Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI SABATO 21 DICEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

76.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA ANTIMERIDIANA DI SABATO 21 DICEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Autonomie regionali (Seguito della discussione)

Presidente – Ambrosini, Relatore – Uberti – Fabbri – Cappi – Mortati – Tosato – Ravagnan.

Coordinamento degli articoli sul potere legislativo (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Einaudi – Fabbri – Tosato – La Rocca – Cappi – Bulloni – Ambrosini – Fuschini – Mortati – Laconi – Targetti – Bozzi – Lami Starnuti – Grieco.

La seduta comincia alle 10.30.

Seguito della discussione sulle autonomie regionali.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Ambrosini ha chiesto di parlare sull’articolo 20 del progetto sulle autonomie locali.

AMBROSINI, Relatore, informa che per quanto si riferisce all’articolo 20 del progetto sulle autonomie locali, in cui si prevede l’istituzione di una Corte di giustizia amministrativa, la seconda Sezione ha deciso che ogni deliberazione in materia sia rinviata all’inizio del nuovo anno. L’articolo anzidetto, pertanto, potrebbe essere tenuto in sospeso, perché il suo accoglimento dipende dell’adozione del principio di una giurisdizione speciale nel campo amministrativo.

In sede di seconda Sezione frattanto si è rilevato che la soppressione della Giunta provinciale amministrativa è in riferimento all’istituzione di una Corte di giustizia amministrativa.

UBERTI fa presente che la seconda Sezione sta avviando i suoi lavori nel senso che debba essere rimessa ad una legge susseguente, da emanarsi entro un periodo di 5 anni, la definizione delle giurisdizioni speciali, tra cui sarebbe da comprendere quella relativa all’istituzione di una Corte di giustizia amministrativa. D’altra parte, poiché è stato approvato il principio che la Giunta provinciale amministrativa debba essere sostituita da un nuovo organo regionale, è necessario fare menzione della Corte anzidetta, perché altrimenti potrebbe sembrare che la Giunta provinciale amministrativa debba ancora sussistere. È del parere, quindi, che la Sottocommissione possa senz’altro approvare il testo dell’articolo 20, così come è stato formulato dal Comitato di redazione.

AMBROSINI, Relatore, osserva che per le ragioni da lui addotte, si potrebbe senz’altro accogliere la proposta dell’onorevole Uberti.

FABBRI propone che, relativamente alla questione in esame, sia affermato il principio che l’ordinamento della giustizia amministrativa sia devoluto alla giurisdizione dello Stato e ciò perché, secondo il criterio espresso dal Comitato di redazione, contro i provvedimenti dell’eventuale organo regionale di giustizia amministrativa si potrebbe ricorrere al Consiglio di Stato.

CAPPI osserva che la seconda Sezione fu d’accordo nell’affermare il mantenimento e l’unità della giurisdizione amministrativa.

FABBRI fa presente che dovrebbe essere detto espressamente che la Corte di giustizia amministrativa è un organo di primo grado.

AMBROSINI, Relatore, è d’accordo con l’onorevole Fabbri.

MORTATI ritiene anche necessario che si parli di organi di giustizia amministrativa, in quanto appunto tali organi sono molteplici.

TOSATO propone che, dopo aver fatto riferimento a quanto hanno proposto gli onorevoli Fabbri e Mortati, sia detto espressamente che l’ordinamento degli organi in questione sarà regolato dalla legge.

PRESIDENTE ritiene che, secondo le varie proposte testé fatte, la formulazione dell’articolo 20 potrebbe essere la seguente:

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento che sarà stabilito dalla legge».

MORTATI crede che sarebbe meglio parlare di «organi statali di primo grado», in quanto la giustizia non può avere che un ordinamento unitario nello Stato.

TOSATO ritiene più opportuna la seguente formulazione:

«Nella Regione lo Stato istituisce organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento che sarà stabilito dalla legge».

AMBROSINI, Relatore, preferisce la formula di cui il Presidente ha dato lettura. Fa presente, inoltre, che occorre prendere in esame anche il secondo comma dell’articolo 20, in cui è detto che potranno essere istituite sezioni in sede diversa dal Capoluogo della regione.

RAVAGNAN avverte che dalla seconda Sezione non è stata approvata alcuna deliberazione in merito al quesito se debba essere mantenuta una giustizia amministrativa separata.

AMBROSINI, Relatore, ricorda all’onorevole Ravagnan che la seconda Sezione ha approvato il principio secondo cui entro cinque anni il legislatore dovrà esaminare tutta la materia in discussione. Pertanto la giustizia amministrativa potrà rimanere separata per un periodo di cinque anni.

RAVAGNAN osserva in ogni modo che, stabilendo un primo grado di giustizia amministrativa, sorge il problema dell’organo competente in secondo grado e, quindi, quello se debba essere mantenuto il Consiglio di Stato.

AMBROSINI, Relatore, fa rilevare che, con la dizione dell’articolo in esame, si lascia impregiudicata qualsiasi questione.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente formulazione dell’articolo 20:

«Nella Regione sono costituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento che sarà stabilito dalla legge. Potranno essere stabilite sezioni in sede diversa dal capoluogo della Regione».

(È approvato).

Seguito della discussione sul coordinamento degli articoli sul potere legislativo.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 35:

«Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali».

A tale articolo si propone un’aggiunta così concepita:

«…politici, di arbitrato o di regolamento giudiziario, di commercio, che importano variazioni di territorio od oneri alle finanze o che esigono modificazioni di leggi».

NOBILE domanda perché, con l’aggiunta proposta, non dovrebbe più essere usata l’espressione generica di «trattati internazionali».

PRESIDENTE fa presente che, con l’espressione «trattati internazionali», si può dar luogo al sorgere di una serie di accorgimenti per cui alcuni atti, che sono veri e propri trattati internazionali, soltanto perché hanno una denominazione diversa, sfuggirebbero all’obbligo della ratifica. È stato richiamato in proposito l’esempio degli Stati Uniti, in cui alcuni accordi, che pure impegnano la nazione, in quanto non vien data loro la denominazione di trattati non sono sottoposti all’approvazione del Congresso.

NOBILE, per evitare il sorgere degli inconvenienti accennati dal Presidente, propone il seguente emendamento all’articolo in esame: «dei trattali ed accordi internazionali ed in generale di qualsiasi atto stipulato con altri Stati».

EINAUDI intende innanzitutto lumeggiare i motivi per cui nei tempi recenti molti accordi, specialmente di carattere commerciale, non sono più definiti come trattati e quindi, pure entrando in vigore, non sono sottoposti alla ratifica delle Camere.

Un tempo le operazioni commerciali fra Stato e Stato erano fatte dai privati e i trattati di commercio non avevano altro scopo che quello di stabilire alcune regole generali, a cui tutti indistintamente coloro che commerciavano dovevano sottostare. Dall’altra guerra in poi cominciò ad entrare in uso il sistema di far compiere tali operazioni da enti pubblici o da privati godenti di speciali concessioni: onde una serie numerosa di accordi, che non riguardano più l’attività del commercio da un punto di vista generale, ma si riferiscono a determinate materie in modo particolare.

Rispetto a tali accordi, che, in quanto non sono definiti come trattati, non sono sottoposti all’approvazione delle Camere, si può rilevare che, senza di essi, sarebbero assai difficili le operazioni di carattere commerciale nell’ambito internazionale, data l’organizzazione economico-industriale del mondo moderno. Si possono dire quindi necessari, e ciò anche perché essi hanno spesso carattere di urgenza. Sono queste le ragioni per cui tali accordi sono stati sottratti al procedimento della ratifica legislativa.

Ma vi è una ragione che dovrebbe sconsigliare l’uso di tali accordi, ed è che da essi di solito deriva la sorgente dei maggiori lucri e dei maggiori pericoli di corruzione anche politica.

Si tratta quindi di bilanciare l’importanza della necessità economica di procedere con la dovuta rapidità alla stipulazione di tali accordi, ed i pericoli di carattere morale e politico che da essi possono sorgere. Per conto suo ritiene di maggiore importanza le ragioni di carattere morale e politico che non quelle di carattere economico, e pertanto, a suo avviso, tali accordi dovrebbero essere sottoposti alla ratifica parlamentare. E ciò, anche in considerazione del fatto che molte delle ragioni che dovrebbero consigliare la stipulazione degli accordi in questione, sono per lo più artificiosamente create negli ambienti ministeriali. V’è infatti tutta una tecnica per addivenire alla stipulazione di questi accordi commerciali, alla cui elaborazione partecipano funzionari specializzati degli Stati contraenti, i quali funzionari hanno finito col credere che la loro opera sia addirittura insostituibile. Può essere che questa sua impressione sia non esatta, ma egli ha ragione di non ritenerla tale.

FABBRI fa presente che, in considerazione delle osservazioni dell’onorevole Einaudi, sarebbe opportuno far menzione, nell’articolo in esame, delle concessioni dei monopoli di importazione e di esportazione. Pertanto gli accordi stipulati dallo Stato per mezzo di enti che abbiano tale concessioni dovrebbero essere sottoposti alla ratifica delle Camere. Tale obbligo invece non dovrebbe sussistere per gli accordi di clearing, che, più che altro, riguardano l’esecuzione dei trattati di commercio.

TOSATO rileva che quando si parla di trattati si usa un termine il più lato possibile. Infatti per «trattato» si intende qualsiasi accordo di diritto internazionale, sia normativo, sia di contratto.

PRESIDENTE aderisce personalmente alla tesi prospettata dall’onorevole Einaudi, perché con essa si dà un completo riconoscimento alla sovranità popolare che, attraverso il Parlamento, eserciterebbe un adeguato controllo anche sulla politica internazionale. Ritiene, pertanto, che si dovrebbe adottare una formulazione di carattere generico, la più ampia possibile, anche perché si può senz’altro fare affidamento, per i casi urgenti, sulla rapidità di funzionamento delle Commissioni parlamentari.

TOSATO esprime il dubbio che per i casi urgenti si possa avere subito la ratifica delle Camere, perché esse, nel momento richiesto per addivenire alla ratifica di dati accordi, possono non essere convocate.

LA ROCCA è contrario ad un’elencazione tassativa dei vari tipi di trattati internazionali perché, così facendo, potrebbe sfuggire qualche accordo, riferibile ad una determinata materia, eventualmente anche molto importante, e che pertanto verrebbe sottratto al controllo del Parlamento. Ritiene quindi preferibile la formula originaria dell’articolo 35, che è la più lata e la più generica.

PRESIDENTE crede che, alle giuste esigenze prospettate dall’onorevole La Rocca, risponda meglio la formulazione proposta dall’onorevole Nobile.

CAPPI propone la seguente formulazione:

«Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali e di ogni accordo con altri Stati che interessi direttamente o indirettamente lo Stato».

BULLONI è d’avviso che nella formula proposta dall’onorevole Cappi dovrebbero sopprimersi le parole: «direttamente o indirettamente».

AMBROSINI ritiene che sia sufficiente adottare soltanto il termine di «trattati», in quanto ogni altro atto è sottoposto al sindacato politico che il Parlamento può sempre esercitare sul Governo.

NOBILE chiede che il testo del suo emendamento sia messo ai voti per divisione.

PRESIDENTE pone in votazione la prima parte dell’emendamento proposto dall’onorevole Nobile.

«Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati ed accordi internazionali».

(È approvato).

Mette ai voti la seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Nobile: «ed in generale di qualsiasi atto stipulato con altri Stati».

(È approvato).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 36:

«Ciascuna Camera, con deliberazione di almeno un terzo dei suoi membri, può disporre un’inchiesta su materie di pubblico interesse.

«La Commissione d’inchiesta dovrà essere nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera, e svolge la sua attività procedendo agli esami ed alle altre indagini necessarie con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell’autorità giudiziaria».

FUSCHINI domanda perché nell’articolo in esame si parli, non già del Parlamento, ma di ciascuna Camera, e perché per promuovere un’inchiesta si richieda soltanto la deliberazione di un terzo dei membri.

MORTATI risponde che l’iniziativa dell’inchiesta è stata limitata a un terzo dei membri per garantire il potere di controllo alle minoranze. La facoltà d’inchiesta è stata poi attribuita a ciascuna Camera in quanto non si tratta di inchieste ordinate con legge. Ognuna delle due Camere quindi, senza che sia necessario il concorso dell’altra, può disporre un’inchiesta su materie di pubblico interesse.

FUSCHINI osserva che, poiché con l’inchiesta si conferiscono alle Camere poteri di carattere giudiziario, e quindi straordinario, ciò dovrebbe essere stabilito soltanto con un’apposita legge. A suo avviso, quindi, in caso d’inchiesta su materie di pubblico interesse dovrebbero intervenire ambedue le Camere. E ciò anche per un’altra considerazione: potrebbe infatti sorgere un disaccordo fra i due rami del Parlamento circa l’opportunità o modo di promuovere un’inchiesta o la valutazione dei fatti assoggettati alla inchiesta stessa, e così potrebbero aversi due inchieste, dell’una e dell’altra Camera, aventi fini o risultati diversi; ciò che sarebbe assai grave ed assolutamente da evitarsi.

LACONI non condivide le critiche dell’onorevole Fuschini e ritiene che il potere d’inchiesta debba essere riservato a ciascuna delle due Camere separatamente. È dell’avviso poi che il primo comma dell’articolo 36 debba essere così formulato:

«Ciascuna Camera, su proposta di almeno un terzo dei membri, può disporre un’inchiesta su materie di pubblico interesse».

NOBILE è favorevole al mantenimento dell’articolo in esame, com’è proposto.

MORTATI osserva, relativamente alla formula proposta dall’onorevole Laconi, come sia inesatto dire che ciascuna Camera debba essere costretta a disporre un’inchiesta soltanto su proposta di un dato numero dei suoi membri. Propone piuttosto che le inchieste su materie di pubblico interesse siano disposte con legge, da approvarsi in ciascuna delle due Camere da almeno un terzo dei propri membri.

TARGETTI non è d’accordo con l’onorevole Fuschini, perché la sua tesi è in contrasto con lo stato di fatto, per cui il Parlamento può sempre deliberare un’inchiesta, senza che per questo occorra una legge. Gli sembra invece che abbia particolare importanza il capoverso dell’articolo che determina i poteri della Commissione d’inchiesta.

TOSATO propone che nel primo comma, alle parole: «su materie di pubblico interesse», siano sostituite le seguenti: «sulle pubbliche amministrazioni».

PRESIDENTE è contrario alla proposta dell’onorevole Tosato, perché il Parlamento in qualche caso può anche sentire la necessità di promuovere un’inchiesta su una privata amministrazione.

TOSATO osserva che per le inchieste sulle amministrazioni private si può sempre provvedere con un’apposita legge.

BOZZI fa presente che, se si stabilisce la possibilità per le due Camere di promuovere un’inchiesta soltanto sulle pubbliche amministrazioni, si potrebbe ritenere che le Camere fossero private d’ogni facoltà d’inchiesta sulle private amministrazioni. Se si vuole il contrario, occorrerebbe dirlo espressamente.

TOSATO ritiene che all’emendamento già da lui proposto, in considerazione dei rilievi fatti dall’onorevole Bozzi, potrebbe essere aggiunta la seguente disposizione: «Le Camere possono disporre, mediante legge, un’inchiesta anche sulle private amministrazioni».

NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE non ritiene che la tutela doverosa del potere di controllo delle minoranze debba essere spinta sino al punto di concedere alle minoranze stesse la possibilità di creare un turbamento continuo nell’opera svolta dal Governo. Per lo più sarà l’opposizione, infatti, a richiedere nelle Camere inchieste su pubbliche amministrazioni; il che sarebbe assai facile ad ottenersi, se ciascuna delle due Camere potesse promuovere inchieste con deliberazione di almeno un terzo dei propri membri, in quanto facilmente può accadere che l’opposizione raggiunga almeno un terzo dell’uno o dell’altro ramo del Parlamento.

In ogni modo, poiché sono stati presentati vari emendamenti all’articolo in esame, mette prima in votazione quello dell’onorevole Fuschini, secondo cui le inchieste su materia di pubblico interesse dovrebbero essere deliberate con legge.

(Non è approvato).

Mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Mortati, secondo cui le inchieste su materie di pubblico interesse dovrebbero essere disposte con legge da approvarsi in ciascuna delle due Camere da almeno un terzo dei propri membri.

(Non è approvato).

Mette in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato, consistente nella sostituzione delle parole: «sulle pubbliche amministrazioni» alle parole: «su materie di pubblico interesse» poste alla fine del primo comma dell’articolo in esame.

(Non è approvato).

LA ROCCA propone di sostituire al primo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«Ciascuna Camera con propria deliberazione può disporre un’inchiesta su materie di pubblico interesse».

AMBROSINI osserva che, con la formula proposta dall’onorevole La Rocca, non si garantisce il potere di controllo alle minoranze. Sarebbe meglio pertanto lasciare l’articolo 36 immutato.

BULLONI domanda, data la gravità che di solito può avere una inchiesta su materia di pubblico interesse, se non sia il caso di riservare l’iniziativa delle inchieste all’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE fa presente che è stato respinto il principio di deliberare le inchieste con legge. Si è adottato quindi implicitamente il criterio che, per promuovere un’inchiesta, non occorra il concorso di ambedue le Camere, ma sia sufficiente l’iniziativa di ciascun ramo del Parlamento disgiuntamente. È da ritenere quindi che la proposta dell’onorevole Bulloni, in quanto mira a stabilire che le inchieste debbano essere promosse da ambedue le Camere riunite insieme, cioè dall’Assemblea Nazionale, non possa essere accolta dalla Sottocommissione. La questione che ora si può fare è soltanto quella di sapere se ciascuna Camera, per promuovere un’inchiesta, abbia bisogno di una deliberazione votata a maggioranza semplice, come ha proposto l’onorevole La Rocca, o a maggioranza qualificata, o da almeno un terzo dei membri, secondo quanto è previsto nel primo comma dell’articolo in esame.

EINAUDI ricorda che l’inchiesta sulla Banca Romana, una delle più importanti nella storia politica del nostro Paese, fu deliberata soltanto dalla Camera dei Deputati.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta, fatta dall’onorevole La Rocca, di sostituire al primo comma dell’articolo in esame un altro così concepito:

«Ciascuna Camera con propria deliberazione può disporre un’inchiesta su materia di pubblico interesse».

(È approvato).

Mette in votazione il secondo comma dell’articolo 36.

(È approvato).

Pone in discussione l’articolo 37:

«Le Camere approvano ogni anno il bilancio presentato dal Governo.

«Con la legge di approvazione non si potranno stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«L’esercizio provvisorio non può essere concesso se non per legge, e per un periodo non eccedente i quattro mesi».

Ne mette in votazione il primo comma.

(È approvato).

Propone che, nel secondo comma, il termine di quattro mesi sia ridotto a tre.

BOZZI fa presente che nel testo originario dell’articolo 37 aveva proposto un termine di tre mesi; ma l’onorevole Vanoni gli fece osservare che tale termine era troppo breve: anzi egli consigliava il termine che avesse una durata superiore ai quattro mesi.

MORTATI propone che al secondo comma siano incluse, tra le parole: «se non» e la parola: «per», le parole: «una sola volta» e dopo la parola: «legge» siano aggiunte le seguenti: «approvata dal Parlamento».

PRESIDENTE mette ai voti il testo del secondo comma che, con le proposte dell’onorevole Mortati, è così formulato:

«L’esercizio provvisorio non può essere concesso se non una sola volta, per legge approvata dal Parlamento, e per un periodo non eccedente i quattro mesi».

(È approvato).

Avverte che all’articolo 37 è stato proposto di aggiungere il seguente comma:

«Le Camere approvano ogni anno con legge il rendiconto generale».

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Invita la Sottocommissione ad esaminare l’articolo 31 che era rimasto in sospeso. Il testo di tale articolo nel progetto in discussione era il seguente:

«I progetti approvati dalle due Camere diventano legge e devono essere promulgati nel termine di un mese dall’approvazione intervenuta per ultimo, per opera del Capo dello Stato, a meno che questi non faccia uso della facoltà di cui al successivo articolo e altresì all’infuori del caso in cui vi sia una iniziativa popolare per la sottoposizione a referendum della legge approvata.

«Nel caso che le due Camere abbiano dichiarato l’urgenza della legge, questa deve essere promulgata nel termine da essa stabilito, salvo che non si faccia uso della facoltà di cui al precedente comma».

Avverte che l’onorevole Mortati ha proposto il seguente testo sostitutivo:

«I progetti divengono legge quando siano stati approvati dalle due Camere, e devono essere promulgati dal Capo dello Stato non oltre un mese dall’approvazione.

«Ove le Camere abbiano dichiarato l’urgenza della legge, questa dovrà venire promulgata nel termine fissato dalla medesima.

«Nei termini predetti il Capo dello Stato potrà, con messaggio motivato, richiedere che le Camere procedano a una nuova deliberazione della legge già approvata.

«Ove le Camere confermino la precedente deliberazione, la legge dovrà essere promulgata ai sensi del primo comma.

«La promulgazione viene sospesa, ove entro i termini predetti si sia indetto un referendum popolare sulla legge, ad iniziativa o del Capo dello Stato o della aliquota degli elettori di cui all’articolo …».

Avverte pure che al terzo comma del testo sostitutivo dell’articolo 31 proposto dall’onorevole Mortati, l’onorevole Mortati stesso propone la seguente variante:

«Le Camere dovranno provvedere ad una nuova deliberazione della legge già approvata, ove il Capo dello Stato ne faccia richiesta con messaggio motivato entro i termini di cui al primo comma».

BOZZI ricorda che quando si approvò l’articolo 24, secondo cui il potere legislativo è esercitato collettivamente dalle due Camere, fu escluso dal processo formativo della legge il Capo dello Stato, mentre, a norma del vecchio Statuto, il re partecipava alla formazione delle leggi con la sanzione. Ora si tratta di vedere se il Capo dello Stato, a cui è stata vietata ogni partecipazione al processo formativo delle leggi, possa avere qualche potere esterno rispetto alle leggi già approvate dalle due Camere. Da questo punto di vista la formula proposta dall’onorevole Mortati gli sembra opportuna, perché il Capo dello Stato rappresenta la volontà del Paese che lo ha eletto: a lui quindi bisogna ricorrere nei momenti in cui può verificarsi una discordanza tra la volontà del Paese e quella delle due Camere. In tal caso il Capo dello Stato, secondo la formula proposta dall’onorevole Mortati, dovrebbe appunto, con messaggio motivato, richiedere che le Camere procedano a una nuova deliberazione della legge già approvata. Il Parlamento non sarebbe privato delle sue attribuzioni, perché potrebbe sempre confermare la precedente deliberazione. È da osservare soltanto che sarebbe opportuno richiedere una maggioranza qualificata per procedere alla nuova deliberazione della legge già approvata.

MORTATI dichiara che, nella formulazione da lui proposta dell’articolo in esame, si è richiamato al principio, già approvato dalla Commissione, che la forma di Governo dovesse basarsi sul sistema parlamentare, pur circondando tale sistema di opportuni congegni per assicurare la stabilità del Governo. Ammesso quindi tale principio, si trattava di scegliere fra i vari tipi di sistema parlamentare quello che fosse più idoneo a soddisfare le esigenze di una stabilità governativa. L’articolo da lui proposto mira appunto a raggiungere tale scopo. Avverte però che le norme in esso contenute dovrebbero essere esaminate tenendo presenti non solo le disposizioni dell’articolo 38 del progetto in discussione, ma anche quelle relative al potere esecutivo, per avere una visione più ampia del problema. Dalla maggioranza dei componenti il Comitato, per assicurare una certa stabilità al Governo, è stato proposto che esso possa rimanere in carica, anche se singole leggi non siano approvate dalle Camere, e che per la caduta del Governo occorra una espressa deliberazione di sfiducia approvata a maggioranza qualificata. La sua proposta in seno al Comitato si riannodava a quella prospettata dal Comitato stesso, ma con questa particolarità, diretta ad assicurare una maggiore stabilità al Governo, di stabilire che, una volta accordata la fiducia espressa al Governo, questa non potesse essere revocata, se non trascorso un certo termine. In ogni modo per delineare un sistema parlamentare che non coincidesse più con quello, così detto assembleare, in cui il Parlamento ha la piena potestà di far cadere il Governo in caso di dissenso anche per una sola legge, è stato predisposto l’articolo in esame, con cui si prevede la possibilità che il Governo, e per esso il Capo dello Stato, chieda al Parlamento il riesame di una legge già approvata dal Parlamento stesso.

Qui sorge il quesito se si debba richiedere, oppure no, una maggioranza qualificata, affinché le Camere possano procedere ad una nuova deliberazione della legge già da esse approvata. A tale proposta ha preferito proporre il criterio che la nuova deliberazione debba essere approvata a maggioranza pura e semplice, perché, a suo parere, se fosse richiesta una maggioranza qualificata, si darebbe al Governo, e quindi per esso al Capo dello Stato, un’influenza eccessiva nei confronti del Parlamento: si imporrebbe difatti al Parlamento di manifestare la propria volontà in un modo straordinario.

Ha creduto poi opportuno proporre un altro principio secondo cui, ove le Camere confermassero la loro precedente deliberazione, potrebbe essere indetto un referendum popolare sulla legge ad iniziativa o del Capo dello Stato, o di una data aliquota di elettori. A suo avviso, il criterio di autorizzare il Governo a richiedere l’appello al popolo, risponde al sistema parlamentare non assembleare che si vuole adottare.

È stato anche accennato all’ipotesi di addivenire allo scioglimento delle Camere in caso di dissenso tra esse e il Governo a proposito di una singola legge. A tale riguardo è sorta anche la questione se lo scioglimento debba essere richiesto per tutte e due le Camere o per una sola. Ma tale questione, secondo lui, si riferisce più che altro all’articolo 38, in cui si prevede l’eventualità di un dissenso fra le due Camere. Qui invece l’una e l’altra Camera verrebbero ad essere in contrasto con il Governo e, pertanto, se dovesse essere adottato il principio dello scioglimento delle Camere in caso di dissenso con il Governo a proposito di una singola legge, ambedue le Camere dovrebbero essere sciolte.

Un’altra questione riguarda gli effetti della mancata promulgazione entro il termine all’uopo previsto. Secondo la formula proposta, il Capo dello Stato ha l’obbligo della promulgazione. Si può domandare tuttavia cosa mai potrebbe accadere se egli non ottemperasse a tale obbligo. Non adottando alcuna speciale disposizione per tale ipotesi, si deve supporre, egli crede, che la legge entri egualmente in vigore nonostante la mancata promulgazione entro il termine stabilito. È stata da qualcuno prospettata l’opportunità che la legge non promulgata dal Capo dello Stato, entro il termine di un mese dalla sua approvazione, debba esserlo dal Presidente dell’Assemblea. Non ritiene però che ciò sia necessario, anche se l’entrata in vigore di una legge senza la promulgazione possa sembrare un’anomalia dal punto di vista giuridico formale.

V’è infine un’ultima questione, relativa al caso di urgenza. La Sottocommissione ha stabilito che le Camere possano dichiarare l’urgenza di una legge: in tal caso, nello stesso atto con cui si proclama l’urgenza, le Camere fissano anche il termine entro cui la legge dovrà essere promulgata. Si può domandare frattanto se, con la dichiarazione di urgenza debba essere, o no, eliminata la potestà sospensiva del Capo dello Stato, prevista nel testo dell’articolo sostitutivo da lui proposto. Questo quesito, a suo avviso, dovrebbe essere risolto in senso negativo, perché altrimenti basterebbe la dichiarazione di urgenza da parte delle Camere per eliminare il potere di intervento del Capo dello Stato.

LAMI STARNUTI ha qualche dubbio sulla convenienza politica di attribuire al Capo dello Stato la facoltà di richiedere che le Camere procedano ad una nuova deliberazione di una legge già da esse approvata, perché ritiene che il Capo dello Stato abbia altri modi per far sentire e valere la sua volontà: egli difatti può presiedere il Consiglio dei Ministri e, attraverso quest’organo, far giungere alle Camere l’espressione del suo pensiero in merito ad una legge a cui egli non sia del tutto favorevole. Il sistema proposto dall’onorevole Mortati, del riesame da parte delle Camere di una legge da esse già approvata, potrebbe inoltre creare un grave conflitto politico fra Governo e Parlamento; il che è opportuno sia evitato.

È poi decisamente contrario alla proposta, fatta dall’onorevole Bozzi, che debba essere prescritta una maggioranza qualificata, affinché le Camere possano procedere ad una nuova deliberazione di una legge già approvata. In tale caso è assurdo pensare che la nuova deliberazione possa essere approvata con un maggior numero di voti; anzi, l’intervento del Capo dello Stato logicamente dovrebbe essere causa di una diminuzione della maggioranza con cui una data legge venne approvata la prima volta. In ogni modo, se la proposta dell’onorevole Bozzi fosse accolta, si darebbe in sostanza al Capo dello Stato un potere di veto assolutamente inammissibile.

È del pari fermamente contrario ad attribuire al Capo dello Stato la facoltà di indire il referendum sulle leggi approvate dal Parlamento. A suo avviso, se si verifica un conflitto tra volontà popolare e Parlamento (eventualità che è stata prospettala per giustificare il principio del referendum ad iniziativa del Capo dello Stato), non v’è assolutamente bisogno dell’intervento di quest’ultimo, ma può bastare il referendum di iniziativa popolare. È del parere, quindi, che il Capo dello Stato debba essere posto al di sopra di certi conflitti, il che varrà a conferirgli maggiore prestigio e con ciò maggiore autorità.

GRIECO dichiara, da un punto di vista personale, di essere completamente d’accordo con l’onorevole Lami Starnuti. Pertanto è decisamente contrario alle disposizioni contenute nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, che riguardano l’istituto della sospensione della promulgazione d’una legge approvata dalle due Camere e quello del rinvio della legge, con messaggio motivato, da parte del Capo dello Stato alle Camere per un nuovo esame. È altresì fermamente contrario alla facoltà che, secondo l’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dovrebbe essere concessa al Presidente della Repubblica di indire un referendum sulle leggi già approvate dalle Camere, e ciò perché uno dei principali elementi di stabilità del regime parlamentare è dato dal fatto che il Capo dello Stato rispetti la volontà del Parlamento. Per risolvere il conflitto tra volontà popolare e Parlamento (eventualità che è stata prospettata per giustificare l’intervento del Capo dello Stato nel processo di formazione delle leggi), sarebbe meglio ammettere la possibilità dello scioglimento delle Camere. L’iniziativa di indire il referendum, concessa al Capo dello Stato, significherebbe attribuzione di un eccessivo potere al Presidente della Repubblica; ciò che potrebbe essere assai pericoloso. Non può essere quindi favorevole che al referendum di iniziativa popolare, secondo quanto giustamente ha affermalo l’onorevole Lami Starnuti. Egli pensa che tale principio dovrebbe senz’altro essere ammesso, ma in modo chiaro, per evitare ogni dubbio, nel disposto dell’articolo in esame.

MORTATI fa notare che la facoltà che dovrebbe essere concessa al Capo dello Stato, di richiedere che le Camere procedano ad una nuova deliberazione di una legge già approvata, non sarebbe una facoltà di carattere personale: essa infatti sarebbe attribuita al Governo, che ha la fiducia della maggioranza del Parlamento. È per questo che si dispone che l’atto, con cui il Presidente della Repubblica richiede alle Camere il riesame di una legge già approvata, sia controfirmato dal Presidente del Consiglio, il quale si deve supporre goda della fiducia della maggioranza parlamentare.

PRESIDENTE non è troppo convinto della tesi testé prospettata dall’onorevole Mortati. Se essa fosse esatta, basterebbe dire semplicemente che il Presidente del Consiglio ha il potere di rinviare alle Camere una legge da esse già approvata, affinché venga riesaminata.

LA ROCCA è decisamente contrario alla proposta di attribuire al Capo dello Stato la facoltà di richiedere, con messaggio motivato, che le Camere procedano ad una nuova deliberazione di una legge già approvata. È egualmente contrario alla proposta secondo cui il Capo dello Stato avrebbe anche la facoltà di indire il referendum sulle leggi approvate dal Parlamento. Tali proposte, se fossero accolte, altererebbero le linee del sistema che la Sottocommissione sta elaborando. Il potere esecutivo non può essere concepito che come espressione della volontà della maggioranza. Ora, con l’accoglimento della proposta anzidetta, il Capo dello Stato verrebbe quasi ad avere gli stessi poteri del Presidente degli Stati Uniti. Non solo, ma se si facesse intervenire il Presidente della Repubblica nel processo di formazione delle leggi, si ritornerebbe in sostanza al vecchio Statuto Albertino, secondo cui il potere legislativo veniva esercitato dal Capo dello Stato e dalle due Camere. Attribuito, inoltre, un tale potere di intervento al Capo dello Stato, potrebbero assai facilmente sorgere gravi conflitti tra Governo e Parlamento, il che assolutamente bisogna evitare.

NOBILE dichiara che ogni disposizione che può servire a determinare la stabilità del Governo lo troverà sempre consenziente. Ciò considerato, osserva che, se si dà al Capo dello Stato una facoltà così grave come quella di sciogliere il Parlamento, si potrebbe anche concedergli la facoltà assai meno importante di richiedere che le Camere procedano a una nuova deliberazione di una legge già approvata.

Sarebbe bene poi stabilire il principio di richiedere una maggioranza qualificata, affinché le Camere possano procedere ad una nuova approvazione di una legge già da esse approvata, se non si ritiene opportuno di ammettere il referendum di iniziativa del Capo della Stato.

AMBROSINI osserva che, per risolvere la questione in esame, occorre soltanto domandarsi se sia opportuno, oppur no, che il Capo dello Stato possa richiedere alle Camere il riesame di una data legge. Secondo il suo avviso, a tale domanda sipuò senz’altro rispondere affermativamente, perché nella richiesta da parte del Governo che le Camere riesaminino una data legge egli assolutamente non riesce a vedere un atto di forza del potere esecutivo nei confronti del Parlamento. Può sempre darsi il caso che una legge sia approvata affrettatamente o sotto l’influenza di fattori contingenti, per cui può sorgere la necessità di ritornare su decisioni prese. In simile eventualità, si tratta di trovare un modo per assicurare un più approfondito esame di una legge già approvata; ma il potere delle Camere resta inalterato. Ciò considerato, ritiene che le proposte formulate dall’onorevole Mortati possano essere approvate senza alcuna preoccupazione.

Riguardo soltanto alla questione del referendum di iniziativa del Capo dello Stato, si potrà vedere se non sia più opportuno esaminarla quando verranno in discussione le norme concernenti il funzionamento dello istituto del referendum, da un punto di vista generale.

TOSATO è favorevole alle proposte dell’onorevole Mortati, perché ritiene che esse si inquadrino perfettamente nel sistema di Governo che la Sottocommissione sta elaborando. Il riesame da parte delle Camere di una legge già da esse approvata può evitare perturbamenti pericolosi nella vita politica del Paese. Lo stesso si può dire per il referendum di iniziativa del Capo dello Stato, perché con tale mezzo si può evitare lo scioglimento delle Camere, che è un provvedimento assai più grave.

CAPPI propone che nel terzo comma dello articolo formulato dall’onorevole Mortati, in cui si dispone che il Capo dello Stato potrà, con messaggio motivato, richiedere che le Camere procedano ad una nuova deliberazione della legge già approvata, tra le parole: «Capo dello Stato» e le altre: «potrà con messaggio», siano incluse le seguenti: «su proposta del Capo del Governo». Ciò perché, a suo avviso, l’intervento del Capo dello Stato può essere ammesso soltanto quando esista un conflitto tra Camere e Governo, e non già quando possa verificarsi un contrasto tra le Camere e il Capo dello Stato.

È contrario poi al referendum di iniziativa del Capo dello Stato, perché è del parere che il referendum non possa essere che di iniziativa popolare.

EINAUDI è favorevole al testo dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, perché non crede che possa sorgere un contrasto fra i poteri del Capo dello Stato e quelli del Parlamento.

Fa presente poi che nel corso della discussione è stato affermato che il messaggio del Capo dello Stato, da inviarsi alle Camere per la richiesta del riesame di una legge già approvata, debba essere controfirmato dal Capo del Governo. Con ciò si arriverebbe alla conseguenza di togliere al Capo dello Stato persino il diritto di mettersi in comunicazione con il Parlamento per manifestare ad esso la propria opinione. Si domanda come tale diritto possa essere negato al Capo dello Stato. Un messaggio è una lettera, ed è inammissibile che una lettera del Capo dello Stato debba essere controfirmata dal Capo del Governo. È da tener presente, inoltre, che può verificarsi il caso che sia il Capo del Governo a chiedere al Capo dello Stato l’invio del messaggio e che questi, per una qualsiasi ragione, non sia dello stesso avviso del Capo del Governo. Ora, se il Capo dello Stato deve firmare il messaggio predisposto dal Capo del Governo, non si avrebbe più un messaggio, ma un atto che non si saprebbe come denominare, perché non avrebbe riscontro nella pratica costituzionale.

FABBRI osserva che, una volta che si è credulo opportuno istituire una Repubblica democratica o parlamentare, non si può ammettere un conflitto tra Governo e Parlamento, perché ciò appunto contrasta con la logica di un governo democratico e parlamentare. Egli ritiene che il problema del riesame di una data legge abbia la sua completa risoluzione con l’adozione del sistema bicamerale. Inoltre, quando si è stabilito che il Capo dello Stato debba rimanere estraneo al processo di formazione delle leggi, ossia che non debba sanzionarlo, ma soltanto promulgarle, egli senz’altro deve ottemperare a tale obbligo, a meno che non avverta un insanabile conflitto. In tal caso è inutile pretendere di dare stabilità al Governo con la ricerca di espedienti più o meno complessi: l’unico mezzo consentito da un sistema veramente democratico o parlamentare resta allora quello di indire nuove elezioni. Relativamente poi al fatto che il messaggio del Capo dello Stato, di cui al terzo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, debba essere controfirmato dal Capo del Governo, v’è da domandarsi come ciò possa conciliarsi con la disposizione secondo cui il Capo dello Stato ha il potere di nominare e revocare i ministri.

PRESIDENTE fa presente che, a suo avviso, la facoltà prevista per il Capo dello Stato nel terzo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, dovrebbe essere ammessa in un solo caso, in quello cioè di una legge di iniziativa governativa. Pertanto, dovrebbe essere espressamente vietato al Capo dello Stato di richiedere alle Camere una nuova deliberazione di una legge di iniziativa parlamentare o popolare.

In ogni modo, accettando il principio che il Capo dello Stato possa avere facoltà di chiedere alle Camere il riesame di una legge già approvata, che sia soltanto di iniziativa del Governo, vorrebbe nello stesso tempo che il Capo dello Stato fosse in pieno investito della responsabilità di aver fatto ricorso alla facoltà anzidetta.

È contrario poi al referendum di iniziativa del Capo dello Stato. Non si è voluto che questi fosse eletto direttamente dal popolo, per non conferirgli un’autorità che in tal caso sarebbe stata veramente eccessiva. Ora, se fosse accolta la proposta dell’onorevole Mortati, relativamente alla possibilità di un referendum di iniziativa del Capo dello Stato, le attribuzioni del supremo rappresentante del potere esecutivo diverrebbero del tutto preponderanti su quelle demandate al Parlamento. Ciò considerato, può essere favorevole soltanto alla possibilità di un referendum di iniziativa popolare.

MORTATI osserva che, con il sistema predisposto, era stata prevista l’irresponsabilità del Capo dello Stato. Con l’eventuale accoglimento della proposta fatta dal Presidente, tutto il sistema finora elaborato sarebbe radicalmente mutato.

AMBROSINI fa presente che in regime parlamentare il Capo dello Stato è sempre irresponsabile. Occorre inoltre assicurare al Capo dello Stato una posizione stabile ed è per questo che egli, in altra occasione, dichiarò di essere contrario al sistema che fu adottato sotto la terza Repubblica francese, secondo cui si poteva costringere il Capo dello Stato a dimettersi dalla sua carica. Il Capo dello Stato, salvo casi specialissimi, deve restare al suo posto e non può essere responsabile dell’azione politica svolta dal Governo.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.

Assenti: Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, De Michele, Di Giovanni, Leone Giovanni, Lussu, Perassi, Piccioni, Porzio, Vanoni, Zuccarini.