ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
77.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 21 DICEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Coordinamento degli articoli sul potere legislativo (Seguito della discussione)
Presidente – Mortati, Relatore – Rossi Paolo – Nobile – Bulloni – Tosato – Fabbri – Grieco – Mannironi – Einaudi – Fuschini – Uberti – Laconi.
La seduta comincia alle 16.
Seguito della discussione sul coordinamento degli articoli sul potere legislativo.
PRESIDENTE riapre la discussione sull’articolo 31 il cui esame è rimasto sospeso, e pone in discussione una formulazione che ne ha proposto l’onorevole Mortati in sostituzione di quella del progetto del Comitato:
«I progetti divengono leggi quando siano stati approvati dalle due Camere. Le leggi devono essere promulgate dal Capo dello Stato non oltre un mese dall’approvazione.
«Ove le Camere abbiano dichiarato l’urgenza della legge, questa dovrà venire promulgata nel termine fissato dalle medesime.
«Nei termini predetti il Capo dello Stato potrà, con messaggio motivato, richiedere che le Camere procedano ad una nuova deliberazione della legge già approvata.
«Ove le Camere confermino la precedente deliberazione, la legge dovrà essere promulgata ai sensi del 1° comma.
«La promulgazione viene sospesa ove entro i termini predetti si sia indetto un referendum popolare sulla legge ad iniziativa o del Capo dello Stato o della aliquota degli elettori di cui all’articolo …».
Avverte che al terzo comma è prevista una variante del seguente tenore:
«Le Camere dovranno procedere a nuova deliberazione della legge già approvata, ove il Capo dello Stato ne faccia richiesta con messaggio motivato entro i termini di cui al primo comma».
MORTATI, Relatore, non ha nulla in contrario, in linea di massima, al riconoscimento di un potere autonomo al Presidente della Repubblica, ma in questo caso è necessario preoccuparsi di assicurare ad esso una posizione di maggiore indipendenza dal Parlamento, perché, da un punto di vista politico, non basta attribuire un certo potere ad un organo, ma occorre anche metterlo in condizione di esercitarlo in modo efficiente.
Non vede però l’opportunità di riconoscere al Presidente della Repubblica il potere di intervenire quando sia respinto un progetto di iniziativa governativa, mentre ciò non gli è consentito nel caso in cui sia respinto un progetto di iniziativa parlamentare: il Presidente deve essere arbitro fra le parti e quindi la possibilità del suo intervento dovrebbe aversi sia in ordine al comportamento del Parlamento che in ordine a quello del Governo.
Per quanto poi riguarda il referendum, a parte la questione teorica se sia conciliabile o meno col regime parlamentare, desidera contrastare l’opinione di coloro che affermano la inopportunità di fare indire il referendum dal Capo dello Stato e la necessità che esso debba aver luogo solo per iniziativa popolare. Ritiene che ciò potrebbe giustificarsi quando ci fossero correnti di opinione pubblica sufficientemente delineate ed organizzate; non in un Paese come l’Italia, in cui i partiti raccolgono una assai scarsa parte della popolazione e dove è difficile comprendere con esattezza quale sia l’orientamento politico prevalente. Sarebbe utile, a suo parere, concedere tale iniziativa anche al Capo dello Stato per facilitare l’affermazione di una sicura coscienza popolare, la quale, se abbandonata a se stessa, potrebbe trovare uno sbocco meno deciso e rapido e mancare così allo scopo cui il referendum tende.
Manterrebbe quindi l’articolo così come lo ha proposto, salvo, se la Sottocommissione lo ritenesse opportuno, accentuare l’autonomia concessa al Capo dello Stato.
ROSSI PAOLO non ritiene opportuno stabilire che il referendum possa aver luogo per iniziativa del Capo dello Stato, perché, se realmente egli sarà l’interprete di un movimento importante dell’opinione pubblica, tale movimento avrà senza dubbio dietro di sé un partito di massa al quale sarà facile ottenere il numero di firme necessario per richiedere il referendum. Fa anche presente che in tal modo l’autorità del Presidente non resterebbe impegnata, qualora l’esito del referendum dovesse essere negativo.
NOBILE teme che l’iniziativa del referendum affidata esclusivamente al popolo possa in certi casi essere pericolosa, in quanto che sarebbe facile anche ad un piccolo partito di disporre del numero di firme necessario per chiedere il referendum e compiere così un’opera sistematica di sabotaggio.
BULLONI è contrario ad affidare al Capo dello Stato l’iniziativa del referendum, perché ritiene che ciò sia in contrasto col sistema adottato per la formazione della legge e costituisca una fonte di conflitti ai danni del buon funzionamento dell’istituto democratico.
TOSATO osserva che, se si ammette che il Capo dello Stato possa con un messaggio alle Camere chiedere di riesaminare un determinato progetto, sarà opportuno, per evitare che questo messaggio resti in completa balìa delle Camere stesse, riconoscere al Capo dello Stato la facoltà di indire sulla questione un referendum popolare.
PRESIDENTE pone ai voti il primo comma dell’articolo 31 nella seguente formulazione:
«I progetti divengono legge quando siano stati approvati dalle due Camere. Le leggi debbono essere promulgate dal Capo dello Stato non oltre un mese dall’approvazione».
(È approvato).
NOBILE, sul secondo comma dell’articolo, domanda se l’urgenza debba essere dichiarata da ambedue le Camere o da una sola.
MORTATI, Relatore, risponde che evidentemente l’urgenza di una legge deve essere dichiarata da ambedue le Camere.
PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma, che per eliminare ogni dubbio d’interpretazione formulerebbe nel modo seguente:
«Ove per una legge sia stata fatta la dichiarazione d’urgenza, essa dovrà venire promulgata nel termine fissato».
(È approvato).
Ricorda che al terzo comma dell’articolo formulato dall’onorevole Mortati è stato proposto di aggiungere, dopo le parole: «nei termini predetti il Capo dello Stato», l’inciso: «su proposta del Capo del Governo»; e che da parte dell’onorevole Grieco si chiede la soppressione del 3°, 4° e 5° comma.
Pone ai voti la proposta di sopprimere il terzo comma.
(È approvata).
Rileva che, di conseguenza, resta soppresso anche il 4° comma dello stesso articolo.
Passando al 5° comma, pone anzitutto ai voti il principio che il referendum possa essere indetto ad iniziativa del Capo dello Stato.
(Non è approvato).
Mette quindi in votazione il principio che il referendum possa essere indetto ad iniziativa di un’aliquota degli elettori.
ROSSI PAOLO, a nome del suo gruppo, dichiara di astenersi dalla votazione, perché vorrebbe che il problema del referendum fosse esaminato nel suo complesso.
(È approvato).
PRESIDENTE comunica che, in conseguenza, il 5° comma dell’articolo 31 resta così formulato:
«La promulgazione viene sospesa ove, entro i termini predetti, si sia indetto un referendum popolare sulla legge, ad iniziativa di un’aliquota degli elettori di cui all’articolo».
Pone in discussione un articolo 37-bis proposto dall’onorevole Mortati:
«Il Capo dello Stato ha facoltà di richiedere che una proposta di legge rigettata da una delle Camere sia esaminata e messa ai voti dall’altra».
A suo parere tale facoltà, concessa al Presidente della Repubblica, può facilmente far sorgere dei conflitti fra le due Camere. Si domanda, infatti, quale situazione si verrebbe a creare nell’ipotesi che l’altra Camera approvasse il provvedimento rigettato dalla prima.
MORTATI spiega che con la sua proposta egli tende a dare al Capo dello Stato la possibilità di sentire l’avviso di ambedue le Camere su di una determinata questione; e che nella ipotesi prospettata dal Presidente si verificherebbe la situazione che è prevista dall’articolo 38 con i rimedi ivi stabiliti. Propone anzi, data la connessione esistente tra i due articoli, di esaminarli contemporaneamente.
PRESIDENTE consente e dà lettura dell’articolo 38 nella nuova formulazione proposta dall’onorevole Mortati:
«Nel caso che una Camera rigetti o approvi con emendamenti un progetto di legge approvato dall’altra, oppure non deliberi su di esso nel termine fissato dall’articolo 27, il Capo dello Stato può richiedere, trascorsi tre mesi dalla precedente deliberazione o dalla scadenza del termine di cui al predetto articolo 27, che la Camera stessa si pronunci di nuovo sul progetto o prenda la deliberazione prima omessa. Ove la nuova pronuncia confermi la precedente, oppure non si proceda all’esame, il Capo dello Stato potrà indire il referendum sul progetto, oppure sciogliere le Camere (o anche una sola)».
FABBRI ritiene preferibile non parlare di tale questione, che si risolve o con la presentazione del medesimo progetto nella legislatura successiva o con la presentazione, nella medesima legislatura, dello stesso progetto lievemente modificato in modo da apparire un progetto nuovo. Ricorda come l’istituto della chiusura della sessione avesse precisamente lo scopo di togliere di mezzo quei progetti che rappresentavano un ingombro nello svolgimento normale della vita parlamentare.
TOSATO osserva che l’articolo 38, nella sua ultima edizione proposta dall’onorevole Mortati, è in fondo conseguente alle proposte che sono state ora respinte. Propone quindi di prendere senz’altro in esame l’articolo 38 nel testo originario, che gli sembra perfettamente conseguente con il sistema parlamentare e che rileva essere stato tolto di sana pianta dall’articolo 47 della Costituzione sovietica.
GRIECO premette che i riferimenti ad una Costituzione straniera dovrebbero farsi o spesso o mai, e rileva che nel caso in esame ci si trova di fronte ad un istituto nuovo; cioè ad una Commissione mista delle due Camere che è al di fuori del regime parlamentare, secondo il quale ogni Camera decide separatamente. Per queste considerazioni dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Fabbri.
PRESIDENTE è del parere che, anche se si entrasse nelle idee dell’onorevole Tosato, converrebbe in ogni modo sgombrare prima il terreno dall’articolo 37-bis. Lo pone ai voti.
(Non è approvato).
MORTATI, Relatore, accede alla proposta dell’onorevole Tosato, in quanto la nuova formulazione dell’articolo 38 da lui proposta presuppone un istituto che non è stato approvato in una precedente votazione, e quindi sarebbe inutile discutere di ciò che non ha incontrato l’approvazione della maggioranza della Commissione.
PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 38 nel testo del Comitato di coordinamento;
«Nel caso di rigetto da parte di una Camera di un progetto di legge approvato dall’altra, o di mancata deliberazione della prima nel termine fissato dall’articolo 27, il Governo può richiedere che il progetto sia riesaminato da una Commissione mista formata ai sensi dell’articolo 28. Se il dissenso fra le Camere persiste, il Presidente della Repubblica può indire il referendum sui punti controversi oppure sciogliere le Camere».
GRIECO, in merito al richiamo all’articolo 28, osserva che non è esatto, perché in quello si parla di una Commissione interna di ciascuna Camera, mentre nell’articolo in esame è prevista l’ipotesi di una Commissione mista.
MORTATI, Relatore, rileva che la Commissione di cui all’articolo 38 si forma nel momento nel quale sorge il conflitto: si tratta quindi di un’ipotesi diversa da quella considerata all’articolo 28. Perciò, in caso di contrasti, prima di ricorrere al sistema drastico dello scioglimento delle Camere, crede sarebbe opportuno, e senza offesa al principio della bicameralità, ammettere questa possibilità di una discussione comune in una Commissione che fosse quasi delegata dalle due Camere a cercare una linea di conciliazione. Osserva, del resto, che entrambe le Camere sono rappresentanti della sovranità popolare e quindi non devono essere sempre raffigurate in una posizione di antitesi. D’altra parte fa presente che il contrasto potrà anche sorgere su punti non sostanziali ed essere facilmente risolto attraverso questo contatto immediato.
BULLONI è del parere che, in luogo di fissare fin d’ora dei temperamenti che suonino sfiducia verso i componenti delle due Camere, si debba fare affidamento sul loro senso di responsabilità, affinché sia evitato un conflitto per questioni di scarso rilievo. Se poi si avranno contrasti su questioni rilevanti, questi potranno essere risolti mediante il potere di scioglimento delle due Camere riservato al Presidente della Repubblica.
MANNIRONI propone il seguente emendamento:
«Quando la seconda Camera non si pronuncia nel termine dell’articolo precedente sopra un disegno di legge approvato dalla prima Camera e questa l’approva nuovamente, il disegno può essere promulgato quale legge.
«Se la seconda Camera respinge il progetto o vi introduce emendamenti che la prima Camera non accetta, occorre che la nuova approvazione avvenga a maggioranza assoluta dei componenti e di due terzi dei presenti della prima Camera.
«Ove non sia raggiunta tale maggioranza qualificata, la prima Camera o il Presidente della Repubblica possono chiedere che il disegno di legge, nei termini da esso approvati, sia sottoposto a referendum».
Dichiara che lo presenta in linea subordinata, per il caso, cioè, che non venga approvato il testo proposto dal Comitato.
FABBRI osserva, innanzi tutto, che la mancata pronunzia da parte di una delle due Camere entro il termine fissato è, a suo avviso, una chiara manifestazione di dissenso espressa nella forma più anodina e politicamente mono violenta. Non ritiene attuabile l’ipotesi dell’articolo 38 che, in caso di rigetto, la Commissione debba essere rafforzata con i Commissari dell’altra Camera; ma che prospettare tale eventualità può essere utile perché, oltre a suscitare una discussione nel Paese, potrà determinare, sia la ripresentazione da parte del Governo del progetto che fu rigettato, sia lo scioglimento della Camera e quindi nuove elezioni generali, con la conseguenza del riesame del progetto nella legislatura successiva.
Non comprende perché per il solo fatto che un progetto di legge sia stato presentato, debba sboccare sempre in una conclusione positiva; rileva, anzi, che il fatto che il corso normale di un progetto di legge possa arrestarsi ad un punto morto, e quindi non perfezionarsi, è un fenomeno costante nella vita parlamentare di tutti i Paesi democratici: non è necessario che tutto il ciclo della procedura parlamentare si esaurisca nella breve vita di una legislatura.
EINAUDI si associa a quanto ha dichiarato l’onorevole Fabbri. Ritiene che sia una delle principali funzioni del Parlamento quella di vagliare i disegni di legge e far sì che soltanto una quota-parte di essi auguralmente piccola diventi legge. È suo vivo desiderio che il sistema parlamentare torni a funzionare come in passato, per evitare la pletora delle leggi redatte frettolosamente e malamente congegnate. Non vede quindi la necessità di creare un meccanismo complicato per impedire al Parlamento di assolvere ad uno dei suoi compiti essenziali.
FUSCHINI fa presente che nell’articolo 38 originario non è contemplata l’ipotesi, pur frequentissima, che il disegno di legge sia approvato in una Camera con degli emendamenti, mentre tale caso era considerato nell’articolo 38 proposto dall’onorevole Mortati: vorrebbe che questa ipotesi fosse anche considerata.
MANNIRONI, premesso che il demandare la controversia ad una Commissione mista parlamentare riproduce il sistema adottato dei casi di divergenza tra le decisioni dell’Assemblea regionale ed il Governo, osserva che, se non si vuole accettare la soluzione proposta all’onorevole Mortati, non si può sfuggire alla soluzione di rimandare il progetto, respinto o emendato dalla seconda Camera, alla prima Camera, che potrà di nuovo discuterlo e approvarlo. Lasciar cadere del tutto un progetto solo perché è mancato l’accordo delle due Camere a un primo esame può servire, a suo giudizio, a incoraggiare un’abitudine dannosa, a eliminare inutilmente ogni possibilità d’accordo tra le due Camere su questioni, proposte e progetti su cui tale accordo sarebbe reso possibile ad un riesame. Infine è necessario prevedere il modo con cui sia possibile arrivare alla soluzione di un contrasto tra le due Camere: gli sembra eccessivo decidere che, in caso di contrasto, manchi qualsiasi sanatoria e che perciò il progetto sia destinato a cadere.
PRESIDENTE dichiara di non essere favorevole all’istituzione di una Commissione mista, della quale in ogni caso dovrebbero essere specificati i poteri, le funzioni e il valore delle decisioni. Aggiunge che, se si tratta di un semplice tentativo di avvicinamento, questo sarà sempre riservato all’iniziativa dei Presidenti delle due Camere; ma non ritiene che sia sempre il caso di tentarlo, sia per la modestia della legge in questione, sia per la constatata difficoltà a priori di riuscire ad ottenere un accordo.
MORTATI, Relatore, replica che il Governo è giudice della sanazione politica e dell’importanza del provvedimento. Aggiunge che le decisioni di tale Commissione non hanno affatto carattere vincolante; essa ha il compito di cercare una via di uscita, sulla quale si possano accordare i componenti delle due Camere e le sue decisioni non vincolano nessuno, perché ad essa sono deferiti i poteri normali delle Commissioni, cioè quelli semplicemente di fare proposte.
PRESIDENTE pone ai voti il principio che sia opportuno stabilire nella Costituzione questa particolare procedura di conciliazione tra le due Camere affidata ad una Commissione mista.
(Non è approvato).
Apre ora la discussione sulla proposta sostitutiva presentata, in via subordinata, dall’onorevole Mannironi, della quale ha già dato lettura, ed avverte che le espressioni «prima Camera» e «seconda Camera» non significano rispettivamente Camera dei Deputati e Senato, ma devono intendersi nel senso della Successione, cioè di Camera che per prima o per seconda ha esaminato il disegno di legge.
MORTATI, Relatore, vi è contrario, perché ritiene trattarsi di un emendamento che compromette il corretto funzionamento del sistema bicamerale.
MANNIRONI fa rilevare che la minaccia di superare la seconda Camera la quale si disinteressa, con la prima che approvi un progetto con maggioranza qualificata, spingerà la seconda ad interessarsi dei progetti ed a tentare di raggiungere l’accordo sui punti controversi. La soluzione proposta, gli sembra, non solo non vulnera il sistema bicamerale, ma ne mette in risalto l’utilità. Osserva, infine, che le soluzioni da lui proposte sono accolte anche in altre Costituzioni e hanno avuto il consenso di altri parlamentari molto autorevoli.
PRESIDENTE fa presente che la proposta Mannironi, la quale deferisce ad una sola Camera tutto il potere legislativo, appare quasi come la sanzione contro la carenza dell’altra. Riconosce che sarebbe stato preferibile trovare una disposizione che obbligasse ogni Camera ad assumere sempre le responsabilità delle proprie azioni, dichiarando sempre apertamente il suo parere su una legge, piuttosto che consentire la possibilità di ricorrere a questi tentativi di impedirne il passaggio col silenzio o con l’inerzia.
Pone ai voti la prima parte dell’emendamento proposto dall’onorevole Mannironi, in cui si fa l’ipotesi che la seconda Camera non si pronunzi affatto nei termini consentiti.
(Non è approvata).
Fa rilevare che l’onorevole Mannironi ha previsto nel suo emendamento una seconda ipotesi con una seconda soluzione: «se la seconda Camera respinge il progetto o introduce emendamenti che la prima Camera non ammetta, occorre che la nuova approvazione avvenga a maggioranza assoluta dei componenti e dei due terzi dei presenti della prima».
NOBILE rileva che, se non si riesce a trovare un rimedio, la seconda Camera potrebbe, volendo, ostacolare tutte le leggi approvate dalla prima.
FABBRI replica che il rimedio è quello delle elezioni generali.
ROSSI PAOLO ricorda che questi problemi sono stati molto dibattuti in seno al Comitato. Riconosce che se si accordano alle due Camere i medesimi poteri, può avvenire che l’una assuma sistematicamente il metodo di respingere le proposte dell’altra. Osserva, a questo proposito, che tutte le Costituzioni nelle quali è stabilito che un progetto approvato da una Camera e respinto dall’altra ritorna alla prima, che può votarlo con una maggioranza qualificata o semplice, presuppongono l’esistenza di una certa differenza gerarchica; pensa quindi che sia impossibile trovare una soluzione diversa da quella adottata dal Comitato, cioè non dir nulla.
PRESIDENTE riconosce che una costruzione di questo genere può permettere sia all’una che all’altra Camera di arrestare reciprocamente i lavori parlamentari, e ritiene che l’unica soluzione sarebbe quella di dare alla prima una posizione di preminenza.
Osserva che, con la formulazione proposta, si stabilisce una priorità mutevole permanente, perché la Camera che ha votato per prima un progetto di legge acquista, nei confronti di quel progetto, una posizione di preminenza, e ritiene inaccettabile il lasciare al caso la determinazione di questa posizione.
FUSCHINI replica che non è lasciata al caso, bensì all’intuito del Governo.
PRESIDENTE pone in votazione la seconda proposta contenuta nell’emendamento dell’onorevole Mannironi, che prevede l’ipotesi dell’opposizione al progetto o dell’introduzione di emendamenti.
(Non è approvata).
Ricorda che si deve ancora votare sull’ultima parte dell’articolo 38 così formulata:
«Se il dissenso delle Camere persiste, il Presidente della Repubblica può indire il referendum sui punti controversi oppure sciogliere le Camere».
Fa notare che a questa formula corrisponde l’ultima parte dell’emendamento dell’onorevole Mannironi:
«Ove non sia raggiunta la maggioranza qualificata di cui al comma precedente, la prima Camera o il Presidente della Repubblica possono chiedere che il disegno di legge nei termini approvati sia sottoposto a referendum».
Osserva che, a suo avviso, l’unica ipotesi che si dovrebbe porre sarebbe quella del referendum, perché la facoltà di sciogliere le Camere è una delle prerogative del Capo dello Stato.
TOSATO crede sia bene indicare anche questo caso, perché potrebbe essere uno di quelli tipici in cui il Capo dello Stato può sciogliere le Camere.
PRESIDENTE osserva che è piuttosto da considerare caso tipico la facoltà di indire il referendum.
MORTATI, Relatore, obbietta che, per giudicare dell’opportunità di questo atto del Presidente, bisognerebbe sapere se saranno precisati i casi di scioglimento delle Camere, perché quello in esame potrebbe essere uno dei casi per addivenire a tale scioglimento.
FABBRI fa l’ipotesi che una delle Camere, ritenendo opportuno un provvedimento da essa approvato e che l’altra invece ostacola, richieda il referendum: in tal caso, questo dovrebbe avere l’efficacia di convertire in legge la norma approvata da una delle due Camere.
MANNIRONI ritiene eccessivo ammettere, per un semplice dissenso su un progetto anche non importante, la possibilità di un referendum e lo scioglimento della Camera, mentre ci si dovrebbe preoccupare di creare un meccanismo che consentisse la possibilità di un accordo fra le due Camere.
BULLONI è del parere che non debba essere snaturato l’istituto del referendum, che è essenzialmente d’iniziativa popolare; cioè, che il referendum si possa indire non su richiesta del Capo dello Stato, ma soltanto su richiesta popolare e in determinali casi. Aggiunge che, in caso di dissenso tra le due Camere, deciderà la saggezza del Capo dello Stato, il quale potrà sciogliere le due Camere, se riterrà che il dissenso sia tale da rendere necessarie le nuove elezioni.
MANNIRONI afferma che, a suo avviso, sarebbe meglio indire il referendum senza arrivare allo scioglimento delle due Camere.
ROSSI PAOLO fa presente che, se il referendum indetto su un disegno di legge a causa di dissenso fra i due rami del Parlamento manifesterà un’opinione pubblica contraria a quella di una delle due Camere, si dovrà necessariamente sciogliere la Camera che non aveva preso una deliberazione conforme all’opinione pubblica e si dovranno pertanto indire nuove elezioni. Aggiunge che in ogni caso non si arriverà al referendum per una legge di scarsa importanza, ma solo per leggi veramente essenziali.
PRESIDENTE mette in votazione la prima parte dell’ultimo periodo dell’articolo 38:
«In caso di dissenso delle Camere il Presidente della Repubblica può indire il referendum sui punti controversi».
(Con 7 voti favorevoli e 13 contrari non è approvata).
Dichiara che, a seguito di questa votazione, decade anche l’ultima parte dell’emendamento dell’onorevole Mannironi.
FABBRI, quanto all’ultima proposizione dell’articolo 38 («oppure scioglierà le Camere»), dichiara di essere contrario, non perché intenda di negare tale facoltà al Capo dello Stato, ma perché ritiene che essa rientri tra le prerogative del Presidente della Repubblica.
BULLONI aderisce alla dichiarazione dell’onorevole Fabbri.
PRESIDENTE ritiene che anche quest’ultimo inciso: «oppure scioglierà le Camere» possa considerarsi respinto.
Rileva quindi che l’intero articolo 38 non è stato approvato.
Ricorda che la Sottocommissione deve ancora decidere, per completare l’esame del potere legislativo, sulla questione del referendum: e a tale riguardo fa presente che l’onorevole Mortati è stato incaricato di redigere gli articoli relativi, in base ai principî approvati dalla Sottocommissione.
MORTATI, Relatore, desidera dare qualche chiarimento sul referendum ed avere in proposito anche qualche direttiva dalla Sottocommissione per poter redigere uno schema il quale presumibilmente possa incontrare il favore della maggioranza dei colleghi.
In tema di referendum nazionale, non crede innanzi tutto che ci si debba occupare del referendum consultivo.
NOBILE domanda la ragione di questa esclusione. Ricorda che in America funziona molto bene l’Istituto Gallupp, il quale, con i frequenti questionari sottoposti al pubblico, costituisce una fonte molto importante di notizie anche per il Governo.
EINAUDI crede che un simile istituto potrebbe avere la sua influenza anche in Italia.
MORTATI, Relatore, spiega che il referendum consultivo si deve scartare, perché il popolo, essendo il più qualificato organo politico dello Stato democratico, non potrebbe non vincolare, data l’autorità inerente alle sue pronunce, le quali solo apparentemente si potrebbero chiamare pareri.
PRESIDENTE osserva che il referendum consultivo avrebbe anche conseguenze gravi, in quanto obbligherebbe la Camera a sciogliersi se il risultato fosse contrario, perché dovrebbe ritenersi che essa non rispecchiasse più la maggioranza della Nazione. Ritiene che si possa decidere senza arrivare ad una votazione sull’opportunità di non considerare, nella Costituzione, il referendum consultivo.
MORTATI, Relatore, aggiunge che si dovrà anche decidere se il referendum popolare sarà un referendum deliberativo, con effetto obbligatorio, in determinati casi: ed allora si dovrebbero stabilire questi casi, come anche fissare i casi di esclusione.
Per il referendum legislativo o d’iniziativa parlamentare, si dovrebbe stabilire in quali casi potrà applicarsi, oltre che in materia di leggi già approvate o in caso di dissenso tra le due Camere. Fa presente che è stato già deciso dalla Sottocommissione di escludere nel Capo dello Stato la facoltà di indire il referendum: il potere esecutivo, cioè, può sciogliere le Camere, ma non può mai sentire il parere del popolo. Si dovrebbe anche stabilire se il referendum legislativo si possa chiedere in via principale o in via sussidiaria: personalmente crederebbe in via consultiva, ma escluso il referendum consultivo, per la ragione già dette, tale ipotesi non si potrà più verificare.
PRESIDENTE osserva che il Governo non può prendere l’iniziativa del referendum se non attraverso il Parlamento: quando il referendum non è d’iniziativa popolare, non può essere indetto che per legge; dovrebbe esservi sempre un articolo, nella legge che si vuol sottoporre al referendum, il quale dicesse: «la presente legge deve essere sottoposta a referendum popolare».
MORTATI, Relatore, nota che si avrebbe così una formula di legislazione lasciata alla volontà del popolo.
FUSCHINI osserva che, con la Costituzione, si è creato un sistema di democrazia indiretta, mentre il referendum è un sistema di vera e propria democrazia diretta. Si tratta di vedere come esso possa inserirsi nel sistema legislativo.
PRESIDENTE ritiene che le democrazie indirette dovrebbero tendere verso una trasformazione in democrazie dirette, se non vi sono motivi che l’impediscano. Si dovrebbe perciò accogliere nella Costituzione il maggior numero possibile di elementi di democrazia diretta: rimarrebbe il problema di coordinarli.
MORTATI, Relatore, dubita che si possa prendere in considerazione l’ipotesi del referendum d’iniziativa parlamentare; perché il Parlamento, qualificato a fare leggi, verrebbe in tal modo a dubitare del valore della sua funzione di rappresentante del popolo: nell’ipotesi che il popolo con il referendum non approvasse un progetto, si avrebbe un esautoramento del Parlamento. In un sistema di tipo parlamentare non vede come ciò possa farsi, senza far seguire effetti particolarmente gravi da questa consultazione. In alcune decisioni già prese dalla Sottocommissione si è attuata l’inserzione di qualche elemento non strettamente parlamentare nel sistema parlamentare, si è realizzato cioè un tentativo di superare il regime puramente parlamentare.
Sarebbe piuttosto di opinione che l’iniziativa del referendum fosse affidata al Governo, il quale potrà trovarsi nella necessità di ricorrere al responso del popolo per decidere, ad esempio, sul mantenimento o meno di un dato indirizzo osteggiato dal Parlamento. Tuttavia, per il momento non parlerebbe né di iniziativa del Parlamento, né di iniziativa del Capo dello Stato, ma solo di quella affidata al corpo elettorale. Tutto al più si potrebbe ammettere la richiesta del referendum da parte di una minoranza qualificata della Camera, riannodandosi al concetto, già altra volta invocato, della protezione delle minoranze.
PRESIDENTE teme che questa ipotesi – che dovrebbe verificarsi solo in casi eccezionali – potrebbe invece ripetersi troppo frequentemente.
UBERTI ritiene che, almeno inizialmente, il referendum avrebbe possibilità di successo solo in campo regionale.
Osserva poi che bisogna sganciare questo istituto dall’idea di un voto di fiducia politica e dargli un carattere di soluzione pratica di determinati problemi. Comprende che ciò riuscirà difficile; ma si tratta di trovare il modo di applicare in tema di referendum quanto avviene nel caso di una votazione contraria ad una legge comune: che il Governo non viene rovesciato se non sia stata posta la questione di fiducia.
LACONI ritiene che in Italia un referendum a cui partecipino 25 milioni di persone acquisterà sempre un valore politico, qualunque sia il carattere che si vorrà dargli.
MANNIRONI rileva che, scartata la tesi del referendum d’iniziativa del Capo del Governo e quello di iniziativa parlamentare, si potrà trovare l’accordo su un referendum voluto da una parte degli elettori.
PRESIDENTE, tenendo presente tale conclusione, ritiene che l’onorevole Mortati potrà formulare un progetto da sottoporre alla Sottocommissione nelle prossime riunioni.
Fa presente che è rimasta in sospeso anche la denominazione della seconda Camera, pur essendo stato deciso di cambiare il nome di «Senato».
EINAUDI ricorda che è anche da decidere sulla questione dei comitati ausiliari delle due Camere.
GRIECO pensa che tali organismi debbano essere sempre consultivi.
MORTATI, Relatore, è d’accordo. Si potrebbe anche dare a questi organismi un potere di iniziativa legislativa ed un potere consultivo, su richiesta sia delle Camere, che del Governo: così pure potrebbero essere autorizzati alla redazione di dati regolamenti tecnici, sempre per delega delle Camere. Il punto più importante è lo stabilire da chi debbano essere eletti: a suo avviso potrebbero derivare dalle Camere stesse, sia pure su designazione di determinati corpi professionali.
PRESIDENTE crede che tali Comitati potrebbero essere eletti su una base popolare, ma con collegi elettorali distinti; perché evidentemente un Comitato di carattere consultivo deve avere la rappresentanza di larghi settori della vita economica.
FABBRI non ritiene necessario menzionare nella Costituzione questi Comitati. Osserva che attualmente in quasi tutti i Ministeri sono costituiti degli organi consultivi, creati con legge dello Stato, senza bisogno di ricorrere alla Costituzione. Teme che altrimenti possano sorgere altri organi burocratici. Ritiene che, quando vi siano dei progetti veramente interessanti, possa essere richiesto il parere delle organizzazioni competenti, come la Confederazione generale del lavoro e quella dell’industria.
NOBILE rileva che questi Comitati esistono già a fianco dei Ministeri e che bisognerebbe soltanto allargarne le attribuzioni.
EINAUDI pensa che nella Costituzione si tratterà solo di fissare alcuni principî generali e soprattutto quello che tali Comitati possano essere istituiti soltanto per legge.
Ricorda che esistono già organi di tale natura, i quali hanno una tradizione che dura da parecchi decenni, come il Consiglio Superiore dell’istruzione, la Giunta Superiore del catasto, la Commissione Superiore delle imposte diretto, il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, quello delle miniere, ecc.
PRESIDENTE, nella trattazione degli articoli sul potere esecutivo, crede che si potrà stabilire la costituzione per ogni dicastero di un Comitato di questo genere; sarà poi la legge che disporrà in qual modo debbano essere eletti.
Constatato che vi è un accordo di massima, affida all’onorevole Mortati anche l’incarico di studiare questo argomento, per sottoporre poi alla Sottocommissione delle proposte concrete.
La seduta termina alle 18.05.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.
Assenti: Borbon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Lussu, Piccioni, Perassi, Porzio, Vanoni, Zuccarini.