiscano la modesta indennità loro assegnata, mentre altri debbano vivere sulla base di questa sola entrata, senza poter altrimenti sostenere il proprio bilancio familiare.

Pone in votazione la proposta che nella Costituzione sia stabilito il principio dell’indennità parlamentare.

(È approvata).

Pone ai voti la proposta di motivare la disposizione con cui viene determinata la concessione di una indennità, salvo a concretare la relativa formula.

(È approvata).

Quanto alla motivazione, ricorda i termini precisi delle due proposte fatte finora. La formula Fabbri suona così: «per garantire in ogni caso l’indipendenza economica e le prestazioni dell’attività alla doverosa, migliore esecuzione del mandato»; quella Mortati è del seguente tenore: «in relazione all’obbligò loro imposto di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare».

LUSSU propone la seguente formula: «una indennità che consenta l’indipendenza economica e l’esercizio del loro mandato con dignità».

PRESIDENTE osserva che nella formulazione dell’onorevole Mortati si accenna all’obbligo per i deputati di dedicare la maggior parte della loro attività all’esercizio del mandato parlamentare, ma evidentemente l’osservanza di detto obbligo è rimessa al loro senso di responsabilità senza che vi sia alcuna possibilità di controllo né, tanto meno, di sanzioni.

MORTATI, Relatore, rileva che non è possibile usare una formula più assoluta e stabilire che il deputato debba dedicare tutta la sua attività all’esercizio del mandato, perché ne deriverebbero conseguenze molto gravi: uno studioso, per esempio, non potrebbe scrivere un libro e percepire i relativi diritti di autore durante la legislatura.

D’altra parte vi sono attività che si prestano ad essere esercitate anche indirettamente.

Propone di integrare la disposizione in esame con un articolo nel quale si sanciscano i doveri del deputato e la conseguente decadenza del mandato in caso di cattivo adempimento, di assenze prolungate, ecc.

CONTI, Relatore, fa presente che una disposizione del genere potrà costituire materia di Regolamento.

DI GIOVANNI, aderendo al concetto esposto dal Presidente, eliminerebbe dalla formulazione Mortati le parole: «la maggior parte», in modo da dire soltanto: «dedicare la propria attività, ecc.».

BULLONI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Lussu, che si richiama a quella della Costituzione francese, ritenendo che la sola affermazione del principio sia di per sé sufficiente a moralizzare l’ambiente parlamentare. Affermare in una Carta costituzionale che viene concessa una indennità ai deputati per garantirne l’indipendenza e la dignità, significa richiamare tutti coloro che hanno cespiti al di fuori dell’attività parlamentare al dovere di uniformare la loro attività alla solennità di questo principio. A chi ha ricordato alcune degenerazioni di passati regimi parlamentari fa osservare che non si debbono dimenticare anche le nobilissime tradizioni del nostro vecchio Parlamento ed i frequenti casi di insigni avvocati, e professionisti in genere, che non solo non hanno sfruttato la medaglietta, ma hanno fatto sacrificio di altissime posizioni personali.

TOSATO propone la seguente formulazione: «I deputati hanno l’obbligo di esercitare il loro mandato. Al fine di permettere l’adempimento di tale obbligo, riceveranno una indennità nella misura stabilita dalla legge».

PATRICOLO, in merito alla proposta Fabbri, osserva che il concetto dell’indipendenza economica è troppo elastico e comporterebbe un aumento delle normali indennità parlamentari.

PRESIDENTE precisa che la misura della indennità deve esser posta in rapporto al sistema di vita. Quando la Costituzione, ovvero la legge speciale che regolerà la materia, assegnerà una somma corrispondente alla media del reddito mensile della maggioranza del popolo italiano, il principio sarà realizzato. Taluno dovrà forse diminuire il suo regime di vita domestica in relazione alla somma percepita, ma non si potrà dire che non gli si è assicurata l’indipendenza economica. Ricorda che il progetto francese parla di una indennità riferita allo stipendio di una data categoria di funzionari dello Stato, con il che già si stabilisce un termine di riferimento che eventualmente potrebbe essere tenuto presente.

Ritiene che, tra le altre, sia da preferire la formulazione dell’onorevole Fabbri, perché, almeno nella sua prima parte, riflette un po’ le opinioni espresse da tutti.

TAGDETTI non trova felice l’espressione «indipendenza economica»,

BULLONI sottopone all’esame della Commissione la seguente formula, ispirata a quella della Costituzione francese: «Al deputato verrà assegnata una indennità, riferita al trattamento di una categoria di funzionari, per garantirne l’indipendenza e la dignità».

AMBROSINI nota che, se si vuole affermare il concetto che ha spinto a stabilire la corresponsione di una indennità e a giustificarla, è assolutamente necessario richiamarsi alla situazione economica, poiché, in caso contrario, la motivazione diverrebbe inutile.

FABBRI non ha indicato, e non crede si debba indicare, il concetto della dignità, in considerazione della sua aleatorietà. Non si acquista la dignità percependo l’indennità, poiché dignità se ne può avere anche se poveri.

Non è favorevole alla frase proposta dall’onorevole Mortati: «in relazione all’obbligo loro imposto», che gli sembra eccessiva trattandosi di un mandato politico.

PRESIDENTE, poiché è difficile raggiungere un completo accordo su di una determinata formula, invita i commissari a rinunciare a talune sfumature e ad accedere a quella che nella sostanza più si avvicina al loro modo di vedere.

MANNIRONI vorrebbe che dalla formula Fabbri fosse soppressa la parola «economica» dopo «indipendenza».

PRESIDENTE non lo ritiene necessario. Non vede perché si dovrebbe avere un ritegno a parlare di situazione economica, quando in realtà di questo appunto si tratta. L’unica indipendenza che lo Sfato può garantire è appunto quella materiale, economica.

Considerato che la formula Fabbri è quella che più si avvicina al pensiero della maggior parte dei commissari, prega i colleghi di rivolgere ad essa la loro attenzione per poterla eventualmente migliorare. A suo avviso, potrebbero essere soppresse le parole: «le prestazioni della attività», lasciando soltanto «la indipendenza economica e la doverosa migliore esecuzione del mandato».

AMBROSINI propone la soppressione della parola «migliore» e la sostituzione di «esecuzione» con «adempimento».

TARGETTI preferirebbe la formula «una indennità tale da metterli in grado di adempiere al loro obbligo e di dare tutta l’attività necessaria all’esercizio del mandato».

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Targetti che con ciò si rimetterebbe in discussione la questione dell’attività, sulla quale non c’era accordo, frustrando i tentativi di eliminare le parole sulle quali un accordo è difficile. D’altra parte l’espressione «adempimento del mandato» implica appunto l’attività in cui esso si sostanzia.

CONTI, Relatore, introdurrebbe nella disposizione un concetto di necessità. L’indennità dovrebbe provvedere alle necessità economiche del deputato e non alla sua «indipendenza», espressione che potrebbe anche essere superflua.

BOZZI non afferra bene il significato dell’inciso «in ogni caso» contenuto nella formula Fabbri.

PRESIDENTE chiarisce che vi possono essere dei casi in cui l’indennità non sarebbe necessaria, ed altri casi in cui la mancanza di essa determinerebbe quasi l’impossibilità per il deputato di esplicare il suo mandato. Se i Commissari lo ritengono, l’inciso si potrebbe anche sopprimere.

FABBRI preferirebbe che fosse mantenuto, anche per andare incontro alle osservazioni dell’onorevole Targetti.

DI GIOVANNI segnala l’opportunità di una semplice rettifica grammaticale. Dicendo «garantirne», potrebbe sembrare che ci si riferisse alla legge e non al deputato. Più esatto sarebbe dire «per garantire la loro indipendenza economica».

LAMI STARNUTI preferirebbe che si dicesse «consentire», invece di «garantire».

LEONE GIOVANNI sopprimerebbe anche la parola «doverosa», essendo implicito nel concetto di adempimento il carattere obbligatorio.

PRESIDENTE ritiene invece che sia essenziale, essendo il solo richiamo esistente negli articoli fin qui approvati al senso di responsabilità dei deputati.

Mette ai voti la formula risultante dalle varie proposte:

«I deputati ricevono una indennità nella misura fissata dalla legge per garantire loro in ogni caso l’indipendenza economica e il doveroso adempimento del mandato».

(È approvata).

Dà lettura dell’articolo successivo nel testo proposto dall’onorevole Mortati: «È fatto divieto ai deputati di acquistare o di prendere in fitto beni demaniali, di ottenere concessioni od altri vantaggi personali». Personalmente osserva che è forse opportuno, ma certo non necessario, porre una simile disposizione nella Costituzione: essa potrà trovar posto nella legge elettorale.

MORTATI, Relatore, crede sia necessario decidere se convenga oppure no fissare nella Costituzione dei limiti alla legge elettorale, vincolando così il futuro legislatore.

PRESIDENTE crede che, se si volessero porre questi limiti nella Costituzione, bisognerebbe fare una elencazione assai più lunga, perché possono sorgere molte altre incompatibilità, soprattutto di ordine morale. Considerandone soltanto alcune, si potrebbe far ritenere che per le altre non esistono limiti o divieti. Condivide il pensiero dell’onorevole Mortati, essendo necessario prevedere che non avvengano collusioni di interessi fra lo Stato e i rappresentanti del Paese; ma non gli sembra che possa inserirsi nel testo della Costituzione un articolo che consideri questo problema. Ad ogni modo mette ai voti la proposta dell’onorevole Mortati.

(Non è approvata).

A proposito della convocazione della Camera ricorda che l’onorevole Conti ha fatto la seguente proposta: «La Camera dei Deputati deve riunirsi appena eletta ed in ogni caso non oltre 20 giorni da quello della proclamazione degli eletti».

Nota che una disposizione di tale natura è in genere contenuta nella legge elettorale. Gli sembrerebbe invece utile una disposizione circa la convocazione della Camera nelle sue sessioni.

Vi è poi, in questa materia, anche una formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, crede necessario che la Costituzione fissi il termine massimo per la convocazione della nuova Camera dopo lo scioglimento di quella precedente. Ritiene inoltre che l’articolo dovrebbe essere collegato con l’altro che fissa la durata della Camera. Dove si dice che la Camera dura 4-5 anni si dovrebbe aggiungere che le elezioni debbono avvenire entro 60-70 giorni dalla scadenza del termine predetto, e poi inserire una disposizione con cui si stabilisca che la prima riunione della Camera debba aver luogo non oltre una certa data (20 o 30 giorni) dalle elezioni. Ciò gli sembra necessario per eliminare qualunque arbitrarietà in ordine al regolare funzionamento della Camera. Si dovrebbe poi precisare l’organo cui spetta di fissare il giorno della prima convocazione, al quale proposito alcune Costituzioni stabiliscono che debbano provvedere i tre membri più anziani della nuova Camera.

PRESIDENTE osserva che le questioni in discussione sono due. La prima riguarda la convocazione dei comizi elettorali, per la quale l’onorevole Mortati ha proposto di dire che «le elezioni della nuova Camera debbono farsi entro 60 giorni dallo scioglimento della precedente». Mette ai voti questa formula.

(È approvata).

La seconda questione è quella di stabilire un termine, dopo l’elezione, entro il quale la Camera deve essere convocata. Questo termine dall’onorevole Mortati è proposto in 20 giorni.

LUSSU domanda se non sarebbe meglio precisare addirittura la data e dire cioè, ad esempio, il ventesimo o il diciottesimo giorno dalle elezioni.

PRESIDENTE crede che attraverso la Costituzione si debba dare soltanto una garanzia di carattere pubblico e niente altro. A tale effetto gli sembra basti indicare il termine massimo oltre il quale non è possibile prorogare la convocazione.

DI GIOVANNI domanda se il termine decorre dal giorno delle elezioni o da quello della proclamazione degli eletti, come gli pare proponesse l’onorevole Conti.

PRESIDENTE fa rilevare che non vi può essere una data unica di proclamazione degli eletti, variando essa in relazione allo svolgimento dei lavori delle singole circoscrizioni elettorali. Quanto meno bisognerebbe dire «dalla data dell’ultima proclamazione», ma la cosa non gli sembra praticamente utile.

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati: «la prima riunione della Camera deve aver luogo non oltre 20 giorni dalle elezioni».

(È approvata).

MANNIRONI ritiene opportuno che la legislatura duri fino alle nuove elezioni, per mantenere la continuità della funzione parlamentare e per garantire, ad esempio, l’immunità dei deputati nell’intervallo tra la vecchia e la nuova Camera.

PRESIDENTE non vede la necessità di garantire l’immunità, quando la funzione parlamentare è finita: a Camera sciolta il deputato è un cittadino qualsiasi.

Avverte che secondo la formula proposta dall’onorevole Mortati il provvedimento che indice le elezioni fissa anche il giorno per la prima convocazione della nuova Camera.

FABBRI per determinare questa data, riterrebbe più opportuno si attendesse che fosse avvenuta la proclamazione.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, stabilito il principio che entro 20 giorni si deve convocare la nuova Camera, si tratta solo di precisare il giorno, e a questa esigenza può provvedere la legge che convoca i comizi elettorali, come ha appunto fatto anche l’ultima legge per la Costituente.

ZUCCARINI rileva che ciò è conforme alla più vecchia tradizione parlamentare.

LUSSU aderisce a quanto ha detto l’onorevole Mortati, ma si preoccupa dell’organo o della persona che dovrebbe fissare la data. Suggerisce di dire che spetta al deputato più anziano.

PRESIDENTE teme sia un po’ audace lasciare al più anziano una facoltà di carattere così importante.

CODACCI PISANELLI propone che questa facoltà venga riconosciuta al Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, nota che queste proposte debbono considerarsi in relazione all’ordinamento che si vuole stabilire, di maggiore o minore autonomia della Camera. Il punto da chiarire è se si intende opportuno che la Camera si convochi indipendentemente dal potere esecutivo.

PERASSI crede opportuno fissare un sistema di convocazione automatico.

PRESIDENTE, per non dare luogo ad inconvenienti, suggerisce di stabilire chi è che convoca la Camera e gli pare dovrebbe essere il Capo dello Stato.

FABBRI ritiene che il concetto della sovranità dell’Assemblea che scade sia male invocato con riferimento al provvedimento di scioglimento della Camera; perché non è l’Assemblea che si scioglie, ma lo scioglimento è conseguenza di un provvedimento di chi ha la facoltà di adottarlo; sia il Capo dello Stato o il Capo del Governo. Ed allora quello stesso organo che ha la facoltà di sciogliere la Camera esistente dovrebbe avere, in forza della Costituzione, l’obbligo di convocarne un’altra entro un determinato termine. Non gli sembra che qui entri in gioco la sovranità dell’Assemblea.

PRESIDENTE osserva anche che se la Camera giunge normalmente alla fine del suo mandato, deve esservi sempre un’autorità estranea che ordina il suo scioglimento, onde non può attribuirsi alla Camera vecchia l’incarico di indire le elezioni e fissare la data di convocazione della Camera nuova.

L’alternativa è questa: o lasciare al potere esecutivo, al Presidente della Repubblica o al Governo, la facoltà di scegliere la data nel termine dei 20 giorni già stabilito, oppure stabilire che il provvedimento stesso col quale si indicono le elezioni fisserà anche il giorno della prima convocazione.

Mette ai voti quest’ultima proposta.

(È approvata).

Poiché si è in tema di convocazione, pensa che possa essere affrontata la questione delle convocazioni successive, circa la quale l’onorevole Conti propone la seguente formula:

«Nel quadriennio si riunirà senza alcuna convocazione nella prima decade del marzo e dell’ottobre di ogni anno, e terrà le sedute che saranno necessarie allo svolgimento dell’opera legislativa».

Mette innanzitutto ai voti il principio della convocazione automatica, sul quale sono d’accordo ambedue i relatori.

(È approvato).

Circa la data delle due convocazioni annuali, avverte che per la prima sia l’onorevole Mortati che l’onorevole Conti convengono di fissarla in marzo; mentre per l’altra è questione se debba avvenire in ottobre o novembre.

MORTATI, Relatore, ritiene che la data della seconda convocazione debba mettersi in relazione con la presentazione dei bilanci preventivi e consuntivi, e perciò propone che avvenga in novembre.

CONTI, Relatore, NOBILE e ZUCCARINI propenderebbero per l’ottobre, perché in tal mese comincia un nuovo trimestre.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta che la seconda convocazione della Camera avvenga nel mese di ottobre.

(È approvata).

CODACCI PISANELLI propone che si fissi il primo giorno non festivo del mese.

PRESIDENTE ritiene accettabile questa proposta e crede che la disposizione potrebbe essere così formulata: «La Camera si riunisce di pieno diritto, senza uopo di convocazione, il primo giorno festivo del mese di marzo e di ottobre di ogni anno».

La pone ai voti.

(È approvata).

Passando all’argomento della possibilità di altre convocazioni, oltre quelle automatiche, avverte che l’onorevole Mortati propone un’aggiunta al comma ora approvato, così concepita: «Deve altresì essere convocata dal suo Presidente quando lo richiedano il Presidente del Consiglio dei Ministri o un quarto dei suoi membri con istanza motivata».

Invece l’onorevole Conti aveva proposto la seguente formula: «Può essere convocata in via straordinaria dal Presidente della Repubblica, con messaggio motivato al Presidente della Camera, dalla sua Presidenza, o da questa a richiesta motivata del Capo del Governo.

«La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un decimo dei componenti la Camera».

Osserva che con la formula dell’onorevole Conti viene affrontata, per la prima volta, la questione dei poteri del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, ritiene che su questo punto sarebbe necessaria una sospensiva, perché la Sottocommissione non è ancora entrata nel merito dei poteri del Presidente della Repubblica e del Capo del Governo.

PRESIDENTE crede che intanto potrebbe esaminarsi l’ipotesi della autoconvocazione, relativamente alla quale fra le due proposte v’è una differenza notevole, in quanto l’onorevole Mortati propone un quarto dei membri della Camera, mentre l’onorevole Conti un decimo.

Poiché ritiene che possa considerarsi tacitamente accolto il principio di autoconvocazione dell’Assemblea, apre la discussione sulla determinazione del numero dei richiedenti necessario per ottenere la suddetta convocazione.

DI GIOVANNI è del parere che sia sufficiente un decimo e che un quarto sia difficilmente raggiungibile.

MORTATI, Relatore, giustifica la maggiore rigidità della sua proposta con la considerazione che la convocazione della Camera è un evento di notevole importanza, che implica anche uno spostamento dell’ordinaria attività di governo. Un decimo dei componenti la Camera, con la composizione prevista di questa, significherebbe circa 40 deputati, che gli sembrano troppo pochi.

CONTI, Relatore, sostiene la necessità di mantenere bassa la percentuale anche per il criterio della tutela delle minoranze.

PERASSI crede che sarebbe opportuno limitarsi per il momento a fissare il principio dell’autoconvocazione, salvo a determinare successivamente la percentuale di deputati necessaria. Ricorda che il problema in passato è stato affrontato in sede regolamentare e potrebbe essere utile consultare i precedenti.

PATRICOLO non approva il criterio di rinviare la materia al Regolamento della Camera. Se si ritiene che la Costituzione debba effettivamente fissare le garanzie democratiche nel Paese, non si può non volere che contenga anche la determinazione di questa percentuale che rappresenta appunto una garanzia per le minoranze.

NOBILE è sostanzialmente d’accordo sull’opportunità di fissare questa percentuale, e ritiene che, se il numero minimo di deputati richiesti per l’autoconvocazione sarà basso, non per questo si dovrà temere qualche inconveniente. Se anche un piccolo gruppo di deputati invitasse i colleghi a mettersi al lavoro nell’interesse del Paese, l’invito dovrebbe essere sempre accettato volentieri.

PRESIDENTE osserva, e non per semplice amore della transazione, che tra le due proposte c’è una sensibile differenza, onde si potrebbero contemperare le varie esigenze.

Personalmente ritiene che sia necessario dare, attraverso al diritto di autoconvocazione, una garanzia alle minoranze, che tuttavia debbono essere considerate in rapporto alla loro efficienza e al loro reale valore politico, perché anche un uomo solo in una assemblea potrebbe, a volte, costituire una minoranza. Nel quadro di una società nazionale che va sempre più organizzandosi sulla base dei partiti, bisogna tener conto del fatto che non sarà una persona e neanche piccoli gruppi di persone che potranno avere un peso decisivo. Non condivide la opinione dell’onorevole Nobile che bisogna sempre accogliere benevolmente gli inviti al lavoro: se v’è una richiesta di convocazione della Camera fuori della sessione ordinaria, ciò vuol dire che v’è una crisi politica o si intende di provocarla. Ora, le crisi possono essere necessarie, ma in linea generale bisognerebbe evitare di facilitarle, soprattutto se non sono espressione di una forza politica notevole. Più volte si è parlato della necessità di dare una certa garanzia di stabilità al Governo ed è evidente che l’autoconvocazione della Camera in tal caso gioca in senso contrario. Personalmente non è tra coloro che richiedono in maniera assoluta garanzie di stabilità al Governo tali da impedire che le giuste esigenze delle minoranze siano fatte valere; ma ritiene che deve trattarsi di minoranze che rappresentino un qualche cosa di concreto. In una Assemblea di circa 420 membri, 40 deputati non rappresentano una forza che possa pesare in modo decisivo sopra la vita politica del Paese. D’altra parte pensa che sia esagerato richiedere la percentuale di un quarto dei componenti l’Assemblea. Sarebbe sempre difficile arrivarci e dovrebbe entrare in gioco la maggioranza.

Ritiene quindi che si potrebbe fissare una cifra intermedia, tale da soddisfare la necessità di una tutela alle minoranze efficienti e, nello stesso tempo, di una convocazione che si faccia quando la situazione politica realmente la richieda.

NOBILE obietta che una piccola minoranza non potrebbe provocare una crisi, onde la preoccupazione cui ha accennato il Presidente non è fondata.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, a parte la possibilità di provocare una crisi, bisogna evitare che questo istituto possa diventare un mezzo con cui le minoranze insoddisfatte riescano a turbare l’ordinario svolgimento dell’attività del Governo attraverso una con vocazione della Camera che non risponda ad una esigenza effettivamente sentita nel Paese.

LACONI propone la percentuale di un quinto che rappresenterebbe circa ottanta deputati.

MORTATI, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Laconi, richiamando l’attenzione sul fatto che la maggior parte delle legislazioni, anche le più liberali (come la tedesca del 1919 e la cecoslovacca) contemplano percentuali varianti dal quinto al sesto. Ove la Sottocommissione non accettasse il quinto, potrebbe adottare il sesto.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di fissare la percentuale necessaria per la convocazione ad un quinto dei componenti la Camera.

(Non è approvata).

Pone ai voti la percentuale di un sesto dei deputati.

(È approvata).

Avverte che quest’altra disposizione rimane quindi così formulata: «La convocazione a richiesta di deputati deve essere fatta su domanda di un sesto dei componenti la Camera».

MORTATI, Relatore, sottopone all’attenzione dei colleghi un altro argomento di discussione: se, cioè, la Presidenza della Camera possa, indipendentemente dalla richiesta di un sesto dei deputati, procedere di sua iniziativa alla convocazione. Una proposta in tal senso è contenuta nella formula dell’onorevole Conti.

FABBRI dichiara di esservi favorevole.

PRESIDENTE invita l’onorevole Conti ad illustrare i motivi per cui ha voluto si riconoscesse questo diritto alla Presidenza. Personalmente è d’avviso che, se neppure una modesta percentuale dei deputati ha ritenuto che si debba procedere alla convocazione, non possono esserci seri motivi che stimolino la Presidenza – la quale dovrebbe essere interprete della volontà dell’Assemblea – a prenderne l’iniziativa.

CONTI, Relatore, precisa che, a suo avviso, l’iniziativa della Presidenza dovrebbe sostituirsi all’inerzia della percentuale fissata di deputati, così come l’iniziativa di un sesto dei deputati può sostituirsi all’inerzia della Presidenza. In sostanza questa, in certi momenti potrebbe ritenere, di fronte ad un Governo inerte ed a deputati insensibili al loro dovere, di dover provvedere direttamente.

MORTATI, Relatore, è contrario, perché, o il Presidente è interprete della volontà della maggioranza – come dovrebbe esserlo, in quanto espressione di gruppi di maggioranza – e allora raccoglierà facilmente quel sesto che occorre per ottenere la convocazione, o non è interprete della maggioranza ed attua una sua iniziativa personale, ed allora questo suo giudizio non dovrebbe sovrapporsi a quello dei componenti l’Assemblea.

FABBRI si associa alle considerazioni dell’onorevole Conti, facendo presente che la raccolta di circa 70 firme dovrebbe essere fatta a Camera chiusa, il che potrebbe risultare difficile. Viceversa al Presidente possono pervenire delle richieste anche in forma non ufficiale, oppure egli può avere la sensazione che una notevole frazione della Camera desideri la convocazione, e nessuno più di lui dovrebbe avere l’autorità e la veste per farlo.

CONTI, Relatore, non accetta l’interpretazione dell’onorevole Mortati, secondo la quale il Presidente è l’eletto da una maggioranza. Conviene che effettivamente egli è eletto dalla maggioranza, ma, dal momento in cui sale al banco della Presidenza, diventa l’eletto dalla Camera e deve svestirsi della sua qualità di uomo di parte, elevandosi al di sopra di tutti i gruppi, poiché altrimenti non sarebbe più il Presidente dell’Assemblea, ma un rappresentante di partito, il che è inconcepibile, malgrado la tendenza che oggi si riscontra verso la supremazia dei partiti.

LACONI osserva che nulla vieta che si pongano dei limiti all’iniziativa del Presidente: si potrebbe dire, ad esempio: «sentiti i Presidenti dei gruppi parlamentari».

MANNIRONI ha l’impressione che il concedere al Presidente della Camera questa facoltà contrasterebbe col criterio già approvato di riconoscere ad una aliquota di deputati il diritto di provocare la convocazione della Camera. Potrebbe infatti verificarsi che il Presidente, anche su richiesta di un ristrettissimo numero di deputati, convocasse l’Assemblea, mentre si è affermato il principio che essa non può essere convocata se non per ragioni veramente importanti, così da non turbare la normalità del lavoro del potere esecutivo.

CONTI, Relatore, dichiara di essere un sostenitore della tesi del libero sviluppo delle idee nelle Assemblee e di ritenere che il buon funzionamento di un organo è possibile solo in quanto ci sia una buona direzione. La Camera è diretta dal Presidente e questo deve avere ampia facoltà di azione come interprete nei pensieri, dei desideri e dei doveri dei rappresentanti del Paese.

PERASSI nota che, nonostante i dubbi che ci potevano essere sulla opportunità di prevedere nella Costituzione la convocazione della Camera su richiesta di un certo numero di deputati, la questione è stata risolta in senso affermativo allo scopo di garantire la protezione delle minoranze. Ora, per quel che riguarda la possibilità di convocazione ad iniziativa del Presidente, invita la Sottocommissione a considerare se sia proprio indispensabile introdurre anche questa norma nella Costituzione o se non sia preferibile lasciare che questa possibilità sia disciplinata dal Regolamento della Camera, senza pregiudicare la questione.

LEONE GIOVANNI ritiene che il problema debba essere risolto in questa sede. Posto che la Carta costituzionale ha stabilito la possibilità di convocazione dell’Assemblea ad iniziativa di un certo numero di deputati, il fatto di non stabilire nulla circa il potere del Presidente di fare altrettanto potrebbe apparire come una esclusione, soprattutto considerato l’aspetto rigido che si vuol dare alla nuova Costituzione.

Quanto al merito, è favorevole al criterio di concedere al Presidente, per la sua funzione direttiva, la facoltà di convocazione dell’Assemblea.

PRESIDENTE è contrario alla proposta perché, se è vero che il Presidente dirige i lavori dell’Assemblea e la rappresenta nei suoi rapporti con l’esterno, e che si incarnano in lui i poteri e i valori dell’Assemblea, è anche vero che una facoltà o spetta al Presidente quale interprete della volontà dell’Assemblea o spetta all’Assemblea stessa.

Il diritto di autoconvocazione della Camera non ha due soggetti, bensì uno solo, e se lo si riconosce all’Assemblea, nel suo complesso, o attraverso ad una percentuale di deputati, non lo si può riconoscere anche al Presidente. Ove avesse questo potere, il Presidente potrebbe usarne non interpretando la volontà dell’Assemblea, se pure in perfetta buona fede, ma sostituendo una propria valutazione e una propria volontà a quella dell’Assemblea.

Non crede neppure che possano farsi valere le invocate ragioni di ordine pratico. Si è detto che, nel momento in cui la convocazione è sentita come necessaria, può esser difficile raccogliere le firme di settanta deputati. Ma l’eventualità di una richiesta di convocazione straordinaria presuppone una situazione politica tesa ed agitata, nella quale il venire a Roma o spedire un telegramma o una lettera non costituiscono una difficoltà. E se tali espressioni non raggiungono la percentuale del sesto, non si vede perché il Presidente dovrebbe sostituirsi ad esse.

Fatte queste dichiarazioni personali, pone ai voti la proposta di concedere anche al Presidente la facoltà di convocare l’Assemblea fuori delle sessioni ordinarie.

(È approvata).

Crede che si debba accogliere la proposta dell’onorevole Mortati di sospendere ogni decisione circa la convocazione da parte del Capo dello Stato o del Capo del Governo.

(Così rimane stabilito).

Comunica che l’onorevole Mortati ha presentata una nuova proposta: «La chiusura della sessione può essere pronunciata dal Capo dello Stato non più di una volta in un anno».

Crede che il problema della chiusura delle sessioni potrebbe essere ora affrontato.

MORTATI, Relatore, sostiene che il problema dovrebbe risolversi in questa sede, decidendo in via pregiudiziale se si vuole ammettere l’istituto della sessione oppur no. Fa presente che si tratta di una questione di una certa importanza, poiché implica che il periodo della legislatura possa essere diviso in sessioni, la cui chiusura importa conseguenze rilevanti, come la decadenza di tutti i progetti in discussione, delle cariche dell’Assemblea, delle Commissioni, Uffici, ecc. Ricorda che l’istituto della sessione è strettamente legato ai regimi parlamentari ed è impiegato in caso di mutamento di indirizzo politico, per provocare un mutamento automatico nell’orientamento generale e della organizzazione del Parlamento, per uniformarli al nuovo indirizzo rappresentato dal Governo che assume il potere.

ZUCCARINI osserva che la sessione è stata creata per utilità del potere esecutivo e non rappresenta una necessità del funzionamento del sistema parlamentare: il potere esecutivo, che in un certo momento credeva utile interrompere i lavori della Camera, chiudeva la sessione, facendo decadere tutti i progetti in discussione. Questo istituto ha reso possibile, nei tempi passati, molti arbitri da parte del potere esecutivo. Ora che si vuole dar vita ad una Costituzione veramente democratica, non crede che lo si possa mantenere. Si domanda se sia proprio necessario, in occasione della formazione di un nuovo Governo, interrompere tutto quello che è stato iniziato dal precedente, e far cadere nel nulla le discussioni fatte, i progetti preparati e in corso di approvazione, le Commissioni nominate e così via dicendo. A suo parere, questa facoltà di aprire e chiudere le sessioni non dovrebbe essere contemplata nella nuova Costituzione.

FABBRI è favorevole al mantenimento delle sessioni. Osserva che, se si determina una situazione politica per la quale appaia utile un cambiamento del Governo, la chiusura della sessione è l’espediente più semplice per abbandonare, ad esempio, progetti di legge senza chiederne il formale ritiro; rinnovare uffici e commissari. Dal punto di vista pratico la sessione gli sembra, cioè, una garanzia di più snello funzionamento del gioco parlamentare.

TOSATO non è favorevole alla conservazione dell’istituto della sessione. Non gli sembra che un mutamento di Governo possa avere conseguenze politiche tali da richiedere un rinnovamento nell’organizzazione del lavoro parlamentare. Se ciò era ammissibile in un periodo in cui i deputati passavano con tanta facilità da un gruppo all’altro, oggi che si ha una organizzazione di partiti non lo è più. Né gli sembra comunque conveniente interrompere l’attività dell’Assemblea.

MORTATI, Relatore, osserva che si è parlato di arbitri del Governo riferendosi evidentemente a situazioni sorpassate, perché se ci si riferisce a Governi parlamentari, tali arbitri non sono possibili, in quanto si tratta di Governi che hanno ottenuto la fiducia della Camera. Del resto, la chiusura della sessione potrebbe limitarsi a non più di una volta all’anno e si potrebbe ammettere nel Regolamento della Camera la possibilità di riprendere, nonostante la chiusura della sessione, i progetti allo stato in cui si trovavano al momento della chiusura stessa.

PRESIDENTE personalmente condivide l’opinione dell’onorevole Tosato.

Mette ai voti la proposta di conservazione dell’istituto della sessione.

(Non è approvato).

Avverte che, con ciò, è implicitamente non approvato il relativo articolo proposto dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul problema di mantenere in vita o meno, fino alle nuove elezioni, la Camera nel suo complesso e per lo meno il suo Ufficio di Presidenza. Quanto al primo punto, alcune Costituzioni e recentemente quella francese affermano il principio della continuità dell’Assemblea fino alla convocazione della nuova. Ciò può impedire l’emanazione di provvedimenti legislativi da parte del Governo nel periodo di intervallo tra l’una e l’altra legislatura. Poiché è favorevole alla eliminazione della decretazione di urgenza da parte del Governo, pensa che nell’intervallo fra due legislature si potrebbe, per ragioni di continuità amministrativa, mantenere in vita la Presidenza, come avveniva anteriormente alla Camera fascista.

TOSATO è favorevole alla continuità di vita della Camera fino alla convocazione della nuova, anche perché potrebbe avvenire che, sciolta la Camera dei Deputati, si verificasse la mancanza del Presidente della Repubblica. Richiedendosi per la nomina del successore la deliberazione di ambedue le Camere, se quella dei deputati non potesse convocarsi, ci si troverebbe in difficoltà.

NOBILE domanda come possa continuare i suoi lavori la Camera, se viene sciolta per decreto del Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, osserva che esiste l’istituto della cosiddetta prorogatio. Perciò egli vorrebbe che fosse mantenuto l’ufficio di Presidenza che, fino alla convocazione della nuova Camera, provvederebbe all’ordinaria amministrazione, ma senza facoltà di adottare provvedimenti di carattere politico. Durante quel periodo, ove sorgesse la necessità di decretazione di urgenza, la Camera potrebbe essere chiamata ad intervenire.

CODACCI PISANELLI crede assai difficile realizzare l’abolizione della decretazione di urgenza, come dimostrano tutti i precedenti storici. Una volta sciolta, la Camera non solo non potrebbe compiere il lavoro ordinario legislativo, ma nemmeno altre sue funzioni, anche delle meno importanti. Nell’eventuale necessità di provvedimenti di urgenza, non si potrebbe fare a meno della decretazione da parte del Governo. Ritiene perciò indispensabile che la Costituzione la contempli, pur fissandone rigorosamente i limiti e la disciplina.

PATRICOLO crede che il problema debba essere esaminato insieme con quello dei poteri del Capo dello Stato: si potrà allora stabilire, ad esempio, che nella legge che indice le elezioni sia previsto il modo di provvedere alla decretazione di urgenza. Ma se si ammette che il Capo dello Stato possa convocare anticipatamente la Camera, viene meno la necessità di un’apposita norma. Non gli appare poi chiara la distinzione che taluno vorrebbe istituire fra provvedimenti amministrativi e qualsiasi altra attività della Camera, ad esempio quella politica.

LUSSU è del parere che la questione debba essere risolta nell’attuale fase della discussione e si dichiara d’accordo con l’onorevole Codacci Pisanelli circa la difficoltà di eliminare la decretazione d’urgenza. Soggiunge che non si è senz’altro autorizzati ad imitare la Costituzione francese che ha stabilito la continuità della funzione della Camera sciolta fino alla convocazione della nuova. A suo avviso la Camera sciolta perde ogni prestigio e non può quindi, nel periodo antecedente alla convocazione della nuova, esercitare alcuna attività.

Non si nasconde la gravità dell’ipotesi prospettata dall’onorevole Tosato e cioè che venga meno il Presidente della Repubblica nell’intervallo fra le due legislature, con la conseguente necessità di provvedere immediatamente alla nomina del successore. Ma è questo un atto di così grande importanza politica che proprio la Camera sciolta non avrebbe il diritto di compiere. In Francia verificandosi questo fatto, era il Presidente del Senato che si sostituiva immediatamente – ope legis – al Capo dello Stato. Pensa che qualche cosa di simile si potrebbe fare anche in Italia per evitare carenza nell’esercizio delle funzioni del Capo dello Stato.

NOBILE propone che la questione sia rinviata a quando si tratterà delle attribuzioni del Capo dello Stato. Per risolvere il caso prospettato dall’onorevole Tosato si riserva di proporre che a fianco del Capo dello Stato si crei un Consiglio supremo della Repubblica, di cinque membri, a cui potrebbero conferirsi alcune delle attribuzioni del Capo dello Stato. Quest’organo sarebbe un’emanazione dell’Assemblea legislativa.

LACONI, poiché evidentemente è impossibile evitare che tra lo scioglimento della Camera precedente e la convocazione della successiva vi sia un intervallo in cui possano presentarsi le necessità accennate da altri colleghi, ritiene che il problema vada affrontato e risolto. Si è affermato che la Camera, continuando a legiferare dopo sciolta, commetterebbe un abuso dei suoi poteri; ma tanto più lo commetterebbe con le decretazioni di urgenza il Governo, che è stato designato da quella Camera.

L’istituto della prorogatio, cui si è richiamato l’onorevole Mortati, non elimina gli inconvenienti e i pericoli derivanti da una carenza di poteri; ond’egli si dichiara favorevole alla continuità delle funzioni della vecchia Camera fino alla convocazione della nuova.

TOSATO avverte che è un principio fondamentale di diritto pubblico preoccuparsi della continuità delle funzioni di un istituto: lo stesso Governo in crisi può prendere provvedimenti di ordinaria amministrazione anche importanti. Altrettanto potrà fare la Camera. Richiamandosi all’ipotesi dei decreti-legge e a quella della vacanza del Capo dello Stato, fa rilevare che, poiché l’intervallo fra lo scioglimento della vecchia e la convocazione della nuova Camera sarà di quasi tre mesi, il problema appare grave e richiede una soluzione.

FABBRI rileva che si è parlato di prorogatio ed è d’accordo con l’onorevole Lussu che la Camera privata d’ogni prestigio non potrebbe esercitare degnamente la sua funzione. Si preoccupa però di una soluzione di continuità e quindi pensa che i poteri e gli uffici, specialmente di carattere rappresentativo, della Presidenza uscente potrebbero fino all’inizio della nuova Legislatura essere prorogati. In caso di vacanza del Capo dello Stato, la Presidenza della Camera potrebbe provvedere alla nomina di un Vicepresidente della Repubblica, per non attribuire le funzioni del Capo dello Stato al Capo del Governo. Non gli sembra possibile che durante questa vacatio si proceda alla nomina definitiva del Presidente della Repubblica.

MORTATI, Relatore, crede necessario esaminare distintamente i problemi che sono affiorati nella discussione.

Osserva che al quesito se durante l’intervallo fra due legislature debba esistere un organo che collabori col Governo nella attività legislativa, il progetto Conti risponde con la proposta di una Giunta permanente, formata da membri delle due Camere, che dovrebbe rimanere in vita durante il periodo di scioglimento. Si domanda se sia più opportuno affidare questo compito a gruppi particolari di deputati o mantenere in carica tutto l’apparato della Camera nel suo complesso. Una volta ammesso il principio della continuità, questa seconda soluzione gli sembra migliore, perché una Giunta come quella proposta dall’onorevole Conti rappresenterebbe assai imperfettamente l’Assemblea.

Circa i provvedimenti di ordinaria amministrazione o le funzioni legislative cui si è fatto cenno, osserva che la Camera, in questa eccezionale posizione, non dovrebbe prendere provvedimenti di importanza politica, e per questo soccorre la norma di correttezza costituzionale richiamata dall’onorevole Tosato, per cui deve essere inibito ad una tale Camera ogni potere di iniziativa.

Per il caso di vacanza del Capo dello Stato, ritiene invece, contrariamente a quanto è stato affermato dall’onorevole Tosato, che non sia opportuno fare intervenire alla elezione del nuovo titolare una Camera ormai sfornita di potere rappresentativo. Per provvedere all’ipotesi prospettata sarebbe più opportuno ricorrere ad un Capo detto Stato supplente, da nominare all’atto della nomina del titolare.

Crede, in conclusione, che si debbano scindere i due problemi: se nell’intervallo fra le due legislature deve sussistere un organo legislativo, per esercitare le funzioni legislative in senso proprio nella forma di provvedimenti straordinari, all’infuori del potere di iniziativa; e, in secondo luogo, chi debba rappresentare la Camera.

UBERTI si preoccupa di un problema essenzialmente pratico e cioè se potrà effettivamente ottenersi la continuità delle funzioni legislative da parte della Camera dopo il suo scioglimento. Ricorda in proposito le difficoltà che si incontrarono nelle ultime riunioni delle Commissioni della Consulta per raccogliere il numero legale, perché, indette le elezioni, quasi tutti i consultori si erano allontanati.

BOZZI nota che il problema della prorogatio della Camera è in funzione di due necessità: provvedere alla eventuale nomina del Capo dello Stato e provvedere altresì alla decretazione di urgenza.

Per quanto attiene alla nomina del Capo dello Stato, osserva che altri sistemi possono supplire all’eventuale vacanza del Parlamento, senza bisogno di ricorrere alla prorogatio di una Camera che ha ormai perduto il suo prestigio e la sua funzione rappresentativa.

Per quel che riguarda la decretazione di urgenza, non crede indispensabile la continuità della funzione legislativa. Anzitutto si potrebbe escogitare una norma che inibisse al Governo, tra lo scioglimento di una Camera e la convocazione dell’altra, la decretazione di urgenza; ma un correttivo migliore sarebbe quello proposto dall’onorevole Conti e cioè la creazione di un ristretto organo, costituito da rappresentanti della prima e della seconda Camera, che assistesse il Governo in questa particolare evenienza.

PRESIDENTE avverte che è stata avanzata una proposta di rinvio, che appare giustificata.

Infatti, l’ipotesi che durante l’intervallo di tre mesi si presenti la necessità di qualche misura di urgenza, è verosimile, ma potrà essere disciplinata quando sarà esaminata nel suo complesso la questione delle misure di urgenza.

La necessità poi di un organo che provveda alla eventuale nomina del Capo dello Stato nella vacanza del Parlamento, potrà più opportunamente essere presa in considerazione quando saranno esaminate le modalità per la nomina del Capo dello Stato, tenendo conto dei punti di vista manifestatisi nel corso della presente discussione.

Crede perciò che la questione possa essere rinviata.

(Così rimane stabilito).

MORTATI, Relatore, procedendo nell’esame delle norme sul funzionamento della Camera, prospetta l’opportunità di un articolo per disciplinare l’elezione dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE rileva che la proposta è stata concretata dall’onorevole Conti nei seguenti termini: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente, due Vicepresidenti, i Questori, i Segretari e le Commissioni, a norma del proprio Regolamento».

MORTATI, Relatore, riterrebbe preferibile evitare precisazioni, e soprattutto l’accenno alle Commissioni, limitandosi a stabilire che la Camera elegge l’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE conviene che la formula dovrebbe essere meno impegnativa nei suoi particolari. Sarà la Camera attraverso il Regolamento a decidere su questi. La formulazione della norma potrebbe, a suo avviso, essere la seguente: «La. Camera elegge nel suo seno l’Ufficio di Presidenza».

LUSSU preferirebbe la formula: «il Presidente ed il suo ufficio».

PRESIDENTE mette ai voti la seguente dizione: «La Camera elegge nel suo seno il Presidente e l’Ufficio di Presidenza».

(È approvata).

LACONI osserva che, qualora si ammettesse l’esistenza di una Giunta, come quella proposta dall’onorevole Conti, la sua nomina dovrebbe precedere quella dell’Ufficio di Presidenza.

PRESIDENTE obietta che la nomina della Presidenza risponde ad altre esigenze. Si potrebbe pensare ad un Parlamento che non avesse una Giunta, non ad un’Assemblea che non avesse il suo Presidente col relativo Ufficio di Presidenza.

Nota che ora si affacciano due questioni: in primo luogo, se nel testo della Costituzione occorre senz’altro risolvere il problema del modo come la Camera si articola nel suo interno e lavora (se attraverso Commissioni oppure no); in secondo luogo, se sia necessaria la formazione di una Giunta permanente che possa rappresentare la Camera ed agire in sua vece nella vacanza del Parlamento.

MORTATI, Relatore, crede che sarebbe opportuno esaminare anzitutto quale parte della regolamentazione della Camera debba rientrare nella Costituzione, cioè, quali limiti sarà utile porre all’autodisciplina della Camera.

PRESIDENTE fa presente che in altro articolo l’onorevole Conti propone la seguente disposizione: «La Camera delibera il proprio Regolamento».

La mette ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, osserva che occorre pure decidere se le deliberazioni in materia regolamentare debbano avvenire da parte della Camera con certe determinate modalità, se cioè, sia o meno necessaria una maggioranza qualificata. Si tratta di garanzie di regolarità che potrebbero includersi nella Costituzione.

FABBRI propone che la deliberazione del Regolamento sia fatta a maggioranza semplice dei componenti l’Assemblea e non dei presenti, cioè a dire, la metà più uno dei deputati.

LUSSU è contrario alla introduzione nella Costituzione di una simile precisazione, che può ritenersi sottintesa anche, perché non crede che in questo giochi la preoccupazione della tutela delle minoranze.

MORTATI, Relatore, non trova esatta l’obiezione dell’onorevole Lussu. Una maggioranza può approfittare del fatto di essere tale per imporre nel Regolamento eccessive limitazioni del diritto di discussione o altrimenti attentare al normale svolgimento dell’attività parlamentare. L’esigenza della protezione delle minoranze in sede di formulazione del Regolamento può avere il suo peso. Ricorda che la Costituzione austriaca – che è importante per l’accurata elaborazione tecnica che ha avuto – richiedeva per l’approvazione del Regolamento la presenza di metà dei membri della Camera e la maggioranza dei due terzi dei voti.

TARGETTI consiglierebbe l’obbligo dell’approvazione del Regolamento in duplice lettura.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che per la formazione del Regolamento si debba richiedere una maggioranza qualificata.

(È approvato).

Osserva che resta da stabilire quale deve essere questa maggioranza qualificata, e mette ai voti la proposta dell’onorevole Fabbri che il Regolamento sia approvato con la maggioranza della metà più uno dei membri dell’Assemblea.

(È approvata).

Comunica che alla parte ora approvata dell’articolo proposto dall’onorevole Conti circa la deliberazione del Regolamento, seguono le seguenti parole: «…e provvede alla propria amministrazione disponendo dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato».

MORTATI, Relatore, ritiene che la disposizione si possa sopprimere, non costituendo materia costituzionale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressione.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede sia da esaminare la questione della pubblicità delle sedute dell’Assemblea stabilendo, eventualmente, dei limiti alla possibilità di far venire meno questa garanzia, determinando, cioè, i casi in cui la Camera può riunirsi in seduta segreta; uno dei quali si ha quando essa tratta della propria amministrazione interna.

LACONI crede che si possa rimandare la materia al Regolamento, stabilendo soltanto il principio della pubblicità.

PRESIDENTE obietta che, stabilendosi solo il principio, si escluderebbe la possibilità di eccezioni. Occorrerà precisare quando la Camera può convocarsi in seduta segreta.

MANNIRONI propone che la convocazione in seduta segreta sia consentita quando viene richiesta da un certo numero di deputati.

LUSSU ritiene che non sia necessario introdurre questa norma nella Costituzione e che possa supplire la tradizione, alla quale è ormai acquisita questa garanzia della pubblicità.

UBERTI condivide l’opinione dell’onorevole Lussu, anche per la considerazione che, durante l’altra guerra, è stato possibile convocare la Camera in seduta segreta per affrontare questioni di politica estera, che non potevano essere trattate in pubblico, e una norma tassativa potrebbe costituire un impedimento di fronte ad improvvise necessità.

FABBRI suggerisce una formula concisa e cioè: «Il Regolamento della Camera fissa i casi e le forme in cui può convocarsi in seduta segreta». In questa dizione sarebbe implicito il principio della pubblicità e nello stesso tempo resterebbe stabilito che possono esservi anche dei casi di convocazione segreta, rimessi all’apprezzamento della stessa Camera.

DI GIOVANNI ritiene utile l’affermazione esplicita del principio della pubblicità e propone la seguente dizione: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera può convocarsi in seduta segreta a norma del Regolamento».

MORTATI, Relatore, ricorda che l’articolo 52 dello Statuto Albertino stabiliva la pubblicità delle sedute e osserva che la soppressione di una tale norma potrebbe sembrare fatta di proposito.

LUSSU insiste sull’opportunità di non introdurre la disposizione nella Costituzione.

RAVAGNAN crede opportuno affermare il principio della pubblicità delle sedute; ma l’espressione immediatamente successiva, secondo cui la Camera si riunisce in seduta segreta a norma del Regolamento, sembra in contraddizione con la prima affermazione. Crede perciò necessario far risaltare il carattere di eccezionalità delle sedute segrete.

ROSSI PAOLO propone la formula: «Le sedute della Camera sono pubbliche. La Camera si riunisce in seduta segreta soltanto nei casi previsti dal Regolamento».

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, crede che non sia il caso di addentrarsi nell’esame delle modalità di svolgimento del lavoro parlamentare e che la costituzione delle Commissioni sia materia da lasciare al Regolamento.

Sarebbe piuttosto importante, innovando nei confronti della precedente legislazione, parlare della possibilità di provocare la convocazione di Commissioni d’inchiesta e dei loro poteri. Attraverso il potere d’inchiesta, infatti, si può esercitare quel controllo sull’attività del potere esecutivo che costituisce una delle funzioni del Parlamento. Anche nei riguardi di queste Commissioni si potrebbe pensare ad una forma di tutela dei diritti delle minoranze, ammettendo che una minoranza cospicua possa ottenere, anche contro il parere della maggioranza, la nomina di una Commissione d’inchiesta.

In sostanza le questioni che si pongono sono due: se la Costituzione debba contenere una regolamentazione circa il potere di inchiesta e, in caso affermativo, determinare le modalità di esercizio di questo potere.

PRESIDENTE crede che il potere di inchiesta potrebbe essere previsto in una forma più ampia che occorrerà introdurre nella Costituzione, e nella quale saranno indicati tutti i poteri della Camera. È questo un campo in cui ritiene che potrà esservi qualche innovazione da fare nei confronti della tradizione rimettendo, ad esempio, alle decisioni delle Assemblee legislative il diritto di amnistia, il diritto di guerra e di pace, la ratifica dei trattati ecc. In questa elencazione, che avrebbe un carattere tassativo e non dovrebbe essere molto lunga, si potrebbe includere la possibilità di provocare inchieste.

Personalmente ritiene che nel testo costituzionale non sarebbe opportuno scendere addirittura ad una regolamentazione del potere di inchiesta.

FABBRI condivide l’opinione dell’onorevole Mortati, trattandosi di una questione importantissima, e sostiene che sarebbe opportuno che il potere di inchiesta, piuttosto che costituire un paragrafo della specificazione dei poteri della Camera, fosse considerato a sé.

DI GIOVANNI ricorda che, secondo il Regolamento vigente (articolo 135), le inchieste parlamentari rientrano fra le proposte di iniziativa parlamentare. Inoltre l’articolo 136 attribuisce alla Camera la determinazione delle facoltà e dei poteri delle Commissioni di inchiesta. Ritiene che ciò sia sufficiente e non occorra una disposizione ad hoc nella Costituzione.

TOSATO osserva che numerose questioni sono sorte circa i poteri delle Commissioni di inchiesta. Esse operano non nell’interno del Parlamento, ma fuori; dal che deriva il problema dei doveri del cittadino e dei funzionari nei loro confronti. Si domanda, cioè, se i funzionari siano sciolti dal segreto di ufficio e se i cittadini siano obbligati a deporre. Tutto ciò investe i diritti dei cittadini ed esula dai campo specifico del Regolamento della Camera, che può interessare solo i rapporti interni. Sorge quindi la necessità di disciplinare la materia con disposizioni che possano valere erga omnes e si tratta di stabilire se a ciò basti una legge normale od occorra una disposizione inserita nella Costituzione. Dichiara di accedere a quest’ultimo concetto, soprattutto perché la Costituzione sola potrebbe ammettere la possibilità di provocare una inchiesta anche contro il volere della maggioranza e questo diritto della minoranza appare tanto più opportuno in quanto le attività dello Stato sono notevolmente accresciute e aumenteranno sempre più. Da questo punto di vista il diritto della minoranza di provocare inchieste è una salutare garanzia contro la possibilità di abusi del Governo e delle Amministrazioni.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Mortati sull’impostazione del problema: il Regolamento della Camera ha un valore interno e può quindi vincolare soltanto i deputati. È d’avviso che la Costituzione debba regolare le funzioni delle Commissioni d’inchiesta ed i loro poteri.

MORTATI, Relatore, data l’estrema delicatezza del problema, insiste perché trovi adeguata soluzione nella Carta costituzionale.

NOBILE è d’accordo con gli onorevoli Mortati e Leone sulla necessità di non rinviare la questione al Regolamento propone la seguente formula da introdurre nella Costituzione: «La Camera ha il diritto, a mezzo di sue Commissioni, di eseguire inchieste relative alle funzioni del potere esecutivo e giudiziario. La esecuzione di questo diritto è determinata dalla legge».

LUSSU, rendendosi conto delle preoccupazioni dei colleghi, fa rilevare che se si rinvia alla legge la fissazione dei dettagli, tanto vale che il principio venga addirittura considerato in una legge speciale e non nella Costituzione che per il suo carattere di documento solenne ed incisivo e quindi breve, non può scendere a particolari.

MANNJRONI non è d’accordo che la Costituzione debba essere breve e schematica. Crede giusto che certi principî entrati ormai nelle tradizioni politiche del nostro Paese trovino riconoscimento e proclamazione nella Carta costituzionale, se non altro per non dar luogo a dubbi e incertezze. In questa sede si dovranno stabilire i limiti e le modalità per il funzionamento di queste Commissioni d’inchiesta; cosa tanto più necessaria se esse, ad esempio, dovranno avvalersi dei poteri e dell’opera della magistratura, i cui obblighi devono essere fissati appunto in una legge costituzionale.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza della Commissione sia d’avviso che si debba contemplare nella Costituzione il potere di inchiesta della Camera. Si chiede per altro se la Costituzione dovrà limitarsi ad affermare il principio o entrare in maggiori dettagli. Personalmente si limiterebbe all’affermazione di questo potere di inchiesta, come di altri poteri della Camera, senza entrare in particolari.

TOSATO rileva la difficoltà di una compenetrazione tra parte funzionale e parte organizzativa. Una volta affermata la necessità del potere di inchiesta, si deve stabilire con quale organo la Camera potrà effettivamente esercitarlo.

PRESIDENTE, constatato che si è d’accordo sulla questione di principio, suggerisce la seguente formulazione, la quale non esclude per altro di considerare poi il modo come il potere di inchiesta debba essere esercitato: «La Camera vota i bilanci, approva le leggi, concede amnistia, decide la guerra e la pace, ratifica i trattati internazionali ed esercita il potere di inchiesta».

LEONE GIOVANNI sarebbe favorevole all’abolizione dell’istituto dell’amnistia, limitandosi solo a quelli della grazia e dell’indulto. Ma, poiché la questione involge principî di carattere giuridico e politico del massimo interesse, crede che debba essere definita in altra sede.

PRESIDENTE domanda se si debba, oppur no, elencare in un articolo tutti i poteri della Camera salvo poi a definirli.

MORTATI, Relatore, ritiene che non si possa pregiudicare la sistemazione formale del punto in questione. Affermato il principio, sorge il problema che riguarda l’organizzazione dell’istituto ed il funzionamento. Crede che un articolo programmatico dell’attività dell’Assemblea sia superfluo e meglio sarebbe formulare tanti articoli per i vari poteri dell’Assemblea, specificando anche il modo di esercizio. Affermato ora il principio generale dell’esistenza del potere d’inchiesta nella Camera, si potrà vedere poi se tale potere dovrà essere organizzato costituzionalmente o rinviato ad una legge ulteriore.

PATRICOLO, richiamandosi all’ordine del giorno sui poteri e sulle funzioni della Camera, da lui presentato all’inizio della discussione sul potere legislativo, prospetta la doppia funzione della Camera: funzione legislativa e funzione di vigilanza e di controllo sugli organi dello Stato. In questa seconda funzione rientra appunto la questione delle Commissioni d’inchiesta.

PRESIDENTE aveva pensato che l’affermazione del diritto di inchiesta non dovesse restare a sé. Crede che proprio per dare alla Costituzione quel carattere di solennità incisiva che si ritiene necessario, si debba fissare in maniera parimenti incisiva quali sono i poteri ed i compiti dell’Assemblea. Gli sembra che non sia necessario che il cittadino italiano, per la formazione della sua coscienza civica, debba proprio conoscere in qual modo si autorizza una inchiesta e come la si porta a compimento.

Ad ogni modo, osserva che sarebbe bene precisare un indirizzo per la prosecuzione dei lavori della Commissione. Affermato il potere di inchiesta, si è entrati nel campo della competenza, dei limiti e delle funzioni. Crede che sarebbe meglio esaminare prima tutti i diritti della Camera. Quando saranno stati definiti questi, si passerà a determinare gli organi mediante i quali essa potrà esplicarli e si disciplinerà il loro funzionamento.

La seduta termina alle 11.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Castiglia, Einaudi, Farina, Fuschini, Piccioni, Porzio, Vanoni.