Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Orlando Vittorio Emanuele

Nitti

Carpano Maglioli

Clerici

Corbino

Costantini

Bozzi

Tosato

Benvenuti

Nobile

Codacci Pisanelli

Colitto

Perassi

Mastino Pietro

Preti

Caronia

Laconi

Fabbri

Dominedò

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Presentazione di una relazione:

Bozzi

Presidente

Sull’ordine del giorno:

Caronia

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Caroleo e Lazzati.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri sono stati svolti gli emendamenti presentati all’articolo 84 ed hanno anche preso la parola alcuni colleghi per esporre particolari considerazioni sugli emendamenti stessi.

Spetta adesso alla Commissione di esprimere il suo avviso. Ha pertanto facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero, prima di parlare dell’articolo 84, fare un breve cenno sulle osservazioni che la voce autorevolissima di Orlando ha fatto al nostro progetto di Costituzione. Vorrei dirgli una semplice e rispettosa parola di risposta.

Orlando ieri ha mostrato la sua meravigliosa freschezza di mente, quando ha contrapposto ad una tesi di prerogative, che sapevano un po’ di Medio Evo, il concetto della responsabilità ministeriale e della irresponsabilità del Capo dello Stato, che è un canone acquisito alla forma di Stato parlamentare, di cui egli è stato insuperato teorico e maestro. Questo concetto rimane anche nella nuova fase di Stato più democratico che ora viviamo e che la Commissione ha cercato di assumere a base del suo progetto.

Ma Orlando ha preso occasione per alcuni rilievi appunto sull’indirizzo da noi seguito nella parte finora approvata della Costituzione. Si è più specialmente lagnato perché noi avremmo tolto al Presidente della Repubblica un contenuto di funzioni essenziali, così da renderlo più fantoccio del re, che era già fantoccio.

Potrei far presente l’insieme, non esito a chiamarlo imponente, delle attribuzioni che abbiamo dato con l’articolo 83 al Capo dello Stato: per le leggi e decreti, per la nomina dei funzionari, per i rapporti internazionali, per le forze armate e la guerra, per la grazia ed il condono; mentre in altri articoli gli abbiamo attribuito di nominare e revocare i Ministri e di sciogliere le Camere. La figura del Presidente della Repubblica risulta (anche per la espressione raccolta e densa della nostra formulazione) abbastanza forte e spiccata. Noi non possiamo ricorrere alle aureole vaghe ed in gran parte vane che circondavano la figura del re (e del resto, onorevole Orlando, non ha ella detto che il re era già un fantoccio?). Fantoccio o no, non possiamo rievocare quello spettro: «il re è morto»; e non possiamo, nel vecchio gergo, ripetere «viva il re!».

Come ho detto in altri interventi, lo Stato parlamentare, nella fase storica che Orlando vive ancora, aveva due piloni: uno era il re, che aveva sempre della «grazia di Dio», e l’altro era il Parlamento, la «volontà del popolo»; tra i due piloni si lanciava l’arco di ponte del Gabinetto. Ora il pilone del re è definitivamente ed irremissibilmente caduto; e dobbiamo certamente sostituirlo, perché è necessario un Capo dello Stato; che deve fra l’altro reggere uno dei lati dell’arco di ponte. Ma è impossibile, ed Orlando si illude se crede che possa essere ricostituito come prima; un re nei panni del Presidente della Repubblica; il pilone risorge in altra forma, nell’edificio che si ricompone ormai anche sotto altri aspetti in forme rinnovate; e possiamo ancora chiamarlo Stato parlamentare; ma non è più precisamente il tipo storico caro all’onorevole. Orlando. È qualcosa di diverso, perché tutte le sue fondamenta sono ormai nella sovranità popolare; anche il pilone del Capo dello Stato; e si noti che la sovranità popolare non si esprime neppur più nella sola costituzione del Parlamento; ha altre emanazioni, ad esempio il referendum. Né del resto noi facciamo questione di nomenclatura e di etichetta; sarà sempre lo Stato parlamentare; ma questa è una formula che ha varie realizzazioni storiche; e noi teniamo d’altra parte a calcare che, caduto il potere del re, non vogliamo che il Parlamento diventi tutto; perché sarebbe andar incontro alla concezione estremista e rivoluzionaria che vuol fare del Parlamento il vero e solo sovrano, il quale, dopo la investitura, una volta tanto dal popolo, è l’unico padrone; e tutti gli altri organi dello Stato sarebbero suoi commessi, dal Presidente della Repubblica alla Magistratura. No; l’etichetta dello Stato parlamentare si presta proprio alla concezione ultraparlamentare, e piuttosto di Convenzione e di Assemblea, che si vorrebbe ora far strada. Noi cerchiamo di reagire all’assalto, ricorrendo più largamente alla sovranità popolare in altre sue manifestazioni, ed al sistema di equilibri e di contrappesi che non deve sparire, ma rivive in forme nuove, fra i poteri che attingono alla fonte del popolo, esso sì sovrano.

Mi perdoni l’onorevole Orlando se, senza fare teorie che sarei nei suoi confronti incapace di fare, ho esposto le idee base da cui siamo partiti. Vengo ora alle sue specifiche osservazioni. Egli si è lagnato perché abbiamo «tolto» (la parola «tolto» rivela che egli ha sempre davanti agli occhi la figura del re) la facoltà di iniziativa legislativa, che è in sostanza il decreto con cui il re autorizzava il Governo a presentare disegni di leggo alle Camere. Intervento formale, per la responsabilità non sua, ma del Governo; ad ogni modo intervento che si addice al Capo dello Stato. Ebbene; posso assicurare l’onorevole Orlando che noi abbiamo sempre pensato che eguale intervento dovesse esercitare il nostro Presidente della Repubblica.

Non l’abbiamo detto, perché lo ritenevamo implicito in tutto il sistema, pel quale gli atti più importanti del potere esecutivo si svolgono formalmente con atti del Presidente della Repubblica. Nulla vieta di aggiungere all’elenco delle attribuzioni dell’articolo 83 che il Presidente della Repubblica «autorizza con suo decreto la presentazione alle Camere dei disegni di legge del Governo». Non è necessario, ma dirlo non contrasta affatto, anzi interpreta il nostro pensiero.

Che noi volessimo attribuire al Capo dello Stato funzioni di questo genere, risulta dal fatto che, sempre nell’articolo 83, gli abbiamo attribuito la facoltà di promulgare le leggi, di emanare decreti aventi forza di legge e regolamenti. L’onorevole Orlando può notare che per questi ultimi atti abbiamo parlato di «emanare», il che egli troverà giuridicamente corretto. Abbiamo bensì riconosciuto al Capo dello Stato la facoltà di promulgare, non già di sanzionare le leggi. L’onorevole Orlando lamenta che abbiamo lasciato cadere questo fulmine della sanzione che è sempre rimasto spuntato nelle mani del re. L’istituto delle sanzione è rimasto sempre sulla carta; non fu usato mai in quasi un secolo di Regno: salvo in un caso, che lo stesso Orlando ci ha insegnato; un solo caso d’un minuscolo trattato di commercio con un minuscolo Stato; che le Camere avevano approvato; ma poi il Governo si accorse che era un errore; e pregò il re di… non sanzionare. Tutto qui. Della sanzione non se ne fece mai nulla; tanto che i giuspubblicisti parlavano di «desuetudine».

Noi non potevamo lasciare al Presidente della Repubblica un potere di sanzione, che lo avrebbe, almeno in via di principio, fatto partecipe della funzione legislativa. Ma gli abbiamo – ed è stato perfettamente possibile con la sola figura della promulgazione – conferito la facoltà di un veto sospensivo, nel senso di chiedere un riesame della legge alle Camere. È qualcosa di più sostanzioso ed effettivo della sanzione; e si addice al compito del Capo dello Stato come regolatore fra i poteri dello Stato; non occorre risuscitare, per il gusto di una affermazione in sostanza teorica, perché rimasta sempre lettera morta, la facoltà regia della sanzione.

Noi non abbiamo nessuna simpatia per certe vecchie frasi che suonano, solenni ma vuote – e nella loro portata antidemocratiche – nelle Costituzioni degli Stati parlamentari nella fase storica dei due piloni, e del re.

Veda, onorevole Orlando, vi sono tre disposizioni dello Statuto albertino che la Commissione, e credo tutta l’Assemblea, non può accogliere; tre reliquati. L’articolo 3: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere»; l’articolo 5: «Al re solo appartiene il potere esecutivo»; l’articolo 68: «La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce». È, sistematicamente, la preminenza del re nei tre poteri fondamentali. Ma sono disposizioni pompose e di fastigio; che lo stesso svolgimento dello Stato parlamentare aveva già svuotato, nella stessa età dei re.

Ho già detto della prima disposizione, a cui tengono tanto i nostalgici – anche se non della realtà – della concezione monarchica. Il re partecipe del potere legislativo; il re «terza Camera», terzo ramo del Parlamento. La frase viene dalla vecchia Inghilterra; ma ormai è superata e vuota; lo riconoscono gli stessi costituzionalisti inglesi dei nostri giorni; ormai la «terza Camera» è come la parrucca che i giudici inglesi tengono in capo nell’esecuzione delle loro funzioni. Noi non l’abbiamo conservata. In uno Stato democratico, come quello che noi pensiamo e viviamo, il Presidente della Repubblica non può far parte del potere legislativo, alla pari del Parlamento; può bensì, come Capo dello Stato, regolatore dei poteri, promulgare e chiedere con un veto il riesame; come può sciogliere le Camere; senza che si debba invocare la defunta teoria della terza Camera!

Quanto alla seconda disposizione, che fa del potere esecutivo un appannaggio del re, è un’altra impostazione eccessiva. Si sentirebbe l’onorevole Orlando di metterla nella nostra Costituzione pel Presidente della Repubblica? Lo svolgimento storico del sistema parlamentare è stato, anche nella fase dei re, nel senso di attribuire la realtà del potere esecutivo al Gabinetto. Vero è che gli atti più importanti di governo han luogo, formalmente, attraverso interventi e decreti del Capo dello Stato; e ciò noi l’abbiamo conservato, come è giusto, per lo stesso concetto e per la posizione del Capo dello Stato; ma abbiamo preferito – ed anche questo ci sembra un progresso – indicare punti concreti d’intervento, come all’articolo 83, piuttosto che rievocare la insussistente ed antidemocratica impostazione del passato.

Non nascondo che ci siamo preoccupati di distinguere il Capo dello Stato dal Governo. In certo senso, è vero, Governo in senso lato potrebbe riferirsi anche al Capo dello Stato, in quanto gli atti di governo si estrinsecano per suo mezzo. E, senza dubbio, il Presidente della Repubblica ha soprattutto rapporto col potere esecutivo; ma non ne è il detentore come nello Statuto albertino, né il capo. Per noi il Capo dello Stato non è capo del Governo; resti ben fermo che non abbiamo accettato la forma di repubblica presidenziale, di tipo americano, in cui il Capo dello Stato è anche Capo del Governo. È un regime che ha fatto magnifica prova al Nord, pessima al Sud d’America; e non si è mai trapiantato in Europa, dove si è invece realizzato per forze storiche, nel solco dell’esempio e della «scoperta» inglese, il tipo di Governo parlamentare o di Gabinetto, che nessuno scrittore, neppure

straniero, ha studiato più genialmente dell’onorevole Orlando. Noi a questo tipo europeo vogliamo esser fedeli; – beninteso con gli ulteriori sviluppi cui ho accennato – il Capo dello Stato non è capo del Governo, anche se, nella sua qualità di supremo regolatore, ha esplicazioni di rapporti più continuativi con l’esercizio delle facoltà di governo; rapporti che – in ciò è l’inverso del sistema americano – avvengono con la irresponsabilità del Capo dello Stato e con la responsabilità dei membri del Governo, per gli atti che il Presidente della Repubblica compie come Capo dello Stato. Teniamo fermo questo caposaldo, perché ci sembra necessario; né vogliamo avventurarci in forme completamente nuove e distaccate dalle preesistenti; sentiamo di dover andare più in là; ma senza salti nel buio; dove sono i salti nel buio, onorevole Orlando? È stato lei, non lo dimentichiamo mai, che ha pronunciato qui nell’Aula la frase bellissima; che noi viviamo in un momento, in cui il vecchio muore, ed il nuovo non è nato. Non possiamo conservare ciò che muore; manteniamo gli istituti e le forme che ci sembrano indispensabili per cercar, intanto, le vie del nuovo.

Infine, per l’ultimo degli inammissibili reliquati albertini, che fa anche del potere giudiziario un appannaggio del re, non dirò neppure poche parole; la giustizia, nello Stato democratico, non può che emanare dal popolo, ed essere esercitata in suo nome, con tutte le necessarie garanzie per l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati. Il Capo dello Stato non ha lui il potere giudiziario, anche se pur qui interviene come altissimo regolatore; e noi nel nostro progetto lo abbiamo messo, fra l’altro, alla Presidenza del Consiglio supremo della magistratura.

Mi pare di avere così chiarito il pensiero che anima il nostro progetto, e che è diverso in più punti dal pensiero dell’onorevole Orlando. Il nostro progetto non si mette per nulla sulla china, che condurrebbe allo Stato ultraparlamentare, ed in realtà totalitario, degli estremisti di sinistra. Abbiamo ascoltato qui le affermazioni su tali direttive degli onorevoli Togliatti e Nenni; che però ne han fatto una meta d’avvenire; ed intanto nella Commissione hanno, essi o i loro seguaci, accolto le linee fondamentali della Commissione. Il progetto è ben lontano dalla concezione degli onorevoli Togliatti e Nenni; ma lo è anche da quella troppo conservatrice degli onorevoli Orlando e Nitti; lo ripeto ancora una volta. Questi due altissimi parlamentari, che sono anche altissimi pensatori, pensano alla Costituzione in forme ormai superate; e vedono l’edificio ancora come se il pilone del re non fosse caduto. Non vogliono il ritorno dei Savoia e della monarchia, ma la loro è una concezione ancora monarchica, che non si addice alla democrazia repubblicana, che noi cerchiamo di fondare.

Non le dispiaccia, onorevole Orlando, se ho osato rispondere ad un maestro come lei. Io credo che soprattutto, nel cercare oggi di spingersi avanti nelle vie democratiche del costituzionalismo, si imita il suo esempio, quando in altri momenti ed in altri tempi, ella segnò passi avanti, che l’Italia vuole oggi superare. (Applausi).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare perché c’è stato un fatto personale, scientifico e giuridico, da parte dell’onorevole Ruini, il quale ha creduto dunque di rispondere alle considerazioni da me fatte qui, le quali muovevano da questa constatazione: un dissenso profondo. L’onorevole Ruini ha confermato il dissenso, sicché io non posso che dargli atto di una cosa di cui ero d’altronde convinto. Quindi, anche per questa ragione non mi soffermerò sui particolari, perché, se mi vi soffermassi, sarebbe come rifare la discussione generale e non credo che sia il momento, né che ce ne sia l’opportunità.

Ma qualche osservazione particolare potrò fare, specialmente quando l’onorevole Ruini mi considera come un minore democratico, come un democratico più attenuato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ora, lascio stare che lo spunto del mio discorso di ieri fu dato da una preoccupazione nettamente opposta.

Qui c’è la teoria dei piloni. L’amico Ruini dice che nel sistema passato c’è il pilone re e il pilone Camere.

Io avrei molte cose da dire, perché il concetto dell’istituto parlamentare è non di distinguere e di contrapporre i piloni, ma di unificarli nel Capo dello Stato. Il che è vero, e dev’essere vero per tutte le forme di Governo. In primo luogo.

In secondo luogo, anche ammettendo l’analogia col ponte e col pilone, io dico: l’antico pilone fu demolito come species re, ma ciò non significa che fu demolito come genus, cioè come Capo dello Stato. Il pilone fu abolito come re, ma non come Capo dello Stato.

E allora, se io persisto nel considerare i rapporti fra quei due organi sovrani, non mi sembra che ciò l’autorizzi a dire che sono meno democratico.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non l’ho detto mai!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Oppure, che si sopravaluti codesta vostra democrazia sotto forma di una diminuzione dei poteri del Capo dello Stato?

Io dico che non sono meno repubblicano in confronto a voi, se voglio un Capo dello Stato repubblicano con più larga competenza e quindi maggiore autorità del Capo dello Stato monarchico! Il mio punto di vista si pone contro il vostro: posso avere ragione io come potete avere ragione voi, non ho mai aspirato all’infallibilità. Ma il vostro giudizio, come qualificazione politica della mia tendenza, non corrisponde al sentimento mio, né, obiettivamente, alla mia maniera di considerare l’argomento.

Voi, mio caro amico, avete citato alcune disposizioni dello Statuto Albertino, ma sono quelle ormai sorpassate dalla consuetudine. Esse non esistevano più!

Voi avete detto: non vogliamo la dichiarazione di principio contenuta in quello Statuto che solo al re appartiene il potere esecutivo. E apparteneva forse solo ad esso? Neanche per sogno! Io non ho censurato o riprovato per non avere riprodotta quella dichiarazione senza effettivo contenuto, ma ho detto: avete esautorato il Presidente della Repubblica per ciò che riguarda competenza ed attribuzioni nell’ordine del potere esecutivo. E ve ne darò subito la prova. Intanto, per ciò che riguarda l’iniziativa che io lamentavo essere stata tolta al Presidente. Voi replicate di averla attribuita al Governo ed aggiungete che non sarebbe incompatibile una tale attribuzione con quell’altra: di potere aggiungere persino in sede di coordinamento (tanto vi pare ovvia la conseguenza!) che la presentazione del disegno di legge proceda per mezzo di un decreto del Presidente della Repubblica.

Va bene, ma con ciò voi avete dato al Presidente della Repubblica la qualità di Capo del Governo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. No? Vedete dove spunta subito la difficoltà, onde io dicevo oggi che parliamo due lingue diverse! Ed è difficoltà di sostanza, ma non perché noi muoviamo da punti di vista diversi si può essere autorizzati a trovare me in contradizione. Io sono coerente ai miei principî, quando trovo che è questo uno dei difetti maggiori del vostro sistema, di cui si dovrebbe riparlare in sede di articolo 86, perché non si capisce come questo Governo si colleghi col Presidente della Repubblica, se ne dipenda o sia autonomo. Voi mi dite che l’iniziativa da voi attribuita al Governo può essere esercitata con decreto del Presidente, ma poi negate che il Presidente sia Capo del Governo.

Vi è sfuggito or ora quello che io vorrei considerare come un lapsus linguae, e non credo che ci persisterete, dicendo in via di contrapposizione che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri è il Capo del Governo. Ma Capo del Governo si qualificava Mussolini! E l’espressione Capo del Governo la inventò Mussolini!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vogliamo la Repubblica presidenziale.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma la Repubblica presidenziale è tutt’altra cosa! Certo è, comunque, che voi avete dato al Presidente del Consiglio una qualità di Capo di Governo che era stata fatta propria precisamente dal dittatore.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma in Inghilterra è la stessa cosa.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ma non vedete come tutte queste proposizioni non legano fra di loro? Avete rotto proprio quell’unità, fra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, che è la caratteristica di quella forma parlamentare, creata proprio in Inghilterra. Insomma bisogna che si sappia quali siano i rapporti fra i Ministri e il Capo dello Stato. Il vostro progetto non lo dice: inconcepibile lacuna. La potrete correggere e farete bene; ma sinora non si dice, non si precisa il rapporto giuridico che lega il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri col Capo dello Stato.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne riparleremo.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. E vi pare lacuna di poco? Non si sa bene: i Ministri rispondono verso chi? Voi dite: rispondono verso il Parlamento, ma questo è un secondo momento. Rispondono essi verso il Capo dello Stato? E se non è così, quale sarà il nesso che lega questi due organi?

Ho parlato troppo, onorevole Presidente, e chiedo scusa. Ad ogni modo qui è una questione fondamentale in cui noi divergiamo.

Evidentemente voi non fate il sistema parlamentare. Fate un’altra cosa. È un salto nel buio, ma l’Italia ha buone gambe e nessuno più di me augura che cascherà con molta eleganza e potrà ritrovarsi felicemente in piedi. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo 84:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere la Camera dei deputati».

Ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Quale è il sistema bicamerale riguardo allo scioglimento della Camera Alta, sia in regime repubblicano, sia in regime monarchico? Sia che il Senato sia di nomina governativa, cioè emanazione del re, sia che sia elettivo, non si scioglie mai. Questa è una regola costante, a cominciare dall’Inghilterra dove pure la Camera dei Pari ha una diversa funzione e una diversa formazione. La Camera dei Pari non si scioglie mai, resta sempre immobile, anche quando avvengono cambiamenti nella Camera dei Comuni. Nella Camera dei Comuni spesso vi sono le elezioni ad un solo mese di distanza, o a due o tre mesi. La Camera dei Lords, anche in quei trambusti, non è stata mai toccata. Ora le due sole Repubbliche a sistema bicamerale, non tenendo conto della Repubblica svizzera, dove vi è una diversa struttura, sono l’America e la Francia. Il Capo dello Stato non ha il diritto di sciogliere le Camere Alte. In America, il Senato durava sei anni e si rinnovava ogni due, in Francia durava due anni e si rinnovava per un terzo ogni due anni. Dunque la Camera Alta, dove esiste, ha una certa stabilità ed è garantita dalla stessa Costituzione, in quanto il Presidente della Repubblica non può scioglierla.

Ora io mi preoccupo di questa innovazione. Per la prima volta si costituisce un Senato che può essere sciolto ogni quindici giorni, ogni mese, ogni tre mesi. Il Senato, così, perde quella stabilità che costituisce il maggior pregio di questa istituzione.

Io non oso insistere, perché non so i partiti che decidono in queste questioni se sono già impegnati e se ne fanno questione essenziale per la dignità del Paese, ma io richiamo alla logica l’Assemblea. Che cosa volete fare? Volete rendere tutto incerto? Ed allora sancite un Senato che ha la sola differenza nei confronti della Camera, di essere meno numeroso.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carpano Maglioli, Cosattini, Faralli, Vernocchi, Fedeli Aldo, hanno presentato un emendamento all’articolo 84 così formulato:

«Dopo la parola: Camere, aggiungere le seguenti: «non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo a due mutamenti di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

L’onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

CARPANO MAGLIOLI. L’emendamento che ho proposto insieme ai miei colleghi e compagni, tende a trasformare l’articolo 84 con questa precisa dizione: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere non prima di un anno dalla loro elezione e, nel caso che abbiano dato luogo ad un mutamento di Governo a seguito di voto di sfiducia, nello spazio di un semestre».

Il nostro emendamento tende a mantenere la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le due Camere ma intendiamo che questa facoltà, che può portare a quelle pericolose conseguenze particolarmente illustrate dal nostro maestro Vittorio Emanuele Orlando e dall’onorevole Clerici, abbia delle limitazioni e queste limitazioni, perché siano efficienti, devono essere oggettive.

Sostanzialmente, quando si può e quando si deve ricorrere al provvedimento dello scioglimento delle Camere? Quando il Parlamento non può più correttamente funzionare; e non lo può più quando non può più esprimere un Governo che abbia capacità di vita durevole e quindi capacità di una direzione costante, capace di amministrare la cosa pubblica. Solo in queste eventualità si potrà fare ricorso al grave provvedimento dello scioglimento delle due Camere.

Pare evidente a noi che a questa ampiezza di poteri è necessario imporre dei limiti, che non devono essere lasciati né all’opinione del Presidente dell’Assemblea né all’opinione personale del Presidente della Repubblica, ma devono essere indicati con dei fatti.

Ora, noi, con il nostro emendamento, che presentiamo all’esame della Camera e sottoponiamo al suo accoglimento, proponiamo due limiti. Il nostro emendamento non è una novità: non fa altro che riprodurre, più o meno fedelmente, l’emendamento contenuto nella Costituzione francese all’articolo 51.

Uno dei limiti che noi indichiamo è che sia trascorso almeno un anno dalle elezioni delle Camere; è necessario un anno di esperimento, sì che si possa evitare di ricacciare il Paese nell’agitazione elettorale e nel turbamento che provoca sempre la convocazione dei comizi.

Il nostro emendamento fissa un altro limite oggettivo. Allo scioglimento delle Camere si deve pervenire quando le Camere non esprimono le direttive per un Governo che abbia una capacità di vita abbastanza tranquilla e prolungata nel tempo, un Governo durevole ed efficiente ad una azione politica ed amministrativa tale da sodisfare alle esigenze della Nazione.

E allora, noi diciamo che è necessario porre altri limiti e precisamente due: mutamenti di Governo nello spazio di sei mesi a seguito di voto di sfiducia: voto che indica come il Parlamento non funziona e il Governo non è espresso con chiarezza dal Parlamento, con conseguente paralisi dell’istituto parlamentare, paralisi della vita della Nazione.

Solo con il concorso di queste gravi condizioni oggettive, solo allora, il Presidente ha facoltà, ove lo creda e sentiti i Presidenti delle Assemblee, di sciogliere le Camere, e di convocare di nuovo i comizi elettorali per sentire direttamente la voce del popolo e per avere dal popolo l’indicazione per una amministrazione salda, efficiente e capace di dirigere la cosa pubblica.

Per queste considerazioni pensiamo che il nostro emendamento possa trovare accoglimento, perché è ispirato al concetto di consentire un Governo durevole mediante l’attribuzione della facoltà di scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica. Ma, nello stesso tempo, contempera queste due esigenze con l’altra esigenza non meno sentita, di porre dei limiti oggettivi non facilmente superabili, limiti oggettivi che valgano a impedire l’abuso di questa facoltà. Per queste considerazioni chiediamo che il nostro emendamento sia esaminato con attenzione; lo sottoponiamo alla vostra saggezza: e confidiamo possa trovare benevolo accoglimento.

Ripeto, non si tratta di una novità: all’articolo 51 della Costituzione francese vi è una disposizione analoga, che limita oggettivamente questo grave potere di scioglimento delle Camere; lo limita in forma concreta, in modo da tutelare la volontà popolare e, nello stesso tempo, cercando di assicurare l’efficienza di un Governo duraturo, per la difesa dell’Amministrazione della cosa pubblica.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Nell’emendamento testé svolto si parla delle due Camere; la durata dell’una non coincide più con quella dell’altra: il Senato ha sei anni di vita, la Camera cinque.

Un conto è parlare di un anno dall’inizio della legislatura, un conto è parlare delle elezioni generali delle due Camere.

Forse gli onorevoli proponenti non hanno riflettuto su questa circostanza. Nel progetto primitivo Camera e Senato duravano cinque anni ed erano eletti contemporaneamente.

Noi, invece, abbiamo stabilito che la Camera è eletta per cinque anni ed il Senato per sei. Il che vuol dire che se il decorso del termine inizia dalla elezione della Camera, allora abbiamo un anno, in cui non è possibile lo scioglimento. Se guardiamo all’anno, riferendoci tanto alla Camera, quanto al Senato, abbiamo due termini a quo, che si vanno inseguendo ed intersecando fra di loro in modo, a mio avviso, irrazionale.

CARPANO MAGLIOLI. Noi intendiamo: un anno dall’elezione di ciascuna Camera.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei presentare una mozione d’ordine.

Ho l’impressione che la discussione dell’articolo 84 non si possa fare, se non dopo aver discusso gli articoli 86, 87 ed 88; perché, in sostanza, il problema che noi dobbiamo esaminare è il problema dei poteri del Presidente rispetto allo scioglimento delle Camere; e il problema dello scioglimento delle Camere si pone in stretta correlazione col problema dei termini e delle condizioni della fiducia o della sfiducia al Governo.

Ed allora, a me pare che sarebbe meglio cominciare ad affrontare il problema fondamentale del Governo, e, se mai, in sede di modalità per la formazione del Governo affermare il diritto, illimitato o limitato, del Presidente di sciogliere le due Camere. Propongo, perciò, di rinviare la decisione sull’articolo 84 a dopo che avremo esaurito la materia oggetto degli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In realtà, il nesso non è così stretto, come potrebbe apparire. Ma io trovo che l’Assemblea, in questo momento, sopra una questione così importante, come è quella dello scioglimento delle Camere, non ha ancora idee molto precise. Giunge quindi opportuna, e noi l’accogliamo per ragioni pratiche, più ancora che logiche, la proposta dell’onorevole Corbino. Si potrebbe, subito dopo l’articolo 83, esaminare e decidere sull’articolo 71, che riguarda la promulgazione, e fu rimandato, ma ora l’abbiamo affrontato, a proposito dell’emendamento Caronia, che coincide con un articolo aggiuntivo dell’onorevole Bozzi; pel cosiddetto veto sospensivo. Esaurito il tema dell’articolo 71, potremo passare agli articoli 86, 87 ed 88.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Corbino propone di sospendere l’esame dell’articolo 84 sino a che l’Assemblea non abbia preso le sue decisioni in ordine agli articoli 86, 87 ed 88 del Titolo III, relativi al Governo. L’onorevole Ruini, a nome della Commissione, ha dichiarato di ritenere che si possa accedere a questa proposta. Io desidero sentire se vi sono dei colleghi i quali abbiano delle obiezioni da sollevare.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi pare che la proposta dell’onorevole Corbino tenda a rimettere la discussione dell’articolo 84 a dopo la discussione degli articoli 86 e seguenti, per motivi di tecnica legislativa, mentre secondo le dichiarazioni del Presidente della Commissione si dovrebbe aderire alla proposta dell’onorevole Corbino per ragioni di opportunità e non per ragioni di tecnica legislativa. Cosa se ne deve dedurre? Che sospendiamo l’esame, secondo la proposta dell’onorevole Corbino o che rimandiamo a tempo indeterminato la discussione sull’articolo 84?

PRESIDENTE. Ho detto ben chiaramente, onorevole Costantini, che sospenderemmo in attesa di aver risolto i primi tre articoli del terzo Titolo. Che poi si accetti questo rinvio per una ragione o per un’altra non ha importanza. Importante è che si sia concordi nel sospendere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le ragioni del rinvio possono essere diverse, ma importante è che non si perda tempo e che intanto si proceda all’esame degli altri articoli.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, la proposta dell’onorevole Corbino si intende accettata.

(Così rimane stabilito).

Passiamo all’articolo 71, il cui esame era stato rinviato.

Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

PRESIDENTE. A questo articolo, l’onorevole Bozzi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma con i seguenti:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, in una delle passate sedute io sostenni la necessità che il Presidente della Repubblica non fosse tenuto estraneo dal processo formativo della legge e credetti di dover sostenere che al Presidente della Repubblica dovesse essere attribuita la potestà di sanzione, cioè una forma di partecipazione diretta al processo, di creazione di quell’atto complesso che è la legge. Questa proposta non è stata approvata.

Si può ripiegare su un’altra posizione.

Io ritengo indispensabile, anche per le ragioni dette magistralmente dall’onorevole Orlando, che debba essere attribuito al Capo dello Stato il potere che risulta dall’emendamento aggiuntivo da me proposto. È questo un potere di veto direi, un potere in qualche modo sospensivo; ma non è un veto nel senso rigoroso della parola, perché il Capo dello Stato non impedisce già che la legge abbia definitivamente vigore, ma esprime un suo apprezzamento attraverso un messaggio motivato e richiama, su queste sue ragioni, l’attenzione delle due Camere perché rimeditino sul problema. È un invito a riflettere ancora, che credo non si possa negare.

Il sistema proposto è questo: il Capo dello Stato promulga le leggi, entro un certo termine (si dice 30 giorni, ma il termine potrebbe essere anche ridotto); entro questo termine può rimettere la legge votata dalle Camere alle Camere stesse perché rimeditino. In quali casi ciò può avvenire? Può avvenire per ragioni di legittimità, per non perfetta formazione della legge, e può avvenire anche per ragioni di merito. Noi abbiamo votato che il Presidente della Repubblica deve essere supremo garante e custode della Costituzione. Ora, può anche darsi che una legge votata dal Parlamento, non interpreti esattamente, sia in contrasto con una norma della Costituzione. E noi vogliamo negare a colui che abbiamo definito il garante e custode della Costituzione, di dire al Parlamento: «Badate, che questa legge, secondo il mio punto di vista, non è in armonia, ma è in contrasto aperto con la norma costituzionale?».

Ma c’è anche un’altra ipotesi che possiamo raffigurarci. Noi non l’abbiamo ancora votato, ma mi sembra che sia nell’ordine di idee della maggioranza di dare al Capo dello Stato la possibilità di sciogliere o una o tutte e due le Camere. Che significa questo? Significa che il Capo dello Stato, al vertice di tutti i poteri, deve avere la sensibilità di sentire il Paese e di avvertire quando il Paese è per avventura in contrasto con la sua rappresentanza parlamentare. Ora, un fatto di questo genere si può verificare anche nei confronti di una legge. Può darsi che una legge, pur votata dal Parlamento, in un determinato momento non sia l’espressione genuina della corrente popolare, e pertanto non trovi il consenso popolare. Si determina allora nel Paese un attrito. Ebbene, il Capo dello Stato che dev’essere un po’ il termometro di questa situazione, può richiamare l’attenzione delle Camere perché rimeditino sulla legge votata.

Io credo che quest’invito a riflettere ancora non possa essere negato, se non vogliamo esautorare completamente il Capo dello Stato.

Detto questo, che è la ratio della disposizione, da me proposta, io credo che i termini di essa non possono essere discussi. In essa si dice che nel termine nel quale il Capo dello Stato deve fare la promulgazione, egli può, con messaggio motivato, cioè dando la giustificazione del suo punto di vista, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Che cosa faranno le Camere? Se le Camere riconfermano la precedente deliberazione, il Capo dello Stato è obbligato a promulgare la legge.

Un principio di questo genere credo sia stato già approvato con l’emendamento dell’onorevole Caronia, ma io trovo che questo emendamento va integrato in tutti i suoi aspetti, e va messo in relazione con la promulgazione cui si collega. Io invito la Camera a riflettere su questa mia proposta, che è di fondamentale importanza, perché altrimenti noi escludiamo completamente il Capo dello Stato dal potere legislativo.

Il Capo dello Stato diventa colui che promulga, colui che attesta se le Camere hanno regolarmente votato, e dà esecutorietà a questa legge: atto importante, ma sempre sul piano esecutivo, senza nessuna possibilità di intervento nella determinazione se l’atto fondamentale, che è la legge, debba o no entrare in vigore subito o abbia bisogno di un ulteriore, più approfondito esame. Io invito l’Assemblea ad approvare questo conferimento di potere al Capo dello Stato, potere che egli eserciterà naturalmente, sempre sotto la responsabilità governativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Io ho già avuto occasione di manifestare ieri l’opinione della Commissione relativamente ad un emendamento analogo presentato dall’onorevole Caronia. La Commissione ritiene opportuno, anzi necessario, ammettere una qualche partecipazione del Capo dello Stato, sia pure nella forma più attenuata, all’esercizio del potere legislativo. L’emendamento presentato testé dall’onorevole Bozzi riprende e integra nei suoi complementi necessarî, la proposta dell’onorevole Caronia. Pertanto la Commissione è favorevole all’accoglimento dell’emendamento dell’onorevole Bozzi.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io non so se si voglia, attraverso l’emendamento Bozzi, dare valore, come in una certa parte dello svolgimento che egli ha fatto sembrerebbe, alle funzioni del Presidente della Repubblica. Se è questo, se non si tratta cioè che di una questione di prestigio, possiamo anche aderire; ma, se all’infuori della questione di prestigio, si volesse ammettere questo diritto di veto per proporre un riesame della materia legislativa già deciso dalle Camere, allora permettetemi di sollevare dei dubbi. E i dubbi sorgono spontanei in tutti coloro che fermino la propria attenzione sul modo con cui le leggi vengono discusse ed elaborate in regime bicamerale, cioè attraverso il doppio esame della Camera dei deputati e del Senato.

Onorevoli colleghi, i progetti vengono presentati: sono 550 deputati che discutono, esaminano, deliberano un determinato provvedimento legislativo. Il provvedimento passerà quindi al Senato, composto di circa 300 senatori, il quale procederà ad un riesame della materia e ad una nuova e separata decisione. Che dopo una così lunga procedura si senta il bisogno, su invito del Capo dello Stato, di far ripetere questo esame da parte dei due organi legislativi, mi sembra un assurdo. Ed allora, io dico: se vogliamo per questa strada dare valore alle funzioni del Capo dello Stato, ognuno può pensarla come crede, e qualcuno potrà dire sì e qualche altro no. Ma se vogliamo effettivamente e seriamente discutere sulla reale opportunità di fare riesaminare le leggi dopo tutte queste deliberazioni, cui ho fatto semplicemente cenno, allora mi permetto di esprimere una opinione in netto dissenso con quella dell’onorevole Bozzi e con quella del rappresentante della Commissione dei settantacinque che vi ha aderito.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, vorrei chiedere soltanto una spiegazione all’onorevole Bozzi: se l’atto presidenziale, col quale la legge viene rinviata a nuovo esame debba o non debba essere munito della controfirma del Primo Ministro.

PERASSI. Necessariamente tutti gli atti del Presidente della Repubblica debbono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio.

BENVENUTI. Allora, mi consenta l’onorevole Bozzi di fargli osservare che la sua esposizione non è stata esatta. Egli ha affermato erroneamente che il suo emendamento rimedierebbe al caso di una legge presentata al Presidente e che non trovasse il consenso popolare. Problema fondamentale e da tutti sentito, ma l’emendamento Bozzi non vi rimedia – esso rimedia ad un conflitto tra il Governo e le Camere, tra il Governo e la legge, ma non rimedia all’altro conflitto tra la legge e il corpo elettorale. Quest’ultimo conflitto resta insoluto: in quanto la richiesta di rinvio alle Camere non potrebbe evidentemente venir controfirmata proprio da quel Governo che propone al Presidente la promulgazione della legge. Viene così risolto un solo aspetto del conflitto.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io sono d’accordo con l’onorevole Bozzi, per due ragioni. La prima è che, se si è disposti a concedere al Capo dello Stato il potere maggiore, quello dello scioglimento delle Camere, a maggior ragione gli si deve concedere la possibilità di rinviare una legge per un riesame.

Questo riesame potrebbe essere giustificato in molti casi; ad esempio, quando la legge sia stata approvata con una piccola maggioranza, sicché venga il dubbio che la legge non sarebbe passata se il numero dei deputati o senatori presenti fosse stato maggiore.

Che male c’è, in un caso simile, che il Capo dello Stato rinvii la legge alle Camere dicendo: riesaminatela? Mi pare che non vi possa essere nessuna ragione in contrario.

PRIOLO. Con quale criterio si dovrà riesaminare?

NOBILE. Si potrà riesaminare sulla base del messaggio motivato.

Si deve, poi, anche considerare che una tale procedura potrebbe talvolta servire ad evitare lo scioglimento delle Camere.

Per queste ragioni, sono favorevole all’emendamento Bozzi.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli aveva presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sostituire le prime quattro parole con le seguenti: Le leggi sono sanzionate e promulgate…».

Questo emendamento è ormai stato superato dalla deliberazione di ieri, relativa alla promulgazione delle leggi (articolo 83).

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato anche il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma con i seguenti:

«Le leggi non potranno avere effetto retroattivo, né entreranno in vigore prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che contengano la dichiarazione di urgenza.

«Le norme giuridiche non costituzionali, disciplinanti una determinata materia, potranno essere raccolte e coordinate in unico testo mediante decreto del Capo dello Stato.

«I testi unici avranno valore di promulgazione novativa delle leggi in essi comprese, alle quali potranno solo recare modificazioni di pura forma, salvo apposita più ampia delega legislativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, reputo opportuno richiamare l’attenzione dell’Assemblea sopra due atti molto importanti della formazione delle leggi, cioè la promulgazione e la pubblicazione. È stata mossa l’accusa che si sia tentato surrettiziamente, secondo l’elegante espressione del Presidente della Commissione dei Settantacinque, di introdurre qui il principio della irretroattività della legge in genere. In verità onorevoli colleghi, io non so se possa effettivamente parlarsi di un artificio e di un subdolo tentativo. In realtà, trattandosi della formazione delle leggi, dovendosi accennare in particolare al momento in cui una legge entra in vigore, si è evidentemente affrontato il problema dell’efficacia della legge in generale e dell’efficacia della legge nel tempo, in particolare.

Ora, trattandosi dell’efficacia della legge nel tempo, ritengo non sia inutile prendere in esame questo problema della retroattività della legge in genere, problema che noi abbiamo esaminato soltanto a proposito della legge penale.

Quando si iniziano gli studi giuridici, uno dei primi principî che si incontrano è precisamente quello della irretroattività della legge. Purtroppo in un recente passato, il principio è stato ripetutamente violato, e tanto più noi dobbiamo ora stare in guardia perché esso sia difeso.

Con l’emendamento proposto, sostengo, quindi, innanzitutto, che le leggi non debbano avere efficacia retroattiva. Ma vi sono altri due punti cui accenno e che mi preme di mettere in rilievo. Per quello che riguarda la pubblicazione, non v’è nulla di particolare da aggiungere a quello che è il testo proposto dalla Commissione; ma, per quello che riguarda invece la promulgazione, ho già accennato ieri sera che si tratta di un atto della più grande importanza, in quanto attiene a quello che è il problema della conoscibilità della legge con assoluta certezza.

Noi abbiamo visto, infatti, onorevoli colleghi, come alle volte un’«e» invece di un «o» possa mutare profondamente il senso e lo spirito di una disposizione normativa. Ma quella che propongo alla vostra attenzione è una questione di non poco rilievo, ed è precisamente la questione che riguarda i testi unici. Infatti noi sappiamo che fra gli scopi della civiltà, oltre quello di fare delle giuste leggi, è anche quello di far conoscere queste giuste leggi. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’importanza del problema e soprattutto sul significato di progresso che ha nella storia.

Ricordiamo, infatti, che un tempo la conoscenza delle leggi era considerata patrimonio esclusivo del patriziato; basterebbe rammentare, a questo proposito, le leggi decemvirali. La conoscenza delle leggi è stata, quindi, per lungo corso di tempo patrimonio esclusivo della parte più conservatrice dei popoli. E, a proposito della necessità di divulgare le leggi e della importanza che assume questo problema, mi permetto di ricordare un precedente che può servire a rallegrare l’Assemblea. Sappiamo dalla storia cinese (Commenti) che, nel sesto secolo avanti Cristo, Sciutrian, consigliere di Stato del principe di Zin, rimproverava con una lettera, conservata tuttora, Ze-cian, allora principe di Cen, perché aveva fatto pubblicare le leggi penali su vasi di ferro, invece di tenerle nascoste (vedi Andreozzi, Le leggi penali degli antichi cinesi, Firenze, 1878, pag. 34).

Il consigliere cinese affermava che era molto migliore il tempo in cui la gente rispettava la legge senza conoscerla e senza conoscere il limite fino al quale poteva spingersi senza commettere un reato.

Mi son permesso di richiamare questo precedente storico, perché, se non si verifica più tale fenomeno, ve ne sono, però, altri non molto dissimili, come quello di opporsi alla lotta contro l’analfabetismo, perché la diffusione della cultura avrebbe propagato il malcostume. Non mancano i fenomeni odierni che possono in un certo senso assimilarsi alla preoccupazione di non far conoscere le leggi.

In materia di conoscenza della legge vi può essere un oscurantismo volontario, come quello del patriziato romano, che voleva impedire alla plebe di conoscere le leggi, tanto che sorse il tribuno Tarentilio Arsa, il romagnolo dell’epoca, probabilmente, il quale al grido «la conoscenza delle leggi o il caos» ottenne la codificazione decemvirale.

Oltre quello volontario vi è però, anche un oscurantismo involontario, ma, oggi, non meno colpevole. Attraverso una legislazione a getto continuo che non sia poi successivamente coordinata, si può arrivare ad una confusione tale che gli stessi studiosi ed esperti della materia non sono in grado di conoscere quale sia la norma vigente in un determinato campo.

Per rimediare a questo inconveniente si è sentita quella tale esigenza che spinse Giustiniano a trarre dalle leggi il troppo e il vano, in maniera che fossero conosciute. (Commenti).

Per conoscere le leggi non basta emanarle e promulgarle, ma bisogna anche ad un certo momento riunirle, coordinarle. Tale coordinazione è normalmente avvenuta attraverso i testi unici. Ma se i testi unici potevano risolvere il problema in parte, non lo risolvevano in tutto, in quanto che non si sapeva con esattezza quale valore dovesse attribuirsi ad essi. In altri termini, se si trova una norma in un testo unico, si può ritenere che essa sia effettivamente vigente, o bisogna andare a vedere il testo legislativo in cui è stata per la prima volta emanata?

La questione è stata molto discussa. Si andava a vedere in che termini era stata redatta la delega da parte del potere legislativo, quando vi era stata, e, secondo i casi, si concludeva per il valore autentico del testo unico o meno. In altri termini, siccome non vi erano disposizioni specifiche al riguardo, il prendere in mano un testo unico era comodo, sì, ma lasciava sussistere l’incertezza che si fosse andati oltre i limiti della delega e che la norma riportata non fosse esattamente quella un tempo emanata. Di qui la conseguenza che, basandosi sul testo unico, si poteva essere tratti in errore.

Per eliminare questi inconvenienti, siccome ritengo che il testo unico sia rivolto in genere a fornire un nuovo documento per la conoscenza della legge, a mutarne la sola fonte di cognizione, cioè il solo documento, la sola parte materiale, sarebbe opportuno che nella Costituzione si accennasse al problema, e risultasse come il testo unico debba considerarsi quasi come una nuova promulgazione. Qual è il valore da attribuire a questa nuova promulgazione? Qual è il valore, del testo originariamente emanato rispetto al nuovo testo unico? Il problema non si presenta per la prima volta nel campo dell’emanazione delle leggi…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, la prego di tener conto del tempo.

CODACCI PISANELLI. Finisco subito. Quando una materia sia disciplinata completamente da una legge nuova, la legge precedente si ritiene abrogata; è una forma di abrogazione questa di disciplinare nuovamente e completamente una determinata materia. Così, seguendo lo stesso principio, si potrebbe attribuire questa efficacia abrogativa, estintiva o, se si preferisce, novativa, alla nuova promulgazione d’una norma giuridica.

Ecco perché propongo che si accenni ai testi unici, che si riconosca ad essi il valore di una nuova promulgazione, che si riconosca ad essi il valore di novare la fonte di cognizione, per esprimersi in termini tecnici. Ma attraverso questi aridi termini tecnici, mi propongo soprattutto di contribuire a quel progresso cui tutti aspiriamo, che deve realizzarsi oltre che negli altri campi, anche in quello della conoscenza delle leggi, perché, se è importante l’osservanza delle leggi e il fare delle leggi giuste, è altrettanto importante che le leggi siano da tutti conoscibili.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Caronia e Aldisio:

«Al primo comma, aggiungere le parole seguenti: salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere per un nuovo esame o per il referendum».

Non essendo l’onorevole Caronia e l’onorevole Aldisio presenti, s’intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: abbiano come sopra dichiarato l’urgenza, sostituire le seguenti altre: stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. L’articolo 71 dispone che le leggi entrino in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione.

Ora, può ben darsi che, per ragioni varie, sia necessario che la legge entri in vigore in un termine diverso.

È perciò che io ho proposto di sostituire alle parole del progetto le seguenti altre: «salvo che le Camere stabiliscano d’accordo un termine diverso».

Il progetto dispone: «salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

La dizione da me proposta sembrino da preferire, perché più ampia. Essa abbraccia indubbiamente un numero di casi maggiore di quello che abbracci il testo del progetto. Probabilmente la dizione dell’articolo 71 che leggiamo nel testo del progetto deriva dal fatto che l’articolo 71 dovette essere posto in relazione col primo comma del successivo articolo 72; ma, poiché questo primo comma è stato falcidiato dall’Assemblea Costituente, penso che il mio emendamento, non essendo più in relazione con la prima parte dell’articolo 72, possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«All’ultimo comma, sostituire le parole: ventesimo giorno, con le altre: quindicesimo giorno».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. All’ultimo comma dell’articolo 71 si dice: «Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

Può parere strano che si sia parlato del ventesimo giorno, mentre nella nostra prassi legislativa la vacatio legis è di quindici giorni. Perché si è parlato di venti giorni? Perché questo termine aveva una ragion d’essere in quanto collegato col successivo articolo 72, che prevedeva nel suo primo comma il referendum cosiddetto sospensivo o fermativo della legge, precisandone alcune modalità di procedura.

Ora, l’Assemblea ricorda che l’articolo 72 è stato – dopo lunga discussione – dimezzato, nel senso che è rimasto di esso solo l’ultima parte, che prevede soltanto il referendum abrogativo.

In queste condizioni non c’è più ragione di dire «ventesimo giorno». Si può tornare al termine tradizionale.

Perciò propongo che nell’ultimo comma dell’articolo 71 si sostituisca la parola «ventesimo» con la parola «quindicesimo», cioè: «Le leggi entrano in vigore non prima del quindicesimo giorno, ecc.».

Aderisco poi, personalmente, a quanto ha proposto l’onorevole Colitto.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Ho chiesto di parlare per una breve osservazione sull’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli. Egli sostiene la necessità che le norme giuridiche relative ad una determinata materia siano raccolte e coordinate in unico testo, in base a decreto del Capo dello Stato. Su questo concetto sono pienamente d’accordo.

Non sono però per nulla d’accordo su quanto ha affermato l’onorevole Codacci Pisanelli illustrando l’emendamento, poiché egli ha detto che la norma giuridica disciplinata e regolata in unico testo disposto dal Capo dello Stato costituisca una nuova promulgazione della legge. Non solo egli ha detto ciò, ma lo ha confermato col dire che si verificherebbe una specie di novazione; vale a dire noi finiremmo col far sì che il Capo dello Stato possa modificare la legge. Su questo non possiamo consentire, cioè permettere che si attribuisca al Capo dello Stato per una via indiretta ciò che per la via diretta gli viene negato. La norma giuridica dovrà essere raccolta e coordinata in unico testo che serva a precisarne la dizione, che serva a fissarne la formulazione definitiva, senza però che minimamente il contenuto e lo spirito della legge possano essere alterati. Quindi io intendo approvare l’emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, perché vi sia una materiale raccolta, in unico testo coordinato, delle norme giuridiche, le quali però devono avere la significazione e la portata loro attribuita dalle Camere legislative.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lei ha svolto il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Vorrei chiarire solo un malinteso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.

CODACCI PISANELLI. Sono perfettamente d’accordo con l’oratore che mi ha preceduto. È appunto perché intendo che non possa essere modificata la norma, che ho parlato di testi unici con valore di nuova promulgazione.

MASTINO PIETRO. E di novazione.

CODACCI PISANELLI. È sempre promulgazione. Ora, la promulgazione non potrebbe modificare il testo deliberato dall’Assemblea legislativa. Quando parlo di nuova promulgazione, mi riferisco semplicemente alla parte documento, non alla parte contenuto della norma. Del resto, se non adotteremo la formula proposta, il testo unico presenterà l’inconveniente precedente. Cioè potrà darsi che non riproduca esattamente il testo originario e a rigore non giovi a nulla, perché occorrerà sempre andare a vedere il testo originario. Solo questo volevo dire. Sono perfettamente d’accordo con il mio interlocutore, ma intendevo fare in maniera che il testo unico servisse ad assicurare la certezza della norma.

PRESIDENTE. Prego la Commissione di esprimere il suo avviso sopra gli altri emendamenti.

TOSATO. La Commissione accoglie l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto e l’emendamento presentato or ora dall’onorevole Perassi.

Per quanto riguarda il più ampio emendamento proposto dall’onorevole Codacci Pisanelli, questo emendamento solleva due questioni di ordine diverso: una questione molto grave e di indole generale relativa al problema della irretroattività della legge; l’altro problema relativo ai testi unici.

Per quanto riguarda la irretroattività della legge, vorrei ricordare che l’Assemblea ha già votato un articolo che sancisce la irretroattività della legge in materia penale. Nelle altre materie, pur essendo d’accordo, di massima, sul principio generale e fondamentale della irretroattività della legge, la Commissione, dopo di avere esaminato in tutti i suoi aspetti la questione, non ritiene opportuno inserire nella Costituzione una specifica norma che stabilisca, senza eccezioni, la non retroattività della legge. Tale norma rigida potrebbe dar luogo ad inconvenienti. Si pensi, ad esempio, alle gravi difficoltà che sorgerebbero in materia di modificazioni in aumento degli stipendi, cui si ritenga di dare efficacia retroattiva.

Per quanto riguarda l’altro problema relativo ai testi unici, io ritengo che la Costituzione debba essere molto sobria e che la Costituzione debba occuparsi soltanto di ciò che è veramente essenziale. Ora, relativamente al problema dei testi unici le questioni sono due: o si tratta puramente e semplicemente di accogliere in un unico testo, senza introdurvi modificazioni, le disposizioni legislative contenute in leggi diverse, ed allora questa è cosa che può fare il Governo, come può fare qualsiasi privato; o si tratta, invece, ed è questo soltanto il problema pratico, di coordinare varie disposizioni legislative contenute in leggi diverse, allo scopo di coordinarle non solo dal lato formale, ma anche sostanziale, apportandovi le necessarie modificazioni, e allora, evidentemente, occorre una delegazione legislativa già prevista e disciplinata dalla nostra legislazione. Per questa ragione la Commissione non è favorevole all’accoglimento dell’emendamento Codacci Pisanelli.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Avevo chiesto di parlare sul punto relativo al messaggio presidenziale sospensivo della legge. Posso parlarne ora?

PRESIDENTE. Sì, nell’emendamento Bozzi si parla appunto del messaggio.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Prendo argomento da questo punto su cui ora l’Assemblea è chiamata a pronunciarsi, per mettere in rilievo la gravità delle deliberazioni che si stanno per prendere. Qui si tratta di sapere se il Presidente, il Capo dello Stato, in questo momento solenne della vita della Nazione, quale è la proclamazione del diritto, debba essere del tutto estromesso. Come dissi oggi stesso, io penso che sia una curiosa maniera di affermare devozione verso la Repubblica quella di volere il Capo dello Stato di questa Repubblica quanto meno autorevole sia possibile.

Badate, voi aprite la via ad una quantità di conflitti pericolosissimi, perché non è possibile che un Capo dello Stato, a meno che non sia un fannullone, un fainéant, possa adattarsi ad essere e restare estraneo al compimento dell’atto, in cui la volontà dello Stato si manifesta nella forma più solenne. L’onorevole Ruini mi ha detto, che la sanzione non fu mai applicata, e che si tratta di un elemento affatto decorativo.

Si può intanto rispondere che qualche volta anche gli elementi decorativi hanno la loro importanza e la storia insegna come all’autorità si addica un carattere augusto. Ma, anche dal lato sostanziale, sa il collega Ruini la ragione per cui la sanzione era caduta in disuso? Non perché il Capo dello Stato si estraniasse da questo potere, ma perché sussisteva un istituto che qui vedo abolito, se non m’inganno, perché io non mi raccapezzo più in queste disposizioni che sono state sospese, riprese, accantonate, emendate… Comunque, non m’inganno nel ritenere che non ci sia più traccia di sessioni, come periodi del lavoro parlamentare e legislativo. Or si capisce come gli uomini politici nella vita normale dello Stato, prima subalpino e poi parlamentare, non fossero mai ricorsi al rifiuto della sanzione, perché attraverso la proroga della sessione raggiungevano il medesimo fine, con mezzi assai più semplici. Il rifiuto della sanzione infatti poneva un contrasto aspro, aperto, violento fra Capo dello Stato e Parlamento, il che era prudente evitare, in tanto più in quanto non era necessario. Bastava ricorrere appunto alla proroga della sessione, ed allora, secondo la disposizione dello Statuto, una delle conseguenze era che tutti i disegni di legge cadevano…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiudevano la sessione, non la prorogavano.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Appunto, ma la espressione proroga è della Costituzione inglese. Vi sto dicendo che non si ricorreva alla sanzione, perché c’era il mezzo più semplice di chiudere le sessioni. Ma voi togliete al Capo dello Stato la facoltà della proroga delle sessioni, e gli togliete pure la sanzione.

Si può bene supporre che una data legge apparisca al Capo dello Stato come rovinosa di interessi vitali dello Stato. Sapete che mezzo gli resterà? Guardate in quali fossi (stavo per dire abissi, ma è meglio non drammatizzar troppo ed uso la parola «fossi») insabbiamo questo nostro disordinato ordinamento: un Capo dello Stato lo chiamate responsabile – questo poi è un altro punto – e lo inviate all’Alta Corte per alto tradimento, e sta bene, ma anche per violazione della Costituzione.

La violazione della Costituzione è una espressione molto elastica. Si potrà sempre affermare che con una data legge la Costituzione fu violata. Chissà quante volte lo si dirà.

L’interpretazione di un testo può sempre dar luogo a dubbi! Ora, voi dichiarate niente meno che il Capo dello Stato può essere tradotto in Alta Corte per violazione della Costituzione e poi gli affidate la promulgazione di una legge che può essere la violazione della Costituzione. Egli verrebbe così ad essere per lo meno lo strumento di un eventuale delitto gravissimo. È allora umanamente spiegabile che egli ricorra ad ogni mezzo per impedirlo. Prima bastava una semplice chiusura di sessione, ora dovrà servirsi dello scioglimento della Camera: rimedio incomparabilmente più grave e più pericoloso.

Io voterò l’emendamento dell’onorevole Bozzi, che considero come un male minore. Ma badate bene, onorevole Ruini! Quando voi dicevate: «i piloni!». Che Repubblica facciamo noi? A meno che non si voglia fare come l’abate Siéyès.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Ripugna a voi stesso passare alcune notti a scrivere delle Costituzioni su svariati modelli e poi metterle in pubblico come vestiti confezionati dalla «Rinascente». Le Costituzioni si creano con il costume, con la lenta evoluzione, con successivi adattamenti a bisogni nuovi, non per atti di una volontà capace, libera. Non c’è bisogno di ricorrere ai cinesi antichissimi ricordati dall’onorevole Codacci Pisanelli. Tutta la storia delle Costituzioni dimostra che sono i popoli nella loro storicità che le formano e il costume che le consacra.

Quante forme di repubbliche abbiamo? Due: la parlamentare e la presidenziale. Non si deve pretendere di creare una terza specie, che non si sa bene che sia. In questo momento io non faccio una digressione. Io voterò l’emendamento Bozzi, ma questo emendamento suppone la Repubblica presidenziale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No!

PERASSI. In Francia c’è.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. L’istituto è proprio della Repubblica presidenziale; nella forma parlamentare il Capo dello Stato è sempre presente nelle persone dei Ministri. Allora noi facciamo una repubblica presidenziale? No, perché i Ministri rispondono al Parlamento e non al Presidente. Dunque, sarebbe una repubblica parlamentare? Ma se è una repubblica parlamentare, come si collega il voto del mio amico Bozzi con questo Consiglio di Ministri, con questo Presidente di Consiglio, che ha visto nascere e crescere quella legge di cui poi il Capo dello Stato potrà dire: «Non mi piace»? Vedete che conflitto può nascere?

In fatto di istituzioni bisogna adottare istituzioni consacrate dall’uso. Queste si possono modificare con successivi adattamenti, perché allora diventa questo un modo di progresso ed anche di trasformazioni imposte dalla vita concreta. Ma l’aver fatto una repubblica che non si sa bene se sia parlamentare (perché in molti casi è ultraparlamentare) o presidenziale, è veramente quel salto nel buio cui ho alluso dianzi o per cui c’è da augurarsi che non ne derivino fratture o contusioni gravi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi. Egli, in sostanza, cerca di far entrare per vie traverse nella Costituzione, una specie di sanzione attenuata. Ma non è questo che conta.

Il fatto è che a noi sembra che l’emendamento Bozzi in regimo di Repubblica parlamentare sia controproducente. Infatti, poniamo che il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato, domandi alle Camere una nuova deliberazione. Poniamo che le Camere confermino la deliberazione già presa. Ebbene, dopo questa conferma, indubbiamente, la figura del Presidente della Repubblica viene ad essere sminuita.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Due semplici rilievi, specialmente per quanto riguarda l’intervento dell’onorevole Vittorio Emanuele Orlando.

Evidentemente, Presidente Orlando, qui vi sono due diverse concezioni del Governo parlamentare e della figura del Capo dello Stato.

Vorrei ricordare che l’articolo 88, nel testo proposto dalla Commissione, dice che un voto contrario dell’una o dell’altra Camera su una proposta del Governo non importa dimissioni. A quale preoccupazione risponde questo comma? Evidentemente a quella di rendere più stabile possibile il Governo e di non costringerlo alle dimissioni, se una qualsiasi sua proposta non è accolta dalle Camere.

Ora, un caso di proposta governativa non accolta dalle Camere può essere questo: un disegno di legge presentato alle Camere da parte del Governo non è accolto oppure è approvato dalle Camere con profondi emendamenti, che investono da vicino la politica generale del Governo. In questo caso, evidentemente, il potere del Governo, cioè del Presidente insieme col suo Governo, di rinviare alle Camere per un nuovo esame una legge da esse già deliberata, può servire ad evitare certe possibilità, quali le dimissioni del Governo o lo scioglimento delle Camere.

Per quanto riguarda l’altro rilievo fatto dal Presidente Orlando e anche dall’onorevole Preti, cioè l’avere stabilito nel progetto che il Presidente della Repubblica è responsabile non soltanto per alto tradimento, ma anche per violazione della Costituzione, siamo perfettamente d’accordo. Qual è la situazione del Presidente? Egli deve promulgare le leggi e quindi non può essere responsabile di un atto evidentemente obbligatorio. Tuttavia, se teniamo presente la posizione e la funzione, che abbiamo voluto attribuire al Presidente della Repubblica, di organo che non concorre a determinare positivamente e sostanzialmente le decisioni politiche del Governo, e d’altra parte non è nemmeno un organo puramente decorativo, con funzione simbolica, se teniamo presente che, secondo questa nostra Costituzione, il Presidente ha compito fondamentale, sebbene non esclusivo – è prevista infatti la Corte Costituzionale – di salvaguardare e di tutelare l’osservanza della Costituzione nello svolgimento dell’attività degli organi costituzionali, sembra sommamente opportuno che, proprio per questa sua altissima funzione, il Presidente, prima di pubblicare una legge, possa avere il potere di rinviarla alle Camere stesse, per un riesame.

Per queste ragioni, insistiamo sull’emendamento Bozzi, senza tema di introdurre così nella Costituzione un elemento proprio e caratteristico del Governo presidenziale; tanto più che questa possibilità del Presidente di rinviare alle Camere una legge da esse deliberata, non è caratteristica esclusiva della Repubblica presidenziale, essendo adottata anche dalla Costituzione di Repubbliche parlamentari.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei pregare l’onorevole Codacci Pisanelli di non insistere sulla proposta della retroattività della legge civile, che è stata esaminata dalla dottrina e dai Governi con tanta attenzione e pazienza, in tutti i paesi; e tutti hanno riconosciuto che non è possibile prescriverla in senso assoluto e senza possibilità di eccezione, come si farebbe qui, mettendola nella Costituzione. Abbiamo provveduto, come era necessario, stabilendo la irretroattività delle pene. Non possiamo stabilire il principio stesso, rigidamente, in altri rami del diritto. Come fare in una società come la nostra, così piena di movimento e di trasformazioni economiche? Né si tratta, con l’irretroattività, di tutelare diritti quesiti (di cui è comunque ben difficile la definizione); vi sono casi in cui la retroattività può esser utile… ad esempio agli impiegati, cui si concedano aumenti retroattivi di stipendio. Se fosse sancita l’irretroattività, non se ne farebbe nulla. Meglio lasciare che il principio sia stabilito, nei termini più opportuni, nei Codici, ma lasciando a leggi particolari, per date materie, la possibilità di deroghe.

Non vorrei replicare all’onorevole Orlando; mi limito a chiedergli se vi è stato mai un caso in cui si sia chiusa una sessione per non dare la sanzione ad una legge. Il Governo ha in più casi chiuso la sessione perché non andava d’accordo con le Camere, e voleva così influire sul lavoro legislativo; ma è tutt’altra cosa che la sanzione.

L’onorevole Orlando ha detto con tanta nobiltà: state alla tradizione! Noi vogliamo attenerci ad essa, e ad essa ci siamo attenuti, in quanto non era in contrasto con esigenze irreducibili del processo democratico. Ma non possiamo, per il feticismo della tradizione, conservare ciò che è ormai un anacronismo. Né possiamo tenere in vita, come cose vive, disposizioni già morte, come i tre famosi reliquati di articoli dello Statuto albertino, di cui ho già parlato. Non vogliamo risuscitare fantasmi. E tradizione vuol dire non fermarsi, ma camminare nel suo solco. Jaurès diceva che un fiume non rinnega la fonte, mentre va alla foce.

Né giova badar troppo ai nomi ed alle etichette. Stato parlamentare può avere vari significati. Può anche voler dire – lo ho ripetuto – lo Stato ad un solo Parlamento da cui dipendono come commessi tutti gli altri organi dello Stato…

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Non significa questo!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo; ma non si può credere di risolvere i problemi con posizioni teoriche e con designazioni, che riferendosi a varie situazioni e tipi storici, si prestano a varie interpretazioni.

Non tengo affatto ai due piloni, che non è una teoria, ma un’immagine per richiamare l’attenzione. Mi serve a dire che il pilone che dobbiamo riedificare non è quello del re. Non pensiamo neppure come avviamento ad un sistema presidenziale; tutt’altro: il nostro Presidente della Repubblica non è Capo del Governo; è un moderatore supremo fra i poteri dello Stato, in un edificio che basa tutto sulla sovranità popolare.

Non possiamo indulgere a ciò che è troppo vecchio, e – si noti – era già vuoto di contenuto. Vogliamo camminare avanti, con cautela ma con fermezza. La Costituzione non può essere immobile; saranno necessarie modificazioni ed aggiunte, per tener conto appunto dell’esperienza che si farà. È l’indirizzo che deve essere chiaro e sicuro. (Applausi).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se vi insistono. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

CARONIA. Vi rinunzio e aderisco a quello Bozzi.

PRESIDENTE. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

CODACCI PISANELLI. Il primo è ormai superato. Insisto, invece, sul secondo.

PRESIDENTE. Sta bene. L’emendamento dell’onorevole Colitto, dato che è stato accettato dalla Commissione, naturalmente s’intende mantenuto. E così pure per quanto riguarda gli emendamenti Perassi e Bozzi.

Passiamo ora alle votazioni.

Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 71 nel testo del progetto, che coincide col primo comma del testo proposto dall’onorevole Bozzi e che è del seguente tenore:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma che nel testo Bozzi è del seguente tenore:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione, se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Su questo comma gli onorevoli Moro, Benvenuti, Uberti, Salizzoni, Cremaschi Carlo, Balduzzi, Coppi, Giordani, Bosco Lucarelli, Valenti, De Palma, Bertone, Romano, Orlando Camillo e Tozzi Condivi hanno chiesto la votazione per appello nominale.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Se questo può servire a far ritirare la domanda di appello nominale, io dichiaro che il nostro Gruppo voterà contro l’emendamento Bozzi, in quanto ritiene che esso sia controproducente, e cioè che indebolisca anziché rafforzare il Capo dello Stato e che stabilisca un pericolo nell’interno del potere esecutivo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Dichiaro che voterò contro l’emendamento Bozzi e dal punto di vista mio personale credo di farlo con motivi di coerenza in quanto io mi sono opposto tenacemente, nella forma più decisa, perché fosse stabilito nella Costituzione – e mi pare che la maggioranza della Costituente abbia poi deciso d’accordo con me – l’obbligo assoluto, che vi era secondo la proposta della Commissione, che l’un ramo del Parlamento si pronunciasse in un certo brevissimo termine, quando l’altro si era pronunciato, approvando un disegno di legge.

Io ho sostenuto che questa coartazione, questa pretesa necessità e questa specie di messa in mora, era assolutamente assurda, e che anzi un ramo del Parlamento avesse perfettamente diritto di non pronunciarsi, se in questo senso era la sua inclinazione e se il Governo non credeva esso di porre in contrario una questione di fiducia, appunto perché la non pronuncia di uno dei due rami del Parlamento avrebbe sortito un effetto analogo a quello che era il decreto di chiusura di sessione, la soppressione del quale istituto rendeva più che mai necessaria questa indipendenza dei due rami del Parlamento l’uno dall’altro.

Ritengo però che una volta che ormai v’è questa possibilità che un progetto di legge, anche approvato da un ramo della Camera, possa essere lasciato cadere, cade completamente la coerenza logica di ammettere che il Presidente, emanazione dei due rami del Parlamento, di fronte ad una legge divenuta perfetta per l’approvazione dei due rami del Parlamento, e contro la quale approvazione egli aveva tutta la possibilità di intervenire tempestivamente, non possa opporre una forma indiretta di effetti moratori e di richiesta di seconda pronuncia, perché la seconda pronuncia, per le esigenze del mio punto di vista politico, è già esaurita dal sistema parlamentare bicamerale.

Per questi motivi, che io ritengo di coerenza logica e conformi al sistema parlamentare bicamerale, voterò contro l’emendamento Bozzi.

PRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Chiedo che il secondo comma dell’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi all’articolo 71 sia posto in votazione per divisione. E più precisamente vorrei fossero escluse dalla prima votazione le ultime parole: «a maggioranza assoluta dei loro membri», in quanto può darsi che vi siano deputati disposti a votare il resto dell’articolo, ma non queste ultime parole.

PRESIDENTE. Sta bene.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome dei colleghi del mio Gruppo, che noi voteremo a favore di tutto l’emendamento Bozzi, aderendo sostanzialmente alle dichiarazioni della Commissione, in correlazione delle quali noi intendiamo costruire un tipo più robusto di Governo parlamentare, in parte già contemplato da altre Costituzioni.

COSTANTINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Per le ragioni che ho esposto dianzi, il Gruppo parlamentare socialista voterà contro l’emendamento Bozzi. Dirò solo che vi è un altro motivo oltre a quelli già detti: ed è la considerazione della crisi che verrebbe a determinarsi tra il Presidente della Repubblica ed il potere legislativo, nella ipotesi in cui – nel riesame del provvedimento legislativo – esso ottenesse una maggioranza relativa anziché assoluta dalle Camere.

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Dichiaro di votare a favore di tutto l’emendamento proposto dall’onorevole Bozzi, in quanto non sembra esatto che contrasti col concetto della Repubblica parlamentare. L’ultima parte dell’emendamento dispone che il Presidente della Repubblica debba procedere in ogni caso alla promulgazione della legge se le Camere confermano la precedente propria deliberazione, il che sta a dimostrare che la Repubblica parlamentare ha libertà assoluta di movimento.

Si è osservato da parte dell’onorevole Laconi che la votazione di questo emendamento verrebbe ad avere un effetto controproducente, in quanto risulterebbero diminuite le funzioni e la figura del Presidente della Repubblica ove le Camere confermassero la precedente propria deliberazione, in contrasto con l’atteggiamento del Presidente stesso.

A questo io rispondo che col votare l’emendamento non intendiamo riferirci al maggiore o minore prestigio del Presidente della Repubblica, che non è in discussione, ma a quello che può essere il vantaggio del Paese, rappresentato dalla possibilità, per le Assemblee legislative, di meglio riflettere sulle proprie decisioni.

PRESIDENTE. Di fronte alla domanda dell’onorevole Preti di votare questo emendamento per divisione, in modo da escludere dalla prima votazione le parole finali «a maggioranza assoluta dei loro membri», chiedo ai presentatori della domanda di appello nominale se, dopo le dichiarazioni di voto, mantengano la loro richiesta; e, in caso affermativo, se la mantengano tanto per la votazione della prima parte dell’emendamento Bozzi quanto per quella delle predette parole finali.

MORO. Manteniamo intanto la domanda di votazione nominale per la prima parte, riservandoci di decidere in seguito per la seconda.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione per appello nominale sul secondo comma dell’emendamento Bozzi (escluse le parole finali: «a maggioranza assoluta dei loro membri», sulle quali si voterà in seguito), del quale do ancora una volta lettura:

«Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

Comincerà dall’onorevole Spallucci.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

DE VITA, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Benvenuti – Bernabei – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchini Laura – Bonino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Camangi – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caronia – Carratelli – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cosattini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fanfani – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Foresi – Franceschini – Fuschini – Fusco.

Galati – Garlato – Geuna – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Grassi – Grilli – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Malfa – La Pira – Leone Giovanni – Lizier – Lussu.

Malvestiti – Manzini – Marazza – Marconi – Marinaro – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Murgia.

Nitti – Notarianni.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paratore – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perrone Capano – Ponti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restivo – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rognoni – Romano – Roselli – Rubilli – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saggin – Salizzoni – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spallicci – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vicentini – Villabruna.

Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Arata – Assennato – Azzi.

Baldassari – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bei Adele – Bennani – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bordon – Bucci.

Cacciatore – Canevari – Caporali – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartia – Cavallotti – Cevolotto – Chiaramello – Chiarini – Chiostergi – Colombi Arturo – Corbi – Costa – Costantini – Covelli – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Michelis Paolo – Donati – D’Onofrio.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Laconi – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lozza – Luisetti.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Massini – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mezzadra – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni.

Pajetta Giuliano – Paolucci – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo.

Saccenti – Sansone – Santi – Sapienza – Saragat – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sicignano – Simonini – Stampacchia.

Targetti – Togliatti – Tomba – Tonello.

Vernocchi – Veroni – Villani – Vischioni.

Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caso.

Dozza – Dugoni.

Fantoni.

Guariento.

Jacini.

Lazzati.

Martino Gaetano – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     341

Maggioranza           171

Hanno risposto     197

Hanno risposto no    144

(L’Assemblea approva).

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Ritiro la seconda parte del mio emendamento: «a maggioranza assoluta dei loro membri».

PRESIDENTE. Sta bene. Resta pertanto conclusa la votazione sull’emendamento dell’onorevole Bozzi.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

Presentazione di una relazione.

BOZZI. Chiedo di parlare per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione della Commissione speciale per il disegno di legge: Soppressione del Senato e determinazione della posizione giuridica personale dei suoi componenti.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Sull’ordine del giorno.

CARONIA. Chiedo di parlale sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. All’ordine del giorno della seduta pomeridiana è stabilita la votazione per la nomina di tre membri della Corte costituzionale prevista dall’articolo 24 dello statuto della Regione siciliana.

Propongo che questa votazione sia rinviata, perché i deputati non sono ancora orientati sulla scelta dei candidati.

Chiederei quindi un rinvio a mercoledì o a giovedì della settimana prossima perché ci si possa meglio orientare sulla scelta.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni in contrario, l’elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Regione siciliana è tolta dall’ordine del giorno della seduta pomeridiana di oggi e rinviata ad altra seduta.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.45.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Disegni di legge (Presentazione):

Sforza, Ministro degli affari esteri

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Corbino

Moro

Benvenuti

Fuschini

Colitto

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Lami Starnuti

Nitti

Costantini

Aldisio

Codacci Pisanelli

Caronia

Gasparotto

Azzi

Preti

Clerici

Persico

Dominedò

Perassi

Rossi Paolo

Bosco Lucarelli

Romano

Orlando Vittorio Emanuele

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Caronia

Sansone

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Presentazione di disegni di legge.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SFORZA, Ministro degli affari esteri. Mi onoro di presentare i seguenti disegni di legge:

1°) «Approvazione del Protocollo di emendamento degli Accordi, Convenzioni, Protocolli sugli stupefacenti e dell’annesso Protocollo stesso»;

2°) «Approvazione dello scambio di note relativo ai danni di guerra ed all’articolo 79 del Trattato di pace, effettuato in Roma fra l’Italia e la Cina il 30 luglio 1947»;

3°) «Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947»;

4°) «Approvazione dei seguenti accordi conclusi a Roma tra l’Italia ed il Belgio:

  1. a) «Protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio e scambio di note 23 giugno 1946;
  2. b) «Scambio di note per l’annullamento dell’articolo 7 dal Protocollo suddetto 26-29 ottobre 1946»;
  3. c) «Annesso al Protocollo di emigrazione italo-belga 26 aprile 1947;
  4. d) «Scambio di note per l’applicazione immediata, a titolo provvisorio, dell’Annesso suddetto 27-28 aprile 1947»;

5°) «Approvazione dei seguenti Accordi conclusi a Roma fra l’Italia e la Svezia il 19 aprile 1947:

  1. a) «Accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia;
  2. b) «Protocollo addizionale all’accordo italo-svedese relativo all’emigrazione di operai italiani in Svezia»;

6°) «Approvazione degli accordi commerciali e di pagamento conclusi in Roma tra l’Italia ed il Belgio il 18 aprile 1946»;

7°) «Approvazione dei seguenti Accordi conclusi ad Ankara tra l’Italia e la Turchia il 12 aprile 1947:

  1. a) «Accordo commerciale;
  2. b) «Accordo di pagamento;
  3. c) «Scambio di note».

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questi disegni di legge, che saranno inviati alla Commissione competente.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo proseguire nelle votazioni relative all’articolo 79, alle quali abbiamo dato inizio nella mattinata.

Ricordo che si è proceduto a due votazioni, in base alle quali la prima parte dell’articolo 79 risulta così formulata:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze».

L’onorevole Corbino ha presentato un emendamento aggiuntivo, del seguente tenore:

«Ad eccezione della Val d’Aosta».

Ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Volevo soltanto far notare che l’eccezione non è fatta per la Val d’Aosta come Val d’Aosta, ma unicamente perché la Val d’Aosta, con una popolazione di poco più 60 mila abitanti, ha già un senatore e un deputato e quindi, è già rappresentata nell’Assemblea con un votante per ogni 30 mila abitanti, mentre per tutto il resto degli italiani si ha un votante ogni 50 mila abitanti. Concedendo altre rappresentanze, noi accentueremmo il principio del voto plurimo, e non credo che ciò corrisponda alle condizioni generali che sono state già inserite nella Costituzione.

PRESIDENTE. Credo che l’onorevole Ruini non abbia nulla da aggiungere a quanto ha detto nella mattinata;

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Cordino:

«ad eccezione della Val d’Aosta».

(È approvato).

Passiamo al secondo comma, che nel testo della Commissione è del seguente tenore:

«L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi».

Mi fermo a questa prima parte, perché occorre mettere in votazione l’emendamento Tosato, il quale ha dichiarato di volerlo conservare a titolo personale.

Pongo in votazione questa prima parte del secondo comma.

(È approvata).

Segue l’emendamento dell’onorevole Tosato, così formulato:

«Se al terzo scrutinio non si raggiunge la maggioranza, il Presidente sarà eletto a suffragio universale diretto. Le Camere riunite designano un candidato di maggioranza ed un candidato di minoranza».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. L’emendamento è stato presentato a titolo personale. Il nostro Gruppo, ritenendo che, attraverso al sistema di elezione stabilito questa mattina, è garantita l’autorità del Capo dello Stato, voterà contro.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. A titolo puramente personale dichiaro che voterò favorevolmente all’emendamento Tosato, per varie considerazioni che non sto qui a riassumere; ma specialmente perché alla prima elezione – che avrà portata storica – del Presidente della Repubblica, dopo la promulgazione della Costituzione non potranno intervenire le rappresentanze regionali perché le Regioni non saranno ancora costituite. Aderisco pertanto all’emendamento dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato, di cui ho dato testé lettura.

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la seconda parte del testo in esame:

«e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri che compongono l’Assemblea a questo fine».

(È approvato).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero soltanto far rilevare che, nella ipotesi in cui noi non approveremo altri casi di riunione del Parlamento in seduta plenaria, potremo aggiungere all’articolo 79 la disposizione relativa alla Presidenza della seduta del Parlamento, analogamente a quanto avviene per la Costituzione francese, che affida all’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati la Presidenza dell’Assemblea Nazionale. Si potrà presentare eventualmente un emendamento aggiuntivo al riguardo, dopo che avremo trattato tutta questa parte.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo ora all’articolo 80. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Sono eleggibili i cittadini che hanno compiuto quarantacinque anni di età e godono dei diritti civili e politici.

«L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.

«L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge».

PRESIDENTE. Su questo articolo l’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alla parola: quarantacinque, sostituire la parola: cinquanta».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Non c’è bisogno di illustrare questo emendamento. Io propongo in sostanza che l’età del Presidente della Repubblica sia elevata da 45 a 50 anni, anche per una ragione di rapporto con l’età dei senatori che abbiamo elevata da 35 a 40 anni.

Del resto, credo che elevare l’età del Presidente sia indispensabile per assicurarsi una maggiore esperienza di vita in colui che è chiamato a coprire una così alta carica.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dall’onorevole Colitto, così formulato:

«Al secondo comma, alla parola: carica, sostituire le parole: pubblico ufficio».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Indubbiamente l’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con gli altri uffici pubblici, i quali importino una qualsiasi sottomissione, anche transitoria, ad un’autorità. Nulla da dire circa la sostanza della norma. Il mio emendamento attiene alla forma. Ritengo che, esistendo incompatibilità tra l’ufficio di Presidente e gli altri uffici pubblici, questo occorra affermare nella Costituzione, usando queste parole e non altre, anche perché mi sembra che non sia opportuno usare in un testo giuridico parole diverse per esprimere uno stesso concetto..

Ecco perché ho proposto che alla parola «carica» siano sostituite le altre «pubblico ufficio».

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Crispo:

«Al secondo comma premettere le parole: fuori del caso di cui all’articolo 82».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Nell’articolo 80 si prevede l’incompatibilità dell’ufficio di Presidente della Repubblica con qualunque altra carica e ciò in contradizione con quanto è stabilito nell’articolo 82, in cui è detto che l’ufficio di Presidente della Repubblica può essere esercitato dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, il quale diventerebbe provvisoriamente Presidente della Repubblica in caso di impedimento fisico o di assenza, o di incapacità giuridica del Presidente titolare, tutte ipotesi contemplate nell’articolo 82.

Allora io dico che occorrerebbe premettere alla norma, nella quale si prevede l’incompatibilità, le parole: «Fuori dei casi di cui all’articolo 82».

Si potrebbe osservare che la funzione del Presidente della Repubblica nel caso dell’articolo 82 è limitata appena a 15 giorni; ma, indipendentemente dal fatto che per l’articolo 80 – quando cioè le Camere siano sciolte – questo termine può essere di gran lunga maggiore, a mio avviso la durata della funzione non pregiudica il principio che è quello dell’incompatibilità. Che la funzione duri poco o molto, se si è voluto stabilire questa incompatibilità, occorre anche stabilire una precisazione all’articolo 80.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

TOSATO. A noi sembra che questo emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Crispo non sia necessario, e non soltanto perché si tratta di una sostituzione del Presidente della Repubblica a titolo puramente provvisorio. Ritengo opportuno tener presente il testo dell’articolo 82 del Progetto, che reca: «Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate, ecc.».

Dunque non si tratta di assunzione di carica, ma di esercizio di funzione a titolo provvisorio, di supplenza. Perciò l’eccezione all’articolo 82 non è necessaria. Evidentemente, le incompatibilità previste dall’articolo 80 non sussistono per chi temporaneamente ne fa le veci. Per quanto riguarda l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini, la Commissione ritiene non opportuno elevare il limite di età da 45 a 50 anni. L’età richiesta dal Progetto rappresenta un termine medio.

Per quanto riguarda, infine, l’emendamento dell’onorevole Colitto, pregherei l’onorevole collega di volerlo trasformare in raccomandazione, della quale sarà tenuto conto al momento della revisione finale degli articoli approvati da questa Costituente.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene il suo?

COLITTO. Lo trasformo in raccomandazione.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo. mantiene il suo?

CRISPO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo allora alla votazione dell’articolo 80. Pongo innanzi tutto in votazione il primo comma con l’emendamento dell’onorevole Fuschini, non accettato dalla Commissione:

«Sono eleggibili i cittadini che hanno compiuto cinquanta anni di età e che godono dei diritti civili e politici».

(È approvato – Commenti – Approvazioni).

Pongo in votazione il secondo comma: «L’Ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo, che la Commissione ha dichiarato di non accogliere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei aggiungere un’altra preghiera all’onorevole Crispo. Noi abbiamo seguito come criterio – comune a quasi tutte le buone Costituzioni – di non citare articoli e commi, per non dare un carattere di regolamento alla Costituzione, ed anche per una ragione di estetica. Quindi, inteso che lo spirito è salvato e che si tratta di funzioni provvisorie e non di ufficio, pregherei l’onorevole Crispo di desistere.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Se si stabilisce un principio fondamentale, che cioè non possono cumularsi le cariche con quella di Presidente della Repubblica, ed invece nell’articolo 82 questo cumulo si prevede, io chiedo che per una questione di tecnica legislativa si dica, come ho proposto: «fuori del caso di cui all’articolo 82».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Crispo, di aggiungere alla fine del secondo comma le parole:

«Fuori del caso di cui all’articolo 82».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’ultimo comma dell’articolo 80:

«L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 81. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

«Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente dell’Assemblea Nazionale convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica.

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione dei Presidente della Repubblica ha luogo entro quindici giorni dalla costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

PRESIDENTE. A questo articolo gli onorevoli Caronia e Aldisio hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «Il Presidente della Repubblica viene eletto per sei anni e può essere consecutivamente rieletto non più di una volta».

Non essendo presenti, si intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: per sette anni, aggiungere: e non è rieleggibile».

Ha facoltà di svolgerlo.

LAMI STARNUTI. Rinunzio all’emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene.

L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: il Presidente dell’Assemblea Nazionale, le parole: il Presidente più anziano per età di una delle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Ho proposto di sostituire le parole «Il Presidente dell’Assemblea Nazionale» con quelle di «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere» (quindi o il Presidente della Camera dei deputati o il Presidente del senato), nel senso cioè che sia il più anziano tra i due al quale spetti di indire, entro i trenta giorni, la convocazione delle Camere riunite e dei consiglieri regionali, perché si proceda alla nomina del Presidente.

Lo stesso vale per l’articolo 82.

Mi pare che sia una soluzione che non offenda nessuna delle due Camere. In caso diverso dovremmo in questa sede dare la prevalenza all’una o all’altra Camera. Siccome mi pare, dalle discussioni avvenute, che non si voglia dare la prevalenza ad una delle due Camere, credo che sia più opportuno riferirsi ad una condizione di carattere obiettivo, che si può verificare nei riguardi ora del Presidente di una Camera ora del Presidente dell’altra. Quindi, credo sia una soluzione che si possa accettare.

PRESIDENTE. Forse, onorevole Fuschini, il problema che lei pone (e che è analogo a quello posto dall’onorevole Corbino in relazione a chi debba assumere la Presidenza dell’Assemblea Nazionale al momento dell’elezione) lo potremo risolvere nel momento in cui risolveremo il quesito generale circa il Presidente delle sedute in comune delle due Camere.

L’onorevole Crispo ha presentato insieme con gli onorevoli Cifaldi e Morelli Renato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, alle parole: sono prorogati, sostituire la parola: perdurano».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CRISPO. L’ultima parte dell’articolo 81, dice testualmente: «Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Evidentemente penso che, nell’intenzione dei compilatori dell’articolo, si volesse dire: «Nel frattempo s’intendono prorogati i poteri del Presidente della Repubblica»; perché, così come è redatto l’articolo, esso si presterebbe a questa interpretazione letterale: che occorresse eventualmente un atto di proroga ed eventualmente un organo delegato per compiere questo atto di proroga.

Onde, data questa equivoca interpretazione che quella dizione consente, vorrei che si sostituisse alle parole «sono prorogati» la parola «perdurano». L’intera frase suonerebbe, pertanto: «Nel frattempo perdurano i poteri del Presidente in carica».

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per quattro anni»

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo.

NITTI. Le altre Costituzioni, oltre a fissare termini, stabiliscono altre convenzioni ed ammettono o non ammettono la possibilità da parte del Presidente di essere rieletto. Se si ammette che il Presidente possa essere rieletto, il termine di quattro anni è più che sufficiente.

Perché in America non si è mai voluto variare questo termine? La Francia volle adottare il termine di sette anni, ma la Francia fece una Costituzione repubblicana con criteri monarchici, perché quella del 1875 fu una Costituzione scritta da monarchici, che lasciò al Presidente funzioni e attribuzioni esteriori piuttosto monarchiche che repubblicane.

L’America ha conservato la tradizione repubblicana ed il Presidente è eletto per quattro anni, e ciò è tanto difficile a mantenere in America quanto non sarebbe da noi. L’elezione del Presidente avviene per suffragio universale a doppio grado, perché si fa la scelta dei designati a nominare il Presidente e sono essi che lo designano, e la procedura è piuttosto costosa e complicata.

Ma fra i tanti emendamenti proposti alla Costituzione (proposti e non mai accettati se non in piccolo numero) non vi è stato mai quello di cambiare la durata della funzione del Presidente. Il Presidente dura quattro anni, termine molto ampio o almeno abbastanza largo, perché vi è sempre il correttivo della rielezione. Quando si crede che sia utile conservare una grande personalità, la si rielegge. In generale pochi Presidenti sono stati rieletti.

Ora il termine di 7 anni da noi è lungo e bisogna che il Paese sia consultato dopo un certo tempo. Quattro anni nei paesi moderni costituiscono un lungo tempo. Noi vogliamo fare un termine di 7 anni e lo abbiamo accettato perché c’è in Francia, senza badare che là il popolo viene troppo scarsamente consultato ed anche in questa nostra Costituzione c’è la tendenza a consultarlo con scarsezza. Ora, un termine di 4 anni per il Presidente della Repubblica è un tempo sufficiente da noi. Se ci abbandoniamo ad un lungo periodo di durata presidenziale, determiniamo proprio quella tendenza di allontanarci dalla consultazione popolare, la quale tendenza dopo 7 anni è ancora più grave che dopo 4, perché ci si è fatta l’abitudine. E però io credo che non abbiamo nulla da perdere riducendo questo termine a quello stabilito per il Presidente della Repubblica in America; beninteso, se vi è la necessità della rielezione può accadere, come è accaduto per Roosevelt, non solo la seconda, ma, caso unico, la terza rielezione. Lasciamo al popolo la libertà di scegliere; consultiamo il popolo. Che bisogno c’è di fissare un lungo termine? Il popolo può cambiare opinione sulla persona, non solo, ma sull’ambiente della persona.

I Presidenti che sono stati perduti, lo sono stati per le persone che li l’attorniavano, all’infuori delle loro colpe personali o dei loro errori, perché pare che non ne avessero mai; avevano però la disgrazia che si vendevano le decorazioni della Legion d’Onore. Ora noi non abbiamo questa necessità. Credo anche che la scelta del Presidente debba essere fatta in tal modo da dargli sempre la sensazione che il suo ufficio non è duraturo, perché soltanto questa sensazione lo avvicina alla realtà. Più si allontana il Presidente dalla realtà e meno opere compie.

In caso di mancanza o di morte del Presidente, chi lo deve sostituire? Si procede, in Francia, rapidamente alla nomina del nuovo Presidente. In America non è facile, perché bisogna fare tutta la procedura di una elezione per una così grande Repubblica, e per di più elezione a doppio grado. In America c’è un sistema che parrebbe contradittorio. Il Vicepresidente della Repubblica è Presidente del Senato, senza essere senatore. Prova mirabile di senso politico, perché tiene fra il potere esecutivo ed il potere legislativo una comunicazione diretta. Se muore il Presidente o non può funzionare, egli succede al Presidente, e se mancano tutti e due allora è stabilita una serie di gradazioni. Diventa Presidente in questo caso il Segretario di Stato, cioè il Ministro degli Affari esteri, oppure a lui segue nella via della graduatoria il Presidente della Corte Suprema. Noi non abbiamo bisogno di fare questa gerarchia, perché noi facciamo rapidamente l’elezione e in pochi giorni si provvede al successore, ma ciò che mi pare necessario adesso è di fissare i limiti della carica di Presidente. Io credo utile fissarli in 4 anni.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire alle parole: Assemblea Nazionale, le parole: Camera dei deputati».

L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

CORBINO. Non tendo ad una sostituzione relativa all’assunzione della Presidenza, in relazione all’osservazione che avevo già fatto a proposito dell’articolo 79. Credo che debba essere proprio un’attribuzione del Presidente della Camera dei deputati quella di convocare le Camere riunite o l’Assemblea Nazionale per la elezione del Presidente. Ciò appare tanto più necessario in quanto che noi abbiamo stabilito di far partecipare all’elezione del Presidente i rappresentanti dei Consigli regionali. Occorre, quindi, una preparazione elettorale presso i consigli regionali, che richiederà un lungo preavviso. La questione può poi collegarsi al successivo articolo 82 per quanto concerne l’esercizio dei poteri del Presidente dell’Assemblea Nazionale, in caso di impedimento del Presidente della Repubblica, ma vedremo poi come si possa risolvere questo problema.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io mi renderei conto, onorevoli colleghi, delle preoccupazioni che hanno determinato l’emendamento dell’onorevole Nitti, se nel nostro Paese noi avessimo in animo di creare una Repubblica sul tipo americano, cioè una repubblica presidenziale.

Ma la nostra è una repubblica parlamentare. I poteri del Presidente, del Capo dello Stato sono poteri limitati, sono poteri soggetti a costante controllo delle due Camere del Parlamento. Ora io non credo che, protraendo il termine fino a sette anni, vi sia pericolo di perpetuare, come ha detto l’onorevole Nitti, la tendenza al potere del Presidente eletto. E questo dico perché sia mantenuto il termine proposto dalla Commissione, anche per una ragione di praticità. In effetti, noi abbiamo stabilito che il Senato dura in funzione sei anni. Sarebbe strano che la stessa Camera, cioè gli stessi deputati e gli stessi senatori venissero convocati ogni quattro anni per ripetere la nomina del Presidente della Repubblica. Se il Senato dura sei anni, è logico che la nomina del Presidente, avvenga ogni sette anni, perché in tal caso avremo differenti Assemblee che provvederanno alla designazione.

Questa ragione mi sembrerebbe sufficiente a mantenere il termine stabilito dal progetto di Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere II suo parere sugli emendamenti presentati.

TOSATO. Prendo in considerazione anzitutto l’emendamento presentato dall’onorevole Nitti, il quale propone che il Presidente sia eletto per quattro anni.

L’onorevole Nitti si richiama all’esempio americano, però io non credo che, almeno sotto molti aspetti, questo esempio americano sia a nostro proposito calzante.

Osservo anzitutto che, in linea generale, il periodo di durata dall’organo rappresentativo in America è molto inferiore a quello da noi previsto. In secondo luogo bisogna ricordare che il Presidente della Repubblica degli Stati Uniti d’America è non soltanto Capo dello Stato, ma anche Capo del Governo, ed allora si capisce che un Capo dello Stato che abbia anche gli effettivi poteri di Capo del Governo debba essere continuamente in contatto con la volontà popolare, di fronte alla quale è direttamente responsabile. D’altra parte, come osservava esattamente l’onorevole Costantini, stabilire che il Presidente dura in carica 4 anni significherebbe andare incontro a questa eventualità, che le stesse Camere vengano ad eleggere il Presidente per due volte consecutive: il che non mi pare opportuno. Sembra invece opportuno prolungare entro certi limiti la durata del Presidente al di là della vita delle Camere, al fine di assicurare, nella vita dello Stato, un elemento di stabilità.

Il fatto che il Presidente sia eletto per sette anni, mentre le Camere sono elette rispettivamente per 5 e 6 anni, serve a sodisfare l’esigenza di una certa permanenza, di una certa continuità nell’esercizio delle pubbliche funzioni; mentre contribuisce a rafforzarne l’indipendenza rispetto alle Camere che lo eleggono. Che le Camere si rinnovino e il Presidente resti, significa svincolare il Presidente dalle Camere, dalle quali deriva, e rinvigorirne la figura. Per queste ragioni la Commissione non accoglie l’emendamento Nitti.

Vi è poi l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini. Con questo emendamento si propone di sostituire al secondo comma, alle parole: «il Presidente dell’Assemblea Nazionale» – della quale non si deve parlare più! – «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere».

L’onorevole Corbino propone invece che anziché il Presidente dell’Assemblea Nazionale, o, come vorrebbe l’onorevole Fuschini, anziché il Presidente più anziano per età di una delle due Camere, si designi senz’altro il Presidente della Camera dei deputati. La Commissione è in generale più favorevole all’emendamento Fuschini, partendo soprattutto da questa considerazione: noi abbiamo due Assemblee rappresentative; non c’è nessuna ragione che giustifichi la preferenza all’una Assemblea piuttosto che all’altra.

Quello che è importante è che chi supplisce il Capo dello Stato sia un componente delle Assemblee rappresentative. Sotto questo aspetto la proposta dell’onorevole Fuschini è forse la più conveniente e la più adatta al compito.

CORBINO. Non si tratta di sostituire il Capo dello Stato; si tratta di convocare le Camere riunite.

TOSATO. Anche limitatamente al compito di convocare le Camere riunite, la proposta Fuschini sembra preferibile.

Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Crispo, che, al terzo comma, propone di sostituire al termine «prorogate» il verbo «perdurano», osservo che la proroga dei poteri del Presidente è analoga alla proroga dei poteri delle Camere. Dell’istituto della prorogatio si è già più volte parlato in questa Assemblea. Si tratta di un istituto che serve ad assicurare, in qualche modo, la continuità dell’esercizio delle pubbliche funzioni. Ed è un istituto in forza del quale un organo, anche scaduto, ha la possibilità di continuare ad esercitare, sia pure limitatamente, i suoi poteri, e ciò non in base ad un atto speciale, che concede la proroga stessa, ma di diritto. Dato che la proroga prevista dei poteri del Presidente si inquadra nel medesimo istituto della proroga dei poteri delle Camere, la Commissione propone di conservare l’identità della terminologia, anche per concetti di necessaria simmetria.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Onorevole Crispo, mantiene ella il suo emendamento?

CRISPO. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Tosato, rinunzio.

PRESIDENTE. Onorevole Aldisio?

ALDISIO. Ritiro l’emendamento anche a nome dell’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Mantengo il mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Nitti?

NITTI. Rinunzio al primo; mantengo la proposta di soppressione del secondo comma.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, mantiene l’emendamento?

CORBINO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 81.

Poiché l’onorevole Nitti ha ritirato il suo emendamento al primo comma, pongo in votazione il primo comma nel testo proposto dalla Commissione:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni».

(È approvato).

Sul secondo comma c’è la proposta di soppressione da parte dell’onorevole Nitti. Come di consueto, non porremo in votazione la proposta di soppressione, trattandosi di un comma, il quale contiene un solo concetto. Coloro che sono favorevoli alla soppressione voteranno contro la formulazione positiva che sarà posta in votazione.

Sul secondo comma vi sono due emendamenti: quello dell’onorevole Fuschini e quello dell’onorevole Corbino.

L’onorevole Fuschini propone che si dica: «il Presidente più anziano per età di una delle due Camere» in luogo della formula: «il Presidente dell’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non può accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Nitti, di soppressione del secondo comma; si avrebbe in tal caso una grave lacuna di carattere costituzionale e in questa materia ciò non è opportuno.

Ho già dichiarato che la Commissione, invece, accoglie l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini, salvo una migliore formulazione, che potrebbe essere la seguente: «il più anziano di età dei presidenti delle Camere».

FUSCHINI. Aderisco.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino propone che la formula: Il «Presidente dell’Assemblea Nazionale» sia sostituita dall’altra: «Il Presidente della Camera dei deputati».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero chiarire le ragioni, per le quali insisto per il Presidente della Camera dei deputati.

All’articolo 82 io aderirò al concetto di affidare la sostituzione del Presidente della Repubblica al Presidente del Senato, per impedire che nella stessa persona si possano riunire le tre cariche di Presidente di una delle due Camere, di Presidente dell’Assemblea Nazionale e di Capo dello Stato, sia pure temporaneamente.

Siccome l’Assemblea Nazionale certamente si riunirà presso la Camera dei deputati e quindi dovrà essere diretta dall’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, è giusto che il padrone di casa faccia gli inviti.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Dopo i chiarimenti dati dall’onorevole Corbino, la Commissione ritiene sia opportuno accettare il suggerimento.

PRESIDENTE. Poiché la Commissione, attraverso la parola dell’onorevole Tosato, rende manifesto di aderire alla proposta dell’onorevole Corbino, è evidente che l’emendamento proposto dall’onorevole Fuschini deve avere la precedenza, poiché esso non è accolto dalla Commissione.

FUSCHINI. Mi rimetto alla Commissione.

PRESIDENTE. Devo interpretare le sue parole come ritiro dell’emendamento?

FUSCHINI. Sì.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione il secondo comma con l’emendamento dell’onorevole Corbino, accolto dalla Commissione:

«trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea Nazionale per l’elezione del Presidente della Repubblica».

(È approvato).

Pongo quindi in votazione il primo periodo del terzo comma:

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro quindici giorni dalla Costituzione delle nuove Camere».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo periodo del terzo comma:

«Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

(È approvato).

L’articolo 81 risulta pertanto così approvato:

«Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

«Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica.

«Se le Camere sono sciolte, oppure manca meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro 15 giorni dalla Costituzione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Passiamo ora all’articolo 82. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge.

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate dal Presidente dell’Assemblea Nazionale.

«Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente dell’Assemblea Nazionale indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti.

Gli onorevoli Crispo, Cifaldi e Morelli Renato hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, dopo la parola: impedimento, aggiungere le seguenti: o se egli sia messo in istato di accusa, e alle parole: dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, sostituire le seguenti: dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

«Dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

«Il giudizio sull’impedimento di cui al comma precedente è devoluto all’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerli.

CRISPO. Dei miei emendamenti all’articolo 82, il primo si riferisce all’assunzione delle funzioni del Presidente della Repubblica nel caso di suo impedimento. Secondo la votazione che è seguita or ora, parrebbe che queste funzioni dovessero essere assunte dal Presidente del Senato. Ora, se si ha riguardo alla norma dell’articolo 84, che conferisce al Presidente della Repubblica, sia pure temporaneo, il potere di sciogliere le Camere sentiti i Presidenti delle Camere stesse, può verificarsi questa situazione: che il Presidente del Senato, divenuto provvisoriamente Presidente della Repubblica, se avesse vaghezza, sia pure durante la brevissima durata della sua carica, di avvalersi della facoltà di cui all’articolo 84, dovrebbe consultare se stesso e dovrebbe sciogliere una delle Camere di cui egli è Presidente.

Ed allora, io proponevo che le funzioni del Presidente della Repubblica, che come è chiaro sono funzioni prevalentemente esecutive, fossero assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, anche per un’altra ragione, perché un’Assemblea legislativa come è il Senato, ha una funzione che può vincolare i poteri esecutivi del Presidente della Repubblica, onde, pur non trovandoci noi nel caso di una Repubblica presidenziale, tenendosi conto della breve durata delle funzioni del Presidente della Repubblica, mi parrebbe opportuno che queste funzioni fossero assunte dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Interruzione del deputato Fuschini).

Al capoverso dell’articolo è detto: «Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, ecc.» Evidentemente, la parola «impedimento» sta a significare o l’assenza o la malattia e, io penso, anche un caso di incapacità giuridica determinata da evidente, constatata infermità mentale. Mancherebbe, a mio avviso, una ipotesi che dovrebbe essere ugualmente contemplata, cioè quella prevista dall’articolo 85 nel caso in cui, per alto tradimento o per violazione della Costituzione il Presidente della Repubblica fosse messo in istato di accusa, perché si dovrebbe precisare se per effetto dello stato di accusa la decadenza dalla carica del Presidente si verifica ope legis. Dunque, non essendo contemplata questa ipotesi, a mio avviso, dovrebbero essere aggiunte dopo la parola «impedimento», le seguenti parole: «o se egli sia messo in istato di accusa».

Vi è poi ancora una mia proposta di modifica. Poiché si prevede il caso dell’impedimento o nell’impedimento è compreso anche, come rilevavo or ora, l’impedimento determinato da una incapacità giuridica sopraggiunta, io proponevo col mio emendamento questo quesito: qual è l’organo che accerterà questo impedimento? Poiché per effetto dell’impedimento cessa la funzione del Presidente della Repubblica, quale sarà l’organo delegato ad accertare le condizioni perché si dichiari sussistente l’impedimento? Nel mio emendamento, tenendo conto di quanto si era detto a proposito dell’Assemblea Nazionale, questo accertamento è devoluto all’Assemblea Nazionale, o a quell’organo che si renderà competente a provvedere a norma dell’articolo 82.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Al primo e al secondo comma, alle parole: Presidente dell’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: Presidente più anziano per età di una delle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Non c’è bisogno che lo svolga perché è uguale a quello precedente. Vorrei fare però alcune osservazioni sulle proposte dell’onorevole Crispo.

Trovo giusto l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo per quello che si riferisce al caso in cui il Presidente della Repubblica sia posto in istato di accusa, ma trovo imbarazzante, stabilire qual è l’organo che deve constatare l’impedimento. L’onorevole Crispo ha fatto un emendamento che poteva aver valore quando si parlava ancora dell’Assemblea Nazionale. Poiché si tratta di stabilire un giudizio sull’impedimento, invece dell’Assemblea Nazionale, chi lo darà? Le Camere riunite o separate? Questo è un problema che l’onorevole Crispo si è posto, ma non ha risolto. Quindi, bisogna che la Commissione esamini anche questo problema.

Per quanto si riferisce invece alla sostituzione del Presidente della Repubblica, nel caso di impedimento da parte del Presidente del Consiglio, io faccio osservare che per effetto dell’articolo 85, primo comma, nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Presidente del Consiglio.

Quindi se il Presidente del Consiglio esercitasse contemporaneamente la funzione di Presidente della Repubblica e di Presidente del Consiglio, questa disposizione non potrebbe essere realizzata, perché il Presidente del Consiglio controfirmerebbe un atto che egli stesso emana come Presidente della Repubblica, venendo così meno quella garanzia che la Costituzione ha voluto stabilire, disponendo che il Presidente del Consiglio controfirmi, per assumerne la responsabilità degli atti del Presidente della Repubblica.

Quindi, non mi pare che si possano attribuire al Presidente del Consiglio le funzioni di Presidente della Repubblica in caso di impedimento di questi e ritengo sia opportuno mantenere ferma la soluzione indicata dall’onorevole Corbino, oppure quella che io ho proposto. Queste due soluzioni possono essere opportune per equilibrare i poteri che si controllano a vicenda. Perché questo è appunto il sistema parlamentare: ogni potere deve controllare l’altro. In questo equilibrio sta tutta la forza del sistema parlamentare. Per queste ragioni non sono favorevole alla proposta dell’onorevole Crispo.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto, con l’onorevole Caronia, il seguente emendamento:

«Sostituire le ultime parole del primo comma: dell’Assemblea Nazionale, con le seguenti: del Senato della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento da noi proposto assume in questo momento un carattere di simmetria, perché mentre abbiamo attribuito al Presidente della Camera dei deputati il compito di convocare la speciale Assemblea per la elezione del Capo dello Stato, potremmo attribuire al Presidente del Senato il compito di sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento. Essendo venuto meno il concetto di devolvere queste funzioni al Presidente dell’Assemblea Nazionale, alla quale non sono stati attribuiti compiti per il momento, resta da stabilire chi debba sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento.

Il nostro emendamento precisa chi possa essere investito delle funzioni di Capo dello Stato. Parlo di Capo dello Stato espressamente per confermare quanto ha detto un collega che ha parlato prima di me, circa l’inopportunità che queste funzioni vengano attribuite al Presidente del Consiglio dei Ministri, che è il Capo del potere esecutivo.

Se noi vogliamo mantenere al Presidente della Repubblica questo compito, che è affermato nello stesso progetto di Costituzione, di rappresentare l’unità dello Stato, è più opportuno non devolvere tali funzioni al Capo del potere esecutivo.

Quanto alla opportunità di sostituire al Presidente della Repubblica il Presidente del Senato, non faccio appello al parallelo con quanto avviene nel sistema statunitense, perché il nostro sistema, che è parlamentare, non si può confondere col sistema presidenziale degli Stati Uniti; ma, da una parte si può tener conto di quel criterio di simmetria a cui ho prima accennato; per cui, mentre il Presidente della Camera dei deputati convoca l’Assemblea per l’elezione del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato avrebbe il compito di sostituire lo stesso Presidente della Repubblica in caso di impedimento. E, d altra parte, come si segue il principio dell’anzianità per far presiedere le Assemblee prive di un Presidente, così, trattandosi di un Senato, caratterizzato, tra l’altro, dall’anzianità dei suoi membri che dovranno avere almeno quaranta anni, sarebbe opportuno di attribuire al Presidente del Senato e non ad altri, il compito di sostituire il Presidente della Repubblica in caso di impedimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siamo d’accordo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

TOSATO. Gli emendamenti che sono stati proposti dagli onorevoli Crispo, Cifaldi o Morelli tendono evidentemente a riempire delle lacune apparenti che, volutamente, la Commissione ha lasciato nel progetto di Costituzione.

Anzitutto, l’onorevole Crispo propone che sia aggiunto ai casi di impedimento permanente il caso in cui il Presidente della Repubblica sia posto in stato di accusa.

Ora, la Commissione ritiene che non sia il caso di parlare esplicitamente dello stato di accusa del Presidente a questo proposito; si può ritenere intanto, che se il Presidente della Repubblica è posto in stato di accusa, l’evento rappresenta già, per se stesso, un caso di impedimento del Presidente della Repubblica, caso nel quale si fa luogo a quella supplenza che è stata prevista.

D’altra parte, stabilire costituzionalmente in modo esplicito che in caso di accusa da parte delle Camere riunite il Presidente immediatamente è sostituito, potrebbe anche essere pericoloso, perché, in tal caso, attraverso l’accusa, le Camere potrebbero avere uri mezzo, uno strumento del quale potrebbero abusare per sospendere il Presidente dall’esercizio delle sue funzioni, ciò che non sarebbe conforme al sistema previsto.

Per quanto riguarda la proposta che il Presidente della Repubblica sia sostituito dal Presidente del Consiglio, mi pare siano pertinenti le osservazioni già fatte dal collega Fuschini. L’ufficio di Presidente del Consiglio dei Ministri e l’ufficio di Presidente della Repubblica sono due uffici distinti, che non possono essere riuniti in una medesima persona, tanto più – come ricordava l’onorevole Fuschini – che tutti gli atti del Presidente della Repubblica devono essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. In questo caso veramente si avrebbe una lesione di uno dei principî fondamentali che regola tutta l’attività del Presidente del Consiglio.

CRISPO. Anche gli uffici di Presidente della Repubblica e del Presidente del Senato sono distinti.

TOSATO. Onorevole Crispo, se attribuiamo al Presidente del Consiglio il potere di sostituire il Presidente della Repubblica abbiamo questa eventualità: che in un determinato momento nella medesima persona si riuniscano due uffici distinti e diversi, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Repubblica.

Noi riteniamo che ciò non sia opportuno e non sia conforme al sistema parlamentare.

D’altra parte, per quanto riguarda l’ultimo emendamento proposto dall’onorevole Crispo, quello relativo all’accertamento dell’impedimento, giudizio che dovrebbe essere deferito all’Assemblea Nazionale, la Commissione, per evidenti motivi di opportunità non ha ritenuto né conveniente, né prudente stabilire a questo proposito norme precise.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Dichiaro che mi aspettavo una duplice risposta dall’onorevole Tosato, che non è venuta. Io ritengo molto più affini alle funzioni del Presidente di una Repubblica parlamentare le funzioni del Presidente del Consiglio, anziché le funzioni del Presidente del Senato, per ragioni così ovvie che non inette nemmeno conto di rilevare.

Ma io avevo fatto un rilievo rimasto senza risposta. Io ho detto che per l’articolo 84 il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. Si potrebbe osservare che nessun Presidente provvisorio, che abbia una durata limitata di carica potrà pensare a sciogliere le Camere. Ma questo non vale a risolvere la questione. Resta il fatto che il Presidente della Repubblica, comunque provvisorio, ha il diritto di sciogliere le Camere. (Commenti).

Voci. No! No!

TOSATO, Relatore. È un ufficio interinale: non ha questo potere.

CRISPO. E chi lo dice? Allora bisogna stabilirla questa norma.

PRESIDENTE. Onorevole Crispo, mi scusi, ma debbo farle presente che, se lei conserva i suoi emendamenti, non ha diritto di illustrarli ulteriormente. Solo nel caso che li ritirasse, ella avrebbe diritto, di motivarne il ritiro. Mantiene i suoi emendamenti?

CRISPO. Li mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo?

FUSCHINI. Non insisto.

PRESIDENTE. Sta bene. E lei, onorevole Codacci Pisanelli?

CARONIA. Mantengo l’emendamento svolto dall’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. Pongo in votazione, nel testo della Commissione, le seguenti parole del primo comma:

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento».

(Sono approvate)

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Crispo:

«o se egli sia messo in istato di accusa».

(Non è approvato).

Pongo adesso in votazione il secondo emendamento sostitutivo dell’onorevole Crispo:

«esercitate dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

(Non è approvato).

Pongo allora, in votazione la formula proposta dell’onorevole Corbino, accettata dalla Commissione:

«esercitate dal Presidente del Senato della Repubblica».

(È approvata).

Pongo in votazione il secondo comma: «Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente dell’Assemblea Nazionale indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

Avverto però che a questo testo va apportata la seguente modificazione a seguito dell’approvazione dell’emendamento Corbino all’articolo 81 l’espressione: «Presidente dell’Assemblea Nazionale», va sostituita dall’altra: «Presidente della Camera dei deputati».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo presentato dall’onorevole Crispo:

«Il giudizio sull’impedimento di cui al comma precedente è devoluto all’Assemblea Nazionale».

(Non è approvato).

Pertanto l’articolo 82 nel suo complesso risulta così approvato:

«Le funzioni del Presidente della Repubblica sono, in caso di suo impedimento, esercitate dal Presidente del Senato della Repubblica.

«Se l’impedimento è permanente, o in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine nel caso previsto dall’ultimo comma dell’articolo precedente».

Passiamo all’articolo 83. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti.

«Nomina, ai gradi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quando sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere.

«Ha il comando delle Forze armate; presiede il Consiglio supremo di difesa; dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale.

«Presiede il Consiglio superiore della Magistratura.

«Può concedere grazia e commutare le pene».

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, vorrei ricordare che era rimasto sospeso l’articolo 71, in cui si parla della promulgazione delle leggi. E siccome mi pare che qui riprendiamo in esame la questione, sarebbe forse opportuno esaminare adesso l’articolo 71; o, per lo meno, tenerlo presente.

PRESIDENTE. Per intanto esaminiamo l’articolo 83 che elenca già una serie di funzioni attribuite al Presidente della Repubblica. Successivamente potremo, se mai, esaminare l’articolo 71, che rientra in questa elencazione.

CODACCI PISANELLI. Ritengo che logicamente, l’articolo 71 venga prima, in quanto vi si stabilisce che, per quanto riguarda la formazione delle leggi – di cui ci siamo già occupati – la promulgazione – è attribuita al Capo dello Stato.

D’altra parte, siccome alcuni emendamenti attribuiscono la facoltà di sanzionare le leggi al Capo dello Stato, sarebbe forse più opportuno esaminare prima tale questione e successivamente l’elenco dei poteri che gli competono.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, la pregherei di esprimere l’avviso del Comitato sulla questione sollevata dall’onorevole Codacci Pisanelli.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non capisco perché si debba rinviare la discussione in corso e riprendere l’esame dell’articolo 71. Discutiamo invece dell’articolo 83 e decidiamo in un senso o nell’altro: da questa decisione dipenderà la sorte dell’articolo 71. Non mi pare opportuno sovvertire l’ordine della discussione ed occuparci adesso dell’articolo 71.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, credo che possiamo attenerci a quello che ha detto l’onorevole. Ruini. A seconda del risultato della discussione sul secondo comma dell’articolo 83, potremo riprendere l’esame dell’articolo 71, adeguandolo alla decisione che sarà presa.

Si tratta di decidere se il Capo dello Stato promulga o sanziona. Lo decidiamo in questa sede. (Interruzione del deputato Fabbri). Se l’Assemblea approva il secondo comma così com’è nel testo della Commissione, è pacifico che il primo comma dell’articolo 71 sarà votato così come è stato proposto dalla Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Ritengo che dal punto di vista del metodo sarebbe opportuno seguire l’ordine che avevo proposto, perché questo articolo ha valore prevalentemente elencativo. Senza dubbio, stabilisce dei poteri particolari, ma siccome si richiama a quanto è stato stabilito a proposito della formazione delle leggi, sarebbe opportuno esaminare adesso la parte che precedeva la determinazione dei poteri spettanti al Capo dello Stato, e che abbiamo solo rinviata appunto per esaminarla quando ci saremmo occupati delie facoltà da attribuire al Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, fa una proposta formale?

CODACCI PISANELLI. Sì.

PRESIDENTE. Sta bene. Allora, onorevoli colleghi, l’onorevole Codacci Pisanelli propone di interrompere l’esame dell’articolo 83 e di ritornare all’articolo 71.

CODACCI PISANELLI. Anche all’articolo 67.

PRESIDENTE. Allora, veramente, mi pare che non sia il caso di accettare la sua proposta. Purtroppo qualche volta ci è avvenuto di dover accantonare qualche questione; ma abbiamo sempre cercato di procedere secondo lo schema del progetto. La sua proposta lo sovverte. Comunque la sottopongo all’Assemblea.

(Non è approvata).

L’onorevole Benvenuti ha presentato i seguenti emendamenti all’articolo 83:

«Al primo comma, dopo le parole: è il Capo dello Stato, inserire: è il supremo custode della Costituzione».

«Sopprimere gli ultimi due commi».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerli.

BENVENUTI. Io ero nell’ordine d’idee di svolgere i miei emendamenti dopo che fosse stata trattata la questione della sanzione da parte dell’onorevole Codacci Pisanelli.

Il nostro emendamento, sul piano strettamente giuridico, sarà svolto dal collega onorevole Dominedò, il quale illustrerà in termini tecnici il concetto degli atti in via di prerogativa, atti che nel concetto dei miei emendamenti dovrebbero essere riconosciuti al Presidente della Repubblica.

Vorrei prima spiegare attraverso quale processo mentale io, semplice cittadino, che ha vissuto questo periodo storico, sono arrivato a rendermi conto della necessità di conferire al Capo dello Stato alcuni particolari poteri che siano del tutto indipendenti dall’approvazione o disapprovazione – e, quindi, dalla firma o controfirma – del Governo in carica.

Noi abbiamo lungamente discusso i modi di designazione del Capo dello Stato e li abbiamo discussi – a mio modesto avviso – mettendo il carro prima dei buoi; perché prima avremmo dovuto definire la figura del Capo dello Stato, i poteri del Capo dello Stato, il tipo di Capo dello Stato che vogliamo creare, dopo di che avremmo avuto gli elementi sufficienti per renderci conto della necessità di munirlo o meno di un determinato prestigio per l’esercizio delle sue funzioni.

L’esame delle funzioni del Presidente della Repubblica va fatto sotto un duplice profilo, in relazione ai due compiti essenziali che a lui incombono. Si tratta di due compiti fondamentali: 1) sbarrare la strada a qualsiasi provvedimento incostituzionale (leggi, decreti o regolamenti) che gli venga sottoposto da parte del Governo in carica; 2) ristabilire la concordanza fra la volontà popolare (quale si esprime nella regina delle assemblee, l’Assemblea delle assemblee, ossia i comizi elettorali) e l’Assemblea parlamentare nei suoi due rami.

Rispetto al primo compito sorge il problema della sanzione.

Ecco perché avrei desiderato vedere risolto prima questo problema.

Problema della sanzione. Io dico francamente (e se i colleghi giuristi e più esperti di me mi illumineranno ne sarò lieto) che non ho ancora compreso se nel nostro nuovo ordinamento costituzionale il Capo dello Stato debba o non debba promulgare dei provvedimenti che siano contrari alla Costituzione; ossia se egli sia un semplice organo di promulgazione di una volontà legislativa cui rimane estraneo, oppure se possa esercitare un sindacato ed eventualmente trovare un rimedio per la incostituzionalità degli atti che gli sono sottoposti. Io temo che nel sistema così come è elaborato nel nostro progetto costituzionale, il Capo dello Stato debba semplicemente promulgare e non possa esercitare alcun esame di costituzionalità.

Ove così stessero le cose, noi ci troveremmo nella singolare situazione di dover riconoscere, a posteriori, che la monarchia durante il ventennio avrebbe agito costituzionalmente. Firmando tutto quanto il Governo fascista le sottoponeva, la monarchia altro non avrebbe fatto se non anticipare il sistema costituzionale elaborato dagli autori del nostro progetto.

Quando i fautori della monarchia (nelle varie pubblicazioni in cui ne viene svolta la difesa) sostengono che dopo il 3 gennaio il Re non poteva rifiutarsi di firmare tutta la legislazione liberticida, sostanzialmente adombrano la tesi giuridica del nostro progetto; ciò qualora (come pare) esso escluda che il Capo dello Stato possa e debba sindacare, sotto il profilo della costituzionalità, il contenuto della volontà legislativa, quale gli viene sottoposta nei decreti e progetti di legge. Ecco quindi l’origine del mio emendamento. Prescindiamo dal problema della sanzione o della promulgazione. Io penso che, sia che il Presidente promulghi (e in questo caso dopo la formalità della promulgazione), sia che il Presidente sanzioni (e in questo caso all’atto in cui rifiuta di sanzionare), deve esser riconosciuta al Capo dello Stato l’azione per promuovere immediata dichiarazione di incostituzionalità dei provvedimenti stessi da lui promulgati, ovvero non sanzionati. Naturalmente per una simile azione, per un simile atto del Capo dello Stato, questi non ottiene e non otterrà mai la controfirma del primo Ministro che propone l’atto incostituzionale. Quindi tanto vale dichiarare apertamente che noi non riconosciamo il Capo dello Stato come supremo tutore della Costituzione.

In questo senso c’è un emendamento mio che ha carattere platonico. Ciò che veramente importa è che non riconosciamo al Capo dello Stato la facoltà di proporre azione di incostituzionalità per le leggi che gli vengono sottoposte per la sanzione.

Secondo (su questo si intratterrà il collega Dominedò al cui emendamento ho aggiunto la mia firma): Problema dello scioglimento delle Camere.

Io penso, onorevoli colleghi, che il mio ottimo amico onorevole Clerici, il quale si è battuto perché dalla nostra Costituente uscisse una Costituzione priva del Capo dello Stato, sarà sodisfatto. Mi consentano gli onorevoli membri della Commissione di dire che i suoi voti sono stati sostanzialmente esauditi…

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Avveniva lo stesso per il Re.

BENVENUTI. La cosa era diversa perché il Governo regio era fiduciario e del Re e del Parlamento. Nel nostro sistema, a mio avviso, il governo è fiduciario esclusivamente dell’Assemblea. Quindi il conflitto più probabile non è quello di un tempo, che si verificava fra il Governo del Re e l’Assemblea, ma il conflitto più probabile è quello fra il binomio Governo-Assemblea e quell’«Assemblea delle Assemblee» che è la volontà popolare. È a questo punto che il Capo dello Stato deve poter intervenire: e quando questo conflitto si verifica significa che il Governo e l’Assemblea non rappresentano più la volontà popolare: in questo momento si deve poter consultare il Paese.

La formula sciogliere le Camere non piace a nessuno. Il Presidente deve, a mio parere, poter in qualsiasi momento indire le elezioni, ferme restando in carica le Camere coll’istituto dalla prorogatio. Ma in qualsiasi momento il Presidente della Repubblica dovrebbe essere in condizione di consultare il Paese. E questo non lo potrà mai ottenere colla controfirma del Presidente del Consiglio, qualora fra la maggioranza parlamentare, di cui il Governo è emanazione, e la volontà del Paese vi sia conflitto. È in questo conflitto che deve entrare di Capo dello Stato per deferirne la risoluzione al Paese. E per questo deve avere poteri autonomi che non potrebbe mai avere se dovesse preventivamente ottenere la controfirma di quel Governo nei confronti del quale chiede il verdetto della volontà popolare.

Ecco lo spirito dell’uno e dell’altro dei miei emendamenti.

Complessivamente la mia proposta consta di quattro parti. Rinuncio alle altre parti, ma mi fermo ai soli capi, a sensi dei quali dovrebbe venir riconosciuto in via di prerogativa al Presidente della Repubblica il diritto di proporre azione di incostituzionalità contro le leggi ed i provvedimenti che sono proposti alla sua promulgazione o sanzione, nonché di indire nuove elezioni con decisione autonoma e indipendente dal parere e quindi dalla controfirma del Governo.

PRESIDENTE. Seguono gli emendamenti dell’onorevole Colitto, del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: rappresenta l’unità nazionale, sostituire le seguenti altre: e lo rappresenta nella sua unità».

«Al terzo comma, alle parole: ai gradi indicati dalla legge, sostituire le seguenti: salva diversa disposizione di legge».

«Al quinto comma, sopprimere le parole: presiede il Consiglio supremo di difesa».

Ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Non comprendo appieno la formula del primo comma: «Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale». Il Presidente della Repubblica per l’altissima funzione che come tale è chiamato a compiere nella vita dello Stato, rappresenta lo Stato nella sua unità e nella sua continuità. Solo poeticamente può darsi che sia simbolo di tale unità.

Di qui il mio emendamento, che tende a sostituire una formula che sembrami tecnicamente precisa ad una formula certamente poetica, ma giuridicamente di colore piuttosto scuro.

È noto che spetta al diritto pubblico interno di ciascuno Stato stabilire l’organo che ha la «rappresentanza» (jus repraesentationis omnimodae) anche nei rapporti internazionali.

Di regola è il Capo dello Stato. Ma bisogna dirlo. E questo, appunto, io dico col mio emendamento, che perciò penso sia meritevole di accoglimento.

Ora non tutti i funzionari dello Stato sono nominati con decreto del Capo dello Stato. Occorre, pertanto, usare, a mio avviso, una formula, che tenga di ciò conto, diversa da quella usata nel progetto, per la quale sembra che tutti i funzionari debbano essere nominati con decreto del Capo dello Stato, la legge intervenendo solo per precisare i gradi, cui debbono essere nominati. È perciò che io ho proposto che alle parole «ai gradi indicati dalla legge» siano sostituite le altre «salva diversa disposizione di legge».

Penso, infine, (e così mi occupo del terzo emendamento da me proposto) che non sia il caso di affermare nella Costituzione che il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa, di tale Consiglio non essendosi parlato in altra parte della Costituzione, sì che non si sa né se è opportuno che un Consiglio siffatto vi sia, né come dovrebbe essere formato, né quali dovrebbero essere le sue attribuzioni e perché, d’altra parte, non so se possa tale Consiglio essere compreso nel novero degli organi costituzionali, dei quali soltanto sembrami che si debba parlare in un testo costituzionale.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Caronia e Aldisio hanno presentato il seguente emendamento all’articolo 83:

«Inserire, dopo il terzo, i seguenti commi:

«Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame o per richiederne il referendum.

«Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

CARONIA. L’emendamento non ha bisogno di lunga illustrazione. La prima parte dove si propone che il Capo della Repubblica «Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame e per richiederne il referendum», è nella logica delle cose. Se si è dato il diritto di poter rinviare la legge al referendum su proposta di 500.000 elettori e di sette Consigli regionali, a maggior ragione questo diritto deve esser dato al supremo moderatore, quale è il Capo dello Stato. Nell’emendamento è detto: «Con provvedimento motivato». Ciò naturalmente perché l’azione del Capo dello Stato che rinvia la legge non sia un atto arbitrario, ma giustificato da validi motivi.

Il secondo punto dell’emendamento con cui si propone di dare al Capo dello Stato la possibilità di inviare messaggi ai due rami del Parlamento, sia all’apertura sia durante le sessioni, mi pare sia una funzione di notevole importanza e che non debba incontrare opposizioni.

In momenti particolarmente gravi per la situazione interna del Paese o per la situazione internazionale, mi sembra opportuno dare al Capo dello Stato la possibilità di prendere l’iniziativa di inviare alle due Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse.

Prego l’Assemblea di voler accogliere i due emendamenti.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca hanno proposto di sostituire il quinto comma col seguente:

«Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgere l’emendamento.

GASPAROTTO. Il quinto comma dispone che il comando delle Forze armate è attribuzione del Presidente della Repubblica; egregiamente, soggiunge che il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio supremo di difesa. La sostanza è pienamente accettata. Domando una modificazione di forma. Questa dizione presuppone l’esistenza di un organo, il Consiglio supremo di difesa, che non esiste. Esiste, per creazione fascista, una commissione di difesa, presieduta dal Presidente del Consiglio, della quale fa parte oltre al Ministro della difesa (a capo degli antichi dicasteri della guerra, della marina e dell’aviazione), il Capo di stato maggiore generale, ufficio che potrà restare o anche essere soppresso. Ora, non a questo organo certamente il quinto comma proposto dalla Commissione si riferisce, perché è altra cosa.

Pertanto il mio emendamento si limita a domandare una aggiunta: «costituito secondo la legge». Cioè, si riferisce a un organo nuovo, da crearsi mediante legge.

Senonché l’onorevole Colitto proporrebbe addirittura la soppressione dell’attribuzione del Presidente di presiedere il Consiglio supremo di difesa. Non trovo giusta la proposta, perché, se il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate, logicamente deve avere anche la presidenza del Consiglio supremo di difesa.

Come la Commissione vede, domando assai poco; ma la modificazione aggiuntiva è indispensabile.

PRESIDENTE. L’onorevole Azzi ha proposto il seguente emendamento:

«Al quinto comma, dopo le parole: ha il comando delle Forze armate, aggiungere le parole: e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato maggiore della difesa».

Ha facoltà di svolgerlo.

AZZI. Il mio emendamento aggiunge dopo le parole: «il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate» le parole: «e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa ed in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa».

Questo emendamento trae origine dalla esperienza della recente guerra, sulla quale mi pare sia inutile insistere.

Osservo che parecchie Costituzioni straniere, e fra queste alcune elaborate dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale, hanno già limitato questa facoltà dei rispettivi Capi di Stato, ponendo il problema nei seguenti termini.

La vecchia Costituzione francese del 1848 diceva:

«Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate, senza potere mai comandarle personalmente».

La Costituzione francese del 1875:

«Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate».

La Costituzione estone del 1938:

«La difesa nazionale dipende direttamente dal Presidente della Repubblica che nomina il Capo delle Forze armate sia in guerra che in pace».

Passando alle Costituzioni elaborate dopo la seconda guerra mondiale, vediamo che la prima Costituzione francese del 1946 ripeteva la dizione di quella del 1875: «Il Presidente della Repubblica dispone delle Forze armate»; ma la seconda Costituzione francese del 1946, quella vigente oggi, modifica quella dizione e dice: «Il Presidente della Repubblica assume il titolo di capo delle Forze armate». Sottolineo la parola: «titolo», perché è probatoria per quel che io debbo dire.

La Costituzione russa, aggiornata dopo la seconda guerra mondiale, dice: «Il Praesidium supremo dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche nomina e revoca il Comando supremo delle Forze armate». Infine la Costituzione jugoslava così si esprime: «Il Comandante supremo dell’esercito jugoslavo viene nominato dalla Skupcina popolare».

A mio avviso la formula più felice è quella adottata dalla Costituzione francese: «Il Presidente della Repubblica ha il titolo di Capo dalle Forze armate». Si tratta quindi di un’altissima carica affidata al Presidente della Repubblica, ma non dell’effettivo comando delle Forze armate, perché questo effettivo comando deve competere esclusivamente a chi sappia e possa amministrare, addestrare, preparare ed impiegare le Forze armate. Ed è soltanto per non copiare la dizione della Costituzione francese che io mi sono limitato ad aggiungere alla dizione della nostra Costituzione: «Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate» quella: «lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa» o il Capo di Stato Maggiore generale, se questa carica sarà conservata nella nostra organizzazione militare.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Al quinto comma, alle parole: dichiara la guerra deliberata dall’Assemblea Nazionale, sostituire le parole: dichiara la guerra deliberata dalle Camere».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Il mio emendamento non è che un emendamento di coordinamento con la deliberazioni già prese dall’Assemblea, che avevo previsto. E non ha quindi bisogno di svolgimento.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere le parole: è il Capo dello Stato.

«Al secondo comma, sopprimere le parole: ed emana.

«Sostituire il terzo comma con il seguente: nomina, ai gradi indicati dalla legge, gli alti funzionari dello Stato».

Ha facoltà di svolgerli.

PRETI. Il primo comma dell’articolo 83 dice che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato. Ora, questa dizione non mi sembra caratteristica delle nuove Costituzioni democratiche. A mio avviso essa era spiegabile quando il cosiddetto Capo dello Stato era in effetto l’organo sovrano: è questa infatti una dizione ereditata dalla monarchia costituzionale ottocentesca. Oggi, secondo me, non si può giuridicamente parlare di Capo dello Stato, in quanto l’organo preminente nello Stato è, come tutti sanno, il Parlamento. (Interruzione al centro). Al di fuori di esso non vi è un «capo», ed è a ragione perciò, che nella Costituzione francese non si parla di Capo dello Stato, ma sempre e solamente di Presidente della Repubblica.

Il secondo comma dell’articolo dice: «promulga le leggi ed emana i decreti legislativi e i regolamenti». Io ho voluto consultare la Gazzetta Ufficiale ed ho rilevato che oggi, per quanto riguarda i decreti legislativi, si usa la formula: «promulga». Quella che io propongo è dunque la dizione usata attualmente, e non capisco perciò, per quale motivo si dovrebbe cambiare la dizione adottata da quando l’onorevole De Nicola funge da Capo Provvisorio dello Stato.

TOSATO. È stato un istituto recentissimo degli anni passati quello della promulgazione dei decreti!

PRETI. Ma stavo dicendo, onorevole Tosato, che per gli attuali decreti legislativi si usa la formula «promulga». Perciò, mi sembra che si dovrebbe continuare ad usare la formula che già oggi si usa.

Tanto più che, dicendosi nella Costituzione, che il Presidente della Repubblica «emana» i decreti legislativi, mentre per contro «promulga» le leggi, si potrebbe pensare ch’egli esplichi una diversa funzione in ordine alla emanazione di questi due tipi di norme giuridiche.

La sua funzione invece è la medesima. Come le leggi sono opera del Parlamento, ed il Presidente della Repubblica le promulga, nel senso che ne dichiara efficacia, così i decreti legislativi sono senza dubbio opera del Governo, ed il Presidente della Repubblica li deve «promulgare», in quanto ne dichiara l’efficacia.

Per quanto concerne i regolamenti, il termine «promulgare» sarebbe per lo meno nuovo. Non vedo però quali difficoltà vi dovrebbero essere per adottare questa nuova dizione, che interpreta la realtà giuridica delle funzioni presidenziali.

Mi sembra comunque che nel secondo comma dell’articolo 83 sia inutile accennare alla emanazione dei regolamenti: è forse più che altro una reminiscenza dello Statuto al bertino.

La Costituzione francese non parla della generica emanazione dei regolamenti, ed a mio avviso fa bene. Da questo deriva che il Presidente della Repubblica emana regolamenti solo in relazione alle materie di sua specifica competenza previste nel titolo della Costituzione che lo riguarda. Per le rimanenti materie i regolamenti vengono emanati con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, risparmiandosi una inutile formalità.

Attualmente il Capo Provvisorio dello Stato emana decreti su materie di secondarissima importanza: modificazione di ragione sociale di cooperative, modificazione di statuti di università, riconoscimento della personalità giuridica di opere pie, passaggi di gestione di acquedotti, ecc. ecc.

Credo che se anche in Italia per tutte queste materie provvedesse con proprio decreto il Presidente del Consiglio o addirittura il Ministro competente, saremmo più aderenti alla realtà.

In conclusione perciò proporrei, per questo comma, di non fare cenno dei regolamenti, e subordinatamente di usare la formula «promulga le leggi, i decreti legislativi e i regolamenti». Se però, si giudica il termine «promulgare» inconciliabile con il regolamento, si dica: «promulga le leggi e i decreti legislativi ed emana i regolamenti di sua competenza».

Per quanto riguarda il terzo comma, devo osservare che è esagerato attribuire al Presidente della Repubblica la nomina di tutti i funzionari dello Stato, posto che ciò significa pretendere un suo decreto per qualunque nomina. Mi sembrerebbe che solamente la nomina degli alti funzionari dovesse farsi per decreto del Presidente della Repubblica: ed è perciò che ho presentato un emendamento in questo senso. Se poi anche al testo attuale del terzo comma si intende dare questo significato ed il Presidente della Commissione è disposto a precisarlo, allora io posso anche ritirare il mio emendamento.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Clerici, Uberti, Zerbi, Chatrian, Del Curto, Bosco Lucarelli, Badini Confalonieri, Siles, Bubbio, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere all’articolo 83 il seguente comma: Può concedere le onorificenze della Repubblica».

L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. Rinunzio a svolgerlo.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Ho chiesto di parlare perché ho presentato un articolo 85-bis, del seguente tenore: «Il Presidente della Repubblica può inviare messaggi alle Camere». Ho visto poi, che l’onorevole Caronia, in un suo emendamento al secondo comma, ha proposto la stessa cosa: «Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

La formula usata dall’onorevole Caronia è più generica e farebbe supporre che il Presidente possa inviare i messaggi normalmente all’apertura ed eccezionalmente durante le sessioni. Invece, il concetto che ha ispirato il mio emendamento è diverso. Noi non abbiamo in Italia l’istituto dei messaggi del Capo dello Stato. Avevamo solo il discorso della Corona all’apertura della legislatura o delle sessioni quando la legislatura si divideva in parecchie sessioni. Invece, in America abbiamo l’abitudine dei messaggi del Presidente della Repubblica, che hanno un valore notevole perché indicano, nel momento in cui i lavori parlamentari devono svolgersi, gli argomenti più importanti che interessano il Paese. La Francia, nella sua recente Costituzione, all’articolo 37 ha stabilito questa norma: «Il Presidente della Repubblica comunica col Parlamento attraverso messaggi indirizzati all’Assemblea Nazionale».

Qui vi è qualche cosa di più complesso da considerare, perché sussiste una specie di trait d’union fra Parlamento e Presidente della Repubblica; il che fa pensare che il Presidente della Repubblica, quando c’è un dibattito molto grave, comunica il suo pensiero al riguardo attraverso un messaggio indirizzato all’Assemblea Nazionale.

Forse una formula così drastica non sarebbe opportuna nella nostra Costituzione, perché potrebbe far dubitare che noi volessimo far entrare l’opera personale del Capo dello Stato nella formazione delle leggi. Affermandolo nella Costituzione noi diamo la possibilità al Capo dello Stato di intervenire, con un messaggio alla Camera o al Senato, oppure alla Camera e Senato insieme, per dare un suggerimento, per dire una parola pacificatrice e rasserenatrice, nei momenti più gravi della vita nazionale; il che potrebbe essere di grande utilità. Ecco perché io ritengo opportuna l’approvazione del mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione non è favorevole all’emendamento presentato dall’onorevole Benvenuti relativo all’articolo 83, l’emendamento cioè con il quale si propone di inserire, dopo la parola «Presidente», «il Capo dello Stato è il supremo custode della Costituzione». Tale compito deriva dai poteri che gli sono attribuiti e dai suoi rapporti con gli altri organi costituzionali; insomma dal complesso delle norme costituzionali, dalle quali la figura del Presidente risulta delineata nella sua natura e nei suoi compiti.

Per quanto riguarda il primo emendamento presentato dall’onorevole Colitto, mi permetto di osservare che, evidentemente, se il Capo dello Stato rappresenta lo Stato, è naturale che lo rappresenti nella sua unità. Quando nel testo dei progetto si dice che il Presidente rappresenta l’unità nazionale, si fa riferimento allo Stato non in senso giuridico preciso, ma allo Stato nella sua unità storica, morale.

L’onorevole Colitto propone inoltre di sostituire alle parole: «ai gradi indicati dalla legge», le parole: «salva diversa disposizione di legge».

A questo proposito vi è anche un emendamento presentato dall’onorevole Preti così formulato: «nomina ai gradi indicati dalla legge gli alti funzionari dello Stato». Al Capo dello Stato dovrebbe così essere dato il potere di nominare soltanto determinati funzionari, quelli più alti; per tutti gli altri la competenza dovrebbe essere propria del Governo.

La Commissione non accoglie né l’emendamento Colitto, né l’emendamento Preti. Noi riteniamo preferibile il criterio di riservare al Capo dello Stato non un potere generale di nomina, ma solo le nomine contemplate specificamente dalla Costituzione e dalle leggi.

Pertanto proponiamo il testo seguente:

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato».

Segue poi l’emendamento presentato dagli onorevoli Caronia ed Aldisio:

«Inserire, dopo il terzo, i seguenti commi:

«Può con provvedimento motivato rinviare una legge già votata dalle due Camere, per un nuovo esame o per richiederne il referendum.

«Può inviare messaggi ai due rami del Parlamento all’apertura e durante le sessioni».

La prima parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Caronia e dall’onorevole Aldisio trova in parte consenziente la Commissione, nel senso che la Commissione ritiene che sia opportuno attribuire al Presidente la facoltà di rinviare alle Camere un progetto approvato dalle Camere stesse. Si intende che se, successivamente al rinvio da parte del Presidente, le Camere insistono ed approvano a maggioranza assoluta il progetto stesso, evidentemente in tal caso il Presidente sarà obbligato a promulgare ugualmente la legge.

In questo senso la Commissione è favorevole all’accoglimento parziale dell’emendamento presentato dall’onorevole Caronia, adottando questa formula: «Il Presidente può rinviare alle Camere una legge già approvata per un riesame», con la precisazione che ho già indicato. Per quanto riguarda il potere di messaggio, la Commissione è pure consenziente. Ritiene però preferibile parlare di questo potere di messaggio e stabilire quindi:

«Può inviare messaggi al Parlamento», adottando precisamente la formula proposta dall’onorevole Persico.

Per quanto riguarda l’emendamento Gasparotto, Chatrian, Moranino ed altri, la Commissione concorda perfettamente con l’esigenza fatta presente dall’onorevole Gasparotto riguardo alla necessità di indicare che questo Consiglio supremo di difesa dovrà essere costituito secondo la legge.

Per quanto riguarda l’altro emendamento presentato a questo proposito dall’onorevole Azzi, la Commissione non è concorde nel ritenerlo opportuno.

L’onorevole Azzi propone di aggiungere alla fine dell’articolo le parole: «e lo esercita in tempo di pace tramite il Ministro della difesa, e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato Maggiore della difesa».

Ora, osservo anzitutto che, forse, a questo proposito l’onorevole Azzi ha manifestato delle preoccupazioni che non sono fondate, in quanto non bisogna dimenticare che il Capo dello Stato non è responsabile, quindi gli atti del Capo dello Stato devono essere coperti dalla responsabilità di un Ministro. Pertanto è chiaro che in tempo di pace l’esercizio elettivo del comando delle Forze armate, proprio del Presidente, è esercitato con la responsabilità del Governo e, in particolare, del Ministro della difesa; mentre per il tempo di guerra si regolerà il problema sempre in base all’identico principio della irresponsabilità del Capo dello Stato, secondo la soluzione che al problema dell’effettivo comando delle Forze armate in tempo di guerra sarà dato dalla legge.

Circa l’emendamento presentato dall’onorevole Fuschini, osservo che esso concorda con quello già presentato dall’onorevole Chatrian. Abbiamo già approvato la formula secondo la quale la guerra viene deliberata dalle Camere: è chiaro che, una volta deliberata la guerra dalle Camere, occorre l’organo che dichiari all’esterno questa deliberazione, e pertanto è opportuno ricordare fra i poteri del Presidente della Repubblica questo potere di «dichiarare la guerra deliberata dalle Camere», secondo la formula proposta dall’onorevole Gasparotto.

Vi è, infine, un emendamento dell’onorevole Preti, secondo il quale si dovrebbe abbandonare la formula: «Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato».

Io vorrei osservare all’onorevole Preti che si potrà discutere circa il contenuto dei poteri che rientrano nell’ambito della competenza del Capo dello Stato; ma in ogni Stato evidentemente e necessariamente esiste un Capo dello Stato. Sia questo Capo dello Stato un organo collegiale sia esso un organo individuale, sempre comunque si manifesta la necessità di un Capo dello Stato, che, in certo senso, riassuma e dichiari all’esterno gli atti più salienti degli organi costituzionali dello Stato, quali sono appunto la deliberazione di guerra, l’approvazione di una legge, ecc.

Di questo Capo dello Stato non si può fare a meno. A me sembra, quindi, che la formula del progetto non sia impropria e che essa corrisponda al tipo più evoluto dello Stato repubblicano parlamentare.

L’altro emendamento presentato dall’onorevole Preti è un emendamento che mi pare riguardi soprattutto una questione di forma.

In generale e in via di massima la Commissione concorda sulla fondatezza dei rilievi fatti dall’onorevole Preti. Però pregherebbe l’onorevole Preti di trasformare su questo punto il suo emendamento in una raccomandazione, di cui la Commissione terrà il massimo conto al momento della revisione del testo costituzionale.

Per quanto riguarda i regolamenti, anche a questo proposito pregherei l’onorevole Preti di trasformare il suo emendamento in una raccomandazione. Come ho detto all’onorevole Codacci Pisanelli, la Commissione esaminerà se sia o meno il caso di specificare esattamente quale debba essere l’ambito della potestà regolamentare del potere esecutivo, se cioè questa potestà vada limitata ai regolamenti di esecuzione o possa, in taluni casi, avere una portata più lata. È questa una questione tecnica che, ripeto, mi pare opportuno rinviare al giudizio del Comitato di coordinamento.

V’è infine l’emendamento dell’onorevole Clerici, nei riguardi del quale la Commissione non è contraria, salvo a esprimere le proprie riserve per quello che si riferisce alla forma, perché è evidente che al Presidente si può attribuire il potere di accordare onorificenze, ma che occorrerà una legge che regoli la materia.

Mi pare di avere così risposto a tutti i presentatori di emendamenti all’articolo 83.

PRESIDENTE. L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato ora un emendamento, il quale si pone in relazione con il problema che era stato sollevato a proposito dell’articolo 71. L’onorevole Codacci Pisanelli propone che il secondo comma dell’articolo 83 sia sostituito con il seguente:

«Sanziona e promulga le leggi ed emana i decreti legislativi».

Propone poi che sia aggiunto il seguente comma:

«Emana, con suoi decreti, i regolamenti indipendenti e quelli di organizzazione».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Non ho molto da aggiungere, onorevoli colleghi, a quanto è stato già detto a proposito dell’opportunità di non escludere il potere di sanzione del Capo dello Stato. Ma, agli altri argomenti che sono stati addotti al riguardo, riterrei giovevole aggiungerne un altro, che forse non è stato ancora sufficientemente considerato, e cioè che io ritengo che, in fondo, la preoccupazione di non far partecipare il Capo dello Stato alla funzione legislativa non è fondata. È infatti mia convinzione che nella funzione legislativa si debba distinguere l’attività di statuizione da quella di documentazione. In altri termini, il legislatore provvede a dare contenuto e forma alla norma, ma ciò non è sufficiente perché la legge possa dirsi perfetta e perché essa raggiunga i suoi scopi.

Bisogna infatti offrirne ancora un documento, attraverso il quale ognuno possa conoscerla con assoluta presunzione di certezza. Ora, il compiere questo atto è appunto compito precipuo del Capo dello Stato, cui abbiamo infatti attribuito il potere di promulgare la legge. E allora, se noi ammettiamo che il Capo dello Stato, almeno sotto questa forma, almeno esercitando questa attività meno elevata di quella di statuizione, partecipi alla funzione legislativa, tanto vale non rinunziare a quella facoltà che non è già, come taluno ha creduto di rilevare, una caratteristica delle monarchie, ma che invece è funzione peculiare del Capo dello Stato.

Queste dunque le ragioni che aggiungo alle altre già addotte perché non venga esclusa, dalle funzioni del Capo dello Stato, la facoltà di sanzione. Quanto, del resto, ha detto poco fa l’onorevole Relatore, il quale ha parlato a nome del Comitato di redazione, mi sembra confermi l’opportunità di far partecipare il Capo dello Stato alla funzione legislativa, giacché l’onorevole Relatore ha detto appunto di attenersi al criterio di coloro i quali ritengono che il Capo dello Stato possa rinviare alle Assemblee legislative un progetto già votato. Gli diamo in questa maniera una facoltà di controllo, una facoltà di partecipare in fondo, sia pure sotto la sola forma del controllo, all’esercizio della funzione legislativa, intesa pure come attività di statuizione. E allora non ci lasciamo fuorviare dalla preoccupazione che ammettere la sanzione sia mantenere un istituto caratteristico del sistema monarchico; pensiamo, invece, che si tratta di fare in maniera che le tre diverse funzioni statali abbiano un centro di riunione nel Capo dello Stato, e quindi anche la funzione legislativa venga ricondotta al concetto di unità dello Stato attraverso la partecipazione del Presidente della Repubblica non soltanto all’attività di documentazione, ma anche all’attività di statuizione.

E richiamo l’attenzione dei colleghi sulla seconda parte dell’emendamento da me presentato. Anzitutto propongo di scindere le due affermazioni che sono contenute nel comma cui l’emendamento si riferisce. In questo comma si parla dell’emanazione dei decreti legislativi e si parla poi dell’emanazione dei regolamenti. Ritengo opportuno fame due commi distinti: parliamo da una parte dell’emanazione dei decreti legislativi, che rappresentano l’esercizio della funzione legislativa formale; parliamo in un altro comma dei regolamenti, che rappresentano l’esercizio della funzione legislativa in senso sostanziale.

Un onorevole collega che mi ha preceduto ha ritenuto sufficiente parlare di promulgazione ed escludere la parola emanazione. Non sono d’accordo con lui, appunto per le ragioni precedentemente esposte; egli forse non teneva presente che nella funzione legislativa bisogna distinguere l’attività di statuizione da quella di documentazione. Se noi parlassimo semplicemente di promulgazione, escluderemmo il Capo dello Stato dalla parte più importante della funzione legislativa. Se dicessimo semplicemente «promulga i decreti legislativi», ci troveremmo di fronte ad una situazione anomala.

PRETI. Lo diciamo anche adesso.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, lei ha già esposto il suo pensiero.

CODACCI PISANELLI. Comunque, non ritengo sia opportuno sopprimere la parola «emana», in quanto che noi dobbiamo riconoscere nel Capo dello Stato la facoltà non soltanto di documentare, ma anche quella di partecipare alla statuizione della norma, quanto ai decreti legislativi e ai regolamenti.

Finalmente, riguardo ai regolamenti, mi permetto di elencare le diverse categorie.

Il progetto ha, in fondo, una lacuna, perché accenna in genere ai regolamenti, senza precisare a quali regolamenti si riferisce.

È secondo me, senza dubbio, un progresso quello di aver stabilito che i regolamenti possono essere emanati soltanto con decreto del Capo dello Stato. In questa maniera finiamo per escludere i regolamenti ministeriali, ai quali la maggioranza di coloro che se ne sono occupati negli ultimi tempi è recisamente contraria, come può desumersi dalle pubblicazioni delle commissioni che hanno preparato i lavori dell’Assemblea Costituente.

Stabilendo che i regolamenti possano essere emanati soltanto con decreto del Capo dello Stato, noi risolviamo anche, d’altra parte, il grave problema relativo al fondamento della potestà regolamentare, sul quale si è tanto discusso e che nella nostra Costituzione trova un’adeguata soluzione, in quanto si stabilisce espressamente che spetta al Capo dello Stato la potestà regolamentare, la potestà, cioè, di emanare leggi in senso sostanziale per l’esecuzione delle leggi formali, anche in materia non disciplinata dalla legge – e sono questi i regolamenti indipendenti.

Ritengo, infine, che sia opportuno attribuire, come già è avvenuto nel passato, al Capo dello Stato la potestà regolamentare in materia di organizzazione.

Queste sono le ragioni per cui propongo nell’emendamento: anzitutto che la facoltà di sanzionare le leggi sia attribuita al Capo dello Stato, e, in secondo luogo che la potestà regolamentare trovi nella nostra Costituzione sicuro fondamento e adeguata specificazione.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. Ho già avuto occasione di rendere noto il punto di vista della Commissione riguardo alla forma di partecipazione del Capo dello Stato all’esercizio del potere legislativo. Secondo la Commissione, non è opportuno attribuire al Capo dello Stato il potere di sanzione della legge. Sanzione della legge significa approvazione della legge. Con questo atto il Capo dello Stato parteciperebbe direttamente ed effettivamente alla formazione della volontà legislativa. Ora questa attribuzione, questa competenza, porterebbe ad una trasformazione di quella figura del Capo dello Stato alla quale la Commissione ha ritenuto di restar ferma e rispetto alla quale mi sembra orientata anche l’Assemblea.

D’altra parte nei limiti in cui l’emendamento presentato dall’onorevole Codacci Pisanelli può rispondere a qualche esigenza, sotto questo aspetto l’emendamento è stato già soddisfatto, in quanto ho dichiarato che la Commissione è favorevole a riconoscere l’opportunità che il Presidente della Repubblica possa avere il potere di rinviare alle Camere una legge già deliberata dalle Camere stesse. Si tratta, sostanzialmente, di un potere di veto sospensivo che alla Commissione sembra sufficiente.

Per quanto riguarda le altre proposte dell’onorevole Codacci Pisanelli, cioè di considerare in due diversi commi i poteri di promulgazione delle leggi e dei decreti aventi forza di legge, e la potestà regolamentare, di questa proposta sarà tenuto conto in sede di redazione definitiva.

Prego l’onorevole presentatore di trasformare in raccomandazione anche la sua proposta riguardante la specificazione del contenuto e dei limiti della potestà regolamentare, perché si tratta di un argomento così tecnico per il quale l’Assemblea non è forse la sede più opportuna.

PRESIDENTE. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengono. Onorevole Benvenuti, mantiene i suoi emendamenti?

BENVENUTI. Aderisco al concetto dell’onorevole Tosato, nel senso che è una dichiarazione platonica quella del mio primo emendamento. Comunque, siccome dei poteri effettivi del Presidente si parlerà dopo, ritiro tutti i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, mantiene i suoi emendamenti?

COLITTO. Non insisto nel secondo mio emendamento, perché la nuova formula che è stata proposta dalla Commissione implicitamente accoglie tale mio emendamento.

Circa il terzo, poiché si è accolto l’emendamento dell’onorevole Gasparotto, nel quale si dice che il Consiglio supremo di difesa è «costituito secondo la legge», il mio emendamento, in un certo senso, non ha più ragion d’essere.

Non insisto neppure (per quanto a malincuore) sul primo emendamento; ma mi permetto di raccomandare alla Commissione di usare, nella redazione definitiva della norma, una formula meno poetica e più tecnica.

PRESIDENTE. Sta bene. La Commissione ha dichiarato di fare proprio l’emendamento dell’onorevole Caronia, salvo alcuni adattamenti.

Circa l’emendamento dell’onorevole Gasparotto, l’onorevole Perassi ha preparato una formulazione che tiene conto delle votazioni già avvenute, nel senso di sostituire alle parole: «dichiara la guerra», le altre: «dichiara lo stato di guerra». Credo che l’onorevole Gasparotto accetterà questa modifica. Vi è poi la formula: «Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge», che la Commissione ha dichiarato di accettare.

Onorevole Azzi, mantiene il suo emendamento?

AZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Quello dell’onorevole Fuschini viene assorbito dalla formulazione di cui ho dato lettura. L’emendamento dell’onorevole Clerici, salvo la formulazione, è stato accolto dalla Commissione.

Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. Mantengo la prima parte relativa alla sanzione.

Quanto alla seconda parte mi rimetto al Relatore, il quale ha detto che terrà presente quanto ho sottolineato in questo emendamento.

PRESIDENTE. Onorevole Preti, mantiene i suoi emendamenti?

PRETI. Per il terzo comma la Commissione ha dato una nuova formulazione che tiene conto delle esigenze da me esposte. Quindi lo ritiro.

Sul primo comma non insisto.

Per quanto riguarda il secondo comma, ho inteso che l’onorevole Tosato lo accetta come raccomandazione. Però non deve allora accettare come raccomandazione quanto ha proposto l’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. E infatti lo ha respinto; più che respingere non poteva fare.

PRETI. L’onorevole Codacci Pisanelli aveva parlato anche di regolamentazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accetteremo la terminologia.

PRESIDENTE. È stato accettato, infine, l’emendamento dell’onorevole Persico.

Possiamo passare ora alla votazione.

Poiché sono stati ritirati gli emendamenti che erano stati presentati ed in parte accolti come raccomandazione dalla Commissione, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 83 nel testo della Commissione:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo della Commissione:

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli, tendente ad aggiungere prima di «promulga» le parole «sanziona e». Ricordo che questo emendamento non è stato accettato dalla Commissione.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. A. questo comma sarebbe logico far seguire la seconda parte del mio emendamento.

TOSATO. La Commissione ha dichiarato che accetta parzialmente l’emendamento Caronia, in questa formula:

«Può rinviare alle Camere una legge da esse già deliberata per nuovo esame».

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se l’Assemblea vota l’emendamento Caronia, accolto dalla Commissione, fermo restando che non si parla di sanzione, occorrerà evidentemente coordinarlo poi con l’articolo 71, che parla appunto della promulgazione delle leggi e stabilisce il termine in cui devono essere promulgate; e allora dovremo inserire questo potere del Capo dello Stato di un rinvio per riesame. Quindi, per ora votiamo il principio generale. C’è già una proposta dell’onorevole Bozzi all’articolo 71 che voteremo subito dopo. Intanto vogliamo affermare il concetto che questo potere di rinvio, che c’è anche in Francia, è un semplice messaggio perché sia riesaminato il progetto.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi mi aveva fatto pervenire una proposta di emendamento all’articolo 71 della quale non avevo dato lettura perché eravamo in sede di articolo 83; ma poiché la materia è connessa al contenuto di questo emendamento, ne do ora lettura. L’Assemblea vedrà se non sia opportuno, tenendo conto delle dichiarazioni della Commissione, rinviare anche la votazione di merito a quando esamineremo l’articolo 71, cioè a fra poco, perché ormai siamo giunti alla fine del Titolo.

L’onorevole Bozzi ha proposto la seguente formula:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione. Nel termine suddetto il Presidente della Repubblica può, con messaggio motivato, domandare alle Camere una nuova deliberazione. Egli deve procedere alla promulgazione se le Camere confermano la precedente deliberazione a maggioranza assoluta dei loro membri».

Non si tratta adesso di porre in discussione e di votare questo emendamento dell’onorevole Bozzi all’articolo 71: io ne ho dato lettura per sentire sia dall’onorevole Caronia, come dalla Commissione se, ferme restando le assicurazioni dell’onorevole Tosato, non ritengano opportuno rinviare la votazione di merito all’esame dell’articolo 71.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rinviamo.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Avevo proposto un emendamento all’articolo 71 più semplice di quello dell’onorevole Bozzi. L’emendamento suonava così:

«Salvo il caso che questi non ne abbia deciso il rinvio alle Camere».

Adottando questa dizione di potrebbe oggi votare il mio emendamento, senza pregiudicare la sostanza di quello che sarà l’articolo 71.

PRESIDENTE. Poiché le cose dette restano e la Commissione ha dichiarato che in linea di principio accede alla sua proposta, forse è opportuno esaminare il suo emendamento in sede di articolo 71.

CARONIA. Non insisto.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Resta ancora l’ultima parte dell’emendamento Caronia che coincide con la proposta dell’onorevole Persico, che la Commissione accetta:

«Può inviare messaggi al Parlamento».

La pongo in votazione.

(È approvata).

Questa formula diventa il terzo comma dell’articolo in esame.

Passiamo alla votazione del terzo comma del progetto, che diventa quarto, lasciato in sospeso in seguito al giusto richiamo dell’onorevole Caronia:

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma del progetto, che diviene quinto;

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quando sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere».

(È approvato).

Segue il quinto comma – che diviene sesto – in cui bisogna tener conto dell’emendamento Gasparotto che la Commissione ha dichiarato di accettare e dell’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Azzi. Il testo del quinto comma, con l’emendamento Gasparotto, risulta del seguente tenore:

«Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».

Pongo in votazione la prima parte:

«Ha il comando delle Forze armate».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Azzi, non accettato dalla Commissione.

«e lo esercita in tempo di pace tramite il Minestro della difesa e in tempo di guerra tramite il Capo di Stato maggiore della difesa».

(Non è approvato).

Pongo in votazione le parole:

«presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge».

(Sono approvate).

Ed infine pongo in votazione l’ultima parte:

«dichiara lo Stato di guerra deliberato dalle Camere».

(È approvato).

A proposito del comma successivo: «Presiede il Consiglio superiore della Magistratura», gli onorevoli Mastino Pietro, Lussu, Sansone, Preti, Treves, Rossi Paolo, Lami Starnuti, Fiorentino, Pistoia, Barbareschi hanno proposto che la votazione dell’articolo sia rinviata a quando sarà esaminato l’articolo 97 sull’ordinamento giudiziario.

L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. La Commissione accetta.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ultimo comma:

«Può concedere grazia e commutare le pene».

(È approvato).

Pongo in votazione l’emendamento proposto dall’onorevole Clerici, accettato dalla Commissione.

«Concede le onorificenze della Repubblica».

(È approvato).

L’articolo 83 risulta nel suo complesso così approvato:

«Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

«Promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti.

«Può inviare messaggi al Parlamento.

«Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

«Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; ratifica i trattati internazionali, previa, quanto sia richiesta, l’autorizzazione delle Camere.

«Ha il comando delle Forze armate; presiede il Consiglio supremo di difesa, costituito secondo la legge; dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

«Può concedere grazia e commutare le pene.

«Concede le onorificenze della Repubblica».

Resta in sospeso la votazione relativa alla presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura e quella relativa al rinvio alle Camere, per un nuovo esame, delle leggi approvate, questione che sarà esaminata in sede di articolo 71.

Dobbiamo ora passare all’articolo 84.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Poiché è stato presentato da altri colleghi un emendamento nella forma dell’articolo aggiuntivo 85-bis, relativamente all’obbligo del giuramento del Presidente della Repubblica, mi parrebbe che questo tema abbia carattere preliminare rispetto alla materia contemplata dagli articoli 84 e seguenti, in quanto integra la figura del Presidente e la sua disciplina, anche in relazione a questo aspetto formale, che è stato ora sottoposto al nostro esame e sul quale dovrà deliberare l’Assemblea.

Se, quindi, l’onorevole Presidente convenisse nell’ordine di graduazione che io sottopongo, il tema del giuramento dovrebbe precedere quello dello scioglimento delle Camere.

PRESIDENTE. Onorevole Dominedò, abbiamo la consuetudine di esaminare gli articoli aggiuntivi sempre in fine del Titolo, salvo a dar loro una collocazione opportuna. Non vedo in che cosa la facoltà da concedersi al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere stabilita nell’articolo 84, possa essere subordinata al fatto che egli presti o meno il giuramento. Non vedo il nesso logico.

DOMINEDÒ. Non c’è nessuna subordinazione, lo riconosco io per il primo, ma mi parrebbe che risolvere il problema del giuramento attenga alla definizione preliminare e compiuta della figura del Presidente. È una questione d’ordine formale, non logico.

PRESIDENTE. Non ho nulla in contrario, salvo la osservazione che la proposta di emendamento da parte dell’onorevole Perassi e dell’onorevole Mortati, alla quale lei evidentemente si riferiva è recentissima, ed i colleghi quindi non ne hanno avuto conoscenza. Se la mettessi in discussione ora, giustamente qualcuno potrebbe chiedere la sospensione della seduta per poter esaminare l’emendamento, mentre ciò che attiene all’articolo 84 è da lungo tempo noto ed è stato quindi certamente esaminato dai deputati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Molto probabilmente la questione del giuramento solleverà meno difficoltà e, quindi, non ho ragione di oppormi alla richiesta dall’onorevole Dominedò.

PRESIDENTE. Se nessuno si oppone alla proposta dell’onorevole Dominedò do lettura dell’articolo 85-bis presentato dagli onorevoli Perassi e Mortati:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione avanti le Camere riunite».

Sullo stesso argomento è stato presentato un altro articolo aggiuntivo a firma degli onorevoli: Clerici, Bozzi, Uberti, Fuschini, Avanzini, Micheli, Malvestiti, Cremaschi Carlo, Ferrari, Alberti, Ambrosini, Titomanlio Vittoria, Firrao, Colombo Emilio, Salizzoni, Marconi, Coppi, Cappelletti, Guerrieri Emanuele, De Caro Gerardo, Chatrian, Benvenuti, Zuccarini, Nenni, Rossi Paolo, Treves, Preti, Crispo, Persico, Costantini, Tonello, Corbino, Carpano Maglioli, Gasparotto, Maffi, Laconi, Gullo Fausto, Vernocchi, Della Seta, Azzi, Perrone Capano e Reale Vito:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere l’ufficio, presta giuramento di fedeltà alla Costituzione davanti alle Camere riunite».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgere il suo articolo aggiuntivo.

PERASSI. Com’è noto, la questione del giuramento è rimasta riservata, nel senso che l’Assemblea Costituente avrebbe esaminato caso per caso quali sono gli organi per i quali il giuramento è prescritto.

Si pone ora il problema per il Presidente della Repubblica. Le formule proposte in parte coincidono; vi è però una differenza nella formulazione. Nel testo presentato dal collega Mortati e da me si dice che: «il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione», anziché limitarsi a dire: «giura fedeltà alla Costituzione». Ci sembra che la formula da noi proposta sia preferibile.

PRESIDENTE. L’onorevole Clerici, che è il primo firmatario del secondo articolo testé letto, ha facoltà di svolgerlo.

CLERICI. È questione di forma. Mi associo a quello dell’onorevole Perassi, e ritiro il mio.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, qual è l’avviso della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione accetta il testo Perassi-Mortati.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Questa proposta, che non è stata pubblicata e che è stata presentata all’ultima ora, mi ha sorpreso. Vi è proprio bisogno di mettere l’obbligo del giuramento nella Costituzione?

Io sono venuto qui, in questa Assemblea, con l’idea che le vecchie formule fossero in gran parte abolite. Trovo che aumentano ogni giorno. Nessuna monarchia ne ha abusato da noi, come se ne incomincia ad abusare oggi. Vi sono già tante cose che abbiamo ammesso; abbiamo ammesso anche che il Presidente della Repubblica può accordare decorazioni, che non esistono, nella previsione che si creino in avvenire. Abbiamo tanto desiderio di fare decorazioni? Ed allora, perché avete ammesso questa cosa inutile ed assurda? Se si dovranno concedere delle decorazioni, sarà la Camera che deciderà se il Presidente può accordarle, ed in quale forma. (Commenti).

Adesso, si propone l’inutile aggiunta del giuramento del Presidente della Repubblica. Quanto tempo abbiamo perduto in quest’Aula per parlare dei vari giuramenti da istituire per il Capo provvisorio dello Stato! Non ho mai sentito tanti discorsi sul giuramento. Sentite proprio il bisogno di determinare questa materia? Sentite proprio il bisogno di stabilire se e come deve giurare il Presidente della Repubblica?

Non lo avete sentito questo bisogno, tanto è vero che ve ne venite all’ultima ora con questa proposta.

Io vi prego di sopprimere questa parte e di rinunciare al giuramento.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà..

ROSSI PAOLO. Mi duole di non poter condividere il parere espresso dall’illustre Presidente Nitti, ma ormai abbiamo messo il giuramento nella Costituzione, e non so perché il Capo dello Stato, che dovrebbe ricevere il giuramento dei Ministri, non dovrebbe a sua volta prestarlo!

Il messaggio cristiana: «Nolite jurare, sia la vostra parola: sì, sì; no, no» è un alto messaggio e ne sentiamo il valore, ma indubbiamente non si può concepire che proprio il Capo dello Stato, il quale riceve il giuramento altrui, sia esonerato dal prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione.

Abbiamo certamente abusato, per il passato, del giuramento. Per esempio, il giuramento dei professori universitari, che è rimasto adesso soltanto per i professori delle scuole medie, era una cosa assurda. Pretendere il giuramento di fedeltà da parte di un professore per consentirgli il diritto di insegnare greco, o astronomia, o anatomia comparata, è una cosa assurda. Ma non è assurdo affatto che giuri, nella forma più solenne, fedeltà alla Costituzione, il Capo dello Stato.

Se escludessimo il giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alla Repubblica del Capo dello Stato, faremmo una Costituzione anomala. Non ci sono, ch’io mi sappia, né Costituzioni monarchiche, né Costituzioni repubblicane, né Costituzioni moderne, né Costituzioni antiche, che non prevedano questo atto formale e solenne di dichiarazione di fedeltà del Capo dello Stato alla Repubblica, o alla monarchia se c’è la monarchia, e comunque alla Costituzione ed alle leggi fondamentali che reggono lo Stato.

Per queste ragioni, io e il mio Gruppo voteremo a favore del giuramento.

GULLO FAUSTO. Non dimenticate che è il Capo supremo delle Forze armate!

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula proposta dall’onorevole Perassi:

«Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione avanti le Camere riunite».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 84. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere».

PRESIDENTE. Ricordo che l’onorevole Benvenuti ha già svolto il seguente emendamento, in sede di articolo 83:

«Sostituire col seguente:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere.

«Promuove, ogni qual volta lo ritenga del caso, azione di incostituzionalità delle leggi, decreti e regolamenti che vengano proposti alla sua firma.

«Presiede il Consiglio superiore della magistratura e nomina con decreto, su designazione del Consiglio stesso, i magistrati.

«Nomina i funzionari della Presidenza della Repubblica.

«I poteri di cui al presente articolo sono esercitati dal Presidente della Repubblica in via di prerogativa: per la loro validità non è necessaria la controfirma del Primo Ministro, né dei Ministri».

L’onorevole Dominedò ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: può, aggiungere le parole: in via di prerogativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Eccomi pronto a dare ragione dell’emendamento proposto all’articolo 84. In queste norme del progetto di Costituzione, il potere del Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento delle Camere è contemplato indiscriminatamente, indifferenziatamente, rispetto agli altri poteri del Capo dello Stato contemplati nell’articolo precedente dello stesso progetto.

Penserei allora che in un tema di tale importanza, il quale veramente deve servire a collocare il Capo dello Stato al vertice dell’ordine costituzionale che stiamo costruendo, ponendolo nella sua veste di tutore e custode della Costituzione al di sopra del Parlamento attraverso la potestà di scioglimento, penserei, dicevo, che nell’esercizio di tale funzione debba adottarsi quella particolare configurazione giuridica per cui, in sede costituzionale, convenga parlare di poteri spettanti al Capo dello Stato «in via di prerogativa», nel senso di un potere proprio, esclusivamente pertinente. Se poi, allo scopo di meglio differenziare questa ipotesi dalle mere funzioni di carattere personale, si volesse adottare un’altra formula, in luogo di quella del «potere in via di prerogativa», ripetuta dalla Costituzione estone e da altri testi, si potrebbe forse preferibilmente parlare di «potere autonomo» o «potere esclusivo», inerente all’organo piuttosto che alla persona.

Qualora si riuscisse così a configurare questo potere del Capo dello Stato, esclusivamente ad esso spettante, la conseguenza sarebbe la seguente: che l’atto compiuto dal Capo dello Stato, nell’esercizio nel potere conferitogli nella così detta via di prerogativa, non avrebbe bisogno, agli effetti della validità giuridica e costituzionale, della controfirma del Primo Ministro ed in genere del Governo.

La ragione che ispira l’emendamento è pertanto essenzialmente quella di attribuire nella sua pienezza questo potere di risolvere i conflitti con le Camere, nel caso in cui la volontà del Parlamento risulti in antitesi con la coscienza del paese, poiché un potere di scioglimento delle Camere, il quale sia legato agli effetti della sua validità alla necessità essenziale della controfirma dello stesso Governo promanante dalle Camere sciolte, finirebbe per essere mutilato nel momento stesso in cui lo si formula. L’articolo 84 va quindi visto in stretta connessione sia con il primo comma dell’articolo 85, il quale subordina la validità degli atti compiuti dal Capo dello Stato alla controfirma dei Ministri competenti, sia col secondo comma dello stesso testo, relativamente alla materia della responsabilità, sulla quale si dovrà altrove tornare.

È perciò che, laddove l’emendamento proposto dovesse essere accolto, bisognerebbe correggere conseguentemente il primo comma dell’articolo 85 in questi termini: «Gli atti compiuti dal Capo dello Stato, tranne quelli nell’esercizio del potere in via di prerogativa, non sono validi se non controfirmati dal Primo Ministro e dai Ministri competenti». E altrettanto dovrebbe logicamente dirsi per il problema della responsabilità politica, non essendo più invocabile un principio di irresponsabilità per gli atti non coperti dalla firma del Governo.

Pare che queste previe enunciazioni di principio servano a porre in evidenza il significato giuridico da un lato, e quello politico dall’altro, di una proposta mirante in definitiva a quella finalità ultima che può dirsi della elevazione di prestigio e del rafforzamento di potere del Capo dello Stato, onde rendere storicamente attuabile il suo compito di supremo moderatore della Costituzione. Probabilmente, una proposta di tanto rilievo potrebbe essere contemperata da una eventuale delimitazione della potestà di scioglimento. Forse la potestà di scioglimento, spettante in via di prerogativa con le caratteristiche e gli effetti sin qui delineati, potrebbe ad un tempo essere circoscritta, venendo ricondotta a determinate condizioni, collegata a determinati limiti. È perciò che altri colleghi si riservano di studiare questo delicato punto, per sottoporre all’Assemblea possibili emendamenti riguardanti una delimitazione del potere di scioglimento: in questo caso, tali emendamenti costituirebbero quasi la naturale contropartita dell’accresciuto potere presidenziale a seguito della qualificazione in via di prerogativa.

Richiamando, quindi, i precedenti costituzionali testé citati e tenendo presente un complesso di finalità che attengono insieme all’ordine giuridico ed all’ordine politico, oserei ritenere che se l’Assemblea entrasse nell’ordine di idee di valutare l’opportunità di dare nuova configurazione a questo potere centrale di scioglimento, vera chiave di volta della nostra costruzione costituzionale, si riuscirebbe nel duplice intento di rafforzare la posizione del Capo dello Stato, e di inquadrarne insieme la figura in quei principî che abbiamo voluto preservare, muovendoci nell’orbita del Governo parlamentare e non del Governo presidenziale.

Poiché sia ben fermo che, anche configurando il potere di scioglimento nel quadro dei poteri spettanti nella così detta via di prerogativa, non si altererebbe concettualmente la struttura costituzionale che l’Assemblea ha prescelta come la più rispondente in Italia all’attuale momento storico. Noi infatti ci muoveremmo sempre nell’orbita di un regime parlamentare e non presidenziale, se è vero che il Presidente non si sovrapporrebbe all’esecutivo, bensì sarebbe solamente investito di questa funzione centrale, ma delimitata e circoscritta, proprio allo scopo di ristabilire l’equilibrio fra i poteri dello Stato, dimostrandosi così l’autentico moderatore della Costituzione, capace di riavvicinare il Parlamento al paese e di dirimere il conflitto con un Governo non più rispondente alle esigenze della coscienza comune.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole. Colitto:

«Alle parole: sciogliere le Camere, sostituire: sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Questo emendamento mira a rendere più chiara la dizione dell’articolo.

Io mi sono domandato: può il Capo dello Stato sciogliere anche una soltanto delle Camere? Se a questo interrogativo possiamo rispondere affermativamente, è opportuno formulare la norma in guisa che nessun dubbio sorga in proposito.

Ho perciò proposto la seguente formula: «entrambe le Camere o anche una sola di esse». Non trovo tuttavia alcuna difficoltà ad abbandonare eventualmente questa formula e ad accettarne qualsiasi altra, che potrà, secondo la Commissione, rendere meglio il concetto da me espresso.

Osservo peraltro che la formula da me proposta è stata già usata in altre norme di questa Costituzione e si trova adottata anche in molte disposizioni del Codice penale e nelle leggi, che attualmente la Commissione dei Settantacinque sta esaminando, di riforma di alcune parti del Codice penale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bosco Lucarelli:

«Aggiungere il seguente comma:

«In tale caso i poteri delle Camere non sono prorogati fino alla riunione delle nuove».

Ha facoltà di svolgerlo.

BOSCO LUCARELLI. Noi abbiamo, nell’articolo 58 già approvato, stabilito che i poteri delle Camere sono prorogati sino alla riunione delle Camere nuove. Ma questa facoltà noi l’abbiamo vista in rapporto alle Camere le quali si sciolgano per compiuto termine. Qui viceversa l’ipotesi è completamente diversa, giacché qui ci troviamo di fronte a Camere che sono sciolte in virtù di un provvedimento eccezionale.

Ora, se nell’ipotesi dell’articolo 58 ci trovavamo di fronte a Camere che avevano regolarmente svolto la loro azione, per cui sembrava opportuno che ad esse fosse concessa una proroga delle loro funzioni fino alle Camere nuove, viceversa la posizione contemplata dall’articolo 84 è, come ho detto, completamente diversa, perché noi prorogheremmo delle Camere che il Capo dello Stato ha ritenuto non poter funzionare. Quindi, abbiamo una contraddizione in termini, perché, da un lato, abbiamo delle Camere che non possono funzionare; dall’altro, abbiamo la proroga dei poteri delle Camere stesse.

Dal punto di vista poi dell’opportunità, io mi domando come si pensa che potrebbero funzionare queste Camere che si trovassero di fronte ad un decreto di scioglimento e quali si pensa che sarebbero i loro rapporti con l’esecutivo. È evidente che non potrebbe determinarsi se non un gravissimo attrito, uno stato di fatto molto pericoloso e molto grave.

Mi sono permesso quindi di presentare un emendamento con il quale, in caso di scioglimento delle Camere, tale proroga non avvenga come viceversa avviene regolarmente per l’articolo 58, quando le Camere abbiano regolarmente funzionato e si siano sciolte per compiuto termine.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:

«Aggiungere il seguente comma:

«Allo scioglimento delle due Camere seguirà l’elezione del Presidente della Repubblica da farsi entro sei mesi dalla elezione delle Camere stesse».

Ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. Vi rinunzio, onorevole Presidente. Avrei infatti mantenuto l’emendamento se fosse stata stabilita la nomina del Capo dello Stato a suffragio diretto dei popolo, giacché scopo dell’emendamento stesso era quello di frenare l’eventuale strapotere del Presidente della Repubblica; ma, dopo l’approvazione dell’articolo 79 nel senso che tutti sanno, non vi è più questa necessità.

PRESIDENTE. Sta bene. L’onorevole Costantini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 84 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTANTINI. Io penso, onorevoli colleghi, che lo spirito che ci anima nel presentare questi emendamenti sia sostanzialmente il medesimo, da qualunque parte essi provengano. In sostanza, lo spirito, che mi ha determinato a presentare l’emendamento testé letto, è quello di evitare pericoli che noi oggi possiamo solo temere, perché l’avvenire è sulle ginocchia di Giove. Per disgrazia, abbiamo il ricordo e l’esperienza del passato che ci inducono a molta prudenza.

Dalla semplice lettura di questo articolo, che siamo chiamati ad approvare, cioè dell’articolo 84, noi rileviamo che il potere concesso, o in via di concessione, al Presidente della Repubblica, è enorme. Badate: il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. E non si parla – perché non è possibile fare una casistica – delle ragioni che possono determinare o imporre un provvedimento di questo genere. Si dice «può», e non si dice altro, perché altro non si può dire.

E allora, nella tema che in un prossimo o magari lontano avvenire vi sia un Presidente della Repubblica il quale abusi dei suoi poteri e sciolga le Camere, quando le Camere non dovrebbero essere sciolte, che cosà dobbiamo fare? Io penso che, sostituendo – non sarà una formula prefetta – a quel «sentiti i Presidenti», il consenso dei Presidenti delle due Assemblee legislative, noi avremmo, anziché la responsabilità, la iniziativa individuale del massimo rappresentante della Repubblica ed anche quella di coloro che, col consenso delle Assemblee legislative, rappresentano le Assemblee stesse.

È una garanzia che io propongo sia stabilita per tutelare, nelle forme che sono consentite alle nostre umane possibilità, questa democrazia che abbiamo ottenuto con tanta fatica e che dobbiamo custodire con ogni diligenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento, da porre in votazione, secondo il proponente, solo nel caso che l’articolo sia approvato nel testo del progetto:

«Aggiungere il seguente comma:

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

L’onorevole Laconi non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Io mi ero proposto di prendere la parola sull’articolo 85 o sull’articolo 86 ma, per essere interamente sincero, onorevole Presidente, dirò che nel mio proposito vi sarebbe una specie di dichiarazione di voto che vale per tutto il passato e per tutto l’avvenire; quindi, questo riassunto sintetico del mio pensiero di prima e di poi sarebbe tutto a vantaggio del lavoro dell’Assemblea. E volevo scegliere, come ho detto, l’articolo 85 o l’articolo 86, dove si pone un quesito che mi pare insoluto e fondamentale, cioè a dire: questo Governo della futura Costituzione che rapporti avrà con il Presidente, Capo dello Stato? È un problema che credo non risoluto ed è fondamentale, poiché è quello da cui si qualifica la forma di Governo che si vuole adottare.

Dico che avrei preso argomento da uno di questi due articoli per una motivazione di voto verso il passato e verso l’avvenire, cioè per spiegare la scarsa mia partecipazione ai lavori finora diretti alla creazione della nuova Costituzione e quella, temo, egualmente scarsa, ai lavori futuri. Ricordo, dunque, che io nella grande discussione generale manifestai dei concetti di carattere fondamentale che ebbero la sfortuna, o meritarono, diremo più modestamente, la sfortuna, di non essere accolti, di essere radicalmente disattesi. Io ne prendo atto con doverosa modestia, ma spiego la scarsezza della mia cooperazione per il fatto stesso che il dissenso cade su quello che è lo spirito fondamentale, e non riguarda una differenza analitica su questa o su quella espressione, ma su tutte le parti essenziali di questa costruzione di diritto pubblico. In tal caso, non ci si può mettere d’accordo! È come parlare due lingue diverse reciprocamente incomprese!

Ora, uno dei punti più gravi del mio dissenso è stata la esautorazione completa di questo futuro Capo dello Stato repubblicano. Si direbbe che si tratti quasi di una specie di sfiducia anticipata, di un sospetto continuo verso l’abuso dei poteri concessi, onde sono considerevolmente ridotte le attribuzioni del Capo di Stato quali spettano ordinariamente nei regimi monarchici. Or, tutti ricorderanno lo spirito satirico onde, precisamente a causa di questa scarsezza di poteri, era stato attribuito ai re costituzionali l’appellativo di «re travicello». E tenete conto che v’era di mezzo il rispetto verso la maestà del re!

Ora, io mi domando quali epiteti saranno riservati a questo futuro Presidente di Repubblica al quale si trasferiscono i poteri che prima erano pertinenti al Capo dello Stato monarchico e per cui quegli era ritenuto «un travicello», ma si trasmettono in una misura ancora più ridotta! Si può dire che non rappresenti più nulla!

Ora, con questa convinzione che io avrei voluto illustrare a proposito del coordinamento della responsabilità di cui all’articolo 85 e dei poteri del Governo o Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 86, non mi sarei però davvero aspettato che mi si fosse data occasione di intervenire per il motivo inverso, cioè per lo scioglimento della Camera per quanto qui si parli di scioglimento delle due Camere, mentre lo Statuto albertino non si riferiva né poteva riferirsi che solo ad una; il quale scioglimento contemporaneo fa una certa impressione, e desta qualche preoccupazione.

Ma comunque è un’attribuzione che è talmente nell’interesse del funzionamento della Costituzione e della politica di un Paese, che non saprei comprendere come si possa prescinderne.

Ma vi è il mio amico e collega (vorrei dire discepolo) a cui ho voluto e voglio tanto bene e verso cui professo tanta stima, l’onorevole Dominedò, che nientedimeno ne farebbe un potere personale! Perché, badiamo bene: la formula è in via di prerogativa. L’espressione «prerogativa», che ci viene dalla Costituzione inglese, indica un potere non attribuito alla persona, ma attribuito solo in quanto funzionario, sia pure supremo, sia pure organo rappresentante della sovranità dello Stato. Ma, l’onorevole Dominedò nello specificare che il potere di scioglimento è conferito in via di prerogativa avverte che si tratta di una ipotesi diversa ed anzi contrastante e cioè come potere autonomo, esclusivo e quindi eccezionale: in una parola, personale.

Ora io mi ricordo che come deputato, ma prima come professore, ho sostenuto quella lotta nel campo scientifico (che poi fu superata perché nessuno più ne dubitò) sulla questione: se fossero potute rimanere delle attribuzioni del Capo dello Stato che non avessero carattere di prerogativa, perché tutte le attribuzioni del Capo dello Stato erano prerogative, cioè a dire non erano conferite alla persona ma bensì all’organo come rappresentante la sovranità dello Stato.

La questione fu sollevata da prima dai costituzionalisti francesi della monarchia di luglio, e, per verità, in questa categoria di diritti personali rimasti al re cui si dava il titolo di maiestatici, si comprendeva lo scioglimento della Camera. Ma questa speciale estensione non fu presa molto sul serio; si continuò invece a ridurre siffatti diritti pretesi maiestatici a questi due ordini di attribuzioni: il diritto di grazia e i titoli nobiliari. Questa opinione ebbe qualche rappresentante in Italia, nei primi tempi sotto l’impero dello Statuto albertino, limitatamente dunque alla grazia ed agli ordini nobiliari.

Qualcuno diceva: queste attribuzioni sono ancora di natura personale, residui dei diritti propri dei monarchi, senza alcun concorso di altri organi costituzionali. Quando il re fa la grazia, la fa come persona, non la fa in quanto rappresenta lo Stato e quindi in quanto prerogativa nel loro senso costituzionale. E così pure i titoli nobiliari. Per i titoli nobiliari vi sarebbe stata una maggior ragione, perché quella competenza si collegava con una tradizione secondo cui il conferimento del titolo era atto di personale volontà del Sovrano collo stesso titolo specifico delle monarchie assolute e lo Statuto albertino aveva detto che questo diritto si manteneva nella sua figura storica. Ciò malgrado, noi giuspubblicisti della nuova scuola ci rifiutammo di ammettere queste interpretazioni. E questa era democrazia, come la intendevamo verso il 1890, onde ora dovrei passare per un estremista. Abbiamo detto: nient’affatto; il Capo dello Stato della monarchia, secondo lo Statuto albertino, non ha nessun potere personale; tutti i suoi poteri sono esercitati in quanto rappresentante dello Stato e tutti sottoposti al principio generale della responsabilità ministeriale. E queste tendenza prevalse perché la grazia fu sotto la controfirma del Ministro Guardasigilli e gli ordini nobiliari furono sotto la generale competenza del Primo Ministro e Ministro dell’interno attraverso la Consulta araldica, come ufficio dipendente dalla Presidenza del Consiglio.

Ora dobbiamo fare questo po’ po’ di passo retrogrado nel senso, che sessanta anni fa ci sembrava antidemocratico, antiliberale, di riconoscere un potere personale, vuol dire un potere per cui non si risponde, non più nel re ma nel Presidente della Repubblica! Per verità a me pare che questa semplice esposizione storica dimostra l’assoluta impossibilità di aderire a quella proposta.

DOMINEDÒ. Ma noi ci riserviamo di toccare il problema della responsabilità quando esamineremo il secondo comma dell’articolo 85.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Nelle cose dette dal mio amico Dominedò vi è una parte in cui sono disposto a consentire, cioè in quanto egli trova, quasi come in una extrema ratio, finalmente un mezzo di assicurare l’autorità di questo Presidente: autorità di tanto ridotta se non addirittura demolita. Ben poco gli è rimasto anche in confronto del potere del Capo dello Stato monarchico.

Ha, sì, il comando delle forze di terra e di mare, ma poi, viceversa, l’attività militare ritorna al Governo come Ministero della guerra o comandi di Stato maggiore, che non dipendono da lui o almeno non risulta che dipendano da lui, e ciò anche a prescindere dal particolare prestigio di un re che era pure, o si presumeva che fosse, un tecnico rivestito di gradi militari.

Ora a proposito di un siffatto Presidente della Repubblica, siccome esautorato, l’amico Dominedò trovava che effettivamente non inquadra in questa esautorazione questo potere di scioglimento delle Camere che realmente ha una portata almeno simbolicamente grandissima; onde, per rafforzare sempre più quell’autorità, pensava di attribuirla in quella forma eccezionale.

E, in verità, nel senso di questa tendenza, io potrei consentire, perché penso io pure che eccessiva è stata la riduzione di quell’autorità. Per esempio, gli si è levata l’iniziativa. Or nell’iniziativa si afferma per di più la natura giuridica del Capo dello Stato e si giustifica l’intervento dell’autorità di esso come di colui che stando al vertice della vita di un popolo deve avere la sensibilità più acuta e più pronta di un bisogno nel campo della politica, del diritto, dell’economia del Paese. Gli avete pure tolto la sanzione. Lo avete escluso dal potere legislativo. Non gli appartiene il potere giudiziario, e questo è naturale. Io non so più se gli spetta il potere esecutivo. E quando dovesse discutersi qualcuno degli articoli relativi a questo argomento vi parteciperei, per manifestare, almeno, i miei dubbi. Ed allora è naturale la domanda: cosa ci sta a fare? E si risponde: ha il potere di sciogliere le Camere. E l’onorevole Dominedò acutamente pensa che nel giusto intento di rinforzarne l’autorità gioverebbe di attribuirgli quella competenza come un diritto personale, non in quanto è il rappresentante della sovranità dello Stato, ma si chiami, non so, oggi Enrico De Nicola, o domani non so chi altro, poiché non intendo fare pronostici in questa delicata materia, mentre l’affidarsi a una persona dovrebbe soprattutto dipendere dalla fiducia verso quella data persona. Or, vedete, questo potere che per se stesso è indubbiamente grave, può diventare minaccioso tanto più quanto meno poteri gli avete dato. (Approvazioni).

Abbiamo tutti vissuto questa vita parlamentare d’Italia. Ricordate un caso in cui si sia fatta la grossa questione politica di fronte ad uno scioglimento, come determinato da intenti di sopraffazione politica? Io non me ne ricordo. Io non me ne ricordo e credo di poterlo escludere perché tutto il congegno dei meccanismi parlamentari rendeva poco facile che il potere esecutivo ricorresse a quell’atto violento. Poiché è violento; come negarlo? È un atto di volontà di un individuo che soverchia e dissolve la rappresentanza della Nazione. Ma è tanto meno possibile di negare questa competenza al Presidente della Repubblica, quanto più grave mi appare quella esautorazione. Ma, fermato questo punto, che vi sia da parte della prima Camera della Repubblica d’Italia, che vuole riaffermare la democrazia nel suo senso più ampio, la dichiarazione con cui si attribuisce ad un organo dello Stato un potere personale sottratto alla responsabilità, mi sembra una cosa veramente così straordinaria che per mio conto non saprei prestare il mio assenso, poiché ne resterebbe profondamente turbato tutto lo spirito della Costituzione. Io che mi dolgo che l’autorità del Capo dello Stato sia stata di tanto sminuita, vi dico la verità, di fronte a questo potere che lo fa diventare una specie di sovrano assoluto, resto perplesso. Lasciatelo sotto la responsabilità, ed allora va bene. Non si possono conciliare due cose incompatibili. Se il potere è personale, vuol dire che non se ne risponde. È una forma, sia pure limitata, di potere assoluto e quindi in perfetta contradizione con quello spirito democratico di cui l’Assemblea si è dimostrata animata. Il pericolo è appunto l’esautorazione del potere esecutivo. Occorre un rafforzamento del potere esecutivo ed io vorrei arrivare all’elezione popolare, appunto per rafforzarlo. Ma, tornando al punto di partenza, credo, ciò malgrado, che sia radicalmente contrastante con lo spirito democratico il riconoscere un potere personale. (Vivi, generali applausi).

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi, mi trovo confuso di dover parlare dopo un maestro come l’onorevole Orlando, alle cui osservazioni dichiaro subito di acconsentire pienamente. Parlo però anche per dichiarazione di voto, per aggiungere, mi illudo, una postilla (non è che una diretta conseguenza, postilla, dicevo, e corollario di quello che ha già prospettato l’onorevole Orlando). Chiedo all’onorevole Dominedò, al caro ed illustre collega Dominedò, come mai può congegnare il suo emendamento che, in sostanza, porterebbe all’assurdo di un Presidente della Repubblica che senza, ed eventualmente contro, il parere del Primo Ministro e dei Ministri, scioglie le Camere. Ed allora io gli chiedo come mai si può inquadrare giuridicamente questo fatto con le due disposizioni, che sono nell’articolo 85, per cui da una parte il Presidente della Repubblica non deve rispondere dei suoi atti; e dall’altra ciascun suo atto non è valido se non è controfirmato dai Ministri.

Qui invece avremmo un atto non controfirmato da alcun Ministro e del quale quindi nessuno dei Ministri risponde, mentre non ne risponderebbe del pari neppure il Presidente della Repubblica. E allora pongo quest’altro interrogativo all’onorevole Dominedò: E se, come può avvenire, il Paese, nella duplice elezione dei senatori e dei deputati, decidesse poi contro il Presidente della Repubblica che sciolse la Camera, che cosa succederebbe? Normalmente succedeva, secondo l’antica prassi, che era vera legge costituzionale, questo: il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, che avevano sottoscritto e assunto la responsabilità dello scioglimento della Camera, rispondevano essi dell’atto politico e davano le dimissioni. In questo stava la sanzione per l’atto disapprovato dal Paese. Secondo l’emendamento Dominedò, invece, avremmo il Presidente della Repubblica che non risponde non solo alle Camere ma neppure al Paese sovrano, che lo ha sconfessato. Allora capiterebbe con ogni probabilità quel fatto, straordinario, che si è verificato in Francia nel 1878, allorquando il Presidente MacMahon sciolse la Camera sul parere del Duca De Broglie, Presidente del Consiglio; ed il popolo rispose rimandando al Parlamento coloro che erano stati sciolti e che si erano coalizzati fra loro. Si arrivò così al famoso dilemma di Leone Gambetta: sottomettersi o dimettersi; ed a seguito di ciò MacMahon dovette dare le dimissioni, benché istituzionalmente ciò fosse escluso dalla Costituzione di recente votata. Il fatto fu talmente grave che da allora nessun Presidente della Repubblica sciolse più la Camera. Quindi, e, meglio ancora, nessun Presidente del Consiglio osò più chiedere il provvedimento. E con la disposizione dell’onorevole Dominedò noi introdurremmo nella Costituzione un principio assurdo, perché avremmo un Presidente della Repubblica che non risponderebbe di ciò che esso facesse di sua testa e quindi con la sua esclusiva ed espressa responsabilità; un principio per di più che sarebbe fomite di disordini.

DOMINEDÒ. C’è la riserva. Il problema resta aperto.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

Svolgimento di interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha fatto sapere di essere pronto a rispondere alle due seguenti interrogazioni presentate ieri sera con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati presi dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica allo scopo di proteggere i porti e gli aeroporti italiani, e particolarmente quelli meridionali, dal pericolo di una estensione dell’epidemia colerica che in atto colpisce i porti dell’Egitto.

«Caronia, Dominedò».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti o quali misure cautelari e preventive siano stati emesse o si emetteranno per evitare che navi provenienti dall’Egitto possano provocare casi di colera in Napoli e dintorni; considerando a tal fine il forte agglomerato urbano di Napoli e le condizioni veramente pietose degli ospedali cittadini che non possono dare – nonostante gli sforzi di dirigenti e personale – alcuna garanzia alla cittadinanza stessa.

«Sansone».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio. Secondo precise indagini esperite dagli organi centrali e periferici dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, risulta che, prima ancora della presentazione delle due interrogazioni e prima ancora della comunicazione ufficiale da parte del Governo egiziano dell’avvenuta epidemia di colera in quello Stato, erano state disposte dall’Alto Commissariato stesso tutte le misure del caso, per impedire contagi negli aerodromi ed aeroporti, dove fanno scalo gli aerei provenienti dall’Egitto.

Secondo disposizioni, che rispondono alle vecchie convenzioni internazionali, aggiornate, si è stabilito che l’atterraggio degli aerei provenienti dall’Egitto e l’approdo delle navi ai porti sono ammessi soltanto in particolari zone attrezzate allo scopo. I passeggeri e gli equipaggi in arrivo sono sottoposti a particolari visite, intese ad accertare eventuali infezioni o malattie, conformemente a una procedura ormai acquisita.

Sta in fatto che fino ad oggi non è stato accertato in queste visite nessun caso di colera. Ed è stato disposto che, qualora sia accertata la presenza di infermi, affetti o sospetti di infezione colerica, essi vengano sbarcati con particolari cautele e ricoverati in appositi locali di isolamento; e che tutto il personale esistente a bordo dei mezzi di trasporto sia, in tale evenienza, sottoposto alle prime misure di profilassi e tenuto in particolare stato di contumacia.

Per quanto riguarda l’arrivo di merci da parte dell’Egitto, è stata impartita una disposizione in base alla quale è vietata l’importazione di prodotti orticoli, mentre gli oggetti di biancheria e di abbigliamento sono sottoposti a particolare trattamento, che dà garanzia di non portare il contagio.

Inoltre è stato disposto per la vaccinazione anticolerica degli equipaggi e dei passeggeri delle navi e degli aerei diretti in Egitto o provenienti dall’Egitto, nonché di tutto il personale di bordo che sta a contatto con le persone viaggianti. Infine è stato richiesto alle autorità comunali di intensificare le misure per impedire l’accesso a bordo di questi mezzi da parte di estranei.

Aggiungo, per quanto riguarda l’interrogazione dell’onorevole Sansone, che a Napoli vi è un ospedale di isolamento, attrezzato per il trattamento di contumacia, nel caso si verificasse la dannata ipotesi cui fanno cenno le due interrogazioni. Mi auguro che questo rimanga del tutto in stato di previsione e che non occorra mettere in atto quanto è stato predisposto.

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CARONIA. Mi dichiaro sodisfatto in parte delle assicurazioni dell’onorevole Andreotti.

Egli ci fa sapere che sono state messe in opera tutte le norme di profilassi abituali per proteggere la Nazione da una eventuale epidemia. Ma viviamo in un periodo speciale e non dobbiamo contentarci dei provvedimenti abituali, che valgono solo in tempi normali. Occorrono ben altri provvedimenti, che io prospetto alla Presidenza del Consiglio, perché essa possa, a sua volta, passarli alle autorità competenti.

È a tutti noto che si esercita in questo periodo un contrabbando intensissimo, attraverso le vie del mare. Sono piccoli piroscafi, barche, zattere, che dalle nostre spiagge portano materiale prezioso per la nostra alimentazione (bestiame, grano ed altri cereali) in regioni dell’Africa, dell’Albania, dell’Egitto, e viceversa dall’Egitto, dalle altre coste Africane, dalla Grecia, in maniera incontrollata, portano altre materie, non necessarie, alle nostre spiagge, non ai porti, ma alle spiagge deserte. È opportuno che, sia per ragioni economiche sia per ragioni igieniche, si intensifichi la sorveglianza su questa forma di contrabbando, affinché con il traffico incontrollato non si introducano ospiti indesiderabili e non s’introducano e non si propaghino infezioni contagiose, quale il colera, assai temibili per il nostro paese. Insisto che la Presidenza deb Consiglio si faccia zelante presso le autorità competenti per ovviare non solo al danno della nostra economia ma anche al pericolo per la salute del nostro popolo.

PRESIDENTE. L’onorevole Sansone ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SANSONE. Prendo atto di quanto ha dichiarato il Sottosegretario alla Presidenza circa le misure precauzionali predisposte per la tutela dei porti e degli aerodromi dell’Italia meridionale. Io ho voluto richiamare l’attenzione del Governo sulla situazione particolare di Napoli, che è esposta, data l’importanza del suo porto, ad una possibilità di contagio, che per la città sarebbe veramente fatale, considerate la sua situazione di agglomerato urbano che vive in condizioni tuttora antigieniche e la situazione ospedaliera di Napoli, che è veramente grave e sulla quale richiamo l’attenzione del Governo.

Ma non tutte le cautele opportune sono state usate: ne manca almeno una, a mio avviso, poiché non si è pensato alla disinfestazione delle navi e degli aeromobili, perché, notate bene, gli insetti, gli animali e le cose che sono sui natanti possono propagare il colera a bordo delle navi e degli aerei. Sarebbe perciò opportuno predisporre che tutte le navi e gli aerei che vanno o provengono dal Levante siano sottoposti a disinfestazione, perché è inutile tenere le persone sotto controllo e in quarantena, se sulle navi permane la possibilità che si determinino nuovi casi. È noto infatti che la «Reuter» ha diffuso in questi giorni la notizia del caso di un marinaio inglese, colpito da colera a bordo di una nave approdata nel porto di Napoli. La notizia è stata smentita, ma dall’episodio possiamo ricavare elementi per dubitare che vi siano casi occulti. È proprio su questo che richiamiamo l’attenzione del Governo: infatti non basta emettere le norme, ma occorre verificare se alla periferia si attuino ed occorre vigilare affinché tutti i medici provinciali facciano le eventuali denunce di tutti i casi occulti. Io ritengo che nei pressi del porto di Napoli – secondo notizie che mi sono state date, ma che non voglio avallare – vi siano casi occulti, che per la città di Napoli sarebbero il principio di una grave situazione.

Noi potemmo uscire dal tifo petecchiale, durante l’occupazione alleata del 1944, con uno sforzo veramente eroico che la città sopportò, ma oggi l’infezione colerica sarebbe la rovina della città. Su questo io ho voluto richiamare, con la mia interrogazione, l’attenzione del Governo.

Non basta emettere norme e fare telegrammi, ma occorre creare posti di vigilanza speciale, considerando soprattutto che la città di Napoli non ha una adeguata attrezzatura ospedaliera e che si trova in una situazione di super-popolazione che tutti conoscono. Prego perciò il Governo di provvedere. Siamo qui a dare il segnale d’allarme e mi auguro che le nostre parole non siano disperse al vento; noi abbiamo il dovere di tutelare la vita di migliaia di cittadini abbandonati a loro stessi. Prego ancora una volta il Governo d’intensificare la sua azione, con opportune disinfestazioni a bordo delle navi e degli aeromobili e con una accentuata vigilanza degli uffici provinciali sanitari e degli uffici sanitari di porto. Insisto presso il Governo che dette disposizioni si attuino in modo da evitare il pericolo colerico che, ripeto, sarebbe veramente grave e letale per la città di Napoli. Approfitto di questa occasione per richiamare l’attenzione del Governo sulla precaria situazione ospedaliera della città di Napoli. Lei, onorevole Andreotti, ha detto poco fa che a Napoli vi è un ospedale, il «Cotugno», che «sarebbe» attrezzato per la cura di siffatte malattie infettive. Lei ha detto: un ospedale che «sarebbe» attrezzato, mentre avrebbe dovuto dire: un ospedale che è attrezzato. Io le dico che il «Cotugno» è sì un ospedale specializzato per malattie infettive, ma le condizioni attuali di questo ospedale non sono tali da fronteggiare un’eventuale epidemia di colera.

Chiedo all’onorevole Andreotti, e per esso al Governo, di portare la massima attenzione su questo problema, che interessa vasti strati della popolazione di Napoli e dintorni e dell’Italia meridionale.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere quali urgenti provvedimenti intenda prendere nei confronti degli attuali concessionari del Casinò di San Remo, delle cui attività e precedenti si sono già fatti eco sia la stampa che, alla Costituente, altri colleghi con specifiche interrogazioni.

«Sampietro».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Interesserò il Ministro dell’interno affinché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, sui provvedimenti adottati e su quelli che si possono adottare immediatamente, al fine di ostacolare la diffusione della stampa scandalistica e di correggere il pessimo costume di periodici e di giornali corruttori, per troncare la morbosa propaganda scritta ed illustrata del vizio, del delitto e del suicidio, i cui tragici effetti sono quotidianamente accertabili.

«Roselli, Mannironi, De UnterrichTer Jervolino Maria, Sampietro, Salizzoni, Montini, Restivo, Viale, Cappi, Bastianetto, Carboni Enrico, Rumor, De Maria, La Pira, Codacci Pisanelli, Salvatore, Dominedò, De Palma, Stella, Baracco, Avanzini, Valenti, Giordani, Saggin, Sartor, Gui, Conci Elisabetta, Scalfaro, Bertola, Siles, Morelli Luigi, Firrao, Bubbio, Moro».

Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se abbia notizia delle agitazioni in corso tra la gioventù universitaria a seguito del recente enorme aumento delle tasse scolastiche, e se non ritenga opportuno procedere ad un riesame del provvedimento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non ritenga opportuno esaminare benevolmente, per migliorarlo, lo status giuridico-economico-amministrativo degli aiutanti di cancelleria e segretaria giudiziaria, che da 20 anni esercitano le funzioni del cancelliere in tutti gli uffici giudiziari d’Italia. Tali impiegati si trovano ancora all’ultimo grado della gerarchia statale (grado 12°, gruppo C). (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati o debbono essere adottati per migliorare alquanto le competenze dei pensionati dell’Istituto nazionale di previdenza sociale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Di Gloria».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intende prendere in considerazione la posizione dei giovani delle classi 1923, 1924 e 1925 i quali, in quanto frequentanti nell’anno scolastico 1942-1943 i corsi di Università o l’ultimo anno di scuola media superiore, ebbero la facoltà di ritardare la chiamata alle armi; mentre, sopraggiunto il periodo della dominazione nazista nelle provincie del Nord, essi furono, talvolta con serie minacce seguite da azioni e con rappresaglie contro genitori e parenti, quasi tutti costretti a presentarsi alle armi e poi forzatamente instradati in Germania per istruzione. Circostanze varie non permisero a molti di sfuggire alla feroce sorveglianza e sottrarsi alla deportazione. Così passarono in servizio militare circa un anno e mezzo.

«Tale servizio non viene ora computato ed i giovani in parola, ritenuti in blocco colpevoli di quiescenza alla Repubblica di Salò, si trovano, oramai su venticinque anni e pronti ad iniziare una carriera dopo aver terminati gli studi, a dover ancora assolvere per intero i loro obblighi militari con pregiudizio per il doro avvenire.

«Un benevolo riesame del caso sembra inoltre giustificato dal fatto che il disagio colpirebbe solo gli studenti delle provincie settentrionali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferreri».

PRESIDENTE. La prima di queste interrogazioni sarà, iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno; le altre saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

  1. – Votazione per la nomina di tre membri dell’Alta Corte prevista dall’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.
  2. – Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 22 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Per una risposta a interrogazioni urgenti:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Tosato

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobili Tito Oro

Laconi

Moro

Carpano Maglioli

Macrelli

Corbino

Costantini

Nitti

Perone Capano

Russo Perez

De Vita

Dominedò

Carboni Angelo

Romano

Fuschini

Lombardi Riccardo

Presentazione di una relazione:

Villani

Presidente

Votazione segreta:

Presidente

Risultato della votazione segreta:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Pignatari.

(È concesso).

Per una risposta a interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Comunico che il Governo ha fatto sapere che risponderà nella seduta pomeridiana alle due interrogazioni urgenti presentate ieri dagli onorevoli Caronia e Dominedò e dall’onorevole Sansone, relativa alle misure da prendere nei porti ed aeroporti dell’Italia meridionale, per scongiurare l’eventualità che l’epidemia colerica in atto nei porti dell’Egitto si estenda all’Italia.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri è terminato lo svolgimento di tutti gli emendamenti presentati all’articolo 79, primo articolo del secondo Titolo, relativo al Capo dello Stato.

L’onorevole Tosato ha ora presentato il seguente emendamento.

«Dopo le parole: due terzi, sostituire il testo del progetto con il seguente:

«Se al terzo scrutinio non si raggiunge tale maggioranza, il presidente sarà eletto a suffragio universale diretto. Le Camere riunite designano un candidato di maggioranza ed un candidato di minoranza».

L’onorevole Tosato ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

TOSATO. Ho già avuto l’occasione di spiegare la ragione di questo emendamento, che ho presentato stamane, durante il discorso che ho tenuto a seguito della discussione generale in qualità di relatore: non è quindi il caso che io mi ripeta. Mi limiterò semplicemente ad osservare che l’emendamento da me presentato tende ad assicurare quello che è stato il criterio fondamentale che ha ispirato la Commissione nel presentare il testo del progetto. La Commissione ha dato la sua preferenza, per l’elezione del Presidente, al sistema indiretto: elezione, quindi, da parte delle Assemblee legislative. Ha ritenuto tuttavia che fosse necessario che il Presidente eletto dall’Assemblea fosse l’espressione di un largo suffragio delle Assemblee stesse; e per questo ha richiesto che il Presidente venisse eletto a maggioranza qualificata di due terzi.

Il testo del progetto fa intendere chiaramente che questa è veramente una esigenza fondamentale di tutta l’economia del progetto, in quanto il secondo comma dell’articolo 79 dice esattamente che l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi e che solo dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta. Ciò significa che si tende in tutti i modi possibili a ottenere, attraverso una ripetizione di scrutini – per mezzo dei tre scrutini – questa maggioranza di due terzi. La ragione è evidente. Si ritiene che, soltanto in quanto il Presidente abbia raccolto questo largo suffragio e sia l’esponente di una larghissima base parlamentare, soltanto in questo caso, possa avere quella autorità morale e politica, derivante appunto dal diffuso consenso che lo sorregge, tale da consentirgli di poter effettivamente esercitare quei poteri che gli sono assicurati dalla Costituzione.

Tuttavia è evidente che il testo del progetto doveva prevedere il caso che le Assemblee non riescano a mettersi d’accordo nell’eleggere il Presidente al suffragio richiesto di due terzi.

In questa ipotesi, secondo il progetto, basta, dopo il terzo scrutinio, la maggioranza assoluta dei membri. Ora, io ritengo che un Presidente eletto, dopo ripetuti scrutinîi, soltanto a maggioranza assoluta, e quindi esponente di una maggioranza che può essere anche effimera e contingente, non presenti quei presupposti che sono assolutamente indispensabili per poter svolgere la sua funzione, funzione che non è di partecipazione effettiva, sostanziale, all’esercizio del potere politico, ma è funzione fondamentale di tutore e di guardiano della Costituzione.

Per assicurare al Presidente questa funzione, questa possibilità, questa necessità, di essere effettivamente il tutore e il guardiano della Costituzione, occorre che egli abbia, una larga base; ed è per questo che, secondo l’emendamento da me presentato, io proporrei questa soluzione: se dopo tre scrutini le Assemblee non riescono ad eleggere il Presidente a maggioranza di due terzi, in questo caso soltanto il Presidente sarà eletto a suffragio universale diretto.

È una ipotesi che probabilmente per evidenti ragioni, dirò così, di prudenza parlamentale, non si verificherà mai, e che servirà soltanto a questo: a raggiungere precisamente quello che si vuole, e cioè che i membri delle Camere si mettano d’accordo per scegliere come Presidente una persona che, raccogliendo larghissimi voti ed essendo l’esponente non soltanto di partiti di maggioranza, ma godendo almeno in parte, anche del consenso delle minoranze, possa avere quella posizione morale e quell’alto prestigio che gli è indispensabile per svolgere effettivamente la sua altissima funzione. Ritengo superfluo aggiungere altre considerazioni.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della. Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio alcune brevi dichiarazioni, a nome del Comitato di redazione; prescindendo dalle mie opinioni personali che voi ben conoscete, perché ho avuto occasioni ripetute di esprimerle nei miei interventi nella discussione generale.

Il Comitato non può che attenersi alle soluzioni deliberate prima dalla seconda Sottocommissione, e poi dalla Commissione plenaria dei Settantacinque. Sono sorti, è vero, nuovi dibattiti, cioè quelli di Assemblea; ma non possono essere decisi con un voto di maggioranza in seno al Comitato; è ora l’Assemblea che deve decidere.

Sono stati impostati due tipi di soluzioni: elezione da parte delle Camere riunite o da parte del popolo.

Vi sono poi due proposte marginali a tali soluzioni.

Sul primo tipo di elezione è stata presentato dall’onorevole Fuschini un emendamento, che merita attenzione. L’onorevole Fuschini, che è un sostenitore dell’ente Regione, ha però osservato che l’aggiunta ai membri delle due Camere di due rappresentanti per ogni Consiglio regionale, mentre non sposta quasi nulla numericamente (si tratterebbe, infatti, dell’aggiunta di una quarantina di membri agli 800-900 componenti delle due Camere), costituisce, d’altra parte, un pericolo – egli dice – perché i Consigli regionali designeranno un solo elemento di maggioranza e quindi non sarà rispecchiata la proporzione dei gruppi. La conseguenza sarebbe che è meglio lasciar cadere la piccola aggiunta. Meglio le Camere senz’altro; Si potrebbe, è vero, tra elezione popolare o delle Camere, scegliere la terza via di un collegio speciale, con maggior numero di membri oltre quelli delle Camere; ma non è facile congegnarlo, né si sono fatte proposte concrete al riguardo.

L’onorevole Tosato suggerisce che, se non si raggiunge in seno alle Camere riunite una maggioranza qualificata di due terzi, si debba ricorrere all’elezione popolare. È pur questa una proposta intermedia o di terza via, che stimolerebbe i membri delle Camere a mettersi d’accordo, ed eviterebbe d’altra parte che il Capo dello Stato fosse scelto con scarsa votazione. L’onorevole Tosato riconosce che sarebbe opportuno interpellare il popolo su due soli candidati. Non comprendo bene se dovrebbero essere i due che hanno ottenuto maggiori voti nelle votazioni riuscite inefficaci, o se si debba procedere ad una designazione posteriore ad hoc.

Ripeto che il Comitato non può prendere un atteggiamento di maggioranza o di minoranza. Esprimo l’avviso che la soluzione dovrebbe essere il più che possibile netta e chiara in un senso o nell’altro.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Devo rilevare che l’onorevole Presidente della Commissione non ha riferito sull’emendamento da me proposto.

Io proponevo anche che l’elezione del Presidente seguisse immediatamente a maggioranza assoluta, senza bisogno di tre precedenti esperimenti a maggioranza di due terzi.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Esprimendo un avviso non deliberato dal Comitato, ritengo che la soluzione proposta dall’onorevole Nobili, che è stata criticata dall’onorevole Carboni, non possa essere attendibile; perché è necessario ottenere il maggior numero possibile di consensi per l’elezione del Capo dello Stato; e se bisognerà accontentarsi di una meno piena maggioranza, ci si dovrà arrivare con una successiva votazione. Mi pare che le osservazioni dell’onorevole Carboni abbiano un notevole peso.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Vorrei pregare di sospendere per breve tempo la seduta, per modo che, dato che la questione è di enorme importanza, fra tanti emendamenti i Gruppi ed il Comitato di redazione possano trovare una soluzione comune.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Mi associo alla richiesta dell’onorevole Laconi, chiedendo una breve sospensione che ci permetterebbe di trovare una soluzione comune, facilitando così il corso dei lavori.

CARPANO MAGLIOLI. Mi associo anche io alla proposta Laconi.

PRESIDENTE. È auspicabile che, data questa unanime predisposizione ad accordarsi, le diverse correnti fra le quali si divide l’Assemblea, trovino, durante l’interruzione, un punto d’incontro.

(La seduta, sospesa alle 11.25, è ripresa alle 12.5).

Presentazione di una relazione.

VILLANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ng ha facoltà.

VILLANI. Mi onoro di presentare all’Assemblea la relazione sul disegno di legge: «Approvazione dell’Atto di emendamento della Costituzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro e della Convenzione per la revisione parziale delle Convenzioni adottate dalla Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro nelle sue prime 28 sessioni, per assicurare l’esercizio futuro di alcune funzioni di cancelleria affidate dalle predette Convenzioni al Segretario generale della Società delle Nazioni e per apportarvi emendamenti complementari resisi necessari in seguito alla estinzione della Società delle Nazioni ed all’emendamento della Costituzione dell’Organizzazione del lavoro».

PRESIDENTE. Sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Comunico due emendamenti, elaborati durante la sospensione, che sono stati presentati in questo momento alla Presidenza.

Il primo, degli onorevoli Laconi, Carboni Angelo Moro, Targetti, Macrelli è del seguente tenore:

«Al primo comma, alle parole: con la partecipazione ecc., sostituire le seguenti: con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale eletti dal Consiglio, in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

Il secondo, firmato dagli onorevoli Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Mazzei, Bernabei, Parri, Magrini, Della Seta, Azzi, Perassi è così formulato:

«Sostituire le parole: con la partecipazione ecc., con le seguenti: con la partecipazione di tre consiglieri designati da ciascun Consiglio regionale».

Mi sembra che tra i due emendamenti vi sia una coincidenza nella parte sostanzialo; comunque, a questo riguardo, i presentatori ne chiariranno il concetto.

L’onorevole Laconi ha facoltà di svolgere brevemente il suo emendamento.

LACONI. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

MACRELLI. Vi rinunzio.

PRESIDENTE. Vorrei sapere, onorevole Macrelli, se lei e gli altri firmatari dell’emendamento aderiscono alla formulazione più precisa e particolareggiata presentata dagli altri colleghi.

MACRELLI. Vi aderisco.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei sapere che significato ha, sia nell’emendamento Laconi, che in quello Macrelli, la dizione: «Assemblea Nazionale». È sempre una questione accantonata?

PRESIDENTE. Evidentemente, è sempre un punto che ci riserviamo di esaminare. Anche a questo proposito si pone la questione che si era posta nelle votazioni di ieri e dell’altro giorno.

Resta ancora accantonato il problema se queste Camere riunite, alle quali devono aggiungersi i rappresentanti dei Consigli regionali, formano un organo speciale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Senza entrare nel merito dell’emendamento proposto, sorge però una questione: le prime Camere che saranno elette non potranno avere i rappresentanti della Regione, perché probabilmente queste non saranno costituite.

Ed allora come avverrà la nomina del Presidente della Repubblica?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è una norma transitoria; c’è il numero V delle norme transitorie.

Piuttosto, vorrei chiedere: la Valle d’Aosta avrà tre rappresentanti, oltre i due – un deputato ed un senatore – che parteciperanno all’elezione?

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Noi non abbiamo ancora, io credo, discusso criteri che informano la nomina del Capo dello Stato e adesso entriamo già nei dettagli.

Qui ci sono delle questioni fondamentali su cui bisogna prima chiarire le idee. Da chi è nominato il Capo dello Stato? Il Capo dello Stato, il quale non ha grandissimi poteri, ma tuttavia ha grandi poteri, il Capo dello Stato deve essere l’espressione di partiti, o deve essere all’infuori dei partiti?

Noi dobbiamo pure porre questi problemi.

Prima questione: chi elegge il Capo dello Stato? Le altre sono collegate à questa.

Il Capo dello Stato può essere eletto in due modi: o, come avviene negli Stati Uniti d’America, da tutti i cittadini con suffragio universale e in forma indiretta con duplice elezione; oppure può essere eletto, come avviene negli altri Stati, soprattutto europei, dalle Assemblee legislative. Quindi è su questa prima questione che ci dobbiamo fissare e decidere, prima di entrare nel dettaglio. Vi sono tendenze che io sento da una parte e dall’altra; vi sono inframmettenze, come questa storia inverosimile delle Regioni. Ammettiamo dunque che il Capo dello Stato sia eletto dalle Camere legislative, che sono in Italia più numerose che in qualunque altro Paese.

Le Camere legislative in Italia rappresentano tutti gli elettori.

Ora, a me basta avere un’Assemblea enorme che si debba riunire; fortunatamente abbiamo evitato la minaccia dell’Assemblea Nazionale, e perché vogliamo aggiungere le rappresentanze delle Regioni? Badate che la Francia è il Paese che ha il più gran numero di comuni ed i senatori, in Francia, sono eletti dai comuni, perché la Francia conferisce alla vita politica dei comuni una grandissima importanza. È così rappresentata nel Senato tutta la varietà della vita comunale, dai più piccoli comuni ai più grandi, come Parigi e Lione, che hanno speciali ordinamenti.

Ora, in Francia nessuno pensa a introdurre nell’elezione dei Presidenti della Repubblica i comuni, che sono certamente, per la Francia qualche cosa di assai più importante di quello che non siano per noi le Regioni. E badate anche che la Francia ha un grandissimo numero di comuni, mentre noi ne abbiamo ben pochi, perché il nostro costume e la nostra tradizione sono essenzialmente cittadini.

Sorge poi la questione: chi rappresenta, in questo caso, la Repubblica? Sono naturalmente gli stessi elettori; e che cosa vengono a dire e, soprattutto, che cosa vengono a fare i rappresentanti delle Regioni? Vengono a far numero? E non sono forse le Regioni già rappresentate dai deputati e dai senatori? Qui si fa, qui si vuol fare, come con le comparse nei teatri. Perché dunque vogliamo fare questa enormità?

Vi è poi un’altra questione che mi interessa e su cui mi preme di richiamare la vostra attenzione: quella cioè della durata del Presidente della Repubblica. È una questione che dobbiamo tener presente anche in vista di questa discussione.

Vorrei poi anche pregarvi di cercare di evitare tutte le questioni incerte, perché non è assolutamente possibile che noi si voglia e si possa prevedere tutto:

Se non è eletto il Presidente con quel numero di voti necessario, che cosa si fa?

Nel caso che manchi quel numero di voti, poiché non basta avere la semplice maggioranza, si passa per una serie di procedure, e si finisce nella forma americana impura, cioè al suffragio generale diretto.

Ma perché avete tutto questo bisogno di cambiare, se l’America e la Francia, che hanno fatto esperimenti per tanti anni, si contentano di non risolvere simili problemi; perché volete poi complicare le cose, mettendo ancora l’ipotesi di casi che non sono avvenuti, e forse non avverranno? Basta la semplice votazione: primo, secondo scrutinio, come si fa abitualmente nei Paesi che hanno questo regime, e poi basta la semplice maggioranza.

Non complichiamo le cose con istituzioni che non hanno a che fare con questo problema e con difficoltà che non esisteranno nella realtà. Contentiamoci dell’esperienza degli altri Paesi repubblicani e non aggiungiamo niente.

Vi prego poi, entrando nel dettaglio, di tener conto di questa realtà e di non complicare, ma piuttosto di semplificare queste procedure.

PERRONE CAPANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERRONE CAPANO. Io credo, onorevoli colleghi, che i due emendamenti Laconi e Macrelli debbano essere respinti e si debba invece accogliere l’emendamento proposto dall’onorevole Carboni ed altri.

Evidentemente, la partecipazione delle rappresentanze regionali vuole significare la volontà di dare una rappresentanza alla periferia. (Commenti).

NITTI. Ma perché?

PERRONE CAPANO. Ora a me sembra che i Consiglieri regionali non rappresenteranno le Regioni più e meglio di quello che non abbiano a rappresentarle i deputati e i senatori delle singole Regioni. Non mi pare poi chiara la locuzione che è diretta ad assicurare la rappresentanza delle minoranze in seno ai singoli Collegi regionali. Una maggioranza e una minoranza si determinano intorno a problemi concreti; la materia di questi problemi sarà pel caso costituita dalla scelta tra due uomini o due tendenze.

Ma come potrà aver luogo questa determinazione, io vi domando, prima che si riunisca l’Assemblea che dovrà procedere all’elezione? Mi sembra, quindi, una duplice incongruenza quella postulata dai due emendamenti, e dichiaro, perciò, che voterò contro di essi.

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori di emendamenti, già svolti, se li mantengono.

L’onorevole Damiani non è presente, si intende pertanto decaduto il seguente emendamento sostitutivo dell’articolo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, a maggioranza assoluta».

Chiedo all’onorevole Russo Perez se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo italiano a suffragio universale e diretto».

RUSSO PEREZ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole De Vita se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

DE VITA. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Dominedò se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto da tutto il popolo italiano».

DOMINEDÒ. Dopo aver affermato, in linea di principio, il significato che può avere l’investitura diretta ai fini del rafforzamento e dell’elevazione della figura del Capo dello Stato, credo di aver adempiuto al mio dovere ma, per restare in armonia con i concetti prevalsi nell’ambito del mio Gruppo, non posso insistere perché l’emendamento sia posto in discussione.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Carboni, se mantiene il suo emendamento sostitutivo:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

CARBONI ANGELO. Lo ritiro, avendo aderito a quello dell’onorevole Laconi.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Romano, se mantiene il suo emendamento sostitutivo del primo comma:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo».

ROMANO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento sostitutivo del primo comma?

FUSCHINI. Dichiaro che, siccome nell’emendamento concordato fra i colleghi del l’estrema sinistra e quelli della Democrazia cristiana è stato corretto come io desideravo l’inconveniente della rappresentanza regionale, nel senso che è ammessa anche la rappresentanza delle minoranze dei Consigli regionali, non ho ragione di insistere nel mio emendamento, anche perché viene mantenuta la proposta principale della Commissione per la nomina da parte delle Camere riunite in Assemblea del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Nobili se mantiene il suo emendamento col quale ha proposto di sopprimere al primo comma le parole: «con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi».

NOBILI TITO ORO. Devo ritirare l’emendamento che ho svolto a nome e per incarico del mio Partito; ma siccome l’ho svolto in aderenza perfetta con le mie profonde convinzioni, dichiaro di non poter spingere la mia disciplina fino a votare il contrastante emendamento sostitutivo or ora concordato fra le rappresentanze dei Gruppi.

Quindi mi asterrò dalla votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, mantiene il suo emendamento testé letto?

TOSATO. Lo mantengo a titolo personale.

PRESIDENTE. Restano allora i seguenti testi: il testo concordato del quale ho dato lettura poco fa; poi i testi quasi uguali proposti dagli onorevoli Russo Perez, Romano e De Vita, e infine il testo dell’onorevole Tosato.

È evidente che le formulazioni che più si allontanano dal testo originario della Commissione sono quelle degli onorevoli Russo Perez, De Vita, Romano, con i quali si propone che l’elezione del Presidente della Repubblica sia direttamente rimessa al popolo sulla base del suffragio universale e diretto.

Chiedo ai tre proponenti di indicare su quale delle tre loro formule desiderano che si voti.

RUSSO PEREZ. Credo che possiamo rimetterci al Presidente, che ha interpretato esattamente il nostro pensiero.

PRESIDENTE. Mi pare allora che la formula dell’onorevole De Vita sia la più completa e sintetica:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto». Voteremo quindi su questa formula.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Devo dire le ragioni di apparente anomalia, per cui i miei compagni di Gruppo voteranno contro l’emendamento De Vita, nonostante che ci siamo dichiarati a favore del sistema della Repubblica presidenziale. Ora, elemento necessario della Repubblica presidenziale è anche l’elezione diretta del Capo dello Stato; tuttavia essa non costituisce da sola il sistema di Repubblica presidenziale.

Quali sono le ragioni del nostro voto contrario? Qual è la ragione per cui se il sistema presidenziale fòsse stato messo in votazione noi avremmo votato per esso, e non per quello parlamentare? La ragione è quella di consentire che il programma del Governo risultante da una determinata consultazione elettorale sia concordato prima delle elezioni e non dopo, in modo che il corpo elettorale sia chiamato a decidere su un programma di Governo già concordato; in quanto è essenziale per il sistema della Repubblica presidenziale che il Capo dello Stato non solo sia eletto a suffragio universale e diretto, ma che nomini esso stesso il Governo scegliendolo dalle Camere elette a suffragio universale.

Ciò significa che per la stessa elezione del Capo dello Stato è necessario un accordo preventivo dei partiti, accordo alla cui base è un programma, e su questo programma il corpo elettorale viene chiamato a pronunciarsi, là dove nel sistema di Repubblica parlamentare tale accordo tra i Partiti avviene dopo la consultazione elettorale, appunto in base alla proporzione dei partiti che costituiscono la maggioranza.

La pura e semplice elezione del Capo dello Stato di per sé non costituisce che una rettifica, e a nostro avviso una rettifica peggiorativa, del sistema di nomina del Capo dello Stato, senza avvicinare per niente il tipo di Repubblica parlamentare al tipo da noi patrocinato di Repubblica presidenziale.

Per queste ragioni noi voteremo contro l’emendamento De Vita.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento De Vita:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento concordato Laconi, Carboni Angelo, Moro, Targetti e altri, sostitutivo del primo comma dell’articolo 79:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che noi dobbiamo votare per divisione, staccando la prima parte: «Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale» dalla seconda parte: «con la partecipazione, ecc.». Ciò perché, probabilmente, sulla prima parte saremo tutti d’accordo. Il dissenso è sulla partecipazione della rappresentanza regionale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del primo comma dell’articolo 79 nel testo del progetto:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale».

(È approvata).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Occorre ora votare sull’emendamento proposto dagli onorevoli Laconi, Carboni Angelo, Targetti e Moro, sostitutivo della seconda parte dello stesso primo comma.

La formula proposta è la seguente:

«con la partecipazione di tre delegati per ogni Consiglio regionale, eletti dal Consiglio in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranza».

Su questo emendamento gli onorevoli Badini Confalonieri, Bozzi, Crispo, Villabruna, Bonino, Corbino, Preti, Fabbri, Reale Vito, Rumor, Condorelli, Colitto, Cotellessa, Russo Perez, Miccolis, Perrone Capano, Marinaro, Venditti, Caporali e Covelli, hanno chiesto la votazione a scrutinio segreto. Indico la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione segreta e invito gli onorevoli Segretari a numerare i voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     331

Maggioranza           166

Voti favorevoli        223

Voti contrari            108

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bargagna – Barontini Anelito – Barontirii Ilio – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benvenuti – Bernabei – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bosco Lucarelli – Bosi – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Camangi – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Cassiani – Castelli Edgardo – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Clerici – Coccia-– Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

De Caro Gerardo – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Donati – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantuzzi – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa – Fuschini.

Galati – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Grassi – Grazi Enrico – Grieco – Grilli – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longo – Lozza – Luisetti – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marconi – Mariani Enrico – Marina Mario – Marinaro – Martino Enrico – Marzarotto – Massini – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Meda Luigi – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montemartini – Monticelli – Montini – Moranino – Morelli Luigi – Moro – Mortati – Moscatelli – Mùrdaca – Murgia.

Nasi – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Pecorari – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Preti – Priolo – Pucci – Puoti.

Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Restivo – Rivera – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Paolo – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segni – Sicignano – Siles – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vi– centini – Vigo – Villabruna – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zappelli – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Abozzi – Angelucci.

Cairo – Caldera – Caristia – Carmagnola – Caso.

De Caro Raffaele – Dozza – Dugoni.

Fantoni.

Guariento.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino – Mentasti.

Pignatari – Porzio.

Ravagnan – Romita.

Sardiello.

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.10.

POMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXVI.

SEDUTA POMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Gasparotto

Ghidini

Tosato

Corbino

Azzi

Fabbri

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Persico

Benvenuti

Meda

Fuschini

Codacci Pisanelli

Carpano Maglioli

Leone Giovanni

Moro

Rodi

Uberti

Nobile

Rubilli

Sullo

Arata

Mortati

Bettiol

Restivo

Russo Perez

De Vita

Romano

Nobili Tito Oro

Carboni Angelo

Dominedò

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Sansone

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente

Corbino

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, avendo l’onorevole Cairo rinunziato a far parte della Commissione speciale per l’esame delle leggi elettorali, ho chiamato a sostituirlo l’onorevole Morini.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Essendo stati svolti tutti gli emendamenti presentati all’articolo 75, il rappresentante del Comitato dei diciotto, onorevole Ghidini, risponderà a quanto è stato detto in merito al secondo comma dell’articolo 75, all’amnistia e all’indulto.

L’onorevole Ghidini ha facoltà di parlare.

GHIDINI. Onorevoli colleghi, il mio intervento è limitato al secondo comma dell’articolo 75, cioè all’amnistia ed all’indulto.

Io devo dire riassuntivamente le ragioni per le quali la Commissione ha elaborato la disposizione, devo controllare i dubbi che si sono manifestati durante la discussione e devo anche esaminare gli attacchi, piuttosto vivaci, che sono stati mossi.

So perfettamente che a tutti è nota la nozione giuridica dell’amnistia e dell’indulto. Un tempo si era pensato che l’amnistia e l’indulto fossero una prerogativa del potere sovrano. Avverto, prima di continuare, che non voglio qui fare una trattazione di carattere giuridico dei tema, ma soltanto una rapida esposizione e pochi accenni.

L’articolo 8 dello Statuto albertino disponeva che il Re concede la grazia e commuta le pene. L’uno e l’altro istituto sono profondamente diversi dall’amnistia e dall’indulto. L’articolo 6 chiariva la facoltà del Governo nel senso che non poteva sospendere l’osservanza delle leggi o dispensarne. Però, a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, che parve a taluno un atto di cortigianeria, l’articolo 8 fu interpretato estensivamente, considerando l’amnistia e l’indulto come prerogativa sovrana, compresi nell’articolo stesso.

Ma successivamente, si può dire dal 1865, e comunque dal 1913, non c’è dubbio che è il potere legislativo titolare del diritto di amnistia ed indulto. Prima la prassi e poi la legge (ed i colleghi penalisti ricorderanno l’articolo 589 del Codice di procedura penale del 1913) ha disposto che l’amnistia è concessa con decreto reale su proposta del Ministro di grazia e giustizia sentito il Consiglio dei Ministri. Il che esclude che si tratti di un motu proprio. Quindi oggi indubbiamente per consentimento comune, anche della giurisprudenza e della dottrina, l’amnistia e l’indulto sono un atto del potere legislativo. Il decreto che li concede rappresenta un atto di delegazione della funzione legislativa. Ma, ripeto, il titolare del diritto è sempre il potere legislativo, e quindi si tratterà solo di vedere come lo debba esercitare. Il diritto può essere esercitato nei diversi modi che sono affiorati nella discussione di questi due giorni e negli emendamenti che furono presentati. Si tratta, quindi, di vedere quale è la soluzione migliore. La Commissione ha adottato la seguente: «l’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

Sulla tesi della Commissione si è svolta in questi giorni una critica aspra da parte di molti colleghi, che prendo rapidamente in esame attraverso gli emendamenti proposti. Il primo chiede che l’amnistia e l’indulto siano deliberati dalle due Camere. È l’emendamento dell’onorevole Persico al quale si è associato l’onorevole Carpano. L’emendamento rispetta il principio accolto dalla Commissione, che cioè la deliberazione dei due provvedimenti è affidata direttamente al potere legislativo, rappresentato dalle due Camere. Però le due Camere devono agire separatamente; questo è il concetto. Concetto che la Commissione respinge, in vista dei gravi inconvenienti che nascerebbero dall’attuazione di una tale proposta. Un inconveniente è stato accennato dall’onorevole Persico, che cioè, nell’attesa fra la deliberazione di una Camera e la deliberazione dell’altra, si determini una speranza così fondata da costituire un incitamento a delinquere. Ciò sarebbe tanto più facile, in quanto si tratterebbe di quella delinquenza piccola e media, nella quale la controspinta della pena è, generalmente, meno efficace. Ma a questo inconveniente si può portare rimedio disponendo che l’applicazione dell’amnistia e dell’indulto debba riguardare soltanto reati commessi in epoca antecedente alla presentazione del progetto. L’inconveniente può quindi essere facilmente rimosso.

L’inconveniente più grave e non rimediabile è un altro. È inevitabile che ci debba essere un lasso di tempo tra la decisione della Camera dei deputati e la decisione del Senato: non è possibile che le due decisioni siano prese simultaneamente. È inevitabile un certo distacco, anche per la natura del Senato, che esercita un controllo sopra l’attività legislativa della Camera, e anche per ragioni di indole materiale. Non è possibile che le due decisioni avvengano contemporaneamente. Vi sarà, quindi, sempre un intervallo di tempo, più o meno lungo a seconda della fretta o della diligenza di coloro che saranno chiamati a formare l’uno e l’altro ramo del Parlamento. Durante questo intervallo, che possiamo chiamare il «tempo di nessuno» cosa accadrà? È inutile negarlo: quello che accadrà (mi pare che lo abbia accennato anche l’onorevole Leone) sarà la paralisi nella giustizia. La giustizia si fermerà; non vi sarà tribunale, giudice istruttore, ecc., che, di fronte alla decisione già presa da una delle due Camere, non reputi conveniente l’attendere l’altra decisione. E questa potrà tardare due mesi, un mese, 15 giorni, secondo la fretta, la diligenza e le possibilità. Durante questo periodo l’attività della giustizia si arresterà, inevitabilmente. Nessuno può negare la gravità di un tale evento.

Un procuratore della Repubblica che debba emettere un ordine di cattura e sa che oggi vi è già una decisione di amnistia e che fra 15 giorni o un mese verrà la decisione definitiva, che cancellerà quel fatto dal novero dei reati, si asterrà dallo spedire l’ordine di cattura.

Voi opporrete che il tempo che intercederà fra l’una e l’altra decisione sarà breve. Me lo auguro, ma non ci credo. Ma c’è di più. Non sempre accadrà che la deliberazione del Senato sia in ogni parte conforme a quella della Camera dei deputati. Le due decisioni potranno essere difformi, e allora ci troveremmo di fronte o ad un conflitto negativo – se il Senato respingerà la proposta – o ad un conflitto parzialmente positivo, se il Senato dovesse in parte approvare e in parte modificare taluna delle disposizioni relative alla amnistia o all’indulto. E allora, mi domando, come questo conflitto sarà risolto? E quanto potrà durare?

In sostanza, non è assolutamente negabile che l’inconveniente sia estremamente grave; inconveniente che si traduce appunto nella cosiddetta incertezza del diritto, la quale è fonte di una quantità di guai per la giustizia; per quella giustizia che, per essere seria ed efficace, ha bisogno di immediatezza o quanto meno dì celerità.

Quindi sarebbe desiderabile che la decisione fosse unica. Ma perché la decisione sia unica, unica deve essere l’Assemblea e, quindi, affinché promani dal potere legislativo, occorre che i due rami del Parlamento possano deliberare in una Assemblea unica. L’Assemblea unica è adunque necessaria: chiamatela come volete, chiamatela «Camere riunite» o chiamatela in qualsiasi altro modo, ciò non importa; è questione di parole, ma bisogna che ci sia, perché bisogna deliberare in modo collegiale e quindi attraverso un’unica Assemblea politica.

Contro questa Assemblea unica che la Commissione ha chiamato, senza dissensi, Assemblea Nazionale, oggi invece da molte parti si insorge, mettendo in rilievo gli inconvenienti che ne potranno derivare.

La principale obiezione è formulata con questa domanda: come potete voi pretendere che decida intorno ad una amnistia e ad un indulto, che involgono un’infinità di questioni di carattere tecnico, un organismo così pletorico? Come pretendete che una così vasta Assemblea discuta di un tema tecnico di tanta gravità e complessità? Una Camera di mille membri?

Intanto il numero di mille è esagerato perché non si arriva a settecento. Ma in verità la risposta non vale se non per significare che l’argomento ha il vizio di provare troppo. Infatti, varrebbe anche in confronto della sola Camera dei deputati. Anche se ci limitiamo a questa soltanto, non si eviterebbe l’inconveniente affacciato. È adunque un argomento che prova troppo.

Anche recentemente abbiamo discusso la legge sull’imposta patrimoniale, che non è certamente un tema meno grave dell’amnistia o dell’indulto, e non abbiamo avuto da lamentare né il caos né la Torre di Babele.

Inoltre non dobbiamo esagerare la realtà. Molte amnistie riguardano uno o due reati e non di più. In questo caso è evidente che la discussione non potrà essere così laboriosa e complessa come si teme. A questo proposito ricordo che nel ’45 ci furono non due amnistie, ma due decreti disponenti la non punibilità di certi reati. Decreti che, al pari dell’amnistia, costituivano una rinunzia alla pretesa punitiva dello Stato. In quei due casi il decreto ha un solo articolo. Inoltre bisogna rilevare che l’amnistia ha carattere essenzialmente politico, più che giuridico. Le questioni di carattere giuridico in materia di amnistia c di indulto sono sempre limitate.

Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Leone, che ne propone la delegazione al Governo. La Commissione non lo accetta, perché ritiene che l’esercizio del diritto di concedere l’amnistia deve spettare direttamente al potere legislativo. Se poi l’Assemblea Nazionale o la Camera dei deputati o se il Senato dovessero impartire anche delle direttive, come vorrebbe il proponente, allora tanto varrebbe che la Camera dei deputati o il Senato o l’Assemblea Nazionale formulassero loro per intero il provvedimento.

Piuttosto farei un’osservazione (in questo momento io esco forse dall’orbita precisa del pensiero della Commissione) piuttosto, dico, potrei riconoscere che vi sono dei casi nei quali la solennità dell’intervento dell’Assemblea Nazionale appare sproporzionata all’entità di certi provvedimenti d’amnistia; ad esempio, quando si tratta di amnistie che riguardano reati contemplati da leggi finanziare forse, in questo caso, la delegazione può essere effettivamente utile; e ciò non solo per la speciale tecnicità della materia, ma anche perché il Governo, in queste materie, è giudice migliore di un’Assemblea legislativa, soprattutto in vista delle ripercussioni di carattere finanziario che può avere l’estinzione del reato. Ma quando si tratta di altri reati, colpiti da sanzioni detentive, non è così. Noi pensiamo che in questi casi la competenza debba spettare all’Assemblea Nazionale.

Sull’opera del Governo in questa materia sono piuttosto scettico. Vi sono degli esempi recenti, dei ricordi di recenti amnistie, che in verità non denunciano nel Governo un’attitudine, alla elaborazione di amnistia e di indulti, molto tranquillante.

Quindi non ci sembra il caso, ammaestrati come siamo dalle esperienze del passato, anche recente, di affidare senz’altro al Governo il potere di emanazione di decreti di amnistia e di indulto.

Si potrebbe anche osservare – permettetemi la malignità – che talora un Governo potrebbe emanare un provvedimento di clemenza non tanto a scopo di pacificazione sociale, ma piuttosto di finalità di carattere meno elevato. Si sa che l’amnistia, soprattutto in certi momenti della vita politica del Paese, può conciliare al Governo la benevolenza e la gratitudine dei beneficati, i quali non sono pochi, perché intorno alle loro persone vi è sempre un circolo di amici, di familiari, di conoscenti, di aderenti, ecc.

A favore della nostra tesi richiamo, onorevoli colleghi, alla vostra attenzione questo concetto: che le amnistie sono provvedimenti di natura essenzialmente politica e che, pertanto, l’organo costituzionale più adatto a promulgarli è quello stesso che è designato dalla legge a determinare le direttive politiche del Paese.

Osservo, inoltre, che le amnistie e gli indulti sono e dovranno essere provvedimenti eccezionali.

Taluno pensa che le amnistie, o almeno certe amnistie, sono provvedimenti che per la loro importanza sono troppo al disotto dell’alta dignità di un’Assemblea Nazionale e che pertanto sarebbe sminuire l’Assemblea Nazionale affidandole così modesto ufficio.

Riconosco che tutto questo può essere vero in taluni casi, ma in altri assolutamente no.

Ad esempio l’amnistia del 22 giugno 1946, fu tale per la sua ampiezza e per la sua significazione politica che ebbe una risonanza nazionale e anche internazionale. Uguale risonanza nazionale ed internazionale ebbe quella a cui ha accennato l’onorevole Nitti, a favore dei disertori. Il che vuol dire che vi sono dei casi di particolare importanza, che meritano di essere decisi dal più alto consesso.

A limitare il numero delle amnistie, è rivolto l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli. Le amnistie – egli chiede – devono essere approvate come se fossero leggi costituzionali, secondo il quorum di queste. Ma io penso che lo scopo si possa raggiungere per altre vie. Penso, ad esempio, che quante volte la concessione di un’amnistia sarà assegnata ad una Assemblea di carattere eccezionale come è l’Assemblea Nazionale, di altrettanto sarà diminuito il numero di queste amnistie.

Era invalso un uso quasi morboso di dare amnistie ad ogni momento, ma il fatto stesso che oggi siamo in regime repubblicano renderà meno facile il ripetersi di questo guaio. Saranno evitate almeno le amnistie che si succedevano ad ogni lieto evento della Casa reale.

Una voce. Ci sono gli anniversari.

GHIDINI. Con questo ritengo di avere esaurito le ragioni per le quali in linea di massima abbiamo ritenuto, con l’adesione di una gran parte dell’Assemblea dei settantacinque, che l’amnistia e l’indulto devono essere deliberati dall’Assemblea Nazionale. Comunque, che debba essere il potere legislativo ad assumere in modo diretto la responsabilità dell’amnistia e dell’indulto.

Contro questo comma dell’articolo 75 sono state usate delle parole gravi, nelle quali parve persino che il buon gusto fosse soffocato dall’indignazione che ha sollevato l’animo di qualche collega. Si è parlato di stranezza, di stoltezza, e così via.

E siccome queste accuse sono partite da uomini di alto valore politico, non può un giudizio di questo genere non lasciare nell’animo nostro un senso di perplessità.

Se noi però meditiamo su questa censura ci sembra di poter essere tranquilli.

C’è pure l’autorità di qualcuno che ci conforta nel nostro principio. Io ricordo che vi fu una relazione a un vecchio progetto di legge in materia, relazione che comincia così: «La proposizione che il concedere amnistie è atto di potestà legislativa non ammette dubbi né nel campo della dottrina, né in quello del diritto pubblico comparato, né, infine, sul terreno del vigente diritto positivo».

La relazione continua con la enumerazione di leggi le quali confermano l’assunto di questa proposizione iniziale. E prosegue: «Nel nostro ordinamento il potere legislativo non ha limiti nella facoltà di delegazione; perciò, almeno dal 1865 in poi, la norma proibitiva dell’articolo 6 dello Statuto, dianzi rammentata, non ha potuto infirmare la perfetta validità dell’esercizio della delegazione da parte del potere esecutivo attraverso gli innumerevoli decreti reali di amnistia che sono stati promulgati in questo periodo. La delegazione ricevuta crede ora il potere esecutivo di dovere restituire e propone al Parlamento di avocare la concessione delle amnistie all’organo cui appartiene naturalmente il potere.

«La partecipazione sempre più larga e quasi completa dei cittadini alla formazione della rappresentanza politica elettiva dà una necessaria maggiore ampiezza e attività alle funzioni politiche del Parlamento. E poiché il concedere amnistie è funzione eminentemente politica, giova che l’esercizio diretto della medesima sia ripreso dal Parlamento. Solo in tal guisa sarà data al popolo la più completa guarentigia, non solo intorno alle ragioni di opportunità politica e di utilità sociale del provvedimento, ma altresì intorno alla giusta estensione di esso a casi e categorie di fatti che veramente si coordinino alle ragioni di utilità e di opportunità che ne costituiscono il presupposto».

Questa relazione rivendica al Parlamento la deliberazione diretta delle leggi di amnistia e di indulto. È opera di un giurista della capacità di Ludovico Mortara, ed il Progetto è stato presentato alla Camera – se non erro – da un Governo che era presieduto dall’onorevole Nitti.

Il che vuol dire che noi abbiamo oggi il disappunto di essere in contrasto con l’onorevole Nitti del 1947, ma abbiamo il compiacimento di essere d’accordo con l’onorevole Nitti del 1920, nello splendore della sua attività di politico e di scienziato. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di rispondere, a nome della Commissione, a coloro che hanno presentato e svolto emendamenti in merito al primo comma dell’articolo 75.

TOSATO. Prima di esaminare i singoli emendamenti che sono stati presentati al primo comma dell’articolo 75, credo opportuno premettere due brevi osservazioni di carattere generale.

L’articolo 75, al primo comma, si occupa dei problemi inerenti alla mobilitazione e alla deliberazione della guerra.

Per quanto riguarda la mobilitazione generale, credo che sia appena necessario ricordare che, generalmente, in tutti gli Stati, non solo monarchici, ma anche repubblicani, questo potere rientra nel più ampio potere attribuito al Capo dello Stato, di disporre delle forze armate. Questo ampio potere di disporre delle forze armate comprende precisamente anche il potere di mobilitazione sia generale, sia parziale.

La Commissione, quando ha esaminato l’argomento, si è posta la questione se era opportuno rilasciare alla competenza generale di disporre delle forze armate proprio al Capo dello Stato anche questo potere speciale particolarmente delicato ed importante della mobilitazione. Ed è soltanto a questo proposito che ha creduto opportuno distinguere (e la distinzione non è stata creata da noi, perché è molto antica) fra mobilitazione parziale e mobilitazione generale, ritenendo essere più prudente e conveniente che soltanto per la mobilitazione generale, che più direttamente impegna lo Stato in situazioni gravi che spesso, se non sempre, conducono alla guerra, in questi casi soltanto sia opportuno limitare il generale potere di disposizione delle forze armate proprio al Capo dello Stato, per attribuirle invece, eccezionalmente in questo settore particolare, in questo momento così delicato della mobilitazione generale, alle Camere.

Osservazioni analoghe debbo fare per quanto riguarda la deliberazione della guerra. Voi sapete che in tutti gli stati monarchici al Capo dello Stato, al Re, spetta non soltanto la dichiarazione della guerra, ma anche la deliberazione della guerra. Sono due momenti distinti, quello della formazione della volontà, e quello della estrinsecazione della volontà. Invece negli Stati repubblicani si scinde la competenza in ordine a questi due diversi momenti, cioè si conserva al Capo dello Stato repubblicano il potere di dichiarare all’esterno lo stato di guerra, sia agli effetti internazionali, sia agli effetti interni, mentre si riserva generalmente agli organi rappresentativi diretti del popolo, alle Camere, il potere di deliberare la guerra. A questo proposito la Commissione si è quindi uniformata semplicemente a quello che è l’indirizzo generale di tutti gli Stati repubblicani.

Ed ora veniamo direttamente, dopo queste necessarie premesse di indole generale, all’esame dei singoli emendamenti che considererò in ordine, diremo così, logico, a seconda della loro distanza maggiore o minore dal testo della Costituzione.

Viene prima di tutto in considerazione l’emendamento, mi pare, presentato dall’onorevole Persico, che è quello che più degli altri si scosta dalla concezione che ha ispirato il progetto.

Secondo l’onorevole Persico «Soltanto le due Camere possono con legge deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra».

Quindi, secondo l’onorevole Persico, non si dovrebbe attribuire questo potere di mobilitazione generale e di deliberazione dell’entrata in guerra alle due Camere riunite, ma soltanto alle due Camere agenti separatamente. Perché la Commissione dei settantacinque ha preferito due Camere riunite insieme anziché le due Camere deliberanti separatamente, secondo la norma generale derivante dal principio bicamerale?

Perché in questi casi di grande urgenza si è ritenuto che la convocazione delle due Camere in unica Assemblea potrebbe essere più conveniente e più opportuna, e d’altra parte la materia è così importante che forse la solennità dell’Assemblea è più confacente alla solennità della materia. Aggiungo che non riesco veramente a immaginare e a giustificare la possibilità di un contrasto fra le due Camere, e l’utilità di giocare a questo proposito col principio bicamerale.

Viene poi in considerazione l’emendamento presentato dall’onorevole Fuschini, che pure si distanzia notevolmente dall’ordine di idee seguito nel progetto.

Secondo l’onorevole Fuschini, spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare maggiori poteri al Governo in caso di guerra. Quindi, se ho ben capito, l’onorevole Fuschini non vuole parlare direttamente né di dichiarazione di guerra né di deliberazione di guerra, né di mobilitazione generale o parziale. Vuole risolvere il problema nell’intervento delle Camere in queste materie così delicate attraverso la necessità da parte delle Camere di accordare maggiori poteri e soprattutto maggiori mezzi finanziari al Governo per il caso di guerra.

A noi sembra che questo testo dell’onorevole Fuschini, che pure rispecchia una tesi che in parte risponde anche ad una prassi, ad un modo di comportarsi del passato, non dia sufficiente garanzia in quanto è troppo generico.

D’altra parte, approvando semplicemente e puramente quell’articolo, noi lasciamo impregiudicato il problema relativo alla determinazione dell’organo competente a dichiarare e deliberare la guerra.

La Commissione, nel progetto, ha seguito l’indirizzo generale dello Stato repubblicano che scinde, come ho spiegato prima, il momento della dichiarazione dal momento della deliberazione, per attribuire quest’ultima alla competenza delle Assemblee.

Emendamento Meda-Clerici.

Secondo questo emendamento, spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale.

Ora, a noi sembra che questo emendamento sia ancora più generico di quello Fuschini, e d’altra parte, almeno sotto certi aspetti, non sia accettabile, perché il deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale è di competenza assoluta ed esclusiva del potere esecutivo.

Gli organi del potere legislativo intervengono soltanto a titolo di garanzia, quando lo Stato versi in così gravi situazioni, per assumersi soprattutto la responsabilità della deliberazione della guerra, attestare così più direttamente l’unità, il consenso e l’impegno di tutto il popolo.

Il punto di vista consacrato in questo emendamento, che, in definitiva, viene a spostare notevolmente le competenze proprie e, secondo noi, necessarie e insostituibili del potere esecutivo, spostarle cioè dal potere esecutivo al potere legislativo, non è, a nostro avviso, accettabile.

Emendamento Gasparotto-Chatrian ed altri.

Secondo l’onorevole Gasparotto, si dovrebbe parlare soltanto di mobilitazione, senza distinzione fra mobilitazione generale e mobilitazione parziale.

E su questo punto concorda perfettamente l’emendamento presentato dall’onorevole Azzi.

Ora, io ho già spiegato perché la Commissione ha ritenuto opportuno distinguere fra mobilitazione generale e mobilitazione parziale.

Noi siamo partiti da questo punto di vista: è di competenza e deve necessariamente restare di competenza degli organi dell’esecutivo la disposizione delle Forze armate. Nella disposizione delle Forze armate rientra anche il potere di mobilitazione, sia militare che civile. Vogliamo limitare, per evidenti ragioni di garanzia, questi poteri del potere esecutivo? Allora sottraiamo al potere esecutivo quello e solo quello che è particolarmente essenziale ed importante: il potere di mobilitazione generale. Perché, d’altra parte, se noi riteniamo che il potere esecutivo ha non solo il potere, ma anche e soprattutto il dovere, di provvedere a tutto ciò che è necessario alla difesa del territorio dello Stato contro eventuali aggressioni, è evidente che il potere esecutivo deve avere anche i poteri di fare questa mobilitazione più o meno parziale, di prendere provvedimenti che sono indispensabili assolutamente per la difesa dello Stato. Sotto questo aspetto, l’emendamento Gasparotto è contradittorio. Come fa e come può il Governo prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, se non può disporre in nessun modo, nemmeno limitatissimamente, la mobilitazione?

L’onorevole Gasparotto ammette tale potere e dovere del Governo in casi di «aggressioni improvvise». La limitazione è da un lato eccessiva, dall’altro superflua. Non dimenticate che avete già approvato una norma secondo la quale, in casi di urgente necessità, il Governo ha il potere di emanare decreti legge.

Cade a questo proposito un’osservazione relativamente a quanto diceva giorni fa l’onorevole Nitti: «la guerra non si delibera più; la guerra non si dichiara: la guerra si fa». Siamo d’accordo: questa è una constatazione di fatto. Lo stato di guerra precede spesso di fatto, è una triste esperienza, la dichiarazione di guerra. Ciò non significa, che la dichiarazione, sebbene successiva, sia irrilevante. Comunque, bisogna tener presente a questo punto un’altra considerazione: quando uno Stato è aggredito da un altro Stato, lo stato di guerra si afferma di diritto; quando lo Stato è aggredito, il Governo ha non solo il diritto, ma il dovere di provvedere immediatamente, senza che vi sia bisogno di un testo costituzionale che gli conceda questo potere. Non facciamo quindi dell’umorismo, troppo facile, ma fuor di luogo, sul testo del progetto.

L’emendamento Gasparotto soggiunge: «e convoca di urgenza l’Assemblea Nazionale». Perché? Per avere maggiori poteri, per avere gli stanziamenti finanziari necessari. Ma resta appunto da vedere se, per deliberare su questi oggetti sia più opportuno che le Camere agiscano in unica Assemblea o se si proceda invece secondo la norma per cui le due Camere agiscono indipendentemente e separatamente.

L’emendamento dell’onorevole Terranova propone una aggiunta: «Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6, e previa la consultazione delle Assemblee regionali». Per quanto riguarda questa «previa consultazione delle Assemblee regionali», il richiamo mi sembra veramente fuori proposito. Per quanto riguarda «sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6», non è affatto necessario richiamare l’articolo 6.

L’articolo 6 contiene una disposizione fondamentale del nuovo ordinamento costituzionale; e quello che è consacrato in questo articolo vale nonostante che vi possano essere altri articoli che possono avere una certa attinenza. S’intende che tutti i poteri del Capo dello Stato e della stessa Assemblea sono sempre limitati da quella disposizione generale contenuta nell’articolo 6. Ritengo, quindi, superfluo qualsiasi richiamo all’articolo 6 delle disposizioni generali. E prima che superfluo, dannoso. Il richiamo all’articolo 6 non ne conferma, ma ne indebolisce la portata.

L’osservazione vale anche per l’emendamento proposto dall’onorevole Damiani, il quale vorrebbe aggiungere al testo del progetto che, in relazione all’articolo 6, la guerra può essere dichiarata soltanto in caso di legittima difesa.

PRESIDENTE. Quell’emendamento è decaduto. C’è l’emendamento dell’onorevole Nobile, presentato questa mattina.

TOSATO. La Commissione non è favorevole all’emendamento dell’onorevole Nobile, perché sopprimere un articolo non significa risolvere o sopprimere il problema. La questiona esiste, gravissima: può sorgere uno stato di guerra, ad un certo momento può sorgere la necessità di dover deliberare sulla guerra. Bisogna risolvere il problema. A chi spetta questo potere? al Capo dello Stato o alle Assemblee? Bisogna decidersi; non possiamo chiudere gli occhi. Per le ragioni esposte la Commissione resta ferma al suo testo.

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare alla votazione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che noi qui siamo di fronte a due problemi completamente diversi uno dall’altro, e che quindi esigerebbero, come probabilmente accadrà, due votazioni diverse, perché la guerra e la mobilitazione sono un problema a sé, e l’amnistia e l’indulto costituiscono un altro problema completamente separato. In ogni caso penso che si dovrebbe accedere alla proposta dell’onorevole Azzi e di qualche altro, cioè che si facciano due articoli diversi ove il contenuto dei due capoversi riesca a salvarsi dalle critiche fatte. Per l’amnistia e l’indulto aderisco all’emendamento Leone, che mi pare risolva meglio il problema dal punto di vista politico e giuridico.

Mi permetto di insistere presso l’Assemblea perché non si richieda l’intervento delle due Camere, per la mobilitazione, perché per me la mobilitazione è funzione del Capo dello Stato. Se egli è il comandante supremo delle Forze armate e non gli diamo il potere di fare la mobilitazione, quando occorra, non capisco come il Capo dello Stato potrebbe diventare comandante supremo.

Ma il problema più grave per me è quello della dichiarazione di guerra.

Non dobbiamo dimenticare che non siamo più all’epoca, in cui le guerre si dichiaravano mandando gli araldi e ricevendo gli araldi dell’avversario, o lasciando all’avversario l’onore di tirare per primo. Oggi la guerra, quando scoppia, scoppia per la volontà deliberata di uno Stato aggressore, che predispone i mezzi aerei, bombe atomiche, razzi volanti, apparecchi radio comandati, più adatti per raggiungere nel tempo più rapido possibile risultati decisivi. Come è possibile convocare l’Assemblea Nazionale quando tutti i centri ferroviari sono paralizzati, le grandi città probabilmente in disordine, per dichiarare la guerra?

Non dobbiamo poi, dimenticare che la dichiarazione di guerra ha effetti importantissimi non soltanto rispetto a tante situazioni di ordine civile, che esistono all’interno del territorio, ma anche nei riguardi internazionali, per le navi italiane mercantili e da guerra, gli aerei, ed i cittadini, che si trovano all’estero, rispetto alla posizione giuridica dei quali il momento della dichiarazione di guerra può avere effetti talvolta decisivi.

Ecco perché ritengo che, malgrado il nostro desiderio di limitare i poteri dell’esecutivo in questa materia, si debba purtroppo lasciare ad esso la facoltà di dichiarare la guerra.

D’altra parte occorre rilevare che un potere esecutivo che voglia fare una guerra aggressiva, presumibilmente ha già il consenso delle Camere; in caso contrario, esso non potrebbe preparare la guerra, perché le Camere gli negherebbero la fiducia.

Rimettiamo dunque al potere esecutivo una facoltà che un tempo dipendeva dalle prerogative del re, e che oggi dipende dalle caratteristiche tecniche della guerra.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Ho troppo rispetto per il collega Corbino, perché non mi senta in obbligo di replicare alle sue osservazioni e, nel tempo stesso, alle altre, pur tanto sensate, del Relatore della Commissione onorevole Tosato.

Bisogna, per capirci, parlar chiaro.

Intende il Parlamento spossessarsi del supremo diritto e della suprema responsabilità di mobilitare e dichiarare la guerra? Intende esso delegare questo suo potere al Governo?

Il principio informativo del testo stesso redatto dalla Commissione e degli emendamenti proposti dagli onorevoli Azzi, Clerici, Meda, Persico e dallo stesso onorevole Terranova culmina in questo: che la Costituente intende avocare alle due Camere, riunite o no, perché questa questione sarà discussa in seguito, il supremo potere e la sua suprema responsabilità, potrei dire il supremo onore o la suprema sventura, di dichiarare la guerra: questo è il primo punto.

Secondo punto. È necessario che tutti convengano su questa verità realistica: che mobilitazione ormai vuol dire guerra, e che la mobilitazione generale non esiste più, perché colla voce di mobilitazione generale, si intende mobilitazione militare, cioè la mobilitazione di tutte le forze di terra, di mare e di cielo e nel tempo stesso mobilitazione civile. Dichiarare di colpo la mobilitazione generale vorrebbe dire paralizzare con simile provvedimento tutta la vita nazionale ed arrestare o quanto meno sconvolgere tutta l’attrezzatura industriale del Paese. Tanto è vero questo, che nell’ultima guerra si sono avute tutte mobilitazioni parziali e le stesse mobilitazioni parziali sono avvenute in termini ed in forma graduali. Questa è una verità acquisita alla storia recente, e contro di essa non possiamo ribellarci. Ecco perché il generale Azzi ed io siamo concordi – anche per aver sentite le opinioni dei competenti – nel domandare la soppressione di questa voce: «mobilitazione generale» e lasciare il termine generico di: «mobilitazione». Nel tempo stesso riconosciamo – ed ecco perché non concordo con il Relatore nel senso di sopprimere la seconda parte del mio emendamento – che bisogna richiamare l’attenzione sia di quello che sarà il Presidente della Repubblica sia del Governo sull’obbligo di provvedere ad immediate opere di difesa non solo di fronte alle aggressioni, ma anche di fronte al pericolo delle aggressioni. Il che si potrà fare col richiamo degli specializzati, con l’ammassamento di truppe alla frontiera minacciata e con gli altri provvedimenti preparatori. Ma è bene che questo sia detto. Non creda l’onorevole Nobile che la dichiarazione di guerra non avvenga più. Tutt’altro: nell’ultima guerra vi fu la nostra dichiarazione di guerra alla Francia e quella della Francia e dell’Inghilterra alla Germania, per quanto già fossero iniziate le operazioni militari in Albania, nei Sudeti ed in Moravia e Cecoslovacchia. La dichiarazione di guerra può avvenire, come è avvenuta infatti da parte di taluni paesi, Francia e Inghilterra, i quali hanno creduto doveroso di uniformarsi alla prassi costante delle leggi internazionali. Ma, ripeto, il punto fondamentale della questione è questo: attraverso l’esperienza dell’ultima guerra è da ritenersi che la mobilitazione generale non avvenga più, e che, quindi, subordinare soltanto alla generalità ed alla totalità della mobilitazione il potere e la responsabilità del Parlamento, vuol dire sottrarre il Parlamento a questo suo supremo diritto e dovere, e delegarlo al Governo. Contro la delegazione al Governo noi siamo decisi, e per questo è bene pronunziarsi con tutta chiarezza.

AZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Vorrei pregare i colleghi, specialmente coloro i quali hanno avuto già occasione di parlare per svolgere i loro emendamenti, di non ripetere ancora una volta le considerazioni già esposte, sia pure in forma polemica con chi ha espressa altra tesi. Onorevole Azzi, ha facoltà di parlare.

AZZI. A quanto ha già detto l’onorevole Gasparotto, debbo aggiungere la considerazione che la mobilitazione generale non si fa quasi mai e ad ogni modo costituisce la fine della mobilitazione, perché, come sappiamo, la mobilitazione generale deriva dalla somma di singole mobilitazioni parziali più o meno occulte che vanno a sboccare nella mobilitazione generale, magari dopo dichiarata la guerra. Quindi la parte più pericolosa di questa non è la mobilitazione generale, ma l’inizio della mobilitazione, perché da questo inizio possono derivare conseguenze di carattere interno e di carattere internazionale, le quali possono anche trascinare – non volendo – alla guerra. Perciò, insisto sull’emendamento presentato dall’onorevole Gasparotto e da me, di togliere cioè la parola «generale» dopo la parola «mobilitazione».

Per quanto riguarda l’osservazione fatta dall’onorevole Corbino devo dire che non la condivido, perché ritengo che delegare al Governo la facoltà di dichiarare la guerra costituisca un errore psicologico, in quanto che il popolo che deve combattere la guerra, meglio e più volentieri la combatterà se saprà che la guerra è stata dichiarata da tutti i rappresentanti del popolo liberamente eletti. La ritengo soluzione antidemocratica, perché, come ha detto l’onorevole Gasparotto, il Parlamento in questo modo rinunzia alla sua responsabilità proprio nel momento in cui questa responsabilità diventa per esso più grande per le deliberazioni che si devono prendere in circostanze così eccezionali. Ritengo in contrasto questo procedimento proposto dall’onorevole Corbino col principio prudenziale sancito nell’articolo 6 della nostra Costituzione, e lo ritengo infine pericoloso per l’arbitraria ed errata interpretazione che può essere data dal Governo alle cause che potrebbero determinare la guerra.

Ricordo a questo proposito, senza voler iniziare una polemica, che siamo entrati in guerra contro l’Africa Orientale per l’aggressione ammaestrata di Ual Ual, che fu da noi preparata proprio per determinare un pretesto di guerra.

CORBINO. Ma allora in Italia si era sotto un regime dittatoriale antidemocratico.

AZZI. Vi era un Governo non controllato dal Parlamento, e noi, delegando al Governo i poteri, rinunciamo al nostro controllo e lo lasciamo arbitro di fare quello che vuole. (Commenti).

Ho espresso la mia idea; in contrasto con quella dell’onorevole Corbino, e per riconfermare il mio accordo con quella dell’onorevole Gasparotto.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei chiedere un chiarimento all’onorevole Gasparotto ed agli altri firmatari del suo emendamento. In sostanza, mi pare che essi escludano la mobilitazione generale, ma ritengano tuttavia indispensabile che sia il parlamento a dare l’autorizzazione per una mobilitazione qualsiasi, cioè minore, e dunque, parziale; le misure di difesa in genere sono invece, secondo il loro punto di vista, affidate al Consiglio dei Ministri. Ma fra le misure di difesa non rientrano anche, ad esempio, gli eventuali richiami di alcune classi? E gli eventuali richiami di alcuni classi non costituiscono una mobilitazione parziale? Ed allora? Io chiedo ai presentatori dell’emendamento se non ritengano opportuno sopprimere l’accenno alla mobilitazione, dicendo cioè che spetta all’Assemblea la dichiarazione di entrata in guerra e spetta invece al Consiglio dei Ministri l’insieme delle misure di difesa.

GASPAROTTO. Ho già detto. Per esempio, richiamo di classi specializzate. Del resto, non dovrei dire troppo. Esistono tante forme larvate di preparazione militare.

FABBRI. Ad ogni modo i presentatori dell’emendamento hanno capito il mio concetto e possono, ove lo credano opportuno, tenerne conto.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Secondo il mio costume, farò alcune osservazioni molto semplici. Vi sono tre questioni; quella della mobilitazione, quella dell’entrata in guerra e quella dei poteri da concedere al Governo, dato che c’è stata anche questa ultima proposta dell’onorevole Fuschini che entra nel quadro dei temi che ora dobbiamo trattare.

Per quanto riguarda la mobilitazione, la seconda Sottocommissione tenne presente l’opportunità di sottrarre la mobilitazione generale alla competenza di un Governo, che potrebbe disporla anche indipendentemente dalla guerra come attentato alle libertà fondamentali. Prescindendo da questo riflesso, e considerando la mobilitazione soltanto nei riguardi della guerra, si era pensato di riservare, mediante una norma costituzionale, al Parlamento l’atto più pieno e formale della mobilitazione generale, salvo alle leggi stabilire le norme per la mobilitazione parziale. Ma i tecnici fanno ora presente che non vi è effettiva distinzione fra i vari i gradi di mobilitazione, e quindi potete, colleghi dell’Assemblea, togliere ogni specificazione e dosatura.

Sta ad ogni modo il fatto, e qui parlo dell’emendamento Gasparotto, che se non mettiamo nella Costituzione alcuna norma per la mobilitazione, potrà ugualmente ad essa ricorrere il Governo, come potrà ricorrere ad ogni altra norma necessaria per la difesa dello Stato, in via di urgenza e di necessità, con decreto-legge, in base alla norma generale che abbiamo messo nella Costituzione.

Aggiungo che l’emendamento dell’onorevole Gasparotto non mi sembra del tutto preciso, perché parla di aggressioni improvvise; ma vi possono essere altri casi (ad esempio la mobilitazione d’altri paesi), in cui il Governo è costretto a prendere misure di difesa e disporre la mobilitazione. «Aggressione» è toppo poco; se si mettesse «pericolo» sarebbe frase troppo generica. Né è priva di una certa efficacia l’osservazione dell’onorevole Fabbri; perché se noi riserviamo la mobilitazione alle Camere, e poi stabiliamo che in caso di aggressione si debbono prendere provvedimenti, sorge il dubbio se si possa fare la mobilitazione con atto di urgenza.

Secondo punto: la entrata in guerra. È da ritenere che con lo stato attuale della tecnica della guerra, nell’età che ormai si chiama della bomba atomica, la guerra si aprirà con aggressioni improvvise e non con cavalleresche dichiarazione di araldi, come al buon tempo antico. Il paese molto probabilmente, e più spesso, si troverà in guerra senza una previa proclamazione di essa, senza indugio, prima che si possa raccogliere il Parlamento e provvedere alla difesa in via della massima urgenza. Ma ciò non toglie che il Parlamento non debba, appena è possibile, intervenire. Vi è un atto necessario; ed è quello di stabilire – sarà di fatto più spesso riconoscere – che vi è la guerra; e che ne derivano conseguenze giuridiche di grandissimo rilievo, sia nei rapporti dei cittadini all’interno, sia nei rapporti esteri con stati e cittadini esteri. Non occorrono esemplificazioni. Si tratta, in sostanza, di deliberare lo «stato di guerra». L’espressione «stato di guerra» mi sembra la più esatta giuridicamente, e direi anche, psicologicamente. Ora volete che questa deliberazione dello stato di guerra sia lasciata al Governo? È compito del Parlamento: avremo queste fasi: difesa immediata con atto del Governo; deliberazione dello stato di guerra da parte del Parlamento; dichiarazione formale di guerra che spetta, come dice un altro articolo della Costituzione, al Capo dello Stato.

Il Parlamento avrà poi un altro compito – ecco il terzo punto – su cui ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea l’onorevole Fuschini: accordare al Governo i necessari poteri. Non direi pieni poteri; né poteri adeguati; «necessari» mi pare l’espressione migliore.

Tutto ciò premesso, vi proporrei di stabilire che «l’Assemblea Nazionale o il Parlamento o le Camere riunite deliberano lo stato di guerra», e poi aggiungerei «e concedono i poteri necessari al Governo».

Non entro qui nel problema se si debba parlare di Assemblea Nazionale o di Parlamento (come propone con un suo emendamento l’onorevole Corbino) o di Camere riunite. A me sembra che non vi sia niente di male a dare un nome alle riunione delle due Camere; e – piuttosto che Parlamento, designazione che indica normalmente le due Camere, anche considerando che lavorino distintamente – si potrebbe usare l’espressione di Assemblea Nazionale, che ha per sé la tradizione di tante costituzioni straniere; e non risulta così eretica e pericolosa come appare all’onorevole Nitti. Ma di ciò a suo tempo.

La questione da decidere qui è se, per la deliberazione dello stato di guerra e la concessione dei poteri al Governo, convenga che le Camere deliberino insieme, o ciascuna per conto suo. È una deliberazione che non richiede discussioni minute e tecniche; e può avvenire in poche ore; in un’ora; è un compito che può benissimo essere adempiuto a Camere riunite. Ciò darà all’atto una solennità ed una grandezza che avrà anche effetti psicologici nel Paese. Né saprei concepire che una Camera decidesse lo stato di guerra e l’altra no. Ritengo che occorre la riunione delle due Camere.

In ogni modo ho voluto suggerire una formula tecnica che può prestarsi alle varie soluzioni, e che è sintetica e chiara.

PRESIDENTE. Desidero rammentare prima di passare alle votazioni su questo articolo, che ancora stamane, l’Assemblea ha riconosciuto l’opportunità di deliberare per prima cosa quali siano le particolari questioni che richiedono una decisione delle due Camere riunite, salvo a definire poi il modo di funzionamento e la denominazione che le due Camere riunite dovranno assumere.

Pertanto, anche in questo articolo, sia nel testo della Commissione come in tutti gli emendamenti che sono stati presentati e svolti e che metteremo in votazione, ogni indicazione che si riferisca all’Assemblea Nazionale per ora resta sospesa.

Dobbiamo semplicemente votare in ordine a questa questione: se la mobilitazione generale, l’entrata in guerra o altri atti di analoga importanza, debbano dipendere da una deliberazione delle due Camere riunite, oppur no.

Ora, dopo le risposte che hanno dato gli onorevoli Ghidini, Tosato e Ruini ai presentatori di emendamenti, domanderò a questi se conservano o meno, gli emendamenti stessi.

Poiché l’onorevole Terranova non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Ritiro la prima parte del mio emendamento e conservo la seconda.

PRESIDENTE: L’onorevole Benvenuti mi ha fatto pervenire il testo di un emendamento alla formulazione dell’onorevole Gasparotto.

«Dopo le parole: uno Stato straniero, sostituire il testo con le seguenti parole: il Consiglio dei Ministri propone al Presidente della Repubblica i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese.

«Il Presidente della Repubblica dà corso ai provvedimenti e convoca d’urgenza l’Assemblea Nazionale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei pregare l’onorevole Benvenuti di considerare se non sia il caso di ritirare il suo testo che è alquanto complesso, e non è necessario. Ripeto ancora una volta che, in base all’articolo da noi già votato sui provvedimenti d’urgenza e necessità, il Governo ha facoltà di provvedere senza perdere tempo.

Noi non faremmo con il testo proposto dall’onorevole Benvenuti, se non ripetere quella disposizione e – noti il collega Benvenuti – verremmo nel tempo stesso a diminuire la portata dei provvedimenti che il Governo può e deve prendere.

PRESIDENTE. Onorevole Gasparotto, accetta la proposta dell’onorevole Benvenuti?

GASPAROTTO. Onorevole Presidente, la proposta dell’onorevole Benvenuti è intuitiva. Mi parrebbe offensivo per qualsiasi Governo supporre che, di fronte a frangenti dai quali può dipendere la vita e la morte dei cittadini, esso possa restare inerte.

PRESIDENTE. Allora non l’accoglie.

GASPAROTTO. Onorevole Presidente, io proporrei questo testo: «Spetta all’Assemblea Nazionale di deliberare sulla mobilitazione e sullo stato di guerra e sui poteri da delegare al Governo stesso».

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Benvenuti, ella mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. No, onorevole Presidente, non lo mantengo sia perché aderisco alla proposta Gasparotto-Ruini, sia perché ritengo di dover prendere atto delle dichiarazioni dell’onorevole Gasparotto e di quelle dei rappresentanti della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Meda, mantiene l’emendamento?

MEDA. Onorevole Presidente, sarei disposto a ritirarlo, ma desidererei prima conoscere il testo preciso della Commissione.

PRESIDENTE. Ne do lettura: «L’Assemblea Nazionale delibera lo stato di guerra e concede al Governo i necessari poteri». Questa, onorevole Meda, è la proposta dell’onorevole Ruini.

MEDA. Ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Benvenuti, mantiene il suo emendamento?

BENVENUTI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, mantiene il suo?

AZZI. Accetto la formula del Presidente della Commissione, con l’aggiunta però della parola «mobilitazione», già proposta dall’onorevole Gasparotto e da me.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene l’emendamento?

CODACCI PISANELLI. Lo mantengo. Richiamo l’attenzione degli onorevoli colleghi sul fatto che presso i popoli civili l’amnistia e l’indulto sono sempre concessi con leggi di carattere costituzionale.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli, lei mantiene il suo emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo ritiro e aderisco all’emendamento dell’onorevole Persico.

Per quanto riguarda la prima parte dell’articolo, aderisco alla proposta della Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Leone Giovanni, mantiene il suo emendamento?

LEONE GIOVANNI. Lo mantengo.

BENVENUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, a nome del mio Gruppo, chiedo una breve sospensione, di dieci minuti, per deliberare sul nuovo testo propostoci dall’onorevole Ruini, che importa una notevole modificazione sia rispetto al testo originale, sia rispetto agli emendamenti che questa mattina abbiamo discusso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Poiché si tratta di due temi completamente staccati – ed è anzi stata fatta la proposta di farne due articoli – sarebbe bene che li considerassimo distintamente, anche come ultimo scambio di idee; perché, quando si passerà al secondo comma, farò alcune osservazioni, diro così, finali, come ho già fatto per il primo comma.

FUSCHINI. Deliberiamo di fare due articoli: uno che si riferisce alla guerra e uno all’amnistia.

PRESIDENTE. Lo stesso testo della Commissione ne fa intanto due commi separati; la questione di dividerli in due articoli è, direi, di carattere secondario. In questo momento decidiamo sul merito e votiamo intanto separatamente, prima sulla mobilitazione e lo stato di guerra e poi sull’amnistia e l’indulto. La divisione in due articoli è un problema che può essere risolto alla fine.

PERSICO. Vi è la proposta dell’onorevole Terranova, che prevede appunto la divisione in due articoli.

PRESIDENTE. Ma vi è anche quella dell’onorevole Azzi.

Se non vi sono osservazioni circa la richiesta dell’onorevole Benvenuti, la seduta è sospesa per un quarto d’ora. Chiedo all’onorevole Benvenuti se vi insista.

BENVENUTI. Insisto nella mia richiesta.

(La seduta, sospesa alle 17.35, è ripresa alle 17.50).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, do lettura dei due testi del primo comma dell’articolo 75, sui quali dobbiamo decidere.

Il primo è quello dell’onorevole Ruini:

«L’Assemblea Nazionale delibera lo stato di guerra e concede i necessari poteri al Governo».

L’altro è il testo proposto dall’onorevole Gasparotto:

«Il Parlamento delibera la mobilitazione e lo stato di guerra e conferisce al Governo i necessari poteri».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si tratta di aggiungere al testo iniziale la parola «mobilitazione»; ciò che il Comitato non ritiene necessario.

PRESIDENTE. Rammento ancora una volta che i termini: «Assemblea Nazionale» e «Parlamento» per ora non hanno un valore conclusivo allo scopo della votazione. Queste parole vogliono soltanto significare che coloro che propongono questi testi intendono che le deliberazioni relative allo stato di guerra siano prese congiuntamente dalle due Camere.

MORO. Chiedo di parlare, per dichiara razione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Noi voteremo contro queste formulazioni. Poiché la questione è impostata, noi intendiamo che le due Camere debbano deliberare separatamente.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Voterò contro le formule proposte.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Ritengo che sarebbe opportuno dividere le questioni e decidere prima se il Parlamento debba deliberare a Camere riunite o separate e quindi, stabilire la materia delle deliberazioni.

PRESIDENTE. Mi sembra che si voglia riaprire una discussione già esaurita. Lei, onorevole Uberti, in questo momento ci ripropone la questione di ieri sera e di questa mattina. In questo momento noi stiamo cercando di risolvere questa questione: se debbano esservi particolari deliberazioni da attribuirsi alle due Camere in seduta comune. Se alla fine di questa votazione risultasse che l’Assemblea non intende affidare nessuna deliberazione alle due Camere insieme riunite, allora non vi sarà un organo in cui si unificano le due Camere. Ma se, con le votazioni che faremo, si stabilisse anche una sola materia per la quale le due Camere dovessero decidere insieme, la questione di principio se le due Camere si possono costituire in unica Assemblea sarebbe risolta, salvo il funzionamento e la struttura dell’organo unificato.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei proporre una piccola variazione di forma, che tuttavia ha una qualche importanza, vale a dire che si dicesse: «Le Camere riunite deliberano» non «lo stato di guerra» ma «sullo stato di guerra».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Va bene. Si terrà presente la sua proposta in sede di coordinamento.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Mi sembra che si dovrebbe stabilire con un criterio generale come dovranno procedere le due Camere quando occorrerà una delle deliberazioni che si prevedono in questo articolo.

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, le faccio osservare che su questo punto l’Assemblea ha già deciso la procedura da seguire.

Pongo in votazione la formula dell’onorevole Gasparotto, che è un emendamento al testo della Commissione per quanto ne riprenda in parte il contenuto:

«Il Parlamento delibera la mobilitazione e lo stato di guerra e conferisce al Governo i necessari poteri».

Comunico che è stata presentata una richiesta di appello nominale dall’onorevole Sullo e altri.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Vorrei domandare all’onorevole Gasparotto se con l’espressione «Il Parlamento» intenda le Camere separate o riunite.

GASPAROTTO. Intendo lasciare questo impregiudicato. La mia è una questione di merito. E cioè, resta impregiudicato se la deliberazione sull’entrata in guerra e la deliberazione sulla mobilitazione spetti alla Assemblea Nazionale, ove venga istituita, o alle Camere separatamente o congiuntamente. Di questo si parlerà a parte.

PRESIDENTE. È evidente, onorevole Moro, che se lei pone una domanda di questo genere, la risposta non può essere che quella che le ha dato l’onorevole Gasparotto. Ma mi pareva che fosse abbastanza chiaro che in questo momento, indipendentemente dal significato che i presentatori degli emendamenti dànno al soggetto del loro emendamento, noi votiamo su questa questione: se le Camere devono essere riunite o no, e pertanto il termine: «Parlamento», e l’altro: «Assemblea Nazionale» vogliono proprio indicare le Camere riunite. Coloro che votano favorevolmente alla formula proposta, approvano che le Camere decidano insieme; coloro che votano contro, non respingono il merito, ma intendono affermare che le Camere non devono deliberare unite.

MORO. Allora noi voteremo contro questa formula.

AZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AZZI. A me pare che facendo la votazione in questi termini, noi che abbiamo presentato un emendamento alla sostanza dell’articolo, finiamo per vederlo respinto per una questione di forma.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, ho già precisato lo scopo della votazione. Qualora l’emendamento fosse respinto, la questione di merito verrebbe riproposta.

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Desidererei chiedere una delucidazione in rapporto all’aggiunta della parola «mobilitazione» che ha fatto l’onorevole Gasparotto. Io credo che la mobilitazione rientri nei poteri che il Parlamento dà al Governo e quindi è inutile aggiungere la parola «mobilitazione».

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

Si tratta dunque di decidere se le due Camere debbano sedere assieme per deliberare sulla mobilitazione, sullo stato di guerra e sul conferimento al Governo dei poteri necessari a questo scopo.

Vi erano alcuni emendamenti, ritirati dai presentatori, che ponevano molto chiaramente la questione. Ora, io non ho la facoltà di proporre formulazioni; ma se qualche collega volesse prendere una iniziativa in questo senso, ciò faciliterebbe le decisioni.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Proporrei di far votare la seguente formula:

«Le Camere riunite deliberano la mobilitazione». Così il senso del voto è chiaro. Noi votiamo contro, intendendo respingere il principio.

PRESIDENTE. Si potrebbe anche votare per divisione. Per prime si voterebbero le parole: «Le Camere riunite» e successivamente la materia della deliberazione.

Onorevole Sullo, mantiene la richiesta di appello nominale?

SULLO. La ritiro.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Sarebbe bene che si votasse prima sulle parole «Le Camere», poi sulla parola «riunite», ed infine sulle singole materie.

PRESIDENTE. Allora si vota per divisione in tre parti.

Pongo in votazione le parole:

«Le Camere».

(Sono approvate).

Pongo in votazione la parola:

«riunite».

Coloro che votano favorevolmente accettano il criterio che le deliberazioni vengano prese in seduta comune dalle due Camere. Resta salva, poi, la decisione sul nome che devono avere le due Camere così riunite e sul funzionamento dell’organo che risulterà formato dalla loro unione.

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione, non è approvata).

Pongo in votazione le parole:

«deliberano la mobilitazione».

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Voterò contro, ritenendo che soltanto la dichiarazione dello stato di guerra rientri nelle competenze della Camera. Una volta che è chiarito che per mobilitazione s’intende non solo la mobilitazione generale ma anche un parziale richiamo di classi, ritengo che il richiamo parziale di classi rientri in quelle tali facoltà e misure di difesa da delegarsi al Governo.

(Dopo prova e controprova e votazione per divisione non sono approvate).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«Deliberano lo stato di guerra».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«e conferiscono al Governo i necessari poteri».

(Sono approvate).

Il primo comma dell’articolo 75 risulta così approvato nel seguente testo:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i necessari poteri».

Passiamo al secondo comma dell’articolo. Il testo della Commissione è del seguente tenore:

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

S’intende che le parole: «dall’Assemblea Nazionale» dovranno essere sostituite in sede di coordinamento.

L’onorevole Bettiol mi ha fatto pervenire in questo momento un testo modificato dell’emendamento al secondo comma dell’articolo 75, svolto dall’onorevole Leone Giovanni:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica, dietro delegazione delle Camere, e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

Onorevole Fuschini, mantiene l’emendamento al secondo comma?

FUSCHINI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene l’emendamento?

CODACCI PISANELLI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Carpano Maglioli, mantiene l’emendamento?

CARPANO MAGLIOLI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Azzi, mantiene l’emendamento?

AZZI. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli: «L’amnistia e l’indulto non potranno essere concessi se non mediante leggi di natura costituzionale».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione del nuovo testo dell’emendamento Bettiol, testé letto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea deve decidere: o deferire senz’altro alle Camere, secondo come propone l’emendamento dell’onorevole Persico, oppure ammettere una delegazione o autorizzazione.

Se si prende questa seconda via, io prego di attenersi al testo dell’onorevole Bettiol, che mi sembra preferibile dal punto di vista tecnico.

PRESIDENTE. Se ho ben udito, l’onorevole Ruini ha riconfermato che la Commissione si attiene al testo presentato, ed ha fatto presente all’onorevole Bettiol e agli altri firmatari le ragioni per cui non accetterebbe il loro emendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi pareva che l’onorevole Ruini non avesse voluto dire questo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io debbo chiarire che, poiché il nostro compito è quello di trovare la formulazione più precisa possibile, ho prospettato quale essa è, a nostro avviso, sia nell’ipotesi che l’Assemblea voglia dare direttamente alle Camere la concessione dell’amnistia e dell’indulto (ed in tal caso la formula preferibile è dell’onorevole Persico); sia nell’ipotesi che entri nell’ordine di idee di una autorizzazione o delegazione delle Camere al Governo (nel qual caso il testo proposto dall’onorevole Bettiol è tecnicamente preferibile agli altri).

PRESIDENTE. Mi sembra che il testo presentato dall’onorevole Bettiol non permetta all’Assemblea di pronunciarsi in ordine al quesito principale: se le Camere debbano dare questa delegazione riunite oppure ciascuna nella propria sede. Io penso, quindi, che a questo emendamento dell’onorevole Bettiol bisogna ad un certo momento, con un emendamento all’emendamento, inserire la solita parola «riunite», sulla quale l’Assemblea si pronunzierà.

Porrò in votazione prima questa formula:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere»; e poi la parola «riunite». Se l’Assemblea non l’accetta, porrò ai voti allora la formulazione della Commissione, includendo naturalmente anche in essa la parola «riunite».

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Io volevo semplicemente osservare questo: mi pare che la procedura proposta dal Presidente non sia strettamente regolamentare, perché, essendoci degli emendamenti che modificano il testo della Commissione, essi dovrebbero essere posti in votazione per primi.

Quanto alla formulazione della proposta di emendamento nel senso di disporre l’amnistia con legge di delegazione, mi pare che quella proposta dell’onorevole Fuschini sia tecnicamente più esatta di quella dell’onorevole Bettiol. E ciò nella considerazione che, essendoci l’articolo 83 in cui è detto che il Presidente della Repubblica emette i decreti legislativi, mi pare che quando si dispone che l’amnistia si concede con decreto legislativo sia inutile precisare l’organo che emette questo decreto. Abbiamo un articolo di carattere generale che stabilisce la forma dei decreti legislativi; quindi basterà affermare il principio che l’amnistia è concessa su delegazione: rimettendosi per l’esercizio della delegazione alle norme generali. Mi pare, quindi, che l’altra formula proposta dall’onorevole Fuschini, pur coincidendo pienamente con quella del collega Bettiol, sia formalmente più esatta.

Quanto al merito, la ragione per cui io e l’onorevole Fuschini e gli altri firmatari insistiamo su questo emendamento, è che esso tende a conciliare – e felicemente concilia – due esigenze che sono state prospettate, due difficoltà che si presentano in ordine all’amnistia, cioè l’esigenza che non sia affidato alla discrezionalità del Governo questo atto importante e delicato che fa cadere l’azione penale, e viceversa sia tenuta presente l’altra esigenza della difficoltà tecnica della formulazione di questo atto e, quindi, dell’opportunità che esso venga affidato al potere esecutivo. C’è, quindi, il contemperamento, il tentativo di conciliazione di queste due esigenze contrastanti, che depone dell’opportunità dell’emendamento proposto.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, questo emendamento è già stato svolto prima.

Ad evitare contestazioni, onorevoli colleghi, vorrei che con precisione si dicesse se l’emendamento Bettiol è stato presentato a titolo personale dall’onorevole Bettiol, oppure debba intendersi come sostitutivo dell’emendamento presentato prima e che portava anche le firme di altri deputati.

BETTIOL. Ho presentato questo emendamento a titolo personale, come chiarimento ad un altro emendamento da me sottoscritto.

Soltanto, intendevo che si riconoscesse un particolare risalto alla figura del Presidente della Repubblica, in ordine alla concessione di questo particolare beneficio. Non è un potere proprio del Presidente, perché si sostiene la necessità della delegazione da parte del Parlamento; ma c’è una tradizione in tutti i paesi per cui è il Capo dello Stato, come tale, che concede questo particolare beneficio, salvo delega da parte del Parlamento. Non è un provvedimento motu proprio.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È una questione puramente tecnica. Ripeto che la dizione dell’onorevole Bettiol è preferibile. Mettendo «per decreto legislativo» come vuole l’onorevole Mortati, si trasferisce alle Camere la facoltà di concedere amnistia ed indulto, che è finora spettata al Capo dello Stato; e si prescrive che alla concessione debba aver luogo sempre «un decreto legislativo». Non suona bene, a mio avviso, che la forma del decreto legislativo, da considerarsi come un’eccezione, diventi, almeno per una singola materia, normale ed obbligatoria. È preferibile la linea seguita dall’onorevole Bettiol: che la facoltà di far amnistia ed indulto rimane al Capo dello Stato; ma occorre, perché la metta in essere, un consenso del Parlamento. Dichiaro che preferirei dire «autorizzazione» anziché «delegazione» del Parlamento; appunto per render più chiaro che non si tratta di una figura perfettamente eguale a quella del decreto legislativo. Sarebbe piuttosto nell’intesa dell’onorevole Bettiol, una delegazione impropria e sui generis. Meglio parlare di «autorizzazione», ciò che non vieta che, nel dare l’autorizzazione, il Palamento non possa subordinarlo a criteri e principî direttivi che il Capo dello Stato deve seguire. Avverrà di fatto che il Governo presenterà più spesso un disegno di legge, che conterrà o lo stesso testo dell’amnistia ed indulto, o i criteri e principî direttivi; ed il Parlamento darà l’autorizzazione o la negherà o la subordinerà a modificazione. Ad ogni modo, sarà da vedere in sede di revisione e di coordinamento della Costituzione, se sarà meglio parlare di «delegazione» od «autorizzazione».

Qui mi preme notare che, in sostanza, la proposta Bettiol e quella Mortati hanno una portata sostanzialmente non diversa. Rappresentano tutte due una conciliazione che mi sembra opportuna, fra la soluzione di deferire la concessione al Parlamento (al qual riguardo sono stati avanzati qui dubbi, soprattutto per la necessità di una elaborazione del provvedimento, che non si addice alle Camere) e l’altra soluzione di consacrare la facoltà al Capo dello Stato. La formula Bettiol è tecnicamente preferibile; anche perché è più breve e di stile più costituzionale.

Si presta poi all’aggiunta rapida e breve che l’amnistia e l’indulto non si applicano a reati commessi successivamente alla richiesta di autorizzazione o delegazione. Abbiamo sentito molti rilievi sul pericolo della speculazione sull’amnistia e sull’incoraggiamento a compier reati mentre si discute il provvedimento. Non è inutile stabilire ciò che l’onorevole Bettiol propone; e che non vieta, se occorre, di stabilire sul provvedimento una data anteriore; comunque mai dopo la richiesta.

RESTIVO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESTIVO. Signor Presidente, desidererei sottoporre all’Assemblea l’opportunità di una considerazione: qui si parla di una delega che la legge dovrebbe dare al potere esecutivo perché questo emetta l’atto e conceda l’amnistia. Si arriverebbe pertanto a un assurdo giuridico, che cioè l’organo il quale dà la delega non potrebbe poi emanare l’atto. Credo quindi che, in tal modo, si cadrebbe in una situazione inammissibile dal punto di vista logico.

PRESIDENTE. Non resta allora, onorevoli colleghi, che passare alla votazione. Desidero però far prima una breve osservazione. Se l’Assemblea accetterà la formula proposta dall’onorevole Bettiol, mi sembra che sarà forse opportuno che il Comitato di redazione coordini il testo nel senso che sono le Camere il soggetto di questa disposizione; e ciò in armonia alla dizione degli articoli precedenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accolgo perfettamente questa osservazione del Presidente dell’Assemblea e aggiungo che, passando alla formula dell’onorevole Bettiol, si deve vedere se essa non debba essere collocata nel titolo del Capo dello Stato.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte dell’emendamento Bettiol:

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo in votazione la parola: «riunite».

(Non è approvata).

Pongo in votazione l’ultima parte dell’emendamento:

«e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

(È approvata).

L’articolo 75 risulta così approvato, salvo coordinamento, nel seguente testo:

«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i necessari poteri.

«L’amnistia e l’indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica dietro delegazione delle Camere e non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla richiesta di delegazione».

Quanto alla proposta di dividere in due articoli la formulazione testé approvata la Commissione ne terrà conto nella redazione definitiva.

Abbiamo concluso così Titolo primo della seconda parte relativo al potere legislativo.

Passiamo ora al Titolo II:

«Il Capo dello Stato».

Si dia lettura dell’articolo 79.

RICCIO, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale, con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi a maggioranza assoluta.

«L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri che compongono l’Assemblea a questo fine».

PRESIDENTE. L’onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, a maggioranza assoluta».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo italiano a suffragio universale e diretto».

L’onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

RUSSO PEREZ. I sistemi per l’elezione del Capo dello Stato possono essere diversi: suffragio diretto da parte di tutta la massa degli elettori; elezione da parte delle due Camere riunite, che sarebbe il sistema classico; e la elezione da parte di un Collegio speciale, per il quale la fantasia può sbizzarrirsi ad immaginare un’infinità di sottoclassi.

La nostra Commissione ha scelto il secondo sistema, leggermente contaminato dal terzo, cioè l’elezione da parte dell’Assemblea Nazionale con la partecipazione, come dice qualcuno, simbolica di alcuni membri espressi dalle Assemblee regionali; simbolica perché il numero dei partecipanti è lieve, una quarantina in tutto.

I motivi della scelta non sono esplicitamente detti, ma sono impliciti nei motivi che portarono alla reiezione del primo sistema. Il suffragio diretto del popolo è stato escluso per un motivo di pura teoria, e perciò assolutamente inconsistente (La Rocca), e cioè che la elezione diretta muterebbe la caratteristica del sistema parlamentare, introducendovi un elemento del sistema presidenziale; e per un motivo pratico, la necessità di evitare che il Capo dello Stato, sentendosi troppo forte e troppo indipendente dai due rami del Parlamento, possa assumere atteggiamenti alla Giulio Cesare, la necessità di evitare quel che si dice appunto cesarismo, che, in lingua povera significa dittatura, tirannia. E si cita la esperienza di altri paesi, tra i quali la troppo citata Repubblica di Weimar. Sta di fatto che il Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, non è un personaggio coreografico. A parte il considerare che egli, come ben dice l’onorevole Ruini, è il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale prima che temporale della Repubblica, a parte il considerare che rappresenta l’unità e la continuità della Nazione, la forza dello Stato, che rimane ferma ed uguale nel fluttuare e nel mutare di uomini e di partiti, egli ha dei poteri veramente eccezionali, come per esempio la nomina e quindi la revoca del Primo Ministro e dei Ministri (e si pensi che la scelta di un uomo può avere, a volte, influenza decisiva sulla situazione politica di un Paese), la facoltà di indire il referendum in caso di dissenso legislativo fra i due rami del Parlamento ed infine lo scioglimento delle Camere per dare il passo all’opinione pubblica, scioglimento che da taluno (Blum) è ritenuto la chiave di volta di ogni ordinamento democratico.

In queste condizioni mi pare che il Capo dello Stato abbia bisogno di forza morale e di indipendenza, e non vedo perché non debba ripeterle direttamente dal popolo.

È risaputo da tutti che il Presidente non deve avere funzioni di partito e che l’elezione da parte delle due Camere lo rende appunto troppo prigioniero di esse. È per questo che taluni preferiscono (Mortati) il collegio speciale, mentre è chiaro che il vero modo di distaccare il Capo dello Stato dai movimenti politici e di renderlo imparziale è l’elezione diretta. Difatti anche il Relatore Tosato afferma che tale esigenza è soddisfatta, ma solo in parte, dal sistema adottato dall’articolo 79 del nostro progetto di Costituzione.

Intanto il suffragio diretto è stato respinto all’unanimità da quel collegio di 8 membri che fu nominato dalla seconda Sottocommissione, prima Sezione. Esso ritenne imprudente che il Capo dello Stato fosse esponente diretto del popolo e opinò che tale forma avrebbe reso difficile il funzionamento del sistema parlamentare. Di quel Comitato facevano parte uomini dell’Unione democratica nazionale (Bozzi), e della Democrazia cristiana (Tosato-Mortati): democrazia, demos, popolo, repubblicani storici come Penassi e Conti, uomini dal motto «Dio e Popolo», quasi due divinità; socialisti e comunisti, che si credono i soli autentici rappresentanti del popolo, di cui invocano spesso la sovranità, quando non invocano addirittura quella della piazza. Mancavano i monarchici, che credono alla sovranità del re; i liberali e i qualunquisti, che si dice credano alla sovranità dei blasoni e dei forzieri. Ebbene, proprio gli idolatri del popolo hanno avuto paura del popolo! Perché ciò? Bisogna pensare che ognuno sogni un Capo dello Stato tutto di suo gusto, che possa secondare i suoi interessi? Che i migliori tra noi ne sognino uno che possa seguire le loro ideologie e servire i loro partiti?

I pericoli dell’elezione diretta sono immaginari. Weimar non espresse Hitler ma Hindenburg. L’investitura da parte di Hindenburg fu per Hitler più producente del suffragio popolare. Il resto nacque dalla megalomania di Hitler e dalle follie di Versailles. Perché un dittatore nasca non è necessario che costui riceva i pieni poteri dal popolo. Ho l’impressione che Mussolini non li abbia ricevuti dal popolo e sulla maniera con cui li ricevette vi sono qui, in questa Assemblea, alcuni che potrebbero illuminarci. Il cesarismo nasce dal temperamento degli uomini e dalla situazione delle cose. Bisogna augurarsi che i temperamenti dei Presidenti futuri non siano inclini alla tirannia e, quanto alle cose, siamo noi che dobbiamo agire in modo da non creare le condizioni propizie al nascere delle dittature.

Ma poi, un’altra osservazione: il senso dell’eccesso della propria forza può derivare, non dal fatto di essere stato eletto dal popolo anziché dall’Assemblea, ma, se mai, dalla certezza di poter contare per l’avvenire sul favore popolare, qualunque cosa si faccia, comunque ci si regoli.

Una volta eletto, con qualsivoglia sistema, il Capo dello Stato, i suoi poteri non mutano, sono quelli che promanano dalla legge.

Il solo modo di evitare quella certezza di cui parlavamo, quella che concerne l’avvenire, sta nel proibire la rielezione. Non vi è dubbio, secondo me, che un giorno la storia, seppur già la cronaca non lo dice, chiamerà dittatura quella di Roosevelt. Da che nacque quell’eccesso di forza che permise a lui, dopo aver promesso alle madri americane non far versare in Europa una sola goccia di sangue dei loro figli, di portare il popolo americano alla guerra? Non dalla elezione diretta, ma dalla prima e, soprattutto, dalla seconda rielezione. Si dirà che il divieto della rielezione impedisce la riconferma del migliore, ove il Paese abbia avuto la fortuna di esprimerlo e di portarlo a Capo dello Stato; ma si ricordi che il migliore cesserà d’esser tale quando sarà diventato l’insostituibile. No, non esistono ragioni serie per respingere la proposta mia e di altri colleghi per il suffragio diretto. Solo il suffragio diretto può portare alla suprema magistratura l’uomo che sia, come noi vogliamo, non uno strumento, ma un moderatore dei partiti.

P PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole De Vita:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’onorevole Russo Perez ha fatto cenno ai repubblicani storici, anzi a quelli storici e a quelli preistorici; ma, manco a farlo apposta, è proprio un repubblicano storico, e non preistorico, che ha presentato un emendamento che è identico al suo. Forse però i motivi che mi hanno ispirato sono diversi, ma io sono fermamente convinto che il sistema di elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Repubblica sia il sistema più democratico.

Ma, oltre questa considerazione, un’altra considerazione, a mio avviso importante, mi ha indotto a presentare questo mio emendamento. Il Presidente della Repubblica ha, ad esempio, il potere di sciogliere le due Camere. Ora è chiaro che con l’emendamento proposto dalla Commissione, il Presidente viene ad essere eletto dalle due Assemblee, sia pure integrate da una piccola aggiunta. Ma io non comprendo come il Presidente della Repubblica, espressione delle due Camere, possa avere i poteri per sciogliere le Camere stesse. Ora, perché il Presidente della Repubblica abbia effettivamente questi poteri, io ritengo, anche necessari, occorre che abbia un maggior prestigio, e questo maggior prestigio gli può derivare soltanto dalla elezione diretta da parte del popolo.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Romano:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dal popolo».

L’onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

ROMANO. L’emendamento che ho proposto presuppone un piccolo rilievo, perché io penso che gli articoli riguardanti il Capo dello Stato avrebbero trovato migliore collocazione sotto il Titolo primo della parte seconda del progetto. Il collocamento sotto il Titolo secondo in qualche modo sminuisce il prestigio del Capo dello Stato. Questa collocazione non è in armonia con l’alta funzione morale e con le prerogative attribuite dalla Costituzione al Presidente della Repubblica.

Prescindendo da questo rilievo, che ha la sua importanza e che formerà oggetto di discussione per quanti in avvenire esamineranno la Carta costituzionale, è certo che un Presidente eletto dall’Assemblea non potrà essere che espressione dei partiti e quindi di questi sarà prigioniero.

Quello che più lascia perplessi è che, data la struttura dell’organizzazione politica di oggi, l’elezione in realtà sarà l’espressione della volontà di pochi uomini, di quelli cioè che detengono le redini dei partiti.

Un capo dello Stato asservito ai partiti non potrà essere né libero, né sereno. Egli arriva all’apice della piramide dello Stato con degli obblighi, che se non gli saranno rinfacciati, certo gli saranno ricordati.

Questo rientra tra i numeri negativi della democrazia indiretta, la quale il più delle volte finisce per essere un travisamento della volontà originaria, cioè della volontà del popolo.

Ma io mi domando: quali sono i nostri poteri, quali i limiti del mandato datoci dal popolo?

Pur sapendoci investiti di un mandato in bianco, dobbiamo considerare che il popolo ci ha dato incarico, per la compilazione della Carta costituzionale, di fare quello che da sé non avrebbe potuto fare, non già quello che può direttamente compiere.

Penso quindi che andremmo al di là del mandato se togliessimo al popolo il diritto dell’elezione diretta del Capo dello Stato. I compilatori del progetto spiegano l’elezione del Capo dello Stato da parte dell’Assemblea adducendo la preoccupazione dello strapotere del Presidente, il pericolo della dittatura. Un Presidente, eletto con suffragio diretto, se raccogliesse in Italia una ventina di milioni di voti, si sentirebbe indubbiamente lusingato della fiducia quasi totalitaria; quindi egli potrebbe sentirsi al disopra dell’Assemblea.

Il rilievo è esatto, ma solo in parte, giacché è anche giusto che il Presidente rimanga al disopra dell’Assemblea.

Solo così egli potrà mantenersi estraneo alla competizione dei partiti e potrà assicurare l’armonia e la solidarietà delle diverse istituzioni, elevandosi a simbolo dell’unità del Paese.

Questa estraneità, che è una non trascurabile garanzia, non potrebbe avere un Presidente eletto dall’Assemblea.

In questo caso sorgerebbe anche la preoccupazione dell’intrigo del giuoco politico nella nomina degli alti funzionari dello Stato, demandata al Presidente della Repubblica dal comma terzo dell’articolo 83.

Va poi rilevato che la possibilità di uno strapotere è esclusa dal comma primo dell’articolo 85 ove è detto che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal primo Ministro e dai Ministri competenti che assumono la responsabilità.

A questo punto potrebbe affacciarsi un rilievo. Si può dire: per l’articolo 83 il Presidente della Repubblica emana decreti legislativi e regolamenti, nomina ai gradi indicati dalla legge i funzionari dello Stato, può concedere grazie e commutare pene.

Per questi atti, giusto il disposto dell’articolo 85, potrebbe essere rifiutata la controfirma dal Primo Ministro e dai Ministri responsabili.

Quindi possibilità di contrasto!

Il Presidente della Repubblica può reagire e sciogliere le Camere dopo aver semplicemente sentito i due Presidenti. Qui sta il pericolo dello strapotere. Ma questo potrà essere frenato, sensibilmente frenato, disponendosi che al rinnovo delle due Camere deve seguire la elezione del Presidente della Repubblica.

Sciogliere le due Camere significa constatazione della esistenza di un contrasto tra il paese ed i suoi rappresentanti.

Fra questi deve comprendersi anche il Presidente della Repubblica.

Quando questi saprà che allo scioglimento delle due Camere è legata anche la sua fine, sarà molto pensoso prima di addivenire ad un provvedimento di tanta gravità.

Si creerebbe così un validissimo freno al potere concesso dal comma primo dell’articolo 84 al Presidente della Repubblica.

Aggiungasi che la nomina del Presidente della Repubblica demandata al popolo alleggerirebbe la responsabilità dell’Assemblea.

Concludendo, una volta eliminato il pericolo dello strapotere non mi pare giusto ricorrere al suffragio indiretto, che costituirebbe violazione di un diritto spettante al popolo, diritto al quale il popolo col mandato in bianco datoci non ha rinunziato.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dalle Camere riunite in Assemblea Nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

FUSCHINI. Dirò brevemente le ragioni, per le quali io sono convinto che l’elezione del Presidente della Repubblica, in questo inizio della vita della Repubblica stessa, non sia politicamente opportuno deferirla al popolo.

Si dice che, se è eletto direttamente dal popolo, il Presidente della Repubblica acquisterebbe maggiore prestigio.

Io contesto questa affermazione: ritengo che un Presidente della Repubblica, il quale ottenga i voti dei due terzi dell’Assemblea Nazionale, avrebbe lo stesso prestigio.

Devo osservare che, per quella deficienza di educazione politica – mi si permetta il dirlo – della grande massa elettorale, la quale si lascia guidare più dalle impressioni e dai sentimenti che dal raziocinio e dalla valutazione politica, sarebbe un grave pericolo affidare a questo corpo elettorale la scelta del primo Magistrato della Repubblica.

Si crede e si afferma, erroneamente, che il popolo agirebbe di sua spontanea volontà, come se fra il popolo non si dovessero contare anche coloro, ed in prima linea, che formano i partiti politici. Non è possibile pensare che la elezione del Presidente della Repubblica venga da un corpo elettorale distaccato dai partiti. Questi indirizzeranno, oltreché le elezioni politiche, anche l’elezione del Presidente della Repubblica. Non pensare a questo vuol dire non pensare alla realtà politica, che si prospetta. Non si può sfuggire all’intervento dei partiti. La cosiddetta volontà degli elettori sarà sempre influenzata dai partiti. Ed io non mi preoccupo dei partiti, ma di quelle correnti sentimentali, che affiorano troppo spesso nel nostro corpo elettorale e fanno che esso – come disse un grande politico italiano, Don Luigi Sturzo – vada, per sentimenti e risentimenti, ora all’estrema destra ed ora all’estrema sinistra. Il pendolo della situazione politica è sempre oscillante verso le forme estreme; ed è oscillante, perché è guidato più che da educazione politica, da sentimenti e da impressioni. Ma se non sbaglio, essere guidato anche da sentimenti e da impressioni è una caratteristica dei popoli latini; è lo stesso difetto che credo abbia il popolo francese come si è visto anche nelle elezioni avvenute l’altro ieri. Insisto comunque nel dire che non si libera la nomina del Presidente della Repubblica dalla influenza dei partiti deferendola al popolo con il suffragio universale. E se non ci si libera, allora è opportuno e politicamente più saggio che il Presidente sia nominato dai rappresentanti che il popolo ha liberamente eletti, i quali hanno maggiore possibilità di scegliere elementi adatti per questa alta funzione, senza dimenticare che vi è una situazione in Italia che dobbiamo aver presente. Ed è questa: noi non vorremmo che attraverso la nomina popolare del Presidente della Repubblica si riaccendesse un contrasto – molto facile ad accendersi nel nostro Paese – tra nord e sud. Questo è stato sempre un lato pericoloso della nostra situazione interna che, se si può superare in un’Assemblea, è difficile superarlo in un vastissimo corpo elettorale, così tormentato da opposti sentimenti, qual è quello italiano. È necessario, se vogliamo l’unità del nostro Paese, evitare tutto ciò che possa mettere in pericolo questa unità. Sempre mirando a questo scopo, sarei in via di massima d’avviso che non sia opportuno inserire nell’Assemblea, che dovrà provvedere alla nomina del Presidente della Repubblica, i rappresentanti dei Consigli regionali. Sono stato e sono un sostenitore della Regione – sia pure con accenti di meditata ponderazione – e ritengo che sia doveroso attendere la formazione dei Consigli regionali e rendersi conto del loro funzionamento, prima di decidere se rappresentanti di tali Consigli debbano partecipare alla nomina del Presidente della Repubblica.

Comunque, anche quando l’Assemblea volesse stabilire che i Consigli regionali debbano partecipare a tale nomina occorrerà emendare l’articolo. In questo si dà la facoltà ai Consigli regionali di mandare due rappresentanti, cioè il Presidente del Consiglio regionale, che sarà naturalmente il rappresentante della maggioranza del Consiglio regionale stesso, ed un altro delegato, nominato dal Consiglio regionale, che sarà anche questo un rappresentante della maggioranza. Orbene, perché le minoranze dei Consigli regionali dovrebbero essere trascurate questa altissima funzione della nomina del Presidente della Repubblica? Basta accennare a questa lacuna che offende il sistema democratico per comprendere l’opportunità di correggere la disposizione che esaminiamo. Ma vi è ancora da rilevare che fra questi partecipanti alla nomina del Presidente della Repubblica e i membri delle due Camere vi è anche una differenza elettorale di grado. Infatti i rappresentanti dei Consigli regionali sarebbero elementi di terzo grado, mentre la elezione del Presidente della Repubblica affidata ai componenti le due Camere rappresenterebbe un’elezione di secondo grado.

Ritengo che queste considerazioni abbiano un certo peso per cui confido che l’Assemblea non vorrà trascurarle nel prendere le sue decisioni.

La nomina da parte del popolo del Presidente della Repubblica non ci preoccupa, ma ci preoccupano gli inconvenienti che possono derivare da una campagna elettorale relativa a una nomina di così alto rilievo. I partiti avranno maggiori difficoltà di accordarsi e ciascuno di essi vorrà avere il proprio candidato e si dovrà impegnare a fondo per farlo riuscire. Ogni candidato sarà quindi soggetto a polemiche vivaci e forse durissime e sarà bersaglio di tutti i moderni mezzi di propaganda e di pubblicità. Anche quel candidato che riuscirà vittorioso non sarà stato risparmiato dagli attacchi della passione politica e il suo prestigio personale riuscirà in qualche modo ferito.

Io ritengo dunque che bisogna evitare questi inconvenienti ed aver fede nel Parlamento di domani che sarà certamente capace di dare alla Repubblica un Presidente degno e capace. Né si dica che un Presidente nominato dalle Camere sarebbe vincolato alle Camere stesse. No, signori: le funzioni ed i poteri che si danno al Presidente della Repubblica lo pongono al di sopra dell’Assemblea che lo ha eletto, per cui dal momento stesso in cui è eletto, egli sovrasta l’Assemblea stessa dalla quale proviene, e diventa il supremo collaboratore e moderatore insieme. Basti pensare al potere, riconosciutogli dall’articolo 84, di sciogliere le Camere, per intuire come il Presidente sia in una condizione di peculiare prestigio di fronte alle Camere e possa per ciò stesso essere in grado di guidare rettilineamente e in maniera saggia il Paese. Questo è il suo compito; e a questo compito il Presidente nominato dall’Assemblea non verrà meno perché sarà responsabile non solo di fronte all’Assemblea, ma anche di fronte all’intero Paese. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Tito Oro:

«Al primo comma, sopprimere le parole: con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e di un consigliere designato da ciascuno dei Consigli stessi».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILI TITO ORO. Mi pare, onorevoli colleghi, che l’emendamento del Gruppo socialista trovi già aperta la porta dall’autorevole parola del collega Fuschini nello svolgimento del suo emendamento che nella parte centrale coincide perfettamente col nostro.

L’articolo 79 affida l’elezione del Presidente della Repubblica alle due Camere riunite (le chiameremo eventualmente, con nome risonante di sacri ricordi, Assemblea Nazionale), con la partecipazione dei Presidenti dei Consigli regionali e del Consigliere designato dai Consigli medesimi a maggioranza assoluta. Noi gli contrapponiamo la proposta di escludere la partecipazione dei rappresentanti dei Consigli regionali e chiediamo che l’elezione del Presidente avvenga a maggioranza assoluta, senza bisogno del triplice esperimento per il raggiungimento della maggioranza speciale di due terzi. Detto questo, occorrono poche considerazioni a chiarimento dell’emendamento. La prima parte di esso, relativa alla devoluzione alle due Camere riunite della elezione del Presidente della Repubblica, è stata esaurientemente svolta già dal collega Fuschini; per questo, e perché l’ora tarda non consentirebbe una trattazione sistematica, mi limiterò a poche osservazioni.

Si dice da alcuni, e se ne sono fatti eco gli emendamenti dei quali abbiamo ascoltato lo svolgimento, che la elezione del Presidente della Repubblica da parte del popolo, a suffragio universale diretto, darebbe alla sua figura un maggior rilievo, prestigio ed autorità. La relazione scritta dell’onorevole Ruini, pur senza criticare il progetto, sottolinea questa tendenza; e afferma anche che gli conferirebbe una maggiore indipendenza; indipendenza che procederebbe dal fatto che egli non dovrebbe al giuoco dei partiti, nelle due Camere riunite, la propria elezione, ma la dovrebbe direttamente al popolo. In conseguenza di ciò non si creerebbero quei vincoli di riconoscenza che sono atti a turbare, in momenti decisivi, l’obiettivo orientamento di un Capo di Stato.

Egregi colleghi, si è detto sempre in questa Assemblea che ormai il movimento elettorale è nelle mani dei partiti politici: è vero o non è vero ciò? Se è vero, non si comprende la distinzione che si fa a questo riguardo tra elezione da parte delle Camere riunite, ossia del Parlamento, e la elezione a suffragio universale, da parte del popolo.

I partiti politici sono presenti e dominanti nell’una e nell’altra manifestazione. Essi agiscono indifferentemente sulla consultazione popolare come sul Parlamento. E pertanto il temuto vincolo di riconoscenza dovrebbe, se mai, crearsi più potente dopo il più poderoso intervento occorso nella consultazione popolare che non per effetto della ordinaria azione svolta sul Parlamento. La verità più vera e meno indegna di questo sacro istituto è che un uomo ritenuto meritevole di ascendere alla prima Magistratura nazionale non sarebbe mai capace di subordinarsi, nell’esercizio delle sue alte funzioni, a sentimenti di compromesso politico.

D’altra parte una distinzione si sarebbe dovuta fare dai critici della risoluzione adottata all’unanimità dal Comitato di redazione: quale è la forma di reggimento repubblicano verso la quale la nostra Costituzione si è decisamente orientata? Non è certamente la forma presidenziale, ma quella parlamentare. Io comprendo che nelle forme presidenziali il Presidente, che ha la somma dei poteri se pur controllati da altri organi elettivi, costituiti per lo più a suffragio indiretto, debba ripetere la elezione direttamente dal popolo; ma non so vedere come e perché il Presidente non potrebbe ripeterla dal Parlamento in quelle Costituzioni che al Parlamento hanno conferito tutti i poteri del popolo medesimo.

Col passaggio del potere dal popolo al Parlamento, questo è automaticamente investito del diritto di formare e di eleggere gli altri organi necessari alla compagine statale: dal Governo al Capo dello Stato. E pertanto mi pare che il nostro emendamento (che fa propria su questo punto la risoluzione della Commissione) debba incontrare l’approvazione della nostra Assemblea.

Quanto poi alla parte soppressiva del nostro emendamento, e cioè alla esclusione della partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, io sento il dovere, di fronte allo svolgimento che l’onorevole Fuschini ha onestamente dato al coincidente emendamento proprio, di accennare soltanto, nello svolgimento del mio, le ragioni che lo consigliano. Queste ragioni sono state già esposte anche da me, in precedenti incontri.

Non credo di commettere, così facendo, un errore di valutazione: a parte l’autorità che l’onorevole Fuschini meritamente gode in quest’Assemblea ed esercita sul proprio Gruppo, io devo tener conto che egli, non avendo dichiarato di esprimere soltanto un pensiero personale, abbia parlato in nome e per incarico del suo partito.

Comunque, il nostro pensiero si può riassumere in poche parole: le Regioni, se debbono essere (e per questo sono state istituite) organo di decentramento amministrativo, non si debbono ingerire in quella che è l’azione politica del Parlamento della Repubblica. Qui, in questa Assemblea, che si chiamerà «Nazionale» o delle «Camere riunite», che cosa rappresenterebbero i membri delle Regioni? Una estensione del suffragio diretta a costituire qualche cosa di mezzo fra la elezione parlamentare e la elezione diretta da parte del popolo? Non sarebbe serio nemmeno il pensarlo. E tuttavia, se il fine fosse questo, perché non estendere la partecipazione alla elezione anche ad un limitato numero di rappresentanti dei comuni, da eleggersi nell’ambito di ciascuna provincia? Questo concetto io ebbi già occasione di illustrare quando si tentò di varare la proposta di far partecipare i Consigli regionali alla elezione dei senatori.

La verità è che il progetto si inspira al criterio di fare delle Regioni veri organi politici destinati a creare lo Stato federativo. E va tenuta presente anche una considerazione che faceva l’onorevole Fuschini e che risponde ai principî di sana democrazia: perché far risultare i rappresentanti delle Regioni solo dalla maggioranza dei Consigli regionali, e non anche eventualmente dalle minoranze col sistema di designazione proporzionale? Anche questo motivo, per quanto subordinatamente ed incidentalmente, è stato da noi considerato, sebbene non sia stato assunto come determinante della nostra opposizione. I sostenitori del progetto hanno rilevato, in sua difesa, che si tratta comunque di una rappresentanza puramente simbolica.

Ma questa rappresentanza simbolica, che per lo meno oscillerebbe attorno ai quarantaquattro membri, potrebbe o non potrebbe assumere una influenza decisiva sul risultato della elezione? Se nel comma secondo con l’articolo 79 la Commissione si è preoccupata di prevedere la difficoltà di raggiungere la maggioranza speciale dei due terzi, è da presumere che anche un solo voto possa essere decisivo nella elezione del Presidente. Chi non ha presente che importanti nostre deliberazioni sono emerse dal pareggio assoluto dei voti contrastanti? Non si dica dunque che quarantaquattro voti non costituiscano se non una rappresentanza simbolica.

Per questi motivi, e senza ripetere tutte le ragioni che concorrono ad escludere le Regioni dall’attività politica centrale, noi siamo nettamente contrari alla partecipazione dei rappresentanti regionali alla riunione delle Camere che dovrà eleggere il Presidente della Repubblica. Questa esclusione avrà anche il merito di distruggere un sospetto largamente diffuso dai sostenitori della Regione colla pretesa d’impiegare tali enti in funzioni che vanno troppo al di là di quelle per le quali furono creati. In proposito ricordo una dichiarazione eloquente fatta in questa Assemblea dall’onorevole Ambrosini nella relazione di chiusura della discussione generale sulle Regioni. Egli disse, in quell’occasione, di essere stato rimproverato dal suo partito per aver troppo contenuto la riforma. Dunque, il suo partito avrebbe avuto l’intenzione che le Regioni fossero andate anche al di là di quel troppo che disgraziatamente si è fatto. La constatazione è grave e deve farci pensosi.

Per questo, onorevoli colleghi, noi risolutamente insistiamo nella soppressione della partecipazione delle Regioni alla elezione presidenziale; essa sarebbe estranea, incompatibile, ingiustificata sotto tutti i punti di vista.

E ora passo a illustrare brevemente l’altra parte dell’emendamento. Ho conservato nel primo comma, onorevoli colleghi, la locuzione «a maggioranza assoluta».

Questa maggioranza assoluta prima si riferiva alla designazione dei consiglieri da parte dei Consigli regionali. Soppressa tale designazione, essa si riferisce alla elezione del Presidente. Viene così soppressa la corrispondente indicazione nel secondo comma e trasferita al primo. Il secondo comma rimane così circoscritto alla prescrizione della votazione a scrutinio segreto; scompare dunque la parte relativa alla prescrizione della maggioranza speciale dei due terzi, che si dovrebbe tentare di raggiungere, in esperimenti successivi, fino a tre volte, per passare poi alla proclamazione a semplice maggioranza assoluta dopo il terzo insuccesso.

Orbene, onorevoli colleghi, noi pensiamo che esporre un candidato alla prima Magistratura del Paese a tentativi ripetuti di elezioni prima che se ne affermi il risultato positivo, prima che si formi la maggioranza prescritta, sarebbe un indebolire in partenza la sua autorità ed il suo prestigio. Accontentiamoci invece che la elezione avvenga subito a maggioranza assoluta; e quando tale maggioranza, in una Assemblea composta di tanti e così diversi partiti, si sarà raggiunta, si dovrà tranquillamente riconoscere che il Presidente della Repubblica ha riscosso la fiducia dei rappresentanti veri e genuini della grande maggioranza del popolo italiano; e, non in virtù di un’antiquata formula sacramentale, ma in forza di una realtà attuale e sempre più profondamente operante, avrà diritto di essere da questo momento considerato il Capo, atteso e veramente voluto, di tutti e singoli i cittadini italiani!

PRESIDENTE. Gli onorevoli Carboni Angelo, Gullo Rocco, Villani, Ghidini, Arata, Fietta, Montemartini, Bocconi, Preti e Treves hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dall’Assemblea Nazionale per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi, e dopo il terzo scrutinio a maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea».

L’onorevole Carboni Angelo ha facoltà di svolgerlo.

CARBONI ANGELO. Il nostro emendamento concorda nella sostanza con quelli presentati dagli onorevoli Fuschini e Nobili Tito Oro. Un mio lungo discorso su questa materia non avrebbe, a quest’ora, altro effetto se non quello di sciupare quanto già egregiamente è stato detto dall’onorevole Fuschini e ribadito dall’onorevole Nobili Tito Oro. Mi limiterò pertanto a rilevare solo la differenza che corre tra il mio emendamento e quello dell’onorevole Nobili Tito Oro, per quanto riguarda la maggioranza richiesta per l’elezione del Presidente della Repubblica. L’onorevole Nobili ha spiegato poco fa che egli intende ridurre questa maggioranza, fin dal primo scrutinio, alla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea. Noi invece aderiamo al concetto espresso dall’articolo 79 del progetto di Costituzione e cioè che sia opportuno richiedere in un primo momento la maggioranza di due terzi, mentre soltanto dopo i primi due scrutini sarebbe giocoforza accontentarsi della maggioranza assoluta.

L’onorevole Nobili Tito Oro eccepisce che in questa maniera si finisce con il diminuire la figura del Presidente eletto da uno scrutinio che sia il terzo o successivo al terzo. Orbene, questa obiezione non mi pare fondata, perché sarà molto probabile che i componenti delle due Camere riunite – o come altro vorremo chiamarle – nel loro senso di responsabilità e di patriottismo faranno confluire le loro simpatie verso un determinato candidato, il quale non sarà più il candidato di una parte, ma sarà il candidato della grande maggioranza del Paese.

Noi abbiamo avuto l’esempio di ciò nell’elezione del Capo provvisorio dello Stato, il quale, entrambe le volte, è stato eletto a maggioranza qualificata; maggioranza qualificata che serve appunto a conferire alla figura del Presidente della Repubblica quel rilievo, quel prestigio e quell’altezza che veramente ne fanno grande la funzione e atta a contribuire efficacemente alla vita del Paese.

Noi siamo quindi d’accordo con coloro che propongono di deferire la nomina del Presidente della Repubblica alle Camere, riunite insieme; concordiamo sul punto che questa nomina si faccia a scrutinio segreto e su quello, che, in un primo momento, essa si faccia a maggioranza qualificata di due terzi.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Dominedò e Benvenuti hanno presentato un emendamento tendente a sostituire l’articolo 79 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto da tutto il popolo».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che basteranno brevi rilievi, dopo l’impostazione e lo svolgimento che al tema hanno dato altri oratori sotto diversi angoli visuali. Ma conviene prospettare all’Assemblea quanto da più parti sia profondamente sentita l’esigenza dell’investitura diretta ai fini del rafforzamento di potere e dell’elevazione di prestigio del Capo dello Stato.

Se si vuole, secondo lo spirito della Costituzione, che il Capo dello Stato sia il supremo moderatore dell’indirizzo politico del Paese, il tutore e custode della Costituzione, se questo si vuole (come è comprovato dall’articolo 84, che rappresenta la chiave di volta del sistema, conferendo al nostro Presidente della Repubblica il potere di scioglimento delle Camere, nello stesso modo in cui la Costituzione di Weimar conferiva al Presidente della Repubblica tedesca, eletto per suffragio diretto, il potere di congedare il Gabinetto), se tutto ciò è, come è, spetta a noi compiere un passo oltre.

Allo scopo di rendere effettivo il ruolo di supremo moderatore del Capo dello Stato, a noi pare che, in coerenza con tale punto di partenza, postulato e premessa di tutta la materia, occorra apprestare i mezzi adeguati per la realizzazione del fine. E allora l’esigenza è questa: che il Capo dello Stato, il quale, allo scopo di assicurare l’unità e la stabilità della politica del Paese, domani potrà sovrapporsi alle stesse Camere dalle quali promana, evidentemente dovrà essere messo in una tale condizione per cui, se si vorrà rendere pieno ed operante l’esercizio del suo potere, egli risulti in un rapporto di investitura diretta idoneo al fine. Si tratta cioè di porre al di sopra delle Camere, che dovranno essere giudicate, il supremo organo che sta al vertice della nostra costruzione costituzionale, ed è chiamato ad esprimere il giudizio. Si tratta di creare un rapporto di democrazia diretta, che sovrasti all’ipotesi della pura e semplice democrazia rappresentativa.

Questo dal punto di vista della impostazione costituzionale. Il tema è così grave e profondo, che meriterebbe evidentemente un’analisi ulteriore. Ma il fatto che siamo in sede di esame di emendamenti e non di discussione generale, nonché la circostanza che altri colleghi hanno sotto diverso aspetto toccato il tema, mi mettono nella necessità di enunciare la sola impostazione della materia, rimettendomi per il resto alla valutazione che di essa saprà dare l’Assemblea.

Si obietta – con vivezza lo ha fatto il collega e amico Fuschini – che questo ricorso alla democrazia diretta, sovrapponentesi alla democrazia rappresentativa, allo scopo di conferire al supremo magistrato del Paese la pienezza dei suoi poteri, ci pone nella possibilità di dubitare di quella maturità del corpo elettorale, la quale costituisce la premessa di fatto acciocché un sistema, che in via di principio appare l’ideale, possa in concreto rispondere alle proprie finalità.

Mi permetto di rispondere che se volessimo dubitare dell’adeguato grado di maturità popolare, dell’educazione politica del corpo elettorale, ci troveremmo allora dinanzi ad un argomento che corre il rischio di non provare perché altrimenti proverebbe troppo. Il preteso e ripetuto difetto di maturità potrebbe infatti coinvolgere anche le correnti, i movimenti e i gruppi espressi dallo stesso corpo elettorale immaturo. Non abusiamo di argomenti che, applicati per absurdum, finiscono per ritorcersi contro l’intendimento di coloro stessi che li proposero.

D’altra parte, è innegabile che il principio della democrazia diretta è destinato a prevalere su quello della democrazia rappresentativa anche da un punto di vista politico oltre che costituzionale. Perché, se è vero che il giuoco dei partiti risulta insopprimibile anche nella ipotesi di ricorso diretto alla consultazione popolare, evidentemente tale giuoco assume in tal caso un ruolo inferiore, proprio perché indiretto o mediato. Nessuno potrà in definitiva contestare la priorità dell’ipotesi in cui l’investitura sia rimessa alla parola diretta ed ultima del Paese, analogamente a quanto avviene tutte le volte che per la deliberazione in materie di suprema importanza si sostituisca il principio del referendum a quello della creazione di meri organi rappresentativi della volontà popolare.

Dopo aver così visto l’aspetto costituzionale e quello politico del problema, non resta che un’obiezione da tener presente. Se nella redazione costituzionale noi ci siamo ispirati al concetto del Governo parlamentare, non finiamo invece per gravitare verso il concetto del regime presidenziale con una innovazione che può sotto taluni aspetti apparire radicale?

Mi permetto e credo di poter obiettivamente rispondere che il regime parlamentare è nella sua attuazione concreta suscettibile di ricevere diversi adattamenti, i quali non daranno storicamente luogo a forme atipiche in senso stretto, bensì potranno determinare sintesi nuove e vitali. Nulla esclude infatti che mentre si sorregge la suprema potestà mediante un’investitura superiore, perché diretta e popolare, chi possa ad un tempo preferire l’essenza del principio parlamentare, per cui il Governo promana dal Parlamento e dinanzi a questo è responsabile.

Per queste considerazioni noi desideriamo sottoporre alla valutazione dell’Assemblea un problema di così alta portata, nell’intendimento ultimo di servire al prestigio delle nuove istituzioni dello Stato italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Sono stati svolti così tutti gli emendamenti proposti all’articolo 79.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se e quali provvedimenti siano stati presi dall’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica allo scopo di proteggere i porti e gli aeroporti italiani, e particolarmente quelli meridionali, dal pericolo di una estensione dell’epidemia colerica che in atto colpisce i porti dell’Egitto.

«Caronia, Dominedò».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti o quali misure cautelari e preventive siano stati emesse o si emetteranno per evitare che navi provenienti dall’Egitto possano provocare casi di colera in Napoli e dintorni; considerando a tal fine il forte agglomerato urbano di Napoli e le condizioni veramente pietose degli ospedali cittadini che non possono dare – nonostante gli sforzi di dirigenti e personale – alcuna garanzia alla cittadinanza stessa.

«Sansone».

«Al Ministro della difesa, per conoscere se – in relazione al fatto che, dopo 1’8 settembre 1943, civili italiani, non aventi obblighi militari col Governo nazionale, hanno prestato servizio in reparti alleati che combattevano sul mare o sui fronti, con mansioni di varia natura aventi carattere prettamente militare; e che, non trattandosi di servizio di fatica, tale attività rientrava nel quadro generale dello sforzo bellico per piegare la Germania in armi, tanto che non pochi morirono o rimasero – tale servizio dia diritto alla qualifica di combattente o se, comunque, l’onorevole Ministro intenda emettere un provvedimento legislativo che tale diritto riconosca, fissandone le condizioni.

«Riccio Stefano».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri del bilancio e dell’industria e commercio, per conoscere i motivi per i quali, dai finanziamenti finora deliberati per molte industrie, specie del settentrione, sia stata esclusa la massima industria mineraria italiana, quale è quella del carbone del Sulcis ed i cui progetti di impianti, destinati a raddoppiare l’attuale produzione, sono stati approvati dal CIR e dagli altri organi ministeriali fin dal dicembre 1946.

«Mannironi».

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere perché la sopraintendenza ai monumenti e alle gallerie di Bari si è opposta alle deliberazioni del Consiglio comunale di Spinazzola (Bari) del 31 maggio e 25 luglio 1947, con le quali si sostituivano i toponimi della Piazza Plebiscito con quello di Piazza della Repubblica, di Corso Umberto I con Corso Antonio Gramsci e di Corso Vittorio Emanuele II con quello di Giacomo Matteotti.

«Pastore Raffaele».

«Ai Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se siano loro noti gli incidenti avvenuti di recente nelle officine Breda di Sesto San Giovanni a danno di operai ed impiegati della corrente sindacale cristiana e precisamente:

1°) il 18 settembre 1947 a danno dell’operaio Fustella Carlo, il quale, chiamato nell’ufficio dall’impiegato Innocenti Gottardo, contornato da altre 10 persone, veniva colpito e ferito con calci e pugni dall’operaio Sala Enrico, membro del Partito comunista italiano e della commissione interna dello stabilimento, sol perché aveva lealmente ammesso di aver fatto in precedenza la osservazione che le continue sottoscrizioni e i ripetuti prelievi alle paghe tra gli operai dello stabilimento a favore del Partito comunista italiano e di sue istituzioni gli ricordassero in qualche modo sistemi in uso in un recente passato;

2°) il 25 settembre 1947 a danno prima di Assi Angelo, rappresentante della corrente sindacale cristiana, al quale l’impiegato Carrà, membro dell’esecutivo della sezione aziendale del Partito comunista italiano, intimava di togliere il manifesto con il quale dignitosamente e moderatamente la corrente sindacale cristiana dello stabilimento aveva deplorato l’episodio Fustella, nonché di spiegare pubblicamente tale episodio come frutto di equivoco, altrimenti non si sarebbero potuti garantire i membri della corrente sindacale cristiana dalla violenza degli operai; ed a danno lo stesso giorno, qualche ora dopo, di parecchi operai ed impiegati percossi, offesi, espulsi dai loro uffici (così fra gli altri l’impiegato Ferrari Giammaria dall’ufficio personale sezione prima, l’ingegnere Rhò, dall’ufficio sezioni impianti, l’impiegato Correi, capo ufficio personale, sezione quarta).

Gli interroganti chiedono altresì di sapere se consti agli onorevoli Ministri della parzialità e pavida acquiescenza a fatti consimili, che si ripetono periodicamente, da parte dei dirigenti dello stabilimento e degli amministratori della società Breda e per conoscere con quali provvedimenti e mezzi ritengano di impedire che siffatti episodi abbiano a ripetersi.

«Clerici, Meda, Lazzati, Castelli Edgardo, Balduzzi, Sampietro».

SANSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SANSONE. Sottolineo la necessità di una risposta urgente del Governo alle interrogazioni dell’onorevole Caronia e mia, in quanto occorre tranquillizzare le popolazioni meridionali, che sono state poste in allarme dalle voci di casi di colera nel porto di Napoli.

PRESIDENTE. Interesserò i Ministri competenti affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere alle interrogazioni urgenti di cui ho dato lettura, con particolare riguardo a quelle degli onorevoli Caronia e Sansone.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Cavallari, ammalato, ho chiamato a far parte della Commissione per le leggi elettorali l’onorevole Gullo Fausto.

Sai lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che, in previsione della sospensione dei lavori nei primi giorni del prossimo novembre, l’Assemblea dovrà probabilmente tenere sedute anche nel pomeriggio di sabato e nella mattinata di lunedì prossimi.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero richiamare l’attenzione della Presidenza sulla necessità che noi non si perda tempo nel nostro lavoro, e che appunto, in vista di una interruzione di alcuni giorni, collegata con la ricorrenza della festa dei Santi e del giorno dei Morti, si utilizzino interamente le giornate di sabato e di lunedì.

Eventualmente lunedì mattina, se la Presidenza crede, si potrebbero svolgere le interrogazioni e lunedì pomeriggio si potrebbe continuare la discussione sul progetto di Costituzione.

È interesse di tutti che si dia la sensazione che vogliamo finire presto i nostri lavori.

PRESIDENTE. Accetto il suggerimento di dedicare, occorrendo, la seduta antimeridiana di lunedì alle interrogazioni e quella pomeridiana alla materia costituzionale.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i motivi che hanno portato alla sostituzione del direttore dell’ufficio provinciale dell’assistenza post-bellica di Ascoli Piceno:

«Molinelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quando verrà determinato, nel bilancio 1947-48, lo stanziamento del fondo per i sussidi governativi per i miglioramenti fondiari, stabiliti col regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, contenente nuove norme per la bonifica integrale, in modo che possano venir corrisposti agli aventi diritto i relativi contributi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim dell’Africa Italiana, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per far rientrare sollecitamente dall’Africa (Eritrea e Somalia) i numerosi ex militari e funzionari colà rimasti, privi di assistenza e soprattutto dei mezzi necessari per le spese di viaggio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Mannironi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e del tesoro, per sapere se e come intendano ovviare:

1°) al disordine persistente in molti distretti militari in ordine alla documentazione prescritta per le pensioni di guerra, talché le domande del servizio pensioni rimangono spesso inevase per lunghi mesi e non di rado per interi anni;

2°) ai ritardi enormi con cui le Commissioni mediche, o per lentezza o per deficienza di personale, procedono alle visite richieste dalla Direzione generale pensioni di guerra e necessarie alla liquidazione delle pensioni stesse. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gortani».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11 e alle 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MARTEDÌ 21 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA. DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:

Presidente

Bettiol

Colitto

Nobili Tito Oro

Ghidini

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito detta discussione):

Presidente

Corbino

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nitti

Dominedò

Bozzi

Terranova

Persico

Gasparotto

Fuschini

Meda

Benvenuti

Azzi

Codacci Pisanelli

Carpano Maglioli

Leone Giovanni

Nobile

Sulla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati De Caro Raffaele, Mentasti, Micheli, Caldera e Guariento.

(Sorto concessi).

Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura. (Doc. I, n. 9).

Su questa domanda sono state presentate due relazioni, una di maggioranza, che propone all’Assemblea di negare l’autorizzazione a procedere; l’altra di minoranza, che propone di concedere tale autorizzazione. Dichiaro aperta la discussione su queste conclusioni.

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Né ha facoltà.

BETTIOL. Ho voluto leggere con particolare interesse tanto la relazione di maggioranza, quanto quella di minoranza, in relazione a questo caso che è veramente interessante non soltanto, diciamo così, dal punto di vista politico, ma anche da quello giuridico. Sarò brevissimo, ma dico subito che io aderisco al pensiero della maggioranza, nel senso che, in relazione al caso specifico, credo che l’Assemblea Costituente non debba accordare l’autorizzazione a procedere. E invero, quando si tratta di un’autorizzazione a procedere, non ci si può fermare soltanto ad un esame puramente estrinseco circa l’opportunità politica o meno della concessione dell’autorizzazione per quanto concerne la libertà o meno del deputato per l’esercizio delle sue funzioni; ma la possibilità di accordare o non accordare l’autorizzazione stessa, è anche in funzione di un esame di quello che può essere il metodo da seguire nell’esame del problema, anche se non è un esame approfondito e definitivo come sarà l’esame della magistratura. Ora, se noi scendiamo ad un esame, sia pure superficiale, del merito del problema, noi vediamo come, nei confronti del deputato Tega, non possa essere invocato l’articolo 57 del Codice penale. Questo articolo 57 del Codice penale rappresenta in questo momento una vera e propria stonatura nell’ambito di quelli che sono i principî fondamentali di un diritto penale democratico, diciamo così liberale in senso ampio, perché viene ancora a sancire una presunzione di responsabilità del direttore del giornale stesso, una presunzione di correità materiale e morale nel fatto perpetrato dall’autore dell’articolo.

È noto come queste presunzioni corrispondano ad una concezione arcaica del diritto penale, frutto di quei relitti storici che si tramandano da Codice a Codice e noi troviamo che nell’ambito di questo Codice non sempre è rispecchiata una mentalità democratica. Dopo le giuste ed opportune modificazioni ed epurazioni, io dico che l’articolo 57 non può essere interpretato come se in questo articolo fosse consacrata una presunzione di responsabilità del direttore del giornale juris et de jure. Tutto lo sforzo della dottrina in questi ultimi anni è stato appunto polarizzato verso il tentativo di dimostrare come questa presunzione sia una pura e semplice presunzione juris tantum, la quale ammette la prova del contrario, cioè tutte le volte in cui il direttore del giornale può provare di aver fatto il possibile o per non pubblicare l’articolo incriminato o per manifestare una volontà contraria a quella che è la volontà criminosa contenuta nello scritto pubblicato sul giornale, questa presunzione di correità deve venir meno. Nel caso concreto, noi vediamo come, a parte quello che può essere il contenuto criminoso dell’articolo sopra il quale dovrà decidere domani la magistratura ordinaria, per quanto riguarda la responsabilità penale del direttore del giornale, il corsivo pubblicato dopo l’articolo incriminato è tale da togliere quella presunzione di corresponsabilità, di correità materiale con l’autore del reato stesso.

Per quanto riguarda la posizione del direttore del giornale, nel concreto di questa situazione, non vedo come possa applicarsi l’articolo 57, dopo che tutta la dottrina più recente e più autorevole ha cercato di smantellare questo vecchio rudere, per porre veramente il principio della responsabilità dei direttori di giornali su basi molto più liberali e molto più democratiche. Perciò, io personalmente voterò contro l’autorizzazione a procedere. (Approvazioni a sinistra).

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, sono anche io dello stesso avviso dell’onorevole Bettiol. Ho letto con molta attenzione sia la relazione di maggioranza che quella di minoranza. In me si è formato preciso il convincimento che l’autorizzazione chiesta non debba essere concessa.

Io non posso certo seguire il Relatore della maggioranza nel punto in cui afferma che l’articolo 57 del Codice penale può anche ritenersi abrogato di fatto. Non esiste, a mio avviso, un’abrogazione di fatto della legge penale. La vita della legge è determinata dalla sua abolizione, espressa o tacita, la quale ultima si ha quando le disposizioni di una nuova legge siano incompatibili con quelle della legge precedente o quando la nuova legge disciplini l’intera materia già disciplinata dalla legge anteriore (art. 5 disposizioni preliminari al Codice civile). Una nuova legge, quindi occorre. In casi dubbi (questo è detto anche dal Codice di diritto canonico) si farà un attento raffronto fra la nuova disposizione e la vecchia per accertare se ed in quanto siano tra loro compatibili. Adunque, una disposizione nuova occorre senza di che di abrogazione di una norma penale assolutamente non è da parlare.

Neppure sono d’accordo col Relatore della maggioranza, allorquando, in una parte della sua relazione, parlando dell’articolo incriminato, afferma che l’autore dell’articolo non supera i limiti della pura critica. A me pare che l’articolo travalichi questi limiti e che, nella specie, non si possa parlare solo di una critica serena ed obiettiva.

Ma, detto questo, ci dobbiamo domandare: È opportuno, è utile ciò che ci viene chiesto in relazione all’interesse pubblico, che si deve tutelare? Questo ci dobbiamo domandare, perché a noi si chiede una autorizzazione a procedere.

L’autorizzazione a procedere è appunto un atto amministrativo discrezionale, con cui l’autorità competente, previa valutazione dell’opportunità e della utilità di ciò che viene chiesto in relazione all’interesse pubblico, che deve tutelare, toglie l’impedimento posto da una norma giuridica al proseguimento dell’azione penale.

È opportuno? È utile? Ecco l’interrogativo. A parte ora quelle considerazioni giuridiche, che ha svolto l’onorevole Bettiol, io credo, nella mia coscienza, di poter rispondere che non è né opportuno, né utile. Perché, ove si esamini il merito della responsabilità dell’onorevole Tega, bisogna riconoscere che almeno da un punto di vista morale nulla gli si può rimproverare. Che anzi, la maggioranza della Commissione dichiara che non è possibile parlare di una responsabilità penale dell’onorevole Tega, in quanto la redazione del giornale, che ha accolto l’articolo, scrisse una nota, con la quale ha mostrato il netto dissenso del giornale dal contenuto dell’articolo, sì che ha finito col togliere allo scritto dell’autore dell’articolo qualsiasi effetto dannoso per il corpo giudiziario. E, d’altra parte, la relazione di minoranza conclude con una frase, con la quale il relatore, onorevole Clerici, dice che personalmente egli pensa di poter prevedere l’assoluzione dell’onorevole Tega.

Se noi, quindi, consideriamo il merito della questione, ci troviamo di fronte ad una maggioranza e ad una minoranza, che dicono la stessa cosa. Perché, allora, sono giunte l’una e l’altra a conclusione diverse? Perché la maggioranza afferma che la valutazione di merito si può fare, e la minoranza lo nega.

Ora una valutazione di merito si può e si deve fare. Noi dovremmo concedere una autorizzazione e l’autorizzazione, ripeto, è l’atto amministrativo, con cui si valuta l’opportunità e la utilità che siano rimossi determinati ostacoli all’inizio della processura penale.

Del resto, onorevoli colleghi, anche tenendosi conto di quello che nella relazione di minoranza si afferma, cioè che la ragione dell’istituto dell’autorizzazione a procedere è da ricercarsi esclusivamente nell’impedire che il deputato possa divenire oggetto di persecuzione e di intralci, una valutazione di merito si deve sempre compiere. Perché, solo guardandosi al merito della questione, noi potremo accertare se il deputato è stato oggetto di persecuzione, di angherie o di intralci. Ed allora, concludendo, se, guardando il merito della questione, la maggioranza e la minoranza sono d’accordo nell’escludere la responsabilità dell’onorevole Tega, se al merito bisogna guardare, perché questo è imposto dalla natura stessa dell’istituto dell’autorizzazione a procedere, io penso che, a parte ogni altra considerazione, noi dobbiamo giungere alla conclusione, a cui giunta la maggioranza della Commissione. Ed è perciò che dichiaro di votare contro la concessione dell’autorizzazione a procedere.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, è soprattutto per rendere omaggio all’obiettività e alla serenità cui si sono ispirati, colla maggioranza della Commissione, i colleghi Bettiol e Colitto, che io sento, a questo punto, il bisogno di prendere la parola, anche in nome del mio Gruppo, prima che l’onorevole Presidente dichiari chiusa la discussione. Dire che i miei compagni ed io aderiamo alle conclusioni cui essi sono pervenuti è dire cosa assolutamente superflua. Anche qui si impone il principio della sapienza romana «da mihi factum et tibi dabo ius»: questo è l’ordine del procedimento; dopo discuteremo. L’onorevole Tega, fin dal settembre 1946, aveva lasciata la Segreteria della Federazione socialista di Bologna e la direzione del settimanale La squilla, sostituito regolarmente nell’una e nell’altro; attendeva ai lavori di questa Assemblea e disimpegnava in Roma gli incarichi politici della sua importante circoscrizione. Inviava ogni tanto qualche articolo al giornale, ma ignorava che non fossero state ancora intraprese le pratiche per sostituirlo nella gerenza. In effetti, però, egli era stato sostituito nella Direzione dall’avvocato Artemio Pergola. Di guisa che apparve del tutto giustificata la sua sorpresa nell’apprendere la richiesta di autorizzazione a procedere contro di lui trasmessa alla Camera dalla Procura della Repubblica di Bologna. Fatte subito le necessarie indagini, emerse che questa aveva incriminato un articolo intitolato «La Magistratura non è tabù», a firma del professor Mario Canella, docente di Biologia nella Università di Ferrara, apparso nel n. 46 del 25 ottobre 1946. L’articolo, che si diceva ispirato a desiderio di onesta critica, rivolta alla riforma dell’ordinamento giudiziario, era in realtà un atto di accusa. Esso era stato già pubblicato sul Corriere del Po e su altri giornali locali, e aveva interessato vivamente l’opinione pubblica.

Trasmesso anche al settimanale La squilla, il suo attuale Direttore avvocato Artemio Pergola ritenne di non potersi rifiutare alla sua pubblicazione, in omaggio a un principio di libertà e di critica; ma lo fece seguire da un forte articolo a firma propria, col quale dichiarava il proprio completo dissenso dalla critica del tutto soggettiva che l’articolista aveva fatta alla Magistratura.

L’articolo era in alcune parti addirittura passionale, difendeva i Magistrati sotto ogni aspetto e denunziava i torti dello Stato verso di loro.

La richiesta della Procura della Repubblica ampiamente svolta, riferiva abbondantemente i passi più tipici dell’articolo Canella, ma ometteva di riprodurre fedelmente lo spirito antagonistico dell’articolo direzionale a firma di Artemio Pergola e di dire che questo contrapponeva a quello del Canella, in tono di austera polemica, la vibrante esaltazione della Magistratura.

Basta l’accertamento di queste circostanze di fatto, che entrambe le Relazioni mettono in evidenza, per doverne dedurre: che l’onorevole Tega fu affatto estraneo alla pubblicazione; non ne ebbe né preventiva né immediata notizia; e perciò non si trovò in condizione di poterla evitare; che egli a quel tempo non era più alla direzione del settimanale, dove era stato sostituito dall’avvocato Artemio Pergola; che egli viveva ormai lontano da Bologna e nella fisica impossibilità di partecipare al lavoro direzionale.

Così stando le cose, le conseguenze appaiono fin d’ora manifeste e inevitabili.

Ma ci si domanda, con intenzione pregiudizialista, se non sia preclusa a questa Assemblea la delibazione del merito o se non piuttosto essa debba limitarsi a dare il giudizio sulla necessità e sulla opportunità politica di concedere l’autorizzazione che, facendo cadere le immunità parlamentari, potrebbe esporre l’onorevole Tega a sfogo di antichi livori o di risentimenti a sfondo politico, infine a una rappresaglia. Senonché ad esprimere un siffatto giudizio è proprio indispensabile la delibazione del merito e, per giungervi, l’esame dei fatti e l’accertamento che essi sono proprio tali quali sopra esposti.

Alla stregua di essi è giuoco forza concludere che non può menomamente muoversi accusa di vilipendio della Magistratura alla Direzione de La squilla. Chiunque ne fosse il direttore, non può qualificarsi vilipendio un’appassionata difesa e una calorosa esaltazione; come non può di vilipendio accusarsi chi l’opera e la dedizione della magistratura difese, controbattendo su tutta la linea le accuse dell’articolo incriminato. Questo è un punto fermo dal quale si sprigiona la luce che deve illuminare la questione: se assurda è l’ipotesi del preteso reato, più assurda che mai è quella del concorso del Direttore del giornale che, ospitando l’articolo, lo combatte; e addirittura inconcepibile è quella della responsabilità per concorso da parte di chi, copie l’onorevole Tega, si trovava nella fisica impossibilità di concorrervi.

Si pretende che non sia ammessa in questa sede la delibazione del merito: ma è mai possibile, per lo spirito informatore della autorizzazione che ci si chiede, che noi possiamo concederla senza preoccuparci se il fatto pel quale si vorrebbe procedere contro l’onorevole Tega sia o non sia considerato reato dalla legge? La relazione Varvaro per la maggioranza della Commissione afferma che il testo stesso dell’articolo 57 del Codice penale lo esclude e, per quanto spieghi poi che esso stabilisce soltanto una presunzione suscettibile di quella prova liberatoria che è stata, come si è visto, largamente data, l’affermazione appare più forte e più vasta della dimostrazione, pur giusta, che l’ha accompagnata.

In verità, il testo dell’articolo 57 non contempla affatto la responsabilità in concorso dell’onorevole Tega per la situazione di fatto rispetto a lui accertata nella stessa richiesta della Procura della Repubblica. Infatti l’articolo 57 investe, salva la responsabilità dell’autore, quella presuntiva del Direttore del periodico o del redattore-responsabile alternativamente. Il che significa che il Direttore, come tale, è sempre corresponsabile, salvo la prova liberatoria, in mancanza di un redattore-responsabile registrato a norma della legge speciale sulla stampa; mentre, quando questo esista, il Direttore non è investito dalla presunzione. Non si sa se per il periodico La squilla esistesse il «redattore responsabile». Comunque il Direttore è, contrariamente al redattore-responsabile, che si individua solo in colui che come tale è registrato, quegli che di fatto esercita pro tempore le funzioni direttive; e queste, come si è visto, erano esercitate da colui che all’onorevole Tega fu sostituito e succedette. Come si potrebbe, di fronte a tale constatazione, parlare di autorizzazione a procedere?

Ma vi è di più e di peggio: il Procuratore della Repubblica ha mancato. Il Procuratore della Repubblica ha mancato al dovere di indagare la finalità correttiva ed educativa perseguita dall’avvocato Artemio Pergola coll’accogliere bensì l’articolo incriminato, per rispetto alla libertà di pensiero e di critica, ma col farlo seguire da quella sincera, appassionata confutazione che, risolvendosi in aperta esaltazione della Magistratura, faceva cadere automaticamente ogni ombra di dubbio sulla esistenza di quel dolo che è l’elemento integratore del reato di vilipendio.

Non è artificioso ravvisare in questa lacuna, imperdonabile a un Magistrato che ha pratica di quotidiana applicazione di leggi penali, tale difetto di obiettività e di serenità da giustificare il sospetto di una iniziativa inspirata da quelle preoccupazioni che sotto il crollato regime ispiravano frequentemente i Procuratori del Re contro i cosiddetti sovversivi.

Con questa constatazione riteniamo esaurita la questione sollevata dalla relazione di minoranza, relativamente ai limiti dei poteri dell’Assemblea nelle deliberazioni sulle richieste di autorizzazioni a procedere. Gli accertamenti fatti hanno dimostrato che, seppure reato esistesse e fosse punibile, l’onorevole Tega non avrebbe potuto concorrervi; e che d’altra parte l’iniziativa del Procuratore della Repubblica, lungi dall’offrire garanzie di serenità, ingenera il sospetto di intenzioni persecutorie, contro il fiero tribuno delle plebi rurali, quotidianamente costrette a stare sul «chi va là» dal risorgente spirito aggressivo dell’«Agraria» e dei suoi bene individuati stromenti.

Legittime appaiono dunque le conclusioni della maggioranza della Commissione e non si comprende come si giustificherebbe l’autorizzazione a procedere in un caso cui l’onorevole Tega è assolutamente estraneo e in cui il dimostrato difetto di dolo scrimina in pieno lo stesso Direttore del giornale.

Per questi motivi proponiamo all’Assemblea di approvare in pieno le conclusioni della maggioranza della Commissione; e confidiamo che al deputato, ormai ritenuto da tutti assolutamente irresponsabile del fatto attribuitogli, sarà risparmiata la vessazione di un procedimento che la relazione di minoranza propone di autorizzare solo per freddo ossequio alla maestà delle forme. (Approvazioni).

GHIDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GHIDINI. Dichiaro che noi siamo contrari all’autorizzazione a procedere contro l’onorevole Tega. Non ho bisogno di soffermarmi sulle considerazioni di carattere giuridico che sapientemente sono state svolte testé; per conto mio, anche se si dovrà pervenire alla conclusione, in sede interpretativa, che l’articolo 57 consacri una responsabilità obiettiva, io non cesso per questo di dichiararmi contrario: mi auguro anzi che una modifica del Codice penale abroghi una tale disposizione.

La disposizione che subordina il procedimento penale a carico del deputato all’autorizzazione dell’Assemblea ha carattere eminentemente politico ed è perciò da respingersi la domanda di autorizzazione anche per ragioni politiche e morali. Sta poi di fatto che, in calce a questo articolo dell’onorevole Tega, c’è una nota del redattore che sconfessa in pieno l’articolo incriminato.

Per queste ragioni, che sono per noi assolutamente dirimenti di qualsiasi dubbio, il mio Gruppo si dichiara contrario alla concessione dell’autorizzazione a procedere.

PRESIDENTE. Se non v’è più alcuno che chieda di parlare, passiamo alla votazione. Abbiamo dunque due relazioni: l’una, della maggioranza della Commissione, la quali nega l’autorizzazione a procedere; l’altra della minoranza, la quale invece l’approva. Poiché la proposta della minoranza deve considerarsi quale un emendamento alla proposta della maggioranza della Commissione, pongo prima in votazione la proposta della minoranza di concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega.

(Non è approvata).

Pongo in votazione la proposta della maggioranza di negare l’autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega.

(È approvata).

Passiamo al secondo punto dell’ordine del giorno che reca: Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Bernamonti, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 14).

La Commissione propone che sia negata l’autorizzazione stessa. Poiché nessuno chiede di parlare, pongo senz’altro in votazione questa proposta.

(È approvata).

Segue la domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo, per il reato di vilipendio delle Istituzioni Costituzionali. (Doc. I, n. 19).

La Commissione propone di concedere la richiesta autorizzazione. Poiché nessuno chiede di parlare, pongo senz’altro in votazione la proposta della Commissione di concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo.

(È approvata).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo ora risolvere la questione dell’Assemblea Nazionale, di cui al secondo comma dell’articolo 52: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io ho presentato un emendamento; però, mi permetto di insistere sulla proposta di sospensiva che ho fatto nella seduta di sabato scorso, nel senso di rimandare l’approvazione di questo capoverso dell’articolo 52 a dopo stabiliti i casi nei quali le due Camere dovranno essere convocate in seduta plenaria. Perciò, proporrei di sospendere la votazione sul secondo capoverso dell’articolo 52 e di passare senza altro alla votazione dell’articolo 75, che è il primo rispetto al quale sono enumerati i casi di competenza delle Camere in seduta plenaria.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho sentito l’opinione di appartenenti al Comitato delle varie parti; e tutti sarebbero del parere di aderire alla proposta dell’onorevole Corbino. Infatti, se noi ora decidessimo di costituire l’Assemblea Nazionale e poi di fatto non l’investissimo neanche dell’elezione del Capo dello Stato, la norma dell’articolo 52, secondo comma, non avrebbe più senso. D’altra parte, se noi decidessimo che questa Assemblea Nazionale non si dovesse costituire, ma poi mano a mano vedessimo l’opportunità di farla funzionare in determinate occasioni, ci vedremmo preclusa tale possibilità.

Quindi, poiché non si perderebbe tempo, perché cominceremmo a discutere subito l’articolo 75, a nome del Comitato aderisco alla proposta dell’onorevole Corbino.

NITTI. Vorrei un chiarimento sui limiti della proposta di sospensione.

PRESIDENTE. Onorevole Nitti, la proposta è di esaminare prima le deliberazioni da attribuire alle due Camere riunite e poi definire la formulazione del secondo comma dell’articolo 52.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro, a nome dei colleghi di Gruppo, di aderire alla proposta sospensiva, la quale risulta la più corretta logicamente e praticamente in quanto consente di accertare anzitutto, le ipotesi in cui eventualmente possano essere conferite delle deliberazioni (collegiali) alle due Camere riunite, ovvero, senza fare adesso questione di terminologia, alla cosiddetta Assemblea Nazionale.

In questo modo resterà anche sospesa la decisione finale sul punto che, nel caso in cui tali deliberazioni debbano essere prospettate ed effettivamente contemplate, debbano poi essere le Camere riunite a deliberare collegialmente, ovvero la decisione possa essere sempre rimessa alle due Camere separatamente.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ho chiesto di parlare sulla proposta di sospensiva.

In fondo, dopo tutte le discussioni, quali sono le materie controverse? Per quanto riguardava le attribuzioni di questa ipotetica Assemblea, mostruosa e inesistente, che è l’Assemblea Nazionale si era discusso su tre punti. E mi pare che la discussione fosse stata così chiaramente impostata che non c’era e non vi è più alcuna questione importante controversa. Lo stesso onorevole Ruini, pur così facendo, aveva dovuto riconoscere che non si poteva più parlare dell’amnistia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No. Io ho detto che si discuterà questo punto.

NITTI. L’amnistia era fuori questione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perché? La Commissione ha proposto; l’onorevole Ghidini sostiene che debba rimettersi all’Assemblea.

NITTI. Era in realtà fuori questione. Quali erano allora le attribuzioni di cui si discuteva? Su una sola eravamo d’accordo: la nomina del Capo dello Stato…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non siamo d’accordo!

NITTI. …che non è una funzione da affidarsi ad un’Assemblea Nazionale. Nossignori, basta la semplice riunione delle due Camere, per un giorno solo, come avviene in Francia e come è stato sempre negli altri paesi; ma era ridicolo pensare di riunire le due Camere per l’amnistia e per la guerra, per la guerra che di questi tempi si fa senza nemmeno dichiararla!

Noi pretendiamo poi, di far discutere dalle due Camere riunite l’amnistia, che è un problema delicatissimo da discutere fra poche persone, cioè pretendiamo di farla deliberare da un’Assemblea di oltre mille persone che non hanno nessuna competenza.

La questione pareva talmente chiarita che non mi spiego come è venuto questo risveglio, questa specie di orticaria di discussione di cose che è inutile discutere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Lo chieda all’onorevole Corbino. E l’onorevole Bozzi ha aderito poco fa con la proposta di rinvio.

NITTI. Loro mi devono dimostrare che un’Assemblea così enorme, di oltre mille persone, può concludere per quanto riguarda la guerra e l’amnistia e le crisi ministeriali.

Se voi volete limitarvi a dire che le due Camere riunite procedono alla nomina del Capo dello Stato, siamo d’accordo, discutere la forma è del tutto inutile. In ogni modo, non mi so spiegare perché si persista in questo equivoco in cui nessuno crede, e perciò prego il Presidente, se può, di ridurre la questione nei veri termini: cioè la riunione delle due Camere per la nomina del Capo dello Stato, e basta.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola agli iscritti desidererei pregare i colleghi di non riaprire la discussione fatta l’altra sera, e di non anticipare eventualmente la discussione che dovremmo fare dopo, se la proposta dell’onorevole Corbino fosse eventualmente accolta.

Mi pare che il modo con cui l’onorevole Nitti ha impostato la questione stia a dimostrare che è opportuno decidere ormai, se si è o se non si è d’accordo di affidare alle due Camere riunite le particolari deliberazioni indicate nel testo.

L’onorevole Nitti ha ricordato il risultato della discussione fatta l’altra sera, che rivelò la unanimità o almeno la maggioranza dei consensi, circa l’opportunità di affidare alle due Camere riunite l’elezione del Capo dello Stato.

Pertanto è necessario stabilire punto per punto le attribuzioni delle Camere riunite e, quindi, decidere dell’Assemblea Nazionale.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io volevo dire le cose che lei, onorevole Presidente, ha detto. In fondo il problema dell’Assemblea Nazionale o delle due Camere riunite presuppone che si risolvano questi tre problemi: se il Capo dello Stato debba essere eletto dal popolo o dalle due Camere riunite, problema che oggi non possiamo affrontare e pregiudicare.

Secondo: se la guerra debba essere dichiarata dalle due Camere.

Io dico che sono contrario, perché, siccome noi abbiamo già votato un articolo in cui abbiamo detto che l’Italia rinuncia alla guerra e ammettiamo soltanto un’azione di difesa, è evidente che un’azione di difesa non può essere determinata da una deliberazione delle Camere, ma deve essere una deliberazione di urgenza che spetta al Governo. Terzo problema: quello della fiducia, che è connesso con la configurazione che diamo al Governo.

Tutti problemi che adesso non possiamo prendere in esame. Quindi, credo che la proposta dell’onorevole Corbino collimi nella sostanza col pensiero espresso dall’onorevole Nitti e perciò il problema dell’Assemblea Nazionale deve essere accantonato per riprenderlo in esame dopo la soluzione dei vari problemi a cui abbiamo fatto riferimento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho altro da dire dopo ciò che hanno detto l’onorevole Bozzi e prima, il nostro Presidente. L’onorevole Nitti desidera la stessa cosa: se noi dobbiamo pronunciarci sopra le funzioni da affidare all’Assemblea, è necessario esaminarle, prima di decidere in linea di massima se si deve o no parlare di Assemblea Nazionale.

L’onorevole Corbino ha fatto una proposta che mi pare abbia riscosso generale consenso.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, e mi sembra che anche l’onorevole Nitti aderisca a questo ordine di idee, si può accogliere la proposta dell’onorevole Corbino.

(Così rimane stabilito).

Passiamo ora ad esaminare l’articolo 75, il quale indica specificatamente alcune delle funzioni che dovrebbero essere affidate alle sedute riunite delle due Camere. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Terranova ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo con i due seguenti:

Art. ..

Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, sempre che ricorrano le condizioni di cui all’articolo 6, e previa la consultazione delle Assemblee regionali.

Art. ..

L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Terranova ha facoltà di svolgerlo.

TERRANOVA. Onorevoli colleghi, l’emendamento da me proposto all’articolo 75, prima che una chiarificazione di indole tecnica e specifica, ha bisogno di una giustificazione di carattere morale, e, direi persino, psicologica. Desidero, infatti, subito avvertire che il mio emendamento non mira affatto a correggere la procedura costituzionale della dichiarazione di guerra, la quale procedura, così come è prevista nel progetto in esame, può considerarsi, per quel tanto che posso giudicarne, conforme al più ortodosso costituzionalismo democratico. Il mio emendamento non mira neppure, come potrebbe immaginarsi, a dar rilievo alle Assemblee regionali, al solo scopo di valorizzarne la portata, quasi a sminuire la capacità rappresentativa e deliberativa del Parlamento nazionale.

L’emendamento che ho l’onore di proporre si rifà a motivi più sostanziali ed intimi; ha per iscopo l’istituzione di un sistema più ampio e più approfondito di accertamento della volontà popolare di fronte a quella terribile cosa che è la guerra; di un sistema, che renda la responsabilità della decisione relativa all’entrata in guerra più larga e, di conseguenza, più determinante. La verità è che l’idea della guerra ci rattrista e ci atterrisce. E questo articolo 75 ci richiama alla guerra, ci ricorda che la guerra non è scomparsa, che è ancora possibile, che potrà essere ancora fatta dai nostri figli, se non addirittura da noi stessi. Constatazione amara, che ripugna al nostro animo, seppure il pensiero deve essere indotto a considerarla in tutta la sua obiettività. Perché, se il nostro spirito e perfino il nostro organismo fisico si ribellano a sentir soltanto parlare di guerra, la nostra mente, purtroppo, non può non rifiutarsi dal prendere in esame tutto ciò che alla guerra si riferisce, per ovviarne le cause o, quanto meno, per ridurne le possibilità.

Riguardo alle cause, esse, com’è noto, sono molteplici, né io tenterò di enumerarle. Credo opportuno, tuttavia, rilevarne una che è fondamentale e che va considerata come la matrice di tutte le guerre: voglio dire dello spirito di esagerato nazionalismo, che deve essere estirpato dalle radici se si vuole assicurare quella pace che tutti i cuori sinceri auspicano; di quel nazionalismo che è cieco, violento, aggressivo, perché privo di umana e legittima comprensione dei diritti altrui, perché al diritto sostituisce la violenza, alla giustizia la forza.

Ma già ad eliminare tale causa è ordinato l’articolo 6 del nostro progetto di Costituzione.

Con unanime sentimento di solidarietà infatti, questa Assemblea ha approvato il detto articolo, il quale, al primo comma, dichiara solennemente che l’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli: segno, questo, che il nuovo Stato italiano, uscito dal tormento della più spaventosa conflagrazione della storia, s’impegna solennemente a non far uso delle armi se non per motivi eticamente e giuridicamente legittimi.

Con l’articolo 6 ci si assume anche l’impegno di facilitare l’organizzazione della pace, mediante quelle inevitabili limitazioni di sovranità che possono dar luogo ad un ordinamento internazionale capace di assicurare il rispetto reciproco fra i popoli e di formare un organo comune per il mantenimento della pace.

Vengono pertanto nel detto articolo fissati i tre punti che, in armonia con la dottrina della Chiesa, costituiscono i pilastri per il mantenimento della pace e cioè: proscrizione della guerra di aggressione; necessità di formare un valido ordinamento per la garanzia della pace, ed infine, esigenza di considerare la società dei popoli come una sola unità morale e politica.

È alla luce di quest’articolo, che si chiarisce il significato che occorre dare a quanto forma oggetto dell’articolo 75. Quando cioè si parla di dichiarazione di guerra, non ci si può riferire che a guerra legittima. Ma anche in tal caso, non vi è qualche altra fondamentale esigenza, oltre quella di giusta difesa, che bisogna tenere presente, prima che si addivenga ad un atto formale di dichiarazione di guerra?

A tale domanda io non esito a rispondere affermativamente nel senso cioè, che la dichiarazione di guerra deve rispondere alla volontà della Nazione.

L’articolo 75 del progetto, nel fissare il principio che spetta all’Assemblea nazionale di deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra, indubbiamente ha tenuto conto di tale esigenza. Ed è giusto, è onesto, che quando si affronti un così micidiale rischio, quando ci si immerge in una così spaventosa voragine, il popolo, il quale è chiamato a combattere e soprattutto a soffrire la guerra, possa esprimere la sua volontà, possa decidere delle sue sorti e di quelle del Paese tutto.

Certamente l’Assemblea Nazionale è espressione della volontà della Nazione e nella sua democratica composizione rappresenta il popolo; tanto meglio lo rappresenterà in quanto con la prevista trasformazione del Senato, che diventerà, come la Camera dei deputati, una schietta manifestazione del volere e delle opinioni del Paese, essa sarà l’emanazione diretta della sovranità popolare.

Tuttavia, vien fatto di chiedersi se una responsabilità così grave, se un impegno così solenne debbano pesare soltanto su un migliaio di persone che, per quanto degni, per quanto liberamente designati dalla Nazione a rappresentarla anche per le decisioni più importanti, potrebbero non interpretare esattamente quel particolare stato d’animo popolare, quella specifica volontà nazionale che eventi eccezionali determinano. Non occorre essere scaltriti osservatori della vita sociale per rendersi conto che, in alcuni momenti di straordinaria importanza storica, si può verificare una discrasia fra popolo e classe politica, tra la Nazione e coloro stessi che ne sono stati i depositari della volontà e della sovranità. Di fronte ad una siffatta soluzione di continuità della rappresentanza che si verifica in alcuni speciali periodi storici si è dai teorici proclamato il diritto delle élites ad assumersi la responsabilità delle decisioni supreme. La democrazia, valevole per la via ordinaria, non avrebbe più senso, dunque, nelle ore in cui è della vita stessa del popolo che occorre decidere.

Il protagonista quindi, di quella terribile ed atroce avventura che è la guerra, il diretto e designato attore della vicenda bellica, il popolo, rimarrebbe estraneo ad una determinazione che lo riguarda come nulla può riguardarlo più esplicitamente, giacché sacrifici, fame, distruzioni, sono sofferti da lui, il sangue che si versa è il suo sangue.

Ad ovviare siffatta ingiustizia, sarebbe certamente utile e soprattutto onesto, alla vigilia di una decisione di tanta gravità, potere interpellare il popolo; poter consultare i padri che hanno faticato a costruirsi un campicello od una casa; i vecchi, che assommano tanta saggezza e tanta esperienza; le madri e le spose, che dovranno vedersi allontanare, e forse per sempre, i figli ed i mariti, restando loro stesse in balia di pericoli imprevedibili; poter interrogare gli stessi uomini destinati al combattimento.

L’istituto del referendum che il progetto di Costituzione opportunamente introduce nella nostra vita pubblica, potrebbe essere adoperato per chiedere al popolo il suo responso sul più solenne e grave atto della sua esistenza fisica e storica, qual è quello della dichiarazione di guerra. Esso certamente offrirebbe il vantaggio di una consultazione diretta e di una conseguente espressione libera e sincera di volontà.

Una difficoltà insormontabile tuttavia si oppone ad una simile ipotesi: la macchina per far agire il referendum si mette in moto solo lentamente ed i risultati di una votazione simile sarebbero conosciuti a distanza di tempo, mentre la decisione di un intervento di guerra dev’essere rapido e tempestivo. Il referendum, utile in molte circostanze, purtroppo nella circostanza suprema della storia di una nazione si appalesa, per la sua lentezza, d’impossibile attuazione.

Un’altra consultazione di larga portata potrebbe essere quella effettuata a mezzo dei Consigli comunali. Devo confessare che questa idea mi ha per molto tempo sedotto. Il Comune torna ad essere, com’è stato nei secoli passati, la linfa, la sorgente, il centro della vita nazionale. I Consigli comunali, specie nei comuni minori, aderendo più direttamente alle popolazioni che rappresentano, ne interpretano più schiettamente i bisogni, le opinioni, i sentimenti. Interpellare i Consigli comunali della Repubblica in caso di guerra, avrebbe potuto costituire un mezzo di consultazione sufficientemente approfondita nel paese. Mi rendo, tuttavia, conto che difficoltà tecniche si frappongono ad un simile progetto: non sarebbe facile, fra l’altro, coordinare sollecitamente ed organicamente i voti di ottomila assemblee comunali.

Ed allora io oso proporre in altro sistema certo più rapido anche se non altrettanto diretto di consultazione, propongo cioè di far pronunziare le assemblee regionali.

In realtà i Consigli regionali, una volta che saranno istituiti dovunque, rispecchieranno la volontà popolare; la rispecchieranno, mi sia lecito dirlo, in maniera più rispondente alle particolari esigenze delle singole Regioni nelle quali si costituisce e si articola l’Italia. Interpellare le assemblee regionali sulla decisione da adottare, ove lo stato di guerra dovesse profilarsi all’orizzonte della storia nazionale, sarebbe cosa facile e rapida; sarebbe soprattutto un gesto di lealtà, di coerenza democratica, di conforto per la stessa Assemblea Nazionale, che vedrebbe poggiare la responsabilità della sua decisione su un parere espresso da numerose assemblee, investite anch’esse di un potere di rappresentanza emanante dal popolo. Perché, sia lecito dirlo, la rappresentanza politica per quanto possa essere ampia e diretta, per quanto possa costituire il presupposto e la garanzia insieme di un’azione parlamentare, legislativa, e direi persino direttiva del paese, essa tuttavia può essere limitata: ed il limite è costituito da quell’immenso tesoro che si getta nel rogo della guerra: le vite umane, le opere, l’avvenire stesso del Paese.

Onorevoli colleghi! Alla fine di quest’ultimo conflitto, in molti abbiamo creduto che la guerra sarebbe stata cancellata dalla storia futura; e sarebbe stata cancellata non tanto per virtù di uomini, quanto per la forza degli eventi. Di fronte all’immane catastrofe che s’è abbattuta su tanta parte dell’umanità per oltre sei anni, di fronte alla furia devastatrice, che si è scatenata sulle cose, sugli uomini, sullo spirito stesso della civiltà, ebbene, abbiamo pensato che di guerre non ve ne sarebbero state mai più; abbiamo creduto che a rinsavire gli uomini, soprattutto taluni uomini, dalla follia di gettare i popoli gli uni contro gli altri, di farli dissanguare, di annullare il divino destino di pace, fossa sufficiente lo spettacolo offerto dai numerosi nuovi cimiteri, dalle distruzioni di città, dalla rovina di paesi, dell’annichilimento di intere razze e di intere regioni.

Purtroppo invece, oggi, e non da oggi soltanto, la situazione internazionale appare precaria e barcollante; il mondo si rivela diviso di già in due campi, entro ognuno dei quali s’agitano pressioni, ambizioni, insofferenze, maligni spiriti di lotta.

I voti, i programmi, i solenni principî enunciati in documenti ed in atti, che avrebbero dovuto far testo, dalla Carta atlantica alla dichiarazione di San Francisco, sembrano di già lontani nel tempo e, quel che più conta, nell’animo dei contemporanei.

Ebbene, approvando noi l’articolo 6 del progetto di Costituzione, abbiamo inteso fissare, più che una norma specifica, un principio generale. Abbiamo voluto dare una prova tangibile della nostra buona volontà di evitare la guerra, di dichiarare nel modo più categorico e solenne che la guerra è fuori legge.

Accogliendo ora l’emendamento che ho l’onore di proporre io ho fiducia che mentre si pone in maggior luce il carattere che ha l’Assemblea Nazionale, di essere fedele interprete della volontà del popolo, si dà anche un contributo sostanziale alla causa della pace, che, mai come oggi, ha bisogno di tutori inflessibili e sinceri.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Soltanto le due Camere possono con legge deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

«Ad esse solo spetta il diritto di accordare per legge amnistie e indulti».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgere l’emendamento.

PERSICO. Ho deciso di abbandonare il primo comma del mio emendamento, secondo il quale le due Camere avrebbero dovuto deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

Avendo riflettuto sulla questione ed anche in seguito alle opinioni manifestate in questa Aula da molti oratori e agli emendamenti presentati dai colleghi Terranova, Gasparotto, Meda, Clerici ed altri, mi sono convinto che, se l’Assemblea Nazionale dovrà restare, essa dovrà avere soltanto delle funzioni eccezionalissime, come la nomina del Capo dello Stato, e come quella di dichiarare la guerra e di promuovere la mobilitazione generale.

Non vale l’obbiezione, che c’è l’articolo 6, già approvato, il quale dice che l’Italia non farà mai guerre di aggressione o di offesa ad altri popoli. Ciò non toglie che l’Italia possa essere coinvolta in una guerra; ed anche una nazione aggredita deve dichiarare la guerra e subirla, deve quindi fare la mobilitazione generale; atto, questo, il più solenne della vita nazionale, forse superiore anche alla nomina del Capo dello Stato.

Per queste ragioni dichiaro di rinunziare alla prima parte del mio emendamento.

Invece sostengo a ragion veduta la seconda parte.

Su questo problema, che conosco per motivi di pratica professionale, ho avuto occasione di esprimere la mia opinione in scritti su riviste giuridiche ed anche in questa Aula, nella seduta del 19 luglio 1946. Cioè, che l’amnistia e l’indulto devono essere discussi e approvati dalle Camere, e non sono atti che possono essere demandati al Governo; sono atti eccezionali che devono corrispondere a momenti e a necessità eccezionali. Non possiamo seguire la prassi fascista per la quale un anno sì e uno no si emanavano decreti di amnistia. Durante il passato regime abbiamo avuto dieci amnistie in venti anni, di modo che, con ben congegnati sistemi di appelli e di ricorsi in Cassazione, si finiva per far sì che nessun delinquente, entro certi limiti, andasse mai in carcere, ciò che finiva per annullare il valore della legge: il valore morale, psicologico e giuridico. I magistrati sapevano che dopo un dato periodo di tempo le loro sentenze sarebbero state poste nel nulla, tanto che presso alcune magistrature minori rimanevano sospesi migliaia di processi (ricordo infatti che alla vigilia del decennale presso la Pretura di Roma ben 12.000 processi erano rimasti sospesi), perché era certo che ben presto sarebbe venuta una benefica amnistia che avrebbe posto fine a tali procedimenti.

Ora, un tale sistema deve finire, perché un organo politico come le due Camere, solo in casi veramente eccezionali, concederà l’amnistia, quando riconoscerà che essa corrisponde ad un bisogno e ad una necessità del Paese, per adeguare la situazione giuridica ad una nuova situazione politica e sociale. Né si dica, come è stato da taluno obiettato, che, in questo modo, ci sarebbe un periodo di tempo in cui, perdurando le discussioni delle Camere sull’opportunità e sulle modalità di emanazione dell’amnistia, le persone potrebbero delinquere tranquillamente, sicuri che poi tutto sarebbe sanato, perché l’amnistia sarà goduta soltanto da coloro i quali avranno commesso il reato prima della presentazione del relativo disegno di legge. In tal modo sarà eliminato questo inconveniente.

Pertanto noi avremo che il disegno di legge concernente l’amnistia andrà prima alla Commissione competente della Camera dei deputati, che, dopo averlo esaminato, presenterà la sua relazione, che sarà discussa dalla Camera stessa e, dopo la sua approvazione, passerà all’esame del Senato, cioè al secondo vaglio. In tal modo potremo anche evitare quei difetti che normalmente si riscontrano nei decreti di amnistia, i quali contengono sempre lacune, incertezze e contraddizioni, che procurano una disparità di trattamento attraverso i diversi responsi dei tribunali e delle Corti di merito e della Corte Suprema. Io credo quindi che sia opportuno togliere all’Assemblea Nazionale questa facoltà, la quale ne snaturerebbe le eccezionali funzioni, perché si verrebbe quasi a formare una terza Camera, con una funzione legislativa che noi non vogliamo darle: noi vogliamo attribuirle soltanto la nomina del Capo dello Stato e la deliberazione sulla mobilitazione generale e sull’entrata in guerra. Resta poi la questione del voto di fiducia: io ritengo che tale compito non debba spettare all’Assemblea Nazionale, ma di questo discuteremo a suo tempo. Limitate così le sue funzioni, esse non possono evidentemente essere estese all’approvazione delle leggi concernenti l’amnistia e l’indulto.

Perciò conservo il mio emendamento soltanto per quanto riguarda la sua seconda parte.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Gasparotto, Chatrian, Moranino, Stampacchia, Brusasca, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente: «Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra. In caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, prende i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, e convoca d’urgenza l’Assemblea Nazionale».

L’onorevole Gasparotto ha facoltà di svolgerlo.

GASPAROTTO. Il mio emendamento porta, oltre alla mia firma, quella dei quattro Sottosegretari del Ministero della difesa del tempo. Con questo non abbiamo inteso certamente di involgere nella questione la responsabilità del Ministero della difesa, ma abbiamo inteso soltanto di dare alla Costituente la sensazione che nella nostra formulazione ci siamo valsi degli elementi tecnici che gli uffici hanno messo a nostra disposizione.

Lo scopo dell’emendamento è quello di concordare i diritti e i doveri dell’Assemblea legislativa (o delle due Camere riunite o separate) col principio contenuto nell’articolo 6 della Costituzione, che bandisce la guerra come mezzo di offesa e come attentato alla libertà dei popoli. Giustamente ha ricordato poco fa l’amico Persico che non vi è contraddizione tra l’articolo in discussione e l’articolo 6, in quanto l’articolo 6 presuppone, perché l’Italia rinunci alla guerra, che ci sia reciprocità ed uguaglianza di impegni anche da parte delle altre nazioni. Ove mancasse questa reciprocità, l’Italia certo non potrebbe rinunciare al terribile diritto di dichiarare la guerra.

Comunque è chiaro che lo spirito dell’articolo 6 potrebbe trovare una risonanza concreta nella vita internazionale ove intervengano accordi fra le varie nazioni, che portino alla creazione di un esercito di polizia internazionale, una gendarmeria o esercito di polizia internazionale a difesa della pace e della libertà di tutti i popoli, con limitazioni parziali dei diritti di sovranità di ciascun paese. Questo concetto è stato accettato nel 1944 da due congressi: uno del partito laburista, l’altro del partito socialista, in Inghilterra.

Comunque, vengo al concreto. L’emendamento mio si distingue dagli altri, in quanto intendo sottoporre all’approvazione delle due Camere o dell’Assemblea Nazionale, non soltanto la mobilitazione generale, ma qualunque mobilitazione, anche quella parziale, perché bisogna tener presente che oggi mobilitazione vuol dire guerra, mobilitazione è sinonimo di guerra, e che la mobilitazione generale è ormai abbandonata, perché è impossibile che venga applicata in concreto. Infatti, data la mole degli eserciti e l’immenso numero dei cittadini chiamati alle armi, il deliberare la mobilitazione generale vorrebbe dire portare lo scompiglio e il disordine economico in tutto il paese, perché le guerre moderne non sono guerre di eserciti, non sono contrapposizioni di forze armate, ma sono guerre di popolo, guerre di nazioni, in quanto che alla mobilitazione militare corrisponde la mobilitazione civile che chiama tutto il paese a collaborare con le forze armate. Quando si pensi che nel recente ultimo conflitto l’Italia ha messo in campo quasi 6 milioni di uomini, la Francia 5 milioni, gli Stati Uniti 11 milioni, e che del numero dei mobilitati dalla Russia e dalla Germania non si è ancora potuto fare il calcolo, perché la Russia ha chiamato alle armi tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni, e la Germania non ha fatto questione di età ed ha chiamato alle armi tutti i cittadini validi, ognuno comprende che da queste cifre si ricava la risultanza che è impossibile far luogo di colpo alla mobilitazione generale militare e cioè alla leva di tutta questa immensa massa di cittadini, alla quale deve corrispondere a sua volta la mobilitazione generale civile. Far questo di colpo vorrebbe dire portare la paralisi nella vita del Paese.

Inoltre, vi è un altro argomento. Si credeva un tempo che la mobilitazione generale si potesse fare mantenendo la segretezza degli apprestamenti preparatori. Ciò è impossibile oggi, perché i servizi di informazione di tutti gli Stati e i mezzi di trasmissione delle notizie sono ormai tali e agiscono in tale estensione e profondità che molte volte, per non dire sempre, la notizia di una mobilitazione in preparazione arriva prima all’estero che nell’interno del paese.

Dunque, distinzione, anzi differenziazione precisa, fra l’emendamento mio e parecchi altri emendamenti, inquantoché ritengo che se si vuole veramente assicurare all’Assemblea Nazionale o alle Camere e soltanto ad esse il diritto di dichiarare l’entrata in guerra attraverso la mobilitazione, occorre sopprimere le parole «mobilitazione generale» e fermarsi semplicemente alla parola «mobilitazione». Però, può darsi anche che il nostro Paese come qualunque altro sia soggetto ad una aggressione improvvisa. Il clamoroso precedente di Pearl Harbour va tenuto presente. Ed allora, deve intervenire l’autorità del Capo dello Stato, su proposta del Consiglio dei Ministri, per far luogo a tutti gli apprestamenti necessari per fronteggiare l’aggressione e rendere possibile l’immediata reazione difensiva. Non si tema che per fare questo occorrano dei grandi eserciti. Su questo punto, già quando io ebbi a proporre nel 1921 il nuovo ordinamento dell’esercito ero, e credo di essere tuttora, d’accordo con l’onorevole Bencivenga, al quale è dovuta la fortunata frase «esercito scudo lancia». Può anche un piccolo esercito perfettamente attrezzato, munito cioè dei mezzi tecnici più moderni, fronteggiare una prima aggressione, in attesa che i centri di mobilitazione diffusi nel Paese preparino i nuovi mezzi di difesa. Occorre però che ci sia un potere supremo, che intervenga con tutta prontezza e risolutezza, e questo potere non può essere rappresentato che dal Capo dello Stato in piena solidarietà, s’intende, con il Consiglio dei Ministri.

Le idee che ho esposto trovano corrispondenza nella legislazione militare moderna.

La Costituzione spagnola, all’articolo 76, dice: «Spetta al Presidente della Repubblica di prendere le misure urgenti richieste dalla difesa della sicurezza della Nazione, dandone immediato conto alle Cortes».

La Costituzione sovietica all’articolo 48: «Il Presidium dell’U.R.S.S. ordina la mobilitazione parziale o generale».

La Costituzione estone, al paragrafo 82, dice: «La mobilitazione (non si dice se generale o parziale) delle forze in difesa della Repubblica è ordinata dall’Assemblea nazionale. Tuttavia, se uno Stato straniero ha dichiarato la guerra alla Repubblica, il Governo ha la facoltà di ordinare la mobilitazione senza attendere le decisioni dell’Assemblea nazionale».

La Costituzione lettone all’articolo 44 dice: «Il Presidente della Repubblica ha il diritto di prendere misure di difesa indispensabili qualora uno Stato straniero dichiari guerra alla Lettonia o attacchi le sue frontiere. Nello stesso tempo convoca la Dieta e decide sulla dichiarazione di guerra e sull’inizio della medesima».

Con queste disposizioni si viene a caricare il Capo dello Stato di una grande responsabilità; ma di fronte ad una non preveduta aggressione, non c’è che il Capo dello Stato che abbia l’autorità e la responsabilità di provvedere, in piena solidarietà – è inutile dirlo – con il Consiglio dei Ministri.

Ecco perché il nostro emendamento dice che, pur assegnando all’Assemblea Nazionale o alle due Camere la potestà di deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra, in caso di aggressione improvvisa da parte di uno Stato straniero, ha facoltà il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, di prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese, salvo l’obbligo di convocare di urgenza l’Assemblea Nazionale.

PRESIDENTE. L’onorevole Fuschini ha presentato i seguenti emendamenti.

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare maggiori poteri al Governo in caso di guerra».

«Sopprimere il secondo comma».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di svolgerli.

FUSCHINI. Onorevoli colleghi, io mi sono limitato a proporre una modifica che si riferisce al primo comma dell’articolo 75, ed ho poi presentato poco fa un emendamento relativo all’amnistia ed all’indulto. Sono d’accordo sulla seconda parte dell’emendamento presentato dall’onorevole Gasparotto, per quanto ritenga che la dizione «in caso di aggressione improvvisa il Consiglio dei Ministri, d’accordo col Presidente della Repubblica, prende i provvedimenti di urgenza» sia superflua; è evidente, comunque, che il potere esecutivo, nella sua integrale espressione del Consiglio dei Ministri e del Governo, insieme al Presidente della Repubblica, hanno il dovere generico di provvedere sempre alla difesa della Patria e quindi del territorio nazionale. Però, per quanto riguarda la prima parte riferentesi alla mobilitazione, ritengo che l’affidare alle Camere riunite in Assemblea tale questione non possa ammettersi. Né per la mobilitazione a scaglioni, come si è usata negli ultimi tempi (io non sono un tecnico; i tecnici potranno correggermi), né per la mobilitazione generale, penso che occorra l’intervento preventivo delle Camere; perché, secondo me, questo provvedimento, qualunque forma assuma parziale o generale, deve sempre rientrare nei poteri del Governo, dovendosi usare cautele e precauzioni di vitale importanza.

La minaccia di aggressione o l’aggressione stessa da parte di un paese non avvengono ex abrupto, in un batter d’occhio, ma in seguito ad una serie di eventi attraverso i quali lo Stato minacciato è posto in guardia e deve premunirsi con misure di vario ordine, indispensabili per non divenire vittima dell’aggressione.

Ora, non mi sembra che sia opportuno portare innanzi alle Camere una questione tanto delicata come è quella della mobilitazione e sottoporla ad una discussione di carattere pubblico.

Ogni forma precauzionale di difesa della patria deve avere quella segretezza indispensabile, se si vuole che risulti efficace. Sarebbe poi, a mio avviso, un’imprudenza dare notizie ufficiali di tali precauzioni e coinvolgere in esse la responsabilità del potere legislativo. La loro pubblicità poi, anziché allontanare il pericolo di una guerra, potrebbe provocarla o potrebbe perlomeno inasprire i rapporti internazionali.

Quindi, non mi pare che sia nell’interesse del Paese stabilire una norma per la quale la mobilitazione debba ottenere la preventiva approvazione delle Camere. Le Camere, quando il Governo nella sua integrale responsabilità avrà adottato i provvedimenti del caso, potranno discuterli come tutti gli altri atti che tendono a premunire la difesa del territorio nazionale.

Per quello che si riferisce alla dichiarazione di guerra vera e propria, credo che dobbiamo tener presente in linea generale, che le dichiarazioni di guerra sono cadute dall’uso internazionale, perché si comincia ad agire dal punto di vista bellico, prima ancora che vi sia stata la dichiarazione e anche quando nessuna dichiarazione di guerra è stata fatta.

Comunque, se vogliamo mantener fede a quelle che sono le buone norme del diritto internazionale, che desidereremmo fossero riprese e mantenute, così come avvenne nel 1914, quando vi fu la prima guerra mondiale, occorre tuttavia ricordare che nel 1915, quando l’Italia volle entrare in guerra, vi entrò con tutta una preparazione di mesi e mesi, direi quasi dopo una vera e propria battaglia politica sulla neutralità o sull’intervento. E quando il Governo allora in carica, che era il Governo dell’onorevole Salandra, si presentò alla Camera, si presentò non per domandare l’autorizzazione vera e propria alla dichiarazione di guerra, ma si presentò alla Camera presentando un disegno di legge nel quale si domandavano i poteri straordinari in caso di guerra. E le dichiarazioni che fece l’onorevole Salandra il 20 maggio 1915 furono dichiarazioni che poterono essere considerate come una decisione dell’Italia di entrare in guerra; ma la vera e propria dichiarazione di guerra fu fatta il 24 maggio, cioè quattro giorni dopo che le Camere avevano concesso al Ministero i poteri straordinari.

Ecco perché mi sono permesso di apportare un emendamento nel senso che alle Camere siano presentate le richieste dei mezzi straordinari di cui ha bisogno un Governo che ritenga necessario dichiarare la guerra.

Il problema, quindi, non consiste tanto nel fatto che le Camere facciano esse la dichiarazione di guerra, ma consiste piuttosto nel fatto che le Camere debbono dare i poteri necessari perché si possa dichiarare la guerra; cioè, in altre parole, quando le Camere hanno conferito al Governo che è in carica i poteri straordinari – poteri di ogni ordine e grado di carattere giuridico e, soprattutto, di carattere militare, economico e finanziario – sarà poi il potere esecutivo che sceglierà il momento preciso di fare la vera e propria dichiarazione di guerra.

Per quanto riguarda l’altro mio emendamento, che si riferisce all’amnistia e all’indulto, mi risparmio di illustrarlo perché trattandosi di materia penale lo svolgerà in mia vece il collega onorevole Giovanni Leone che è competente in materia penale.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Meda e Clerici:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Spetta alle Camere riunite in Assemblea Nazionale deliberare i provvedimenti necessari alla difesa del territorio nazionale».

L’onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.

MEDA. Onorevoli colleghi, la ragione del nostro emendamento ha riferimento con la situazione attuale del nostro Paese in rapporto all’esistenza del trattato di pace che limita enormemente le forze militari e che ha stabilito dei confini i quali indubbiamente non possono darci né sicurezza né tranquillità.

Io sono d’accordo con i colleghi, i quali hanno proposto che qualsiasi deliberazione relativa a una pronunzia, ad una decisione di intervento militare in un conflitto a scopo difensivo, debba essere riservata all’Assemblea Nazionale. Ma noi andiamo più in là; noi affermiamo, infatti, che l’Assemblea Nazionale debba anche decidere in ordine all’azione preventiva di difesa del territorio nazionale.

Sappiamo infatti per esperienza come nel passato le spese militari abbiano sempre raggiunto cifre elevatissime, contrariamente a quello che poteva essere il sentimento delle popolazioni. Si sono apprestati eserciti, si sono apprestate marine per azioni di offesa, per creare la guerra che poi i popoli hanno dovuto subire. Ecco perché noi riteniamo invece che, in funzione di quello che deve essere il nuovo spirito della Repubblica italiana, l’Assemblea Nazionale debba essere interpellata allorché si tratti di stabilire, allorché si tratti di determinare le modalità, i sistemi, allorché si tratti di moderare anche i mezzi con i quali si dovrà provvedere alla difesa del territorio nazionale.

Noi ci auguriamo che mai più il nostro Paese si debba trovare nelle condizioni di dover decidere una mobilitazione. D’altra parte, io sono completamente d’accordo con il collega onorevole Gasparotto quando afferma che la mobilitazione sia ormai, nella sua espressione comune, decisione completamente sorpassata. Oggi, infatti, con i mezzi meccanici di cui uno Stato può disporre, con l’aviazione, con i sistemi di offesa e di difesa di cui è dotato un esercito moderno, non occorre più grande impiego di uomini, ma piuttosto utilizzazione di macchine e di reparti particolarmente attrezzati.

Noi ci auguriamo, ripeto, che mai l’Assemblea Nazionale debba essere chiamata a deliberare per un’aggressione ai confini della Patria: però noi desideriamo nel contempo che l’Assemblea, che è la più pura, che è la più diretta espressione dei sentimenti del popolo italiano, sia interpellata ogni qual volta si debbano adottare provvedimenti che riguardino la sicurezza delle nostre frontiere.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Benvenuti e Clerici:

«Al primo comma, alla parola: Spetta, premettere le seguenti:

«Fermo restando il dovere del Governo di provvedere, in qualsiasi circostanza, alla difesa delle frontiere terrestri, marittime, aeree della Repubblica».

L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

BENVENUTI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io mi assocerei senz’altro all’emendamento dell’onorevole Gasparotto e degli altri firmatari: ma v’è una sfumatura, sulla quale mi permetto di insistere e che, a mio avviso, presenta notevole importanza.

Il collega onorevole Fuschini, un momento fa, ha proclamato essere evidente, anzi lapalissiano, che il potere esecutivo in qualsiasi momento deve difendere le frontiere del Paese: onde dovrebbe ritenersi superfluo inserire tale principio nella legge costituzionale.

Mi permetto di esprimere un ben diverso parere. Ritengo cioè che il dovere inderogabile del Governo di resistere sempre ed automaticamente ad ogni aggressione debba essere consacrato chiaramente in una norma costituzionale. Basterà a questo fine una lieve modifica al testo dell’emendamento dell’onorevole Gasparotto. Mi si consentano brevi considerazioni.

Potrà sembrare paradossale quello che io dico, ma la verità è questa: la terribile responsabilità, la responsabilità diretta ed immediata dello scoppio della guerra grava più sull’aggredito che sull’aggressore. È una constatazione che può sembrare paradossale, ma risponde a verità. C’è un sistema assolutamente sicuro, matematico, di non far scoppiare la guerra: ed è quello di non resistere all’aggressore. Chi non resiste non fa scoppiare la guerra! (Commenti). Perché l’aggressore non vuole la guerra, vuole soltanto l’annessione, la sottomissione del vicino, la conquista di posizioni economiche o strategiche. E finché può cerca di pervenirvi persuadendo la vittima a non resistere. Abbiamo avuto esempi recentissimi, onorevoli colleghi: abbiamo l’esempio dell’Austria e quello della Cecoslovacchia, le quali nel 1938 e nel 1939 non hanno resistito ed hanno evitato la guerra. Quando è scoppiata la guerra? Quando s’è trovato un aggredito, l’eroica Polonia, che ha resistito. È quindi colui che spara il primo colpo di fucile, per difendersi, che fa scoppiare la guerra (Commenti). Di fronte a una responsabilità tanto grande, qualsiasi Governo può avere un moto di perplessità: resistere o trattare coll’aggressore? Occorre che una precisa norma costituzionale tolga al Governo ogni dubbio sul suo unico dovere: che è quello di resistere ad ogni costo.

Io mi auguro che il nostro Paese non debba mai trovarsi nella tragica situazione di dover scegliere fra la guerra e la capitolazione; ma se mai questa scelta dovesse porsi, il Governo dovrà assumersi la responsabilità di resistere: non potrà assumersi mai quella di trattare o tanto meno di capitolare. Noi dobbiamo cioè accollare al Governo la responsabilità assoluta, inderogabile della difesa contro l’aggressione: ché se le tragiche circostanze che la storia può proporre alla vita di tutti i popoli dovesse rendere necessario di valutare a un certo momento il rapporto di forze coll’aggressore e di venire ad una forma di accordi o di patteggiamenti, questa triste atroce responsabilità non potrebbe essere presa se non dalla rappresentanza nazionale, ossia dal Parlamento.

Quindi, onorevoli colleghi, mi pare che non possa essere lasciato dubbio alcuno nel nostro testo costituzionale che il Consiglio dei Ministri debba in ogni caso prendere i provvedimenti necessari per la difesa nazionale; debba far ciò sempre automaticamente, in ogni circostanza, escluso qualsiasi apprezzamento di convenienza (che spetterà poi ai rappresentanti del Paese) costi quel costi, implichi ciò tutte le responsabilità gravissime che può implicare, porti a tutte le conseguenze cui può portare. Guai a noi se alle nostre frontiere si potesse pensare che di fronte ad un’aggressione il Governo della Repubblica italiana possa avere libertà di scelta, possa porsi il quesito: «Che cosa conviene fare: resistere o capitolare?». Se questo dubbio potesse sorgere, in un mondo come quello attuale, onorevoli colleghi, resterebbero profondamente scalfite sul piano psicologico, o anche su quello diplomatico, la nostra sicurezza e la nostra libertà. Tanto più, onorevoli colleghi, in un momento come questo in cui assistiamo a fenomeni singolarissimi. In Francia, per esempio, da pubblicazioni recenti si è fatto l’elogio della «non resistenza». Se ne è parlato anche nei giornali. Sono comparsi libri di autori noti, i quali sostengono che dopo tutto si è fatto molto meglio a fare «Vichy», ché la collaborazione ha successivamente evitato molti guai, ed ha salvato alla Francia un milione di vite umane. Questo è quello che leggiamo oggi: la svalutazione opportunistica della resistenza. Onorevoli colleghi, in tali argomentazioni ci può essere, tristemente, qualche cosa di vero: ma è un ordine di idee che il Governo della Repubblica italiana dovrà, in caso di aggressione, intransigentemente ignorare. Ecco perché suggerisco un emendamento all’emendamento dell’onorevole Gasparotto o, se egli preferisce, mi rimetto a lui, per la modifica del testo. Propongo, quindi, di formularlo così: «Il Consiglio dei Ministri deve proporre al Presidente della Repubblica i provvedimenti indispensabili per la difesa del Paese. Il Presidente della Repubblica dà corso a tali provvedimenti e convoca d’urgenza le due Camere legislative».

Mi rimetto alla saggezza dell’onorevole Gasparotto perché faccia in modo che questo concetto rientri nel suo emendamento, in modo che sia ben chiaro che il Governo è tenuto costituzionalmente a prendere tutte le misure necessarie per la difesa del Paese.

PRESIDENTE. L’onorevole Azzi ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, sopprimere la parola: generale, dopo la parola: mobilitazione».

«Fare del secondo comma un articolo a parte».

Ha facoltà di svolgerli.

AZZI. Sull’articolo 75 ho presentato due emendamenti. Nel primo ho proposto di sopprimere la parola «generale» dopo la parola «mobilitazione» contenuta nel primo capoverso, che pertanto verrebbe ad essere così espresso: «Spetta all’Assemblea Nazionale» (o Parlamento o Camere Riunite) «deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra». Questa dizione coincide esattamente con quella dell’emendamento proposto e svolto dall’onorevole Gasparotto, alle considerazioni del quale mi associo pienamente.

Chiarisco che mi sono astenuto dal proporre nel mio emendamento qualsiasi riferimento all’articolo 6, sembrandomi inconcepibile pensare che l’Assemblea Nazionale (o il Parlamento), deliberando sulla mobilitazione e sull’entrata in guerra, non debba tener presenti le disposizioni dell’articolo 6.

Mi è sembrato altresì superfluo qualsiasi riferimento all’azione da svolgere dal Governo in casi di improvvisa aggressione, perché ritengo che il Governo in questa circostanza, che può essere considerata una calamità nazionale, possa o meglio debba, come per qualsiasi altra calamità, prendere i provvedimenti necessari per fronteggiare la situazione, salvo a convocare d’urgenza l’Assemblea Nazionale (o Parlamento) per avere la sanzione di quanto ha già fatto e per discutere e deliberare i provvedimenti da adottare successivamente.

Il secondo mio emendamento propone di fare un articolo a sé di quanto riguarda l’amnistia e l’indulto che devono essere deliberati dall’Assemblea Nazionale (o Parlamento).

È una semplice questione di forma, ma confesso che quando ho letto il secondo comma dell’articolo 75 mi sono domandato: che c’entra la mobilitazione e l’entrata in guerra con l’amnistia e l’indulto? E ho dovuto risalire al titolo del capitolo: «formazione delle leggi» per rendermi conto che erano due provvedimenti riguardanti argomenti diversi attinenti alla formazione delle leggi e contenute in uno stesso articolo. Penso allora che, per semplicità e chiarezza, convenga di questo articolo 75 fare due articoli distinti.

E sempre in tema di forma, chiarezza e semplicità, osservo che l’importantissimo argomento della difesa nazionale è diviso in tre o quattro parti, in più Titoli, con articoli sparpagliati un po’ dappertutto. Per cui, chi volesse sapere come la Costituzione della Repubblica italiana ha provveduto alla difesa nazionale, deve leggere tutta la Costituzione dalla prima all’ultima parte.

Data l’importanza dell’argomento, sembrerebbe opportuno che, una volta fatta la Costituzione, e stabilito quale deve essere la struttura dello Stato, si facesse un piccolo capitolo in fondo, una piccola parte a sé, che dicesse: Difesa Nazionale:

Art. 1. – L’Italia ripudia la guerra, ecc.

Art. 2. – La difesa nazionale è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio, ecc.

Art. 3. – Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione e l’entrata in guerra.

Art. 4. – Il comando delle Forze armate è affidato al Capo dello Stato (o a chi per esso).

Vedremo questa questione quando si discuterà su questa facoltà data al Capo dello Stato.

E così, questo argomento, che oggi in qualsiasi Nazione ha assunto un’importanza tanto grande, troverebbe un posto più logico, più comprensivo e più chiaro nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Damiani ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, dopo le parole: e l’entrata in guerra, aggiungere: che, in relazione all’articolo 6, può essere dichiarata soltanto in caso di legittima difesa».

Non essendo presente, s’intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Segue l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’amnistia e l’indulto non potranno essere concessi se non mediante legge di natura costituzionale».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento da me proposto mira ad impedire che si continui a fare dell’amnistia e dell’indulto l’abuso che se ne è finora fatto.

È strana la mentalità che si riscontra molto spesso fra noi italiani: nel momento in cui un delitto è compiuto non ci si accontenterebbe delle gravi pene inflitte; si vorrebbero le pene ancora più gravi. Trascorso un anno o poco più si arriva ad un’indulgenza eccessiva. Così le sanzioni previste dalla nostra legge penale finiscono col non raggiungere i fini che si sono proposti. Tutti coloro che commettono delitti sanno benissimo che quando viene loro inflitta una pena, per quanto grave, trattandosi di pena detentiva, vi sarà sempre un accomodamento, in quanto, in una occasione qualsiasi, si arriverà prima o poi all’amnistia o all’indulto.

Al doppio scopo di evitare che la pena perda la sua efficacia preventiva e nello stesso tempo allo scopo di fare in maniera che coloro che legiferano non stabiliscano pene molto gravi tenendo conto del fatto che si farà poi uso del potere di amnistia e d’indulto, io propongo che, per concedere sia l’amnistia che l’indulto, sia seguito un procedimento di legiferazione speciale: cioè ritengo che sia opportuno non ammettere l’amnistia e l’indulto se non siano emanate con legge di carattere costituzionale.

Mi si risponderà: perché? Non per andare contro il principio della irretroattività, ma si tratta qui di derogare ad un principio fondamentale del nostro ordinamento, secondo cui ogni norma di carattere penale deve avere la sua sanzione; e siccome abbiamo stabilito che la pena mira alla rieducazione del reo, dobbiamo fare in modo che la rieducazione vi sia e che la pena abbia la sua efficacia preventiva.

Con le continue amnistie e indulti noi otteniamo l’effetto contrario. L’amministrazione della giustizia è compito assai difficile che non può essere lasciato ai volubili umori di gruppi che in certi momenti vorrebbero eccedere in sanzioni, mentre in altri momenti tendono all’eccessiva indulgenza.

Ritengo quindi che non sarebbe inutile fare in modo che l’amnistia e l’indulto possano trovare applicazione solo in casi rari ed attraverso un sistema di legiferazione speciale quale è quello previsto per modificare la nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Buffoni, Carpano Magnoli, Costantini, Nobili Tito Oro, Stampacchia, Vigna, Amendola e Targetti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati per legge».

In assenza del primo firmatario, ha facoltà di svolgerlo l’onorevole Carpano Maglioli.

CARPANO MAGLIOLI. Il nostro emendamento ripete i concetti già contenuti nell’emendamento svolto lucidamente dall’onorevole Persico, e questo esime da lunga trattazione.

Senza rifarsi – come invece ha creduto opportuno l’onorevole Codacci Pisanelli – al fondamento etico, sociale e giuridico dell’amnistia e dell’indulto, non è dubbio che mutate condizioni economiche e sociali possano rendere utile l’amnistia e l’indulto per i reati comuni; mutate condizioni politiche possono consigliare la concessione di amnistia ed indulto per i reati politici. E in questa situazione, poiché la preparazione di una legge di amnistia esige un lavoro di indagine preliminare, inchieste statistiche sì da stabilire preventivamente quali possano essere gli effetti concreti del provvedimento, si richiede perciò particolare elaborazione tecnica.

Pare a noi, come osservava esattamente l’onorevole Persico, che amnistia ed indulto non debbano essere sottoposti alla discussione di un’Assemblea plenaria la quale dovrebbe limitarsi, per funzionare, non ad una accademia col concorso di novecento persone, ma a votazioni molto concise, schematiche, cioè approvare o non approvare; svolgere discussioni di carattere generale, come l’amnistia e l’indulto esigono, è compito più adatto ad Assemblee ridotte di numero anziché Assemblee numerose come quella plenaria delle due Camere.

D’altra parte, talvolta l’urgenza di concedere amnistie e indulti non consente larghezza di tempo per la loro preparazione; pare perciò a noi degno dì accoglimento, anche a questo scopo, l’emendamento dell’onorevole Persico, da noi riprodotto; infine, non pare si possa contestare la necessità di ricorrere a provvedimenti di amnistia e di indulto in determinate particolari circostanze come già detto. Non dico di arrivare a concessioni periodiche, come si è fatto in questi ultimi trenta anni, durante i quali ogni due anni si son concessi indulti ed amnistie.

Noi avvocati questo calcolo preventivo nei riflessi dei clienti possiamo anche averlo fatto. Sia consentito infine di ricordare che l’amnistia è, come motivo sussidiario, consigliata anche per sgravare gli uffici giudiziari di un lavoro ingombrante; la gran mole di lavoro pone sovente i grandi tribunali in condizioni di non funzionare o quasi ed allora la necessità di sbarazzare il terreno di processi che per il decorso del tempo hanno perduto la loro utilità sia per gli effetti intimidativi come correttivi, ai quali faceva cenno l’onorevole Codacci Pisanelli. In questa situazione pensiamo debba essere accolto il nostro emendamento che stabilisce che l’amnistia e l’indulto devono essere emanati per legge dalle singole Camere separate, perché attraverso l’esame analitico si eviteranno incertezze di interpretazioni e di dizione come sovente invece si è dovuto lamentare; certamente giuristi-legislatori preparati cercheranno di impedire queste manchevolezze mercé lavoro diligente di analisi e di compilazione del decreto legislativo.

Per queste considerazioni confidiamo che il nostro emendamento, che coincide nella sostanza con quello dell’onorevole Persico, possa essere accolto dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Leone Giovanni, Fuschini, Mortati, Moro, Bettiol, Dominedò, Balduzzi, Zaccagnini, Cappugi e Ferrario Celestino hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente: «L’amnistia e l’indulto sono disposti con decreto legislativo.

«Essi non possono avere effetto nei confronti di reati commessi in epoca posteriore alla presentazione del disegno di legge di delegazione».

L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.

LEONE GIOVANNI. Onorevoli colleghi, l’amnistia e indulto nel precedente sistema costituzionale, essendo considerati come uno degli attributi del sovrano, dovevano essere approvati dal Consiglio dei Ministri. In una Repubblica democratica invece è evidente che non si può attribuire il potere di concedere amnistia e indulto al potere esecutivo. Tale facoltà deve essere del Parlamento. Ritengo però che, considerando la particolare, delicata struttura della amnistia e dell’indulto e la necessità che questi provvedimenti siano perfezionati con rapida procedura, sia preferibile applicare il sistema indicato nel nostro emendamento.

E cioè i due rami del Parlamento delegano al Governo la potestà di emanare l’amnistia e l’indulto. Il decreto di amnistia e di indulto, trattandosi di un congegno delicatissimo che deve tener presente tutta la struttura del sistema penale vigente, è preferibile sia predisposto da un organo ristretto qual è il Governo, piuttosto che dalle Assemblee parlamentari. Inoltre vi sono evidenti esigenze di celerità, perché il Paese non può restare in una lunga attesa del provvedimento. Chi conosce l’amministrazione della giustizia sa che l’attesa dei provvedimenti di amnistia e di indulto la paralizza, in quanto le parti, nella speranza del benevolo provvedimento, sogliono chiedere il rinvio al magistrato, il quale spesso ritiene opportuno anch’egli attendere.

Vi sono dunque ragioni di opportunità, teorica e pratica, le quali concorrono per far attribuire al Governo l’attività rivolta a concretare e a rendere attuabile la deliberazione del Parlamento.

Peraltro, trattandosi di delegazione, il Parlamento dovrà indicare al Governo le direttive, gli orientamenti, i limiti e per quanto concerne le pene e per quanto concerne la casistica dei reati, e le condizioni soggettive di applicabilità del provvedimento. Ma dopo aver fatto questa ampia indicazione di direttive, di norme, di orientamenti, il Parlamento potrà e dovrà affidare al Governo la realizzazione concreta.

Ritengo quindi che il nostro emendamento, per questa parte nella quale esso si differenzia da quelli di altri colleghi, cioè nel disciplinare l’amnistia e l’indulto attraverso la legge delegata e non la legge normale, possa raccogliere l’assenso di molti colleghi. Di quanti cioè, mentre vogliono conservare questo importante attributo al Parlamento sovrano, ritengono di dover usufruire delle competenze tecniche del Governo e della rapida procedura che esso solo può offrire.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma dell’articolo 75».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Veramente, io sarei favorevole alla soppressione di tutto l’articolo; ma, siccome non mi riconosco competente per quanto riguarda la materia regolata dal secondo comma, mi sono astenuto dal proporre la soppressione anche di questo comma.

Il primo comma attribuisce all’Assemblea Nazionale il potere di deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra. Mi pare che vi sia un grosso equivoco in questa disposizione. La dichiarazione di guerra è cosa d’altri tempi, è un residuo dei tempi della cavalleria errante allorquando si dichiarava cavallerescamente di voler fare la guerra, prima di muover battaglia. Ma oggi non si fa più così. La guerra scoppia, la guerra viene.

È un fatto che si manifesta brutalmente come tale prima ancora di essere annunziato. Le sole dichiarazioni di guerra dell’ultimo conflitto mondiale sono state quelle imposte dagli Stati i quali per primi sono entrati in guerra e che per assicurarsi che altri Stati minori non potessero parteggiare per il nemico, hanno loro imposto di dichiarare la guerra, anche se poi a questa dichiarazione non è seguito alcun fatto di guerra. Questo è il caso della Repubblica di San Marino e di altri Stati. Nei tempi moderni, insomma, la dichiarazione di guerra è un anacronismo.

Sulla sostanza dell’emendamento proposto dall’onorevole Gasparotto e da altri colleghi, si può essere d’accordo. Che in caso di aggressione sia il Governo a prendere i primi provvedimenti e che poi siano convocate d’urgenza le Camere legislative è cosa ovvia; e non occorre nemmeno dirla.

Per far comprendere l’assurdo al quale si potrebbe giungere se si accettasse integralmente sia il primo comma dell’articolo in discussione che il primo periodo dell’emendamento Gasparotto, domando che cosa succederebbe se, mentre la cosiddetta Assemblea Nazionale sta deliberando, giungesse una bomba che la distrugge. Nessuno allora potrebbe fare la dichiarazione di guerra: mancherebbe l’organo competente, e il Governo, stando alla Costituzione, si troverebbe nella condizione di non poter provvedere alla difesa.

GASPAROTTO. Questo è un caso limite di forza maggiore.

NOBILE. La dichiarazione di guerra è cosa ormai sorpassata. Per questa ragione non se ne deve parlare nella Costituzione. Tanto più è ridicolo parlarne, in quanto noi – come ha osservato l’onorevole Bozzi – nell’articolo 6 abbiamo dichiarato che l’Italia rinuncia alla guerra come arma di offesa. Per queste ragioni propongo la soppressione del primo comma dell’articolo 75.

PRESIDENTE. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti proposti all’articolo 75.

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

Sulla elezione di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia.

PRESIDENTE. Avverto che all’ordine del giorno della seduta pomeridiana di giovedì 16 ottobre sarà posta la elezione, da parte dell’Assemblea, di tre membri della Corte costituzionale per la Sicilia, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana.

La seduta termina alle 13.

LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 20 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Congedi:

Presidente

Disegno di legge (Presentazione):

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Presidente

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri

Morini

Costa

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Calosso

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno

Merlin Angelina

Chatrian, Sottosegretario di Stato per la difesa

Costantini

Salvatore

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Cairo e Caristia.

(Sono concessi).

Presentazione di un disegno di legge.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Mi onoro di presentare il disegno di legge sul riordinamento dei corpi consultivi del Ministero della pubblica istruzione.

PRESIDENTE. Do atto al Ministro della pubblica istruzione della presentazione di questo disegno di legge. Sarà inviato alla Commissione competente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è quella degli onorevoli Morini e Cairo al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e delle finanze, «per conoscere: a) se è esatta la notizia secondo la quale è in corso di emanazione una legge di regolamentazione delle lotterie; legge che porrà fine al monopolio, da parte della S.I.S.A.L., del totalizzatore del gioco calcio; b) se, d’altra parte, è vero che la legge affiderà la gestione del toto-calcio, anziché al C.O.N.I., alla Direzione lotto, il che significherebbe la morte dell’iniziativa; c) se, infine, è vero che la legge stessa porterà alla soppressione delle percentuali, che oggi affluiscono nelle casse del C.O.N.I., con conseguente paralisi completa di tutte le federazioni sportive, che raggruppano nelle proprie file 2 milioni di inscritti ed interessano tutta la gioventù d’Italia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’amministrazione delle finanze, preoccupata dallo sviluppo che andavano assumendo certe forme particolari di pronostici e di concorsi, il cui volume di giuoco era divenuto progressivamente molto rilevante, aveva posto allo studio e diramato nelle sue linee essenziali per il concerto dei Ministeri interessati, un primo schema di provvedimento che tendeva a dare una regolamentazione a tutta questa materia e principalmente ad assicurare che la massima parte dei profitti andasse nelle casse dello Stato.

Per la complessità della materia stessa, questo primo schema è stato molto discusso dai Dicasteri interessati. Furono apportate delle modifiche; se ne occupò due o tre volte il Consiglio dei Ministri, e recentemente era stato dall’Amministrazione finanziaria predisposto un nuovo schema di decreto legislativo, che è ancora allo studio e il Consiglio dei Ministri se ne occuperà in una delle prossime sedute.

La preoccupazione dell’onorevole Morini, che secondo quanto si evince dalla lettera b) e dalla lettera c) della sua interrogazione è quella che le attività sportive coordinate e dirette dal C.O.N.I. non rimangano senza i necessari mezzi che attualmente sono, oltre alla percentuale sugli incassi delle manifestazioni, quelli che provengono dal concorso C.O.N.I. – S.I.S.A.L., è nella sua sostanza condivisa dalla Presidenza del Consiglio e dal Governo, in quanto si ritiene che fino a quando non sarà possibile impiantare su di un finanziamento vero e proprio del bilancio il necessario interessamento dello Stato per le attività sportive, debba rimanere questa forma di finanziamento del C.O.N.I., sia pure disciplinata e regolata. Posso assicurare che, per l’attuale stagione calcistica, il concorso rimarrà così com’è. Per l’anno prossimo si studierà a tempo, a parte la legge a cui prima alludevo, la possibilità di un vero e proprio bilancio preventivo del C.O.N.I., che dovrà tener conto, oltre che dell’attività sportiva ordinaria, anche del ripristino delle attrezzature sportive andate in deperimento per causa di guerra, ed anche di tutta l’attività che dovrà essere predisposta per le Olimpiadi che, come è noto, avranno luogo nell’anno prossimo.

Credo che questa assicurazione sulla sostanza dell’interrogazione possa tranquillizzare le giuste preoccupazioni dell’onorevole Morini.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. In complesso, le assicurazioni datemi dall’onorevole Sottosegretario sono sodisfacenti. Sono sodisfacenti anche perché personalmente mi risulta che l’onorevole Sottosegretario ha espresso esattamente quelli che sono i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni a favore dello sport. L’interrogazione che ho presentata oggi è la seconda che presento sull’argomento. In una precedente interrogazione sul toto-calcio, ero contro il totalizzatore dato alla S.I.S.A.L., perché convinto che in queste entrate la S.I.S.A.L. facesse la parte del leone. Successivamente, ho presentato questa interrogazione perché ho avuto la sensazione precisa che si andasse oltre quelli che erano i miei intendimenti. I miei intendimenti erano non di danneggiare il C.O.N.I., ma di ottenere che questo totalizzatore venisse gestito direttamente dal C.O.N.I. stesso. Ad un dato momento, mi sono accorto che invece di tagliare le unghie alla S.I.S.A.L., si davano permessi ad altre speculazioni private, che erano peggiori di quella della S.I.S.A.L., e, d’altra parte, ho saputo che c’erano intenzioni in senso opposto, cioè di avocare allo Stato la gestione diretta del totalizzatore.

Entrambe le due soluzioni, quella che permette la speculazione privata e non solo ad una società, ma addirittura a società diverse, e quella opposta di avocare tutto allo Stato, erano e sono due soluzioni egualmente funeste per gli interessi dello sport. Noi abbiamo assistito alla concessione anche alla GIESSE e alla S.I.N.A.L.P. Ora, anche su questo punto vorrei qualche assicurazione dall’onorevole Sottosegretario, perché le due concessioni portano alla conseguenza che il C.O.N.I. non ha più nessun controllo su queste forme spinte di speculazione privata, per cui si giunge a questa situazione paradossale che la GIESSE, ad esempio, pone un premio a favore del migliore tiratore in goal. Ora, tutti coloro che sanno quanto è delicata la situazione delle Società sportive sanno che un premio di questo genere può portare conseguenze gravissime, con sfasamento di tutti i risultati sportivi.

D’altra parte, avocare allo Stato il totalizzatore, cioè togliere il toto-calcio dai vari bar d’Italia, che sono oggi la sua sede naturale, significa annullare l’iniziativa. Ed è per questo che dico all’amico Andreotti che nella sua azione, che egli compie tutti i giorni a favore della regolamentazione della sorte dello sport, deve tener conto di questi punti: 1°) lo sport non può vivere senza il toto-calcio; 2°) il toto-calcio deve essere tolto alla speculazione privata ma non deve essere avocato allo Stato; 3°) secondo me la formula migliore è di dare al C.O.N.I. la gestione diretta del toto-calcio, perché attraverso tale gestione diretta del toto-calcio noi toglieremo i danni e le preoccupazioni della speculazione privata senza avere gli svantaggi enormi derivanti dall’assumere lo Stato l’iniziativa stessa.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Uno dei cardini di questa indagine prelegislativa per dare una certa forma alla materia è proprio quello di considerare su un piano diverso l’attività del C.O.N.I., che è un ente pubblico, da quelle iniziative del tipo cui l’onorevole Morini ha accennato, che, seppure sorte con particolarità diverse, hanno cercato di assumere una fisionomia e un volume che non dico abbia addirittura tratto in inganno, ma ha fatto determinare in precedenza quello che altrimenti non si sarebbe determinato da parte dell’Amministrazione finanziaria nel momento in cui fu data l’autorizzazione. Per dovere di ufficio devo dire che non può essere ammesso in linea di principio l’affermazione assoluta dell’onorevole Morini, che affidando l’una o l’altra iniziativa a una Direzione del Ministero delle finanze, ciò significherebbe la morte della iniziativa stessa. Sulla sostanza siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dei deputati Numeroso, Leone Giovanni, e Riccio, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del tesoro, «per conoscere: a) quale fondamento abbiano le notizie pubblicate dalla stampa circa irregolarità attribuite all’ARAR per la cessione di residuati di guerra ad una società commissionaria, ed in genere circa i sospetti e le deficienze, ormai di dominio pubblico, nelle operazioni di vendita di ingenti quantitativi di materiali; b) i risultati delle indagini circa incendi e furti, che ripetutamente si verificano nei campi di deposito dell’ARAR; c) i motivi che inducono i dirigenti dell’ARAR ad alienare a speculatori notevoli quantitativi di materiale di uso, che potrebbero essere ceduti, con evidente vantaggio di tutti, a determinate categorie di consumatori. Gli interroganti, inoltre, chiedono di conoscere se nell’interesse dell’erario e di fronte a tante accuse e voci di sospetti, non si ritenga opportuno nominare una Commissione di inchiesta su tutto il funzionamento di questa complessa e importante azienda».

Non essendo presente nessuno dei deputati interroganti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Segue l’interrogazione del deputato Costa, ai Ministri del bilancio e del tesoro, «per sapere se riconoscano la convenienza di promuovere la modifica dell’articolo 16 del decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 37, sulla costituzione e sul funzionamento dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche, per armonizzarlo con l’articolo 36 del decreto legislativo di pari data, n. 38, sulla Azienda nazionale autonoma delle strade statali, in maniera che anche per il Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Venezia l’ufficio distaccato della Corte dei conti eserciti il riscontro soltanto successivo delle spese, limitando il controllo preventivo agli atti del magistrato».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con la interrogazione presentata si tenderebbe a porre sullo stesso piano, nei confronti del controllo della Corte dei conti e limitatamente alla sede di Venezia, gli atti dell’A.N.A.S. e quelli del Provveditorato alle opere pubbliche.

In proposito, deve anzitutto farsi presente che la disciplina del controllo sugli atti del Provveditorato alle opere pubbliche di Venezia non potrebbe essere regolata con norme diverse da quelle vigenti per gli altri Provveditorati regionali. D’altra parte questi istituti presentano, nei confronti dell’A.N.A.S., diversità sostanziali nei riguardi della struttura e del funzionamento, per cui non può pensarsi ad una loro equiparazione.

È infatti da osservare che l’A.N.A.S. è una azienda autonoma a natura prettamente industriale, perché, in sostanza, non è altro se non una grande organizzazione per la costruzione e la manutenzione stradale.

E fu proprio per tale motivo, e per la considerazione che il controllo preventivo mal si concilierebbe con l’accennato carattere industriale, che esige una particolare rapidità di decisioni che, per l’Azienda autonoma statale della strada – che, come è noto, ebbe caratteri sostanzialmente identici a quelli dell’attuale A.N.A.S. – venne adottato quelle stesso sistema, del controllo successivo, che era stato già assunto per le altre Amministrazioni autonome a tipo industriale, come quello delle ferrovie dello Stato, delle poste e delle telecomunicazioni, dei monopoli, ecc., ragione per cui può ben dirsi che l’adozione di tale sistema per l’A.N.A.S. fu una applicazione particolare del principio assunto per tutte le aziende autonome a tipo industriale, in deroga al sistema del controllo preventivo e successivo stabilito in genere per le Amministrazioni dello Stato.

I Provveditorati regionali alle opere pubbliche sono invece uffici decentrati dell’Amministrazione dei lavori pubblici e, per ciò stesso, comuni organi della Amministrazione dello Stato. Quindi deve a tali organi applicarsi il principio del controllo preventivo.

Nessuna ragione potrebbe poi consigliare la sostituzione del controllo successivo a quello preventivo, poiché quest’ultimo è indubbiamente più efficace per la sua tempestività, in relazione anche alla imponente mole delle opere pubbliche realizzate dai Provveditorati regionali, che presentemente assorbono con la loro gestione una parte notevolissima – dell’ordine di molte decine di miliardi – del bilancio statale. D’altra parte può assicurarsi che il controllo della Corte sugli atti dei Provveditorati regionali è stato esercitato in tutte le sedi con spirito di collaborazione e con sollecitudine, come è stato anche dichiarato dalla stessa Amministrazione controllata, cioè quella dei lavori pubblici.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTA. Non mi dichiaro per nulla sodisfatto per la risposta che ha dato il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Già lunedì scorso ebbi a chiarire in che cosa consisteva la portata di questa interrogazione. La cosa può interessare largamente i colleghi dell’Assemblea, perché sostanzialmente si tratta del funzionamento dei Provveditorati alle opere pubbliche e di sistemare e facilitare un servizio il quale è legato alla ricostruzione del Paese.

Noi siamo in un periodo, come già dissi anche lunedì scorso, analogo a quello successivo alla guerra precedente, nel quale si trattava di ricostruire le terre liberate. Per la ricostruzione nelle terre liberate si ritenne opportuna una legislazione speciale, la quale era modellata precisamente sulle amministrazioni a tipo industriale e ciò per sveltire il lavoro di ricostruzione.

Dirò poi come non sia esatto quello che ha detto il Sottosegretario di Stato: che le Amministrazioni controllate abbiano informato che tutto procede regolarmente. Intanto rilevo che, se si è potuto, dopo la guerra 1915-18, attuare una legislazione per la ricostruzione delle terre liberate modellata sui sistemi industriali, non è facile capire perché oggi non si possa, se non attuare la legislazione speciale dell’Azienda della strada, almeno la legislazione speciale che si fece nel 1919 per la ricostruzione delle terre liberate.

La ragione per cui ho accennato al Provveditorato delle opere pubbliche del Veneto e di Mantova – ragione che il Sottosegretario di Stato ha ritenuto di superare, osservando che, caso mai, si deve trattare di una legislazione uniforme per tutti i Provveditorati, compreso quello di Venezia – la ragione è proprio quella che mira a realizzare uno sveltimento nella ricostruzione. Ed io ho accennato a queste Provincie, perché il decreto del 27 giugno 1946, il quale dispone una complessità di controlli sulle spese, sia in sede preventiva che in sede consuntiva, non parla che del Provveditorato di Venezia.

L’articolo 16 dice: «L’ufficio distaccato della Corte dei conti istituito presso il Provveditorato regionale per le opere pubbliche di Venezia – io domando perché si dice di Venezia e non si dice di altri Provveditorati – eserciterà anche la funzione di riscontro preventivo e successivo per le spese».

Supposto che questa disposizione sia stata successivamente estesa a tutti i Provveditorati, ho una ragione di più per sostenere la mia tesi, perché io allora non difendo solo gli interessi della Venezia, ma in genere gli interessi dell’Amministrazione che riguarda tutta l’Italia. E gli interessi sono generali in questo senso, che c’è bisogno di sveltire il funzionamento amministrativo.

È degno di rilievo il fatto che, successivamente all’interrogazione presentata, ho avuto manifestazioni di consenso, ho avuto lettere da associazioni, che, non so come, sono state informate di questa interrogazione – la stampa non si occupa di queste cose, ma si vede che qualcuno è stato informato – e mi hanno chiesto con interessamento quale risposta abbia dato il Ministero.

È inutile dire che le amministrazioni a tipo industriale possono agire più sollecitamente delle amministrazioni statali e che quella dei Provveditorati regionali alle opere pubbliche è, sì, un’amministrazione sui generis, ma strettamente collegata con l’Amministrazione dello Stato. Io, però, mi domando: se la legge relativa ai Provveditorati ha stabilito all’articolo 36 che ci sia un controllo preventivo sugli atti del Magistrato alle acque, è intanto assodato che questi atti, cioè i provvedimenti dai quali derivano spese, sono già soggetti ad un controllo preventivo. Quando il Provveditorato alle opere pubbliche emana un decreto che dispone una determinata spesa, quel decreto, con tutta la documentazione, viene presentato alla Sezione staccata della Corte dei conti presso il Provveditorato alle opere pubbliche della Regione e la sezione staccata fa il suo esame preventivo su tutta la documentazione, sui progetti, sui preventivi di spesa e sul decreto del Provveditorato che dispone l’esecuzione attraverso l’approvazione di comitati consultivi, perché lo stesso decreto del Provveditorato per le opere pubbliche è condizionato ai pareri favorevoli di organi tecnici, pareri che si estendono anche all’entità e modalità della spesa.

Dopo questo controllo preventivo, cosa accade? Si fa la spesa. Eseguita la spesa, per poter effettuare il pagamento dell’importo relativo bisogna mandare tutti gli atti contabili ancora alla sezione staccata della Corte dei conti, perché esamini tutte le fatture e tutti gli atti di liquidazione, gli stati di avanzamento ed ogni altro elemento contabile.

Questo cosa significa? Significa che, siccome si sa cosa sono gli uffici, indipendentemente dalla buona volontà dei funzionari, c’è un appesantimento della funzione, dato che gli uffici che sono adibiti a questa funzione hanno una congerie di carte sui tavoli, l’esame delle quali richiede notevoli disponibilità di tempo ed è naturale che ogni pratica debba attendere il proprio turno. Ma dopo il controllo preventivo sulla spesa, occorre anche quello consuntivo, il che significa che tutti questi incartamenti debbono essere nuovamente presentati a pagamento effettuato.

È da notarsi inoltre che il decreto del Provveditorato alle opere pubbliche, che, come abbiamo visto, presuppone già l’esame di tutta questa materia, passa all’ufficio di ragioneria, il quale non è già un ufficio che esegue materialmente le registrazioni, senza esaminare i vari incartamenti: c’è quindi anche questo controllo dell’ufficio di ragioneria ed è evidente che la ragioneria assume conseguentemente le sue responsabilità circa la regolarità dei vari impegni e delle spese correlative effettuate.

Ecco, dunque, il punto della questione che io pongo: se questa duplicità di controlli sulle spese, se tutta questa complicazione non è stata ritenuta necessaria nemmeno quando si è trattato della ricostruzione nelle terre venete dopo la prima guerra mondiale, per quale motivo si deve ritenere necessaria oggi? Noi non recriminiamo nel senso di criticare i funzionari i quali fanno evidentemente il loro dovere come meglio possono; critichiamo l’eccessiva complicazione di questo ordinamento che è una vera e propria superfetazione.

Qui non è il caso di dire, come qualche volta si ode dire, che i controlli non sono mai eccessivi; invece dobbiamo esaminare la questione sotto l’aspetto della maggior possibile semplificazione.

Per tutte queste ragioni, dunque, io mi dichiaro insoddisfatto della risposta ricevuta e dichiaro altresì che mi riservo di trasformare la mia interrogazione in interpellanza.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Calosso, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere quale conto ha tenuto dei consigli dati da alcuni oratori alla Costituente, in ordine ai pericoli per il carattere nazionale che nascono dall’eccesso dei programmi scolastici in età giovanile, e all’assurdità dell’esame di Stato, in cui il giovane deve esporre un’enciclopedia del sapere umano di fronte ad esaminatori a lui ignoti. E in base a quali criteri educativi abbia esautorato gli esaminatori di Stato del liceo di Acireale, inviando illegalmente un ispettore ad annullare certi rigorosi giudizi da loro coscienziosamente dati in applicazione dei regolamenti ministeriali sull’esame di Stato».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole Calosso pone tre questioni: la prima riguarda l’eccesso dei programmi scolastici, la seconda l’assurdità degli esami di Stato, la terza la questione contingente del liceo di Acireale.

Il primo problema naturalmente – e l’onorevole Calosso lo sa meglio di me – è un problema di una vastità notevole, perché la riforma dei programmi scolastici è la parte più delicata, direi, di tutti i problemi che riguardano la riforma della scuola. Tenendo presenti i voti varie volte espressi in questa Assemblea e particolarmente dall’onorevole Calosso, è stata posta allo studio anche questa questione della semplificazione dei programmi scolastici, ma naturalmente non è facile poter semplificare una materia come questa. Si spera, tuttavia, che la Commissione incaricata di assolvere a questo compito, possa, fra circa due mesi, condurre a termine i propri lavori.

Voglio solo informare l’onorevole Calosso che noi abbiamo cercato di eliminare, o per lo meno di limitare le conseguenze di questa eccessiva vastità dei programmi scolastici; tanto è vero che nell’ordinanza del 3 maggio 1947 fu stabilito che gli esami si svolgessero sul programma dell’ultimo anno e sulle linee fondamentali di quelli degli anni precedenti, senza esigere per gli anni precedenti la preparazione completa su particolari singoli dei rispettivi programmi.

E, come se ciò non bastasse, abbiamo ulteriormente chiarito, in una circolare successiva – del 14 giugno – la questione in questo senso, che «linee fondamentali dei programmi degli anni precedenti si devono intendere quegli elementi generali di cultura che sono necessari alla comprensione della materia insegnata nell’ultimo anno, la quale rimane l’oggetto principale dell’esame».

Ciò al fine di impedire che l’esarne non sia un complesso di assurdità come l’onorevole Calosso afferma, appunto per la congestione dei programmi.

E vengo con ciò alla seconda questione relativa agli esami di Stato. L’onorevole interrogante parla di assurdità dell’esame di Stato. Io non so se egli sia fra coloro che hanno votato l’articolo 27 della Costituzione, ma credo, data l’enorme maggioranza con cui esso è stato votato, che con molta probabilità egli stesso ha aderito – mi smentisca se ciò non corrisponde a verità, perché ho piacere di essere informato – all’articolo 27 che dice:

«È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi, nonché per l’abilitazione all’esercizio professionale».

Direi che in questa norma in un certo senso si esagera, perché, mentre finora l’esame di Stato era limitato alla fine delle scuole medie superiori – quindi, esame di maturità ed esame di abilitazione – la Costituzione prescrive l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole; quindi lo prescrive anche nei passaggi intermedi fra i vari gradi di scuola secondaria. È un punto di vista rispettabile – anch’io l’ho condiviso – ma che credo complicherà certamente gli inconvenienti denunciati dall’onorevole interrogante a questo proposito.

E in merito all’esame di Stato vorrei ricordare che non si tratta, come qualcuno ha detto o scritto, di un’istituzione di carattere fascista, perché già prima del fascismo il Ministro Croce – il quale pose il primo seme di questa fondamentale riforma che permette allo Stato un controllo non solo della sua scuola, ma anche della scuola non governativa – preparò un progetto, che però, non poté avere quello sviluppo che si meritava, perché incontrò delle difficoltà nel Parlamento. Successivamente si ebbe un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Corbino e poi un progetto del Ministro dell’istruzione pubblica Anile. Anche questi progetti non ebbero fortuna per le complicazioni politiche del tempo. Però posero le premesse di quella che poi è stata la cosiddetta «riforma Gentile», cioè l’introduzione di un esame di Stato.

Io direi che non si tratta di una riforma che abbia un carattere originale e che si ponga come un qualche cosa di nuovo. La «riforma Gentile», almeno per quanto riguarda gli esami di Stato, non è stata che il compendio di un materiale già preparato, e non la realizzazione di una esigenza, di un’aspettativa che era già matura. Ad ogni modo, l’onorevole interrogante sa che anche nell’ambito della legislazione fascista sono stati fatti due fondamentali esperimenti dell’esame di Stato: il primo è stato, diciamo così, l’esperimento Gentile, il secondo l’esperimento Bottai.

Qual è la fondamentale differenza fra questi due sistemi? Il primo sistema, quello di Gentile, prevedeva che tutti i giudici esaminatori dovessero essere estranei alla scuola, e non fossero, quindi, gli educatori dell’alunno; poiché, si diceva, l’educatore dell’alunno è incline alla indulgenza, alla benevolenza, può avere dei preconcetti, delle particolari simpatie. Pertanto, perché il giudizio fosse veramente obiettivo si esigeva un giudice completamente estraneo alla scuola.

Quindi, tutte commissioni composte di professori estranei alla scuola, e in gran parte anche appartenenti all’ordine superiore, cioè all’ordine universitario nel quale i giovani dovevano venire immessi.

Con la riforma Bottai le posizioni furono completamente rovesciate, sicché sarebbe difficile parlare (come si è parlato anche da parte di giornali) di una politica fascista nella scuola in questo campo. Il Ministro Bottai disse: «I veri giudici naturali dei giovani studenti non sono i giudici estranei alla scuola, ma sono gli educatori, coloro che hanno seguito durante tutto il curriculum di studi il giovane e sono quindi in grado più di ogni altro di giudicare la sua maturità ad accedere alle università».

Quindi, conseguenza opposta a quella che aveva tratto il Gentile: le Commissioni esaminatrici agli esami di Stato saranno costituite esclusivamente dai professori che l’alunno ha avuto durante i suoi studi.

È chiaro che ciascuno dei due sistemi ha i suoi aspetti negativi. È facile capire che il sistema Gentile tende a inasprire il giudizio, appunto perché i giudici sono estranei alla scuola, come è facile comprendere che il sistema Bottai tende piuttosto a largheggiare, appunto per questa familiarità di sentimenti che si determina fra professore ed alunno per il lavoro che svolgono in comune.

L’onorevole Calosso sottolinea il fatto che nell’esame di Stato, l’alunno si trova di fronte ad esaminatori a lui ignoti.

Io ho, quindi, l’impressione che l’onorevole Calosso sia piuttosto favorevole al secondo sistema, cioè al sistema dei giudici scelti fra i professori interni i quali sono noti all’alunno.

Io direi che l’esperienza comunemente riconosciuta dagli studiosi di questo delicato problema è che le conseguenze dell’adozione del sistema secondo cui i giudici sono i professori stessi sono state piuttosto disastrose; e qui si deve ricercare una delle cause del crollo della selezione che la scuola media doveva fare e che non ha fatto, con la conseguente pletora di studenti agli studi universitari. Nell’esame con i professori interni a lui noti, lo studente troverà maggiore indulgenza presso il professore; da ciò, specialmente negli ultimi anni della guerra, è derivato il crollo dell’esame di Stato e quindi il crollo di ogni selezione.

Quest’anno, tenendo presente questa duplice esperienza, abbiamo cercato di introdurre una novità ristabilendo l’esame di Stato.

Come l’onorevole Calosso sa, durante tutto il periodo della guerra, l’esame di Stato non ha funzionato. Gli alunni venivano promossi solo attraverso lo scrutinio dei voti riportati durante l’anno.

Da quest’anno si è istituto nuovamente l’esame di Stato.

Io ho però cercato di trovare una formula intermedia fra il tipo di esami di Stato Gentile e il tipo di esame di Stato Bottai. Cioè abbiamo detto: i giudici, perché il giudizio sia veramente sereno e perché questa selezione funzioni, devono essere nella loro maggioranza estranei alla scuola. Però non è giusto che coloro che sono stati gli educatori del giovane che si presenta agli esami non abbiano assolutamente voce in capitolo. Certe volte l’esame è un rischio, perché basta un turbamento psichico momentaneo per determinarne la sorte sfavorevole. Per questo si è ritenuta opportuna la presenza di professori appartenenti alla scuola da cui l’alunno proviene, e che, in certo senso, sono presenti per dare una testimonianza – ove occorra – dell’effettivo profitto del giovane durante il corso dei suoi studi.

Quindi abbiamo istituito commissioni di sei giudici (naturalmente, tutti appartenenti all’ordine scolastico), di cui quattro estranei alla scuola e due della scuola.

Pertanto, ogni alunno che si presenta agli esami ritrova almeno due facce familiari di professori coi quali ha lavorato e appreso le fondamentali discipline; si trova contemporaneamente anche di fronte a giudici estranei che tendono a riportare l’esame ad un giudizio obiettivo.

Si è fatto l’esperimento. Non siamo ancora in grado di stabilire un bilancio reale, positivo, concreto, però, da quanto finora si è potuto rilevare, si è ottenuta una maggiore severità, sebbene ben lontana da quella segnalata da qualche giornale cioè che si sarebbe arrivati ad escludere fino al 90 per cento degli alunni dagli esami orali.

Mentre si è ottenuto questo risultato, abbiamo d’altra parte, di fronte agli alunni e alle loro famiglie, la coscienza tranquilla per aver permesso che due educatori fossero presenti nel giurì e si dichiarassero a favore di quel giovane che, turbato eventualmente dall’esame, non avesse reso tutto quanto avrebbe potuto.

Secondo la mia modesta opinione credo che questo rappresenti l’optimum nella formazione delle Commissioni. Ma può anche darsi che l’esperienza mi smentisca, e da parte mia sono pronto a rettificare.

Quanto al fatto di Acireale devo far presente all’onorevole Calosso che ho già risposto ampiamente all’onorevole Marchesi, ed ora non ho nulla da aggiungere in proposito. Però, noto che l’onorevole Calosso ha usato la frase: «inviando illegalmente un ispettore». Mi permetto di osservare che ciò non è esatto, perché l’ispettore è stato chiesto esplicitamente dalla Commissione esaminatrice.

Comunque, ho il piacere di comunicare che dopo la risposta data all’onorevole Marchesi le cose si sono svolte in una maniera normale e tutti, sia studenti che professori, hanno trovato la soluzione equa e decorosa.

PRESIDENTE. L’onorevole Calosso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CALOSSO. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua larga risposta, e faccio solo osservare che la mia interrogazione è anteriore a quella dell’onorevole Marchesi, e non ho potuto quindi tener conto delle osservazioni già fatte in materia.

Ad ogni modo quello che mi preoccupa è il problema generale e non il fatto singolo di Acireale, dove l’eccessiva severità negli esami è stata rimproverata non tanto dai giovani, quanto nei circoli civili locali, come sempre avviene in Italia.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Devo ripetere che il giovane che porta il nome di Condorelli, nome cospicuo nell’ambiente, è tuttavia il figlio di un ciabattino. È un ragazzo di origini umilissime e modestissime. Siccome nella stampa si è giocato anche sul nome dei Condorelli e quindi sul feudalesimo siciliano, tengo a mettere in chiaro che qui invece si trattava del figlio di un ciabattino. (Si ride – Commenti).

CALOSSO. Non vorrei insistere su quello che l’onorevole Ministro ha già detto rispondendo all’onorevole Marchesi. Ripeto che a me la questione interessa in generale, al di fuori del caso singolo di Acireale, sebbene abbia ricevuto proprio adesso delle altre lettere. Proprio nel nostro giornale L’Umanità, si è fatta una polemica, a mia insaputa, contro i professori perché troppo rigorosi, e ho dovuto smentire. Ma la questione di una riforma della scuola è nell’aria; occorre mutar sistema. E qual è l’errore del sistema?

Dopo un disastro storico, disastro soprattutto che si riflette sul carattere della gioventù ed anche su tutti noi, avviene che non è stato posto al centro della Nazione – e non solo di un gruppo di esperti, ma, dico, di fronte alla Nazione che è la grande esperta – il problema educativo. Abbiamo fatto soltanto questa rivoluzione: abbiamo preso il nome buono che il fascismo aveva dato: Ministero dell’educazione nazionale, e siamo tornati al nome più cattivo: Ministero della pubblica istruzione.

Perché? Il concetto deve essere questo: poniamoci un problema educativo di carattere, e questo è il problema numero uno; poi tutti gli altri problemi, importantissimi, lo seguono.

Cosa dobbiamo fare? Prima di tutto, i nostri giovani (parlo soprattutto della scuola media che è la scuola che io conosco ed è anche la scuola della fatica) sono oppressi da un’enorme massa di sapere. Enorme: aritmetica, logaritmi, chimica, l’elettricità, il calore, Eschilo, Orazio; è una cosa impossibile, incredibile. Tutto in un giovane di 18 anni e noi sappiamo, ce l’ha detto Rousseau, il danno che nasce dal troppo sapere. Egli ha detto che fino a 20 anni aveva letto un solo libro: Robinson Crosuè.

Ora, il Vico, che cosa dice? Dice che nell’età giovanile non si deve opprimere il cervello con eccesso di sapere; con eccessi di ragionamento, perché questo costituisce una corruzione del carattere. Un giovane, con un testone così, a diciotto anni, è un giovane che molto probabilmente, se non potrà ribellarsi, se non potrà reagire rompendo qualche vetro a questa corruzione del carattere che è il proprio sapere, finirà male.

Ora, i nostri programmi, dico la verità, potrebbero essere portati ad un terzo e andrebbero già bene. La realtà è questa. Vi dovrebbe essere un taglio, molto netto, e, una volta fatto questo taglio, si deve esigere con durezza quel tanto che si è insegnato; l’esame deve essere fatto con severità. Gli studenti debbono, come i giovani lavoratori, lavorare duramente.

Ma sta a noi di ridurre il programma di studi. Ridurlo moltissimo. Metà sarà ancora troppo, in tutti gli ordini di scuole. Io sono figlio di una maestra elementare, sono anch’io stesso insegnante, ed ho seguito il problema. Vi sono certi ispettori che vanno a controllare se i maestri hanno finito il programma, tutto l’enorme programma. Io vorrei che l’onorevole Gonella mandasse l’ispettore a vedere quei geniali maestri che hanno scoperto che avrebbero rovinato gli alunni e non hanno finito il programma. In questo panorama si inquadra tutto il problema della scuola. Che cosa deve fare l’accorto insegnante? Noi abbiamo visto durante il fascismo che la classe insegnante ha reagito e gli insegnanti hanno dato prova di un carattere encomiabile. Ma noi dobbiamo venire incontro a loro. Noi affidiamo l’educazione nazionale, così importante specialmente in questo periodo, a dei professori medi che non escono dal magistero. Non hanno mai imparato come si educhi. Bisogna affidare la scuola a uomini che ne abbiano la vocazione.

In un altro discorso alla Camera parlai di questi problemi e mi fermai a quattro o cinque episodi per far sapere a chi non crede che ci sia una tecnica dell’educazione, che questa tecnica c’è.

Esistono paesi non lontani da noi, dove questo problema è sentito profondamente; accanto a questo problema esiste l’altro, quello dell’educazione del corpo. Queste sono le due materie di un magistero. I professori debbono essere specializzati in una materia, in modo da insegnarla nel miglior modo possibile. Certo, in linea generale, un professore medio non sarà mai un grandissimo latinista o uno scopritore del calcolo infinitesimale, tuttavia, è sbagliato mettere di fronte ai giovani un uomo che non sia di prima qualità; l’alunno sente se un educatore è eccellente.

Occorre che vi sia una scuola tecnica dell’educazione e dell’allevamento: proprio dell’allevamento del bambino, in maniera che tutte le nostre madri sappiano come educare i loro bambini.

Vengo all’esame di Stato. Noi siamo contrari all’esame di Stato. Anche fissato solo all’ultimo anno, come opportunamente ha fatto il Ministero, è tuttavia una cosa sbagliata. Al terzo anno il giovane deve eruttare in pochi minuti tutto lo scibile umano e deve avere un giudizio. Il suo insegnante è senza dubbio l’uomo più adatto a darlo. È vero, vi sarà un rischio: vi sarà chi porterà due capponi a questo disgraziato di professore (Si ride), ma questo rischio sarà sempre molto minore della profonda corruzione che nasce adesso. Ora, siamo di fronte ad un esame difficile e impossibile, tanto che gli stessi insegnanti non lo possono fare.

Si domandano agli esaminandi cose che non possono sapere.

Quando ero esaminatore di Stato, vidi una signorina pallida come un morto. Toccava a me, per primo, di interrogarla. Le dissi: vedo dal suo terrore che lei capisce la gravità dell’esame; cioè, lei è all’altezza di Socrate: sa di non sapere; quindi le do, solo per questo, sei, salvo ad elevare il punteggio per quanto sa di più (Ilarità). L’esaminanda rifiorì subito, fece un bellissimo esame; la interrogai su quello che sapeva. La ragazza cadde poi, nella prova di storia; sapeva tutto di Napoleone, di Giulio Cesare, ecc., ma non sapeva chi fosse Bernabò Visconti. La risposta che daremmo noi è questa: mi si permetta di andare a guardare una enciclopedia e poi lo dirò.

Invece, le era proibito guardare l’enciclopedia. E quella signorina fu bocciata proprio a causa di Bernabò Visconti.

Il difetto sta nel sistema.

Non abbiamo un trattato per l’educazione.

Il nostro popolo, in verità, sente poco questo grave problema del futuro. Abbiamo impostato, invece, un problema anch’esso giusto, ma secondario: Chiesa e Stato, Stato e Chiesa. Questo è un problema che ha la sua importanza, certo non è centrale. Sarebbe meglio avere rischiato di avere qualche prete in più purché si fosse risolto il problema centrale della scuola statale e dell’ecclesiastica. Io non so quale sia la migliore. La scuola ecclesiastica sa che deve educare e spesso educa male. La scuola di Stato non sa nemmeno che deve educare. Comunque, io formulo l’augurio che l’esame di Stato sia soppresso.

La competente Commissione legislativa, esaminando la questione della sospensione dell’esame di Stato, si è dichiarata a maggioranza avversa ad esso.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Dell’esame di Stato per l’esercizio professionale: è altra cosa.

CALOSSO. Io estenderei la soppressione dell’esame di Stato anche alla maturità; sarebbe molto meglio. Una riforma del genere sarebbe opportuna. Il problema dovrebbe venire discusso di fronte all’opinione pubblica. Si tratta di un problema fondamentale.

PRESIDENTE. La seguente interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato: Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non ritenga di disporre – in considerazione del continuo depauperamento della terra delle colline, provocato dalle piogge e dalle annuali e superficiali coltivazioni – che sulle colline, specie a forte pendio, siano sospese le coltivazioni superficiali, sia impedito il depauperamento della terra (muratura, palizzate) e sia favorita in ogni modo la piantagione di alberi a profonde e fitte radici».

Segue l’interrogazione dell’onorevole Di Giovanni, al Ministro dell’interno, «per conoscere quali provvedimenti sono stati o saranno adottati a favore delle famiglie dei Martiri trucidati dai nazi-fascisti, e se non ritenga opportuno e doveroso che, accanto ad una pronta assistenza generica e sanitaria, siano adottate forme più proficue di assistenza economica, che possano gradualmente reinserire nel lavoro produttivo tutti gli assistiti idonei e capaci».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Merlin Angelina e Fiorentino Giosuè, al Ministro dell’interno, «sugli incidenti di Palermo del giorno 11 luglio, nel corso dei quali la polizia ha aggredito donne inermi che protestavano contro il vertiginoso rincaro dei prezzi e contro il mancato intervento delle autorità regionali».

Sullo stesso argomento è stata presentata la seguente interrogazione dalle onorevoli Gallico Nadia Spano, Merlin Angelina, Montagnana Rita, Mattei Teresa, Bei Adele, Noce Teresa, Pollastrini Elettra, Iotti Leonilde, Minella Angiola, Rossi Maria Maddalena, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, «per conoscere le circostanze ed i motivi che hanno determinato l’indegno atteggiamento delle forze di polizia di Palermo, che non hanno esitato a caricare un pacifico corteo di donne e di fanciulli, che ordinatamente chiedeva il tesseramento differenziato e la distribuzione di viveri. Le interroganti chiedono quali provvedimenti si intendano adottare sia a carico dei responsabili dell’inumana azione di polizia di Palermo sia per tutelare le manifestazioni democratiche, oggi nemmeno più difese dalla presenza di innocenti fanciulli e dall’elementare rispetto dovuto alle donne».

Le due interrogazioni possono essere svolte congiuntamente.

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. In Palermo il giorno 11 luglio un piccolo corteo, naturalmente non autorizzato, di una ventina di ragazzi e di una diecina di donne, si era diretto verso il centro della città, gridando e recando cartelli con scritte di protesta per la situazione alimentare. Un sottufficiale della polizia, accompagnato da quattro agenti, incontrato tale corteo in via Gaetano Daita, ne ordinava lo scioglimento, che avveniva senza alcun incidente, e sequestrava i cartelli.

Gli stessi agenti, transitando poco dopo da piazza Bologna, si imbattevano in un assembramento, parimenti non autorizzato, di circa 200 donne accompagnate da un uomo rimasto sconosciuto, recante un cartello pure di protesta. Poiché si trattava – ripeto – di manifestazione non autorizzata, gli agenti invitarono lo sconosciuto a consegnare il cartello. Questi aderiva, ma il fatto provocava il risentimento di talune delle donne presenti, le quali, inveendo, si avventarono contro gli agenti, tentando di recuperarlo. Nel tafferuglio, più precisamente nel tentativo di ritogliere agli agenti il cartello sequestrato, essendosene spezzata l’asta, rimaneva purtroppo leggermente ferita la signora Montalbano, consorte del nostro collega ed amico, nonché mia compaesana e forse lontana congiunta. Lo spiacevole incidente si concludeva poco dopo alla Presidenza della Regione; né argomento di intervento ebbero perciò gli agenti di pubblica sicurezza inviati frattanto sul posto. Da quanto ho riferito sembra dunque emergere che nessuna specifica responsabilità possa essere contestata agli agenti dell’ordine e che quindi nessun provvedimento dovesse essere preso nei loro confronti.

PRESIDENTE. La onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io debbo prendere atto delle dichiarazioni del Sottosegretario, ma non posso dichiararmi sodisfatta della sua risposta, perché i fatti, o meglio il fatto da lui narrato è veramente minimizzato. Mi permetta quindi di ripeterlo così come mi è stato riferito da testimoni oculari.

Le donne di Palermo, o meglio quelle povere donne che tutti i giorni si trovano di fronte al dramma di dover preparare qualcosa per i loro figli e per le loro famiglie, volevano promuovere una manifestazione contro il caro-vita e volevano essere accompagnate dalle donne dell’U.D.I. davanti ai responsabili e ai dirigenti dell’attuale governo regionale. Ma l’U.D.I., il partito socialista, il partito comunista e la stessa Camera del Lavoro non avevano ancora aderito alla loro richiesta, che era quella di condurre la manifestazione con le dovute formalità.

La mattina dell’11 luglio la manifestazione invece sorse spontanea. Fu precisamente nel rione nominato dall’onorevole Sottosegretario, in via Gaetano Daita, che un gruppo di donne manifestò portando un cartello dove non c’era neppure la scritta: «Abbasso De Gasperi»; c’era scritto soltanto: «Abbasso la fame». Quindi era evidente lo scopo della manifestazione. Dice l’onorevole Marazza che la manifestazione non era autorizzata. Se la manifestazione era spontanea, se la manifestazione aveva avuto come pungolo precisamente la fame, non c’era tempo di andare a domandare il permesso all’autorità. Intervenne tuttavia la polizia e caricò le donne, picchiandole. La stessa dimostrazione si ebbe anche in altri rioni della città e tutte queste donne furono respinte. Tuttavia un centinaio di persone, donne e fanciulle, si portarono in piazza Bologna, dove c’è la sede dell’U.D.I.: nella sede si trovava la signora Montalbano ed anche la deputatessa Giovanna Mare e la signora Grasso. Sono scese nella piazza per poter condurre le donne presso la sede del Governo regionale.

È intervenuta la polizia e l’oggetto, diciamo così, che si contendevano i poliziotti e le donne era un cartello dove era scritto:

«Vogliamo la tessera differenziata». Di fronte all’intervento della polizia, la signora Montalbano disse: «Vedete, è una dimostrazione pacifica.» Ma gli agenti di polizia non si persuasero ed incominciarono a caricare la signora Montalbano, che io non conosco, ma che deve essere una signora molto ingenua, perché credette che qualificandosi come la moglie di un deputato alla Costituente avrebbe avuto diritto, non dico al rispetto, ma insomma ad un certo riguardo. E qui mi scuso con tutti i colleghi se devo ripetere una frase, poco parlamentare, del Commissario di polizia. Il Commissario Frascoldi disse: «Io me ne fotto di suo marito ed anche di lei. Lei non è una gentildonna». E non fu col pezzo di legno del cartello, ma col calcio del moschetto che la signora Montalbano fu colpita alla schiena e fu ferita alla mano, di una ferita che il medico disse guaribile in otto giorni. La deputatessa Mare fu gettata a terra. Tutte le altre donne furono colpite.

Fu interrogato il commissario Frascoldi, il quale così disse: «Questi sono gli ordini». Ebbene, davanti al questore e davanti al capo della polizia il commissario non negò né la frase che ho detto prima e neppure l’altra frase: «Ho ricevuto degli ordini».

Io so che è stata presentata un’interrogazione anche al Governo regionale e che a questa interrogazione non è stato ancora risposto. Io e le altre colleghe della Costituente abbiamo presentato immediatamente, appena conosciuti i fatti, l’interrogazione. La risposta è venuta molto tardi e mi consta anche che nessun provvedimento è stato preso contro chi ha colpito queste donne.

Ho fatto una interrogazione non spinta da spirito regionalistico, ma mossa solo da uno spirito di umanità, di comprensione verso queste donne che hanno sentito tutta la tragedia della guerra e che vivono oggi il dramma del dopoguerra. Io mi domando: perché non è stato punito il commissario? Forse perché effettivamente egli aveva ricevuto degli ordini? Questi ordini consistono forse nel ripristinare la legalità salvando la forma dell’ordine e lasciando sussistere le cause del disordine? La causa del disordine in Sicilia, se volete chiamare disordine la protesta di donne che hanno fame e che devono dar da mangiare ai loro bambini, è nella miseria della Sicilia. Io, onorevoli colleghi, come molti di voi, sono stata in Sicilia per le elezioni dell’Assemblea siciliana. Conosco la Sicilia. È stata la visione della miseria, fin dai primi anni, che mi ha portato a militare nelle file di quel partito a cui mi onoro di appartenere da trent’anni quasi. Ma questa miseria, che mi aveva spinta verso il Partito socialista come il solo che ritenevo potesse guarire questo male dell’umanità, non l’ho mai vista nelle forme in cui l’ho potuta vedere in Sicilia. È qualcosa di inimmaginabile quello che si vede nella Sicilia, perché non mi sono accontentata di andare a parlare di socialismo e di elezioni, ma sono andata nei quartieri più poveri, nelle piccole città, nei paesi, e sono rimasta stupita, sono rimasta commossa.

Ho sentito, onorevoli colleghi, che noi abbiamo fatto una cattiva azione ad andare a promettere tante cose durante le elezioni, e dopo molti mesi nessuno di noi ha fatto ancora niente per la Sicilia. Noi qui, in questa Assemblea, parliamo di tante cose, arzigogoliamo intorno agli articoli della Costituzione, parliamo tante volte di personalità umana, parliamo del problema della libertà, parliamo di tanti problemi spirituali, ma in realtà non abbiamo fatto ancora nulla per risolvere il problema materiale della vita, che consiste nel dare pane ai bambini, che consiste nel sorreggere la famiglia, che consiste nel dare all’uomo il minimo di pane, altrimenti il fatto della personalità umana, della libertà, della Costituente in Italia, si riducono ad una beffa fatta al popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione della onorevole Merlin Angelina, al Ministro dell’interno, «per sapere in base a quali disposizioni, per quali ragioni e per quale scopo si siano recentemente fatte indagini di indole politica sul conto della interrogante al proprio domicilio, in via Catalani 63, Milano, da un carabiniere e da un agente di polizia».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Queste azioni dei carabinieri sono volte ad una particolare assistenza alle personalità residenti nelle rispettive circoscrizioni.

TONELLO. Come i fascisti, che mandavano i delegati di pubblica sicurezza. Roba dell’altro mondo!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Fu per questo motivo che il maresciallo comandante la stazione della città degli studi di Milano ha creduto di volersi assicurare della effettiva residenza della onorevole interrogante.

Ora, è avvenuto che recatosi per questo a casa dell’onorevole Merlin, alla quale intendeva presentarsi per chiederle direttamente le notizie desiderate e soprattutto per mettersi a sua disposizione, non la trovasse. Egli si intratteneva perciò con la guardiana dello stabile in una conversazione intenzionalmente breve, alla quale, secondo peraltro le tradizioni, la portinaia, ammiratrice come è della sua illustre inquilina, dava proporzioni inattese in quanto la stessa si diffondeva a illustrarne le benemerenze, suscitando l’interesse del militare che, saputo fra l’altro trattarsi di una valorosa partigiana e vantando egli stesso delle benemerenze abbastanza notevoli in tema di resistenza, tanto da essere stato proposto per la nomina ad ufficiale per merito di guerra, fu preso dall’argomento e si intrattenne, ripeto, in conversazione forse più di quanto non dovesse. Comunque la serietà e la capacità del maresciallo in questione affidano del suo operato, indubbiamente non da altro ispirato che da considerazioni di carattere patriottico e sentimentale. (Commenti).

Mi è comunque gradita l’occasione per attestare all’onorevole Merlin che, lungi dal diffidare di lei, il Governo ne segue l’azione con simpatia per la nobiltà degli intenti e per lo scrupolo rigoroso dei metodi. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Merlin Angelina ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatta.

MERLIN ANGELINA. Io sono in parte sodisfatta ed in parte non lo sono, perché la risposta dell’onorevole Sottosegretario riguarda la visita del maresciallo dei carabinieri, ma non riguarda la visita della polizia.

Ho fatto questa domanda, non perché io mi preoccupi personalmente della polizia: ci sono abituata da tanti anni ed ho avuto per molti mesi la visita della polizia, dei carabinieri e dei fascisti.

La mia brava portinaia è stata una donna che ha lavorato con me nei momenti particolarmente pericolosi; è una di quelle brave portinaie di Milano a cui bisogna rendere omaggio per l’opera prestata a tutti i combattenti per la libertà durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista. La portinaia è rimasta impressionata perché le domande degli agenti di polizia erano state fatte secondo un vecchio formulario che lei conosce molto bene: – Abita qui la signora tale? – Sì, abita qui – Dove è il libro degli inquilini? – Ecco il libro degli inquilini – Che cosa fa la signora? – La signora dà lezioni private – Quali persone riceve la signora? – La portinaia risponde: io non le conosco. E questa volta si è aggiunta un’altra domanda, cioè: – la signora ha partecipato alla lotta di liberazione? Sì, ha detto la portinaia. – Con chi ha lavorato? La portinaia ha risposto: io non conosco nessuno.

Bisogna che io dica all’agente che faceva quella domanda, che io lavoravo con molti di quelli del mio partito che lavorano qui dentro e che onorano Montecitorio.

Tutto questo, dunque, mi ha impressionato perché so che analoghe visite sono state fatte ad altre persone; inoltre si parlava anche di ripristino degli schedari…

COSTANTINI. Una volta di più schedata: è un onore!

MERLIN ANGELINA. Sì, è un onore, però questo non torna ad onore di un Governo che esce da una Costituente che doveva essere il frutto fecondo di libertà, dopo una lotta che ci è costata lacrime, sangue e tante vite. Non è che si debba schedare noi, onorevole signor Sottosegretario di Stato: noi, se vogliamo lavorare per la libertà e per il bene del nostro Paese, non dobbiamo essere sorvegliati. Perché noi sappiamo difendere bene la libertà, l’abbiamo difesa anche nei tempi oscuri, quando qualcuno si vantava di essere passato sopra i cadaveri della libertà. A Milano ci sono troppe altre persone da sorvegliare, come quelle che insidiano la sicurezza della libertà italiana, alla quale io ho dato sempre tutta la mia attività seguendo così le tradizioni gloriose anche della mia famiglia. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Costantini, ai Ministri dell’interno e della difesa, «per conoscere quali provvedimenti intendono finalmente adottare in ordine al seguente fatto, già dall’interrogante portato alla diretta conoscenza dell’onorevole Ministro della difesa fin dal 9 giugno 1947, senza ottenere a tutt’oggi evasione. Il 20 maggio 1947, in Treviso, un capitano della Divisione «Folgore», al comando di un reparto di soldati armati di mitra, occupava, espellendone il proprietario, una casa sita in Treviso, via Canova, di proprietà Pagnossin Giuseppe. Non vi erano stati, e del resto non potevano legittimamente essere emessi, provvedimenti di requisizione dell’immobile, e, tra gli altri, lo stesso sindaco di Treviso, onorevole Antonio Ferrarese, aveva preavvertito l’ufficiale in oggetto della illegittimità della preannunciata azione violenta. Nella casa in tal modo avuta libera si installò il Comando della Divisione «Folgore», che tuttora (9 settembre 1947) la occupa e la usa direttamente concorrendo nella persistente violazione del diritto e delle numerose disposizioni di legge, le quali assicurano l’inviolabilità del domicilio privato (articolo 8-bis della nuova Costituzione!) ed imporrebbero alle autorità costituite della Repubblica italiana di intervenire in difesa del diritto e della legge, tra l’altro imponendo a chicchessia il ripristino immediato della situazione giuridica preesistente all’infrazione oltre la punizione a termini di legge dell’autore di essa. Per il fatto suddetto è in corso azione penale, presso il Tribunale militare di Padova».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Con la ratifica del Trattato di pace e col conseguente esodo delle truppe alleate, le responsabilità militari della frontiera orientale sono state trasferite, com’è noto, all’esercito italiano; di conseguenza sono affluite nel Veneto alcune grandi unità dell’esercito italiano che, necessariamente, devono alloggiare e vivere nella zona, austeramente ma decorosamente.

In seguito ad intesa con la Presidenza del Consiglio, non essendo previsto che le Forze armate italiane procedessero a nuove requisizioni, è stato concordato di farle subentrare, nei limiti delle strette necessità, alle requisizioni già operate dalle truppe alleate. L’Autorità militare è quindi subentrata a quelle alleate nell’occupazione di alcuni stabili, man mano che essi sono stati sgombrati da parte alleata.

Il giorno 20 maggio ultimo scorso verso le ore 14 il Capitano Emanuele, incaricato dell’alloggiamento per Treviso dal Comando della Divisione «Folgore», avendo avuto notizia che gli alleati avevano lasciato da poco il palazzo Pagnossin in Borgo Cavour 21, si recava sul posto e subentrava agli alleati nell’occupazione del palazzo, insieme ad alcuni militari destinati alla custodia legale del medesimo.

Mentre era sulla porta, egli veniva raggiunto dal Maggiore Comandante dei carabinieri, dal proprietario del palazzo, Pagnossin figlio, e dall’avvocato di quest’ultimo, Reggiani, i quali, con vivaci argomentazioni, cercavano di far desistere l’ufficiale dall’occupazione dell’immobile. Il Capitano Emanuele, resosi conto che le persone di cui sopra ritenevano erroneamente che l’occupazione del palazzo venisse attuata in esito ad un decreto del Commissariato degli alloggi, emesso in precedenza, in favore di famiglie di ufficiali e sottufficiali dell’esercito, chiarì immediatamente e ripetutamente che egli si sostituiva agli alleati in aderenza a direttive superiori, secondo le quali il palazzo stesso sarebbe stato destinato a sede del Comando della Divisione «Folgore», del quale egli era rappresentante. Escludeva che l’occupazione venisse effettuata in esito ad un decreto di requisizione del Commissariato degli alloggi, in quanto trattavasi di impianto di un Comando militare e non di alloggio per famiglie.

Non si ravvisa pertanto nell’operato del Capitano Emanuele irregolarità, né prepotenza, al punto da giungere a quei provvedimenti che sono invocati dall’onorevole interrogante.

Il Ministero della difesa soggiunge che nel Veneto l’esercito ha applicato l’autorizzazione della Presidenza del Consiglio a subentrare nelle requisizioni degli alleati con stretta parsimonia e piena comprensione, sicché in quella Regione, con la partenza degli alleati, la situazione degli alloggi ha ottenuto un sensibilissimo miglioramento.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

COSTANTINI. È sorprendente ed anche avvilente la risposta dell’onorevole Sottosegretario alla difesa. È sorprendente ed avvilente perché, da un posto di alta autorità, io mi attendevo una risposta che fosse conforme al diritto e alla legge: ho trovato invece, e a malincuore, una risposta che come uomo politico mi avvilisce, come uomo di legge mi fa inorridire. (Commenti).

È esatto, onorevoli colleghi: senza esclamazioni di meraviglia. Se avrete la bontà di seguirmi, ve ne darò la dimostrazione. Si è affermato che un ufficiale dell’esercito italiano avrebbe legalmente operato entrando in una casa, occupata da un privato cittadino – e ne darò la prova, prova che del resto ho già fornita al Ministero della difesa – con la forza delle armi, per installare in quella casa, nel maggio del 1947, il comando della divisione «Folgore».

E si afferma che quella casa – e qui è il falso – era ancora il 20 di maggio occupata dalle truppe alleate. Io ho la copia – naturalmente non autentica, perché non mi aspettavo un’affermazione di questo genere – del decreto di requisizione del Commissariato alloggi di Treviso, il quale, requisendo la casa per conto di cinque ufficiali e delle loro famiglie, contiene questa precisa affermazione: «derequisita da questi (gli Alleati) in data 18 maggio 1947».

Il fatto che io lamento è accaduto il 20 maggio 1947, cioè due giorni dopo la derequisizione regolarmente operata dagli alleati nei riguardi del proprietario ed occupante l’immobile. Ma, scusatemi, onorevoli colleghi: quali sono le norme che regolano la materia delle requisizioni? Io non so se, di fronte alla mia interrogazione, l’onorevole Ministro della difesa si sia curato di esaminare quali poteri potessero avere questi signori ufficiali del comando della «Folgore» in ordine alla occupazione di immobili. Ella infatti non ha detto, onorevole Sottosegretario, ed ho quindi il dovere di dirlo io, che le requisizioni per conto dell’esercito sono – o meglio erano – regolate dal decreto regio del 18 agosto 1940, n. 1741, il cui articolo secondo disponeva che le requisizioni in parola erano eseguibili quando: a) è ordinata l’applicazione della legge di guerra; b) in caso di mobilitazione; c) in ogni altro caso, con determinazione del duce: non dice nemmeno della presidenza del Consiglio, ma solo del duce.

Questo decreto, onorevoli colleghi, cessata la mobilitazione, cessato lo stato di guerra, morto il duce, era decaduto e – viva Iddio! – l’onorevole Sottosegretario non sa che vi è anche un decreto del Capo provvisorio dello Stato, il quale porta la data del 16 aprile 1947, ed ha il numero 264, che stabilisce che le requisizioni disposte in applicazione delle norme approvate con il regio decreto 18 agosto 1940, n. 1741 – ossia quello che ho poc’anzi citato io, giacché non ve ne sono altri, non ve ne erano altri di decreti legislativi che consentissero di portar via la casa al prossimo – cesseranno col 31 maggio 1947, ma sempre e solo per le requisizioni già in corso ai termini della legge italiana, non già quelle eseguite in conseguenza del diritto dell’occupante, di cui si valevano gli alleati. Comunque, nel capoverso dell’articolo 1 si parla di disposizioni che potrà dare la Presidenza del Consiglio, ma in ordine alla proroga delle requisizioni esistenti in base alla legge del 1940, non per crearne delle nuove; e si stabilisce – io ho il dovere di ricordarglielo – che il termine massimo per il mantenimento di tali requisizioni era appunto il 31 agosto 1947. E noi oggi siamo al 20 ottobre 1947! E questo, anche volendo invocare l’applicabilità di un decreto che non è, non può essere, logicamente applicato nella fattispecie.

Il contenuto della risposta, ho detto, è avvilente, perché, onorevole Sottosegretario, il nostro Codice, e la stessa Costituzione stabiliscono che la casa di un cittadino è sacra e inviolabile. E quando io, in Assemblea, ho proposto di fare un articolo unico relativo alla libertà della persona umana e alla libertà del domicilio, la maggioranza dei colleghi non lo ha voluto, perché bisognava dedicare al domicilio privato – ed era giusto – un articolo speciale, perché il domicilio è veramente sacro quanto è sacra la persona.

Voi mi dite: le necessità della dislocazione delle truppe. Ma pretendete di infrangere la legge, perché dislocate un Comando? Non è il fatto singolo, onorevole Sottosegretario, che interessa: è la questione di principio. Io ho la pretesa, come cittadino, e oggi anche come deputato, che i rappresentanti dell’ordine siano i primi ad essere rispettosi della legge e del diritto altrui; non i primi ad infrangerla; e poi, sentire da quei banchi che si legittima l’infrazione alla legge! È questo un fatto che costituisce reato ad opera di un Comando dell’esercito italiano.

Quando il 9 giugno mi sono rivolto al Ministro della difesa e gli ho esposto questo caso, gli ho detto: «Ministro, l’esercito della Repubblica è di tutti; non è una questione politica. L’esercito non è democristiano o socialista; l’esercito è italiano, è repubblicano. Voi difenderete il prestigio dell’esercito pretendendo proprio dall’esercito il rispetto della legge, che non può essere violata con disposizioni o circolari della Presidenza del Consiglio, perché la Presidenza del Consiglio non ha facoltà di violare la legge e la Costituzione in uno ai principä fondamentali del vivere civile del nostro Paese».

Onorevole Sottosegretario, questo è essenziale che sia ben chiaro. La democrazia non la si rispetta a parole soltanto; la libertà non è un feticcio che si adora quando siamo qua dentro: è con le opere che si insegna al popolo che la democrazia è qualche cosa di serio, che la libertà è qualche cosa di sacro; è con le opere, e soprattutto con le opere vostre, signori del Governo, con le opere nostre, colleghi nel Parlamento. Ma è anche con le opere dei signori che portano una divisa, degli ufficiali dell’esercito; è anche con le opere di questi signori che si rispetta la democrazia e la libertà. E per rispettare la democrazia e la libertà, onorevole Sottosegretario, non vi è che un modo: quello di far rispettare prima di tutto la legge; e non dire che chi ha violato la legge ha fatto bene a violarla, perché v’era uno stato di necessità. Non vi erano stati di necessità, e sarebbe falso affermarlo. Perché nel settembre scorso – e voi lo sapete, perché è impossibile che lo ignoriate, soprattutto in conseguenza della mia interrogazione – nel settembre scorso, non volendo io presentare questa interrogazione per le ragioni che non volevo ma ho dovuto dire ad alta voce oggi, mi sono rivolto al sindaco della città, il deputato democristiano Ferrarese – che oggi sfortunatamente è assente – e gli ho detto: «Senti, risolviamo la questione». «Hai tutte le ragioni – egli mi rispose – ma abbi pazienza. Ho fatto un telegramma a Cingolani, ho messo a disposizione della «Folgore» la villa Margherita, a due chilometri dalla città, una delle migliori ville che esistano nei dintorni e che era stata anch’essa occupata dagli Alleati e poi rilasciata».

Onorevoli colleghi, credete voi che i signori del comando della Folgore si siano mossi in conseguenza di questa villa messa a loro disposizione? Mai più! E allora l’onorevole Ferrarese ha fatto un telegramma diretto e personale, ma inutilmente, all’onorevole Cingolani Ministro della difesa.

Conclusione: l’interrogazione è stata fatta con urgenza, mi pare, il 15 settembre; ho avuto risposta oggi 20 ottobre; il Comando della Folgore non si è trasferito nella villa che era stata posta a sua disposizione dal Sindaco di Treviso; il Ministro, che aveva il dovere di intervenire, non è intervenuto; a situazione antigiuridica che ho denunciata – e che non può essere sanata né dalla alterazione della data né dalla ipotetica disposizione del Presidente del Consiglio, perché il Presidente del Consiglio non ha facoltà di autorizzare occupazioni a mano armata da parte dei militari – continua! (Applausi a sinistra).

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Vorrei precisare all’onorevole interrogante la questione di Villa Margherita, che è perfettamente nota al Ministero.

Due sono le esigenze locali: esigenza dell’esercito ed esigenza dell’aeronautica. Due sono i locali: Villa Pagnossin e Villa Margherita. Il problema non può essere risolto nei termini desiderati dall’onorevole interrogante…

COSTANTINI. Ma se non viene risolto, manterrete in permanenza una situazione di reato?

CHATRIAN, Sottosegretario di Stato per la difesa. Quanto agli appunti mossi dall’onorevole interrogante all’autorità militare, posso rispondere che le autorità militari si sono attenute a precise disposizioni dell’autorità superiore, come l’ufficiale si è attenuto a precise disposizioni dei suoi superiori diretti. (Commenti a sinistra).

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Io ho rivolto la domanda anche al Ministro dell’interno. Ci troviamo di fronte ad una situazione aggravata a tal punto che non si sa a chi dobbiamo rivolgerci. Il fatto è chiaro: hanno occupato questa casa contrariamente alla volontà di chi ne aveva diritto e che l’aveva avuta restituita dagli alleati, e gli attuali occupanti con la forza delle armi sono dentro e si mantengono dentro. L’autorità giudiziaria non c’entra, la autorità militare non c’entra! Cosa si deve fare? Io chiedo a voi, signori del Governo! Non esiste una legge che consenta la requisizione, ma si persiste in questa situazione! Fate una legge allora, fate una legge e stabilite che, quando occorra, si può requisire. Una volta si agiva per volontà del duce, oggi lo si farà per volontà del Presidente del Consiglio!

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cevolotto, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se, di fronte alla unanime insurrezione del popolo di Padova, manifestata attraverso i voti del Consiglio comunale, della Deputazione provinciale, degli insegnanti medi, dell’A.N.P.I., di tutti i partiti politici, intenda recedere dal provvedimento col quale ha sostituito nell’ufficio di provveditore agli studi di Padova il professore Zamboni Adolfo, mai iscritto al partito fascista, eroico cospiratore, partigiano, con l’ex squadrista Biagini Paolo, fascista e repubblichino».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Caso, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se non intenda attuare il ripristino delle preture soppresse dal passato regime in provincia di Caserta e aggregare al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere i mandamenti di Capriati al Volturno e Roccamonfina, così da far coincidere la circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa provinciale».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Lettieri, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se non creda opportuno favorire ed incoraggiare l’allevamento del baco da seta e l’allevamento delle api, per incrementare la produzione e la ricchezza nazionale».

Questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dell’agricoltura è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sansone e Caso, al Ministro dei trasporti, «per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata».

Anche questa interrogazione è rinviata perché il Ministro dei trasporti è assente da Roma per ragioni d’ufficio.

Seguono le interrogazioni dell’onorevole Cimenti:

al Ministro del tesoro, «per sapere: 1°) perché nel luglio scorso ha disposto il collocamento a riposo di pochi funzionari di gruppo A, di grado elevato, nati nel primo semestre dell’anno 1881, i quali soltanto da poco hanno raggiunto i limiti di legge; mentre funzionari molto più anziani, anche ultrasettantenni, continuano il loro lodevole servizio presso tutte le Amministrazioni statali, compresa quella delle finanze, cui il Tesoro fino a poco tempo fa è stato unito; 2°) perché sono stati esclusi da siffatta grave misura, che mette i colpiti in pietosissime condizioni economiche, date le attuali gravi contingenze della vita, i funzionari della Ragioneria generale dello Stato e degli Uffici provinciali del Tesoro, tutti dipendenti dalla stessa Amministrazione; il che giustificherebbe il sospetto di un provvedimento non obiettivo, ma inteso solamente a favorire interessi particolari; 3°) perché non ha ritenuto di uniformarsi alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 49941/43320/1 del 23 ottobre 1945, tuttora in vigore, la quale faceva obbligo alle Amministrazioni di procedere gradualmente ai collocamenti a riposo, solo dopo che, espletati i concorsi, fosse stato possibile di procedere alle conseguenti nomine in relazione ai posti vacanti. L’interrogante fa osservare che nei riguardi della carriera amministrativa del Tesoro risulta che sono scoperti oltre 160 posti, mentre l’Amministrazione di recente ha bandito un concorso per coprire soltanto una parte di essi; e la definizione di tale concorso è da ritenersi non prossima»;

al Ministro della difesa, «per conoscere: l1°) quali provvedimenti siano stati adottati a seguito di quanto il Ministero del tesoro disponeva, con suo telegramma 6 giugno 1947, n. 1718 – diretto al Ministero della difesa (Esercito) – per il rapido e meno oneroso completamento della bonifica dei campi minati, e ciò conforme anche a quanto a suo tempo suggerito dagli organi tecnici competenti dell’Ispettorato bonifica campi minati (B.C.M.); 2°) se non sia il caso, quindi, di accogliere le richieste del Ministero del tesoro, dirette a fare eseguire tutti i lavori di bonifica campi minati, attraverso il sistema degli appalti, adottando il criterio della formazione di piccoli lotti (5 o 6 milioni), da affidarsi a cooperative che assumano la totalità degli operai sminatori e diano garanzia di risolvere rapidamente questo delicato, quanto urgente problema; 3°) perché, dopo la precisazione data alla stampa dal generale ispettore del B.C.M., riguardo alle irregolarità della zona di Genova (caso Ricci), che escludono in modo assoluto qualsiasi corresponsabilità da parte delle cooperative, non sia stata sentita la necessità di smentire le affermazioni contenute in una lettera diretta alla stampa dal segretario del Sindacato nazionale sminatori, dipendente dall’Ispettorato B.C.M., con la quale si ledeva, senza giustificato motivo, il buon nome della cooperazione e si affermava che i lavori di sminamento sarebbero stati proseguiti dal gruppo di sminatori alle dirette dipendenze dell’ispettorato B.C.M., con l’esclusione, quindi, delle cooperative».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunciato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Morini e Cairo, all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica e al Ministro del tesoro, «per conoscere con quali mezzi s’intende provvedere al ricovero nei sanatori di mezza ed alta montagna – attraverso l’Istituto nazionale di previdenza sociale – delle migliaia e migliaia di tubercolotici poveri che attendono da mesi e mesi il trasferimento; e per conoscere se non si ritiene urgente ed improrogabile l’assegnazione all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica di altri due miliardi necessari per la costruzione di nuovi sanatori, oltre quelli già assegnati».

L’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Rispondo a nome dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. All’interrogazione dell’onorevole Morini non può, purtroppo, essere data risposta conclusiva, in quanto le richieste per determinare il capitolo di bilancio per le spese occorrenti a fronteggiare la tubercolosi, fatte in parte sul fondo lire della U.N.R.R.A. e in parte sul bilancio del Tesoro, sono ancora allo stato di discussione. Soltanto una parte dei fondi stabiliti è stata messa in concreto a disposizione dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica.

Posso, comunque, assicurare l’onorevole Morini che tutto il problema dell’assistenza ai tubercolotici è in una fase di discussione avanzata, e che si sta per giungere a conclusioni sia per il lato particolare trattato dall’onorevole Morini in questa interrogazione, sia per gli altri aspetti della questione.

E penso che prima del prossimo novembre, in occasione del Congresso che avrà luogo a Milano per celebrare Forlanini e dove verrà discusso il piano di organizzazione per la lotta contro la tubercolosi, gli studi in corso saranno già completati, in modo che si sappia in concreto quello che dovrà fare lo Stato e su quali fondi si potrà contare.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MORINI. Non posso dichiararmi sodisfatto né per il contenuto della risposta, né per l’autorità governativa da cui mi è stata data.

La mia interrogazione era rivolta anche e soprattutto al Ministro del tesoro, perché so bene che senza i fondi del Ministero del tesoro l’Alto Commissariato non può risolvere il problema, che è duplice: di immediatezza e di soluzione integrale.

Il problema immediato è quello che si riferisce alla necessità di ricoverare i 4 o 5 mila ammalati che attendono da mesi di essere curati, e per i quali tutte le pratiche sono già pronte presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Si tratta fra l’altro di 1300 assegnazioni e di 1500 trasferimenti: vi sono inoltre alcune migliaia di malati che devono essere ricoverati direttamente dagli enti provinciali.

Per la soluzione del problema del ricovero non v’è che un rimedio: attrezzare convenientemente il sanatorio di Sondalo in provincia di Sondrio, per il quale si è già preso il provvedimento di metterlo a disposizione dell’Alto Commissariato dell’igiene e della sanità. Con tutta probabilità se il Sanatorio fosse stato lasciato all’Istituto della previdenza sociale, si sarebbe potuti arrivare a ricoverare 5 mila malati, giungendo, con i turni, a 8 mila malati all’anno.

La soluzione è urgente, di una urgenza assoluta. Né d’altra parte occorrono miliardi, bastano poche decine di milioni. Il Tesoro deve risolvere questo problema. Si tratta di ricoverare queste migliaia di malati che sono il relitto della miseria, il relitto della guerra, il relitto dell’ingiustizia sociale.

L’altro problema è quello della soluzione integrale.

Occorrono almeno altri due miliardi, giacché il Tesoro ha messo a disposizione due miliardi per i sanatori, e i due miliardi sono stati ormai coperti dai progetti nelle varie parti d’Italia, ed oggi sono arrivati nuovi progetti per un ammontare di 500 o 600 milioni. Anche per questi bisognerà provvedere. Io capisco che qui ci si trova di fronte a maggiori difficoltà; ma per le poche diecine di milioni di Sondalo assolutamente non è più possibile attendere, e il Governo deve subito provvedere all’attrezzatura di questo sanatorio

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREOTTI. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Il Ministero del tesoro ha già stanziato quattro miliardi e mezzo, fra i due miliardi diretti e i due miliardi e mezzo del fondo lire U.N.R.R.A. Le altre richieste sono allo stato di discussione. Per quanto riguarda l’attrezzatura di Sondalo e l’eventuale ritorno di quel sanatorio all’Istituto della previdenza sociale, trattasi di problema non specificamente accennato nell’interrogazione dell’onorevole Morini; lo sottoporrò agli organi competenti.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Salvatore, al Ministro della difesa, «per conoscere se non ritiene doveroso ed urgente assicurare alla città di Messina il mantenimento dell’arsenale, anche nello studio alacre della possibilità di maggiore e redditizio sviluppo produttivo; tenuto conto che detto arsenale assorbe ben tremila capifamiglia tra operai, in gran parte specializzati, ed impiegati in una città dove la disoccupazione è grave e persistente, essenzialmente in conseguenza della guerra, che così ingenti danni ha causato, danni che purtroppo permangono».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per la difesa ha facoltà di rispondere.

CHATRIAN. Sottosegretario di Stato per la difesa. A seguito della situazione creatasi col trattato di pace, e per le necessità assoluta di ridurre le spese dell’amministrazione della Marina militare, lo Stato Maggiore della Marina è stato costretto a contrarre tutti i servizi periferici sopprimendo quelli non strettamente indispensabili alla nuova organizzazione. Ogni allarme relativo al trasferimento della base navale da Messina ad Augusta è però prematuro, essendo tuttora in corso studi, presso gli organi competenti, allo scopo di definire questa organizzazione che riveste particolare e delicata importanza ai fini della difesa del Paese.

Comunque, assicuro l’onorevole interrogante che, qualunque sia la decisione finale, essa sarà attuata solo dopo accurato esame e tenendosi anche nel dovuto conto la situazione degli arsenalotti e della città di Messina.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALVATORE. Prendo atto con soddisfazione delle assicurazioni date, certo che al Ministero della difesa si è consapevoli delle condizioni eccezionali e dolorosissime in cui versa la città di Messina, soprattutto, e direi quasi esclusivamente, a causa della guerra.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Arata, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per sapere se non ritenga opportuno che, a differenza della condotta negativa tenuta su questo punto dal Governo negli anni decorsi, siano disposti sin d’ora, e comunque prima della semina, opportuni piani e provvidenze diretti ad ottenere il massimo incremento della prossima campagna granaria, evitandosi così che, nella completa oscurità circa gli orientamenti e i disegni del Governo, essa abbia ancora a svolgersi con criteri e piani di vera convenienza aziendale e personale, sovente contrastanti col superiore interesse e le esigenze della collettività».

L’interrogazione è rinviata ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, del Ministro interrogato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Sartor, Carbonari e Carignani, al Ministro dell’interno, «per conoscere se sia informato sulle accuse specifiche e documentate presentate contro la Società concessionaria del Casinò municipale di Venezia e consistenti in gravi irregolarità di gestione a danno della Amministrazione comunale di Venezia; se intenda intervenire con i provvedimenti di propria competenza, di fronte all’opinione pubblica edotta attraverso la stampa del grave pregiudizio a danno del comune, contro l’attuale Amministrazione comunale di Venezia, la quale continua a conservare la fiducia e la gestione del Casinò ad una Società, che, oltre a danneggiare gli interessi dell’Amministrazione comunale, ha danneggiato anche quelli dello Stato, essendo il bilancio del comune integrato dal contributo statale: se non ritenga necessaria un’azione sollecita onde convincere l’opinione pubblica che il Governo, intendendo seriamente moralizzare la vita pubblica, ha volontà e forza per severamente colpire chiunque, specie se pubblica autorità, che non abbia rigorosa cura del denaro pubblico: se ritenga necessario rivedere la legislazione in materia di gestione di case da giuoco, onde garantire un più severo necessario controllo che eviti facili imbrogli a danno della pubblica finanza; se, infine, non sia maturo il momento di fronte a questi ed altri fatti per aderire alla richiesta di tanta parte della sana opinione pubblica per la definitiva chiusura delle case da giuoco autorizzate».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Le seguenti interrogazioni sono rinviate ad altra seduta data l’assenza, per ragioni d’ufficio, dei Ministri interrogati:

Colombo e Zotta, al Ministro dei lavori pubblici, «per sapere se e quando intenda provvedere alla sistemazione degli acquedotti della Lucania ove, per la scarsa manutenzione e per la inadeguatezza degli impianti, intere popolazioni sono prive di acqua, con grave pregiudizio della salute e dell’igiene»;

Vinciguerra, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere le ragioni per le quali Ariano Irpino (Avellino) non è stata compresa nel provvedimento legislativo in corso presso l’ufficio legislativo dei lavori pubblici relativo all’acquedotto consorziale dell’Alta Irpinia, mentre Ariano, comune di trentamila abitanti, difetta di acqua potabile, avendo una tubolatura inquinata da infiltrazioni e con scarsissimo rendimento, per cui nella città il tifo è quasi endemico. Per conoscere altresì se invece l’onorevole Ministro non ritenga opportuno e di giustizia disporre che Ariano derivi l’alimentazione idrica dall’acquedotto pugliese, non essendo valide e fondate le ragioni che l’Ente obietta in contrario»;

Costa, Bettiol, Merlin Angelina, e Gui, ai Ministri dei lavori pubblici, della pubblica istruzione e del tesoro, «per sapere se sia vero che, mentre è già stato promulgato e pubblicato un decreto legislativo del Capo dello Stato, che proroga il termine per l’esecuzione del piano regolatore della città di Ferrara, viceversa non si intenda provvedere, per analoga proroga del termine, scadente il 31 corrente, di esecuzione del piano regolatore della città di Padova, e ciò su invito, non prescritto, della Ragioneria generale dello Stato, mentre il Ministero dell’istruzione ancora non ha dato il parere prescritto di competenza propria»;

Miccolis, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere se risulta rispondente a verità quanto è stato pubblicato dal quotidiano II Globo del 18 luglio 1947, secondo cui granoturco avariato per uso zootecnico viene venduto all’asta ad un prezzo più che raddoppiato o quasi triplicato rispetto a quello di lire 1600-1900 corrisposto dagli ammassi agli agricoltori, i quali in genere sono nel tempo stesso allevatori ed acquirenti di mangimi. Se gli risulta che il fatto denunziato dalla stampa alla pubblica opinione si riferisce ad un caso eccezionale di speculazione, che a nessun privato sarebbe consentita, oppure ad un sistema instaurato dagli enti ammassatori, i quali per sottoprodotti, commisti a materiale estraneo di ogni natura fino al 90 per cento, richieggono prezzi di gran lunga superiori ai prodotti genuini. Se l’onorevole Ministro ritiene simile commercio, monopolistico ed esoso, lecito e capace di favorire la produzione di carni, grassi, latticini con conseguente contrazione di prezzi».

È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È pervenuta alla Presidenza la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza.

«Al Ministro degli affari esteri, per conoscere il suo avviso sulla richiesta dell’Amministrazione comunale di Chioggia – città di 50 mila abitanti – intesa a partecipare alle trattative in corso per la stipulazione dell’accordo commerciale italo-jugoslavo.

«È da ritenere che nella negoziazione del trattato il Ministero degli affari esteri italiano possa giovarsi, per quanto non difetti di tecnici né del materiale statistico necessario, dell’offerta di rappresentanti dell’Amministrazione comunale, non essendovi del resto ragione plausibile per respingerne l’utile collaborazione, tenuto conto dell’importanza che ha la pesca nell’Adriatico, per Chioggia e per decine di Comuni minori della provincia di Venezia, cui è legata – con gli interessi nazionali – la vita di quelle laboriose popolazioni.

«Ghidetti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Il Governo si riserva di far conoscere quando intenda rispondere.

Interrogazioni e interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, per conoscere il motivo pel quale alla provincia di Reggio Calabria, anziché il quantitativo spettante di grano, vengono inviati sfarinati e pasta alimentare (quest’ultima spesso di qualità scadente o deteriorata), con l’effetto di paralizzare l’importante industria della molitura e pastificazione (proprio mentre si afferma e riconosce da ogni parte che nelle regioni meridionali è giusto, necessario e doveroso favorire il massimo sviluppo delle industrie locali), e di aggravare il fenomeno della disoccupazione, col danno di un grande numero di esperti lavoratori che nella suddetta industria hanno collocamento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) quando saranno iniziati i lavori per il famoso doppio binario Messina-Catania;
  2. b) quando le littorine attenderanno alla stazione Messina-Marittima i passeggeri che vengono dal Nord, evitando loro il gravoso trasporto di bagagli e una defaticante rincorsa, per prendere le littorine ferme alla stazione Messina-Centrale;
  3. c) quando sarà ricollocata la tettoia della stazione centrale di Catania, tolta nel periodo bellico e non più rimessa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sapienza».

«Il sottoscritto chiede d’interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere i reali motivi che hanno indotto il Governo a procrastinare fino al 30 giugno 1948, e cioè praticamente fino a dopo la convocazione dei comizi elettorali, l’istituzione del «confino di polizia», uno dei più efficaci strumenti della dittatura fascista; provvedimento, codesto, che offende gli imprescrittibili diritti della libertà riconquistata dal popolo italiano a prezzo di sofferenze e di sangue e lede il diritto dell’Assemblea di definire quella parte della legge elettorale, sottoposta al suo esame, che riguarda la sospensione dal diritto elettorale (articolo 47 legge elettorale).

«Bencivenga».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse dei Ministri competenti per la risposta scritta.

L’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 18.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 11:

  1. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Tega, per concorso nel reato di vilipendio della Magistratura. (Doc. I, n. 9).
  2. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Bernamonti, per il reato di diffamazione a mezzo della stampa. (Doc. I, n. 14).
  3. – Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro De Giglio Angelo, per il reato di vilipendio delle istituzioni costituzionali. (Doc. I, n. 19).
  4. – Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 18 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXIII.

SEDUTA DI SABATO 18 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Presentazione di una relazione:

De Palma

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Nitti

Perassi

De Vita

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Corbino

Nobile

Costantini

Tosato

Targetti

Persico

Veroni

Condorelli

Nobili Tito Oro

Uberti

Presentazione di una relazione:

Colitto

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 11.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Angelucci, Fantoni e Gasparotto.

(Sono concessi).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione per l’esame delle leggi elettorali, nella sua riunione di ieri, ha nominato Presidente l’onorevole Scoccimarro e Vicepresidente l’onorevole Fuschini.

Presentazione di una relazione.

DE PALMA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE PALMA. Mi onoro di presentare all’Assemblea la Relazione sul disegno di legge:

«Approvazione dello scambio di note effettuato fra l’Italia e la Francia, il 1° giugno 1946, circa il recupero di navi mercantili francesi affondate in acque territoriali italiane».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Onorevoli colleghi, nel corso dei nostri lavori avevamo soprasseduto all’esame del secondo comma dell’articolo 52, nel quale viene inizialmente impostato il problema della costituzione dell’Assemblea Nazionale.

È giunto il momento di esaminare e risolvere tale questione.

Il secondo comma dell’articolo 52 dice:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione».

A questo comma sono stati presentati alcuni emendamenti.

L’onorevole Nitti ha proposto di sopprimerlo.

Ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

NITTI. Io spero che sia tolta tutta quella parte dell’articolo 52 che riguarda l’equivoco dell’Assemblea Nazionale. Puro equivoco perché si vuole costituire – come ho accennato l’altra volta – una terza Camera al di sopra delle altre, cosa che non esiste in nessun Paese. Lo ripeto, perché vedo che si nega, facendo confusione. Assemblea Nazionale vuol dire in Francia soltanto Camera dei deputati; e poi, al di fuori della Camera dei deputati, c’è (ed è solamente in Francia in questa forma) il Consiglio della Repubblica, cioè il Senato, il quale è composto da un piccolo numero di persone.

Noi aumentiamo fino al paradosso tutti gli organi legislativi.

Noi facciamo adesso un Senato che sarà presso a poco di 550 o 600 persone, e più, con le aggiunte che si vogliono fare, aumenterà; e abbiamo una Camera dei deputati numerosissima.

E poi vogliamo fare permanente – qui è l’assurdo! – un’Assemblea, che noi chiamiamo Nazionale, ma che non ha niente a che fare con l’omonimo Senato francese, ma che non è altro che l’unione permanente di Camera dei deputati e Senato, che devono decidere d’un certo numero di questioni.

Qui è tutto l’equivoco. Perché? Perché si fissano anche le attribuzioni di questa nuova e strana Assemblea che è creata per l’occasione e che non ha, nella forma in cui è, né precedenti da noi, né precedenti altrove. Assemblee del tipo proposto sono solo prodotto di fantasia.

Lasciamo stare qualche piccolo Paese mal congegnato. Dove esiste – io domando al relatore – un’Assemblea Nazionale del tipo che si vuole formare da noi, che si sovrappone all’altra? È solo assurda fantasia.

Qual è la funzione di questo organo? In fondo, non si tratta che di riunire queste due Assemblee, Camera e Senato, perché su certe questioni determinate decidano insieme. Dunque non c’è niente di nuovo nella composizione. Si tratta solo della forzata unione di Camera e Senato per certe questioni. Finora la Camera ed il Senato si riunivano solo in una occasione solenne. Ora Camera e Senato si dovrebbero riunire, secondo l’idea che è venuta fuori non so come, per le cose più diverse e, se mi permettete, più assurde. Camera e Senato si riunirebbero in Assemblea per decidere:

Primo: la nomina del Capo dello Stato. Fin qui siamo d’accordo, è perfettamente regolare. Questo si fa in Francia e si fa nei Paesi dove è proprio dalle Camere legislative che dipende la nomina del Capo dello Stato. Questa Assemblea, che dovrebbe essere chiamata Assemblea Nazionale, esiste in Francia, nel senso che la Camera ed il Senato si riuniscono soltanto per nominare il Capo dello Stato. Ma ciò è cosa di un giorno. È come un giorno di festa. Vengono migliaia e migliaia di persone, vengono donne da tutto il Paese per assistere all’avvenimento. Non c’è niente di più solenne. La cerimonia della nomina si fa a Versaglia. Versaglia, secondo la Costituzione, doveva essere la sede della capitale, perché durante il periodo della Comune, la città di Parigi era stata in continuo subbuglio ed allora si era voluto trasportare via la capitale. Poi di nuovo è stata riportata a Parigi. Ora, le Assemblee si riuniscono a Versaglia e nominano il Capo dello Stato. Questa funzione non dura più di poche ore perché nella parte principale è assorbita dai trattenimenti che non hanno niente a che fare con l’elezione del Capo dello Stato. Quando il Presidente è eletto, si mette in una vettura e va con le Guardie della Repubblica solennemente a Parigi.

Questa è la funzione della Camera legislativa formata dalle due Camere e nient’altro che questa e finisce sempre lo stesso giorno. Ora, noi non ci fermiamo qui, perché questa sarebbe una cosa logica, ma, siccome in Italia si vuol far tutto all’in grande, si creano anche le Camere così numerose che non esistono altrove, e si danno a queste Camere funzioni che non hanno altrove. Noi siamo disposti a ingrandire tutto. Siamo un’Assemblea provvisoria che non ha altre funzioni o che non dovrebbe avere altre funzioni che fare quella Costituzione che non riusciamo a fare, perché perdiamo del tempo a discutere anche le cose più inutili.

Noi vogliamo attribuire a questa Camera legislativa nuova, questa supercamera formata, alte funzioni. Quali sono queste funzioni? Prima di tutto, fare l’elezione del Presidente. Questa funzione dura solo qualche ora. In Francia, questa riunione delle due Camere si scioglie lo stesso giorno. Ognuno va per la sua via.

Nessuno pensa mai all’assurdo di dar loro un ufficio permanente con funzioni permanenti. Questo non c’è.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non c’è neppure qui.

NITTI. Quali sono le altre funzioni? Si è concepita una Camera nuova che si sovrappone alle due altre. Si sono poi inventate funzioni illogiche. La prima funzione, importante nell’apparenza, è di dichiarare la guerra e di regolare il momento e gli scopi della guerra. Questa funzione è soltanto ridicola, e non vi è ragione che l’assumano le due Camere riunite insieme. In tutti i paesi la Camera dei deputati e il Senato votano la guerra o non la votano. Noi non abbiamo premura; noi non siamo in condizioni di fare la guerra a nessun Paese. Disgraziatamente e opportunamente questi problemi che preoccupano gli altri popoli non ci riguardano in questo periodo della nostra storia.

In Francia, come è regolata la cosa? Il Senato e la Camera hanno funzioni diverse: il Senato studia e prepara, la Camera dei deputati vota. Ma ciò avviene in due momenti diversi e in due funzioni diverse.

Noi invece le vogliamo unire. Si riuniscono in mille persone, deputati e senatori insieme, e non sanno che fare. Stanno bene separatamente.

Voi avete votato che l’Italia non deve fare la guerra; abbiamo votato un articolo che sopprime la guerra, come se la cosa dipendesse da noi. La verità, invece, è che non possiamo fare la guerra, anche se la vogliamo. Dunque, è un problema non immediato. Ora, mille persone si riuniscono insieme per regolare questa terribile materia: se fare o non fare la guerra; bisogna per lo meno domandare se fanno o no sul serio.

Vi è poi una terza funzione, e piuttosto comica, che si vuole attribuire all’Assemblea legislativa: l’amnistia. Questa assurdità non è mai avvenuta in nessun Paese della terra. Perciò, la Camera dei deputati e il Senato, composti da oltre un migliaio di persone che non sono giuristi e fra chi solo alcuni hanno solo un’idea approssimativa della parola amnistia, si dovrebbero riunire per decidere se fare o non fare l’amnistia. Si può far ridere di più che con questa ipotesi? L’amnistia è argomento così tecnico che solamente dei giuristi professionali la devono preparare.

Io ho dovuto fare la più grossa amnistia, che mi fu rimproverata, ma della quale ho motivo di essere orgoglioso. Si vide poi che avevo ragione. L’amnistia che io feci riguardava 600 mila persone. Voi tutti, suppongo, sapete che cosa vuol dire fare una amnistia. Fare un’amnistia vuol dire rendersi conto di tutte le leggi che concernono la materia in questione. Io chiamai allora il maggior giurista e procedurista italiano del tempo, Ludovico Mortara, che era anche Ministro della giustizia, e fui assistito anche dai capi militari e soprattutto – quello di cui i miei accusatori fascisti non tennero conto quando mi vollero rimproverare questa amnistia – dai generali Diaz ed Albricci, i quali ne assunsero tutta la responsabilità dal punto di vista militare. Io chiamai questi generali per emanare l’amnistia. Vi assicuro che non riuscivo a raccapezzarmi quando mi portarono il primo schema di decreto di amnistia, con tutte quelle citazioni e riferimenti a leggi speciali. In tutta quella inviluppata materia io mi sentii confuso e pregai l’amico Mortara di venire da me per rendermi più facile lo studio, in quanto io non potevo dedicare settimane a studiare daccapo l’amnistia.

Ora voi con questo progetto volete far decidere l’amnistia da mille persone quasi tutte incompetenti. Si è mai vista una cosa più assurda e ridicola? Io suppongo che non tutti potranno essere competenti qui in questa difficile materia. Supponiamo che due o trecento persone siano più o meno informate; ma mille e più e tutti dovremo essere competenti a discutere nel dettaglio l’amnistia.

La Camera dei deputati può fare un voto, e così pure il Senato; d’accordo, ma non possono decidere l’amnistia, e tanto meno prepararla.

Quando io decisi la cosiddetta «amnistia dei disertori», la proposta venne dall’onorevole Turati, di accordo con tutti i suoi amici. Si limitarono ad esprimere un voto. Io volli riflettere: si trattava di seicentomila persone incolpate di gravi reati. Rendevano le campagne di tutta Italia oltremodo malsicure ed aumentavano il fermento degli animi che pareva ormai divenuto insostenibile. Io volli dapprima studiare dal punto di vista sociale la questione; seicentomila persone non si potevano mettere in carcere in un Paese che non ha trentamila posti soli. Tutte le cose in Italia si fanno sommariamente, un giorno per il nazionalismo, poi per il fascismo ed ora per tutte queste utopie. Prima le povere Assemblee politiche del fascismo e ora le assurde ed enormi Assemblee che ci propongono. Ebbene vi prego, signori, non possiamo fare nuovi scherzi di cattivo genere. Questa Assemblea si riunisce per decidere ogni sette anni (io proporrei ogni quattro anni come in America) la nomina del Capo dello Stato e fin qui sta bene; si riunisce poi per la guerra. Voi non farete guerre ogni giorno, perché noi non siamo in condizioni di farle e non le faremo. Cosa deve fare dunque questa Assemblea? Le amnistie: non avrebbe altra funzione che quella di fare amnistie. Questa Assemblea è particolarmente incompetente e probabilmente la maggior parte dei suoi membri non comprende che cosa giuridicamente sia un’amnistia e tutte le cognizioni che questa amnistia rende necessarie.

BOZZI. Ma l’Assemblea, secondo il progetto, ha anche il voto di fiducia.

NITTI. Voto di fiducia? come e perché? Signori, queste cose noi non siamo in condizioni di farle. Che cosa farebbe tutto l’anno questa povera Assemblea costituzionale? Io non mi preoccuperei se questa Assemblea Costituente, come risulta dagli articoli del progetto, non fosse permanente e non minacciasse di dilatarsi ancora.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non è permanente!

NITTI. Ebbene qui dovremmo costituire una superassemblea con Camere e magistrature ancora più numerose! Si arriva poi all’assurdo, di ficcare questa superassemblea anche nelle questioni in cui si tratta direttamente del Governo, perché quando, nell’attrito che si può verificare, il Governo non vuole dimettersi, o non intende dimettersi, deve essere convocata questa superassemblea di mille persone per dirimere questioni di questa natura. Tutto questo è assurdo, oltre che paradossale, tutto questo non può avere applicazioni pratiche. Lasciamole a qualche piccolo giurista, o a qualche professore, queste divagazioni. La nostra razza di professori quanto male spesso ha fatto con le migliori intenzioni!

Noi non dobbiamo legiferare e tanto meno per l’avvenire. Noi dobbiamo seguire i fatti, non li possiamo cambiare secondo la nostra volontà.

Io dunque vorrei che tutta questa parte scomparisse. Non è questione di modificare un articolo od un altro, ma di sopprimere l’Assemblea Nazionale come è stata concepita, perché l’Assemblea Nazionale come unione delle due Camere per la nomina del Presidente, e se volete per la dichiarazione di guerra, può anche andare, ma ficcarci dentro tante cose, come l’amnistia, per cui l’Assemblea diventa permanente, con uffici permanenti…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

NITTI. Ed allora, mi faccia vedere come funziona.

PERASSI, Relatore. Come la vecchia Assemblea Nazionale francese.

NITTI. L’Assemblea Nazionale francese è adesso la Camera dei Deputati.

PERASSI. Io parlo dell’Assemblea Nazionale francese della Costituzione della terza Repubblica del 1875.

NITTI. Benissimo. Allora, l’Assemblea 1875 non si è occupata dell’amnistia.

PERASSI. Si è occupata della revisione della Costituzione. Lei, come professore di scienza delle finanze, ricorderà una notevole legge francese, all’epoca del Presidente Doumergue, a proposito della tassa di ammortamento. Fu una legge costituzionale. Ed a questo scopo venne riunita a Versailles l’Assemblea Nazionale, la quale non era un organo permanente.

CLERICI. In Svizzera funziona.

NITTI. Il Presidente Doumergue a quel tempo aveva una idea non felice di fare una specie di revisione della Costituzione, senza dichiarare che doveva arrivare appunto a qualcosa che era un documento reazionario. Questo era lo scopo di Doumergue, che non ebbe fortuna, perché egli dovette subito andar via. Quindi, l’Assemblea francese non fece niente di quello che può interessare.

Un’Assemblea di carattere permanente, come questa che si vuole con l’Assemblea Nazionale proposta, non è esistita, e non esiste, perché questa Assemblea, dopo che avrà votato il Presidente della Repubblica (voi dite ogni sette anni, io penso ogni quattro) se ne va e non può fare più altro, salvo che non vogliate attribuirle l’assurdo di farle fare l’amnistia. Ma voi volete fare questa Assemblea in tale forma che le date pure un superpresidente.

PERASSI. È uno dei due.

NITTI. Sì, ma li mettete vicini come uffici.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, è escluso. Non v’è un ufficio apposito.

NITTI. Come volete allora che funzioni?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Come funzionava in Francia.

NITTI. Ma in Francia l’Assemblea Nazionale si riuniva in generale a lunghi intervalli e solo per la nomina del Presidente della Repubblica per uno o due giorni al più e quasi sempre per poche ore.

Come volete che funzioni se avendo un carattere speciale di permanenza…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vi è permanenza.

NITTI. Non si riunisce soltanto in una occasione. Questa Assemblea che avete creato dandole numerose funzioni, deve per forza avere un suo ufficio, e anzi numerosi uffici. Quale sede essa ha? Per un’Assemblea simile non basta nessun edificio di Roma e forse nemmeno piazza Colonna.

PERASSI. Non ha né ufficio, né sede.

PERSICO. Ha il regolamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Solo il regolamento.

NITTI. Quando stabilisce il suo regolamento stabilisce anche la sua permanenza, la sua esistenza.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Un regolamento deve esservi anche per una sola adunanza.

NITTI. Se l’Assemblea riunisce mille persone per fare un regolamento, deve avere degli uffici e per avere degli uffici deve proporsi dei compiti permanenti.

Ora, questa Assemblea deve finire il giorno in cui si è riunita per quello scopo determinato. Invece essa è congegnata in guisa che deve per forza rimanere permanente ed io potrei leggere tanti articoli con i quali si dimostra che l’Assemblea Nazionale non avrà nessuna voglia di andarsene a casa e che quando sarà costituita funzionerà permanentemente.

Siccome ogni organismo giuridico, come ogni organismo umano, tende a durare e svilupparsi, questa Assemblea non vorrà mai andar via immediatamente dopo essersi riunita. Il lavoro affidatole dovrebbe naturalmente finire in un brevissimo periodo che deve essere di uno o due giorni, periodo in cui le due Camere si riuniscono per eleggere il Presidente. Ma deliberare la guerra e nello stesso tempo l’amnistia e decidere delle crisi ministeriali è cosa che richiede molti giorni. Come ciò può concludersi immediatamente se affidate alle Camere riunite una funzione che ha carattere permanente? Voi dovete dire semplicemente che nei casi previsti, come per la nomina del Presidente, si riuniscono Camera e Senato, come dice la legge francese, e togliere la parola Assemblea Nazionale. In questo caso saremo d’accordo.

La Camera dei deputati ed il Senato si riuniscono per deliberare ed è finito. Allora non c’è più l’equivoco.

Perché dunque volete che le Camere riunite si diano un regolamento particolare? Vi è solo da stabilire chi presiederà queste riunioni e lo avete già stabilito. (Interruzioni dei deputati Tonello, Veroni e Persico).

Io vorrei, quindi, senza entrare in troppi dettagli, che si parlasse di Camera e Senato riuniti per quelle questioni delle quali si affida ora la decisione all’Assemblea Nazionale includendo dopo la nomina del Presidente della Repubblica ed al di fuori dell’amnistia, che è un assurdo, quanto riguarda la dichiarazione di guerra.

Dunque, la Camera ed il Senato si riuniscono; ed allora, se voi volete chiamare la riunione di queste due Camere «Assemblea Nazionale» senza dare a questa alcuna funzione e senza far sì che si possa determinare l’unione permanente di queste due Assemblee, non ci sarebbero opposizioni trattandosi di una semplice questione di denominazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Siamo d’accordo.

NITTI. Allora bisognerà fare la legge con questa chiara dizione, senza parlare di regolamento, perché allora si confonderebbe.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Possiamo toglierlo.

NITTI. Io credo che se la Commissione vorrà incaricarsi di fare una revisione in questo senso, non ci sarebbe nessuna difficoltà ad essere d’accordo, e credo che, chiarito questo punto, ci saremo tolti da una penosissima situazione.

Presentazione di una relazione.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Mi onoro di presentare la relazione della Sottocommissione incaricata dell’esame del disegno di legge: «Modificazioni al Codice penale per la difesa delle istituzioni repubblicane».

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento all’articolo 52:

«Al secondo comma, alle parole: nei casi preveduti dalla Costituzione, sostituire le parole: nei casi preveduti dagli articoli 75 e 79.

«Correlativamente, sopprimere il secondo comma dell’articolo 87 e il terzo comma dell’articolo 88».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. Questo emendamento è connesso con l’emendamento già svolto dall’onorevole Macrelli; credo pertanto che non abbia bisogno di ulteriore svolgimento.

Ritengo che l’Assemblea Nazionale debba avere soltanto i poteri di cui agli articoli 75 e 79 e non ritengo invece opportuno che l’Assemblea stessa deliberi in ordine a quanto è previsto nel secondo comma dell’articolo 87 e nel terzo comma dell’articolo 88.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non arrivo a comprendere la ragione e la logica di questo emendamento De Vita. Non possiamo anticipare le decisioni per date funzioni da attribuirsi all’Assemblea Nazionale, né per altre da escludersi. Checché avvenga in seguito, se si riducono le proposte di attribuzioni indicate nel progetto, il testo sempre rimarrà: «casi preveduti dalla Costituzione».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Ho non sono favorevole all’Assemblea Nazionale così come è configurata nel testo della Costituzione. Credo, anzi, che in questa forma noi non potremmo più neanche prenderla in considerazione, perché l’Assemblea ha già deliberato che il Parlamento debba funzionare sul sistema della bicameralità. Qualunque cosa intacchi questo principio fondamentale, su cui l’Assemblea si è ripetutamente espressa, urterebbe, a mio giudizio, contro la disposizione generale in base alla quale noi non possiamo approvare norme che siano in contradizione con quelle precedentemente approvate. C’è però nel concetto dell’Assemblea Nazionale concepita dal progetto di Costituzione un qualche cosa che noi possiamo accettare e siamo disposti ad accettare, e cioè il funzionamento delle due Camere riunite, non più come ente avente una personalità costituzionale a sé, per decidere su determinati casi. Non starò qui a ripetere quanto è stato detto a proposito di tutti i casi che nel progetto di Costituzione richiederebbero l’intervento dell’Assemblea Nazionale: quello che, ad esempio, è stato detto a proposito dell’amnistia credo ci trovi tutti concordi. (Approvazioni).

Penso poi, che sia da escludere l’ipotesi di affidare all’Assemblea Nazionale la deliberazione della mobilitazione: ci aggrediscono, occupano il nostro territorio, e non sappiamo come e dove si dovrebbe riunire l’Assemblea Nazionale per deliberare la mobilitazione delle Forze armate. Potrebbe essere questo un argomento per chiedere che ci restituiscano le colonie, perché vi sia almeno un punto sicuro dove eventualmente l’Assemblea Nazionale potrebbe essere convocata! (Commenti).

Vi sono altri due punti che richiedono un esame accurato rispetto alla funzione da assegnare all’Assemblea Nazionale: quello della dichiarazione di guerra, per il quale si può ammettere che questo atto solenne sia compiuto dalle Camere riunite, e quello che, negli articoli dei quali l’onorevole De Vita propone la soppressione, rinvia all’Assemblea Nazionale il voto di fiducia al Governo, sia al momento in cui il Governo si forma dopo le elezioni generali, sia nell’ipotesi che una delle due Camere neghi la fiducia al Governo esistente.

Io ricordo che un principio elementare di aritmetica vuole che non si possano sommare cose eterogenee. Ora, come stanno le cose? Un senatore, dato il numero dei senatori che noi abbiamo fissato, ha in sé un duecentoquarantesimo del potere del Senato, mentre un deputato ha approssimativamente un cinquecentosessantesimo del potere della Camera. Ciascun senatore è uguale a tutti gli altri senatori, nel Senato, come ciascun deputato è uguale a tutti gli altri deputato, nella Camera. Ma, quando noi li mettiamo insieme in un organismo unico, due sono le possibilità: o noi adottiamo il criterio della ponderazione, come si usa nei numeri indici, o noi sommiamo delle frazioni che non hanno lo stesso denominatore.

È evidente, infatti, che quando noi mettiamo insieme duecentoquaranta senatori con cinquecentosessanta deputati, è come se mettessimo un organo collegiale fatto da due insieme con un organo collegiale fatto da cinque. (Commenti).

TONELLO. Sono tutti rappresentanti del popolo.

CORBINO. Un momento: spiego subito che cosa avverrebbe. Facciamo un esempio concreto. Poniamo che il Governo, ottenuta la fiducia presso la Camera dei Deputati con 30 voti di maggioranza, se la veda negata dal Senato con 5 voti di minoranza. Riuniamo allora l’Assemblea Nazionale e il Governo avrà la fiducia con 15 voti di maggioranza. Che cosa conta allora la sfiducia della seconda Camera? Non conta nulla, ed il risultato sarà che la seconda Camera, non avendo potuto rovesciare il Governo, boccerà sistematicamente tutti i disegni di legge che il Governo le sottoporrà, in quanto non le si presenta altro mezzo per uscire da questa situazione. È evidente quindi che il rimettere all’Assemblea Nazionale il voto di fiducia al Governo o l’esame del conflitto fra il voto di sfiducia di una Camera e il voto di fiducia dell’altra significa non risolvere il problema. Si noti che il caso si presenta proprio quando la fiducia o la sfiducia sono ai margini; perché un Governo, il quale, fatti i conti, veda che dalla riunione dell’Assemblea Nazionale non gli verrebbe un voto di fiducia, anche se l’ha avuto in una sola delle due Camere, si dimetterà subito. Il Governo non si dimetterà proprio nel caso in cui, fatti i conti, esso avrà la certezza che l’Assemblea Nazionale non gli dà la sfiducia. E allora, a quali conflitti andiamo incontro?

Ecco perché io ritengo che se noi vogliamo o dobbiamo accettare il principio di una riunione plenaria dei due organi costituzionali per il caso dell’elezione del Capo dello Stato ed eventualmente per la dichiarazione di guerra, dobbiamo escluderlo per tutti gli altri casi, nei quali l’Assemblea verrebbe ad avere la funzione di una Camera sola, superiore alle volontà delle due Camere che la formano, alterando o sopprimendo addirittura il principio della bicameralità, che noi abbiamo ripetutamente votato. (Applausi a destra).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Lo stesso onorevole Nitti ha ricordato implicitamente che esiste qualche paese il quale ha adottato questo istituto dell’Assemblea Nazionale; e infatti, uno di questi – non so se ve ne siano altri – è la Cecoslovacchia.

L’articolo 6 della Costituzione della Cecoslovacchia dice così:

«Il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Nazionale, che si compone di due Camere: la Camera dei deputati e il Senato». E fissa poi più avanti le attribuzioni di questa Assemblea Nazionale, e dice che essa si riunisce nei casi previsti dai paragrafi 56, 59, 61 e 65. Però tutti e quattro questi paragrafi si riferiscono in realtà all’elezione del Presidente della Repubblica, perché nel paragrafo 56 si parla dell’elezione del Presidente come prima nomina; nel 59 si parla dell’elezione del Presidente in caso di morte del predecessore; nel paragrafo 61 si parla della nomina di un supplente, nel caso che il Presidente sia impedito o ammalato, e finalmente, nel paragrafo 65, si parla dell’Assemblea Nazionale riunita per accogliere il giuramento del Presidente.

In realtà, quindi, questa Assemblea Nazionale nella Costituzione cecoslovacca non ha altre funzioni che quella relativa alla nomina del Presidente della Repubblica. Essa non ha altre funzioni, nemmeno quella che si vorrebbe dare all’Assemblea Nazionale nella nostra Costituzione, per quanto riguarda il voto di sfiducia al Governo, perché il voto di sfiducia è regolato dall’articolo 78 di quella Costituzione, il quale dice così: «Se la Camera dei deputati esprime la sua sfiducia al Governo, questi deve rassegnare le dimissioni»; vale a dire che chi pronuncia la sfiducia al Governo è la Camera dei deputati, e non il Senato e nemmeno l’Assembla Nazionale.

Quindi, delle varie attribuzioni che si vorrebbero dare nella nostra Costituzione all’Assemblea Nazionale, in realtà non ce n’è che una sola che trovi un precedente nella Costituzione cecoslovacca.

Questo è quanto volevo dire. Il resto, poi, è questione di nomi: se le due Camere riunite si debbano chiamare Assemblea Nazionale, è una pura questione di denominazione. Il fatto è che se si danno a questa Assemblea Nazionale molte attribuzioni, se le si desse, ad esempio, una funzione importante come quella di pronunciare la sfiducia al Governo, indubbiamente questa Assemblea Nazionale dovrebbe avere un ufficio, essere regolarmente costituita, ecc., e sorgerebbero allora quei pericoli ai quali ha accennato l’onorevole Nitti, vale a dire che si avrebbe inevitabilmente un’Assemblea che tenderebbe a sovrapporsi alle due Camere.

Per queste ragioni sono contrario all’istituzione dell’Assemblea Nazionale.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Onorevoli colleghi, ho brevi considerazioni da fare, a titolo personale e non in rappresentanza del mio Gruppo, perché gli oratori che mi hanno preceduto hanno già enunciato qualcuno dei motivi che mi fanno contrario al funzionamento di questa Assemblea Nazionale.

La nostra Assemblea si è pronunciata a favore del sistema bicamerale, il che significa che deve aversi un funzionamento distinto e separato della Camera dei Deputati e del Senato.

Questa disposizione, questa concezione ha la sua ragion d’essere inquantoché è da ritenersi che attraverso questo separato funzionamento – che implica separato esame, separata discussione, separata decisione – sia possibile ad una Camera correggere un errore, ovviare le manchevolezze, forse anche rettificare le decisioni precipitose dell’altra Camera.

Ora, quando i due organismi si riuniscano e di essi, che sono due, se ne faccia un solo, sia pure per discutere determinati problemi, noi veniamo sostanzialmente a violare il principio della bicameralità. In effetti questa violazione è pregiudizievole anche sotto un altro punto di vista, in quanto io non credo che sia utile far discutere da Assemblee troppo numerose (anche per l’esperienza, sia pur breve, dei nostri lavori) problemi di qualche importanza e di qualche gravità. Non è detto che aumentando il numero dei partecipanti ad una discussione si moltiplichino i pregi, forse se ne moltiplicano i difetti.

Ora, fra i compiti deferiti a questa Assemblea Nazionale vi sarebbe quello dell’amnistia, su cui ci ha intrattenuti l’onorevole Nitti, quello della dichiarazione di guerra e quello del voto di fiducia o sfiducia al Governo.

Io osservo, onorevoli Colleghi, che nella questione del voto di fiducia o sfiducia al Governo – così come ci è stata prospettata dall’onorevole Corbino – sta un solo lato della questione. Vi è però un altro lato, quello della opportunità che una Assemblea di circa mille fra deputati e senatori discuta questa materia, perché abbiamo già veduto che le discussioni fatte nel solo Parlamento – Assemblea Costituente – nei riguardi della fiducia al Governo, si sono trascinate per qualche settimana per cui viene naturale chiedersi, se domani dovesse l’Assemblea Nazionale discutere la fiducia o la sfiducia al Governo, se non avremmo una carenza di Governo che durerà qualche mese.

E allora non è conveniente mantenere il funzionamento separato di questi due organismi, funzionamento che tutelerà quei principî che ci hanno determinato ad essere favorevoli al bicameralismo?

In effetti, vi può essere una materia nella quale l’Assemblea Nazionale dovrebbe convocarsi – attraverso la riunione dei componenti delle due Camere – e questa è proprio quella della nomina del Capo dello Stato perché è una funzione semplicemente elettorale, dove non si avranno delle discussioni particolari da fare, dove il compito dei singoli membri sarà quello di scrivere un nome su una scheda, mettere la scheda nell’urna e tutto sarà finito.

Ma ritengo che, al di fuori di questa funzione, l’Assemblea Nazionale non si debba riunire per nessun’altra questione e questo per le ragioni di opportunità già dette e per rispetto di quel principio di esame duplice e separato, di discussione distinta, di separata decisione che costituiscono la caratteristica del sistema bicamerale adottato a tutela della nostra democrazia.

NITTI. Chiedo, di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io devo chiarire ancora un punto.

Noi abbiamo parlato e parliamo di Assemblea Nazionale ma le parole: «Assemblea Nazionale» danno luogo a molti equivoci, perché in Francia l’Assemblea nazionale non è che la Camera dei deputati. In Italia questa espressione indica soltanto un equivoco: Camera dei deputati e Senato, non già Camera e Senato, uniti insieme.

Ma bisogna mettere in guardia contro alcune espressioni perché vi è qui proprio all’articolo 61 la conferma della mia preoccupazione, perché si dice: ciascuna Camera e l’Assemblea nazionale adottano il proprio regolamento… Ma quale regolamento? Ognuna ha il regolamento suo, ognuna si riunisce separatamente o insieme all’altra Camera, ma sempre secondo il regolamento che è stabilito.

TOSATO. E quando sono insieme?

NITTI. Funziona il regolamento solo se vi sono compiti e uffici permanenti. Ma dobbiamo ad ogni costo evitare l’equivoco non sufficientemente determinato della terza Camera.

In Francia la Costituzione ha stabilito il numero dei senatori. Ed ecco la preoccupazione dell’onorevole Corbino. La Costituzione francese ha stabilito: il numero dei senatori è determinato tassativamente. Il Senato non può essere inferiore a 250 membri né superiore a 300 membri. Quindi tutto è determinato. Ma il fatto più grave è questo. In Francia (mi riferisco alla decisione a proposito della dichiarazione di guerra) la funzione delle due Camere di fronte alla guerra è nettamente stabilita. La guerra non può essere votata dall’Assemblea nazionale senza un avviso, senza una decisione precedente del Consiglio della Repubblica, cioè del Senato. Quindi, il Consiglio della Repubblica, cioè il Senato, propone e la Camera dei deputati decide.

Queste funzioni sono nettissimamente definite.

Si deve evitare che ci sia una terza Assemblea la quale decida poi al di sopra, come avviene per le dimissioni o per le crisi ministeriali. Questa superfetazione assurda deve assolutamente scomparire. Se il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri non possono essere licenziati per un voto contrario, è assolutamente assurdo che si riuniscano poi Camera dei deputati e Senato per decidere che cosa si debba fare.

È un procedimento così tumultuario e stravagante, che non si potrà trovare una via di soluzione. Quindi, quando il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri hanno il voto contrario di una delle due Camere è inutile metterle insieme. Il Consiglio dei Ministri prenderà le decisioni che sono inevitabili: si dimetterà o verrà una crisi. Non possiamo prevedere tutte queste cose. Non sono cose che si mettono in articoli di legge. E in una ipotesi di crisi volete riunire qualche migliaio di legislatori. Non c’è nessuna sede in Roma che possa riunire questa stranissima Assemblea che non si sa che cosa sia.

Fissiamo nettamente le funzioni che devono esplicare insieme. Per questo occorrerà qualche giorno all’anno; ma senza nessun ufficio che possa avere carattere di permanenza, e senza nessuna attribuzione che possa dar luogo ad equivoci. In questo senso credo che l’opera della Commissione sia facile.

Accordiamoci su questi punti essenziali che ci liberano il cammino da questo imbarazzo.

PRESIDENTE. L’onorevole Tosato ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

TOSATO. L’istituto dell’Assemblea Nazionale, quale è previsto dal progetto di Costituzione, ha turbato e turba tuttora molti onorevoli colleghi. Specialmente l’onorevole Nitti, mi pare, è intervenuto più volte nell’argomento, e qualche volta anche in termini poco amabili. Egli ha richiamato l’attenzione dell’Assemblea su questa stoltezza, questa bestialità, questa mostruosità, che sarebbe l’Assemblea Nazionale: una di quelle tali cose che saranno consegnate a quel tal libro che scriverà Benedetto Croce: «Die Geschichte der Monstruositäten». Ad ogni modo, questa mattina l’onorevole Nitti, in definitiva, dopo tutto quello che ha detto, ha concluso che si tratta di un equivoco; e, in sostanza, di una questione di parole, se ho bene intesa la conclusione dei suoi interventi.

Ad ogni modo, andiamo direttamente alla sostanza. I problemi che possono sorgere intorno all’Assemblea Nazionale sono di triplice ordine: intorno alla sua natura, intorno alla sua organizzazione ed intorno ai suoi compiti.

Premetto, anzitutto, che noi oggi non siamo chiamati a decidere sulle singole attribuzioni, che potranno o non, essere accordate all’Assemblea Nazionale. Questa è questione che si dovrà decidere caso per caso, esaminando attribuzione per attribuzione.

Ho sentito da parte dei colleghi, come da parte dell’onorevole Nitti e dell’onorevole Corbino, che non si sarebbe recisamente contrari a prevedere la riunione delle due Camere per deliberare su qualche oggetto.

NITTI. Determinato.

TOSATO. L’articolo 52 – e qui mi pare sta proprio l’equivoco, nel quale è caduto l’onorevole Nitti – dice semplicemente:

«Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione». Ed evidentemente, soltanto nei casi preveduti nella Costituzione. Si tratta di vedere quali saranno questi casi. Oggi non è il momento di discuterne. Da parte di vari banchi sento che non si è assolutamente contrari a dare qualche attribuzione alle Camere riunite insieme. Ora, se noi siamo d’accordo nel ritenere che le due Camere, su qualche oggetto, anziché deliberare separatamente, debbano deliberare congiuntamente, io mi domando: qual è la difficoltà a chiamare la riunione delle due Camere «Assemblea Nazionale»?

Mi permetto ricordare all’onorevole Nitti che il termine Assemblea Nazionale, in verità, non è proprio una invenzione nostra, perché si ritrova in molte Costituzioni; non ovunque l’Assemblea Nazionale è simile a quella prevista nel nostro progetto ed ha le stesse attribuzioni, che le abbiamo attribuito noi, ma dell’Assemblea Nazionale si fa menzione in diverse Costituzioni.

Mi permetto di ricordarne alcune: per esempio, quella a tutti nota, la legge costituzionale francese del 1875. L’articolo 2 dice esattamente:

«Il Presidente della Repubblica è eletto dalla maggioranza assoluta dei suffragi del Senato e della Camera dei deputati, riuniti in Assemblea Nazionale».

L’articolo 8, onorevole Nitti, dice:

«Le Camere avranno diritto, con deliberazioni separate, prese in ciascuna a maggioranza assoluta dei voti, sia spontaneamente, sia su richiesta del Presidente della Repubblica, di dichiarare che vi ha luogo alla revisione della costituzione.

«Dopo che ciascuna delle due Camere avrà preso questa risoluzione, esse si riuniranno in Assemblea Nazionale per procedere alla revisione».

«Le deliberazioni recanti la revisione della legge costituzionale, in tutto od in parte, dovranno essere prese dalla maggioranza assoluta dei membri componenti l’Assemblea Nazionale».

E questo è forse un compito molto più importante di quelli previsti dal Progetto.

Vediamo ora la Costituzione svizzera, onorevole Nitti. Intanto essa ha una premessa diversa, stabilisce gli organi: l’Assemblea federale, che si divide in due sezioni, il Consiglio degli Stati ed il Consiglio Nazionale. Ed all’articolo 92 dispone:

«Ciascun Consiglio delibera separatamente» (principio della bicameralità). Eccezioni: «Ma per le elezioni, per l’esercizio del diritto di grazia e per le decisioni in questioni di competenza, i due Consigli si riuniscono sotto la direzione della Presidenza del Consiglio Nazionale per deliberare in comune». È questa l’Assemblea federale.

Notate bene che in Svizzera l’Assemblea federale, come tale, ha competenze piuttosto notevoli, in quanto ad essa è deferita l’elezione del Consiglio federale, dei Tribunale federale, del Cancelliere, del Generale d’armata, la grazia e le questioni di competenza.

C’è poi la Costituzione austriaca del 1920 (basti ricordare tra i suoi creatori Kelsen, che è credo, un giurista rispettabile), la quale all’articolo 38 dice: «Il Consiglio nazionale ed il Consiglio dei paesi e delle professioni (cioè i due rami del Parlamento) si riuniscono in Assemblea federale in seduta pubblica comune, nella sede della prima, per ricevere il giuramento, per pronunziare la dichiarazione di guerra ed in molti altri casi previsti dalla Costituzione». Io potrei citarvi, oltre a questi casi, molti altri ancora: la Cecoslovacchia, ricordata dall’onorevole Nobile, e tutta una serie di casi in cui si fa ricorso alla riunione delle due Camere per deliberare su determinati argomenti.

Per l’elezione del Capo dello Stato si fa ricorso alla riunione delle due Camere in un solo organo nei seguenti Paesi: Francia, Svizzera, Portogallo, Polonia, Turchia, Cecoslovacchia, Austria ed Unione Sovietica, dove il «praesidium» è eletto dalle due Camere che costituiscono il Consiglio Supremo.

Le Camere vengono riunite in Assemblea Nazionale per la revisione della Costituzione in Francia, Grecia, Cile, Portogallo e Venezuela.

Per dirimere i conflitti tra le due Camere in Islanda, Portogallo, Norvegia, Iraq, Cile, Bolivia, Venezuela ed altri Paesi. In altri Stati, come ad esempio il Venezuela e l’Austria, vengono date moltissime attribuzioni all’Assemblea Nazionale.

Ripeto, oggi non si tratta di stabilire se e quali attribuzioni questa Assemblea intende deferire alla competenza delle due Camere riunite: sulle singole attribuzioni bisognerà discutere e si discuterà a fondo, specialmente su quella che, a mio avviso, è l’attribuzione principale attribuita dal Progetto all’Assemblea Nazionale, cioè l’espressione della fiducia o della sfiducia al Governo. Questo è un argomento molto grave che non si esaurisce in cinque minuti. Ma, come rilevavo prima, nessuna obiezione pregiudiziale a rimettere alla riunione delle due Camere la deliberazione su determinati argomenti.

L’onorevole Nitti rimprovera: «voi avete fatto un’Assemblea permanente che ha una propria organizzazione e che si sovrappone alle singole Camere. Io posso ammettere, dice l’onorevole Nitti, che le due Camere possano riunirsi insieme, ma assolutamente non chiamiamole Assemblea Nazionale».

Ora, onorevole Nitti, prima di tutto io direi che non bisogna fare questione di parole. Se noi siamo d’accordo nell’attribuire, sia pure in casi determinati e solo per questi casi determinati, date attribuzioni alle due Camere riunite insieme, è evidente che in tali casi la competenza a deliberare su questi determinati oggetti non spetta né alla Camera dei deputati, né al Senato, ma a quell’ente che risulta dalla riunione delle due Camere e che necessariamente è un ente a sé. Che questo ente a sé si voglia chiamare in un modo o in un altro, o che dobbiamo lasciarlo del tutto senza nome, mi pare sia una questione priva di qualsiasi importanza. Certo è che nella sostanza, se prevediamo l’ipotesi della riunione delle due Camere per deliberare su determinati argomenti, competente non è né il Senato né la Camera dei deputati, ma un nuovo organo, perché, notate bene, è un nuovo organo che sorge, sia pure riunendosi per poche ore e solo per oggetti determinati. È un organo che ha una propria competenza. Non si può sfuggire alla logica. In questo senso, istituito questo ente, non è irrazionale dargli un determinato nome.

Ma, l’onorevole Nitti dice di più: «voi mi fate un’Assemblea Nazionale permanente che si sovrappone e che finisce in fondo per distruggere il sistema bicamerale». Ora, a questo proposito, io mi permetto di rilevare ancora che oggi viene in discussione soltanto l’articolo 52 del progetto, il quale articolo 52, ripeto, stabilisce soltanto che le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale nei casi preveduti dalla Costituzione. Si forma con ciò un organo permanente che si sovrappone alle due Camere? Niente affatto. È un organo che durerà tanto quanto dura la necessità ed il tempo che occorre per l’esercizio delle sue funzioni; e non può essere considerato un organo permanente, quando quest’organo si riunisce soltanto per determinati oggetti che non implicano affatto una competenza continuativa tale da sovrapporsi e da escludere la competenza delle singole Camere.

L’onorevole Nitti però dice: «voi fate qualcosa di più di una riunione per i casi preveduti, perché prevedete un Presidente, una Presidenza, un Regolamento». Ora, onorevole Nitti, se noi, sia pure per determinati oggetti, riuniamo le due Camere, queste Camere dovranno pure avere un Presidente che le presiede. Vogliamo stabilire chi sarà il Presidente di queste due Camere riunite insieme, vogliamo non prevedere questo nella Costituzione: questa è un’altra questione, ma voi non potete negare la necessità che le due Camere riunite abbiano una persona che le presieda. Così pure per quanto riguarda il Regolamento. Potrete rinviare al Regolamento della Camera o a quello del Senato, ma indubbiamente è un fatto, una esigenza imprescindibile che, se queste due Camere si riuniscono per determinare su atti di loro competenza, dovranno pure avere una norma che regoli il procedimento della formazione della loro volontà. Sia questa norma il Regolamento della Camera; dei deputati, sia del Senato, sia un nuovo regolamento, questa è una questione di secondaria importanza. Certo è che del Regolamento non potete fare a meno.

Ed allora, onorevoli colleghi, mi pare che se voi siete tutti d’accordo che, almeno in determinati casi, le due Camere bisognerà riunirle insieme, se voi siete d’accordo che queste due Camere, come tali, avranno una propria competenza in quanto sono riunite insieme, io non capisco quali difficoltà vi siano a lasciare il testo del progetto, il quale non dice nulla di più di quello che voi stessi riconoscete essere necessario, cioè che le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io vorrei fare una proposta sospensiva di questo capoverso dell’articolo 52, in questo senso: stabiliamo prima quali sono i casi nei quali vogliamo che le due Camere si riuniscono per esercitare una certa attribuzione, e poi vediamo che cosa spunta dal complesso di questi casi. A me pare che sinora il caso sul quale ci sia un largo consenso sia solo quello della nomina del Capo dello Stato. Dunque, la cosa migliore è vedere che cosa noi vogliamo che le due Camere facciano insieme o separatamente, perché potrebbe darsi che a furia di eliminare, sorga proprio la constatazione che l’Assemblea nazionale esisterebbe soltanto nell’articolo 52 e che poi negli articoli successivi non si faccia più alcun riferimento.

Faccio perciò formale proposta di sospendere qualsiasi decisione sul capoverso dell’articolo 52 e d’incominciare a discutere, caso per caso, secondo il progetto di Costituzione, la competenza dell’Assemblea nazionale.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Io mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino facendo osservare anche questo: il tenore dell’articolo 52, così come è, può dar luogo ad equivoci se si prende alla lettera. Le norme valgono anzitutto per quello che dicono.

L’articolo 52 non porta all’affermazione del principio della istituzione della terza Camera, perché prevede i casi in cui le due Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale; prevede cioè, non l’istituzione di una nuova assemblea, ma un fatto, che del resto certamente accadrà perché, almeno per la nomina del Presidente della Repubblica, le due Camere dovranno riunirsi. Se invece, si volesse sostenere che l’articolo 52 decide anche una questione di principio, cioè la questione della istituzione della terza Camera, si direbbe, a parer mio, una cosa arbitraria, perché non possiamo dare all’articolo una efficacia che non ha, fargli creare un’istituzione, un ente, di cui non parla. E allora la questione di principio non si può fare votando l’articolo 52 perché quando si è votato tale articolo non si è risolta nessuna questione del genere. Dove è il luogo in cui la questione di principio viene ad essere proposta? È agli articoli 60 e 61; l’articolo 60, infatti parla esplicitamente della Presidenza dell’Assemblea Nazionale ecc.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E allora rinviate anche questo.

TARGETTI. …e l’articolo 61 prevede i singoli regolamenti. In quel momento si verrebbe a decidere in un senso o nell’altro la questione della istituzione della terza Camera.

Per queste ragioni mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino di sospendere la votazione in merito all’articolo 52.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Non sono favorevole alla proposta dell’onorevole Corbino di sospendere, anche perché noi stiamo prendendo l’abitudine di sospendere diversi articoli che poi dovremo a suo tempo riesaminare. Non c’è bisogno di sospendere, perché, come ha spiegato benissimo l’onorevole Tosato, e come del resto è testuale nell’articolo, noi non creiamo un organismo con speciali funzioni, ma creiamo una speciale Assemblea che tutti riconoscono necessaria, cioè Camera e Senato riuniti per certi casi determinati. Che vi siano dei casi, nei quali è opportuna la riunione delle due Camere, lo ammettono tutti; non c’è dubbio. Per lo meno per la nomina del Capo dello Stato, se non si arriva alla nomina diretta, poiché allora sarebbe inutile l’Assemblea Nazionale.

Che cosa dice il capoverso dell’articolo 52? Che «le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale». È il nome Assemblea Nazionale che spaventa. Ma in fondo il Parlamento è l’Assemblea Nazionale, perché sono i due rami del Parlamento che si riuniscono insieme per adempiere a determinate funzioni. Le funzioni sono stabilite nei casi preveduti dalla Costituzione. Quando voteremo gli articoli relativi, vedremo se approvare o non tali funzioni.

L’articolo 60 stabilisce come deve essere presieduta questa speciale Assemblea – direi a sezioni riunite, Camera e Senato – e lo stabilisce in modo pratico: un anno la presidenza spetterà al Presidente della Camera dei deputati e un anno al Presidente del Senato.

Questo non vuole ancora dire che si costituisce un organo permanente. Quando si raduna l’Assemblea Nazionale, se è l’anno nel quale tocca presiedere al Presidente della Camera, presiederà il Presidente della Camera, se è l’anno nel quale tocca presiedere al Presidente del Senato, presiederà il Presidente del Senato.

Che l’Assemblea Nazionale abbia un regolamento (articolo 61) si capisce. Ogni Assemblea, anche se si riunisce una sola volta, deve avere un regolamento per il modo di deliberare, di votare, ecc. Si potrebbe dire che si regola secondo il Regolamento della Camera. E perché non secondo quello del Senato? In fondo il Regolamento che si farà, sarà simile a quello della Camera e del Senato.

Viene poi l’articolo 79: elezione del Presidente. Se ci sarà l’elezione indiretta, questa è una funzione che spetterà certo all’Assemblea Nazionale.

Segue l’articolo 88.

Questa è la funzione più delicata: quella del voto di fiducia.

CORBINO. E l’articolo 75?

PERSICO. Io non me ne occupo, perché ritengo che la Camera ed il Senato siano esse che debbono deliberare sia la mobilitazione che l’amnistia, come ho proposto in un mio emendamento sospeso. Comunque di questo discuteremo a suo tempo. Per la amnistia sono nettamente contrario all’Assemblea Nazionale, perché è una questione tecnica-politica sulla quale soltanto le Camere separatamente potranno deliberare; per quanto riguarda la guerra – come è avvenuto per la guerra del 1915-18 – noi ricordiamo che Camera e Senato, ad un’ora di distanza, votarono la dichiarazione di guerra.

Quando esamineremo gli articoli 87 e 88 vedremo sé è il caso di dare all’Assemblea Nazionale questa speciale facoltà, ed in quella occasione le considerazioni dell’onorevole Corbino potranno avere un certo valore. Si potrà rispondere che i membri dell’Assemblea Nazionale sono tutti egualmente rappresentanti del popolo e che non sono vincolati al voto che hanno dato nella Camera a cui appartengono, ecc.; ma ora si tratta soltanto di approvare il capoverso dell’articolo 52 che dice: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale». È un diritto che nessuno nega alle Camere. Potremmo chiamare questo speciale istituto «Parlamento a sezioni riunite», ma la dizione sarebbe inelegante e molto più lunga, mentre «Assemblea Nazionale» è un nome storico che ha una tradizione e che anche altri Stati hanno adottato. Io sono comunque contrario alla sospensiva e proporrei di mettere in votazione il capoverso dell’articolo 52.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io non comprendo perché non si debba adottare la proposta pratica fatta dall’onorevole Corbino. Non mi pare sia il caso di votare quest’articolo, dove si parla di un’Assemblea Nazionale, prima che si sappia che cos’è quest’Assemblea e quali sono i suoi attributi. La proposta dell’onorevole Corbino è la più pratica: prima decidiamo che cosa debbano fare queste Camere riunite, e poi, se è il caso, le chiameremo «Assemblea Nazionale» o con altra denominazione.

VERONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERONI. Il collega Nobile mi pare che non abbia riprodotto esattamente il pensiero dell’onorevole Corbino, il quale ha invece detto: sospendiamo ogni discussione sull’articolo 52 e discutiamo viceversa sui compiti che dovrà avere l’Assemblea Nazionale.

Ora, quella proposta non può essere accolta, perché noi ci dovremmo mettere a discutere sui compiti di un’Assemblea Nazionale di cui non abbiamo ancora approvato l’esistenza. Perciò io sono contrario alla proposta dell’onorevole Corbino, che è stata a sua volta male interpretata dall’onorevole Nobile.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Mi associo alla proposta dell’onorevole Corbino che mi sembra la più pratica, perché sino a quando noi non sappiamo di che contenuto dobbiamo riempire questa istituzione, non possiamo nemmeno sceglierne il nome.

Certo, si prospetteranno, nel corso dei nostri studi e deliberazioni, dei casi nei quali il Parlamento si dovrà riunire, come si è detto qui, a sezioni riunite.

Ma in tali casi, se il Parlamento non funzionerà come organo, cioè se a queste riunioni non si darà il compito di formare una volontà, cioè di prendere una decisione, sarà inutile parlare di una Assemblea Nazionale.

Noi qui abbiamo questo titolo: il Parlamento. Si usa una parola che poi non appare più nel testo della Costituzione. In realtà, cosa c’è? Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato, due Camere che si riuniscono separatamente, visto che abbiamo scelto il sistema bicamerale. Non possiamo fare altro che prevedere nella Costituzione che il Parlamento si riunisce unitamente, ma non cessa di essere il Parlamento. Perché dovremmo creare una parola nuova? Noi abbiamo soltanto il Parlamento che si riunisce unitamente – scusatemi la ripetizione che è nella parola. Il Parlamento che normalmente si riunisce separatamente è lo stesso Parlamento che per certi casi si riunisce unitamente.

Io penso che l’Assemblea Costituente dovrà creare la parola nuova «Assemblea Nazionale» se a queste riunioni plenarie dei due rami del Parlamento darà determinate funzioni. Perché, se non saranno altro che delle riunioni delle Camere per fare l’elezione del Presidente della Repubblica, o per ricevere insieme il giuramento del Presidente della Repubblica, creare la parola nuova non avrebbe nessun significato: sarebbe sempre il Parlamento che si riunisce unitamente.

Da quello che ho detto si deduce la necessità di accogliere la proposta dell’onorevole Corbino. Vediamo prima che funzioni dovranno avere queste riunioni plenarie del Parlamento e dopo potremo anche stabilire se si dovrà chiamare Parlamento riunito unitamente o se si dovrà parlare di Assemblea Nazionale.

Oggi questo non lo possiamo decidere. Penso che la discussione di oggi abbia avuto il valore di una delibazione del problema, ma che importi la necessità di rinviare ogni decisione.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Esprimo un pensiero soltanto personale, perché il nostro Gruppo non si è ancora riunito e non ha potuto prendere decisioni in proposito. Mi devo, quindi, richiamare alla preghiera che è stata rivolta all’onorevole Presidente nella seduta di ieri, perché non si proceda oggi ad alcuna votazione: d’altra parte votare sul secondo comma dell’articolo 52 potrebbe portare, malgrado ogni riserva, a pregiudicare la risoluzione migliore.

Abbiamo iniziato, come bene ha detto l’onorevole Condorelli, la delibazione del tema; questo carattere è bene mantenere oggi alla discussione.

Se qualche cosa si potesse ancora aggiungere, allo stato al quale la discussione è pervenuta, sarebbe questo: che occorre riconoscere che noi ci aggiriamo ormai entro un circolo vizioso, in quanto non ci rendiamo conto della necessità di dare alla disamina, anziché l’ordine del progetto, quello imposto dalla logica.

In altri termini non potremo uscire da questo circolo vizioso se non attraverso una mozione d’ordine; ed è tale la proposta che io mi permetto di avanzare. Si domanda sei noi dobbiamo dunque approvare la istituzione di una terza Assemblea, dal nome risonante di sacri ricordi, e dar vita così a una terza Camera destinata a rappresentare il terzo ramo di un Parlamento che si sarebbe voluto unicamerale. Un’Assemblea per giunta permanente in quanto non dovrebbe riunirsi soltanto in circostanze di formale solennità o di mera contingibilità quali la elezione del Presidente della Repubblica (art. 79), la deliberazione della mobilitazione generale, dell’entrata in guerra, dell’amnistia e dell’indulto (art. 75); che dovrebbe assurgere ad organo del Parlamento, con propria disciplina, con proprio Regolamento (art. 61), con proprio Ufficio di Presidenza (art. 60), con un Presidente che dovrebbe disimpegnare le più svariate e delicate funzioni (art. 82), e con proprio carico di mansioni ordinarie, quali la nomina del Vicepresidente e la designazione della metà dei membri del Consiglio superiore della Magistratura (art. 97), la nomina dei Giudici della Corte Costituzionale (art. 127), la risoluzione degli appelli del Governo nei casi di eccesso e di contrasto con gli interessi nazionali nell’esercizio del potere legislativo da parte dei Consigli Regionali (art. 118), la risoluzione, mediante votazione su mozioni motivate, del conflitto fra Governo e Camere dopo il voto di sfiducia (art. 88).

Queste essendo le funzioni che il progetto propone di attribuire all’Assemblea Nazionale, io penso che sia preliminare l’indagine sulla necessità, utilità e competenza di ciascuna di esse. Sarà il Parlamento che dovrà nominare il Presidente della Repubblica? E saranno istituiti la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della Magistratura? Dovrà concorrere il Parlamento alla nomina dei rispettivi membri? Sarà utile e dignitoso per il Governo l’appello alle Camere riunite dopo un voto di sfiducia? Le risposte a questi quesiti ci diranno se basterà, in casi eccezionalissimi e determinati, promuovere le deliberazioni delle due Camere riunite o creare addirittura l’organo progettato e determinarne il nome. In altri termini si precisino prima le funzioni che devono essere assolte fuor dell’ambito o al disopra di ciascuna Camera; e, siccome sono le funzioni che creano l’organo, stabiliremo poi quale sarà l’organo all’uopo più adatto per disimpegnarle. Questo è lo spirito della mia mozione d’ordine, e sono queste le ragioni per le quali non ritengo che possa essere oggi votato lo stesso comma secondo dell’articolo 52. Esaminiamo prima di tutto gli articoli che sono venuto elencando: esamineremo da ultimo l’articolo 52.

Sostanzialmente, al fondo delle considerazioni svolte da tutti gli altri colleghi, dagli onorevoli Nitti, Corbino, Tosato, Nobile e Persico, sono apparsi gli elementi che danno ragione alla mia mozione d’ordine. Nessuno di loro ha disconosciuto che, in determinate circostanze, le due Camere dovranno o potranno utilmente riunirsi per assumere corrispondenti deliberazioni. Il disaccordo si manifesta sulla estensione di questa necessità e di questa utilità. Il nostro primo esame occorrerà dunque sulla determinazione di questa estensione: quali saranno le funzioni contingibili o certe, temporanee o permanenti, che le due Camere riunite dovranno utilmente assolvere? Sarà alla fine di tale accertamento, quando queste funzioni saranno state determinate e circoscritte, che noi potremo stabilire, in base al loro carattere e alla loro portata, se un organo apposito, per il loro espletamento, dovrà essere proprio creato e quale eventualmente dovrà essere la sua figura, il suo ordinamento in armonia colle due Camere, e infine la sua denominazione.

In caso contrario non si parlerà di Assemblea Nazionale ma di Camere riunite o di Parlamento plenario. In ogni caso l’Assemblea Nazionale, formata dalle due Camere, non potrà mai costituire un terzo ramo del Parlamento ma sarà soltanto la realizzazione del modo e della forma per la contemporanea consultazione, in casi straordinari od urgenti, delle due Camere. Questa è la questione. E pertanto io ritengo che martedì prossimo, quando riprenderemo questa discussione…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no: bisogna aspettare.

PRESIDENTE. È una questione che decideremo, onorevole Ruini.

NOBILI TITO ORO. …quando dunque noi riprenderemo questa discussione – io espongo, onorevole Ruini, un punto di vista personale, non comprometto niente – potremo procedere all’esame degli articoli sospesi allo scopo di orientare le nostre definitive determinazioni sul problema dell’Assemblea Nazionale.

Non ho altro da dire per ora e fervidamente mi auguro che, battendo la strada indicata, noi possiamo pervenire, anche in questa parte della Costituzione, a risoluzioni degne del conquistato ordine democratico e repubblicano. (Approvazioni).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La proposta che ha fatto l’onorevole Corbino va chiarita nei suoi termini. Io non ho altro che da richiamare ciò che dissi nella seduta di ieri, quando si accennò alla opportunità di trattare oggi questo tema, ed io osservai che una anteriore deliberazione dell’Assemblea rimetteva la decisione, dopo che si sarebbero esaminate, al loro posto, le attribuzioni da affidarsi all’Assemblea generale.

Bisogna ad ogni modo chiarire la proposta Corbino. Che cosa dovremo fare? Rinviato l’articolo 52, dovremo rinviare anche quelle parti del 60 e del 61 che concernono modalità di funzionamento (presidenza, regolamento) e non attribuzioni dell’Assemblea generale? È bene intendersi fin da ora. Esamineremo l’articolo 75 sulla dichiarazione di guerra e sull’amnistia? E poi negli altri titoli, gli articoli attinenti all’Assemblea Nazionale? È bene intendersi fin da ora.

Sono in ogni modo lieto che si sia ieri deliberata la discussione immediata, e sono lieto che sia oggi avvenuta. Ha dissipato alcuni equivoci. Ieri l’onorevole Nitti ha investito questi poveri diavoli della Commissione dei Settantacinque con dei titoli piuttosto forti; ha usato una infinità di aggettivi…

NITTI. Li confermo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. …assurdo, inconcepibile, stupefacente, miserevole, ridicolo; disposizioni da far ridere tutto il mondo. Termini che certamente non riguardano personalmente, ma i Settantacinque, che riguardano pure l’opera loro, e che pertanto sono dispiaciuti. Non dobbiamo qui nell’Assemblea criticare troppo l’opera che è in sostanza nostra, di tutti, perché tutti, anche gli amici politici più stretti dell’onorevole Nitti, facevano parte dei Settantacinque. Si può criticare, non vituperare. Le critiche eccessive ed intemperanti si ripercuotono fuori di qui, nel grosso pubblico, che si diverte un mondo a dir male dell’Assemblea, e ciò che più conta della vita politica italiana. Non parliamo dell’impressione che si fa poi all’estero. È possibile che non ci possiamo criticare senza coprirci di ridicolo?

La non buona impressione nei miei colleghi dei Settantacinque è però dissipata da quanto è avvenuto oggi. Pur riprendendo, ma in tono un po’ minore, le sue invettive, l’onorevole Nitti ha ridotto sostanzialmente la portata delle sue critiche e del dissenso dal testo della Commissione. Egli ha, infatti, ammesso che si può e si deve stabilire che le due Camere si riuniscano insieme in alcune occasioni; se non altro per l’elezione del Capo dello Stato. Lascerebbe dunque il secondo comma dell’articolo 52. Fa soltanto questione di nome; e del resto, nel suo primo intervento di oggi, è arrivato ad ammettere che, si chiami pure Assemblea Nazionale, purché non sia un organo permanente. Nel suo secondo intervento sembra ritornare, indietro, e preferire l’anonimato. Ma, insomma, se si tratta di questione di nome, perché farne una battaglia tragica, che si ripercuote fuori di qui?

In realtà l’onorevole Nitti, con la vivacità del suo ingegno, che crea essa stessa il bersaglio, è partito in battaglia contro un’idra, un’orca, un ircocervo, un serpente di mare, che non è mai esistito. L’Assemblea Nazionale non è, nel testo della Commissione, l’ente permanente, macchinoso, pericoloso, che egli ha immaginato. Non è un organo permanente. Infatti nulla è stabilito in tal senso nel progetto; dove sono attribuite all’Assemblea Nazionale funzioni che possono essere – e saranno certamente – ridotte nel corso di questa discussione; ma anche se restassero tutte, tali e quali, non darebbero occasione all’Assemblea Nazionale di riunirsi per interi anni. Cosa vi è dunque di permanente? L’Assemblea nazionale potrà benissimo funzionare (se volete lo possiamo mettere nel testo, sebbene sia un dettaglio non di sapore costituzionale) senza uffici propri, mediante quelli della Camera dei deputati e del Senato, senza aggiungervi un solo funzionario.

Si può dedurre che l’Assemblea Nazionale sia un organo permanente e macchinoso, dal fatto che l’articolo 60 dice che è presieduta dal Presidente di una delle due Camere? Anzi: vuol dire che non ha Presidente proprio; e ciò va contro la tesi dell’onorevole Nitti.

Si può dedurre che sia un organo permanente, perché per l’articolo 61 ha la facoltà di darvi un regolamento? Ma anche quando cinquanta persone si riuniscono insieme per qualsiasi deliberazione, è opportuno che vi sia un regolamento. Volete togliere l’accenno che l’Assemblea Nazionale si dia un regolamento proprio? Ebbene togliamolo; potrà essa stessa uniformarsi al Regolamento di una delle due Camere.

Insomma, questa terribile e totalitaria Assemblea Nazionale non avrebbe né Presidente proprio, né (se volete) regolamento proprio, né appositi uffici, e neppure sede e palazzo proprio, come aveva in Francia a Versailles. Potrà, nelle sue rare riunioni, stare qui a Montecitorio.

Ed allora? Che difficoltà vi può essere ad ammettere l’istituto? Vedremo le funzioni che le sono affidate nel successivo l’amnistia e l’indulto. Si passerebbe poi al Capo dello Stato e al Governo, dopo di che delibereremmo sul secondo comma dell’articolo 52.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Per economia di lavoro, propongo, modificando la proposta dell’onorevole Corbino, che ha incontrato adesione da parte di vari settori dell’Assemblea, che si esaminino oggi tutti gli emendamenti che si riferiscono all’Assemblea Nazionale, sia perché le varie proposte costituiscono tutte un blocco, una questione unica, sia perché l’illustrazione degli emendamenti servirà ad illuminare il problema. Esaminati oggi tutti gli emendamenti sarà possibile martedì decidere sia sulle funzioni che sul nome. Avremo guadagnato tempo.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Ma tutta questa materia noi dobbiamo considerarla nell’insieme. Siamo d’accordo che Camera e Senato possono riunirsi…

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Benissimo!

NITTI. …e debbono anzi riunirsi per casi determinati. La funzione di cui tutti siamo d’accordo è l’elezione del Capo dello Stato.

Una voce. Se non è eletto dal popolo.

NITTI. Si propongono altre funzioni: la dichiarazione di guerra e l’amnistia. Altre questioni non esistono.

Però vengono poi, non in questo capitolo, ma in altri, altre questioni di natura più delicata. Se il Governo ha un voto contrario da parte di una delle Camere elettive, convoca l’Assemblea plenaria, questa solenne e assurda Assemblea, perché giudichi e dia la soluzione. È una cosa inverosimile, perché non soltanto qui si tratta di una supercamera, la quale ha la diversità (come ha detto l’onorevole Corbino) del numero dei componenti delle due Camere che deve decidere, ma si tratta di una decisione che non può essere fatta da mille persone, in un momento di concitazione. Noi sappiamo che cosa vogliono dire le crisi: nessuno dice di voler andare al Governo, ma molti si agitano per andare al Governo. (Ilarità).

Vi sono questioni di natura tale su cui non è possibile far decidere un’Assemblea di oltre mille persone. Limitiamoci dunque a quello che riguarda la riunione per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Siamo tutti d’accordo invece che non è possibile includere la materia dell’amnistia (Interruzioni). Rimane il dubbio per quanto riguarda la dichiarazione di guerra.

Vediamo chiaramente. Anche la Francia, che è il paese che ha fatto di più la guerra e se non fosse in cattive condizioni desidererebbe ancora fare la guerra, ha precisato qual è la funzione delle due Camere di fronte alla guerra, perché ha fissato che la guerra deve essere dichiarata dall’Assemblea Nazionale, ma dopo sentito l’avviso preventivo del Senato. Quindi ha considerato le due Camere in modo diverso l’una dall’altra.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il voto del Senato francese è soltanto consultivo, onorevole Nitti.

NITTI. Sì, consultivo, ma perché c’è l’Assemblea Nazionale. Quindi potremmo non occuparci della guerra. Del resto non è una questione d’immediata urgenza. Se parliamo seriamente, non ne vedo l’imminenza, e non vedo quindi la necessità che ci accapigliamo per questo. Noi non siamo in condizioni di fare la guerra, ed è inutile ora parlare di dichiarazioni di guerra. Adesso la guerra non si dichiara più. Noi non sappiamo se da un momento all’altro possa scoppiare una guerra. E allora se dovesse scoppiare, chiunque si trovi al Governo prenderà i provvedimenti che riterrà necessari e consulterà le Camere. E può darsi anche che da un momento all’altro ci si trovi in guerra senza saperlo, e quindi senza aver avuto la possibilità di consultare nessuno. Lasciamo dunque questo argomento allo stato di necessità quale possa prodursi.

Vorrei pregare in conseguenza di limitare la riunione delle due Camere al caso di nomina del Capo dello Stato.

BERTONE. Se la nomina sarà di competenza del Parlamento.

NITTI. Naturalmente. Se non sarà di competenza del Parlamento, perché così venga deciso, allora cade ogni proposta del genere.

PRESIDENTE. Ci troviamo dinanzi a proposte precise, che in fondo sono proposte di rinvio. La proposta dell’onorevole Uberti, non per il contenuto, ma per il tempo che richiederebbe la sua attuazione, non può essere accolta adesso, data l’ora tarda. Non si può cominciare subito l’esame di tutti gli emendamenti.

A coloro tuttavia che chiedono, come è implicito nella proposta Corbino, di non decidere ora, ma di rinviare per poter discutere, desidero domandare che cosa allora si è fatto stamane. Si è parlato di tutti i problemi connessi alla riunione delle Camere, trattando delle funzioni eventuali dell’Assemblea Nazionale. Di tutto ciò, stando alla proposta Corbino, dovremmo riparlare nelle prossime sedute.

Vi è anche la proposta di emettere stamane un voto che non abbia carattere preclusivo, di votare cioè sul secondo comma dell’articolo 52, restando inteso che la sua eventuale approvazione significherebbe soltanto che si ammette la possibilità di riunioni delle due Camere per certe materie, le quali dovrebbero poi essere specificate in seguito.

Si è tuttavia fatto notare che il numero dei deputati presenti questa mattina non è adeguato all’importanza della decisione da prendere. La discussione, comunque, è stata ampia e perciò proporrei che nella prossima seduta dedicata al progetto di Costituzione senz’altro si ponga in votazione il secondo comma dell’articolo 52. Verrebbe così superata la questione pregiudiziale se approvare prima l’organo o le funzioni. Se nel progetto di Costituzione la Commissione dei Settantacinque ha ritenuto che prima bisognasse fare l’affermazione sull’organo, non credo che sia necessario capovolgere qui il procedimento ed esaminare prima le funzioni. Se pertanto non sorgono obiezioni, nella prossima seduta destinata all’esame del progetto di Costituzione si voterà innanzi tutto sul secondo comma dell’articolo 52, la cui approvazione, in seguito alle dichiarazioni del Presidente della Commissione, non significa creazione di un organo stabile; successivamente si voterà sulle proposte contenute nel progetto e nei vari emendamenti circa le materie da sottoporre all’esame delle Camere riunite, limitatamente per ora a quelle riferentisi al Titolo sul Parlamento: quindi si affronteranno le questioni di cui agli articoli 60 e 61 sulla Presidenza e sul regolamento dell’Assemblea Nazionale.

(Così resta stabilito).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere i motivi che hanno determinato il recente provvedimento di sospensione del decreto di aggregazione dei mandamenti di Roccamonfina e di Mignano al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, provvedimento che procrastina, ai danni della provincia di Caserta, l’applicazione del principio costantemente seguito della coincidenza della circoscrizione giudiziaria con quella amministrativa.

«Gli interroganti chiedono ancora di conoscere quali assicurazioni e precisazioni possa il Governo dare sulla revoca della disposta sospensione, di fronte alla grave agitazione manifestatasi nell’intera provincia di Caserta, giustificata dal fatto che recentemente, in applicazione dello stesso principio, i mandamenti di Nola, Acerra e Cicciano sono stati trasferiti dalla circoscrizione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a quella del Tribunale di Napoli.

«Fusco, De Michele, Numeroso, Caso».

Non essendo presente alcun membro del Governo, interesserò il Ministro di grazia e giustizia perché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno disporre ulteriori sondaggi e studi per appurare l’alto valore storico e artistico delle grotte tufacee, che in numero di oltre un centinaio si trovano alle falde del Monte Jovis, in Santarcangelo di Romagna.

«L’interrogante chiede di sapere le risultanze conseguite negli studi e sondaggi finora eseguiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno, per conoscere gli intendimenti del Governo di fronte alla marea dilagante dei periodici, dedicati alla pornografia ed alla cronaca nera, e che traggono enormi profitti dalla speculazione sugli istinti più torbidi e esame del progetto. Voglio intanto ricordare che il progetto prevede cinque attribuzioni: due delle quali – la nomina del Capo dello Stato e di membri del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale – hanno un semplice carattere elettorale e dureranno poche ore. Anche altre due – dichiarazione di guerra ed amnistia ed indulto – saranno ben rare e si sbrigheranno sollecitamente (anche perché l’Assemblea potrà stabilire principî generali e dar criteri direttivi per l’amnistia e l’indulto). Resta la quinta funzione; il voto in appello per la fiducia e la sfiducia al Governo; che è più complicata; ma se verrà soppressa (ed io sono personalmente favorevole a sopprimerla), il carattere di permanenza, nel senso usato dall’onorevole Nitti, perderà ogni ombra di sospetto.

«Gortani»

L’onorevole Nitti ha finora dichiarato che accetta, naturalmente, l’elezione del Capo dello Stato da parte delle Camere unite (il che implica che, come avviene in altri paesi dove ha solo questa funzione, la riunione delle due Camere si chiami Assemblea Nazionale).

L’onorevole Nitti ha poi detto con grande passione che noi non potremo mai dichiarare guerre; però ha detto: «Se volete fare la dichiarazione di guerra a Camere riunite, fatelo pure». Sarebbero dunque almeno due funzioni; e basterebbero a giustificare il nome di Assemblea Nazionale, senza che, per il solo nome, diventasse il museo degli orrori che l’onorevole Nitti ci ha denunciati.

Discuteremo la questione dell’amnistia, in cui vi sono delle ragioni pro e contro. Potremo lasciare alle Camere distintamente la nomina di membri del Consiglio superiore della magistratura e di un altro istituto, che fa orrore all’onorevole Nitti, la Corte costituzionale. Discuteremo il caso del ricorso all’Assemblea Nazionale per la fiducia o sfiducia al Governo. Io sono disposto a cancellarlo. Ma dunque dove è l’abisso di contrasto che la vivace immaginazione dell’onorevole Nitti ha creduto di vedere? Se non faremo questione di nomi ma di sostanza, si potrà trovare una buona soluzione.

Non comprendo l’obiezione che l’onorevole Corbino trova nel fatto che con l’Assemblea Nazionale si violerebbe il principio della bicameralità. Ma come? Egli stesso parla di «riunione collegiale» delle due Camere. (Interruzione del deputato Corbino). Posto che l’Assemblea Nazionale non è una terza Camera permanente, ma solo una riunione delle due Camere per casi ben limitati e molto rari, non si può parlare di contradizione con la bicameralità.

Voglio finire con una dichiarazione generale. Quale è stato lo spirito che ha informato la Sottocommissione presieduta dall’onorevole Terracini, e poi la Commissione plenaria da me presieduta, nel proporre quella disgraziata Assemblea Nazionale? Non si è voluto creare un organo permanente, una terza Camera, una supercamera; non si è voluto andare verso l’unicameralità ed il totalitarismo di una Camera sola. Si è ritenuto che, poiché nel nuovo ordinamento democratico esisteranno due Camere, tutte e due elettive e di pari dignità, nulla vieta che si possano riunire insieme per deliberare su alcuni punti che rendono indispensabile o meglio si addicono ad una deliberazione comune. La Commissione ha proceduto, con molta prudenza, a determinare i casi di riunione. Potete ridurli, ma il principio deve restare, è una porta aperta all’avvenire. Noi non possiamo riprodurre oggi uno statuto del quarantotto; dobbiamo cercare – senza pericolose avventure – vie nuove. Il domani potrà consigliare che all’Assemblea Nazionale si affidino, con revisione costituzionale, altri compiti. Intanto ne stabiliamo alcuni.

Onorevoli colleghi, sono lieto che la discussione di oggi abbia sgonfiato degli equivoci, e sono disposto ad andare incontro all’onorevole Nitti, restando fermo, come egli ha ammesso, che le due Camere si possono e devono riunire insieme, per determinati compiti. Potremo dissentire soltanto sul nome; e sopra alcuni di questi determinati compiti. Ma non si può massimizzare una controversia, che deve essere ricondotta alla sua portata effettiva. E, come non è ridicola la proposta, non dovrà esserlo neppure la soluzione a cui arriveremo. (Approvazione).

Come ordine dei nostri lavori, non dico che aderisco alla proposta dell’onorevole Corbino; mi richiamo a quello che ieri prevedevo. Oggi vi è stata una utile discussione generale; esamineremo in seguito i vari punti del problema.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io penso che noi potremmo riprendere la discussione dell’articolo 75, lasciando da parte – come propone l’onorevole Ruini – gli articoli 60 e 61, perché, avendo essi carattere regolamentare interno, non potranno essere discussi che quando si sia decisa la creazione dell’organo. L’articolo 75 importa una deliberazione di principio per quel che concerne la mobilitazione, la guerra, malsani, avvelenando animi e coscienze, e sciupando grandi quantità di carta nel periodo in cui essa manca per libri e quaderni scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno inviate ai Ministri competenti, per la risposta scritta.

La seduta termina alle 13.5.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 20 ottobre 1947 alle ore 16:

Interrogazioni.

VENERDÌ 17 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXII.

SEDUTA DI VENERDÌ 17 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Risposte scritte ad interrogazioni (Annunzio):

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bozzi

Mortati

Lucifero

Tosato

Codacci Pisanelli

Persico

Carboni Angelo

Perassi

Laconi

De Vita

Buffoni

Targetti

Sicignano

Costantini

Fabbri

Nobile

Colitto

Gronchi

Moro

Bertone

Fuschini

Corbino

Uberti

Lussu

Nobili Tito Oro

Russo Perez

Tonello

Nitti

Presentazione di una relazione:

Clerici

Presidente

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Abozzi, Ravagnan, Spataro e Uberti.

(Sono concessi).

Risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione speciale per l’esame del disegno di legge sulla soppressione del Senato, nella riunione di ieri, ha proceduto alla sua costituzione, nominando presidente l’onorevole Bonomi Ivanoe, vicepresidente l’onorevole Mortati e segretario l’onorevole Giolitti.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che ieri sera la seduta fu sospesa, su consiglio dell’onorevole Mortati, nella speranza che fosse possibile, nella mattinata di oggi, trovare una formula concordata per l’articolo 74-bis. Vorrei sapere se è stato formulato un nuovo testo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, questa mattina i presenti all’adunanza del Comitato hanno formulato un testo che ha avuto il comune consenso, salvo la riserva per alcuni di sentire i loro Gruppi. Avviene così, come in molti altri casi, che le considerazioni di solidarietà politica si sovrappongono alla tecnica legislativa; e nulla si può mai considerare definitivo. Ad ogni modo il testo che ho qui, e che vi leggo, è testo del Comitato, redatto ad unanimità.

«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta e urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.

«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

Si è arrivati a questa soluzione, seguendo un ordine, un iter di ragionamento. Si è dapprima posto il quesito se conviene prendere in considerazione o mostrar di ignorare quello «stato di necessità» – come dice una prevalente dottrina – da cui dipende l’emanazione dei decreti-legge. Che vi possa essere stato di necessità – anche se non ha veste di istituto giuridico – è un principio generale di diritto largamente ammesso. A ciò si riconduce il sistema del decreto-legge; usato fra l’altro in Inghilterra, paese classicamente libero, con il successivo bill d’indennità, da parte delle Camere. È stato osservato che (a prescindere dalle particolari garanzie che dà il costume politico in Inghilterra, più che in altri paesi) quanto ivi avviene senza alcuna norma costituzionale, solo in base al costume, sembra più difficilmente ammissibile in paesi a costituzione rigida. Se non vi è norma di costituzione, non solo il decreto-legge ma lo stesso bill d’indennità resterebbero atti incostituzionali.

Per un complesso di considerazioni, alle quali hanno aderito i membri del Comitato, tranne l’onorevole Lucifero, si è ritenuto preferibile prevedere nella Costituzione, per porgli i limiti più rigorosi, il decreto-legge. Non ci ha trattenuti il timore di dare cittadinanza nella Carta costituzionale ad un atto che desta così sfavorevoli ricordi e che solleva indignazione in spiriti liberali, che non riflettono come, non mettendo nulla, si viene a facilitare ed incoraggiare l’uso dei decreti-legge, che nulla può impedire, anche il silenzio della Costituzione che significa divieto; non si avranno limiti; e così si farà, col silenzio, opera antiliberale.

Secondo punto: l’onorevole Mortati aveva avanzato una proposta per cercare di classificare e di individuare i casi nei quali poteva essere ammesso il decreto-legge. Aveva (oltre che allo stato d’assedio, che rinviava al Titolo del potere esecutivo) accennato al caso di una modifica delle tariffe doganali, in cui occorre non solo l’immediatezza, ma anche il segreto per evitare speculazioni ed altri turbamenti. Altri osservò che un caso più specifico di necessità del segreto si ha per le borse; e non solo per la loro diretta disciplina, ma anche pei provvedimenti che possono aver riflesso in borsa, ed è necessario che siano tenuti nella maggior segretezza prima di essere emanati. Se fosse possibile indicare i casi, nei quali soltanto può ammettersi il decreto-legge, sarebbe certamente la via migliore; ed il Comitato ha invitato l’onorevole Mortati a trovare una formulazione adatta e completa; ma lo stesso onorevole Mortati ha finito col riconoscere che non è possibile.

Venuta meno la soluzione di una limitazione, per così dire, di sostanza, che riducesse i casi di decreti-logge soltanto ad alcune categorie di atti, si è – passando al terzo punto nel nostro ragionamento – stabilito di ricorrere ad una limitazione di procedura, che sia molto rigorosa e tale da impedire e colpire gli abusi. Si è pertanto, nel testo che vi ho letto, determinato che non si può ricorrere al decreto-legge se non in casi straordinari di assoluta urgenza e necessità (la forma adottata non è positiva, di autorizzazione al Governo di emettere decreti-legge, ma è negativa: «non possono essere emessi»; anche le sfumature possono servire). Cert’è che, direttamente o indirettamente, si riconosce l’eventualità dei decreti-legge, ma subito si appongono i freni e i limiti più efficaci che si possano pensare.

I provvedimenti presi dal Governo devono essere immediatamente – il giorno stesso della loro emanazione – presentati alle Camere per la loro conversione in legge. Se le Camere non sono già raccolte, devono esserlo, anche se sciolte, non più tardi che entro cinque giorni. L’immediato intervento e l’apposita convocazione delle Camere è un freno molto sensibile per i Governi, che sapranno, nell’emettere decreti-legge, di dover presentarsi subito al Parlamento per affrontare un giudizio di responsabilità, che è implicito nell’atto della conversione, e nulla vieta diventi esplicito, ove il decreto-legge risulti ingiustificato ed ispirato a criteri antiliberali ed antidemocratici. Il Governo ci penserà ad emettere profluvio di decreti-legge, quando sa che basta un piccolo decretino di tal genere, per far convocare le Camere anche disciolte. Sarà di fatto un formidabile freno.

Né basta. Vi è un altro freno. Se i decreti-legge non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro presentazione alle Camere, perdono ogni efficacia. Ciò accentua il loro carattere di provvisorietà, e pone un brevissimo termine, nel quale possono aver vigore, senza che intervenga la conversione in legge.

Tali i criteri, onorevoli colleghi, che hanno ispirato la disposizione proposta.

PRESIDENTE. L’onorevole Bozzi, insieme con l’onorevole Cevolotto, ha presentato il testo seguente:

«Quando nei casi straordinari di urgente e assoluta necessità, il Governo emani provvedimenti aventi valore di legge, essi devono essere presentati per l’approvazione alle Camere, appositamente convocate anche se sciolte, nel termine di cinque giorni, e perdono efficacia se non siano convertiti in legge entro 90 giorni».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di illustrarlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, le ragioni che hanno portato alla redazione del testo sui decreti-legge sono state lucidamente esposte dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.

Due tesi erano e sono ancora in campo: quella la quale crede che nella Costituzione non si debba assolutamente parlare di decreto-legge e quella la quale crede che nella Costituzione si debba prevedere questa forma di legiferazione, pur straordinaria, e contenerla con una disciplina rigorosa.

Il non parlarne affatto, dato che la Costituzione, come da quasi tutti è riconosciuto, è rigida, significherebbe che il Governo, il quale adottasse un provvedimento di urgenza, verrebbe a porre in essere una norma incostituzionale, con tutte le conseguenze che da questa incostituzionalità deriverebbero, prima di tutte la possibilità di impugnativa e l’incertezza nell’ordinamento giuridico.

Si dice: a questa situazione si può porre riparo mediante un intervento successivo del Parlamento, non preveduto dalla Costituzione, mediante il ricorso al bill di indennità.

Ora, in Commissione è stato rilevato stamane che la figura del bill di indennità presenta vari inconvenienti, che sono stati anche ieri ricordati dall’onorevole Codacci Pisanelli. Ma, soprattutto, il bill di indennità mal si adatta ad una Costituzione rigida, perché la norma creata dal Governo contro la Costituzione è una norma incostituzionale; ed il Parlamento, che volesse sanare questa incostituzionalità, verrebbe di necessità a modificare la Costituzione; ed in ogni caso non verrebbe tolto l’inconveniente che ci si troverebbe di fronte ad una norma inizialmente incostituzionale e quindi priva di ogni efficacia.

Piuttosto, è sembrato conveniente disciplinare l’istituto, vorrei dire, disciplinare questo bill d’indennità, renderlo necessario, determinarne le modalità con rigore. Perché da tutti si è osservato che il fenomeno dei decreti-legge, nonostante le proteste, nonostante gli idealismi sul Parlamento, si impone come una necessità, che non è dovuta soltanto a situazioni particolari, quali le guerre. Se osserviamo la vita del nostro istituto parlamentare dal 1848 in poi, vediamo che, sia pure con un gettito maggiore o minore, il fenomeno del decreto-legge è sempre esistito. Si è tentato di giustificarlo talvolta ricorrendo alla figura della delega implicita o tacita, che scaturirebbe dal sistema parlamentare, fondato sulla fiducia. Tesi, questa, assai discutibile e meno accolta. Da altri si è detto che il fondamento della decretazione di urgenza sta nello stolto di necessità, che è esso stesso una fonte di diritto superiore alla legge: la necessità infrange ogni barriera.

Ora, certo, in un Parlamento che si curasse, non dico esclusivamente, ma prevalentemente della sua funzione legislativa, il decreto-legge dovrebbe avere una scarsa applicazione; ma purtroppo l’esperienza insegna che spesso nei Parlamenti il momento politico prevale su quello legislativo. Faccio notare che nell’attuale fase storica della società nazionale, in cui lo Stato interviene sempre più intensamente (e qui non è questione di essere liberali o socialisti; basta constatare il fenomeno) nella regolamentazione dei rapporti sociali ed anche dei rapporti economici, si determinano spesso delle situazioni di contingenza tali che è necessaria un’azione pronta ed alle volte segreta.

Richiamo soprattutto l’attenzione della Camera sul requisito della segretezza. L’onorevole Ruini ha ricordato giustamente un esempio, che è sintomatico, di tutta una serie di analoghe situazioni: un’azione di intervento sulle borse pensate mai che si possa portare alla discussione delle Camere? Un provvedimento legislativo che deve determinare un certo intervento dello Stato nella materia delle borse, renderebbe impossibile il successo, ove mancassero l’immediatezza e la segretezza del provvedimento. Di fronte al fenomeno che è sempre esistito, non solo in Italia, e sempre esisterà, per cui il Governo che rappresenta la continuità dell’azione dello Stato si trova in situazioni che gli impongono la urgente necessità di legiferare, abbiamo pensato che fosse cosa migliore prevedere il fatto, regolarlo ed arginarlo perché esso non straripi, così come in altri momenti è accaduto. D’altra parte, bisogna ricordare che il fenomeno assunse proporzioni preoccupanti quando non vi era una disciplina del decreto-legge e questo era svincolato da forme e modalità restrittive. Poi venne la legge n. 100 del 1926: ma allora si era in un’altra situazione. Il Parlamento non era più il Parlamento, per cui quella disciplina, che poteva essere apprezzabile, non aveva più il clima necessario per poter avere la giusta applicazione.

Cosa proponiamo noi in sostanza? Proponiamo che la figura del decreto-legge debba essere contemplata nella Costituzione. Non contemplarla significherebbe escluderla e significherebbe che, se il Governo l’adottasse, creerebbe norme incostituzionali, con tutte le conseguenze disastrose che sono agevolmente immaginabili.

Disciplinarla: ma come? Innanzi tutto limitando le ipotesi. Non è possibile fare una casistica: non si possono prevedere e catalogare i casi d’urgenza e di necessità che si manifestano nelle forme più svariate, secondo l’evolversi delle situazioni e l’imporsi dei fenomeni politici e sociali. Quindi abbiamo detto: «nei casi straordinari di assoluta ed urgente necessità», col che sottolineiamo che l’assoluta ed urgente necessità è il fondamento di questo potere, ed inoltre, che la straordinarietà dei casi è un limite politico rimesso alla correttezza – il problema è anche di costume – del Governo, che può comportare un controllo politico del Parlamento.

Non basta, perché il Governo, che ha emanato il decreto-legge, ha il dovere di convocare subito le Camere – entro cinque giorni mi pare sia detto nel nostro schema – anche se sciolte; e ricordo che le Camere sciolte continuano ad esercitare i loro poteri fino a che non avvenga la convocazione delle altre Camere. Vi è un controllo, adunque, immediato del Parlamento: l’esame delle Camere è subito eccitato. Ma vi è un’altra limitazione, perché il provvedimento del Governo perde efficacia, se non è convertito in legge nel termine di sessanta giorni dalla sua emanazione.

Ora, voi vedete che questo complesso di limitazioni rende veramente eccezionale l’adozione del decreto-legge e garantisce quelli che devono essere i diritti del Parlamento, in quanto questo interviene subito e controlla.

Naturalmente, questa possibilità di decretare di urgenza è limitata alle leggi ordinarie. In questo, io accetto il punto di vista dell’onorevole Codacci Pisanelli. Non so se sia il caso di dirlo espressamente; io penserei di no, ma non è configurabile che il Governo decreti di urgenza in materia costituzionale. In questa materia costituzionale vi è tutta una procedura speciale, per cui credo che nessuno potrebbe mai pensare che il Governo possa legiferare con ordinanza di urgenza in materia di questo genere.

Quindi, io credo che, circondato dalle garanzie alle quali ho fatto riferimento, l’istituto del decreto-legge possa e debba anzi trovare introduzione nella Costituzione. Fra le due vie, è quella che vede la situazione realisticamente, che constata un fenomeno e cerca di limitarne, mettendo delle maglie rigide, quelle che sono le esasperazioni e le esagerazioni che si sono verificate nel passato.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati aveva presentato il seguente comma aggiuntivo all’articolo 74:

«All’infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte indirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».

Intende svolgerlo, oppure aderisce al testo concordato?

MORTATI. Se il Presidente mi permette, dirò poche parole per giustificare il ritiro condizionato dell’emendamento.

Osservo che non sono affatto convinto di quello che ha detto l’onorevole Bozzi in ordine alla allegata indispensabilità di una disciplina dei decreti-legge. Basta, in contrario, fare riferimento a quella che è la pratica di molti Paesi, anche grandi Paesi, i quali non hanno nessuna disciplina dei decreti-legge, hanno anche una costituzione rigida, e tuttavia attendono alle loro funzioni e provvedono alle esigenze, anche impreviste, senza incontrare quelle difficoltà a cui accennava l’onorevole Bozzi.

Osservo anche che proporsi di disciplinare il caso di necessità è intrinsecamente contradittorio, come è stato di altri osservato, perché la necessità, per sua natura, potendosi presentare negli aspetti più diversi ed imprevedibili, non può mai essere racchiusa nelle maglie di una regolamentazione che esaurisca tutti i possibili casi. Per le ipotesi che sfuggono alla predeterminazione e per cui non bastano gli espedienti escogitati, rimane sempre quel tale problema di fondo di cui parlava l’onorevole Bozzi. Si può riuscire ad attenuarlo, ma non a risolverlo. Si può anche aggiungere che, secondo l’esperienza dimostra, qualsiasi tentativo di disciplina conduce al risultato di indurre a considerare come normale la via del decreto-legge, specie da parte della burocrazia ministeriale.

Si può aggiungere che si sono già previsti alcuni dei casi che in passato sono stati allegati come tipici della legiferazione di urgenza. Uno è il caso di guerra, e per esso si è già d’intesa che si provvederà con apposita disposizione; un’altra ipotesi, cui di solito si fa riferimento quando si vuole dimostrare l’esigenza di consentire i decreti-legge, è quella che riguarda il periodo dello scioglimento delle Camere. Ma anche a questa ipotesi abbiamo provveduto attraverso l’istituto della prorogatio, sancita dall’articolo 58, che prevede il mantenimento del potere delle Camere durante lo scioglimento delle Camere stesse. Ricordo che fra le ragioni addotte per giustificare questo istituto della prorogatio, si disse che esso doveva servire ad evitare il ricorso ai decreti durante il periodo di scioglimento delle Camere.

Rimane un altro caso, che è anch’esso allegato per giustificare l’uso della decretazione di urgenza: cioè il caso in cui, per evitare danni al pubblico interesse è necessario non far conoscere preventivamente il contenuto di determinati provvedimenti legislativi, come gli aumenti delle tariffe di certe imposte indirette, e gli interventi in materia di borse, mercati ecc.

Per provvedere a questa terza ipotesi io avevo suggerito un emendamento che potrebbe essere formulato in modo più comprensivo nel seguente modo: «Nel caso in cui la preventiva conoscenza del provvedimento può arrecare danno agli interessi dello Stato.

Non insisto tuttavia nel mio emendamento, almeno allo stato delle cose, e mi associo al testo concordato, del quale il Presidente della Commissione ha dato lettura. E questo faccio perché penso che se si mantiene il limite così rigido e rigoroso di convocazione delle Assemblee in esso fissato, e cioè al termine brevissimo di 5 giorni dall’emanazione del provvedimento, si pone in essere una remora sufficiente ad evitare l’abuso dei decreti-legge.

Quindi trovo che se si adotterà la proposta così formulata, il limite di contenuto per la decretazione di urgenza da me proposto può apparire non necessario Mi propongo di insistervi nel caso che questa proposta non avesse successo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, in sede di Comitato di coordinamento questa mattina non ho aderito all’emendamento che è stato illustrato dall’onorevole Ruini; ho anzi dichiarato espressamente che non avrei aderito a nessun emendamento e che mi riservavo di dire in Assemblea quale era il mio punto di vista su questa questione.

Noi siamo ad una svolta di questa nostra rivoluzione nazionale; perché il fatto che non ci siano state delle barricate non significa che in Italia non si stia compiendo una rivoluzione, anzi una serie di rivoluzioni; si sta compiendo una rivoluzione civile, cioè una rivoluzione che ha preferito la legge alle armi, e che si serve della legge emanata da organi voluti dal popolo per fare quelle trasformazioni che certe volte con molto minor successo sono state tentate con la violenza. Ma noi non dobbiamo dimenticare in nome di quali principî e in conseguenza di quali esperienze si è compiuto e si va compiendo nel nostro Paese questo esperimento di rivoluzione civile. È attraverso le esperienze della perduta libertà, è attraverso il desiderio di riacquistare la libertà, è nello sforzo di consolidare la libertà che noi abbiamo fatto quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo quello che tentiamo di fare. Non so se a queste intenzioni e soprattutto se a queste parole abbia sempre risposto sinceramente l’azione o il sentimento di chi diceva di professare queste idee; ma una cosa è certa: che la parola libertà è il denominatore comune, che, almeno come parola, tutti ci unisce e che dovremmo tutti serenamente ed obiettivamente sentire. Ed allora questa discussione che noi stiamo facendo assume un significato tutto particolare. Su questa Costituzione sono già state fissate delle norme le quali forse non hanno interpretato questa nostra esigenza di libertà.

Chiedo scusa ai colleghi se interrompo un momento perché non voglio disturbare i miei amici qui alla destra, i quali hanno per la libertà un interesse un po’ minore. (Commenti – Interruzione del deputato Guerrieri Filippo).

Il pane quotidiano è quella cosa che uno mangia senza accorgersene, ed invece bisogna essere sempre coscienti del pane che si mangia.

Noi ci troviamo ad una svolta grave, perché noi apriamo una falla nell’edificio e nel sistema. Io ho sentito con molta attenzione la dotta esposizione fatta ieri dall’onorevole Codacci Pisanelli, in modo che avessimo tutta la notte per pensarci su (Ilarità), ed ho pensato molto sulle sue parole; però in esse non ho visto altro che uno sforzo continuo di giustificare qualche cosa che non si giustifica da sé; ho visto un ricorrere a tutte quelle dottrine relative allo stato di necessità, alle misure eccezionali, alle cose straordinarie, ecc., che si vanno ricercando e rivangando o risuscitando ogni qualvolta non si trovi un fondamento sostanziale per affermare la propria tesi.

La libertà può essere garantita soltanto da leggi che non consentano eccezioni, perché, quando noi vogliamo che l’eccezione entri nel sistema, noi non sappiamo più quando e da chi si potrà porre un limite alla eccezione. Si è sempre tempestato contro il decreto-legge, di cui si usava e si abusava quando era discussa la sua costituzionalità; ma qui, badate, il decreto-legge diventa una forma ordinaria di legiferazione, perché, una volta che è entrato nel sistema, diventa una forma ordinaria, una forma a cui legittimamente si può far ricorso, una forma sulla cui legittimità arbitro primo è un settore molto limitato di quelli che sono i complessi poteri dello Stato. Nell’emendamento si parla del Governo e del Capo dello Stato (e qui entro nella parte viva dell’emendamento); ora, se accettiamo il criterio di ammettere nella nostra Costituzione una possibilità di deroga, per il potere esecutivo, contro tutte quelle garanzie che noi abbiamo cercato di costruire perché le cose si svolgano secondo una legittimità democratica, l’averci infilato dentro il Capo dello Stato, significa una grande contradizione con tutto il sistema. Questo Capo dello Stato non potrà emanare decreti aventi vigore legislativo – si dice – deliberati dal Governo se non nei casi straordinari; cioè, in altri termini, il responsabile di fronte al Paese ed alle Camere, diventa il Capo dello Stato, perché è il Capo dello Stato che è arbitro di giudicare se il caso sia straordinario o di assoluta ed urgente necessità. È lui, infatti, l’autorità suprema, è lui che firma ed assume questa responsabilità.

Noi abbiamo cercato di fare di questo Capo dello Stato una specie di simbolo che tragga la sua autorità dalla sua impotenza, e ne facciamo oggi l’uomo, che, se ha una eccessiva volontà di potenza, può diventare il più potente dello Stato. E questo solo fatto dovrebbe far pensare su questa formula, oltre che sul principio. Ed io non parlo del fatto che possano sorgere conflitti tra il Capo dello Stato ed il Governo, sulla necessità o non necessità di emanare un determinato decreto, dei conflitti fra il Capo dello Stato e le Camere, nel caso che domani il Parlamento non concordasse con il giudizio di urgenza o di necessità; non parliamo poi della procedura che dovrebbe stabilire il limite e la garanzia, la procedura della convocazione del Parlamento, delle successive discussioni e trasformazioni del decreto in legge, ecc.

Onorevoli colleghi, si è parlato qui di terremoti, di sciagure, di catastrofi; ma, quando c’è una sciagura, una catastrofe di tal genere, come riunite in cinque giorni il Parlamento?

Come lo riunite in cinque giorni il Parlamento? Qui vogliamo prendere in giro noi stessi. Se succedono fatti di questo genere, possono succedere anche fatti che non consentono di riunire il Parlamento in cinque giorni. E allora?

Allora, rimane una cosa sola. Ha detto l’onorevole Bozzi che lo stato di necessità è di per se stesso una fonte superiore del diritto, che va al di là della legge. Io faccio le mie riserve: il diritto viene dopo, non scaturisce dallo stato di necessità. Ma, in ogni modo, quando lo stato di necessità impone che si faccia qualche cosa, o nella legge, o fuori dalla legge questo qualche cosa avverrà. Ma resti a coloro che l’hanno fatto avvenire l’enorme responsabilità di aver violato la Costituzione e di poter andare incontro a tutte le conseguenze del fatto di avere violata la Costituzione.

Qui la verità è questa: che noi prevediamo che determinati fatti avverranno e vogliamo moralizzarli ed inquadrarli in un sistema democratico, al quale essi non appartengono. Essi sono deroghe che certe volte possono essere indispensabili al sistema; ma non possiamo infilarle nel sistema senza alterare profondamente e senza distruggere il sistema stesso.

È perfettamente inutile voler moralizzare quello che morale non è, o rendere democratico quello che democratico non è. Non è mettendo certe catenelle a certe persiane che si possono moralizzare le cose che avvengono dietro quelle persiane. Se i fatti avverranno – e già così ci siamo regolati per l’articolo 70 – essi troveranno la loro soluzione in se stessi, come tutte le cose del mondo; ma non possiamo assolutamente codificare quella che è stata una delle cose che abbiamo più fortemente combattuto, quello che è stato il mezzo di tutte le oppressioni, e non solo dell’oppressione fascista, ma anche di quegli esperimenti di reazione o di tentativo di soffocamento della libertà tipo Pelloux et similia. Noi non possiamo codificare questo.

L’amico Costantini una voltarmi ha detto, a proposito di alcune mie affermazioni fatte in quest’Aula, che certe volte divento un poeta della politica. Ora, io vorrei invitare l’Assemblea Costituente a voler seguire questa visione – se voi volete – anche poetica, anche sentimentale della libertà. Non è il concetto della libertà che sia fuori della natura, è il sentimento della libertà nella sua vera essenza, che sa di poter trovare dei limiti in se stessa, sa che certe volte possono esserle imposti limiti dall’esterno; ma non codifica i limiti e non può permettere che si torni nella legge agli stati di assedio o alla sospensione dei diritti di libertà.

Dove si consacra in una legge che i diritti di libertà possono essere sospesi, onorevoli colleghi, in quel Paese la libertà già non esiste più.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo una cosa sola, tanto per chiarire: che la tesi dell’onorevole Lucifero, che vuol apparire la più liberale, è in verità la più illiberale, perché permette in più larga misura gli arbitri. Egli stesso ha detto che un governo, in caso di necessità non può non ricorrere ai decreti-legge. Dunque, se non si pongono dei limiti, il governo può fare quello che vuole. La tesi dell’onorevole Lucifero è la più liberale… perché non pone vincoli all’arbitrio. Noi invece vogliamo limitare l’arbitrio con freni e prescrizioni così rigorose, che il governo non adotterà l’inevitabile male dei decreti-legge, se non in casi di vera ed assoluta necessità, tali che non potranno non essere riconosciuti dal Parlamento. Questo è spirito liberale, onorevole Lucifero. Non si può rendergli omaggio chiudendo gli occhi; coprendo la realtà con una foglia di fico. Noi si può, per un bel gesto contro i decreti-legge, per non metterli nell’arca santa della Costituzione, perché sconvenienti ed indegni, lasciare ad essi in realtà campo aperto, ed autorizzazione, col voluto silenzio, l’arbitrio. Capirei l’esplicito divieto; ma, poiché sarebbe assurdo, non si fa così, si tace, cioè si incoraggia l’arbitrio. Questo non è criterio di libertà.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. L’onorevole Lucifero non è certamente il solo ad essere contrario ai decreti-legge d’urgenza; anch’io mi sono dichiarato reiteratamente contrario all’inserzione nella Carta costituzionale dell’istituto del decreto-legge d’urgenza. Tuttavia, nel caso che l’Assemblea decida di dettare una qualche norma in materia, proporrei un emendamento al testo presentato dalla Commissione e particolarmente all’ultimo comma, proprio al fine di restringere ancora di più, per quanto è possibile, questa eventualità che dovrebbe essere rarissima.

Se non erro, il testo proposto dalla Commissione, al terzo comma, reca che i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni. Io proporrei invece: «I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti», perché, se si conserva il testo della Commissione, «perdono efficacia», resta, per conto mio, già pregiudicata la questione dell’efficacia retroattiva o meno del fatto della mancata conversione in legge dei decreti d’urgenza. Invece, dicendo senz’altro «non hanno efficacia», veniamo a dire implicitamente che la mancata conversione implica inefficacia dal momento dell’emanazione del decreto-legge. (Approvazioni).

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Desidero dire che aderisco in gran parte al testo proposto dal Comitato dei diciotto; soltanto avrei preferito che si fosse mantenuta una forma positiva e soprattutto desidero insistere sul mantenimento dell’espressione «efficacia di legge ordinaria», desidererei cioè che i decreti legge venissero ammessi solo come leggi ordinarie, escludendo quindi che con essi possano essere modificate leggi costituzionali.

Uno degli oratori che mi hanno preceduto ha espresso l’opinione che parlando di efficacia legislativa si intenda già implicitamente «ordinaria»; per maggiore garanzia dei fondamentali diritti di libertà garantiti dalla Costituzione preterirei, tuttavia, che ciò fosse espressamente specificato.

Al collega, poi, di parte liberale che così brillantemente ha parlato ora vorrei dire che ho appreso proprio dalla scuola liberale la convinzione dell’impossibilità di negare al Governo la potestà di legiferare e di negare nel tempo stesso l’opportunità che la nostra legislazione costituzionale preveda l’ipotesi di disciplinare la materia dei decreti-legge, anziché lasciare arbitro il Governo di andare contro la Costituzione. Se nulla si prevede al riguardo, il Governo resta praticamente autorizzato ad infrangere la Costituzione, in quanto essa non prevede determinate ipotesi che sicuramente, prima o poi, si vengono a verificare.

Sono d’accordo, invece, con lo stesso onorevole collega quanto all’affermazione che la necessità non possa essere interpretata come fonte di diritto in se stessa.

RUINI, Presidente della. Commissione per la Costituzione. Ma questa è teoria.

CODACCI PISANELLI. Viceversa, penso che la necessità sia uno di quei casi in cui debbono ammettersi particolari ed eccezionali forme di produzione giuridica.

Comunque, quello che interessa è di stabilire in questa sede l’opportunità che venga mantenuta la parola «ordinaria», di modo che il testo proposto dalla Commissione verrebbe così modificato:

«In casi di straordinaria e urgente necessità il Capo dello Stato potrà emanare, con suo decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, norme aventi forza di legge ordinaria. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono immediatamente convocate e si riuniranno entro cinque giorni».

Ho inoltre suggerito al Presidente l’opportunità di prevedere la sanzione dell’inefficacia.

Sulla proposta fatta da un mio collega proprio ora di aggiungere l’espressione: «i decreti-legge non hanno efficacia se non sono convertiti», osservo che questa espressione, forse, va oltre le sue stesse intenzioni, perché in tal caso i decreti-legge potrebbero essere addirittura considerati inefficaci, finché non fossero convertiti. Allora il magistrato non li applicherebbe nemmeno.

D’altra parte sono sodisfatto nel vedere che, se ho fatto riflettere per tutta la notte – come ha detto il collega prima – sul problema dei decreti-legge, tuttavia non è stato inutile, perché mi pare che quelle tali sentinelle non abbiano assolto il loro disorientante compito e che quella tale signora sia riuscita a entrare in quest’Aula!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per venire al concreto – ciascuno deciderà poi come vuole – accetto l’emendamento Tosato, che toglie del tutto valore ai decreti-legge non regolarmente convertiti; e corrisponde al concetto stesso di provvedimenti che sono completamente subordinati alla ratifica del Parlamento. Dicendo «non ha efficacia» si esclude che i rapporti posti in essere dall’emanazione del decreto-legge, alla sua reiezione restino senz’altro in vigore; ma non vuol dire neppure che non possa essere regolata la loro materia con disposizioni di legge emanate dal Parlamento nel momento della reiezione.

Posso anche concordare con l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli; se «hanno valore di legge ordinaria», vuol dire che non si possono con decreto-legge toccare le leggi costituzionali. La forma però dovrà essere a suo tempo riveduta, perché non appaiano contrasti formali con l’altra affermazione che il decreto-legge è un provvedimento straordinario. La dizione dovrà essere meglio curata.

Con queste dichiarazioni accetto i due emendamenti proposti.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Vorrei fare una semplice proposta. Il termine entro il quale deve essere convalidato il decreto-legge è stato stabilito in sessanta giorni.

A me questo termine sembra eccessivo, dato che si tratta di un provvedimento di urgenza, che la Camera e il Senato potranno spesso discutere anche in un solo giorno, in una seduta antimeridiana ed una pomeridiana. Mi. pare, perciò, che il termine di trenta giorni sia più che sufficiente.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare, onorevole Persico, che il suo argomento si ritorce contro la sua proposta, perché, appena convocata, la Camera potrà, il giorno stesso se vuole, respingere ed annullare il provvedimento. Se non lo fa, bisogna lasciare un po’ di tempo, prima che avvenga la revoca automatica. Si noti che nei sessanta giorni deve avvenire anche la pubblicazione della legge di conversione.

CARBONI ANGELO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONI ANGELO. Vorrei invitare la Commissione a considerare attentamente l’osservazione dell’onorevole Codacci Pisanelli a proposito della proposta dell’onorevole Tosato.

L’onorevole Tosato propone di dire: «non hanno efficacia se non sono convertiti», e fa questa proposta allo scopo di ottenere una inefficacia operante ex tunc, in modo che la mancata conversione faccia cadere il provvedimento nel nulla fin dall’origine, come se non fosse stato emesso.

Però, diceva giustamente l’onorevole Codacci Pisanelli, la formula «non hanno efficacia se non sono convertiti» va oltre le intenzioni dell’onorevole Tosato, perché significa che la conversione in legge è condizione di efficacia, cioè che, fino a quando non intervenga la conversione in legge, il decreto-legge non ha efficacia.

E allora noi avremmo un periodo di tempo, cioè quello entro il quale può avvenire la conversione in legge, in cui si avrebbe un decreto-legge inapplicabile. Si tratterebbe di una condizione sospensiva, dalla quale dipenderebbe l’acquisto dell’efficacia del decreto-legge. A me pare quindi che la formula proposta dalla Commissione «perdono efficacia» sia più esatta, con l’intesa che, dicendo «perdono efficacia», si vuol dire che l’inefficacia si produce ex nunc e non ex tunc. Dire, invece, che i decreti non convertiti in legge non hanno efficacia, significa dare al Governo la facoltà di emanare decreti-legge inoperanti fino alla conversione, cioè frustrare lo scopo dell’emanazione del decreto-legge.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’ultima parte della proposta dice: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni». A me sembra che le parole «e pubblicati» siano inutili, anzi non me le spiego, perché i decreti sono necessariamente pubblicati appena firmati, e perciò prima dell’eventuale conversione. Ciò che forse si è inteso dire è che la legge di conversione deve essere pubblicata nei sessanta giorni. Ma è evidente che una legge qualsiasi, e così quella di conversione, non ha effetto se non è pubblicata. Quindi le parole «e pubblicati» sono inutili e propongo che siano soppresse.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Salva la nostra adesione o meno a questo progetto di articolo, vorrei rilevare che mi pare che l’espressione contenuta nell’ultimo periodo dell’articolo stesso si presti a qualche possibile equivoco. Qui è detto: «i decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni». Mi pare che non sia previsto il caso che le Camere, prima di 60 giorni, deliberino in senso contrario. È evidente che la Commissione aveva intenzione con questa formula di stabilire che, anche se interviene nel contempo la decisione contraria, il decreto perde efficacia. Quindi proporrei quest’altra formula: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni, o nel caso che intervenga nel frattempo una deliberazione contraria». (Commenti). Perché dalla lettura dell’articolo pare che si debba in ogni caso attendere 60 giorni perché si riscontri la inefficacia di fatto del decreto. Si potrebbe dare il caso, secondo l’articolo, che, pur essendo questo decreto inesistente legalmente perché la Camera non ha sanzionato, ciò nonostante questo decreto stesso duri per quei 60 giorni ed abbia una sua efficacia.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Laconi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’osservazione dell’onorevole Laconi è fondata nella sua sostanza, ma se noi mettiamo «se la Camera non decide in senso contrario», veniamo quasi a diminuire ciò che è già inerente al testo del Comitato. Do assicurazione all’onorevole Laconi che nella formulazione definitiva si cercherà di rendere ancora più chiaro il concetto indicato.

Quanto alla proposta dell’onorevole Perassi di non mettere le parole «e pubblicati», non ho difficoltà ad aderirvi. Non è una questione di importanza. Quel che è importante è la conversione in legge.

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Desidero far notare che se si attribuisse all’emendamento proposto dall’onorevole Tosato il significato che il decreto-legge viene a perdere efficacia ex tunc, si verrebbe a creare una grande incertezza nei rapporti giuridici.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione in ordine alle osservazioni degli onorevoli Carboni e De Vita.

TOSATO. La preoccupazione manifestata dagli onorevoli Carboni e De Vita non mi pare fondata, perché una disposizione va interpretata nel contesto dell’articolo. Ora se questo articolo stabilisce che, sia pure in determinati casi e con determinate procedure, possono essere emanati decreti legge d’urgenza, è evidente che questi decreti sono emanati validamente, legalmente. Tuttavia essi hanno un valore soltanto provvisorio, condizionato al fatto della conversione in legge, e se non sono convertiti in legge, perdono efficacia.

Mi pare che lo stesso onorevole Carboni sia concorde in questo, quando riconosce l’effetto negativo della mancata conversione. Si tratta dunque d’una efficacia provvisoria condizionata alla conversione.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Credo che la formula dell’onorevole Tosato sarebbe più chiara se si dicesse: «non hanno più efficacia».

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, vuol esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell’onorevole Buffoni?

TOSATO. Se si adottasse la formula suggerita dall’onorevole Buffoni: «non hanno più efficacia», ciò significherebbe che la mancanza di efficacia interverrebbe dal momento soltanto in cui non si è avverato il fatto della conversione. Il che vuol dire che durante tutto il periodo sino a che questo fatto non si avveri, i decreti legge restano in piedi. Invece io volevo stabilire la responsabilità del Governo, metterlo di fronte a questa responsabilità. Il Governo emana un decreto legge d’urgenza, ed il decreto ha il suo effetto. Ma si tratta di un effetto provvisorio, condizionato ad un avvenimento, la conversione in legge. E se questa non avviene, tutti gli effetti vengono annullati, con gravi conseguenze, che certamente indurranno il Governo a ben valutare i decreti legge da emanarsi d’urgenza.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Propongo un altro emendamento, nel senso che si cominci con le parole:

«Non possono emanarsi decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».

Le ragioni di questa modificazione sono chiare e non hanno bisogno d’illustrazione. Siamo in una Repubblica che vogliamo sia parlamentare. Non v’è ragione d’indicare che è il Presidente della Repubblica che ha questo potere. L’intervento del Presidente della Repubblica è necessario, nel caso in esame, come per qualsiasi legge. Se si dice «il Presidente della Repubblica ecc.» si mette il Presidente, almeno in apparenza, in una posizione che può dare l’impressione di un potere diverso da quello che egli ha. E ciò si farebbe proprio per i decreti legge! In realtà poi è il Governo che li prepara e, ripeto, l’intervento del Presidente della Repubblica non è diverso da quello che si verifica per ogni legge.

LUCIFERO. Ma in questo caso è lui che decide!

TARGETTI. Se il Presidente della Repubblica non interviene ad emanarla, la legge rimane nel Gabinetto del Presidente del Consiglio. Non vi è, dunque, differenza.

SICIGNANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SICIGNANO. La seconda parte del primo comma concordato suona così:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni».

Io proporrei che si dicesse invece:

«Le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni», perché vi potrebbe essere il caso che il Governo, abusando di questa facoltà, in cinque giorni crei il fatto compiuto che non possa più essere corretto:

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Non ho che poche osservazioni da fare a quanto è stato detto e le faccio a titolo puramente personale. Mi dichiaro perfettamente d’accordo, in linea di principio, con la tesi sostenuta così brillantemente e con tanto calore dall’onorevole Lucifero, ma devo, adeguandomi alla realtà della vita quotidiana, riconoscere che il Governo non può governare, soprattutto nei periodi di vacanza parlamentare, se non gli si accorda la facoltà di emettere dei provvedimenti aventi, in linea provvisoria, valore di legge. Ma a questo punto io faccio una osservazione, dico cioè: possono essere sufficienti cinque giorni dall’emanazione del provvedimento legislativo, chiamiamolo pure decreto legislativo, per la convocazione della Camera?

Una voce al centro. C’è l’aereo.

COSTANTINI. Sì, ma bisognerebbe che ogni deputato avesse l’aereo a disposizione, e che i deputati avessero quella libertà che normalmente non hanno perché ognuno è occupato da interessi, da cure, da professioni.

Piuttosto, riconosciuta in linea di principio ed in via eccezionale la facoltà al Governo di emettere provvedimenti di urgenza, non sono tanto i cinque o i sette giorni che contano, quanto di avere a disposizione, sollecitamente, ed in linea di normalità, il numero necessario di deputati per poter ratificare il provvedimento.

Ed allora, anziché cinque, concediamo dieci giorni ed abbiamo per lo meno maggiore speranza che entro questo termine i signori deputati, adeguandosi alle necessità, si convochino a Roma. Ecco perché io propongo di prolungare il termine di con vocazione della Camera almeno a dieci giorni; il che non muta il carattere di eccezionalità del provvedimento, ma consente di contare sul numero maggiore possibile di deputati presenti per la ratifica del provvedimento che interesserà il Governo ed il Paese.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Faccio una dichiarazione brevissima, cioè che voterò contro l’istituto del decreto-legge perché ritengo che il rimedio del suo regolamento sia peggiore del male. Il regolamento è quasi sempre una autorizzazione preventiva che diminuisce la responsabilità a cui si va incontro dal potere esecutivo ricorrendo al decreto-legge. Qualora però la maggioranza della Camera non fosse della mia opinione, come credo, io mi permetterei di suggerire che forse il concetto intorno al quale si sono dibattute varie formule le più diverse, potrebbe essere concretato con le parole: «Gli effetti provvisori del decreto-legge non conservano efficacia se, ecc. ecc.». Allora risulterebbe chiaro il doppio criterio che il decreto legge ha un effetto provvisorio ma che questo viene revocato ex tunc se il decreto non è ratificato.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. In generale sono contrario alla facoltà del Governo di emanare decreti-legge. Però, dato che l’Assemblea deciderà che questa facoltà sia data, a me sembra che in un caso almeno non si dovrebbe mai concedere, vale a dire allorquando le Camere sono aperte, tranne che si tratti di provvedimenti di carattere tributario; ma per tutti gli altri provvedimenti troverei molto strano che, mentre siedono la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica, il Governo emanasse un provvedimento legislativo sul quale le Assemblee stesse potrebbero d’urgenza deliberare.

È in tal senso che, in via subordinata, desidero sia emendata l’aggiunta che si propone all’articolo 74.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La discussione, per cui la Camera dimostra interesse, è discussione tecnica ed è difficile farla in un numero molto grande di persone. Cerchiamo di concludere. Lo spirito del testo è questo: che le Camere sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni. Non mi sembra che l’emendamento Sicignano aggiunga nulla al senso di rapidità e di immediatezza, che dà il testo del Comitato. Potremo, in sede di revisione, modificare qualche espressione, ma non qui, improvvisando. Noi vogliamo, in sostanza, e non possiamo non essere tutti d’accordo, che il Governo presenti alle Camere il decreto-legge il giorno stesso dell’emanazione. Se le Camere non seggono, lo trasmetterà alle loro Presidenze. E poi i casi sono tre: o le Camere seggono già, e sono senz’altro investite dell’esame del decreto-legge. O sono in vacanza, e vengono appositamente convocate entro cinque giorni. O sono sciolte, ed anche in tal caso ha luogo l’immediata convocazione. Vedremo come si potrà dire tutto ciò, senza prolissità, ma con chiarezza.

Quanto all’osservazione dell’onorevole Nobile, osservo che la Camera può essere già convocata, ma il Governo può egualmente sentire la necessità di emettere un decreto-legge, quando vi siano esigenze di segretezza, che non sarebbero rispettate se il provvedimento dovesse discutersi dalle Camere prima di entrare in vigore.

Quanto all’osservazione dell’onorevole Targetti sarei disposto ad accettarla. Così si elimina ogni questione se si debba parlare di Governo o di Capo dello Stato. Sta di fatto che, come è nel nostro ordinamento costituzionale, il Governo decide ed assume la responsabilità; l’atto del Capo dello Stato è la forma, con cui si esplica tutto ciò; (senza volere escludere l’opera di persuasione e di moderazione che il Capo dello Stato può compiere, ed è nel suo ufficio, nei confronti del Governo, è questo in sostanza che agisce). La formulazione Targetti ha il vantaggio di apparire più drastica nella negazione iniziale dei decreti-legge se non nei casi di necessità ed urgenza, eccetera. Si aggiunga che questo articolo si connetterebbe, anche formalmente, meglio con l’antecedente, che dice: «la funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non…». Il caso dei decreti-legge sarebbe ora regolato a sé, ma quasi in parallelo. Sentiti anche altri colleghi del Comitato, accetto l’emendamento Targetti, salvo sempre revisione finale.

COSTANTINI. Circa il termine da me proposto?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che bisognerebbe rimanere a cinque. Anche se le Camere sono sciolte, con i mezzi attuali di comunicazione i deputati possono avere la possibilità di convocarsi in cinque giorni; mentre se stabiliamo dieci giorni, lasciamo una pausa di arbitrio al Governo.

PRESIDENTE. Dobbiamo passare alla votazione.

La proposta formulata dall’onorevole Crispo s’intende decaduta, data l’assenza del proponente, e così quella dell’onorevole Bozzi, perché egli aderisce al testo formulato dalla Commissione.

Così dicasi per la proposta dell’onorevole Codacci Pisanelli, salvo le proposte che egli ha fatte e che la Commissione ha in parte accettate.

L’onorevole Persico aderisce al testo della Commissione, salvo la modifica del termine da sessanta in trenta giorni.

L’onorevole Mortati, in definitiva, accoglie la formula della Commissione.

Resta allora la formula della Commissione, coi vari emendamenti presentati nel corso di questa seduta e svolti dai rispettivi proponenti.

La prima parte del primo comma del testo della Commissione è del seguente tenore:

«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».

L’onorevole Targetti ha presentato la seguente proposta, accettata dalla Commissione:

«Non si possono emanare decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sostituire alle parole «valore legislativo» le parole «valore di legge ordinaria» e mi pare che l’onorevole Ruini abbia dichiarato di accettare questa modificazione. Quindi la formulazione del primo comma cogli emendamenti suddetti è del seguente tenore:

«Non si possono emanare decreti, aventi valore di leggi ordinarie, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità.»

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io aderisco alla proposta dell’onorevole Targetti, purché all’articolo 83 – sui poteri del Presidente della Repubblica – che dovremo esaminare, al secondo comma si dica…

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, non possiamo impegnarci adesso sulla formulazione degli articoli da esaminare.

BOZZI. Allora sono contrario alla proposta Targetti: mi pare che essa risolva il problema come lo risolve lo struzzo, mettendosi la testa sotto le ali.

L’onorevole Ruini sa che vi è stata una discussione sul punto se debba essere il Governo o il Presidente della Repubblica ad emanare il decreto legge. Usare una espressione come quella proposta dall’onorevole Targetti significa eludere il problema.

Se siamo nell’intesa – per il valore che queste intese possono avere – che, quando si tratterà dell’articolo 83, diremo che il Presidente della Repubblica promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i decreti legge, allora s’intende che questo è un potere del Presidente della Repubblica e potremo adottare la formula Targetti; altrimenti insisto nella formula: «il Presidente della Repubblica…»; per la chiarezza dobbiamo dire chi deve fare questo decreto legge.

Trovo esatto il concetto espresso dall’onorevole Codacci Pisanelli che la materia costituzionale deve essere esclusa dalla sfera della decretazione d’urgenza. Ma non adotterei la forma proposta la quale dice: «non possono essere emanati decretilegge in materia ordinaria, se non nei casi… ecc.». Sembra che il Governo non possa fare i decreti in materia ordinaria, ma gli altri sì.

UBERTI. Quali altri?

BOZZI. Quelli in materia costituzionale; proprio quelli che si vogliono escludere!

Siccome la disciplina della materia costituzionale ha tutto un titolo a sé, mi pare inutile parlarne.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Propongo che si voti per divisione, separando la parola «legge» dalla parola «ordinaria».

Quando nella norma in esame si parla di legge, non si tiene conto che della sua efficacia, della sua obbligatorietà. Ora io non intendo quale differenza esista fra l’obbligatorietà della legge ordinaria e quella della legge straordinaria. Per cui penso che la parola «ordinaria» debba essere eliminata.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che il significato della proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli è che non si possono con decreto di urgenza toccare le leggi costituzionali. In questo senso, e salvo la solita revisione di forma, la credo accettabile.

FABBRI. Escluso lo stato d’assedio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di questo potremo parlare in seguito, come ha proposto in Comitato l’onorevole Mortati. Non è facile, del resto, fare una determinazione lessicale dei casi di ammissione, e anche di esclusione tassativa, dei decreti-legge.

Le proposte dell’onorevole Bozzi meritano attenzione; ma non sembra che si debba entrare nell’attuale articolo in precisazioni, che risultano da altre disposizioni costituzionali sulla posizione del Capo dello Stato, che emette formalmente i provvedimenti, e del Governo che ne è responsabile. Potremo vedere se, dove l’articolo 82 dice che il Capo dello Stato emana i decreti legislativi, sia anche da aggiungere «e i decreti-legge». Ma non si può metterlo nell’articolo che ora esaminiamo.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, lei conserva la richiesta di votazione per divisione?

COLITTO. Sì, la conservo.

PRESIDENTE. Allora pongo in votazione la prima parte del primo periodo, che è del seguente tenore:

«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge».

(È approvata).

Pongo in votazione ora la parola:

«ordinaria».

(Dopo prova e controprova, è approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte di questo primo periodo:

«se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».

(È approvata).

La seconda parte del primo comma del testo della Commissione era del seguente tenore:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni».

A questa parte vi è il seguente emendamento dell’onorevole Sicignano: «In tali casi le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni». Vi è poi la proposta dell’onorevole Costantini di elevare i giorni da cinque a dieci.

Pongo in votazione la formulazione seguente, con l’emendamento dell’onorevole Sicignano:

«In tali casi le Camere debbono immediatamente riunirsi o, se sciolte, sono appositamente convocate».

(Dopo prova e controprova, non è approvata).

Pongo in votazione la formula originale della Commissione:

«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate».

(È approvata).

Pongo in votazione, con l’emendamento Costantini, le seguenti parole:

«e debbono riunirsi entro 10 giorni».

(Non sono approvate).

Pongo in votazione le corrispondenti parole nel testo della Commissione:

«e debbono riunirsi entro cinque giorni».

(Sono approvate).

Passiamo all’ultimo comma. Il testo originario della Commissione era il seguente:

«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

L’onorevole Tosato propone che si dica nella prima parte:

«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».

Pongo in votazione questa formula.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Voterò contro questa formulazione perché non vi è dubbio, a mio modesto avviso, che, una volta emanato, il decreto-legge ha efficacia. Tale efficacia si può perdere, e la si può perdere ex tunc ovvero ex nunc, ma non può disconoscersi che il decreto ha efficacia nel momento in cui viene emanato.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Anche io sono contrario alla formulazione proposta dall’onorevole Tosato, perché va contro la stessa idea del proponente. In questa maniera, i decreti legge non avrebbero efficacia perché il magistrato, o chi li applica, dovrebbe attendere questa conversione. Se ammettiamo che i decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge, l’efficacia è condizionata in maniera tale che giustamente la si può negare se non sia intervenuta la conversione.

Di questo io mi preoccupo, e quindi resto fedele al testo della Commissione che mi pare più preciso e non dà luogo a divergenze di interpretazioni.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Ricordo che ho proposto la seguente mia formula:

«Gli effetti provvisori dei decreti non conservano efficacia se non sono ecc.».

PRESIDENTE. Porrò in votazione la prima formula con l’emendamento dell’onorevole Tosato e poi con l’emendamento dell’onorevole Fabbri.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Vorrei proporre una formula sodisfacente per tutti, che potrebbe essere questa:

«I decreti sono da considerarsi senza efficacia quando non vengano convertiti in legge entro sessanta giorni». (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Tosato, aderisce alla formulazione dell’onorevole Gronchi?

TOSATO. Conservo la mia.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma nella formulazione dell’onorevole Tosato:

«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».

(Non è approvata).

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Siccome mi pare che queste votazioni si stanno facendo non sulla sostanza, ma sulla forma, per cui taluni ammettono la perdita di efficacia retroattivamente, ma adottano una formula non chiara, io proporrei di votare il concetto, poi il Comitato di coordinamento adotterà i termini più appropriati per esprimerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Concordo.

PRESIDENTE. Se ciò corrisponde al pensiero dei colleghi, il problema si risolve votando una qualunque delle formule proposte. (Commenti).

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Credo che si potrebbe votare la formulazione: «I decreti perdono efficacia con effetto retroattivo se non sono ecc.», e poi si troverà una formula più esatta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In una gara così improvvisata di formulazioni, vi è il pericolo che esse diano luogo ad incertezze di interpretazione. Il punto in discussione è se il provvedimento non convertito in legge perda efficacia ex tunc o ex nunc; dal momento stesso in cui fu emanato, o dal momento nel quale venne rigettato dalle Camere. Questo è il punto essenziale, su cui è bene pronunciarsi. Resta poi inteso – desidero ripeterlo esplicitamente – che la revoca ex tunc non significa che tutti i rapporti posti in essere e tutti gli atti compiuti nel periodo intermedio debbano senza altro cadere nel nulla. Le Camere, nel momento stesso della reiezione, potranno deliberare al riguardo, e provvedere secondo i casi.

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Mi sembra implicito che i decreti debbono perdere l’efficacia fin dall’origine.

PRESIDENTE. Noi però, non siamo più in tema di discussione, siamo ora in tema di votazione. Il suo pensiero, onorevole Costantini, lei lo potrà manifestare votando una formula.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Si dice che un decreto debba venir considerato nullo fin dal principio. Sta bene. Ma, allora, domando: nel caso di un decreto che abbia raddoppiato il prezzo dei tabacchi che cosa si dovrà fare? Restituire ai fumatori il danaro pagato in più?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, a prescindere che non occorre una legge, le Camere potrebbero decidere che il prezzo aumentato delle sigarette non si dovesse restituire.

PRESIDENTE. In ogni modo, l’Assemblea Costituente non può decidere anche su queste singole questioni.

Onorevoli colleghi, vorrei pregare i presentatori dei vari emendamenti, ciascuno dei quali ha cercato di rendere in modo più evidente lo stesso concetto, di accogliere le dichiarazioni fatte dall’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione, accettando la formulazione che la Commissione stessa adotterà, tale da rendere inequivocabile il concetto. Sono d’accordo su questo i presentatori dei vari emendamenti?

COSTANTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COSTANTINI. Ho sentito l’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione chiedere che la Camera discuta se la perdita di efficacia del decreto legislativo avrà valore dal momento della declaratoria parlamentare di inefficacia o dal momento della pronuncia del provvedimento provvisorio. Vorrei sentire il pensiero dell’onorevole Presidente della Commissione a questo riguardo.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha già chiaramente detto che il concetto della Commissione è per l’appunto che i decreti perdano efficacia dal momento della loro emanazione. Votiamo ora sul testo della Commissione, restando inteso che esso significa che questi decreti perdono di efficacia fin dall’inizio. Coloro i quali ritengono che questa perdita di efficacia debba aver luogo soltanto dal momento in cui le Camere si sono pronunciate, voteranno contro la formulazione della Commissione.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Dichiaro che voterò contro perché ritengo che dalla retroattività deriveranno molti inconvenienti pratici, che indurranno le Camere a convertire sempre i provvedimenti, per evitare conseguenze troppo gravi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la seguente formulazione, salvo coordinamento:

«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge».

Ricordo all’onorevole Ruini l’impegno preso di trovare una formulazione più comprensiva ed esplicita.

Seguono le parole:

«e pubblicati entro 60 giorni».

Vi sono due emendamenti: l’emendamento Persico, che propone di ridurre i 60 giorni a 30 giorni e l’emendamento Perassi, che propone di sopprimere la parola «pubblicati».

Pongo in votazione la prima formulazione con l’emendamento dell’onorevole Persico:

«e pubblicati entro trenta giorni».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvata).

Pongo ora in votazione la proposta della Commissione:

«e pubblicati entro sessanta giorni».

(È approvata).

Vi è ora la proposta dell’onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».

La pongo in votazione.

MORTATI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto..

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Dichiaro che voterò contro la proposta di sopprimere le parole «e pubblicati», perché mi pare che anche la pubblicazione entro sessanta giorni giovi alla certezza della norma.

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».

(Non è approvata).

L’articolo 74-bis risulta approvato nel seguente testo:

«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge ordinaria se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.

«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».

Resta inteso che la Commissione studierà una forma più idonea da darsi alla frase: «perdono efficacia, ecc.».

Passiamo all’esame dell’articolo 75. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Spetta all’Assemblea Nazionale deliberare la mobilitazione generale e l’entrata in guerra.

«L’amnistia e l’indulto sono deliberati dall’Assemblea Nazionale».

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si potrebbe osservare che, poiché questo articolo riguarda l’Assemblea Nazionale, sarebbe opportuno o necessario soprassedere alla discussione. Ma poiché vi sono emendamenti i quali, senza porre la questione dell’Assemblea Nazionale, propongono che spetti alle Camere riunite deliberare, chiedo se non sia opportuno esaminare senz’altro questo articolo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo sia meglio rinviare al tema dell’Assemblea Nazionale. Infatti, ora si potrebbe votare soltanto che è sottratta al Governo la competenza di deliberare sopra la guerra e l’amnistia. Sarebbe un concetto vago; quindi è meglio rimandare insieme agli altri articoli.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Passiamo all’articolo 76. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le due Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali di natura politica o d’arbitrato e regolamento giudiziario, e di quelli che importano variazioni del territorio nazionale, oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

A questo articolo l’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: trattati internazionali di natura politica o di arbitrato e regolamento giudiziario, sostituire le seguenti: trattati internazionali di materia politica, di arbitrato e regolamento giudiziario; ed alle parole: territorio nazionale, sostituire le seguenti: territorio della Repubblica».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. È una pura questione di forma, e perciò rinuncio a svolgerlo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato accetta l’emendamento Perassi.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: territorio nazionale, le parole: territorio dello Stato».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. Ho chiesto solo di sostituire alle parole «territorio nazionale» le parole «territorio dello Stato», e rinuncio a svolgere l’emendamento.

PRESIDENTE. Qual è il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avendo già accolto l’emendamento dell’onorevole Perassi, che parla di territorio della Repubblica, implicitamente è accolto anche quello dell’onorevole Colitto.

COLITTO. Appunto perciò non insisto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo dell’articolo, inserendovi l’emendamento dell’onorevole Perassi.

«Le due Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali di materia politica, di arbitrato o regolamento giudiziario, e di quelli che importano variazioni del territorio della Repubblica, oneri alle finanze o modificazioni di leggi».

(È approvato).

Passiamo all’articolo 77. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Le Camere approvano ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 77 col seguente:

«Le Camere votano ogni anno il bilancio e il rendiconto presentati dal Governo.

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi.

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse.

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi.

«L’unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d’entrata.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi».

L’onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DE VITA. Onorevoli colleghi, la dottrina e la prassi finanziaria dominanti poggiano ancora oggi sulla concezione dell’assolutismo. I trattati più recenti di scienza delle finanze dànno spesso l’impressione di una specie di commentario della celebre regola di sapienza: tutto per il popolo, nulla mediante il popolo.

Può valere come esempio lo spazio minimo che di solito è dedicato alla trattazione dell’importantissimo problema dell’approvazione dei bilanci e delle leggi di imposta.

Credo di non esagerare se affermo che l’odierno sistema di approvazione del bilancio e delle leggi tributarie può tutto al più considerarsi come il timido inizio di un sistema parlamentare e veramente democratico; ma soltanto un inizio, perché attualmente le decisioni dei Governi e dei Parlamenti vanno regolarmente contro una più o meno grande parte della nazione, ciò che equivale ad un sopraccarico tributario di questa parte.

Bisogna rendersi esatto conto di questa circostanza, ed invece di attendere soccorso da dottrine finanziarie ormai sorpassate, risolvere il problema dell’approvazione delle imposte e del bilancio in uno spirito di progresso e di sviluppo.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che bisogna indirizzare quel movimento che ha diretto la storia politica del nostro secolo e che invano si è cercato di frenare; quel movimento che è il progredire continuo della vita pubblica verso forme sempre più parlamentari e democratiche.

Se noi adottassimo ancora i sistemi finanziari fino ad oggi seguiti, insufficienti a confronto dello sviluppo odierno della vita politica; se noi sostituissimo al giogo delle oligarchie nemiche della libertà, della pace e della libera discussione, la tirannia non meno odiosa di una maggioranza parlamentare, anche occasionale, noi porremmo quel movimento in contrasto con lo spirito che l’ha creato.

Onorevoli colleghi, la questione può sembrare teorica e priva d’importanza pratica e politica.

Per convincervi del contrario, richiamo la vostra attenzione sul fatto che, nell’attività legislativa ordinaria, si hanno di continuo dei casi in cui oltre due soluzioni opposte è possibile trovare una soluzione intermedia. Così, quando si tratta di vietare o permettere un’azione, non è possibile trovare una soluzione intermedia. È naturale che in questo caso la deliberazione a maggioranza semplice debba costituire la regola. Per quanto riguarda invece, la legislazione tributaria e l’approvazione del bilancio, questo dilemma non esiste quasi mai.

Il punto saliente che fino ad oggi non ha ricevuto l’attenzione che merita, è il fatto che non esiste una ripartizione delle imposte che sia rigida e determinata a priori o addirittura indipendente dall’approvazione delle spese. È vero piuttosto che esistono centinaia di modi di ripartire fra le varie classi sociali i costi di una determinata spesa pubblica. Sarà quindi sempre possibile teoricamente e, in modo approssimativo, anche praticamente, di ripartire il carico tributario in modo che la spesa sia riconosciuta utile da quasi tutti i partiti.

Ora, se questo è l’aspetto politico della questione, v’è anche un altro aspetto, quello scientifico.

È stato già approvato un articolo il quale sancisce il principio della progressività delle imposte. Fra il principio dell’eguaglianza o della proporzionalità della prestazione e controprestazione, e il principio dell’eguaglianza o proporzionalità del sacrificio, in altri termini tra il principio dell’interesse e il principio della capacità contributiva, è stato preferito quest’ultimo.

L’affermazione di questo principio era inevitabile, perché il principio della prestazione e della controprestazione, il principio dell’interesse, è stato ricacciato sempre più indietro dal progredire della vita sociale, mentre si è fatto strada il principio della capacità contributiva, sia pure attraverso numerose difficoltà dovute anche alla molteplicità, relatività e mutabilità del concetto stesso di giustizia.

Ma il principio dell’eguaglianza del sacrificio non è da solo sufficiente a risolvere il duplice problema della ripartizione delle imposte e dell’altezza concreta delle imposte. Nonostante tutta la sua impraticità, il principio dell’interesse ha il pregio di mantenere un certo contatto con l’altro aspetto dell’attività dello Stato: quello della spesa. Infatti, potrebbe il principio della capacità fornirci un criterio per stabilire l’altezza delle imposte? Non mi pare. Questo principio potrà soltanto dirci come le imposte debbano essere ripartite.

Ecco il dilemma: o scartare del tutto il problema dell’altezza concreta dell’imposta – cosa molto comoda, ma a mio avviso poco scientifica – ovvero ricorrere all’altro principio, quello dell’interesse, ogni qual volta si voglia determinare l’altezza concreta delle imposte. È probabile che l’attività dello Stato, presa nel suo complesso, fornisca una utilità che sia di gran lunga superiore al sacrificio richiesto alla collettività. Ma si deve arrivare al punto in cui l’utilità sia eguale al sacrificio.

Ma è da rilevare un altro aspetto assai importante della questione, e cioè che le classi politicamente più influenti considerano le spese pubbliche esclusivamente o quasi esclusivamente dal loro punto di vista ed è probabile, anche se il carico tributario sia ripartito non in modo uniforme, ma secondo il principio della progressività dell’imposta, che il beneficio che dall’attività dello Stato riceve una determinata classe dei cittadini, non sia proporzionale al sacrificio ad’essa imposto. Ecco perché non si può negare importanza al fatto che una determinata spesa pubblica vada a benefìcio di una categoria di individui anziché di un’altra.

È possibile stabilire un rapporto fra il sacrificio derivante dalle imposte e l’utilità derivante dall’attività dello Stato?

È possibile evitare che le spese pubbliche vadano a beneficio di una determinata classe di cittadini anziché di un’altra?

Questo è un punto, a mio avviso, importantissimo.

Dal punto di vista individuale, ogni cittadino, sarà disposto a pagare una determinata contribuzione qualora il beneficio derivantegli dall’attività dello Stato sia superiore o almeno eguale al sacrificio richiestogli. Ma sull’ampiezza attuale delle prestazioni pubbliche non decide la valutazione da parte di un singolo individuo, decide la valutazione di tutta intera la collettività. Come può avvenire questa valutazione? Naturalmente può avvenire soltanto attraverso la rappresentanza popolare.

Io do ragione a quegli scrittori che parlano di una specie di patteggiamento fra Governo ed Assemblee rappresentative. In questo caso si tratta di un vero e proprio patteggiamento, perché il Governo rappresenta l’offerta di determinati servigi e l’Assemblea rappresenta la domanda.

Ora, io ritengo che non vi possano essere dubbi circa la possibilità di attuare un simile sistema. Qui basta ricordare soltanto che il sistema da me proposto è in perfetta armonia col principio del sistema della rappresentanza proporzionale. Invero, che cosa ci dice il principio della rappresentanza proporzionale? Che ogni corrente politica, anche piccola, del Paese, ha diritto di avere una rappresentanza in Parlamento. Ma io mi domando quale significato, quale valore avrebbe la rappresentanza dei partiti di minoranza in questa Assemblea, se il suo diritto dovesse consistere soltanto nel protestare contro i colpi della maggioranza?

Contro l’introduzione formale di un simile istituto nella nostra Costituzione, potranno certamente essere sollevate moltissime obiezioni. Si potrà parlare del pericolo dell’ostruzionismo da parte delle minoranze. Non nego l’esistenza di questo pericolo. Ogni potere può essere abusato. Ma a mio giudizio si tratta di un pericolo che diventa tanto più piccolo quanto più si permetterà ai singoli partiti di difendere i loro interessi. Gli ostruzionismi sono l’arma della disperazione. Sono le vendette dei partiti di minoranza che vedono calpestati i loro diritti. Se questi diritti non fossero calpestati, non credo che le minoranze sentirebbero il bisogno di ricorrere all’ostruzionismo.

Onorevoli colleghi, non mi illudo che questa mia proposta troverà accoglimento in questa Assemblea. Se mai essa dovesse essere accolta, verrebbe certamente data la più forte spinta ad una riforma propugnata da circa mezzo secolo dai più grandi pensatori.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Aggiungere, in fine:

«I tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria, approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. L’emendamento aggiuntivo da me proposto all’articolo 77 mira a risolvere costituzionalmente uno fra i più antichi problemi che i Parlamenti siano stati chiamati ad affrontare. Si tratta di limitare la potestà di imposizione da parte degli enti pubblici, a cominciare dallo Stato.

È inutile che ricordi qui come i primi Parlamenti si siano avuti in relazione alla necessità di opporre un freno all’assolutismo, e di non ammettere tributi se non quando fossero stati riconosciuti dai rappresentanti del popolo.

Mi limito ad accennare che, trattandosi di una tra le più antiche competenze dei Parlamenti, non sarebbe inutile farne menzione. Accenno con questo emendamento a tutte le potestà d’imposizione pubblica, sia per i tributi, sia per la prestazione del servizio militare o altro. Premetto che non ritengo questa formulazione da me proposta affatto completa; penso anzi sia alquanto imperfetta. Quindi mi rimetto al Comitato e al Presidente della Commissione dei 75 per trovare una formulazione più adeguata nel caso in cui l’emendamento venga accolto. M’interessa soprattutto stabilire il principio. Oggi in Italia, per esempio, abbiamo avuto diversi esempi di esercizio del potere pubblico d’imposizione attraverso metodi diversi da quello che non sia la legge ordinaria. Ecco la ragione per cui propongo che nella Costituzione venga riconosciuto il principio secondo cui la potestà d’imposizione non può essere esercitata dagli enti pubblici se non in base a legge ordinaria. Ho detto «in base a legge ordinaria», perché mi rendo conto delle obiezioni che mi saranno fatte. Molti sono gli enti pubblici diversi dallo Stato, come le Regioni, le Provincie e i Comuni, ai quali non può disconoscersi la potestà di imposizione come la potestà di provocare una legge ordinaria ogni volta. La mia risposta è facile. Vi sarà una legge ordinaria la quale attribuirà ai diversi enti pubblici la potestà di imporre tributi determinati in modo che non vi siano sperequazioni nelle diverse parti dello Stato.

Finalmente, questo emendamento mira ad evitare un inconveniente, che si è avuto spesso in questo periodo, nella diversità del sistema seguito per imporre le diverse prestazioni. Basta che io accenni al fatto della differenza che esiste fra il sistema di accertamento relativo ai tributi normali e quello relativo ad altre prestazioni, come i contributi unificati in agricoltura. Questi contributi, accertati in maniera alquanto meno accurata di quanto avviene per i tributi fondiari, hanno oggi spesso un livello superiore a quello degli stessi tributi fondiari, uniti tutti insieme.

Ho voluto accennare a questo inconveniente, perché l’Assemblea possa riflettere sulla opportunità dell’affermazione contenuta nel mio emendamento.

Finalmente l’ultima parte stabilisce una procedura particolare col riconoscere nella Costituzione un principio già accolto: cioè la necessità che le leggi in materia tributaria, che le leggi, le quali implichino nuove prestazioni di qualunque genere, non solo di carattere pecuniario, siano proposte alla Camera dei deputati prima che al Senato.

Prevedo l’obbiezione: in questa maniera come fai ad ammettere il principio della parità delle due Assemblee legislative, da te sostenuto nei giorni scorsi?

Ritengo che questa affermazione non stabilisca affatto una preminenza della Camera dei deputati sul Senato, ma stabilisca semplicemente un sistema di procedura e che in materia così delicata – tanto delicata, che per tradizione è stata considerata una delle più antiche competenze dei Parlamenti – sia opportuno fare in modo che la Camera dei deputati (la quale sarà più numerosa ed avrà maggiori possibilità di esprimere le diverse tendenze della pubblica opinione) dia il primo parere.

D’altra parte, non penso affatto che con questo principio, di carattere puramente procedurale, resti menomata la parità fra le due Assemblee legislative; perché nessuno esclude che il Senato possa respingere la proposta fatta dalla Camera dei deputati; e nessuno stabilisce che, in caso di conflitto fra le due Assemblee, si debba giungere ad imporre la opinione della Camera dei deputati.

Non si tratta di una norma giuridica, ma semplicemente di una regola di correttezza costituzionale, dalla quale non deriva la preminenza di una Camera sull’altra.

Questo principio è costantemente rispettato e ritengo che non sia inutile riconoscerlo anche nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE. L’onorevole Bertone ha proposto il seguente emendamento:

«Nel secondo comma sostituire le parole: una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi», con le altre: «per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi».

L’onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

BERTONE. Io concordo pienamente col pensiero della Commissione: che le autorizzazioni agli esercizi provvisori del bilancio non debbano superare i 4 mesi e che debbano essere date per legge.

Però, ritengo sia preferibile anziché dare una sola autorizzazione per quattro mesi, dare autorizzazioni per un periodo complessivo, che non superi i quattro mesi durante l’esercizio; perché si elimina l’incoraggiamento a chiedere autorizzazioni per esercizi provvisori per un tempo più lungo del necessario.

Se il Governo ha bisogno soltanto di un mese di esercizio provvisorio, chiede un mese, sapendo che, in caso di necessità, potrà chiedere un secondo mese. Ma, se esso è costretto a chiedere una volta sola, chiede quattro mesi invece di uno.

Per questo è preferibile concedere al Governo di chiedere autorizzazione ad esercizi provvisori per un tempo complessivamente non superiore a quattro mesi, non obbligarlo a chiederne una sola per quattro mesi.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fuschini:

«Aggiungere al secondo comma:

«In caso di guerra l’esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione di maggiori poteri al Governo a norma dell’articolo 75».

L’onorevole Fuschini ha facoltà di volgerlo.

FUSCHINI. Le ragioni del mio emendamento si riferiscono all’esercizio provvisorio che dovrà stabilirsi in caso di guerra. Infatti esso si dimostra, in caso di guerra, come una necessità derivante dalle condizioni in cui viene a trovarsi il Paese e non solo il Paese, ma soprattutto l’esercizio del potere parlamentare. Quindi è necessario che, alla Commissione che dovrà precisare con apposito articolo i poteri che il Parlamento potrà dare al Governo in caso di guerra, sia presente la necessità di regolare la concessione dell’esercizio provvisorio per il periodo di guerra. Ecco perché ho proposto un emendamento, il quale dice che in caso di guerra l’esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione dei maggiori poteri che la Camera darà al Governo. Mi pare che questa misura sia così evidente, che non sia necessario intrattenere ulteriormente l’Assemblea con riferimenti di carattere storico, perché è stato sempre dimostrato che in caso di guerra non c’è la possibilità di discutere ed approvare bilanci, come avviene in periodo di pace.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il primo emendamento è stato proposto dall’onorevole De Vita con la sostituzione intera dell’articolo. L’onorevole De Vita, che ha dimostrato competenza e serietà di studi nel fare questa proposta ed ha palesato un desiderio di dare la maggior correttezza alla vita finanziaria dello Stato, consentirà che io gli dica che le sue osservazioni, se sono in gran parte giuste, non possono entrare nella legge costituzionale. La divisione dei capitoli in articoli – sebbene sollevi in dottrina non pochi dubbi e sebbene anche fra i competenti della contabilità sia discussa e contestata – è, a mio giudizio, un principio giusto, tanto più che nel momento attuale abbiamo per esempio un capitolo del bilancio dei lavori pubblici, che è di 58 miliardi. La divisione dei capitoli in articoli, secondo me, si impone, ma è norma di legge della contabilità di Stato e non ritengo opportuno inserirla nella Costituzione. Assicuro però l’onorevole De Vita, che il Comitato e – credo – l’Assemblea consentono nel voto che sia fra le norme contabili introdotta quella da lui desiderata.

L’articolo proposto dalla Commissione contiene due gruppi di norme.

Il primo è che i due bilanci, preventivo e consuntivo, debbano essere approvati per legge e che «l’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi». È una notevole garanzia. Dichiaro di accogliere senz’altro il saggio emendamento dell’onorevole Bertone, il quale vuol togliere la possibilità di equivoco, e che cioè l’esercizio provvisorio non possa essere chiesto ed accordato per un tempo minore di quattro mesi; il termine di quattro mesi è il limite massimo, che non può essere superato complessivamente. Formuliamo dunque il testo così:

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, e per un periodo complessivamente non superiore a quattro mesi».

Tutto il resto dell’articolo, anche nella sua logica struttura, non può essere modificato. È assolutamente da respingere l’emendamento De Vita, che richiede per l’approvazione dei bilanci una maggioranza di due terzi, difficilissima a raggiungersi. Ed allora che avverrebbe, se il bilancio non fosse approvato? Si sospenderebbe la vita finanziaria dello Stato?

E veniamo all’emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli. Proponendo che: «i tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato», egli fa due proposizioni che debbono essere esaminate ciascuna per sé. Non mi pare che la sua prima affermazione sia necessaria. Noi infatti abbiamo già stabilito nell’articolo 18 che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».

Per quanto riguarda la seconda proposizione, trovo strano che quando l’Assemblea ha affermata la parità delle Camere in tutto, escludendo ogni eccezione particolare, si voglia ora così, non dico surrettiziamente, che è una parola non corretta, ma improvvisamente creare una precedenza della Camera dei deputati sul Senato. Respingiamo dunque l’emendamento Codacci Pisanelli.

L’emendamento Fuschini merita di essere considerato, ma potrà tenersi presente quando parleremo dei poteri da concedersi al Governo in caso di guerra: si potrà allora far speciale menzione della materia finanziaria, o considerarla inclusa in un’espressione generale.

Con quello che ho detto, il testo dovrebbe rimanere fermo nella forma che è stata stilata dalla Commissione, col solo emendamento accettato dell’onorevole Bertone.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Vorrei proporre la soppressione del penultimo comma dell’articolo 77, in quanto, se nella approvazione del bilancio, ad un determinato capitolo, si propone un aumento, questo non è più possibile secondo questa disposizione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È un’altra cosa!

BUFFONI. In Francia è con la legge del bilancio che si stabiliscono nuovi tributi.

PRESIDENTE. Allora, onorevole Buffoni, lei propone la soppressione di questo comma?

BUFFONI. Non credo che sia necessario mettere questo principio nella Costituzione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Buffoni, è una norma di correttezza contabile ammessa nei Paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendoli coi bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari. La Camera, discutendo i bilanci, potrà aumentare o diminuire le cifre dei capitoli; ma non aumentare o modificare le imposte, che sono regolate da apposite leggi, e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese. L’aumento delle spese in bilancio dovrà avvenire nei limiti di tali leggi; se si vuole andare al di là, bisogna modificarle. Il bilancio deve essere un bilancio non diventare un’altra cosa, né prestarsi a sorprese ed abusi.

BUFFONI. Così non si potrà modificare il bilancio?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrà modificare il bilancio, nei limiti delle leggi tributarie e di autorizzazione delle spese, che si possono essi bensì modificare, ma con altre leggi. Il bilancio deve conservare il suo carattere.

BUFFONI. Tutto questo può essere una pratica opportunissima, ma credo che non sia il caso di metterlo nella Costituzione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo che l’onorevole Buffoni sia incorso in un equivoco, perché non è che non sia ammesso, nella legge che vota il bilancio, aumentare il capitolo o diminuirlo; è vietato introdurre nuovi tributi e nuove spese che non siano state predisposte e preparate prima, secondo la procedura normale. Quando si vota il bilancio, i tributi e le spese sono stati studiati, esaminati, elaborati e vengono portati all’approvazione dell’Assemblea. Se l’Assemblea potesse introdurre nuovi tributi e spese, il bilancio salterebbe in aria e non si farebbe più nessun bilancio. Quindi, è legittima la modificazione di tutte le voci del bilancio, in più o in meno, in attivo o passivo, ma non può essere lecito introdurre nuovi tributi e nuove spese sui quali non ci sia stato il lavoro preparatorio.

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

DE VITA. Mantengo il mio emendamento ed affermo che le norme da me proposte non sono norme di contabilità, come ritiene l’onorevole Presidente della Commissione, ma vere e proprie norme costituzionali. Affermo altresì che il principio della specializzazione del bilancio è una conquista della moderna democrazia. Oggi la mia proposta può essere respinta, ma io sono fermamente convinto che il principio della unanimità relativa per l’approvazione del bilancio e delle leggi di imposta sarà una grande conquista della moderna democrazia.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

FUSCHINI. Dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione, ritiro il mio emendamento riservandomi di tenerlo presente quando ci sarà la discussione dell’articolo relativo ai poteri del Governo in caso di guerra.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

CODACCI PISANELLI. In seguito alle dichiarazioni del Presidente della Commissione dei Settantacinque ritiro il mio emendamento in quanto risulta che il principio relativo alla impossibilità di esercitare la potestà di imposizione se non per legge, è già accolto nella nostra Costituzione. Quanto al secondo punto, cioè la precedenza nella presentazione di leggi di carattere tributario alla Camera dei deputati, è bene che non risulti nella Costituzione, perché resti consacrato il principio della parità delle due Camere, mentre a questo proposito potranno meglio provvedere le norme di correttezza costituzionale.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rilevo un errore di stampa. Va detto «approvano ogni anno i bilanci» e non «il bilancio» per evitare l’equivoco che si possa fare un bilancio non distinto per Ministeri.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Poiché l’onorevole De Vita mantiene il suo emendamento sostitutivo dell’intero articolo, procederemo alla votazione, tenendo presente per l’appunto il suo emendamento sostitutivo.

Il primo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita corrisponde al primo comma della Commissione.

Possiamo quindi mettere in votazione il testo della Commissione.

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo». Lo pongo in votazione nella dizione testé letta.

(È approvato).

A questo punto l’onorevole De Vita propone di inserire il seguente comma:

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Con questo emendamento si rende quasi impossibile l’approvazione del bilancio, e se lo si approva si arresta la vita dello Stato. Prego l’Assemblea di respingerlo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il secondo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita del quale ho dato testé lettura, e che la Commissione non ha accettato.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del testo della Commissione, con l’emendamento Bertone, accettato dalla Commissione:

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori a quattro mesi».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma aggiuntivo proposto dall’onorevole De Vita, non accettato dalla Commissione:

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il quinto comma aggiuntivo dell’emendamento dell’onorevole De Vita:

«L’unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d’entrata».

La Commissione ha dichiarato di non poterlo accettare come norma costituzionale.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il terzo comma del testo della Commissione:

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi nuove spese».

(È approvato).

Passiamo ora all’ultimo comma dell’articolo 77 così formulato:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Il terzo comma dell’emendamento dell’onorevole De Vita propone di sostituire questo comma con la seguente formula:

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse».

Domando all’onorevole De Vita se mantiene questo comma del suo emendamento.

DE VITA. Sì, perché oltre ad una differenza formale, vi è anche una differenza sostanziale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dichiaro che il Comitato respinge la proposta dell’onorevole De Vita.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che il testo della Commissione, rispetto ai fini che si propone di raggiungere l’onorevole De Vita, sia preferibile, per questa ragione: mentre l’onorevole De Vita richiede la presentazione di due disegni di legge (il che vuol dire che il Parlamento può approvare le maggiori spese senza obbligo di approvare assieme il parallelo disegno di legge sulle entrate), il progetto della Commissione importa l’obbligo dell’approvazione contemporanea delle spese e delle nuove fonti di entrate. Quindi, ai fini della salvaguardia del pubblico erario, credo che il testo della Commissione risponda meglio al desiderio che ha mosso l’onorevole De Vita, di tutelare i contribuenti nei limiti in cui questa tutela può essere esercitata dal Parlamento.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole De Vita se, dopo le osservazioni dell’onorevole Corbino, intende mantenere il suo emendamento.

DE VITA. Ritengo esatte le osservazioni dell’onorevole Corbino e ritiro il mio emendamento.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’ultimo comma dell’articolo 77, nel testo formulato dalla Commissione:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

(È approvato).

Il testo completo dell’articolo 77 risulta così approvato:

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo.

«L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Passiamo ora all’articolo 78. Se ne dia lettura.

DE VITA, Segretario, legge:

«Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

«La Commissione d’inchiesta è nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari Gruppi della Camera e svolge la sua attività procedendo agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria».

Vi è a questo articolo la proposta soppressiva dell’onorevole Colitto, il quale ha facoltà di svolgerla.

COLITTO. Onorevoli colleghi! Sarà una mia impressione, ma a me questo articolo sembra del tutto superfluo. Mi sembra, altresì, che non abbia il carattere e, starei per dire, la dignità di una norma costituzionale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Colitto; glielo dimostrerò.

COLITTO. Per me è superfluo, perché non è da dubitare che una qualsiasi materia, specie se, come nell’articolo si legge, «materia di pubblico interesse», possa formare oggetto di inchieste disposte dalle Camere, perché le Camere possono sempre disporre indagini, investigazioni, accertamenti, come li possono disporre tutte le pubbliche amministrazioni. A nessuna amministrazione pubblica si può, infatti, negare il potere in ogni materia che rientri nelle sue attribuzioni, di accertare fatti che desidera conoscere. Ed è evidente che, quando si concede ad una autorità il potere di esercitare una certa attività, le si riconosce perciò stesso anche il potere di accertare gli elementi di fatto necessari per il conveniente svolgimento dell’attività.

Ecco perché mi sembra la norma superflua. Ma mi sembra anche che non abbia questa il carattere di una norma costituzionale. Forse m’inganno; ma a dimostrare il mio assunto sembrami sufficiente il rilievo che in altre costituzioni di questo potere di inchiesta non è cenno. È perciò che propongo la soppressione dell’articolo. Può darsi benissimo, ripeto, che la mia sia un’impressione e che dalla oratoria suadente dell’onorevole Ruini mi vengano forniti gli argomenti per convincermi del contrario. È inutile dire che allora sarò pronto ad inchinarmi a lui ed a rinunziare all’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare all’onorevole Colitto che, se non vi fosse questa disposizione nel primo comma, occorrerebbe una legge, mentre noi abbiamo voluto attribuire ad ogni Camera il potere di fare l’inchiesta per conto proprio. Quindi, la disposizione non è inutile.

Ciò risulta ancora più nel secondo comma, dove abbiamo detto che si procede «agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria». Se non vi fosse, come potrebbero le Camere avere questi poteri dell’autorità giudiziaria, se non per legge? La disposizione quindi ha la sua ragione d’essere.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei chiedere all’onorevole Ruini: ma, in questo modo, come si dispone l’inchiesta? Occorre un ordine del giorno della Camera o una legge particolare, caso per caso?

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto – su cui si può dissentire, ma che è sembrato opportuno – è che ogni Camera possa provvedere con una deliberazione propria, senza una legge, alla quale dovrebbe partecipare anche l’altro ramo del Pagamento.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Vorrei che questa questione fosse chiarita bene, perché in sostanza, noi ammettiamo che una deliberazione interna di una delle due Camere possa disporre una inchiesta anche su materie che in linea generale sono sottoposte al potere dell’altra Camera; ecco perché un qualche cosa che metta d’accordo questi due organi mi pare che ci voglia.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, presenti un emendamento.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Signor Presidente, io credo che la proposta concreta non possa essere che quella dell’onorevole Colitto. Penso anche io infatti che ci voglia la legge, giacché i poteri che ha una Commissione di inchiesta, che sono gli stessi dell’autorità giudiziaria, sono talmente vasti e talmente gravi, che una Camera senza il consenso dell’altra non mi pare possa assumerseli.

Io aderisco quindi completamente all’emendamento presentato dall’onorevole Colitto; io penso cioè, che quando si debba disporre di queste inchieste, il che non potrà avvenire se non in casi gravissimi e rarissimi, si debba fare una legge al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero far presente all’onorevole Lucifero che l’opportunità di non richiedere una legge delle due Camere per un’inchiesta voluta da una Camera era stata affermata anche in passato; e si era all’uopo predisposto un disegno generale di legge, nel senso ora tracciato dalla nostra Costituzione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io sono preoccupato di una formula di questo genere, cioè che una sola Camera possa deliberare, così da sostituirsi in pieno a quella che dovrebbe essere la normale procedura di un disegno di legge, senza l’esame preventivo di una Commissione. In realtà si tratterebbe di una legge di iniziativa dell’Assemblea senza le necessarie correlative procedure. Ma come si può, con una sola deliberazione parlamentare, pretendere di fare una legge?

Penso che non sia assolutamente possibile accettare la formula così come è presentata. Verremmo a conferire un potere deliberativo che non sarebbe circondato da nessuna di quelle garanzie e da nessuno di quei procedimenti che sono necessari per una legge: e cioè che essa sia prima presentata alla Camera e che poi sia esaminata da una Commissione che ne riferisca all’Assemblea.

È un sistema troppo sbrigativo, pieno di pericoli; non si può prescindere anche qui dalle tre letture, come per tutti gli altri disegni di legge; ammettere un procedimento sommario del genere può dar adito a improvvisazioni, a dar corpo a subitanei stati d’animo d’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero far presente all’onorevole Uberti che non è vero, come egli dice, che manchino le garanzie: deve esservi una deliberazione formalmente regolare della Camera che vuol fare l’inchiesta; ed il Regolamento della Camera stabilirà le condizioni e le modalità da osservare. È poi da ricordare che un’inchiesta non è un provvedimento o una conclusione; è soltanto una raccolta di elementi e di fatti; una documentazione; e può essere ammessa senza che occorra, volta per volta, una legge vera e propria.

La questione non ha grande importanza, ma ho creduto di dover esporre le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto di stabilire così.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. L’onorevole Ruini dice che ci sono tutte le garanzie; ma quali garanzie? Qui basta una semplice deliberazione. Può anche trattarsi di una deliberazione su argomento non all’ordine del giorno.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no! Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi è già nel nostro Regolamento una procedura per le inchieste parlamentari. Noi potremmo fare un Regolamento che stabilisca garanzie anche maggiori; ma ripeto che l’inchiesta non è una cosa così pericolosa che debba richiedere una legge. Può essere benissimo disposta da una Camera sola, nella sua responsabilità.

Mi si chiede cosa dice l’attuale Regolamento. Dice all’articolo 135: «Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra proposta d’iniziativa parlamentare». E poi all’articolo 136: «Allorché la Camera, dopo esaurita la procedura ordinaria, delibera una inchiesta, la Commissione è nominata dalla Camera mediante schede, ecc.». Vi sono già delle garanzie; le potremmo ampliare e l’onorevole Uberti sarà completamente tranquillo.

Del resto, decidete come volete.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Chiedo scusa, ma la cosa per me è più grave di quanto l’onorevole Ruini non creda, perché le deliberazioni della Camera devono essere prese in considerazione con una certa cautela. La Camera è un organismo politico, che, come tutti gli organismi politici, ha i suoi moti e le sue reazioni.

Vorrei ricordare con quanta leggerezza deliberammo la nomina della Commissione degli Undici e di fronte a quanti inconvenienti ci trovammo perché questa deliberazione era stata presa in un modo troppo sollecito. La procedura del disegno di legge ci garantirebbe contro deliberazioni troppo affrettate, delle quali poi, molto spesso, dobbiamo portare le conseguenze.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non era nemmeno un’inchiesta.

LUCIFERO. Figuratevi, se deliberavamo un’inchiesta!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Volevo far presente che attualmente la Camera può fare delle inchieste, può costituire delle Commissioni, in virtù degli articoli di cui ho dato lettura.

Ora, non c’è niente di straordinario che noi mettiamo questo nella Costituzione, per superare la difficoltà che, quando si tratta di poteri giudiziari, si debba richiedere una legge.

Questa è la portata del provvedimento; e lei che conosce i precedenti, onorevole Lucifero, sa che fu studiato altre volte e si decise perciò di includere questo provvedimento nella Costituzione. Io non trovo, quindi, nessuna difficoltà. Inchiesta significa accertamento di notizie, e non è quindi niente che possa pregiudicare delle decisioni. Se sopprimete questo inciso, lasciate un’incertezza, che è invece opportuno togliere.

Ripeto che la questione non ha grande importanza e il peggio è che perdiamo del tempo a discuterla.

Se l’Assemblea ritiene, potremmo dire così: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse, a maggioranza assoluta».

Questa sarebbe una garanzia notevole.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Proporrei che fosse emendato in questo modo: che prima di deliberare si dovessero seguire le norme dei disegni di legge, nel senso che, prima di decidere, una Commissione della Camera, che esamina il problema, riferisca all’Assemblea.

Io capisco quello che lei dice, onorevole Ruini, che cioè una Camera altrimenti non può decidere perché si sovrappone all’altra. Ma quello che mi preoccupa è questo: che ci siano le sufficienti garanzie, cioè che non basti una semplice deliberazione per costituire una Commissione d’inchiesta che ha anche poteri d’indagini giudiziarie.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Pongo in votazione il primo comma:

«Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma:

«La Commissione d’inchiesta è nominata con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi della Camera e svolge la sua attività procedendo agli esami e alle indagini con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria».

(È approvato).

L’articolo 78 risulta così approvato nel testo della Commissione.

L’onorevole Calamandrei ha proposto il seguente articolo 78-bis:

«Ciascuna Camera è giudice delle accuse mosse nel Parlamento alla onorabilità dei suoi componenti. Non si può addivenire alla discussione e deliberazione pubblica su tali accuse, se prima non si sia pronunciata su di esse, a richiesta degli interessati o anche di ufficio, una apposita Commissione permanente, la quale indaga sulla fondatezza delle medesime e ne riferisce alla Camera per gli opportuni provvedimenti».

L’onorevole Calamandrei non è presente.

NOBILE. Signor Presidente, lo faccio mio e rinuncio a svolgerlo.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ruini ad esprimere il pensiero della Commissione sull’articolo aggiuntivo proposto dell’onorevole Calamandrei e fatto proprio dall’onorevole Nobile.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ritiene che il concetto che si vorrebbe regolare dall’articolo 78-bis della Costituzione va più opportunamente considerato dal punto di vista del Regolamento delle Camere. L’attuale Regolamento già prevede il diritto di chi è fatto oggetto di accuse di chiedere una inchiesta a suo riguardo. Potremo in sede di Regolamento allargare tale disposizione; e stabilire che l’indagine può essere chiesta anche da altri, e potremo, se parrà opportuno, costituire una Commissione permanente per questi giudizi, che l’articolo Calamandrei configura come giudizi di onorabilità.

Quanto alla dizione proposta, dovrebbe essere in ogni caso ben considerata: cosa vuol dire precisamente la frase iniziale che «la Camera è giudice»? E quali sono «i provvedimenti» che si possono prendere?

A prescindere da ciò, ritorno al criterio di opportunità che il tema non sia trattato qui, ma rimesso al Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, mantiene l’emendamento?

NOBILE. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini, lo ritiro.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Avrei fatto mio anche io l’emendamento dell’onorevole Calamandrei, ma riconosco che quanto ha detto il Presidente della Commissione è convincente. È materia di regolamento.

Ma desidero far notare ai colleghi l’importanza della innovazione che il collega Calamandrei voleva introdurre con questo emendamento: cioè non si può mai in nessun caso pubblicamente per la prima volta accusare un collega se prima una Commissione non senta l’accusatore. Solo dopo e non prima.

A nessuno sfugge l’importanza moralizzatrice di questa norma che il collega Calamandrei per la prima volta pone.

Comunque, sono convinto delle obiezioni dell’onorevole Ruini e ritengo anch’io che si tratti di materia regolamentare.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, passiamo ora alla proposta di articolo aggiuntivo avanzata dall’onorevole Mortati nel corso della precedente discussione, e che avevamo rinviato. Il testo è il seguente:

«Possono essere eleggibili al Parlamento gli italiani che non siano cittadini della Repubblica».

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche qui non ho avuto il tempo di sentire formalmente il parere del Comitato, dato il continuo succedersi delle sedute d’Assemblea. Ma ho esposto il mio punto di vista all’onorevole Mortati; e se consentite vi esporrò le considerazioni che mi spiegano la ragione di questa disposizione, ma nello stesso tempo mi rendono perplesso ad accettarla.

Innanzi tutto devo osservare che il collocamento della disposizione dovrebbe essere nell’articolo 20, che parla dell’eleggibilità in generale, non soltanto al Parlamento, ma anche ai Consigli comunali, provinciali, regionali. Il criterio da adottare dovrebbe essere unico e generale.

Ciò premesso, è indubitabile che lo spirito della disposizione è tale da muovere tutta l’Assemblea, di primo impeto, come un cuore solo, ad una viva adesione. Si tratta infatti di stabilire che i nostri fratelli italiani, italiani di nazionalità, nel senso classico della parola, i fratelli nostri strappati alla madre patria, possano, anche se non abbiano la cittadinanza italiana, essere eletti al Parlamento e ad altri corpi elettivi.

Nello spirito della disposizione, ripeto, siamo d’accordo. Ma bisogna realisticamente considerare i termini giuridici della questione, ed i problemi concreti che possono sorgere.

La legislazione attuale ammette che possano essere nominati ai pubblici impieghi gli italiani non cittadini, non «regnicoli».

Adopero la parola nel senso che si usa nella Repubblica francese, ove si parla di «regnicoles» secondo una tradizione e con un significato ben chiaro. L’onorevole Mortati ha opportunamente corretto la designazione, che egli stesso aveva dapprincipio usato, di «regnicoli» in quella di non cittadini; o, come si dice, in altro modo, «non appartenenti allo Stato».

La disposizione ora proposta farebbe un passo avanti, che sembra giusto e logico, ammettendo l’accesso non solo agli impieghi pubblici, ma alle cariche elettive.

Bisogna ad ogni modo vedere i casi che si possono presentare; e che – attenendosi alle espressioni usate nella disposizione – eccedono l’intento originario, cui essa si ispira, di aprir le braccia, diciamo la vecchia parola, agli «irredenti». Vi sono molti, d’origine e di sangue italiano, che vivono all’estero. Se hanno, come avviene, la doppia cittadinanza e cioè se, avendo acquistata la cittadinanza straniera, conservano quella italiana, sono – in quanto cittadini italiani – eleggibili al Parlamento. Sorgono sulla doppia cittadinanza, nei riflessi politici, considerazioni sulle quali non mi voglio fermare qui.

Continuiamo ad esaminare gli altri possibili casi.

Può avvenire che l’italiano di nazionalità e di sangue, di tradizione, risieda all’estero e, avendo perduto la cittadinanza italiana, possegga soltanto quella straniera. Dobbiamo, con una nuova disposizione, renderlo eleggibile al nostro Parlamento?

Vediamo le varie possibili ipotesi. Se l’italiano sia irredento nel senso più vero e proprio, ed abita in una terra strappata a noi, una terra contesa da dissensi e da lotte di nazionalità, dubito che vi possa rimanere, se è eletto deputato italiano. Se invece egli si trova in una terra dove non v’è irredentismo e lotta di nazionalità – per esempio un altro paese d’Europa o d’America – e ne è cittadino, senza essere (si noti) cittadino italiano, non dovrebbe esservi per lui pericolo materiale a restarvi, dopo esser diventato membro del Parlamento italiano. Ma possono sorgere difficoltà, diverse ma analoghe a quelle di cui abbiamo parlato a proposito della discussione, avvenuta sul progetto di Costituzione nella nostra Assemblea, per la possibilità di assicurare ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio dei diritti elettorali. Siete sicuri che i paesi esteri in cui abitano, e ne son cittadini, gli eletti al Parlamento italiano, ne siano sempre lieti? In certi casi potrebbero esserne troppo lieti, servendosi come lunghe mani di loro cittadini, deputati e senatori italiani; ma in altri casi potrebbero dispiacersi della situazione che si viene a creare, e prendere provvedimenti e contromisure, così che la disposizione, invece che a vantaggio degli italiani all’estero, si risolverebbe in loro danno.

Altra ipotesi è d’un italiano di terra irredenta, che, perché la sua terra non è più italiana, è costretto ad abbandonarla ed a venire in Italia. Non è più, in questo momento, nostro concittadino; e noi vorremmo aprirgli le porte del Parlamento. Bisogna ricordare che nella nostra legislazione e nella prassi vi è la possibilità di concedere subito, senza le ordinaria formalità, con semplice decreto del Capo dello Stato, la cittadinanza italiana, ed allora diventa pienamente eleggibile. Praticamente, dunque, si ottiene il risultato che la disposizione Mortati si propone.

Comprendo benissimo che noi desideriamo fare, in questo momento, un atto di solidarietà e di significato politico. Ma sarà opportuno, in ogni caso, meditare bene la formulazione e le conseguenze della proposizione da adottare, per non darle una portata che trascenda il nostro intento, per non sollevare difficoltà che siano eventualmente di danno più che di vantaggio ai nostri fratelli. Era mio dovere esporvi obiettivamente e chiaramente lo stato delle cose e delle possibili questioni, perché la nostra decisione sia meditata e degna dell’argomento che commuove il cuore, ma non deve far velo al ragionamento. (Approvazioni).

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Mi richiamo a quanto con molta chiarezza ha detto l’onorevole Ruini, il quale ha ricordato che il problema da me sollevato non è nuovo. La disposizione proposta si può dire in certo senso acquisita al diritto italiano. Esiste già una disposizione, che vale per gli impiegati, per le cariche pubbliche, per cui si può essere nominati anche se non si è cittadini italiani, e c’era una tendenza a far valere, per coloro che prima si chiamavano italiani non regnicoli, il diritto di potere essere nominati membri del Parlamento.

NOBILI TITO ORO. La Repubblica romana instaurò questo sistema. Ammise all’elettorato passivo cittadini italiani che da sei mesi avessero preso stanza nel territorio romano.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma se hanno preso stanza possono benissimo oggi diventare cittadini italiani.

MORTATI. Ora tale principio già acquisito alla nostra legislazione conserva ancora attualità poiché si verifica il caso di terre che sono italiane ma non fanno più parte dello Stato italiano, sicché appare essere opportuno, da un punto di vista politico, una affermazione che mantenga il principio. L’onorevole Ruini, giustamente, ha osservato che c’è una difficoltà nella formulazione, perché la formulazione, nel senso proposto, può far sorgere dubbi. La formula «italiano non regnicolo» era più chiara perché precisata da una lunga prassi interpretativa. Non so se dalla cortesia del Presidente dell’Assemblea si possa ottenere un ulteriore rinvio allo scopo di potere giungere ad una formulazione che possa meglio sodisfare, raggiungendo il risultato di mantenere fermo un principio già acquisito alla nostra legislazione.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. L’onorevole Ruini ha già molto chiaramente esposto tutti i lati sentimentali, non sentimentali e giuridici della questione.

Io vorrei soltanto fare una piccola aggiunta a conferma di quanto ha detto l’onorevole Ruini, prendendo lo spunto da una affermazione ora fatta dall’onorevole Mortati, la quale mi sembra che mi autorizzi a dire che v’è un equivoco nella sua proposta.

Egli ha affermato: si tratterebbe di confermare un principio che già esiste. Ora, io faccio una riserva su questo punto. Il principio che esiste non è quello che ora si vuole inserire nella Costituzione; il principio è diverso e più tenue, ed è questo: che la qualità di italiano non appartenente allo Stato, ossia «non regnicolo» secondo la vecchia formula, è assimilato al cittadino per quanto concerne l’ammissione agli impieghi pubblici. Questo è il punto a cui si è arrivati nel campo del diritto pubblico: non oltre. Vi è poi, come esattamente ha richiamato il Presidente della Commissione onorevole Ruini, un’altra disposizione nel nostro diritto attuale; è un articolo inserito nella legge della cittadinanza nel quale si afferma che nulla è innovato per quanto concerne la concessione della cittadinanza per decreto agli italiani non regnicoli. Questo richiamo si riferisce ad una vecchia disposizione che è stata inserita per la prima volta in una legge elettorale. Secondo questa disposizione, l’italiano «non regnicolo» – cioè non appartenente allo Stato – poteva ottenere la concessione della cittadinanza italiana con decreto prescindendosi dalle altre condizioni che normalmente sono richieste per concedere la cittadinanza italiana in base alla legge comune. Questa è la situazione. La proposta dell’onorevole Mortati, la quale, come ha detto giustamente il Presidente, suscita tanta e generale simpatia dal punto di vista sentimentale, è una proposta che va al di là del diritto attuale, e che porta alla parificazione automatica al cittadino dell’italiano non appartenente allo Stato, non soltanto nel campo dell’ammissione a pubblici impieghi, ma anche nel campo dei diritti politici, cioè per l’elettorato attivo e passivo. È un passo più in là, che solleva problemi molto delicati.

CODACCI PISANELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODACCI PISANELLI. Mi permetto di far presente l’importanza politica della proposta dell’onorevole Mortati. Dal lato giuridico sono d’accordo: vi sono numerosi inconvenienti per precisare quali siano le persone a cui la proposta si riferisce. Ma dal lato politico si tratta di sancire nella Costituzione un principio che è stato accolto in tutta la storia del nostro risorgimento. In un momento in cui un trattato iniquo strappa alla nostra Patria i nostri fratelli, ritengo sia un giusto riconoscimento; ed invito l’Assemblea a pensare alle conseguenze del rigetto del principio proposto. Credo che sia un giusto riconoscimento che tutti quanti, anche coloro che sono stati strappati alla Patria, continuino a far parte della famiglia italiana.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Sono anch’io molto sensibile a ciò che è detto in questo emendamento. Mi pare che si corra il rischio di creare gravi inconvenienti alla Giunta delle elezioni la quale domani, quando si troverà dinanzi a contestazioni per l’elezione di un deputato e dovrà andare ad accertare una condizione non giuridica – e che riconosciamo non essere giuridica, ma quasi politica, come ha detto l’onorevole Codacci Pisanelli – non saprà probabilmente come risolvere il quesito propostole, mentre abbiamo la possibilità di giungere al medesimo risultato, senza nessuna difficoltà, rendendo facile agli italiani, che vivono fuori della Repubblica e che hanno altra cittadinanza, l’acquisto della cittadinanza italiana, mediante una determinata procedura.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è già.

LACONI. Non vedo per quale ragione dobbiamo stabilire una norma, che domani potrà essere pericolosa.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Se l’onorevole Mortati mantiene letteralmente la sua dicitura, io la voterò molto volentieri, perché noto che non dice «sono eleggibili» o «possono essere eletti» ma «possono essere eleggibili». Quindi questa norma, letteralmente intesa, pone soltanto la esigenza di una disposizione futura la quale regoli la materia, mentre allo stato attuale delle cose l’eleggibilità di italiani che non siano cittadini è esclusa e occorre un decreto di naturalizzazione come è stato spiegato.

Porre fin da ora la possibilità costituzionale di una legge ordinaria, che regoli in quali casi gli italiani non cittadini possono divenire eleggibili, non mi pare costituisca un inconveniente. Si propone di dire: «possono essere eleggibili», non «possono essere eletti». Questa dizione ha molta importanza. Se essa fosse modificata, allora forse non potrei più votarla.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’interpretazione che lei dà all’emendamento non corrisponde alle intenzioni del proponente.

FABBRI. Devo partire dal concetto che, data la dizione letterale della formula, vi corrispondesse la intenzione del proponente. Se l’onorevole Mortati dichiara un’intenzione diversa…

PRESIDENTE. L’ha dichiarata nel corso dello svolgimento.

FABBRI. Non mi sono giunte le sue parole: se è così cade la ragione del mio intervento.,

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTÈ. Ne ha facoltà.

LACONI. Che interesse abbiamo a che una persona mantenga la sua cittadinanza in altro Paese e poi si faccia eleggere deputato o senatore nel nostro? Egli dovrebbe rinunciare a quella cittadinanza per acquistare quella italiana: sarebbe un atto di adesione anche morale al nostro Paese. Possiamo, se mai, facilitarlo in questa richiesta. Ma non possiamo ammettere che diventi deputato o senatore in Italia rimanendo cittadino di un altro Stato, con tutti i diritti che gli competono per questa qualità. In questo modo noi non serviremmo gli interessi della Nazione.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, mantiene la sua proposta?

MORTATI. La mantengo.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Credo che molti come noi, nessuno più di noi, possano essere sensibili agli alti motivi ideali e riparatori che hanno ispirato l’onorevole Mortati nel formulare la sua proposta. Però devo riconoscere che la proposta tecnicamente può portare non solo al di là delle nobilissime intenzioni del proponente, che sono indubbiamente anche le nostre, ma addirittura a un risultato opposto a quello che l’onorevole Mortati si propone.

Ritengo quindi che il principio, che è nelle intenzioni più che nella dizione dell’onorevole Mortati, non debba essere da noi abbandonato, ma debba essere ripreso con precisa formulazione, che garantisca al nostro Paese e a quest’Aula, in cui esso è rappresentato, una giusta interpretazione; e che sia pertanto rinviata la discussione in sede di legge elettorale, dove si potrà fare la norma che effettivamente affermi questo principio.

In questo spirito, per queste ragioni e con la riserva di risollevare noi, se non lo farà lui, la stessa questione in sede di legge elettorale, noi non potremmo votare ora per l’emendamento.

MORTATI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORTATI. Vorrei fare osservare all’onorevole Lucifero che l’inserzione nella legge elettorale di una norma nel senso proposto non sarebbe costituzionale, perché violerebbe la disposizione contenuta nell’articolo 45 della Costituzione, per cui le cariche pubbliche sono accessibili solo ai cittadini italiani.

LUCIFERO. Faremo una «leggina» che consenta di conservare la cittadinanza italiana agli italiani che l’hanno persa perché strappati alla Madrepatria.

MORTATI. Insisto nella proposta di richiedere alla cortesia del Presidente un breve rinvio per vedere se è possibile inserire nella Costituzione una disposizione che risolva la questione nel modo migliore. Una possibilità di soluzione potrebbe essere di inserire nel testo costituzionale una norma, come quella di cui ha fatto menzione l’onorevole Perassi, che conceda agli italiani di cui si tratta la possibilità di acquistare con una procedura abbreviata e semplificata la cittadinanza italiana.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’Assemblea si trova ormai davanti aduna questione che si presta ad interpretazioni delicate. Avrei desiderato che non fosse portata qui senza averla prima esaminata in Comitato. Ma ciò non è avvenuto; ed io ed i colleghi del Comitato – tranne il proponente – abbiamo letto la proposta nel fascicolo degli emendamenti. L’Assemblea è ora investita dell’argomento e potrebbe darsi che, se non accogliessimo, per le difficoltà pratiche che solleva, la proposta avanzata, ciò fosse interpretato come mancanza di solidarietà e di slancio verso i nostri fratelli. Ciò assolutamente non è. Qualsiasi nostra decisione deve essere accompagnata dalla più calda espressione di affetto e dal fermo proposito di raggiungere lo scopo che ci proponiamo, di dare, o meglio ridare ai nostri fratelli l’eleggibilità nel Parlamento italiano. Anzi la questione è più vasta; concerne anche la cittadinanza per quelli che non saranno membri del Parlamento. Dovremo studiare ancora sotto i vari aspetti tutti i problemi che sorgono. Ho oggi trattato, come era necessario, delle questioni tecniche; le approfondiremo ancora; senza spegnere la fiamma di sentimento e di cordialità che ci ispira e ci anima. Date al Comitato il tempo necessario perché possa riunirsi e cercare soluzioni e disposizioni tali da superare gli ostacoli che voi tutti avete riconosciuto. Affermiamo a questo riguardo, con un saluto che l’Italia manda ai suoi figli non più cittadini italiani, che noi vogliamo averli a pieno diritto partecipi della nostra famiglia e della nostra casa: l’Italia. (Applausi).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole Ruini. Mi permetto di dare un suggerimento all’onorevole Ruini, dato che io non sarò presente in seno al Comitato, ma sarò sostituito, perché dovrò assentarmi da Roma.

Se vogliamo affermare il concetto, io proporrei una forma come questa: «La legge stabilirà le condizioni di eleggibilità, ecc.». Allora potremo fare una legge che ci dia le garanzie e non ci troveremo di fronte ad ostacoli costituzionali.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea ritiene di potere accogliere la richiesta dell’onorevole Ruini – che in fondo è simile a quella dell’onorevole Mortati – cioè di non soffermarci in maniera specifica con una votazione sulla proposta di questo articolo aggiuntivo, ma di lasciare al Comitato di redazione il tempo di esaminare la questione per vedere di introdurre nella forma più acconcia una disposizione, possiamo sospendere la discussione su questo argomento.

Se non vi sono altre osservazioni, rimane pertanto così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Onorevoli colleghi, avremmo così concluso l’esame del Titolo dedicato al potere legislativo, se non ci fossimo lasciati alle spalle un problema di una certa importanza, quello relativo all’Assemblea Nazionale. Come tutti noi ricordiamo, a mano a mano che nel corso della discussione abbiamo incontrato un richiamo concernente l’Assemblea Nazionale, l’abbiamo accantonato, perché occorre per prima cosa risolvere la questione di principio.

Da alcuni colleghi è stata prospettata l’opportunità di non tenere sedute domani. In questo caso vorrei pregare i presenti di non chiedere che venga tolta immediatamente la presente seduta, perché sarebbe molto opportuno che con la prossima settimana potessimo passare senz’altro ad affrontare il Titolo II, relativo al Capo dello Stato.

RUSSO PEREZ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Io chiedo che domani si faccia seduta. Non vedo le ragioni per cui non si debba fare, data la brevità di tempo a nostra disposizione.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io vorrei pregare l’Assemblea non di tenere o no seduta domani, ma di un’altra cosa: che non si discuta domani la questione dell’Assemblea Nazionale.

E dirò subito le ragioni. L’Assemblea ha già sospeso l’articolo 67 nel quale è detto che la funzione. legislativa è collettivamente esercitata dalle due Camere. Le diverse formulazioni che si possono proporre di questo articolo, alcune delle quali sono state presentate e altre no, si connettono in modo stretto col potere dell’Assemblea Nazionale. L’unità del potere legislativo si può raggiungere attraverso norme diverse, sia introducendo, come da qualcuno è stato proposto, come compositore il Capo dello Stato, sia invece ricorrendo ad una istanza superiore che comprenda entrambe le Camere, sia in altri modi. Insomma, vi sono tali connessioni fra il problema dell’esercizio collettivo del potere legislativo da parte delle Camere, con o senza l’intervento del Capo dello Stato, e quello dell’Assemblea Nazionale, che potrebbe essere l’organo unitario delle Camere, da far considerare inopportuno che essi non siano discussi e deliberati separatamente. E sta di fatto che per quanto riguarda l’articolo 67 ne è stata rinviata la discussione a dopo che sarà decisa la questione delle funzioni del Capo dello Stato. Io penso che potrebbe anche farsi prima. Cioè potremmo esaminare subito la questione. Penso però che, prima che sia esaminato, il Comitato di redazione dovrebbe rivedere il problema, in connessione col Titolo sul Capo dello Stato.

Non faccio obiezioni a che domani sia tenuta seduta, ma pregherei il Presidente di volere eventualmente stabilire altra materia all’ordine del giorno, in modo che sui problemi dell’esercizio del potere legislativo e dell’Assemblea Nazionale vi sia un minimo di respiro e che siano possibili preventive consultazioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Naturalmente, io non mi oppongo affatto alla proposta di tenere seduta anche domani. Debbo però ricordare che noi abbiamo a suo tempo rinviato il tema dell’Assemblea Nazionale a quando si sarebbero esaminate, a mano a mano che si presentavano nel progetto, tutte le questioni delle sue funzioni. La maggior contesa è sorta e si svolgerà soprattutto per un problema concreto, quello della fiducia o sfiducia che si deve esprimere al Governo attraverso l’Assemblea Nazionale o le Camere distinte.

Aggiungo che il Comitato di redazione non ha ancora potuto deliberare il tema perché non ne ha avuto materialmente il tempo. Oggi abbiamo dovuto riunirci alle 8, alle 9, alle 10, in varie Sottocommissioni, fra cui quella per gli statuti regionali, e poi in Commissione plenaria dei Settantacinque; ed alle 11 in Assemblea Costituente. Non possiamo, come Giosuè, arrestare il sole; o lavorare contemporaneamente in più riunioni.

Sono a disposizione dell’Assemblea. Vuol dire che, se non potrò formalmente convocare il Comitato di redazione, sentirò qui nell’Aula colleghi di varie parti, e mi assumerò la responsabilità di interpretare il pensiero del Comitato.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, devo far notare che, oltre quella costituzionale, non c’è altra materia da porre all’ordine del giorno della seduta di domani.

LACONI. Potrebbe essere dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. No. Non prendiamo le interrogazioni come un rimedio per tutti i mali. Si è stabilito di dedicare al loro svolgimento i lunedì in modo che i membri del Governo e i presentatori possano regolarsi tenendo presente questo nostro uso.

Il lavoro del Comitato di redazione non esonera l’Assemblea dalla discussione intorno alle questioni di principio come quella della istituzione o meno dell’Assemblea Nazionale. A me pare pertanto che si possa mettere all’ordine del giorno di domani ancora il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana, riprendendo dal secondo comma dell’articolo 52: «Le Camere si riuniscono in Assemblea Nazionale, nei casi preveduti dalla Costituzione». Questo comma pone appunto la questione di principio ed appunto perciò ne fu rinviata la discussione. Risolta con una votazione tale questione, il Comitato di redazione potrà proporre i conseguenti adattamenti, sui quali, nella prima seduta della prossima settimana, si pronuncerà l’Assemblea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei avvisare che, poiché la discussione di questo tema avverrà domani alle ore 11 davanti alla Assemblea, convocherò prima il Comitato di redazione, rinviando la riunione della Commissione dei Settantacinque, che era già stata convocata.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Mi duole che non ci si sia compresi. È proprio la questione di principio, è proprio resistenza o meno dell’Assemblea Nazionale che non è possibile discutere in Assemblea se non si sarà risolto prima l’altra di cui all’articolo 67.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Io insisterei perché fosse accettata la proposta del nostro Presidente, cioè di tenere seduta anche domani, perché, intendiamoci, noi qui regoliamo il nostro lavoro a seconda delle necessità, ma dobbiamo dare anche al Paese la sensazione che il nostro lavoro è continuo e che non lo interrompiamo inutilmente: altrimenti si corre il rischio di giungere a fine dicembre senza aver approvato tutta la Costituzione.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io non ho compreso la discussione attuale: che cosa ha a che fare l’Assemblea Nazionale con i poteri del Capo dello Stato? Niente! Non c’è nessuna connessione. Noi possiamo ammettere o non ammettere che ci sia l’Assemblea Nazionale, ma questo non riguarda affatto i poteri del Capo dello Stato.

Una voce. E per l’elezione del Capo dello Stato?

NITTI. Ma non è necessario creare apposta l’Assemblea Nazionale; basta dire che la fanno le Camere unite. Che esista o no questo simulacro che si vuol chiamare l’Assemblea Nazionale, che non esiste in nessun Paese della terra e che altro non è che una superstruttura assurda; che esista o non esista, ciò non riguarda la elezione del Capo dello Stato. Anche in regime monarchico per il giuramento all’inizio della legislatura si riunivano le due Camere. Ora Camera e Senato possono riunirsi per eleggere il Presidente della Repubblica, ma non c’è necessità, per ciò solo, di dar vita a quella supercamera, a quella invenzione, a quella assurdità stupefacente, a quella fantasia inutile che vogliamo chiamare Assemblea Nazionale.

Questa idea di fare una terza Camera così numerosa comporterebbe la necessità di convocarla – continuando con questi sistemi – in Piazza Montecitorio, piuttosto che nell’Aula. Questa supercamera, che non esiste in nessun Paese della terra e che si vorrebbe far convocate permanentemente, facendole discutere le cose più assurde, come per esempio l’amnistia (figurarsi se può essere un argomento discutibile da mille persone l’amnistia, che richiede una particolare competenza giuridica!) è una pura fantasia, che non riguarda il Capo dello Stato.

Ora noi dobbiamo affrontare la questione. Io credevo che, senza lunghe discussioni, si potesse procedere oltre. Volete discutere? Volete rinviare a domani? Si tratterà di perdere un’altra giornata; se vi volete divertire su questa stoltezza, che farà ridere l’Europa intera, divertitevi pure. Perderemo uno o due giorni ancora, ma non approveremo questa Assemblea Nazionale. È stata una aberrazione momentanea. Anche questa passerà. Vogliamo perdere ancora del tempo? Se lo volete, rinviamo a domani, ma lasciamo da parte il Capo dello Stato, e discutiamo e decidiamo, perché l’importante è sbarazzare al più presto il terreno dei nostri lavori da questo incubo, per non tornarci più sopra.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 11 di domani. Resta inteso che domani esamineremo questo problema, prendendo come base l’articolo 52 che abbiamo lasciato in sospeso nel suo secondo comma.

Presentazione di una relazione.

CLERICI. Chiedo di parlare, per la presentazione di una relazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. La invito a salire sul banco della Presidenza.

CLERICI. Quale vicepresidente della Commissione per le autorizzazioni a procedere, mi onoro presentare all’Assemblea la relazione sulla domanda di autorizzazione a procedere contro il signor Del Giglio Angelo, imputato del reato di cui all’articolo 290 del Codice penale.

PRESIDENTE. Questa relazione sarà stampata e distribuita.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Lucifero, dimissionario, ho chiamato a far parte della Commissione per la Costituzione l’onorevole Condorelli.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Morini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere se sono stati accertati i precedenti politici dell’attuale concessionario del Casinò di San Remo e ciò allo scopo di decidere con cognizione di causa sul visto che il Ministero deve apporre o negare alla deliberazione di concessione 17 aprile 1947 del Consiglio comunale di San Remo.

«Morini».

Interesserò il Ministro dell’interno, che non è presente, affinché faccia sapere al più presto quando intenda rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sulle ragioni che lo hanno indotto a esonerare senza preavviso e senza motivazione il colonnello in servizio permanente effettivo Vincenzo Vetere, mutilato di guerra, dalla carica di capo della divisione disciplina ufficiali dell’esercito, che ricopriva degnissimamente da cinque mesi, mettendolo a disposizione del comando territorio, alla stregua di ufficiali discriminandi o reimpiegandi, con grave danno materiale e morale, mentre ufficiali della riserva, per età e per sfollamento, sono trattenuti, a domanda, in servizio presso il Ministero e presso Enti della Capitale. Il Ministro della difesa, assicurando che esulava dal suo provvedimento ogni motivo di carattere politico aveva preso l’impegno formale di affidare al colonnello Vetere mansioni di pari o di superiore importanza. Si domanda quali sono le ragioni che hanno indotto l’onorevole Ministro a cambiare avviso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pacciardi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se, ai fini di pacificazione, presupposto indispensabile perché venga ristabilita la normalità, non ritenga indispensabile giustizia estendere l’annunciato provvedimento di revoca dei provvedimenti dipendenti dalla legislazione di epurazione, a tutte le categorie colpite.

«In proposito rileva:

che tutta l’impostazione dell’epurazione è basata su criteri assolutamente arbitrari, antigiuridici, illogici;

che ad aggravare tale impostazione si sono succedute, nel tempo, in modo caotico, leggi e disposizioni, diverse e anche contrastanti, le quali hanno determinato gravissime sperequazioni tra i colpiti;

che, indipendentemente da ciò, non rispondente affatto a criteri di equità, comprensione e giustizia, è stata la pratica applicazione delle leggi stesse;

che più antigiuridico ed iniquo tra tutti è il decreto-legge 11 ottobre 1944, n. 257 – meglio conosciuto col nome di «legge Bonomi» – il quale, con lo specioso pretesto di affrettare l’epurazione degli alti gradi, soppresse per gli ufficiali ed i funzionari dei primi 4 gradi anche quel minimo di garanzia e di difesa, che le leggi anteriori concedevano;

che, in tale guisa, vennero colpiti nella grande maggioranza, benemeriti funzionari, i quali non avevano – in effetti – altra colpa, che quella di essere pervenuti, sotto il passato regime, da essi stessi subito, ad alta carica, unicamente per meriti e capacità professionali, in rapporto alla anzianità di servizio, servendo lo Stato, come tale, con senso di responsabilità, abnegazione, obbiettività, rettitudine;

che detti funzionari, senza avere in alcun modo diritto a difesa e senza potere, neanche, conoscere il motivo del provvedimento, e, per taluni, mentre era ancora in corso il procedimento presso la competente Commissione di epurazione di primo grado, od erano stati da questa addirittura sciolti, furono – senz’altro – defenestrati, a profitto di altri, sotto ogni riguardo, certamente, non più di essi meritevoli;

che, per i prefetti, al fine di colpirli comunque, non solo fu applicato il predetto decreto legislativo 11 ottobre 1944, n. 257, ma si giunse al punto di collocarli a riposo, applicando una disposizione analoga, contenuta in legge fascista: regio decreto-legge 5 aprile 1925, n. 441;

che è necessario, una buona volta, porre la parola «fine» ad uno stato di cose intollerabile, e che da troppo tempo si trascina, con danno – soprattutto – del Paese. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bencivenga».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non ritenga equo ed opportuno disporre una modificazione del decreto 29 luglio 1947, n. 689:

  1. a) per concedere ai pensionati per vecchiaia o per invalidità, di età inferiore o superiore a 65 anni, l’assegno temporaneo di contingenza, nella misura unica di lire 2400;
  2. b) per annullare la disposizione relativa alla detrazione di un importo pari all’assegno dalla retribuzione dei pensionati che lavorano; e ciò, considerando che trattasi di categorie fra le più disagiate e che i pensionati si sottopongono al grave carico del lavorare nella loro età avanzata solo quando sono spinti dal pesante carico di famiglia e dalle attuali difficilissime condizioni di vita.

«Per questi medesimi motivi gli interroganti chiedono all’onorevole Ministro se non ritenga equo disporre che l’indennità di caro-pane per i pensionati della previdenza sociale venga equiparata a quella dei pensionati degli altri Enti, estendendola ai famigliari a carico. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scarpa, Fornara».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per sapere con quali provvedimenti il Governo intenda venire incontro nel più breve termine possibile alle urgenti esigenze alimentari ed alla fiduciosa attesa dei ciechi civili, i quali hanno presentato in forma concreta e motivata un progetto per un assegno di assistenza continuativa, a mezzo della benemerita Unione italiana dei ciechi.

«Tale provvedimento sarebbe corrispondente all’articolo 34 già votato del progetto di Costituzione e si ispirerebbe al criterio della solidarietà sociale, per la quale spetta allo Stato, indipendentemente da qualsiasi responsabilità, di aiutare i cittadini più bisognosi, tanto più che è noto lo sforzo non soltanto individuale, ma anche collettivo, con il quale i ciechi hanno cercato e cercano di affrancarsi dalla inferiorità sociale e dall’inerzia, alle quali sarebbero condannati dalla tremenda loro disgrazia, ed è noto altresì come le feroci condizioni economiche odierne e la conseguente terribile concorrenza minaccino gli sforzi compiuti da quella categoria di grandi minorati per riuscire utili oltre che a se stessi alla società. Soprattutto si fa presente come, accanto ai ciechi lavoratori, esista un 70 per cento di quegli infelici non più ricuperabili, che sono letteralmente alla fame e nell’abbandono, e che minacciano di tornare all’accattonaggio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Clerici».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non creda giusto ed opportuno – data la scarsità del personale adatto – di estendere agli ufficiali giudiziari (i quali hanno raggiunto il 70° anno di età e sono collocati a riposo, giusta l’articolo 120 del regio decreto 28 dicembre 1924, n. 2275) il provvedimento di mantenimento in servizio, che è stato già adottato per i magistrati fino al grado quinto e per i cancellieri, quanto meno fino al 31 dicembre 1949, e se non ritenga di dover intanto soprassedere ai collocamenti a riposo in corso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Filippini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere se, in base alla nuova disciplina dell’olio di oliva, non ritenga opportuno, oltre che conveniente, lasciare libero il commercio delle sanse, in quanto l’ammasso di tale sottoprodotto impone agli agricoltori maggiori spese per la conservazione, nuovi esasperanti controlli ed esige altresì il mantenimento del Consorzio per la distribuzione delle sanse ammassate, per cui i costi di produzione risultano gravati da notevoli ed evitabili spese, che in ogni caso superano quelle derivanti dal maggiore prezzo che verrebbe pagato ai produttori agricoli. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa, dell’agricoltura e foreste e del tesoro, per conoscere quale è l’attuale estensione dei campi tuttora minati e quali provvedimenti intendono finalmente adottare per la sollecita restituzione alla produzione agricola delle terre cosparse di ordigni esplosivi, risultando che numerosi operai specializzati nel rastrellamento di mine sono da vari mesi disoccupati. Nei comandi militari addetti a tale rastrellamento si nota una viva preoccupazione per la fine dei lavori perché determinerebbe il licenziamento di varie centinaia di impiegati, mentre è urgente che considerevoli estensioni della pianura padana ritornino al più presto alla coltivazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per ovviare alla penosa situazione delle vedove e dei famigliari dei caduti in guerra in attesa di pensione, ai quali viene continuata la corresponsione del soccorso giornaliero, di cui alla legge 22 gennaio 1934, n. 115, che, pur aumentato a norma di successivi provvedimenti, è assolutamente irrisorio.

«L’interrogante chiede di sapere quindi se, in considerazione che tale soccorso è corrisposto a titolo di acconto sulla pensione, non si ritenga opportuno e giusto aumentarlo in misura tale da renderlo, per quanto possibile, più adeguato alle necessità di vita delle vedove e delle famiglie interessate. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non reputa opportuno disporre la fermata del rapido R-562 Roma-Reggio Calabria alla stazione di Gioia Tauro, centro agricolo industriale di rilievo, dove fanno scalo gli abitanti di tutta una zona popolosa ed importantissima dal punto di vista agricolo e commerciale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Priolo».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 11:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLXI.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Comunicazione del Presidente:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Nobile

Lucifero

Gullo Fausto

Bozzi

Clerici

Cifaldi

Persico

Rossi Paolo

Rodi

Moro

Fabbri

Cortese

Buffoni

Condorelli

Targetti

Lombardi

Riccardo

Nobili Tito Oro

Piemonte

Perassi

Dominedò

Meda

Cevolotto

Codacci Pisanelli

Colitto

Mortati

Votazione segreta:

Presidente

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 16.

PIGNEDOLI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che ho chiamato l’onorevole Bettiol a far parte della Commissione per l’esame del disegno di legge sulla stampa, in sostituzione dell’onorevole Moro, dimissionario.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Ricordo che dobbiamo ora passare all’esame del secondo comma dell’articolo 72:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Naturalmente bisognerà modificare la forma; togliere «altresì». Il Comitato è pure favorevole a che si tolga «da almeno due anni» accogliendo la proposta dell’onorevole Persico e di altri. Era una disposizione connessa a quella del comma precedente, in quanto si riteneva che, se il popolo non aveva esercitato la facoltà accordatagli pel referendum preventivo e sospensivo, doveva. lasciarsi un certo lasso di tempo, perché potesse ricorrere a quello abrogativo.

«Sette Consigli regionali». Il Comitato conserva questa dizione, ma non vi lega una grande importanza. Conservarla è un omaggio al concetto di Regione; toglierla può essere una semplificazione, che non tocca la sostanza del referendum. Decida l’Assemblea.

PRESIDENTE. Allora c’è la formula dell’onorevole Persico, che è del seguente tenore:

«Si procede a referendum popolare se cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali facciano domanda perché sia abrogata una legge».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Io avevo presentato questa mattina, in via subordinata, la proposta di abolire la dizione «o tre Consigli regionali», nel primo comma.

Ora, poiché in seguito all’esito della votazione, il primo comma non esiste più, trasferisco la proposta al secondo comma, vale a dire propongo che siano abolite le parole «o sette Consigli regionali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dato ciò, chiedo che si voti per divisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Se ho bene inteso – perché certe volte non si sente bene – sarei contrario alla rinunzia da parte della Commissione alle ultime parole del suo testo originario, cioè «legge vigente da almeno due anni».

Ritengo che questa disposizione è giusto sia mantenuta, per evitare continui conflitti tra alcuni gruppi di cittadini e gli organi legislativi dello Stato. Altrimenti, ogni volta che una legge sarà stata approvata, dei gruppi che possano avere nel Paese una certa forza, inizieranno immediatamente l’agitazione per la richiesta del referendum.

Quindi, se la Commissione rinunzia a quest’ultima parte del periodo, la faccio mia e chiedo che sia messa in votazione.

PRESIDENTE. Ritengo che si debba votare per divisione.

Pongo in votazione le seguenti parole del secondo comma:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori».

(Sono approvate).

Passiamo alla votazione delle parole:

«o sette Consigli regionali».

L’onorevole Nobile e altri hanno chiesto la votazione per appello nominale.

NOBILE. Vi rinunzio.

LUCIFERO. Chiedo di parlare, per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Perché il mio voto non sia frainteso, dichiaro che voterò contro le parole: «i sette Consigli regionali», non per mettermi in contrasto con dei concetti che non sono i miei, ma che sono ormai entrati nella Costituzione, ma perché, essendo anche rappresentante del Mezzogiorno d’Italia, questo consacrerebbe una sperequazione che metterebbe il Mezzogiorno nella quasi impossibilità di poter mai fare uso di questo diritto, mentre altre parti di Italia ne potrebbero far uso.

Visto che sono contrario a questa sperequazione, voterò, per questo specifico motivo, contro questo concetto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«o sette Consigli regionali».

(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«domandano che sia abrogata una leggi vigente».

(Sono approvate).

Passiamo alle ultime parole del comma che la Commissione aveva soppresso, accettando l’emendamento Persico, ma che l’onorevole Lucifero ha fatto proprie:

«vigente da almeno due anni».

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Dichiaro di essere contrario alla proposta dell’onorevole Ruini e dichiaro anche di essere contrario alla proposta dei due anni, di cui nel testo primitivo. Invito l’Assemblea a considerare l’importanza sia della disposizione originaria, sia dell’emendamento. Qui si fa il caso di una legge che può essere in vigore anche da più di due anni, e che quindi ha creato delle situazioni già consolidate. Argomento che vale, del resto, anche per il termine dei due anni. Quale certezza avrebbe la legge in questo caso? Invito l’Assemblea ad esaminare da questo punto di vista le due proposte. Non avremmo più nessuna legge certa; e la cosa va esaminata specie in rapporto alle leggi penali. Che cosa accadrebbe, proprio nei rapporti di una legge penale, se essa nascesse con questa incertezza, con questa insicurezza, e potesse accadere che essa, dopo aver trascinato in galera – e ciò accadrebbe dato che la legge rimarrebbe in vigore uno o due anni – centinaia o migliaia di cittadini, venisse proposta per il referendum abrogativo, adducendo che essa non era da approvare o addirittura neanche da proporre?

Questo sarebbe il caso limite, più paradossale; ma è certo che noi toglieremmo quel carattere di sicurezza che ogni legge deve avere, anche fatta astrazione dal suo carattere penale o non penale. Che cosa faremmo, ad esempio, dei diritti dei terzi, che intanto si sarebbero consolidati per effetto di una legge rimasta in vigore per uno o due anni, o peggio, per cinque o sei?

Una voce a sinistra. Sarebbe un articolo transitorio.

GULLO FAUSTO. Non capisco in che cosa consisterebbe questa transitorietà. Esaminiamo i casi che si possono dare. C’è la maniera normale di abrogare una legge quando si constati che essa è in contrasto con delle esigenze nuove sorte nella Nazione. Ma non capisco perché si debba pensare che le Assemblee sfuggano, in tal caso, a questa constatazione. Assemblee, si noti, le quali si rinnovano periodicamente. Perché si deve pensare che esse restino ferme in quelle opinioni che avevano suggerito l’approvazione della legge? Perché pensare che i rappresentanti del popolo prescindano completamente da un’opinione che può essere generale?

Poiché tutto ciò non è pensabile, ma è pensabile l’opposto, e cioè che le Assemblee accedano a queste esigenze d’ordine generale, accade che la norma avrà valore, purtroppo, nei casi eccezionali, quando ci sarà una minoranza, magari faziosa, la quale riuscirà facilmente (perché su 22 o 23 milioni di elettori 500 mila non rappresentano gran cosa) attraverso questa procedura straordinaria, ad indebolire senz’altro l’efficacia d’una legge. Si può anche pensare che il referendum risulti contrario, ma io chiedo all’Assemblea se vale la pena, per il gusto di approvare una disposizione simile, di creare alla Nazione cause di disordine e di prevedibile concitazione di animi. Una delle due: o la legge non è più sentita dalla generalità della Nazione, e allora non è pensabile che le Assemblee sfuggano a questa opinione diffusa nel popolo – e le Assemblee sono appunto emanazione diretta del popolo – oppure non è così: e allora daremmo ad una minoranza faziosa la possibilità di valersi di questa procedura per attentare al principio della certezza, della sicurezza delle leggi, che deve essere alla base di ogni legislazione.

Si può, se mai, accedere alla proposta di un breve termine; ossia che si dica alla fine dell’articolo 72 «di non più di sei mesi». Può avvenire in qualche caso che ci siano ragioni tali, non viste nel momento in cui veniva approvata la legge, da consigliare questa iniziativa, ma non al di là di un termine di sei mesi, appunto per non prolungare oltremodo lo stato di insicurezza.

In conclusione, o la legge è buona, nel senso che attraverso la sua applicazione per anni non ha mostrato manchevolezze, e allora non si deve dare modo ad una minoranza di intaccare la sicurezza della legge; oppure la legge si è dimostrata cattiva; e allora non è pensabile che le Assemblee non sentano come sente la generalità dei cittadini. Quindi io, che per principio sarei stato per la soppressione di questa norma, che mi pare pericolosissima, molto più pericolosa di quella che si è detta dell’abrogazione preventiva, contenuta nella prima parte dell’articolo, io che sono stato favorevole alla soppressione della norma, dico che bisogna tentare almeno con ogni mezzo di diminuirne la perniciosa efficacia, stabilendo che la proposta di referendum si può soltanto avanzare entro il termine massimo di sei mesi.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Onorevoli colleghi, le cose che ha detto l’onorevole Gullo mi sembrano esatte, ma le trovo ormai in contrasto irrimediabile con la votazione già avvenuta, perché gli argomenti che egli ha addotto sono contro il referendum abrogativo. Ormai l’Assemblea a grande maggioranza ha ammesso questo principio.

Che cosa propone ora l’onorevole Gullo? Propone che il referendum abrogativo – cioè questa manifestazione di volontà popolare diretta a togliere efficacia ad una legge votata dai due rami del Parlamento – possa essere espletato entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge medesima.

Io vorrei far notare all’Assemblea che questo suggerimento dell’onorevole Gullo è estremamente pericoloso perché la legge non entrerebbe in vigore fino a quando non fosse certo che il referendum non verrà chiesto.

Quindi per più di sei mesi, perché sei mesi occorrono per chiedere il referendum e poi un altro paio di mesi almeno occorrono per mettere in moto e concludere la macchinosa procedura del referendum, quindi per lungo tempo non si saprebbe se una legge votata dal Parlamento è o non è in vigore, con gli effetti funesti che ciascuno di noi intende: la incertezza assoluta dell’ordinamento giuridico!

E allora, dato che il principio del referendum abrogativo è stato ormai ammesso, penso che cosa migliore è mantenere il testo secondo la linea del Progetto: cioè il referendum abrogativo può essere effettuato nei confronti di una legge che abbia già due anni di vita. Dopo due anni di applicazione si può vedere – al vaglio dell’esperienza – se sia o no il caso di chiedere l’abrogazione di questa legge.

D’altra parte, onorevole Gullo, l’abrogazione di una legge la può fare anche il Parlamento. Io vorrei dire che questo referendum abrogativo verrà effettuato assai di rado; se una funzione avrà, questa sarà funzione – a mio parere – di stimolo, perché quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali, con una certa solennità, chiederanno che una legge venga abrogata, gli organi legislativi, se saranno torpidi, si sveglieranno, e lo stesso Governo dovrà prendere l’iniziativa di rivedere la legge. Quindi, una funzione di stimolo. Io ritengo opportuno che, anziché aderire alla formula Gullo, si aderisca al testo che garantisce quanto meno una certa stabilità.

CLERICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLERICI. Onorevoli colleghi confesso di non aver capito la logica e soprattutto la logica giuridica della proposta dell’onorevole Gullo. Mi pare anzi, se non vado errato, che la sua proposta sia contraria alla logica giuridica e a qualsiasi logica, perché egli ha stabilito un principio secondo cui le leggi, invecchiando divengono, non solo buone, come il vino, ma immutabili, od almeno acquistano una presunzione di bontà, man mano che gli anni passano, tale da ritenere, con spirito arciconservatore, che più una legge è vecchia, tanto più essa è buona ed è immutabile. E non riesco a capire questo concetto per cui una legge possa non riscuotere il favore del popolo, che è sovrano, e che può mediante il referendum revocarla nei primi sei mesi; e questa sovranità popolare abbia invece a cessare al sesto mese e un giorno.

Non comprendo neanche il secondo argomento dell’onorevole Gullo, che è questo: che bisogno mai c’è del ricorso al referendum, alla consultazione e decisione del popolo, quando vi è un mezzo ordinario per modificare ed abrogare una legge, vi è cioè il Parlamento, che della sovranità popolare è l’interprete. Si dice così che le Camere godono di una presunzione di infallibilità, nell’interpretare la volontà popolare, cosicché sarebbe perfettamente inutile consultare direttamente il popolo ed avviarsi a forme di democrazia diretta. Ora, tutto questo può esser sostenuto. Ma mi stupisce enormemente che ciò sia sostenuto da quei banchi, e che la democrazia progressiva, cioè, arrivi a forme così contrarie a quelle che mi pare dovrebbero essere le sue aspirazioni. Ad ogni modo non capisco come le Camere, che avrebbero questa prerogativa di essere infallibili interpreti della volontà del popolo, di modo che sia quasi assurdo ricorrere al popolo per chiedergli se veramente esso è d’accordo con il suo Parlamento, questa qualità acquistano di colpo soltanto dal sesto mese in poi. O le Camere hanno questa prerogativa, o non l’hanno, e se si deve presumere che il Parlamento rappresenta la volontà popolare, il termine dei sei mesi è assurdo. Ma io dico invece che, fermo ormai quel voto che l’Assemblea ha or ora dato sul referendum, sul ricorso alla volontà popolare, mi sembra assurda ogni restrizione. Il popolo sovrano può col referendum decidere direttamente di una legge, fermi restando i poteri ordinari di mantenere o riformare la legge, che sono propri del Par lamento. E se è riconosciuta questa sovranità, non comprendo perché essa debba essere riconosciuta a compartimenti stagni. Qualora vi saranno 500 mila persone o sette Consigli regionali che chiederanno l’abrogazione di una legge, che viga da un anno o da cento anni, il referendum dovrà aver luogo, né dobbiamo preoccuparci d’altro, perché è la decisione che conta. Tutto va così, del resto, nella vita politica. Quello che conta non è presentare una mozione contro il Governo, quello che conta è ottenere la maggioranza: quello che conta non è chiedere un voto; quello che conta è saperne l’esito. Quello che conta non è la richiesta del referendum, ma il sua risultato.

E se il popolo in maggioranza, attraverso il referendum, giudicherà che una legge deve essere abrogata, non so come si possa immaginare, in nome della democrazia, di negare questa sovranità specifica al popolo. Per cui credo debba essere stabilito il principio della facoltà del referendum nelle modalità sopradette, senza alcun limite di questa autorità sovrana del popolo che pochi minuti fa abbiamo riconosciuta adottando il referendum.

PRESIDENTE. L’onorevole Cifaldi propone che alle parole: «due anni» si sostituiscano le altre: «cinque anni».

L’onorevole Cifaldi ha facoltà di parlare.

CIFALDI. Aderisco in pieno a quello che ha detto l’onorevole Bozzi. Mi permetto di osservare che, per dare certezza alla legge, è necessario che nessuna incertezza sorga sulla portata della legge stessa: onde noi possiamo stabilire un termine prima del quale non si possa procedere alla richiesta di referendum. Ma mi sembra, oltre questo, che sia indispensabile stabilire un termine maggiore dopo del quale solamente è consentito che cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali chiedano il referendum per l’abrogazione della legge. Perché? Perché tutti coloro che si occupano della materia legislativa sanno che una legge, nel primo momento della sua applicazione, dà luogo a molte incertezze e difficoltà. Prima che possa essere esattamente interpretata e chiarita attraverso sentenze vagliate anche dalla Suprema Corte, passa del tempo; e solamente quando una legge è accettata dalla parte generale della Nazione, quando essa è esattamente interpretata attraverso i pronunciati delle magistrature, viene davvero a rappresentare qualche cosa di operoso nell’interesse collettivo. Due anni sono pochi perché questo esame possa avvenire: cinque anni deve essere un termine minimo, in quanto vi è una presunzione: se i due rami del Parlamento hanno approvato una legge, deve supporsi che essa rispetti le esigenze e interpreti i bisogni e la volontà della popolazione.

Solamente quando, dopo un periodo di prova, possa esservi quasi la certezza che la maggioranza si sia cambiata, si può tentare un referendum, che indiscutibilmente può rappresentare un contrasto fra quello che è acquisito e quello che deve essere rinnovato.

Ecco perché mi permetto di pregare l’Assemblea di accettare il mio emendamento che estende a cinque anni il termine di prova perché si possa procedere ad una richiesta di referendum.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. La proposta dell’onorevole Gullo è, diremo, l’ultima freccia contro il proposto articolo, perché, essendo egli contrario al referendum, cerca di mettere una condizione per cui non sarebbe possibile farlo funzionare: in quanto, se noi stabilissimo un termine entro il quale il referendum si può esercitare, evidentemente la legge non entrerebbe praticamente in vigore prima della scadenza di quel termine.

Avremmo una vacatio legis per tutto il tempo in cui è ammesso l’esercizio del diritto di richiesta di un referendum e allora quella instabilità legislativa che egli teme, verrebbe sancita dalla disposizione stessa della Costituzione. Nel termine che verrebbe stabilito la legge non sarebbe certa, perché potrebbe venire il referendum a modificarla. (Interruzione del deputato Gullo Fausto).

Un giurista come lei non dovrebbe dir questo, onorevole Gullo. È un errore pensare alle leggi sub specie aeternitatis. Le leggi si formano e si applicano; poi se ne formano delle successive, che abrogano le precedenti. Abbiamo avuto una quantità di leggi che si sono succedute a breve distanza di tempo in materia annonaria. Abbiamo avuto emanazione di decreti legislativi ogni sei o sette mesi. La necessità urgente di disporre norme contingenti obbligarono il Governo – se ci fosse stato il Parlamento sarebbe stato lo stesso – a modificare quelle precedenti, non più adeguate e rispondenti ai bisogni.

La stabilità della legge è data dalla sua bontà: se la legge è buona è anche stabile; se è cattiva crea subito la tendenza nel popolo a ribellarsi alla legge, a non eseguirla, a farsi anche condannare, se occorre, perché la ritiene ingiusta; è un vero movimento di discrasia rispetto alla legge.

Non è questo il concetto di stabilità della legge.

I Governi creano ed abrogano le leggi secondo le necessità, secondo le contingenze, secondo lo stato di pace e di guerra.

Non è vero che vulnereremmo il concetto di stabilità della legge con la possibilità del referendum abrogativo.

Non posso poi associarmi alla proposta dell’onorevole Cifaldi per il termine minimo di applicazione della legge di cinque anni. Propongo invece che non si stabilisca alcun termine.

Una legge, per un errore tecnico o di procedura, anche quindici giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, può offrire il fianco ad una critica così vivace, da dar luogo alla richiesta di 500 mila elettori o di sette Consigli regionali per la immediata modifica. Non è detto che debbano passare cinque anni perché si scopra questo difetto. Non è come per il vino, che diventa buono invecchiando. Se la legge è cattiva quando nasce, essa lo sarà sempre. Se la legge è buona, resterà tale, finché il legislatore non crederà di doverla adattare ai tempi nuovi. Se è necessario, ripeto, anche dopo un mese, si può domandare il referendum per la modifica.

Intendiamoci, onorevole Gullo, si chiede il referendum, ma il referendum lo farà poi il popolo. È soltanto la richiesta di un esperimento, per sapere se la maggioranza del popolo italiano, liberamente convocato nei comizi per il referendum, ritiene buona o cattiva la legge.

Può darsi che la richiesta sia dovuta ad un errore dei 500 mila elettori o dei sette Consigli regionali. Ed allora la legge risulterà collaudata attraverso l’esperimento democratico del referendum popolare.

Insisto, quindi, pregando l’onorevole Cifaldi a non voler proporre alcun termine, che è un ingombro inutile, e pregando l’onorevole Gullo di voler ritirare il suo emendamento, che renderebbe precaria la stabilità della legge.

Non occorre mettere alcun termine, perché si possa richiedere il referendum abrogativo, e non c’è poi bisogno di dire «vigente», perché, evidentemente, si tende ad abrogare una legge vigente.

ROSSI PAOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSSI PAOLO. Io sono rimasto assai colpito da una delle argomentazioni dell’onorevole Gullo, quella che si riferisce alla legge penale.

Mi pare che l’onorevole Gullo abbia affermato: sarebbe molto strano e difficile dire a un tale, in prigione da due anni: «bada che la legge in base alla quale tu sei stato condannato, con sentenza passata in giudicato, è una legge non valida, bocciata dal referendum, ti mettiamo fuori senz’altro».

Io ho pensato una cosa più strana, che sottopongo alla critica dell’onorevole Gullo: supponete, al contrario, che un tale debba stare in carcere cinque anni per una legge così ingiusta, che venticinque milioni di italiani, chiamati al referendum, la respingerebbero come contraria alla morale e al comune sentimento popolare. Non vi sembra peggio?

GULLO FAUSTO. Non credo che le Assemblee facciano delle leggi così ingiuste.

ROSSI PAOLO. La critica è forte, ma va riferita all’istituto del referendum in generale, non alla imposizione di un termine.

Sono molto perplesso circa l’opportunità del referendum abrogativo. Riconosco che è un’arma difficile e pericolosa, la quale può tenere un Paese come il nostro in continua agitazione.

Cinquecentomila voti o sette Consigli regionali contrari ad una determinata legge si troveranno sempre. Ma una volta introdotto questo referendum, bisogna disciplinarlo nel miglior modo possibile. La fissazione di un termine, prima del quale il referendum non possa esercitarsi, non farebbe che peggiorare, la cosa.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Voglio dare un piccolo chiarimento per la preoccupazione espressa dall’onorevole Gullo. Uno sta in prigione per una condanna subita in base ad una dura legge. La legge viene abrogata con il referendum: quel tale esce di prigione senz’altro. È un principio di diritto penale, sancito nell’articolo 2 del Codice, che «nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce reato».

RODI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RODI. Sono contro l’emendamento aggiuntivo, se non altro per il principio che non è possibile stabilire a priori entro quanto tempo una legge potrà rivelarsi cattiva o no; anzi possono aversi dei casi in cui una legge può sembrare buona per un certo periodo di tempo e poi per sopravvenute circostanze questa legge può rivelarsi cattiva. Allora penso che si debba mantenere la formula: «domanda che sia abrogata una legge».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

MORO. Mi associo alle considerazioni svolte dagli onorevoli Persico, Rossi Paolo e Rodi e dichiaro che il nostro gruppo è contrario alla determinazione di qualsiasi termine apposto al referendum abrogativo, sia quello di sei mesi proposto dall’onorevole Tulio per limitare il tempo entro il quale il referendum può essere chiesto, sia quello di due o cinque anni che debbono decorrere perché esso possa essere domandato. Mi sembra che attraverso questi emendamenti, presentati nella seduta pomeridiana, si cerchi in qualche modo di eludere i risultati della votazione fatta stamattina. Ciò è comprensibile per coloro i quali hanno votato contro il referendum abrogativo, mentre si comprende meno – e mi perdoni l’amico Cifaldi – per coloro i quali stamattina si sono mostrati favorevoli al referendum abrogativo.

Debbo ricordare quanto ha notato l’onorevole Ruini, e cioè che l’espressione: «vigente da due anni» era collegata al primo comma, contro il quale unanimemente abbiamo votato stamattina. Era collegata al presupposto cioè che gli elettori ed i Consigli regionali abilitati a sospendere l’entrata in vigore della legge non avessero operato in tal senso, tanto che si dovesse presumere, almeno per un certo tempo, che la legge corrispondesse alla coscienza comune.

Nell’articolo, così come era presentato, quella disposizione era perfettamente logica, mentre questa logica non sussiste più una volta eliminata la prima parte dell’articolo 72. Ed abbiamo eliminato quella parte, proprio perché ci rendevamo conto dell’opportunità di garantire quella certezza del diritto, alla quale molti colleghi si sono richiamati durante la discussione pomeridiana. Infatti, quando si pensi ad una sospensione stabilita, in linea di principio per ogni legge, in forza del potere attribuito di chiedere un referendum sospensivo, effettivamente tutta la legislazione per qualche tempo è posta come in istato d’accusa e vi è il timore che essa possa non ottenere il consenso del popolo che può intervenire direttamente nell’attività legislativa.

Ma il referendum abrogativo non toglie invece la certezza del diritto, perché se è vero che tutte le leggi possono essere abrogate attraverso questa procedura, è pur vero che il referendum abrogativo è un espediente episodico, che non è usato nei confronti di tutte le leggi e conserva quindi carattere eccezionale.

Evidentemente la certezza del diritto non è messa in forse, più che non lo sia attraverso le normali procedure di abrogazione della legge.

Si è parlato, da parte dell’onorevole Gullo, del pericolo di sospensione che si determinerebbe, quando i cinquecentomila elettori o i sette Consigli regionali avessero chiesto l’abrogazione. Si osserva in contrario, che è la stessa sospensione e la stessa incertezza, che si determinano quante volte dinanzi alla Camera s’inizia la procedura per l’abrogazione delle leggi. Non cambia insomma la sostanza delle cose. Sono queste, onorevoli colleghi, le vicende inevitabili della vita del diritto, che non è una cosa morta, ma un perenne vivo fluire.

Il presupposto dal quale partiamo nell’atto di stabilire, come abbiamo stabilito stamane, il referendum è questo: la possibilità di un disaccordo, fra la coscienza pubblica e le Camere che di essa dovrebbero tener conto nell’attività legislativa. Quindi è inutile richiamarsi alle Camere, è inutile dire che esse intendono bene qual è il loro dovere di fronte ad una legge la quale non corrisponde alla coscienza pubblica. Ammettere il referendum significa ritenere appunto la possibilità di questo disaccordo, la possibilità di questa minore comprensione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica, la quale può manifestarsi ed operare fin dal primo momento in cui la legge è entrata in vigore, senza che vi sia necessità di fare alcuna esperienza, di sei mesi, di due anni, o cinque anni, esperienza assolutamente non necessaria di fronte alla natura del referendum abrogativo.

Pertanto, richiamando l’attenzione dei colleghi sul significato che questo voto verrebbe ad assumere nei confronti dell’altro che abbiamo dato stamane, dichiaro che voteremo contro tutte le apposizioni di termini al referendum abrogativo.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. A me pare indispensabile, prescindendo dalla questione di ordine ormai assolutamente teorico, sui pregi e sui difetti del referendum, che le varie norme della Costituzione abbiano una assoluta coerenza fra di loro, perché se appariranno contrastanti, indiscutibilmente vi sarà pregiudizio nell’apprezzamento che si farà del testo della Costituzione stessa.

Allo stato attuale delle cose, noi abbiamo votato che non sia ammesso il referendum sospensivo della validità della legge; abbiamo anche votato che sia ammesso il referendum abrogativo della legge. Questi sono due punti fermi già acquisiti. Ora, l’aver escluso il referendum sospensivo è un omaggio reso al Parlamento, ed è una presunzione che nel momento in cui il Parlamento si pronuncia e fa una legge questa corrisponda ad una esigenza con caratteri tali che gli organi qualificati l’hanno risentita e su di essa hanno statuito in modo che questa statuizione deve esser ritenuta così solenne, così importante, che deve essere da tutti rispettata, e non può essere sospesa da una manifestazione contraria popolare. Ora, se noi ammettiamo che immediatamente dopo questa manifestazione solenne da parte del Parlamento, presunta in perfetta coincidenza di idee col popolo rappresentato, l’opinione pubblica abbia diritto di insorgere per chiedere l’abrogazione della legge il giorno stesso che è stata votata, noi assumiamo un atteggiamento, dal punto di vista logico, che è in perfetta contradizione col principio che abbiamo stabilito.

Se noi vogliamo difendere la sovranità del Parlamento, se noi vogliamo rispettarne il prestigio, possiamo solo ammettere che dopo un’acquisita esperienza degli effetti della legge, si possa verificare una certa sordità nella sensibilità del Parlamento, un certo ritegno da parte del Parlamento stesso a revocare una sua legge deliberata qualche tempo prima, e solo allora, dopo un certo termine, certamente non meno di un anno, due, tre anni (non faccio questione di sei mesi di più o di sei mesi di meno) ritengo che possa ammettersi il referendum abrogativo. Dico dunque che è assolutamente indispensabile, per coerenza logica e per organicità di sistema, che il referendum abrogativo abbia per sé la giustificazione della constatata non rispondenza della legge alle esigenze sociali sopravvenute mentre, viceversa, si deve tenere fermo il principio che quando il Parlamento fa una legge e proprio nel momento in cui la delibera, il Parlamento, che è qualificato a rappresentare la volontà della Nazione, fa una legge che deve essere rispettata e deve avere per sé il benefìcio di essere sperimentata per un certo tempo.

Mi pare quindi indispensabile che prima di ammettere la funzione abrogatrice del referendum vi sia stato un periodo di esperienza della legge di una certa durata; circa la misura del termine mi rimetto, naturalmente, al criterio di convergenza dei consensi di coloro che sostengono essere il termine necessario.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Mi sembra che il ragionamento dell’onorevole Moro non sia conseguente alle sue precedenti dichiarazioni, perché stamattina sosteneva il referendum di cui si parla nel primo comma; dato il risultato negativo della votazione, cerca ora di farlo rientrare proponendo l’abolizione del termine di tempo prima del quale non si può chiedere l’abrogazione della legge. Infatti, in tal caso, nulla vieterebbe di chiedere l’abrogazione di una legge anche solo un mese dopo che è stata emanata, ma in che cosa differirebbe questo con quello che era stabilito nel primo comma contro cui l’Assemblea ha votato? Dunque, mi par logico che per le stesse ragioni per cui l’Assemblea ha respinto il primo comma debba respingere anche la soppressione del termine di tempo.

Mi sembra, poi, che l’argomentazione dell’onorevole Gullo sia molto importante. Bisogna che i cittadini, nel momento in cui il Parlamento vota una legge, abbiano la sensazione che la legge ha un carattere di stabilità. Se si ammette la possibilità che la legge possa essere abrogata quando 500.000 cittadini si mettano d’accordo, è evidente che in certi casi, ad esempio quando si tratti di una legge annonaria, si farebbe presto a raccogliere 500.000 firme per ottenerne l’abrogazione. Si potrebbe perfino dare origine ad un nuovo partito a mezzo di un movimento che tende ad abrogare certe date leggi. Appunto per questo consento sul termine indicato dall’onorevole Cifaldi. Mi pare che se si vuol ammettere la possibilità di abrogazione, questa non si possa chiedere se non quando sia decorso un periodo abbastanza lungo di applicazione della legge.

CORTESE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORTESE. La proposta tendente ad abolire ogni termine per l’esercizio del referendum snatura evidentemente lo spirito dell’articolo 72. Difatti il referendum contemplato nell’articolo 72 vuole avere efficacia abrogativa nel senso che una legge possa essere abrogata mediante il referendum se, nella sua applicazione, non risponda alle esigenze per le quali fu emessa. Con l’abolizione di ogni termine, invece, il referendum si trasforma in una seconda istanza, nel senso che, approvata una legge il settore che non la votò, agitando una campagna nel paese, potrà provocare un referendum inteso ad abolirla ancora prima di una qualunque esperienza di essa. È evidente la duplice conseguenza che da ciò deriverebbe: la menomazione della funzione legislativa, e il facile tentativo di ricorso al referendum per qualunque partito soccombente.

Ciò significherebbe veramente sovvertire alle basi il regime parlamentare, il regime della rappresentanza parlamentare, in base alla quale il popolo è rappresentato dalle Assemblee democraticamente elette; e comporterebbe anche il pericolo di agitazioni continue, trasferendosi nel paese la lotta parlamentare definita con l’approvazione della legge.

Se il referendum è stato approvato, rispettiamo per lo meno lo spirito che vuole informarlo all’articolo 72, conserviamo cioè al referendum il carattere non di un appello, ma di un mezzo eccezionale per abrogare una legge che si dimostra imperfetta nella sua pratica applicazione.

Quindi, in linea principale, ci sembra opportuno che si accetti l’emendamento Cifaldi, stabilendosi così il termine di cinque anni; in linea subordinata occorrerebbe tener fermo il termine di due anni, perché, ripetiamo, l’abolizione del termine snatura la disposizione e stabilisce un principio oltremodo pericoloso, esautorando la funzione legislativa.

BUFFONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BUFFONI. Espongo un mio parere personale. Non parlo in nome del mio Gruppo perché non conosco il pensiero dei miei compagni.

Credo che non bisogna stabilire alcun termine. L’affermazione qui fatta, che il Parlamento è sempre l’interprete della coscienza popolare, non è esatta. Si è stabilito che il Senato deve durare in carica sei anni; si è stabilito che la Camera dei Deputati deve durare in carica cinque anni. Sta bene che esiste la salvaguardia della possibilità di uno scioglimento per decisione del Presidente della Repubblica; ma lo scioglimento può anche non avvenire. Può pertanto accadere che col volgere del tempo un Parlamento non risponda più alla coscienza popolare e approvi o voglia mantenere leggi cattive. In queste condizioni, perché il popolo non deve avere il diritto di domandare l’abrogazione di queste leggi? Noi dobbiamo riconoscere che la coscienza popolare in un periodo di cinque anni può anche modificarsi profondamente. Al popolo, bisogna riconoscere quindi il diritto di reclamare l’abrogazione di determinate leggi, abrogazione che il Parlamento può non volere.

Ricordo il caso dell’Assemblea francese «bleu-horizon» eletta dopo la fine vittoriosa della guerra 1914-1918 in seguito ad una ventata nazionalista: essa ben presto non rispose più alla coscienza popolare che andò rapidamente modificandosi in Francia. Domani potremmo avere anche in Italia un Parlamento, il quale non rappresentasse e non interpretasse più, a un determinato momento, il reale pensiero del popolo. È evidente che questo Parlamento potrebbe fare delle leggi che sarebbero in netto contrasto con gli interessi, le aspirazioni e la volontà popolari. Noi dobbiamo quindi conferire al popolo il diritto di infrangere una tal sorta di leggi.

Credo dunque opportuno che, nell’interesse della democrazia, sia da accettare la proposta così come essa è stata formulata dalla Commissione, senza alcun emendamento aggiuntivo.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, io rilevo che il problema è stato essenzialmente guardato dal punto di vista politico, mentre non è stato, mi pare, considerato sotto l’aspetto tecnico-giuridico che esso pure presenta. Dal punto di vista politico, sono facili ad intuirsi le ragioni che stanno per una tesi o per l’altra; ma, dal punto di vista tecnico-giuridico, invece, c’è da osservare quello che avverrebbe dopo che il popolo, attraverso il referendum, avesse abrogato una legge.

Dal punto di vista formale, la soluzione è semplice: quella legge non c’è più; ma, dal punto di vista sostanziale, che cosa avverrebbe? Avverrebbe che si creerebbe una lacuna, si potrebbe anzi creare addirittura una voragine, perché teoricamente potrebbe anche avvenire che, attraverso il referendum, si abrogasse, ad esempio, il Codice penale. Ora, se ciò avvenisse dopo appena un anno dalla sua promulgazione, potrebbe allora opportunamente tornare in vigore il vecchio Codice; ma, in altri casi, potremmo invece far tornare in vigore vecchissime leggi, ormai completamente superate.

Accadrebbe allora che il nostro popolo sarebbe costretto a vivere e ad agitarsi in questa sorta di voragine fino a che il legislatore non avesse provveduto a colmarla.

Per vero, noi ci troviamo ora di fronte ad un fatto definito, perché abbiamo già votato. Ma è appunto per questo che dobbiamo ben considerare come possa configurarsi questo referendum, perché è ovvio che non può scavarsi un abisso là dove c’è una legge. Perciò a me pare che non si possa uscire da questo ginepraio in cui ci siamo cacciati, se non attraverso una norma che fissi un termine massimo anziché un termine minimo, di là dal quale si possa incominciare a chiedere il referendum.

Si può infatti accordare al popolo di protestare contro una legge che gli sembri ingiusta; ma bisogna stabilire che lo possa fare entro certi limiti.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. Onorevoli colleghi, ho domandato la parola per una semplice dichiarazione di voto. Le ragioni che hanno condotto noi socialisti a proporre e a sostenere la soppressione dell’intero articolo, valgono, almeno per me, a farmi ritenere opportuno aderire a quell’emendamento che riduce il più possibile il termine entro il quale questo articolo di legge può essere applicato.

Noi abbiamo ritenuto e riteniamo che questo articolo di legge non avrebbe dovuto essere approvato, non già perché contrari all’istituto del referendum, ma all’uso – onorevole Uberti – dell’istituto stesso, perché ella mi insegna che si può essere favorevolissimi ad un istituto e al tempo stesso…

UBERTI. In teoria, non in pratica.

TARGETTI. …contrarissimi ad adoperare questo istituto a fini che riteniamo pericolosi. E noi riteniamo pericoloso ricorrervi perché potrebbe verificarsi questo: che una minoranza (per raccogliere 500 mila elettori in tutta Italia basta anche una minoranza) riuscisse ad impedire il regolare svolgersi dell’attività legislativa delle due Camere. Si dice: sarà la volontà popolare; ma la volontà popolare, onorevoli colleghi, dobbiamo ritenere che sarà sempre degnamente e interamente rappresentata dalle due Camere, cioè dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica. Io non riesco a configurarmi una volontà popolare meritevole di questo nome, che non abbia una sua rappresentanza nell’una e nell’altra Camera e non riesca quindi a farvi sentire la sua voce.

Per queste considerazioni, perché riteniamo che questa disposizione costituisca un pericolo, un pericolo da molti di noi non abbastanza avvertito, sono dell’opinione che più si riduce la durata del pericolo e non dico meglio si fa, ma meno male si fa. Aderisco per questo alla proposta dell’onorevole Gullo.

PRESIDENTE. Mi pare che tutti i punti di vista sono stati esposti; possiamo passare, dunque, alla votazione.

Le proposte sono quattro: 1) proposta dell’onorevole Gullo Fausto, a tenore della quale si può chiedere il referendum non più di sei mesi dopo la promulgazione di una legge; 2) proposta dell’onorevole Lucifero, a tenore della quale occorre, invece, che siano passati almeno due anni: 3) proposta dell’onorevole Cifaldi, per la quale devono essere passati almeno cinque anni; 4) proposta della Commissione, che non pone alcun termine, accogliendo l’emendamento dell’onorevole Persico.

Penso che il primo ad esser posto in votazione debba essere l’emendamento dell’onorevole Gullo in quanto, se accettato, modificherebbe più profondamente la proposta della Commissione.

Successivamente occorrerà porre in votazione la proposta dell’onorevole Cifaldi; poi, la proposta dell’onorevole Lucifero, e infine il testo della Commissione, qualora nessuna delle tre proposte precedenti fosse accettata.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Mi associo alla proposta dell’onorevole Cifaldi, mantenendo la mia come subordinata, poiché, nel caso la proposta dell’onorevole Cifaldi non venisse accettata, qualcuno potrebbe accogliere la mia col termine dei due anni.

PRESIDENTE. Sta bene.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Onorevole Presidente, come ella ha lucidamente detto, sia la mia proposta che quella dell’onorevole Cifaldi in realtà mirano ad attenuare i pericoli che noi vediamo nel testo e tanto più nella proposta di cancellazione del termine.

Io non ho nessuna difficoltà a ritirare il mio emendamento e ad aderire a quello dell’onorevole Cifaldi, proponendo che la richiesta del referendum non possa essere fatta se non dopo il termine di cinque anni.

PRESIDENTE. Sta bene. La votazione è così semplificata, perché abbiamo soltanto due proposte.

Procediamo senz’altro alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Cifaldi al quale hanno dichiarato di aderire in un primo momento l’onorevole Lucifero e poi, anche l’onorevole Gullo Fausto.

La formula dell’onorevole Cifaldi è la seguente:

«da almeno cinque anni».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Chiediamo l’appello nominale su questo emendamento.

LOMBARDI RICCARDO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LOMBARDI RICCARDO. Domando la votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Chiedo se la proposta di votazione a scrutinio segreto sia appoggiata.

(È appoggiata).

Sta bene. Allora prevale la domanda di votazione a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Si procede, quindi, alla votazione a scrutinio segreto sull’emendamento proposto dall’onorevole Cifaldi a tenore del quale la formulazione: «da almeno due anni» che è inserita nel testo della Commissione, deve essere modificata nell’altra: «da almeno cinque anni».

Presidenza del Vicepresidente CONTI

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusala votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti     306

Maggioranza           153

Voti favorevoli        134

Voti contrari            172

(L’Assemblea non approva).

Hanno prese parte alla votazione:

Abozzi – Aldisio – Allegato – Amadei – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Barontini Anelito – Basso – Bastianetto – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Benvenuti – Bernamonti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Buffoni Francesco – Burato.

Cacciatore – Cairo – Camangi – Camposarcuno – Canevari – Caporali – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Cosattini – Costa – Costantini – Cotellessa – Covelli – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico – De Caro Gerardo – De Falco – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – Di Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Donati.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Fiore – Fioritto – Firrao – Flecchia – Fogagnolo – Fornara – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gatta – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giacometti – Giolitti – Giua – Gortani – Gotelli Angela – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gullo Fausto.

Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – La Rocca – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Luisetti.

Magnani – Magrini – Maltagliati – Mannironi – Marchesi – Marconi – Mariani Francesco – Marina Mario – Martinelli – Martino Enrico – Massini – Mattarella – Meda Luigi – Mentasti – Merlin Angelina – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Penna Ottavia – Perassi – Perlingieri – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pieri Gino – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Ponti – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Restagno – Riccio Stefano – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor – Russo Perez.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Santi – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Selvaggi – Sicignano – Silipo – Simonini – Spallicci – Stampacchia – Stella – Sullo.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Tomba – Tonello – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Villani – Vischioni.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino – Alberti.

Bonino.

Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Romita.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento subordinato dell’onorevole Lucifero, il quale si era riservato di riproporlo nel caso che la proposta dell’onorevole Cifaldi non fosse stata approvata, emendamento che riprende la formula del progetto «da almeno due anni».

(Dopo prova e controprova, con votazione per divisione, non è approvato).

Il secondo comma rimane, quindi, approvato senza alcuna indicazione di durata di vigore della legge:

«Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge».

Ora, passiamo all’ultimo comma dell’articolo 72:

«In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali»

A questo comma è stata presentata una proposta soppressiva dall’onorevole Nobili Tito Oro.

NOBILI TITO ORO. La ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento accolta dalla Commissione:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie, per quelle di approvazione del bilancio e per quelle di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Si tratta di un emendamento di pura forma che non ha bisogno di illustrazioni.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io vorrei domandare alla Commissione se quest’ultimo comma ha ancora ragion d’essere, per lo meno in tutte le sue parti, una volta che abbiamo tolta la prima forma di referendum. Che cosa vuol dire referendum abrogativo di una legge di approvazione del bilancio? Vorrei una spiegazione.

PRESIDENTE. Faccia delle proposte, onorevole Bozzi.

BOZZI. Vorrei prima dei chiarimenti. Per conto mio, propongo che sia soppresso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il concetto della Commissione era che queste eccezioni dovevano valere per tutti i casi di referendum tanto abrogativo, quanto preventivo. Io credo che non vi sia nessuna ragione di togliere queste disposizioni, che sono dettate da una certa cautela, alla quale si inspirava poco fa l’onorevole Bozzi, quando voleva passare da due a cinque anni. Proprio perché siamo favorevoli al referendum, abbiamo voluto circondarlo di cautele, perché possa dare buoni risultati.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Vorrei pregare l’onorevole Presidente della Commissione di dire se non crede opportuno che si inseriscano qui anche le leggi in materia costituzionale. L’articolo 130 che riguarda la revisione della Costituzione parla soltanto del referendum popolare cui si può sottoporre una legge di revisione costituzionale, ma non si riferisce al caso di abrogazione di una qualsiasi legge in materia costituzionale. Perciò, se qui non si dice nulla in proposito avverrà che anche di una legge in materia costituzionale si potrà chiedere l’abrogazione per referendum. Per questa ragione mi sembrerebbe opportuno inserire anche le leggi di materia costituzionale.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Ho chiesto di parlare per proporre la votazione per divisione di questo comma, perché se siamo d’accordo sulla prima parte, che riguarda le leggi di approvazione dei bilanci e le leggi tributarie, siamo contrari ad eludere il referendum per le leggi che riguardano i trattati internazionali. Mi riservo di spiegare le ragioni a sostegno.

PRESIDENTE. L’onorevole Piemonte propone che si proceda alla votazione per divisione, in quanto egli dichiara di non essere favorevole alla esclusione del referendum per le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Chiede perciò che vengano votati per divisione i tre tipi di leggi considerati.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Occorre tener presente che questo comma, che è rimasto tuttora come era stato formulato dalla Commissione, assume una portata che è diversa da quella che aveva inizialmente. Infatti inizialmente il comma ultimo riguardava sia l’ipotesi del referendum cosiddetto sospensivo, sia l’ipotesi del referendum abrogativo.

Ma ora, dell’articolo 72 è rimasto soltanto il comma che prevede esclusivamente il referendum abrogativo. Occorre quindi considerare la formulazione dell’ultimo comma in relazione al contenuto dell’articolo 72, quale è uscito dalle varie successive deliberazioni.

Ora, a me pare che una norma che esclude la possibilità del referendum abrogativo è opportuna ed ha ragione di essere espressamente formulata per quanto concerne le leggi tributarie. Ma per le leggi di approvazione di un bilancio o per quelle di autorizzazione a ratificare un trattato non mi pare che sia necessaria una norma espressa che le sottragga al referendum, poiché non si vede come si potrebbe avere un referendum abrogativo di leggi di quella specie.

BOZZI. È evidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io sono d’opinione un po’ diversa, su questo punto, dal mio così valoroso e solerte collaboratore Perassi. Egli dice che è assurdo mettere certe leggi, perché e inconcepibile pensare di applicare ad esse il referendum. È un assurdo per una mente rigorosamente giuridica, come è la sua. Ma può ad altri sembrare che, se si esclude il referendum soltanto per le leggi tributarie, è ammesso per tutte le altre, senza che possa opporsi l’eccezione di inconcepibilità. Ritengo che tutto sommato è meglio rimanere al testo proposto.

Quanto alle osservazioni dell’onorevole Nobile, osservo che la materia delle leggi costituzionali sarà regolata insieme a quella delle garanzie costituzionali.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Siccome l’onorevole Piemonte ha chiesto la votazione per divisione, votiamo prima la parte del comma che riguarda le leggi tributarie, poi quella dell’approvazione dei bilanci ed infine quella dell’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. A nome dei colleghi di Gruppo dichiaro che, pur procedendosi a votazione per divisione, noi siamo di avviso di mantenere tutte le eccezioni contemplate dal testo in esame. Ammesso in via di principio l’istituto democratico del referendum, riteniamo infatti che in tutte le ipotesi in parola, e talvolta per motivo politico prima che giuridico, come nel caso della legge di approvazione del bilancio, il referendum si dimostri il mezzo meno idoneo per rispondere alle esigenze qui contemplate.

Per questo motivo voteremo integralmente a favore dell’ultimo comma dell’articolo.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Faccio rilevare che mi pare assurdo che non si dia al popolo il diritto di referendum per giudicare sopra i trattati internazionali, che legano il popolo stesso e la Nazione, qualche volta per lunghi anni.

Faccio presente che se ci fosse stato l’istituto del referendum il patto della Triplice alleanza non sarebbe stato concluso e, probabilmente, nemmeno lo stesso patto di acciaio. Richiamo l’attenzione dei colleghi tutti sulla gravità di questa decisione.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Voterò a favore del mantenimento integrale di tutto il comma dell’articolo.

Vorrei soltanto far osservare una cosa l’onorevole Piemonte. La politica estera è ma cosa molto grave e molto seria. Quello che egli ha detto è nobilissimo ed io lo apprezzo pienamente; ma gli faccio osservare che anche le Camere sono espressione della Nazione e del popolo e che i trattati internazionali vanno portati per la ratifica alle Camere. Non si può sempre portare la politica estera al voto popolare.

Speriamo che un giorno questo sia possibile; ma oggi questo creerebbe allo Stato italiano, in determinate circostanze, una tale condizione di inferiorità, che potrebbe avere conseguenze dolorose proprio per il popolo, la cui sovranità vogliamo tutelare.

Le Camere sono emanazione del popolo o possono dare una garanzia sufficiente. La politica estera è legata con tante questioni che si presentano fuori di casa nostra: non dobbiamo complicare la situazione del nostro Paese, il che porterebbe a conseguenze diverse da quelle che noi realmente vogliamo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione della Costituzione. Farò un’osservazione molto più sommessa di quella dell’onorevole Lucifero ma più efficace, ne sono sicuro, a convincere l’onorevole Piemonte. Qui si parla dell’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Abbiamo escluso il referendum cosiddetto sospensivo, in cui si sarebbe anche potuto capire una sospensione della ratifica. Ma qui interveniamo quando la ratifica è già avvenuta. Come si può abrogare col referendum una ratifica già avvenuta?

Mi pare che il ragionamento sia convincente. Per modificare il corso della politica estera vi saranno altre vie, altre forme.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Meda, Clerici, Benvenuti, Bianchini Laura, Roselli, Salizzoni, Zaccagnini, Titomanlio Vittoria propongono di aggiungere ai casi previsti anche le leggi per la concessione di amnistia.

L’onorevole Meda ha facoltà di svolgere l’emendamento.

MEDA. In realtà, il referendum ha un valore abrogatorio. Ora, una legge che stabilisse un’amnistia o l’indulto è evidente che non possa essere revocata quando è andata in vigore, in quanto dopo che i detenuti sono stati posti in libertà non si può verificare il caso che debbano essere nuovamente arrestati.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Questo è uno di quei casi in cui la tesi dell’assurdo, di cui aveva parlato testé l’onorevole Perassi, potrebbe aver peso. Del resto se l’amnistia dà luogo ad una legge, non è una legge di tipo comune, cui possa applicarsi il referendum. Sarebbe una revoca, non un’abrogazione.

PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta una proposta firmata degli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Giolitti, Grieco. Lombardi Carlo, Molinelli, Sicignano, Ruggeri, Ferrari, Musolino, Gervasi di comprendere tra le leggi escluse dal referendum abrogativo anche le leggi elettorali. Invito l’onorevole Ruini a manifestare al riguardo il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non sono favorevole, perché se c’è qualche cosa in cui il popolo può manifestare la sua volontà, è proprio il sistema elettorale. La sovranità popolare si esprime qui con tutta la sua ragion d’essere ad impedire in ipotesi che i membri del Parlamento abusino, nel regolare a comodo loro le elezioni. Non bisogna dimenticare, onorevoli colleghi, che il vero sovrano è il popolo, non il Parlamento. Voglio dire una volta ancora che la nostra Costituzione deve reagire al punto di vista che si è manifestato anche in alcuni settori di questa Assemblea, che il popolo ha un solo diritto: nominare una Camera, la quale, quando è nominata, ha tutti i poteri e, come diceva l’onorevole La Rocca, avrebbe anche il potere esecutivo. Concezione totalitaria, che vuol prendere il nome di regime parlamentare, ma non lo è più, nel senso storico in cui il regime parlamentare si è svolto con un sistema di «freni e di contrappesi». È piuttosto il regime del Governo di assemblea e di convenzione; e ne va combattuto il totalitarismo. È necessario, pur dando al Parlamento il dovuto rilievo, instaurare un regime che chiamerei popolare, perché deve far capo al popolo non soltanto per l’elezione del Parlamento, ma in quelle altre forme di emanazione della sovranità popolare, fra cui è caratteristico ed importante il referendum. L’istituto del referendum, introdotto con le dovute cautele nella Costituzione, è principio di democrazia vera, cui non possiamo rinunciare. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole: «Non è ammesso referendum per le leggi tributarie».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole: «o di approvazione dei bilanci».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le altre:

«di concessione di amnistia».

(Sono approvate).

CEVOLOTTO. Penso che si debba comprendere anche l’indulto e propongo che tale parola sia aggiunta.

PRESIDENTE. Pongo in votazione le parole:

«e indulto».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le parole:

«le leggi elettorali».

(Sono approvate).

Pongo in votazione le ultime parole:

«e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

(Sono approvate).

L’articolo 72 risulta così approvato nel suo complesso:

«Si procede a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge.

Non è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione di bilanci, dì concessione di amnistia e indulto, elettorali, e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

Passiamo all’articolo 73. Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sopprimere l’articolo.

Ha facoltà di svolgere l’emendamento.

CODACCI PISANELLI. Lo ritiro, perché, essendo già stato approvato l’articolo precedente, non ha più ragion d’essere.

PRESIDENTE. Analoga proposta soppressiva è stata fatta dall’onorevole Targetti. Ha facoltà di svolgerla.

TARGETTI. Questa proposta era in correlazione con la soppressione dell’articolo 72. Perciò la ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha proposto il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: chiamati ad, sostituire le seguenti: aventi diritto di».

Ha facoltà di svolgerlo.

COLITTO. La dizione da me proposta mi sembra un poco più precisa. Me ne convince il testo stesso del progetto, perché la stessa dizione da me proposta si trova nel capoverso dell’articolo 73.

Penso pertanto che l’emendamento debba essere accolto anche per ragioni di euritmia legislativa.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha presentato i seguenti due emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: la Camera dei deputati, sostituire le altre: il Senato della Repubblica».

«Al secondo comma, alle parole: se hanno partecipato alla votazione i due quinti degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, sostituire le altre: se è raggiunta la maggioranza dei partecipanti alla votazione».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. Li ritiro.

PRESIDENTE. Vi è, infine, ancora un emendamento, presentato dagli onorevoli Rossi Paolo, Lucifero, Persico, Buffoni, Cosattini, Carpano Maglioli, Bianchi, Bianca, Morelli Renato, Lami Starnuti, Preti, Condorelli, del seguente tenore:

«Al secondo comma sostituire le parole: due quinti, con: tre quinti».

L’onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgerlo.

ROSSI PAOLO. Onorevoli colleghi, secondo l’attuale formulazione dell’articolo 73, sarebbe possibile che una proposta abrogativa fosse coronata da successo con la partecipazione al voto del 40 per cento degli elettori iscritti. Siccome l’esperienza ci insegna che il 4, 5 o 6 per cento di schede sono nulle, potrebbe accadere, sempre per la dizione dell’articolo 73, che parla di una partecipazione di due quinti e di una maggioranza assoluta dei voti validamente espressi, che una legge, eventualmente approvata con larghissima maggioranza dai due rami del Parlamento, fosse abrogata col 17 o 16 o 15 per cento degli elettori iscritti. Mi si dirà che questa ipotesi è un’ipotesi rara, perché, naturalmente, si suppone che il popolo partecipi in più larga misura al diritto elettorale, all’esercizio del referendum; ma osservo che può accadere questo: che in un momento di stanchezza, quando si siano verificate più elezioni nello stesso anno, e talora anche nello stesso mese, o addirittura i cittadini siano stati chiamati più volte alle urne per il referendum, ci sia una certa indifferenza pubblica per una determinata legge che non sollevi un particolare cumulo di interessi popolari e che si verifichi quindi questo fatto, che sarebbe, a mio avviso, veramente deplorevole: l’abrogazione di una legge con il 17, 18, 20 per cento di voti rispetto agli elettori iscritti.

Il mio emendamento ha anche un altro scopo. Il referendum abrogativo è un’arma assai delicata. Se i partiti sapranno che una legge non può essere rovesciata senza la partecipazione alle urne di almeno il 60 per cento degli elettori iscritti, sarà più difficile che essi ricorrano alla consultazione popolare senza avere una fondata speranza di riuscire.

Per questi motivi credo che l’emendamento proposto da me con vari colleghi, per portare la maggioranza della partecipazione alle urne necessaria perché il referendum sia valido ai 3/5 anziché ai 2/5, sia da approvare.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quel che riguarda l’emendamento dell’onorevole Colitto, sono disposto a tenerlo presente come raccomandazione, quando avverrà una revisione formale. Se noi dessimo qui luogo ad una precisa deliberazione dell’Assemblea, toglieremmo possibilità di modifiche nella revisione. Vale come raccomandazione, votiamo intanto la formula come è.

Quanto alla proposta dell’onorevole Rossi Paolo, riconosco che le sue osservazioni sono fondate, e che conviene aumentare il quorum dei votanti.

PRESIDENTE. Onorevole Colitto, accetta che il suo emendamento sia tenuto presente come raccomandazione?

COLITTO. Accetto.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi Paolo, mantiene l’emendamento?

ROSSI PAOLO. Lo mantengo.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Rossi Paolo, io riconosco personalmente, ed a nome della Commissione, che essendosi limitato il referendum alla forma abrogativa, la formula due quinti dev’essere riveduta. Mi pare però che sia un po’ eccessiva la proposta Rossi. Basterebbe andare alla maggioranza degli aventi diritto. Prego il Presidente di modificare in tal senso il testo della Commissione.

ROSSI PAOLO. Consento.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione.

Salvo le dichiarazioni fatte dall’onorevole Ruini in relazione all’emendamento di formare in parte anche di sostanza dell’onorevole Colitto, che cioè ne sarà tenuto conto al momento della elaborazione conclusiva, pongo in votazione il primo comma nel testo della Commissione:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma, con la modifica proposta dall’onorevole Perassi:

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi».

(È approvato).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prima di passare alla votazione del terzo comma, desidererei fare un chiarimento perché resti agli atti dell’Assemblea. L’espressione «modalità di attuazione del referendum» va intesa in senso lato. Come dicevo poco fa, non in pubblico, all’onorevole Condorelli, per dissipare una sua preoccupazione (e ci sono riuscito), sarà necessario fare una legge generale sul referendum che dovrà risolvere molti casi. Fra gli altri quello sollevato dall’onorevole Condorelli. Se il popolo si pronuncia per l’abrogazione di una data legge, ciò non vuol dire che vi sia una vacanza nell’ordinamento legislativo, e che la materia relativa resti temporaneamente senza norme di legge. Potrà la legge sul referendum stabilire che anche quando il popolo siasi pronunziato perché venga abrogata una data legge, questa rimanga in vigore per un determinato periodo, nel quale il Parlamento dovrà emanare, se occorrono, le nuove norme regolatrici della materia.

La legge generale sul referendum avrà, desidero affermarlo ad interpretazione del nostro pensiero, lutta la necessaria larghezza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo comma.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

(È approvato).

L’articolo 73 risulta nel suo complesso così approvato:

«Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

«La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto ed è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

«La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

Passiamo all’articolo 74: Se ne dia lettura.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

«Per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum popolare ed alla Corte costituzionale».

PRESIDENTE. A questo articolo sono stati proposti vari emendamenti. Il primo dell’onorevole Persico:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Il mio emendamento al secondo comma è di forma e non di sostanza, e quindi non mi resta che invitare l’Assemblea ad accettarlo.

PRESIDENTE. Seguono due emendamenti dell’onorevole Codacci Pisanelli:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: al referendum popolare ed».

«Aggiungere il seguente comma:

«In casi straordinari di necessità e di urgenza il Capo dello Stato potrà emanare con suo decreto norme aventi forza di legge ordinaria, che dovranno essere presentate al Parlamento per la conversione in legge e perderanno automaticamente efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione, se la legge in cui siano state convertite non venga pubblicata almeno dieci giorni prima dello scadere di tale termine».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerli.

CODACCI PISANELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi. Quanto al primo emendamento da me proposto a questo articolo, lo ritiro poiché è stato superato dall’approvazione degli articoli precedenti. Per quanto riguarda il secondo emendamento, faccio presente che l’articolo 74 è molto importante sia per quello che dice, sia per quello che non dice.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, c’è una proposta di articolo 74-bis, al quale può essere forse più direttamente collegato questo suo emendamento. Potremmo quindi esaminare l’articolo 74, e poi, in sede di articolo 74-bis, svolgere il suo e gli altri emendamenti.

CODACCI PISANELLI. Non ho difficoltà, in quanto credo che la prima parte non dovrebbe dar luogo a discussioni.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho nessuna difficoltà ad accettare l’emendamento Persico, che è di pura forma.

Sono d’accordo che l’emendamento Codacci Pisanelli sia trattato in connessione alla proposta dell’articolo 74-bis.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo comma dell’articolo 74 nel testo della Commissione:

«L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non previa determinazione di principî e criteri direttivi, e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

(È approvato).

Pongo in votazione il secondo comma nel testo dell’emendamento Persico:

«Per i decreti legislativi, emessi in base a delegazione del Parlamento, si applicano le stesse norme sul referendum popolare e sulla Corte costituzionale che valgono per le leggi».

(È approvato).

L’articolo 74 risulta così approvato.

L’onorevole Crispo ha proposto il seguente articolo 74-bis, che ha già svolto in sede di discussione generale:

«L’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo o dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato di assedio. Nei casi suddetti, le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato di assedio e i provvedimenti relativi».

L’onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgere in questa sede il suo emendamento.

CODACCI PISANELLI. Come avevo accennato, risolta la questione relativa alla delega della funzione legislativa, ci resta da esaminare l’altra, non meno importante, relativa alla possibilità per il Governo di far uso del potere di ordinanza, cioè di emanare norme aventi valore di legge. Dobbiamo tener presente che stiamo parlando della legislazione ordinaria, cioè non ammettiamo, almeno per quanto riguarda il mio emendamento, che, anche concedendo questo potere di ordinanza, il Governo possa derogare ai diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Nella Commissione dei settantacinque il problema fu esaminato, e si ritenne di escludere assolutamente la possibilità di far uso dei decreti legge. Si vuol, con la formula adottata nell’attuale articolo 74 e con il silenzio adottato in proposito, escludere in maniera assoluta la possibilità per il Governo di emanare norme aventi efficacia di legge ordinaria.

Già allora sostenni la tesi contraria e fui appoggiato dall’opinione di diversi commissari: ma rimanemmo in minoranza. Questa voce della minoranza io esprimo oggi di nuovo. Per quanto riguarda il problema dei decreti-legge, che ha sempre rivestito una importanza notevole, ritengo che non sia inutile richiamare l’attenzione dell’Assemblea. Nel nostro Stato i decreti-legge non sono una novità derivata dalla tirannia instauratasi nel 1922. Già in precedenza noi abbiamo avuto numerosi decreti-legge; e in proposito dobbiamo distinguere quelli che riguardano lo stato d’assedio dai veri e propri decreti-legge. Il primo esempio di decreto-legge che si ricorda nella nostra storia legislativa (parlo della storia legislativa riferita allo Stato italiano) è offerto da quello che concerneva lo stato d’assedio dichiarato a Genova nel 1849. Il Parlamento riunitosi approvò questa dichiarazione. Non siamo ancora di fronte ai veri e propri decreti-legge. Si trattava di sanzionare il così detto stato d’assedio. È attraverso l’idea dello stato d’assedio che penetra nella nostra legislazione l’idea di quello che sarà poi il decreto-legge. Di fronte a questa dichiarazione di stato di assedio, si ebbe nel nostro sistema legislativo una soluzione analoga a quella che si riscontra nel sistema inglese; il quale non prevede il decreto-legge ma consente, in fondo, al Governo di provvedere, sotto la sua responsabilità, all’emanazione di norme aventi forza di legge.

Nel caso in cui il Parlamento ritenga opportuno l’uso della facoltà straordinaria, non prevista nemmeno dalla costituzione, vi sarà poi una legge, il famoso bill di indennità, che esonera da ogni responsabilità i Ministri, i quali hanno saputo affrontare la situazione ed hanno assunto la responsabilità di derogare alla Costituzione, emanando norme aventi forza di legge.

Anche allora, nel 1849, avvenne qualche cosa di simile; perché il Parlamento, avendo riconosciuto che lo stato di assedio era stato dichiarato nell’interesse di Genova, approvava quanto il Governo aveva fatto e passava all’ordine del giorno. Ma successivamente, da questo decreto concernente lo stato di assedio, si passò ai veri e propri decreti-legge; il decreto legge si ebbe in un primo momento per la approvazione dei trattati internazionali. Più di una volta, quasi per reminiscenza dell’antico potere attribuito al sovrano, abbiamo avuto trattati internazionali approvati mediante decreti-legge. In seguito si riscontra una serie di decreti-legge riguardanti le più diverse materie. Non sarebbe difficile offrirne un elenco agli onorevoli colleghi. Però è da notare che in generale il Governo aveva fatto un uso molto ristretto di questo potere: infatti il numero per ogni decennio si riduce a qualche decina; in alcuni periodi il numero poteva aumentare, ma normalmente si faceva uso dei decreti-legge con grande discrezione.

Viceversa, nei periodi in cui si tendeva verso regimi autoritari il numero dei decreti-legge aumentava. Basterebbe esporne una statistica, ma non voglio tediare l’Assemblea.

Una delle questioni interessanti, in proposito, che possono illuminare per la decisione da prendere è che l’autorità giudiziaria ordinaria più di una volta è stata chiamata ad esaminare il problema della costituzionalità dei decreti-legge; cioè, ci si domandava se il Governo avesse o no il potere di emanare ordinanze aventi valore di legge. Il problema fu discusso in tutti i modi. Ho appena bisogno di richiamare ai colleghi i vari tentativi fatti, per giustificare lo straordinario potere conferito al Governo.

Alcuni sostenevano che nello Statuto albertino non vi era nulla al riguardo e che quindi la potestà di emanare decreti-legge non poteva assolutamente riconoscersi al Governo.

Altri ritenevano, invece, che, siccome bisognava riconoscere al Governo la facoltà di dichiarare lo stato di assedio, come conseguenza bisognava riconoscergli anche la potestà di emanare norme aventi forza di legge, quando la necessità e l’urgenza lo avessero richiesto. E questa tesi fu, in fondo, accolta da gran parte dei nostri studiosi; fu accolta anche dalla giurisprudenza, la quale però, in proposito, esercitò una vigile cura, in quanto che più di una volta si ebbero pronunziati giurisdizionali, i quali mostrarono come l’autorità giudiziaria si preoccupasse di evitare gli abusi di questo straordinario potere. Ed anche la soluzione affermativa, circa l’appartenenza o meno di tale potere al Governo, fu risolta soltanto dopo controversie al riguardo e dopo pronunciati giurisdizionali, difformi fra di loro.

Il problema fu esaminato dopo la guerra 1914-18, perché durante quel periodo si ebbe il moltiplicarsi dei decreti-legge e siccome mancava una qualsiasi regolamentazione, il Governo, che li aveva sempre emanati, non avendo nessun limite in alcuna norma costituzionale scritta, finì per fare quell’abuso che tutti abbiamo lamentato.

Sappiamo che dopo l’emanazione di tanti decreti-legge si arrivò ad una conversione in legge collettiva dei medesimi da parte del Parlamento, che si risolse praticamente in una piena approvazione, senza nemmeno un esame dettagliato dei diversi decreti, che non sarebbe stato possibile, perché praticamente non avrebbe portato ad alcun risultato. Di qui, in seguito agli studi di valenti giuristi nostri, fra cui alcuni dei migliori (basti citare Vittorio Scialoja) si arrivò a concludere per la necessità di ammettere costituzionalmente i decreti-legge e di disciplinarli in maniera tale che il Governo non potesse farne abuso. Ma evidentemente, siccome mancava un controllo, e questo controllo vi sarebbe dovuto essere solo da parte del Parlamento, quella legge 31 gennaio 1926, n. 100 – che contemplò l’ipotesi e introdusse nella nostra Costituzione ufficialmente la potestà di emanare decreti-legge – fu uno degli espedienti che servirono per trasferire praticamente la funzione legislativa dagli organi legislativi al potere esecutivo. Questo avvenne perché mancava un organo di controllo. Mancava un organo di controllo, il Parlamento, al quale fu tolta praticamente la possibilità di sindacato: mancava, d’altra parte, un organo giurisdizionale di controllo perché ancora quella giustizia legislativa, quella suprema magistratura che garantisce la costituzionalità delle leggi, non era stata introdotta nel nostro sistema. Ed è questa una delle ragioni che ci spinge appunto a sostenere la necessità di un simile organo giurisdizionale supremo di cui dovremo occuparci in seguito.

Ma quel che interessa rilevare, a proposito dei decreti-legge, sono le ragioni le quali inducono molti dei nostri colleghi a ritenere che sia meglio escluderli completamente dalla nostra Costituzione. Essi dicono: i decreti-legge sono stati un mezzo di abuso; il potere esecutivo, investito della facoltà di emanare leggi, se ne è servito abusandone ed eliminando quelle garanzie che vi erano a favore dei cittadini. Dobbiamo tener presente che la situazione, in cui ci verremo a trovare dopo l’emanazione della nuova Costituzione, sarà ben diversa da quella che avevamo in precedenza, perché ci troveremo di fronte ad una costituzione modificabile, ma modificabile solo attraverso un particolare procedimento di revisione costituzionale. E, d’altra parte, lo ripeto ancora, il potere di ordinanza, vale a dire il potere, di emanare decreti-legge, che intendiamo attribuire al Governo, non consente di modificare norme di carattere costituzionale. Di qui, la profonda differenza che vi sarà fra il sistema precedente ed il sistema attuale.

Ma gli oppositori della tesi relativa ai decreti-legge aggiungono che in fondo si potrebbe adottare anche da noi il sistema anglosassone. Essi dicono: riconosciamo che in alcuni casi particolari di estrema necessità e di estrema urgenza può essere utile che il Governo emani decreti aventi efficacia di legge, ma in questi casi saranno gli stessi uomini di Governo ad assumere la piena responsabilità e si presenteranno poi dinanzi al Parlamento che potrà, con un atto legislativo simile al bill di indennità inglese, esonerare i governanti da ogni responsabilità. Rispondo che questo sistema non potrebbe essere introdotto nella Costituzione che stiamo per adottare: non sarebbe compatibile coi principî che in fondo costituiscono la base del nostro progetto. Non sarebbe compatibile, perché noi abbiamo previsto che vi sia un’Alta Corte costituzionale. Non abbiamo ancora deciso al riguardo, ma nel progetto, e come lasciano supporre diverse tendenze, si vede la necessità di un organo giurisdizionale supremo. Che cosa accadrebbe qualora il Governo emanasse un atto avente forza di legge? Sarebbe sempre possibile infirmarne la costituzionalità, cioè impugnarlo perché in contrasto con la Costituzione. Si risponde: ma la Camera potrà approvarlo successivamente, solo per l’avvenire. Così, il ricorso che portasse alla dichiarazione di inefficacia di una legge darebbe luogo ad una situazione praticamente insolubile, perché la dichiarazione di inefficacia avrebbe effetto retroattivo, cioè il decreto-legge dichiarato incostituzionale sarebbe tale fin dal momento della sua emanazione: sarebbe un atto legislativo invalido, e l’invalidità iniziale farebbe sì che tutti i rapporti giuridici sorti nel frattempo dovrebbero ritenersi praticamente privi di fondamento, e tante situazioni giuridiche sorte verrebbero a cadere, con pregiudizio anche di eventuali diritti quesiti.

In altri, termini, la soluzione anglo-sassone del problema a cui sto accennando non può essere accolta nel nostro sistema costituzionale, dati i principî sui quali vogliamo che riposi la nostra Costituzione.

Penso, del resto, che i preconcetti contro la potestà di ordinanza attribuita al Governo possono, in gran parte, essere superati. Possono essere superati, perché, in fondo, della potestà di ordinanza il Governo finirà sempre, prima o poi, per fare uso. Ce lo dimostra la storia. In alcuni casi di particolari necessità, come nei cataclismi, in caso di aggressione da parte di altri Stati, quando si debbano emanare disposizioni in materia doganale, quando sia necessario mantenere il segreto, in tutte queste ipotesi è assolutamente necessario che il Governo possa procedere ad emanare decreti-legge da un momento all’altro, senza attendere il sia pure rapido sistema previsto attraverso le Commissioni per emanare leggi ordinarie.

Meglio quindi fare in modo che un simile potere del Governo venga esattamente e precisamente delimitato. Quando l’esperienza storica dimostra che anche negando tale potere nelle Costituzioni, come quella anglo-sassone in cui praticamente è escluso, si finisce per far uso della potestà di ordinanza, è molto meglio mostrarsi aderenti alla realtà nel riconoscere simile potere al Governo, disciplinandolo in maniera sicura.

D’altra parte, non si può accogliere la tesi di coloro i quali sono contrari all’ammissibilità della potestà di ordinanza del Governo in base ad una rigida e meccanica tripartizione dei poteri.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che sta svolgendo un emendamento.

CODACCI PISANELLI. Abbia pazienza, onorevole Presidente, si tratta di argomento molto importante.

PRESIDENTE. Prosegua pure.

CODACCI PISANELLI. Ho sentito in quest’Aula sollevare notevoli dubbi circa la divisione dei poteri. Vi è stato chi ha parlato di un superamento della divisione dei poteri, vi è stato chi ha detto che era uno strumento addirittura a favore delle monarchie, mentre, per quanto io sappia, la divisione dei poteri trova la sua più efficace affermazione proprio nella rivoluzione francese e la considero come uno dei più sicuri espedienti a garanzia delle libertà. Comunque, per quanto io ritenga che il principio della divisione dei poteri, inteso come tendenza e non in maniera assoluta, rimanga fondamentalmente nel nostro ordinamento, e debba considerarsi come una delle sue basi, appunto perché noi vogliamo una Costituzione che garantisca i fondamentali diritti di libertà; tuttavia non arrivo a concepire quella meccanica tripartizione dei poteri che porta i sostenitori della tesi avversa a quella che io sostengo ad escludere completamente la possibilità che il Governo eserciti la potestà legislativa di urgenza. I sostenitori della tesi opposta ritengono che, data la necessità di fare in maniera che la funzione legislativa sia esercitata esclusivamente da organi legislativi, il potere esecutivo, il Governo, debba assolutamente essere escluso dall’esercizio di tale funzione. Non sono d’accordo con loro perché, anche movendo dal loro punto di vista, si dimostra come la meccanica tripartizione sia assolutamente impossibile. Il Governo, anche secondo la tesi dei miei oppositori, deve per lo meno poter esercitare la potestà regolamentare.

I regolamenti non potranno essere fatti dalle Assemblee legislative. È necessario che siano emanati dallo stesso Governo e siccome i regolamenti costituiscono esercizio della funzione legislativa in senso sostanziale è inesatto affermare che la funzione legislativa sia esercitata soltanto da parte degli organi legislativi. Ed allora se noi nel nostro nuovo sistema avremo leggi costituzionali, e immediatamente al di sotto nella gerarchia avremo le leggi ordinarie e ancora ad un gradino più sotto in questa gerarchia delle fonti avremo i regolamenti emanabili dal Governo, tanto vale consentire al Governo di esercitare una funzione legislativa, superiore sì a quella regolamentare, ma sempre inferiore alla funzione legislativa costituzionale.

Quindi, anche da un punto di vista strettamente teorico, una volta ammessa l’esistenza di leggi di carattere costituzionale riesce più facile, riesce più agevole e supera molti timori questa possibilità che il Governo eserciti sì la funzione legislativa ordinaria, ma non possa esercitare la funzione legislativa costituente. Saremo garantiti perché, se i decreti-legge in passato potevano modificare anche le disposizioni su cui si basavano ì nostri diritti fondamentali, oggi questo non sarà più possibile. Ho voluto farlo presente perché anche dal punto di vista teorico, in fondo, in questa maniera noi riusciamo ad ottenere che con l’ammissione della facoltà del Governo di emanare norme di efficacia di legge ordinaria riusciamo ad ottenere che ciò avvenga senza nessun pericolo per il rispetto dei nostri diritti fondamentali.

Questo dal punto di vista teorico. Ma ritengo che dal punto di vista pratico sia necessario soffermarsi sopra la necessità dei decreti-legge. Già nella Commissione dei settantacinque vi furono persone molto esperte in materia economica, vi furono persone che avevano già sperimentato le fatiche governative, le quali fecero presente come effettivamente nella pratica ci si trova di fronte a situazioni di tale urgenza che non è possibile fare a meno di un atto avente efficacia di legge formale e non è nemmeno possibile attendere che la legge ordinaria sia emanata dagli organi legislativi. Accenno sopra tutto ai cosiddetti decreti-catenaccio, di cui ci è stato parlato, di cui ci è stata dimostrata la necessità. Non sarà possibile fare a meno in avvenire di simili decreti in materia finanziaria.

Il semplice fatto che un decreto il quale stabilisca un dazio o debba comunque fissare una imposta possa essere conosciuto prima della sua emanazione attraverso il procedimento, che per quanto rapido richiederà qualche giorno e sarà di tale pubblicità da fare conoscere a tutti che si sta per emanare un atto legislativo al riguardo, deve indurci a ritenere che non sarebbe pratico legiferare in questa materia col sistema normale. Ragioni pratiche, quindi, oltre che ragioni teoriche devono indurci a ritenere che non possa farsi a meno dei decreti-legge, e che è opportuno disciplinarli nella Costituzione.

L’emendamento da me proposto stabilisce però che sia stabilito un termine perentorio entro il quale i decreti-legge stessi debbono essere convertiti in legge dal Parlamento. Questo è indispensabile per evitare abusi tipo quello comunemente ricordato da tutti del decreto-legge emanato per nominare sottotenente un capo di una banda musicale della Marina. Dove fosse la necessità e l’urgenza in quel caso, certamente non si vede…

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, tenga presente che parla da mezz’ora.

Lei sta usando di un suo diritto, ma la prego di non abusarne.

CODACCI PISANELLI. Signor Presidente, sono al termine; del resto sono stato io uno dei sostenitori della tesi di stabilire nella Costituzione il divieto dell’abuso del diritto, quindi nessuno più di me è convinto della necessità di non abusare del proprio diritto.

L’emendamento da me proposto tende a stabilire il principio. Non è mio proposito richiedere che sia accolto così com’è; mi rendo conto che l’onorevole Presidente della Commissione dei settantacinque potrà formularlo in maniera anche migliore. Ma quello che a me interessa è stabilire il principio che i decreti-legge possano essere emanati dal Governo con efficacia di leggi ordinarie, stabilire che questi decreti-legge debbano essere sottoposti ad una determinata procedura, che potrà essere fissata anche in base a quanto propone l’onorevole Crispo, il quale desidera che sia sentito il parere del Consiglio dei Ministri. Nessuna difficoltà da parte mia ad accedere a questa tesi. Ma a me interessa, soprattutto, che sia affermato il principio.

L’altro principio che deve essere affermato è quello dell’automatica cessazione dell’efficacia dei decreti-legge, qualora non siano approvati, qualora non siano convertiti in legge dalle Camere entro un termine che la stessa Costituzione deve stabilire.

Secondo il mio emendamento, la conversione in legge dovrebbe avvenire immediatamente, perché trascorsi sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto-legge, esso dovrebbe cessare di aver vigore, a meno che la legge in cui sia stato convertito sia pubblicata dieci giorni prima dello scadere dei sessanta giorni.

Perché questa cautela? Perché, siccome l’autorità giudiziaria, le autorità pubbliche dovranno applicare il decreto fino al giorno in cui non ne cessa automaticamente l’efficacia, bisogna che tali autorità siano tempestivamente avvertite. I dieci giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale potranno essere sufficienti per mettere al corrente coloro i quali devono applicare il decreto-legge.

Questa è la ragione che mi ha indotto a presentare l’emendamento, ragione che ho voluto esporre con una certa ampiezza, in quanto ho ritenuto che nella Commissione dei settantacinque si sia passati troppo facilmente sul problema, il quale ha sempre attirato l’attenzione degli studiosi e che, effettivamente, non può essere risolto con facilità.

D’altra parte, a coloro i quali temono l’abuso di questo potere, io faccio presente che sull’uso di esso avremo un doppio controllo: anzitutto quello politico delle Assemblee legislative a cui i decreti-legge dovranno essere presentati per la conversione in legge; poi quello giurisdizionale, da parte della Corte costituzionale, di fronte alla quale potranno sempre essere impugnati anche i decreti-legge, così che del relativo potere discrezionale non sia possibile fare uso con discrezione indiscreta.

Esiste dunque una garanzia che di questo potere discrezionale di emanare decreti-legge il Governo non farà un uso eccessivo. Io mi auguro che i colleghi della Commissione dei Settantacinque i quali in quella sede non vollero accogliere la tesi della minoranza vogliano ora mutare il loro voto.

E volgo al mio termine, onorevole Presidente, cercando di rallegrare l’Assemblea, stanca per la lunga seduta, confessando che non ho larga fiducia che il mio emendamento venga accolto.

È troppo logico e temo che non sempre la logica abbia ingresso in quest’Aula. Mi consentano di spiegarne la ragione quanti sanno del mio profondo rispetto per le Forze armate di cui ho indossato fino al 2 giugno 1946 l’onorata divisa. Quando eravamo sotto le armi, nei momenti in cui l’austera disciplina militare ci sembrava più dura, ci rianimavamo con la scherzosa domanda: perché vi sono le sentinelle davanti alle porte delle Caserme? Per impedire alla logica di entrare. (Ilarità – Commenti).

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, anche dinanzi all’ingresso di Montecitorio stanno, marziali, le sentinelle! (Applausi – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente articolo 74-bis:

«Quando, nei casi di pericolo pubblico o di assoluta inderogabile urgenza, il Governo ritenga necessario emanare provvedimenti straordinari, aventi valore di legge, deve sentire su di essi il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere e sottoporli immediatamente alle Camere stesse, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni dall’emanazione del provvedimento».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Onorevoli colleghi, la lucida e dotta orazione dell’onorevole Codacci Pisanelli ha spianato completamente la via, perché egli ha fatto tutta la storia dei decreti-legge, da quello primo del 1849 in occasione dello stato d’assedio di Genova fino alla legge del 31 gennaio 1926, n. 100, legge famosa del regime fascista, e ci ha dimostrato come l’istituto del decreto-legge, sorto per cause eccezionali e destinato ad essere applicato soltanto per cause eccezionali, fosse negli ultimi tempi diventato addirittura la normalità, cosicché le Camere vennero ad essere completamente esautorate, poiché a tutto si provvedeva con decreti-legge.

Egli ha anche detto che la questione non incide sulla teoria della divisione dei poteri, teoria che egli giustamente ha proclamato ultrademocratica. La questione astratta può considerarsi superata; si tratta, quindi, solo di sapere quali siano i limiti e i confini entro i quali sia possibile ammettere i decreti-legge. Escluderli totalmente non è cosa possibile; non v’è Stato, non v’è regime il quale non abbia, in taluni momenti, bisogno di legiferare, senza che vi sia la possibilità e senza che vi sia soprattutto il tempo sufficiente per convocare le Camere.

Mi pare, quindi, inutile discutere il principio, diremo, negativo, intorno alla non possibilità che i decreti-legge vengano emanati. Noi abbiamo sott’occhio parecchi emendamenti, che sono in qualche modo diretti a superare le difficoltà procedurali: a rendere cioè possibile l’emanazione di questi decreti-legge, ma con specialissime cautele.

Le cautele che sono state proposte e caldeggiate dall’onorevole Codacci Pisanelli non sono, a mio vedere, sufficienti, né mi sembra che i confini siano stati da lui ben determinati, e ritengo, pertanto, che questi confini potrebbero venire meglio fissati. L’onorevole Crispo ha inteso indubbiamente di determinarli con più precisione; egli infatti è entrato nel vivo nelle carni della questione. Egli ha stabilito, però, che l’esigenza dei decreti-legge potrà essere soltanto determinata da motivi di guerra o di stato d’assedio. Egli, dunque, ha inteso di limitarne la possibilità a due soli casi.

Il mio emendamento è sotto un certo profilo più largo, ma sotto un altro ha confini così ristretti e precisi da limitare la facoltà del Governo a quei soli casi nei quali è assolutamente indispensabile concederla. Esso stabilisce, infatti, che nei casi di pericolo pubblico – quindi, stato di guerra, stato d’assedio, stato di emergenza, che deriva anche da pubbliche calamità (pensate ad un terremoto che sconvolge tutta una zona del Paese e che abolisce i vincoli di vivere civile che regolano la morale di ogni Stato bene ordinato), o di assoluta inderogabile urgenza, cioè in casi di assoluta, indilazionabilità, per cui il provvedimento deve essere (anche senza che vi sia lo stato di guerra) emanato subito, cioè non può essere ritardato di un’ora (e qui rientrano i famosi decreti-catenaccio, che hanno questa necessità assoluta, per non dar tempo agli evasori di evadere quella legge che dovrà punire la loro cupidigia speculativa) – il Governo potrà emanare provvedimenti straordinari aventi valore dì legge. Qui si parla di Governo, mentre l’onorevole Codacci Pisanelli nel suo emendamento parla del Capo dello Stato. (Non so se egli insieme col Capo dello Stato comprenda anche il Governo). Soltanto nella mia proposta v’è un organo che deve essere previamente consultato. Può crearsi un organo ex novo, una commissione ad hoc permanente, della Camera e del Senato, la quale funzioni solo in questi eccezionali momenti; oppure si può designare un organo giurisdizionale, come il Consiglio di Stato o la Corte di cassazione a sezioni riunite, oppure, infine, un diverso organo speciale.

Io credo più opportuno far capo agli organi permanenti della Camera e del Senato, che rappresentano le parti più scelte dei due rami del Parlamento, cioè ì due Uffici di Presidenza, composti dei Presidenti, dei Questori, dei Segretari, che sono gli eletti dalle rispettive Camere e ne hanno, quindi, la rappresentanza, dirò così, sintetica, compresa quella dei Gruppi parlamentari dei vari partiti.

Propongo, quindi, che l’emanazione dei decreti-legge possa avvenire solo in casi di assoluta ed urgente necessità, dopo che il Governo abbia sentito il parere degli Uffici di Presidenza delle due Camere: parere evidentemente consultivo, ma che ha una grande importanza, perché dà al Governo la possibilità di emanare provvedimenti in conformità a questo parere, o in difformità, qualora vi sia una ragione per la quale questa difformità, a giudizio del Governo, si renda necessaria.

Questa sarebbe la prima garanzia; la seconda e più importante consiste nell’obbligo di sottoporre i decreti-legge emanati immediatamente alle Camere, che, se non sono già convocate, debbono esserlo entro cinque giorni. Ho fissato il termine di cinque giorni perché ci sia il tempo materiale di convocare la Camera e il Senato in sedute straordinarie.

Vi è quindi, secondo me, una procedura che rassicura la democrazia, lo Stato, i cittadini tutti, che questi provvedimenti saranno emanati soltanto in casi eccezionalissimi, con forme di procedura e con limiti di materia, i quali garantiranno il rispetto assoluto dei diritti della libertà.

Confido, quindi, che il mio emendamento possa essere accolto.

PRESIDENTE. L’onorevole Mortati ha presentato un emendamento tendente ad aggiungere, in fine all’articolo 74, il seguente comma:

«All’infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte dirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».

L’onorevole Mortati ha facoltà di svolgerlo.

MORTATI. Signor Presidente, propongo che la discussione sia rinviata a domani, perché su questo problema, che è così importante, non ha avuto occasione di pronunciarsi il Comitato di redazione. E mi pare che questi emendamenti debbano essere sottoposti al vaglio del Comitato, prima di essere portati al giudizio dell’Assemblea.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Quale presentatore di un altro emendamento sulla stessa materia, mi associo alla richiesta dell’onorevole Mortati. L’argomento è di tale importanza che, francamente, se ci si dedica anche un’intera seduta, non è male.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io credo che non ci sarebbe niente di male se si svolgessero i punti di vista dei vari proponenti. Domani cercheremo di metterci d’accordo.

Il Comitato di redazione è convocato per domani mattina alle 10, mentre (lo ricordo) la Commissione dei Settantacinque è raccolta per altre materie alle 11. Il lavoro continua senza riposo. Non mi oppongo, comunque, alla richiesta degli onorevoli Mortati e Bozzi.

PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16 di domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare o siano stati già adottati dalla competente autorità contro coloro che il giorno 13 corrente alle ore 9.30 hanno invaso e devastato la sede di Milano del Movimento nazionalista per la democrazia sociale.

«Patrissi, Fresa, Puoti, De Falco».

«Al Ministro del tesoro, per conoscere quando intenda esprimere il proprio parere circa il provvedimento del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni per il passaggio, dal gruppo C al gruppo B, degli impiegati amministrativi contabili, che, entrati tali nell’Amministrazione prima del 1914, furono dal fascismo classificati impiegati d’ordine. La mancanza di approvazione del provvedimento potrebbe maggiormente aggravare il già profondo malcontento, che non è ancora sfociato in alcuna manifestazione solo per l’alto senso del dovere degli impiegati, che ormai attendono giustizia da troppo tempo.

«Scalfaro».

In assenza dei Ministri competenti, comunicherò loro queste interrogazioni, affinché facciano sapere al più presto quando intendano rispondere.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

DE VITA, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quanto vi sia di vero nella voce che circola fra i cittadini di Formia, secondo la quale l’Ospedale, colà costruito dal «Dono svizzero» con il concorso del Ministero dei lavori pubblici, verrebbe dall’E.N.D.S.I. praticamente regalato all’Ordine dei «Fate bene fratelli», sottraendolo al legittimo e naturale destinatario del dono, e cioè al comune di Formia, con una procedura giuridico-amministrativa della quale, eventualmente, l’interrogante desidererebbe conoscere gli elementi di legittimità formale e sostanziale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non intenda aderire alla invocata eliminazione dei gravami fiscali sulle operazioni di cessione ad istituti bancari dei crediti verso enti pubblici, fatte dalle cooperative di produzione e lavoro in garanzia dei fidi loro concessi, in considerazione:

  1. a) della lentezza degli enti pubblici nella liquidazione di stati di avanzamento relativi a lavori avuti in appalto e nel pagamento dei mandati;
  2. b) delle particolari difficoltà finanziarie (aggravate dal peso degli interessi bancari) in cui attualmente si dibattono le predette società cooperative (molte delle quali tra partigiani e reduci), le quali hanno reso segnalati servizi al Paese, attenuando con libere iniziative mutualistiche la piaga della disoccupazione e contribuendo in misura notevole alla riqualificazione della mano d’opera disoccupata. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Belotti, Dominedò, Carbonari, Cimenti, Clerici, Malvestiti, Ferrario Celestino, Sampietro, Balduzzi, Bovetti, Quarello, Scalfaro, Burato, Gortani, Rapelli, Benvenuti, Valenti, Foresi, Colombo Emilio, Zaccagnini, Raimondi, Monticelli, Rodi, Giacchero».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere quali provvedimenti intendano prendere a favore dei contadini delle provincie di Trento e Bolzano danneggiati dalla grandine. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, perché considerino se non sia il caso di disporre che anche agli agenti di custodia sia corrisposta la indennità così detta di «pericolo», che attualmente è corrisposta ai carabinieri ed agli agenti di pubblica sicurezza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Colitto».

PRESIDENTE. Queste interrogazioni saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alla 19.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CCLX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Bozzi

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Persico

Codacci Pisanelli

Nobile

Preti

Nobili Tito Oro

Targetti

Fuschini

Perassi

Corbino

Cifaldi

Lussu

Moro

Uberti

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

La seduta comincia alle 11.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Adonnino e Romita.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Passiamo all’esame dell’articolo 71. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

«Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse.

«Le leggi entrano in vigore non prima del ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le Camere abbiano come sopra dichiarato l’urgenza».

BOZZI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi pare che questo argomento si riconnette, per lo meno nel primo comma, a quello dell’articolo 67, per il quale era stato chiesto ed approvato il rinvio, perché, secondo la proposta Tosato, bisognava prima esaminare la materia relativa al Capo dello Stato e poi prendere in esame questo argomento: credo quindi che adesso non si dovrebbe discutere.

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Purtroppo, il contagio della malattia del rinvio si diffonde, perché noi rinviamo tutto ed arriveremo in ultimo a trovarci addosso moltissime questioni rinviate. A questo articolo, sì, è connessa la questione della sanzione e della promulgazione, vi sono però anche altri punti nell’emendamento Codacci Pisanelli che egli, oserei dire, ha messo qui con uno sforzo di connessione, che è anche discutibile, come quando si parlava di San Giuseppe, a proposito della confessione, perché come falegname costruiva confessioni. L’onorevole Codacci Pisanelli parla, per esempio, del testo unico. Veramente il testo unico non ha molto a che fare in una materia nella quale si parla di sanzionare e promulgare le leggi. L’onorevole Codacci Pisanelli ha tuttavia sollevato tale problema. E ne ha sollevato anche un altro, perché vuol stabilire che le leggi non possono avere effetto retroattivo, principio di un’ampiezza tale che certamente non si riconduce a questo punto.

Rimandiamo tutto. Anche i temi messi lì forzatamente come connessione, li esamineremo e collocheremo al loro posto. Siccome è stato deciso che la questione della sanzione e della promulgazione, che spetta al Capo dello Stato, sarà veduta quando si sarà parlato delle funzioni del Capo dello Stato, rinviamo pure. Ma è un guaio, questo continuo rinvio!

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Mi permetto di dissentire dal parere del Presidente della Commissione e dalla obiezione fatta dall’onorevole Bozzi.

Che le leggi siano promulgate dal Presidente della Repubblica non c’è dubbio, perché anche l’articolo 89 che riguarda i poteri del Capo dello Stato stabilisce che egli promulga le leggi. Questo non incide sulla questione se dovrà o meno intervenire nella formazione delle leggi. Quello che afferma l’articolo 71 rimane, qualunque sia l’esito che potrà avere la proposta modifica dell’articolo 67.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, c’è connessione.

Il secondo comma dice: «Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, ciascuna a maggioranza assoluta dei suoi membri, la legge è promulgata nel termine fissato dalle Camere stesse». L’obbligo di promulgazione con un termine fisso assume un profilo del tutto diverso, se si tratta di sanzione e non di semplice promulgazione. La connessione inevitabilmente c’è.

PRESIDENTE. Siccome rinviamo l’esame di questo articolo in connessione con l’articolo 67, vorrei invitare i membri dell’Assemblea a precisare le loro idee a proposito di questo articolo 67 e di tutto quanto è connesso, affinché quando, in uno dei prossimi giorni, inizieremo l’esame, non vi siano nuove richieste di rinvio con altre motivazioni.

Passiamo all’articolo 72. Se ne dia lettura.

AMADEI, Segretario, legge:

«L’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, e non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali domandano che sia sottoposta a referendum popolare. Il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l’iniziativa ottiene l’adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali.

«Si procede altresì a referendum, quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni.

«In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali».

PRESIDENTE. Sono stati presentati vari emendamenti a questo articolo.

L’onorevole Codacci Pisanelli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 19 col seguente:

«L’entrata in vigore di una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, potrà essere sospesa dalla Corte costituzionale entro quindici giorni dalla pubblicazione, quando sia stato proposto ricorso per la dichiarazione di incostituzionalità e richiesta la sospensione».

«Subordinatamente: sopprimerlo».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODACCI PISANELLI. Onorevoli colleghi, la soluzione prevista nel progetto di Costituzione per la questione di cui ci stiamo occupando, costituisce, secondo me, un duplicato. Secondo i principî del progetto, infatti, il problema contemplato dall’articolo 72 concernente la sospensione delle leggi prima della loro entrata in vigore, avrebbe la soluzione della richiesta di referendum, oltre quella del ricorso per incostituzionalità alla Corte Costituzionale. Ritengo che non ci sia necessità di prevedere, tante vie per provocare la sospensione. Questa è la ragione per cui ho proposto il mio emendamento sostitutivo del primo comma, nel caso si voglia conservare tale comma.

Come mi riservo di spiegare in un successivo momento, aderisco all’idea di coloro i quali concepiscono la funzione della Corte Costituzionale, che vogliamo istituire, come una specie di giustizia legislativa, quasi parallela alla giustizia amministrativa, e quindi l’opportunità di affidare a quest’organo giurisdizionale supremo anche l’eventuale sospensione delle leggi. In altri termini, siccome ammetteremo un ricorso contro la costituzionalità della legge, ritengo che per ottenere la sospensione dell’atto legislativo sia sufficiente tale rimedio e non sia opportuno prevederne anche un altro come quello di provocare il referendum popolare. Tanto più che, secondo quanto è previsto nello stesso progetto di Costituzione, noi potremmo offrire un ottimo argomento per porre continuamente in scacco il Governo in quanto sarebbe molto facile fare in maniera che le diverse leggi non possano entrare in vigore.

Per tali motivi ho proposto l’emendamento, appunto ispirandomi a quel principio già altre volte espresso, secondo cui noi vogliamo che la nostra Costituzione dia luogo a un Governo che effettivamente governi.

PRESIDENTE. Segue l’emendamento presentato dagli onorevoli Bozzi, Cifaldi e Nitti.

«Sopprimere il primo comma».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, mi pare che la proposta fatta dall’onorevole Codacci Pisanelli sia condizionata ad una decisione che non abbiamo ancora preso e quindi futura ed incerta, cioè l’istituzione della Corte costituzionale. Quindi, in questa sede, tale proposta non si può prendere in esame.

Ho proposto la soppressione del primo comma dell’articolo 72. Questo primo comma dà al popolo e a tre Consigli regionali la possibilità di arrestare l’entrata in vigore di una legge, cioè di un atto legislativo che ha già riportato l’approvazione delle due Camere, e noi abbiamo visto ieri sera come le due Camere debbano concorrere con funzione di parità alla formazione dell’atto legislativo.

La legge non è ancora pubblicata, quindi non è efficace. Interviene la richiesta di cinquantamila cittadini o di tre Consigli regionali ed arresta, per lo meno per due mesi, l’entrata in vigore del provvedimento, che è stato approvato dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, che sono l’espressione della sovranità popolare.

Io trovo questo sistema estremamente pericoloso perché fa perdere – secondo il mio punto di vista – quella che è la linea di ciò che noi vogliamo costruire.

Siamo in un sistema di democrazia parlamentare, in cui il Parlamento, eletto a suffragio universale diretto, è il vero ed unico rappresentante della volontà popolare; eppure ad un certo momento il popolo si sovrappone ed impedisce che i suoi rappresentanti diano esecuzione alla loro volontà, deliberata nella forma della legge.

Nella Costituzione di Weimar, alla quale evidentemente questo articolo si è ispirato, vi era qualche cosa di simile – mi rivolgo al professor Mortati che è profondo conoscitore di quella Costituzione, oltre che di altre – ma quel sistema era congegnato diversamente. Nella Costituzione di Weimar si poteva avere un referendum, in quanto un terzo dei deputati avessero chiesto la sospensione della pubblicazione della legge. In sostanza, si configurava la tutela delle minoranze. Poteva darsi che la maggioranza parlamentare facesse una legge sopraffattrice della minoranza ed allora la voce di protesta sorgeva dal seno stesso del Parlamento per chiedere il referendum popolare. E questa richiesta di un terzo dei deputati doveva essere appoggiata da un decimo degli elettori. Una configurazione completamente diversa.

Oggi noi creiamo un sistema pericolosissimo: bastano cinquantamila elettori o tre Consigli regionali perché la legge votata dalla Camera dei deputati o dal Senato venga arrestata, per lo meno per due mesi.

Richiamo la vostra attenzione sul. testo dell’articolo 72. Possiamo creare l’ostruzionismo extra parlamentare. Col sistema dei partiti di massa, questi partiti hanno cinquantamila firme dei loro iscritti a loro disposizione e basta che le presentino perché nessuna legge vada più avanti e si determini la più grande incertezza nell’ordinamento giuridico.

Ora, se si fa una legge, è perché si debbono sodisfare determinate esigenze, perché vi è un interesse collettivo, e vi provvede il legislatore.

E vengo ai tre Consigli regionali. Io non sono stato favorevole a dare ai Consigli regionali una autonomia politica; vedevo più le Regioni nel piano amministrativo e ritengo tuttora che una certa utile funzione esse possano svolgere soltanto in quel settore. Ma veramente, onorevoli colleghi, noi concepiamo che tre Consigli regionali possano opporsi alla volontà degli eletti del Parlamento? Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea sul pericolo che deriverebbe da ciò e pertanto la invito a sopprimere questa forma di referendum sospensivo, che è contrario al principio della democrazia parlamentare e che sicuramente ingenererebbe un conflitto fra Regioni e Parlamento, che potrebbe essere veramente esiziale. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato due emendamenti:

«Sopprimere il primo comma».

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Si procede a referendum popolare se 500.000 elettori o sette Consigli regionali facciano domanda perché sia abrogata una legge».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerli.

PERSICO. Onorevoli colleghi, io ho presentato due emendamenti. Il primo coincide con quello testé svolto dall’onorevole Bozzi e con quello, che deve ancora essere svolto, dall’onorevole Nobile. Poco quindi mi resta da aggiungere a quanto già ha detto l’onorevole Bozzi. Certo, questo meccanismo che si vuole creare per sospendere l’esecuzione di una legge approvata e per sottoporre la legge stessa a referendum è veramente inconcepibile.

È bensì vero che c’è il vago precedente della Costituzione di Weimar, ma si trattava di cosa assolutamente diversa.

NITTI. E che non ha mai funzionato.

PERSICO. E che non ha mai funzionato.

Noi, in tal modo, potremmo avere degli inconvenienti davvero rilevantissimi. Pensiamo che le Regioni nel progetto sono ventidue, mentre nelle richieste fatte ascenderebbero addirittura a più di trenta. Tre piccole Regioni dunque – sia detto questo senza offender nessuno – si possono metter d’accordo per fermare una legge, anche se i loro interessi speciali siano molto ristretti e naturalmente molto circoscritti.

Vi sarebbe inoltre un’azione di propaganda da parte anche dei piccoli partiti per raccogliere i primi cinquantamila elettori. È quindi una specie di pietra che noi verremmo a mettere nelle ruote della macchina legislativa perché l’ingranaggio non funzioni più. Mi pare più opportuno sopprimere questo primo comma per la rapidità e per la serietà stessa della funzione legislativa.

Veniamo ora al secondo mio emendamento che riguarda il secondo capoverso. Con questo emendamento io avrei ritenuto opportuno di togliere la restrizione «vigente da almeno due anni».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, onorevole Persico, questo è collegato con il primo comma: se viene soppresso il primo comma, automaticamente decade anche questo.

PERSICO. Sta bene.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo comma.

«Subordinatamente, sostituire alle parole: cinquantamila elettori, le parole: centomila elettori, e sopprimere le parole: o tre Consigli regionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

NOBILE. Ho proposto anch’io la soppressione del primo comma. Io non ho, al riguardo, nulla da aggiungere a quanto già hanno ben detto i colleghi onorevoli Bozzi e Persico. Certo, è inammissibile che cinquantamila elettori possano paralizzare l’attività legislativa delle Assemblee. Potrebbe infatti avvenire, ad esempio, che il partito neo-fascista che è sorto oggi, il Movimento sociale italiano, raccolte le cinquantamila firme, si dia a paralizzare sistematicamente l’azione legislativa. Non ci sarebbe purtroppo, da meravigliarsi.

Ma io ho anche proposto, subordinatamente all’eventuale accoglimento della mia proposta soppressiva, che il numero degli elettori venga almeno aumentato a centomila: anzi, ora rettifico, per aderire al suggerimento di altri colleghi, elevando la cifra a 150 mila.

Ad ogni modo, volevo far osservare questo: che non è assolutamente ammissibile che siano tre Consigli regionali ad esercitare la facoltà di arrestare l’entrata in vigore di una legge. Infatti, faccio osservare che è molto più facile ad un Consiglio regionale di deliberare, che non sia quello di raccogliere 50 mila o 100 mila o 150 mila firme. Quindi, sarebbe perfettamente possibile il caso che tre Consigli regionali si mettessero d’accordo e sistematicamente sabotassero l’attività legislativa nazionale.

D’altra parte, già s’è commesso l’errore di dare a questi Consigli regionali una facoltà legislativa: sarebbe ancora veramente enorme se si ammettesse una loro ingerenza anche nelle leggi di carattere nazionale.

Per queste ragioni voterò la soppressione di tutto il comma, e, in linea subordinata, chiedo che sia accettato l’emendamento da me proposto, che eleva la cifra fissata da 50 a 150 mila.

Desidero anche avvertire che sulla convenienza di sopprimere le parole «o tre Consigli regionali» vi è una domanda di appello nominale.

PRESIDENTE. L’onorevole Preti ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, sostituire: non approvata dalla Camera dei deputati a maggioranza di due terzi».

Ha facoltà di svolgerlo.

PRETI. Dopo la votazione di ieri credo che sia inutile che io insista nel mio emendamento che tendeva a dare alla Camera dei deputati una posizione particolare. Pertanto lo ritiro.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobili Tito Oro ha facoltà di svolgere i seguenti emendamenti:

«Al primo comma, alle parole: quindici giorni, sostituire le altre: trenta giorni».

«Al secondo comma, sopprimere le parole: da almeno due anni».

«Sopprimere il terzo comma».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILI TITO ORO. L’articolo 72, onorevoli colleghi, porta sul piano dell’iniziativa del popolo e dei Consigli Regionali l’istituto del referendum legislativo che, come si è vi sto col soppresso articolo 70, si è dimostrato niente affatto accetto a questa Assemblea. Eppure trattasi di una delle più caratteristiche espressioni della sovranità popolare, del tutto nuova per noi sul terreno politico, ma tanto simpaticamente accolta dal nostro popolo, fin dai primi anni del secolo, per le deliberazioni sulle municipalizzazioni e sulle demunicipalizzazioni dei pubblici servizi!

Come i colleghi hanno constatato, l’articolo 72 stabilisce che «l’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali domandano che sia sottoposta a referendum». E aggiunge che il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l’iniziativa ottiene l’adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali.

Stabilisce ancora l’articolo 72, al comma secondo che: «si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni». Infine coll’ultimo comma si dichiarano sottratte a questo procedimento le leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Il testo dell’articolo è chiaro e altrettanto chiaro ne è lo spirito: esso mira a istituire due forme di consultazione popolare che s’integrano nella forma preventiva, o veto, e in quella abrogativa del referendum legislativo.

L’Assemblea, preoccupata della esperienza fatta di questo istituto in altri paesi e specialmente in Svizzera, nonché della sproporzione che si potrebbe verificare tra il fine che col referendum si vorrebbe raggiungere e mezzi pesanti e onerosi che si dovrebbero all’uopo impiegare, si dimostra perplessa e il suo stato d’animo è dimostrato dal tenori degli emendamenti presentati. Si pensa al turbamento che un esperimento del genere porterebbe nel paese colla campagna di propaganda dei partiti e coi pericoli e del disordine che l’accompagnano; coll’impiego indispensabile della forza pubblica; colla immobilizzazione di funzionari. E si pensa al conseguente carico di spese che si valuta in cifre astronomiche. Si osserva che la consistenza di due rami del Parlamento costituisce sufficiente garanzia di ponderazione dell’opera legislativa; che l’istituto della petizione, accortamente disciplinato, può dare, con minimi mezzi, risultati non meno utili di quelli che il macchinoso referendum conta di conseguire. Si sono fatti eco di questo stato d’animo, fra tanti altri, l’onorevole Targetti, pel nostro Gruppo, che con il suo emendamento mira a sopprimere l’intero articolo, gli emendamenti soppressivi del primo comma, quello dell’onorevole Nobile che esclude dalla iniziativa del referendum i Consigli regionali, ecc.

Io non potrei svolgere gli emendamenti da me proposti, del resto così evidenti, senza ripetere che questi sono subordinati ai primi e che io voterò prima per le proposte soppressive e per la esclusione dei Consigli regionali da questo procedimento, dovendo l’attività delle Regioni limitarsi al campo amministrativo. Ho avuto occasione di ripetere più volte il concetto che gli enti Regione sono stati istituiti come organi di decentramento amministrativo; tanto che quando noi rinvestimmo del sospetto di un programma politico, rivolto, secondo certa tradizione contro l’unità dello Stato, si sollevarono contro di noi tutte le possibili proteste. Se quelle proteste erano sincere non si deve pretendere oggi di attribuire a quegli Enti una funzione politica di primo piano, quasi di corpo legislativo di seconda istanza, controllo della Camera dei deputati e del Senato. Ecco perché, qualora gli emendamenti soppressivi non siano accolti, sosterrò anche l’emendamento Nobile al primo comma, che si comunica e si estende automaticamente anche al secondo.

Con queste premesse e con questi chiarimenti passo allo svolgimento dei miei emendamenti subordinati, che mi auguro non abbiano bisogno di essere posti in votazione. Il primo dei miei emendamenti si fa eco della preoccupazione diffusa che, data la fluida e mutevole maggioranza, con la quale veniamo varando questo progetto di Costituzione, si possa verificare il caso che quello che la maggioranza ha votato ieri rispetto all’articolo 70 non si confermi oggi per quanto riguarda l’articolo 72.

E allora se il referendum dovesse restare anche nella prevista forma preventiva o di veto, sarebbe necessario avvertire che il termine di 15 giorni accordato per introdurre la richiesta di referendum e per ottenere la sospensione della legge non può essere sufficiente. Se non è difficile che tre Consigli regionali siano convocati, deliberino e presentino la richiesta nello spazio di quindici giorni dalla pubblicazione, quando si tratti invece di raccogliere cinquantamila firme, anche se la raccolta si faccia in una grande città o in un centro unico, non si deve considerare soltanto la difficoltà materiale di raccogliere tante sottoscrizioni, ma si deve pensare pure, che queste dovranno essere autenticate e corredate dei rispettivi certificati d’iscrizione nelle liste elettorali; o quanto meno, gli uffici elettorali dovranno apporre al firmario la certificazione della iscrizione di ciascun sottoscrittore. Nel mio emendamento propongo pertanto, che il termine di quindici giorni sia portato almeno a trenta giorni.

Si obietta che il termine effettivo utilizzabile per queste operazioni e per la presentazione non è in realtà di soli quindici giorni, giacché le leggi non vengono pubblicate immediatamente dopo l’approvazione. Ma l’esperienza dimostra anche la possibilità che la pubblicazione segua immediatamente l’approvazione.

Naturalmente, se l’emendamento venisse approvato, dovrebbe essere correlativamente codificato e allargato anche il termine dell’entrata in vigore delle leggi soggette al procedimento previsto nel primo comma.

Per quel che riguarda il secondo comma dell’articolo 72, il mio emendamento corrisponde a quello presentato dal collega Persico: non si vede la ragione per la quale, di fronte a leggi che meritino l’abrogazione, di fronte a leggi che non corrispondano alle necessità del Paese o che non siano aderenti, nel loro fondamento etico e sociale, al sentimento della grande maggioranza dei cittadini, si dovrebbero attendere ben 2 anni per l’esercizio del diritto di referendum abrogativo. Il referendum o si ammette (e noi non siamo per l’ammissione) o non si ammette. Se si ammette, si deve circondare di forme serie, attuabili, pratiche, idonee al raggiungimento dei fini previsti. Per questi motivi chiedo la soppressione del termine e conseguenzialmente la soppressione nel testo della locuzione «da due anni».

Col terzo emendamento ho proposto la soppressione della disposizione del terzo comma. Se si accorda la possibilità di promuovere la abrogazione di leggi che si ritengono dannose, io non comprendo perché al popolo non debba essere concesso il diritto di far mancare la ratifica di trattati internazionali, che si giudichino iniqui, odiosi, pericolosi. II trattato della triplice alleanza e il cosiddetto «patto di acciaio» ammoniscano!

PRESIDENTE. L’onorevole Targetti ha proposto di sopprimere gli articoli. 72 e 73.

Ha facoltà di svolgere la sua proposta.

TARGETTI. Onorevoli colleghi. A sostegno del nostro emendamento soppressivo degli articoli 72 e 73 sono state già apportate valide considerazioni dagli oratori che mi hanno preceduto, quantunque questi si siano limitati a chiedere la soppressione della prima parte dell’articolo 72 e non di tutto l’articolo come noi chiediamo.

Noi per i primi dobbiamo riconoscere che il concetto ispiratore di questa norma è un concetto che dal lato dottrinale ed anche dal lato politico in astratto ha le sue attrattive. Se queste attrattive questo principio non avesse, non si spiegherebbe come sia condiviso e sostenuto da molti egregi uomini politici e studiosi della materia il principio di far partecipare direttamente il popolo alla formazione della legge. Concedere al popolo di esercitare direttamente questo diritto di veto significa concedergli la possibilità di una diretta ingerenza nel campo legislativo. Ma in pratica questo principio porta inconvenienti così gravi da renderci persuasi dell’impossibilità di dargli un’utile applicazione,

Basta fermare l’attenzione sul modo col quale si propone di applicarlo. Cioè un modo macchinoso, tanto macchinoso da non poter forse dar mai un risultato pratico.

L’Assemblea ricorda che entro quindici giorni si dovrebbero raccogliere 50 mila firme di elettori. Raccoglierle in forma autentica. Cinquantamila firme di elettori che chiedono la sospensione dell’applicazione della legge. Si dirà: c’è una via più breve, cioè l’intervento di tre Consigli regionali.

Senza lasciarmi in nessun modo influenzare da poca simpatia verso l’istituto della Regione, tanto più che questa mancanza di simpatia non mi si potrebbe rimproverare, dico tuttavia che attribuire a tre Consigli regionali, il che vuol dire alla maggioranza di tre Consigli regionali, questa facoltà (quando si tenga conto che vi saranno delle Regioni con una popolazione molto modesta) vuol dire attribuire questa facoltà non direttamente ai popolo ma a pochi rappresentanti di pochi elettori raccolti in tre Regioni, che possono avere eventualmente anche degli interessi non nazionali ma regionali, che si oppongono all’approvazione e al rispetto di una legge approvata nell’interesse nazionale. Credo che tutti si dovrebbe essere d’accordo nel rinunciare a questa ipotesi.

Resterebbe, caso mai, l’intervento diretto. Entro quindici giorni raccogliere 50 mila firme. Entro tre mesi raccogliere quelle di 500 mila elettori per richiedere il referendum.

Questo per rilevare che anche in pratica questa norma, ammesso che fosse una norma utile, non avrebbe la possibilità di applicazione. Secondò noi non è una norma saggia; tanto più non è saggia nel secondo comma del quale l’onorevole Persico e gli altri non si sono occupati.

La gravità degli inconvenienti prodotti da questo principio è ancora molto maggiore nell’ipotesi contemplata dal secondo comma. L’Assemblea ricorda: si procede al referendum quando 500 mila elettori domandino che sia abrogata una legge vigente da almeno due armi. È inutile che faccia perdere tempo all’Assemblea nel richiamare la sua attenzione sopra la pericolosità di una norma che rende la legislazione così mutevole, così instabile.

È come costruire una legislazione sulla sabbia mobile.

UBERTI. Siete contro il referendum.

TARGETTI. Siamo contro l’uso del referendum per sospendere l’applicazione di una legge o anche abrogare una legge che nella sua vita sia pur breve, ha creato degli interessi, delle situazioni giuridiche, che vanno rispettate. A ciò noi siamo decisamente contrari. Quindi proponiamo senz’altro la soppressione di tutto l’articolo.

Lo sappiamo che in Svizzera questo accade. In Svizzera prima che una legge venga pubblicata in quella che è per noi la Gazzetta Ufficiale deve stare per un certo periodo nel limbo. Ma io vorrei raccomandare ai colleghi di non procedere con troppa facilità per analogia con quello che accade in Svizzera, nazione di popolazione così limitata, da potersi considerare come una nostra grande regione.

Chiediamo pertanto la soppressione dell’articolo 72 e dell’articolo 73 che vi è strettamente collegato.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Faccio presente all’Assemblea che con l’articolo 68 noi abbiamo già ammesso che il popolo può avere l’iniziativa delle leggi attraverso un referendum proposto con cinquantamila firme.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è referendum: e cioè decisione da parte del popolo. E iniziativa, ossia proposta di legge al Parlamento. Non è una votazione, è una raccolta di nomi. Ossia è un’altra cosa dal referendum, anche se si presenta come manifestazione popolare.

FUSCHINI. Sì, è esatto quanto ella, onorevole Ruini, osserva: non è referendum, ma è sempre un modo di intervento diretto del popolo nella iniziativa delle leggi. Questa democrazia diretta si vuole applicare, con l’articolo 72, mediante il referendum sulla sospensione e abrogazione delle leggi.

Il referendum può essere chiesto da cinquecentomila elettori o da sette Consigli regionali. Mi si consenta di osservare prima di tutto che non mi sembra opportuno ammettere che sette Consigli regionali possano prendere l’iniziativa dell’abrogazione delle leggi. I Consigli regionali, come noi li abbiamo concepiti, hanno facoltà, sia pure limitata, di emanare leggi di portata regionale. Non dobbiamo aumentare le possibilità di contrasto che si potranno creare tra questi Consigli regionali e lo Stato o il Parlamento.

Questa delicata materia che si riferisce al referendum deve essere ordinata in maniera da evitare la incertezza della legge. Quando una legge è approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica, deve avere la certezza, per tutti i cittadini, della sua applicazione e non vi debbono essere periodi di incertezza sulla sua efficacia.

La proposta contenuta nel primo comma dell’articolo 72 riuscirebbe facile, purtroppo, a praticarsi. Si dice infatti che «l’entrata in vigore d’una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando ecc.». Ora è da considerare che le leggi dichiarate urgenti a maggioranza assoluta e le leggi non di urgenza, ma votate a maggioranza di due terzi, saranno pochissime, secondo il mio modesto avviso, perché le dichiarazioni d’urgenza appoggiate da una maggioranza assoluta saranno ben rare.

Non sappiamo ancora come sarà regolamentata la «urgenza» e non sappiamo per quali leggi si richiederà la maggioranza dei due terzi. Nel progetto di Costituzione vi sono pochissimi casi; uno ne ricordo, in cui è richiesta la maggioranza di due terzi, ed è quello della nomina del Presidente della Repubblica, che deve essere eletto dall’Assemblea nazionale a maggioranza di due terzi. È facile comprendere come questa maggioranza sia assai difficile a raggiungere, e di questo credo che non ci sia bisogno di dimostrazione. Faremmo pertanto cosa utile e saggia se abolissimo addirittura il primo comma di questo articolo, senza sottoporre, a sospensiva, né da parte dell’iniziativa dei cinquantamila elettori (che poi dovranno diventare cinquecentomila) né da parte di tre Consigli regionali (che dovranno completarsi a sette), perché, come ha osservato a questo proposito l’onorevole Persico, noi creeremmo fuori delle Assemblee legislative un ostruzionismo che non potremmo in alcun modo governare. Infatti i Consigli regionali saranno determinati da impulsi politici e da impulsi amministrativi, e questi saranno di diverso grado e di diverso ordine, tali da non poter essere previsti e regolati da alcuna legge, perché determinati nell’ambito della loro autonomia regionale. Pertanto ripeto che faremo cosa saggia se abbandoneremo addirittura questo primo comma dell’articolo 72.

Inoltre credo che dovremmo regolare meglio il secondo comma, ammettendo il referendum per l’abrogazione di tutte le leggi vigenti, e non soltanto di quelle in vigore da due anni, perché non c’è ragione di limitare l’abrogazione delle leggi a quelle che sono in vigore da almeno due anni. Infatti se vi può essere una ragione, per alcune leggi, di attendere almeno due anni per stabilire se siano dannose alla vita del Paese, vi sono però leggi il cui contrasto con gli orientamenti del Paese è immediatamente avvertibile.

Per questo abolirei il termine di due anni, ma stabilirei altre cautele indispensabili perché questa materia fosse regolata dalla Costituzione o dalla legge che dovrà stabilire le modalità del referendum.

Per quanto si riferisce invece all’ammissione o non del referendum per le leggi finanziarie, io credo che qui bisogna che ci mettiamo una mano sulla coscienza tutti quanti. Se noi ammettessimo che le leggi finanziarie potranno entrare fra le leggi che possono abrogarsi per referendum, siate pur certi che non solo tutti i 28 o 30 milioni di elettori, ma tutto il popolo sarebbe favorevole a un tale referendum.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma c’è l’ultimo comma, che lo impedisce.

FUSCHINI. Sta bene; ma io combatto l’opinione dell’onorevole Nobili Tito Oro, il quale ha sostenuto che per le leggi finanziarie e per i trattati internazionali si possa ammettere il referendum. I trattati internazionali devono essere approvati con leggi speciali dalle Camere, e se un trattato è approvato dalle Camere, non mi pare che possiamo far intervenire il popolo in una materia così delicata, che incide sui rapporti internazionali. Demograficamente parlando, noi non siamo una piccola Nazione, ma una grande Nazione, per cui il referendum deve essere fatto con immense cautele, per non turbare l’andamento della vita politica del Paese e i suoi rapporti con gli altri Stati. Esso può essere utile per intervenire in alcuni problemi che possono essere facilmente compresi dal popolo.

Se estendessimo le possibilità del referendum su materie troppo delicate e decisive per la vita dello Stato, rischieremmo di produrre gravi inconvenienti.

Concludendo, sono favorevole alla soppressione dei primo comma, ed al mantenimento del secondo e terzo comma.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. In questa discussione sono stati avanzati punti di vista notevolmente diversi. Io non entro nella questione generale del referendum, perché è inutile ormai fare discussioni di ordine accademico, ma resterò sul terrena concreto.

Sul terreno concreto, in relazione alle diverse proposte contenute nell’articolo 72, sono stati anche qui assunti degli atteggiamenti che, mi permetto di dire, sono un poi contraddittori. Caratteristica, ad esempio, è la posizione dell’onorevole Nobili Tito Oro, il quale, mentre da un lato dichiara di aderire alle proposte di soppressione dell’articolo, propone, dall’altra parte, la soppressione del terzo comma, ossia arriva ad ammettere che il referendum, sia pure soltanto abrogativo, possa funzionare per qualsiasi legge. (Interruzione del deputato Nobili Oro).

Ma veniamo al concreto: nello schema dell’articolo 72 si propongono due tipi di referendum; l’uno, contemplato nel primo comma, è il referendum come elemento di formazione della legge; l’altro invece è il referendum che possiamo dire abrogativo. È da notare che la formula usata nel primo comma dell’articolo 72 darebbe al referendum una configurazione giuridica che diverge da quella propria del referendum cosiddetto facoltativo, adottato in Svizzera.

Nella Confederazione, quando una legge è votata dalle due Camere federali, non viene pubblicata ai fini dell’entrata in vigore, come è previsto nel nostro progetto, ma viene invece annunziata al pubblico mediante la inserzione in un foglio speciale, La Feuille Fédérale, che è diverso dal Recueil des lois fédérales. Lo scopo di questa prima pubblicazione è semplicemente quello di portare a conoscenza del popolo che il Parlamento ha votato quella legge e di permettere al popolo di esercitare l’iniziativa del referendum, ossia di presentare entro il termine di tre mesi il numero di firme richiesto perché abbia luogo il referendum sulla legge. In questo sistema, il referendum viene a configurarsi giuridicamente come un elemento che concorre a fermare la legge. Il voto del popolo si aggiunge a quello delle Camere, quale elemento costitutivo della legge.

Ora il sistema che è stato escogitato nel nostro progetto non coincide con quello svizzero, perché, secondo la formula qui proposta, quando una legge è votata dal Parlamento essa è pubblicata nel senso tecnico della parola; soltanto la sua entrata in vigore, che normalmente dovrebbe cominciare decorsi 20 giorni dalla pubblicazione, viene ad essere automaticamente sospesa, se nei termini prescritti sono presentate le firme richieste per il referendum nel numero minimo richiesto a questo fine.

Dal punto di vista giuridico, nel sistema proposto, il referendum viene ad assumere una configurazione diversa da quella del sistema svizzero. In realtà, il referendum assumerebbe il carattere di un veto, nel senso che la legge è perfetta ma se, per ipotesi, domandatosi il referendum, questo dà un voto negativo, la legge viene meno.

Il sistema qui proposto presenta, da certi punti di vista pratici, rispetto al sistema svizzero, il vantaggio di rendere più rapida la macchina nel senso che, se entro quindici giorni le firme non sono presentate, la legge, che è già pubblicata, entra senz’altro in vigore.

Resta da vedere, per venire alla soluzione concreta – una volta che non si assuma una posizione aprioristicamente contraria al referendum – con quali limiti, con quale ampiezza questo istituto di democrazia diretta viene accolto dalla Costituzione.

Quali sono le cautele? Io invito i colleghi a leggere bene il complesso delle norme proposte e a rendersi ragione dei limiti nei quali questo meccanismo del referendum funzionerebbe.

In primo luogo: se una legge è dichiarata urgente, è esclusa la possibilità del referendum. In secondo luogo, se una legge è votata in ciascuna delle Camere in una certa maggioranza qualificata, il referendum è pure escluso. In terzo luogo, vi è un limite per materia, che è indicato nell’ultimo comma dell’articolo: le leggi tributarie, le leggi di approvazione di bilanci e quelle di autorizzazione a ratificare trattati, sono sottratte alla procedura del referendum.

Ora, date queste cautele, dati questi limiti per materia, a noi sembra che l’introduzione del referendum non possa sollevare obbiezioni. Si tratta di un istituto che può essere opportuno. Se il Parlamento adotta una legge, che nell’opinione pubblica è ritenuta contraria agli interessi generali, perché si vorrebbe impedire che il popolo possa essere chiamato a pronunciarsi su di essa?

Dunque, dati i limiti nei quali il referendum è accolto dal progetto, credo che la Costituzione debba accogliere questo istituto, che attua concretamente il principio della sovranità popolare, ed ha anche il grande pregio educativo di abituare il popolo a partecipare alla vita politica mediante giudizi su cose concrete, e non soltanto su persone.

Per quanto concerne il secondo comma, riteniamo opportuno mantenere il limite di due anni. S’intende che questo limite ha ragion d’essere solo quando il referendum abrogativo, previsto nel secondo comma, non sia la sola forma di referendum accolta nella Costituzione, ma si accompagni al referendum preveduto nel primo comma. Il limite dei due anni è ispirato dalla considerazione che prima di mettere in moto la macchina del referendum, che è già una macchina pesante, ed eventualmente provocare l’abrogazione di una legge in vigore, è opportuno che questa legge abbia fatto una certa esperienza: quello di due anni sembra un termine abbastanza breve e nel tempo stesso sufficiente per permettere che questa esperienza si faccia.

Con questi criteri e con questo spirito, noi appoggiamo l’articolo 72 così com’è, perché riteniamo che esso costituisca un’innovazione che il nostro ordinamento costituzionale deve accogliere, se la sovranità popolare, a cui tutti si richiamano, non è intesa come una frase fatta, vuota di contenuto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il primo emendamento che è stato presentato dall’onorevole Codacci Pisanelli credo sarebbe opportuno venisse ritirato. Debbo infatti fare al riguardo due osservazioni, l’una di forma e l’altra di sostanza. L’onorevole Codacci Pisanelli propone che, quando sia stato inoltrato un ricorso alla Corte Costituzionale, questa possa sospendere l’applicazione della legge. La prima osservazione è che noi non sappiamo ancora se vi sarà o no la Corte Costituzionale. Si tratta di una decisione che non abbiamo ancora preso. In secondo luogo gli obbietterò – e questo è il lato più serio della questione – che, secondo tale sua proposta, un solo cittadino, un qualunque cittadino della Repubblica potrebbe venire a sospendere una legge: così infatti è previsto, per i giudizi cosiddetti incidentali, nelle norme del progetto concernenti la Corte Costituzionale. Prego l’onorevole Codacci Pisanelli, che è un così fine giurista, di non insistere su un così inammissibile punto.

Veniamo ora alle altre questioni. Ricorderò che l’articolo risulta di tre commi. Nel primo, è previsto un tipo di referendum che mi consentirete, sebbene riconosca io per il primo l’improprietà della frase, di chiamare sospensivo e preventivo. Nei secondo, è previsto invece un referendum abrogativo; il terzo comma indica alcune categorie di leggi che sono sottratte alla possibilità dell’una e dell’altra specie di referendum.

Per quello che riguarda le proposte di emendamento che sono state avanzate al riguardo, dobbiamo distinguerle in due grandi ordini. Il primo è caratterizzato dalla proposta assolutamente radicale dell’onorevole Targetti, il quale vorrebbe senz’altro cancellare ogni possibilità di referendum. Il secondo ordine invece, che comprende gli emendamenti presentati da numerosi altri colleghi, è caratterizzato dal punto di vista secondo cui, conservando il solo emendamento abrogativo, si intenderebbe sopprimere la prima forma di referendum, che impropriamente abbiamo chiamato sospensivo o preventivo.

Ora, io debbo nettamente dichiarare che l’emendamento dell’onorevole Targetti mi pare contrasti con quella che era stata la decisione unanime della Commissione, perché noi avevamo ritenuto che il referendum dovesse essere introdotto nella Costituzione italiana. Non vi starò a richiamare, onorevoli colleghi, le ragioni teoriche: si era ritenuto che, in regime democratico, il popolo potesse esprimersi in due modi fondamentali: indirettamente con l’elezione del Parlamento e direttamente a mezzo del referendum.

Debbo sottolineare, come dissi in altri interventi, che il referendum è necessario appunto per togliere al Parlamento il carattere di solo organo sovrano, mentre in fondo la sovranità del Parlamento è mediata, giacché il vero sovrano deve essere il popolo. Purtroppo anche ieri noi abbiamo soppresso un referendum: quello in caso di conflitto fra le due Camere. Mi inchino alla volontà della maggioranza dell’Assemblea, ma mi dolgo di tale prima amputazione.

Il principio del referendum è stato ammesso, come concetto generale, da tutti gli oratori all’Assemblea; anche gli onorevoli Corbi, Preti, Di Gloria ed altri comunisti e socialisti hanno riconosciuto la necessità dell’istituto del referendum nella nuova Costituzione, pur sostenendo che deve essere sottoposto a cautele e se ne deve fare un «savio e corretto uso». Se così è, se tutti si sono pronunziati pel referendum, non credo che si possa entrare in un ordine di idee così radicale come quello dell’onorevole Targetti, che sopprime, se non interamente, quasi interamente il referendum nella Costituzione, e lo svuota così di ciò che si doveva intendere come un’acquisizione concordata.

Emendamenti di altri colleghi sopprimono una delle due figure del referendum, la sospensiva e preventiva, e mantengono quella del referendum abrogativo.

Anche nella Commissione dei Settantacinque vi sono state delle correnti ostili alla prima forma di referendum. L’onorevole Grassi, che allora era segretario della Commissione, e che ha scritto da giovane un libro notevole sul referendum, ha combattuto il referendum sospensivo o preventivo. Ma la maggioranza si è pronunciata per adottarlo.

Le obiezioni contrarie possono formularsi, mettendo in luce il carattere di veto che ha il referendum sospensivo e preventivo; l’azione appunto di sospensione e di arresto che esercita sul procedimento legislativo, a cui toglie certezza e definitività; il pericolo che un partito o una corrente d’interessi possa con facilità raccogliere il numero di firme necessarie per la sospensiva e turbare, almeno momentaneamente, la macchina della legislazione. Un’obiezione più radicale che può addursi per il referendum sulle leggi, e specialmente per quello sospensivo e preventivo, è che il giudizio sulla legge richiede una competenza tecnica, sia pur elementare, che non risiede nella massa del popolo; e per ciò appunto si ricorre ad elezione di scelti rappresentanti.

A sostegno del referendum preventivo e soppressivo si afferma, in via di principio, che nulla può opporsi all’intervento diretto del popolo nella funzione legislativa, come avviene spiccatamente in Svizzera, dove il referendum è in molti casi obbligatorio per la formazione delle leggi, ed equivale ad una seconda lettura o ad una terza Camera. Dalla forma elvetica, di cui l’amico Perassi sembra avere nostalgia giuridica, è diverso il sistema che si propone per l’Italia. A mettere in moto il referendum occorre un numero di firme raccolte così considerevole che – contrariamente al rilievo di soverchia facilità – altri dice (l’abbiamo udito pur qui) che la disposizione resterà praticamente (il che io non credo) lettera morta. Ma i freni e le cautele dell’esercizio del referendum preventivo e sospensivo sono principalmente due, nel testo del progetto. Il Parlamento può impedire a priori il ricorso a tale referendum dichiarando l’urgenza delle leggi a maggioranza assoluta, o approvandole col voto di due terzi dei suoi membri. Vi sono poi categorie di leggi, indicate nell’ultimo comma dell’articolo, che sono sottratte ad ogni e qualunque forma di referendum. Il complesso di tali cautele dovrebbe, si dice, tranquillizzare anche sull’applicazione del referendum sospensivo e preventivo. Anch’io personalmente posso avere dei dubbi su tale forma di referendum. E debbo soprattutto insistere sulla grande differenza che c’è fra la proposta dell’onorevole Targetti e le proposte degli altri colleghi. Targetti ha proposto, infatti, un emendamento col quale il referendum uscirebbe dalla nostra Costituzione per quanto riguarda le leggi.

TARGETTI. No!

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. E dove rimarrebbe?

TARGETTI. Non ho avuto la fortuna di spiegarmi bene. È colpa mia.

Io ho sostenuto la soppressione di questo articolo, dove è incluso il referendum relativo all’approvazione delle leggi. Ma questo non impedisce a me, in piena coerenza, di ammettere il referendum in altri casi.

C’è nella Costituzione un’ipotesi di referendum, ad esempio, anche per la revisione della Costituzione stessa.

La prego di correggere l’interpretazione del mio pensiero nel senso che sono contrario ad adottare il referendum ai fini cui servirebbe secondo l’articolo in discussione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rispondo all’onorevole Targetti che, sopprimendo il referendum legislativo, si sopprime il referendum nella sua manifestazione più vasta e concreta. Non si può dire che il caso solitario ed eccezionale del referendum per la revisione costituzionale introduca veramente nel nostro Paese l’istituto del referendum, su cui sembrava realizzata all’inizio la unanimità dei consensi. L’onorevole Targetti afferma che egli non è contrario – tutt’altro! – all’idea del referendum, e che cercherà altre applicazioni, ma non le indica, tranne il referendum per la revisione costituzionale. Così in sostanza, lo ripeto, non dà effettiva attuazione all’idea del referendum, che dovrebbe essere una delle caratteristiche innovative dell’ordinamento del nuovo Stato italiano, in un senso che ormai mi sembra indispensabile in una nuova democrazia.

Io chiedo che sia adottato il referendum abrogativo. Per l’altro preventivo e sospensivo, decida l’Assemblea come crede. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori se insistono nei loro emendamenti.

Onorevole Targetti, mantiene il suo emendamento?

TARGETTI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Codacci Pisanelli, lo mantiene?

CODACCI PISANELLI. Volevo precisare due punti del mio pensiero. Primo: è stato pensato che in ogni caso io ritenessi la possibilità che una legge sia sospesa, da qualunque cittadino si faccia il ricorso. Secondo: che l’Alta Corte fosse sempre tenuta a concedere questa sospensione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, non l’ho detto.

CODACCI PISANELLI. Mi riferivo ad una posizione analoga a quella che si verifica per l’atto amministrativo, per cui la sospensione viene accordata dalla magistratura amministrativa competente solo in casi di particolare gravità.

Quanto alla possibilità di impugnativa da parte di un solo cittadino, non ho affatto ammesso tale principio. Mi riferivo a quanto è stabilito nell’articolo 128, dove è previsto chi deve promuovere la dichiarazione di incostituzionalità.

Comunque, sono d’accordo sull’opportunità di rinviare la questione e non insisto sul mio emendamento, riservandomi di esaminare la questione quando affronteremo l’argomento dell’Alta Corte di Giustizia.

CORBINO. Onorevole Presidente, desidererei sapere quale sarà la sorte del secondo emendamento dell’onorevole Codacci Pisanelli.

PRESIDENTE. Coincide con quelli di altri colleghi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Perfettamente, coincide con altri tre emendamenti. Ne abbiamo già parlato.

PRESIDENTE. Onorevole Bozzi, mantiene il suo emendamento?

BOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, mantiene il suo emendamento?

PERSICO. Sì, lo mantengo.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Nobile, si intende che abbia rinunciato al suo emendamento. Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene il suo emendamento?

NOBILI TITO ORO. Lo mantengo, con quel carattere subordinato che hanno i miei emendamenti rispetto a quelli pregiudiziali presentati dall’onorevole Targetti e dagli altri colleghi di Gruppo.

PRESIDENTE. E allora passiamo alla votazione. In analogia al modo col quale abbiamo proceduto ieri nei confronti di altro articolo per il quale erano stati presentati numerosi emendamenti, e di cui si chiedeva anche la soppressione, voteremo anche in questo caso per prima la proposta soppressiva di tutto l’articolo proposta dall’onorevole Targetti.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io credo che si dovrebbe votare prima il primo comma perché l’articolo contiene due concetti diversi. Io potrei essere favorevole, per esempio, alla soppressione del primo comma, ma non al secondo, perché sono due concetti diversi.

CIFALDI. Propongo la votazione per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io vorrei far presente che se si tratta di votare interamente l’articolo, si tratta di pronunciarsi sul principio del referendum in generale.

Abbiamo due proposte che, secondo me, non si possono votare insieme perché chi vuole conservare la seconda parte non può votare per la soppressione di tutto l’articolo. Sono due figure completamente diverse: quella del referendum abrogativo e quella del referendum preventivo. La votazione precedente, che ora si ricorda, della soppressione integrale votata per la questione dei conflitti fra le Camere sopra un disegno di legge, era possibile, perché quell’articolo non conteneva due disposizioni, per così dire due articoli, di cui uno può sussistere indipendentemente dall’altro; come invece avviene nell’attuale articolo. Credo che non contrasterebbe con la logica e con la prassi regolamentare votare per divisione l’articolo, giacché la divisione esiste già, nel contenuto dell’articolo stesso.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io credo che sia necessario votare per divisione, innanzitutto il primo comma e poi il secondo. Per esempio, io mi troverei in imbarazzo se così non si facesse. L’onorevole Fuschini ha ben chiarito il suo pensiero ed io lo condivido perfettamente. Se si votasse l’intero articolo, io, preoccupato che questo concetto contrario alla prima parte non prevalesse, voterei per la soppressione generale e credo che parecchi altri farebbero come me. Se invece si vota per divisione, la cosa sarebbe diversa e tutti potremmo votare tranquillamente.

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Sul sistema da seguire mi pare che si debba mettere in votazione inizialmente l’emendamento Targetti, soppressivo dell’intiero articolo 72. In secondo tempo, e qualora l’emendamento Targetti non sia accolto, si passerà a votare per la soppressione del primo comma.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Io sarei d’accordo con il Presidente nella sua valutazione procedurale. Mi pare che effettivamente sia lo stesso caso di ieri. Si presenta il quesito generale se vi debba essere o meno referendum nella nostra Costituzione e poi, nel caso che questa richiesta riceva una risposta affermativa, si procede a determinare le forme e i casi. Però sono perplesso in conseguenza delle dichiarazioni dell’onorevole Lussu. Anche noi, come l’onorevole Lussu, voteremo contro la prima parte dell’articolo, intendendo conservare soltanto la forma del referendum abrogativo. Ma, avendo questa intenzione, voteremo pure contro la soppressione proposta dall’onorevole Targetti, riservandoci di dare un determinato contenuto al referendum. Se così si comportassero anche l’onorevole Lussu e coloro che la pensano come lui, potremmo senz’altro accettare la proposta del Presidente. In mancanza dovremmo chiedere la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Poiché vi è la richiesta di votare l’articolo 72 per divisione, porremo in votazione anzitutto la proposta di soppressione del primo comma; se non sarà accolta, esamineremo gli emendamenti al primo comma; se sarà accolta, ne verrà per conseguenza la decadenza di tutti gli emendamenti al primo comma e passeremo alla votazione della proposta di soppressione del secondo comma. Se essa sarà approvata, verrà di conseguenza considerato soppresso anche il terzo comma; se sarà respinta, passeremo all’esame degli emendamenti proposti al secondo e al terzo comma.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. L’onorevole Ruini ha detto che la seconda Sottocommissione approvò all’unanimità l’articolo 72. In verità io non lo ricordo. Per parte mia, mi pronunciai contro il referendum preventivo, senza con questo intendere di negare il principio del referendum. A me e ad altri parve di intravvedere nella soluzione che fu poi approvata a maggioranza una possibilità di ostruzionismo alla attività legislativa. Mi pronunciai invece a favore, e con un particolare entusiasmo, del referendum locale, nell’ambito del Comune o della Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Faccio osservare che io avevo dichiarato che nella Commissione c’era stata unanimità per il concetto del referendum, salvo le divergenze sui limiti di applicazione. Ciò non si può negare.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. Pongo ai voti la proposta di soppressione del primo comma dell’articolo 72, contenuta negli emendamenti degli onorevoli Bozzi, Cifaldi, Nitti, Persico, Nobile, e anche, in via subordinata, dell’onorevole Codacci Pisanelli.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma, del quale l’onorevole Targetti propone la soppressione. Su questo emendamento soppressivo gli onorevoli Moro, Uberti, Valenti, Franceschini, Recca, Guerrieri Emanuele, Giordani, Pecorari, Burato, Guarienti, Cappi, La Pira, Mannironi, Bosco Lucarelli, Firrao e Tozzi Condivi hanno chiesto la votazione per appello nominale. Domando se questa richiesta è mantenuta.

UBERTI. La manteniamo.

PRETI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRETI. Il nostro Gruppo voterà contro la soppressione del secondo comma, perché il referendum abrogativo è una garanzia democratica, particolarmente per le minoranze.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di soppressione del secondo comma dell’articolo 72.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Mazzoni.

Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei.

Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bernamonti – Bibolotti – Bitossi – Bordon – Bosi – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Carpano Maglioli – Cavallotti – Colitto – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cortese – Costa – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – De Michelis Paolo – Di Gloria – D’Onofrio.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grieco – Gullo Fausto.

Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Rocca – Lizzadri – Lombardi Carlo – Lombardo Ivan Matteo – Lucifero – Luisetti.

Magnani – Maltagliati – Mariani Francesco – Mattei Teresa – Merlin Angelina – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Morelli Renato – Moscatelli – Musolino.

Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Pastore Raffaele – Penna Ottavia – Pesenti – Pistoia – Platone – Pressinotti – Pucci.

Reale Eugenio – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Scoccimarro – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello.

Venditti – Vernocchi – Vigna – Vischioni.

Rispondono no:

Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Binni – Bocconi – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Burato.

Cairo – Calosso – Camangi – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caronia – Carratelli – Castelli Edgardo – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corsi – Cosattini – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Mercurio – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò.

Einaudi.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Filippini – Firrao – Foa – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Gasparotto – Geuna – Ghidini – Giacchero – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo.

Jervolino.

Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier – Lombardi Riccardo – Longhena – Lussu.

Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marinaro – Martinelli – Mastrojanni – Mattarella – Matteotti Matteo – Meda Luigi – Micheli – Molè – Monticelli – Montini – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nasi – Notarianni – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perlingieri – Persico – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Ponti – Preti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Rapelli – Recca – Restagno – Rivera – Rodi – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Ruini – Rumor.

Saggin – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Simonini – Spallicci – Stella.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tozzi Condivi – Treves – Trimarchi – Tupini.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Villani.

Zaccagnini – Zagara – Zerbi – Zuccarini.

Sono in congedo:

Adonnino – Alberti.

Bonino.

Carmagnola – Caso.

Dozza – Dugoni.

Jacini.

Martino Gaetano – Mastino Gesumino.

Pera – Perrone Capano – Porzio.

Romita.

Sapienza – Sardiello.

Turco.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     316

Maggioranza           159

Hanno risposto sì     107

Hanno risposto no    209

(L’Assemblea non approva).

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.35.