Come nasce la Costituzione

Come nasce la Costituzione
partner di progetto

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Cappi – Fuschini – La Rocca – Conti, Relatore – Lussu – Nobile – Perassi – Targetti – Einaudi – Ambrosini – Fabbri – Bulloni – Zuccarini – Mortati, Relatore – Tosato – Leone Giovanni – Lami Starnuti – Di Giovanni – Uberti – Mannironi – Codacci pisanelli – Calamandrei.

La sedata comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che la Sottocommissione deve determinare il numero dei componenti la prima Camera. Secondo il progetto dell’onorevole Conti, dovrebbe essere eletto un deputato per ogni 150.000 abitanti. La nuova Camera dei Deputati, quindi, calcolata la popolazione del Paese in 45.000.000 di abitanti, verrebbe ad essere composta da circa 300 membri. Ma si è accennato all’opportunità di elevare il numero a 400 o 450.

CAPPI ricorda che aveva proposto: un deputato ogni 100.000 abitanti. Ne risulterebbe una Camera di 420-450 membri.

FUSCHINI crede che sia opportuno andare cauti nello stabilire la proporzione fra abitanti ed eletti. Non è sufficiente tener conto soltanto della popolazione: la questione va risolta, a suo parere, anche in rapporto al modo di formazione della seconda Camera e al numero dei suoi componenti. Infatti, Camera e Senato saranno chiamati a riunirsi non solo in occasione della nomina del Presidente della Repubblica, ma anche in determinate speciali situazioni; è quindi il rapporto tra il numero dei componenti dell’una e di quelli dell’altra che bisogna tener presente, per evitare la possibilità che sia il Senato a determinare l’indirizzo politico del Paese. Se, ad esempio, nella prima Camera dovessero assottigliarsi ad un dato momento le correnti di destra, queste nell’Assemblea Nazionale potrebbero unirsi con la maggioranza della Camera Alta, che per sua natura ha sempre una tendenza prevalentemente conservatrice, ponendo la Camera dei Deputati in gravi condizioni di inferiorità.

La questione è senza dubbio assai importante e va esaminata con la dovuta attenzione: occorre assolutamente impedire che la volontà popolare possa essere alterata da un errato rapporto fra il numero dei membri delle due Camere.

Aggiunge un’altra considerazione di carattere localistico. Le popolazioni considerano sempre il deputato che hanno eletto anche da un particolare punto di vista, per cui quel deputato riceve di continuo dai suoi elettori sollecitazioni che non sempre sono per bassi servigi, come per lo più si dice, ma spesso sono dettate dalle improrogabili necessità di una data circoscrizione e costituiscono un comodo mezzo per intrecciare rapporti di maggior fiducia fra eletto ed elettori. Ma un deputato non riuscirà mai a soddisfare le necessità di una massa di 150.000 abitanti. Sarebbe quindi più opportuno fissare un deputato per non più di 80.000 abitanti, come è stato finora tradizionale nel nostro Paese, oppure rinviare la risoluzione del problema (e ciò sarebbe il migliore avviso) a quando dovrà essere discussa la futura legge elettorale.

LA ROCCA crede necessario fissare nella nuova Costituzione il numero dei deputati, mentre la definizione dei dettagli potrà essere rinviata alla legge elettorale.

Ma occorre intanto chiarir bene una questione. La Sottocommissione, attraverso reciproche concessioni, è giunta alla istituzione di una Camera Alta. Da qualcuno è stato manifestato il timore che questa possa funzionare da freno alla volontà espressa dal popolo mediante il suffragio universale. A tal riguardo sarà bene affermare che l’organismo sovrano, rispecchiante la volontà popolare, non potrà essere che la prima Camera. È ad essa che occorrerà dare una prevalenza netta, indiscussa e indiscutibile, perché è attraverso quest’organo che veramente si manifesta la volontà del popolo. La tradizione, anche se a volte è una vis inertiae, non sempre dev’essere trascurata. Il popolo italiano è avvezzo ad avere 500 e più deputati. Inoltre non è opportuno, in regime democratico, diminuire questo numero, perché a tutti deve esser dato il modo di far sentire la loro voce. Restringendo il numero dei deputati, si potrebbe far sorgere il sospetto di essere animati a tal proposito di soffocare la volontà delle minoranze.

In ogni modo, non crede che sia opportuno fissare una proporzione fra numero di abitanti e numero di deputati: sarebbe meglio stabilire soltanto che la Camera bassa debba essere costituita da un numero di membri non minore di 500.

CAPPI non è d’accordo con i precedenti oratori che hanno basato il loro ragionamento su un presupposto ormai inesistente: il Senato di nomina regia, che quasi sempre fu di tendenze politiche contrarie a quelle della prima Camera. Nel progetto dell’onorevole Conti la seconda Camera è invece un’Assemblea eletta a suffragio universale, perché ben pochi dei suoi membri saranno nominati dal Capo dello Stato: ed è a questo proposito opportuno ricordare che il Capo dello Stato è, in definitiva, eletto dal popolo.

Caduto il presupposto, cadono anche le conseguenze a cui sono arrivati gli onorevoli Fuschini e La Rocca.

CONTI, Relatore, dichiara che gli oppositori alla restrizione del numero dei deputati partono da un criterio non democratico, perché capovolgono la concezione del nuovo Stato che sarà organizzato con il criterio non tanto della rappresentanza al centro, quanto della rappresentanza alla periferia. Con la nuova organizzazione statale, la risoluzione di molti problemi sarà affidata alle regioni. Se non si tiene presente questo punto di vista, si torna al concetto dello Stato accentrato, affidando nuovamente tutte le mansioni dello Stato al Governo, alla Camera e al Senato.

Circa la questione, accennata dall’onorevole Fuschini, della prevalenza della prima Camera sulla seconda, avverte che, a suo avviso, il potere legislativo deve essere composto di due organi che abbiano perfetta parità e ciò anche perché le due Camere dovranno, in determinate occasioni, fondersi in un’unica Assemblea. Si deve quindi escludere in modo assoluto che il Senato possa essere sottomesso al volere della Camera e viceversa: fra l’una e l’altro organo dovrà aversi uno scambio continuo di deliberazioni, di pareri, di critiche e quindi non si potrà stabilire alcuna prevalenza dell’una Camera sull’altra.

Riguardo al numero dei componenti la prima Camera, ritiene che tanto meglio sarà quanto più esso sarà ridotto: l’affollamento non costituisce alcun vantaggio. Non condivide l’opinione dell’onorevole Fuschini intorno alle funzioni accessorie del deputato, la quale perde di vista la funzione del deputato stesso: quella legislativa. Il deputato futuro non dovrà essere che un legislatore, un po’ distaccato dal corpo elettorale, che per le sue esigenze particolari avrà come patrocinatori i deputati delle Assemblee regionali. Il concetto del deputato tutore degli interessi personali dei vari gruppi ricorda costumi politici d’altri tempi, che sarà bene abbandonare, se veramente si vuol dare un impulso più sano alla vita politica del Paese.

Non è favorevole alla proposta dell’onorevole Cappi e tanto meno al concetto espresso dall’onorevole La Rocca che non si debba abbandonare l’abitudine del popolo italiano ad avere 500 e più deputati. Il popolo italiano disgraziatamente ha una sola abitudine circa il Parlamento: parlarne male; e con la nuova Costituzione occorrerà elevare il prestigio del Parlamento, al che si giunge per una via soltanto: diminuire il numero dei componenti alla futura Camera.

LUSSU ritiene che sia necessario fissare nella seduta odierna il numero dei deputati, e ciò per affrettare la risoluzione di una delle tante questioni sottoposte all’esame della Sottocommissione. Sarà anche bene determinare questo numero in rapporto al numero degli abitanti, perché altrimenti potrebbero sorgere altre difficoltà. A tale proposito occorrerà tener presente la costituzione dell’Ente regione, perché, se ad esso saranno attribuiti poteri molto estesi, logicamente dovrà essere diminuito il numero dei rappresentanti alla prima Camera. Difatti, quanto più sarà estesa la facoltà dell’Ente regione di legiferare su problemi particolari, tanto minore sarà la mole del lavoro che sarà chiamata ad assolvere la prima Camera. A questa, in tal caso, resterebbe soltanto la risoluzione dei grandi problemi d’ordine generale. Se tale decentramento fosse attuato senza diminuire contemporaneamente il numero dei componenti la prima Camera, si modificherebbe soltanto l’attuale burocrazia statale, non già quella politica. Per conseguire anche questo scopo occorre inviare alla Camera un numero non troppo largo di deputati, ed evitare che, attraverso il sistema della proporzionale, si verifichino gli stessi inconvenienti creati dal collegio uninominale. Con l’elezione infatti di un gran numero di deputati si potrebbe avere lo stesso fenomeno di corruzione a cui dava adito il sistema maggioritario: ogni deputato si creerebbe una piccola o grande clientela, divenendo deputato a vita. Riducendo, invece, il numero dei deputati, si obbligherebbe il corpo elettorale ad una moralizzazione della vita politica; gli elettori si rivolgerebbero alle locali organizzazioni e farebbero capo al deputato soltanto per questioni veramente importanti. Vero è che anche in tal modo si può correre il rischio che la seconda Camera alteri la volontà popolare, se, come vorrebbe l’onorevole Conti, si dovesse stabilire la parità tra le due Camere. Ma la seconda Camera ha di solito una caratteristica propria e non ne esiste una al mondo che abbia parità di poteri con la prima. Bisogna evitare una seconda Camera fatta a somiglianza del Senato francese che aveva volutamente, nella Costituzione, un carattere conservatore.

Conclude che il numero degli abitanti per ogni deputato dovrebbe essere inferiore ai 150.000 ed aggirarsi sui 100-120 mila. Qualora, però, il principio delle larghe autonomie regionali non dovesse essere adottato, occorrerebbe elevare al massimo il numero dei deputati.

NOBILE, contrario all’istituzione di una seconda Camera, dal momento che è stato deciso di mantenerla, si associa all’onorevole La Rocca, affermando la necessità di una prevalenza della prima Camera sulla seconda. Non è però d’accordo con lui nel volere assicurata tale prevalenza attraverso il maggior numero dei deputati.

D’altra parte pensa che non possa fissarsi il numero dei componenti la prima Camera, quando non ancora è stato stabilito quello dei membri del Senato e dei Parlamenti regionali. L’una e l’altra questione dovrebbero essere decise contemporaneamente. Sarebbe opportuno, quindi, aggiornare la discussione sul problema in esame.

Aggiunge che da un primo calcolo di quello che sarebbe il numero dei parlamentari italiani, secondo le proposte fatte, è venuto alla conclusione che si avrebbero 400-420 deputati circa, 300 Senatori e, in ciascuna delle forse 15 Assemblee regionali, un minimo di cento: cioè, più di 2000 parlamentari.

CONTI, Relatore, avverte che, secondo calcoli approssimativi, si arriverebbe-invece a circa seimila parlamentari.

NOBILE dichiara che l’interruzione dell’onorevole Conti, dalla quale risulta che le sue previsioni sono state superate, lo convince ancora di più nella sua opinione. Per le indennità a un così gran numero di parlamentari e per le spese di funzionamento dei relativi organi dovrebbero essere impiegate somme ingenti: forse più di due miliardi, che costituirebbero un peso eccessivo per lo Stato, specie nelle attuali condizioni.

PERASSI è pienamente d’accordo con l’onorevole Conti. Ha l’impressione che nelle riunioni precedenti sia largamente prevalso il concetto di ridurre il numero dei deputati, rispetto a quello passato, per diverse considerazioni, e innanzi tutto perché si passerà da uno Stato accentrato ad uno decentrato, con tutte le conseguenze che ne derivano, fra le quali di assai notevole importanza quella per cui gli affari locali non saranno più di competenza del centro. Con ciò il campo di attività di ogni deputato non sarà più così esteso come nel passato; onde l’opportunità di ridurre il numero dei membri della prima Camera.

Anche altre considerazioni consigliano di giungere alla riduzione, fra cui quella di carattere economico accennata dall’onorevole Nobile, che pure ha la sua importanza. All’opinione pubblica farebbe assai buona impressione una riduzione degli organi dello Stato, anche in riferimento alla situazione finanziaria del Paese.

Non ritiene opportuno risolvere nell’odierna seduta la questione del rapporto delle rispettive funzioni fra Camera e Senato: essa potrà essere esaminata a suo tempo. Ciò che ora interessa è venire ad una decisione sul problema relativo alla convenienza o meno che la prima Camera abbia una formazione numericamente limitatissima rispetto all’attuale. Aderisce in proposito all’opinione dell’onorevole Conti, nel senso di affermare in maniera netta il concetto che la Camera dei Deputati debba avere una composizione relativamente ristretta, sulla base della proporzione di un deputato ogni 150.000 abitanti.

TARGETTI dichiara d’essere decisamente contrario alla proposta dell’onorevole Conti, non perché sia attaccato alla tradizione a cui si richiama l’onorevole La Rocca, ma perché non gli pare siano stati portati argomenti troppo convincenti in favore di una riduzione del numero dei componenti la Camera. L’unica argomentazione di notevole importanza in favore di tale riduzione è quella che si basa sulle funzioni che dovrà avere l’Ente regione. A tale proposito giova tuttavia rilevare che l’Ente regione è nato per ora soltanto nelle proposte della Sottocommissione, ma prima che possa diventare vitale occorrerà attendere le proposte concrete della Commissione e le decisioni dell’Assemblea Costituente. Al momento attuale un solo concetto può essere acquisito: quello affermato dagli onorevoli Conti e Lussu, che cioè solo quando siano stabilite le funzioni delle Assemblee regionali si potrà decidere fino a qual punto saranno ridotte quelle del Parlamento e, conseguentemente, l’eventuale riduzione del numero dei deputati. Quindi la Sottocommissione si trova dinanzi ad un’alternativa: o rinviare alla legge elettorale la determinazione del numero dei deputati, cosa che non sarebbe affatto assurda, oppure attendere, per decidere in proposito, che siano state risolte le altre due questioni: quella del funzionamento delle Assemblee regionali e quella della composizione della seconda Camera.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Conti sulla opportunità di ridurre il numero dei membri, sia della prima Camera che della seconda, anche per ragioni, che crede evidenti, di tecnica legislativa. Difatti, quanto più è grande il numero dei componenti un’Assemblea, tanto più essa diventa incapace ad attendere all’opera legislativa che le è demandata.

A proposito poi del necessario rapporto fra il numero dei componenti le due Camere, osserva che non dipende dal maggior numero dei membri la maggiore autorità di un consesso rispetto all’altro. Se si volesse conferire uguali poteri alla Camera e al Senato, si potrebbe farlo anche con un numero di componenti diverso. Ricorda l’esempio del Senato francese in cui il numero dei membri era inferiore a quello della Camera, pure avendo i due organi eguale potestà legislativa, e quello del Senato americano che è composto di solo 96 persone contro le 400 circa della Camera dei rappresentanti: ciò nonostante il Senato americano ha poteri legislativi e politici di gran lunga superiori a quelli della Camera.

Quanto al costo per il funzionamento del nuovo sistema rappresentativo, fa osservare che, anche se esso dovesse aggirarsi intorno ai due miliardi, non sarebbe così eccessivo come sulle prime può sembrare. Basti considerare a tale proposito che la spesa relativa dev’essere messa in rapporto al bilancio dell’esercizio in corso che, purtroppo, si aggira, secondo le previsioni, sui 500 miliardi e con ogni probabilità supererà i 600. Né è dato sperare che tale cifra possa essere suscettibile di notevoli riduzioni negli esercizi successivi.

AMBROSINI è d’avviso che non sia opportuno rinviare la risoluzione del problema in esame: è necessario che una decisione sia presa nell’odierna seduta, tanto più che eventualmente vi si potrà sempre tornare sopra. Non è neanche opportuna la proposta di rinvio alla legge elettorale, trattandosi di una questione di principio.

Dopo aver rilevato che sono state sostenute, rispettivamente dagli onorevoli Conti e Fuschini, due tesi completamente contrarie, osserva che, se si riuscisse ad attutire l’urto del opposte premesse dottrinarie, un contrasto effettivo tra le due tesi non sussisterebbe. Per esempio, ciò che ha sostenuto l’onorevole Fuschini, che bisogna, cioè, tener conto degli interessi locali, a suo modo di vedere non va interpretato nel senso che occorre assecondare gli interessi particolaristici degli elettori, bensì nel senso che, oltre che degli interessi generali della Nazione, concepiti in un modo assolutamente unitario, è necessario tener conto di altri interessi egualmente nazionali, pure aventi un carattere prevalentemente locale, dei quali i deputati non possono naturalmente non rendersi interpreti.

La difficoltà, dunque, sta nel trovare un punto di incontro fra le due tesi, il che è reso difficile da altre pregiudiziali sorte nel corso della discussione e, particolarmente, da quella dei rapporti tra Camera e Senato. Ha inteso sostenere da alcuni oratori, anticipando una discussione che dovrà essere fatta a suo tempo, che il Senato dovrebbe avere un numero di componenti inferiore a quello della Camera, per impedire che possa venire alterato come taluno teme il risultato dell’espressione della volontà popolare. Visto che il problema è stato sollevato, esprime il proprio avviso nel senso che occorre evitare che il Senato sia messo in una condizione di assoluta inferiorità di fronte alla Camera, riducendolo a un corpo puramente consultivo. D’altra parte ritiene, e in questo è d’accordo con l’onorevole Einaudi, che il numero dei componenti di un’Assemblea non abbia alcuna influenza sulle sue funzioni. L’influenza della seconda Camera sulla vita politica del Paese potrà dipendere non solo dal modo con cui essa sarà costituita nella nuova carta statutaria, ma anche dallo svolgimento naturale delle cose, dal prestigio che una tale Assemblea potrà acquistare, da un insieme di fattori, quindi, che difficilmente può essere previsto nelle sue particolarità.

Conclude affermando di condividere le osservazioni dell’onorevole Conti circa l’opportunità di ridurre l’attuale numero dei Deputati, soprattutto in quanto è d’augurarsi che l’Ente Regione possa assorbire molti dei compiti fino ad ora demandati al Parlamento. Non bisognerebbe però addivenire ad una riduzione eccessiva. Sarebbe preferibile, quindi, una soluzione intermedia, come quella consigliata dall’onorevole Cappi, stabilire, cioè, la proporzione di un deputato per ogni centomila abitanti.

FABBRI non crede che sia giusto, agli effetti della determinazione del numero dei componenti la prima Camera, basarsi su una probabile limitazione delle sue attività in vista della futura costituzione dell’Ente Regione. Difatti, ammesso pure che la Camera dei Deputati risulti straordinariamente alleggerita nel suo lavoro legislativo, ciò non potrà avere che una sola ripercussione, di carattere economico: si spenderà di meno per la diminuita attività dell’Assemblea e per la probabile riduzione della indennità parlamentare. In altri termini, il fatto che i deputati saranno chiamati a riunirsi soltanto nelle grandi occasioni e per questioni di massima importanza non è, o per lo meno non dovrebbe essere, causa di una riduzione del numero dei componenti la prima Camera. Anzi, le stesse grandi questioni che essi sono chiamati a risolvere rendono più che mai indispensabile una rappresentanza assai larga di tutte le correnti politiche del Paese, anche di quelle costituite dai partiti di minoranza, se veramente si vuole un regime democratico.

Ciò posto, è necessario fissare nella Costituzione il numero dei deputati e anticipare fin. da ora il parere della Sottocommissione sul numero dei componenti il Senato. Una proposta concreta potrebbe essere quella di stabilire il numero compreso fra 450 e 500 membri della prima Camera, senza fissare un rapporto preciso con la popolazione. Con ciò si avrebbe il vantaggio di lasciare ai compilatori della legge elettorale una certa libertà di azione, quanto mai necessaria se si vuole tener conto dell’elemento demografico e della sua ripartizione nel territorio dello Stato.

Per il Senato dovrebbe essere mantenuto fisso il principio di un numero dei suoi Componenti non superiore ai 300. In tal modo sarebbero anche rispettati quei criteri di preponderanza numerica a cui ha fatto cenno l’onorevole La Rocca.

BULLONI si associa alle dichiarazioni di quegli oratori che hanno affermato la necessità di fissare nella Costituzione il numero dei componenti la prima Camera. Si tratta infatti di un elemento essenziale che non può essere omesso in una Costituzione.

PRESIDENTE rileva che la questione in esame è più importante di quanto forse non sembri e che non si tratta già di mettersi d’accordo su un numero preciso, bensì su una questione di principio, o meglio su un problema nel quale si riassumono e si confondono molte questioni di principio, già toccate nel corso delle precedenti discussioni ed altre ancora, che forse potranno sorgere nelle future riunioni. Ritiene evidente che, se i Parlamenti regionali verranno ad essere quelli che l’onorevole Conti ed in particolare l’onorevole Lussu si auspicano, l’adozione di tali istituzioni eserciterà la sua influenza sulle decisioni della Sottocommissione nella materia in esame.

Personalmente tiene a sottolineare che non è favorevole ad una definizione dello Stato in senso autonomistico; come d’altra parte resterebbe assai perplesso se nella Costituzione si parlasse di uno Stato regionale. È d’avviso che lo Stato debba essere unitario; non può essere autonomistico, così come non è mai venuto in mente ad alcuno che possa essere provinciale o provincialissimo e tanto meno municipale, quand’anche si voglia concedere, come è nei propositi, una larga autonomia ai Comuni. Sarebbe quindi un grave errore non tenere nel dovuto conto quest’aspetto della coesione e della compattezza che lo Stato deve avere.

Ora, qualcuno ha affermato che specialmente nelle assemblee regionali si esplicherà la vera volontà popolare: ma questo significherebbe che lo Stato italiano dovrebbe essere federalistico. Bisogna procedere con una certa cautela in questo campo se non si vuole la disgregazione dell’unità statale.

Ha avvertito una notevole dissonanza quando, da qualche oratore, è stato accennato all’eccessivo numero dei parlamentari che si avrà con le future assemblee regionali, poiché, nonostante tutti i poteri che a queste saranno concesse, non si potranno ravvisare in tali assemblee dei Parlamenti; né i loro componenti potranno chiamarsi parlamentari, sia nel senso peggiore che in quello più nobile della parola. Dovrà sempre esserci una diversità di rappresentanza e di poteri fra i membri delle assemblee nazionali e quelli delle assemblee regionali.

Crede pure che l’affermazione secondo cui un migliore funzionamento della Camera sarebbe assicurato se questa fosse composta di pochi membri perda di vista l’esperienza. Oggi, ad esempio, si ha una Camera di circa 560 membri, ma le forze effettive, i deputati che effettivamente contribuiscono al lavoro della stessa, rappresentano soltanto una percentuale.

Se si stabilisse che la prima Camera dovesse essere composta di 300 deputati, si creerebbe un’assemblea nella quale probabilmente solo 150 membri parteciperebbero veramente al lavoro legislativo. Infatti l’elezione dei deputati non è, in sostanza, che una prima scelta fatta dalla massa degli elettori; ma una seconda ne viene fatta in seguito, sulla base delle capacità rivelate da ogni eletto nel periodo del suo lavoro legislativo.

D’altra parte il numero dei componenti un’assemblea deve essere in certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale. Non è, come ha accennato l’onorevole La Rocca, che si vorrebbe conservare l’attuale numero dei deputati per rispetto ad una tradizione, ma perché la diminuzione del numero dei componenti la prima Camera repubblicana sarebbe in Italia interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Quindi, se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.

Quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Nobile circa l’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, rileva che, se una Nazione spende un miliardo di più per avere buone leggi, non si può dire che fa spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone ed anche se si consideri l’ammontare complessivo del bilancio in corso.

Personalmente, quindi, ritiene che il problema in questione non si sarebbe nemmeno dovuto porre: non tanto quello concernente la determinazione del numero dei componenti l’assemblea nella Costituzione, quanto quello della diminuzione di tale numero. Si sarebbe dovuto accettare ciò che poteva essere suggerito dall’attuale vita politica del Paese, vale a dire che esso assai opportunamente ha sentito la necessità di adeguare nelle ultime elezioni il numero dei suoi rappresentanti alla aumentata massa della popolazione. Per queste considerazioni un’eventuale riduzione del numero dei componenti la prima Camera costituirebbe a suo avviso un grave errore politico.

Ritiene che la Sottocommissione dovrebbe deliberare su tre punti:

1°) se si debba fissare il numero dei deputati nella Costituzione;

2°) in qual modo, e ciò evidentemente costituisce una subordinata della prima questione, si debba fissare tale numero; se in cifra assoluta o in rapporto a un dato numero di abitanti;

3°) nel caso di approvazione del secondo criterio di cui al secondo punto, quale dovrà essere la proporzione fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

Mette pertanto in votazione la proposta che nella Costituzione si debba fissare il numero dei deputati.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a passare all’esame del secondo quesito.

ZUCCARINI prospetta l’opportunità di fissare un numero massimo, poiché teme che, non stabilendo limiti precisi, il numero dei deputati possa via via essere aumentato con successive leggi elettorali, come del resto si è verificato nel passato.

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Zuccarini potrebbe costituire una subordinata del secondo quesito in discussione. In ogni modo la mette in votazione.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che nella Costituzione debba essere fissata in cifra assoluta il numero dei componenti la prima Camera.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che il numero dei componenti la prima Camera debba essere indicato in rapporto all’entità della popolazione.

(È approvata).

Invita la Sottocommissione a fissare il rapporto fra il numero dei deputati e quello degli abitanti.

BULLONI propone il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, a chiusura della discussione circa la composizione della Camera dei Deputati,

ritenuto che il numero dei componenti della detta Camera quale elemento essenziale alla sua costituzione, deve essere stabilito in sede costituzionale;

ritenuta la necessità che la Camera stessa risponda alla suprema esigenza della funzione legislativa attraverso una rigorosa selezione, al fine di assicurare al deputato prestigio e indipendenza;

ritenuta la necessità che la Camera dei Deputati risulti sempre più aderente alla diretta espressione della volontà popolare;

ritenuta necessaria la forma elettiva della seconda Camera;

propone

che la composizione della Camera dei Deputati sia costituita in ragione di un deputato ogni 100 mila abitanti».

TARGETTI propone di abbassare la cifra da 100 mila a 80 mila.

NOBILE insiste nella sua proposta di rinviare la decisione sul numero dei deputati a quando sarà stabilito il numero dei membri della seconda Camera e delle Assemblee regionali.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospensiva dell’onorevole Nobile.

(Non è approvata).

CONTI, Relatore, prega l’onorevole Bulloni di rinunciare a vari «considerando» del suo ordine del giorno, perché, oltre quelli da lui elencati, ve ne potrebbero essere altri relativi ad altre non meno importanti questioni.

PRESIDENTE osserva che dai verbali appariranno tutte le considerazioni aggiuntive e di carattere diverso. In sostanza l’ordine del giorno dell’onorevole Bulloni può ridursi ad una sola proposta: a quella di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti. Si tratta perciò di decidere se si debba eleggere un deputato per ogni 80 mila abitanti, come propone l’onorevole Targetti, o per ogni 100 mila abitanti, come propone l’onorevole Bulloni, o per ogni 150 mila, secondo quanto è stato proposto dall’onorevole Conti.

CONTI, Relatore, è disposto a ridurre la cifra da 150 a 125 mila.

MORTATI, Relatore, voterà a favore dei 100 mila abitanti. Se la proposta relativa sarà approvata dalla Sottocommissione, si avrà una riduzione del numero dei deputati in confronto a quello della precedente Camera, il che non significherà svalutazione del potere politico della Camera dei Deputati. A tale proposito occorre tener presente che la vecchia Camera italiana era l’unica rappresentativa mentre con la nuova Costituzione sarà rappresentativa anche la seconda Camera, che integrerà la prima. È necessario quindi tenere nel debito conto questa integrazione di rappresentanza, che non può non influire sulla determinazione del numero dei rappresentanti della Camera dei Deputati.

LUSSU rileva che il Presidente ha fatto alcune dichiarazioni che, malgrado l’autorità da cui provengono, non possono essere lasciate inosservate. Dichiara così di non poter condividere le opinioni espresse dall’onorevole Terracini a proposito del valore antidemocratico attribuito a una eventuale riduzione del numero dei deputati, ed a proposito della questione autonomistica e federalistica,. osserva che a tale riguardo esistono correnti comuniste e socialiste assai favorevoli ai punti di vista contro i quali si è pronunciato l’onorevole Terracini.

La riduzione nel numero dei deputati non ha un significato antidemocratico, specie se esso è messo in relazione con la nuova organizzazione dello Stato. L’onorevole Terracini può non essere molto favorevole a tale nuova organizzazione, ma essa corrisponde ai desideri della maggioranza del paese. Dichiara, pertanto, che voterà per la cifra di 100 mila abitanti proposta dall’onorevole Bulloni.

TARGETTI chiede che la votazione abbia luogo per appello nominale.

TOSATO voterà per la proposta dell’onorevole Cappi cui si è associato l’onorevole Bulloni, che cioè si elegga un deputato ogni 100 mila abitanti e si associa alle considerazioni degli onorevoli Mortati e Lussu.

Un’altra considerazione lo spinge a votare in tal senso; poiché la nuova legge elettorale adotterà il sistema della rappresentanza proporzionale, ritiene che sia necessario ridurre il numero dei deputati, per impedire quella moltiplicazione dei partiti che nelle ultime elezioni è stata appunto causata dalla proporzionale.

CONTI, Relatore, dichiara che, proponendo una riduzione del numero dei abitanti da 150 a 125 mila, ha voluto avvicinarsi alle proposte degli onorevoli Bulloni e Cappi. Tiene in ogni modo ad affermare che la riduzione nel numero dei deputati non significa una limitazione del potere della Camera, ché anzi con essa si intende conferire un maggior prestigio alla Camera dei Deputati. Aggiunge anche che tale riduzione è in relazione all’istituzione delle Assemblee regionali, le quali daranno alla nuova Costituzione il carattere di una Costituzione mista fra il sistema parlamentare e la democrazia diretta, che è poi l’unico modo per realizzare veramente la sovranità popolare in tutta la sua estensione.

LA ROCCA voterà a favore della cifra di 80 mila, perché ritiene che occorra rafforzare l’istituto parlamentare e dargli quella autorità che gli è necessaria per essere l’organo sovrano della Nazione.

CONTI, Relatore, rinuncia anche alla proposta relativa all’elezione di un deputato per ogni 125 mila abitanti.

PRESIDENTE indice la votazione per appello nominale sulle due proposte, l’una dell’onorevole Targetti, l’altra dell’onorevole Bulloni, relative rispettivamente all’elezione di un deputato per ogni 80 mila e per ogni 100 mila abitanti.

Votano a favore della proposta Targetti per gli 80 mila abitanti i deputati: Bocconi, Di Giovanni, Fabbri, Lami Starnuti, La Rocca, Ravagnan, Targetti, Terracini.

Votano a favore della proposta Bulloni per i 100 mila abitanti i deputati: Ambrosini, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fuschini, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Perassi, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Si astiene dalla votazione il deputato Nobile.

PRESIDENTE comunica che la proposta di eleggere un deputato per ogni 100 mila abitanti ha riportato 18 voti favorevoli contro 8 voti favorevoli all’altra proposta, e un astenuto.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione sul primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Conti, concernente la elezione della Camera dei Deputati in forza del quale lo Stato è suddiviso in collegi elettorali a norma di legge speciale, col che si esclude il collegio unico nazionale.

CONTI, Relatore, avverte che questa disposizione è stata introdotta appunto per il fine cui ha accennato l’onorevole Mortati.

PRESIDENTE non crede che questo comma debba essere incluso nella Costituzione, la quale con ciò entrerebbe nel vivo della legge elettorale, mentre la Sottocommissione è stata dell’avviso di introdurre nella Costituzione il minor numero possibile di norme particolari, tanto che ha deciso di non dare alcuna indicazione relativamente al sistema della rappresentanza proporzionale.

MORTATI, Relatore, ritiene che in una Costituzione occorra prevedere tutti quei punti che si ritenga di dover sottrarre all’arbitrio del futuro legislatore ordinario.

Ricorda che la Sottocommissione si era informata a questo criterio nell’esame di un precedente articolo nel quale si stabilì, per impedire che il diritto all’elettorato potesse essere soggetto all’arbitrio del legislatore, che la decadenza da tale diritto dovesse aver luogo solo in seguito a sentenza civile o penale. Così egli si domanda se sia opportuno rinviare la disciplina dei partiti al futuro legislatore o se non sia più conveniente prendere una decisione al riguardo, quando saranno comunicate le relative decisioni della prima Sottocommissione. Anche a proposito dei collegi elettorali si tratta dunque di vedere se debbano oppure no essere stabilite eventuali limitazioni alla futura attività del legislatore, ed a suo avviso se non necessario, sarebbe opportuno che la Sottocommissione si pronunciasse in proposito.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mortati che le considerazioni da lui svolte sono state già fatte altre volte e si tratta ora di vedere entro quali limiti si debba restare aderenti a decisioni già prese per la sistemazione della materia.

Mette pertanto in votazione la proposta di soppressione del comma in esame.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, ricorda che, votando l’articolo relativo ai limiti del diritto elettorale sfuggì una conseguenza che potrebbe discendere dalla sua formulazione: difatti, ammesso che il legislatore non possa porre limiti all’elettorato attivo, ne verrebbe per conseguenza che i militari avrebbero la pienezza del diritto di voto. Ora, tale questione è assai delicata e non è il caso, quindi, di pregiudicarla con la decisione presa. Propone perciò che all’articolo anzidetto sia aggiunto il seguente comma: «Il diritto di voto ai militari e le eventuali limitazioni al suo esercizio saranno disciplinati dalla legge».

PRESIDENTE, per quanto ogni membro della Sottocommissione abbia diritto di fare quelle considerazioni che crede più opportune, pensa che vi siano alcune questioni che ormai dovrebbero considerarsi superate. Così quella del pieno diritto di voto ai militari è stata ampiamente dibattuta nel Paese durante gli ultimi mesi quando si trattava di redigere la legge per le elezioni all’Assemblea Costituente, e nessuna voce si levò contro la concessione di un tale diritto, ove si eccettui quella di qualche rappresentante del Partito d’Azione in seno alla Commissione ministeriale. Ove si risollevasse oggi tale questione, potrebbero sorgere motivi di timore non solo tra i militari, ma anche presso coloro che più si preoccupano della salvaguardia dei diritti fondamentali dei cittadini.

Invita pertanto l’onorevole Mortati a non insistere nella sua proposta.

LEONE GIOVANNI rileva che occorre risolvere una questione pregiudiziale: ritiene cioè la Sottocommissione che sul problema accennato dall’onorevole Mortati si sia implicitamente deciso quando, in una delle riunioni precedenti, fu formulato l’articolo, secondo il quale l’incapacità all’elettorato attivo non può essere determinata che come decadenza derivante da una sentenza del giudice civile o penale? Il Presidente ha fatto presente l’opportunità di non addivenire ad una decisione sul problema in esame per esigenze di carattere politico; ma vi sono anche esigenze di carattere giuridico. Si tratta di decidere se la questione debba essere riesaminata e risolta in sede costituzionale, ammettendo i militari al voto in maniera incondizionata, nel quale caso la proposta del comma aggiuntivo fatta dall’onorevole Mortati dovrebbe essere respinta; ovvero se sia preferibile rinviare ogni decisione-in questo campo alla legge elettorale.

FABBRI ritiene che il principio di carattere generale introdotto nell’articolo in questione (cioè che la decadenza dal diritto di voto possa soltanto essere dichiarata da una sentenza del giudice civile o penale) implichi necessariamente il diritto al voto dei componenti le Forze armate. Il modo con cui l’esercizio di tale diritto dovrà esplicarsi potrà essere stabilito nella legge elettorale. Qualora, quindi, fosse stabilita nella Costituzione una limitazione del diritto di voto ai militari, si infirmerebbe una decisione già presa al riguardo. Per queste considerazioni è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati.

LAMI STARNUTI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, che, a suo avviso, tende a modificare una decisione già presa dalla Sottocommissione in materia di elettorato attivo.

DI GIOVANNI ricorda che quando si trattò di stabilire le esclusioni dal diritto elettorale egli chiese che ogni decisione in materia fosse rinviata alla legge elettorale. Tuttavia la maggioranza della Commissione decise di introdurre una sola norma, e cioè che ogni limitazione del diritto dovesse essere dichiarata da sentenza civile o penale. Ove la questione dovesse essere sottoposta ad un nuovo esame, si potrebbe anche concludere che gli appartenenti alle Forze armate, per i vincoli disciplinari, per ragioni di dipendenza e di subordinazione gerarchica, non godono di una piena libertà nell’espressione del voto. Una tale decisione, però, dovrebbe accompagnarsi ad altre simili decisioni per casi analoghi, come, ad esempio, per i Corpi di polizia e per tutti coloro che, come i religiosi dei monasteri, si sono estraniati dalla vita attiva. Tuttavia c’è da domandarsi se sia opportuno affrontare così ardui e complessi problemi.

Ciò considerato, dal momento che è già intervenuta una decisione sulla questione della decadenza del diritto elettorale, ritiene opportuno non risollevare la questione per non riaprire una spinosa discussione.

NOBILE è contrario a che si torni su di una decisione già presa.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta che la decisione già presa debba ritenersi preclusiva, avvertendo che, solo se questa proposta non fosse approvata, potrebbe essere messo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

Tiene nuovamente a dichiarare che con la votazione avvenuta, la Sottocommissione ha inteso di non limitare in alcun modo il diritto di voto ai militari, come a ogni altra categoria di cittadini.

Apre quindi la discussione sulla seguente formula proposta dall’onorevole Conti nel suo progetto: «I requisiti per la eleggibilità e i casi di incompatibilità sono fissati dalla legge elettorale».

UBERTI osserva che questa materia è di competenza della Commissione incaricata della redazione della legge elettorale.

LEONE GIOVANNI reputa che, per ragioni di armonia con quanto già è stato stabilito in materia di elettorato attivo, alcuni elementi relativi all’elettorato passivo dovrebbero essere introdotti nella Costituzione. Come sono stati stabiliti limiti precisi riguardanti l’età e la capacità, altrettanto si dovrebbe fare per le ineleggibilità e le incompatibilità.

MORTATI, Relatore, propone il seguente articolo:

«Sono eleggibili alla carica di deputato tutti gli elettori che abbiano compiuto, al momento della elezione, l’età di anni 25, che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni e non siano membri dell’antica casa regnante italiana.

«La qualità di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera.

«Eventuali altre cause di incompatibilità saranno fissate dalla legge».

LUSSU è d’accordo sulla opportunità di fissare nella Costituzione, che deve avere un carattere solenne, la esclusione dell’elettorato passivo dei membri della ex famiglia Reale. Viceversa ritiene che le altre disposizioni contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

LEONE GIOVANNI segnala l’opportunità di un’aggiunta, consistente in un richiamo alle disposizioni contenute nel preambolo alla Costituzione circa il rispetto dei diritti fondamentali di ogni cittadino. I casi di ineleggibilità non dovrebbero identificarsi con limitazioni dipendenti da considerazioni d’indole razziale o religiosa.

PRESIDENTE crede che la proposta dell’onorevole Leone potrebbe essere accolta come un suggerimento di cui si potrebbe tener conto in sede di coordinamento dei vari articoli.

MORTATI, Relatore, tiene a dichiarare che la disposizione da lui proposta, per la quale sono eleggibili tutti gli elettori che abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni, è stata suggerita dalla particolare situazione in cui si sono venuti a trovare gli altoatesini che optarono per la cittadinanza tedesca.

MANNIRONI propone di aggiungere alla parola « elettori»: «e le elettrici».

PRESIDENTE crede superflua l’aggiunta, perché nessuno certamente penserà di ritornare su una decisione che già è stata presa e di riporre in discussione il pieno diritta delle donne italiane così all’elettorato attivo, come a quello passivo.

PERASSI preferirebbe che si parlasse di «cittadini» anziché di «elettori» per comprendere anche il caso di cittadini italiani all’estero.

FABBRI condivide la proposta dell’onorevole Perassi, anche in considerazione del fatto che può darsi il caso di un cittadino non iscritto per errore nelle liste elettorali.

MORTATI, Relatore, suggerisce la formula: «tutti coloro che abbiano diritto ad essere elettori». Insiste sull’uso del termine «elettori» poiché, dicendo soltanto «cittadini», si prescinderebbe da tutti i requisiti e dai limiti che già sono stati decisi.

PERASSI nel far la sua proposta di usare la parola «cittadini» intendeva riferirsi a tutti coloro che hanno i requisiti già stabiliti.

LEONE GIOVANNI propone, per venire incontro alle varie esigenze manifestatesi nel corso della discussione, la seguente formula: «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

NOBILE non è favorevole all’uso del termine «elettori», in considerazione del caso verificatosi a volte di un cittadino condannato per motivi politici e che, per quanto privato del diritto di voto, può essere eletto deputato appunto per rimetterlo in libertà.

DI GIOVANNI ritiene che la disposizione proposta dall’onorevole Conti potrebbe essere accolta con maggiore favore ed eviterebbe così ogni discussione, perché è più lata di quella proposta dall’onorevole Mortati, non contenendo specificazioni che potrebbero anche essere incomplete.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Di Giovanni che la questione ormai può considerarsi superata, nel senso che la Sottocommissione ha mostrato di ritenere, seppure non attraverso ad una votazione, di dover porre nel testo della Costituzione alcune indicazioni precise sui requisiti per la eleggibilità.

LEONE GIOVANNI teme che il suo pensiero non sia stato chiaramente compreso. Dal momento che la Sottocommissione è stata in un certo senso abbastanza rigorosa nel fissare le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo, è dell’avviso che occorra essere altrettanto rigorosi nel determinare i limiti dall’elettorato passivo. Se si accogliesse la formula «tutti i cittadini» proposta dall’onorevole Perassi, si correrebbe il rischio di dichiarare eleggibili persone che non hanno il diritto di votare.

Quanto all’ipotesi accennata dall’onorevole Nobile, osserva che i casi sono due: o si tratta di persone che sono state già private del diritto all’Elettorato attivo e passivo per effetto di una precedente condanna, e questa situazione sarà presa in considerazione dalle disposizioni transitorie; o si tratta di situazioni che potranno verificarsi in avvenire, e ad esse potrà essere applicata la norma che già è stata approvata, secondo la quale non si può essere privati del diritto al voto se non da una sentenza del giudice civile o penale.

Concludendo, ritiene indispensabile, in primo luogo, stabilire per l’elettorato passivo requisiti per lo meno analoghi a quelli stabiliti per l’elettorato attivo; in secondo luogo, trovare una formula che risponda alle esigenze prospettate dagli onorevoli Perassi e Mortati.

FABBRI ritiene che non ci sia troppo da preoccuparsi del fatto che un non elettore possa essere eletto deputato: è un inconveniente che sempre è accaduto. Cita il caso dell’onorevole Bovio che fu eletto deputato, pur non essendo iscritto nelle liste elettorali.

MANNIRONI approva le considerazioni dell’onorevole Leone, mentre non può essere d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Di Giovanni, che cioè i requisiti per l’eleggibilità debbano essere fissati nella legge elettorale. Crede invece che tali requisiti debbano essere stabiliti nella Costituzione con la stessa latitudine con cui sono stati stabiliti quelli per l’elettorato attivo. Solo i casi di incompatibilità possono essere fissati nella legge.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione si trova di fronte alla proposta di due formule diverse: «tutti gli elettori» oppure «tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori».

Personalmente esprime l’opinione che non sia necessaria la piena coincidenza tra le condizioni per l’esercizio del diritto elettorale attivo e quelle per l’esercizio del diritto elettorale passivo. Anche nell’ultima legge elettorale, come in altre precedenti, non esisteva questa completa coincidenza. Occorre anche tener presente che, in definitiva, è la stessa Camera dei Deputati che esamina la posizione degli eletti e decide volta per volta se ratificare o meno le elezioni. In questa maniera è stato possibile eleggere anche i condannati politici, che altrimenti non avrebbero potuto essere eletti. Ritiene pertanto che non sia necessario stabilire per l’elettorato passivo gli stessi requisiti già fissati per l’elettorato attivo.

UBERTI osserva che occorre formulare una Costituzione quanto più sia possibile breve, chiara, sì che essa possa essere compresa anche dalle classi popolari. Sarebbe opportuno pertanto rinviare alla legge elettorale la determinazione dei requisiti relativi all’eleggibilità, come del resto aveva proposto l’onorevole Conti.

LUSSU osserva che, da un punto di vista razionale, la parola «cittadini» non dovrebbe mai essere usata e che dovrebbe invece essere usata l’altra «elettori». D’altra parte gli sembra strano che il non elettore possa essere eleggibile. In ogni modo la preoccupazione manifestata a tale proposito da alcuni oratori gli sembra inutile, perché se un partito è capace di inviare alla Camera un suo rappresentante, anche se non iscritto nelle liste elettorali, è evidente che esso avrà il potere di ottenere il cambiamento della legge elettorale. Torna ad affermare che nella Costituzione dovrebbe essere fissata soltanto la esclusione dall’elettorato attivo dei membri dell’ex famiglia Reale e che tutte le altre limitazioni a tale diritto, contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dovrebbero essere rinviate alla legge elettorale.

PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati con la modifica da anni 28 a 25 e con l’altra modifica suggerita dall’onorevole Leone Giovanni. La formulazione della prima parte dell’articolo in questione sarebbe pertanto la seguente: «Sono eleggibili alla carica di deputato tutti i cittadini aventi i requisiti per essere elettori, i quali, al momento delle elezioni, abbiano compiuto l’età di anni 25».

(È approvata).

Avverte che è ora in discussione un altro requisito richiesto nell’articolo sostitutivo proposto dall’onorevole Mortati, e cioè che gli eleggibili di cui alla votazione testé fatta abbiano acquistato la cittadinanza italiana da almeno due anni.

LUSSU osserva che del requisito in esame non si dovrebbe fare parola nella Costituzione: un caso simile non potrebbe essere contemplato che nella legge elettorale. Così pure nella nuova Carta costituzionale non dovrebbero essere previste esclusioni dal diritto elettorale per motivi di razza e di religione. Ciò non risponderebbe alla nostra coscienza popolare.

TOSATO propone che siano considerati eleggibili tutti coloro che abbiano acquistato la cittadinanza italiana, non da almeno due anni come vorrebbe l’onorevole Mortati, ma da almeno tre.

PERASSI domanda all’onorevole Mortati se la proposta da lui fatta riguarda il problema generale della cittadinanza o riguarda soltanto la situazione degli altoatesini.

MORTATI, Relatore, dichiara che il disposto della norma in questione, secondo il suo parere, dovrebbe riguardare la situazione degli altoatesini solo occasionalmente; la disposizione infatti potrebbe essere utile anche per altre evenienze del genere, quando si trattasse di situazioni che potrebbero rendere opportuno limitare l’accesso immediato a determinate cariche pubbliche.

PERASSI fa presente che relativamente agli altoatesini è in corso una legge che regola la loro situazione. In ogni caso ha l’impressione che quegli altoatesini che hanno optato per la cittadinanza germanica, saranno riammessi a rivedere la loro opzione: la conclusione di ciò sarebbe che essi, pur avendo optato per la Germania, non avrebbero mai perduto la cittadinanza italiana e quindi non verrebbero ad essere colpiti da questa disposizione. Rimarrebbe, perciò, da considerare solo il problema di carattere generale. Si domanda se sia conveniente che coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana non siano eleggibili se non dopo trascorso un certo termine. Una tale disposizione si spiega in quei paesi in cui le nazionalizzazioni costituiscono un fenomeno usuale: in Italia, invece, il fenomeno ha una minima importanza. Ritiene perciò che non valga la pena introdurre la norma suddetta nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, si domanda, in relazione a quanto ha detto l’onorevole Perassi, se non sia il caso di adottare una disposizione per gli altoatesini, nella quale si tenga conto del fatto che essi non hanno mai perduto la cittadinanza italiana.

PERASSI osserva che, se si adottasse una disposizione del genere, si potrebbe andare incontro a complicazioni internazionali.

PRESIDENTE ritiene che non sia un argomento a favore dell’accettazione della proposta fatta dall’onorevole Mortati quello di mantenere per un periodo di tempo più o meno lungo gli abitanti dei territori annessi all’Italia in una condizione di inferiorità nei confronti degli altri cittadini italiani. Si dovrebbe, invece, provvedere convocare in quelle località i comizi elettorali e concedere così a quelle popolazioni la possibilità di scegliersi subito i loro rappresentanti.

MORTATI, Relatore, ritira la sua proposta, in considerazione delle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi.

CODACCI PISANELLI risolleva una questione presa in esame giorni or sono e poi accantonata, quella, cioè, degli italiani che si indicavano un tempo col termine di non regnicoli.

Si è detto che si sarebbe potuto regolare questa categoria con una legge speciale, ma, poiché una legge speciale non può modificare la Costituzione, si dovrebbe far ricorso, per disciplinare questo caso, ad una nuova legge costituzionale. Sarebbe meglio quindi introdurre nella Costituzione per questa categoria di italiani che sono parificati ai cittadini, una norma di portata più ampia di quella costituita dall’articolo proposto. Ciò sempre che non si voglia escludere dal diritto di eleggibilità questa categoria di persone.

PERASSI osserva che, allo stato attuale della legislazione, non esiste una norma in virtù della quale gli italiani non regnicoli siano parificati automaticamente ai cittadini ai fini elettorali. Esiste una vecchia disposizione, che è stata implicitamente richiamata nella legge sulla cittadinanza, in virtù della quale gli italiani per nazionalità, non giuridicamente italiani, possono ottenere la cittadinanza con l’emanazione di un semplice decreto, senza che ad essi sia richiesta la condizione della residenza. Ne consegue che la formula dell’articolo recentemente approvata dalla Sottocommissione non pregiudica il problema, perché resta sempre la possibilità per l’italiano, cosiddetto non regnicolo, di diventare cittadino con la procedura particolare anzi detta. L’affermazione che siano parificati ai cittadini italiani, ai fini della legge elettorale politica, tutti gli italiani appartenenti ad altri Stati solleverebbe problemi assai delicati e complessi. Per queste considerazioni ritiene che la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli non possa essere accettata.

CODACCI PISANELLI fa presente che nella nostra legislazione vigono alcune norme concernenti l’ammissione al pubblico impiego, nelle quali gli italiani non regnicoli sono parificati ai cittadini italiani. Si potrebbe studiare la adozione di un criterio analogo nei riguardi dell’elettorato. Chiede che il problema sia esaminato dalla Sottocommissione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli per la quale il problema in questione dovrebbe essere ulteriormente sottoposto all’esame della Sottocommissione.

(Non è approvata).

Avverte che è ora in discussione il caso, previsto nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dell’esclusione dal diritto elettorale passivo dei membri dell’ex famiglia Reale. La formulazione dell’articolo circa questo punto sarebbe la seguente: «e non siano membri dell’antica casa regnante italiana».

DI GIOVANNI, poiché la parola «antica» può sembrare ambigua, propone di sostituirla con la parola «cessata».

PRESIDENTE fa presente che l’espressione usata dall’onorevole Mortati non può riferirsi che alla casa Savoia: non crede che sia opportuno adottare un’altra espressione che potrebbe implicare anche l’appartenenza alle altre vecchie case regnanti in Italia.

LUSSU crede che sia meglio lasciare l’aggettivo «antica».

LAMI STARNUTI ritiene che al primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovrebbero essere aggiunte le seguenti parole: «salvo gli altri casi di ineleggibilità stabiliti dalla legge elettorale». Gli parrebbe infatti strano che nella Costituzione fosse previsto un solo caso di ineleggibilità. Infatti, nell’ultimo comma dell’articolo proposto sì parla di cause di incompatibilità e non di ineleggibilità.

LEONE GIOVANNI osserva che, se si dovesse accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Lami Starnuti, diventerebbe inutile il comma già approvato. In esso sono stati rigidamente stabiliti i casi di ineleggibilità. Quindi, se l’articolo proposto dall’onorevole Mortati dovesse essere modificato nel senso di riferirsi anche ad altri casi di ineleggibilità da stabilirsi volta per volta, l’articolo in questione non avrebbe più ragione d’essere introdotto nella Costituzione.

LAMI STARNUTI insiste nella sua proposta, perché i casi di ineleggibilità sono molteplici. Gli alti funzionari dello Stato, ad esempio, sono sempre stati considerati ineleggibili specialmente nel territorio in cui esercitano le loro funzioni. Così anche sono stati sempre considerati ineleggibili tutti coloro che abbiano rapporti di interessi con lo Stato.

MORTATI, Relatore, obietta che i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e non la ineleggibilità.

LAMI STARNUTI replica che l’ultima legge elettorale, a proposito dei casi da lui accennati, parla di ineleggibilità. In ogni modo, se si è d’accordo nel considerare i casi accennati come casi di incompatibilità, non insiste nella sua proposta.

DI GIOVANNI conferma che effettivamente la legge elettorale, in virtù della quale sono stati eletti i deputati alla Costituente, considera i casi accennati come casi di ineleggibilità. In ogni caso, c’è da osservare che l’inclusione nella Carta costituzionale di alcuni determinati casi di ineleggibilità potrebbe far presumere l’esclusione di altri, ciò che darebbe luogo ad inconvenienti assai gravi. Si potrebbe ovviare ad ogni inconveniente aggiungendo all’ultimo comma dell’articolo in questione le parole seguenti: «Eventuali casi di ineleggibilità e di incompatibilità saranno fissati dalla legge».

MANNIRONI osserva che in tal modo si verrebbe a distruggere il contenuto dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati.

LEONE GIOVANNI, per quanto si riferisce alla necessità di mantenere la formula già approvata e al suo svuotamento che potrebbe derivare dall’approvazione dell’emendamento degli onorevoli Lami Starnuti e Di Giovanni, si riporta a quanto ha già detto. Occorre frattanto precisare la differenza fra ineleggibilità e incompatibilità. Crede che ineleggibilità sia quel complesso di cause che impediscono la possibilità di porre la candidatura: incompatibilità invece un altro complesso di cause che rendono impossibile l’esercizio del mandato parlamentare conseguito attraverso l’elezione; per cui c’è da ritenere che le cause di ineleggibilità non siano eliminabili da un atto di volontà dell’interessato, mentre quelle di incompatibilità lo siano. In altri termini lo stato di ineleggibilità non può essere rimosso, mentre quello incompatibilità può essere rimosso con atto volontario, facendo cadere le condizioni che costituiscono ostacolo alla partecipazione all’attività parlamentare. Posta questa distinzione, tutti gli esempi indicati dall’onorevole Lami Starnuti riguardano l’incompatibilità e potranno essere esemplificati nella legge elettorale. Ha creduto bene stabilire, dal punto di vista concettuale, la delimitazione fra ineleggibilità e incompatibilità perché, se si è d’accordo su essa, si potrebbe accogliere la formula proposta dall’onorevole Mortati.

MORTATI, Relatore, riconosce che effettivamente l’ultima legge elettorale parla di ineleggibilità per tutti i casi accennati dall’onorevole Lami Starnuti. In realtà la parola ineleggibilità è impiegata per esprimere due diverse situazioni: una discendente da indegnità, per condanne, ecc., un’altra collegata al possesso di date cariche. Alcune di queste cariche sono ritenute preclusive della possibilità di presentazione della candidatura nelle elezioni politiche, altre invece solo dell’esercizio della funzione di deputato. Le ultime danno vita alle incompatibilità in senso stretto. Bisognerebbe giungere ad includere nel concetto di incompatibilità anche le ineleggibilità del secondo tipo.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mortati se la sua precisazione debba essere consacrata a verbale oppure essere contenuta nel testo dell’articolo.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che la questione in esame debba essere risolta con una norma precisa da introdursi nell’articolo da lui proposto. La difficoltà però sta nel trovare una formula che risponda allo scopo.

LUSSU pensa che, dal momento che la questione è stata sollevata, sia bene chiarirla il più possibile. Effettivamente non è cosa molto semplice determinare la differenza tra ineleggibilità e incompatibilità; tuttavia ritiene – e spera che le sue considerazioni possano costituire un qualche apporto al tentativo di chiarimento fatto dall’onorevole Leone – che si possa affermare che l’ineleggibilità consista nella incapacità di un cittadino ad essere eletto deputato, sia per una sua situazione giuridica, sia per una sua posizione nella vita politica in senso generico. Ad esempio il gerarca fascista, il ministro fascista, il federale, ecc. non dovrebbero mai godere del diritto di elettorato sia attivo che passivo e il loro sarebbe un caso di ineleggibilità e non di incompatibilità.

È però dell’avviso che la determinazione dei casi di ineleggibilità non dovrebbe essere fatta in un articolo della Costituzione, bensì nella legge elettorale.

AMBROSINI rileva che l’ineleggibilità – come è stato già chiarito – importa una incapacità ad essere eletto per varie ragioni. Ad esempio, l’Alto Commissario per la Sicilia o per la Sardegna secondo l’ultima legge elettorale è stato considerato ineleggibile, perché giustamente si è ritenuto che tale carica potesse influire sull’andamento delle elezioni. Invece nel caso dell’incompatibilità si ha la capacità ad essere eletti, ma la non possibilità di esercitare contemporaneamente due uffici.

Rileva che le legislazioni elettorali prevedono alcune cause di ineleggibilità cosiddetta relativa, che cioè possono essere rimosse dall’interessato, abbandonando l’ufficio o la situazione giuridica che fa luogo all’incapacità, ed altre invece che sono assolute, come sarebbe ad esempio il caso dei membri della ex casa Reale.

In questo stato di cose si pone il quesito se sia opportuno che nella Costituzione siano indicati alcuni casi più importanti di ineleggibilità, come ad esempio quelli accennati dall’onorevole Mortati, o se non sia preferibile (come egli ritiene che sarebbe opportuno) non includerne alcuno, rimandandoli tutti alla legge elettorale.

NOBILE dichiara che, se la Costituzione deve valere a garantire un minimo di diritti ai cittadini, essa deve contenere norme precise sui casi accennati dai precedenti oratori.

Se la Sottocommissione non riterrà esauriente la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, se ne potrà adottare un’altra per indicare tutti i casi in questione. Un rinvio puro e semplice alla legge elettorale potrebbe dar luogo ad eventuali arbitrî.

LUSSU ha già fatto notare le difficoltà che si incontrano quando si vuole distinguere tra ineleggibilità e incompatibilità. Si possono infatti avere in preposito idee contrastanti. Così egli non concorda affatto con l’onorevole Ambrosini circa l’affermazione che l’Alto Commissario per la Sicilia o la Sardegna sia ineleggibile: si tratta, a suo avviso, di un vero e proprio caso di incompatibilità.

MORTATI, Relatore, accoglie la proposta fatta dall’onorevole Di Giovanni di includere anche il termine «ineleggibilità» nell’articolo in esame, e ciò perché, come è provato dalla odierna discussione, possono sorgere gravi difficoltà di interpretazione nella distinzione fra ineleggibilità e incompatibilità. Desidera soltanto che si usino due distinte formule per fissare i casi dell’una e dell’altra specie, e propone che la restante parte dell’articolo in esame abbia la seguente formulazione: «altri eventuali casi di ineleggibilità saranno disposti dalla legge. La qualifica di deputato è incompatibile con quella di membro della seconda Camera. La legge fisserà le altre cause di incompatibilità».

DI GIOVANNI propone la soppressione dell’aggettivo «eventuali» premesso alle parole «casi di ineleggibilità».

PRESIDENTE non ritiene necessaria tale soppressione. Mette quindi in votazione la restante parte dell’articolo nel nuovo testo proposto dall’onorevole Mortati.

UBERTI dichiara di astenersi dal voto, perché non ritiene che sia il caso di introdurre nella Costituzione queste disposizioni.

(È approvata).

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Umberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bozzi, Grieco.

Assenti: Amendola, Castiglia, Finocchiaro Aprile, Maffi, Patricolo, Piccioni, Porzio, Rossi Giovanni.