Come nasce la Costituzione

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POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXX.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ IO LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente

Zuccarini

Carbonari

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Colitto

Perassi

Dugoni

Nitti

Pallastrelli

Corbino

Gullo Fausto

Piemonte

Aldisio

Sereni

Rivera

Moro

Votazione nominale:

Presidente

Risultato della votazione nominale:

Presidente

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di urgenza (Annunzio):

Presidente

Gonella, Ministro della pubblica istruzione

Calamandrei

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente

La seduta comincia alle 17.

ROSSI MARIA MADDALENA, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Come gli onorevoli colleghi ricordano, la discussione sul diciottesimo alinea dell’articolo 109, «Agricoltura e foreste», è stata ieri sospesa e rinviata ad oggi, per poter trattare l’importante materia con maggior ponderazione.

Sull’alinea sono stati presentati vari emendamenti, tra cui uno nuovo, in questo momento, con le dieci firme prescritte dal Regolamento.

Comunque, per restare agli emendamenti già presentati, e che sono quindi noti a tutti i membri dell’Assemblea, ricordo che vi è quello dell’onorevole Nobile, soppressivo dell’intero alinea.

Vi è poi un emendamento degli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi ed Azzi, in cui si propone di aggiungere le voci «artigianato, industria e commercio» dopo le parole «Agricoltura e foreste».

L’onorevole Caronia, unitamente agli onorevoli Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano, De Maria, Borsellino e Codacci Pisanelli, propone di aggiungere: «industria e commercio», mentre l’onorevole Colitto propone di aggiungere: «assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

L’onorevole Zuccarini, oltre a sottoscrivere l’emendamento Perassi sopra accennato, ha presentato un proprio emendamento, tendente a sostituire la dizione dell’alinea con la seguente: «agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari» ed inoltre propone un emendamento tendente ad aggiungere le parole: «industria e commercio, Camere di commercio». Prego pertanto l’onorevole Zuccarini di voler unificare i suoi emendamenti in modo da poterli porre in votazione come un unico alinea.

ZUCCARINI. Oltre ad aver firmato l’emendamento dell’onorevole Perassi, ho presentato due altri emendamenti. Per quanto riguarda il primo, nel quale si suggerisce la dizione: «agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari», dichiaro che sono disposto a ritirarlo, qualora il Presidente della Commissione voglia darmi qualche chiarimento sulla interpretazione che s’intende dare alle parole generiche «agricoltura e foreste», e dirmi se quelle forme di attività da me aggiunte a titolo di esemplificazione potranno risultare comprese nel testo della Commissione.

Mantengo, comunque, l’emendamento aggiuntivo: «industria e commercio, Camere di commercio».

PRESIDENTE. Sta bene.

Comunico altresì all’Assemblea che è stato presentato poco fa un altro emendamento a firma degli onorevoli Pallastrelli, Carbonari ed altri, così formulato:

«Dopo agricoltura e foreste, aggiungere: irrigazioni e miglioramenti agrari».

L’onorevole Carbonari ha facoltà di illustrare questo emendamento,

CARBONARI. Se nella dizione «agricoltura e foreste» è compreso anche il concetto della irrigazione e dei miglioramenti agrari ritiro il mio emendamento; altrimenti lo mantengo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. In questa materia non vi è stato un consenso completo in seno al Comitato. Una parte dei membri del Comitato ha manifestato dubbi che sia da trasferire alla Regione la potestà legislativa, anche secondaria e nei limiti dei principî delle leggi dello Stato, in materie, come ad esempio quella delle foreste, che interessano molto spesso più Regioni. È prevalsa la corrente che ammette la potestà legislativa per l’agricoltura e per le foreste, restando ben fermo ed inteso – è esplicita dichiarazione anche di tale corrente – che le leggi dello Stato dovranno fissare i principî ed i limiti, entro cui la Regione potrà dettar norme in materie, come questa, che hanno così spiccato profilo di interesse comune e nazionale, e non possono essere lasciate a punti di vista esclusivamente particolaristi. Se il potere legislativo, per così dire primario, dello Stato è per definizione elastico e può avere maggiore intensità e lasciare meno spazio alla legislazione secondaria della Regione in alcune materie, vi è, fra queste ultime, certamente l’agricoltura e le foreste.

Una volta poi che anche tal voce è entrata nell’elenco, non vi è dubbio e resta inteso che, sia pure con possibili graduazioni di interventi legislativi dello Stato, a seconda delle varie forme di esplicazione dell’attività relativa all’agricoltura rientra nella dizione generale.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Ruini sulla interpretazione da dare alla dizione «agricoltura e foreste» ritiro il mio primo emendamento, mentre mantengo quello aggiuntivo: «industria e commercio, Camere di commercio».

CARBONARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARBONARI. Dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione, ritiro anch’io il mio emendamento.

PRESIDENTE. Sempre su questo diciottesimo alinea vi è la seguente altra proposta di emendamento, presentata dai colleghi Giua, Jacometti, Amadei, Malagugini e Bernini:

«Sostituire: Agricoltura e foreste e: Altre materie indicate da leggi speciali, col seguente comma:

«La Regione ha pure facoltà di emanare norme integrative delle leggi della Repubblica, per la loro attuazione in conformità delle condizioni locali, in materia di agricoltura e foreste e per le altre materie per le quali le relative leggi speciali lo prevedano».

L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione al riguardo.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che il metodo logico di lavori sia questo: chi ha proposto questo emendamento voterà contro la formulazione: «agricoltura e foreste», in quanto essa fa parte dell’elencazione contenuta nel primo comma, e proporrà poi – nel caso che non passi la formulazione del Comitato – la nuova dizione che riguarda anche altre materie e sostituisce tutto l’ultimo comma.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Desidererei chiarire che, col mio emendamento, non ho creduto di apportare modifiche all’alinea in discussione, ma ho proposto che si aggiunga all’alinea 18 un alinea 19.

PERASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Anch’io ho inteso che il mio emendamento figuri come un alinea a sé.

PRESIDENTE. Allora, poiché all’alinea diciottesimo non vi è più nessun emendamento, si può passare senz’altro alla votazione sulla formulazione presentata dalla Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi pare che si dovrebbe portare in votazione prima la formulazione degli onorevoli Giua, Jacometti ed altri.

PRESIDENTE. In proposito l’onorevole Ruini ha già espresso il parere.

DUGONI. Sì, ma io dissento do questo parere ed avevo motivo di ritenere che anche Ella, onorevole Presidente, dissentisse.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, avrebbe dovuto, invece, prevedere che io non avrei potuto dissentire dal Presidente della Commissione per la Costituzione, in quanto la proposta di emendamento dell’onorevole Giua muta profondamente la questione. La muta proprio con le parole «norme integrative»; ed io ho ritenuto che tutto il valore della proposta stesse appunto in questa indicazione.

Ora, siccome i 17 punti precedenti sono stati votati in base ad una disposizione che non parla di norme integrative, è evidente che non si possono mettere sullo stesso piano materie in cui si parla di norme legislative e materie per le quali si propone invece la dizione: «norme integrative».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione peri la Costituzione. Vorrei aggiungere a quello che così bene ha detto il Presidente all’onorevole Dugoni che, in realtà, la nuova formula viene ad alterare, ed anche in senso non favorevole alle sue idee, quello che è stato il sistema stabilito fino ad ora negli articoli 109, 110, 111. Che cosa si è fatto in questi articoli? Si sono unificati i tre tipi di legislazione che erano nel testo primitivo della Commissione dei 75. Ora, se creiamo un nuovo tipo – la legislazione integrativa – alteriamo l’unificazione, complichiamo di nuovo tutto il quadro, e rendiamo possibile che, per riflesso, la formula unitaria che abbiamo già approvata, e che resta, possa avere interpretazioni, sia pure non esatte, che le diano una portata maggiore, al di là dell’integrazione che superi i limiti dei principî che abbiamo inteso attribuirle.

Ne parleremo ancora, se credete. Comunque, non si può votare subito.

DUGONI. Se il Presidente è di avviso diverso dal mio…

PRESIDENTE. Non si tratta di questo, onorevole Dugoni; si tratta del fatto che, per giungere all’emendamento a firma Giua od altri, occorre che precedentemente l’Assemblea abbia respinto la proposta della Commissione di inserire l’agricoltura e le foreste sullo stesso piano delle altre materie su cui la Regione ha il potere di emanare norme legislative. Una volta poi che l’Assemblea abbia eventualmente escluso questa potestà, soltanto allora sarà possibile proporre che alla Regione sia conferita una potestà di altro genere al riguardo, quale quella di emanare norme integrative.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Io dichiaro di non comprendere questa attribuzione alle Regioni dell’agricoltura e delle foreste. Io ho avuto l’onore di essere per lungo tempo a capo di questi servizi che ho contribuito a trasformare, chiamandovi a capo uomini di prim’ordine, e fra essi Antonio Sansone che fu uno dei grandi trasformatori dell’agricoltura italiana, e che, con il Bizzozzero, contribuì a renderla più moderna ed attiva in alcune zone che sono ora, dal punto di vista agrario, fra le più progredite d’Italia.

L’agricoltura e le foreste sono poi due cose diversissime e sono servizi di carattere nazionale. Quando infatti si dice «agricoltura», non si intende soltanto di significare la piccola agricoltura locale, ma si intende comprendere tutta l’agricoltura nazionale con tutti i problemi che la riguardano. Anche nei grandi Paesi, e perfino nei grandissimi Paesi agricoli come gli Stati Uniti d’America, l’agricoltura è soprattutto un grande servizio nazionale perché è un campo di sperimentazione e di ricerche che non sono da confondere con i piccoli interessi locali. Quando si dice agricoltura, si intende alludere a tutti i laboratori, a tutte le ricerche, a tutte le trasformazioni, a tutto un particolare indirizzo di studi e di attività.

Ora, che cosa potrà fare, sotto questo aspetto, la Regione? Quali potranno essere le sue capacità? Quali gli uomini di cui potrà disporre? Essa si andrà occupando di piccole questioni locali prive di vero interesse o d’interesse limitato.

Per quello che riguarda poi le foreste, è da osservare che l’Italia ha un piccolissimo numero di foreste; l’Italia è anzi il Paese di Europa che ha meno foreste, anche relativamente al suo territorio. Tutto il servizio delle foreste è, e deve essere, nazionale, anche per il suo personale. Anche adempiendo ai compiti locali e avendo destinazione secondo le loro origini e le loro attitudini, il personale, sopra tutto per i rimboschimenti, deve esser tale da dare affidamento.

La direzione dei servizi forestali esige una specializzazione, una disciplina, un indirizzo. Le foreste, nei paesi moderni, sono considerate non come eredità del passato, spesso non fruttifere o poco fruttifere, ma come una impresa industriale che deve produrre reddito.

Una foresta che sia sempre passiva è sempre minacciata nella sua esistenza. In Germania, come in Svizzera, dove l’economia forestale è molto progredita, principale preoccupazione non è solo la conservazione delle foreste e il loro sviluppo, ma la loro industrializzazione.

Questo significa che le foreste richiedono oltre un personale specializzato, un personale di esecuzione. Essendo per parecchi anni a capo del servizio delle foreste, io cercai di riordinare tutti i servizi. Feci e cominciai ad applicare vasti piani di rimboschimento e creai pure l’insegnamento forestale, anche a scopo di ricerca, con l’istituto superiore forestale.

Utilizzando il personale delle varie zone quanto più è possibile secondo le sue conoscenze locali, io cercai sempre che la direzione fosse lasciata a uomini competenti non legati a interessi locali.

Devo constatare che quando volevo fare piantar foreste, quando volevo impedire la distruzione di foreste esistenti, è solo localmente che trovavo tutta la resistenza. Se non si ha un corpo forestale, con disciplina nazionale, non si arriva a difendere le foreste né a svilupparle.

Io posso assicurarvi che tutti i tentativi che feci trovarono sempre la più grande resistenza proprio negli interessi locali. Io non mi spiego come si possa mettere sotto una unica disciplina l’agricoltura e le foreste, che sono due cose diversissime. Pretendere poi che si improvvisino tecnici locali è assurdo; vi sono servizi che devono avere in gran parte, soprattutto l’agricoltura, ma anche le foreste, carattere scientifico, con i campi di sperimentazione, ecc. Tutto questo non può essere un servizio locale. Pensate che anche negli Stati Uniti d’America (cioè in un Paese più grande di tutta l’Europa, al di fuori della Russia) i grandi servizi sono centralizzati non solo negli Stati, ma anche nei campi di sperimentazione creati dal Governo centrale. Ora, come volete tutti questi servizi, così diversi e così complessi, di natura scientifica, come volete trasportarli alle Regioni, cioè a enti locali che non hanno visione di quella che è la produzione? L’agricoltura ha oramai trasformato tutte le forme di produzione. L’agricoltura e il bestiame (io ne ho fatto una ragione di studio anche recente) sono oramai sulla via di una completa modernizzazione per effetto di nuovi metodi scientifici e non fanno che seguire le scoperte scientifiche. Ora, come volete che tutto ciò diventi materia locale? Quali sono le competenze? Vi possono essere per eccezione, e solo in qualche Regione, alcuni uomini preparati da utilizzare in alcuni servizi. Si tratta sempre di casi isolati.

Ma parlare di servizi scientifici, di ricerche, di sperimentazioni agrarie, zootecniche, forestali, da confidare alle Regioni è semplicemente puerile.

Tutto ciò che non è semplice esecuzione in queste materie, tutto ciò che riguarda ricerche e coordinamento di ricerche non può essere competenza della Regione.

Io debbo fare tutte le mie riserve, ed essere diffidente. La semplice definizione «agricoltura e foreste» in unico servizio mi dà una grande tristezza. Vedo che si confondono due cose diverse e che nessuna delle due può essere affidata completamente alla Regione.

Ed è perciò che dichiaro di votare contro.

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Prevedevo che l’onorevole Nitti, con la speciale sua competenza, avrebbe fatto un quadro, che sotto un certo aspetto risponde alla realtà; un quadro, dico, magistrale relativamente ai problemi dell’agricoltura, ma soprattutto contrastante con ciò che stiamo discutendo per la Regione.

Mi permetta l’onorevole Nitti che io, sotto questo aspetto, dissenta da lui. Sono d’accordo che per tutto quello che riguarda i problemi generali e fondamentali dell’agricoltura e delle foreste, debba essere unica la fonte legislativa, unica la direzione, affidata al Ministero dell’agricoltura. Vorrei anzi aggiungere, incidentalmente, a proposito di quanto ha detto l’onorevole Nitti, parlando di sperimentazione agraria, che anche le scuole di agricoltura, come erano ai tempi in cui l’onorevole Nitti fu Ministro dell’agricoltura – magnifico Ministro, ricordato ancora da tutti per l’impronta ch’egli ha lasciato in quel Dicastero – fossero non più alle dipendenze del Ministero della pubblica istruzione, ma del Ministero dell’agricoltura.

Con questo non intendo dire che il Ministero della pubblica istruzione abbia demeritato; tutt’altro; ma esso ha mezzi abbondanti, e, posto il confronto fra ciò che occorre per la sperimentazione agraria e ciò che invece occorre per tutti gli altri istituti di istruzione classica o anche professionale, c’è sempre un contrasto e questo fa sì che si tenda sempre a provvedere insufficientemente a quanto occorre per la sperimentazione agraria, perché a certi profani di detto dicastero sembra anche che questa sia eccessiva, così come la si vorrebbe da chi ne conosce la importanza.

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, il problema non è se debba essere il Ministero della pubblica istruzione o quello dell’agricoltura ad aver affidati questi compiti.

PALLASTRELLI. Scusi, onorevole Presidente, è una piccola ma non inutile digressione.

PRESIDENTE. Rientri in argomento, la prego.

PALLASTRELLI. Ritorno subito all’argomento. D’accordo, quindi, che in linea generale debba essere il Ministero dell’agricoltura l’organo propulsore di tutto quello che riguarda i problemi dell’agricoltura e i problemi delle foreste. Ma non dimenticate, onorevoli colleghi, che l’Italia si può dire che sia, da Provincia a Provincia e non solo da Regione a Regione, diversa: ciò che può essere necessario nella zona delle bonifiche del Veneto è inutile nella Puglia dell’amico onorevole Raffaele Pastore, ciò che può essere necessario per la Valle del Po è inutile per la Sicilia e viceversa.

Noi dobbiamo – anche tenendo presente che dovremo poi occuparci della riforma agraria – cercare che questa riforma agraria possa adattarsi luogo per luogo, perché – ripeto – come le piante hanno bisogno di un clima, così anche la riforma agraria ha bisogno di trovare il clima adatto per sé.

Inoltre importa (e credo che qui, oggi, dovrebbero essere tutti d’accordo, regionalisti e antiregionalisti) che in agricoltura si facciano delle decentrazioni: si devono decentrare soprattutto certi organi che attualmente sono divenuti degli organi burocratici del Ministero dell’agricoltura, che non rispondono più alle esigenze e non possono più risolvere i compiti che dovrebbero essere loro affidati.

Onorevole Nitti, lei mi ricorda spesso le Cattedre ambulanti di agricoltura; le Cattedre ambulanti lei mi insegna che non erano organi del Ministero. C’entrava sì il Ministero dell’agricoltura perché vi era un consorzio fra Stato, provincia e enti sovvenzionatori, e il Ministero aveva quale suo rappresentante il presidente del consiglio di amministrazione, ma si trattava di un organismo snello, affatto burocratico; il direttore della Cattedra ambulante (chi vi parla lo è stato) era l’amico dei contadini, il loro confidente, era colui che sapeva creare la forza dinamica per aumentare la produzione della terra a vantaggio degli agricoltori, dei lavoratori e dello Stato. Ma non intendo indugiarmi su questo: le Cattedre ambulanti vanno ricordate, in quest’Assemblea, come le vere benemerite del progresso agricolo nazionale. Col decentramento di questi organismi i loro dirigenti non correranno più il rischio, dannoso per loro e per l’agricoltura, di vedersi trasferiti dal Piemonte alla Calabria per motivi politici.

Bisogna decentrare, insisto, e là dove si dice nell’articolo in discussione «agricoltura e foreste» vorrei si aggiungesse una frase che implicasse tale accordo col Ministero dell’agricoltura; ritorneranno così quasi completamente gli organi regionali e provinciali autonomi.

PRESIDENTE. Onorevole Pallastrelli, badi che non siamo in sede di discussione.

PALLASTRELLI. Ho finito. Scusi Presidente, l’argomento è molto grave; spero ne consentirà. Non si raggiungeranno mai risultati concreti, se non si decentrerà e se per tutti i problemi che riguardano l’agricoltura e le foreste (non parlo di quelle questioni generali trattate dall’onorevole Nitti), non sapremo adattare le disposizioni particolari e gli organi necessari, e ridurre questi ad essere, come una volta, organi propulsori del progresso agricolo, se anche nel campo forestale non sapremo soprattutto smilitarizzare, perché purtroppo ancora la direzione delle foreste è una caserma (Applausi), come l’aveva voluta un generale fascista; e pure per fortuna il fascismo è morto. Lo credereste? Si parla ancora di comandi forestali, di colonnelli forestali, di maggiori forestali, di capitani forestali e pare quasi si abbia vergogna di dire dottori in scienze agrarie specializzati in materia forestale. Bisogna distruggere questi residuati, occorre decentrare, e bisogna rendere gli organi forestali adattati alle Regioni e alle provincie.

Non voglio tediarvi di più. L’argomento che mi appassiona, che è la vita della mia vita e per cui ho combattuto per 40 anni, mi porterebbe troppo oltre. Dico soltanto che, se volete salvare l’agricoltura e le foreste, ricordatevi soprattutto di mantenere, sì, l’unità di indirizzo, come ha detto l’onorevole Nitti, nelle mani del Ministero dell’agricoltura, ma di decentrare più che sia possibile anche nei riguardi della riforma agraria, e nei riguardi soprattutto dei lavoratori che soffrono e attendono queste riforme, e per vedere, Regione per Regione, fiorire un’agricoltura adeguata ai nuovi tempi per il bene del nostro Paese. (Applausi).

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Io credo che si possa facilmente raggiungere un accordo in questo senso. Noi finora abbiamo parlato di competenza della Regione a emanare norme nei limiti e secondo le direttive delle leggi della Repubblica su argomenti specifici. Introdurre un argomento così generico come l’agricoltura oppure, secondo l’emendamento Zuccarini, l’industria e commercio, mi pare significhi dire alla Regione: «Voi potete fare tutto». Ora io vorrei far rilevare all’Assemblea che immediatamente dopo viene un alinea che dice: «Altre materie indicate da leggi speciali». Ed allora non potremmo togliere tutte queste indicazioni generiche e lasciare al Parlamento futuro di definire volta per volta nelle leggi speciali quali saranno i poteri normativi della Regione? Ecco perché sono contrario alla introduzione della voce «agricoltura e foreste» nell’articolo in discussione, e sono contrario all’emendamento Zuccarini. E credo che anche l’emendamento Giua potrebbe essere assorbito dal significato che ha il penultimo alinea dell’articolo che stiamo discutendo.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Mi associo a quante ha detto ora l’onorevole Corbino circa la genericità della espressione «agricoltura e foreste». L’onorevole Nitti ha giustamente rilevato come per queste due materie sia necessario avere una disciplina esclusivamente nazionale. Io vorrò, riferendomi soprattutto al Mezzogiorno d’Italia, volgere l’attenzione alle nostre foreste ed affermare senz’altro quello che ogni meridionale sa, ossia che se qualche foresta ancora sopravvive alla rovina che si è abbattuta su di esse, questa foresta è demaniale, è dello Stato. Non ci sono foreste, che non siano dello Stato, le quali non siano abbattute o per una ragione o per un’altra.

Soltanto lo Stato è riuscito a conservarle. Chi va nella mia Sila, per esempio, ha la prova di ciò: le foreste che sopravvivono sono quelle dello Stato, mentre quelle degli enti locali sono totalmente sparite. Dare alla Regione potestà sulle foreste, significa senz’altro alimentare questa distruzione che ha già colpito gran parte delle foreste del Mezzogiorno d’Italia.

Il presidente della Commissione si rifà senz’altro, anche per questo argomento, alla premessa segnata nell’articolo 109, cioè: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti delle direttive o dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica».

Comincio col notare – e questa mia considerazione non si riferisce solo all’argomento in discussione in questo momento – che può essere prevalente nella formulazione di questa premessa la parte formale e non la sostanziale. Cosa vuol dire «nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica»? Potrebbe essere intesa questa proposizione nel suo aspetto puramente formale o per lo meno prevalentemente formale. Ma, a parte questo, c’è un secondo argomento, più importante: indubbiamente, con la proposta formulazione noi stabiliamo una facoltà esclusiva della Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, no.

GULLO FAUSTO. Una volta costituita la Regione, penso anch’io che non è possibile che essa si disinteressi dell’agricoltura e delle foreste.

Noi accogliamo in pieno le osservazioni fatte dall’onorevole Pallastrelli, il quale, evidentemente, mirava ad un decentramento amministrativo funzionale dei vari organi dell’agricoltura e delle foreste; il che non può avere noi contrari; siamo perfettamente d’accordo. Il decentramento amministrativo può riuscirà utile e può essere necessario.

La questione è altra. Non mi preoccupo di quello che la Regione può fare sia nel campo dell’agricoltura e delle foreste, sia negli altri campi, che abbiamo attribuiti alla Regione. Io mi preoccupo di ciò che la Regione può non fare, specialmente nel campo dell’agricoltura e delle foreste. Riconosciuta questa facoltà esclusiva alla Regione, noi possiamo trovarci di fronte alla inattività di una Regione, che può corrispondere alla superattività di altra Regione.

Non solo; ma possiamo andare senz’altro incontro a pericolose forme di autarchia; ed avrete questo di più pregiudizievole e dannoso: il sorgere, di fronte alla condannata, autarchia nazionale, di varie autarchie regionali. Comunque, affidare queste due attività, così vitali, alla Regione può dar luogo al gravissimo inconveniente di legislazioni diverse da Regione a Regione.

Ora, se noi votiamo che la Regione si occuperà anche dell’agricoltura e delle foreste, vogliamo avere fin da ora il quadro delle attività che saranno affidate alla Regione. Cosa vuol dire che la Regione si occuperà legislativamente dell’agricoltura e delle foreste? Potrà anche significare la possibilità di dare un indirizzo all’attività agricola, in una determinata Regione, in contrasto con l’indirizzo generale e nazionale o con l’indirizzo di altre Regioni. Noi non possiamo non prospettarci questo pericolo.

Noi voteremo contro, non perché pensiamo che la Regione non debba occuparsi di questi problemi; una volta creata, a torto o a ragione, la Regione, è intuitivo che essa non può prescindere da essi; ma in che misura se ne deve occupare?

Non solo, ma io sono preoccupato, ripeto, dal pericolo che la Regione non si occupi di questi problemi. (Rumori). E poiché si riconosce una facoltà esclusiva alla Regione stessa, noi potremo avere, in un campo così vitale per la Nazione, una inattività che riuscirebbe sommamente dannosa. (Commenti – Interruzione del deputato Conti).

L’amico onorevole Pallastrelli fermava la sua attenzione sull’aspetto tecnico dell’agricoltura e foreste; ma io penso che sia ancora più importante l’aspetto sociale di questa attività agraria-forestale. Ora, intendiamoci bene, nel Mezzogiorno di Italia è vano sperare dalla iniziativa locale quel rinnovamento dell’attività agraria e forestale sia dal punto di vista tecnico, ma più ancora dal punto di vista sociale, quel rinnovamento che noi possiamo avere soltanto da una legislazione di portata nazionale.

È per queste ragioni che noi votiamo contro.

PRESIDENTE. Il problema è troppo importante, perché io, attenendomi strettamente alla norma del Regolamento, non consenta di parlare a tutti coloro che chiedono la parola. Prego però tutti coloro che hanno chiesto la parola, e sono numerosissimi, di non dimenticare completamente a quale punto siamo attualmente della fase dei nostri lavori.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Onorevoli colleghi, l’onorevole Pallastrelli ha abbreviato di molto quello che io volevo dire e aderisco in pieno alle considerazioni da lui esposte. Ritengo che la formulazione della Commissione «agricoltura e foreste», debba essere mantenuta.

Le condizioni agricole in Italia sono molto diverse. Questa nostra Italia è lunga come la quaresima e presenta tante zone di produzione agraria così diverse, sì che io non vedo in modo chiaro come si possa fare una unica riforma agraria. Se si uscisse da un movimento rivoluzionario la cosa sarebbe facile procedendo alla collettivizzazione della terra; credo che gli stessi colleghi comunisti siano convinti che la riforma agraria non possa essere così profonda. La riforma agraria dovrà adattarsi alle situazioni locali.

Una norma unica non si potrà dare neanche pei contratti di lavoro come è possibile nell’industria. Io farò un solo esempio: la mezzadria è un contratto storico che andava bene in tempi determinati quando effettivamente ci trovavamo in queste condizioni: che l’imprenditore agrario, il proprietario si occupava dei suoi beni assiduamente, era di consiglio al mezzadro e il mezzadro a sua volta era ignorante, non conosceva il progresso agrario, molte volte era analfabeta.

È evidente che allora una simile collaborazione fra capitale e lavoro poteva determinare una forma di contratto di lavoro agrario che andava bene quale è la mezzadria, forma che per secoli è andata bene e che andrà bene in certe provincie e luoghi ancora in avvenire. Ma l’aspirazione generale dei contadini qual è? È di avere una maggiore responsabilità nella produzione agraria. Ora, in tante province, il mezzadro ha imparato, a scuola, a leggere e scrivere, si è innamorato, attraverso le cattedre ambulanti di agricoltura, del suo mestiere, legge il suo giornale tecnico e molte volte si è fatto una cultura, anche scientifica, sia pure primordiale, sufficiente perché egli si senta di affrontare più responsabilità e di curare il podere senza l’aiuto del padrone. Ecco quindi che in questo caso una riforma che agevolasse il mezzadro a diventare responsabile dell’intera azienda, a trasformare la mezzadria in affitto novennale, sarebbe utile. Ma ciò che per un luogo andrebbe bene, per un altro sarebbe un danno grave.

Ecco perché la riforma agraria, a mio avviso, è una questione di adattamento locale ad un progresso nuovo dell’agricoltura in cui il lavoro sia messo in una funzione superiore di quella che aveva prima.

Se la riforma agraria dovesse consistere semplicemente nell’occupazione delle terre e poi nella distribuzione di queste terre in piccoli pezzetti ove ognuno fa quello che vuole, con i limitati mezzi che il contadino possiede, evidentemente questa riforma agraria sarebbe destinata al fallimento. L’occupazione delle terre e la loro suddivisione fra i contadini può servire oggi in un momento in cui la necessità di produrre cereali è assoluta, ma non nascondiamoci la verità. La verità è che queste occupazioni di terre, fra uno, due, tre, cinque anni…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, guardi però che non è in discussione la riforma agraria.

PIEMONTE. Ho finito. In verità, se a fianco dell’occupazione di terre non sorgeranno piani organici di appoderamento, di irrigazione, di forniture di mezzi meccanici, di concimi, di caseggiati, ebbene l’occupazione delle terre non avrà una lunga vita perché, depauperata la poca fertilità naturale, accumulatasi nei terreni incolti, in breve, come pel passato, il latifondo si ricostituirà. E vengo al secondo punto. Io sono d’accordo con l’onorevole Nitti che il corpo forestale deve essere unico per tutta Italia, la direzione delle foreste deve essere unica, ma la Regione può presiedere a notevoli iniziative locali. Noi avevamo istituito in Alta Italia degli enti di economia montana, avevamo formato delle organizzazioni particolari le quali venivano incontro al montanaro, risolvevano ad un tempo il problema della sua vita e quello della conservazione e miglioramento del patrimonio boschivo. Ora tutta questa attività, questi istituti sono pressoché scomparsi, annullati o assorbiti dallo Stato per volontà del fascismo.

Ha ragione l’onorevole Pallastrelli. Il corpo forestale è diventato una caserma, ma a gerarchia rovesciata.

Io conosco un ispettore provinciale che è capitano ed ha sotto di sé tre maggiori. Questi maggiori non saranno molto contenti della loro situazione. È tempo che tutta questa gente…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, venga alla questione in discussione.

PIEMONTE. In aeronautica il valore degli uomini che sono addetti al volo si conta dalle ore di volo da essi fatte e nel Corpo forestale dovrebbero contare, oltre che gli studi tecnici, i giorni passati nei boschi…

PRESIDENTE. Onorevole Piemonte, la prego di concludere.

PIEMONTE. Concludo: io credo che le Regioni potranno attuare i principî di una seria riforma agraria e che si servono le foreste molto meglio dandole alle Regioni che non allo Stato, il quale dal 1866 al 1900 non ha impedito che quasi tutto l’Appennino venisse spolpato, denudato e immiserito! (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Aldisio. Ne ha facoltà.

ALDISIO. A nome del Gruppo parlamentare democristiano, dichiaro che se viene negata l’attività legislativa nella materia agricola alla Regione, noi avremo svuotato l’istituto dell’autonomia. L’autonomia della Regione è stata sempre pensata in funzione della risoluzione in loco dei problemi agricoli. Negate questa attività alla Regione e l’autonomia non avrà alcun contenuto. L’agricoltura italiana per i vari aspetti del nostro territorio è molto difforme, è necessario perciò che i problemi ad essa connessi e che nel passato non è stato possibile risolvere, siano risolti dagli uomini delle Regioni…

GULLO FAUSTO. Dai baroni siciliani! (Rumori a sinistra e al centro).

ALDISIO. Cosa c’entrano i baroni colle riforme effettive a basi popolari che noi postuliamo?

Onorevole Gullo, io debbo una risposta a lei su questo punto. Guardi il suo decreto sulla ripartizione dei prodotti agricoli che era necessariamente un progetto vago, impreciso, una specie di rebus; in Sicilia, se non si fosse emesso un decreto normativo dell’Alto Commissario, onorevole Gullo, il suo non sarebbe stato mai e poi mai attuato. (Rumori a sinistra). Il che vuol dire…

LI CAUSI. Non viene applicato lo stesso!

ALDISIO. No, onorevole Li Causi, è stato applicato! (Interruzione del deputato Gullo Fausto). Mi dispiace di non aver sentito l’onorevole Gullo e di non potere quindi rispondere a questa sua seconda interruzione.

Debbo insistere su questo punto che è fondamentale. Data la varietà e data la difformità della situazione agricola che, come ha detto poco fa l’onorevole Pallastrelli, varia da Provincia a Provincia, non tanto da Regione a Regione, le norme e la soluzione non possono essere che locali. È inutile illudersi, onorevoli colleghi: se vogliamo davvero ben vestire un individuo, il sarto deve fare il vestito direttamente sulla persona; se si ricorre a vestiti di serie essi vestono sempre goffamente. (Approvazioni al centro). È avvenuto per la legislazione agraria in Italia che dal 1860 in poi i legislatori nel formulare ogni disposizione di legge hanno tenuto presente costantemente una sola Regione, tradizionalmente fissa nel loro pensiero: la Pianura Padana, e non si è più usciti da questi schemi, sicché le Provincie meridionali spesse volte anzi sempre non hanno potuto usufruire delle provvidenze legislative perché in questo quadro esse non riuscivano ad utilizzare le disposizioni di legge.

Occorre che la legislazione sia locale e questa esigenza noi abbiamo avvertita fin dal 1919-1920, quando, per la risoluzione del complesso problema del latifondo siciliano, domandammo una legge prettamente regionale. Purtroppo allora non si volle addivenire a ciò e qua fu discusso faticosamente un progetto di legge che a forza di transazioni, di concessioni, di allargamenti fu radicalmente svisato e anche quando fosse stato approvato dal Senato – e non lo fu – ne sarebbe uscita una legge inefficace e nulla di effetti.

Perciò, noi siamo del parere che la Regione debba avere facoltà legislativa nella materia agricola, e deve avere questa facoltà, perché senza di ciò voi non risolverete nemmeno il problema sociale. Non lo risolverete, perché per 80 anni le forze agrarie si collusero qua dentro con altri interessi per eludere la soluzione del problema del Mezzogiorno d’Italia.

Onorevole Gullo, lei poco fa affermava che nel Mezzogiorno d’Italia non esistono che solo alcune foreste demaniali. Io le ricordo che ancora esistono non pochi boschi comunali tenacemente difesi dai cittadini del luogo. Nessuno impedirebbe tuttavia di creare boschi di demanio regionale. Comunque, per quella che è stata l’attività del Governo centrale in questa materia e per quanto poco potranno fare le Regioni, faranno sempre di più di quello che è stato fatto finora in questo settore nel Mezzogiorno d’Italia.

Ed è per lo meno azzardato affermare che le popolazioni del Mezzogiorno siano abuliche e mancanti d’iniziativa. Svincolatele da tutti i complessi legami del presente e del passato, fate in maniera che non debbano vanamente venire qui a postulare le più modeste risoluzioni, mettetele dinanzi alla responsabilità dell’avvenire e dello sviluppo della loro particolare economia, e vedrete che queste diffamate popolazioni sapranno rispondere alla nuova situazione ed alle nuove esigenze, potenziando la vita della Regione e tutta l’economia nazionale. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Sereni. Ne ha facoltà.

SERENI. Onorevoli colleghi, sono d’accordo con quanto or ora diceva il collega Aldisio: che se vi è, in effetti, una materia per la quale è giustificata l’esigenza regionalistica, questa materia è proprio quella, che è data dalle attività agricole.

La discussione intorno a questo punto è senza dubbio tra le più importanti, e penso che dobbiamo affrontarla senza pregiudiziali di carattere regionalistico o antiregionalistico ma con una visione chiara e precisa di quelle che sono le possibilità della Regione in questo campo, dato che la maggioranza dell’Assemblea ha accettato la struttura regionale dello Stato italiano.

L’onorevole Pallastrelli sottolineava poco fa – come altri hanno fatto – la estrema differenziazione dell’agricoltura italiana.

Non può meravigliarci il fatto che proprio nel campo della vita agricola la differenziazione sia spinta, e si facciano sentire con particolare vivacità le esigenze regionalistiche. Proprio nella differenziazione caratteristica dell’agricoltura, e nel particolarismo contadino, anzi, la esigenza regionalistica ha il suo fondamento storico e sociale.

Penso dunque che possiamo essere tutti d’accordo nel dire che qualsiasi provvedimento che riguardi la vita e l’evoluzione agricola della Nazione debba essere differenziato. Non credo vi sia ragione di elevare dei clamori da una parte o dall’altra, quando per esempio il collega Aldisio sottolinea la necessità che decreti, come quelli che ha elaborati l’onorevole Gullo, siano differenziati nella loro applicazione. È un terreno questo sul quale possiamo trovarci tutti d’accordo, senza clamori. Su questo non c’è discussione, giacché anche i più accesi antiregionalisti riconoscono questa necessità.

Si tratta, invece, qui di esaminare in concreto la formulazione che la Commissione ci ha data, e di confrontarla con alcuni emendamenti presentati all’Assemblea.

Cerchiamo di ricondurre la discussione su questo terreno e di vedere se la formulazione della Commissione risponde alle concrete esigenze che tutti sentiamo. La deficienza della formulazione data dalla Commissione va ricercata, a mio avviso, nel fatto che si parla in essa genericamente di agricoltura. Ora, «agricoltura», come «industria e commercio», sono termini estremamente vaghi.

Io penso che noi dobbiamo ricercare una formulazione più esatta, che dia la possibilità di realizzare un decentramento, ma che mantenga anche una linea unitaria nazionale. Bisogna sgombrare il terreno da certe preoccupazioni che si manifestano a volte sia a sinistra che a destra. Io non vedo nessun motivo di preoccupazione, ad esempio, nel fatto che la realizzazione della riforma agraria sia affidata alla Regione. Ciò significa soltanto, dal mio punto di vista, che la riforma agraria – potrà trovarsi realizzata in una data Regione in forme più avanzate, mentre in altre potrà dapprima trovarsi ad esser contenuta in limiti più ristretti. Se in Sicilia, ad esempio, in conseguenza di una determinata situazione politica, si dovesse effettuare una riforma agraria di carattere più limitato, non vedo proprio ragione di disperarsi. Vuol dire che dovremo lavorare a spiegare certe cose ai contadini siciliani. E se parleremo loro del latifondo, del feudo del barone X, il contadino siciliano lotterà per una profonda riforma agraria con molto maggior interessamento di quello ch’egli non possa avere per una discussione, necessariamente un po’ generica, che si svolga intorno al tema della riforma agraria sul piano nazionale.

Tengo a ripetere, dunque, che non ho nessuna pregiudiziale su questo terreno. Ma il problema è un altro. Mi pare che dobbiamo cercare, proprio mentre sottolineiamo questo valore della funzione regionale nel campo dell’agricoltura, di delimitare questa funzione con una terminologia meno generica. Mi preoccupa il problema delle scuole agrarie, dei consorzi agrari, una serie di altri problemi sui quali una eccessiva differenziazione sul terreno regionale può disorganizzare tutta la vita agricola della nazione.

Non dobbiamo dimenticare nessuno dei due termini di quella delicata dialettica che si svolge tra l’esigenza regionale e l’esigenza unitaria nazionale. Ci sono mille questioni, che riguardano l’esportazione dei prodotti agricoli, la tecnica agricola ecc. per cui sono necessarie organizzazioni, istituti, norme legislative di carattere Nazionale.

Per questa ragione, noi aderiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Giua ed altri, e potremmo anche accettare una formulazione più avanzata in senso regionalistico, purché essa delimiti più esattamente il terreno delle funzioni della Regione in questo campo. Proprio in questo settore, che è essenziale, perché in esso si può e deve promuovere un profondo rinnovamento della vita locale, non bisogna compromettere il successo della ricostruzione nazionale. (Approvazioni a sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rivera. Ne ha facoltà.

RIVERA. L’organizzazione regionale dell’agricoltura può costituire – per quanto possiamo prevedere in questo momento – un fattore favorevole per quel gravissimo problema italiano, che è il problema del basso rendimento agrario, cioè della miseria agricola di talune regioni? Questo è l’interrogativo che io vorrei proporre, sul quale non mi sembra che qui sia stato discusso di proposito e con precisione.

Fino a questo momento noi abbiamo portato avanti l’esperimento, che è durato parecchio, di «governamento» dell’agricoltura dal centro, il quale esperimento, oramai lo dobbiamo riconoscere, è completamente fallito qui in Italia.

Infatti, se un progresso agricolo si è determinato in Italia – particolarmente nell’Italia settentrionale e nell’Italia centrale – esso, per la verità, è stato indipendente dalle direttive emanate dai dirigenti centrali dell’agricoltura italiana dai quali, mi dispiace di dirlo, sono venuti più intralci al progresso agricolo italiano che non aiuti.

Non voglio qui portare gli argomenti di una critica acerba alle direttive centrali dell’agricoltura italiana, contro le quali nel campo tecnico mi sono espresso senza circonlocuzioni dal 1919 in poi. Vedi specialmente i miei libri II problema agronomico del Mezzogiorno d’Italia (1924), Battaglie per il grano (1925), Oro di Puglia (1928).

È una realtà quella che, mentre paesi tanto più arretrati di noi, quali, ad esempio, tra quelli africani, la Nigeria, il Sud Africa, il Kenia, il Tanganica, hanno risolto in questo cinquantennio i loro problemi fondamentali agricoli, in testa a tutti quello del basso rendimento delle loro terre – nell’Africa del Sud ad esempio è stata introdotta una specie (la Digitaria eriantha) particolarmente adatta al bestiame da latte – e ciò attraverso studi e ricerche sperimentali in Italia ci troviamo per il Mezzogiorno nella situazione di parecchi secoli addietro, tra le spire debilitanti della prevalente coltura granaria!

Questa ha anzi ritrovato qui una singolare valorizzazione politico-economica, durante il fascismo, quando è stata ideata ed indetta la «battaglia del grano». Questa battaglia, bandita dal centro, con criteri antieconomici ed antiagronomici, dimostra quanta sconoscenza si è avuta da quei Governi delle esigenze e capacità agricole del nostro paese.

Quali sono le capacità agricole del nostro Paese? Signori miei, guardate su una carta geografica l’Italia: essa sembra un molo proteso nel mare Mediterraneo prolungantesi per circa nove gradi di latitudine. Questa particolare situazione determina un mosaico di climi, un mosaico di situazioni ambientali, un mosaico di agricolture: sicché, a rigore, non si potrebbe parlare di una agricoltura italiana, ma bisognerebbe riferirsi alle agricolture italiane. È ben vero, onorevoli colleghi, che c’è il mare, lungo il quale una fascia di territorio litoraneo presenta alcune caratteristiche ambientali che in qualche parte si rassomigliano, come si nota, ad esempio, dalla Sicilia sino a Genova: ma dietro ed anche dentro questa fascia vi sono tanti problemi, e tra essi alcuni assolutamente dominanti e sino ad oggi insoluti.

GULLO FAUSTO. Ma per vedere, lei si deve mettere al di sopra delle Regioni, altrimenti non lo vedrebbe questo mosaico.

RIVERA. Ma, onorevole Gullo, il problema particolare si vede meglio da vicino che da lontano. È ben vero che, a loro volta, i problemi delle grandi regioni agricole si suddividono in problemi di piccole regioni, ma rassomiglianze e differenze giuocano nel problema agricolo una partita complessa, in mezzo alla quale si devono discernere le questioni fondamentali.

Io dico solo questo, che la nostra agricoltura è rimasta indietro perché è mancata una direttiva scientifica capace e perché la direttiva centrale, in certi momenti assillata dalla mania autarchica, ha sviato il problema agricolo italiano verso una strada senza uscita, verso quel vecchio male nostro che fu chiamato il «male necessario» esacerbato e giustificato dalla proclamazione di quella battaglia del grano, che ha spinto l’Italia – che è un Paese che coltiva grano in molti territori inadatti e per una superficie tra le più estese d’Europa – ha spinto ancor più l’Italia verso questa miseria agricola. È questo il cerchio che dobbiamo rompere…

RUSSO PEREZ. La battaglia del grano è stata nefasta?! Qui è permesso dire tutto…

RIVERA. È permesso dire ed è giusto dire che la battaglia del grano è stata l’iniziativa più nefasta che potesse escogitarsi per l’agricoltura italiana.

RUSSO PEREZ. Io faccio appello a quelli che mangiavano e ora non mangiano più! (Interruzioni – Commenti a sinistra).

RIVERA. La battaglia del grano non è capace di darci tutto il pane, se pur ciò fosse economicamente conveniente, in quanto il raccolto è meno dipendente dal nostro volere e più da fattori climatici; e volere il grano non vuol dire averlo.

Voglio dare un piccolo chiarimento su questo argomento. I nostri tecnici si sono affaticati a spiegare in continuazione in quest’ultimo cinquantennio, a quelli che coltivano la terra, che occorre intercalare, per esempio, tra il grano e il granturco una coltura leguminosa. Vale a dire che secondo la tecnica agricola più sicura, in Italia il progresso agricolo è identificato in moltissimi casi con la limitazione della superficie coltivata a grano. Questo è stato il passo attraverso il quale il problema agricolo italiano ha proceduto potentemente verso la sua felice soluzione e questa è stata la chiave attraverso la quale le aziende del Nord e del Centro d’Italia hanno potuto registrare, a cinquant’anni di distanza, un profitto doppio e triplo ed hanno potuto fugare l’antica miseria agricola che le angustiava.

La miseria agricola è rimasta invece nell’Italia meridionale, dove le vie del progresso non sono identiche, a causa dell’ambiente fisico così differente, a quelle che hanno così fortunosamente risollevato il Nord.

L’onorevole Nitti ricordava poc’anzi l’organizzazione tecnica del Nord America, che noi dovremmo imitare, ma egli non ha aggiunto che stazioni agrarie esistono in America in ogni Regione agricola ed operano per proprio conto, beninteso attraverso un coordinamento, che è tanto più necessario quando si studino problemi generali ed in collaborazione.

MANCINI. Sì, ma non parliamo della battaglia del grano,

RIVERA. Noi ne dobbiamo invece parlare, onorevole Mancini, perché si minaccia da qualche parte di ripetere l’errore di spingere i nostri agricoltori ancora più verso questo «male necessario»: e ciò non per un breve periodo di emergenza, per cui sarebbe accettabile, ma per la condotta normale dell’agricoltura. L’insistenza nella battaglia nel grano è una delle cause del perdurare che si lamenta del basso reddito dell’agricoltura del Sud. Noi dobbiamo parlarne perché, se noi riusciremo a far sì che si abbandonino tali errati preconcetti di sfibrarci dietro una coltura poco adatta per una larga parte del nostro territorio, più facilmente e più rapidamente troveremo la strada del progresso agricolo dell’Italia meridionale.

Io vorrei augurarmi che sia finalmente giunta l’epoca in cui tutto il mondo venga a comperare i prodotti tipici dell’agricoltura italiana e particolarmente di quella del Sud, in specie i nostri ortaggi, le nostre frutta, i nostri vini: sarebbe questa una grande nostra fortuna, giacché, come attraverso specialmente la coltivazione delle leguminose da foraggio e l’incremento del bestiame che ne è derivato è scomparsa la miseria nell’Italia Centrale e Settentrionale, attraverso le coltivazioni caratteristiche del clima mediterraneo, che qui in Italia trovano la loro sede prediletta, potremo far scomparire la miseria nelle terre dell’Italia meridionale.

Se pertanto il potere centrale ha dato questa prova di incapacità di non essere stato in grado di risolvere in più che cinquanta anni un problema tecnico come questo, non ci resta che fare l’altro esperimento, quello cioè di consegnare a questa gente appassionata che nel Sud cerca in ogni modo…

GULLO FAUSTO. Ma qual è questa gente appassionata? L’assenteismo è proprio del Sud.

RIVERA. Non è vero, onorevole Gullo, e mi permettano onorevoli colleghi di rispondere subito. Io la prego di andare nelle zone del Sud dove ella è nata, a visitare quelle terre che furono aride e dove un filo di acqua è riuscito a fecondare le colture e lei troverà i prodotti migliori del mondo. (Interruzione del deputato Gullo Fausto). Sa lei, onorevole Gullo, quali sono le terre che più altamente sono state valutate secondo i rigorosi e precisi nostri estimi catastali? I terreni seminatori di Bisceglie (Bari), valutati più dei terreni di prima classe irrigui della provincia di Cremona, perché vi si coltiva pomodoro che va all’estero. Sa lei quali sono le terre dove viene impiegata maggior mano d’opera? Sono, tra gli altri, i territori coltivati a vite esclusiva nell’Italia centrale e meridionale. E sa lei qual è l’acqua che si paga di più? È l’acqua che si impiega ad irrigare le terre di Puglia che costa circa 10 volte l’acqua di irrigazione del Piemonte o dell’Emilia. Non parliamo poi di quanto costi l’acqua irrigua in Calabria o in Sicilia o nella Campania. Lei non può dire, onorevole Gullo, che in queste zone ci sia dell’astensionismo, dell’assenteismo o della pigrizia: in queste zone invece il lavoro è fervido e moltiplicato più che altrove da parte del ceto operaio ed i possidenti azzardano spese d’impianto più importanti di qualunque altra parte d’Italia.

Nella sua stessa regione, onorevole Gullo, e nella regione finitima alla sua, in Calabria e in Sicilia, ella trova uno dei più luminosi esempi di questa abnegazione nei «botteschi» o «miniere d’acqua», dovunque ammirati come un miracolo dell’ingegneria e dell’agronomia. E questi botteschi portano alla luce acqua che è capace di trasformare nei più begli agrumeti del mondo i coni di deiezione delle fiumare o torrenti, mare desolato di brecciame della sua terra. Attraverso questi ardimenti di lavoro questi assenteisti, come lei li chiama, conquistano ricchezza per sé stessi e per tutti noi.

E così dovunque in Italia, e specialmente nel Mezzogiorno, non appena e là dove sia possibile modificare le condizioni dell’ambiente in favore dell’agricoltura, vedi cambiarsi l’assenteista in fervido interventista e l’inerte o poco solerte in operaio instancabile.

È per questo, onorevoli colleghi, che domandiamo agli antiregionalisti che pongano un poco di vino regionalistico nella loro acqua così come i difensori del regionalismo hanno un po’ annacquato il loro vino regionalistico. È il buon senso che finisce con il trionfare in un consesso dove, malgrado alcune apparenze e molte maldicenze, si discute bene.

Orbene, a voi, onorevoli colleghi in gran parte, come me, dubitosi e perplessi su questa incognita che è il regionalismo, io torno a dire che se esiste una ragione per poter stabilire un dominio direttivo della Regione sopra quelli che sono i problemi assillanti propri, se esiste un settore nel quale bisogna dire alla gente che lavora e si ingegna sul posto: «Dovete provvedere da voi stessi a risolvere i vostri problemi», io credo che questo settore sia il settore dell’agricoltura. Beninteso che il coordinamento degli sforzi di ogni Regione deve esser fatto dal Governo centrale e che perciò il Ministero dell’agricoltura non può essere ucciso.

Questa sarà, se la Regione sarà, una delle vittorie che il regionalismo potrà vantare sopra il modo di concepire univoco ed uniforme dei problemi agricoli della Nazione, sopra il comando unico in questo campo, che ha dato sino ad oggi cattiva prova. (Applausi).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, si dovrà ora passare alla votazione dell’alinea.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. In una telegrafica dichiarazione di voto desidero affermare che aderisco toto corde a quanto, con la loro indiscussa autorità, hanno detto gli onorevoli Nitti, Corbino e Gullo. Gli argomenti chiari e precisi, da essi esposti, sono rimasti fermi, se anche ex adverso si tentato di sminuirne l’importanza. Ogni tentativo in proposito non poteva, del resto, non riuscire vano, nessuno potendo disconoscere che, a parte ogni rilievo, la dizione della norma è così vaga, così generica, così lata, così indeterminata, da non poter non destare in chiunque grandi perplessità e vive fondate preoccupazioni.

Gli onorevoli colleghi che hanno parlato in favore della norma, si sono espressi con grande passione ed hanno detto cose anche giuste, ma, in sostanza, essi hanno dato la dimostrazione che anche in subjecta materia si sente il bisogno di un decentramento gerarchico; non hanno dato, invece, la dimostrazione della necessità di giungere ad un decentramento politico.

UBERTI. È stata data!

COLITTO. Ora con la norma in esame è un decentramento politico che si vuole attuare, e non un decentramento gerarchico.

Per queste ragioni dichiaro di votare contro.

PRESIDENTE. Vi è dunque da votare puramente e semplicemente la formulazione dell’alinea proposta dalla Commissione: «Agricoltura e foreste».

Avverto che per la votazione dell’alinea è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Moro, Piccioni, Fuschini, Mortati, Tozzi Condivi, De Palma, Murgia, Bastianetto, Ferrarese, Turco, Mastino Gesumino, Fabriani, Cappi, Lazzati, La Pira, Biagioni.

Avverto che vi è poi un’altra richiesta di votazione per appello nominale sulla soppressione dell’alinea. Poiché la decisione è unica, verrà naturalmente presa con un’unica votazione.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione nominale sul testo del diciottesimo alinea della Commissione: «Agricoltura e foreste». Chi approva questa formulazione risponderà , chi non approva, risponderà no.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dall’onorevole Fedeli Armando. Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Bastianetto – Bellato – Bellusci – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Borato.

Caiati – Calamandrei – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Canepa – Canevari – Caporali – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Angelo – Carboni Enrico – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Cartìa – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Cianca – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colonnetti – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferreri – Fietta – Finocchiaro Aprile – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Gallo – Germano – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – Lami Starnuti – La Pira – Lazzati – Lizier – Lombardi Riccardo – Longhena – Lussu.

Magrassi – Magrini – Marazza – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Micheli – Montemartini – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pallastrelli – Paolucci – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Pella – Perassi – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti – Proia.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Romano – Rumor.

Sampietro – Sartor – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Simonini – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vicentini – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bei Adele – Bencivenga – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bozzi – Bucci.

Cacciatore – Candela – Caprani – Carpano Maglioli – Cavallari – Cerreti – Cifaldi – Colitto – Colonna di Paliano – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cortese – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Di Vittorio – Dugoni.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Ferini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fiore – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Landi – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Maffioli – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marinaro – Massini – Massola – Mastrojanni – Mattei Teresa – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Paratore – Pastore Raffaele – Perugi – Pesenti – Pignatari – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci – Puoti.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Russo Perez.

Saccenti – Sansone – Scarpa – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni – Tumminelli.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Villabruna – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli – Musotto – Mannironi.

Pera.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Villani.

Tomba.

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale sull’alinea «agricoltura e foreste»:

Presenti e votanti          382

Maggioranza                192

Hanno risposto           203

Hanno risposto no         179

(L’Assemblea approva l’alinea).

Dopo l’esito di questa votazione, si può ritenere superato l’emendamento degli onorevoli Giua, Jacometti ed altri.

Si debbono ora esaminare le proposte di alinea aggiuntivi a quelli elencati dalla Commissione.

Vi è un emendamento dell’onorevole Perassi ed altri che propongono di aggiungere: «Artigianato, industria e commercio».

L’onorevole Zuccarini, da parte sua, propone di aggiungere un alinea così formulato: «Industria e commercio, Camere di commercio».

Vi è infine la proposta dell’onorevole Colitto così concepita:

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Gli onorevoli Caronia e Dominedò hanno presentato anche essi un emendamento tendente a sostituire il comma con il seguente: «Agricoltura e foreste, industria e commercio».

Questo emendamento rimane però assorbito negli emendamenti Perassi-Zuccarini, che possono costituire un alinea unico: «Artigianato, industria e commercio e Camere di commercio».

PERASSI. Chiedo la votazione per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene. Si voterà separatamente le varie voci dell’alinea: Artigianato, industria e commercio, Camere di commercio.

Prego l’onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare, a nome del Comitato, che, in tutti i lavori del Comitato stesso e della Commissione, la tesi di mettere fra le materie di competenza legislativa della Regione l’industria e commercio è sempre stata respinta a grande maggioranza. Io personalmente non posso che aderire a tale tesi. Se l’Assemblea ritiene di inserire la voce «Artigianato», il Comitato non si oppone.

VERONI. Che cosa significa artigianato?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Basta aprire un annuario tecnico, statistico, un’enciclopedia per fanciulli, perché l’artigianato vi abbia la sua configurazione, distinta da quella dell’industria e del commercio. Vi saranno zone di confine; ma, come lineamento e norma generale, non sono cose confondibili.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione prima la voce «Artigianato», votandosi per divisione l’alinea, secondo la richiesta dell’onorevole Perassi. La Commissione ha dichiarato di non opporsi all’inclusione di questa voce.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo in favore.

(La voce «Artigianato» è approvata).

PRESIDENTE. Pongo ora in votazione la voce «Industria». L’onorevole Ruini ha dichiarato che la Commissione, a maggioranza, è contraria all’inserimento di questa voce.

(Dopo votazione per alzata e seduta e per divisione, non è approvata – Applausi a sinistra).

Dovrò porre ora in votazione la terza voce dell’emendamento: «Commercio».

Avverto che su questa votazione è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Micheli, Cappi, Coccia, Belotti, Schiratti, Monticelli, Morelli Luigi, Piccioni, Fuschini, Vigo, Scotti Alessandro, Caroleo, Tessitori, Angelucci, Pastore Giulio e Tosi.

RESCIGNO. Vorrei far notare all’Assemblea che l’industria e il commercio sono due attività inscindibili. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, ella avrebbe dovuto fare questa osservazione nel momento in cui è stata chiesta la votazione per divisione.

Ormai la votazione è cominciata e così deve proseguire.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per appello nominale sulla voce «Commercio». Estraggo a sorte il nome del deputalo dal quale comincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

La chiama comincerà dall’onorevole Fresa.

Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale. Invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Rispondono sì:

Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelucci – Arcaini – Azzi.

Balduzzi – Bastianetto – Bellato – Belotti – Bernabei – Bertola – Bertone – Biagioni – Bianchini Laura – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.

Caiati – Camangi – Camposarcuno – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carìstia – Caroleo – Caronia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chiostergi – Ciccolungo – Cicerone – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Conci Elisabetta – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Vita – Di Fausto.

Fabriani – Facchinetti – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini.

Gabrieli – Galati – Germano – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Guariento – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – La Pira – Lazzati – Lizier – Lussu.

Maffioli – Magrassi – Marazza – Martinelli – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Mazzei – Medi Enrico – Mentasi – Merlin Umberto – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Pallastrelli – Paolucci – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Perassi – Perrone Capano – Petrilli – Piemonte – Ponti – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Rivera – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Rumor – Russo Perez.

Sampietro – Sartor – Scelba – Schiratti – Scotti Alessandro – Spallicci – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zappetti – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Rispondono no:

Abozzi – Allegato – Amadei – Amendola – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Ilio – Bassano – Basso – Bei Adele – Benedetti – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bonomelli – Bosi – Bozzi.

Cacciatore – Calamandrei – Candela – Canepa – Caporali – Caprani – Carboni Angelo – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallari – Chieffi – Cifaldi – Codignola – Colitto – Colonnetti – Condorelli – Cerbi – Corbino – Corsi – Cortese – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Giovanni – Di Gloria – Dugoni.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fiore – Fiorentino – Flecchia – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Ghidetti – Giacometti – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – Laudi – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marina Mario – Massini – Massola – Mattei Teresa – Merighi – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Montagnana Rita – Montemartini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Nenni – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Novella.

Paratore – Parri – Pesenti – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Pressinotti – Preziosi – Priolo – Proia.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Sansone – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segala – Sereni – Sicignano – Silipo – Simonini – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tonello – Tremelloni.

Vallone – Vernocchi – Veroni – Vigna – Villabruna – Vinciguerra.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli – Musotto – Mannironi.

Pera.

Raimondi – Ravagnan.

Saragat.

Villani.

Tomba.

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti          344

Maggioranza                173

Hanno risposto          169

Hanno risposto no         175

(L’Assemblea non approva l’inclusione della voce «Commercio»).

Rinvio il seguito della discussione alla seduta pomeridiana di domani.

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere i provvedimenti che si intendono adottare per l’approvazione ed il finanziamento del progetto di captazione delle sorgenti del Torano e del Biferno, che dovranno finalmente fornire di acqua potabile i comuni delle provincie di Caserta e di Campobasso e costituire altresì l’indispensabile acquedotto sussidiario per la città di Napoli.

«Si tratta di un’opera di grande importanza ed urgenza, soprattutto di carattere igienico e sanitario, che interessa circa due milioni di abitanti della Campania e che non può ulteriormente procrastinarsi».

«Numeroso, De Michele».

«Al Ministro della difesa, per conoscere quale fondamento abbiano le notizie secondo cui l’Accademia dell’aeronautica non sarebbe trasferita per il prossimo anno scolastico nella sua antica sede di Caserta e ciò in contrasto con le esplicite assicurazioni fatte anche recentemente dall’onorevole Ministro a una rappresentanza del personale.

«Il Comando della predetta Accademia, ora a Nisida, avrebbe fatto ritirare in questi giorni dalla sede di Caserta macchinari di officina e materiali vari per installarli a Nisida con spese e lavoro completamente inutili, tenuto conto del trasferimento a Caserta per il prossimo anno scolastico.

«Numeroso, De Michele, Caso».

«Al Ministro della marina mercantile, per conoscere il suo pensiero circa quanto è affiorato nel recente Convegno nazionale delle commissioni interne delle compagnie marittime di linea, raggruppate nella FINMARE, a proposito delle trattative inerenti a possibili cessioni da parte dell’I.R.I. all’armamento libero. Tale eventualità rappresenterebbe un grave attentato alla integrità di un organismo di preminente interesse nazionale, che risponde alle esigenze pratiche, morali e alla struttura economica del nostro Paese.

«Faralli».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni che, a quattro anni dalla battaglia del Volturno, fanno ritardare la ricostruzione dei ponti sul fiume omonimo, sacro alla Patria e utile all’economia nazionale al pari degli altri fiumi italiani; e per invitarlo, a nome delle popolazioni interessate, a quell’intervento decisivo che superi ogni intralcio burocratico e mostri effettivamente che la giustizia distributiva per il Mezzogiorno d’Italia non è puro artificio retorico.

«I ponti sul Volturno da costruire o ricostruire sono quattro: quello della Scafa di Vairano Patenora, il ponte Margherita presso Dragoni, il ponte di Annibale, il ponte alla Scafa di Caiazzo (provincia di Caserta); e tutti e quattro sono di tale riconosciuta importanza che il farne senza costituisce attualmente l’ostacolo maggiore per la ripresa del traffico di una zona che è il passaggio obbligato fra il Molise, il Lazio, le Puglie, Napoli e Roma.

«Caso, Numeroso, Titomanlio Vittoria, De Michele».

Comunico inoltre che è stata presentata la seguente interpellanza con richiesta di discussione urgente:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per conoscere con quali intendimenti ha proceduto al bando precipitato delle elezioni per il Consiglio superiore della pubblica istruzione, secondo un nuovo decreto legislativo non ancora pubblicato; e se non creda che tale provvedimento non possa valere a indebolire il prestigio delle nostre istituzioni scolastiche.

«Lozza, Preti, Binni, Codignola, Bernini, Condorelli, Cifaldi, Parri».

Chiedo al Ministro della pubblica istruzione quando intende rispondere a questa interpellanza.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Nella prima seduta destinata alle interrogazioni ed interpellanze.

PRESIDENTE. Poiché il Ministro dell’interno ha comunicato di essere pronto a rispondere nella seduta di martedì all’interpellanza dell’onorevole Li Causi sulla questione siciliana, che era stata rinviata, anche questa interpellanza potrà essere inserita nell’ordine del giorno della seduta mattutina di martedì prossimo.

CALAMANDREI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CALAMANDREI. Ho presentato al Ministro della pubblica istruzione da più di un mese una interpellanza relativa alle nomine per chiara fama e al modo con cui il Ministro ha ritenuto di procedere alla conferma dei professori che furono nominati nel periodo fascista con questo titolo. Credo opportuno che anche questa mia interpellanza, che ha dei punti di contatto con quella annunciata ora sul Consiglio Superiore della pubblica istruzione, venga trattata, se l’onorevole Ministro consente, nella seduta antimeridiana di martedì.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Sono pronto a discutere martedì anche questa interpellanza.

PRESIDENTE. Sta bene. Quanto alle interrogazioni con richiesta di risposta urgente, interpellerò i Ministri competenti per conoscere se intendano rispondere lunedì, nella consueta seduta dedicata alle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro degli affari esteri, per conoscere quali rimostranze intenda presentare al Governo turco per il trattamento inflitto ai nostri connazionali di religione israelitica residenti in Turchia, circa la mancata concessione di visto di rientro in Turchia a quei connazionali che per avventura vi si fossero assentati anche per un brevissimo soggiorno all’estero. Dal 1938 a oggi nessun cittadino italiano di religione israelitica osa lasciare il territorio turco per timore di non potervi rientrare, con quanto danno per ognuno di essi è evidente. Dalla liberazione ad oggi il richiesto interessamento delle nostre autorità è stato senza esito.

«Tremelloni, D’Aragona, Treves».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se gli risulti lo stato di abbandono in cui è lasciato il tratto di linea Sant’Eufemia Lamezia-Catanzaro, non collegato neppure in coincidenza con i diretti e i direttissimi per la Sicilia, e se non ritenga di disporre che sia evitato almeno ai viaggiatori per Catanzaro il tormentoso disagio di molte ore di attesa di giorno e di notte, alla stazione di Sant’Eufemia.

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere quali provvedimenti intende adottare onde sia assicurato il regolare funzionamento del servizio telefonico della rete di Siracusa, di cui è concessionaria la società S.E.T., in considerazione delle gravissime deficienze nelle quali, da molto tempo, versa questo importante servizio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cannizzo».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se non ritenga di promuovere provvedimenti di abrogazione delle norme contenute nel testo unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934 e successive modificazioni, secondo le quali i concorsi per posti di sanitari condotti vengono banditi per tutti i posti vacanti nella provincia dal prefetto anziché dai rispettivi comuni, i quali poi sono chiamati a nominare i vincitori di detti concorsi, che possono essere anche persone del tutto sconosciute ai comuni stessi.

«L’abrogazione delle norme dianzi richiamate ed il riconoscimento ai comuni del diritto di bandire i concorsi per posti di sanitari condotti è urgente, poiché vi son numerosi comuni dove i servizi sanitari sono affidati a personale provvisorio e la precarietà dura da parecchi anni. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bazoli, Bulloni, Montini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non creda di dover sottoporre al riesame – nei riguardi ed agli effetti dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, disciplinata dagli articoli 68 e seguenti del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 marzo 1947, n. 143 – la norma contenuta nell’articolo 4 del decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 382, secondo la quale andavano esenti dall’imposta ordinaria sul patrimonio i patrimoni che non superassero le lire 100.000.

«Si osserva, all’uopo, che le norme secondo le quali i valori patrimoniali a ruolo nel 1946 dovevano essere – con effetti dal 1° gennaio 1947 – moltiplicati per dieci (se riguardavano terreni) e per cinque (se rappresentassero fabbricati) hanno pressoché annullato il beneficio della esenzione accordata ai piccoli patrimoni dal richiamato decreto legislativo 31 ottobre 1946, n. 381, e pertanto persone manifestamente povere sono chiamate ora a pagare, entro il 1948, somme considerevoli a titolo di imposta proporzionale straordinaria sul patrimonio; le quali somme non possono, sicuramente, prelevarsi dal reddito annuale. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bazoli, Bulloni, Montini».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se ritenga lecito alle forze di polizia servirsi di automezzi militari e di scorte armate per trasportare, con immunità, grano sottratto agli ammassi, senza alcuna valida autorizzazione.

«Se ciò, come si suppone, non è lecito, gli interroganti chiedono se l’onorevole Ministro intenda procedere o abbia già proceduto, ad accertare se è vero, quanto agli interroganti risulta da copia di atti ufficiali, che cioè il 2 luglio un camion targato «Polizia», con a bordo funzionari della Questura di Napoli, con un carico di 50 o 60 quintali di grano, senz’altro permesso che quello di un capitano della medesima questura, è stato fermato a Grottaminarda (Avellino) e successivamente, ad onta delle vigenti disposizioni, rilasciato in libertà per poco lodevoli interferenze, vivacemente commentate dalla pubblica opinione della provincia di Avellino, dove, mentre si va alla caccia dell’isolato affamato, si lascia incontrollato il contrabbando in grande stile effettuato ad esempio sulla linea ferroviaria Rocchetta Sant’Antonio-Avellino. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Sullo, Preziosi, De Mercurio».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere:

  1. a) quali siano gli specifici impedimenti che sino ad oggi hanno ostacolato ed ostacolano il sollecito ripristino della trazione elettrica della linea Sestri Levante-Spezia, che, secondo le ripetute precedenti assicurazioni, avrebbe dovuto effettuarsi sino dal maggio ultimo scorso, ricordando l’urgenza dello stesso per il grave disagio, giunto sino a fenomeni di soffocazione, per l’uso della trazione a vapore e per le frequenti gallerie, cui sono sottoposti i viaggiatori ed in modo particolare gli operai, che quotidianamente ed in numero considerevole debbono recarsi per ragioni di lavoro a Spezia dai vari centri della Riviera di Levante;
  2. b) se risponda a verità che, proprio in questi giorni, in contrasto con le aspettative e le assicurazioni di cui sopra, sia stata trasportata da Levanto ad altra zona la sottostazione mobile di trasformazione, in modo da ritardare, anziché affrettare, l’invocata rielettrificazione della linea in oggetto. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Guerrieri Filippo, Gotelli Angela».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se non sia oramai necessario ed urgente provvedimento quello dell’immediato ripristino delle preture di Formicola, Pietramelara e Caiazzo, soppresse ingiustamente dal fascismo e finora non ricostituite. Da lunghissimi anni i cittadini di quei tre mandamenti, per ottenere giustizia pretoriale, sono costretti a recarsi in sedi lontane (Capua, Teano e Piedimonte d’Alife), affrontando spese sproporzionale, attraversando decine di chilometri di strade spesso impraticabili, con mezzi di trasporto incomodi e disagevoli e con impiego di intere giornate per ottenere provvedimenti anche se di scarsa importanza.

«L’interrogante chiede perciò di sapere fin quando debbano durare i sacrifizi, i fastidi ed i danni di quelle sventurate popolazioni, già tanto martoriate dalla guerra e dal fascismo, o se invece esse abbiano diritto ad una amministrazione della giustizia praticata con minore dispendio ed in maniera più umana e conveniente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fusco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere per quali ragioni, ricostituita la provincia di Caserta col decreto 11 giugno 1945, n. 373, e procedutosi alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie «per porle in armonia con la nuova circoscrizione provinciale», giusta autorizzazione contenuta nell’articolo 6 di detto decreto, non si è creduto finora di comprendere nella circoscrizione giudiziaria di Caserta (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) i mandamenti di Mignano, Roccamonfina e Capriati al Volturno, appartenenti alla circoscrizione amministrativa di detta provincia, mentre, con il decreto 15 aprile 1947, n. 398, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 giugno, detto anno, i mandamenti di Acerra, Cicciano e Nola, già da lunghissimi anni compresi nella circoscrizione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sono stati aggregati al Tribunale di Napoli, pel solo fatto che essi non sono entrati a far parte della ricostituita provincia di Caserta.

«Era giusto, conveniente, opportuno e doveroso che per le stesse ragioni per le quali i mandamenti di Acerra, Cicciano e Nola venivano trasferiti al Tribunale di Napoli, si fossero contemporaneamente assegnati al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i mandamenti di Mignano, Roccamonfina e Capriati al Volturno. Tanto più che tale assegnazione era stata fervidamente richiesta con tre distinte deliberazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Santa Maria Capua Vetere, inviate tempestivamente al Ministero di grazia e giustizia e con le quali la classe forense domandava, attraverso il suo organo rappresentativo, con l’aggregazione dei mandamenti indicati, non solo il riconoscimento di un diritto, ma anche un parziale compenso dei gravissimi danni causati dalla notevole riduzione della circoscrizione giudiziaria: ed ancora si augura che la sua giustissima invocazione non rimanga inascoltata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Fusco».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere le ragioni del grave ritardo nell’assegnazione delle borse di studio, già istituite dal Ministero dell’assistenza post-bellica, in favore degli studenti universitari reduci e partigiani, che si trovano ora in precarie condizioni economiche a seguito del mancato versamento da parte dello Stato degli assegni loro spettanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Codignola».

«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se sia vero che ex ufficiali effettivi, i quali prestarono fino all’ultimo servizio nell’esercito repubblichino e nella X flottiglia mas, continuano a percepire regolarmente lo stipendio, e possono così compiere i loro studi, mentre migliaia di studenti reduci ed ex partigiani attendono inutilmente da mesi gli assegni loro dovuti a norma del concorso a suo tempo bandito dall’ex Ministero dell’assistenza post-bellica. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Codignola, Corbi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere se gli siano stati segnalati gli ordinari inconvenienti per l’occupazione dei posti riservati sui treni ai deputati alla Costituente, specie sulla linea Napoli-Reggio Calabria, e se non creda opportuno di raccomandare agli organi dipendenti una più riguardosa considerazione e la osservanza dell’obbligo della custodia dei posti. Tale obbligo oggi si nega egualmente sia dalla polizia, sia dal personale ferroviario col pretesto che né l’una né l’altro abbiano ricevuto ordine di adempiervi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Caroleo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per far fronte alla crescente diminuzione della produzione della canapa nelle provincie di Napoli e Caserta, che da oltre 300.000 quintali annui è passata a circa 60.000, con la conseguente disoccupazione di lavoratori agricoli e industriali e con particolare danno dell’artigianato locale; e per conoscere quali provvedimenti intendano adottare per correggere l’insufficiente funzionamento del Consorzio nazionale canapa e per modificare il vigente sistema dei prezzi, che procurando eccessivi vantaggi alla grande industria, danneggia i produttori, allontanandoli dalla coltivazione della canapa. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Cortese».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si richiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.50.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 10 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente

Per lo scoppio della polveriera di Castenaso:

Zanardi

Gingolani, Ministro della difesa

Presidente

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Presidente

Pella, Ministro delle finanze

Chiostergi

Dugoni

La Malfa, Relatore

De Vita

Pesenti

Crispo

Marinaro

Corbino

Scoccimarro

Micheli

Dominedò

Condorelli

Bertone

Caroleo

Persico

Adonnino

Scoca

Cifaldi

La seduta comincia alle 10.30.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Musotto.

(È concesso).

Per lo scoppio della polveriera di Castenaso.

ZANARDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZANARDI. Onorevoli colleghi, la nostra città, Bologna, è in lutto: i giornali di stamane annunciano che nel paese di Castenaso, limitrofo alla città, è scoppiata una polveriera. Molti operai sono morti e moltissimi sono i feriti, di cui neppure si può precisare il numero. Castenaso è già stata vittima dell’ultima guerra ed è un paese semidistrutto, di modo che continua per questa operosa borgata il lungo e tragico calvario.

Ho preso la parola – e credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi del collegio di Bologna – per rendere omaggio alle vittime, per invocare una sollecita inchiesta c per domandare al Governo generosa solidarietà verso tutti coloro che sono rimasti senza conforto e senza sostegno.

Nel contempo sono però sicuro che Bologna generosa interverrà, come sempre, in aiuto dei figli che sono rimasti senza padre, o dei vecchi che sono rimasti senza i figli, che erano il sostegno della famiglia. Con questo sentimento, mosso dall’amore e dal dolore, chiedo che l’onorevole Presidente, nel presentare le condoglianze ai sindaci di Bologna e di Castenaso, porga l’espressione della nostra solidarietà per questi nuovi martiri del lavoro. (Applausi).

CINGOLANI, Ministro della difesa. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Il Governo si associa alle nobili parole pronunciate dall’onorevole Zanardi a nome della Assemblea tutta. Come Ministro della difesa, posso assicurare che ho disposto immediatamente per un’inchiesta, e posso assicurare anche l’onorevole Zanardi che già cinque giorni prima del luttuoso fatto, ho mandato una circolare urgentissima a tutti gli stabilimenti del genere, perché rinnovassero le premure a tutte le maestranze di usare quell’oculatezza che c’è sempre, ma che l’onorevole Zanardi, chimico illustre, sa che con la consuetudine di maneggiare materiale così delicato molte volte si perde.

Comunque, il Governo non solo si unisce alle parole commosse dell’onorevole Zanardi, ma può anche assicurare che tutte le provvidenze a favore delle vedove e degli orfani saranno sollecitamente messe in atto dal Ministero della difesa.

PRESIDENTE. La Presidenza dell’Assemblea, accogliendo l’invito dell’onorevole Zanardi, esprimerà ai sindaci di Bologna e di Castenaso la piena solidarietà dell’Assemblea stessa per il lutto che ha colpito queste due città. E l’onorevole Zanardi ha espresso con parole acconce il sentimento che riempie tutti i nostri cuori in questo momento.

Seguito della discussione sul disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

PRESIDENTE. L’Assemblea si è riconvocata stamane, in base ad una disposizione regolamentare, direi automaticamente, poiché, essendosi proceduto ieri ad una votazione per appello nominale, l’Assemblea non è risultata in numero legale per deliberare. Noi ci ritroviamo, quindi, nella seduta dì stamane ad affrontare quello stesso problema di fronte al quale ieri i nostri lavori hanno dovuto necessariamente interrompersi.

Si trattava del seguente ordine del giorno, a firma degli onorevoli Macrelli e Chiostergi e altri, presentato nel corso della discussione sul progetto di legge della patrimoniale:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione e alla votazione della legge sulla imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Dobbiamo ora procedere alla nuova votazione, allo scopo di decidere in relazione all’ordine del giorno presentato appunto dagli onorevoli Macrelli, Chiostergi ed altri colleghi.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, nella seduta di ieri mattina avevo ritenuto opportuno fare appello al senso di responsabilità dei firmatari dell’ordine del giorno e dell’intera Assemblea prospettando le conseguenze che avrebbero potuto riflettersi sull’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio, qualora la questione contenuta nell’ordine del giorno avesse trovato il consenso della maggioranza. Resta ferma la preoccupazione cui accennavo ieri mattina: l’ordine del giorno, se dovesse essere messo in votazione e venisse accolto, comporterebbe praticamente la sospensione dell’applicazione dell’imposta straordinaria sul patrimonio per un periodo di tempo certamente lungo. Il Governo, che aveva ed ha nel proprio programma l’applicazione più sollecita di questo tributo straordinario, non potrebbe che constatare con dolore che le correnti tuttora contrarie all’applicazione di questo tributo, approfittando della buona fede di taluni dei nostri colleghi, avrebbero finito coll’avere il sopravvento.

Ma c’è un’altra ragione per cui io debbo pregare gli onorevoli firmatari dell’ordine del giorno di voler benevolmente rivedere la loro posizione. Purtroppo, da ieri mattina, appena si è diffusa la sensazione che la questione del cambio della moneta potrebbe rappresentare un argomento di nuove discussioni, un argomento che potrebbe essere, cioè, riaperto, l’andamento dei prezzi si è nettamente orientato al rialzo. (Commenti).

Ora, tutto ciò non può non preoccupare il Governo, il quale intende perseguire una sua politica decisamente antinflazionistica e di assestamento dei prezzi.

Desidero, quindi, caldamente raccomandarmi al senso di responsabilità e di civismo degli onorevoli firmatari dell’ordine del giorno, affinché esaminino se, in nome di queste alte opportunità che intendiamo tutti perseguire, non ritengano opportuno di ritirare il loro ordine del giorno.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Onorevoli colleghi, credevo di essere stato ieri molto preciso dichiarando che non era nostra intenzione di attaccare il Governo nella sua politica deflazionista. I repubblicani volevano riaffermare una questione di principio per la quale erano entrati nel primo Governo della Repubblica, per la quale ne erano usciti e non vi erano più tornati poi. Volevamo e vogliamo che la nostra affermazione suoni rampogna ai Governi che si sono succeduti e che hanno promesso sempre e non hanno mai mantenuto l’impegno di cambiare la moneta. Se il cambio fosse stato eseguito in tempo opportuno, avrebbe dato all’Erario un guadagno di diecine e diecine di miliardi, annullando una gran parte di quelle banconote che sono state rubate al nostro Paese, che sono state portate all’estero. Non volevamo, col nostro ordine del giorno, combattere la legge sull’imposta patrimoniale, alla quale siamo profondamente attaccati; ed è per questo che ho accettato di modificare l’ordine del giorno in assenza del collega Macrelli, ammalato, perché risultasse chiaro, inequivocabile, che i repubblicani volevano la discussione immediata e la votazione dell’imposta sul patrimonio.

Evidentemente, il pericolo d’una affermazione di questo genere – rilevato dal Ministro Pella – esiste. Non possiamo nasconderci che vi possono essere conseguenze poco liete che avremmo voluto e vorremmo evitare. Ma, d’altra parte, noi desideravamo che in sede di discussione della legge sulla imposta patrimoniale (e lo vogliamo più che mai oggi) si correggessero, con gli emendamenti che presenteremo, quelle sperequazioni che il mancato cambio della moneta rende così evidenti e così gravi.

Ad esempio, noi insisteremo ed insistiamo fin d’ora sulla necessità di tassare gli enti collettivi, comprese le società; insistiamo su una maggiore rateizzazione dell’imposta e sulla determinazione di un diverso minimo imponibile per l’imposta patrimoniale, in modo che sia difesa la piccola proprietà; insistiamo anche sulla necessità dell’accertamento dei depositi bancari.

Ho accennato soltanto a qualcuno degli elementi fondamentali che ci hanno spinto ad iniziare questa nostra azione.

Non vogliamo noi, come hanno scritto alcuni giornali, falsando le nostre intenzioni, dare battaglia al Governo, e fare una questione di successione del Governo attuale. Abbiamo preso posizione di fronte al Governo politicamente; manteniamo questo nostro atteggiamento; ma non ci avvarremo mai di metodi di questo genere per dare battaglia al Governo stesso.

PRESIDENTE. Onorevole Chiostergi, lei mantiene il suo ordine del giorno?

CHIOSTERGI. Con queste richieste e dopo le eventuali dichiarazioni del Governo, noi siamo disposti a ritirare l’ordine del giorno (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Il Governo ha fatto una dichiarazione in questo momento. Onorevole Chiostergi, le prego di chiarire il suo pensiero.

CHIOSTERGI. Dichiaro di essere disposto, a nome dei miei compagni repubblicani, a ritirare l’ordine del giorno presentato ieri, a condizione che ci siano date assicurazioni che le sperequazioni esistenti nel progetto dell’imposta patrimoniale, per il mancato cambio della moneta, siano corrette con gli emendamenti cui ho accennato (Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Ministro delle finanze può esprimere il suo pensiero.

PELLA, Ministro delle finanze. Quando ebbi l’onore di parlare all’Assemblea, chiudendo la discussione generale sul progetto di legge, pregai l’Assemblea di dare la migliore delle leggi, assicurando che il Governo aveva un’unica preoccupazione: quella di dare la migliore delle esecuzioni alla migliore delle leggi. Evidentemente, partendo da tale ordine di idee, e ricordando le reiterate preghiere fatte alla Commissione di finanza e all’Assemblea di collaborare per il perfezionamento del decreto, là dove esso possa presentare delle lacune, corrispondo largamente al desiderio dell’onorevole Chiostergi: tutte le proposte che significano perfezionamento del decreto non possono che incontrare il più largo gradimento da parte del Governo. (Applausi al centro).

CHIOSTERGI. Dichiaro di ritirare l’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole De Mercurio, si intende che egli abbia rinunziato al suo ordine del giorno già svolto e sul quale il Ministro delle finanze ha espresso il suo parere:

«L’Assemblea Costituente, interpretando le particolari necessità delle popolazioni dell’Italia meridionale, le quali risentiranno il maggior onere fiscale, che loro deriverà dal decreto istitutivo dell’imposta progressiva e proporzionale sul patrimonio – in rapporto specialmente a criteri di valutazione in esso contenuti – che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, da cui è caratterizzata l’economia del Mezzogiorno, ritiene opportuno apportarvi quegli emendamenti che valgano a mitigarne gli effetti deleteri».

Dichiaro pertanto chiusa la discussione generale.

Passiamo all’esame degli articoli del decreto legislativo.

Il Governo accetta che la discussione si svolga sul testo proposto dalla Commissione?

PELLA, Ministro delle finanze. Accetto.

PRESIDENTE. Sta bene.

Esaminiamo il primo articolo, Titolo I. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

Titolo I.

IMPOSTA STRAORDINARIA PROGRESSIVA SUL PATRIMONIO

Capo I. – Soggetti passivi dell’imposta.

Art. 1.

È istituita un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio complessivo posseduto da ciascun contribuente alla data del 28 marzo 1947.

PRESIDENTE. Non essendovi emendamenti, l’articolo si intende approvato.

Passiamo all’articolo 2. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche.

Sono, altresì, soggetti all’imposta straordinaria le società, ditte ed enti costituiti all’estero, limitatamente al capitale comunque investito od esistente nello Stato, con deduzione dell’ammontare delle partecipazioni alla società, ditta o ente, che risultino accertate al nome di persone fisiche, proporzionalmente agli investimenti della società, ditta o ente in Italia».

PRESIDENTE. Su questo articolo 2 sono stati presentati i seguenti emendamenti:

«Sostituirlo col seguente:

«Sono soggetti a questa imposta:

  1. a) le persone fisiche;
  2. b) gli enti collettivi che sono tassati di imposta di ricchezza mobile in base a bilancio.

«Dugoni».

«Al primo comma, aggiungere: e gli enti collettivi.

«Pesenti, Valiani, Barbareschi, Lombardi Riccardo».

«Aggiungere, dopo il primo comma, il seguente come nuovo secondo comma:

«L’imposta straordinaria non si applica alle società assoggettate ad imposta di ricchezza mobile in forma diversa da quella stabilita con l’articolo 25 della legge 24 agosto 1877 e successive modificazioni.

«Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di esprimere il parere del Governo.

PELLA, Ministro delle Finanze. Gli emendamenti che vengono proposti all’articolo 2 configurano la questione molto importante della tassazione degli enti collettivi parallelamente alla tassazione del patrimonio delle persone fisiche.

Su questo argomento ho avuto l’onore di intrattenere brevemente l’Assemblea in sede di discussione generale. Avevo assicurato allora ed assicuro ancor oggi che quel progetto di tassazione delle rivalutazioni patrimoniali, il quale tecnicamente, ad avviso del Governo, avrebbe meglio raggiunto lo scopo, era ed è pronto, e avevo sollecitato, dalla benevolenza del Presidente della Commissione parlamentare di finanza, una forma di collaborazione preventiva per esaminare il provvedimento prima che venisse portato alla approvazione del Consiglio dei Ministri.

In occasione di tale collaborazione vi sono stati degli scambi di idee anche in ordine all’attuale tassazione degli enti collettivi.

Non posso in questo momento anticipare il giudizio di merito che il Governo potrà dare in materia.

Riconosco però che vi è, sia da parte della Commissione, sia da parte del Governo, la massima buona volontà di arrivare ad una soluzione concordata, la quale non potrà che essere determinata dalla preoccupazione di creare in questa sede lo strumento tecnicamente più perfetto.

Siccome in ogni caso l’eventuale adozione del principio della tassazione degli enti collettivi comporterebbe la creazione di un certo numero di norme che dovrebbero trovare collocamento in un titolo separato della legge, io vorrei pregare gli onorevoli presentatori di tali emendamenti di soprassedere alla loro illustrazione e di rinviarla a una prossima seduta in attesa che il Governo possa esprimere definitivamente il suo punto di vista al riguardo.

PRESIDENTE. Prego i presentatori degli emendamenti all’articolo 2 di esprimere il loro pensiero sulla richiesta del Ministro delle finanze.

DUGONI. Aderisco alla richiesta del Ministro delle finanze.

DE VITA. Accetto la proposta del Ministro delle finanze.

PESENTI. Aderisco alla proposta del Governo, senza rinunciare, naturalmente, allo svolgimento in sede opportuna del mio emendamento.

PRESIDENTE. In adesione alla richiesta del Ministro delle finanze, accolta da tutti i presentatori degli emendamenti, propongo di accantonare l’articolo 2 e di discuterne al momento in cui il Ministro delle finanze avrà sciolto la riserva alla quale ha accennato.

(L’Assemblea approva).

Passiamo all’articolo 3. Se ne dia lettura.

RICCIO, Segretario, legge:

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937.

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi proprî, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti.

«Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

PRESIDENTE. Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti.

Il primo è dell’onorevole Costa:

«Al secondo comma, alle parole: anteriormente al matrimonio, sostituire: anteriormente a detta data; alle parole: conseguiti durante il matrimonio, sostituire: realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937; alle parole: di fondi provenienti da accensione di debiti, sostituire: di capitali provenienti da accensione di debiti».

Non essendo presente l’onorevole Costa, l’emendamento si intende decaduto.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Ha facoltà di svolgerlo.

DUGONI. L’emendamento presentato dall’onorevole Costa ha uno scopo, per così dire, puramente ordinativo della legge: cioè, avendo la Commissione proposto un emendamento il quale sposta la data di suspicione riguardante i beni della moglie entrati nel patrimonio familiare al 28 marzo 1937, bisogna adattare anche il secondo capoverso della legge alla stessa data e alla stessa armonia di disposizione. Per questo ho ripreso l’emendamento dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, poiché ha la parola, la prego di svolgere anche i due emendamenti da lei presentati:

«Aggiungere al secondo comma il seguente:

«Si considerano egualmente nel patrimonio del marito le azioni acquistate a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937, anche se intestate al nome della moglie al momento della istituzione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941».

«Al terzo comma, lettera a), sopprimere a partire da: esclusi quelli effettuati…, sino alla fine».

DUGONI. Ho presentato un emendamento successivo che è nello stesso spirito. Al momento della trasformazione dell’anonimità dei titoli azionari in nominatività obbligatoria, ci sono state, si ha fondata ragione di supporre, numerose intestazioni di questi beni a membri della famiglia: figli, moglie, ecc. Allo scopo di garantire il ritorno alla consistenza reale del patrimonio, io ho proposto che i beni intestati alla moglie, in occasione dell’obbligatorietà della nominatività dei titoli azionari, vengano considerati nel patrimonio del marito. L’altro mio emendamento…

LA MALFA, Relatore. Signor Presidente, non converrà approvare le modificazioni per commi?

PRESIDENTE. Lo svolgimento si fa articolo per articolo.

DUGONI. Io ho proposto che alla lettera a) dell’articolo 3 della legge sia abolita la dispensa di rapporto nel patrimonio dell’ascendente dei beni, quando questi siano stati dati ai discendenti per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico.

La ragione per la quale io ho proposto questo emendamento è molto grave. Di fronte alla tendenza moderna della legislazione di colpire progressivamente i patrimoni, le grandi famiglie e le grandi fortune hanno preso l’abitudine di spezzettare, almeno apparentemente, questi cospicui patrimoni prendendo tutte le occasioni possibili, fra le quali quelle del matrimonio dei discendenti è uno dei casi tipici in cui i grandi proprietari cedono una parte della loro fortuna, mentre, sia attraverso le costituzioni di usufrutto, sia attraverso altre formule giuridiche, mantengono nelle loro mani la disponibilità ed il godimento di questi beni. Noi consideriamo che questa imposta debba avere un reale carattere di progressività. Consideriamo che questo spezzettamento del patrimonio sia una fraus legum e non una fraus legis.

Questa legge non si conosceva e non si poteva prevedere, ma c’era una tendenza di tutto il sistema tributario di colpire progressivamente i patrimoni o quanto meno i redditi di questi patrimoni. Quindi vi è da anni una tendenza a spezzettare queste fortune. Per colpire veramente con una imposta progressiva questi grandi patrimoni, non c’è che un mezzo: far rientrare tutto quello che noi abbiamo diritto di credere che sia stato disperso in frode a questa tendenza moderna nella legislazione di cui l’attuale legge sull’imposta straordinaria è un’applicazione.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo, Foa hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Aggiungere, dopo il secondo comma, il seguente, come nuovo terzo comma:

«Si considerano acquistate a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937 le azioni intestate al nome della moglie in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9».

Aggiungere come nuovo penultimo comma:

«Ai medesimi fini si considerano nel patrimonio del padre le azioni intestate al nome dei figli in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9, salvo non sia dimostrato che le azioni erano state acquistate dal figlio – a titolo gratuito o a titolo oneroso – prima della conversione».

L’onorevole Pesenti ha facoltà di svolgerli.

PESENTI. I due emendamenti proposti stabiliscono alcune presunzioni per evitare evasioni fiscali, in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari. Noi consideriamo che facciano parte rispettivamente del marito o del padre, le azioni intestate a nome della moglie o dei figli. Questa norma serve appunto ad evitare la possibilità che, in occasione della nominatività, vi siano fittizie intestazioni a nome della moglie e dei figli di un patrimonio che, in realtà, sia del marito o del padre. I due emendamenti sono stati discussi e, in linea di massima, approvati dalla Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, sostituire la lettera a) con la seguente:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per donazione in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico».

Ha facoltà di svolgerlo.

DE VITA. L’articolo 3 del progetto dice, al primo comma: «Ai fini della imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937. Al terzo comma dice: «Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti, i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimento a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico, ecc.

Questo articolo non prevede il caso della donazione in occasione del matrimonio, tanto diffusa nelle provincie del Meridione. A mio giudizio, questa diversità di trattamento tra la costituzione di dote e la donazione in occasione di matrimonio non trova giustificazione alcuna. Per questo motivo ho presentato un emendamento inteso ad escludere dalla cumulazione dei patrimoni anche i beni trasferiti dall’ascendente al discendente per costituzione di dote in occasione di matrimonio.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Crispo, Morelli Renato, Bozzi, Cifaldi hanno presentato il seguente emendamento:

«Alla lettera a) del terzo comma, eliminare le parole: «per costituzione di dote».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgerlo.

CRISPO. Il mio emendamento è uguale a quello dell’onorevole De Vita, in quanto io dico che va eliminato dal comma a) dell’articolo 3 l’inciso: «per costituzione di dote». Penso che la ragione della esclusione contemplata nella lettera a) dell’articolo 3, sia questa: risultando da atto pubblico che parte del patrimonio degli ascendenti fu trasferita nel patrimonio dei discendenti, sarebbe ingiusto colpire questa parte già uscita in modo certo dal patrimonio del contribuente.

Onde dicevo: è necessario eliminare l’inciso: «per costituzione di dote», perché, quando in contemplazione di matrimonio, si eseguono comunque donazioni da parte del padre al figlio, la stessa ragione della legge, per la quale il legislatore ha ritenuto di escludere i beni trasferiti per costituzione di dote, permane quando questo trasferimento ha luogo per atto pubblico a titolo di donazione. Ecco il motivo per cui insisto che sia eliminata l’espressione: «per costituzione di dote».

PRESIDENTE. L’onorevole Marinaro ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, lettera a), sopprimere le parole: in occasione di matrimonio ed aggiungere, dopo le parole: patrimonio ecclesiastico, le altre: o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di matrimonio».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARINARO. Il fine essenziale dell’articolo 3 della legge è, a mio avviso, quello di evitare che il patrimonio tassabile venga diminuito, nella sua consistenza, fraudolentemente.

Ora, il terzo comma dell’articolo stabilisce che ai fini dell’imposta si considerano nel patrimonio dell’ascendente i beni da esso ceduti a discendenti in seguito a trasferimenti a titolo gratuito. Da questi trasferimenti a titolo gratuito sono escluse le costituzioni di dote e le costituzioni dei patrimoni ecclesiastici. Io ho chiesto la soppressione delle parole «in occasione di matrimonio», perché si sa che la costituzione di dote viene fatta in occasione di matrimonio. Inoltre, il nostro Codice civile consente che la costituzione di dote sia fatta anche successivamente al matrimonio. Ho chiesto poi che dai trasferimenti a titolo gratuito siano escluse anche le assegnazioni che, comunque, vengano fatte a discendenti per causa di matrimonio. Io penso che quando, per tabulas, risultasse che il trasferimento a titolo gratuito abbia avuto luogo per le stesse giustificate ragioni per cui si tiene conto dei trasferimenti previsti dalla lettera a), cioè la costituzione di dote e la costituzione del patrimonio ecclesiastico, non ci sia ragione di escludere le altre assegnazioni che siano state fatte in occasione di matrimonio di ascendenti, in genere, come quelle che avvengono, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, in occasione della creazione di nuovi nuclei familiari, dell’avviamento dei figli alla professione, e via di seguito.

Anche in tali casi, a mio avviso, il concetto fondamentale della legge rimane fermo e non si verificano diminuzioni fraudolente di patrimonio. Pertanto, chiedo che sia introdotta nella legge anche la esclusione dai trasferimenti a titolo gratuito delle assegnazioni a discendenti per causa di matrimonio».

PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere alla lettera a) le seguenti parole: o per divisione inter liberos, a titolo di successione ereditaria anticipata».

L’onorevole Persico ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Lo mantengo, rinunziando a svolgerlo.

PRESIDENTE. L’onorevole Costa aveva presentato un secondo emendamento, del seguente tenore:

«Al terzo comma, lettera b), alla parola fondi, sostituire: capitali».

Onorevole Dugoni, lo fa suo?

DUGONI. Lo sostengo, e mi risulta che la Commissione stessa, sostanzialmente, lo accetta.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Relatore di esprimere l’avviso della Commissione sugli emendamenti svolti.

LA MALFA, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento Costa, che corregge un errore formale. Emendato il primo comma, bisognava emendare il secondo, cioè renderlo coerente al nuovo criterio stabilito dalla Commissione, che ha come punto di partenza il 28 marzo 1937.

CORBINO. Perché il 28 marzo 1937?

LA MALFA, Relatore. Abbiamo molto discusso intorno alle date e ai periodi cosiddetti di sospetto per la finanza. Abbiamo avuto inoltre una questione specifica, di cui è fatto cenno nella relazione, relativa agli israeliti. La data a partire dalla quale, si faceva il coacervo dei beni familiari, ledeva particolarmente gli ebrei che erano stati colpiti dalle leggi razziali. La comunità ebraica ci aveva chiesto di portare la data al periodo successivo alla liberazione, periodo in cui la disponibilità dei patrimoni ebraici sarebbe risultata libera per i possessori. Noi abbiamo ritenuto di mettere tutti i cittadini in condizione di parità, arretrando le date.

Per quanto riguarda tali date, in generale, avevamo tre scelte: il luglio 1943 (cioè armistizio e liberazione); il 10 giugno 1940 (dichiarazione di guerra) e il periodo precedente alla dichiarazione della grande guerra mondiale, periodo in cui si è fatta la guerra di Abissinia ed in cui la guerra minacciava di scoppiare in Europa da un momento all’altro.

Per il matrimonio siamo andati al 28 marzo 1937, conglobando in questa data il periodo nel quale si poteva ritenere che ciascun patrimonio fosse soggetto a diversi rischi. È una data come un’altra; non abbiamo avuto presente nessun criterio rigido, ma una questione di opportunità.

La Commissione accetta la sostanza degli emendamenti Pesenti e Dugoni. Essi vogliono colpire il fatto che, essendosi dichiarata la nominatività obbligatoria dei titoli azionari, si fosse, in quell’occasione, distribuito il patrimonio azionario fra i membri della famiglia. Tuttavia alla Commissione sembra che gli emendamenti non siano precisi.

Non si comprende che cosa voglia dire: «acquistati a titolo oneroso dopo il 1937» (Interruzione dell’onorevole Corbino). L’espressione può dar luogo ad equivoci: può significare che in definitiva non si possa fare la presunzione di frode; anzi, il contrario. Anche l’emendamento dell’onorevole Dugoni ha questo inconveniente: di non colpire esattamente il fatto.

La Commissione proporrebbe questo testo: «Ai fini della imposta straordinaria – come dice l’articolo 3 – si considerano il patrimonio del marito e i beni acquistati dalla moglie»; e poi ripetere: «Agli stessi fini si considerano nel patrimonio del marito, le azioni intestate a nome della moglie, in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal decreto, ecc.». Mi pare che questa sia la formulazione più chiara.

Se il marito ha trasferito le azioni alla moglie in altro periodo, questo rientra nella presunzione generale!

Una voce al centro. Dovrebbe essere juris et de jure quella disposizione.

LA MALFA, Relatore. In sostanza, avremmo accettato gli emendamenti Pesenti e Dugoni.

Adesso c’è la questione dei discendenti.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, prima di entrare in argomento, siccome sono stati presentati altri due emendamenti, ne do lettura.

Il primo è quello dell’onorevole Pesenti:

«Alla lettera a) del comma terzo sostituire: in occasione di matrimonio, con le parole: all’atto del matrimonio, e aggiungere: a meno che non ci sia riserva di usufrutto o di abitazione».

C’è poi un secondo emendamento presentato dagli onorevoli Dominedò, Micheli, Carbonari, Valenti, Coccia, Adonnino, Alberti, Ambrosini, Balduzzi:

«Sostituire alla data: 28 marzo 1937, quella: dell’8 settembre 1943, o subordinatamente: 10 giugno 1940».

L’onorevole Dominedò ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

DOMINEDÒ. Signor Presidente, pensavo e penso che, trattandosi di una presunzione assoluta, la quale colpisce retroattivamente con efficacia juris et de jure e non solo juris tantum dei negozi giuridici validi, sia opportuno tener presente che il fondamento razionale di ogni presunzione assoluta debba ricollegarsi ad un evento cui facciano capo dei presupposti dai quali possano discendere le conseguenze eccezionali, sulle quali poggia la norma legislativa.

Ed allora, per quanto riguarda i negozi giuridici anteriori all’evento, che possa in ipotesi giustificare la norma, a me sembra che questo fatto fondamentale non debba essere se non quello della guerra.

In analogia all’emendamento dell’onorevole Micheli, presentato all’articolo 8 del progetto e allo stesso modo in cui questo emendamento fa capo alla data dell’8 settembre 1943, abbiamo proposto in via principale questa data come quella che conclude il fatto della guerra. Laddove la Commissione, il Governo o l’Assemblea, come giudice sovrano, non ritenessero di dover accedere a questo criterio, proporrei di ritornare, in subordinata, al testo ministeriale, cioè alla data del 10 giugno 1940.

PRESIDENTE. L’onorevole La Malfa ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

LA MALFA, Relatore. Per quanto riguarda i discendenti, il criterio della Commissione è stato più restrittivo. Il decreto-legge porta la data del 10 giugno 1940. La Commissione, un po’ per analogia, un po’ perché ha scelto il 28 marzo 1937 come periodo di suspicione, ha voluto parificare la condizione della moglie a quella dei discendenti ed ha preso il decennio per tutti e due i rami familiari.

Se noi troviamo che la data del 28 marzo è opportuna per quanto riguarda la moglie, credo che si possa superare l’obiezione del collega Dominedò e adottare la stessa data del 28 marzo 1937 per i discendenti.

Come dico, la Commissione non ha avuto un criterio razionale per questo; ha scelto soltanto la data che potesse rappresentare l’inizio di un periodo di gravi perturbazioni e di altrettante preoccupazioni di ordine familiare e patrimoniale. Dovrei insistere sulla data scelta, pur rendendomi conto di alcune ragioni esposte dall’onorevole Dominedò. Elementi informativi raccolti dai colleghi, specie da quelli che conoscono le strutture patrimoniali in provincia, confermano che molte divisioni di patrimoni si sono fatte prima della dichiarazione di guerra. La data del 28 marzo 1937 verrebbe quindi a colpire tutto un periodo che si può chiamare di sospetto generico.

Una questione largamente discussa in seno alla Commissione, è quella riguardante l’esclusione dal coacervo dei trasferimenti a titolo gratuito effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio, o per costituzione di patrimonio ecclesiastico. In seno alla Commissione si sono manifestate al riguardo due tendenze. La prima, di carattere restrittivo, è quella rispecchiata dai due emendamenti degli onorevoli Dugoni e Pesenti, consistente nel non ammettere se non in misura ristrettissima questa esclusione; o escluderla del tutto (emendamento Dugoni). La seconda è intesa a far sì che si tenga conto non solo dei casi specifici di costituzione di doti, ma di qualsiasi donazione per matrimonio, intesa cioè all’adozione di un criterio più largo. Mi pare che questo secondo atteggiamento sia espresso dagli emendamenti De Vita e Marinaro. La Commissione, come ho già detto, ha largamente discusso intorno a questa disposizione ed ha trovato una linea di conciliazione nel senso di lasciare il testo così come è stato redatto dal Governo.

La Commissione ha ridiscusso il problema dopo la presentazione degli emendamenti ed ha deliberato a maggioranza di accettare l’emendamento dell’onorevole Marinaro, con la sostituzione alla frase «di matrimonio», della frase «di seguito matrimonio».

Naturalmente gli emendamenti presentati dall’onorevole Persico cadono perché troppo larghi. Accettiamo l’emendamento dell’onorevole Costa, consistente in una modificazione formale, e accettiamo quello dell’onorevole Pesenti nei riguardi della nominatività obbligatoria dei titoli azionari.

PRESIDENTE. Invito allora l’onorevole Ministro delle finanze a pronunciarsi a nome del Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Sostanzialmente il Governo condivide il pensiero espresso dal Presidente della Commissione in ordine ai diversi emendamenti presentati. Vorrei aggiungere però qualche osservazione di dettaglio. Il primo emendamento dell’onorevole Costa, ove si propone di sostituire alla parola «anteriormente al matrimonio» le parole «anteriormente a detta data» e alle parole «conseguiti durante il matrimonio» le parole «realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937», può prestare il fianco a censure, nell’ipotesi di matrimonio che sia stato effettuato posteriormente al 28 marzo 1937; ed è per questa ipotesi che suggerisco di aggiungere alle parole «realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937» le parole «o anteriormente al matrimonio, qualora esso sia successivo a tale data». In altri termini, nell’ipotesi di un matrimonio che abbia avuto luogo successivamente al 28 marzo 1937, non si può pretendere dalla donna la dimostrazione di reimpiego anteriore al 28 marzo 1937.

DUGONI Questo è in re ipsa, onorevole Pella. Possiamo aggiungerlo, se lei crede.

PELLA, Ministro delle finanze. Sì, se si crede riterrei opportuno introdurre questa modificazione.

Per quanto riguarda le intestazioni in capo alla moglie in occasione della nominatività dei titoli, il Governo è perfettamente d’accordo nella formula proposta dalla Commissione col suo emendamento, il quale emendamento dovrebbe assorbire quello degli onorevoli Pesenti, Valiani e altri e quello dell’onorevole Dugoni.

DUGONI. Alla formulazione della Commissione si dovrà aggiungere che i titoli devono essere acquistati posteriormente al 28 marzo 1937, altrimenti spostiamo tutta l’economia del paragrafo.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevole Dugoni, mi sembra che sia errata la formula del suo emendamento: «Aggiungere al secondo comma il seguente».

DUGONI. È giusto; bisognava dire: «Aggiungere come secondo comma il seguente».

PELLA, Ministro delle finanze. Così che il terzo comma investirebbe sia il primo che il secondo. In questo senso, il Governo è d’accordo.

Il Governo accetta quindi l’emendamento Marinaro, con l’espressione suggerita dalla Commissione «di seguìto matrimonio»; l’emendamento Costa, quello dell’onorevole Pesenti; non può accettare l’emendamento proposto dall’onorevole Dominedò.

Quanto all’emendamento Persico devo farmi carico delle osservazioni che al riguardo sono state fatte dalle Commissioni di studio per la preparazione del progetto governativo e delle osservazioni fatte in sede di Commissione parlamentare.

A nome del Governo non posso aderire all’emendamento dell’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, la Commissione accoglie l’emendamento dell’onorevole Persico?

LA MALFA. Relatore. La Commissione non lo accoglie.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sulla questione della data si potrebbe trovare un accomodamento fra una di quelle proposte dall’onorevole Dominedò e quella accettata dalla Commissione, fermandoci al primo settembre 1939, che è la data dello scoppio della guerra in Europa. In effetti è da questo momento che si sono cominciate a manifestare le prime distribuzioni di patrimonio da parte di coloro i quali avevano la sensazione precisa che l’Italia sarebbe entrata in guerra e che, quindi, tutto il sistema tributario avrebbe potuto risentire gli effetti della guerra medesima.

La data del 10 giugno 1940 non mi sembra la più esatta, perché viene a saltare proprio il periodo in cui coloro che avevano intenzione di preparare le evasioni le hanno potuto preparare più tranquillamente, in attesa della guerra imminente.

Ecco perché alla data del 28 marzo 1937 (che in ogni caso vorrei sostituita con la indicazione di un periodo, anche per giustificare perché noi la scegliamo) io penso si possa sostituire quella del 1° settembre 1939.

PRESIDENTE. L’onorevole Corbino propone, quindi, che la data del 28 marzo 1937 sia sostituita da quella del 1° settembre 1939.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Io devo ricordare che questa data del 28 marzo 1937 è già essa stessa il risultato di un compromesso. Il concetto che ha ispirato la Commissione è questo: il momento che fa sorgere la presunzione di un rimaneggiamento dei patrimoni è lo scoppio della guerra; ma non alla data 1939-40, poiché la guerra in Italia è cominciata nel 1935 con l’impresa d’Abissinia. È da quel momento che appaiono elementi obiettivi tali da far presumere che sin da allora si è cominciato a premunirsi contro provvedimenti fiscali straordinari.

Allora la Commissione, fra la data del 1935 e quella del 1940, ha deciso di considerare il decennio; da ciò la data del 28 marzo 1937.

Perciò io penso che si possa rimanere su questa posizione di compromesso, perché altrimenti bisognerebbe discutere quale delle due date, 1935 o 1940, occorra mettere nella legge.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Dichiaro che avendo presentato un emendamento all’articolo 8, il quale propone una modificazione più radicale, per ora non posso accedere alla nuova proposta, ed in questa veste ho anche firmato l’emendamento dell’onorevole Dominedò. Voterò quindi contro a proposta della Commissione, perché la data indicata elimina rapporti giuridici, che non sono creati, a mio modesto avviso ed anche per una certa esperienza professionale, in un periodo che giustifichi effettivamente l’ipotesi della evasione fiscale.

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Poiché la Commissione aderisce all’emendamento Marinaro, che è più comprensivo del mio, io rinuncio al mio emendamento e aderisco a quello Marinaro.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Corbino, ed avendo ascoltato anche quelle dell’onorevole Scoccimarro, rinunzio al mio emendamento per associarmi alla proposta Corbino di scegliere la data del 1° settembre 1939, come quella che ha effettivamente aperto il conflitto mondiale.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Effettivamente l’onorevole Scoccimarro ha riferito esattamente i termini in cui la questione si è posta in seno alla Commissione. Abbiamo dovuto esaminare anche il termine previsto della dichiarazione di guerra all’Abissinia, come periodo di sospetto. D’altra parte, quando abbiamo modificato le norme del decreto, non modificando tutto il periodo matrimoniale, abbiamo incontrato molte obiezioni da parte del Ministro e degli uffici finanziari, che ritenevano di dovere esaminare tutto il periodo matrimoniale per stabilire la situazione patrimoniale ed i rapporti fra marito e moglie.

La Commissione, adottando la data del 28 marzo 1937, ha ristretto effettivamente molto il criterio fiscale e tributario. Non vorrei che spostassimo di troppo questo periodo, perché se da un certo punto di vista abbiamo peggiorato la situazione per quanto riguarda i discendenti, per quanto riguarda i rapporti matrimoniali abbiamo messo gli uffici finanziarî in una certa situazione di difficoltà in questi accertamenti. Quindi, la Commissione mantiene il suo punto di vista, ed avendo accettato questo compromesso sul decennio, prega i colleghi di accettare il 28 marzo 1937.

PRESIDENTE. Passeremo allora innanzi tutto alla votazione dell’emendamento Corbino, accettato dall’onorevole Dominedò, tendente a sostituire, nel primo comma dell’articolo 3, la data del 1° settembre 1939 a quella del 28 marzo 1937.

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Voterò per la data del 28 marzo 1937.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Corbino.

(Dopo prova e controprova non è approvato).

Pongo in votazione il primo comma nel testo proposto dalla Commissione.

«Ai fini dell’imposta straordinaria, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, dopo il 28 marzo 1937».

(È approvato).

Dopo il primo comma occorre inserire, come secondo comma, gli emendamenti dell’onorevole Pesenti e altri e dell’onorevole Dugoni: due emendamenti che sono stati unificati dalla Commissione nel seguente testo:

«Agli stessi fini si considerano nel patrimonio del marito le azioni intestate a nome della moglie in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9».

L’onorevole Pesenti aderisce a questa formulazione. Anche lei, onorevole Dugoni?

DUGONI. Non aderisco, perché manca la specificazione della data di acquisto di questi titoli. Deve essere, a mio giudizio, specificato che questi titoli siano stati acquistati dopo il 28 marzo 1937, per mantenere integra l’economia dell’articolo.

LA MALFA, Relatore. La data del 28 marzo si riferisce agli acquisti della moglie, non del marito. Il primo comma dice che si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistali dalla moglie a titolo oneroso dopo il 28 marzo 1937. Ora questo acquisto a titolo oneroso è rappresentato anche nel secondo comma dalla intestazione delle azioni a qualsiasi data risalga l’acquisto da parte del marito. Quindi mi pare che il comma proposto dalla Commissione esaurisca la questione.

PRESIDENTE. Ella mantiene l’emendamento, onorevole Dugoni?

DUGONI. Di fronte all’insistenza della Commissione, lo ritiro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il testo unificato proposto dalla Commissione, che diventerà secondo comma dell’articolo 3.

(È approvato).

Passiamo al secondo comma, che diviene terzo:

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti».

L’onorevole Costa ha presentato alcuni emendamenti, svolti dall’onorevole Dugoni e accettati dalla Commissione e dal Governo.

Il primo è il seguente:

«Alle parole: anteriormente al matrimonio, sostituire: anteriormente a detta data».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il secondo emendamento è del seguente tenore:

«Alle parole: conseguiti durante il matrimonio, sostituire le altre: realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Il terzo emendamento è il seguente:

«Alle parole: di fondi provenienti da accensione di debiti, sostituire: di capitali provenienti da accensione di debiti».

Lo pongo in votazione.

(È approvato).

Pertanto il terzo comma risulta nel suo complesso del seguente tenore:

«È fatta eccezione per i beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dalla moglie anteriormente a detta data o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimenti di redditi proprî realizzati anteriormente alla stessa data del 28 marzo 1937 o di capitali provenienti da accensione di debiti».

PELLA. Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Avevo accennato all’ipotesi del matrimonio che sia stato celebrato dopo il 28 marzo 1937, ed avevo rappresentato l’opportunità di inserire una modifica all’emendamento per fotografare questo caso.

L’onorevole Dugoni, credo con una certa esattezza, ha osservato che doveva intendersi sottinteso nello spirito dell’emendamento.

Se così è, l’Amministrazione finanziaria, potrà, in sede di istruzioni, interpretare la portata dell’emendamento rispetto al caso particolare che accennavo. Ma siccome non vorrei che si eccepisse poi un eccesso di potere dell’Amministrazione finanziaria in sede di applicazione, desidererei restasse traccia, nel processo verbale della seduta, che effettivamente la Commissione e l’Assemblea ritengono che lo spirito dell’emendamento è quello accennato dall’onorevole Dugoni; che se cioè il matrimonio ha avuto luogo dopo il 28 marzo 1937, anziché fare aritmetico riferimento al 28 marzo 1937, occorre fare riferimento alla data di matrimonio.

Chiedo, quindi, alla Commissione ed alla stessa Assemblea, con quelle forme procedurali di cui l’onorevole Presidente è maestro, di consacrare nel processo verbale tale ordine di idee.

Una voce. Non sarebbe meglio fare una formulazione?

LA MALFA, Relatore. È implicito.

DUGONI. Comunque siamo d’accordo.

PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo al terzo comma che diviene quarto:

«Ai medesimi fini, si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 28 marzo 1937, quando la cessione dipenda:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico;
  2. b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensioni di debiti.

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

Alla lettera a) l’onorevole Dugoni ha proposto di sopprimere, a partire da: «esclusi quelli effettuati…» sino alla fine.

DUGONI. Ritiro l’emendamento per associarmi all’emendamento Pesenti.

PRESIDENTE. Sta bene. Alla stessa lettera a) l’onorevole Marinaro ha proposto di sopprimere le parole: «in occasione di matrimonio» e di aggiungere, dopo le parole: «patrimonio ecclesiastico», le altre «o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di matrimonio».

L’onorevole Marinaro è presente?

CRISPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Avevo presentato un emendamento inteso ad eliminare le parole «per costituzione di dote» allo scopo di far comprendere nell’esclusione tutte le donazioni in occasione di matrimonio. Poiché la formula proposta dell’onorevole Marinaro mi sembra più comprensiva, rinunzio al mio emendamento e fo mio quello dell’onorevole Marinaro.

PRESIDENTE. Ricordo che la Commissione e il Governo hanno accettato l’emendamento Marinaro, fatto proprio dall’onorevole Crispo, aggiungendovi alla fine la parola: «seguìto».

Lo pongo in votazione.

(Dopo prova e controprova è approvato).

 

DE VITA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Ricordo di aver presentato un emendamento sostitutivo alla lettera a) del seguente tenore:

  1. a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per donazione in occasione di matrimonio o per costituzione di patrimonio ecclesiastico».

Ora desidero far presente che con tale emendamento si rende più agevole l’opera degli uffici finanziari che debbono procedere all’accertamento, in quanto dicendo: «donazioni in occasione di matrimonio», fissiamo un elemento certo, mentre con la formulazione dell’onorevole Marinaro introduciamo un elemento di incertezza, che può mettere in serio imbarazzo gli uffici finanziari competenti. Ecco il significato del mio emendamento. Purtroppo si è già votato. Avrei desiderato che il Governo manifestasse il proprio pensiero in merito alla mia formulazione.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, le faccio osservare che l’emendamento che noi abbiamo ora approvato è più ampio della sua formulazione, perché parla di «altra assegnazione ai discendenti, ecc.». È evidente che la donazione è compresa tra le altre assegnazioni.

DE VITA. La donazione precede il matrimonio. Quando avviene il matrimonio, come fa l’ufficio finanziario a trovare il nesso tra la donazione ed il matrimonio?

PRESIDENTE. Dato che la votazione è avvenuta, ed essendo stato accettato l’emendamento dell’onorevole Marinaro, ritengo che la proposta dell’onorevole De Vita sia assorbita nel testo approvato.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Propongo il seguente emendamento aggiuntivo all’emendamento dell’onorevole Marinaro: «purché non siano limitati da usufrutto o diritto di abitazione».

PRESIDENTE. Osservo che vi è già un emendamento in tal senso presentato dall’onorevole Pesenti, il quale ha proposto di aggiungere: «a meno che non vi sia riserva di usufrutto o di abitazione».

DUGONI. Desidero riprendere tale emendamento come modifica all’emendamento Marinaro.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Voterò contro questa aggiunta, perché se la riserva di usufrutto o di abitazione può essere un elemento induttivo di frode allorché si fa il trasferimento a titolo gratuito a favore di terzi, non è stato mai indice di frode quando il trasferimento stesso si faccia a favore dei discendenti, perché è nella normalità delle cose che, donando ai figli una parte del patrimonio, i genitori se ne conservino il godimento vita durante. Dunque, richiamare questo preteso indice di frode alla legge, mi pare assolutamente inopportuno e fuori della realtà dei negozi di cui ci occupiamo.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Questi emendamenti sono stati presentati stamane e siamo tutti un po’ incerti. Non è il caso di improvvisare in una materia, che, viceversa, dovrebbe essere studiata ponderatamente. Per quanto riguarda l’usufrutto, abbiamo l’articolo 14 che regola, in linea generale, il valore dell’usufrutto stesso. Ritengo che non possiamo adottare una disposizione speciale.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Indubbiamente, questo emendamento tenderebbe a inserire una presunzione di frode, che era già, per le riserve di usufrutto nelle alienazioni a favore dei discendenti, inserita dell’articolo 811 del Codice del 1865, e che il nuovo legislatore del 1942 ha creduto di abolire, ragionando precisamente così: non si può presumere, in via assoluta, la simulazione di un atto e non si può mettere il giudice di fronte a presunzioni assolute, anche per casi in cui la simulazione non ci sia stata. Ora, dal momento che nella nostra legislazione ordinaria questa presunzione juris et de jure di frode, nei confronti dei discendenti, per le riserve di usufrutto, è stata superata, mi pare che sia un tornare indietro il volerla riprodurre in questa legge con l’emendamento in questione.

PRESIDENTE. Onorevole Dugoni, mantiene l’emendamento?

DUGONI. Lo conservo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione tale emendamento.

(Dopo prova e controprova, non è approvato).

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero far presente lo stato di disagio in cui ci troviamo discutendo una materia delicatissima come questa; chiedo pertanto, rispettosamente al Presidente che voglia sospendere questa discussione finché non abbiamo sott’occhio tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Bertone, mi pare che ella cada in un equivoco allorché sostiene questa necessità, perché gli emendamenti si trovano effettivamente tutti pubblicati in un voluminoso fascicolo, che è stato regolarmente distribuito. In ogni caso vi è l’archivio sempre aperto e a disposizione degli onorevoli colleghi.

Non so se l’onorevole Bertone faccia una richiesta formale; comunque, debbo far presente che noi ci troviamo generalmente in questa situazione: che molti emendamenti sono presentati all’ultimo momento, cosicché se tutti pretendessero di averli in tempo, non si potrebbe praticamente procedere alla discussione.

Per esempio, sull’articolo che stiamo esaminando sono stati presentati diversi emendamenti proprio in questo momento; e questi debbono essere accettati, a meno che non si decida che siano respinti tutti gli emendamenti che non sono stati presentati almeno 48 ore prima.

MICHELI. Basterebbero 24 ore.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo al desiderio unanime dell’Assemblea che gli emendamenti siano presentati in tempo utile per prepararsi alla discussione. Fra le 48 ore fissate dal Regolamento e il limite estremo a cui si è arrivati di presentarli durante la seduta, non potrebbe la Presidenza escogitare un termine breve che permetta di assicurare la celerità del lavoro, ma che consenta, nello stesso tempo, di avere conoscenza degli emendamenti prima che si apra la seduta?

PRESIDENTE. Onorevole Pella, il Regolamento prevede che si possono presentare emendamenti anche nel corso della discussione, quando abbiano dieci firme, e sappiamo che, data la cordialità e l’accordo che vi è tra i colleghi, è difficile che non si trovino le firme necessarie per presentare un emendamento. Bisognerebbe modificare il Regolamento; ma l’esperienza ci dice che, qualunque disposizione noi prendessimo, praticamente non sarebbe mai osservata, perché sono sei mesi che insistiamo a questo proposito, sono sei mesi che si discutono la Costituzione e progetti di legge e gli emendamenti sono sempre presentati in questo modo.

Sarei ben lieto di aderire all’ordine di idee che è stato manifestato, ma bisognerebbe che tutti coloro che in questo momento plaudono alle parole dell’onorevole Bertone, si chiedessero se non è mai avvenuto che essi stessi abbiano presentato emendamenti in ritardo.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. La Commissione non si trova in grado di esprimere un giudizio su molti emendamenti, venendone a conoscenza all’ultimo momento. Pregherei, pertanto, i colleghi, a nome della Commissione, di presentare gli emendamenti almeno 24 ore prima della discussione.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, lei ha sempre diritto, in base al Regolamento, quando si trova di fronte ad un emendamento presentato nel corso della seduta, di chiedere che ne sia rinviato di 24 ore l’esame; ma questa richiesta deve esser fatta per ogni singolo emendamento.

In fondo, si vuol salvaguardare fino all’ultimo minuto la possibilità ai membri dell’Assemblea di dare alta discussione a quel contributo che essi ritengono necessario. Talvolta, può veramente accadere che la discussione stessa sia di stimolo a qualche nuova formulazione. Non si può contrastare questo diritto; ma bisognerebbe servirsene veramente in caso di necessità

In ogni modo, onorevole Bertone, siamo alla fine di questo articolo, che si potrebbe completare. La discussione potrebbe poi essere rinviata a domani in modo che si possa avere il tempo di far stampare altri esemplari degli emendamenti.

Prego comunque gli onorevoli colleghi di volersi interessare per ritirare ogni mattina in archivio tutto il materiale di stampa di cui hanno bisogno per la discussione.

Passiamo all’emendamento dell’onorevole Persico:

«Aggiungere alla lettera a) le seguenti parole: o per divisione inter liberos, a titolo di successione ereditaria anticipata».

Onorevole Persico, mantiene questo emendamento?

PERSICO. Lo mantengo.

PRESIDENTE. La Commissione ed il Governo hanno dichiarato di non accettare questo emendamento. Lo pongo in votazione.

(Non è approvato).

La lettera a) rimane pertanto così formulata:

«a) da trasferimenti a titolo gratuito, esclusi quelli effettuati per costituzione di dote o per costituzione di patrimonio ecclesiastico o per fare altra assegnazione ai discendenti per causa di seguìto matrimonio».

Passiamo alla lettera b):

«b) da trasferimenti a titolo oneroso, salvo non sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data predetta o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi proprî o di fondi provenienti da accensioni di debiti».

L’onorevole Costa ha proposto di sostituire: «alla parola: fondi, la parola: capitali».

Questa proposta è accettata dalla Commissione e dal Governo.

La pongo in votazione.

(È approvata).

Vi è poi l’emendamento degli onorevoli Pesenti, Valiani, Lombardi Riccardo e Foa:

«Aggiungere come nuovo penultimo comma:

«Ai medesimi fini si considerano nel patrimonio del padre le azioni intestate al nome dei figli in occasione della nominatività obbligatoria dei titoli azionari disposta dal regio decreto-legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 9, salvo non sia dimostrato che le azioni erano state acquistate dal figlio – a titolo gratuito o a titolo oneroso – prima della conversione».

La Commissione ha dichiarato di accettarlo ed anche il Governo si è pronunciato favorevolmente. Lo pongo, pertanto, in votazione.

(È approvato).

Passiamo all’ultimo comma dell’articolo 3:

«Quando si fa luogo al cumulo previsto nel presente articolo, il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati, della quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi».

Gli onorevoli Adonnino, Micheli, Bosco Lucarelli ed altri hanno ora proposto di aggiungere, alla fine, le parole: «nei limiti del valore del bene ceduto».

Invito l’onorevole La Malfa, relatore, a pronunciarsi nei confronti di questo emendamento.

LA MALFA, Relatore. Onorevole Presidente, non sono in grado di esprimere un giudizio su un emendamento come questo, che va meditato.

Pregherei l’onorevole Adonnino di illustrarlo.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, vuole illustrare il suo emendamento?

ADONNINO. Lo scopo del mio emendamento è questo: in sostanza con questo articolo, in parte si annulla il trasferimento, in parte, nei riguardi reciproci dei due individui – padre e figlio, poniamo – si mantiene, perché il bene resta al figlio.

Facciamo un esempio. Un padre ha donato al figlio, parecchi anni addietro, un fondo di 100 mila lire. Adesso noi, ai fini dell’imposta progressiva, prendiamo questo fondo e lo consideriamo come un fondo del padre; e naturalmente, unito ai molti milioni che questo padre può avere, la quota proporzionale di imposta che graverà su questo fondo di 100 mila lire, potrà forse essere superiore alle 100 mila lire stesse. Perciò il padre, o gli eredi del padre, vanno da questo figlio e gli dicono: Pagaci più di 100 mila lire.

Paghi quindi esso per lo meno 100 mila lire e si consideri distrutto e come non avvenuto quel passaggio. In altri termini, la proporzione di aumento della progressione non deve incidere su quello che è personalmente del figlio. Mi pare chiaro.

PRESIDENTE. Chiedo al Relatore di esprimere il suo parere.

LA MALFA, Relatore. In sostanza mi pare che il collega Adonnino voglia evitare che si applichi al patrimonio un’aliquota che non sia quella ad esso pertinente in base al criterio della progressività.

PRESIDENTE. Lei è dunque d’accordo per quello che riguarda il concetto, onorevole La Malfa?

LA MALFA, Relatore. Vorrei valutarne tutta la portata.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Se ho ben capito, il pensiero dei proponenti è questo: che la rivalsa dell’imposta nei confronti di coloro che avrebbero dovuto essere i contribuenti, e non lo sono stati per quello specifico bene a causa del cumulo, cioè, nell’esempio citato, la rivalsa che viene esercitata nei confronti del figliuolo, non superi il valore del bene donato. Quindi, non è questione di evitare una progressività maggiore o minore; è questione di fare in modo che il limite della rivalsa non oltrepassi il valore del bene.

ADONNINO. Nei rapporti tra padre e figlio, lo Stato non c’entra.

PELLA, Ministro delle finanze. Così stando le cose – pur esprimendo qualche preoccupazione circa l’esattezza del termine «ceduto» – accolgo senz’altro l’emendamento a nome del Governo.

ADONNINO. Il termine si può anche modificare. Io parlavo di «ceduto», perché sopra si parla pure di «ceduto».

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole La Malfa se ha qualche cosa da aggiungere dopo le dichiarazioni del Ministro delle finanze.

LA MALFA, Relatore. Forse più esattamente si potrebbe emendare la dizione della «quota proporzionale al bene» dicendo: «ha diritto di rivalsa della quota che si applicherebbe a quel bene».

SCOCA. Qui supponete che si abbia una aliquota superiore al cento per cento. È assurdo.

LA MALFA, Relatore. Mi pare che ci sia un equivoco. Qui la dizione «quota proporzionale di imposta» – e do ragione al collega – può significare che si divide secondo i valori l’imposta, e si applica, quindi, a quel bene un’imposta superiore a quella che sarebbe applicata se il bene fosse tassato direttamente. E allora mi pare più semplice dire: «ha diritto di rivalsa di quell’aliquota che si applica a quel bene» (Commenti). Non può essere il valore del bene ceduto, cioè il valore di cessione, perché questo valore muta nel tempo. Quindi, se io accerto presso il figlio un bene ceduto ad un prezzo x, oggi lo accerto al suo valore reale; e quindi, se io accertassi presso il figlio quel solo bene, applicherei una certa aliquota, rispondente al valore reale di oggi. L’onorevole Adonnino vuol dire questo: che il padre si possa rivalere della quota d’imposta che si applicherebbe a quel bene, qualora fosse il solo bene posseduto da un soggetto fisico.

PELLA, Ministro delle finanze. Non è questa la portata dell’articolo.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. A me pare che debba restare fermo il testo della Commissione, fissando il criterio della proporzionalità, perché, se anche si accettasse il correttivo proposto dall’onorevole Relatore, ci si potrebbe trovare di fronte ad un cespite per il quale non si saprebbe come determinare la percentuale di imposta, in quanto potrebbe trattarsi di un valore al di sotto del limite imponibile.

LA MALFA, Relatore. Allora non c’è diritto di rivalsa.

CAROLEO. Se si stabilisce questo, sì. Ma non mi pare che sia giusto, perché, se ci sono dieci figli, a cui siano stati date eguali quote, inferiori al limite imponibile, e per le quali, nel complesso, il genitore sopporta anche il criterio della progressione, si lascerebbero esenti tutti gl’intestatari da ogni obbligo di rivalsa. Questo è un eccesso a cui non si potrebbe arrivare. Quindi mi pare che debba mantenersi fermo il testo della Commissione, che è esattissimo e che ci porta ad un criterio di proporzionalità. Tutti coloro che subiscono il cumulo finiranno col pagare rispettivamente una quota proporzionale al valore dei beni ricevuti.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Ci troviamo di fronte ad una questione di una grande delicatezza e gravità, ed io raccomando al Ministro delle finanze di voler bene ponderare, anche per la finanza e per gli uffici fiscali, le conseguenze alle quali si potrebbe andare incontro adottando un provvedimento senza avere prima ben meditato.

L’onorevole Adonnino diceva che lo Stato qui non c’entra. Viceversa c’entra e moltissimo! Questa questione sorgerà al momento in cui l’intestatario di tutti i beni ha avuto liquidato dalla finanza l’imposta progressiva che deve pagare. Dovrà pagare – supponiamo – 50. Egli ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni cumulati nel suo patrimonio per una quota, e vedremo quale essa possa essere. Questa quota certamente non può essere la progressiva a cui egli è stato sottoposto, perché egli paga in base ad un patrimonio di 100, mentre colui il quale ha conferito fittiziamente i suoi beni, attraverso il cumulo pagherebbe soltanto 10, 8, 5. Quindi evidentemente si ha una diversità d’imposta.

In secondo luogo, supponiamo che si faccia uno scarico verso il possessore reale dello stabile o del fondo. Costui rimborserà la sua quota, ma l’importante è che colui che è stato tassato d’una imposta progressiva ha il diritto, per ragioni di onestà e di moralità, di essere scaricato della parte d’imposta che si riferisce ad un bene per cui ha diritto di rivalersi.

E allora ecco dove entra l’ufficio fiscale! Si dovrà rivedere la tassazione, ed ogni volta che sorgerà un caso del genere, bisognerà esaminare la posizione del riversante e del riversato, il che vuol dire ritoccare, rivedere le tassazioni.

Non so se a questo si voglia addivenire. Io mi permetto di far presente all’Assemblea la questione, la quale – a mio modestissimo avviso – è importantissima non soltanto per il contribuente, ma anche per lo Stato e per gli uffici fiscali.

Quindi è opportuno meditare bene sull’emendamento prima di prendere una decisione.

SCOCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCA. Io non vedo la gravità del problema. Credo che ci figuriamo un castello che è un castello in aria. La norma del progetto che stiamo discutendo mi sembra sufficientemente chiara. Che cosa vuole la legge? La legge vuole che si facciano i cumuli del patrimonio ai fini dell’applicazione dell’imposta e considera due, tre, quattro patrimoni, giuridicamente divisi, come un patrimonio unico ai fini dell’applicazione dell’imposta progressiva. Ma siccome la realtà giuridica è diversa dalla finzione della legge, il legislatore (ed è proprio il legislatore, perché ci troviamo di fronte ad un provvedimento che ha già efficacia di legge), il legislatore che ci ha preceduti ha considerato il caso per risolvere la questione del riparto dell’imposta sul piano normale: cioè ha dato possibilità a chi ha pagato l’imposta di rivalersi verso l’intestatario, cioè colui che giuridicamente appare il proprietario dei beni.

Il timore che l’onorevole Adonnino affacciava nel proporre il suo emendamento era questo: che siccome l’imposta è progressiva e siccome si arriva a pagare una somma diversa da quella che si pagherebbe se la tassazione avvenisse separatamente, la rivalsa potrebbe assorbire completamente il valore del bene cumulato.

Se questo è il timore dell’onorevole Adonnino, esso non ha ragione di essere, perché, per quanto sia alta l’aliquota, non arriva mai al cento per cento, mentre perché si verifichi l’ipotesi prospettata dall’onorevole Adonnino bisognerebbe che l’imposta superasse il cento per cento.

Qual è il caso che si può verificare? Che il diritto di rivalsa superi la quota di imposta proporzionale che quel determinato intestatario dovrebbe pagare se i beni fossero tassati separatamente. Ma questo è nello spirito della legge che considera più entità patrimoniali come formanti un unico oggetto di tassazione.

Comunque, a me pare lampante che il timore prospettato dall’onorevole Adonnino non ha luogo di essere e che, quindi, si possa in piena tranquillità votare la formula come è stata proposta: porre il limite di cui all’emendamento equivale a supporre una condizione di cose che non può verificarsi.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mi pare si debba premettere che in questa questione della ripartizione il fisco non c’entra. Il fisco percepisce dalle mani del cumulatario, cioè da colui a favore del quale è stato fatto il cumulo, ma lascia che cumulante e cumulatario se la vedono fra di loro.

La rivalsa, secondo me, dovrebbe essere proporzionale, cioè pari al tasso d’imposta che viene pagato dal cumulatario. Perché questo? Perché in generale queste suddivisioni di patrimonio vanno da persona che deve probabilmente premorire verso persona che normalmente vive più a lungo.

Quindi coloro che dovrebbero vivere più à lungo riceverebbero al momento dell’eredità il bene diminuito della quantità d’imposta che avrebbe dovuto pagare il cumulatario. Sostanzialmente quindi, dobbiamo fare come nel caso della divisione ereditaria in cui facciamo pagare ad ognuno una quota proporzionale di quello che è stato pagato complessivamente al fisco. La situazione è la stessa e perciò deve essere mantenuto il testo del Governo.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono d’accordo con l’onorevole Scoca nel ritenere che non vi sia materia di discussione. Il cespite sarà colpito con una aliquota, ma siccome l’aliquota anche la più alta, è sempre inferiore al valore del cespite, non può presentarsi il caso che un contribuente debba pagare un’imposta più alta del valore del cespite medesimo (Commenti).

Ci sarà una differenza di aliquota fra quello che il conferente avrebbe pagato se il patrimonio fosse stato suo e quello che invece paga il patrimonio cumulato. Non può sorgere il problema che Tizio sia chiamato a pagare per l’imposta pagata dal padre più di quello che valgono i beni che il padre gli ha concesso.

C’è piuttosto una questione che affiora dall’articolo 3, e che è in relazione con l’articolo 60, per quello che concerne le sanzioni per coloro che non pagano. Perché noi qui concediamo il diritto alla rivalsa, ma potrebbe darsi che il fisco domandi a colui che viene ad essere privato dell’obbligo di pagare, di contribuire con il suo patrimonio all’imposta del contribuente principale. Questa è la questione che noi dobbiamo porre fin da questo momento, riservandoci di esaminarla in sede di articolo 60.

Le preoccupazioni dell’onorevole Bertone mi pare siano infondate, perché il fisco in tutto questo non c’entra. Io devo pagare per me ed i miei figli: è un affare che devo regolare con i miei figli, non è un affare che il fisco deve regolare con me e con i miei figli.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. A me pare che la questione sia ormai chiara in un punto iniziale; che, cioè, l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Adonnino non possa creare nessun pregiudizio in riferimento agli obblighi del cumulatario di diversi patrimoni, nel quale cioè si accumulano i patrimoni, sui quali si deve pagare. Non vi possono essere preoccupazioni al riguardo. Quello che diceva l’onorevole Bertone non ha fondamento, perché l’emendamento aggiuntivo tende a disciplinare i rapporti tra colui che è proprietario fittizio e colui che è proprietario effettivo degli immobili. Vi è una garanzia reale dello Stato verso questi immobili, per modo che non sarà possibile a colui che è fittizio proprietario di sfuggire al pagamento della imposta. Dopo di che rimane da chiarire il rapporto fra coloro che pagano e coloro che sono esenti. Per questi rapporti mi pare che quanto è detto nell’ultimo capoverso dell’articolo non sia preciso, perché dire: «Il contribuente ha il diritto di rivalersi, verso gli intestatari dei beni accumulati con quota proporzionale d’imposta afferente i beni medesimi» fa nascere il quesito: ma qual è la quota proporzionale afferente i beni? Ve n’è una che appare nei rapporti dei beni cumulati, ma ve n’è un’altra, e non interessa il fisco, quella che si riferirebbe agli immobili qualora fossero tassati separatamente. A questo riguardo vi può essere anche un bene il quale non giungerebbe ad essere tassato. Per questo bene non tassato, indubbiamente, l’individuo proprietario non deve niente al fisco, ma ha il dovere di dare la quota proporzionale a colui che è fittizio proprietario. L’onorevole Adonnino dice: Possiamo avere l’ipotesi che l’imposta che grava su questo cespite per il fittizio cumulo sia una imposta che superi addirittura il valore del cespite. Mi pare che questa ipotesi si possa verificale agevolmente, perché, ad esempio, la quota del 61 per cento riflette l’interezza dei beni, i quali fittiziamente vengono a cumularsi, ma non si riferisce a ciascun cespite. Faccio questa ipotesi: in un patrimonio di centinaia di milioni, che varca lo scatto ultimo per centomila lire, questo cespite, singolarmente preso, non è tassabile. Quando viene ad essere tassato proporzionalmente agli altri beni accumulati fittiziamente, raggiunge una quota altissima: il 30 o il 40 per cento di tutti i beni. Questa percentuale rappresenterà una quota di venti milioni di imposta. Allora l’emendamento aggiuntivo tende a dire: il massimo della quota che il cumulato può pretendere dall’intestatario non deve superare il valore del cespite. Onde credo che si possa aderire a questo emendamento, il quale tende a far sì che la quota proporzionale di colui che deve pagare per un cespite inserito fittiziamente nei beni del cumulante non possa superare al massimo il valore del cespite stesso.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Io penso che la parola della saggezza portata dall’onorevole Bertone sia quella da seguire.

È sorta una grave questione che più si discute e più complicata diventa, perché vedo per esempio questo: che i colleghi che si sono occupati della questione hanno guardato alla lettera a) ma non hanno guardato alla lettera b).

Sono colpiti anche i trasferimenti a titolo oneroso che si presumono, ai fini puramente fiscali, fittizi, simulati, ma che però sono tanto veri per quanto il padre chiama il figlio a rimborsare la proporzionale. In questo caso noi avremo la certezza che questo trasferimento, che è ritenuto fittizio ai fini fiscali, è reale giuridicamente. Tanto è vero che il figlio non può opporre al padre: io ho fatto questo negozio per farti un favore, quindi nulla ti devo.

Se non gli risponde questo è perché il negozio, che fiscalmente è fittizio, giuridicamente è reale. E in questo caso noi ci troveremo di fronte a un compratore che dovrebbe riversare milioni al suo venditore, che potrebbe essere anche un altro prezzo della cosa, che potrebbe essere anche il 61 per cento.

Vi prego di considerare anche il caso, che è stato tenuto presente, di una donazione vera e propria.

Qui si avrebbe che il donatario dovrebbe scontare gli effetti della ricchezza del donante. E considerate poi la situazione in cui si troverà questi quando dovrà fare i conti in sede di divisione ereditaria coi proprî fratelli. Che cosa dovrà imputare alla propria quota? Quello che avrà avuto al momento della donazione o questo tanto poi diminuito di quel 61 per cento che in ipotesi avrebbe rimborsato subito?

Mi pare che sorgono delle questioni talmente gravi che meritano che noi rinviamo il seguito di questa discussione a domani mattina, perché si faccia una disposizione sensata, e in questo senso faccio formale proposta che la discussione sia rinviata a domani mattina.

SCOCCIMARRO. Se si accetta la proposta dell’onorevole Condorelli, io mi riservo di intervenire nella discussione in seguito.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Sulla proposta dell’onorevole Condorelli, premetto che ne raccomanderò l’accoglimento.

Quando l’onorevole Adonnino ha proposto il suo emendamento, istintivamente abbiamo sentito che vi potevano essere delle ragioni di giustizia per determinare un limite all’esercizio della rivalsa; ma forse il calcolo aritmetico porterà a pregare l’onorevole Adonnino di ritirare il suo emendamento.

Infatti, premesso che questo ultimo comma spiega i suoi effetti esclusivamente nei rapporti interni fra cumulatario e cumulato, per cui il fisco è fuori discussione, salvo le eventuali ripercussioni in sede di garanzia per la riscossione, se l’ultimo comma stabilisce che l’imposta deve essere ripartita in proporzione dei valori attribuiti ai diversi cespiti, è esatto che la preoccupazione dell’onorevole Adonnino non ha ragione d’esistere, in quanto mai vi potrà essere una quota di imposta superiore al valore del cespite cumulato.

La portata dell’ultimo comma, così come è stato presentato davanti all’Assemblea, è nel senso che l’imposta deve essere ripartita proporzionalmente ai valori dei cespiti, e pertanto io debbo arrivare alla conclusione – anche a modifica di quanto ho detto prima – che l’onorevole Adonnino potrebbe tranquillamente ritirare il suo emendamento.

Però è affiorata un’altra questione, a cui ha accennato qualche oratore, relativa alla tecnica della rivalsa.

Se fosse esatto che tutto questo complesso di cumuli rappresenta il rimedio contro le simulazioni che sonò state poste in essere a danno del fisco, evidentemente non dovremmo neanche configurare un diritto di rivalsa, posto che il frazionamento del patrimonio sarebbe interamente fittizio.

Tenuto all’imposta è il vero contribuente, ma il diritto di rivalsa nasce dalla presunzione di simulazione fiscale, che può parzialmente o totalmente essere in contrasto con una determinata realtà giuridica.

Ed allora nasce il problema se in tale ipotesi – ed è tutta una gamma di ipotesi che soprattutto possono differire fra loro, a seconda che ci troviamo sul piano dei trasferimenti a titolo gratuito o a titolo oneroso – la forma di rivalsa configurata dall’ultimo comma dell’articolo in discussione sia la più felice. Ed è allo scopo di riesaminare tutta questa materia, che aderisco alla proposta dell’onorevole Condorelli di rinviare la discussione ad una successiva seduta.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Desidererei dare un chiarimento che può servire al Governo, non essendo perfettamente d’accordo con la dichiarazione del Ministro. L’onorevole Adonnino ha portato all’estrema conseguenza un caso di questo genere: si tassa un miliardo con una aliquota progressiva del 50 per cento. Se divido proporzionalmente l’imposta su qualsiasi cespite io applico il 50 per cento. Se raggiungo il miliardo, cumulando 100 milioni di un discendente, questi cento milioni sono tassati al 17 per cento, cioè io pagherei di imposta 17 milioni. Se invece pago proporzionalmente, pago 50 milioni. Questa è la questione che pone l’onorevole Adonnino, ed è questione molto importante. In effetti, se divido una imposta proporzionalmente, non tenendo conto dell’entità patrimoniale, gravo i patrimoni piccoli di rivalsa molto di più dei grandi. (Commenti).

SCOCA. Allora aboliamo il cumulo!

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviata alla seduta antimeridiana di domani.

La seduta termina alle 13.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE BOSCO LUCARELLI

 

 

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Cifaldi                                                                                                              

Nobile                                                                                                               

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                            

Porzio                                                                                                               

Colitto                                                                                                             

Conti                                                                                                                

Caronia                                                                                                            

Dugoni                                                                                                              

Gullo Fausto                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Lopardi                                                                                                             

Dominedò                                                                                                         

Zuccarini                                                                                                         

D’Aragona                                                                                                       

Einaudi                                                                                                             

Uberti                                                                                                               

Nitti                                                                                                                  

Fabbri                                                                                                               

Bozzi                                                                                                                 

Pallastrelli                                                                                                    

Paris                                                                                                                 

Piccioni                                                                                                             

Malagugini                                                                                                      

Merighi                                                                                                             

Medi                                                                                                                  

Miccolis                                                                                                           

Gasparotto                                                                                                      

Togliatti                                                                                                          

                                                                                                                          

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Interrogazione e interpellanze con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Togni, Ministro dell’industria e del commercio                                                    

Li Causi                                                                                                             

Malagugini                                                                                                      

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo riprendere l’esame e la votazione sulle materie deferite dal testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 alla potestà legislativa della Regione. Sono stati approvati i primi dieci alinea. Passiamo ora all’undicesimo alinea: Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.

L’onorevole Nobile ne ha proposto la soppressione.

L’onorevole Caronia, con altri deputati, ha proposto di sostituire la seguente dizione: «Lavori pubblici d’interesse regionale». Si tratta quindi di un emendamento soppressivo della prima parte dell’alinea.

Dovremo passare ora alle votazioni sugli emendamenti.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Sono contrario all’inclusione delle materie che riguardano la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici, sia pure di interesse regionale. Per quanto, specialmente, attiene agli acquedotti, nonostante la limitazione che siano di «interesse regionale», è facile intuire le difficoltà che sorgerebbero, se in questa materia dovesse legiferare la Regione. Per convincersi di ciò basta ricordare quanto è avvenuto nei riguardi dell’Acquedotto pugliese. Quando si dovette decidere della regione, del posto, delle sorgenti dove attingere l’acqua per tante centinaia di Comuni, il Comune proprietario ed i viciniori videro nella creazione di quell’acquedotto una spoliazione a danno delle loro esigenze locali, e quindi quell’opera che interessava una vastissima plaga si è potuta compiere solamente con una concezione unitaria del problema. Oggi vi è la richiesta di buona parte della Campania, e specialmente di Napoli, di un acquedotto che tragga le acque dal Biferno e dal Torano, da zone cioè che appartengono alla Regione del Molise. Ma a questo progetto in via di esecuzione, si oppone la provincia di Campobasso, che insorge contro l’attuazione del progetto stesso, perché lo ritiene contrario agli interessi della sua zona. Ora, solamente con un visione di carattere generale sarà possibile dare acqua a centinaia di Comuni e ad una città come Napoli. Se questo problema dovesse essere di competenza regionale, la sua attuazione pratica sarebbe impossibile. Prego gli onorevoli colleghi di fermare la loro attenzione su queste considerazioni sommariamente esposte, ma che da ciascuno di noi potranno essere maggiormente vagliate, per negare che la Regione debba legiferare anche in materia di acquedotti. Si tratta di poter conciliare gli interessi singoli locali con interessi di carattere generale, si tratta di vincere le possibili e comprensibili resistenze locali, sorte sotto l’impressione di un’eventuale perdita di qualche ricchezza locale, per cercare un beneficio a più largo raggio che interessa la vita nazionale.

E solamente con una visione di carattere generale che possa partire dal centro si può vincere una resistenza di carattere locale.

Sono quindi contrario a questa inclusione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Desidero sapere se è esatto che su questa voce il Comitato abbia introdotto modifiche al testo primitivo, cancellando le voci «viabilità ed acquedotti».

PRESIDENTE. Noi abbiamo sott’occhio il testo del Comitato. Alla Presidenza non risulta alcuna modificazione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dichiarare all’onorevole Cifaldi che il caso da lui addotto non sembra rientrare nell’interesse esclusivo regionale. Quando si tratta di un acquedotto che eccede l’interesse della Regione, competente sarà lo Stato. La sua preoccupazione non sarebbe dunque fondata.

Quanto all’onorevole Nobile, faccio presente il Comitato non ha innovato nulla. Tiene conto che l’espressione «Lavori pubblici di interesse regionale» comprende anche la viabilità e gli acquedotti. Bisogna mettersi in mente che il Comitato non formula nuove proposte, ma considera gli emendamenti presentati. Il testo rimane: «Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale». Se l’Assemblea crede di votare «Lavori pubblici di interesse regionale», comprendendo in questi gli acquedotti e la viabilità, il Comitato non ha nulla da opporre.

CIFALDI. Si potrebbe votare per divisione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho da fare alcuna proposta.

PORZIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Non so come esprimermi per persuadere gli onorevoli colleghi che non mi muove altro che non sia unicamente il desiderio di giovare, senza partito preso, senza ostilità preconcette. Io vorrei che gli onorevoli colleghi avessero la bontà di considerare tutta l’importanza di questa formulazione, specialmente – devo dirlo – per il Mezzogiorno d’Italia. Perché ha ben detto l’onorevole Cifaldi per tutto quello che concerne gli acquedotti (e nella questione dell’acquedotto è naturalmente compreso un grande interesse di Napoli, che è la capitale della Campania con o senza il Molise); ma, in questo alinea, io vedo anche scritto: «e i lavori pubblici di interesse regionale».

Vorrei sapere quali sono questi interessi regionali nel campo dei lavori pubblici. Signori miei, nientemeno questa legge andrà forse in vigore quando ancora le macerie ingombreranno le nostre città, come avviene in gran parte del Mezzogiorno. Io son venuto ieri da Frosinone e non ho visto che disastri! Per lavori pubblici di interesse regionale s’intende rifare le strade, gli edifici, i ponti e scuole, ospedali, ecc. Ma questo è un attentato contro il risorgimento meridionale, contro regioni così provate dal disastro guerresco.

Sapete che il Mezzogiorno d’Italia ha una grande storia, ha uomini veramente insigni e nomi celebri nei fasti del nostro Risorgimento; ha fertilità, bellezze; ma ha delle magre risorse economiche. Ed allora voi tutto il suo divenire lo affidate alle Regioni, ad enti poveri, ponendo una miseria su un’altra miseria. E lo Stato apparirà, secondo il mio concetto, come un sommo sacerdote, una specie di Ponzio Pilato che si lava le mani riversando oneri, spese, ricostruzioni, tutto, sulle miserabili Regioni che dovranno provvedere a così vaste ed essenziali esigenze. Ecco perché vorrei pregarvi di considerare queste condizioni, e di chiarirle. Siamo mossi da un desiderio di amore al Paese, di fervore nell’adempimento del nostro dovere.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Sia dall’onorevole Cifaldi che dall’onorevole Porzio si è fatto accenno al Molise. Gli esempi da essi indicati mi inducono a votare a favore del testo, ché tali esempi si aggiungono come altri argomenti a quelli che erano già nella mia mente e già mi inducevano a votare come ho detto. Nel 1904 al Molise vennero sottratte le sorgenti del Volturno. Questo, evidentemente, non sarebbe accaduto, se intorno al destino di quelle sorgenti avesse potuto legiferare la Regione.

Una voce. Ecco che la Regione serve a questo scopo.

COLITTO. Questo mi pare che si prepari di nuovo per le sorgenti del Biferno. Le preoccupazioni della mia terra sono tali e tante, per cui io penso che opportunamente interviene in sua difesa la norma, alla quale do il mio voto.

CONTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONTI. Ho ascoltato con molto interesse il collega onorevole Porzio, il quale porta una nota malinconica nella nostra discussione intorno alla Regione. L’onorevole Porzio è sempre molto commosso quando parla della Regione, perché intravede nel progetto la fine di questa povera unità d’Italia che ha tanto giovato al Mezzogiorno. Siamo all’ottantasettesimo anniversario dell’unità d’Italia ed il Mezzogiorno è il paese che non ha né acquedotti, né strade, né ferrovie, né tranvie, né enti di beneficenza, né fognature, né scuole, né ospedali: niente. (Applausi). Ed allora è evidente che l’esperimento deve significare, per tutti i rappresentanti della Nazione in questa Assemblea, per lo meno incitamento a tentare un’altra via. Noi, regionalisti convintissimi, siamo qui i primi ad affermare che non giuriamo sulla efficacia del Progetto; che noi non siamo affatto sicuri, come non lo siamo per nessun’altra riforma, dei risultati eccellenti di questo ordinamento regionale che noi proponiamo. Ma diciamo che la coscienza di ognuno di noi deve imporre, almeno, che l’esperimento si faccia. Dopo l’esperimento concentrazionista, dopo l’accentramento statale, dopo il nulla che si è verificato durante 87 anni vediamo se, chiamando le regioni a nuova vita, possa prodursi qualche risultato benefico. Questo è il concetto che ci muove.

Quando poi sentiamo l’onorevole Cifaldi che fa eco all’onorevole Porzio, e sentiamo tanti altri che si mettono sulla stessa strada, assolutamente errata, di considerare la Regione come un ente territoriale, con tanto di muraglia della Cina attorno, chiusa a sé, la Regione che guarda i suoi interessi egoisticamente senza considerare gli interessi nazionali, allora siamo costretti a dire: non avete riflettuto abbastanza su questo grosso problema; non avete compreso che non si tratta di un problema di carattere territoriale, che non si tratta di interessi particolaristici, i quali escludano gli interessi della Nazione, ma che si tratta di una divisione di lavoro. Si vuol portare tra le popolazioni, le quali stanno ad attendere da Roma tutti i benefici, la preoccupazione di risolvere i problemi locali con le proprie forze. (Approvazioni).

Una voce a sinistra. Che non ci sono.

CONTI. Se mi si risponde da parte dell’onorevole Porzio con un’offesa alle popolazioni meridionali, io devo difenderle pur non essendo cittadino del Mezzogiorno, non avendo cioè questo vanto. Egli dice: i meridionali non si muovono; sono gente che bisogna spingere; sono gente che bisogna portare per mano…

MICCOLIS. Crede lei che sia così. Non abbiamo bisogno di essere portati per mano.

CONTI. Lei, onorevole Miccolis, non ha capito! Ripeto quanto sembra voglia dire l’onorevole Porzio.

PORZIO. Non ho detto questo!

CONTI. Se si fa questa obiezione, io dico che si deve riconoscere alle popolazioni meridionali tanta intelligenza, tanta energia, tanta capacità da non aver bisogno della burocrazia romana per vivere (Applausi al centro) e per provvedere a se stesse. Basta, dunque, caro amico Porzio, con le melanconie.

Siamo sempre daccapo con la storia delle capitali, e siamo sempre daccapo con la storia della sorgentucola di acqua e con la storia della strada regionale… Ma, benedetto Iddio, quando faremo lo sforzo di capirci? Quando riusciremo a chiarirci questo problema? Quando si riuscirà a capire che, al di sopra degli interessi regionali, al di sopra degli interessi locali, il Progetto pone in modo fondamentale l’interesse nazionale? Che nulla si può fare che prescinda o che sia in contrasto con l’interesse nazionale? Che nulla può essere fatto e neppure proposto se sia in contrasto con l’interesse nazionale?

Si è detto, se non ho mal capito, che l’Acquedotto pugliese è stato possibile per una concezione unitaria dello Stato. Ma non diciamo sciocchezze! La concezione unitaria, onorevole Cifaldi, non c’entra proprio per niente. (Interruzione dell’onorevole Cifaldi).

PRESIDENTE. Non dimentichiamo che stiamo trattando la questione degli acquedotti in generale.

CONTI. Dicevo, dunque, l’Acquedotto pugliese è stata opera di carattere nazionale, proprio perché v’è stata una coscienza regionale che si è mossa e che lo ha imposto. Non si sarebbe fatto l’Acquedotto pugliese, se in questa Camera, anzi dai banchi dell’antica auletta, Matteo Renato Imbriani non avesse gridato, in cento sedute il suo grido: «La Puglia ha bisogno di acqua e di giustizia». Ci sono voluti anni ed anni per ottenere quell’opera grandiosa.

Oggi si discute per l’acquedotto di Napoli. E l’onorevole Colitto, che ci appare un po’come imperatore del Molise, si oppone alla captazione delle sorgenti di quella regione a favore di Napoli. Ritengo non ci sia nulla di straordinario in questo: è naturale che i più vicini alle sorgenti neghino l’acqua alle popolazioni lontane. Immagino che l’onorevole Colitto preferirebbe che le acque fossero captate a benefìcio delle popolazioni della regione. Questi piccoli egoismi sono nella natura umana, onorevole Cifaldi! Ma basta richiamare ancora una volta il principio che la sovranità d’una Assemblea nazionale supererà queste difficoltà campanilistiche e questi egoismi regionali. Sarà facilissimo, con una legge votata dal Parlamento nazionale, stabilire che le sorgenti del Molise siano di vantaggio per i cittadini di Napoli ed eventualmente di altre città.

Dovete uscire dalle strettoie, nelle quali siete voi antiregionalisti. Dovete sveltirvi; siete addormentati. (Applausi al centro – Rumori a sinistra). Amico Porzio, non essere vecchio; sii giovane, svegliati, diventa regionalista anche tu. (Applausi al centro).

PORZIO. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Il mio amico onorevole Conti mi vuole ringiovanito. Egli ha detto che io parlavo della Regione con un senso, con una nota di melanconia. E, forse, sarà. Ma egli, invece, ha parlato dell’unità italiana secondo una visione puramente pessimistica, perché ha negato ogni utile attività a questi 87 anni di risorgimento e di unità nazionale. Eppure credo che la mia città, Napoli, abbia conseguito progressi, pur tra lotte ed ostacoli.

Se non vi fosse stata la guerra, con tutte le sue iatture ed i suoi orrori, Napoli avrebbe ancora vive ed operanti le sue fonti di ricchezza, ora completamente distrutte; cosa della quale noi ci siamo occupati, ma che però ha trovato scarsa eco nell’Assemblea.

Ma all’onorevole Conti devo dire che le sue osservazioni sarebbero state, come sono state, forse, efficaci, in sede di discussione generale, la quale ormai è stata fatta; il dado è tratto ormai. Voi ve ne compiacete; io no, ma comunque, recriminare non giova!

Io desidero richiamare l’attenzione della Costituente sull’alinea che è in discussione.

Non è più il caso di ripetere considerazioni d’ordine generale. Restiamo nel tema. L’alinea riguarda la viabilità, gli acquedotti ed i lavori pubblici che si vorrebbero addossare alla Regione. Ecco il mio allarme.

Il mio amico Conti dice: ci si preoccupa per qualche piccolo rigagnolo d’acqua.

No, no, noi ci preoccupiamo di acquedotti e delle cascate d’acqua che sono inoperose e che devono essere riconvogliate, utilizzate per interesse pubblico, generale. Or ora, avete la palmare dimostrazione della fondatezza delle mie preoccupazioni. Il mio amico Colitto, quando ha sentito parlare di un contributo del Molise (che, per me, è sempre nella regione campana) alle necessità della regione campana si è ribellato ed io pensavo fra me a quel che avevo accennato nella discussione generale, ormai già fatta. Ma dico: guardate che risorgono gli egoismi, risorgono gli antagonismi, e noi torniamo al vecchio «i pisan veder Lucca non ponno»! (Applausi) Lasciamo andare le discussioni di ordine generale.

Il Presidente cortesemente non mi ammonisce, ma indovino che pensa: restate nel tema. Ci sono.

Il tema è questo! Voi volete affidare i lavori pubblici alla Regione, vale a dire, per esempio, la ricostruzione di una Napoli distrutta alla Regione. (Commenti).

Saranno perpetuate le liti all’infinito, i conflitti, i contrasti. Qui a Roma vi saranno ostacoli, interferenze, intoppi burocratici che impediranno il risorgere di questa o di quella Regione. E lungaggini, ritardi, una via crucis estenuante, la via tante volte percorsa penosamente da Napoli.

L’amico Conti diceva: snellite.

Sì, però i lavori si fanno con i denari, con le possibilità finanziarie. E quali sono queste possibilità finanziarie che noi abbiamo, quali?

Ed allora dico: senza preconcetti, senza ostilità, senza voler vulnerare nulla, anche per non dare un dispiacere al mio amico Conti, dico: guardate a questo pericolo. La questione generale, ripeto, è stata fatta, ma cerchiamo di tener presenti i destini del Mezzogiorno d’Italia, del quale tutti quanti parliamo, ma del quale non ci preoccupiamo abbastanza, ora che si stabiliscono gli obiettivi ed i limiti della legge. Ed ecco perché io invocavo ed invoco l’attenzione della Commissione, la considerazione dell’Assemblea, la quale solamente così acquista credito, valore, prestigio, quando cioè si preoccupa dei grandi interessi del Paese. (Applausi).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non rientriamo nella discussione generale. Quel che è avvenuto, è avvenuto! Quando si trattava di istituire o no la Regione, il tema dei lavori pubblici poteva influire in un senso o nell’altro.

L’onorevole Porzio temeva che, togliendo i lavori pubblici allo Stato, il Mezzogiorno ne avrebbe sofferto danno. Invece l’onorevole Conti partiva dal punto di vista che, poiché lo Stato non aveva fatto sufficienti lavori nel Mezzogiorno, era opportuno darne la competenza alla Regione, fornendo ad essa i mezzi necessari.

Fra le due correnti nelle quali si divideva l’Assemblea, ha prevalso quella che ha istituito la Regione. Faccio presente, all’amico Porzio che, una volta istituita la Regione, bisogna per forza attribuire ad essa dei lavori pubblici, perché non si può concepire una Regione senza competenza nel campo dei lavori pubblici. Ma molti, i più dei lavori pubblici resteranno allo Stato. Vi sono, in materia di viabilità, le strade comunali, provinciali, nazionali. Le strade nazionali e la loro Azienda resteranno allo Stato. La Regione potrà (sempre nel limite dei principî stabiliti da leggi della Repubblica) assumere la cura e la costruzione di strade che non siano di interesse statale, ma restino circoscritte nell’ambito della Regione. Ricordiamoci d’aver respinto l’emendamento dell’onorevole Caronia, il quale attribuiva tutte le strade, anche le nazionali, alla Regione. Oltre alle provinciali e comunali (salvo pur sempre una redistribuzione fra gli enti locali) vi saranno strade per così dire ultra provinciali che potranno essere attribuite alla Regione.

I porti non saranno assegnati alla Regione, perché hanno interesse nazionale: vanno alla Regione soltanto i piccoli porti lacuali. Vi è nei lavori pubblici una specie di graduatoria, appunto per la sfera d’interessi ai quali si riferiscono.

Quanto alla giusta preoccupazione dell’amico Porzio, osservo che i lavori di ricostruzione per danni causati dalla guerra non sono lavori pubblici nel senso usuale e proprio degli altri; tant’è che alle ricostruzioni e riparazioni di quei danni, si provvede più spesso mediante sussidî che sono concessi ai privati. Questa categoria di lavori non potrà ad ogni modo spettare e gravare sulla Regione, ma sarà compito e dovere dello Stato, in base ai criteri della più larga solidarietà nazionale e al riguardo uguali per tutte le parti d’Italia.

Riassumo, ripetendomi, il mio pensiero così. Primo: dato che abbiamo istituito la Regione, è naturale che le siano attribuiti lavori pubblici, e saranno quelli che non eccedono l’interesse regionale. Secondo: i danni di guerra eccedono i confini e la caratteristica dei lavori pubblici; comunque la ricostruzione è funzione non declinabile dello Stato. Questi chiarimenti ho voluto dare all’onorevole Porzio.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Abbiamo proposto di sostituire la formula della Commissione con l’altra: «Lavori pubblici d’interesse regionale», in quanto nel nostro emendamento all’alinea precedente, erano compresi la viabilità e gli acquedotti. Poiché tale emendamento non è stato approvato, mi adeguo alla formula della Commissione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Faccio mio l’emendamento dell’onorevole Caronia.

PRESIDENTE. Avverto che sull’alinea in esame è stata presentata richiesta di votazione per appello nominale. Pongo ai presentatori della richiesta la questione se essi intendano estendere la votazione a tutto l’alinea, o se intendano votare separatamente le voci dell’alinea.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Quando si poteva intendere l’espressione «lavori pubblici» come una frase sintetica, comprensiva di tutti i lavori pubblici, beninteso d’interesse regionale, il Comitato non aveva fatto formali difficoltà a tale dizione; ma ora che si è dichiarato che si vuole con essa escludere dai lavori pubblici la viabilità e gli acquedotti, il Comitato si oppone. Cosa resta se volete togliere specialmente la viabilità? Sarebbe più logico allora sopprimere tutto il comma.

DUGONI. Ma c’è anche la Provincia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’articolo di Costituzione ora in esame attribuisce alla Regione la viabilità d’interesse regionale; e ciò, si noti, come potestà di legislazione subordinata. Delle funzioni amministrative ci occupiamo nell’articolo successivo; e vedremo che alle Provincie possono restare le strade di loro esclusivo interesse.

GULLO FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO FAUSTO. Il Presidente della Commissione ha detto che s’intendono escluse dalla competenza della Regione le strade nazionali. Saranno escluse, per le stesse ragioni, le strade provinciali le quali hanno un ufficio tecnico che non si occupa se non di strade. Bisognerebbe sapere quali sono le strade che residuano e che diventeranno di competenza della Regione.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. L’onorevole Gullo ha fatto le osservazioni che avrei voluto fare anch’io. Mi associo, quindi a quanto egli ha detto.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ho già detto che in questo articolo si stabilisce quali sono le funzioni normative della Regione. Si attribuisce ad essa la potestà di legislazione secondaria (entro i principî base stabiliti dallo Stato) per la viabilità, gli acquedotti ed i lavori pubblici d’interesse regionale. Questa funzione normativa non coincide esattamente con le funzioni amministrative della Regione. Di queste si parla nella nuova formulazione proposta dal Comitato per l’articolo 112: «Spettano alle Regioni le funzioni amministrative per le materie indicate nel precedente articolo, in quanto regolate da norme speciali; salvo quelle di interesse esclusivamente locale attribuite con leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni e ad altri enti locali». Inoltre, è stabilito nel numero 8 delle disposizioni finali e transitorie; con un comma aggiuntivo, che «Fino a che non sarà provveduto al riordinamento ed alla distribuzione delle funzioni amministrative con gli altri enti locali, restano alla Provincia le funzioni amministrative attualmente ad essa attribuite e quelle di cui la Regione le deleghi l’esercizio».

PRIOLO. Ed alla Regione che cosa resta?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resteranno da costruire e da gestire strade che abbiano interesse non esclusivamente provinciale ma regionale, come sono molte di quelle che si chiamavano «provinciali di serie». Decideranno le leggi della Repubblica che potranno anche – e sarà un notevole vantaggio – rivedere un po’ la distribuzione dei servizi stradali fra Comuni, Provincie e Regioni. Siete sicuri che ai Comuni devono essere lasciate tutte le strade che hanno ora, anche quelle alle quali non possono provvedere? Non sarà meglio passarle in certi casi alla Provincia o anche alla Regione? Questa è una materia che la Costituzione rimanda a leggi della Repubblica. Intanto, per la norma transitoria, nulla pregiudica la competenza della Provincia.

Credo che l’onorevole Gullo possa essere soddisfatto.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Dugoni, il quale propone di votare semplicemente la formula: «Lavori pubblici di interesse nazionale». Poi, vi è la formula della Commissione: «Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale».

Dovrò porre anzitutto in votazione l’emendamento dell’onorevole Dugoni: «Lavori pubblici di interesse regionale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero mettere in guardia, ancora una volta, contro un possibile equivoco. Secondo i proponenti, con la dizione «lavori pubblici» si escludono la viabilità e gli acquedotti. Il Comitato si dichiara contrario.

PRESIDENTE. Tenendo conto dell’osservazione dell’onorevole Ruini, faccio presente che l’emendamento dell’onorevole Dugoni dovrebbe essere così formulato: «Lavori pubblici di interesse regionale, salvo la viabilità e gli acquedotti».

In questa maniera sarebbe chiaro il significato di questo emendamento, altrimenti si potrebbe cadere nell’equivoco accennato dall’onorevole Ruini.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Secondo il mio intendimento, l’emendamento ha questo significato preciso: che non possiamo dare alla Regione una facoltà esclusiva rispetto ai Comuni e alle Provincie, in materie così importanti come la viabilità e, soprattutto, come gli acquedotti.

CODIGNOLA. Ma è in via transitoria!

DUGONI. Sì, è in via transitoria; intendo anch’io, onorevole Codignola. Io l’ho detto nel senso che le materie riguardanti gli acquedotti e la viabilità non siano di esclusiva competenza della Regione.

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Ruini ha sollevato una eccezione abbastanza giustificata, prego l’onorevole Dugoni di formulare l’emendamento in modo che ogni possibilità di incerta interpretazione sia completamente eliminata.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io volevo dichiarare, nel caso in cui la proposta dell’onorevole Dugoni fosse messa ai voti per togliere alla competenza della Regione la viabilità, che non è esatto quello che egli ha detto in questo momento, che una norma, come quella proposta dalla Commissione e sostenuta dal suo Presidente, dia l’esclusiva amministrazione della viabilità alle Regioni.

Oggi chi è che ha questa esclusiva rappresentanza? Non l’ha certamente lo Stato per intero, perché i Comuni hanno la loro competenza e le Provincie altrettanto. Quale è la competenza che vogliamo dare alla Regione? Parte di quella dello Stato. (Commenti a sinistra).

Qui, cari amici, si tratta di decentrare sul serio…

NOBILI TITO ORO. Liquidatori dello Stato! (Vivaci commenti al centro).

MICHELI. Noi non cerchiamo di liquidare lo Stato, noi cerchiamo di rafforzarlo: siete voi che cercate di liquidarlo, ma non ci riuscirete, perché noi ve lo impediremo. (Commenti).

Noi, nella formazione della Regione, cerchiamo di stabilire quali sono le competenze statali che vengono affidate alla Regione stessa. In materia di viabilità – porto la questione sul terreno pratico – in materia di viabilità dunque, onorevole Dugoni, quali sono le competenze che ha presentemente lo Stato? Le strade di accesso alle stazioni, le strade di serie, le strade di allacciamento coi Comuni isolati, e parecchie altre.

TONELLO. Le strade nazionali.

MICHELI. Onorevole Tonello, questa volta non si tratta dei patronati scolastici! È un’altra cosa, perché nessuno vuole che le strade nazionali passino alle Regioni. Ma ad esempio, perché noi desideriamo che passino le strade di serie alla competenza della Regione? Le strade di serie sono state una geniale creazione del Ministro Baccarini con la legge del 1881, con la quale lo Stato veniva in aiuto alle Provincie impari da sole alla bisogna. Ma lo Stato è riuscito a sistemarne forse poco più della metà. Noi in provincia di Parma, in provincia di Piacenza, in provincia di Reggio, abbiamo ancora otto o dieci strade di serie che non sono state ancora terminate; quante decine d’anni ci vorranno ancora? Ebbene, ce le costruiremo da noi, con le nostre Regioni, amici miei. (Commenti a sinistra).

Non solo, ma aggiungo, onorevole Dugoni, per sua maggiore tranquillità, che le Regioni che non vogliono sostituirsi ai Comuni, li potranno anche aiutare per le strade intercomunali, specie per le maggiori che hanno interessi anche provinciali (Rumori). Voi non avete pratica di queste cose e non siete mai stati in mezzo come ci siamo stati noi che la Regione non abbiamo studiato sui libri, ma ce ne siamo persuasi attraverso le necessità quotidiane dei luoghi e dei cittadini. Ed è precisamente la loro voce che io vengo a portare a voi per confortarvi a disperdere questi vostri timori che non hanno ragione di essere. (Applausi al centro).

LOPARDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, teniamo presente che si deve tornare alla consuetudine delle dichiarazioni di voto che non riaprono la discussione. Ora invece sono ben tre quarti d’ora che stiamo discutendo in sede di dichiarazioni di voto.

Onorevole Lopardi, ha facoltà di parlare.

LOPARDI. Il collega onorevole Micheli ci ha tacciato, lui entusiasta dell’ente Regione, di non aver conoscenza pratica della Regione.

PRESIDENTE. Onorevole Lopardi, la prego: si attenga strettamente alla dichiarazione di voto.

LOPARDI. Io dichiaro di votare a favore dell’emendamento Dugoni per la ragione che, evidentemente, coloro i quali hanno formulato quella disposizione hanno dimenticato, mentre poi accusano noi di essere degli astrattisti, quelle che sono le condizioni di molte Regioni del Mezzogiorno. Il difetto è tutto questo. Per alcune Regioni si è fatto pochissimo, come, ad esempio, per la Basilicata: ma se non fosse intervenuta la legge speciale, non si sarebbe fatto neppure quel poco. Infatti molte Regioni, la maggior parte anzi delle Regioni nostre, non hanno i mezzi necessari per fare quello che è strettamente richiesto.

MICHELI. Ma c’è l’articolo 122.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, non interrompa, per favore…

LOPARDI. Lo Stato interviene. Se voi guardate nelle nostre Regioni, vedete una differenza sensibile tra le strade comunali, che sono tenute pessimamente, le strade provinciali, tenute un po’ meglio, e le strade nazionali, che sono tenute benissimo. Con l’approvazione di quell’articolo voi condannereste le Regioni nostre all’inferiorità più assoluta. Quando si parla, per esempio, di costruzione di strade, avreste la Regione ricca, la quale provvede largamente a se stessa anche con opere di lusso come certe autostrade, e le strade che si dovrebbero allacciare a quelle della Regione ricca e che appartengono alla Regione povera, o non sarebbero costruite affatto o sarebbero in condizioni disastrose. Ecco perché l’azione equilibratrice dello Stato, così deprecata dall’onorevole Micheli, è necessaria e provvida. E io credo che si farebbe opera dissennata e funesta, e soprattutto esiziale al Mezzogiorno, mantenendo quella disposizione di legge. Per questo voterò contro.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Voterò contro l’inclusione di questa voce. Mi permetto di far osservare che si continua a fare una deplorevole confusione fra potestà legislativa e potestà esecutiva…

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, lei ha chiesto di fare una dichiarazione di voto. Questa non è una dichiarazione di voto.

NOBILE. Ho finito. Constato che si continua a confondere la facoltà di fare leggi con la facoltà amministrativa. È una deplorevole confusione, che si ripercuote anche nella votazione.

PRESIDENTE. Dichiaro chiuse le dichiarazioni di voto. (Commenti).

Passiamo alla votazione.

C’è anzitutto l’emendamento dell’onorevole Dugoni, così formulato: «Lavori pubblici di interesse regionale, esclusi gli acquedotti e la viabilità nazionale».

Poiché è stata ritirata la richiesta di appello nominale, metto ai voti questo emendamento per alzata e seduta.

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione della formula della Commissione:

«Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale».

CIFALDI. Come precedentemente avevo accennato, proporrei che si votassero per divisione le varie voci. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Sta bene. Pongo ai voti la prima parola: «Viabilità».

(È approvata).

Pongo ai voti la parola «acquedotti».

(È approvata).

Pongo ora ai voti l’ultima parte dell’alinea: «e lavori pubblici di interesse regionale.».

(È approvata).

Passiamo al dodicesimo alinea: «Porti e navigazione lacuale». L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere la parola «porti e», riducendo pertanto la dizione a «navigazione lacuale».

L’onorevole Zuccarini ha proposto la formula: «Porti e navigazione interna e lacuale».

L’onorevole Caronia ha proposto la formula: «Porti, bacini di alaggio e di carenaggio».

Infine l’onorevole Dominedò ha proposto la formula: «Navigazione e porti lacuali».

Chiedo ai presentatori di questi emendamenti se li mantengano. Onorevole Dominedò, mantiene il suo emendamento?

DOMINEDÒ. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Nobile?

NOBILE. Lo ritiro.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini?

ZUCCARINI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia?

CARONIA. Ritiro il mio emendamento e aderisco a quello dell’onorevole Zuccarini, con l’aggiunta delle parole: «e territoriale».

PRESIDENTE. Che cosa intende per navigazione territoriale?

CARONIA. Intendo riferirmi alle acque territoriali intorno alla Regione. (Commenti).

Una voce. Ma tutte le acque sono territoriali.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sul primo emendamento dell’onorevole Caronia – non so bene come egli voglia modificarlo ora, ma ad ogni modo, su quello che fu presentato all’origine – il Comitato non può essere che recisamente contrario. Che cosa dice l’emendamento? Che i porti debbono essere regolati con norme dalla Regione. Il porto di Genova dovrebbe essere regolato soltanto dalla Liguria, il porto di Palermo soltanto dalla Sicilia. Sono interessi nazionali così evidenti che bisogna respingere l’emendamento Caronia.

L’emendamento dell’onorevole Nobile, che si trova spesso, nella discussione, all’altro estremo, vuole sopprimere la parola «porti».

Intendiamoci bene: «porti», nel testo del Comitato, si riferisce soltanto ai porti lacuali, e in questo senso si può accogliere. Nessuno, onorevole Nobile, è senz’altro impeccabile nella forma ed assolutamente perfetto. Lei continua a dar lezioni di tecnica legislativa a chi se ne occupa da decenni. Noi cerchiamo umilmente di migliorare di continuo la nostra formulazione; e prima ancora che ella ci desse la sua ultima – per ora – lezione, avevamo deciso di chiarire il nostro pensiero con un piccolo spostamento di parole, che è registrato ora in un emendamento Dominedò, che dice «navigazione e porti lacuali», e noi dunque lo accettiamo.

Per quanto riguarda l’emendamento Zuccarini, pregherei l’onorevole Zuccarini di non complicare la cosa con i porti interni; che possono attenere anche all’interesse nazionale. Il porto lacuale è una questione più semplice che non esce dall’interesse regionale. Accettiamo soltanto l’emendamento dell’onorevole Dominedò, che è di pura forma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia: «Porti e navigazione interna, lacuale e territoriale».

(Non è approvato)

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Zuccarini: «Porti e navigazione interna e lacuale».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell’emendamento Dominedò, accettato dalla Commissione: «Navigazione e porti lacuali».

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Quando si deve intervenire in questa discussione si è sempre in condizioni d’inferiorità: perché se uno cerca di eliminare alcuni inconvenienti, è subito tacciato di antiregionalista; se invece fa qualche proposta aggiuntiva, passa immediatamente per un feroce regionalista. Ora dichiaro che le domande che farò non hanno nulla a che vedere né con il regionalismo, né con l’anti-regionalismo. Soltanto mi sembra che l’ultima formulazione si riferisca soltanto alla navigazione e ai porti lacuali.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche la prima.

D’ARAGONA. Io capisco ancora i porti, per quanto è difficile regolare la navigazione se non c’è un addentellato con i porti. Ora, secondo la dizione dell’articolo, la Regione dovrà regolare la navigazione lacuale. Domando: la navigazione lacuale del Lago Maggiore sarà regolata dalla Regione lombarda o dalla piemontese?

Una voce. La sponda sinistra, dalla piemontese.

D’ARAGONA. Ma non è possibile regolare la navigazione regolando una sponda in un modo e l’altra in un altro modo. (Interruzioni – Commenti).

Domando: il Lago di Garda lo regolerà la Regione lombarda o la veneta; oppure creeremo dei dissidi fra queste due Regioni; oppure dovranno intervenire accordi fra Regione e Regione? Ora è proprio necessario complicare tutto questo? Ma siamo andati sempre avanti benissimo; la navigazione lacuale è stata sempre regolata fino adesso senza bisogno né di ricorrere allo Stato, né alla Regione. Sono accordi che avvengono localmente. Perché non volete lasciare che le cose continuino così, e volete aggiungere invece un altro organismo che complicherà le cose e creerà un’altra burocrazia per stabilire come si dovrà navigare per arrivare al posto A o B? Ecco perché dichiaro che voterò contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare per rispondere all’onorevole D’Aragona.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vi sono in Italia laghi compresi in una sola regione: Como, Iseo; e riguardo a questi non vi può essere dubbio. Altri – Garda, Maggiore – sono divisi tra due regioni.

Il Comitato si è occupato della questione. Cosa doveva fare? Lasciare tutta la regolamentazione allo Stato? Escludere ogni legislazione secondaria delle Regioni? È parso di no.

Io sono stato da giovane, quando ero al Ministero dei lavori pubblici, nel servizio che si occupava di navigazione interna; e so che l’ingerenza minuta dell’amministrazione centrale in questo campo può riuscire inutile e dannosa. Meglio lasciare questa materia alla Regione. Vi sono casi in cui un lago ha sponde in due Regioni. Non può evidentemente bastare la regolazione di una sola. Vi è un articolo nel progetto il quale prevede che tutte le norme d’una Regione non possono contrastare con gli interessi di altre Regioni. Questo è già qualche cosa. Ma vi dovrà essere di più. Lo stesso onorevole D’Aragona ha parlato della facilità degli accordi locali. Questi accordi non mancheranno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formulazione accettata dalla Commissione: «Navigazione e porti lacuali».

(È approvata).

Passiamo al tredicesimo alinea. «Acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

Su questo alinea vi sono due emendamenti, presentati rispettivamente dagli onorevoli Nobile e Preti, e dagli onorevoli Dugoni, Malagugini, Merlin Angelina, Bernini, Tomba, Tonello, Grazia, Barbareschi, Fornara, Pistoia.

L’onorevole Colitto ha proposto di sopprimere, dopo le parole: «Acque pubbliche ed energia elettrica», le parole: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Infine è stato presentato il seguente emendamento sostitutivo dagli onorevoli Uberti, Rescigno ed altri: «Acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto la loro regolamentazione non contrasti con la disciplina nazionale di competenza dello Stato e con gli interessi di altre Regioni».

Chiedo ai presentatori di questi emendamento se li mantengono.

NOBILE. Lo mantengo.

DUGONI. Lo mantengo.

COLITTO. Lo mantengo.

UBERTI. Lo mantengo.

EINAUDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EINAUDI. Mi associo a coloro che hanno proposto la soppressione di questo comma. Ritengo non possa essere formulata nessuna riserva, la quale venga a menomare, in qualunque modo, il gravissimo pericolo di attribuire alla Regione la legislazione sulle acque pubbliche; e ciò è vero pur facendo astrazione della parola «incida», che non so cosa voglia dire.

In realtà, bisogna affermare recisamente che non esiste nessuna possibilità di legiferare, in materia di acque pubbliche, regionalmente, evitando che siffatta legislazione contrasti con la legislazione nazionale.

La legislazione sulle acque pubbliche è essenzialmente nazionale, anzi tende a diventare internazionale.

Ho avuto occasione altra volta di illustrare questo punto. Se noi accettiamo il comma, facciamo un passo indietro nell’economia e nella legislazione italiana.

È impossibile, assolutamente, legiferare localmente sulle acque pubbliche, sulle derivazioni sia per l’irrigazione, come per la produzione dell’energia elettrica, senza menomare il valore della regolamentazione nazionale. La regolamentazione delle acque pubbliche non può assolutamente avere carattere regionale.

Per queste perentorie ragioni, mi associo a coloro che hanno chiesto la soppressione del comma. (Applausi).

NITTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Mi associo alle parole del collega Einaudi. Io credo pericolosissimo, in materia di acque pubbliche, dare qualunque ingerenza alla Regione, che possa compromettere una utile sistemazione nazionale.

Naturalmente l’utilizzazione delle acque pubbliche va fatta in misura della utilizzazione generale. Quando si utilizza un bacino bisogna utilizzarlo nella sua maggiore capacità e prendendo tutto ciò che può essere utile, non con una utilizzazione restrittiva di carattere locale. Quando si tratta di un bacino che può dare una massa d’acqua X, niente di più pericoloso che iniziare lavori con criteri regionali e utilizzarlo solo in parte. Queste utilizzazioni devono essere considerate non solo dal punto di vista nazionale, ma, come ha detto il collega Einaudi, dal punto di vista internazionale. Oramai tutta la rete idraulica italiana si potrà considerare fra poco come una sola rete e lo Stato dovrà intervenire non per aumentare le divisioni, ma per accrescere l’unità fra l’Italia del nord, che ha la massima magra nei periodi estivi, e l’Italia del sud, che ha la massima magra nei periodi opposti. L’utilizzazione deve essere totale. Niente sarebbe peggior cosa di una restrizione a questa utilizzazione generale.

Mi associo quindi a queste considerazioni, ritenendo come una perdita di ricchezza qualunque limitazione.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Io ho presentato un emendamento col quale mi sembra che le ragioni esposte dagli onorevoli colleghi che hanno parlato un momento prima possano essere conciliate. Vi sono due esigenze che devono essere contemperate. Chi deve dare le concessioni idriche? Lo Stato o la Regione?

È perfettamente esatto quello che dice l’onorevole Einaudi che dobbiamo arrivare alla massima utilizzazione delle nostre forze idriche e perciò che qualsiasi diminuzione, la scelta di un impianto che fosse non adeguato al massimo sviluppo della potenza idrica sarebbe un errore che deve essere assolutamente evitato.

Insieme però a questa esigenza fondamentale vi sono anche dei diritti regionali che non si possono trascurare.

Quando una Regione vede tutte le sue forze idroelettriche trasportate fuori dal suo territorio per modo che le proprie acque non sono utilizzate né per l’agricoltura, né per l’industria locale, evidentemente si determina un contrasto che deve essere superato. Lo stesso onorevole Einaudi deve darmi atto che in una Commissione è stato esaminato il problema, d’accordo anche coi funzionari del Ministero dei lavori pubblici, per trovare una via onde risolvere equamente questo problema, queste contrastanti esigenze, e si è giunti ad una soluzione che a me appare equa, anche perché passare le concessioni alla Regione, significherebbe, oggi che quasi tutte le acque sono concesse, dare a questo nuovo ente un riconoscimento puramente teorico che si eserciterebbe di fatto solo fra trenta o quaranta anni allo scadere del sessantennio della concessione. Si è stabilito cioè che la prerogativa, il potere delle concessioni rimanga nelle mani dello Stato, come il più adatto a scegliere i progetti di più alto rendimento, ma che insieme vi sia il riconoscimento di quelli che sono i diritti della Regione, passando a questa i canoni delle concessioni, ma soprattutto allargando il principio contenuto in embrione nell’articolo 52 della legge attuale sopra le acque pubbliche.

Si riapra il termine del quadriennio a favore dei rivieraschi per l’utilizzazione del 10 per cento della forza idroelettrica ricavata, si conceda un altro 10 per cento gratuito a favore dei servizi regionali, si riconosca una prelazione a prezzo di costo di un altro percento a favore dell’agricoltura e dell’artigianato locale.

Se si vuole mantenere il diritto di concessione in mano dello Stato, bisogna dare qualche cosa di sostanziale, di concreto alla Regione. Riconosco la difficoltà di mettere nella Costituzione il regolamento di queste quote. Sembrami che, a chiarire ogni dubbio, basterebbe introdurre, il seguente emendamento: «acque pubbliche ed energia elettrica in quanto il loro regolamento non contrasti con la disciplina nazionale di competenza dello Stato». Cioè che la concessione, che è la questione essenziale, rimanga nelle mani dello Stato, ma che, nella revisione della legge, si debba arrivare a determinate concessioni a favore delle Regioni.

In questo modo a me sembra che si possano contemperare la situazione di alcune Regioni e le necessità di carattere nazionale. Come ci siamo trovati d’accordo in linea pratica su di una questione particolare con l’onorevole Einaudi, così potremo trovarci d’accordo anche nella formulazione di questo emendamento all’articolo che stiamo discutendo.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Mantengo l’emendamento col quale ho proposto la soppressione di questa facoltà della Regione per le ragioni dette dall’onorevole Einaudi, per quelle sostenute dall’onorevole Nitti, e per alcune considerazioni che mi sono state suggerite dal mio predecessore, onorevole Uberti.

Se io fossi stato in dubbio sulla soppressione o meno di questa facoltà data alla Regione, il discorso dell’onorevole Uberti mi avrebbe certamente convinto che era urgentissimo sopprimerla.

E mi spiego. L’onorevole Uberti ha proposto che certe facoltà, certi diritti che oggi sono concessi ai Comuni rivieraschi, che sono in realtà quelli che vengono ad essere danneggiati dall’asportazione delle acque, vengano passati alla Regione, cosicché il Comune il quale già si lamenta per queste acque che se ne vanno malgrado il compenso che ha per l’articolo 54 della legge, si vede, con la proposta dell’onorevole Uberti, portar via anche questi piccoli vantaggi. (Commenti al centro – Interruzione dell’onorevole Uberti). Se ho capito, male, chiedo scusa, ma questo è quanto ho capito, e quanto ha capito, con me, l’Assemblea. Comunque, la Regione si verrebbe a sovrapporre e ad unire allo Stato per spogliare i Comuni rivieraschi. (Commenti al centro). Io dico che, per le ragioni che ho esposte, non posso aderire ad una proposta di questo genere.

Per quanto riguarda l’affermazione che esistono acque pubbliche di interesse regionale, non c’è necessità d’illustrarne l’infondatezza. Infatti non vi sono acque che interessino puramente e semplicemente una Regione: il sistema idrografico è un sistema complesso ed unico che trapassa di Regione in Regione, e quindi ogni locale regolamentazione dell’uso di queste acque è una rottura della completezza del sistema idrografico che, credo, non può essere ammessa per nessuna ragione.

FABBRI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei fare una breve dichiarazione di voto. Io voterò a favore della soppressione di tutto il comma, in quanto l’acqua pubblica non può diventare energia, se non attraverso l’atto di concessione, ed è necessario che l’atto di concessione sia ispirato a criteri assolutamente nazionali, perché appena un chilowatt è prodotto, questo chilowatt è una delle merci più fungibili che esistano attualmente, ed è suscettibile di utilizzazione nel punto più remoto dalla sua produzione. Quindi, una produzione di energia che avvenga in una centrale del Piemonte, può servire anche per la Basilicata attraverso elettrodotti ed attraverso una rete di interesse nazionale. Questa utilizzazione e questa destinazione, che fin dalle origini può essere preveduta e regolata, è spesso contenuta negli oneri dell’atto di concessione.

Quindi, dire acque pubbliche ed energia elettrica, significa dimenticare l’atto amministrativo di concessione che deve essere ispirato a criteri di utilità generale nazionale perché è regolativo della produzione e della destinazione di questa produzione, la quale è potenzialmente a disposizione di tutta la rete nazionale. Basta, come dicevo, che vi sia la possibilità di un allacciamento e qualunque servizio pubblico può, con gli opportuni accorgimenti tecnici, utilizzare l’energia più disparata e più diversa. A questo servono le convenzioni di elettrodotto, per cui una società si serve di una rete piuttosto che di un’altra o viceversa; e quindi è un controsenso dire: produzione di energia elettrica in quanto non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni, perché il chilowatt, appena è prodotto, vi incide ed è virtualmente a disposizione di tutta l’economia nazionale.

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Io voterò per la soppressione di questo alinea, anche nella formulazione dell’onorevole Uberti, la quale non mi sembra diversa da quella originaria. Infatti, dire: «in quanto la disciplina non contrasti col regolamento statale e coll’interesse delle altre Regioni», significa richiamare un principio di ordine generale che deve essere limitativo di tutta la potestà normativa della Regione. L’attività normativa della Regione incontra sempre queste barriere: essa non deve essere in contrasto col regolamento dello Stato e con l’interesse delle altre Regioni. Richiamare questo principio specificatamente nella regolamentazione legislativa delle acque pubbliche significa, sia pure indirettamente, che, per altre materie, questo vincolo non sussiste o sussiste in modo affievolito. Mi sembra che le ragioni esposte dagli onorevoli Einaudi, Nitti e da altri colleghi, siano decisive. Vi è la necessità impellente di disciplinare in modo unitario questa materia: gli interessi particolari dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni potranno e dovranno essere tenuti in conto, ma sempre nel quadro della valutazione unitaria. Io credo – e richiamo su ciò l’attenzione dell’Assemblea – che inserire questa materia costituirebbe un grave pericolo per l’economia nazionale.

EINAUDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Einaudi, ella ha già espresso il suo pensiero; comunque parli pure.

EINAUDI. Vorrei pregare l’onorevole Uberti di ritirare il suo emendamento. L’emendamento stesso, come ha già in parte osservato l’onorevole Bozzi, significa far sorgere un contrasto, il quale è inesistente, perché non può esistere contrasto fra l’interesse nazionale e l’interesse regionale.

Lo scopo di tutti noi quale è? È quello di cercare quella utilizzazione delle acque pubbliche, la quale dia il massimo rendimento. Ed è soltanto una questa utilizzazione: quella che dando il massimo rendimento nazionale dia la possibilità, altresì, di ottenere il massimo vantaggio per le singole Regioni e per i singoli Comuni.

Io accetterei l’emendamento Uberti, non come emendamento, ma come raccomandazione al legislatore; raccomandazione che del resto si potrebbe ritenere superflua. Ricordo all’Assemblea il fatto che la nostra legislazione sulle acque è la migliore legislazione che esista al mondo. Non esiste nessuna legislazione sulle acque la quale abbia tenuto tanto conto degli interessi nazionali e di quelli locali. Già questa legislazione nazionale, dando un certo privilegio per l’uso dell’acqua ai Comuni rivieraschi, ha affermato il concetto della tutela degli interessi regionali. Lo si potrà in seguito, ma sempre nella legislazione nazionale, affermare ancora meglio. Io non avrei nessuna obiezione a che nella legislazione nazionale si sancisse anche il principio – e nella Commissione per il regolamento della Regione tridentina ho anche fatto mio questo principio – che lo Sato invece di incamerare tutto il canone pagato dai concessionari potrà cedere, a vantaggio della Regione e dei singoli Comuni rivieraschi, anche il 90, anche il 99 per cento del canone stesso. Quello che importa, dal punto di vista nazionale, è che vi sia la massima utilizzazione. Ottenendo questa massima utilizzazione, diamo pure ai Comuni l’intero canone, e riserviamo allo Stato anche solo un diritto nominale allo scopo di affermare il principio della demanialità delle acque. Non è il vantaggio pecuniario ciò che massimamente interessa. Interessa il vantaggio della massima utilizzazione razionale, ed in questa legislazione nazionale potrà anche essere ammesso che non solo i Comuni rivieraschi, ma anche le Regioni, possano avanzare un certo diritto di avere una quota nell’uso delle acque.

Ma questo è affare non della Regione, ma della legislazione nazionale, la quale dovrà curare, nel tempo stesso, tanto l’interesse nazionale quanto quello regionale. (Approvazioni).

PALLASTRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PALLASTRELLI. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea su una questione molto importante, prima che si decida come votare. L’onorevole Einaudi, con la sua competenza, ha parlato di utilizzazione delle acque. Io mi domando: quale utilizzazione si intende? Oggi, a questo riguardo, il problema più importante per la Nazione non è tanto quello preso isolatamente della utilizzazione delle acque per la produzione dell’energia elettrica, quanto quello, in armonia con esso, della utilizzazione migliore delle acque per l’irrigazione. Se noi vogliamo sul serio che l’Italia possa bastare a se stessa, bisogna ricordarsi che, se non il primo problema, certo uno dei più importanti è quello delle acque per l’irrigazione.

Un maestro in materia, il Petrocchi, scriveva recentemente, a proposito di derivazioni di acque e di interessi nazionali che bisogna stare attenti a queste derivazioni di acque fatte unicamente a scopo di produrre energia elettrica, perché l’agricoltura italiana, se vogliamo vederla prosperare, dovrà avere sempre più a disposizione una efficiente irrigazione: agricoltura oggi vuol dire particolarmente: acqua, acqua e acqua; altrimenti sarà vano ogni miglioramento, ogni riforma agraria, ogni speranza di incrementare la produzione foraggera per avere direttamente carne e indirettamente maggiore quantità di grano. (Commenti).

DUGONI. Questo è un argomento a favore della utilizzazione nazionale.

PALLASTRELLI. Fino ad un certo punto, quando per le acque ci fermiamo al campo nazionale. Circa i bisogni e i diritti locali, dico questo per una dolorosa esperienza acquistata nella mia Provincia, ad esempio, vi è una Regione che ha un versante dell’Appennino che permette di facilitare, con la deviazione delle acque verso il suo territorio, la costruzione di serbatoi con salti maggiori e perciò più facilmente produttori di maggior quantità di energia elettrica. Questo dal punto di vista dell’energia elettrica può sembrare più importante di quanto non si possa ottenere nell’altro versante che può essere la Valle Padana. Così si corre il rischio di togliere tutta l’acqua che spetta per le stesse ragioni naturali ad una Provincia o Regione e che è indispensabile per dare fertilità al terreno.

Queste osservazioni possono valere per la provincia di Piacenza. Si tratta di un grosso problema che non è solo di oggi, ma è una questione che si dibatte oramai da un secolo e di tanto in tanto gli interessi industriali cercano di soffocare il sacrosanto diritto di una Regione che ha bisogno di acqua di irrigazione.

Le brevi considerazioni che ho esposte confermano la necessità che, specialmente in questo momento, si debbano tener presenti gli interessi ricordati della Regione e perciò si deve dare voce e forza alla Regione per difendere l’agricoltura. (Approvazioni al centro).

PARIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PARIS. Io dichiaro di votare per l’emendamento presentato dall’onorevole Uberti per una considerazione: che gli interessi regionali vengono sempre sopraffatti dagli interessi delle grandi società idroelettriche. Concessioni date 25 anni fa non vengono ancora sfruttate. Vi sono anche gli interessi dell’agricoltura da considerare: noi corriamo il pericolo di vedere spopolate le vallate montane. Che cosa succede con l’attuale sistema di deviare interi corsi di acqua con la traforazione di montagne, di lasciare cioè intere vallate senza irrigazione per l’agricoltura? Si provoca, necessariamente un impoverimento della terra e conseguentemente la spopolazione della vallata. Per queste considerazioni voterò in favore dell’emendamento Uberti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. È inutile che io dica che il Comitato non è tutt’uno; si vota anche in esso diversamente gli uni e gli altri. Vi sono state, su questo argomento, due correnti, con diversità pur in seno ad uno stesso partito. Il riflesso che domina nella divergenza è un riflesso tecnico di opportunità. La corrente che ha (contro il mio voto) prevalso ed il cui testo vedete scritto qui, ha fatto dichiarazioni di cui avete sentito anche qui una eco nella voce dell’onorevole Uberti.

Sono grato all’onorevole Einaudi che lo ha ripetuto, ma tutti sanno che il problema idraulico ha tale unità che volerla in qualche modo togliere dalla disciplina dello Stato sarebbe un assurdo economico. Vi dovranno essere piani regolatori nazionali; scambi di energia, ed in sostanza una rete unica in tutto lo Stato. Ciò tanto più in un momento come questo, in cui bisogna utilizzare l’ultima oncia di energia, il minimo chilowatt, anche termico; ed occorre una disciplina unitaria. È una esigenza che la stessa corrente vincitrice non ha negato.

Un altro punto essa ha dichiarato, ed ha molta importanza: che le concessioni devono essere fatte dallo Stato. Su questi due punti vi è unanimità di pensiero.

La corrente dominante, che non è la mia, ha ritenuto che, fermi i due principî accennati, vi possano essere campi in cui la Regione può utilmente dettare norme. Ad esempio, i pozzi artesiani potrebbero essere lasciati alla disciplina della Regione. Vi è poi tutta la materia su cui l’onorevole Uberti ha insistito; alla Regione dovrebbe essere garantita una quota di acque o di energia sulle concessioni dello Stato, per poter provvedere ai bisogni locali.

La corrente che non ha vinto, e che si opponeva all’attuale dizione, riteneva che questa dizione lascerebbe ben maggiori possibilità all’ingerenza della Regione, senza garantire i due punti unitari, dell’unità e della concessione di Stato, riconosciuti anche dai vincitori.

Arrivati a questo punto, l’onorevole Uberti ha proposto un emendamento, cercando di esprimere le necessità comuni che la sua stessa corrente aveva ammesso. Ma anche la dizione da lui proposta non toglie – a mio avviso – il dubbio, perché stabilire che la regolazione della Regione non deve contrastare con la regolazione dello Stato equivale a dire ciò che è già messo nel cappello generale del primo alinea e non risolve, d’altro lato, i dubbi contrapposti.

Questa mattina in Comitato si è delineata un’altra possibilità, che poi è naufragata; ma io la devo accennare: che cioè l’Assemblea, come ha fatto in altre occasioni, stabilisse con un ordine del giorno il principio che ha ammesso anche l’onorevole Einaudi, che si debba rivedere la legislazione idraulica, tenendo conto della opportunità che nelle concessioni vengano assicurate quote alla Regione, sia di acqua che di energia, per provvedere ai bisogni locali. Il problema non è tanto di leggi regionali, quanto di leggi nazionali che devono essere modificate.

Vi ho esposto obiettivamente quali sono le due correnti. Esprimo una opinione personale, ma interpreto il pensiero dei membri del Comitato che mi seggono vicini: l’emendamento Uberti non toglie le difficoltà e i dubbi che si possono sollevare. Quindi, se non si trova altra via, l’Assemblea voti sul testo proposto dalla maggioranza della Commissione. Io voterò contro.

Se, poi, fosse possibile con un ordine del giorno concordare le tesi Uberti ed Einaudi, affermando il principio che la legislazione sulle acque sia ritoccata tenendo conto delle esigenze regionali, io personalmente non ho nessuna difficoltà da opporre.

PRESIDENTE. Onorevole Uberti, mantiene il suo emendamento?

UBERTI. Lo mantengo e dichiaro che con esso si lascia allo Stato il diritto di concessione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma bisognerebbe formularlo diversamente.

PRESIDENTE. Per la votazione dell’alinea in esame è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Nitti, Abozzi, Venditti, Rodi, Rognoni. Colitto, Miccolis, Zappelli, Nobile, Russo Perez, Villabruna, Grilli, Canepa, Capua, Crispo, Einaudi, Morelli Renato, Preti, Tremelloni. Poiché dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Uberti, chiedo se la richiesta di appello nominale debba trasferirsi alla votazione di questo emendamento Uberti.

NITTI. Sì.

UBERTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UBERTI. Di fronte alla richiesta di appello nominale, che dà un tono di battaglia al mio emendamento, mentre io ritenevo di presentare una proposta conciliativa, lo ritiro.

PRESIDENTE. Sta bene. La votazione per appello nominale avverrà allora sul testo della Commissione.

Chiedo all’onorevole Colitto se intende mantenere il suo emendamento.

COLITTO. Sì.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’emendamento dell’onorevole Colitto, secondo me, non può essere accolto né dalla prima, né dalla seconda tendenza, perché affida interamente alla Regione la regolamentazione delle acque, senza nessun intervento da parte dello Stato.

PRESIDENTE. Vi è una richiesta di soppressione totale di questo alinea presentata dagli onorevoli Nobile e Preti. È evidente pertanto che, se questa proposta fosse accettata, non sarebbe possibile procedere ad una votazione parziale. Procediamo, dunque, alla votazione sulla proposta di soppressione totale dell’alinea. Qualora essa venisse respinta, voteremo la soppressione parziale proposta dall’onorevole Colitto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Mi pare che ieri si sia seguita una prassi diversa di fronte alle proposte soppressive avanzate dall’onorevole Nobile, innumerevoli, in verità.

L’onorevole Presidente ha avvertito l’Assemblea che coloro i quali erano dell’opinione dell’onorevole Nobile avrebbero votato contro il testo posto in votazione.

Questo, evidentemente, anche per guadagnare tempo, perché altrimenti procediamo per voti negativi e dobbiamo poi ripetere la votazione per acquisire qualche cosa di positivo al testo che stiamo deliberando.

Perciò chiederei che fosse seguito il criterio che è stato ripetutamente seguito nella seduta di ieri.

PRESIDENTE. Il problema è facilmente risolvibile – credo anche con sua sodisfazione, onorevole Piccioni – disponendo che nell’appello nominale coloro che rispondono «sì», confermano la conservazione del testo.

È da tener presente che l’onorevole Colitto ha diritto che sia votato il suo emendamento che è di soppressione parziale. Col sistema che ho proposto io, resta salvaguardato questo diritto dell’onorevole Colitto, qualora l’Assemblea non si sia pronunciata nella sua maggioranza per la soppressione dell’intero alinea.

PICCIONI. La soppressione parziale può essere posta ai voti preliminarmente.

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Piccioni; poiché è evidente che – e ciò appare da tutta la discussione svolta – che una formula di questo genere sarebbe insodisfacente per numerosi colleghi, i quali non potrebbero pronunciarsi.

PICCIONI. Non insisto nelle mie osservazioni.

PRESIDENTE. Passiamo allora alla votazione sulla proposta di soppressione totale dell’alinea.

L’onorevole Nobile ha chiesto su questa votazione l’appello nominale.

Domando se la sua domanda è appoggiata.

(È appoggiata).

Procediamo allora alla votazione nominale, restando così intesi: coloro che accettano la soppressione totale dell’alinea rispondono «sì»; coloro che accettano che l’alinea sia conservato, indipendentemente dalla modificazione proposta dall’onorevole Colitto, rispondono «no».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di soppressione dell’alinea tredicesimo: «Acque pubbliche ed energia elettrica in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.

La chiama comincerà dall’onorevole Del Curto.

Si faccia la chiama.

Presidenza del Vicepresidente BOSCO LUCARELLI

AMADEI, Segretario. Fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Allegato – Amadei – Assennato.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bei Adele – Benedetti – Benedettini – Bergamini – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bocconi – Bonomelli – Bosi – Bozzi – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Calamandrei – Candela – Canevari – Cannizzo – Caporali – Caprani – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallari – Cerreti – Cianca – Cifaldi – Codignola – Colitto – Colonna di Paliano – Colonnetti – Condorelli – Coppa Ezio – Corbi – Corbino – Cremaschi Olindo – Crispo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filpo – De Michelis Paolo – Di Vittorio – D’Onofrio – Dugoni.

Einaudi.

Fabbri – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Fiore – Fogagnolo – Fornara – Fresa – Fuschini.

Gallico Spano Nadia – Gasparotto – Gervasi – Giacometti – Giannini – Giolitti – Giua – Gorreri – Grassi – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Gravinese Pasquale – Lami Starnuti – La Rocca – Li Causi – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Marinaro – Massini – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Musolino.

Nasi – Negro – Nenni – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Novella.

Pajetta Giuliano – Paratore – Parri – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Rodi – Rodinò Mario – Rognoni – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini.

Saccenti – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Sereni – Silipo – Silone – Stampacchia.

Tega – Tieri Vincenzo – Togliatti – Tonello – Tonetti – Tremelloni – Treves.

Valiani – Vallone – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zanardi – Zappetti.

Rispondono no:

Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bellato – Bellusci – Belotti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Burato.

Caiati – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni Enrico – Carignani – Carìstia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Ciccolungo – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Colombo Emilio – Conci Elisabetta – Conti – Coppi Alessandro – Corsanego – Corsi – Cotellessa – Cremaschi Carlo.

D’Amico Diego – De Caro Gerardo – Del Curto – Della Seta – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Dominedò.

Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Ferrarese – Ferreri – Finocchiaro Aprile – Foresi – Franceschini – Froggio.

Gabrieli – Galati – Germano – Geuna – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gotelli Angela – Gronchi – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Jacini – Jervolino.

La Malfa – La Pira – Lazzati – Lettieri – Lizier – Longhena.

Magrini – Malvestiti – Mannironi – Marazza – Marconi – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mattarella – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Moro – Mortati.

Nicotra Maria – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Paolucci – Paris – Pastore Giulio – Pat – Pecorari – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignedoli – Ponti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Rapelli – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Ugo – Romano – Roselli.

Saggin – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scelba – Schiratti – Scotti Alessandro – Spallicci – Spataro – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vicentini – Vigo – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo – Lussu.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli.

Pera.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito.

Saragat.

Villani.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale:

Presenti e votanti     358

Maggioranza           180

Hanno risposto      180

Hanno risposto no     178

(L’emendamento soppressivo dell’alinea 13 è approvato).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

MALAGUGINI. Per proporre un ordine del giorno sull’oggetto della votazione testé conclusa.

PRESIDENTE. L’articolo 92 del Regolamento dice: «A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l’ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall’articolo 89».

Io non so a quale proposito lei, essendo stata eseguita una votazione largamente preceduta da una discussione che ne ha chiarito tutto il valore, voglia adesso presentare un ordine del giorno.

MALAGUGINI. Siccome è stata votata la parte negativa…

PRESIDENTE. È stato deciso che l’oggetto non figuri nel testo della Costituzione.

MALAGUGINI. Era per un atto di lealtà. Se non lo posso compiere, mi rassegno.

PRESIDENTE. Rediga l’ordine del giorno, lo mandi alla Presidenza; e così si potrà capire che cosa chiede.

Passiamo al quattordicesimo alinea: «Acque minerali e termali».

Ne hanno proposto la soppressione gli onorevoli Merighi e Fornara; e poi gli onorevoli Nobile e Preti.

MERIGHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Come presentatore di emendamento, lei non ha più ragione di giustificare il proprio voto. Comunque parli.

MERIGHI. Noi, di questa parte, combattiamo anche dopo morti. Ma non è la questione di parte che dovrebbe essere considerata, ma puramente e semplicemente la questione di tecnica.

Dal punto di vista tecnico, noi pensiamo che la questione delle acque minerali e termali sia essenzialmente nazionale; il patrimonio idrico è un bene nazionale, che deve essere devoluto a tutta la collettività.

Per questo siamo contrari alla assegnazione alla Regione delle acque minerali e termali.

La questione delle acque minerali e termali può avere riflessi su altre questioni sostanziali, di interesse nazionale, come il turismo.

Ho voluto semplicemente richiamare l’attenzione sul lato tecnico della questione ed invitare ad una considerazione molto severa della nostra proposta di soppressione.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione «Acque minerali e termali».

Si intende che chi ritiene di votare a favore dell’emendamento soppressivo voterà contro la proposta.

(È approvata).

Passiamo al quindicesimo alinea: «Cave e torbiere». L’onorevole Nobile ne ha proposto la soppressione. Gli onorevoli Medi, Martino Gaetano e Dominedò hanno proposto di sostituirlo col seguente: «Giacimenti minerari, cave e torbiere».

MEDI. Chiedo di parlare per chiarire l’aggiunta da noi proposta.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDI. Togliere alla Regione la competenza sui giacimenti minerari vuol dire togliere quello che le spetta di diritto.

MICCOLIS. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Voterò contro l’inclusione dei giacimenti minerari, perché essi si cercano e si trovano con un’organizzazione e un’attrezzatura che la Regione non è capace di reggere.

MEDI. Che non è mai esistita.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può che confermare la decisione presa dalla Commissione dei Settantacinque ad unanimità, di non assegnare le miniere alla competenza delle regioni; si farebbe una cosa di gravità eccezionale.

Quindi, il Comitato respinge la proposta.

MEDI. È molto importante.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione è stata unanime ed è composta anche di elementi competenti del suo partito, onorevole Medi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta della Commissione: «Cave e torbiere».

(È approvata).

Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Medi, non accettato dalla Commissione: «Giacimenti minerari».

(Non è approvato).

Passiamo al sedicesimo alinea: «Caccia».

GASPAROTTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Non intendo frapporre difficoltà. Voterò anche questa voce, che stava per passare inosservata, ma con questa chiarificazione. Non vorrei che, senza l’interpretazione autentica che richiedo al Presidente della Commissione, venisse a dimenticarsi quella legge unica sulla caccia, che fu fatica legislativa di 50 anni, perché è risaputo che prima della legge proposta dal Ministro Angelo Mauri, accettata dal Ministro De Capitani e diventata testo legislativo nel 1924, la legislazione della caccia era frammentaria; cioè si riportava alle ordinanze degli antichi Stati comprese, per il Veneto e la Lombardia, le ordinanze di Napoleone e del principe Beauharnais, viceré d’Italia.

La scienza ed i cacciatori reclamarono a gran voce una legge unica, e attraverso sudati tentativi, attraverso quello del Peruzzi, del Baccelli, del Raineri e tanti altri, si è giunti nel 1924 all’auspicata e giustificata unificazione. Auspicata e giustificata perché? Perché la caccia si distingue in caccia alla selvaggina stanziale che si può dire che non esista quasi più, salvo quella di allevamento, che può essere attribuita alla regolamentazione regionale o provinciale; e in caccia alla selvaggina emigratoria che attraversa la penisola italiana da nord-est a sud-ovest e che appartiene a tutti e a nessuno e interessa l’intero territorio del Paese.

Ora, nei riguardi di questa caccia (alla selvaggina cioè migratoria), il provvedimento non può essere che generale per tutto il Paese, in quanto, altrimenti, verrebbe a crearsi una concorrenza fra Regione e Regione, fra Provincia e Provincia, al fine di ottenere il maggiore sfruttamento particolare.

Per esempio, la legge unificata proibisce, in massima, la caccia primaverile. Se noi abbandonassimo alla legislazione regionale questa materia; avverrebbe che per ragioni di egoismo locale potrebbe ritornare in onore quella caccia primaverile che è realmente distruttrice della selvaggina, e, come tale, dovrebbe essere abolita in tutto lo Stato.

Di conseguenza approvo la voce «Caccia», in quanto che il primo comma dell’articolo si richiama ai principî generali delle leggi nazionali e quindi dico e domando al Presidente se intenda con questo di rispettare nei principî suoi fondamentali quella legislazione unica che è stata, come dissi, fatica e conquista legislativa di 50 anni.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il pensiero della Commissione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. All’onorevole Gasparotto che domanda una interpretazione autentica, io posso dichiarare soltanto che siccome è la legge dello Stato a stabilire i principî fondamentali in base ai quali l’attività legislativa della Regione dovrà esplicarsi, si potrà tener conto – agli effetti di una certa uniformità – di quel complesso di motivi che ha portato alla unificazione legislativa soprattutto per impedire la devastazione della selvaggina.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il sedicesimo alinea: «Caccia».

(È approvato).

Passiamo al diciassettesimo alinea. «Pesca nelle acque interne».

Gli onorevoli Caronia, Dominedò ed altri hanno proposto di aggiungere le parole: «e territoriali».

Qual è il pensiero della Commissione?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato non può accogliere la proposta di emendamento dell’onorevole Caronia, perché aggiungendo le acque territoriali si ammette che la pesca marittima sia regolata dalla Regione. Una parte importante della pesca si svolge appunto nelle acque territoriali, e quindi il Comitato respinge l’emendamento.

PRESIDENTE. Non essendo presente nessuno dei firmatari dell’emendamento, si intende che vi abbiano rinunciato.

Pongo in votazione la formula della Commissione:

«Pesca nelle acque interne».

(È approvata).

Passiamo al diciottesimo alinea: «Agricoltura e foreste».

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Data la gravità e l’importanza del tema dell’agricoltura, non sarebbe meglio rinviarne la discussione alla seduta di domani?

PRESIDENTE. Onorevole Togliatti, lei fa proposta formale?

TOGLIATTI. Si.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta dell’onorevole Togliatti di rinviare a domani la discussione.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 17.

Interrogazione e interpellanze con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere le ragioni per le quali non si dà ancora pratica esecuzione agli impegni solenni assunti dal Governo, anche davanti all’Assemblea Costituente, relativamente alla ricostruzione ed al potenziamento dell’organo politico (Sottosegretariato od Alto Commissariato), che dovrà occuparsi – eliminando una situazione di penosa incertezza – del riordinamento dei servizi riguardanti i danni di guerra e della emanazione della legge organica, che da due anni i sinistrati ed i danneggiati reclamano ed attendono».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

TOGNI, Ministro dell’industria e del commercio. Comunicherò questa interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, riservandomi di far conoscere eventualmente domani quando vi sarà data risposta.

LI CAUSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. Desidererei sapere quando potrà essere discussa la mia interpellanza sulla situazione in Sicilia.

PRESIDENTE II Ministro dell’interno ha comunicato di essere pronto a discuterla nella seduta antimeridiana di martedì prossimo.

MALAGUGINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALAGUGINI. Ho presentato venerdì scorso una interpellanza con carattere di urgenza. Desidererei sapere quando sarà svolta.

PRESIDENTE. Onorevole Malagugini, lei sa che la seduta pomeridiana di lunedì prossimo sarà interamente dedicata allo svolgimento delle interrogazioni ed interpellanze urgenti.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. In seguito alla constatazione della mancanza del numero legale in occasione della votazione nominale di stamani sull’ordine del giorno degli onorevoli Macrelli, Chiostergi ed altri, la prosecuzione della discussione sul decreto legislativo istitutivo di un’imposta straordinaria sul patrimonio è stata automaticamente rinviata alla seduta di domani mattina con inizio alle 10.

Poiché alcuni deputati hanno prospettato l’opportunità di un breve ritardo dell’inizio della seduta antimeridiana di domani, per consentire che abbiano luogo alcune riunioni di Gruppo, la seduta di domani mattina, se non vi sono osservazioni in contrario, comincerà alle 10,30.

(Così rimane stabilito).

Comunico che l’Assemblea dovrà iniziare, probabilmente nel corso della settimana prossima, l’esame del disegno di legge per l’autorizzazione alla ratifica del Trattato di pace. Penso, perciò, che potrà essere opportuno prolungare le sedute nella tarda serata, in modo da esaurire nel minor tempo possibile la notevole mole di lavoro urgente.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

AMADEI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se non intenda, per evidenti ragioni di equità estendere anche a favore dei privati concedenti, le norme sancite dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 4 dicembre 1946, n. 671, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio 1947, n. 39, col quale si stabilisce la temporanea sospensione, fino al 31 dicembre 1948, dell’esercizio del diritto di affrancazione dei canoni enfiteutici, censi ed altre prestazioni perpetue nei riguardi dei comuni, provincie, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed enti ecclesiastici beneficiari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per sapere se non creda urgente di restituire approvato lo schema di decreto per il ripristino delle preture di Cesarò e San Fratello (Messina), comunicato dal Ministro di grazia e giustizia, con nota numero 1760 del 7 febbraio 1947, tenendo presente che il provvedimento non porta carico finanziario per lo Stato – perché si provvede al personale con quello esistente nel distretto della Corte di appello di Messina – e che il decreto legislativo 4 gennaio 1947, n. 64 (Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 1947) ha fatto la determinazione della circoscrizione del Tribunale di Mistretta, che funziona dal febbraio di questo anno senza che ancora – da allora – siano ricostituite le due preture suindicate, della circoscrizione del Tribunale stesso, che era stato soppresso dal regime fascista dopo 50 anni di esistenza e deve ormai funzionare regolarmente. L’assurdità della situazione attuale è che le cause del mandamento di Cesarò (provincia di Messina) si fanno per ora a Bronte (provincia di Catania) e le cause in appello anziché al Tribunale di Messina si fanno al Tribunale di Catania, cioè in un’altra provincia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile»

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 9 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

 

INDICE

 

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Disegno di legge (Seguito della discussione):

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello. Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Presidente                                                                                                        

Adonnino                                                                                                         

La Malfa, Relatore                                                                                           

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

De Vita                                                                                                             

Schiratti                                                                                                          

Bertone                                                                                                            

Micheli                                                                                                             

Di Fausto                                                                                                         

Valiani                                                                                                             

Chiostergi                                                                                                        

Angelini                                                                                                           

Porzio                                                                                                               

Scoccimarro                                                                                                    

Dugoni                                                                                                              

Persico                                                                                                             

Marina                                                                                                             

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 5 luglio.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Marchesi.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sul disegno di legge: «Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Procediamo allo svolgimento degli ordini del giorno. Il primo è dell’onorevole Adonnino ed è così formulato:

«L’Assemblea Costituente,

considerato

che l’imposta patrimoniale proporzionale, di cui al decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, ratizzata in soli 10 bimestri, può riuscire troppo gravosa ai piccoli e medi contribuenti e può produrre dannosi perturbamenti economico-sociali con deleteria conseguenza sulla grande opera di ripresa cui il Paese si accinge,

e che il termine del 10 luglio prossimo venturo, per la domanda di riscatto, coglie i contribuenti in periodo non ancora concluso di introiti dell’annata agricola,

invita il Governo

a studiare una forma, pur limitata, di maggiore ratizzazione, anche con tenui interessi, a favore di contribuenti che si trovino in determinate condizioni e che siano ritenuti dagli uffici statali meritevoli della speciale agevolazione;

e a disporre che le domande di riscatto possano essere accettate almeno fino al 30 ottobre prossimo venturo».

L’onorevole Adonnino ha facoltà di svolgerlo.

ADONNINO. Onorevoli colleghi, in sostanza, più che uno svolgimento dell’ordine del giorno, questo è un ringraziamento all’onorevole Ministro il quale, si può dire, nei concetti fondamentali, ha accolto le richieste che io in quello facevo.

Non le ha accolte completamente, le ha accolte in certa misura ed è per questo che io profitto dell’occasione che ho di dirne ancora. Quanto all’imposta proporzionale, chiedo al Governo una maggiore ratizzazione di quella che nel progetto è contenuta e chiedo, in secondo luogo, uno spostamento del termine della presentazione delle domande di riscatto. Un certo spostamento ho letto che è stato apportato. Prego che questo spostamento sia maggiore. I due argomenti sono specifici e, si potrebbe dire, secondari, ma la giustificazione di queste mie due richieste credo stia in quei concetti fondamentali, generali, che sono stati qui a lungo e profondamente discussi. In sostanza, da tutta la discussione parmi sia risultato che questa imposta che stiamo creando (e abbiamo il dovere di creare) è un tributo gravissimo ed in certo senso ingiusto per le classi umili. Bisogna dirlo con assoluta sicurezza e con assoluta lealtà. Tutti l’approveremo di buon animo, considerando la necessità di salvare la lira e di rinforzare le casse dello Stato, ma di fronte a questo importante concetto c’è la necessità assoluta – tutti lo vediamo, e bisognerebbe essere ciechi per non vederlo – di porre nella stessa rilevanza ed in tutta la sua imponenza il concetto della sopportabilità e della giustizia del tributo. Mi pare che questo secondo concetto non sia stato sufficientemente considerato, e che si sia voluto sminuire il significato della giustizia e della sopportabilità del tributo, mentre è rimasto preminente il concetto della necessità di esso. Ho ancora nelle orecchie le parole dell’onorevole Relatore, che ha sottolineato soprattutto la necessità assoluta di questo tributo. Cosa importa – egli ha detto – a me dei criteri della giustizia tributaria? Quali che essi siano, io non voglio nemmeno guardarli: mi inchino alla necessità, e vado avanti.

Che debba avere preminenza il concetto della necessità nessuno può negarlo, lo ripeto, ma che il concetto della giustizia del tributo e la sua sopportabilità debba essere un concetto evanescente, mi pare cosa inammissibile, anche perché determina posizioni psicologiche di partenza ed orientamenti intellettuali che possono spingere verso gravissimi errori. Se ci poniamo su questo binario, se cioè non ci importa per nulla la giustizia, e il colpire una classe piuttosto che un’altra, od una parte di una classe, piuttosto che un’altra parte di un’altra classe, noi andiamo incontro a gravissimi errori e a gravissime conseguenze.

Se invece teniamo conto di ambedue le esigenze molto importanti, cioè non disconosciamo mai la necessità del tributo, ma teniamo nella giusta considerazione il criterio della giustizia tributaria, forse potremo giungere a qualche modifica, a qualche addolcimento e temperamento che, senza nuocere alla necessità, potrà diminuire ed attenuare l’ingiustizia.

Ora, mi pare fondamentale ed innegabile che l’imposta colpisce principalmente le classi dei medi e soprattutto dei piccoli proprietari terrieri dell’Italia meridionale. Si sa – sono dati di pubblica ragione – che globalmente il valore patrimoniale della ricchezza italiana si aggira intorno ai 2250 miliardi, e che di questi 2250 miliardi, i due terzi, vale a dire 1500 miliardi, sono costituiti dalla proprietà immobiliare rurale soltanto.

L’altro terzo è costituito dalla proprietà immobiliare urbana (fabbricati), dai valori industriali e commerciali e dagli altri valori.

E, quando colpiamo principalmente la proprietà immobiliare rurale, colpiamo per due terzi i piccoli e medi proprietari. Vi dico piccoli e medi proprietari, perché è risaputo che in tutta Italia la piccola proprietà è nella proporzione del 54 per cento, con punte che arrivano, nell’Italia meridionale, fino al 60 per cento. Mi pare dunque assolutamente incontestabile che noi con questo tributo colpiamo principalmente i piccoli e medi proprietari meridionali. Se teniamo presente che non si colpiscono i depositi bancari ed i titoli al portatore – e l’onorevole Relatore ci dice nella sua relazione che essi ammontano a circa 1600 miliardi, di fronte ai 1500 miliardi di proprietà immobiliare rurale che noi colpiamo – se pensiamo che tutta la massa circolante del denaro (ed ormai non si parla più di cambio della moneta) è assolutamente esente, non possiamo negare questa verità fondamentale della gravità e della ingiustizia del tributo. Non dico questo per fare colpa a nessuno; riconosco che siamo – forse inesorabilmente – costretti dalla necessità. Ma ciò non deve indurci a chiudere gli occhi alla realtà.

Inoltre, bisogna tener presente un altro concetto. È provato dalla statistica finanziaria che col crescere dei redditi secondo una certa proporzione, i capitali corrispondenti crescono in una proporzione maggiore. È evidente dunque che quella che è un’imposta proporzionale sul capitale, ragguagliata al reddito, diventa un’imposta progressiva, e quella che è un’imposta di una certa progressione sul capitale, ragguagliata al reddito, diventa una imposta maggiormente progressiva. Questa è la prova della gravità dell’imposta, e di fronte a ciò avrei desiderato che anche da parte ufficiale si fosse riconosciuta questa gravità per cercare di giungere ad una soluzione possibile: riconoscimento che, invece, è mancato del tutto, mettendosi anzi in ombra gli elementi di gravità e di ingiustizia sopra dimostrati.

L’onorevole Ministro, con la sua autorità, ci ha detto che in Piemonte questo tributo grava molto di più che nelle altre parti d’Italia. Secondo lui, il Piemonte è la zona più colpita. Se l’onorevole Ministro fa la proporzione fra il reddito che i terreni danno in Piemonte e le quote che lo colpiscono, e se principalmente confronta la proporzione tra ricchezza immobiliare e ricchezza mobiliare dell’Italia settentrionale e dell’Italia meridionale, allora nessuno potrà negare la verità del mio assunto, verità lapalissiana, che quella che è maggiormente colpita è la piccola proprietà dell’Italia meridionale.

Si dice che la gente affluisce agli sportelli per pagare. Onorevoli signori, si paga la prima rata; bisogna pensare, però, che appresso alla prima rata, di due mesi in due mesi, ci sono le altre rate, e poi c’è anche la progressiva. Ora, il fatto che si paghi la prima rata con buona volontà, forse può essere ragione di una lode all’eroismo, non mai smentito, del contribuente italiano; ma non bisogna poi avere la sicurezza assoluta che questo eroismo potrà continuare.

Gli sportelli sono affollati di gente che corre a riscattare. Ora, bisognerebbe sapere quale è la proporzione fra le somme riscattate e quelle dovute. Insomma, questi che sono indici in parte confortanti, non si può dire che siano indici assoluti, per cui si possa, a cuore leggero e ad occhi chiusi, dire che se anche l’imposta fosse più grave non importerebbe nulla.

Io vorrei che i colleghi tutti, con comprensione pensosa, tenessero conto delle necessità impellenti del Tesoro e della moneta, senza dimenticare però la necessità anche di una giustizia, giustizia che io credo necessaria per il buon andamento della cosa pubblica.

D’altra parte, io vedo che specialmente l’onorevole Relatore ha tirato fuori una teoria, la quale, in se stessa, è la confessione più precisa della gravità di questo tributo. Egli ha detto che se i piccoli e medi proprietari non possono pagare, debbono vendere e buttare quindi sul mercato la maggiore quantità possibile di beni immobili. Questo, secondo lui, farebbe ribassare i prezzi e farebbe raggiungere lo scopo che ci si propone. Il concetto è geniale e non potevamo non aspettarcelo da un geniale finanziere qual è l’onorevole Relatore. E c’è stata la parola dell’onorevole Ministro delle finanze, che ha accennato ad uno scopo sociale di redistribuzione della ricchezza, ed ha detto che bisogna promuovere questa svendita, questo afflusso globale ed in massa di appezzamenti di terreno, di immobili, sul mercato, per far ribassare i prezzi.

Ora io dico francamente che queste affermazioni, queste posizioni intellettuali di partenza, mi preoccupano. Sarà quello che sarà nel campo teorico (e anche nel campo teorico vedremo che tali affermazioni sono erronee), ma in sostanza, di fronte alla massa del popolo italiano creano gravissime preoccupazioni e difficoltà. Ripeto, questo principio ufficialmente proclamato alla Costituente e diramato in Italia da tutti i giornali, è un principio che ha profondamente preoccupato tutti quanti.

Io osservo che l’esigenza di giustizia, in altri punti del decreto in esame, è stata tenuta in opportuna considerazione. Infatti: perché non si sono trattati gli enti collettivi? Perché la loro trattazione creerebbe una sperequazione tra enti che presuppongono partecipanti ed enti che non li presuppongono. Perché, dunque, quando si discute delle classi che debbono essere colpite e della gravità delle aliquote e delle ratizzazioni, l’esigenza della giustizia deve essere dimenticata? Bisogna dare sempre al concetto di giustizia quel necessario risalto che possa portare ai giusti temperamenti.

Badate: la piccola e media classe rurale italiana è forse l’unica parte veramente sana dell’economia italiana; è la spina dorsale della nostra economia. Diceva lo stesso onorevole Relatore che ogni tributo, per un buon gettito, conta principalmente sulle classi piccole e medie. Ma allora preoccupiamoci di non sacrificarle; di lasciarle in vita, con piena e rigogliosa vitalità: esse hanno tutte le qualità necessarie per la nostra ripresa: tenacia al lavoro, spirito di sacrificio, abitudine al risparmio, resistenza alle avversità, vita sobria: è una classe fondamentale, che non va in alcun modo trascurata. Ed essa paga realmente le tasse. È mestiere dunque non aggravarla tanto da mettere in pericolo la sua esistenza.

Il ricco si salva sempre, specialmente nel campo della proprietà terriera; perché i ricchi proprietari, che hanno molte proprietà coltivate a prodotti non vincolati hanno accumulato, con i prezzi odierni, delle forti disponibilità. Forse si salva anche il piccolissimo, perché a suo favore certamente intervengono dei principî equitativi e delle agevolezze: quelli invece che non si salvano sono il piccolo e il medio, quelli che sono l’unica speranza del nostro risorgimento economico, quelli che sono l’unica tranquillità nostra.

E, del resto, tutti diciamo che vogliamo proteggere il piccolo e il medio proprietario; lo si dice anche dalla parte estrema della Camera e questo è il vero titolo di onore di quei nostri colleghi. Dobbiamo darne loro atto. Benché infatti per la loro posizione ideologica, quella marxistica, che dovrebbe renderli contrari a qualunque tipo di proprietà, essi non potrebbero a rigore ammettere e tanto meno proteggere la piccola e la media proprietà, essi di fatto la proteggono; essi, di fronte alla necessità di risolvere il problema gravissimo dell’economia nazionale, di fronte a questa nostra situazione disastrosa, si mostrano disposti ad accantonare la loro ideologia. Io non so come possano conciliare tale loro politica con la loro posizione mentale, ma, in fondo, ciò non è affar nostro: a noi compete il doveroso riconoscimento di questo loro merito.

Una voce a sinistra. Perché noi non andiamo contro la realtà.

ADONNINO. Inoltre io non vedo ancora un concetto chiaro, evidente, di quelli che saranno i risultati dell’applicazione di questo tributo. Avrei desiderato che gli organi tecnici ministeriali ci avessero approntato dei conteggi precisi. Ad esempio: un ettaro di terra coltivata in una maniera nell’Italia settentrionale, un ettaro di terra coltivata in un’altra maniera nell’Italia centrale, un ettaro di terra coltivato in una terza maniera nell’Italia meridionale saranno gravati dal nuovo tributo in questa o in quest’altra misura. E allora si potrà discutere se il peso sarà più o meno agevolmente sopportabile; se sarà sopportabile o sarà insopportabile. Invece, nulla di tutto ciò. Ci si dice, vagamente: se i proprietari non potranno pagare, venderanno e i prezzi ribasseranno. Ma insomma tutto questo è un concetto generico, vago, che non può darci la tranquillità necessaria a compiere il nostro dovere.

Io vi dico, onorevoli colleghi, che se veramente dovessimo arrivare a una forte compressione della piccola e della media proprietà, ci assumeremmo una responsabilità innegabilmente grave. Quanto poi all’idea di non doverci dolere troppo se obblighiamo i proprietari a vendere perché, con l’aumento dell’offerta, raggiungeremo lo scopo di un ribasso generale dei prezzi, io debbo osservare che è un’idea nuovissima mai espressa da alcuno. Ho cercato infatti di compulsare tutte le pubblicazioni in fatto di imposta patrimoniale, ma nessuno ha mai detto che si debba agevolare questa svendita.

In certi casi, i concetti drastici, meccanici, anche in economia, possono avere il loro effetto.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, vorrei pregarla di tener presente che i venti minuti sono trascorsi.

ADONNINO. Mi avvio alla conclusione. Bisogna andare molto cauti, al riguardo.

Io comprenderei il sistema drastico se agisse in tutti i settori, di qualunque commercio, e permanentemente, in un periodo di una certa lunghezza: allora sì, si avrebbe, con il generale e persistente aumento dell’offerta, a domanda invariata, il ribasso generale dei prezzi, da noi e da tutti tanto ardentemente auspicato. Ma se voi provocaste un aumento di offerta in un solo settore, anzi in una sola parte di un settore, cioè nelle compravendite di piccoli e medi immobili – settore che, per giunta, influisce solo indirettamente sul mercato dei generi di più largo consumo, che è quello che a noi più interessa – e solo con un atto drastico momentaneo, cioè con un’imposta una volta tanto, allora voi provochereste solo il ribasso limitato e momentaneo in quel settore e in quel momento; cioè rovinereste una classe, determinereste uno spostamento artificioso ed ingiusto, anzi immorale (che cos’è di diverso l’aggiotaggio?) di ricchezza, ma non influireste per nulla sul livello generale dei prezzi, e, quel che più monta, sul livello dei prezzi dei generi di prima necessità e di largo consumo popolare. Anzi, vi dico, che aumentereste la speculazione, cioè provochereste un rialzo generale dei prezzi.

Un nostro grande economista, che tutti rispettiamo come maestro, criticando in un aureo libretto una patrimoniale che non si arrivasse a pagare col reddito, scriveva: «Ovvero il contribuente si decide a vendere parte del suo patrimonio?… Le vendite producono il consueto inevitabile effetto di tutte le vendite in massa: lo svilimento dei beni offerti… Il vantaggio di chi sarà? Dei pescecani, dei borsari neri, delle prostitute arricchite, che, avendo possibilità liquide, potranno partecipare alla baldoria». Sapete chi è questo grande economista? È il nostro Ministro del bilancio: Luigi Einaudi.

E con tale sistema di vendite in massa neanche si raggiunge lo scopo sociale di una ridistribuzione delle terre, perché in questo modo esse non vanno ai contadini, non vanno ai coltivatori. Questo è lo scopo sociale della riforma agraria che si deve fare, e che si farà in quest’aula; ma si deve fare in modo che gli appezzamenti di terra vadano a chi lavora, non agli speculatori, ai borsari neri, che poi li rivendono aumentando così la speculazione e aumentando anche i prezzi delle altre merci, che già tanto pesano sulle nostre spalle.

Questa è la situazione, onorevoli colleghi; voi vedete che parlo per affermazioni schematiche, ma le verità sono tanto evidenti che non hanno bisogno di dimostrazione.

L’onorevole Ministro ha detto anche: «Noi impediremo che le Banche facciano credito ai contribuenti». Perché? Per attuare meglio, in pratica, la teoria delle vendite coatte testé discussa? Del resto, per avere crediti, c’è soltanto da ricorrere alle Banche?

Si obbligheranno i contribuenti a ricorrere agli usurai, dando così nuova esca a questo terribile malanno. I mezzi drastici e meccanici sono sempre pericolosi. Lo sono massimamente in economia! Non s’illuda l’onorevole Ministro di poter fare tutto quello che vuole. Le leggi economiche si ribellano a qualunque autorità! Il vero guaio è che quando si giunge in posti di autorità, si acquista la tendenza a credere che l’autorità può tutto. In sostanza, l’uomo che arriva al potere non è più lui: diventa un altro uomo. (Si ride).

Io ho provato l’orgoglio che dà l’autorità quando mi hanno fatto caporale. (Si ride).

Una voce al centro. Era molto più di un Ministro!

ADONNINO. Allora, sì. Vi posso raccontare a proposito del senso dell’autorità un episodio. (Commenti).

Lo dirò in due parole. Lenin – ed era quel po’ po’ di colosso che tutti conosciamo – in quella fatale notte del novembre 1917, quando salì al potere, dopo una giornata terribile ed emozionante, dormì in un camerino dell’istituto Smolny, quartiere generale del partito bolscevico, insieme a Trotzki sopra un mucchio di tappeti e di cuscini. Dopo un sonno breve, profondo, agitato, si svegliò, e la prima frase che disse a Trotzki sapete quale fu? «Sono al potere; questa idea mi dà le vertigini!». Il potere dà le vertigini. (Si ride).

Non bisogna dunque fidarsi molto del potere, e bisogna pensare che i mezzi drastici e meccanici non sono i più sicuri per raggiungere effetti nel campo economico. Faceva un magnifico quadro il nostro Relatore, onorevole La Malfa, quando parlava di controlli sul credito, quando parlava di indurre la gente a portare sul mercato masse di beni immobili. Ma con questo non si raggiunge nulla. Questa è l’aspirina che fa momentaneamente calare la febbre, ma che non cura la polmonite. Ci vuole altro. Occorre aiutare la produzione, migliorare i commerci, attivare gli scambi di prodotti tra interno ed estero, migliorare la bilancia commerciale, ecc. Quello, cioè, che nell’ultimo Consiglio dei Ministri si è manifestamente cominciato a fare. Ma non speriamo molto, onorevoli colleghi, non speriamo molto sui mezzi drastici e meccanici.

Onorevoli colleghi: vi ho esposto i miei dubbi e le mie preoccupazioni.

Il concetto generale che vorrei fosse preminente nell’animo vostro è: badate che c’è una grande ingiustizia. Se è necessario commetterla, se è necessario che un’aliquota di proprietari medi e piccoli siano costretti a svendere la loro proprietà, non consideriamo questo un beneficio, ma una grande iattura che bisogna cercare di ridurre al minimo. Se c’è una parte di piccoli e medi proprietari che dovranno ricorrere all’usura, cerchiamo di restringere al minimo possibile questo terribile fenomeno.

In questo quadro, dunque, io mi permetterei di pregare l’onorevole Ministro di tener presente il temperamento prospettato nel primo comma del mio ordine del giorno: guardate come è possibile attuare una maggiore ratizzazione della proporzionale.

Non ho voluto fare emendamenti per rispetto al Governo e per fiducia in esso. Deve essere esso, con gli elementi che ha e col suo senso di responsabilità, a fare l’emendamento. Non mi permetto di farlo io. Io mi permetto solo di fare un invito anche sul punto del termine del riscatto, nell’interesse stesso dello Stato. Infatti i proprietari, prima di vedere se possono o no fare il riscatto, devono poter vedere quanto ricavano dall’annata agraria. Avete spostato il termine ad agosto, ma ad agosto i proprietari di vino non sanno quanto ricaveranno, i proprietari di oliveti non sanno quanto ricaveranno. Come fa un proprietario a dire: mi obbligo a pagare tanto, senza sapere quanto ricaverà dall’annata agraria?

Quindi, per il bene dei proprietari, per il bene dello Stato, che ha il massimo interesse che questi riscatti avvengano nella maggiore misura possibile, io prego l’onorevole Ministro di volere esaminare la possibilità di una maggiore proroga.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Adonnino, la prego.

ADONNINO. Io ho proposto anche un emendamento che fa tesoro di una proposta dell’onorevole Relatore.

In questo emendamento, io propongo che l’Assemblea nomini – per mezzo della sua Presidenza – un ristretto Comitato di deputati che segua passo passo, vigilante, l’applicazione dell’imposta, in modo da potere poi proporre tutte quelle modificazioni o inasprimenti o addolcimenti che la pratica suggerirà.

Appunto perciò io presento questo emendamento ed insisto nell’ordine del giorno. (Applausi).

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare sull’ordine del giorno dell’onorevole Adonnino.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ho ascoltato l’onorevole Adonnino con molta attenzione, ma ho l’impressione che egli abbia esagerato un poco i pericoli e gli inconvenienti.

ADONNINO. Per fissare un albero bisogna piegarlo nel senso opposto!

LA MALFA, Relatore. Mi pare che egli abbia dato una interpretazione un po’ troppo spinta a quello che ho detto. Ho detto che l’imposta esercita una pressione sul mercato e quindi ha una funzione antinflazionistica. Ho detto che la liquidità dimostrata dal largo riscatto dell’imposta proporzionale indica che i contribuenti possono pagare. Mi sono fermato a questa conclusione.

Ora, vedere una catastrofe di grandi proporzioni, immaginare che tutti i piccoli e medi proprietari siano costretti a vendere è apprensione esagerata. Non mi pare che vi debbano essere disastri di questo genere.

Ripeto, una volta per tutte, che non dobbiamo equivocare su questa questione dei piccoli e medi proprietari, perché da un punto di vista fiscale la massima posta del gettito di qualsiasi imposta è data in Italia dal contributo della piccola e media proprietà. Se volessimo fondare le imposte sulla grande proprietà, probabilmente applicheremmo un concetto di giustizia sociale, ma non avremmo nessun gettito fiscale. Nell’imposta del 1920-22 la media dell’imponibile fu di 222 mila lire, il minimo imponibile fu di lire 50.000. La maggior parte dei patrimoni si collocava fra 50.000 e 200.000 lire, corrispondenti, stabilendo un rapporto tra il 1920-22 ed oggi, a patrimoni attuali tra 2 milioni e al massimo 10 milioni di lire.

Se volessimo diminuire il contributo delle categorie piccole e medie, finiremmo col distruggere l’imposta. Mi perdoni il collega Adonnino: è molto facile anche a me o al Ministro accettare determinate considerazioni circa la media e piccola proprietà. Ma chi ha la responsabilità di percepire un’imposta non può essere molto proclive a facili motivi politici. Ho trovato nella stampa echi di queste preoccupazioni circa la media e piccola proprietà. Teniamone conto, ma trattiamo i problemi finanziari con la responsabilità con la quale vanno trattati. D’altronde, i piccoli e medi proprietari posseggono titoli di Stato, conti nelle casse postali ed in banca. Determinando una svalutazione della moneta, apportiamo a queste categorie gravissimi danni. È necessario trovare una soluzione di equilibrio. Tassare per salvare la moneta, significa tassare per salvare il risparmio liquido.

Comunque, credo che si possa tener conto delle raccomandazioni del collega Adonnino.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Ritengo, con l’onorevole Relatore, che l’onorevole Adonnino abbia esagerato nel prospettare un quadro apocalittico delle conseguenze della imposta straordinaria proporzionale 4 per cento.

Come ho già avuto occasione di comunicare sabato scorso, il Governo non desidera assolutamente che i proprietari più modesti debbano alienare le loro piccole proprietà per pagare l’imposta. Questa non rappresenta, in realtà, un nuovo tributo, ma l’anticipazione di un certo numero di annualità di un’imposta già esistente che viene soppressa. Non esiste, quindi la possibilità di stabilire esenzioni di pagamento dallo straordinario tributo; esiste invece un più semplice problema di rateazione, problema che diviene più grave per alcune categorie, come le opere pie, i proprietari di fabbricati a fitti bloccati, i minori proprietari di terreni e i sinistrati di guerra.

Per queste categorie, l’Amministrazione finanziaria, se l’Assemblea è d’accordo, è disposta ad accordare lunghe rateazioni dei pagamenti, oltre i limiti contemplati dalla legge.

Sarà piuttosto difficile stabilire una regola uniforme per tutti, poiché per la realità dell’imposta, un piccolo appezzamento di terreno può rappresentare in un caso il solo cespite posseduto da un determinato contribuente; in altro caso, invece, un minuscolo cespite inserito in patrimonio ben maggiore.

Da ciò la difficoltà di una regola generale, applicabile obiettivamente a tutti i casi.

Occorrerà, forse, lasciare agli organi locali la facoltà discretiva di accordare, dove sia il caso, la rateazione, in un quadro di linee direttive generali.

In ordine alla piccola proprietà terriera, desidero far presente che l’imposta terreni comprende, attualmente, 9.600.000 articoli di ruolo, in tutta Italia.

Di questi 9.600.000 articoli, 8 milioni sono automaticamente fuori della sfera di applicazione della imposta straordinaria proporzionale 4 per cento, perché il valore dei terreni, riportati in ciascun articolo è inferiore alle 100.000 lire (minimo imponibile per l’ordinaria imposta patrimoniale).

Quindi, una larghissima massa di piccoli proprietari è automaticamente esente. Occorre, inoltre, tener presente che le 100 mila lire dell’attuale minimo imponibile rappresentano il risultato della moltiplicazione per 10 dell’imponibile prebellico.

Per correggere le sperequazioni che possono essersi verificate in occasione delle rettifiche promosse ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio negli anni decorsi, proprio ieri è stata licenziata una circolare a tutti gli Ispettorati compartimentali delle imposte dirette, con la quale si dispone che, in tutti i casi in cui il valore medio dei terreni del triennio 1937-39, prima di essere moltiplicato per 10, abbia subito una qualche revisione in aumento, si annullino gli effetti di tale revisione e d’ufficio si proceda a una nuova determinazione del valore del triennio 1937-39, al quale deve essere applicato il coefficiente di rivalutazione 10. La revisione, poi, dell’imponibile dei fabbricati, in base alle disposizioni contenute in una circolare del 19 giugno 1947, deve avvenire in seguito a richiesta di parte, in ragione dei criteri seguiti per la valutazione di tali cespiti.

Tale revisione deve essere richiesta entro il 31 dicembre dell’anno corrente.

Ponendosi su questa strada, il Ministero ha voluto andare incontro alle preoccupazioni di quanti guardavano alle sperequazioni che si erano determinate tra le diverse Regioni a causa delle accennate rettifiche.

Tutto ciò premesso, dico all’onorevole Adonnino che, a titolo di raccomandazione, il Governo è pronto ad accettare la prima parte del suo ordine del giorno.

Per quanto riguarda la seconda parte: «Proroga del termine per la domanda di riscatto», ieri è stato diramato un telegramma a tutte le Intendenze di finanza affinché siano considerate tempestive le domande presentate entro il 10 agosto, purché il pagamento abbia luogo entro il 18 agosto.

Il Governo, per deferenza verso l’Assemblea, che sta discutendo questo progetto, anche nella parte relativa ai termini, non poteva andare oltre.

Personalmente ritengo che sarebbe pericoloso protrarre il termine fino al 30 ottobre.

Se però l’Assemblea lo desiderasse, il Governo non avrebbe nulla da obiettare.

PRESIDENTE. Onorevole Adonnino, mantiene il suo ordine del giorno?

ADONNINO. Siccome chiedo che il Governo lo accetti, lo mantengo.

PRESIDENTE. Allora dovremo metterlo ai voti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Prego il collega onorevole Adonnino di limitarsi alla raccomandazione, senza chiedere una votazione sul suo ordine del giorno, perché in esso ci sono delle enunciazioni, come quella di prorogare il riscatto al 30 ottobre, che farebbero meglio parte di emendamenti ai singoli articoli.

Se l’onorevole Adonnino insiste sulla votazione, la Commissione è costretta ad esprimere parere contrario al suo ordine del giorno.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Adonnino a ritirare il suo ordine del giorno ed a trasformarlo in raccomandazione.

ADONNINO. Se il Governo e la Commissione l’accettano come raccomandazione, ritiro l’ordine del giorno, salvo poi a presentare proposte specifiche in sede opportuna.

PRESIDENTE. Il Governo ed il Relatore hanno dichiarato di accettare come raccomandazione il suo ordine del giorno; resta, quindi, così stabilito.

Segue l’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Macrelli, De Mercurio, Bernabei, Spallicci, Azzi, Chiostergi, Bellusci, De Vita, Camangi, Paolucci:

«L’Assemblea Costituente, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dar corso ai provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Faccio rilevare che quest’ordine del giorno, essendo stato presentato dopo la chiusura della discussione generale, non potrà essere svolto.

Chiedo al Relatore ed al Governo il loro parere su questo ordine del giorno.

LA MALFA, Relatore. Ho espresso il parere della Commissione sulla questione del cambio della moneta in sede di relazione generale.

Ero favorevole, come molti in quest’Assemblea, al cambio della moneta; ma riproporre il problema in questo momento, in sede di imposta patrimoniale, non mi sembra neanche tecnicamente possibile. Il cambio della moneta deve precedere l’imposta, non seguirla.

Prego gli amici del partito di non insistere su questo ordine del giorno.

PELLA, Ministro delle finanze. Mi associo all’onorevole Relatore nel pregare i presentatori dell’ordine del giorno a non volere insistere.

DE VITA. Come firmatario dell’ordine del giorno, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Onorevoli colleghi, devo rilevare che il Governo ha fatto formale promessa, proprio da questi banchi e nei confronti di quest’Assemblea, di attuare il cambio della moneta.

PRESIDENTE. Onorevole De Vita, lei deve dire se mantiene l’ordine del giorno, tenendo presenti le considerazioni fatte dal Governo e dal Relatore.

DE VITA. Vorrei spiegare la portata dell’ordine del giorno.

Il Relatore ed il Governo si sono pronunziati; ritengo che anche i presentatori abbiano il diritto di esprimere il loro parere.

PRESIDENTE. No, onorevole De Vita; questo diritto non le compete.

DE VITA. Ad ogni modo, dichiaro di mantenere l’ordine del giorno, riservandomi di esprimere il mio pensiero in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’ordine del giorno, che rileggo:

«L’Assemblea Costituente, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dar corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

DE VITA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE VITA. Il Governo promise formalmente di attuare il cambio della moneta. Poi difficoltà di ordine tecnico, furto di clichés, cose che avvengono nel nostro Paese, avrebbero impedito di fare il cambio.

Oggi il Governo rinunzia definitivamente, a quanto pare, al cambio della moneta.

Ritengo che il cambio della moneta avrebbe potuto evitare tutte le ingiustizie che oggi si commettono anche nel campo tributario.

Per quanto riguarda le difficoltà di ordine tecnico, in ogni momento prospettate dal Governo, faccio presente che il cambio della moneta è riuscito in quasi tutti i Paesi europei, compresa la stessa Francia. L’aumento di circolazione, che si è verificato in Francia dopo il cambio della moneta, è dovuto soltanto all’emissione di circolante per conto del commercio.

Ora si dice che il cambio della moneta non può più farsi perché è in discussione l’imposta straordinaria sul patrimonio. Il Governo dovrebbe però dire perché non è stato fatto prima.

Comunque il Governo non può più parlare di giustizia tributaria. Il Governo parlando di giustizia tributaria, di perequazione del carico tributario, offende la stessa giustizia. Non si può parlare di giustizia tributaria, quando non c’è in Italia una giustizia distributiva.

Chi ha accumulato ricchezza illegittimamente non deve pagare soltanto un’imposta. È troppo poco, dovrebbe restituire questa ricchezza alla collettività cui l’ha tolta illegittimamente.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. A me sembra che l’ordine del giorno del quale stiamo discutendo non possa e non debba essere sottoposto a votazione.

Mi richiamo all’articolo 87 del Regolamento, il quale dice:

«Durante la discussione generale, o prima che s’apra, possono esser presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino e ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni».

Che cosa importa questo? Che possono essere posti in votazione ordini del giorno inerenti alla specifica materia di cui stiamo trattando.

Ora noi stiamo trattando dell’imposta patrimoniale; non del cambio della moneta.

Per questa ragione mi sembra che la disposizione del Regolamento sia preclusiva e quindi che non possa essere posto in votazione l’ordine del giorno Macrelli.

PASTORE RAFFAELE. Bisogna accertare chi detiene il denaro.

DE VITA. È ovvio, è materia intimamente connessa con l’imposta patrimoniale; è argomento della nostra discussione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Vorrei fare una preghiera all’onorevole De Vita e agli altri colleghi perché sia rimandata la decisione sul loro ordine del giorno, in quanto la materia del cambio della moneta non è di competenza del Ministro delle finanze, ma del Ministro del bilancio e soprattutto del Ministro del tesoro, i quali è evidente che non possono restare assenti da una discussione e da una decisione su questo punto di tanta importanza. Che questo oggetto sia connesso all’imposta patrimoniale credo che sia evidente, che si possa discutere non c’è dubbio; ma a me sembra logico che ciò debba essere fatto quando siano presenti il Ministro del tesoro ed il Ministro del bilancio. Perciò io domando la sospensiva.

DE VITA. Mi dispiace, ma non posso accettarla.

PRESIDENTE. Vediamo, di comune accordo, se vi sono ragioni per le quali si possa concordemente rimandare la discussione.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io credo che l’onorevole Schiratti abbia teoricamente ragione per il modo con cui ha impostato la questione sull’articolo del Regolamento; però praticamente la sua proposta non mi sembra che sia concludente in questo momento, perché basta che i colleghi che hanno presentato l’ordine del giorno lo ripresentino domani sotto forma di articolo aggiuntivo perché tutto si risolva. Quindi è questione di intendersi a questo riguardo, nel senso che sia rimandata la discussione ad altro momento. Chiedo pertanto se i proponenti dell’ordine del giorno, di fronte a questa eccezione di procedura che difficilmente si potrebbe superare, non ritengano opportuno di presentarlo sotto altra forma. Questo eliminerebbe la sospensiva dell’onorevole Bertone, in quanto domani sarebbero presenti anche i Ministri competenti, per quanto chi rappresenta il Governo è il Ministro delle finanze, il quale può quindi rispondere anche su questo problema.

PRESIDENTE. Resta allora la mozione dell’onorevole Schiratti, sulla quale ha parlato a favore il proponente ed ha parlato contro l’onorevole De Vita.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Devo chiarire all’Assemblea quali sono le conseguenze di questo ordine del giorno. Se l’Assemblea dovesse votarlo, al Governo non rimarrebbe altra via che sospendere l’applicazione dell’imposta.

PRESIDENTE. Tenga presente che dobbiamo occuparci della mozione d’ordine dell’onorevole Schiratti.

LA MALFA, Relatore. Mi riferisco alla mozione Schiratti. Il cambio della moneta può rientrare nella discussione non del decreto, ma dei presupposti del decreto sull’imposta. Quindi, se l’Assemblea dovesse votare questa mozione, evidentemente porrebbe il Governo nella condizione di non più applicare l’imposta straordinaria.

DE VITA. Questo è merito!

CANDELA. Adesso discutiamo una questione di procedura!

PRESIDENTE. È giusto. Tenga presente, onorevole La Malfa, che noi stiamo discutendo una questione di procedura, cioè se sia possibile porre in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Macrelli ed altri firmatari. Questo è il punto. L’onorevole Schiratti ha presentata una mozione d’ordine sostenendo che, non trattandosi di una materia relativa al disegno di legge che ora stiamo discutendo, non è possibile l’inserzione dell’ordine del giorno Macrelli nella nostra discussione. Lei, onorevole La Malfa, deve dire se è d’accordo col presentatore.

LA MALFA. Sono d’accordo: non è pertinente alla legge, ma ne è uno dei presupposti. (Rumori a sinistra).

DI FAUSTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI FAUSTO. Sono d’accordo con la mozione d’ordine dell’onorevole Schiratti, ma desidero dichiarare che, in sede delle quattro Commissioni riunite, ho scongiurato il Governo a non rinunciare al cambio della moneta come ad esigenza morale fondamentale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la mozione d’ordine Schiratti.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché l’esito della votazione è incerto, procediamo alla votazione per divisione.

(La mozione d’ordine non è approvata).

Sull’ordine del giorno Macrelli è stato chiesto l’appello nominale dagli onorevoli Uberti, Geuna, Roselli, Vicentini, Martinelli, Mattarella, Scoca, Marconi, Biagioni, Rodinò Ugo, Chieffi, Guerrieri Emanuele, Castelli Avolio, Pallastrelli, Guerrieri Filippo, Cremaschi Carlo, Colitto.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, è ben lontana dal Governo l’intenzione di interferire nella libera manifestazione di volontà dell’Assemblea su quest’ordine del giorno. Non posso, tuttavia, non associarmi pienamente alle considerazioni dell’onorevole Relatore, il quale ha esattamente fatto presente che, a prescindere da qualsiasi considerazione sul merito del problema del cambio, isolatamente considerato, la conseguenza inevitabile di una eventuale approvazione di quest’ordine del giorno sarebbe la sospensione immediata del nostro lavoro nonché dell’applicazione dell’imposta, in quanto il disegno di legge e il decreto del 29 marzo 1947 sono notoriamente informati al criterio dell’accertamento induttivo della ricchezza mobiliare, a seguito della rinuncia al cambio della moneta.

Forse, nel Paese esistono ancora delle correnti che, in tutti i modi, cercano di ritardare e far tramontare l’applicazione di questa imposta, ed io non vorrei che inconsapevolmente si finisse per affiancare il desiderio di qualcuna di queste correnti.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Richiamo l’attenzione dell’Assemblea sull’estrema gravità di questo problema. (Interruzioni – Commenti).

Come dicevo, sono favorevole al cambio della moneta; ma oggi il riparlarne è un errore. Se voi deliberate che il Governo debba attuare il cambio della moneta, evidentemente, la data in cui si attua il cambio della moneta deve precedere la data in cui si denunciano il patrimonio ai fini dell’imposta patrimoniale. Siccome questa data è stata fissata per l’imposta e la data del cambio non è stata fissata, si avrebbe come conseguenza che, legando il cambio all’imposta, la data del 28 marzo non sarebbe più valida, cioè non potreste accertare la consistenza dei patrimoni alla data del 28 marzo.

Quindi, per rispettare la volontà dell’Assemblea di attuare il cambio, il Governo dovrebbe sospendere l’imposta straordinaria, stabilire la data del cambio della moneta, fare il cambio della moneta e rinviare l’accertamento dei patrimoni ai fini dell’imposta alla data fissata per il cambio della moneta; cioè l’imposta straordinaria verrebbe rinviata di almeno un anno. Dico ciò al di fuori di qualsiasi considerazione politica, e richiamo sopra questo punto di vista tecnico l’attenzione dell’Assemblea.

Il decreto sull’imposta ci è stato trasmesso dal Governo tripartito, e quando ci hanno mandato l’imposta senza il cambio della moneta, i tre partiti hanno deciso di rinunciare al cambio della moneta, per poter applicare l’imposta. (Interruzioni – Commenti). Quando la Commissione si è trovata di fronte al progetto, ha dovuto prendere atto della rinuncia che aveva fatto il Governo.

Come dicevo, legare il cambio all’imposta è un problema tecnicamente insolubile. O voi volete l’imposta subito e non potete fare il cambio, perché non è possibile, qualsiasi escogitazione voi facciate; o voi volete il cambio e dovete rimandare l’imposta. Lasciando in vigore il decreto sull’imposta e rinviando il cambio della moneta a quattro o cinque mesi, da oggi, avremo queste conseguenze. (Commenti a sinistra). In sede di imposta noi tassiamo il denaro a titolo presuntivo; poi lo accerteremo e lo tasseremo in sede di cambio. Possiamo avere di conseguenza fenomeni di doppia tassazione e fenomeni di doppia evasione. Quei ceti che vogliamo tutti colpire evaderanno due volte.

Questi sono gli aspetti tecnici del problema: l’Assemblea decida, ma è bene che tenga presenti le considerazioni che ho fatto. (Applausi al centro).

VALIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Onorevoli colleghi, mi pare che la questione debba vedersi sotto l’aspetto politico e tecnico. Dal punto di vista tecnico, sono valide le osservazioni dell’onorevole La Malfa, fino ad un certo punto, nel senso che quando, discutendosi l’imposta patrimoniale, si parlerà del metodo di accertare il denaro contante – che qui è stato fissato con determinati criteri, all’articolo 25 – potremo anche risolvere la questione dal punto di vista tecnico. Però, se votiamo su questa questione adesso, come mozione preliminare, evidentemente roviniamo tutta l’imposta dal punto di vista tecnico, cioè ne rendiamo impossibile l’applicazione. Questo è verissimo.

C’è poi l’aspetto politico: la responsabilità dei passati Governi non toglie, tuttavia, che la responsabilità è anche di questo Governo, perché nei passati Governi c’era l’onorevole Bertone che sosteneva il cambio della moneta. Di questo Governo egli non fa parte, e il nuovo Governo ha ancora una volta sepolto il cambio della moneta.

Non è che il cambio della moneta sia stato sepolto una sola volta dall’onorevole Corbino: ogni volta che c’è un nuovo Governo, disgraziatamente questo prende sempre posizione ostile a questa misura, alla quale io sostengo si dovrà pure arrivare, se si vuole evitare l’inflazione, altrimenti sarà proprio questa che ci costringerà al cambio della moneta, in modo drastico e radicale.

Per poter conciliare l’aspetto tecnico e l’aspetto politico della questione – l’aspetto tecnico per cui non è possibile impedire che questo progetto, sia approvato e applicato, e l’aspetto politico, per cui l’Assemblea non può associare la sua responsabilità a quella del Governo in carica (i Governi passati non ci sono più e se sono stati rovesciati ciò dipende da una situazione derivante dai loro errori) – io chiederei all’onorevole De Vita e agli altri colleghi di accontentarsi del voto che hanno ottenuto un minuto fa e di non insistere nella votazione sull’ordine del giorno.

Io, che sono favorevole al cambio della moneta, non potrei votare a favore di questo momento, quando si viene ad impedire la discussione di un disegno di legge urgentissimo e dovrei astenermi. Chiedo quindi che si rimandi la votazione in merito ad altro momento, eventualmente in sede di articolo 25. Né può dirsi che il momento psicologico sia trascorso, perché la questione di principio è aperta e ne fa fede la votazione che ha avuto luogo cinque minuti fa. La questione di principio dunque esiste, ma io ritengo che non sia questo il momento di discuterne. Chiedo, pertanto, agli onorevoli De Vita e Macrelli di voler accogliere il mio suggerimento, di rimandare cioè questa votazione.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Non è nostra intenzione di sollevare in questo momento difficoltà per la discussione della legge che è stata presentata all’Assemblea; ma, sia dal punto di vista tecnico che da quello politico, dobbiamo dire chiaramente che non condividiamo le apprensioni del Relatore onorevole La Malfa.

Noi abbiamo sostenuto e sosteniamo che si può e si deve arrivare ad ogni costo al cambio della moneta e non riteniamo che le ragioni tecniche addotte dall’onorevole Relatore possano considerarsi valide: esse sono state, infatti, affermate, ma non provate dal Relatore. Noi riteniamo che si potrebbe arrivare benissimo al cambio della moneta senza legarlo necessariamente all’articolo 25 del progetto di legge. (Commenti).

Dal punto di vista fiscale, quindi, sarebbe un elemento di più nelle mani del Governo e non è vero che politicamente non abbiamo il diritto di rivendicare quello che sempre abbiamo sostenuto, che cioè il cambio della moneta è alla base della vera giustizia sociale. (Applausi a sinistra).

BERTONE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Credo di non aver bisogno di dichiarare quale sia la mia opinione sulla materia in esame: io sono sempre stato fautore del cambio della moneta e credo anche di poter dichiarare che il cambio della moneta mediante stampigliatura sarebbe stato eseguito entro il mese di aprile, se non fosse sopravvenuta la crisi.

Se convenga o meno di farlo in questo momento, non è questione che si debba discutere ora. Certo in questo momento non si potrebbe eseguirlo; il cambio della moneta non si può fare se non in due periodi dell’anno ben determinati, che sono a un dipresso costituiti rispettivamente da aprile-maggio e ottobre-novembre. Il cambio della moneta non si può fare d’inverno per l’impossibilità dei percorsi; non si può fare nel periodo estivo, che comporta occupazioni gravi per i lavoratori dell’agricoltura. Su questo credo che tutti gli studiosi della materia non possano non concordare.

Dichiaro altresì che non sono del tutto consenziente con i rilievi fatti, or ora dal collega onorevole La Malfa, che cioè il cambio della moneta sia inscindibilmente connesso con l’imposta patrimoniale. Questo era nel programma che fu enunciato al momento in cui venne lanciato il prestito della Ricostruzione. E si disse allora, e lo si disse ufficialmente e fu deliberato in Consiglio dei Ministri, che l’imposta patrimoniale era congiunta ai due provvedimenti del cambio della moneta e dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Ma questo non significa che il cambio della moneta non si possa fare se non congiuntamente all’imposta straordinaria sul patrimonio. La maggior parte dei Paesi che hanno fatto il cambio della moneta, l’hanno fatto in via autonoma, non come applicazione dell’imposta sul patrimonio; l’hanno fatto come censimento o come misura fiscale, incidente specificamente soltanto sulla moneta che si voleva cambiare.

LA MALFA, Relatore. Ma non hanno fatto l’imposta!

BERTONE. L’hanno fatta o prima o dopo. Tutti i Paesi hanno istituito un’imposta straordinaria sul patrimonio.

LA MALFA, Relatore. No, non tutti.

BERTONE. Non tutti, va bene, ma gran parte dei Paesi che noi conosciamo l’hanno fatta.

Ora, io non credo che sia assolutamente indispensabile collegare inscindibilmente il cambio della moneta con l’imposta straordinaria sul patrimonio. Perciò, a mio avviso, il progetto dell’imposta straordinaria sul patrimonio deve andare avanti, deve essere discusso e, secondo me, deve essere approvato. Ciò non impedisce, ripeto, che il cambio della moneta si possa fare ulteriormente e che se ne possa parlare ancora nel corso della discussione di questo progetto. Quando al n. 8° dell’articolo 6 si dice che sono oggetto dell’imposta patrimoniale, oltre alle altre attività, tutti i biglietti dello Stato italiano, della Banca d’Italia, ecc., evidentemente si apre l’adito alla discussione di quali e quanti biglietti potranno essere soggetti all’imposta patrimoniale; e quindi si potrà in quel momento discutere se si dovrà provvedere o meno al cambio della moneta; quando si discuterà l’articolo 25 della tassazione presuntiva del 5 per cento in rapporto al patrimonio denunciato, liquidato, accertato, evidentemente vi sarà motivo legittimo di discutere ancora di questa materia.

A questo aggiungo una terza ragione, che ho accennata poco fa: si è già parlato largamente del cambio della moneta in occasione della discussione generale sulle dichiarazioni del Governo. Io stesso ne ho parlato per il primo e a lungo, ricordandone anche i precedenti e avvertendo che io stesso non comprendevo come mai si fosse rinunciato troppo rapidamente a quella che era stata una misura decretata dal Consiglio dei Ministri e a suo tempo voluta, si può dire, da tutti i partiti in Parlamento. Ora, a questo ha risposto il Ministro del bilancio, dichiarando tassativamente che il Governo è contrario in questo momento al cambio della moneta. Ora, voi comprendete che in assenza del Governo, perché il Ministro delle finanze rappresenta il Dicastero delle finanze, ma non credo che si assuma la responsabilità politica di rappresentare tutto il Governo su questo punto…

Voci a sinistra. Perché non è presente il Governo?

BERTONE. Ma il Governo sa che è in discussione l’imposta patrimoniale, e non si può fare torto e colpa al Ministro del bilancio di non essere qui, non sapendo che oggi sarebbe venuta questa discussione. Ora, mi sembra ovvio – come dicevo poco fa – che questa discussione debba essere fatta dinanzi e in contradittorio con i Ministri del bilancio e del tesoro, che sono proprio i Ministri competenti specificatamente su questa materia, che involge anche una grave responsabilità politica.

Per questo mi associo a quanto ha detto testé – per altre ragioni – l’onorevole Valiani, cioè nel pregare i presentatori dell’ordine del giorno a voler attendere che questa materia possa essere discussa in altro momento.

Voci a sinistra. No! No!

BERTONE. Questa è anche l’opinione dell’onorevole Micheli: cioè, quando discuteremo l’articolo 6 e l’articolo 25 in una forma più concreta. Votare oggi l’ordine del giorno in questione sarebbe, secondo me, una sorpresa, per la quale devo dichiarare che sarei obbligato ad astenermi dal voto, non potendo assumere la responsabilità di votare in queste condizioni.

PRESIDENTE. Faccio presente che chi parla deve fare una semplice dichiarazione di voto.

ANGELINI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELINI. Io ritengo che in questa materia sarà opportuno che la Commissione di finanza e tesoro si pronunci, e non soltanto il suo Presidente. Io ritengo che sia necessario che l’Assemblea conosca il parere della Commissione, perché non si tratta di un dettaglio, ma di qualcosa che sostanzialmente investe il disegno di legge in esame.

Già il 19 luglio dell’anno scorso espressi il mio parere favorevole al cambio della moneta. Penso che sia necessario che noi conosciamo esattamente il pensiero della Commissione, ove sono rappresentati tutti i Gruppi parlamentari, e su questo pensiero si deliberi più tardi.

D’altra parte, anche dal punto di vista tecnico, io sono di opinione che sia facile e possibile inserire nell’attuale legge qualche cosa che si riallacci più tardi ad un provvedimento di cambio della moneta.

PRESIDENTE. Onorevole Angelini, siamo in sede di dichiarazione di voto.

ANGELINI. Faccio a questo proposito, più che una dichiarazione di voto, una mozione d’ordine: propongo che la Presidenza rinvii l’ordine del giorno Macrelli alla Commissione finanza e tesoro perché domattina esprima il suo parere. (Commenti).

PRESIDENTE. Non è possibile, siamo in sede di dichiarazione di voto.

PORZIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Onorevoli colleghi, in questa questione volevo, prima di tutto, osservare questo: «rari nantes in gurgite vasto!». Questioni di vitale importanza, discusse davanti ad una scarsa Assemblea…

Una voce. Peggio per gli assenti!

PORZIO. Peggio per gli assenti, sì, ma è bene che tale osservazione una buona volta coraggiosamente si faccia. Non è possibile discutere problemi così importanti, che involgono tanti cospicui interessi, con scarse votazioni dalle quali infine si esce con la constatazione della mancanza del numero legale.

Poi, ho sentito parlare di responsabilità: responsabilità di vecchi Governi e responsabilità di nuovi Governi. E io mi domando: coloro che non appartenevano né ai vecchi né ai nuovi Governi hanno o no delle responsabilità? E perché le debbono affrontare e subire unicamente in ossequio a vecchi ed a nuovi Governi?

Una questione vitale, quella del cambio della moneta, che era, devo dirlo, nei propositi del mio compianto ed illustre amico onorevole Marcello Soleri, che appariva egualmente necessaria al mio amico Giovanni Bertone, è stata allegramente sepolta. Eppure è una delle questioni più importanti e più vitali!

Perché, lasciate che io… (perdonate, abuso raramente della bontà dell’Assemblea, appunto perché non mi credo meritevole di potere abusare di tale benevolenza), lasciate che io dia voce ai miei antichi ricordi, ad un’altra epoca, ad un altro dopo-guerra (meno disastroso, d’accordo); eppure allora, immediatamente dopo la patrimoniale, sostenuta dall’onorevole Nitti, modificata dall’onorevole Giolitti, vennero sei progetti di legge i quali erano destinati a risanare la finanza italiana ed a restaurarla. Ed il punto fondamentale di quelle richieste e di quei progetti di legge era un progetto che aveva un fondamento di giustizia, che giustificava gli altri, perché, signori, la questione tributaria è tecnica, ma, soprattutto, deve avere un fondamento ed un valore morale per avere efficacia politica. (Approvazioni).

E venne la famosa nominatività dei titoli, destinata ad impedire evasioni, a colpire le ricchezze occulte, a non far gravare l’onere tutto sulla proprietà immobiliare a danno del Mezzogiorno.

Voci a sinistra. Venne il fascismo.

PORZIO. Aspetti! Venne la famosa nominatività dei titoli, contro la quale si accamparono le potenze degli speculatori fino a provocare l’occupazione delle fabbriche. Perché molte volte, signori, mi duole constatarlo, il danaro è contro la Patria. (Approvazioni).

Allora anche l’onorevole Micheli faceva parte di quel Governo.

MICHELI. Sono lieto di averne fatto parte.

PORZIO. Ed è a titolo di lode che lo ricordo.

Ora, signori, è possibile discutere di un argomento così importante?

Condivido pienamente il punto di vista dell’onorevole Valiani, il punto di vista dell’onorevole Chiostergi che ha parlato poco fa. Ma vogliamo rimandare? Un’altra volta seppellire? Non so. E siccome si è parlato di responsabili, io, per la salute della mia coscienza, onorevoli colleghi, ho voluto fare questa aperta, franca, dichiarazione. Potranno così i miei colleghi giudicarmi, e giudicare il puro disinteresse che mi muove, la radicata convinzione che mi anima, il sentimento di affrontare i gravi problemi che ci assillano, senza dimenticare le disgrazie, le pene, le angosciose condizioni del Paese che aspetta che l’Assemblea si preoccupi e discuta le questioni basilari, aderenti al suo vero e vitale interesse. (Applausi).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sull’esperienza già fatta su questo problema. Per oltre un anno, cioè dalla metà del 1945 a tutto il 1946, l’imposta straordinaria era stata concepita indissolubilmente legata col cambio della moneta.

Quale è stato il risultato? Che per un anno e mezzo non si è fatto né il cambio della moneta né l’imposta straordinaria. (Interruzione dell’onorevole Rescigno).

Cerchi di comprendere!

PRESIDENTE. Onorevole Rescigno, non interrompa!

SCOCCIMARRO. Ora, l’aver mantenuto il cambio della moneta, come la premessa necessaria per un provvedimento d’imposta straordinaria, è stato il motivo fondamentale per il quale nel 1945, nel 1946, cioè nel momento più opportuno, non si è fatta l’imposta straordinaria. (Interruzioni – Rumori). È questo il motivo per il quale – alla fine del 1946 – quando, riaffermata la decisione del cambio della moneta sotto forma della stampigliatura, si videro risorgere tutti gli ostacoli e le difficoltà già opposte in passato, e che nuovamente avrebbero rinviato la soluzione del problema a troppo lunga distanza, fu concepita l’imposta straordinaria indipendentemente dal cambio della moneta. Non fu una scelta questa, ma una soluzione di necessità; non si poteva rinviare ulteriormente questo provvedimento; e, d’altra parte, appariva chiaro che, se la si subordinava al cambio o stampigliatura della moneta, neanche per il 1947 l’imposta straordinaria sarebbe stata attuata. Fu per questa ragione che si decise di attuare l’imposta straordinaria indipendentemente dal cambio della moneta pur senza escluderlo: l’onorevole Bertone ricorda che il cambio della moneta venne concepito a parte, inserito in tutt’altra serie di provvedimenti. Però, bisogna riconoscere che l’utilità del cambio della moneta come provvedimento che precede l’imposta straordinaria è ben maggiore che non come provvedimento che segue l’imposta straordinaria.

Dati questi chiarimenti ai colleghi che hanno presentato la proposta per il cambio della moneta, io desidero dichiarare: noi siamo favorevoli al cambio della moneta oggi, come lo eravamo ieri; noi saremo favorevoli al cambio della moneta anche come provvedimento indipendente dall’imposta straordinaria. Però, richiamo l’attenzione dei colleghi su questo fatto: se votate in questo momento una raccomandazione, un ordine del giorno, che ci impegni al cambio della moneta legato all’imposta straordinaria, le obiezioni sollevate e dal Ministro e dall’onorevole La Malfa possono diventare una realtà: perché sono state una realtà per un anno e mezzo. Molte critiche mi sono state mosse perché non si è fatta prima l’imposta straordinaria: ma non la si è fatta prima proprio per il mancato cambio della moneta. Ecco perché io direi: discutiamo pure questo problema; vediamo se si può eventualmente esaminarlo nel corso di altre questioni connesse all’imposta straordinaria, ma non subordiniamo l’imposta straordinaria al cambio della moneta, perché rischiamo di non fare né l’una né l’altro. Facciamo ora l’imposta straordinaria e, se l’Assemblea giudicherà utile esaminare anche il problema del cambio della moneta, potremo farlo in seguito. (Applausi).

DUGONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Anzitutto, faccio osservare all’onorevole La Malfa e, per altra ragione all’onorevole Angelini, che ha chiesto il rinvio di quest’ordine del giorno alla Commissione per averne il parere, che a pagina 7 e 8 della relazione la Commissione ha già dichiarato che il cambio della moneta era definitivamente messo da parte, che, cioè, la maggioranza della Commissione finanze e tesoro ha già respinto il cambio della moneta.

Questo, naturalmente, non vincola la decisione che l’Assemblea è chiamata a prendere in questa materia.

Quindi, nessun rinvio alla Commissione, perché questa ha deciso. Ma neppure nessun legame alla decisione della Commissione per l’Assemblea.

Concordo con l’onorevole Scoccimarro su gran parte delle sue osservazioni. Ma mi permetto di dire, oggi che la questione è stata sollevata, che non ci possiamo più porre l’alternativa: facciamo il cambio della moneta o l’imposta patrimoniale oppure tutte e due insieme.

Noi, in questo momento, dobbiamo decidere se il cambio della moneta è un problema morto per l’economia italiana, oppure se è problema ancora esistente. Che poi sia collegato con l’imposta straordinaria, e sia una parte da collegare con gli articoli 4 e 25, questa è altra questione. Noi dobbiamo oggi decidere se il cambio della moneta è di attualità o può ridiventare di attualità domani o dopodomani; o, se, invece, vogliamo fare il giuoco di tutti coloro i quali hanno il pieno interesse che il cambio della moneta non si faccia. Questa per me è la posizione del problema.

CHIOSTERGI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIOSTERGI. Ritengo indispensabile riaffermare in questo momento il principio del cambio della moneta. Io ho sostenuto questa tesi quando ero all’estero, dove ho assistito alla tecnica di attuazione di questa operazione ed ai risultati. Convintissimo di questa necessità, io, appena venuto in Italia, la ho sostenuta e la sostengo oggi, per quanto il ritardo della attuazione del cambio della moneta abbia portato gravi danni alla finanza del nostro Paese. Però, devo dire subito che in me e nei colleghi, che hanno firmato l’ordine del giorno, è vivo il desiderio di affrettare quanto più possibile l’approvazione del provvedimento sull’imposta straordinaria.

Perciò, siamo disposti ad accettare una modificazione dell’ordine del giorno da noi presentato in questo senso:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

È chiaro così che non c’è in questo nostro intervento una manovra politica dell’ultim’ora. Noi desideriamo riaffermare oggi, come nel passato, il nostro attaccamento al principio del cambio della moneta, che riteniamo indispensabile per il nostro Paese.

LA MALFA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA, Relatore. Ringrazio l’onorevole Scoccimarro, che ha agevolato il superamento del problema che ci occupa, con una esattissima comprensione dei termini del problema medesimo.

In effetti, come diceva l’onorevole Scoccimarro, il cambio della moneta è stato per moltissimo tempo, per i due o tre anni in cui se ne è discusso, legato all’imposta straordinaria.

Con la soluzione proposta dall’onorevole Chiostergi, noi, approvando l’imposta straordinaria, facciamo noto al Paese che il Governo è tenuto dal nostro voto ad ottenere il cambio della moneta.

Mostro subito le conseguenze di questa posizione. Quando abbiamo rinunziato al cambio della moneta come presupposto dell’imposta, e lo proiettiamo nel futuro, dobbiamo tener conto che esiste nella patrimoniale un obbligo di denuncia del numerario. Voi mi direte che l’obbligo di denuncia del numerario è puramente teorico, perché nessuno lo denuncerà. Tuttavia nella legge l’obbligo c’è. Voi non potete smentire un principio affermato nella legge, anche se non ha applicazione.

Ma c’è di più: c’è la quota presuntiva. Noi abbiamo stabilito che il denaro sia presuntivamente accertato presso il contribuente. Quindi dovremmo togliere questa presunzione dal sistema dell’imposta. (Commenti a sinistra).

Chiarisco meglio il mio pensiero. Alla data del 28 marzo noi constatiamo o presuntivamente o per accertamento diretto che un Tizio ha una certa quantità di denaro. Il denaro circola continuamente, ma non è escluso che all’epoca del cambio voi tassiate quel Tizio ancora per il denaro posseduto. Possiamo cioè avere il caso di un piccolo proprietario tassato ai fini dell’imposta con quote presuntive e poi tassato all’epoca del cambio, per il denaro effettivamente posseduto.

PORZIO. È sempre il proprietario ad essere la vittima.

Una voce a sinistra. È un sofisma.

LA MALFA, Relatore. Non è sofisma. Il denaro ai fini della tassazione patrimoniale deve essere accertato nel momento stesso in cui si accerta il patrimonio. La tassazione proporzionale sul denaro si può ottenere in qualsiasi momento, ma quando l’imposta patrimoniale ha già accertato preventivamente o direttamente il denaro si ha il rischio della doppia tassazione. Può avvenire, inoltre, che colui che ha oggi denaro e sa che fra sei mesi sarà colpito dal cambio della moneta, si copra comprando bene immobili, beni reali, proprio nel momento in cui l’imposta patrimoniale porta coloro che hanno proprietà immobiliari a vendere. Quando fate il cambio della moneta troverete la moneta non presso il borsaro nero di oggi, ma la potrete trovare presso colui che non la possedeva oggi. (Commenti a sinistra).

FOGAGNOLO. Basta trovarlo.

LA MALFA, Relatore. Ad ogni modo questo è un problema di tassazione non progressiva e personale, ma di tassazione generale che voi potete risolvere in qualunque momento.

Quel che trovo pericoloso è deliberare, nel momento in cui applichiamo l’imposta, che applicheremo il cambio. Si possono determinare movimenti speculativi.

DE VITA. Sono dettagli tecnici!

LA MALFA, Relatore. Sono dettagli tecnici, ma noi stiamo trattando un tema tecnico. (Rumori). Annunciando questa notizia, create un disorientamento proprio fra i contribuenti. Ripeto, voi potete porre in qualunque momento il problema, ma legare l’imposta straordinaria al cambio della moneta in questo momento mi sembra inopportuno e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, desidererei avere il suo parere sulla modificazione dell’ordine del giorno che è in questi termini:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

LA MALFA, Relatore. Su questa modificazione non ho potuto ascoltare la Commissione. Però basandomi sui precedenti, dichiaro che dal punto di vista psicologico un’affermazione di questo genere è altrettanto grave quanto la prima.

PRESIDENTE. Qual è il pensiero del Governo?

PELLA, Ministro delle finanze. Onorevoli colleghi, vorrei accostarmi a quanto ha detto l’onorevole Bertone poco fa. Egli, notoriamente tutt’altro che favorevole a coloro che hanno sostenuto la rinuncia al cambio, oggi si asterrebbe dalla votazione.

Questo significa che la questione è stata risollevata nella sede forse tecnicamente meno competente: per cui, se oggi dovessimo votare sull’ordine del giorno di cui discutiamo, probabilmente diversi onorevoli colleghi voterebbero in un determinato modo perché veramente preoccupati delle ripercussioni di questa votazione in sede di applicazione del provvedimento di legge in discussione. Ed è per permettere soprattutto a ciascuno degli onorevoli colleghi di esprimersi liberamente su questo argomento così vitale, senza preoccupazione per la maggiore o minore sollecitudine con cui l’imposta potrà essere applicata, che io ritengo di suggerire a nome del Governo la preghiera di soprassedere alla votazione dell’ordine del giorno.

PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Parlo a nome mio personale, perché non ho avuta la possibilità d’interpellare i colleghi del mio Gruppo; ma desidero parlare perché, come l’onorevole Scoccimarro certamente ricorderà, ci fu un periodo, quando ebbi l’onore di essere Sottosegretario di Stato per il tesoro, in cui il cambio della moneta si poteva fare senz’altro. E non è esatto che difficoltà tecniche abbiano impedito il cambio, perché le difficoltà tecniche, di cui si è tante volte parlato, non erano realmente insuperabili, ma costituivano ragioni apparenti per nascondere la precisa volontà che si voleva, ad ogni costo, non effettuare il cambio, della moneta.

L’obiezione del Ministro Pella deve essere presa in considerazione, ma non è tale da indurci a rimandare l’esame della questione in altra sede, perché l’onorevole Chiostergi ha chiaramente spiegato che il suo ordine del giorno ha carattere tendenziale e non influisce menomamente sulla votazione della legge sull’imposta straordinaria; solo deve indurre il Governo a dare corso, quando lo crederà opportuno, ai provvedimenti del cambio della moneta. E voglio fare un’altra osservazione: cioè che il Governo, se vorrà decidere di fare il cambio della moneta, dovrà procedere con un provvedimento «catenaccio», che si pubblica all’improvviso, senza essere preceduto da nessuna discussione al riguardo. Il nostro dovere è quello di studiare il problema, il Governo dovrà poi adottare il provvedimento nel momento in cui esso è meno aspettato dal Paese; altrimenti perderebbe qualsiasi efficacia.

Quanto all’obiezione dell’onorevole La Malfa, non mi preoccupa, perché per attuare l’imposta straordinaria (Rumori a destra) si è fissata una aliquota che va dal 6 al 12 per cento che deve ristabilire l’equilibrio turbato dalla mancata denuncia del numerario, in quanto già si presuppone che tutti si manterranno alla quota fissa dal 6 al 12, è che nessuno farà una speciale denuncia. Dice l’onorevole La Malfa che non possiamo colpire per la seconda volta le stesse somme, quando da liquide sono diventate beni immobili. Se ciò è teoricamente vero, non è praticamente esatto, perché noi non andiamo a guardare l’origine del denaro che è stato accumulato, ma vogliamo colpirlo in un momento successivo con un’altra tassa, quando si farà il cambio, nel momento in cui, giova ripeterlo, il Governo crederà opportuno di farlo. Per queste ragioni, dichiaro che voterò a favore dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Macrelli e da altri colleghi.

MARINA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Voci a sinistra. Ai voti, ai voti!

PRESIDENTE. Non posso impedire agli onorevoli colleghi, che ne facciano richiesta, di fare dichiarazione di voto.

MARINA. Esprimo un parere personale, perché non ho avuto tempo d’interpellare gli amici del mio Gruppo. Effettivamente il cambio della moneta, così prospettato con questo ordine del giorno è, per conto mio, un errore tecnico. Noi stiamo prendendo, in questo momento, provvedimenti di varia natura, intesi soprattutto a sistemare il bilancio dello Stato che, nonostante gli sforzi del Ministro delle finanze, si mantiene largamente deficitario, dati gli aumenti continui dei prezzi. Cosa avverrà se noi facciamo o proponiamo di fare il cambio della moneta? Coloro i quali detengono il danaro compreranno beni immobili e mobili, quindi… (Rumori prolungati a sinistra) si avranno di nuovo rapidi aumenti di prezzi, colle conseguenze che noi tutti conosciamo.

PRESIDENTE. Si limiti ad una dichiarazione di voto!

MARINA. Ecco perché in effetti il provvedimento che può essere preso non può essere che un provvedimento-catenaccio, come ha detto l’onorevole Persico. Per questi motivi, voterò contro l’ordine del giorno.

PRESIDENTE; Dobbiamo ora procedere alla votazione per appello nominale sull’ordine del giorno Macrelli ed altri nel testo definitivo presentato dall’onorevole Chiostergi.

Ho il dovere di accertare la presenza dei firmatari della richiesta di appello nominale.

(Procede all’appello dei firmatari).

Vi è il numero sufficiente per dar corso alla richiesta di appello nominale.

L’ordine del giorno che si pone in votazione – ripeto – è il seguente:

«L’Assemblea Costituente, nel mentre riconosce la necessità di procedere senz’altro alla discussione ed alla votazione della legge sull’imposta patrimoniale, richiamandosi agli impegni assunti dai precedenti Ministeri, invita il Governo a dare corso a provvedimenti intesi ad ottenere il cambio della moneta».

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Si proceda alla votazione per appello nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale incomincerà la chiama.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Magrassi.

Si faccia la chiama.

DE VITA, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Allegato – Amadei – Assennato.

Baldassari – Bardini – Barontini Anelito – Basso – Bei Adele – Bellusci – Benedetti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bitossi – Bonomelli – Bosi – Bruni – Bubbio.

Cacciatore – Camangi – Canepa – Canevari – Caporali – Caprani – Carpano Maglioli – Cartìa – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colitto – Coppa Ezio – Corsi – Cremaschi Olindo.

D’Aragona – De Caro Raffaele – De Filippo – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Vita – D’Onofrio – Dugoni.

Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fogagnolo – Fornara.

Gallico Spano Nadia – Gervasi – Giacometti – Giolitti – Giua – Grieco – Grilli.

Imperiale – Iotti Nilde.

Jacometti.

Laconi – Lami Starnuti – La Rocca – Lombardi Carlo – Longo – Lopardi – Lozza.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Mariani Enrico – Massini – Massola – Merighi – Merlin Angelina – Miccolis – Minella Angiola – Minio – Molè – Momigliano – Montagnana Rita – Montemartini – Mirandi – Moranino – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni.

Paolucci – Paris – Pastore Raffaele – Persico – Pesenti – Piemonte – Pignatari – Platone – Pollastrini Elettra – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.

Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Sereni – Silipo – Spallicci.

Tega – Togliatti – Tonello – Tonetti.

Valiani – Venditti – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zappelli.

Rispondono no:

Balduzzi – Bassano – Biagioni.

Candela – Cappi Giuseppe – Castelli Avolio – Chieffi.

Einaudi.

Grassi.

La Malfa.

Marconi – Martinelli – Martino Gaetano – Mattarella – Merlin Umberto.

Riccio Stefano – Rodinò Ugo – Roselli.

Uberti.

Vicentini.

Si sono astenuti:

Angelini.

Bacciconi.

Conti – Cremaschi Carlo.

Fuschini.

Geuna – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo.

Pallastrelli – Pella.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Sono in congedo:

Arata.

Bellavista.

Caldera – Carratelli – Cimenti – Costa.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino.

Galioto – Garlato – Gortani – Gullo Rocco.

Lombardo Ivan Matteo – Lussu.

Marchesi – Mastino Pietro – Matteotti Matteo – Moscatelli.

Pera.

Raimondi – Ravagnan – Reale Vito.

Saragat.

Villani.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione ed invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

 

Comunico che l’Assemblea non è in numero legale per deliberare. Pertanto, la seduta è tolta e l’Assemblea è convocata per domani alle ore 10 per riprendere lo svolgimento del suo ordine del giorno.

La seduta termina alle 13.

MARTEDÌ 8 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXVI.

SEDUTA DI MARTEDÌ 8 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Sul processo verbale:

Schiratti                                                                                                          

Geuna                                                                                                               

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione

Bozzi                                                                                                                 

Laconi                                                                                                               

Corbino                                                                                                            

Tonello                                                                                                            

Moro                                                                                                                

Zuccarini                                                                                                         

Colitto                                                                                                             

Piemonte                                                                                                           

Dominedò                                                                                                         

Mortati                                                                                                            

Tega                                                                                                                  

D’Aragona                                                                                                       

Longhena                                                                                                         

Bertone                                                                                                            

Maffi                                                                                                                

Morelli Renato                                                                                               

Nobile                                                                                                               

Caronia                                                                                                            

Bibolotti                                                                                                          

Micheli                                                                                                             

Di Vittorio                                                                                                       

Cifaldi                                                                                                              

Merighi                                                                                                             

Vigna                                                                                                                

Codignola                                                                                                        

Miccolis                                                                                                           

Foresi                                                                                                               

Rescigno                                                                                                           

Pignatari                                                                                                         

Perassi                                                                                                              

Cingolani                                                                                                           

Canepa                                                                                                              

Lettieri                                                                                                            

Gasparotto                                                                                                      

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

Interrogazione con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Sull’ordine del giorno:

Presidente                                                                                                        

Minio                                                                                                                

Cingolani, Ministro della difesa                                                                         

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.10.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

Sul processo verbale.

SCHIRATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIRATTI. L’onorevole Pellegrini ha fatto ieri alcune affermazioni che riguardano il Friuli. Ritengo mio dovere fare delle precisazioni in proposito. L’onorevole Pellegrini ha detto che il Friuli è in maggioranza garibaldino. Nessun dubbio che nella lotta per la resistenza i garibaldini friulani scrissero davvero delle magnifiche pagine di eroismo e di sacrificio, così come magnifiche le scrissero gli osovani. Quanto alla maggioranza è questione di intendersi ed è necessario intendersi: è questione, cioè, di sapere se per garibaldini si intendano anche quelli che passarono al nono corpo di Tito, anche quelli che indelebilmente macchiarono il movimento partigiano con l’efferato eccidio di Porzus, che da troppo tempo ormai attende di essere giudicato dal tribunale militare di Padova; è questione di sapere se ai garibaldini vanno sommati anche quelli che hanno operato e operano in contatto ed in accordo con i titini. È necessario sapere tutto ciò, perché siano ferme e precisate le responsabilità per oggi e per domani. Ha detto anche, l’onorevole Pellegrini, che il 1° giugno sono venuti ad Udine alcuni dirigenti locali della Democrazia cristiana ed alcune centinaia di fascisti. Desidero precisare che in quel giorno convennero ad Udine, non alcuni dirigenti della Democrazia cristiana ed alcune centinaia di fascisti, bensì 7000 partigiani già facenti parte delle quattro divisioni «Osoppo-Friuli». Quanto all’accusa di fascisti, anche qui è necessario intendersi una volta per sempre. Al tempo del fascismo, onorevole Pellegrini, erano definiti e chiamati antinazionali tutti coloro che le idee fasciste non condividevano.

Si vuole oggi definire fascista ognuno che non condivida l’idea comunista, il vostro modo d’essere, di concepire la vita politica e di organizzare la società? Ebbene, fatelo! Ma veda, onorevole Pellegrini, ciò è pericoloso, molto pericoloso, perché non bisogna dimenticare che in questo senso – ripeto, in questo senso – si orienta oggi la stragrande, la schiacciante maggioranza del popolo italiano (Applausi al centro e a destra – Commenti).

GEUNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GEUNA. Onorevoli colleghi, intendo contestare fermamente la falsa versione data ieri dall’onorevole Pellegrini sui fatti del primo giugno a Udine, in quanto testimonio particolare e responsabile particolare dello svolgimento di quella manifestazione. In occasione della concessione delle medaglie d’oro, a fianco del Ministro Gasparotto che rappresentava il Governo, e dell’amico e collega Longo, che rappresentava formazioni garibaldine, io rappresentavo le nostre formazioni.

È inutile e disonesto volersi atteggiare a vittima ed accusare gli avversari e i compagni della stessa lotta d’una concezione e di un atteggiamento di violenza che è antitetico alla nostra stessa concezione della vita politica, quando, invece, queste manifestazioni di lotta, portate sul piano politico, ispirano, nello stile e nel metodo, una parte che continuamente avversa, con questi metodi, la nostra libera e doverosa esposizione di principî e di fede.

La cerimonia ebbe svolgimento regolarissimo. Per quanto sia antipatico richiamare un fatto personale, per la troppo piccola personalità che rappresento, credo di potermi attribuire il merito di aver cercato di comporre un episodio, per il senso di responsabilità che io sentivo vivissimo, quale rappresentante di tanti partigiani. E chiedo la testimonianza onesta e leale degli onorevoli Gasparotto e Longo, al quale io rendo omaggio per l’elevatezza di pensiero, espresso nella esaltazione della resistenza. Mentre l’onorevole Longo parlava, venne a mancare la corrente; cosicché il microfono cessò di funzionare. Allora si gridò al sabotaggio. L’onorevole Longo precisò che non c’era sabotaggio e continuò a parlare con la forza dei suoi polmoni. Verso la fine del suo discorso il microfono riaccennò a funzionare; in modo che, quando io presentato dal prefetto di Udine, mi apprestai a dire la mia parola, si levò un coro di urla contro la mia persona, ritenendosi che la interruzione durante il discorso dell’onorevole Longo avesse voluto rappresentare un atto di sabotaggio. Mentre l’onorevole Longo neppure con la sua autorità e col suo prestigio di comandante riusciva a sedare il tumulto, io credetti, per un senso di lealtà cavalleresca, di rinunziare al microfono, per mettermi sullo stesso suo piano e, per quanto ne avessi pieno diritto, volli dimostrare che noi democristiani non abbiamo bisogno di ricorrere a strumenti di amplificazione per far sentire la nostra voce.

Cessata la cerimonia, si svolse perfettamente la sfilata delle formazioni nostre e di quelle garibaldine, le quali tutte destarono l’entusiasmo e l’ammirazione della popolazione udinese. Si fraternizzava, partigiani e comandanti di tutte le formazioni, quando elementi garibaldini comunisti cominciarono ad insolentire ed accusare i nostri ragazzi della formazione Osoppo. Ad un certo momento, la discussione, che poteva essere anche comprensibile in elementi giovanili, acquistò significato molto più profondo e molto più cattivo, perché era rivolta contro i nostri fratelli giuliani di Trieste, ai quali venne ostentata, quasi come un insulto, la stella rossa che per loro, e proprio perché italiani, ha voluto dire, anche sul piano politico: foibe, violenza, negazione di ogni libertà.

Si passò dunque ad atti di violenza: elementi comunisti trassero le rivoltelle e si misero a sparare all’impazzata.

Io mi sono chiesto se era mai possibile che in una cerimonia, nella quale si dovevano rievocare i nostri morti gloriosi, si dovesse arrivare da una certa parte a simili atteggiamenti

Ci si può combattere lealmente sul piano della legalità, del diritto e della giustizia e della carità cristiana.

Anche questa volta, e chiedo scusa dell’accenno che riguarda ancora la mia modesta persona, io intervenni per placare, mentre come partigiano avrei sentito di intervenire a favore dei mei fratelli offesi; ma per far sì che una giornata di pace, di fede e di ricordi non degenerasse in una lotta fratricida.

E allora io dico: è ora di finirla, basta con lo sfruttare con una intenzione demagogica anche i momenti di sosta, sacri ai morti in questa lotta politica che combattiamo nei comizi, in quest’Aula o nelle piazze…

Pensiamo in maniera diversa perché abbiamo mentalità forse opposte per la nostra stessa concezione spirituale, abitudine di vita, temperamento; troviamoci almeno uniti in un punto, in una confluenza, quella di un sacrificio che fu comune, perché la libertà che abbiamo riconquistato è il patrimonio di tutto un popolo, di qualunque colore e fede. Quindi nessuno ha il diritto di fare monopolio come mezzo politico e sbandierarlo come prezzo del suo contributo.

Credo di potere parlare serenamente agli amici di allora, anche se avversari politici, perché compimmo un dovere senza pretendere che a questo dovere così altamente sentito e pagato dai nostri fratelli con la loro vita, con la rinuncia dei beni, dovesse rispondere domani un ricatto quasi a dire al Paese: io ho fatto tanto e voi dovete riconoscerlo. Questo è quanto è degenerato anche nel non mai abbastanza deprecato fascismo: lo squadrismo, esaltazione di ciò che era stato violenza contro gli altri.

E noi invece, che abbiamo compiuto un atto che era bene e doveroso, che sentivamo tutti nobile e puro, non possiamo adeguarci a simile sistema. Questa concezione, quasi mercantile, del dovere rifugge dalla nostra coscienza.

PRESIDENTE. Onorevole Geuna, è una rettifica che lei fa al processo verbale. La prego di concludere.

GEUNA. Sì, ha ragione, onorevole Presidente; ma il processo verbale implicava anche una esposizione di un sistema del quale mi devo risentire. Concludo. Amici e colleghi, noi dobbiamo combatterci e ci combatteremo, ma con la parola, con la stampa, con la convinzione, con le idee, servendo l’idea. Ma se voi crederete di poterci soffocare con la calunnia, con la menzogna, sfasando anche i fatti con la violenza, vi sbagliate. La libertà conquistata dal sangue di tutti gli italiani noi la sapremo difendere. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Mastino Pietro.

(È concesso).

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radio-diffusioni ha proceduto stamane alla propria costituzione, nominando Presidente l’onorevole Molè, Vicepresidente l’onorevole Corsanego, Segretario l’onorevole Laconi.

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avevamo sospeso i nostri lavori nell’ultima seduta al momento in cui stavamo per affrontare l’esame delle materie contenute nel testo unificato degli articoli 109, 110 e 111 proposto dalla Commissione.

Si tratta ora di esaminare, punto per punto queste materie, in relazione agli emendamenti già svolti da numerosi colleghi.

L’elenco proposto dalla Commissione comprende diciannove materie riservate alla potestà legislativa della Regione. Noi le esamineremo una per una e procederemo alle relative votazioni.

La prima materia proposta dalla Commissione è così indicata: «Ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione». Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi, Azzi hanno proposto di aggiungere:

«Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

L’onorevole Zuccarini inoltre ha proposto la seguente formulazione da inserire dopo il terzo punto delle materie indicate dalla Commissione: «Stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione e degli enti locali».

Gli onorevoli Bozzi e Nobile infine hanno proposto di sopprimere le parole: «ed enti amministrativi».

Chiedo il parere della Commissione su questi emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato si è riunito questa mattina ed ha esaminato gli emendamenti in questione. V’è una proposta di togliere. «enti amministrativi». È opportuno evitare equivoci. Mettendo «enti amministrativi della Regione» si potrebbero intendere anche i Comuni e le Provincie. Ora è evidente che sopra l’ordinamento di questi enti non può dettar norme la Regione. Si proporrebbe allora di mettere: «Ordinamento degli uffici e degli enti istituiti dalla Regione», cioè di quegli organi che la Regione può istituire. Questa è la proposta con cui veniamo incontro all’emendamento Bozzi-Nobile.

Quanto alla aggiunta «stato giuridico ed economico degli impiegati delle Regioni e degli enti locali», la maggioranza del Comitato non è stata favorevole, perché ha ritenuto opportuno che in questa materia le garanzie fondamentali giuridiche ed anche economiche degli impiegati siano stabilite con un criterio unico. La minoranza ha fatto osservare che non intendeva togliere le norme generali che poteva porre la legge dello Stato, ma soltanto lasciare certe facoltà di adattamento secondo le esigenze regionali. La maggioranza ha risposto che certamente le leggi dello Stato non sopprimeranno la facoltà di adattamento da parte delle Regioni; e potranno conferire alle Regioni speciali poteri; ma non conviene dare, in via generale, carattere legislativo regionale a questa materia.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Mi pare che l’emendamento proposto dal Comitato, pur risolvendo in parte i miei dubbi, sollevi un altro problema. Infatti, quando esso dice: «enti amministrativi istituiti dalla Regione» conferisce indirettamente alla Regione potere di creare enti con personalità giuridica, mentre oggi gli enti pubblici si creano attraverso una procedura che è statale. Io non potrei approvare una siffatta potestà conferita alle Regioni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Regione può provvedere alle sue funzioni sia attraverso uffici, sia attraverso enti creati ad hoc, che possono avere una certa autonomia ma sono sempre para-regionali. Ad ogni modo, il Comitato ha esposto le sue idee, sopra una questione che non sembra estremamente importante. L’Assemblea decida come crede.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. È pur necessario venire incontro alla preoccupazione che l’onorevole Bozzi ha testé manifestata; è tanto più necessario, in quanto nella sostanza tutta la Commissione è d’accordo, e penso sia d’accordo tutta l’Assemblea. Si tratta di trovare una definizione che non si presti ad interpretazioni errate. Io credo che potrebbe essere così formulata: «enti amministrativi dipendenti dalla Regione». Probabilmente questa definizione è quella che dà luogo a minori equivoci. Comunque, se non si crede di trovare in questo istante una soluzione, si voti con la riserva di rimettere al Comitato di redazione una migliore formulazione. Sia inteso, all’atto di votare, che da questi enti amministrativi (io chiedo al Presidente della Commissione di chiarire esplicitamente il punto) sono escluse la Provincia ed i Comuni, in modo che l’equivoco resti formale. Riguardo alla modifica che ho proposto, chiedo al Presidente della Commissione che esprima il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI. Presidente della Commissione per la Costituzione. Sul punto che Provincie e Comuni non sono fra gli enti amministrativi, il cui ordinamento può essere legislativamente regolato dalle Regioni, sono stato molto esplicito poco fa. In quanto alla parola «dipendenti» l’accetterei, perché viene incontro alla proposta dell’onorevole Bozzi che, credo, non insisterà nel suo emendamento. Potremo così votare: «ordinamento degli uffici ed enti amministrativi dipendenti dalla Regione».

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la prima parte del primo alinea: «Ordinamento degli uffici».

(È approvata).

Pongo ora in votazione la seconda parte del primo alinea nella formulazione proposta testé dalla commissione:

«ed enti amministrativi dipendenti dalla Regione».

(È approvata).

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Perassi ed altri, sostanzialmente identico all’altro proposto dall’onorevole, Zuccarini: «Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il mio Gruppo voterà contro l’emendamento aggiuntivo proposto dagli onorevoli Perassi e Zuccarini. I motivi per cui voteremo contro sono evidenti. Noi possiamo ammettere che esistano differenti burocrazie nelle differenti Regioni, ma non possiamo, in alcun modo, ammettere che ciascuna di esse abbia attribuiti uno stato giuridico ed un trattamento economico diverso, a seconda delle possibilità economiche della Regione stessa. Noi verremmo ad operare, nel corpo della burocrazia italiana, una selezione a vantaggio delle Regioni più ricche, e verremmo, nelle Regioni più povere, ad avere lo scarto degli impiegati. Non possiamo ammettere una cosa di questo genere. Quindi, voteremo contro.

CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Mi associo alle dichiarazioni dell’onorevole Laconi. Anche il mio Gruppo voterà contro.

TONELLO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Il mio Gruppo è contrario alla proposta degli onorevoli Perassi e Zuccarini. Noi abbiamo detto di voler sfollare un po’ la burocrazia centrale, spostando diversi funzionari dal centro alla periferia. È evidente la necessità che questi funzionari abbiano tutti lo stesso trattamento, qualunque sia la Regione nella quale verranno occupati. Inoltre, bisogna che non sia leso il loro diritto di funzionari. Sarà una cosa molto difficile, onorevoli colleghi, che dei funzionari, i quali, per esempio, risiedono qui a Roma, possano andare in qualche Regione ad esplicare il loro lavoro. Forse si sarebbe costretti a fare a questi funzionari un trattamento di preferenza.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà contro l’emendamento proposto dagli onorevoli Perassi e Zuccarini.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Desidero precisare che le ragioni dell’emendamento erano date dalla preoccupazione – che già ho illustrato – che gli impiegati degli enti locali non fossero, come avviene oggi, troppo frequentemente spostati da una Regione all’altra, ma dovessero vivere sul posto per conoscere a fondo i problemi.

Noi crediamo che il trattamento economico sarà eguale, ma non è qui la questione.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini, lei ha già svolto il suo emendamento.

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Le ragioni che mi inducono a votare contro sono state già svolte dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. Dichiaro che il mio Gruppo voterà contro l’emendamento Perassi-Zuccarini.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo Perassi-Zuccarini, che rileggo: «Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali».

(Non è approvato).

Passiamo al secondo alinea: «Modificazioni delle circoscrizioni comunali e provinciali».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimerlo; ma ciò si traduce nel votare contro la proposta formulazione. Ogni proposta deve avere contenuto positivo; coloro che non intendono approvare la formulazione votano contro e possono giustificare il loro voto con una dichiarazione.

L’onorevole Costa ha proposto di aggiungere: «e delle denominazioni dei Comuni». Egli non è presente.

PIEMONTE. Faccio mia la proposta dell’onorevole Costa.

PRESIDENTE. Sta bene. Voteremo prima il testo della Commissione e poi la proposta aggiuntiva.

Chiedo il parere della Commissione sull’emendamento.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto riguarda l’aggiunta della frase: «e delle denominazioni dei Comuni» non sono d’accordo, perché allora bisognerebbe parlare anche delle provincie ed entrare in altre specificazioni. Mi pare eccessivo dare nella Costituzione particolare risalto a questo argomento.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Secondo me, bisogna guardare anche a quelli che sono i diritti dei cittadini. Quando si tratta di dare alla nuova Costituzione questo diritto di modificare la circoscrizione comunale, provinciale, ecc., bisognerebbe che almeno si tenesse presente l’opportunità che vi sia l’approvazione della popolazione. Io domando: si può cambiare la circoscrizione senza che il cittadino possa manifestare, attraverso una votazione, l’adesione a queste modificazioni? L’alinea dovrebbe, pertanto, essere soppresso.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei fare osservare all’onorevole Tonello che è implicito, per quanto riguarda questo articolo, che le norme generali e fondamentali debbono essere stabilite dallo Stato; quindi queste modificazioni non è che si possano fare ad arbitrio.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Sono del parere che si possano dare alla Regione i poteri di modificare la circoscrizione comunale, ma per le modifiche delle circoscrizioni provinciali, penso che esse debbano restare compito dello Stato. Proporrei, pertanto, che l’alinea si votasse per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene, la votazione avverrà per divisione.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Dichiaro di ritirare l’emendamento dell’onorevole Costa che avevo fatto mio, riservandomi di presentare la proposta quando si tratterà della Provincia.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Dichiaro a nome del mio Gruppo che voteremo per il testo della Commissione da noi giudicato preferibile.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del secondo alinea;

«Modificazione delle circoscrizioni comunali».

(È approvata).

Pongo ai voti la seconda parte: «e provinciali».

(Dopo prova e controprova è approvata).

Passiamo al terzo alinea del testo della Commissione: «Polizia locale urbana e rurale».

Vi è a questo proposito la seguente proposta dell’onorevole Mortati, abbastanza complessa:

«Fondere i capoversi secondo, terzo e quarto dell’articolo unificato risultante dagli articoli 109, 110 e 111 del progetto, l’articolo 119 e l’articolo 124, nel seguente articolo, che dovrebbe precedere, nella collocazione finale, l’articolo 109:

«Lo Statuto di ogni Regione è stabilito, in armonia con la Costituzione e le norme legislative della Repubblica, mediante legge deliberata dal Consiglio regionale alla presenza della maggioranza dei consiglieri e con il voto favorevole dei due terzi dei presenti.

«Esso conterrà le norme per l’organizzazione interna della Regione, per la modificazione delle circoscrizioni provinciali e comunali, per l’ordinamento della polizia locale urbana e rurale, per l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum legislativo, per l’impiego del referendum su provvedimenti amministrativi, e per quanto altro occorra all’adempimento dei compiti affidati alla Regione».

MORTATI. Chiedo di rinviare la discussione dell’emendamento.

(Così rimane stabilito).

PRESIDENTE. Pongo in votazione il terzo alinea:

«Polizia locale urbana e rurale».

(È approvato).

Passiamo al quarto alinea: «Fiere e mercati».

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Desidero chiedere che cosa si vuole intendere per fiere nel caso contemplato dal comma in esame, perché, se trattasi di fiere di carattere nazionale, non mi pare conveniente lasciarle alla competenza della Regione. Propongo pertanto che si dica: «fiere e mercati locali».

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Presidente della Commissione di manifestare il proprio pensiero riguardo alla proposta dell’onorevole Corbino.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituente. A me pare implicitamente inteso che si tratta di fiere e di mercati locali; non è necessario aggiungerlo; se noi mettessimo qui l’attributo «locali», dovremmo aggiungerlo anche in molte altre voci dell’articolo ed in altri articoli. Non mi sembra necessario, essendovi il presupposto che quando si parla della Regione, si tratta sempre di attività che non eccedono l’interesse regionale.

PRESIDENTE. Onorevole Corbino, insiste nella sua proposta?

CORBINO. Insisto. Desidero che si aggiunga all’espressione «fiere e mercati» la parola «locali». (Commenti).

TEGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEGA. Dichiaro che voterò contro l’alinea, in quanto viene a menomare l’autonomia comunale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula: «Fiere e mercati».

(È approvata).

Metto in votazione raggiunta proposta dall’onorevole Corbino della parola «locali».

(Non è approvata).

Passiamo ora al quinto alinea:

«Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria e ospedaliera».

Gli onorevoli Merighi e Fornara hanno proposto di sopprimere le parole «ed assistenza sanitaria e ospedaliera».

L’onorevole Colitto, ha proposto di aggiungere le parole: «sanità ed igiene»; l’onorevole Zuccarini ha proposto di aggiungere l’espressione «igiene e sanità pubblica».

Infine l’onorevole Caronia e altri deputati hanno proposto di sostituire l’alinea col seguente: «Igiene e sanità pubblica, beneficenza pubblica ed assistenza ospedaliera».

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Vorrei un chiarimento. Noi sappiamo che gli Istituti della Previdenza sociale creano, per l’esercizio della loro funzione, degli ospedali nelle varie Regioni. Desidero pertanto conoscere se anche tali ospedali dovranno essere soggetti alla regolamentazione da parte della Regione, o se potranno invece vivere alle dipendenze degli istituti che li hanno creati.

PRESIDENTE. Chiedo alla Commissione di esprimere il proprio parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Do all’onorevole D’Aragona l’espresso chiarimento che gli istituti di assistenza che dipendono da enti nazionali non cadono sotto la potestà legislativa della Regione. Questa è espressa dichiarazione del Comitato, per l’interpretazione dell’articolo.

Veniamo ora agli emendamenti presentati. Ve n’è uno che toglie e uno che aggiunge. Quello che toglie lascia soltanto «beneficenza pubblica», sopprimendo «assistenza sanitaria ed ospedaliera». Il Comitato mantiene il suo testo, facendo presente che gli istituti ospedalieri e di assistenza, affidati ad enti locali, ad esempio i brefotrofi ed i manicomi provinciali, rimarranno ad essi, se non del tutto, in gran parte, anche con i riordinamenti che possano introdursi mediante una regolazione nazionale di questa materia. Lasciamo dunque al riguardo una potestà legislativa secondaria alla Regione.

Per quanto riguarda l’emendamento aggiuntivo, il Comitato non è favorevole, nella sua maggioranza, ad aggiungere «sanità ed igiene» o «sanità pubblica» o qualche cosa del genere, perché qui si tratta di materie così gelose – basta accennare alle infezioni – che non si può, passando un confine regionale, mutarne i precetti e la disciplina. Questa materia deve essere affidata allo Stato. Non è escluso – ed il nostro schema lo consente – che lo Stato affidi l’esercizio di queste funzioni a medici regionali, o provinciali, ma la facoltà di emettere norme aventi valore legislativo e di dirigere i servizi deve essere attribuita e conservata allo Stato.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione del quinto alinea.

LONGHENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGHENA. Mi associo alla proposta Merighi-Fornara, perché le direzioni degli ospedali non hanno ancora definito con precisione il loro punto di vista circa la sistemazione di questi enti, e finché non sarà nota la decisione di coloro i quali sono competenti in materia, non mi sento di votare il testo della Commissione.

BERTONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTONE. Desidero solo chiedere alla Commissione un chiarimento circa il problema del recupero delle spese di spedalità, uno dei problemi più gravi che riguarda gli enti ospedalieri. Se il regolamento delle spese di spedalità viene fatto dalla Regione, può darsi che le singole Regioni si diano ciascuna un regolamento autonomo, l’uno diverso dall’altro, e quindi potrebbe verificarsi che una Regione imponesse norme che sono totalmente diverse da quelle di un’altra Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di parlare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Posso tranquillare l’onorevole Bertone, perché, in base al primo comma di questo articolo, che già abbiamo approvato, spetta allo Stato fissare i principî fondamentali, anche per questa materia, che non sarà quindi lasciata all’arbitrio illimitato della Regione.

MAFFI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAFFI. Io voterò contro, perché vedo quanto sia pericoloso stabilire un principio che consenta alle Regioni un’interferenza in un problema come quello dell’assistenza sanitaria ed ospedaliera, problema che dovrà essere oggetto di una profonda trasformazione. Basterà riferirsi soltanto al problema dell’assistenza ai tubercolotici, che dovrà essere fondamentalmente basato su un’assicurazione statale, per capire che disastro economico, amministrativo, direttivo si avrebbe se noi dovessimo affidare alle singole Regioni facoltà normative su questo argomento.

Quando pensiamo che è opinione ormai generalizzata che l’assistenza pubblica debba essere nientemeno che affidata ad un Ministero della sanità pubblica, in collegamento con tutti i Ministeri veramente attivi della vita sociale (quindi, col Ministero del lavoro, col Ministero dell’agricoltura, con il Ministero della pubblica istruzione), un Ministero efficientissimo, centralizzato, in rapporto con tutte le autonomie locali, sì, ma che abbia una unicità di indirizzo, com’è unitario il problema dell’assistenza sanitaria, che, pur con differenze minime fra Regione e Regione, interessa la vita di tutta la nazione, noi vediamo l’assurdità della proposta regionalistica in tale materia.

Siamo di fronte a problemi di una grande altezza, di una vera nobiltà sociale, e stiamo per frazionarne l’attuazione affidandola alle Regioni ed alle Provincie che, in molti casi, saranno incompetenti e, in molti altri casi, saranno espressione di interessi dominanti che spesso non risponderanno agli interessi del pubblico bene.

MICHELI. Le cricche ospedaliere!

MAFFI. Già, le cricche ospedaliere! Quindi noi dobbiamo votare contro.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Voterò contro per due motivi. Il primo si ricollega all’eccezione sollevata dall’onorevole Bertone: mi pare che la limitazione delle direttive e dei principî generali non basti a tranquillizzarci su taluni problemi dell’assistenza ospedaliera, problemi che sono e restano di carattere generale, come quelli del cosiddetto domicilio di soccorso e della ripartizione delle cosiddette spese di spedalità.

Per un secondo motivo voterò contro: perché è dinanzi ai miei occhi il quadro delle regioni meridionali. Ritengo che la regolamentazione di questa materia debba essere unitaria per il Nord e per il Sud e che attribuire l’assistenza ospedaliera alla Regione segni per il Mezzogiorno un pauroso regresso.

NOBILE. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Questa era una delle poche voci per le quali non avevo chiesto la soppressione; ma dopo aver sentito l’opinione di colleghi che hanno competenza nella materia, dichiaro di votare per l’esclusione anche di questa voce.

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Unicamente mi permetto di rilevare al collega Maffi una contradizione. Pochi giorni fa si diceva che alcuni medici incaricati di dire se c’era malaria o no, sotto il regime unitario, per far carriera negavano che esistesse, anche se c’era. Ora, nella Regione, queste cose non succederanno più.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte del quinto alinea: «Beneficenza pubblica».

(È approvata).

Prima di passare alla votazione della seconda parte «ed assistenza sanitaria e ospedaliera», chiedo agli onorevoli Colitto, Zuccarini e Caronia, che hanno presentato emendamenti, se ritengano di poter fondere il testo della Commissione con le loro proposte, o se considerino le loro proposte nettamente distinte.

COLITTO. Non insisto nell’emendamento.

ZUCCARINI. Mantengo la formula: «igiene e sanità pubblica», ma come un alinea separato.

CARONIA. Accetto la formula aggiuntiva: «igiene e sanità pubblica».

PRESIDENTE. Voteremo prima il testo della Commissione, per la quale non vi sono emendamenti, e poi la proposta aggiuntiva degli onorevoli Zuccarini e Caronia.

BIBOLOTTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BIBOLOTTI. Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi, e specialmente dei colleghi democristiani, su un fatto. Il Presidente del Consiglio, qualche giorno addietro, ha insediato, con una certa solennità, una Commissione che dovrebbe provvedere a fornire indicazioni al legislatore di domani per una riforma previdenziale. Tutti i voti dei convegni tecnici di studiosi, di organizzatori sindacali, di coloro che si sono occupati del problema della previdenza e assistenza, hanno prospettato un riordinamento profondo, ma su base unitaria, di questa materia. Ora, se, presi dalla passione regionalistica, noi attribuiamo queste funzioni alla Regione, rischiamo di fare un grande passo indietro su questo problema. Chiederei che i colleghi democristiani riflettessero su una decisione che è contro le stesse loro deliberazioni e contro gli impegni che hanno assunto nei loro convegni. Voglio supporre che questo problema non sia stato valutato sufficientemente. Ecco perché faccio appello a coloro che hanno responsabilità in materia perché non si commetta questo grave errore, che farebbe fare un passo indietro di trenta anni al problema dell’assistenza sociale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto all’onorevole Bibolotti quello che ho detto all’onorevole D’Aragona: la previdenza sociale, più recentemente nata ed ancora in sviluppo, si basa sopra altri criteri, ed ha un profilo a sé, diverso da quello della tradizionale assistenza ospedaliera, che è esercitata in forme ed istituti locali. Lo sviluppo della previdenza sociale potrà ridurre questo mondo antico, che resterà tuttavia sempre, almeno in parte, in vigore; e nulla vieta che sia regolato dalla legislazione regionale, sempre entro i limiti dei principî posti con leggi dello Stato. Invece per la previdenza sociale, che s’ispira a criteri essenzialmente nazionali, l’unico legislatore e regolatore sarà lo Stato.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. L’argomento, indiscutibilmente, è molto grave. Non basta affermare che la previdenza sociale è libera, al disopra degli ospedali provinciali, regionali e locali. I vecchi legislatori ricorderanno che nel 1917 è stata costituita una Commissione per introdurre in Italia l’assicurazione malattia. Ricordo che le conclusioni di quella Commissione furono che si dovesse costituire in Italia un ente nazionale il quale avrebbe dovuto assorbire tutti gli ospedali locali; perché la sanità, la prevenzione, la cura, la post-cura sono cose che non possono essere lasciate a organi locali, se si vuole sinceramente che questa funzione della sanità sia veramente una cosa seria. Oggi abbiamo – lo ha detto il collega onorevole Bibolotti – una Commissione, la quale deve studiare il riordinamento delle assicurazioni sociali e della previdenza sociale.

Tra le varie correnti di idee che si muovono nel campo della previdenza sociale, vi è anche quella – non so se avrà la prevalenza nella Commissione che ho l’onore di presiedere – la quale afferma il principio che il cittadino ha il diritto di essere assistito dalla nascita alla morte, in tutte le evenienze della sua gita. Tutto questo deve essere accentrato in un ente nazionale, il quale deve seguire il cittadino attraverso tutte le malattie.

In Italia, per esempio, abbiamo questa situazione strana: esiste una assicurazione contro la tubercolosi completamente disgiunta dalla assicurazione contro le malattie, come se la tubercolosi non fosse una malattia. Ma come è possibile svolgere un’azione efficace in tutto il Paese contro la tubercolosi, se non si dà ad un organismo di carattere nazionale il diritto di avere dei poteri sugli ospedali locali, anche se questi ospedali non dipendono direttamente da quest’organo centrale della sanità, per la difesa delle popolazioni contro la tubercolosi? Se dipendono da organi regionali, come potrà quest’organo superiore influire? Si dice, è vero, al primo comma che «la Regione emana norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», ma è molto facile superare poi nella pratica queste formule generiche e mettere quindi questi organismi in condizione di non avere la elasticità necessaria per lo svolgimento della loro azione.

Per tutte queste ragioni, dichiaro che io voterò per la soppressione della voce in esame.

MICHELI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io non voglio contrastare le parole dette dall’onorevole Bibolotti, in quanto egli ha affermato che qualcuno di noi fosse affetto da mania regionalistica.

BIBOLOTTI. No, no, ho detto passione.

MICHELI. Trattandosi di ospedali, io ho trasformato la passione in mania. Certo però ho detto mania per me, in quanto intendevo serbare l’espressione più graziosa, la passione, per lei, onorevole Bibolotti, e per coloro che sono del suo parere, poiché mi pare che lei abbia un poco di passione anti-regionalistica.

Ma, discutendosi, come ogni momento si vuol fare, fino alla virgola, mi pare che si voglia arrivare a sfrondare l’albero della Regione, in modo che l’esperimento debba fallire e si possa darne domani la colpa a noi, mentre siete voi che volete farlo fallire. (Interruzioni a sinistra).

Questo dico come preambolo. Giacché debbo aggiungere ai colleghi che si vuole equivocare sulla interpretazione di quello che effettivamente significa la parola assistenza sanitaria ed ospedaliera.

Che cosa c’entra la previdenza sociale nella questione che è detta così chiaramente in questo articolo?

MORELLI RENATO. E il tubercolosario?

MICHELI. Ne parleremo più tardi. Permetta il collega che ci arrivi attraverso tutte le altre forme di malattia. (Commenti a sinistra).

Grazie al cielo non è dei soli affetti da tubercolosi che noi in questo momento ci dobbiamo preoccupare.

Può anche darsi che i tubercolosari, i quali hanno una organizzazione già sapientemente organizzata e predisposta, non siano compresi in questa parte, ma che invece non sia necessario eliminare queste parole dell’articolo proposto, in quanto che esso nulla innova di quello che è lo stato di fatto attuale.

DI VITTORIO. Lo stato di fatto non è simpatico.

MICHELI. Se ella crede che non sia simpatico, non la voglio contraddire. Lei potrà indicare le località deficienti che la inducono a questa affermazione. Io parlo di altre località che conosco in senso contrario e quindi ella permetterà che io non accetti questa sua interruzione, perché non mi pare adatta, in questo momento.

Gli ospedali da chi dipendono ora? Dallo Stato? Niente affatto. Allo Stato ricorrono qualche volta per la integrazione dei loro bilanci, ma gli ospedali non hanno nessuna dipendenza dallo Stato. Quindi, effettivamente, o formano enti particolari, o dipendono dai comuni, qualcuno anche dalle provincie. Questo oggi; domani i rapporti con lo Stato passeranno alla Regione. Sarà una specie di amministrazione superiore. Quindi nessuna particolare modificazione che venga a turbare la situazione attuale. Solamente noi organizzeremo localmente quello che adesso dipende dall’alto; allora si avrà un maggiore controllo dei cittadini e non dovremo per ogni piccola questione venire qui ad inchinarci a queste formazioni centralistiche nelle quali, molti o pochi, medici o professori, comandano e dettano norme a tutta Italia. Questo non deve continuare. Di medici e professori ne abbiamo anche localmente, altrettanto bravi e valenti, e non è il caso che soltanto per questo si debba sminuire l’importanza di questa proposta.

Per quanto si riferisce alla osservazione dell’onorevole D’Aragona, essa è di una importanza notevole; però mi permetto di fargli osservare che egli ha detto che nel lontano 1917 si è istituita una Commissione, la quale doveva riunire tutti gli istituti assistenziali, dare ad essi un indirizzo unico, sistemare tutto. Questa Commissione, dal 1917 ad oggi, non ha concluso che poco o nulla e gli ospedali restano come erano. Raggruppiamoli; facciamo tanti reparti ospedalieri regionali e riusciremo a fare qualche cosa, che con la Commissione unica non si è mai riusciti a fare e non si farà. Le Commissioni, sapete come sono, studiano molto e concludono poco.

Noi localmente studieremo e concluderemo quello che voi nella Commissione, dal 1917 ad oggi, non siete riusciti a concludere.

Onorevole D’Aragona, io ho visto con molto piacere ed ho assistito al solenne insediamento della nuova Commissione della quale siete presidente e mi sono compiaciuto perché nessuno era più degno di voi a sedere in quel posto; permettete che vi dica: Ad multos annos, per voi e per la vostra Commissione. (Si ride).

DI VITTORIO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI VITTORIO. Vorrei osservare che se vi è un principio sul quale le varie correnti che si occupano di problemi sociali sono d’accordo, è proprio quello di basare tutta la materia dell’assistenza sanitaria sulla più completa solidarietà nazionale. Noi abbiamo in Italia provincie e Regioni le quali hanno una attrezzatura sanitaria presso a poco sufficiente per i bisogni della popolazione.

Ne abbiamo altre nelle quali una vera e propria assistenza sanitaria non esiste. Se deleghiamo alla Regione l’assistenza sanitaria, rischiamo di condannare le zone più povere, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, a non uscire mai da questa inferiorità. Invece lasciando al Paese intera la responsabilità dell’assistenza sanitaria, si deve fare in modo che tutto il Paese, con tutti i suoi mezzi e le sue risorse, concorra a creare o a sviluppare l’assistenza sanitaria anche nelle Regioni più povere, dove questa non esiste. Perciò qui non si tratta della Regione o dell’anti-Regione; si tratta di un problema tecnico e di un problema sociale di grandissima importanza, che dobbiamo risolvere secondo le sue esigenze intrinseche e non secondo determinate pregiudiziali estranee al problema stesso.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Vorrei fermarmi un istante sulla necessità di guardare il problema sanitario in rapporto alla tubercolosi, perché specialmente nel Mezzogiorno, nelle città più sinistrate dalla guerra, questo problema assume un aspetto preoccupante. Dalle statistiche che ho potuto avere presso gli enti competenti, si desume che vi è un aumento di tubercolosi rispetto all’anteguerra del 40 per cento ed attualmente abbiamo che, mentre la previdenza sociale può provvedere all’assicurazione ed eventualmente alla cura semplicemente di una metà di coloro che sono affetti da quel terribile male, l’altra metà viene curata attraverso le organizzazioni provinciali o comunali, vale a dire che i tubercolotici sono assistiti per una metà dagli istituti sanitari della previdenza sociale, mentre per l’altra metà devono essere assistiti dalle provincie e dai comuni. Discende da questo la necessità di una unitarietà, di un unico indirizzo di assistenza in questa materia.

L’onorevole Di Vittorio ha accennato alla disparità delle condizioni economiche delle varie Regioni ed io mi permetto di aggiungere che vi è una sola necessità: quella che si possa finalmente affrontare e sperare di risolvere questo tremendo male che affligge gravemente l’Italia. Sono quindi decisamente contrario che alla Regione sia affidata la legislazione in materia sanitaria.

MERIGHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MERIGHI. Di fronte a certe dichiarazioni è opportuno che anche io faccia la mia dichiarazione personale di voto.

Faccio osservare al collega Micheli, di cui ammiro profondamente il giovanile entusiasmo per la giovinetta Regione, che il limitare o togliere alla Regione stessa certi attributi può significare, anziché la svalutazione, la valorizzazione sua e quindi il non farne fallire l’esperimento. Limitandone i compiti a determinate cose, per cui può essere realmente competente la Regione, c’è il caso che l’esperimento regionale risponda di più allo scopo.

Mi pare che dalla discussione avvenuta, per quanto riguarda il problema assistenziale e sanitario, appaia ancora un po’ di confusione nel pensiero di molti colleghi. Questa confusione di idee, su cui per necessaria brevità non mi soffermo, non vorrei che fosse tradotta domani nella legislazione regionale, il che potrebbe urtare contro i principî legislativi nazionali, e di conseguenza contro i regolamenti locali. Vi faccio osservare, poi, a proposito di assistenza ospedaliera, che presso l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica vi è una Commissione, la quale lavora da tempo per la riforma degli ospedali e per la riforma della legislazione sanitaria, cercando di ovviare ad inconvenienti che si sono creati, e che avete rilevato (Interruzioni e rumori a destra) e per coordinare le richieste ed i contrasti fra clinici ed ospedalieri.

Osservo inoltre che dare l’assistenza sanitaria alla Regione, può portare a profonde modifiche di quelle che sono antiche istituzioni (Interruzione a destra), ad esempio quella della condotta medica. Il nostro intervento, non vuole essere un intervento negativo od ostruzionistico: vuole essere anzi positivo, nel senso di richiamare l’Assemblea e la benevola attenzione del Presidente della Commissione alla possibilità di una sospensiva. In caso contrario voterò contro la proposta.

VIGNA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGNA. Desidero avere un chiarimento. Vi sono Comuni che hanno enti ospedalieri e di assistenza di data secolare, che costituiscono il loro orgoglio ed il loro vanto. Ora io chiedo al Presidente della Commissione, quali possano essere, eventualmente, i poteri della Regione in relazione al funzionamento di questi enti ospedalieri che, come ho già detto, costituiscono vanto ed orgoglio di tanti nostri Comuni.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha tenuto presente la preoccupazione dell’onorevole Vigna. Nell’articolo 112, che segue immediatamente, è stabilito, che con leggi dello Stato possono affidarsi agli altri enti locali funzioni amministrative nelle materie la cui legislazione secondaria è affidata alla Regione. La Costituzione, dunque, permette di conservare nell’ambito della gestione dei Comuni gli istituti ospedalieri che sono una loro antica tradizione.

MAFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, ella ha già parlato in sede di dichiarazione di voto.

MAFFI. L’onorevole Micheli ha lanciato contro di noi un’accusa e abbiamo il diritto di rispondere.

PRESIDENTE. In altra sede, non in sede di votazione.

MAFFI. È un dato di fatto che bisogna portare per chiarire il pericolo a cui si va incontro. (Rumori al centro). Onorevole Micheli, noi non siamo affetti da «michelite». (Interruzione dell’onorevole Micheli).

PRESIDENTE. Onorevole Maffi, la prego di non insistere.

Pongo in votazione la seconda parte del quinto alinea nel testo della Commissione: «ed assistenza sanitaria e ospedaliera». È evidente che coloro i quali accettano l’emendamento soppressivo degli onorevoli Merighi e Fornara voteranno contro la formulazione della Commissione.

(È approvata).

 

Passiamo ora alla votazione dell’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Zuccarini e Caronia: «Igiene e sanità pubblica», salvo poi a vedere in quale punto della elencazione bisognerà inserire l’espressione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei dichiarare, per evitare ogni equivoco, che il Comitato considera ben distinti due ordini di questioni. L’assistenza ospedaliera, in quanto questione d’ordinamento amministrativo, può essere regolata, sempre subordinatamente, dalla Regione. Non così quanto, come igiene e sanità, è questione proprio di salute pubblica, e di precetti e prescrizioni, ad esempio contro le infezioni, che deve essere regolato esclusivamente dallo Stato.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo degli onorevoli Zuccarini e Caronia: «Igiene e sanità pubblica».

(Non è approvato).

Passiamo al sesto alinea così formulato: «Istruzione artigiana e tecnico-professionale».

Gli onorevoli Colitto e Marchesi hanno proposto di sopprimere l’alinea. Gli onorevoli Miccolis, Penna Ottavia, Rodi, Patrissi, Abozzi, Venditti, Castiglia, Colitto, Quintieri Quinto, Trulli hanno proposto di sopprimere l’inciso: «e tecnico-professionale». Anche gli onorevoli Nobile e Preti hanno proposto di sopprimere queste parole.

L’onorevole Perassi ha proposto di aggiungere le parole: «ed assistenza scolastica».

Gli onorevoli Caronia, Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano, De Maria, Borsellino, Codacci Pisanelli, hanno proposto di fondere l’alinea in esame con quello successivo relativo ai «musei e biblioteche di enti locali» adottando la formula: «Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

Chiedo alla Commissione di esprimere il suo parere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per quanto riguarda l’emendamento dell’onorevole Caronia, debbo dichiarare che la Commissione dei Settantacinque, in tutti i suoi lavori, fu unanime nel non ammettere il passaggio in blocco alla legislazione secondaria della Regione, e come conseguenza, per il successivo articolo 112, il passaggio in blocco alla gestione regionale di tutta l’amministrazione scolastica, di tutto quanto dipende dal Ministero dell’istruzione.

Basta enunciare questo punto di vista per comprendere il netto diniego di accettare l’emendamento Caronia.

Per quanto riguarda la sua prima formula: «Istruzione artigiana e tecnico-professionale», il Comitato riconosce che. facendo menzione della istruzione «tecnica», potrebbe sorgere l’equivoco che la scuola tecnica e gli istituti tecnici siano deferiti alla Regione.

Quanto all’emendamento dell’onorevole Perassi, che aggiunge: «ed assistenza scolastica», il Comitato non ha difficoltà di accettarlo.

PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che non si tratta ora di riaprire la discussione, ma di fare soltanto dichiarazioni di voto.

È dunque favorevole a modificare così: «Istruzione professionale ed artigiana».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Vorrei conoscere con maggior precisione quale sia il significato dell’espressione «assistenza scolastica» proposta dall’onorevole Perassi. L’assistenza scolastica può difatti riferirsi alle casse scolastiche, alle provvidenze relative alla scuola media in generale, ma anche, ad esempio, alle borse di studio universitarie. Bisognerebbe quindi chiarire con maggiore esattezza, perché sarebbe assai pericoloso affidare alla Regione tutto l’insieme dell’assistenza scolastica, compreso, per esempio, quanto riguarda l’assistenza ai reduci o agli, ex partigiani, di competenza degli istituti superiori. Ripeto, vorrei un chiarimento al riguardo.

D’ARAGONA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

D’ARAGONA. Oggi abbiamo in Italia, per quanto riguarda le scuole professionali, organi regionali, che sono i Consorzi, i quali dipendono direttamente dal Ministero della pubblica istruzione. Inoltre, vi è un altro organo che si chiama I.N.A. P.L.I., dipende dal Ministero del lavoro. Questi due organismi hanno il compito di vigilare, sorvegliare, indirizzare e guidare le scuole professionali. A questi si aggiunge il Provveditorato degli studi. Le scuole professionali finiscono, alla fine, per fare quello che vogliono, perché, siccome questi organismi non vanno d’accordo fra loro, le scuole professionali devono superare tutti gli inciampi che essi frappongono.

Domando – è un chiarimento che chiedo – se quando si darà il diritto alle Regioni di legiferare in materia di scuole professionali, gli organismi che sono di carattere nazionale, che pure hanno la vigilanza sulle scuole locali, che, anzi, sussidiano le scuole locali, dovranno sparire, oppure dovranno passare alle dipendenze della Regione, o continueranno la propria opera in nome dello Stato, cioè a carattere nazionale. In caso contrario noi, anziché dare sviluppo a queste scuole professionali, finiremmo per soffocarle.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Devo osservare che, nella sostanza, sono d’accordo con l’onorevole Presidente della Commissione, perché qui si tratta di mettere fuori causa gli istituti tecnici. Ma, disgraziatamente, da un certo numero di anni a questa parte, quando si parla, onorevole Ruini, di istruzione professionale, si intende anche parlare di istituti tecnici.

Devo poi osservare una cosa importantissima, cioè che noi abbiamo riconosciuto a un qualsiasi privato il diritto di istituire scuole. Nessuno vieta alla Regione di poter creare anche istituti tecnici; ma questi tipi di scuole – chiamiamoli istituti tecnici, istituti professionali, chiamiamoli come vogliamo – non devono assolutamente intaccare l’iniziativa dello Stato. Ora, questi istituti possono essere creati per iniziativa delle Regioni, come già è stato stabilito in materia generale di istruzione. Perché vogliamo insistere su questa formula che può veramente creare gravi difficoltà di interpretazione?

Noi potremmo arrivare alla conclusione che un ragioniere di Napoli ha un diploma che, forse, non è riconosciuto a Milano: badate che possiamo arrivare a questo assurdo.

Ho detto e ripeto che, nella sostanza, con il Presidente della Commissione, siamo nello stesso ordine di idee; però nella dizione proposta ci può essere equivoco.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, l’onorevole Ruini ha proposto la dizione: «Istruzione professionale e artigiana».

MICCOLIS. Ma per scuole professionali – io vivo in quell’ambiente – oggi s’intendono scuole che vanno da quelle di avviamento al lavoro fino agli istituti tecnici. (Commenti).

PIEMONTE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIEMONTE. Domando se nel termine «scuole artigiane e professionali» devono comprendersi o meno le scuole inferiori medie di agricoltura specializzate, perché, sé c’è un tipo di scuola che propriamente deve avere un carattere regionalistico, è indiscutibilmente quello.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Qualsiasi forma venga adottata, io dichiaro che voterò contro, anche se sono molto scettico sull’efficacia del mio e degli altri presumibili voti contrarî, a causa dell’intervento massiccio dei colleghi regionalisti che rende praticamente senza effetti la nostra opposizione.

Mi pare infatti che in proposito vi sia già un’esperienza significativa nel settore universitario. Altri potrebbe, sotto questo riguardo, parlare con maggior competenza di me degli inconvenienti che si sono manifestati sia dal punto di vista amministrativo – ricordiamo che alcune università si sono trovate persino di fronte al pericolo di dover chiudere i battenti – sia da quello più specifico dell’ordinamento degli studi. Vi è stato un tempo in cui presso alcune università i giovani potevano laurearsi in legge senza sostenere esami in discipline fondamentali, come il diritto civile.

PERASSI. Ma questo non dipende dall’autonomia: questo va imputato a una legge del Ministro Gentile.

MORELLI RENATO. Una legge che consentiva diversità di ordinamenti. Ma a parte questo, mi pare che anche da un altro punto di vista si debba richiamare l’attenzione degli amici demo-cristiani sulla necessità che l’istruzione tecnico-professionale sia regolata da leggi uniformi. Io non sono un cultore della materia, ma, per una mia personale esperienza, posso dire che un problema di particolare importanza è oggi quello di trasformare la manovalanza generica in operai specializzati, e un altro problema importante è quello di mandare all’estero lavoratori che siano istruiti tecnicamente. Mi pare perciò che sia quanto mai necessario, ora che il problema dell’emigrazione è sul tappeto come uno dei più gravi ed urgenti, che l’istruzione professionale sia regolata da leggi uniformi in tutto lo Stato.

È per queste ragioni che voterò contro.

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Mi sembra che le preoccupazioni manifestate da alcuni colleghi potrebbero essere placate se la Commissione accettasse questo lievissimo emendamento, cioè che la Regione non solo ha potestà di emanare norme per l’istruzione artigiana, ma anche per quella di avviamento professionale. Tecnicamente infatti, dal punto di vista scolastico, questa parola «professionale» ha un significato molto largo e non troppo esatto.

Questo non significa già, onorevoli colleghi, che io non approvi, quale modestissimo uomo della scuola, questi poteri che si vogliono dare alla Regione; al contrario anzi li approvo, perché, se c’è una materia in cui è opportuno che vi sia una potestà normativa svincolata dal potere centrale, è proprio quella relativa all’avviamento professionale.

Noi, infatti, lamentiamo sempre che difettiamo di mano d’opera specializzata e soprattutto tale nostra lamentela incide sui problemi del lavoro interno e dell’emigrazione. È dunque necessario che si incrementino queste scuole, che preparano appunto la mano d’opera specializzata. Qualche cosa, in verità, da questo lato si è fatto, ma è ancora troppo poco, e noi speriamo che localmente si manifesti, una maggiore sensibilità.

È in virtù di queste considerazioni che approvo toto corde la dizione proposta; anzi proporrei che si dicesse: «Istruzione professionale e di avviamento professionale».

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che il mio Gruppo voterà a favore della formulazione che ha dato su questo punto il Comitato di redazione e ciò per ragioni intuitive. Partiamo da una premessa regionalistica, e ci sembrerebbe veramente di togliere alla Regione una parte essenziale dei suoi poteri, se ad essa non dessimo la potestà di legiferare in senso integrativo – com’è nella premessa – sulla materia dell’istruzione professionale e artigiana.

Mi pare che da parte dei colleghi che hanno preso la parola su taluni dei punti che sono in discussione in questo momento, e anche, su questo del quale ora decidiamo, si sia dimenticato, che la legislazione della quale ci occupiamo è una legislazione integrativa, la quale si svolge nell’ambito dei principî generali indicati dalle leggi dello Stato. Ora, tali principî generali, che sono una cosa seria, dovrebbero dare la certezza che la legislazione regionale su queste materie avrà quel tanto di uniformità che è indispensabile per garantire l’unità del Paese in taluni aspetti essenziali della legislazione e dell’amministrazione.

D’altra parte, quando si tratta di scuole artigiane o professionali, siamo di fronte ad un tipo di istruzione il quale deve aderire in modo particolarissimo alle esigenze economiche e alla struttura sociale della Regione. Proprio se si vuole che questa attività scolastica sia utile avviamento, al lavoro, è indispensabile che essa sia aderente alle esigenze particolari della Regione, in modo da dare agli alunni di queste scuole una preparazione che non sia al di fuori dell’ambiente psicologico, sociale, economico, nel quale essi sono nati e hanno svolto la loro vita.

Per queste ragioni, guardando da un lato alle garanzie date dalle norme generali dettate dallo Stato, e guardando dall’altro alle esigenze particolari di questo tipo di istruzione, voteremo in favore di questa formula; e aggiungo che voteremo anche a favore di quell’assistenza scolastica della quale parlava l’onorevole Ruini, che è strettamente connessa alle iniziative locali, che opportunamente si svolgono nell’ambito della Regione.

MICCOLIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Miccolis, ella ha già avuto la parola una volta!

MICCOLIS. Ma qui gli argomenti spuntano come funghi…

PRESIDENTE. Non ho concesso ad altri colleghi di parlare una seconda volta; non mi metta nell’obbligo di essere scortese verso lei o scorretto verso i colleghi.

RESCIGNO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RESCIGNO. Forse interpreterò anche il pensiero dell’onorevole Miccolis in quello che sto per dire.

Io credo che dobbiamo preoccuparci di usare formulazioni che non possano generare equivoci. Ora, a me sembra che la dizione proposta di «istruzione professionale» pura e semplice, sia effettivamente produttiva di equivoci, perché allo stato attuale noi dobbiamo riferirci a quello che è oggi il significato di istruzione professionale. Oggi, in Italia, l’istruzione professionale comprende le scuole di avviamento, le scuole tecniche e gli istituti tecnici.

Ora, se è opportuno dare alla Regione il regolamento legislativo delle scuole di avviamento e delle scuole tecniche, a me non sembra egualmente opportuno che le si dia anche la potestà normativa circa gli istituti tecnici. Perché gli istituti tecnici o dànno un titolo a sé, abilitante, o dànno anche l’accesso agli istituti superiori. Per l’uno e per l’altro carattere è bene che siano regolati da norme di indole generale che valgano per tutto il territorio dello Stato.

E la legislazione statale non è che non possa tener conto dell’adesione ai bisogni e alle condizioni locali. Il Parlamento nazionale terrà conto, nel regolare gli istituti tecnici, delle condizioni locali.

Perciò io credo che la dizione migliore sia appunto quella del collega Foresi, cioè: «istruzione di avviamento professionale e artigiana».

Quanto poi all’assistenza scolastica, occorre effettivamente chiarire: la Commissione intende riferire quest’assistenza scolastica solamente a questi istituti di avviamento professionale e artigiano o a tutte le altre scuole, come parrebbe significare la formulazione generica? Perché, se vuole riferirsi a tutte le scuole, ne verrà una confusione ed una illogicità: infatti gli altri ordini di scuole (licei classici, licei scientifici, scuole medie) hanno un ordinamento di assistenza particolare, hanno le casse scolastiche.

Ma, non credo che voglia riferirsi a questo l’assistenza scolastica di cui si parla in questo articolo; e allora per lo meno bisognerà aggiungere: «e relativa assistenza scolastica», riferendola cioè alle scuole di avviamento professionale e di istruzione artigiana.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Nell’associarmi a quanto ha detto l’onorevole Morelli Renato, dichiaro che voterò contro ogni proposta di questo genere, principalmente perché a me sembra che l’estendere i poteri dell’ente Regione sia nocivo per il Mezzogiorno d’Italia. Noi parliamo di istruzione tecnico-professionale, noi parliamo di scuole d’avviamento e non teniamo presente che nel Mezzogiorno queste scuole non esistono o, se pure, esistono in maniera rudimentale.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. C’è lo Stato, ora!

PIGNATARI. Sì, c’è lo Stato, ma se lo Stato unitario non ha potuto sanare le condizioni del Mezzogiorno d’Italia, quando il Mezzogiorno dovrà fare con le sue stesse forze si troverà nella condizione del naufrago a cui direte: non abbiamo forze per salvarvi, bisognerà che vi salviate da voi! (Applausi).

PERASSI. Chiedo di parlare per chiarire il mio emendamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERASSI. Con l’aggiunta delle parole: «assistenza scolastica», come è proposto dall’emendamento, anzitutto il nostro pensiero va a quella forma di assistenza che si concreta nei Patronati scolastici.

Su questo punto mi pare non ci possano essere difficoltà. E, volendo precisare ancora la materia, è evidente che queste forme di assistenza scolastica, sulle quali la Regione potrà dare norme, possono riguardare le scuole che entrano nell’ambito del potere normativo della Regione. Credo però che la formula non esiga altra aggiunta.

Comunque, se l’onorevole Rescigno proponesse formalmente di delimitare la competenza normativa delle Regioni nel senso di mettere: «e relativa assistenza scolastica», riterrei necessario di aggiungere «Patronati scolastici», i quali riguardano l’assistenza nel campo dell’istruzione elementare, alla quale non si estende la funzione legislativa della Regione.

CARONIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARONIA. Il mio emendamento vuole estendere il potere della Regione ad ogni ordine e grado di scuole ed io l’ho formulato con riferimento al comma primo dell’articolo 9 già votato, che dà potere alla Regione di emettere norme legislative entro i limiti dei principî generali stabiliti dalla legge dello Stato. Quindi ciò non significa voler creare uno stato di cose in contrasto con l’unità dell’indirizzo statale; ma soltanto dare maggiore efficacia alle scuole affidandole al Governo alla Regione, che più è vicino al popolo e meglio ne comprende i bisogni.

Credo perciò di dover mantenere il mio emendamento e di fare con questo l’interesse della scuola. Non basta parlare di libertà della scuola. Tutti parliamo di questa libertà, ma in realtà non si fa nulla perché sia realizzata. I bisogni ed i provvedimenti per la scuola non debbono dormire sui tavoli del Ministero, ma debbono essere studiati nella stessa Regione ed ivi attuati. Con ciò non si viene a sopprimere la funzione direttiva e coordinativa del Ministero. Bisogna mettere la scuola nelle mani di chi è più vicino al popolo e più ne conosce i bisogni culturali.

Devo in breve chiarimento all’onorevole Morelli Renato a proposito della autonomia delle Università. L’Università in Italia non è stata mai autonoma, è stata sempre statale.

Vi è stata sotto Gentile una larva di autonomia, che era soltanto una larva ed è morta prima di svilupparsi. Di Università autonome possiamo segnalarne due, l’Università Bocconi e quella del Sacro Cuore, ed hanno dato buoni frutti.

Chiedo, insistendo nel mio emendamento, che alla Regione sia data la facoltà di emanare norme legislative per le scuole di ogni ordine e grado.

Naturalmente, se questo mio emendamento, come temo, verrà respinto, io voterò contro anche la formulazione della Commissione, perché non si può distinguere una scuola dall’altra, e non ha significato affidare alla Regione una scuola e non tutte le altre.

TONELLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TONELLO. Voterò anche contro la proposta di aggiungere l’assistenza scolastica. Voi sapete che esistono i patronati scolastici. Parlo della scuola primaria. I patronati scolastici dove funzionano sono utilissimi. C’è voluta proprio la «G.I.L.» del fascismo, e dopo il fascismo quel che è venuto anche di peggio, per non far funzionare i patronati scolastici.

A Conegliano avevamo un locale per mandare i bambini durante l’estate in vacanza. Ma la «G.I.L.» ha adoperato questo locale e soltanto ora si spera di riaverlo.

Treviso aveva un villaggio nel Comelico. Passata la burrasca fascista, Treviso domandava che gli fossero restituiti i locali. Che cosa è avvenuto? È avvenuto che con un ordine del prefetto di Belluno il villaggio veniva consegnato ad una associazione religiosa. (Interruzioni – Commenti), con quale diritto poi non so. Assumerò in proposito informazioni precise e le porterò qui. Sta di fatto che questa appare come una appropriazione indebita. Quindi domando: domani la nuova istituzione vostra potrà mettere le mani sugli istituti di assistenza scolastica o anche sulle scuole che dipendono direttamente dai Comuni?

Voci. No.

TONELLO. No, quelli restano; dunque, la legislazione della Regione si limiterà, se mai, a istituti che istituirete voi, ma non a quelli che hanno una giurisdizione propria e una amministrazione attraverso il Comune e la Provincia, perché questa sarebbe una sopraffazione che non verrebbe sopportata dagli enti locali. Un po’ per volta andiamo ad assicurare alla Regione quelle che sono le specifiche funzioni dei Comuni e delle Provincie. Ora noi siamo i fautori convinti delle autonomie comunali e provinciali; e per questo votiamo contro questa intrusione che il nuovo istituto vuol creare.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto una volta ancora che il Comitato non può per nulla accogliere l’emendamento dell’onorevole Caronia perché contrasta con la unanime decisione della Commissione dei Settantacinque in tutti gli stadi dei suoi lavori.

L’onorevole Piemonte ha chiesto se la scuola agraria potrà entrare nella scuola professionale. Il Comitato ritiene di sì. Ad ogni modo, siccome questa materia sarà regolata entro i principî generali stabiliti da leggi dello Stato, vi potrà essere allora una esplicita disposizione nel senso affacciato dall’onorevole Piemonte.

L’onorevole Morelli ha parlato di pericoli della autonomia; ma quando si è riferito ad inconvenienti verificatisi per l’autonomia universitaria (qui l’onorevole Caronia ha fatto una osservazione esatta) si è riferito ad inconvenienti dell’ordinamento Gentile, non ad una legge di autonomia universitaria che non è mai esistita. Sta ad ogni modo che la nostra Costituzione non lascia alcuna potestà alla Regione nel campo universitario.

Quanto alla istruzione professionale, l’onorevole Morelli, dalla necessità di accelerare e regolare questa istruzione nei riflessi della emigrazione, argomenta che la Regione non vi debba avere alcuna ingerenza. Non sembra che la conseguenza debba essere così assoluta; lo Stato può e deve sempre stabilire con legge principî e criteri, ad esempio, in vista di esigenze per l’emigrazione. Ma non conviene sottrarre agli enti locali una ingerenza in questa forma di istruzione, che – se ve n’è una – loro si addice per le tradizioni artigiane e professionali della vita locale; e solo con l’innesto diretto su essa può riuscire viva ed efficace.

Venendo alle osservazioni dell’onorevole Tonello, deve ricordare che spetta sempre allo Stato fissare, coi principî fondamentali, le norme legislative primarie, nel cui ambito dovrà rimanere la Regione. Quanto alle scuole artigiane e professionali dei Comuni e delle Provincie, ho già detto che per l’articolo 152 possono rimanere a tali enti.

L’onorevole Foresi propone la formula «scuola artigiana ed avviamento professionale». Non mi sembra fondata la preoccupazione di qualcuno che «professionale» possa indicare ogni scuola che rilasci titoli di abilitazione alle professioni, così da includere anche le università. Le scuole professionali sono una categoria a sé, il che va del resto inteso non tanto nell’ordinamento attuale, quanto in quello che potrà essere dato anche nello spirito di questa norma della Costituzione. Ad ogni modo, poiché l’Assemblea intende, anche all’ultima ora, proporre varianti di dizione, sopra cui sarebbe meglio non improvvisare, faccia l’Assemblea come crede. Se le sembra che l’emendamento Foresi possa dare un’indicazione migliore di ciò che tutti vogliamo dire, il Comitato non oppone difficoltà.

In quanto all’assistenza scolastica, l’emendamento aggiuntivo del collega Perassi, al quale il Comitato non si era manifestato sfavorevole, ha sollevato qui un dubbio, nel senso che, quando l’assistenza scolastica si riferisce ad istituti che dipendono unicamente dallo Stato, non si potrebbe dare alla Regione una potestà, sia pure secondaria, di carattere legislativo. Il dubbio è sembrato fondato ad alcuni del Comitato, che vorrebbero limitare l’inciso all’assistenza relativa alle scuole, di competenza della Regione. Ad altri non piace questa così ridotta indicazione, e non trovano nulla di male che per l’assistenza scolastica, che è a base in gran parte locale, vi sia una subordinata e stimolata attività della Regione.

Quanto ai patronati scolastici, il Comitato ritiene che non siano da introdurre siffatti particolari nella Costituzione; è meglio «assistenza scolastica», che è formula più vasta.

Del resto, di fronte a queste minutissime questioni, che sorgono in Assemblea, il Comitato non sente di irrigidirsi e farne delle questioni essenziali.

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Una semplice proposta: invece di «avviamento professionale», che è una formula di tradizione troppo recente, direi «istruzione professionale di primo grado».

PRESIDENTE. Se crede, onorevole Codignola, potrà fare una proposta formale.

Voteremo per divisione la formula proposta dall’onorevole Foresi, accettata dalla Commissione.

Pertanto, pongo ai voti la prima parte: «Istruzione artigiana».

(È approvata).

Pongo ai voti la seconda parte: «e di avviamento professionale», secondo la proposta dell’onorevole Foresi accettata dalla Commissione.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Faccio mia la vecchia proposta della Commissione, cioè che si aggiungano le parole: «e professionale».

FORESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FORESI. Siccome nell’accezione tecnico-giuridica scolastica l’espressione «avviamento professionale» vuole indicare un determinato tipo di scuola, io ho usato la parola «avviamento» non nel senso tecnico attuale, ma nel senso di preparazione e di formazione; si potrebbe quindi sostituire con le parole «corsi professionali». Non si tratta di un determinato tipo di scuola, ma della preparazione a una professione pratica.

LACONI. Chiedo di parlare per un’chiarimento, poiché con la nuova proposta, dell’onorevole Foresi, è evidente che si vota su qualche cosa di diverso di quello che si aveva intenzione di votare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. La questione è questa: pensavo di poter accedere alla proposta fatta dall’onorevole Foresi circa le scuole di «avviamento professionale». Bisogna notare che in senso generale ogni scuola è professionale ed è di avviamento a una determinata professione. Quindi, se noi dovessimo usare un termine generico, è chiaro che non potrebbe mai aver quel significato limitativo, preciso e concreto che noi vogliamo.

Io accettavo la formulazione dell’onorevole Foresi, proprio perché ci vedevo un riferimento a un determinato tipo di scuole che oggi vengono così denominate e che, se non sono artigiane, sono però scuole che tendono a formare a determinati mestieri ed arti, distinte dalle scuole classiche e tecniche, che indirizzano alle professioni in senso generico e hanno dunque un diverso orientamento e un diverso indirizzo. Per questo insisterei perché anche l’onorevole Moro accedesse a questa formulazione, che è tale da eliminare gli equivoci a cui si presta invece la formulazione del Comitato, la quale non si riferisce a un tipo di scuole già esistenti; e pregherei l’onorevole Foresi di mantenere la sua formulazione, sulla quale dichiaro che voterò favorevolmente.

MICCOLIS. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICCOLIS. Io ho proposto la soppressione dell’alinea. Il mio emendamento dovrebbe nella votazione avere la precedenza.

PRESIDENTE. Ho già spiegato che gli emendamenti soppressivi si traducono in pratica votando contro la formulazione positiva. Questo è l’unico modo con cui una proposta di soppressione può essere presa in considerazione.

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Moro che propone l’aggiunta delle parole «e professionale».

(È approvato).

Passiamo all’emendamento aggiuntivo proposto dall’onorevole Perassi: «e assistenza scolastica». L’onorevole Rescigno ha proposto la formula: «e relativa assistenza scolastica». Inoltre l’onorevole Perassi ha aggiunto «e patronati scolastici».

Onorevole Rescigno, mantiene la sua proposta?

RESCIGNO. Sì.

PRESIDENTE. Onorevole Perassi, insiste nell’aggiunta: «e patronati scolastici»?

PERASSI. Non insisto.

MORO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro che voteremo per la formula: «e assistenza scolastica» senza la parola «relativa».

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula «e relativa assistenza scolastica».

(Non è approvata).

Pongo in votazione la formula Perassi: «e assistenza scolastica».

(È approvata).

Passiamo al settimo alinea: «Musei e biblioteche di enti locali».

L’onorevole Nobile ha proposto la soppressione dell’alinea.

L’onorevole Caronia ha proposto la formula: «Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

TEGA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEGA. Dichiaro ancora una volta che i decentratori tendono a strozzare l’autonomia dei Comuni. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia: «Accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

(Non è approvato).

Pongo ora in votazione la formula della Commissione: «Musei e biblioteche di enti locali».

(È approvata).

Passiamo all’ottavo alinea: «Urbanistica».

Ricordo che gli onorevoli Nobile e Di Fausto hanno proposto di sopprimerlo.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Mi pare un argomento delicatissimo, sul quale bisogna riflettere. Io voterò contro l’alinea perché in un paese ricco di arte e di storia, come l’Italia, nego che l’urbanistica sia una materia di interesse soltanto locale. (Interruzioni al centro).

FUSCHINI. Volete insudiciare l’Italia di tutto «900»?

MORELLI RENATO. Proprio il contrario. E mi compiaccio di constatare che la Commissione, nella fusione di alcuni articoli, ha introdotto modificazioni nel testo originario a proposito della potestà legislativa di integrazione attribuita alla Regione, escludendo i musei e le belle arti. Ma devo notare che la tutela del paesaggio e l’urbanistica, nel sistema legislativo italiano, che è un sistema modello, è strettamente legata alla tutela delle antichità e belle arti. D’altra parte, in un momento in cui, anche in altri paesi d’Europa, ricollegandosi il problema urbanistico a quello della ricostruzione, si segue un orientamento unitario – in Inghilterra è stato creato un Ministero della ricostruzione che studia anche i piani urbanistici ed in Francia si è accentrata tutta questa materia – mi pare debba evitarsi che questa facoltà sia attribuita alla Regione, considerando anche lo specifico voto che è stato formulato, in questo senso, dall’Accademia dei Lincei. (Commenti al centro).

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Voterò contro l’inclusione dell’urbanistica fra le materie per le quali è devoluta una certa competenza legislativa alla Regione. Sotto l’espressione «urbanistica», in realtà, si comprende una somma di poteri e di facoltà che oggi, in gran parte, per ciò che riguarda le attività locali, sono demandati ai Comuni.

Faccio mia la preoccupazione che per altra materia ha espresso l’onorevole Tega. Per esempio, prendiamo i regolamenti edilizi comunali, che hanno una stretta connessione con la materia urbanistica, tanto che l’ultima legge urbanistica del 1942 espressamente riconferma la competenza specifica dei Comuni, in tema di regolamenti edilizi; affidando questa materia alla Regione, non potrà avvenire domani che la Regione sottragga questa potestà normativa ai Comuni? (Commenti al centro).

Connesso a questa potestà normativa, nel sistema che è stato proposto, vi è l’esercizio della funzione amministrativa. Oggi, continuando sullo stesso esempio, le licenze di costruzioni sono rilasciate dai Comuni. E questa è un’altra facoltà prevista dalla legge del 1942. Domani, potrà darsi che la Regione accentri. Questa è in sostanza una preoccupazione di carattere generale, perché mentre vogliamo smantellare l’accentramento statale, corriamo l’alea di creare un accentramento regionale, che sotto parecchi aspetti potrebbe essere peggiore del primo. Non solo, ma in materia urbanistica vi è un complesso di aspetti per i quali è necessaria una legislazione unitaria. Io richiamo, sorvolando, la vostra attenzione sulle espropriazioni per pubblica utilità. Voi sapete che la materia urbanistica comporta espropriazioni; domando: la Regione, disciplinando questa materia, sia pure con norme ristrette nell’ambito dei principî fondamentali delle leggi dello Stato, non potrà creare disparità fra Regione e Regione? Io credo che togliendo questa materia alla Regione non si sminuisca la potestà legislativa del nuovo ente.

E vorrei, per ultimo, fare una osservazione che può avere valore anche per altre materie. Se noi togliamo qualche voce alla potestà normativa della Regione, non per questo non potremmo affidare alla Regione funzioni amministrative su quelle stesse materie. Io penso che il legame che si è voluto creare, per cui le funzioni amministrative devono necessariamente esercitarsi in quelle materie sulle quali la Regione ha anche potestà normativa, non è esatto. Vi possono essere materie sulle quali la Regione non abbia potestà normativa e tuttavia abbia una certa competenza amministrativa, attuando quel decentramento amministrativo, che è nei voti di tutti.

CINGOLANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CINGOLANI. Noi dichiariamo di votare a favore dell’alinea. Siamo ancora troppo impressionati dai pugni negli occhi che abbiamo ricevuto girando per tutta Italia, vedendo a che cosa è giunto l’accentramento urbanistico. Tutte le volte che si è trattato di ampliare e di sventrare antiche città, c’è stato un cliché unico, dovuto a coloro che da Roma davano un tono ufficiale a tutta l’urbanistica. Non vogliamo che si ripeta un errore di questo genere. D’altra parte, l’attività urbanistica è compresa nella vita comunale, e noi sempre abbiamo affermato (l’onorevole Tega per due volte ha spezzato la sua generosa lancia in favore dei Comuni) che una caratteristica specifica di ogni Regione italiana è quella di avere una impronta visibile con tutto ciò che abbia rapporto con l’urbanistica.

Per questi motivi, noi voteremo a favore.

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Voteremo contro l’inclusione dell’urbanistica tra le materie che riguardano la potestà legislativa della Regione.

Nell’urbanistica vi è, ad esempio, compresa la competenza in materia di piani di ricostruzione delle città, e sappiamo che dolorosamente in Italia ci sono motte città che hanno bisogno di un piano di ricostruzione, perché gli eventi bellici le hanno colpite e devastate. Oggi, i piani di ricostruzione devono essere approvati dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e poi autorizzati dal Ministro. Ciò è opportuno che seguiti a praticarsi per ovvie ragioni. Se l’onorevole Cingolani afferma di avere dei pugni negli occhi per le questioni artistiche ed urbanistiche trattate con criterio uniforme dal centro, d’altra parte io affermo, e credo di essere nel giusto, che per le città che debbono essere ricostruite va risolta anche una questione di competenza, nel senso che i piccoli interessi locali non debbono prevalere e ci deve essere un concetto di larghezza e di comprensione per cui le varie città possano finalmente avere una spinta di miglioramento. Per questa esigenza specifica è necessario vi sia una generale visione di interessi, bisogni, aspirazioni, tendenze, in modo che si possa, con criterio generale, risolvere i problemi che riguardano l’urbanistica di Reggio Calabria, come di Reggio Emilia, ecc.

PRESIDENTE. Pongo dunque in votazione l’ottavo alinea: «Urbanistica».

(È approvato).

Passiamo al nono alinea: «Turismo ed industria alberghiera».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere la parola: «turismo».

CANEPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CANEPA. Aderisco alla proposta di soppressione, perché il Consiglio dei Ministri, recentemente, ha approvato uno schema di decreto con cui istituisce il Commissariato del turismo, avente anche poteri per quanto si riferisce all’industria alberghiera.

Questo schema di decreto è stato esaminato dal Congresso nazionale del turismo, riunitosi recentemente a Genova, ed il Congresso ha proposto alcuni emendamenti.

La pratica è venuta poi avanti alla Commissione parlamentare, la quale ora ha presentato, per mezzo dell’onorevole Nobile, la relazione che accoglie in gran parte gli emendamenti proposti. La pratica è ora davanti al Consiglio dei Ministri, che accoglierà in tutto o in parte gli emendamenti e che certamente confermerà il decreto. Quindi i poteri del Commissariato del turismo potrebbero trovarsi in conflitto con la facoltà della Regione; pertanto mi associo alla proposta di soppressione.

NOBILE. Desidererei conoscere il parere del Comitato di redazione.

LETTIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LETTIERI. Il turismo rappresenta per la Regione una fonte di ricchezza, e quindi si deve favorire in tutti i modi, così come l’industria alberghiera. Noi abbiamo molte Regioni ricche di risorse naturali, di ricordi storici, ecc., e il turismo potrebbe mettere in grande evidenza queste possibilità e creare una nobile gara di iniziative.

Una voce a sinistra. E i denari?

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. In queste materie si devono distinguere due gruppi di attività: gruppi di attività di carattere esclusivamente locale o regionale, in cui si può anche accedere al principio dell’autonomia regionale; e gruppi di attività che hanno un carattere nettamente nazionale, come quello del turismo e dell’industria alberghiera. Non credo conveniente concedere alla Regione un potere che domani potrebbe trovarsi nel fatto – sia pure col rispetto apparente delle direttive e dei principî generali – in contrasto con l’interesse generale della Nazione.

Ecco perché io ritengo che si debbano sopprimere il turismo e l’industria alberghiera dalle materie in cui la Regione abbia potestà legislativa.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Mi associo a quello che ha detto l’onorevole Corbino e, a sostegno della sua proposta, richiamo questo precedente. Il «Consiglio della Valle» – alludo alla Valle d’Aosta – ha proposto a suo tempo al Consiglio dei Ministri un regolamento turistico, per il quale le scuole di turismo, specialmente di sci, erano esclusivamente affidate ai residenti della Valle, con esclusione dei cittadini delle altre Regioni. Il Consiglio dei Ministri ha moderato questa proposta; tuttavia ha ammesso, in termini più limitati, che, in ossequio a questo voto che era così vigorosamente sostenuto dalla Valle d’Aosta, fosse concesso che il turismo professionale fosse affidato ai residenti, ma che però anche i maestri di turismo delle altre Regioni potessero accedere alla Val d’Aosta attraverso iniziative o comitive d’occasione.

Se noi dovessimo, legiferando, stabilire che ogni Regione può costituire un turismo suo particolare, a sé stante, verremmo a portare il conflitto e la confusione turistica in tutto il campo nazionale.

Per questi motivi dichiaro che voterò contro.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Sono spiacente di dover dichiarare il mio dissenso con due illustri nostri colleghi, l’onorevole Corbino e l’onorevole Gasparotto, che cita, non mi pare opportunamente, la Valle d’Aosta.

All’onorevole Canepa avverto che non c’è nessuna contradizione con quello che potrà sorgere domani attraverso il provvedimento legislativo sul turismo, che speriamo possa venir presto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: ordinariamente occorrono quattro o cinque mesi perché la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale avvenga, inquantoché la burocrazia attraverso i suoi infiniti tentacoli non è ancora riuscita a realizzare il modo per poter pubblicare rapidamente le leggi. (Commenti).

Ora, domani, quando avremo il Commissariato del turismo a Roma, non ci sarà niente di male che a coordinarlo ci siano anche i Commissariati regionali. Li costituirete voi stessi, se crederete di poter efficacemente collegare tutte le forze che si occupano del turismo nella nostra nazione, dividerle e coordinarle in modo che possano formare un tutto unico.

Non vedo quale difficoltà o quale scompiglio porti al riguardo l’organizzazione futura della Regione: voi le create nel vostro pensiero le difficoltà, incontrando ostacoli da tutte le parti. Io non li vedo affatto; sono perfettamente fantastiche. Anche prima vi era una organizzazione nazionale del turismo; ma, praticamente, l’attività si svolgeva localmente; perché il centro serve per le grandi parate e la conseguente pubblicità, per mantenere un certo numero di posti, e per altre cose di questo genere; può servire anche per i congressi, che nemmeno sono spesso assai importanti. Ma si possono fare anche regionalmente ed ogni tanto uno generale, che tutti li riaffermi in una manifestazione più grandiosa ed imponente, portando tutte le forze che s’incardinano nel turismo a formare un tutto unico. (Commenti).

Non cerchiamo, quindi, di minimizzare a questo riguardo e di portare degli ostacoli dove non ci sono; effettivamente il turismo deve essere potenziato, ma noi crediamo che questo non possa avvenire se non nella divisione del lavoro, nella spinta che localmente ciascuno può portare a quelle che giustamente l’onorevole Lizier diceva essere delle nobilissime gare che tutte le Regioni faranno, dando alla vita nazionale tutte le loro forze e le loro attività. (Approvazioni al centro).

COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Dichiaro che, per le ragioni già esposte dagli onorevoli Corbino e Gasparotto, cui noi accediamo, voteremo contro.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Nobile ha chiesto il parere del Comitato: ma il Comitato ha presentato a maggioranza un testo, ed è evidente che lo conserva. Posso, se credete, aggiungere i motivi di maggioranza e i motivi di minoranza. La minoranza ha sostenuto che, in materia di turismo, sono necessarie norme comuni, perché i viaggiatori non debbano essere sottoposti a criteri che mutino da Regione a Regione. La maggioranza ha accentuato, invece, che vi debbano essere norme diverse da Regione a Regione, perché ogni Regione possa aiutare lo sviluppo turistico in modo più efficace ed adatto alle condizioni locali. Sono due punti di vista che hanno ciascuno un suo fondamento; e possono conciliarsi con resistenza di norme uniformi per tutta l’Italia che garantiscano, sovratutto il trattamento del turista (che non deve, ad esempio, esser soggetto a richiesta di documenti diversi, a tassazioni non uniformi e così via) e di norme regionali che agevolino il massimo sviluppo dell’organizzazione turistica ed alberghiera locale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione per divisione il testo presentato dalla Commissione, il quale suona: «Turismo ed industria alberghiera», facendo presente che vi è al riguardo una proposta soppressiva dell’onorevole Nobile intesa a che venga tolta la parola «turismo», ed una proposta dell’onorevole Corbino soppressiva dell’intero alinea.

Pongo in votazione il testo proposto dalla Commissione limitatamente alla parola «Turismo».

(È approvato).

Pongo ora in votazione l’espressione «ed industria alberghiera».

(È approvata).

Passiamo al decimo alinea: «Tranvie e linee automobilistiche regionali».

L’onorevole Nobile ha proposto di sopprimere l’alinea. L’onorevole Colitto ha proposto di sostituire al termine «regionali», l’espressione «di interesse regionale».

L’onorevole Zuccarini ha proposto la formula: «Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali».

L’onorevole Caronia e altri hanno, a loro volta, proposto la formula:

«Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ed aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Onorevole Presidente, faccio osservare che tutte le votazioni alle quali abbiamo proceduto finora sono state fatte con un’Assemblea che certamente non è in numero legale. Nell’Aula non sono mai stati presenti più di duecentocinquanta deputati; e in questo momento ce ne sono anche meno.

Domando se è in questo modo che dobbiamo procedere nell’esaminare una questione, la quale avrà conseguenze gravissime per tutta la Repubblica italiana. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Nobile, lei ha un modo semplicissimo per risolvere il suo dubbio: chiedere la verifica del numero legale; ma faccio presente che dal computo approssimativo fatto nel corso delle votazioni, è risultato che il numero legale c’è. Comunque, se si desidera la constatazione, è molto semplice: basta chiederla, e allora vi si può procedere.

Gli onorevoli Nobile, Venditti, Rodinò Mario, Rodi, Cifaldi, Crispo, Capua, Mazza, Condorelli, Tieri, Abozzi, Coppa, Colitto, Marina, Perugi hanno chiesto la votazione per appello nominale sull’alinea in esame.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Vorrei pregarla, signor Presidente, di mettere in votazione per divisione l’alinea: «tranvie» da una parte e «linee automobilistiche regionali» dall’altra, perché io, per esempio, mi sento disposto a votare per le tranvie, ma non per le linee automobilistiche regionali, per le ragioni che dirò in sede di dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevoli colleghi, vi sono prima da mettere in votazione – non so se l’onorevole Nobile chiede che si voti per appello nominale anche su questi – gli emendamenti proposti dagli onorevoli Zuccarini e Caronia, dei quali ho dato lettura, e successivamente – se si giunge alla votazione del testo proposto dalla Commissione – si terrà conto e della richiesta dell’onorevole Bozzi e della domanda di appello nominale dell’onorevole Nobile, a meno che l’onorevole Nobile non chieda che l’appello nominale si faccia sin dall’inizio, cioè sulle proposte degli onorevoli Zuccarini e Caronia.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Volevo osservare questo: nel testo si parla di «tranvie regionali»; ma una tranvia extra-urbana potrebbe avere anche una lunghezza di un centinaio di chilometri. E allora, a me sembra, le stesse ragioni che inducono l’onorevole Bozzi a sostenere che le linee automobilistiche non devono essere incluse, lo consiglieranno a chiedere che non vengano incluse nemmeno le tranvie.

Faccio osservare anche che non si può ammettere che ventidue o ventitré Regioni possano fare in questa materia altrettante differenti legislazioni. Se si trattasse di amministrazione, sarebbe altra cosa: si potrebbe anche concedere.

Quindi, mantengo la domanda di appello nominale. Ma, se l’onorevole Bozzi consente; posso anche aderire al desiderio del Presidente, che l’appello avvenga sulla proposta dell’onorevole Zuccarini o su altra proposta. Essenziale è che si verifichi se siamo o non in numero legale.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione sugli emendamenti.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sono stati presentati vari emendamenti. Quello dell’onorevole Caronia è talmente vasto, che il Comitato non può assolutamente accettarlo, perché tutte le ferrovie (non è detto se vi entrino pure quelle dello Stato) dovrebbero essere regolate da leggi regionali e, per connessione con l’articolo 112, amministrate e vigilate dalla Regione.

L’emendamento Zuccarini aggiunge altri mezzi di trasporto locale, oltre quelli che riguardano le tramvie e le linee automobilistiche. Non credo che sia necessario entrare in maggiori specificazioni; la legislazione primaria dello Stato e quella secondaria della Regione precisano questo punto.

Aggiungo che in seno al Comitato vi è stato qualche dubbio nell’esame degli emendamenti per quanto riguarda le linee automobilistiche, perché si è tenuto presente che, come dimostra lo sviluppo attuale, possono fare una seria concorrenza alle ferrovie, anche di Stato; ed è bene, si è detto, che lo Stato regoli questo argomento. Si tratta sempre, ad ogni modo di linee automobilistiche d’interesse regionale, e lo Stato potrà sempre stabilire principî generali.

Ma per le tranvie non credo, onorevole Nobile, che il dubbio esista. Io, che all’inizio della mia carriera amministrativa ho avuto uffici direttivi all’Ispettorato generale delle ferrovie secondarie e delle tranvie, non ho mai saputo che vi siano tranvie così lunghe come lei si immagina; si tratta quasi sempre di tranvie urbane o suburbane, che hanno soltanto interesse locale.

Concludo e ripeto: il Comitato respinge l’emendamento Caronia; crede inutile quello Zuccarini; non trova (nella sua maggioranza) necessario di cancellare «linee automobilistiche».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia, che la Commissione ha dichiarato di non accettare: «Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ad aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

(Non è approvato).

Passiamo ora all’emendamento dell’onorevole Zuccarini: «Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Cosa vuol dire: «Ferrovie secondarie»? Vi sono ferrovie secondarie anche gestite dall’azienda di Stato. Vuol dire «concesse all’industria privata»? Ma vi sono reti, come la Nord-Milano, molto importanti. È meglio non fare questa nuova aggiunta.

PRESIDENTE. Vi è la richiesta di appello nominale presentata dall’onorevole Nobile sull’emendamento Zuccarini. (Commenti).

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILE. Non insisto nella richiesta di appello nominale, ma confermo che durante tutte le votazioni finora fatte, eravamo sempre assai meno di trecento deputati. (Commenti).

PRESIDENTE. Finché non si fa la richiesta di constatazione del numero legale, si presume che il numero legale ci sia. Ella, onorevole Nobile, non può invocare un dato di fatto che non ha cercato di far constatare. (Approvazioni). Se desidera constatarlo conservi la sua domanda.

NOBILE. Non conservo la domanda per non abusare della pazienza dei colleghi, ma confermo che non eravamo in numero legale. (Commenti).

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Zuccarini sul quale l’onorevole Ruini ha espresso il parere della Commissione, parere in parte favorevole. La Commissione dichiara infatti di non aver nulla in contrario alla limitazione degli altri mezzi di trasporto locali, mentre non accetta la formulazione relativa alle ferrovie secondarie.

(Non è approvato).

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della formula della Commissione:

«Tranvie e linee automobilistiche regionali».

L’onorevole Colitto ha proposto che alla parola: «regionali», sia sostituita l’espressione: «di interesse regionale». Penso che l’emendamento si riferisca tanto alle tranvie quanto alle linee automobilistiche.

COLITTO. Perfettamente.

BOZZI. Chiedo che la votazione avvenga per divisione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Pongo in votazione la prima parte: «tranvie», intendendosi che si aggiunge l’espressione: «di interesse regionale».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della seconda parte: «e linee automobilistiche di interesse regionale».

BOZZI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Desidero fare questa dichiarazione di voto, anche per giustificare la mia richiesta di votazione per divisione. Le ragioni per cui voterò contro l’inclusione delle linee automobilistiche sono quelle che ha acutamente esposte il Presidente della Commissione, onorevole Ruini. Io richiamo l’attenzione dell’Assemblea su un punto solo: nella materia delle linee automobilistiche, è necessario uno stretto, rigoroso coordinamento con tutti gli altri mezzi di trasporto, soprattutto con le ferrovie dello Stato. Se diamo alla Regione la potestà di disciplinare e di concedere linee automobilistiche, noi aggraviamo gli oneri per le ferrovie dello Stato, stabilendo delle concorrenze fra servizi automobilistici e servizi ferroviari, che possono oggi essere eliminati per l’unitarietà della disciplina statale.

D’altra parte, onorevoli colleghi, non vale ripetere il solito argomento che lo Stato può con le sue direttive imporre alla Regione di regolare la materia delle linee automobilistiche in modo che non possa incidere sul bilancio dello Stato.

Questo, se anche teoricamente è ammissibile, importerebbe una tale difficoltà di esame, una impugnativa continua della legge della Regione e un controllo così penetrante sull’attività amministrativa della Regione, che francamente questa concessione di potestà normativa e amministrativa sarebbe veramente illusoria e, quel che è peggio, fonte di incertezze e di contrasti. Io, perciò, voterò contro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la formula: «e linee automobilistiche d’interesse regionale».

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei ricordare che l’Assemblea, prima di sospendere i suoi lavori, dovrà completare l’esame del provvedimento che istituisce una imposta straordinaria sul patrimonio e approvare la legge sulla disciplina dell’elettorato attivo e sulla revisione delle liste elettorali per dar modo agli uffici di provvedere alla revisione stessa all’inizio del prossimo anno.

Questo ci impone di dare un contributo intenso di lavoro, evitando tutto quello che non è strettamente necessario per portarlo a buon fine. Spero che questa mia preghiera sia presa in considerazione.

Una voce. Il Trattato di pace?

PRESIDENTE. Non possiamo dir nulla. È evidente che se la Commissione dei Trattati internazionali presenterà la sua relazione, dovremo esaminare anche quella prima dell’inizio del nostro riposo estivo. Comunque non precipitiamo gli eventi: parliamo delle cose certe.

Interrogazione con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. È stata presentata la seguente interrogazione con richiesta d’urgenza:

«Ai Ministri dell’interno e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se sono al corrente degli interventi sempre più frequenti da parte delle forze di polizia nei conflitti del lavoro con minacce di arresto alle commissioni interne, come ad esempio nelle lanerie di San Martino, e del caso del prefetto di Como, il quale ha fatto intervenire la forza pubblica in un pacifico e legale conflitto di lavoro fra gli operai dello stabilimento Vergari di Contri e il signor proprietario Cattaneo, facendo piantonare dalle forze di polizia l’accesso allo stabilimento illegalmente serrato dal proprietario in risposta ad una legale sospensione del lavoro. E per sapere se tali interventi avvengono per spontanea iniziativa o dietro disposizioni del Ministero dell’interno.

«Noce Teresa, Bitossi, Roveda, Pajetta Giuliano».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Informerò i Ministri interessati di questa interrogazione affinché possano dichiarare quando intendano rispondere.

Sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ricordo che domani si dovrebbe discutere una interpellanza dell’onorevole Li Causi ed altri sulla situazione siciliana.

MINIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MINIO. Siccome l’onorevole Li Causi non potrà essere presente, prego a nome suo di rinviare lo svolgimento dell’interpellanza.

PRESIDENTE. Prego l’onorevole Ministro della difesa di avvertire i Ministri competenti affinché consentano un rinvio.

CINGOLANI, Ministro della difesa. Lo farò senz’altro.

PRESIDENTE. Domani si terranno due sedute: alle 10 per il seguito della discussione sull’imposta straordinaria sul patrimonio e alle 17 per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste, delle finanze e del tesoro, per sapere se non ritengano atto di giustizia, venire incontro ai piccoli proprietari danneggiati dalle forti grandinate che hanno devastato larghe zone della provincia di Alessandria, con provvidenze e facilitazioni tributarie.

«Bellato».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e della marina mercantile, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi in rapporto all’arbitrario atto del sindaco di Pozzuoli, il quale emetteva una illegittima ordinanza di sospensione dei lavori di allargamento di una chiesa, prendendo a pretesto l’occupazione di pochi metri di banchina, e si ribellava apertamente ad una decisione del prefetto di Napoli.

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non creda opportuno concedere ai braccianti molinellesi, conforme al passato, tutta la razione di frumento assegnata per l’anno, lasciando a quelli che non possono rifornirsi di acquistarlo bimestralmente.

«Ciò rappresenta per questi forti lavoratori una ragione di sicurezza ed una garanzia di vita. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Longhena».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno devolvere una parte del contributo finanziario, testé elargito al comune di Venezia, alla cooperativa edificatrice «G. Tonetti», considerando che i soci di essa sono tutti autentici lavoratori che, pur di riuscire ad avere un tetto, sono disposti a fare qualsiasi sacrificio, purché in qualche misura confortati da ragionevoli aiuti da parte del Governo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bruni».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, per conoscere quali sollecite provvidenze abbiano adottate o intendano adottare a seguito del recente nubifragio abbattutosi sull’importante centro di Sala Consilina, in provincia di Salerno, arrecando danni notevolissimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rescigno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere – premesso che il regio decreto-legge 19 agosto 1943, numero 734, dichiara esenti da imposta di successione le eredità devolute in linea retta ascendente o discendente ed al coniuge superstite nelle successioni di militari morti in guerra o per causa di ferite riportate o di malattie contratte a causa della guerra, sempreché la morte abbia avuto luogo non oltre i dodici mesi dal giorno in cui la ferita fu riportata o la malattia fu contratta; considerato che la tubercolosi è nella maggior parte dei casi una malattia a decorso lento e che si è manifestata in molti soggetti dopo parecchi mesi dal rientro dai campi di concentramento portando a morte dopo i 12 mesi di cui al ricordato decreto, per cui essendo vissuti oltre 12 mesi dalla malattia contratta causa la guerra, non poterono i superstiti (genitori, figli e vedove) beneficiare della esenzione dell’imposta, il che si ravvisa ingiusto e antigiuridico – se non creda di proporre aggiunte o modificazioni alla legge citata, per modo che i superstiti possano beneficiare della esenzione della imposta di successione, anche se il militare sia deceduto dopo i 12 mesi dal giorno in cui la ferita fu riportata o la malattia fu contratta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del commercio con l’estero, sulle condizioni di lavoro del suo Ministero ed in particolare se risulti al Gabinetto che innumerevoli pratiche giacciono inevase o sono risolte con grandissimi ritardi; che si è formato un larghissimo e preoccupante giudizio sulla inefficienza e sul disordine o peggio dell’organizzazione ministeriale; che le ditte private forniscono stipendi e personale loro agli uffici; che molti dipendenti lavorano per molte ore straordinarie non retribuite; che insomma dal ricevimento del pubblico, alla evasione della corrispondenza e nel complesso lavoro si notano gravi difetti interni, il cui danno ricade sull’economia nazionale, e su quei capaci e zelanti dipendenti che si contrappongono, ma restano confusi per quei funzionari evidentemente ignari di quella tecnica che si chiama «organizzazione del lavoro». (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Roselli».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del lavoro e previdenza sociale e del tesoro, per conoscere se intendano per i dipendenti dello Stato e degli enti locali estendere le indennità di famiglia anche agli zii ed avi, conviventi ed a totale carico del lavoratore, in analogia a quanto avviene per i lavoratori dipendenti da privati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere, a seguito dell’inquadramento nei ruoli dello Stato degli insegnanti di educazione fisica:

  1. a) se siano riconosciuti ai fini della pensione gli anni di servizio prestati anche alle dipendenze della G.I.L. agli insegnanti di educazione fisica passati in altre Amministrazioni statali;
  2. b) se debbano ritenersi reintegrati nel ruolo dello Stato quei professori, diplomati presso i magisteri di educazione fisica, che per un provvedimento fascista furono messi in pensione a 55 anni, ma trattenuti in servizio per incarico, in modo che gli anni di servizio tutti siano cumulati agli effetti della pensione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Riccio Stefano».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.10.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

LUNEDÌ 7 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXV.

SEDUTA DI LUNEDÌ 7 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Nomina di una Commissione:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                   

Caprani                                                                                                            

Pella, Ministro delle finanze                                                                               

Corsi                                                                                                                 

Tupini, Ministro dei lavori pubblici                                                                      

Ciampitti                                                                                                          

Salerno                                                                                                              

Riccio Stefano                                                                                                 

Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri  

Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro                                                     

Recca                                                                                                                

Miccolis                                                                                                           

Pellegrini                                                                                                        

Mentasti                                                                                                          

Tonetti                                                                                                             

D’Onofrio                                                                                                        

Corbi                                                                                                                

Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Musolino                                                                                                          

Vernocchi                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Carratelli, Cimenti e Costa.

(Sono concessi).

Nomina di una Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che a far parte della Commissione di parlamentari, istituita dal Titolo III del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato, in data 3 aprile 1947, n. 428, ed avente il compito dell’alta vigilanza per assicurare l’indipendenza politica e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni, ho chiamato, in rappresentanza di tutti i Gruppi parlamentari, gli onorevoli colleghi Badini Confalonieri, Bellavista, Bergamini, Bernini, Bozzi, Calosso, Corsanego, Giordani, Gullo Fausto, Laconi, Molè, Moro, Reale Eugenio, Schiavetti, Tieri, Uberti e Zuccarini.

La Commissione è convocata per martedì 8 corrente, alle ore 12, per procedere alla nomina del suo Presidente, di un Vicepresidente e di un Segretario.

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Persico, dimissionario, ho chiamato l’onorevole Cevolotto a far parte della Commissione per i Trattati internazionali.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le interrogazioni. La prima è quella dell’onorevole Adonnino, al Ministro della pubblica istruzione, «per conoscere se non creda opportuno diminuire la severità delle norme emanate con ordinanza 3 maggio ultimo scorso sugli esami di maturità; laddove specialmente si escludono dagli esami orali coloro che abbiano riportato negli scritti un voto di «evidente insufficienza», mentre prima della guerra si escludevano quelli che avessero riportato un’insufficienza «molto grave»; e si estende tale norma, oltre che all’italiano, anche a tutte le materie per le quali siano richieste prove scritte; e laddove prescrive la presenza di quattro membri estranei nelle Commissioni delle scuole non governative; e ciò, tenendo conto che le norme giungono a pochi giorni dagli esami; e che gli esaminandi hanno iniziato il loro corso di studi nei tempi difficilissimi della guerra o dell’immediato dopo-guerra».

Non essendo presente l’onorevole Adonnino, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione degli onorevoli Caprani, Pajetta Gian Carlo, Montagnana Mario, al Ministro dell’interno, «sull’azione svolta dagli organi del suo Ministero contro i contadini della Bergamasca, che hanno inteso dividere i prodotti secondo le indicazioni della legge De Gasperi sulla mezzadria. In particolare gli interroganti domandano quali misure il Ministro intenda prendere per richiamare al rispetto della legge il prefetto e i comandanti dei carabinieri, che hanno fatto procedere all’arresto del segretario della Confederterra provinciale di Bergamo, diffidandolo poi a non svolgere ulteriore attività sindacale».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Verso la fine di maggio, la Federterra della provincia di Bergamo istituì un Comitato di agitazione presieduto dallo stesso segretario Lazzaroni, che invitò i mezzadri a non dividere né pesare il fieno, aggiungendo che tutti gli altri prodotti andavano divisi in ragione del 60 per cento al mezzadro e del 40 per cento al proprietario.

Naturalmente, l’Associazione bergamasca agricoltori invitò gli associati alla resistenza. Da parte loro i mezzadri non si dimostrarono in gran parte disposti ad obbedire alla ingiunzione federale, cosicché, tra questi, gli agricoltori ed alcuni degli incaricati della Federterra non tardarono a verificarsi incidenti anche gravi, nei quali furono ravvisati da parte delle autorità gli estremi di veri e propri reati.

E poiché il Ministero aveva invitato, com’era suo dovere, il Prefetto a reprimere ogni atto di violenza, in più occasioni vennero operati alcuni arresti, vuoi per violenza, vuoi per appropriazione indebita qualificata, vuoi per istigazione a delinquere; e fra questi quello del Lazzaroni. La più parte degli arrestati fu però rilasciata nello stesso giorno; furono complessivamente instaurati diciannove procedimenti penali, taluno dei quali anzi già celebrato e che si è concluso con l’accertamento del reato e la condanna di diversi degli imputati. Il che dà evidentemente ragione all’operato delle autorità.

Com’è risaputo, il Ministro dell’interno ha poi attivamente concorso al recente accordo, che si confida abbia felicemente posto fine alla incresciosa vertenza mezzadrile.

PRESIDENTE. L’onorevole Caprani ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CAPRANI. Mi dispiace, onorevole Sottosegretario di Stato all’interno, di non potermi dichiarare sodisfatto; ed è anche doveroso che io esprima con viva sincerità il mio disappunto, in quanto, se le notizie in mio possesso (notizie del resto controllate e alle quali debbo attenermi) rispondono a verità, la risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno avrebbe dovuto essere diversa.

Qual era fino a pochi giorni fa la situazione del Bergamasco in rapporto al lodo De Gasperi? Da una parte esiste un lodo De Gasperi, attualmente tramutato in legge, ed esiste pure un decreto-legge, che emana un complesso di norme, per l’attuazione di questo lodo. Sempre da una parte, esistono i contadini che esigono che questo lodo venga applicato, dall’altra parte esistono i proprietari, che hanno i loro fondi a mezzadria, e che dicono di non volere applicare il lodo. De Gasperi, al punto che l’Associazione bergamasca degli agricoltori emise in un certo momento un comunicato stampa ove si diceva ai contadini press’a poco così: «Badate bene di dividere il prodotto sulla base dell’articolo 2141 e seguenti del Codice civile, perché diversamente, se voi applicherete i criteri di cui al lodo De Gasperi, voi sarete imprigionati, processati e condannati».

Ora questo comunicato potrebbe costituire un motivo anche d’ilarità, se si vuole, perché diciamo noi: «Quale appropriazione indebita vi è se i contadini esigono l’applicazione della legge?». E diciamo pure: «Come si può emettere, sotto gli occhi del prefetto, che vigila nella Provincia, un comunicato stampa intimidatorio di questo genere?». E cosa direbbe il Ministero dell’interno se domani, per avventura, i contadini, capovolgendo i termini, trovassero dei carabinieri compiacenti che andassero sulla porta dei proprietari di fondi e dicessero: «Badate bene che se non date X ai contadini, sarete imprigionati, processati e condannati?». Insensibile sarebbe il Ministero dell’interno a questa azione, qualora i termini fossero questi? Noi non lo crediamo assolutamente.

Cosa doveva rispondere il Ministro dell’interno a dei fatti specifici? Innanzi tutto avrebbe dovuto dirmi quali provvedimenti siano stati presi o si intendano prendere nei confronti del comando dei carabinieri, e del prefetto anche, i quali hanno proceduto a fermare tre volte il segretario della Federterra per il semplice fatto che esplicava attività sindacale, in occasione di quella agitazione a tutela dei contadini. Ed una quarta volta venne pure fermato dai carabinieri e trovò in carcere un tenente dei carabinieri il quale pretese che gli si rilasciasse una dichiarazione, che diceva voluta dal prefetto, ove il segretario della Federterra, dichiarasse che era diffidato dallo sviluppare e dall’assolvere ulteriori attività sindacali. Io mi domando se questo non significhi violare pericolosamente il principio della libertà sindacale, mi domando se questo non sia nello stesso tempo scorretto ed anche qualcosa di più, perché in definitiva i sindacati ed i funzionari dei sindacati, hanno ragione di sussistere solo quando esercitino attività sindacale.

Ma vi è anche qualche cosa di più: in un paese, per nome Presezzo, sulla piazza è presente il tenente dei carabinieri, è presente pure il segretario della Federterra, sono presenti i contadini. Questi si sentono dire dal tenente dei carabinieri che se si dividono il prodotto sulla base dei criteri di cui al lodo De Gasperi, egli non ha nulla da eccepire. I contadini dividono sulla base del decreto De Gasperi, ma che cosa avviene in conclusione? Avviene che, a operazione fatta, il tenente dei carabinieri arresta tutti i contadini che hanno diviso i bozzoli sulla base del criterio De Gasperi. Ma c’è ancora qualcosa di più: i fatti di Stezzano, fatti gravi ed in un certo senso provocatorî. A Stezzano, in piena notte, i carabinieri arrestano a casaccio nove contadini, fra cui il capo lega che è stato assente a tutta l’agitazione e che, pur essendo stato assente, ha trovato modo di buscarsi sei mesi in Tribunale per un reato del tutto immaginario. Perché si era proceduto a questo arresto? È sintomatico rilevarlo: perché nove giorni prima (notisi, nove giorni prima) i contadini di Stezzano avevano dichiarato, per quello che concerne la divisione del fieno: «Noi dividiamo il fieno, sì, ma sulla base dei criteri di cui al lodo De Gasperi». Ebbene, a distanza di dieci giorni, per questo fatto, nel quale non si ebbe assolutamente violenza, si è proceduto a casaccio, ripeto, all’arresto di nove contadini e si è montato un processo.

I verbali di polizia giudiziaria alludevano a violenza privata. Era una pura e semplice invenzione, tanto che al processo, questa vescica gonfia della violenza privata, assolutamente insussistente e questo arresto arbitrario dei nove contadini, si è dovuto svuotare sino al limite dell’imperativo accusatorio, talché si degradò il reato da quello grave di violenza privata a quello di minacce; e c’è voluta, onorevole Ministro dell’interno, della buona volontà a condannare per minacce costoro.

Ora si dice: «La questione, del resto, sarà messa a tacere dall’amnistia». Ma i contadini del bergamasco, mentre protestano, affermano di non aver nessun bisogno dell’amnistia, poiché non hanno commesso nessun delitto. E c’è voluta la buona volontà e la mentalità politica di tutto un complesso di autorità, per poter procedere in un caso ove non c’è flagranza, e dove non era opportuno un mandato di cattura! C’è voluta della buona volontà per arrestare nove padri di famiglia, portarli davanti al tribunale e condannarli! C’è da pensare che se metodi energici di questo genere fossero tenuti in altre zone e per ben altri fatti, la Repubblica avrebbe anche un volto più virile e più maschio! Ma io ho detto che è responsabile anche il prefetto. Io affermo che il prefetto di Bergamo, in questa faccenda, ha dato prova, quanto meno, di insensibilità politica e di poca vigilanza.

Non poteva il prefetto, rappresentante del Ministro dell’interno in provincia di Bergamo, ammettere che per tre volte si diffidasse un funzionario sindacale dall’assolvere la sua santa missione che è la tutela dei contadini; non poteva il prefetto di Bergamo, neppure, ammettere che un tenente dei carabinieri cercasse di strappare al segretario della Federterra una dichiarazione nella quale questi affermasse che non si sarebbe occupato oltre di attività sindacale.

Quanto meno, quindi, in via amministrativa e in via disciplinare, sarà opportuno che il Ministero dell’interno richiami e il comando dei carabinieri e il prefetto, perché questi fatti hanno prodotto grande sensazione tra i contadini del Bergamasco. Qualcuno si è domandato se, per avventura, le autorità non abbiano interpretato gli ultimi avvenimenti come uno spirare nuovo di fascismo o di neofascismo.

Raccomando, quindi, che, quanto meno nelle forme amministrative, si voglia provvedere, se già non si è provveduto. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Corsi, al Ministro delle finanze, «per conoscere se non creda di proporre che sia sollecitamente stabilita la facoltà dei comuni minerari di applicare una equa imposta sulla produzione mineraria che si estrae dal loro territorio; e ciò in considerazione dei gravi oneri che dallo svolgersi dell’attività industriale deriva a tali comuni, dell’esiguo apporto tributario data alla vita locale dalla stessa industria e dei rilevanti utili che questa realizza».

L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.

PELLA, Ministro delle finanze. L’esclusione dall’applicazione del particolare diritto a favore dei comuni, previsto dal secondo comma dell’articolo 41 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62, per i prodotti minerari, è stata deliberatamente disposta con l’articolo 10 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177, su espressa richiesta del competente Ministero dell’industria e commercio, col cui concerto questo ultimo decreto venne emanato.

Il detto dicastero prospettò la necessità di non gravare con tributi l’attività mineraria, sulla quale, nell’attuale momento, lo Stato deve poter fare ogni assegnamento per la ripresa dell’economia del Paese; e fece, altresì, presente che le aziende concessionarie verrebbero ostacolate nello svolgimento della loro attività da imposizioni, che rendono difficile la loro situazione finanziaria, non florida neanche in tempi normali; tanto che alcuni settori hanno avuto bisogno di richiedere l’intervento da parte dello Stato.

Tali considerazioni furono riconosciute fondate sia dalla Commissione legislativa dell’Assemblea Costituente, che dal Consiglio dei Ministri.

Tuttavia, in relazione al desiderio dell’onorevole interrogante ed alle richieste presentate nello stesso tempo da altri comuni, il Ministero delle finanze si riserva di riproporre sollecitamente la questione all’esame del Ministero dell’industria.

PRESIDENTE. L’onorevole Corsi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CORSI. Ringrazio l’onorevole Ministro della sua cortese risposta; ma rilevo che la necessità di includere tra i tributi di cui all’articolo 10 del decreto 8 marzo 1945 quello a favore dei comuni sulla produzione mineraria, che si estrae dal loro territorio, è manifestamente giustificata da vari motivi.

Si tratta, intanto, di un’antica esigenza, sulla quale convennero alcuni industriali minerari, i quali legittimamente domandavano, soltanto, che dall’applicazione del tributo l’industria non venisse inceppata.

Il problema è connesso alla critica condizione dei comuni minerari ed alla stessa possibilità di vita di quelle amministrazioni. In sostanza, sono comuni sprovvisti di patrimonio, dove non esiste un’apprezzabile attività rurale e dove si svolge quasi esclusivamente l’industria estrattiva. A causa di essa i comuni sopportano notevoli oneri, dato il carattere nomade della popolazione operaia, fra comune e comune, e il peso rilevante di tutti i servizi, da quelli anagrafici a quelli per l’assistenza sanitaria ed ospedalieri come di ogni altro servizio municipale. D’altra parte, l’industria contribuisce in maniera assolutamente irrilevante alla vita di tali comuni. A suo carico è possibile soltanto l’applicazione di quella imposta che fu istituita dal nostro collega onorevole Nitti dopo l’altra guerra, sugli stabilimenti di eccezionale importanza. Ma deve rilevarsi che di fronte ad una attività produttiva che oggi apporta a singole società un profitto di centinaia di milioni, i comuni maggiori delle zone minerarie (parlo della Sardegna) riescono ad ottenere, nei casi migliori, un apporto che non supera le 300 o 400 mila lire. Se si considera, inoltre, che la produzione totale di quell’industria è valutata attualmente, mentre il piombo ha il prezzo di 200 lire il chilo, sui 17 miliardi, l’onorevole Ministro vedrà quanto sia inadeguato il contributo finanziario delle società minerarie. È il caso di rilevare che questi comuni sono sprovvisti di ospedali; e che varie frazioni di essi, create unicamente da queste attività industriali, mancano di cimiteri, di fognature ed hanno una condizione di vita individuale e collettiva assolutamente primitiva. Né il comune ha i mezzi necessari per tali opere indispensabili ad un minimo di vita civile. Non parliamo dei patronati scolastici, dell’assistenza a favore dei bambini. È uno stato di miseria veramente umiliante.

Ora, io non comprendo con quali criteri il Ministero dell’industria, che fino a ieri era retto da un mio compagno socialista, abbia potuto prospettare al Ministero delle finanze l’inopportunità di questo tributo a favore di comuni operai, dove l’azione dell’ente pubblico deve rivolgersi, prevalentemente, alla tutela dei diritti della popolazione più povera. Comunque, con questa pretesa del Ministero dell’industria, verrebbe a crearsi una sperequazione ingiustificata fra comuni marittimi e comuni agricoli da una parte e comuni industriali dall’altra, perché i primi due hanno la facoltà di applicare il diritto speciale di cui all’articolo 10 di questo decreto e all’articolo 41 del decreto precedente, mentre i comuni minerari non avrebbero e non hanno di fatto questa possibilità: posizione assolutamente ingiusta.

Occorre dire, peraltro, che la Commissione per la finanza locale aveva dato il suo assenso favorevole alla imposizione e che nessuna ragione né logica, né di giustizia, né di opportunità, in rapporto agli utili cospicui dei quali parlavo, giustifica il rilievo del Ministero dell’industria.

Io voglio pertanto confidare che l’onorevole Ministro delle finanze vorrà concludere sollecitamente gli studi annunziati e che essi porteranno una decisione favorevole alla istituzione di questo tributo.

Ricordo che, recentemente, alcune difficoltà di applicazione sorsero limitatamente all’industria carbonifera, la quale si svolge in un solo comune, mentre quella metallifera si estende a molti paesi dove il peso a carico dell’industria sarebbe veramente lieve.

Ripeto che le condizioni generali, quelle sanitarie e dei servizi pubblici di queste zone, dove infierisce paurosamente la tubercolosi e dove da parte dei comuni è necessaria una intensa azione, richiedono che gli enti locali abbiano possibilità finanziarie che non possono essere tratte diversamente, dato lo stato veramente miserrimo della popolazione, la quale è prevalentemente, se non totalmente, operaia.

Raccomando pertanto, con la maggiore premura, all’onorevole Ministro Pella questo problema che ha carattere di manifesta urgenza, mentre la modificazione portata alle precedenti saggie disposizioni non trova nessuna giustificazione nelle condizioni attuali dell’industria e dei comuni.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Camposarcuno, Colitto e Ciampitti, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se rispondono a verità le voci, che hanno vivamente allarmato le popolazioni del Molise, secondo le quali si starebbero predisponendo provvedimenti per distrarre le acque del Biferno dal Molise per l’approvvigionamento idrico di Napoli e di alcuni comuni della Campania. Sarebbe sommamente nociva agli interessi della regione molisana la sottrazione dell’unica risorsa idrica rimastale. Infatti: a) rimarrebbero inattive le numerose centrali elettriche ivi esistenti, sviluppanti non meno di 12.000 HP di forza; b) sarebbe impossibile irrigare i terreni delle pianure di Boiano e di Larino e quelli di collina; c) sarebbero peggiorate le condizioni sanitarie, già gravi, dell’intero bacino del Biferno, attualmente infettato dalla malaria; d) nel Molise non rimarrebbe alcuna risorsa idrica. La sottrazione delle acque del Biferno non è necessaria per soddisfare i bisogni della città di Napoli, in quanto, a tale scopo, possono essere sfruttate più razionalmente le acque del Volturno, altro fiume molisano purtroppo sottratto, nel 1904, alla Regione a favore della città di Napoli».

Degli onorevoli interroganti è presente l’onorevole Ciampitti.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Se dovessi entrare nel merito della interrogazione, dovrei dire che le ragioni, da loro, addotte a sostegno della conservazione delle acquo del Biferno alla Regione Molisana sono tutto fondate e sono quindi da me completamente condivise.

Senonché, l’allarme da essi dato, per le notizie che ho potuto assumere al mio Ministero, è completamente esagerato: ha un certo senso di ansietà di patria, ma nulla che giustifichi, quanto a provvedimenti adottati, o quanto a provvedimenti da adottare, l’allarme stesso. Quindi assicuro gli onorevoli interroganti che ho segnalato all’ufficio competente questa loro interrogazione ed ho pregato di metterla agli atti, perché il giorno in cui si dovesse, per qualsiasi motivo, prendere in esame la questione da loro sollevata, si tenga presente, non solo l’insieme delle considerazioni addotte a sostegno della loro interrogazione, ma anche l’apporto del mio pensiero personale, che è di perfetta solidarietà col loro pensiero.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dire se sia soddisfatto.

CIAMPITTI. Ringrazio l’onorevole Ministro dei lavori pubblici, anche a nome dei colleghi Camposarcuno e Colitto, per la risposta data alla nostra interrogazione; risposta che verrà a calmare l’ansia e la trepidazione delle popolazioni della Regione Molisana che, dopo aver sofferto, nel 1904, la sottrazione delle acque del Volturno, sfruttate per altre Regioni d’Italia, vedevano minacciata anche la sottrazione delle acque del Biferno, assolutamente indispensabili per il Molise, non solo per scopo di approvvigionamento idrico, ma anche per l’industria e per l’irrigazione delle piane di Boiano e di Larino.

Ringrazio il Ministro dei lavori pubblici, confidando che egli, col suo vivo senso di comprensione, voterà evitare, per il Molise, questa nuova iattura, dato che questa Provincia è stata duramente provata dalle vicende della guerra.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Salerno e Leone Giovanni, ai Ministri dei lavori pubblici, della marina mercantile e dei trasporti, «per sapere quali pronti, energici e concreti provvedimenti intendano adottare per diminuire il gravissimo disagio in cui versa il porto di Napoli, a causa: a) degli enormi danni riportati nelle attrezzature, nelle banchine e nelle calate, e dei quali è assai lontana la riparazione; b) della conseguente deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile condizione per l’Ente autonomo del porto di Napoli; c) della mancanza di ogni servizio igienico sanitario per le numerose maestranze, costrette a lavori pesanti e pericolosi; d) della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo; e) e, in genere, a causa della dimenticanza, da parte del Governo, degli interessi che riguardano il lavoro e la ricchezza connessi con il porto di Napoli.

L’interrogazione seguente tratta di argomento analogo:

Riccio Stefano, al Governo, «per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per la ricostruzione e la riattrezzatura del porto di Napoli».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere congiuntamente alle due interrogazioni.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Già l’onorevole Porzio l’altro giorno, intervenendo nella discussione generale, che fra l’altro toccava questo problema, ebbe a interessare il Governo a che la questione del porto di Napoli fosse oggetto di più approfondita attenzione da parte del mio Ministero.

Le interrogazioni degli onorevoli Salerno, Leone Giovanni e Riccio Stefano, si aggiungono dunque, alle esortazioni già fatte in precedenza dall’onorevole Porzio.

Potrei dividere le interrogazioni in due parti principali, prima di incominciare a discutere i singoli dettagli. La prima parte riguarda una specie di lamento per il passato; la seconda parte una istanza per l’avvenire. Per quanto riguarda il passato, potrei subito dire che la cosa non mi riguarda, e non rispondere quindi agli onorevoli interroganti. Senonché, c’è una continuità nell’azione di governo ed io ho inteso il dovere di esaminare quello che effettivamente è stato fatto per il porto di Napoli dai miei predecessori. Devo dire, stando alle notizie che ho avuto e di cui renderò conto all’Assemblea, che effettivamente le lagnanze degli onorevoli interroganti non sono completamente fondate, perché mentre essi dicono che i lavori per il porto di Napoli attendono ancora una lontana riparazione, dalle cifre che fornirò all’Assemblea si potrà ricavare invece che questi lavori sono in uno stato di avanzata esecuzione. Comunque, onorevoli colleghi, se per caso il dissenso che c’è fra queste vostre affermazioni e quelle che io vi farò non potrà essere subito sufficientemente chiarito, assicuro l’Assemblea che mi adopererò perché la verità venga meglio ristabilita e quello che gli onorevoli colleghi domandano venga sodisfatto, nei limiti naturalmente delle mie disponibilità.

Sottopongo pertanto all’attenzione dell’Assemblea i dati del passato.

Come i colleghi ricorderanno, l’importo complessivo dei danni subiti dal porto di Napoli fu stabilito, fin dalla fine del 1945, in un miliardo e mezzo, e con provvedimento legislativo del 26 marzo 1946 questa somma, nella quale si compendia l’ammontare dei danni sofferti dal porto a causa della guerra, fu dal Governo del tempo erogata e distribuita in quattro esercizi: 1945-46, 1946-47, 1947-48 e 1948-49.

Vediamo come sono state spese finora queste somme. A causa, naturalmente, dei notevoli aumenti di prezzo della mano d’opera e dei materiali, questo importo di un miliardo e mezzo oggi non è più sufficiente. Ma questo formerà oggetto di revisione di prezzi, in sede competente, quando potrà essere fatta. Ora, dobbiamo limitarci unicamente a vedere se e come questa somma è stata spesa. Nel giugno scorso, la situazione dei lavori di ricostruzione del porto (devo leggere perché si tratta di cifre) era la seguente: lavori ultimati 228 milioni, di cui per riparazione di dighe e banchine 88 milioni e 300 mila, per la ricostruzione di edifici in servizio dell’attività portuale 70 milioni, per impianti meccanici di carico e scarico 60 milioni, per lavori varî 10 milioni. In tutto 228 milioni interamente spesi.

Lavori in corso di esecuzione: per banchine e calate 394.700.000, per edifici 129 milioni, per impianti meccanici 748 milioni; lavori in corso di appalto 333 milioni di cui per banchine e calate 211 milioni, per edifici 70 milioni, per lavori varî 52 milioni. Progetti in corso di studio 227 milioni. Calcolando, onorevoli colleghi, la spesa sostenuta per i lavori eseguiti: 228.300.000 e quella impegnata per i lavori in corso: 1.344.800.000, si raggiunge la somma di 1.573.100.000 che, come vedete, è superiore al miliardo e mezzo a suo tempo stanziato. Però, all’eccedenza dei 73 milioni ed alla spesa occorrente per i lavori da appaltare, cioè 333 milioni (compresi i 73 milioni) posso assicurare che potremo far fronte destinando a queste opere le somme relative ad altri impegni messi a carico di altre autorizzazioni, che per il momento non possono essere eseguite.

Quando io ho assunto la direzione del mio Ministero, e prima ancora che mi pervenisse l’interrogazione degli onorevoli colleghi, mi sono occupato della particolare situazione del porto di Napoli, specialmente in rapporto ai 227 milioni che dobbiamo spendere in relazione ai lavori che sono in corso di studio ed ho potuto disporre la immediata istruttoria per l’impegno di maggiori spese di 165 milioni occorrenti alla fornitura di 18 gru e 90 milioni per 4 elevatori e trasportatori di carbone, per i quali si attende ora il parere del Consiglio di Stato, avendo già il Consiglio Superiore dei lavori pubblici emesso il suo parere favorevole.

Ho disposto inoltre, in data 2 corrente, dopo l’interrogazione, che si inviasse al Consiglio Superiore dei lavori pubblici il progetto di riparazione delle banchine «Cesare e Console» per 29 milioni ed altri lavori per minore entità. Ho altresì disposto l’appalto dei lavori di ricostruzione della banchina Duchessa d’Aosta per 51 milioni. Inoltre devo far presente all’Assemblea che, per quanto attiene al porto di Napoli, sono stati anche eseguiti alcuni lavori per il nuovo allacciamento a doppio binario fra gli impianti dello Sperone ed il porto di Napoli, nonché la parte tra i Granili e la Stazione di porto di Massa.

Definiti ora alcuni accordi con il Municipio di Napoli ed altri enti locali sarà presentata la proposta per la deviazione di Reggia dei Portici per sopra-passare del raccordo ferroviario anzidetto.

Ma l’interrogazione degli onorevoli colleghi non riguarda soltanto questi aspetti della questione. Rilevo, infatti, che al numero b) si accenna alla deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile situazione per l’Ente autonomo del porto di Napoli. Questa maggiore efficienza del porto di Napoli, ai fini della canalizzazione del traffico verso il porto medesimo, dovrà essere soprattutto agganciata al fatto delle gru, che in parte sono state fornite e in parte lo saranno. Ma, per questo, è in modo particolare competente il mio collega della Marina mercantile, il quale, assente oggi per ragioni di governo dall’Assemblea, mi ha pregato di annunciare all’Assemblea che egli ne farà oggetto di particolare attenzione e che giovedì prossimo si recherà personalmente a Napoli per constatare la situazione e poter riferire all’Assemblea stessa circa i risultati dei suoi accertamenti.

Si parla altresì dagli onorevoli interroganti della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo. Il rilievo è effettivamente esatto, ma non riguarda soltanto il porto di Napoli, bensì tutti i porti italiani. Il problema è in relazione soprattutto a questioni di ordine valutario di specifica competenza dei Ministri del commercio estero, del tesoro e dell’industria e commercio, ai quali non mancherò di segnalare questo aspetto della questione per gli eventuali opportuni tempestivi provvedimenti.

Si parla, altresì, nell’interrogazione, della mancanza di ogni servizio igienico sanitario per le numerose maestranze costrette a lavori pesanti e pericolosi.

Devo dire agli onorevoli interroganti che per quanto attiene a questo aspetto del problema, la ragione del ritardo non dipende tanto dal mio Ministero, quanto dall’Ente autonomo del porto di Napoli, il quale in passato sosteneva queste spese a totale suo carico. Ora non le può sostenere, e quindi ci deve pensare il Ministero dei lavori pubblici; però aspettiamo ancora delle proposte al riguardo, specie per quanto attiene alla Casa dei pescatori per le merci nere, che io ho sollecitato ieri stesso.

Credo che, dopo quello che ho detto per quanto attiene sia alle mie disposizioni che ai miei propositi per l’avvenire, la mia risposta possa essere di completa sodisfazione degli onorevoli interroganti. Comunque, se avessero eventualmente qualche cosa da segnalare circa il medo come sono stati spesi questi denari, o circa l’efficienza dei lavori in corso, o circa il modo come sono condotti i lavori, qualora non rispondessero alle notizie che ho attinte al mio Ministero, mi tengo a disposizione degli onorevoli colleghi, per collaborare con loro al fine di accelerare e potenziare lavori in corso o di prossima attuazione. Io penso, e con me il Governo pensa, che valorizzare il porto di Napoli non significa soltanto fare opera napoletana e regionale, ma opera squisitamente italiana e nazionale. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

SALERNO. Sono sinceramente dolente di non potermi dichiarare sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro dei lavori pubblici. E questo mio rincrescimento deriva soprattutto dalla prova che egli ha dato del suo interesse e del suo amore, nonché delle buone intenzioni che nutre per la città di Napoli.

Ma io devo dire una cosa, alla quale probabilmente si assocerebbero molti colleghi napoletani, compreso il mio e nostro maestro Giovanni Porzio, come altri napoletani, anche non deputati.

Noi abbiamo una dura esperienza. Le promesse e le buone intenzioni ci hanno tenuti su; i bilanci – o per lo meno i preventivi di bilancio – quadrano, ma io vorrei dire al Ministro dei lavori pubblici che il porto di Napoli non quadra, perché, nonostante quelle cifre che egli ha annunciate, non c’è una gru, nel porto di Napoli, che sia attualmente in funzione. Prendo impegno formale di dimostrarlo e prego il Ministro dei lavori pubblici d’informarsi. Non esiste una sola gru stabile, fissa, perché il lavoro di trasporto, il lavoro di imbarco e sbarco è fatto con pochissime gru a cingoli lasciate dagli americani, che sono dispendiose, lentissime e impegnano una enorme mano d’opera, mentre delle trentadue gru che aveva il porto di Napoli e dei quattro elevatori meccanici non uno è più in funzione.

Confermo e preciso che sono stati appaltati alcuni lavori per la costruzione delle gru; alcune delle quali sono là per essere finalmente costruite, ma la maggior parte di esse non si trova ancora nemmeno in cantiere: nel porto di Napoli, dopo due anni che è stato liberato dalle truppe alleate, non esiste una sola gru stabile: e non avere gru – me lo può benissimo insegnare l’onorevole Ministro dei lavori pubblici – significa praticamente non potere eseguire il lavoro di carico e scarico.

Ora, sa l’onorevole Ministro dei lavori pubblici perché non si costruiscono e non si riescono a costruire le gru che sul preventivo di bilancio sono perfettamente segnate? (Dico che sono perfettamente segnate, perché non metto certo in dubbio le cifre). La ragione è molto semplice: perché non vi è assegnazione del materiale ferroso, perché le materie prime non sono inviate e perché le ditte appaltatrici cui era stata commessa quest’opera da parte del Ministro Romita, il tanto solerte Ministro dei lavori pubblici che esplicò un’opera veramente egregia nell’interesse del porto di Napoli, non possono eseguire i lavori ad esse affidati, appunto perché le assegnazioni della materia prima non vengono fatte. È così che i lavori, molto spesso, non possono neppure avere inizio.

Comprenderà dunque l’onorevole Ministro dei lavori pubblici in quale stato si trovi il porto di Napoli; egli sa molto bene che senza assegnazione di materiale non si può costruire. Le banchine sono state in gran parte ricostruite, ma – mi consenta – non già nella misura che risulta presso il suo ufficio (perché anch’io ho dei dati i quali hanno questo particolare carattere, che provengono veramente dal luogo dove i fatti si svolgono e precisamente dall’Ente autonomo del porto), bensì soltanto nella misura – parlo dei lavori ultimati – del 16 per cento per le banchine e dell’8 per cento per quanto riguarda le attrezzature meccaniche.

La responsabilità, onorevole Ministro, non è personalmente sua. Io non lo nego, perché noi qui, più che cercare delle responsabilità vogliamo mettere a punto alcuni problemi che riteniamo essenziali non solamente per questa o quella città, per questa o quella regione, ma per tutto il territorio nazionale, per la Nazione stessa. Senza banchine, come si fa infatti a trasportare la merce?

Ma v’è un terzo inconveniente cui ella ha fatto cenno e che io non posso non sottolineare: quello dei numerosi relitti delle 160 unità affondate nel porto di Napoli, alcune delle quali considerevoli come tonnellaggio. Di esse sono state recuperate e rimosse 60 carcasse, ma le altre ingombrano ancora le calate ed i moli. Avviene così che i piroscafi non possono ormeggiarsi e le banchine sono là a sbadigliare al bel sole di Napoli, ma ben lungi dall’essere idonee allo scopo per il quale sono state costruite. Segnalo quindi all’onorevole Ministro dei lavori pubblici la necessità di sgomberare, di rimuovere questi relitti. Alcuni di essi, ripeto, sono già rimossi; ma è evidente che bisogna rimuovere anche gli altri, per due ragioni: perché agevolano l’approdo e perché costituiscono anche un materiale utilissimo. Ed invero, sia detto a conclusione di questa magra rassegna, io mi auguro soprattutto di raggiungere questa finalità: di aver fatto sentire, dopo quella autorevolissima dell’onorevole Porzio, anche la voce di altri amici e colleghi, che hanno messo in evidenza uno dei problemi più impellenti: quello del porto di Napoli.

Bisogna che questi tre fatti – banchine, gru, relitti – siano tenuti in grande considerazione, perché diversamente il problema del porto di Napoli non potrà essere risolto. Eppoi, sa il Ministro dei lavori pubblici, sa l’Assemblea perché tutto, questo è avvenuto? È avvenuto per causa della guerra. Certo, tutti i porti d’Italia e tutte le città d’Italia hanno contribuito col loro sacrificio e col loro eroismo alla guerra di liberazione; ma il porto di Napoli è quello che ha pagato più di tutti, e non soltanto in conseguenza dei bombardamenti e dei danni diretti, i quali hanno provocato il 50 per cento soltanto di distruzioni, ma perché le esigenze della guerra hanno fatto sì che, dopo che le gru erano state fatte saltare in aria dai tedeschi, sono venute le truppe alleate che le hanno buttate a mare o addirittura interrate e rese inservibili. Questa è la verità.

Mi dispiace che non sia presente l’onorevole Romita, col quale non poche volte, quand’era titolare del dicastero dei lavori pubblici, abbiamo visitato insieme il porto di Napoli. Il danno subito dalle gru e dalle attrezzature, lo abbiamo visto, è del cento per cento, ossia è un danno integrale, come integrale è il danno subito dalle banchine, perché anche queste sono tutte buttate all’aria.

Ed a tutto questo si aggiunga un altro fatto: che per due anni, dal 1943 al 1945, il porto di Napoli è stato il grande pernio attorno al quale si è mossa la immane macchina della guerra, che ha portato anche alla liberazione dell’Italia. È ovvio che il porto di Napoli, avendo e dovendo avere questa funzione militare, ha perduto ogni altra funzione; è stato disertato completamente da qualsiasi attività che avesse un carattere mercantile e di traffici civili. Quindi il danno del porto di Napoli è un po’ il grande tributo che Napoli ha pagato all’Italia. Noi chiediamo che l’Italia, attraverso il Governo, consideri questo tributo e ripaghi questo danno, non facendo di Napoli una città privilegiata, ma rimettendola nelle condizioni in cui essa si trovava.

In quanto alla questione della Casa del portuale, mi permetto di significare all’onorevole Ministro dei lavori pubblici come la mancanza di qualsiasi servizio igienico-sanitario faccia sì che quella moltitudine di scaricanti che sostituisce le gru (perché anche questo costituisce un titolo di onore: non abbiamo gru, ma il carbone si scarica; si scarica senza elevatori, ma a schiena di operai, quegli operai che fino a quando non c’erano le gru – cioè fino al 1910 – hanno primeggiato nel mondo per l’imbarco e lo sbarco del carbone, «sicché i transatlantici venivano a bunkerare il carbone a Napoli, in quanto vi trovavano le maestranze meglio addestrate e più idonee a questo lavoro), questa moltitudine di lavoratori, dicevo, non abbia come lavarsi, non abbia come prendere, senza imbrattarlo, un pezzo di pane. La Casa del portuale, si è detto, non è dello Stato, non è un ente pubblico; deve considerarsi come proprietà privata, non è una organizzazione a carattere pubblico, a carattere demaniale. Ma in un caso come questo, mi pare, non si deve andare per il sottile; vi è di mezzo una questione umana, sociale: non è possibile che un grande porto come quello di Napoli non abbia un fabbricato dove possa essere tutelata l’igiene e la salute di migliaia e migliaia di lavoratori.

PRESIDENTE. Onorevole Salerno, la prego di concludere.

SALERNO. Ho finito. È vero che la questione del prezzo della nafta è uguale per tutti i porti d’Italia, e non ho parlato nella mia interrogazione di altri porti d’Italia: ho parlato di altri porti del Mediterraneo. Perché questa è un’altra questione inesplicabile, la quale non riguarderebbe veramente il suo dicastero, onorevole Tupini, ma altro dicastero, ed io ho rivolto l’interrogazione anche ad un altro rappresentante del Governo. Questo interessa Napoli, ma interessa anche Genova, per esempio. Non comprendo perché la nafta debba costare 91 scellini a Napoli o a Genova e debba costarne molto di meno in altri porti, come ad Orano.

Mi diceva ieri un armatore che i suoi piroscafi italiani deve mandarli in Africa, in Egitto, per far comprare la nafta, perché in Italia la nafta costa di più. E non è questione di cambio, perché la valuta è quella che è. Io potrei comprendere che per avere uno scellino occorra pagare più biglietti da cento o da mille, ma il prezzo della nafta dovrebbe essere uguale ed esso invece è uno dei fenomeni più misteriosi che avvengono nel panorama economico italiano.

Sarebbe bene che il Ministero esaminasse questa questione e fissasse con le altre compagnie il prezzo defila nafta, rendendolo uguale a quello che viene praticato in altri porti.

E concludo come ha concluso il Ministro dei lavori pubblici. Sì, perché valorizzare e potenziare il porto di Napoli significa valorizzare e potenziare l’economia del Mezzogiorno d’Italia. Il porto di Napoli è estuario ed affluente della vita economica italiana. Però potenziamolo davvero, perché i napoletani attendono ed hanno atteso da molto tempo!

Che sia il Ministro Tupini veramente quello che realizzerà i nostri voti, ce lo auguriamo. Qui veramente non si dovrebbe fare questione di persona, ma di realizzazioni, perché là dove c’è un’opera buona e che giova ai lavoratori e alla collettività, questa è un’opera meritoria, e se il Ministro Tupini riuscirà a farla saremo con lui. Però tenga conto di quello che in una breve interrogazione non si poteva dire; cioè che il porto di Napoli è veramente il cuore del Mezzogiorno! (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Riccio Stefano ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RICCIO STEFANO. Io mi dichiaro sodisfatto di quanto ha detto oggi il Ministro dei lavori pubblici, ma non posso dichiararmi sodisfatto di quanto fino a questo momento ha fatto il Ministero dei lavori pubblici.

Il Ministro dei lavori pubblici ci ha letto delle cifre in rapporto al porto di Napoli. Se egli avesse lette altre cifre per le spese sostenute in altri porti, come ad esempio per il porto di Genova, noi avremmo potuto constatare come quella giustizia, di cui ha parlato sempre il maestro onorevole Giovanni Porzio ed a cui oggi si è riferito l’onorevole Salerno, sia stata ancora una volta tradita.

Il nostro porto non ha soltanto subìto i disastri della guerra, ma (come ben diceva l’onorevole Salerno) è stato danneggiato anche dopo. Si ebbe, invero, quell’uso prolungato da parte degli Alleati che impedì l’immediato inizio della ricostruzione. Oggi che questa possibilità c’è, occorre intensificare i lavori. Ed invece, sì, certo, qualche opera è stata eseguita, ma i lavori, vanno avanti con lentezza ed incertezza.

Il Ministro Tupini ci invita a presentare i documenti. Noi lo invitiamo soltanto ad una cosa. Venga a fare una visita alle banchine del porto di Napoli ed avrà la dimostrazione completa di quanto abbiamo affermato. Può darsi che egli avrà ad inciampare in qualche mucchio di macerie o di altri residuati e si renderà conto effettivamente dello stato dei lavori. La nostra lamentela è espressione di un bisogno di giustizia, che noi avvertiamo. Noi crediamo di dovere avere giustizia; noi chiediamo che finalmente questo nostro porto debba essere ricostruito! Noi questo chiediamo, e niente altro.

Insisto soprattutto sulla Casa del portuale. Se questa Casa è stata distrutta per eventi bellici, non c’è discussione da fare: il Genio civile deve e può ricostruirla. È una necessità assoluta, come diceva l’onorevole Salerno.

Non voglio aggiungere parola. Nutro la speranza, anzi – se il Ministro mi permette – ho la certezza che finalmente giustizia sarà fatta. Occorre anche la revisione dei prezzi, perché indubbiamente la omissione ritarda la esecuzione dei lavori. Credo di poter concludere, affermando che questa Assemblea unanime fa voti perché i lavori siano portati a compimento al più presto ed il porto, riavuta la sua attrezzatura, abbia a riprendere il suo intenso ritmo di vita. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di replicare l’onorevole Ministro dei lavori pubblici. Ne ha facoltà.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Mi onoro di annunciare all’Assemblea che ho già deciso di recarmi a Napoli il giorno 21 di questo mese (Approvazioni) per constatare di persona lo stato dei lavori e dare nell’ambito delle mie possibilità le necessarie disposizioni, capaci di sodisfare non solo gli onorevoli interroganti, ma l’Italia meridionale ed il Paese. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni che, essendo di argomento analogo, possono essere svolte congiuntamente. La prima è quella dell’onorevole Recca ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per sapere quali provvedimenti hanno preso o intendano prendere per venire incontro agli impellenti e improrogabili bisogni della industre popolazione di San Paolo Civitate, in provincia di Foggia, composta di piccoli viticoltori, olivicoltori e braccianti, dopo lo spaventoso nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno ultimo, mai visto simile, che ha provocato danni per oltre due miliardi alla campagna e la miseria più nera a quei piccoli coltivatori diretti, che non potranno più raccogliere per altri diversi anni, ed ha aggravato la disoccupazione esistente».

La seconda è quella dell’onorevole Miccolis al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste «per conoscere se sono informati che il giorno 23 giugno una grandinata di eccezionale violenza si è abbattuta sulle campagne di San Paolo Civitate, distruggendo prodotti valutabili per un paio di miliardi; quali provvedimenti urgenti intendano adottare per sollevare dalla miseria e dalla disoccupazione provocate dal Ministro, per prevenire ed evitare possibili agitazioni».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Devo informare gli onorevoli colleghi, che, oltre le loro interrogazioni, nessuna segnalazione era pervenuta al mio Ministero circa i danni arrecati al Comune di San Paolo Civitate dal nubifragio del 23 giugno 1946. Dato, peraltro, che i provvedimenti che si invocano riguardano unicamente i bisogni della popolazione agricola, nessun intervento può essere esplicato dal Ministro dei lavori pubblici inquantoché la competenza – se danni di natura agricola ci sono – è del Ministero dell’agricoltura.

Il Ministero dei lavori pubblici, invece, in simili circostanze ha soltanto l’obbligo di adottare quelle provvidenze di pronto soccorso indispensabili per assicurare la pubblica incolumità mediante puntellamenti, demolizioni di muri pericolanti, costruzione di ricoveri provvisori, del che non vi deve essere stato bisogno nel comune di San Paolo Cavitate, inquantoché questi soccorsi non sono stati nemmeno sollecitati.

Comunque, io non ho mancato di richiamare l’attenzione del Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Bari, affinché esamini – dato quello che affermano gli onorevoli interroganti – se vi sia la possibilità di alleviare con l’attuazione di qualche lavoro di indubbia utilità, suscettibile di dare impiego a mano d’opera rimasta disoccupata a ragione di questo nubifragio, lo stato di disoccupazione che si è venuto ad aggravare nel suddetto comune. Assicuro pertanto gli onorevoli interroganti che, se provvedimenti del genere mi saranno richiesti, non mancherò, nei limiti delle mie possibilità, di adottarli.

PRESIDENTE. Ha facoltà, di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A nome del Ministro dell’agricoltura, aggiungo che manca ogni possibilità di intervenire a favore dei danneggiati, in quanto nello stato di previsione della spesa del Ministero non sono stanziati fondi per sovvenire a danni prodotti da vicende meteorologiche. Comunque, il Ministero ha invitato d’urgenza il Provveditore regionale alle opere pubbliche e l’ispettore agrario compartimentale a fare proposte per quegli eventuali interventi di riparazione dei danni causati ad opere pubbliche o private di bonifica, che potrebbero in un certo modo contribuire ad alleviare la disoccupazione segnalata.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Sottosegretario di Stato per il tesoro.

PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In relazione alla richiesta dell’onorevole interrogante, per conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per venire incontro ai bisogni della popolazione di San Paolo Civitate, danneggiata dal nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno 1947, si osserva, per quanto rientra nella competenza del Ministero delle finanze, che, in base all’articolo 47 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1572, che approva il testo unico delle leggi sul nuovo catasto dei terreni, nei casi in cui per parziali infortuni non contemplati nella formazione degli estimi venissero a mancare i due terzi almeno del prodotto ordinario del fondo, l’Amministrazione può concedere una moderazione dell’imposta erariale dell’anno sui terreni, nonché dell’imposta sui redditi agricoli, dietro presentazione, da parte dei possessori danneggiati, alla competente Intendenza di finanza, entro i 30 giorni dall’accaduto infortunio, di apposita domanda con l’indicazione, per ciascuna, particella catastale, della quantità e qualità dei frutti perduti e dell’ammontare del loro valore.

I danni provenienti da infortuni atmosferici, come la grandine, la siccità, le gelate e simili, vengono tenuti presenti nella formazione delle tariffe d’estimo e perciò, di regola, non possono dar luogo alla moderazione d’imposta di cui al citato articolo 47 del testo unico 8 ottobre 1931, n. 1572.

Comunque, il Ministero ha interessato già l’intendenza di finanza di Foggia, affinché riferisca, sentito l’Ufficio tecnico erariale, circa l’entità dei danni arrecati dalla grandinata del giugno scorso in comune di San Paolo Civitate; ed in base a informazioni che saranno fornite, si vedrà subito quali agevolazioni tributarie potranno eventualmente essere adottate a favore dei danneggiati.

Per quanto riguarda il Ministero del tesoro, si comunica che l’intervento del Tesoro, in casi del genere prospettati dall’onorevole interrogante, si attua attraverso i Ministeri particolarmente chiamati, per ragione di rispettiva competenza tecnica, ad occuparsi dei vari settori amministrativi, quali lavori pubblici, agricoltura, ecc., in base agli stanziamenti ordinari o straordinari dei loro bilanci.

PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

RECCA. Solo stamattina è stato segnalata al Ministero dell’interno, dove mi sono recato, la grave sciagura che ha colpito la cittadina di San Paolo Civitate. Si tratta di danni per oltre 2 miliardi. Non si è vista mai una grandinata simile. Sono sicuro che il Governo verrà incontro ai bisogni di questa sciagurata popolazione. Sono sicuro di questo e mi permetto di fare delle raccomandazioni, giacché il Ministro Tupini dice di non essere competente al riguardo, proprio ai tre Ministri ai quali ho rivolto l’interrogazione. Raccomando infatti al Ministro Tupini una assegnazione diretta per i lavori pubblici di San Paolo Civitate, e di segnalare all’ispettorato di Bari, a cui sono stati assegnati 360 milioni per opere pubbliche, che quella cittadina ha più bisogno delle altre. Dico questo perché ho sempre creduto all’accentramento di Bari. Quella cittadina deve essere aiutata, perché la disoccupazione del bracciantato si farà sentire ancora di più, non potendosi più parlare d’imponibile di mano d’opera in quella contrada. E questo si capisce. Non può essere più imposta la mano d’opera agli agricoltori, perché questi, non solo non hanno raccolto quest’anno, ma non raccoglieranno per altri diversi anni, tanto è stato grave il disastro. Al Ministro delle finanze, poi, raccomando di segnalare all’intendenza di finanza di Foggia la necessità di dare sollecito corso all’istruttoria della pratica, che ho fatta presentare, per la eliminazione e riduzione dell’imposta fondiaria; raccomando di dare poi disposizione per l’esenzione di tutti i sinistrati dall’imposta straordinaria sul patrimonio.

Al Ministro dell’agricoltura, infine, raccomando di aiutare, in qualsiasi modo, quei piccoli agricoltori e coltivatori diretti, provati da tanta disgrazia.

PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MICCOLIS. Mi duole di non potermi assolutamente dichiarare sodisfatto. Io non mi sono rivolto al Ministro dei lavori pubblici, perché sapevo benissimo che l’argomento in discussione non riguarda la sua competenza. Però, la risposta dell’onorevole Tupini non mi è piaciuta, per quanto non sia stata data a me.

È facile telegrafare al Provveditore per le opere pubbliche, perché provveda lui in queste occasioni; siamo perfettissimamente d’accordo. Ma questo significa far sottrarre qualche cosa, per San Paolo in Civitate, da quei pochi milioni mandati per opere pubbliche a tutta la regione.

TUPINI. Ministro dei lavori pubblici. In via provvisoria.

MICCOLIS. Io mi sono rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste: a questo perché si informasse esattamente sull’entità del danno; al Capo del Governo, perché interessasse tutti i Ministeri competenti, per andare incontro a quella popolazione così gravemente colpita.

Come ha già detto il collega onorevole Recca, si tratta di una grandinata di carattere eccezionalissimo, che esce dall’ordinario, richiamato dall’onorevole Petrilli quando ha detto che nelle previsioni di finanza è tenuto conto delle grandinate e delle gelate. In questo caso si tratta come di terremoto. Occorre l’intervento diretto del Governo, cioè da parte del Ministero del tesoro e del Ministero delle finanze, perché non è assolutamente concepibile che un piccolo agricoltore (siamo in una zona di piccoli coltivatori), dopo aver visto distrutti, alla vigilia del raccolto, i prodotti dei suoi campi, possa provvedere al pagamento delle imposte ordinarie e dell’imposta straordinaria sul patrimonio. Come potrà questo disgraziato rimettere in funzione la sua macchina e fronteggiare i danni? Perché, come ha detto l’onorevole Recca, non si tratta di un danno contingente e semplice, ma di un danno che si proietta nel futuro. Quando un vigneto o un oliveto (perché siamo in zona coltivata a vigneti o oliveti), è battuto così violentemente dalla grandine, sono necessari immediati procedimenti di irrorazione, di zappatura, perché la pianta, che ha subito attacchi violenti, ha bisogno di essere aiutata, ha bisogno di ossigeno, come l’ammalato. Ciò per non compromettere la produzione per gli anni futuri.

Pertanto, mi permetto invitare il Governo, ad emettere i provvedimenti eccezionali richiesti dalla eccezionalità del caso.

Onorevole Tupini, il Provveditore delle opere pubbliche non ha niente a che fare con questa faccenda, perché non si tratta di togliere ad uno per dare ad un altro.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Non toglieremo niente a nessuno; si tratta di un provvedimento provvisorio; poi provvederemo in concreto.

MICCOLIS. Allora, saremo d’accordo e potrò dirmi sodisfatto.

PRESIDENTE. L’onorevole Pellegrini ha presentato la seguente interrogazione al Ministro dell’interno. «a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero, sempre a Venezia, nella mattinata di domenica, 29 giugno».

Sullo stesso argomento è stata presentata la seguente interrogazione dagli onorevoli Mentasti, Ponti, Lizier, Bastianetto, al Ministro dell’interno: «per conoscere – in relazione ai deplorevoli episodi di intolleranza accaduti a Venezia il 29 giugno – quali provvidenze il Governo intenda adottare perché la libertà di parola nelle pubbliche manifestazioni sia a tutti garantita e così pure tutelata la sicurezza dei partecipanti contro ogni atto di faziosità e di violenza».

Infine l’onorevole Tonetti ha presentato una interrogazione urgente così formulata:

«Al Ministro dell’interno, sugli incidenti che si sono verificati a Venezia domenica 29 giugno ultimo scorso in occasione del comizio indetto dall’onorevole De Gasperi e sugli arresti arbitrari ed indiscriminati che ne sono seguiti».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno, ha facoltà di rispondere alle tre interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Evidentemente le forze di polizia che hanno presidiato nella domenica 29 giugno la piazza San Marco di Venezia non erano state messe a disposizione della Democrazia cristiana. Ai sensi dell’articolo 20 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza esse erano, invece, state poste a disposizione del prefetto della Provincia, il quale ben sapeva quanto si andava qua e là organizzando da parte di partiti estremi per disturbare le riunioni della gioventù democristiana delle Tre Venezie, indetta per quel giorno, e in particolare per impedire il discorso annunziato dell’onorevole De Gasperi, come si è appreso da una circolare, che leggo, diramata della sezione di Mira del Partito comunista italiano:

«Si avvertono tutti i compagni che domenica 29 c.m. avrà luogo in piazza San Marco di Venezia l’annunziato discorso di De Gasperi. La federazione e la sezione comunista lanciano la parola d’ordine: tutti i compagni in piazza San Marco per controbattere De Gasperi. Ci sarà il contradittorio tenuto da Scoccimarro per i comunisti e da Basso per i socialisti. I compagni in bicicletta dovranno trovarsi alle ore 4.30 del mattino a Mira per la partenza».

MAZZA. È scritto «compagni» o «camerati»? (Rumori a sinistra).

Una voce a sinistra. I camerati sono nel vostro settore.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. La circolare conclude; dicendo: «Non si devono portare bandiere, non si deve provocare, né accettare provocazioni mantenendosi sempre agli ordini del Partito».

Una voce a sinistra. La data, la data.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato all’interno. È senza data. Evidentemente la circolare è precedente al 29 giugno.

Il Prefetto, informato di quanto si andava qua e là organizzando, nel senso cui ho accennato, aveva richiesto le forze di polizia per mantenere l’ordine, come era suo dovere.

Che tale richiesta non fosse ingiustificata lo hanno dimostrato gli avvenimenti che seguirono.

Infatti, fin dalle ore 7 (il discorso di De Gasperi era fissato per le ore 11) notevoli gruppi di elementi dichiaratamente estremisti, muniti di fischietti ed armati di bastoni anche ferrati, cominciarono ad affluire nella piazza, tentando di occuparne la parte più vicina alla finestra da cui doveva parlare il Presidente del Consiglio.

Una voce a sinistra. Anche ferrati! Quanti ne avete sequestrati?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ne abbiamo anche sequestrati!

Una voce a sinistra. Quanti?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato all’interno. Tali gruppi tentavano, dunque, di occupare – su queste informazioni può testimoniare anche qualche membro di questa Assemblea – la parte della piazza più vicina, come ho già detto, alla finestra da cui doveva parlare il Presidente De Gasperi. Le forze di polizia avevano però provveduto a mantenere libera la parte della piazza destinata ai congressisti, e tale tentativo è, conseguentemente, fallito. (Rumori a sinistra). Quando però l’onorevole De Gasperi si presentò alla finestra e cominciò a parlare, scoppiò la più rumorosa delle gazzarre. Contemporaneamente il cordone della polizia veniva aggredito con violenza e si cercava di romperlo. Ad un certo momento, anzi, esso era costretto ad arretrare. Non entro in particolari: dovrei accennare all’episodio della bomba fumogena.

In questo momento 23 individui, che nella fase precedente erano stati arrestati come i più violenti, venivano liberati dalla folla. Essi però erano stati identificati e poterono, in parte, essere ricatturati o, comunque, denunciati a piede libero.

Il comportamento delle autorità in questa occasione è stato, evidentemente, determinato dalle circostanze e non merita quindi di essere riprovato. (Applausi al centro e a destra – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Pellegrini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PELLEGRINI. Non posso assolutamente dichiararmi sodisfatto per due motivi (Rumori al centro e a destra): il primo, perché la risposta è venuta ad otto giorni di distanza dai fatti incresciosi, quando è stato possibile utilizzare, in maniera abusiva, i mezzi dello Stato, per dare una versione falsa e faziosa degli avvenimenti. (Rumori al centro).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Queste sono insinuazioni che ledono, ingiustamente, l’autorità di funzionari che, in questa occasione come in altre, hanno dimostrato imparzialità e dignità! (Approvazioni).

PELLEGRINI. Secondo: perché i fatti, così come sono enunciati nella versione, dell’onorevole Sottosegretario, non rispondono a verità… (Rumori al centro e a destra).

CAIATI. Ha il componimento fatto!

PELLEGRINI. …e questa versione, comunque, non smentisce e non giustifica l’occupazione della piazza da parte della polizia in assetto di guerra.

Una voce. Cinque ore prima sono andati.

PELLEGRINI. Cinque ore prima, appunto.

C’è ancora un altro fatto: per attraversare i cordoni della polizia bisognava mostrare la tessera del Partito democratico cristiano. (Proteste al centro). Questo è un fatto non smentito dall’onorevole Sottosegretario di Stato, fatto che acquista un particolare significato, se si tiene presente una curiosa riunione avvenuta nella Prefettura di Venezia, per iniziativa del signor Prefetto, tre giorni prima dell’arrivo dell’onorevole De Gasperi. Il giovedì il signor Prefetto di Venezia ha convocato nel suo ufficio i rappresentanti dei Partiti di sinistra, il Sindaco e i rappresentanti della Camera del lavoro per significare loro che se nella giornata di domenica fossero avvenuti incidenti, c’era pericolo di crisi nel Comune, c’era pericolo di crisi nella Camera del lavoro. (Commenti – Interruzioni al centro).

È senza dubbio un dovere del Prefetto, come rappresentante del Governo, di pensare tempestivamente all’ordine pubblico, ma è dovere del Prefetto di tener conto che l’ordine pubblico si conserva solamente a condizione che si discuta con tutti i partiti, non solo coi partiti di sinistra presunti o pretesi rei.

L’occupazione militare della piazza San Marco, la riunione in Prefettura dei soli rappresentanti dei Partiti di sinistra per consentire il piccolo ricatto, come ha rilevato l’onorevole Roveda (Commenti al centro), dànno luce particolare agli elementi spirituali e materiali dell’incresciosa giornata di domenica 29 giugno. (Interruzioni – Commenti al centro).

Ma vi sono stati degli incidenti, vi sono state delle manifestazioni, ed allora si è andata a scomodare la vieta retorica delle squadre rosse; c’è stato il Questore, il quale otto giorni prima, ha segnalato l’accaparramento dei fischietti nei negozi di Venezia; si è andati anche a scomodare certa stampa fascista. (Interruzioni al centro).

Bastava che l’onorevole Sottosegretario avesse narrato i fatti come si sono svolti. Non era necessario che i comunisti e i socialisti convocassero il popolo in piazza San Marco, non era necessario che diramassero delle circolari. (Commenti al centro). A questo ha pensato la Democrazia cristiana. La popolazione è andata in piazza, e non è colpa dei comunisti né dei socialisti se essa ha manifestato opinioni diverse da quelle della Democrazia cristiana. (Proteste e interruzioni al centro). Diecine di migliaia di persone sono andate in piazza San Marco e non erano squadre rosse. (Commenti al centro). Era la popolazione più sana di Venezia, era il popolo di Cannareggio, di Dorsoduro, di San Marco, erano gli arsenalotti che il Presidente del Consiglio ha offeso nel suo discorso alla radio. Era il popolo sano di Venezia. (Applausi a sinistra – Proteste al centro).

Gli incidenti incominciano alle sette e mezzo del mattino, ed incominciano attraverso una carica violenta della «Celere» contro un gruppo di quindici popolani, rei di attraversare la piazza San Marco con dei cartelli su cui era scritto: «Abbasso il Governo che aumenta il prezzo del pane». (Commenti al centro). È un delitto scrivere su di un cartello che il Governo fa male ad aumentare il prezzo del pane? È un’offesa alla democrazia portare un cartello in cui si dice che il prezzo del pane deve essere mantenuto nei giusti limiti? (Interruzioni al centro).

È da quel momento che gli incidenti cominciano e si sviluppano nel corso della mattinata; si sviluppano quando alla testa del corteo dei democristiani, che provenivano dalla stazione, marciavano due monarchici, notoriamente conosciuti, con cartelli inneggianti alla monarchia, e si sono iniziati e sviluppati proprio quando la «Celere» ha cominciato a lanciare bombe lacrimogene, perché questi sistemi ottengono sempre l’effetto contrario. (Interruzioni – Commenti al centro).

La «Celere», dicevo, ha generato i più gravi incidenti, incidenti che sono essi stessi significativi nelle conseguenze che ebbero per definire il carattere della manifestazione popolare.

Un solo giovane democristiano è tra i contusi; gli altri appartengono alla parte che manifestava contro; un solo giovane c’è ed è stato contuso dalla «Celere», perché cercava di assalire quel gruppo di 23 arrestati che la «Celere» portava in guardina. Si è parlato anche di mazze ferrate, ma non si è trattato di mazze ferrate, perché non è avvenuto nessun sequestro di armi del genere, tanto è vero che il Questore di Venezia, interpellato dall’onorevole Ravagnan, non è stato in grado, sino a questo momento, di portare nessuna prova concreta circa l’esistenza di queste mazze ferrate. Quindi questa è una menzogna! (Commenti – Proteste al centro).

Bisogna dire brevemente qualche altra cosa per caratterizzare il clima nel quale incubarono e si svolsero i fatti di Venezia; non dovrebbe essere un mistero per il Governo la grave situazione in cui si trova il Veneto dal punto di vista dell’ordine pubblico; dovrebbero essere a conoscenza del Governo i dolorosi incidenti di Udine del 1° giugno 1947, il giorno che doveva essere consacrato all’eroismo del Movimento partigiano; perché il Friuli è in maggioranza garibaldino.

GEUNA. Non è vero!

PELLEGRINI. Sono venuti alcuni dirigenti locali della Democrazia cristiana a Udine in quell’occasione, e sono venuti anche alcune centinaia di fascisti, i quali si diedero alla caccia spicciola dei partigiani garibaldini.

GEUNA. Non è vero!

PELLEGRINI. È vero, perché ero presente anche io. I partigiani garibaldini furono assaliti da questi scatenati, e nessuno può mettere in dubbio questa mia affermazione. Non è un mistero per vari colleghi della provincia di Venezia, che le masse popolari della provincia di Venezia, nel Sandonatese e in altre località, sono aggredite la sera da democristiani che, nella realtà, sono fascisti. (Vivaci proteste al centro). Sì, dànno la caccia ai comunisti! (Rumori al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Pellegrini! Stia all’argomento, la prego!

CALATI. C’erano anche loro che fischiavano a Venezia! (Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Non ripetiamo un episodio del genere di quello di Venezia!

PELLEGRINI. E l’onorevole Mentasti, in un settimanale che fu già di proprietà del conte Volpi di Misurata, la settimana che ha preceduto la venuta dell’onorevole De Gasperi, ha scritto con la penna del suo direttore – che non può dimenticare di essere un gazzettiere del fascismo – degli articoli permeati di basso spirito anticomunista. (Vive proteste al centro).

Una voce al centro. Questo è un comizio!

CAIATI. Non dovrebbe parlare! Stava fischiando anche lui a Venezia! (Rumori a sinistra – Proteste al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio! Onorevole Pellegrini, la prego nuovamente di tenersi all’argomento!

PELLEGRINI. Ed è caratteristico, dal punto di vista dello spirito e dell’orientamento che hanno preparato la giornata del 29 giugno a Venezia, descrivere le canzoni dei democristiani. (Vive proteste al centro).

MICCOLIS. Ora parlerà anche di Cremona! (Rumori – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Pellegrini, la prego di restare all’argomento della sua interrogazione!

Le faccio osservare; che è già trascorso il tempo a sua disposizione.

PELLEGRINI. È per queste ragioni che, a nome dei lavoratori di Venezia, devo dichiararmi non sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Mentasti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MENTASTI. Poiché ho la parola, desidera replicare, anche a nome degli amici deputati democristiani di Venezia, all’interrogante onorevole Pellegrini, poiché…

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, lei ha la parola per replicare all’onorevole Sottosegretario.

MENTASTI. …immaginavo di dover ricondurre i dati di fatto alla loro veridicità: ecco quello che tenterò di fare, dopo la distorsione avversaria.

In primo luogo, il fatto provocatorio è esistito dal primo momento in cui si è saputo che l’onorevole De Gasperi sarebbe venuto a Venezia. Dal primo momento la voce per Venezia era corsa che i signori comunisti e i signori socialisti fusionisti… (Rumori al centro).

Una voce a sinistra. Signore è lei. (Rumori a sinistra).

MENTASTI. Dai mezzi che dimostrate di possedere, non si può che chiamarvi signori.

Mazzi di manifesti, auto… (Rumori a sinistra – Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

MENTASTI. Devo dunque dire che i fatti si sono svolti in questa precisa guisa: i socialcomunisti, fino dal primo momento, hanno cercato di fare in modo che la manifestazione degenerasse nella gazzarra che poi si è manifestata. Noi abbiamo cercato di fare invece precisamente il contrario. Noi abbiamo saputo dell’iniziativa del prefetto, il quale aveva invitato nel suo ufficio i Partiti di estrema, perché il prefetto sapeva di questa loro intenzione di fare in modo che il Presidente del Consiglio non potesse parlare. (Rumori a sinistra). Non poteva, il prefetto, invitare i democristiani per pregarli di non fischiare il loro capo.

Era venuta fuori anche una loro giustificazione che avevano cercato di far circolare per la città: si sarebbero agitati nei confronti dell’onorevole De Gasperi, unicamente perché egli era il rappresentante della reazione.

RUSSO PEREZ. In agguato!

MENTASTI. Ora, egregi signori, e dai mezzi che avete a disposizione, posso ben chiamarvi tali… (Proteste – Rumori a sinistra – Ilarità al centro e a destra).

Continuando debbo dire che la riprova del fatto che anche i capi di quei due movimenti sono corresponsabili della gazzarra è data dal fatto che essi, nella riunione in Prefettura, hanno detto: Egregio signor prefetto, noi prendiamo nota di queste sue buone intenzioni; ma come mai lei viene a dirci che in regime di democrazia non si può fischiare, non si può assembrare gente perché una manifestazione avversaria non possa riuscire?

PELLEGRINI. Non è vero!

MENTASTI. Quando avrò finito di parlare, allora venitemi a dire che ho mentito ed io vi risponderò come sarà necessario.

PELLEGRINI. Perché non viene a Venezia? (Rumori).

MENTASTI. Sempre, quando e dove volete; e se questa è una minaccia, essa non può se non ritorcersi contro di voi. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

Chi vi parla in questo momento ha avuto numerosi contradittori, durante il periodo elettorale: non li ha temuti e non li teme nemmeno ora.

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, svolga l’argomento, la prego.

MENTASTI. L’argomento è che questi signori non vogliono la tranquillità del Paese. (Rumori a sinistra – Applausi al centro e a destra).

Resta, comunque, dimostrato che questi signori volevano effettivamente la gazzarra e l’hanno condotta nella maniera che ha detto l’onorevole Marazza. È vero che al mattino prestissimo – alle quattro e mezzo – hanno incominciato a far affluire la gente per disturbare; è vero che, in effetti, nella piazza San Marco c’erano quattro o cinquecento fischiatori, che fischiavano con fischietti metallici, assordando quindi tutti e impedendo completamente l’audizione del discorso del Presidente del Consiglio a vasta parte dell’uditorio. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

Una voce al centro. Questa è democrazia! (Commenti a sinistra).

MENTASTI. La realtà, purtroppo, è questa. Non è per questo che durante tutto il periodo clandestino siamo stati insieme a combattere, a rischiare, come abbiamo rischiato; non è per questo! È per veder rinascere la libertà nel Paese che noi abbiamo combattuto insieme. (Commenti a sinistra). E allora, permettete almeno che io possa continuare. Vorrei domandare a voi, egregi signori, se, per esempio, invece di essere il Presidente De Gasperi, amato da tutto quanto il Veneto, riconosciuto come un grande galantuomo (Applausi al centro), perché egli ha sempre dato l’esempio di correttezza, di onestà e di coraggio; vorrei vedere se invece di quel Presidente ne fosse venuto un altro, per esempio un Presidente di una delle grandi Repubbliche russe, voi che cosa avreste fatto? (Commenti – Interruzioni a sinistra). Avreste permesso che anche un solo interruttore…

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, stia all’argomento della sua interrogazione!

MENTASTI. Sono in argomento. Perché, quando non si permette di parlare nella città civilissima di Venezia, nella città che ospita in questo momento forestieri di tutto il mondo, che vengono di nuovo a godere del nostro sole e delle nostre bellezze d’arte, ed allora la città diventa internazionale, ho bene il diritto di dire che se fosse venuto il loro capo ideale, nemmeno uno dei disturbatori si sarebbe salvato, e meglio, nessuno dei disturbatori avrebbe mai pensato di adoperare i fischietti e di far venire la gente alle quattro e mezzo del mattino per fischiare il Presidente del Consiglio. Queste sono verità; e noi abbiamo diritto di ritenere che voi non volete usare il sistema democratico. Fate a meno di chiamarlo progressivo. Tutte le volte che voi aggiungete un aggettivo a questa determinata, santa parola «democrazia», voi ne cambiate i connotati, e con i vostri fatti smentite… (Commenti e proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego!

TONELLO. Quando potete, voi fate lo stesso! (Proteste al centro).

MENTASTI. Quello che mi permetterà il Presidente credo sarà ancora di rispondere…

PRESIDENTE. Le ho permesso di dire tutto quello che lei ha voluto. Ne prenda atto.

MENTASTI. A lei sì, gliene do atto. Volevo dire ancora questo. Si è parlato del nostro sistema di condurre le cose e si è fatto cenno anche ad un giornale di Venezia, il Gazzettino. (Interruzione dell’onorevole Tonello – Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Per favore facciano silenzio! Onorevole Mentasti, prosegua.

MENTASTI. È vero, dunque, che il Gazzettino ha compiuto e compie tuttora un gesto che gradirei fosse sempre ricordato e soprattutto applicato, le quante volte ne avessimo altrettanto bisogno, dai signori comunisti. Per esempio, la Società editrice San Marco stampa nella sua tipografia il giornale comunista. Nonostante le vere ed effettive difficoltà e nonostante che da ultimo siano state portate via dagli americani delle loro «linotypes», la Società continua a stampare il giornale comunista, il quale ogni giorno, a nostro avviso, altera la realtà e la verità, infanga tutto quello che è sacro per noi. (Commenti e interruzioni a sinistra). Alcuni amici sono venuti a chiederci: Ma non dobbiamo avere un poco di resipiscenza, non dobbiamo tentare di far sì che non avvengano cose di questo genere (cose di questo genere a Venezia in fondo non si sono mai viste, non si sono mai viste offese così gravi alla verità e alla libertà); non si deve impedire tutto questo?

Nemmeno per sogno, ho risposto; noi abbiamo un dovere, che è questo: dimostrare coi fatti la nostra democrazia. Che dicano quel che vogliono dire. Risponderemo quello che crederemo di rispondere.

Ed io mi riporto a questo significato effettivo della democrazia per dire a voi, socialcomunisti: Non è con questi sistemi che si può riparare all’eventuale errore di essere andati fuori dal Governo! (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego di stare all’argomento! Non siamo in sede di discussione sulle comunicazioni del Governo.

MENTASTI. Il nostro pensiero preciso è questo: Il Paese ha bisogno di tranquillità per potersi rimettere a posto, ha bisogno effettivo di risolvere i suoi problemi concreti che vanno dall’alimentazione a tutte le cose veramente concrete. Questi sono i problemi che bisogna portare avanti, e per portarli avanti il Paese ha bisogno di calma e del concorso di tutti, tutti, qui, soprattutto all’interno, per non continuare agitazioni permanenti, che fan perdere ore ed ore alle fabbriche, alle macchine che ci sono restate, e soprattutto le paghe agli operai. (Commenti e interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, la prego per l’ultima volta di stare all’argomento!

MENTASTI. E per arrivare a questo, secondo noi, è indispensabile che vi sia realmente quella concordia che c’è stata finora nei partiti repubblicani, e questa non può essere cementata di nuovo se non dalla lealtà, dalla sincerità, e non dai doppi giuochi e dalle facinorose parole! (Applausi al centro – Commenti).

PRESIDENTE. L’onorevole Tonetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

TONETTI. Non posso limitarmi a dichiarare con la formula sacramentale di non essere sodisfatto della risposta del Ministro degli interni, ma deploro energicamente che nella sua versione degli incidenti di Venezia si senta l’eco della vergognosa speculazione politica (Interruzioni al centro) che è stata organizzata falsando i fatti ed imbastendo un inammissibile processo alle intenzioni per capovolgere la situazione. (Commenti al centro).

La verità deve essere stabilita in base ai fatti. (Commenti). Primo: si è detto ed è stato anche scritto che si trattava di un convegno al quale potevano partecipare i tesserati della democrazia cristiana, e precisamente convegno della gioventù cattolica. Non è mai avvenuto che alcun partito politico si sia servito delle strade e delle piazze pubbliche per riunioni interne di partito. (Interruzioni al centro). Nelle piazze pubbliche si tengono comizi politici, ai quali tutta la popolazione può partecipare.

Una voce al centro. Sono solo i comunisti i padroni delle strade!

MENTASTI. Ci vuole una bella disinvoltura!

PRESIDENTE. Onorevole Mentasti, lei ha parlato per dieci minuti; lasci parlare il suo collega.

TONETTI. Secondo: la popolazione di Venezia è stata invitata con vistosi e numerosi manifesti che annunciavano l’ora precisa in cui l’onorevole De Gasperi avrebbe parlato in Piazza San Marco. Quando la popolazione è andata in piazza le si è inibito l’ingresso, (Rumori – Interruzioni) mediante eccezionali, ridicole e provocatorie misure di ordine pubblico affidate ad alcune centinaia di agenti, in assetto di guerra con gli elmetti (Rumori), una parte dei quali (e precisamente la «Celere) era stata fatta venire da Padova.

Le migliaia di persone che erano in Piazza San Marco possono testimoniare ciò. Terzo: nessun atto di violenza è stato iniziato da parte della popolazione contro gli agenti di pubblica sicurezza…

Una voce al centro. Dalla popolazione no, ma dagli attivisti!

TONETTI. E non si è tentato di rompere i cordoni. Ciò malgrado, ad un certo momento, indubbiamente secondo un piano preordinato (Commenti), gli agenti di pubblica sicurezza, con sfollagente e poco dopo con bombe lacrimogene, hanno caricato la folla che si limitava a manifestare con fischi il suo dissenso e la sua indignazione…

Una voce al centro. Per che cosa?

TONETTI. …per l’inusitato e provocatorio spiegamento di forze armate. (Interruzioni dell’onorevole Ponti).

Gli incidenti e le colluttazioni successive sono state la naturale conseguenza e la logica reazione della popolazione alle violenze che la forza pubblica aveva avuto ordine di esercitare contro i pacifici cittadini. (Interruzioni – Rumori al centro).

A scopo di riversare le responsabilità degli incidenti sui partiti di sinistra, si è anche detto che casi di intolleranza e di violenza si sarebbero verificati anche se non ci fosse stato lo spiegamento arbitrario è grottesco delle forze armate. Nulla di più falso e di più assurdo: falso il giudizio, assurdo il processo alle intenzioni, che sono, del resto, smentiti dal fatto che un rappresentante del partito comunista ed un rappresentante del partito socialista avevano chiesto il contradittorio all’onorevole De Gasperi (Interruzioni – Rumori al centro), ciò che presupponeva un ordinato dibattito. I fatti, nella loro successione cronologica noti a migliaia e migliaia di persone che si trovavano in Piazza San Marco, non possono essere mutati da cavilli gesuitici. Ed i fatti dimostrano che un membro di un partito qualunque, nella fattispecie l’onorevole De Gasperi, in occasione di un suo comizio, avvalendosi del fatto che è Presidente del Consiglio, ha messo al suo servizio personale ed al servizio del suo partito le Forze armate di polizia le quali non possono avere altro compito che quello di garantire la libertà di tutti… (Rumori al centro).

MENTASTI. Sfruttatela, che vi è riuscita la montatura.

TONETTI. …che non hanno altro compito che quello di garantire imparzialmente a tutti i cittadini di qualunque fede politica o religiosa, il rispetto e la tutela delle leggi vigenti. Perciò, io accuso il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’interno di avere violato le leggi della democrazia, per avere impedito a liberi cittadini di accedere ad un comizio e di manifestare i loro sentimenti. (Rumori al centro – Interruzione dell’onorevole Bonomi Paolo).

È stato impedito ai liberi cittadini di accedere a un comizio e di manifestare i loro sentimenti di approvazione o di disapprovazione. Poco importa. Accuso il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell’interno di abuso di autorità per avere ordinato alla forza pubblica di esercitare violenze contro i cittadini, violando così le libertà democratiche di pensiero, di parola e di opinione.

Ravviso nella condotta del Signor Presidente del Consiglio una pericolosa tendenza ad identificare la sua persona e il suo partito con lo Stato. (Applausi a sinistra – Interruzioni al centro).

Protesto energicamente contro gli arresti indiscriminati ed arbitrari effettuati il giorno successivo al comizio. Fra gli altri è stato arrestato un cittadino che, conforme alle numerose testimonianze scritte che abbiamo, è venuto in Piazza San Marco alle 12,30, quando era finito il comizio. Quei cittadini sono tuttora in carcere a disposizione, si dice, del comandante della «Celere» di Padova, signor Brighenti, il quale ha dato spettacolo del suo alto senso del dovere inerente ad un funzionario di Pubblica sicurezza urlando in Piazza San Marco e poi in Questura: «Questi comunisti voglio sbudellarli tutti!». (Interruzioni al centro).

Probabilmente quel fascistoide farebbe carriera, se questo Governo durasse. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).

PRESIDENTE. La prego di concludere.

TONETTI. Ho finito. È certo che con questi sistemi di violenza e di sopraffazione (Interruzioni al centro) che assumono forme diverse dalla Sicilia all’Alta Italia… (Interruzione dell’onorevole Bonomi Paolo).

TEGA. Bonomi fascista, Bonomi fascista!

TONETTI. …e che il Governo sembra tollerare, si fomenta la guerra civile (Rumori al centro) con la conseguente estrema e completa rovina della Nazione. Questa è la verità. Il resto è ignobile speculazione politica. (Applausi a sinistra – Commenti.

Una voce al centro. Bravo, signor conte!

VERNOCCHI. È stato sempre antifascista. Vorrei sapere da quanti anni lo è l’interruttore.

PRESIDENTE. L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di replicare.

MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. Non entro, evidentemente, nella polemica. Vi sono state però delle affermazioni di fatto che non posso lasciare senza rettifica.

Anzitutto debbo protestare per l’accusa di speculazione politica che si è voluto rivolgere al Ministro dell’interno. Il Ministro dell’interno ha tardato deliberatamente a rispondere a questa interrogazione, perché ha voluto assumere le informazioni più dettagliate e più spassionate, perché ha voluto, nella propria coscienza di cittadino e di Ministro, essere sicuro che quello che avrebbe detto all’Assemblea sarebbe stata la verità e soltanto la verità. (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra). E di questa verità, che io, personalmente, ho voluto accertare, senza risparmiare comunicazioni, conversazioni ed inchieste, mi rendo personalmente garante (Approvazioni al centro – Interruzioni degli onorevoli Roveda e Musolino – Commenti – Rumori).

Una voce a sinistra. Con chi ha parlato?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ho parlato con persone ed autorità.

Una voce a sinistra. Col questore?

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non ho trascurato di controllare io stesso le relazioni dettagliate e documentate pervenutemi dalla polizia e dalla prefettura e da altre autorità locali interpellate, non escluse alcune a voi molto più amiche di quello che forse si ritiene lo siano a noi.

Non voglio fare polemiche; voglio rispondere soltanto ad alcune affermazioni particolarmente ingiuste. Voglio dire che la polizia, la quale è accusata di aver colpito ingiustamente, ha avuto 30 dei suoi agenti, 3 dei suoi ufficiali e 7 dei suoi carabinieri feriti; e questi agenti, ufficiali e carabinieri certamente non sono stati feriti che da coloro i quali li hanno aggrediti. (Applausi al centro).

Si è detto che si è fatto il processo alle intenzioni.

Una voce. Certo, certo!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Ho letto una circolare; è un documento. (Interruzioni – Rumori prolungati a sinistra). Quelle sono le intenzioni. E se io non avessi conosciuta la circolare, basterebbero i cartelloni, coi quali si marciava nella piazza; basterebbero i bastoni ferrati, di cui vi siete serviti. (Applausi al centro – Interruzioni a sinistra).

ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Li ho visti io. (Interruzioni a sinistra).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Si trattava, non già di mazze ferrate del tipo che abbiamo conosciuto nell’altra guerra – per carità! – si trattava di paletti di segnalazioni stradali; ciò non toglie che fossero dei bastoni ferrati. Non si capisce perché questi pacifici cittadini si recassero alla dimostrazione, portando dei paletti di segnalazione. (Interruzioni – Rumori a sinistra).

Devo anche chiarire, a chi forse ha voluto deliberatamente tacerlo, che non era vero che alla piazza non si potesse accedere. Soltanto una parte della piazza era stata protetta.

D’ONOFRIO. Era la vostra? (Commenti – Rumori).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non era la nostra, come non era la vostra!

FEDELI ARMANDO. Caccia riservata, dunque!

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Noi in quel momento non eravamo né di qua, né di là. Volevamo vigilare ed impedire i conflitti. Questa è la verità, (Rumori a sinistra), ma voi, mentre parlate di protezione data all’onorevole De Gasperi, dimostrate d’ignorare la protezione che abbiamo organizzato per l’onorevole Togliatti ieri, quando doveva parlare a Torino. (Rumori prolungati – Interruzioni a sinistra). Amici, anche nel calore delle mie parole, non dovete riscontrare nulla di meno che sereno. Io difendo onestamente, sinceramente e lealmente, da questo banco, quello che so essere stato un proposito onesto e sincero del Ministero dell’interno. Dovete darmene atto. Voi dovete sapere che, come si difendono uomini di una parte, con lo stesso coraggio e con la stessa sincerità, si difendono o si vogliono difendere uomini di tutte le parti.

Onorevoli colleghi, io voglio concludere rettificando un altro dato che avete portato all’Assemblea. Avete detto che sono stati arrestati non so quanti dei dimostranti, ma debbo dirvi che i trattenuti sono solamente quattro e che essi sono stati denunciati all’Autorità giudiziaria e che il giudizio è imminente, ed io mi auguro che essi potranno dimostrare la loro innocenza; ma non posso accedere alla dichiarazione fatta dall’onorevole Tonetti, cioè che l’alibi di uno degli arrestati sarebbe agli atti. Se fosse agli atti, mi sentirei di rispondere che quell’individuo non sarebbe più in carcere. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli D’Onofrio, Minio, Gallico Spano Nadia, al Ministro dell’interno, «per sapere come sia possibile e tollerabile che in Italia nel mese di giugno 1947, a due anni dalla liberazione, possa avvenire che si tragga in arresto un cittadino, professore di università e commissario di un grande ente previdenziale, in base a un ordine emanato nel febbraio 1944 dal famigerato Caruso, ordine motivato dall’attività antifascista dell’arrestato; e se non ritenga assolutamente necessario che tanta audacia o tanta inettitudine di funzionari di polizia riceva immediata e severa sanzione, ad ammonimento di ogni altro che avesse vaghezza di seguirne l’esempio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’onorevole interrogante mi vorrà scusare se nel rispondere alla sua interrogazione forse non userò il calore che ho usato nelle interrogazioni precedenti. L’incidente che forma oggetto dell’interrogazione, sebbene dovuto ad un errore materiale, è altamente increscioso e deplorevole. E non esito a dichiararlo, anche perché precise disposizioni il Ministero aveva da gran tempo dato in ordine alle segnalazioni di polizia del periodo repubblichino. È in corso un rigoroso accertamento delle responsabilità per i provvedimenti che immancabilmente seguiranno.

Devo tuttavia chiarire che non si tratta di arresto, ma di un semplice invito a presentarsi in ufficio per dare informazioni e che tale invito venne, disgraziatamente, determinato dal concorso fortuito di un’altra malaugurata circostanza. Comunque, lo stesso interessato ebbe ad esprimere ai funzionari di polizia, che pur lo avevano disturbato e lo avevano interrogato, il proprio ringraziamento per il trattamento usatogli, appena chiarito l’errore.

PRESIDENTE. L’onorevole D’Onofrio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

D’ONOFRIO. Prendo atto delle informazioni date dall’onorevole Sottosegretario di Stato. E prendo atto anche dell’impegno assunto dal Ministero dell’interno di appurare le responsabilità del fatto da me denunciato. Devo tuttavia sottolineare che non è vero che si è trattato soltanto di un invito, ma di un vero e proprio fermo. Successivamente al primo invito di recarsi in Questura, due agenti sono tornati dal professore Crisafulli e lo hanno invitato perentoriamente a recarsi in Questura. Qui, gli è stato spiegato che il suo fermo derivava da una circolare-fonogramma del febbraio 1944, emessa da Caruso, appunto perché il professore Crisafulli era ricercato per la sua attività clandestina.

Devo dire che il professore Crisafulli a quel tempo era redattore dell’Avanti! clandestino. Vorrei pregare l’onorevole Sottosegretario di tener presente che il caso in questione non è il solo. Chi parla, per esempio, è stato arrestato a Palermo nel gennaio del 1945, su un mandato di cattura emesso nel 1936, e, pur essendo Consultore nazionale, risultò essere sottoposto, per lo meno presso il giudice di vigilanza, a libertà vigilata. Altri casi lamentati stanno a dimostrare che non si tratta soltanto e sempre di sbagli materiali, di archivi ancora non rinnovati, perché questi fatti sono troppo frequenti, e accadono sempre ad elementi, vedi caso, dei Partiti di sinistra. Vorrei che questi casi non fossero dovuti ad una particolare mentalità, ad una particolare psicologia che si crea allorché nei giornali, nelle piazze e con i discorsi ed articoli si parla del trionfo della reazione. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Mazza, al Ministro della marina mercantile, «per conoscere come si intenda venire incontro alle giuste necessità dei marittimi disoccupati, spesso domiciliati in centri marittimi di piccola entità, nei quali rappresentano un’altissima percentuale della popolazione valida con la creazione di tragiche situazioni locali (Torre del Greco, Camogli, Vico Equense, ecc.). Si domanda altresì l’istituzione di un turno nazionale di imbarco per la perequazione di particolari situazioni di privilegio per il Nord e di disagio per il Sud e la concessione di un sussidio continuativo e sodisfacente ai marittimi disoccupati, data la loro impossibilità di procacciarsi lavoro per il blocco dei licenziamenti, la condizione delle industrie e la loro unica attitudine ai lavori marittimi».

Il Ministro della marina mercantile, onorevole Cappa, ha fatto sapere che darà una risposta a questa interrogazione in una successiva seduta, essendosi dovuto assentare.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Corbi, al Ministro dell’interno, «per conoscere i motivi che lo hanno indotto ad ordinare l’immediata revoca del decreto n. 13911 del 30 aprile 1947 del prefetto di Aquila, con il quale, d’accordo con la Camera confederale del lavoro, venivano disciplinati, per il territorio della provincia, l’assunzione del personale e l’impiego della mano d’opera disoccupata mediante turni di lavoro».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Con decisione del 28 marzo 1947, il Consiglio di Stato, pronunciandosi sulla impugnativa di legittimità di un decreto prefettizio disciplinante il collocamento della mano d’opera ai sensi dell’articolo 19 della legge comunale e provinciale, ne disponeva la sospensione. Il Ministero dell’interno, con questo precedente, ha naturalmente disposto a sua volta la sospensione degli altri provvedimenti presi a norma della stessa disposizione di legge, di memoria abbastanza infamata per poterla qui rivendicare, e comunque giustificata soltanto in caso di particolare urgenza. Le disposizioni furono, ad ogni modo, di carattere generale e intese ad evitare le conseguenze di eventuali immancabili e ulteriori declaratorie di nullità.

Fu preferito, per questo motivo, che i prefetti revocassero direttamente i provvedimenti già emessi, raccomandando loro però vivamente che si agisse in questo campo, per la realizzazione delle stesse finalità perseguite dai decreti, con un’opera attiva e diligente, intesa a favorire accordi diretti fra le categorie.

Il Ministero dell’interno è inoltre intervenuto da tempo presso quello del lavoro per disciplinare legislativamente questa materia. Il problema, che è rimasto lungamente insoluto, è stato ripreso dal Ministro attuale con particolare interessamento, e posso assicurare l’onorevole interrogante che si crede di avere, entro breve tempo, disposizioni legislative in merito, tali che possano pienamente sodisfare alle esigenze prospettate dalla sua interrogazione.

PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

CORBI. Ringrazio l’onorevole Sottosegretario per le preziose informazioni date. Ma mi permetto osservare che l’ordine di revoca, pervenuto al Prefetto di Aquila, è forse il solo che si possa citare per la materia e mi consta che numerosissimi decreti analoghi – per necessità di cose emessi in altre provincie d’Italia – a Torino, Milano e in altre città settentrionali, dove le organizzazioni sindacali sono più forti, non sono stati revocati o, quando lo sono stati, lo sono stati dopo aver consultato le organizzazioni sindacali e dopo aver dato un avvio sicuro o una risoluzione definitiva al grave problema della disoccupazione.

Da un anno tutte le organizzazioni sindacali della provincia facevano pressioni presso la Camera confederale del lavoro, perché il prefetto ponesse fine ad un sistema, che non solo offendeva la dignità dei lavoratori stessi, ma si prestava ad attività poco oneste e non tollerabili. I datori di lavoro non volevano riconoscere i sindacati, non volevano – a volte – riconoscere la funzione degli uffici del lavoro e pretendevano fare assunzioni dirette, con due scopi; prima di tutto perché così potevano più facilmente eludere le tariffe salariali e in secondo luogo perché trovavano una maniera acconcia ed efficace per umiliare le associazioni sindacali stesse e rompere l’unità dei lavoratori.

Un altro motivo che spingeva i lavoratori a richiedere l’emanazione di questo decreto stava nel fatto che i funzionari dell’ufficio del lavoro, non tutti – è vero – ma molti funzionari dell’ufficio del lavoro erano divenuti arbitri in materia di lavoro e procedevano mossi da criteri di parte e spesso anche spinti da tornaconto personale; sì che questi abusi, ormai divenuti abituali, avevano portato i lavoratori di Avezzano e di Sulmona ad invadere gli uffici del lavoro, a portare tutti i registri al Commissario di pubblica sicurezza e a chiedere l’intervento del Prefetto.

E si ebbero dimostrazioni contro gli uffici del lavoro, contro ingerenze che si esercitavano da parte di gente che non aveva nessuna qualifica specifica. Non si sa, ad esempio, a quale titolo il parroco Don Agostino del Sacro Cuore sia, praticamente, il collocatore di Avezzano. Fatto si è che in provincia di Aquila si lavorava o no, secondo che si era inscritti alla Camera del lavoro, secondo che si era o no iscritti al Partito socialista o comunista o a qualche altro partito che fosse o non fosse nelle simpatie di alcuni dirigenti locali e provinciali.

Inoltre, questo provvedimento era giustificato al fatto che l’eccessiva disoccupazione consigliava di avvicendare gli operai nei cantieri; e sono stati gli stessi operai a richiedere i turni di lavoro. Questo decreto poneva fine ad un urto grave che accadeva fra paese e paese; si dava un avvio ordinato alla mano d’opera, e la comprensione delle masse lavoratrici lasciava sperare che tante difficoltà sarebbero state risolte.

Se non che, ad un certo determinato momento, giunge fulmineo l’ordine Scelba, senza che si sia prima voluto sentire e conoscere la situazione del posto, perché è certo che, se il Prefetto di Aquila ha preso un provvedimento del genere, l’ha preso dopo lunghissimi mesi di trattative e pressioni; e certo non l’ha preso per leggerezza, ma perché consigliato dalla sua esperienza e dal suo contatto continuo con le necessità che esistono nella nostra provincia. Invece, il Ministro, di punto in bianco, applica una disposizione di alcuni mesi prima, ordina la revoca immediata del decreto in un momento in cui la disoccupazione minaccia di aggravarsi, perché la deficienza del ferro e di altre materie prime non consente di utilizzare gli stanziamenti già predisposti. Così si creano i malcontenti, così si accrescono gli urti.

DI VITTORIO. Ed è così che si crea il disordine per iniziativa del Ministero dell’interno.

CORBI. Io non credo che sia interesse del Ministro dell’interno riaprire una questione così incresciosa; non credo che sia nell’interesse della tranquillità e dell’ordine pubblico agire con tanta leggerezza, quando si tratta di affrontare un problema del genere; mentre invece si rinviano tante disposizioni che veramente avrebbero carattere di urgenza.

Alla revoca di questo decreto erano interessati i datori di lavoro e i dirigenti di qualche partito. Ebbene, io credo, per queste considerazioni, che la risposta fornitami dall’onorevole Sottosegretario non possa sodisfare; essa può soltanto sodisfare i datori di lavoro, può sodisfare gente poco onesta – e ci tengo a ripeterlo ed a sottolinearlo – può sodisfare i funzionari dell’ufficio del lavoro; ma non può sodisfare i lavoratori e i disoccupati della provincia dell’Aquila. Per questo non può sodisfare neppure l’interrogante. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Bubbio, al Ministro delle finanze e del tesoro, «per conoscere quale sia stato nell’ultimo decennio il numero delle vedove munite di pensione civile o militare che siano passate a nuove nozze, con conseguente perdita della pensione, ed in quale proporzione al totale; se, in relazione allo scarso numero delle vedove rimaritate ed alla sussistenza di un crescente numero di convivenze more uxorio, non si ravvisi la opportunità morale e sociale di abolire la norma relativa alla perdita della pensione in caso di nuove nozze, o quanto meno di conservare l’assegno per almeno la metà, essendo assolutamente inadeguata ed inoperante nel caso delle vedove di guerra la concessione di tre sole annualità».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Segue l’interrogazione dell’onorevole Guerrieri Emanuele, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, «per conoscere le ragioni per le quali in Sicilia, ai contadini della provincia di Ragusa, recatisi secondo un’antichissima consuetudine nell’interno dell’isola per esercitarvi, con durissimi sacrifici, la spigolatura, viene fatto obbligo di ammassare il grano raccolto, contrariamente a quanto negli anni passati si è sempre fatto. L’interrogante chiede altresì di conoscere se e quali provvedimenti intenda adottare per impedire il fatto lamentato, che suscita vivo malcontento fra gli spigolatori, altera il loro tradizionale approvvigionamento e li porta ad abbandonare una attività che, mentre costituisce una delle principali loro risorse, è stata sempre oltremodo benefica, conseguendosi per essa il recupero di cospicui quantitativi di grano, che altrimenti andrebbero perduti».

Non essendo presente l’onorevole interrogante, si intende che vi abbia rinunziato.

Sono così esaurite le interrogazioni all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se non creda di comunicare i risultati dell’inchiesta eseguita a carico degli uffici del Genio civile di Cagliari, relativa all’abusiva assegnazione di alloggi ricostruiti; per conoscere, altresì, se e quali adeguati provvedimenti sono stati adottati a carico dei funzionari responsabili e come sia stata possibile la lunga e larga frode senza che gli organi dirigenti e centrali intervenissero.

«Corsi».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere le ragioni per le quali – nonostante le insistenti preghiere e gli impegni assunti dai vari Ministeri – non ancora si è provveduto:

  1. a) ad appaltare l’acquedotto di Agerola;
  2. b) a completare il finanziamento dell’acquedotto della penisola Sorrentina, in modo da poterne accelerare l’esecuzione;
  3. c) a completare il finanziamento dell’acquedotto del Nolano e a dare inizio ai lavori.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere per i comuni turistici della provincia di Napoli, per la esecuzione delle opere indispensabili.

«Riccio Stefano».

«Al Ministro dell’industria e commercio, per conoscere se e quali provvedimenti siano allo studio per la soluzione dei problemi connessi con la crisi dell’energia elettrica nell’Alta Italia e se non ravvisi l’opportunità della costituzione di un commissariato permanente per l’Alta Italia, con sede in Milano, che abbia autorità e mezzi e possa applicare sanzioni per imporre e ottenere la disciplina della revisione della produzione e il consumo, il cui maggiore e più importante compito dovrebbe essere la ripartizione dell’energia prodotta nell’Alta Italia fra le società distributrici, e con l’urgenza reclamata dal fine di permettere alle industrie, di prepararsi alla nuova disciplina dell’uso dell’energia elettrica, talché queste possano preparare trasformazione di impianti termoelettrici in impianti a combustibile e intensificare al massimo la produzione nei mesi abbondanti per ottenere scorte di magazzino, perché non si ripeta nel prossimo inverno il danno incalcolabile causato all’economia del Paese dalle limitazioni imposte lo scorso inverno nella fornitura di energia alle regioni dell’Alta Italia, limitazioni che hanno imposto, altresì, alle popolazioni penose privazioni e gravi sofferenze, suscitando inconvenienti anche d’ordine sociale per le inevitabili interruzioni del lavoro.

«Bulloni».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere a queste interrogazioni.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo risponderà nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.

PRESIDENTE. Sta bene.

MUSOLINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUSOLINO. Presentai nel maggio scorso un’interrogazione con carattere d’urgenza relativa all’arresto di un sindaco. Pregherei il Sottosegretario di Stato per l’interno di volermi dire quando potrà rispondermi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Comunicherò in una delle prossime sedute quando il Governo potrà rispondere.

VERNOCCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERNOCCHI. Il 1° luglio presentai una interrogazione al Ministro dell’interno riguardante l’inchiesta condotta sull’amministrazione dell’ospedale di Perugia. Desidererei che fosse posta all’ordine del giorno della prossima seduta di lunedì.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non ho niente in contrario. Desidererei, però, prendere conoscenza dell’interrogazione. Alla prossima seduta dichiarerò anche per questa interrogazione, quando potrò rispondere.

PRESIDENTE. Poiché domani si riunisce la Commissione dei Trattati, su richiesta dei membri della Commissione stessa, non terremo seduta al mattino, ma soltanto nel pomeriggio alle ore 17, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

RICCIO, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno, dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere se e quali provvedimenti intendano adottare a favore delle popolazioni agricole piemontesi per i danni da queste subiti a causa delle recenti grandinate che in talune zone, particolarmente colpite, hanno distrutto sino all’80 per cento del raccolto, come in alcuni comuni dell’Agro Alessandrino e in quello di Leinì (provincia di Torino).

«De Michelis, Giua».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se ha esaminato, e in tal caso come intende risolvere, il problema di fronte al quale si trovano le Amministrazioni comunali nella applicazione dell’imposta di famiglia.

«Le Amministrazioni stesse, infatti, pure avendo a disposizione tutti i mezzi per procedere ad accertamenti dei redditi molto vicini alla realtà e, per fare ciò nell’interesse delle finanze comunali, sono indotte invece ad accertare i redditi stessi in cifre notevolmente inferiori alla realtà per evitare che degli accertamenti stessi, ove esatti, si serva poi il fisco applicando agli stessi le aliquote erariali, che, sproporzionatamente elevate, determinerebbero una tassazione assolutamente insostenibile per i contribuenti.

«Tale stato di cose si risolve, d’altra parte, non soltanto in un danno per le finanze locali, ma anche per quelle dello Stato che attraverso la integrazione dei bilanci è costretto ad esborsi sempre maggiori.

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere:

1°) se è a conoscenza del Governo lo stato di grave disagio nel quale si dibatte l’agricoltura e quindi tutta l’economia dei comuni situati nella piana di Oristano in seguito ai danni provocati dalle continue alluvioni dovute all’illegale funzionamento delle opere di scarico del lago Omodeo che, creato come opera di trattenuta delle piene del fiume Tirso, è invece diventato causa principale degli allagamenti delle campagne sottostanti ed impedimento alla esecuzione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria nei terreni più fertili della Sardegna;

2°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora raccolto le proteste delle popolazioni colpite, proteste che tendono a far cessare l’attuale stato di asservimento di tutta l’economia di una vasta e fertile regione agli interessi della società concessionaria del bacino, asservimento che dura dal 1924, malgrado le vive proteste delle popolazioni danneggiate;

3°) le ragioni per le quali il Governo non ha finora ritenuto opportuno applicare l’articolo 30 dei disciplinari di concessione 17 marzo 1914 (legge 11 luglio 1913, n. 985) dichiarando la decadenza della concessione stessa dato che l’esercizio del serbatoio è così difettoso ed irregolare da richiedere provvedimenti nel pubblico interesse.

«Laconi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere;

  1. a) i motivi per i quali agli agenti sottoposti a giudizi di epurazione e riammessi in servizio per sopraggiunta revoca delle punizioni ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 136, non sia stata ancora comunicata la regolarizzazione al grado VII, necessaria per porre in condizione i richiedenti di concorrere alla promozione al grado VI;
  2. b) le ragioni del diverso trattamento, a differenza di altre Amministrazioni statali (tesoro, finanze, lavori pubblici, ecc.), usato nei confronti del personale rientrato in servizio anche prima del novembre 1945, dopo esaurito il procedimento di epurazione, non concedendo gli assegni e premi speciali (pasquali, congiuntura, ecc.) già corrisposti a tutti gli epurati in identiche condizioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:

1°) perché siano tuttora mantenute in vigore le disposizioni del decreto luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 378, che autorizzava il Ministro della guerra a sospendere, in tutto o in parte, per esigenze di guerra, la formazione dei quadri di avanzamento e le promozioni degli ufficiali, malgrado che le esigenze di guerra siano cessate da qualche anno;

2°) le cause della disparità di trattamento tra ufficiali dell’esercito e quelli della marina ed aeronautica, per i quali ultimi le promozioni sono state riprese da tempo;

3°) le relazioni esistenti fra ritardato sfollamento dei quadri (che rientra esclusivamente nei compiti del Ministro) e mancate promozioni (che colpiscono moralmente e materialmente una grossa aliquota di ufficiali meritevoli). Il ritardato sfollamento pare costituisca la ragione del veto opposto dal Ministero del tesoro alle promozioni;

4°) se abbia preso in esame il giustificato senso di sfiducia che le ritardate promozioni hanno provocato in una sensibile aliquota di ufficiali che, raggiunti i limiti di età per effetto dell’illegale provvedimento adottato, sono collocati nella riserva mentre avrebbero potuto e dovuto conseguire in passato la promozione alla quale avevano pieno diritto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Perugi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, per sapere quali provvedimenti intendano adottare per mettere gli Istituti autonomi delle case popolari in condizioni di pagare le loro passività, affinché possano raggiungere l’equilibrio dei bilanci nei futuri esercizi.

«Ciò in considerazione del grande aumento di spese cui debbono far fronte per l’aumento dei prezzi, stipendi, salari, ecc., e del blocco delle pigioni, nonché della impossibilità in cui si sono venuti a trovare di poter attuare i provvedimenti del decreto legislativo luogotenenziale 5 ottobre 1945, n. 677, circostanze queste che hanno posto i suddetti Istituti in una situazione finanziaria allarmante. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Angelucci».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno disporre che agli agricoltori che conferiscono venga assegnato il 60 o 70 per cento della crusca ricavata dal grano conferito; ciò che costituirebbe un incentivo più forte di qualsiasi disposizione di legge per indurre i contadini (specie delle zone a mezzadria) a portare il grano all’ammasso. I risultati della stagione pessima e il timore di dovere acquistare mangimi per i suini lattonzoli e per i vitelli da latte ai soliti prezzi altissimi praticati dai Consorzi, possono infatti indurre i contadini a considerare la convenienza di non conferire una parte del loro grano per usarlo come mangime. La sicurezza che si darebbe loro di avere la crusca allo stesso prezzo del grano conferito, li spingerebbe invece a conferire tutto il grano non necessario al loro consumo diretto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zuccarini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere come intenda sistemare la posizione dei trenta direttori didattici che, su trecento presenti agli esami scritti del concorso a ispettore scolastico del 1941, superarono brillantemente le tre prove, scritte non coronate dagli esami orali in seguito alla pubblicazione del decreto 6 gennaio 1942, n. 27, concernente le promozioni per merito comparativo e per titoli, in violazione della precisa norma del decreto 30 dicembre 1923, n. 2960, che prescrive la prova d’esame per la promozione dal grado X al IX del personale statale del gruppo B. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Balduzzi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se non ritenga opportuno ed urgente intervenire presso le Amministrazioni provinciali, tenute per legge all’assistenza dei folli poveri, perché provvedano a ricoverare detta categoria di infermi in ospedali psichiatrici, tenuti da enti pubblici, anziché in case private di cura.

«Le eventuali ragioni di carattere economico che si possono in proposito addurre da parte delle Amministrazioni provinciali sono a danno degli ammalati poveri, in quanto le case private di cura, aventi fini speculativi, non sempre dànno pieno affidamento, mentre gli ospedali psichiatrici, non aventi alcuna finalità di speculazione, posseggono attrezzature e personale specializzati particolarmente adatti all’assistenza ed alla cura di tali infermi.

«L’invio di folli poveri da parte delle Amministrazioni provinciali alle case private di cura, anziché agli ospedali psichiatrici, mette questi ultimi, aventi spesso notevoli tradizioni assistenziali e scientifiche, in difficili condizioni di funzionamento o addirittura di vita con gravi conseguenze anche per il personale dipendente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se non intenda applicare alle strade costruite per ragioni militari dagli eserciti alleati durante l’ultima guerra, le disposizioni stabilite per le strade ex militari costruite nella guerra 1915-18 dal decreto luogotenenziale 8 giugno 1919, n. 925, e dai regi decreti-legge 19 luglio 1924, n. 1437, e 14 novembre 1929, n. 2107.

«Molte strade recentemente costruite per ragioni militari, specie nella Campania, rispondono ad effettive esigenze di traffico, soprattutto agricolo, e si impone la urgente necessità, da parte degli organi periferici del Ministero dei lavori pubblici, di provvedere alla presa in consegna ed alla manutenzione e sistemazione di dette strade, nonché all’espropriazione degli immobili occupati, salvo i provvedimenti definitivi circa la loro classificazione ed eventuale attribuzione ad altri enti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Numeroso».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 19.50.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

SABATO 5 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIV.

SEDUTA DI SABATO 5 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

La Malfa, Relatore                                                                                           

Bertone                                                                                                            

Scoccimarro                                                                                                    

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Grassi, Ministro di grazia e giustizia                                                                     

Dugoni                                                                                                              

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati Franceschini, Raimondi, Lussu e Ravagnan.

(Sono concessi).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Ricordo che nell’ultima seduta è stata chiusa la discussione generale, riservando la parola al Relatore e al Governo.

L’onorevole La Malfa, Relatore, ha facoltà di parlare.

LA MALFA, Relatore. Onorevoli colleghi! Nel discorso che ho pronunciato in sede di comunicazioni del Governo, affermavo che la discussione sulla situazione economica e finanziaria era stata bensì iniziata in seno all’Assemblea, ma non era stata affatto conclusa. Per alcuni anni noi abbiamo, in verità, trascurato questo problema. Lo abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese da qualche mese: abbiamo iniziato, come dicevo, a discuterlo in sede di comunicazioni del Governo; non abbiamo concluso, lo riprendiamo in sede di patrimoniale e, mi dispiace dirlo, lo riprendiamo nella quasi assoluta indifferenza dell’Assemblea.

È un peccato; ed è un peccato anche che non sia apparso chiaro e al Paese e all’Assemblea quello che esattamente noi vogliamo raggiungere con l’imposta patrimoniale. Sono dolente di aver constatato, a questo riguardo, un atteggiamento equivoco: nessuno ha avuto infatti il coraggio di dire che è necessaria l’imposta patrimoniale, come nessuno ha avuto il coraggio di dire che essa non è necessaria o non è opportuna.

Un’obiezione meditata è stata quella dell’onorevole Nitti. Mutando un po’ quella che era stata la sostanza del suo discorso in sede di comunicazioni del Governo, egli si è domandato: ma abbiamo veramente scelto il momento più opportuno per applicare l’imposta?

Ora, non tocca a me, Relatore, fare la difesa del provvedimento di imposta patrimoniale in sede di politica generale del Governo; debbo però richiamare i precedenti del grave problema, che da due o tre mesi ci preoccupa.

Da che siamo partiti noi, quando abbiamo cominciato ad occuparci di tali problemi? Abbiamo denunciato, ad un certo punto, una situazione finanziaria e monetaria assai grave per il Paese; abbiamo concluso che sulla via battuta non si andava più avanti. La vostra Commissione di finanza ha richiamato su questi problemi l’attenzione del Governo; l’onorevole Nitti ha presentato una interrogazione con carattere d’urgenza e la stampa e l’opinione pubblica per qualche mese non si sono occupati di altro.

Il punto di partenza della discussione attuale si deve trovare quindi in tali precedenti, nella gravità dei problemi economici e finanziari che stanno dinanzi al Paese.

Messa all’ordine del giorno del Paese la questione economica e finanziaria, qualsiasi Governo, il precedente o il presente, composto con socialisti o con comunisti o non so con chi (non mi occupo in questa sede della composizione politica dei Governi), qualsiasi Governo – dicevo – doveva affrontarla e risolverla.

Se il problema esiste, se – badate bene – l’inflazione è determinata dalla situazione del bilancio dello Stato, dalle necessità alle quali lo Stato deve far fronte (abbiamo avuto oltre cento miliardi e ci avviciniamo forse ai centocinquanta miliardi di aumento della circolazione monetaria nel giro di circa un anno), dobbiamo considerare seriamente la possibilità di risanare le condizioni del bilancio dello Stato e di difendere la moneta.

Ma abbiamo scelto il momento opportuno per difendere la moneta? Se abbiamo fatto una crisi di Governo a questo scopo (non discuto della soluzione), se abbiamo trattato per mesi di questo problema, evidentemente lo abbiamo fatto per difendere seriamente la lira. Da qualche mese i Governi (questo Governo o altri) non hanno altro scopo. Su questo mi pare che nessuno sollevi dubbi. Nessuno ha detto: no, lasciamo andare le cose, lasciamo che i prezzi si gonfino, lasciamo che il bilancio dello Stato aumenti il suo deficit. Non abbiamo mezzi per porre un freno; interverremo in altra occasione.

Al contrario, abbiamo spinto i Governi ad affrontare il problema. Abbiamo impegnato una battaglia e siamo stati concordi nell’impegnarla. Ma, come dicevo, non possiamo difendere la lira senza risanare la situazione finanziaria dello Stato, che in questo momento è l’elemento principale di perturbazione del mercato monetario.

Se siamo d’accordo sulla necessità di difesa della lira, dobbiamo essere d’accordo sui mezzi per risanare il bilancio dello Stato. Non possiamo volere la difesa della lira e negare al Governo i mezzi per attuarla. Non dobbiamo voler la guerra e negare le artiglierie, le salmerie, gli indumenti.

Chi vi parla è, in questo momento, all’opposizione, ma credo che nessuno di noi – appartenga al Governo o all’opposizione – si prenderebbe la responsabilità di negare al Governo i mezzi che esso chiede per compiere il proprio dovere.

Quali sono questi mezzi? Che cosa significa difendere il bilancio, che cosa significa difendere la lira, che cosa significa arrestare l’inflazione? Significa (proprio lo vorrei dire banalmente) trovare quel numero di miliardi o quella possibilità di limitazione delle spese, o, se volete, quell’uso tecnico dei residui che consenta di non fare ricorso alla circolazione monetaria. L’aumento di circolazione, se accompagnata, come è accompagnata, dall’aumento dei prezzi, non è che inflazione.

Quali sono i mezzi? Da mesi alcuni di noi ne discutono in seno a questa Assemblea. Non vi è soltanto un mezzo: ho sentito l’onorevole Nitti – mi dispiace che non sia presente – fare una critica fondata al ricorso al debito fluttuante come mezzo per mantenere in equilibrio la tesoreria dello Stato. Esatto: è una critica che abbiamo fatta all’onorevole Corbino: il semplice ricorso al debito fluttuante è un mezzo inadeguato per tenere in equilibrio la situazione del bilancio dello Stato ed evitare il processo inflazionistico al Paese. Ma non vorrei che si arrivasse alla conseguenza assurda che il debito fluttuante non si debba creare. I Ministri del tesoro fanno benissimo ad alimentare il Tesoro con il debito fluttuante. È un mezzo che va largamente usato, ma è un mezzo che ha i suoi limiti.

In questo momento abbiamo introdotto, ed a tutti ha fatto piacere, un certo controllo sul credito. Che cosa è il controllo sul credito? È uno dei mezzi che abbiamo per limitare gli investimenti del settore privato dell’economia ed aiutare gli investimenti dello Stato. È una politica seria, che molti Paesi hanno fatto prima di noi. Il controllo del credito ha già determinato certi effetti anti-inflazionistici sul mercato.

Questo strumento di controllo viene usato con almeno due anni di ritardo. L’onorevole Conti, l’onorevole Einaudi sono testimoni di quante volte io abbia parlato del controllo del credito. È stato finalmente attuato e sia il benvenuto. Ma non si creda che anche questo sia un mezzo taumaturgico ed esclusivo.

Limitazione delle spese: la Commissione di Finanza ha preso una posizione fermissima: dobbiamo limitare le spese. Ma non è una operazione facile, come il controllo del credito non è un’operazione che si compia in un giorno od in una settimana. Sono tutti mezzi da coordinare allo scopo e devono essere usati tutti simultaneamente; perché, se dovessimo espandere il debito fluttuante e lasciare aumentare le spese dello Stato o fondare la politica anti-inflazionistica sul semplice controllo del credito, noi commetteremmo degli errori enormi. È il coordinato uso di questi mezzi che consente il raggiungimento di quell’obiettivo che abbiamo posto all’ordine del giorno del Paese e che il Paese sente.

In questo quadro di provvedimenti, che cosa è l’imposta patrimoniale? L’imposta patrimoniale è uno dei tanti mezzi che abbiamo a disposizione per difendere la lira. Vogliamo combattere l’inflazione, vogliamo usare tutti i mezzi disponibili per arrestare il movimento ascensionale del mercato. L’imposta patrimoniale è uno di questi mezzi. Ma – si chiede – la usiamo al momento utile? O voi credete che sia il momento di arrestare il processo inflazionistico ed è indiscutibile che a questo scopo serva l’imposta patrimoniale; o voi ritenete che non si possa oggi affrontare il problema del risanamento monetario, e questo è un mezzo inutile, come mutile è il controllo del credito.

Tutti questi provvedimenti, che vanno inquadrati in una visione d’insieme, sono utili se crediamo di dover condurre la battaglia e se crediamo nella vittoria. Sono dannosi nella ipotesi contraria.

In ogni modo, la Commissione di Finanza dice: l’imposta straordinaria è uno dei mezzi per combattere la svalutazione della lira. Vi è qualcuno che voglia assumersi la responsabilità di affermare: «No, l’imposta patrimoniale non deve essere usata oggi, ma doveva essere usata 12 o 24 mesi prima, o dovrà essere usata fra dodici mesi»? Lo dichiari apertamente.

L’onorevole Nitti, senza dichiararlo, ha espresso il dubbio che il momento della patrimoniale possa venire più tardi quando saremo più vicini alla stabilizzazione. Obietto che quando si è vicini alla stabilizzazione, è quasi inutile applicare l’imposta. L’imposta patrimoniale, questo mezzo eccezionale, è uno degli elementi per raggiungere il risultato che ci proponiamo. Se si crede che il risultato possa essere raggiunto per altre vie, non parliamo più di patrimoniale.

Ma – ci si domanda infine – usando la patrimoniale, si riuscirà a vincere la battaglia? È la politica generale del Governo che ci deve rendere garanti di ciò. L’Assemblea deve giudicare se la politica generale del Governo è idonea a raggiungere il risultato, servendosi dell’imposta patrimoniale e del controllo del credito, frenando le spese, arrestando l’ascensione dei salari, ecc. Per parte mia, ritengo che bisogna difendere la lira, adesso, e con tutti i mezzi. Se questo Governo fallisse allo scopo, dopo aver usato e sciupato i mezzi più importanti per raggiungere un risultato, a me pare che fra tre mesi noi non potremmo riproporci il problema; non mi pare. Non discutiamo dell’uso o del non uso dell’imposta con l’aria di dire: «lasciamo andare le cose per altri sei mesi; fra sei mesi vedremo». Fra sei mesi non difenderemo più nulla.

Se l’azione del Governo fallisse sul terreno della difesa monetaria, si porrebbero problemi ben diversi. Non dovremmo più decidere se usare l’imposta o il controllo del credito; dovremmo probabilmente decidere se lasciare svalutare completamente la lira e passare ad altro metro monetario. Ad una certa fase del processo inflazionistico, non si hanno più i mezzi di arresto. L’esperienza ci avverte che, a partire da un certo momento, si deve cancellare una moneta e crearne un’altra.

Non mi pare che alcuno abbia qui la voglia di correre questa avventura. Per l’opposizione e per il Governo il problema è chiarissimo, ed è, per così dire, comune.

Con queste premesse, l’obiettivo fiscale e tributario dell’imposta patrimoniale va un po’ in ombra rispetto all’obiettivo monetario. È giusto che sia così.

Se volete giudicare esattamente l’imposta, la dovete giudicare come mezzo di difesa della lira. Questo è l’elemento fondamentale di giudizio; se no, vi perdete in particolari tributari, che possono nuocere alla visione chiara del problema. Del resto, vi sono indizi che confermano che i Governi precedenti e il presente hanno scelto abbastanza bene il momento per intervenire o, per lo meno, hanno saputo cogliere l’ultimo momento adatto per intervenire.

Quali sono questi elementi? Vediamo cosa è avvenuto in questi ultimi tempi, per esempio nel mercato dei valori di borsa. Voi sapete (ho qui dei dati) che alla fine di aprile l’indice dei valori di borsa era 2770, alla fine di maggio 3120, alla fine di giugno era tornato a 2680, sul livello di aprile. Leggendo le cronache di borsa di fine settimana, apprendiamo che la minaccia di nuove tassazioni, la restrizione del credito, la mancanza di denaro, sono all’origine di questa contrazione di valori.

Ecco un primo fatto anti-inflazionistico, al quale il Governo, l’Assemblea debbono dare il dovuto rilievo. Dal maggio scorso, come ricordavo nel mio precedente discorso, abbiamo avuto una continua ascesa dei valori azionari; adesso abbiamo una piccola flessione. Vuol dire che già il mercato dei valori è colpito da una certa politica. Vuol dire che il momento scelto per condurre una politica di difesa non è il momento più inopportuno. Siamo ancora in tempo. Scendono i valori di borsa. La difesa è ancora possibile.

D’altra parte, possiamo escludere che, esercitando una pressione sul mercato con l’imposizione straordinaria, col controllo del credito, la discesa dei valori non si estenda ad altri campi? Leggevo stamane sul Globo notizie circa il prezzo delle merci. Su due o tre mercati si accenna a qualche riduzione. Non voglio dare un valore sintomatico a questi accenni, ma, in sostanza, quando scendono i valori in borsa, si ha quasi un precorrimento della situazione futura del mercato. Siamo vigili, coordiniamo fermamente la nostra politica, siamo prudenti e attenti, e possiamo raccogliere altri risultati.

Se riuscissimo ad arrestare l’aumento dei prezzi delle merci, avremmo raggiunto un risultato fondamentale per la vita del nostro Paese. E in sostanza il Paese, coloro che lavorano, non ci chiedono altro.

Si dice: ma l’imposta deve essere pagata sul reddito; questa imposta straordinaria è invece una leva sul capitale! Benissimo. È il risultato che in un certo senso dovevamo e volevamo raggiungere.

Si dice perché non avete fatto pagare invece le imposte ordinarie? Ma credete che possiamo raggiungere un maggior gettito di centinaia di miliardi da un mese all’altro ricongegnando il sistema dei tributi ordinari soltanto? Occorrono dei mezzi straordinari e più radicali.

D’altra parte, se per cause dovute alla guerra, e per circostanze indipendenti dalla volontà di ciascuno, non abbiamo fatto pagare nella misura dovuta le imposte ordinarie, abbiamo determinato un’accumulazione della parte di reddito sottratta all’imposta, ed è questa parte che vogliamo colpire con l’imposta straordinaria.

I cittadini che sono, spesso, molto più savi dei loro rappresentanti politici, sapevano di dover far fronte a esigenze straordinarie dello Stato e hanno accantonato in molti casi l’imposta. Da che ci risulta? Non voglio entrare in disquisizioni sulla grande e piccola proprietà, sulle varie categorie di interessi: su questa specie di esercizio corporativistico al quale ci abbandoniamo talvolta. Ricordo soltanto che l’imposta straordinaria proporzionale, già in riscossione, è dal contribuente riscattata largamente.

Se l’imposta straordinaria proporzionale è riscattata largamente, che cosa indica questo al Ministro delle finanze, al Governo, a noi? Che c’è una liquidità accantonata per pagare le imposte, che il contribuente ha previsto la tassazione straordinaria e ha messo puntualmente da parte i mezzi per farvi fronte. Le nostre discussioni sulla sopportabilità dell’imposta, diventano, da questo punto di vista, quasi superflue.

Vogliamo dispiacerci di questa situazione del mercato? Vogliamo non approfittarne? Se si riscatta largamente, ciò significa che ci sono dei settori ad alta liquidità. Volendo combattere il processo inflazionistico, occorre sottrarre questa liquidità, che è un potenziale di inflazione, al mercato. Fin dalla prima applicazione di un’imposizione straordinaria noi abbiamo i segni che i contribuenti possono sostenere lo sforzo loro richiesto. Dobbiamo esserne lieti. E non ripetere, come molti hanno ripetuto, che i contribuenti dovranno svendere i loro beni, buttare sul mercato il patrimonio. Sono previsioni catastrofiche, che non rispondono a realtà.

Del resto, a questo proposito, non è male che facciamo un esame di coscienza. Se un proprietario, se un contadino, han messo da parte un quintale di grano, sperando nell’aumento di prezzo, e se, per pagare l’imposta, sono costretti a vendere il quintale di grano, questo non è un contributo alla diminuzione dei prezzi? Se non accettiamo ciò, non desideriamo ciò, come vogliamo raggiungere un risultato antinflazionistico? Lasciando che il proprietario, il contadino non paghino l’imposta e si conservino il quintale di grano? Che il grande proprietario, che deve pagare centinaia di milioni allo Stato, conservi i molti quintali di grano (se li ha) o il bestiame e non paghi l’imposta? Noi vogliamo questo? Noi possiamo voler questo, ma allora, dire che vogliamo difendere la lira è un discorso molto accademico, che non ha nessuna rispondenza con la realtà delle nostre intenzioni.

E per andare ai casi limite, ammetto pure che per pagare l’imposta si debba incidere sui prezzi dei beni immobiliari. Può darsi che il fatto di dover pagare l’imposta faccia diminuire i prezzi della proprietà. E vi volete dispiacere di questo? È giusto che come cadono i valori di borsa, cadano anche i prezzi della proprietà immobiliare, perché l’aumento dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo inflazionistico, mentre la diminuzione dei prezzi della proprietà immobiliare è un sintomo deflazionistico, un sintomo di risanamento.

Naturalmente, come in tutte le cose, anche qui occorre avere un senso del limite. Noi non possiamo determinare situazioni rovinose di discesa o di ascesa dei prezzi, ma i Governi esistono per questo ed i Governi sono saggi appunto perché comprendono i limiti della propria azione. Occorre determinare, ma nello stesso tempo controllare, i movimenti del mercato, per impedire che diventino controproducenti.

Il complesso dei primi segni ci dice, quindi, che noi abbiamo scelto un momento in cui possiamo ancora tentare. Forse è l’ultimo tentativo serio che noi possiamo fare di difesa della lira. Facciamolo nelle condizioni più opportune (io avrei detto anche nelle condizioni politiche più opportune) ma facciamolo. E qui mi permetto di dire che, siccome questi segni ci sono, occorre tenerli presenti in tutti i campi e da parte di tutti, anche della Confederazione generale del lavoro. Mi permetto di ricordare che, se noi abbiamo dei segni per cui i prezzi, i valori, invece di tendere continuamente al rialzo, possono tendere al ribasso o alla stabilizzazione, è necessario fare uno sforzo concorde per far beneficiare il Paese di questa tendenza. Badiamo anche alla politica salariale, e siamo accorti e prudenti anche in questo campo. Se le cose andranno male, andranno male per tutti, salariati, proprietari grandi e piccoli, Confederazione del lavoro.

Naturalmente, e lo ripeto fino alla noia, se il processo inflazionistico dovesse continuare, cioè se il Governo non riuscisse ad arrestarlo, l’imposta straordinaria non avrebbe servito a nulla. Avremo sciupato un mezzo potente di difesa della lira, inutilmente.

Ma l’eventualità che il Governo fallisca, non ci autorizza a ritenere che avremo potuto fare l’imposta più tardi, per esempio nel 1949, come diceva l’onorevole Nitti.

Io non so che lira troveremo e che imposta potremo fare nel 1949. Non so prevederlo, e non so dire che sostanza potrebbero avere i provvedimenti di difesa. Spostarli di sei mesi o di un anno, significa porsi in condizioni economiche totalmente diverse. Tanto più quando l’imposta è congegnata in modo da dare i primi risultati entro un anno, nel migliore dei casi. Se dovessimo rinviare di un anno questa imposta, gli effetti andrebbero nel 1949 o nel 1950. Non so prevedere quale sarà il bilancio dello Stato, quali saranno le condizioni monetarie in quel tempo, e per ciò non assumerei la responsabilità di trasferire uno strumento di lotta, come quello che esaminiamo, a quell’epoca.

E, per concludere su questo argomento, non va dimenticato che le imposte straordinarie proporzionale e progressiva apporteranno, al bilancio del 1947-48, 90 miliardi complessivamente. Nel nuovo preventivo abbiamo 300 miliardi di deficit e, senza questa imposta, ne avremmo 400. Anche questo va considerato, perché il fatto di coprire parte del deficit ha la sua grande importanza. Se i deficit non fossero coperti così, andrebbero coperti con l’uso del torchio, il che ci porterebbe a usare i mezzi che, ai fini della difesa monetaria, vogliamo combattere.

Ed ora, poche parole circa la sostanza del provvedimento. Il collega Scoccimarro mi consenta di dire che il progetto è all’incirca quello che le varie Commissioni di studio del Ministero hanno esaminato da due anni a questa parte. Si è ripresa e aggiornata la legislazione del 1920-1922. Quando la Commissione di finanza ha preso in esame il decreto, non vi ha trovato grandi innovazioni. Avevamo fatto un esperimento di imposta straordinaria nel 1920-22: l’abbiamo ripreso, abbiamo aumentato le aliquote e abbiamo adottato alcune norme ed esigenze più moderne. Non ci siamo tuttavia allontanati gran che dal vecchio schema. Questo per dire che qualsiasi discussione sul decreto, che volesse riferirsi a un progetto totalmente diverso, sarebbe fuori della realtà e inutile. Noi siamo sulla linea della tradizione ed abbiamo utilizzato un’esperienza già fatta.

Era possibile una sola differenza fondamentale, ed era costituita dal fatto che il provvedimento attuale, rispetto a quello del 1922, poteva presupporre il cambio della moneta. Era il solo elemento che poteva dare all’imposta del 1947 un carattere totalmente diverso, non per la struttura ma per i presupposti, a quella del 1920-22. Vogliamo riaprire ora la polemica sul cambio della moneta? Non mi pare utile. Ricorderò soltanto che ho sempre affermato che il cambio andava fatto ed ho tenacemente accusato l’onorevole Corbino – del quale ho la massima stima – di non averlo fatto.

Col mancato cambio della moneta, una delle caratteristiche che potevano differenziare l’imposta attuale dall’imposta del 1920-22 è venuta meno. Le conseguenze sono state enormi. Voi conoscete un certo gioco di carte, che fanno i ragazzi: mettono una carta appoggiata all’altra, e costruiscono vicine delle sorta di tende. Se ne cade una, cadono tutte. Ora, il mancato cambio della moneta ha fatto cadere tutte le carte del gioco. Come? Il cambio doveva avere lo scopo, dal punto di vista tributario, di accertare in via preliminare il patrimonio mobiliare, di impedire che l’imposta gravasse sulla proprietà immobiliare. Per il mancato cambio della moneta, tutto ciò non è stato possibile. Non si può tassare la moneta, se non inserendola nel sistema dell’imposta patrimoniale progressiva, non si possono tassare i titoli di Stato, i depositi bancari, se non attraverso la medesima imposta. Rispetto ai beni immobiliari, i beni mobiliari hanno subìto il danno del processo monetario. Se io voglio tassare i titoli di Stato come tali, commetto un’ingiustizia. E qui do ragione a Corbino, quando dice che i titoli di Stato non si devono tassare: i titoli di Stato hanno già pagato un contributo allo Stato. Ma dove Corbino sbaglia è nel fatto che, se io ho nel mio patrimonio titoli di Stato o danaro, devo esser colpito, con l’imposta progressiva, anche per questi titoli di ricchezza, che sono parte costitutiva della mia ricchezza complessiva. Vi siano nel mio patrimonio danari, case o titoli di Stato, quando tasso il patrimonio complessivo, sono in perfetta giustizia tributaria.

Quindi, quando ho fatto cadere il cambio della moneta, posso introdurre, come surrogato, una tassazione proporzionale e reale, posso tassare direttamente i titoli di Stato o i depositi bancari, ma, applicando un’imposta reale, commetto una ingiustizia tributaria, tassando proprio quei beni che sono stati decurtati dalla svalutazione monetaria.

Ecco perché dal mancato cambio della moneta sono derivate gravi conseguenze, prima di tutto la impossibilità di accertamento della proprietà mobiliare. Occorreva il cambio perché il sistema degli accertamenti fosse completo ed efficace nei due rami, mobiliare ed immobiliare, nei quali si divide la ricchezza nazionale.

Nella relazione, e qui parlo a nome di tutti i colleghi che la compongono, ai quali io devo rivolgere il mio ringraziamento per il contributo dato a questa imposta ed a tutto il lavoro di controllo della gestione finanziaria dello Stato, nella relazione è detto che, una volta che il cambio non si è fatto prima dell’imposta, soprattutto prima della data indicata per l’accertamento dei patrimoni, non si può più fare, o altrimenti si fa ad altri scopi. Se si vuole che i beni mobiliari si inseriscano nel sistema di accertamento di patrimoni complessivi, ci deve essere una coincidenza fra la data del cambio e la data in cui si accertano i patrimoni. Ora, se avete uno sfasamento fra le due date, che cosa avviene? Se voi fate il cambio nel mese di aprile, ed accertate i patrimoni nel mese di maggio, avete una certa differenza nei vari cespiti patrimoniali dipendente dalle operazioni che si sono compiute nel periodo di tempo intercorso tra la data del cambio e la data di accertamento delle consistenze patrimoniali.

Ecco, amico Macrelli, perché non vedo la possibilità di continuare a parlare di cambio della moneta a fini tributari, dopo l’imposta patrimoniale: perché, se faccio il cambio dopo, potrei arrivare all’assurdo di colpire due volte colui che ha venduto un bene per pagare l’imposta e ha messo da parte l’ammontare liquido che gli è residuato dalla vendita, e di non colpire né la prima né la seconda volta il borsaro nero che, dopo l’imposta, ha investito in beni reali il suo denaro liquido.

D’altra parte c’è un’altra difficoltà, ed è questa: nella legge sull’imposta, noi abbiamo stabilito, a carico del contribuente, una quota presuntiva per denaro e titoli. Ora, questa quota presuntiva o rimane, e allora noi non possiamo ritassare il denaro attraverso al cambio, o altrimenti deve essere tolta.

Per tali ragioni, mi pare che di cambio della moneta non si debba più parlare. Anche per quanto riguarda gli altri valori mobiliari, come i conti correnti in banca e i titoli al portatore, la Commissione si è trovata in gravi difficoltà. Vi confesso che c’era la propensione a superare la cosiddetta questione del segreto bancario, e ad accertare direttamente i depositi bancari, com’è avvenuto in tutti i Paesi del mondo. Tuttavia, di fronte alle dichiarazioni del Ministro e del Governatore della Banca d’Italia soprattutto, la Commissione s’è dovuta inchinare.

Quando il Governatore della Banca d’Italia afferma l’inopportunità di accertare presso le banche i depositi della clientela, la Commissione non può evidentemente andare oltre. Perché, o si ritiene che il Governatore della Banca d’Italia non sappia fare il suo mestiere, ed in tal caso non c’è che da sostituirlo, o si ritiene di conservarlo al suo posto, e non c’è che da tenere nella dovuta considerazione il suo parere tecnico.

DUGONI. Lo può fare l’Assemblea.

LA MALFA, Relatore. Sì, ma l’Assemblea lo può fare tenendo presente tutte le conseguenze che derivano dall’accertamento. Non può isolare il problema, ma deve affrontarlo in pieno.

L’onorevole Macrelli si è richiamato al cambio della moneta, soprattutto per una ragione specifica, attinente al prestito della ricostruzione. Egli ha osservato che, quando si è fatta la propaganda per il prestito, la si è fatta mettendo in luce l’importanza dell’esenzione del prestito dal cambio della moneta e dall’imposta straordinaria progressiva. Ora, non fare il cambio ha significato venir meno ad un impegno assunto.

È esatto però non si può volere il cambio per mantenere le promesse fatte in occasione dell’emissione del prestito della ricostruzione. Devo ricordare, a questo riguardo – e vorrei, che fosse presente l’onorevole Bertone – una ragione di dissenso che io ebbi a proposito di questo prestito.

L’obiezione che feci all’onorevole Einaudi e al dottor Menichella, direttore generale della Banca d’Italia, quando m’interpellarono a questo riguardo, fu la seguente: «Voi emettete un prestito, inquadrato in due provvedimenti, che non avete concretamente definiti. È un errore, e può dar luogo a inconvenienti. Occorre, prima, definire i provvedimenti del cambio della moneta e dell’imposta progressiva e poi chiamare i cittadini italiani a sottoscrivere, conoscendo la portata dei provvedimenti, dai quali il prestito è esente.

Dico questo, perché, per il mancato coordinamento fra i vari provvedimenti, si è avuta una conseguenza di ordine fiscale, gravissima. Si è emesso il prestito: molti futuri contribuenti dell’imposta progressiva hanno fatto i loro calcoli approssimativi, dato che le aliquote si conoscevano attraverso il progetto Scoccimarro, e hanno trovato ultra conveniente sottoscrivere al prestito, e risparmiare una forte aliquota d’imposta. Spiego con un esempio. Il possessore di un patrimonio di un miliardo è tassato, secondo la legge attuale, col 50 per cento. Supponete che il possessore di un miliardo abbia investito 500 milioni nel prestito della ricostruzione. Voi sapete che il prestito della ricostruzione non è denunciabile ai fini dell’imposta. Chi ha un miliardo avrebbe pagato 500 milioni di imposta; per il fatto che ha sottoscritto 500 milioni di prestito, paga, invece dell’aliquota del 50 per cento, l’aliquota del 35 per cento su 500 milioni. Paga, quindi, 150 milioni invece di 500 milioni.

L’esenzione concessa al prestito ha avuto queste conseguenze: mentre ha sacrificato il piccolo contribuente, che ha avuto una forte perdita sul titolo e scarsissimo vantaggio dall’esenzione, ha favorito i grossi contribuenti, che, nonostante le perdite sul titolo, hanno realizzato forti economie d’imposta.

Vi assicuro che, se la Commissione avesse potuto evitare queste conseguenze inique, l’avrebbe fatto. Ma non ne ha avuto mezzo legale. Abbiamo fatto – mi dispiace dirlo – una concessione che non dovevamo fare, ma oggi non possiamo che mantenere gli impegni assunti, anche se troppo favorevoli ai grossi contribuenti. Naturalmente sarebbe troppo se, rispetto a questi contribuenti, ci sentissimo anche impegnati a fare il cambio della moneta.

BERTONE. Ma come era formato il patrimonio di chi aveva un miliardo? Questo è importantissimo perché, se era formato di valori mobiliari, non era accertabile.

La MALFA, Relatore. Ma se era formato di azioni, era accertabile.

BERTONE. Questo è essenziale a sapersi, perché colui che sottoscriveva al prestito della ricostruzione aveva il diritto di portare in deduzione della sua quota di patrimonio tassato di quel 5 per cento presuntivo, tutto quello che aveva sottoscritto.

LA MALFA, Relatore. Comunque, per togliere ogni dubbio all’onorevole Macrelli, mi pare si debba constatare che, con la riconversione del prestito della ricostruzione 3.50 per cento al 5 per cento, si è tolta di mezzo la iniquità maggiore, e si è ridata possibilità al piccolo risparmiatore di investire al tasso normale.

Il voler quindi riaprire la questione del cambio della moneta a questo scopo non mi pare né utile né opportuno. Del cambio della moneta, come provvedimento fiscale connesso all’imposta progressiva, non si dovrà più parlare.

Più attuale è invece la questione dei cosiddetti enti collettivi, intorno alla quale, se l’Assemblea non è stanca di ascoltarmi…

Voci. No! No!

LA MALFA, Relatore. …vorrei un poco intrattenermi.

Il problema degli enti collettivi è stato sollevato in seno alla Commissione di finanza e, da un punto di vista dottrinario, dall’onorevole Castelli della Democrazia cristiana. Debbo dire, a suo riconoscimento, che l’onorevole Castelli ha sempre sostenuto la tassabilità degli enti collettivi. Si tratta, del resto, di una dottrina che in molti paesi esteri ha pieno riconoscimento.

Io mi sono però associato alla proposta dell’onorevole Castelli non già, vi confesso, per ragioni dottrinarie, ma per ragioni di opportunità e di equità fiscale. Poiché l’imposta progressiva, con il mancato cambio della moneta, tendeva ad appoggiarsi sul patrimonio immobiliare, aveva, secondo me, bisogno di un correttivo.

Coloro che hanno sostenuto la non tassabilità degli enti collettivi si sono fondati sul fatto della doppia imposizione e sul fatto che, essendo gli enti collettivi persone giuridiche, non possono essere colpite con imposte che gravano sulle persone fisiche. Ma l’imposta del 1910-22 tassava sia le persone fisiche che le persone giuridiche, ed escludeva le società per azioni, per la sola ragione della doppia imposizione. Il precedente legislativo, nella tradizione italiana, è la tassabilità degli enti collettivi ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Tra gli argomenti da me addotti, in sede di Commissione, ai fini della tassabilità, non vi fu quello della non accertabilità dei patrimoni azionari. I titoli azionari sono nominativi e sono quindi accertabili. È vero che lo schedario dei titoli azionari non è aggiornato. Però, alla richiesta se prima dell’applicazione dell’imposta lo schedario sarebbe stato aggiornato, il Governo rispose affermativamente. Quindi, tutti i possessori di azioni sono accertabili e colpibili.

SCOCCIMARRO. Questa risposta era giusta fino al gennaio-febbraio. Oggi neanche il Governo pensa che potrà dir questo, dopo quanto è avvenuto. La risposta in merito allo schedario delle società per azioni che, come disse il Ministro Campilli, sarebbe stato a punto entro sei mesi, era giusta. Era giusta in gennaio-febbraio. Oggi non più. Oggi è molto difficile, per quanto è avvenuto negli ultimi tre-quattro mesi.

Una voce. Cioè? Che cosa è avvenuto?

PELLA, Ministro delle finanze. Mi riservo di rispondere.

PRESIDENTE. Non credo che si possa concertare la risposta adesso. Prosegua, onorevole La Malfa.

LA MALFA, Relatore. In ogni modo, il Governo terrà conto – mi pare – dell’osservazione dell’onorevole Scoccimarro.

Però vorrei dire che, se anche lo schedario non fosse aggiornato a data utile, le azioni non potrebbero sfuggire, se nel frattempo l’Amministrazione si mettesse in ordine. C’è infatti l’obbligo di denunciare i titoli azionari. In qualunque momento lo Stato li accerta, in quel momento colpisce. Sarà nel 1970 o nel 2000, ma, se in quel momento lo schedario darà come non denunciata un’azione, su quest’azione il possessore pagherà non solo l’imposta, ma anche la penale. Quindi i possessori saranno raggiunti, anche se credono di poter evadere l’imposta.

Ma alcuni di noi hanno sostenuto la tassabilità degli enti collettivi e delle società per azioni per altri argomenti che non siano questo dell’accertamento del possesso delle azioni. Quali? La dispersione e il frazionamento del capitale azionario. Se noi prendiamo l’impresa azionaria, noi abbiamo una concentrazione patrimoniale; cioè, l’impresa riunisce dei capitali che usa a fini economici. Un’impresa individuale delle stesse dimensioni non è nelle stesse condizioni. Quando applichiamo l’imposta, l’impresa individuale è colpita con l’aliquota progressiva, nel suo patrimonio, nella funzionalità economica del proprio patrimonio. L’impresa collettiva è tassata nel patrimonio dall’azionista, e quindi la progressività è minore. Cioè, il frazionamento fa sì che il patrimonio dell’impresa individuale sia tassato più fortemente che non il patrimonio delle collettive.

E questo mi pare che sia da tener presente ai fini della perequazione tributaria. Noi non diciamo: tassate fortemente le società azionarie, togliete alla Montecatini gran parte del suo capitale. Noi diciamo invece: tassiamo, ma con aliquote molto ridotte, con un criterio di perequazione tributaria, per colpire con un coefficiente determinato, empiricamente, le collettive, sì da metterle nelle stesse condizioni delle imprese individuali.

La maggioranza della Commissione si è dimostrata contraria a questa tesi e ha preferito preparare il terreno alla rivalutazione patrimoniale, impegnare cioè il Governo a presentare un progetto di legge con cui si obbligano direttamente o indirettamente gli enti collettivi a rivalutare il loro patrimonio e a pagare un’imposta sulle rivalutazioni. È un provvedimento che verrà ben presto all’esame della Commissione.

Ritengo, tuttavia, che i provvedimenti sulle rivalutazioni abbiano una caratteristica inflazionistica e vadano perciò scartati. Quando si consente a una società di rivalutare le sue voci di bilancio, la borsa sconta queste rivalutazioni e tende al rialzo. Poiché lo scopo principale che noi poniamo alla nostra azione è quello di infrenare la corsa al rialzo, io rimango contrario ai provvedimenti sulle rivalutazioni.

Comunque, ho l’impressione che il problema degli enti collettivi, superato in sede di Commissione, si ripresenti in forma nuova e più concreta oggi. Rivolgo quindi preghiera al Governo di riesaminare se convenga battere la via delle rivalutazioni o stabilire il criterio empirico di tassazione degli enti collettivi. (Interruzioni).

Nelle dichiarazioni che si faranno in sede di emendamenti si potrà chiarire questo problema. Per quel che mi riguarda, la Commissione in maggioranza si è pronunciata contro la tassabilità degli enti collettivi, ed io debbo rimanere aderente a questa decisione.

Uno degli argomenti di cui si è parlato molto in questa Assemblea è stato quello della maggiore pressione tributaria esercitata sui piccoli e medi possessori di patrimoni. Ora, io devo chiarire una posizione che già avevo assunto in sede di Commissione di finanza, e che in genere mantengo rispetto a qualsiasi procedimento tributario: la maggiore quantità di gettito tributario, il fondamento delle imposte è dato dai piccoli e medi patrimoni. Nessun Ministro delle finanze potrebbe fare politica finanziaria se non tenesse conto dei piccoli e medi patrimoni, i quali non possono essere esentati dal dare il necessario contributo al risanamento delle finanze dello Stato.

D’altra parte, piccoli e medi possessori di patrimoni hanno un interesse diretto alla lotta contro l’inflazione. Questo flagello colpisce in particolare coloro che continuano a tenere un loro conto corrente in banca, titoli dello Stato, o denaro presso di sé. Chiedere ai piccoli e medi proprietari un sacrificio, non risponde a un’esigenza generale della nostra politica tributaria, ma all’interesse di coloro che si tassano. Ricordatevi bene: salvare un Paese dalla svalutazione monetaria è un valore che dobbiamo saper misurare a tempo. La Commissione di finanza, del resto, ha qui impostato un problema di giustizia. Constatato che il gettito dell’imposta è dato dai piccoli e medi patrimoni, perché l’Italia è un Paese di piccoli proprietari, agricoltori, bottegai, commercianti, di provinciali, se volete, essa ha ritenuto di dover tassare fortemente le grosse fortune, così da dare a ciascuno il suo. Se è necessario che paghino i piccoli e medi, molto di più devono pagare i grossi patrimoni.

Questo – mi pare – è un sano concetto di amministrazione finanziaria. Se avessimo voluto scaricare la piccola e media proprietà dai tributi straordinari per addossarli alla grande proprietà, noi avremmo rispettato un principio di giustizia sociale, ma non avremmo fatto un corretto atto di amministrazione finanziaria. Non potete pensare che le centinaia di miliardi di lire che occorrono per la difesa monetaria del Paese si ottengano dalla sola tassazione dei grossi patrimoni. Di questa idea dobbiamo sbarazzarci. I grossi patrimoni debbono dare il loro contributo, ma il gettito delle imposte è, e sarà sempre, costituito dalle piccole e medie fortune.

Vediamo, del resto, qual è il meccanismo dell’imposta. L’imposta proporzionale colpisce i piccolissimi patrimoni, a partire da imponibili di 100 mila lire. A 3 milioni ci incontriamo con la progressiva; ma, siccome c’è un abbattimento alla base di 2 milioni, chi ha 3 milioni paga in definitiva, tra proporzionale e progressiva, il 6 per cento.

Ora, ho visto un emendamento degli amici liberali che vorrebbe elevare a 5 milioni il minimo imponibile della progressiva. Stiamo attenti. Non vorrei che si determinasse un equivoco in seno a questa Assemblea: ritenere cioè che quelli che hanno 3 o 5 o 10 milioni siano dei poveri disgraziati e quelli che hanno 100 mila lire e pagano l’imposta proporzionale siano dei signori. Non vorrei, cioè, che si delineasse una situazione per cui arrivassimo a scaricare dell’imposta non i piccoli, ma i medi patrimoni.

Dobbiamo essere coerenti nella nostra linea di politica tributaria. Se partiamo da 100 mila lire col 4 per cento, non siamo eccessivamente fiscali se a 3 milioni facciamo pagare il 6 per cento. È stato qui detto che il possessore di 3 milioni ha forse una casa e voi gliela fate vendere; ma quello che ha 100 mila lire non ha nemmeno una casa e paga il 4 per cento. Mi sono opposto, in sede di Commissione, alla tendenza a elevare i minimi imponibili, m’opporrò alla stessa tendenza in seno all’Assemblea. Questo è un punto fermo per me. Chi ha maggiore patrimonio deve pagare di più, ma tutti devono pagare qualcosa.

Ho sentito anche parlare di esenzioni di certe categorie di contribuenti. Dobbiamo stare attenti anche a questo. Le imposte sono dolorose, dolorosissime. Mi pare che l’onorevole Nitti abbia detto che le imposte sono spiacevoli. E si capisce che creano turbamenti, casi di ingiustizia, ma noi dobbiamo badare alle linee fondamentali del sistema.

Quando, nonostante tutte le lagnanze, si riscatta l’imposta proporzionale, vuol dire che l’imposta è sopportabile. Il collega Bonomi diceva: noi paghiamo, però protestiamo. Sta bene. Quello che importa, per giudicare di un’imposta, è che nel complesso essa si dimostri sopportabile e sia pagata. Le ingiustizie singolari si possono sempre correggere. Il Governo c’è per questo. Le leggi si possono rivedere. Non possiamo fare le leggi tributarie sulla misura di coloro che si lagnano o ne soffrono. Non ne faremmo nessuna.

La Commissione di finanza ha ricevuto cinquanta, cento, mille rimostranze, ma non le può esaminare, perché un provvedimento di legge ha delle linee generali, essenziali, concrete. Il Governo accerterà se vi sono squilibri concreti, ingiustizie concrete. Per esempio, si è moltiplicato per 10 o per 5 un imponibile rivalutato dopo il 1939. Questa è una ingiustizia, ma è inutile che ci preoccupiamo di questo. Il Governo potrà provvedere, ha già provveduto. Ci sono dei casi di sinistrati che non hanno chiesto la revisione dell’imponibile e quindi sono tassati per case che non possiedono. Il Governo prenderà, o ha già preso, provvedimenti integrativi al riguardo. Se ci mettessimo a modificare la legge in base a lagnanze generiche, l’esenzione, che è meritata da una categoria di casi concreti, potrebbe diventare esenzione per categorie che possono pagare.

L’Assemblea non si può assumere la responsabilità di indurre coloro che possono pagare l’imposta, a non pagare. Bisogna indurre a pagare. In quanto ai casi particolari, si potrebbe, ad esempio, nominare una Commissione ristretta di deputati che controllino, se volete, l’applicazione dell’imposta, non nel senso che esercitino sindacato sul Governo, ma si tengano a contatto col Governo per sottoporgli eventuali proposte, eventuali correttivi.

Del resto, fu questa l’esperienza dell’imposta 1920-22: fu rettificata molte volte con decreti aggiuntivi. Si perfezionò col tempo, ma sulla base di esperienze concrete. Si discussero i casi, si discusse molto e si presero provvedimenti integrativi. Questo decreto non chiude la serie dei provvedimenti legislativi. Dà le linee generali dell’imposta. Col tempo potrà essere anche modificato.

Vorrei concludere: mi pare che per quello cui deve servire, per lo scopo da raggiungere, l’imposta sia assolutamente necessaria. Non è il solo mezzo per salvare il bilancio dello Stato e la moneta. Se non è usato – ripeto – in coordinazione con altri provvedimenti e, soprattutto, se il Governo non ha un continuo controllo delle condizioni generali del mercato, se non lo segue momento per momento, ora per ora, questa situazione può sfuggire di mano e quindi l’imposta polverizzarsi. Ma nel quadro di una politica coordinata e coerente, esso è assolutamente necessario. E soprattutto per fini di tesoreria. La Commissione, proprio a questo fine, ha stabilito un congegno speciale per i riscatti, e ha cercato di anticipare con ogni mezzo, il gettito dell’imposta.

Se l’imposta viene diluita nel tempo, costituirà un ottimo congegno tributario, ma non servirà allo scopo principale. Un’imposta patrimoniale diluita in vent’anni non ha alcun interesse. Sarà un magnifico provvedimento tributario, ma credete che sia un provvedimento di difesa della lira? No. È da questo punto di vista che la Commissione delle finanze crede di aver fatto il proprio dovere suggerendone l’approvazione immediata. (Vivi applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Ministro delle finanze.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero in primo luogo, ringraziare gli onorevoli colleghi che hanno preso la parola nella discussione generale su questo disegno di legge, per il contributo di vera collaborazione apportato al suo perfezionamento. Ringrazio in particolar modo l’onorevole Nitti, il quale ha voluto portare l’alta sua parola di finanziere e di parlamentare, con suggerimenti di ordine generale, che certamente devono essere presi in considerazione dal Governo, sovrattutto in ordine alla preminente importanza della finanza ordinaria, su cui brevemente mi intratterrò.

Ringrazio in particolare, il Relatore, onorevole La Malfa, per le esaurienti dichiarazioni di stamane.

Ringrazio gli altri parlamentari, dall’onorevole Macrelli all’onorevole Valiani, all’onorevole Bertini, all’onorevole De Vita, all’onorevole Scoccimarro, all’onorevole Vigorelli, all’onorevole De Mercurio, all’onorevole Paolo Bonomi, all’onorevole Vicentini; e vorrei ricordare anche quanti hanno parlato in materia di imposta straordinaria sul patrimonio, in sede di discussione generale sulle comunicazioni del Governo. Argomentazioni e proposte suggestive hanno fatto gli onorevoli Pallastrelli, Crispo, Scotti e Perrone Capano. Di quanto fu detto allora e di quanto è stato detto più recentemente in questi giorni, il Governo non può non tenere gran conto.

Ho accennato all’opportunità di intrattenermi brevemente anche sulla finanza ordinaria. Accenni eloquenti al riguardo hanno avuto diversi colleghi.

È perfettamente vero che il problema del risanamento del bilancio dello Stato non può che poggiare, in via preminente, sulla finanza ordinaria.

La finanza straordinaria è il ponte, attraverso cui bisogna passare in attesa che il gettito dei tributi ordinari abbia raggiunto la sistemazione definitiva.

Qualche dato in materia può interessare l’Assemblea, anche perché, se non erro, dal 25 giugno dell’anno scorso, da quando, cioè, ci siamo riuniti per la prima volta, l’Assemblea non ha avuto occasione d’interessarsi della materia finanziaria, se non casualmente e di scorcio, in qualche intervento.

Il preventivo per l’esercizio 1946-47 segnava un introito previsto di 148 miliardi per tributi ordinari.

La recente relazione Campilli, di fine marzo, prevede, in sede di quasi consuntivo, un introito totale di 268 miliardi, riferiti al 30 giugno.

Sono lieto di comunicare che, per il favorevole andamento degli introiti in questi ultimi mesi, si può pensare che al 30 giugno saranno superati i 300 miliardi e probabilmente si arriverà ai 320 miliardi. Voi conoscete il ritmo degli incassi di questi ultimi mesi. Mentre l’esercizio finanziario si era aperto nel luglio del 1946 con un introito mensile di 16,5 miliardi, mentre al settembre eravamo a 18 miliardi, al dicembre eravamo a 24,5 miliardi per fare un balzo in aprile con 32,5 miliardi ed a maggio con circa 37 miliardi.

Queste cifre ci dicono che, attraverso il normale incremento dei tributi (le cui cause vorrei identificare soprattutto in due fattori fondamentali: il primo, derivante dallo sviluppo del volume degli scambi; il secondo, dalla più efficace repressione delle evasioni), non è lontano il giorno in cui quelli ordinari dovrebbero superare i 40 miliardi mensili. Se si tien conto dei provvedimenti emanati in queste ultime settimane e di quelli che sono allo studio, (e qui viene molto a proposito il riferimento al concetto di «imposte massicce» che è stato enunciato dall’onorevole Nitti) non è lontano neppure il giorno in cui si dovrebbe andare oltre i 45 miliardi. Per cui non è arrischiato pensare che, nonostante le previsioni assai più prudenti fatte in sede di preventivo 1947-48, i tributi ordinari dovranno certamente superare (nel prossimo esercizio) i cinquecento miliardi per avvicinarsi ai 600.

Mi si permetta qualche rilievo su alcune categorie di tali tributi anche in relazione alle osservazioni che sono state fatte nel corso della discussione.

Il preventivo contempla un introito per imposte dirette di circa 67 miliardi, per imposte sugli affari e sugli scambi di 168 miliardi, per dogane ed imposte indirette di 90 miliardi e per monopoli di 70 miliardi. È vero che nel settore delle imposte dirette non si sono ancora raggiunti quei risultati forse attesi dall’opinione pubblica. È, però, il settore che, per forza di cose, si muove più lentamente e per il sistema che fa riferimento ad anni anteriori (ad esempio, il gettito di categoria B del 1947 è la fotografia del reddito del 1945, come il gettito del 1948 sarà la fotografia del 1946) e per il fatto che ogni accertamento comporta una lunga procedura. Una cosa, comunque, è certa: mentre gli altri tributi possono dare immediate, brillanti sodisfazioni, ma nello stesso tempo creare improvvise delusioni, coll’inversione dell’andamento dei prezzi e del volume degli scambi, è caratteristica del gettito delle imposte dirette di mantener meglio le posizioni faticosamente raggiunte.

Ad ogni modo, voi sapete che è stato presentato, già da tempo, alla Commissione parlamentare di finanza, un provvedimento che contempla la rivalutazione automatica dei redditi di categoria B e C1, in attesa di poter provvedere al riaccertamento individuale.

È desiderio del Governo, in questa materia, di attuare il principio, reclamato da diversi onorevoli colleghi di ridurre gradualmente le aliquote parallelamente all’allargamento della base imponibile. È intenzione dell’Amministrazione finanziaria di adeguare al più presto il gettito delle imposte dirette ai nuovi livelli di reddito, e di migliorare il rapporto fra tributi diretti e tributi indiretti; quanto meno per il giorno in cui avrà un significato concreto il concetto di trasferimento o di non trasferimento dell’imposta sul consumatore. Poiché, se è vero che la superiorità teorica dell’imposta diretta risiede appunto in questo, nell’essere sopportata dal reddituario senza trasferimento sopra il consumo, è altrettanto vero che, nell’attuale periodo di scarsità di merci sul mercato, anche le imposte dirette purtroppo si trasferiscono sul consumatore alla stregua di tutti i costi generali che gravano le imprese agricole, commerciali ed industriali.

Per quanto riguarda le imposte sugli affari, richiamo l’attenzione sull’imposta sull’entrata, la quale è destinata a superare, nel prossimo esercizio, i 150 miliardi annui. La vecchia imposta sugli scambi, la cosiddetta tassa scambi, rendeva, nel 1939, 2 miliardi e mezzo, cosicché ci troviamo davanti ad un parametro di moltiplicazione pari a sessanta. È vero però che allora l’imposta scambi era del 2 per cento, mentre oggi è del 3 per cento cosicché il coefficiente 60 automaticamente si riduce a 40, ed è anche vero che la base di applicazione dell’imposta sull’entrata è discretamente più ampia di quella che era l’imposta sugli scambi, perché comprende anche i servizi; ma, pur tenendo conto di questa maggiore ampiezza, io credo che, riducendo i termini ad omogeneità, il gettito sia superiore a 30 volte almeno quello dell’anteguerra.

Non abbiamo ancora raggiunto il parametro di aumento dei prezzi, ma certamente ci troviamo davanti a un tributo che promette

Per quanto riguarda il settore delle dogane e delle imposte di fabbricazione, certamente si supereranno i 100 miliardi. Credo sia venuto il momento di rivedere questo settore, in cui esistono dazi specifici allineati secondo la legge monetaria del 1927, in cui abbiamo diritti di licenza di importazione ad valorem ragguagliati al corso del dollaro in lire italiane 225, mentre già, per altri scopi, è da tempo ufficialmente accolto un concetto di cambio medio notevolmente superiore.

La revisione di questo settore, che potrebbe portare a risultati veramente massicci, in linea pratica può creare delicati problemi di politica economica, relativi all’opportunità o meno di gravare il mercato di un nuovo onere tributario di grande ampiezza; per quanto, sotto altro profilo, ciò potrebbe portare ad una riduzione della generale capacità di acquisto che, senza sacrificare le classi meno abbienti, dovrebbe accelerare quel processo di assestamento dei prezzi, da tutti auspicato. Delicato problema di politica economica, in cui si innesta pure l’interrogativo circa la possibile coesistenza di un sistema di dazi specifici con un generale tributo ad valorem, quale è il diritto di licenza.

Settanta miliardi sono previsti per i monopoli. Forse, la ragione principale per cui mi sono attardato in alcuni dettagli dei tributi ordinari, è di trovare l’occasione di rispondere all’amico Bertone, il quale nel suo discorso sulle comunicazioni del Governo non è stato molto benevolo nei confronti dell’amministrazione dei monopoli.

Senza porre in dubbio la bontà delle intenzioni dell’amico onorevole Bertone, è necessario illuminare, una buona volta, l’opinione pubblica sulla gestione dei monopoli. Essa non deve essere giudicata alla stregua di quelli che sono alcuni aspetti marginali della borsa nera. A questo riguardo, ripetendo una frase che già ho avuto occasione di dire una decina di giorni fa, io penso che se in tutti i settori, ciascuno, davanti al peccato di borsa nera, dovesse battersi il petto, dalle Alpi alla Sicilia noi sentiremmo un fragore di terremoto. Ed allora, io credo che dobbiamo ridurre il problema nei suoi veri termini.

I monopoli vendono oggi 2 milioni e 800 mila chili al mese di produzione nostra, a prezzi legali. Il consumo ante-guerra, media 1938-39, era di 2 milioni e 333 mila chilogrammi; sicché oggi produciamo nelle nostre manifatture e vendiamo almeno un 20 per cento in più dell’ante-guerra, mentre abbiamo avuto distrutto il 40 per cento degli opifici, il 60 per cento dei depositi e dei magazzini di distribuzione, abbiamo perso quattro opifici e tre depositi che, in conseguenza dell’esito della guerra, sono passati, completi di attrezzatura, in possesso di uno Stato Confinante. Inoltre, abbiamo avuto la distruzione totale di tre anni di scorte di tabacchi, cioè 110 milioni di chili.

Onorevoli amici, quando vi dolete che si fumi male, assai più che della qualità del tabacco, avete ragione di lamentarvi del fatto che anziché lavorare la materia prima al terzo anno, così come vorrebbero le buone regole, si è obbligati a lavorare materia prima – come si dice – al diciottesimo mese; ma forse, in realtà, anche prima del diciottesimo mese.

I danni complessivi sono stati di 120 miliardi. I prezzi di vendita sono oggi appena ventiquattro volte quelli dell’anteguerra. Il costo dei tabacchi (o amici che vi siete fatti portatori degli interessi dei concessionari e dei coltivatori di tabacco!) il costo dei tabacchi oggi è cinquanta volte l’anteguerra. Il costo della mano d’opera, invece, non soltanto in termini di livelli salariali, ma tenuto conto anche del coefficiente di rendimento è trentacinque volte l’anteguerra; ed io colgo l’occasione da questa circostanza per dare atto all’Assemblea che – prescindendo da episodi sporadici e da alcuni aspetti marginali del problema – le maestranze delle manifatture dei tabacchi corrispondono egregiamente a quanto si attende da loro.

È un settore in cui è largamente in uso il sistema dei cottimi, mantenuto durante tutto il periodo bellico e nel periodo del dopoguerra. E sarebbe estremamente ingiusto che l’opera di questi trentamila lavoratori non fosse sufficientemente apprezzata dagli onorevoli amici che mi ascoltano, e dalla stessa Nazione.

Le spese generali sono aumentate dodici volte e mezzo rispetto all’anteguerra, nonostante che gli stipendi, compresi nelle spese generali, siano aumentati di sedici volte.

DUGONI. Sedici volte gli stipendi e cinquanta volte il tabacco?

PELLA, Ministro delle finanze. Precisamente.

Queste sono le cifre. Non intendo, con questo, accusare di eccessive pretese i coltivatori e i concessionari: il Monopolio, nel fissare i prezzi, procede prima ad una accurata analisi dei costi, che, periodicamente, ogni anno e per alcune settimane, mantiene in notevole orgasmo i rappresentanti dei coltivatori. La conclusione alla quale desideravo giungere è questa; che, davanti ad un coefficiente 24 nei ricavi, ad un coefficiente 35 nel costo della mano d’opera, ad un coefficiente 50 nel costo della materia prima e di 12 e mezzo nei costi generali, non possa disconoscersi:

1°) la economicità, quanto meno relativa, di tutti i servizi;

2°) la ineluttabilità che la quota così detta industriale, destinata a coprire il costo, si spostasse verso il 35 per cento – lasciando soltanto il 65 per cento al gettito tributario vero e proprio – in attesa di riportarsi verso quel 25 o 22 per cento, che costituiva il limite normale.

Nella presente situazione il Monopolio, comunque, si impegna di far affluire al bilancio dello Stato, per il prossimo esercizio, da 75 a 80 miliardi netti.

Prima di entrare esplicitamente nell’argomento dell’imposta straordinaria sul patrimonio (e mi perdoni l’Assemblea l’introduzione forse più lunga di quella che avrei creduto) ricordo ancora che l’onorevole Valiani ha accennato a delusioni sul settore delle avocazioni.

È esatto che l’applicazione delle leggi sull’avocazione dei profitti di guerra, dei profitti di regime e dei profitti di speculazione non ha dato finora quanto si poteva desiderare.

È intendimento dell’Amministrazione che, per quanto riguarda i profitti di guerra, si arrivi al più presto a definire i vecchi sospesi, che purtroppo qualche volta risalgono a prima del 1943. Ed è triste che si debbano incassare in lire di potere d’acquisto 1947 dei tributi che incidono su redditi ragguagliati a lire del 1942-43-44.

Per quanto riguarda la avocazione dei profitti di regime – servizio gestito finora da persone la cui fede, oltre che competenza tecnica, è fuori discussione – posso assicurare che, se il lavoro di impostazione ha richiesto un certo tempo per cui le riscossioni sono apparse finora molto modeste, l’accertamento e riscossione saranno portati avanti con la massima celerità. Non mi nascondo l’opportunità di qualche modifica legislativa, allo scopo di dirimere, sempre sul piano della giustizia, difficoltà dì ordine tecnico constatate cammin facendo.

Per quanto riguarda i profitti di speculazione, siccome l’onorevole Valiani ha avuto dei garbati riferimenti di ordine territoriale, che forse volevano riferirsi a determinati settori economici, desidero rivendicare a me stesso l’iniziativa di avere due mesi fa, in veste di Sottosegretario, adottato quel provvedimento sull’avocazione dei profitti di speculazione inteso a colpire con particolare rigore gli utili eccezionali conseguiti sull’esistenza di materie prime, già dell’Amministrazione dello Stato, e passate ai privati, per ragioni prudenziali, nell’ottobre del 1943; sull’esistenza di materie prime esistenti al momento della liberazione e, sopratutto, sugli utili conseguiti sopra determinati affari di importazione, effettuati col sistema dei clearings – cioè col dollaro base 225 – per materie prime realizzate a prezzi notevolmente superiori.

Se si è voluto dire che alcuni determinati settori – ad esempio quello tessile – possono aver realizzato degli utili di natura eccezionale, mi si permetta di rivendicare il merito di aver contribuito a creare lo strumento perché lo Stato possa assorbire tali utili. (Applausi al centro).

Sempre in tema di politica finanziaria generale, vorrei aggiungere che, nella penultima riunione del Consiglio dei Ministri, è stato approvato il decreto da me proposto contro i cosidetti scioperi fiscali, contro, cioè, le forme di resistenza organizzata al pagamento delle imposte.

Se vi è oggi un delitto particolarmente grave contro la Nazione e, quindi, contro il popolo, è quello di organizzare la resistenza contro il pagamento dei tributi, contro il compimento, cioè, di un dovere che è il presupposto della salvezza del Paese. (Applausi al centro).

Un altro provvedimento è stato approvato perché si renda più sicura l’esazione dei tributi, in particolare di quelli straordinari, giacché si va generalizzando il grave fenomeno della insolvenza del contribuente.

Inoltre, per quanto riguarda tutto il sistema dei profitti di speculazione, si è cercato di rendere più efficace, in sede contenziosa, l’intervento degli organi chiamati a dirimere le controversie.

Non voglio tediare l’Assemblea con troppi particolari in materia, anche perché si tratta di provvedimenti che dovranno passare all’esame della Commissione parlamentare di finanza.

Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio, riconfermo che il Governo, non allo scopo di sgravarsi di una responsabilità che intende anzi rivendicare, ma per avere il conforto della diretta collaborazione dei rappresentanti della Nazione, ha desiderato investire l’Assemblea della totalità dei provvedimenti relativi, cosicché possa ottenersi la migliore legge possibile, coll’impegno del Governo di attuarla con la massima energia.

Ciò non mi dispensa, naturalmente, dall’esprimere il mio punto di vista su alcuni dei principali argomenti che sono stati toccati; primo, fra gli altri, quello che concerne la finalità dell’imposta.

Certamente questa imposta deve, come ogni tributo, avere uno scopo principale: quello cioè di fornire un nuovo gettito all’erario. Essa, però, intende attuare anche uno scopo di giustizia sociale chiamando a contribuire alla ricostruzione tutti i patrimoni, con criterio fortemente progressivo.

Altro concetto informatore della nuova imposta è la sua portata antinflazionistica. In ordine alle varie opinioni, secondo cui l’imposta dovrebbe essere pagata soltanto col reddito od essere addirittura concepita come una vera e propria leva sul capitale, con prelievo anche in natura, penso che il Governo non abbia avuto torto preoccupandosi soprattutto di attuare un’imposta monetabile, ossia un’imposta che potesse essere pagata in danaro liquido: pagata cioè o mediante i redditi o mediante altre disponibilità liquide esistenti nel patrimonio, oppure attraverso realizzi di attività, non augurabili per i piccoli proprietari, ma bensì nei confronti dei detentori di maggiori patrimoni, in modo da contribuire – come giustamente accennava il Relatore – a quel processo antinflazionistico che dovrebbe trovare una sua prima e significativa espressione in un assestamento al ribasso dei prezzi, quale può essere determinato da una cospicua offerta di beni sul mercato.

Mi sia qui concesso di smentire che possa essere nell’intento del Governo di attuare una politica di finanziamento dell’imposta attraverso le banche. Finanziare l’imposta attraverso il sistema bancario potrebbe significare, in apparenza, aumentare la circolazione per conto del commercio; ma ciò solo in apparenza. Nella sostanza, invece, tratterebbesi di aumento alla circolazione per conto dello Stato.

In ordine al contenuto del progetto sono stati proposti alcuni problemi molto importanti; ad esempio, quello degli enti collettivi. Il Relatore onorevole La Malfa ha richiamato con esattezza gli estremi del problema. In sede comparativa, fra la legge del 1919, il progetto dell’onorevole Scoccimarro e il decreto approvato all’unanimità dall’ultimo Governo del tripartito, le differenze su tale punto si riducono a ben poca cosà perché – tanto nella legge del 1919 quanto nel progetto dell’onorevole Scoccimarro, e nell’attuale progetto – le società azionarie erano e sono escluse dall’imposta, in quanto si riteneva allora e si è ritenuto oggi che la tassazione simultanea delle società e degli azionisti avrebbe portato ad una vera doppia imposizione.

Inoltre, secondo la legge del 1922 erano esenti le Opere pie, che tali restarono anche nel progetto dell’onorevole Scoccimarro. Nel 1922, per quanto non esistesse l’attuale articolo 29 del Concordato, si era adottata una formula per cui si concedeva l’esenzione agli enti di elevato interesse morale e culturale; con che veniva praticamente concessa l’esenzione anche agli enti religiosi. Ora, poiché il progetto dell’onorevole Scoccimarro contempla l’esonero delle Opere pie, pur nulla dicendo circa gli enti religiosi, è evidente che, per l’automatica applicazione dell’articolo 29 del Concordato, anche questo progetto importava esenzione degli enti stessi. Quindi, nessun contrasto su questo punto.

E – a proposito del citato articolo 29 – mi sia concesso di ripetere pubblicamente quanto ho avuto occasione di dichiarare in sede di Commissione parlamentare di finanza: essere, cioè, intenzione del Governo di rispettare pienamente il contenuto di detto articolo, senza nulla aggiungere o nulla togliere.

Una differenza fra il progetto che avete davanti ed il progetto Scoccimarro o la legge del 1920-22, riguarda invece un certo settore di fondazioni, a carattere eminentemente civile che, per le considerazioni enunciate nella relazione, il Governo del tempo non ritenne di colpire.

Il grosso problema è nato quando, indipendentemente da quello che era stato l’ordine di idee nel 1922, in seno alla Commissione si è affacciata la questione della doppia imposizione per le società azionarie. Il problema sorse in parte anche in ragione del pericolo che, attraverso un’estesa diffusione fra molti azionisti dei patrimoni sociali, vi potessero essere patrimoni sociali che, per essere in possesso di molti piccoli azionisti, avrebbero finito per essere esenti.

Se fosse questa la sola preoccupazione, evidentemente saremmo fuori strada; perché, se effettivamente esiste un risparmiatore che possiede ad esempio 100 mila lire in azioni e nient’altro, l’esenzione rientrerebbe in pieno nel complesso delle ragioni che giustificano il minimo imponibile.

Inoltre, le osservazioni dell’onorevole Scoccimarro in fatto di concentrazione dei titoli azionari rappresentano un contributo notevole contro il paventare di tale pericolo. Se tale concentrazione in poche mani corrisponde al vero, io, come grande esattore dello Stato ed esclusivamente come tale, non posso che prenderne atto con piacere, perché vi ravviso finalmente la possibilità di applicare l’aliquota del 61 per cento.

Orbene, quando si è proposto il tema della doppia imposizione, ho fatto una promessa: il problema della separata capacità contributiva della società, indipendentemente dalla capacità contributiva del singolo, sarebbe stato preso in considerazione in sede di riforma generale del sistema tributario italiano.

Per quanto riguarda l’imposta straordinaria sul patrimonio mi sembrava che, se è esatto che l’azionista di una grande società (non ne nomino nessuna) può non sentirsi socio di quella determinata società, per cui l’applicazione contemporanea di un tributo e sulla società e sul titolo della società, di cui egli non si sente socio, non avrebbe rappresentato, dal punto di vista del suo apprezzamento soggettivo, una doppia imposizione, tuttavia nel caso di società di proporzioni più ridotte bisognava riconoscere che la doppia imposizione, qualunque sia la spiegazione che se ne fosse voluta dare, sarebbe stata sentita ed avrebbe, pertanto, posto il problema di una adeguata compensazione.

Il Ministro dell’epoca, pel tramite mio, comunicò alla Commissione parlamentare di finanza che era allo studio e quasi pronto un progetto di tassazione dei saldi di rivalutazione patrimoniale, che meglio avrebbe risolto il problema di una separata tassazione suppletiva della società azionaria.

Tale progetto, assicuro l’onorevole Lombardo, oggi esiste, in due edizioni. Ho pregato il Presidente della Commissione parlamentare di finanza – e rinnovo ora la preghiera – di volere, assieme con qualche elemento tra i più rappresentativi della Commissione, prendere contatto con il Governo per esaminare, in sede preventiva, quale potrebbe essere la soluzione più opportuna. A me sembrava allora, e sembra adesso, che noi dovremmo proporci di distinguere, in quello che è il totale delle rivalutazioni di alcune poste più significative dell’attivo, la parte relativa al patrimonio proprio della società da quella relativa ad investimento in beni reali del ricavo di debiti della società. La conclusione alla quale in tal modo perverremmo è che la rivalutazione monetaria dei beni reali, ottenuti attraverso il capitale proprio, è ombra e non cosa certa, nel senso che non rappresenta reddito realmente conseguito; mentre, con la tassazione di quelle rivalutazioni relative a beni reali conseguiti attraverso l’investimento di denari presi a prestito e rimborsati con moneta svalutata, noi non colpiremo un’ombra, ma un incremento certo, che finora (in omaggio al principio che il tributo colpisce, sia in sede ordinaria che straordinaria) non ha pagato un soldo di imposta.

Nel desiderio di collaborare con la Commissione parlamentare, a titolo naturalmente personale e senza alcun particolare impegno, io non escludo la possibilità di procedere anche ad un riesame del problema della tassazione diretta ed integrale. So che le categorie interessate – tutto sommato – tra i due mali preferirebbero la tassazione diretta, integrale, perché ciò sembra loro un male minore.

Onorevole La Malfa, ella conosce il mio senso di deferenza e la mia cordialità verso di lei; voglia accogliere con animo amichevole quanto vorrei dirle in questo momento. Nel suo discorso sulle comunicazioni generali del Governo, con un tono smorzato che derivava dalla sua innata signorilità e che forse era anche in linea con l’ora crepuscolare in cui ella parlava, ella ha accennato, così, di passaggio, che il Ministro delle finanze non deve essere scelto dal contribuente, ma deve a questo essere imposto.

Mi permetta di sottolineare che in questo momento, in materia di enti collettivi, per la parte riguardante me, sono veramente il Ministro delle finanze che desidera imporre e non negoziare le soluzioni coi contribuenti.

Sono affiorate alcune questioni relative alle valutazioni.

Il concetto informatore delle disposizioni in materia è stato duplice; rendere semplice e sicuro il sistema delle valutazioni. Renderlo semplice, così da eliminare, per quanto è possibile, le discussioni individuali fra fisco e contribuente. Renderlo sicuro, attraverso ad una garanzia di bontà del sistema di valutazione. Ed è per questo che abbiamo demandato in blocco alla Commissione censuaria centrale il sistema di valutazione dei terreni e dei fabbricati. Io desidero in questo momento rendere omaggio alla superiore competenza e, beninteso, alla superiore serietà di detto organo, che dà il massimo affidamento di compiere con grande esattezza tale lavoro, alla stregua di dati già abbondantemente rilevati e che in parte devono essere ancora completati. Le tabelle, che deriveranno dal lavoro della Commissione censuaria centrale, la quale, a sua volta, tiene conto del lavoro periferico delle Commissioni censuarie provinciali e comunali, saranno comunicate agli uffici, perché le applichino nei confronti dei diversi contribuenti.

Era naturale che si dovesse dare, sia al contribuente che alla Amministrazione, la possibilità di ricorrere contro eventuali, errori in sede di applicazione delle tabelle.

Si è detto che, forse, con questo sistema si colpisce di più la ricchezza immobiliare e di meno le altre forme di ricchezza, quelle, ad esempio, che rientrano nel settore dell’economia industriale.

Sia chiaro che è intenzione del Governo, se l’Assemblea non deciderà diversamente, di affidare ad organo da costituire, avente le stesse garanzie di serietà della Commissione censuaria centrale, il compito di determinare i criteri e i coefficienti per la valutazione delle imprese industriali e commerciali dei diversi settori; e dico subito che dovrebbe considerarsi come ultimo dei criteri, come forse il deteriore dei criteri di valutazione, il tradizionale riferimento all’imposta di ricchezza mobile, che, per essere già un dato derivato, è quello che più facilita il ripetersi di errori. Dovrebbesi, infine, far riferimento all’unità tecnica per quanto riguarda le imprese industriali o ad altri elementi, per quanto riguarda le imprese commerciali e quei settori di imprese industriali, che non abbiano unità tecnica espressiva, ai fini della valutazione patrimoniale.

Unico, comunque, nell’intenzione del Governo, vuole essere il sistema di valutazione, in omaggio a quella uniformità di sacrifici, che non deve conoscere divisioni territoriali tra nord e sud, né contrapposizioni di settori economici. (Applausi al centro).

Lo so; vi è la preoccupazione della valutazione dei titoli non quotati in borsa. Su questo punto molte sono state le discussioni e molte le perplessità, anche in seno alle commissioni di studio che presso il Ministero hanno preparato il decreto.

Non per colpa di uomini, ma, forse, per ragioni obiettivamente connesse al sistema, la valutazione delle azioni, ai fini della imposta di negoziazione, finora non ha dato risultati molto cospicui, per le azioni non quotate in borsa: per quanto, ad onor del vero, debba comunicare all’Assemblea che la media delle valutazioni per l’anno 1942 sembra essere cinque volte quella dell’anteguerra.

Resta però sempre da esaminare se la base anteguerra sia o meno una base sodisfacente.

Il problema non interessa soltanto l’imposta straordinaria sul patrimonio, ma anche il tributo ordinario dell’imposta di negoziazione. Ed è per questo che nell’ultimo Consiglio dei Ministri è stato presentato, ed in linea di massima approvato, salvo qualche ritocco, un provvedimento che:

1°) modifica la struttura degli organi incaricati della valutazione, con inserzione di rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria nell’organo di primo grado e in quello di secondo grado chiamati a giudicare delle controversie;

2°) fa obbligo di tener conto nella valutazione di tutti gli elementi relativi al valore effettivo delle diverse poste attive di bilancio e di tutti gli elementi relativi alla redditibilità dell’impresa, nonché di presentare gli estratti catastali dei terreni e dei fabbricati e gli allegati di tutte le impostazioni di bilancio, ma, soprattutto, di riferirsi ad analoghe valutazioni fatte per imprese similari nel settore dei cosidetti contribuenti privati. Infatti non v’è ragione di arrivare a diversa valutazione di due aziende delle stesse dimensioni, per il fatto che l’una è sotto forma azionaria e l’altra non lo è.

Badino, gli onorevoli colleghi, che il problema è di importanza notevolissima per le imprese industriali e commerciali, ma di importanza non meno notevole per quelle piccole anonime immobiliari dietro cui è andata a nascondersi parecchia ricchezza edilizia e terriera.

Una voce. È lì che bisogna toccare.

PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la valutazione ai fini dell’imposta straordinaria sul patrimonio, poiché per ragioni di tecnica legislativa non è stato ritenuto opportuno inserire una regola specifica nella legge sull’imposta di negoziazione, data la natura permanente di questa legge, sarà il Governo a presentare un emendamento all’articolo 19 del disegno che è sottoposto al vostro esame, allo scopo di ottenere quella perequazione che è nell’intenzione di tutti.

Per associazione di idee, vorrei parlare anche dello schedario dei titoli azionari. Si ritiene che tale schedario non funzioni, che sia arretrato, che le comunicazioni siano state inesatte.

Devo fare una premessa: non è nelle intenzioni dell’attuale Ministro delle finanze d’impostare una particolare politica tributaria, preferenziale o punitiva, rispetto ai valori azionari. Non si può negare, però, il diritto al Ministro delle finanze di fare in modo che gli attuali congegni tributari, se per avventura non hanno funzionato nella pienezza con cui avrebbero dovuto funzionare, siano messi in condizione di farlo.

Applicazione pratica: lo schedario dei titoli azionari sarà aggiornato. Così mi è stato assicurato in occasione di un sopraluogo che ho fatto personalmente, scartabellando schede e dichiarazioni. Mi si è assicurato che sarà aggiornato per il mese di novembre. Se ci saranno dubbi od incertezze, essi saranno risolti in sede legislativa, imponendo determinati obblighi alle società, per facilitare il reperimento di tutti i possessori di titoli azionari.

Desidero ancora dichiarare che i portatori di titoli azionari non si debbono illudere di poter sfuggire al censimento dei loro titoli; ho dato disposizioni perché i trapassi di titoli che venivano comunicati ai soli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il compratore, siano comunicati anche agli uffici delle imposte nella cui circoscrizione si trova il venditore e ciò anche per il passato. Infatti, al fisco interessa conoscere non soltanto il possessore dei titoli ai fini della complementare o dell’imposta sul patrimonio, ma anche la persona che del titolo si sveste; perché, se a nome di quella persona, in periodo relativamente breve, si trovasse una successione di vendite ed acquisti, evidentemente potrebbe nascere il presupposto per configurare un intento speculativo ed applicare il tributo mobiliare sugli utili conseguiti.

Poiché analoga dichiarazione ho avuto occasione di fare recentemente in altra sede, e non fui chiaramente inteso, ripeto qui che con tali disposizioni non intendo far assumere al Ministero delle finanze alcuna posizione di particolare rigore nei confronti del settore azionario. Questo è problema di politica generale di Governo e come tale esso non può interessare singolarmente il Ministero delle finanze. Ma il Ministero delle finanze deve fare in modo che gli attuali strumenti tributari, anche se per avventura in parte arrugginiti, nei confronti di determinati settori dell’economia, tornino a spiegare tutti i loro effetti.

Per quanto riguarda il cambio della moneta, vorrei fosse qui presente l’onorevole Scoccimarro (al quale mi lega il simpatico ricordo di una collaborazione cordiale e feconda), per chiedergli conferma del mio personale stupore quando mi comunicò che il cambio della moneta dovevasi considerare tramontato.

Confermo ancora oggi che, politicamente, sarebbe stato opportuno. Ma, giunti nell’estate del 1947, la sua attuazione causerebbe i noti inconvenienti, più volte illustrati, sul piano tecnico, senza sufficienti contropartite, dati i due anni inutilmente trascorsi.

BERTONE. L’onorevole Einaudi era perfettamente d’accordo nel farlo in aprile.

PELLA, Ministro delle finanze. In questo momento debbo prendere atto di una situazione che è stata risolta in sede politica alla unanimità dei partiti del Governo di allora.

MACRELLI. Quando?

PELLA, Ministro delle finanze. Nel mese di gennaio o febbraio onorevole Macrelli. Anch’io ho fatto dei discorsi di propaganda sul prestito, puntando sul cambio della moneta!

MACRELLI. Purtroppo!

SCOCA. Onorevole Ministro, parce sepulto!

PELLA, Ministro delle finanze. Così stando le cose, occorre, naturalmente, tirarne tutte le conseguenze agli effetti della ricchezza mobiliare anonima.

Ritengo che, in linea di gettito totale, il sistema delle induzioni possa dare di più di quello che avrebbe dato un censimento nominativo per quel tale fenomeno della diffusione fittizia della ricchezza anonima, che si sarebbe verificato sui nulla tenenti o sui quasi nulla tenenti, nel caso di censimento nominativo. Ed al riguardo, penso che troppo si pensi agli indici anteriori al 28 marzo 1947 e poco si mediti a quelli, ben più importanti, successivi a tale data.

Prima del 28 marzo potranno costituire indice di possesso di ricchezza anonima le operazioni di disinvestimento; ma dal 28 marzo in avanti costituirà indice di possesso il complesso degli investimenti. Per questo non mi preoccupo, anzi prendo atto con piacere del fenomeno del passaggio, dall’ombra alla luce, di capitali che prima erano nascosti. Le procedure di accertamento individuale resteranno aperte per un discreto periodo di tempo (forse diciotto o ventiquattro mesi, almeno) ed in tale periodo quante notizie di acquisti di titoli azionari, di terreni, di fabbricati, quanti altri elementi potranno affluire nel «dossier» di ciascun contribuente! Si tratta di potenziare gli elementi di accertamento. Per questo sono perplesso, dinanzi alla proposta che viene fatta, di spostare la data di riferimento dell’imposta sul patrimonio. A prescindere dal fatto che sarebbe veramente dare un colpo (non voglio dire un altro colpo, né voglio fare l’ipotesi che sia il primo) al prestigio della parola dello Stato, costituirebbe, tutto sommato, un errore tecnico, perché finiremmo forse per abbreviare quel periodo di tempo nel corso del quale nasceranno gli indici di possesso della ricchezza mobiliare.

Onorevoli amici, non per ripetere un’abusata frase, ma effettivamente perché l’ora è tarda, debbo rinunciare a sviluppare qualche altro punto relativo all’imposta straordinaria progressiva, per aggiungere brevi parole sull’imposta proporzionale 4 per cento.

Lo so che tale imposta rappresenta un problema grave per molti contribuenti. Vorrei ricordare, però, che, in primo luogo, non si tratta di un tributo nuovo, ma dell’anticipata riscossione di un tributo esistente, che viene soppresso. Quindi, non impostiamo, amici dei diversi settori, un nuovo balzello. Nessun nuovo tributo, ma riscossione anticipata di un tributo esistente, riscossione approvata all’unanimità dai Ministri di tutti e tre i partiti che erano allora al Governo. Ed è per questo che non comprendo tutto un sistema di manifesti, di giornali e di articoli, che francamente mi rendono perplesso.

Non deve escludersi, in linea di ipotesi, la possibilità, di esaminare determinate facilitazioni. È, soprattutto, un problema di rateazione, e non ho difficoltà ad affermare, fin da questo momento, che, per le Opere Pie, per i proprietari di immobili con fitti bloccati entro determinati limiti di cifra, e per i piccoli proprietari di terreni, una più lunga ratizzazione della riscossione possa essere concessa dietro corrispettivo di un modico interesse.

VERONI. Raccomando lunghe ratizzazioni per i sinistrati di guerra.

PELLA, Ministra delle finanze. Accetto la raccomandazione dell’onorevole Veroni.

Vorrei però dire che fortunatamente la riscossione della rata di giugno ha avuto un andamento che qualificare sodisfacente sarebbe dire poco.

I riscatti già versati sono notevoli. Le domande di riscatto presentate, e per cui si effettuerà il versamento nel giro di un mese, sono molte. Il problema di prorogare i termini per la presentazione delle domande di riscatto può essere anche preso in considerazione, ma per una breve proroga, perché il vantaggio del riscatto è tale che deve presupporre il pagamento all’inizio delle dieci bimestralità.

Una voce al centro. Ma molti non lo sanno.

PELLA, Ministro delle finanze. Esatto anche questo. Sarà data la massima diffusione.

Vorrei ancora su questo punto dirvi, onorevoli colleghi, poiché si parla di un problema di nord e di sud, che ho preso atto con molta sodisfazione che il compartimento più gravato dall’imposta 4 per cento è stato proprio il Piemonte, con 11 miliardi e 651 milioni su 86 miliardi di iscrizioni provvisorie: è una cifra considerevole, superiore (ciò che non avrei mai ritenuto) alla stessa Lombardia, che accusa 9 miliardi e mezzo: superiore alla stessa Emilia, iscritta per 9 miliardi e 286 milioni.

Ammetto, anzi sono il primo a postularlo, il concetto della relatività di queste cifre; però, sia pure su un piano di relatività, esse danno il senso del problema.

Onorevoli colleghi, mi riservo di parlare ancora durante la discussione dei diversi articoli; perdonatemi se mi sono diffuso, forse, troppo a lungo nella chiusura di questa discussione generale. La finanza straordinaria ha un suo preciso compito, anche se dovessimo limitarlo ad un punto di vista strettamente fiscale, senza preoccuparci di quella che può essere la portata antinflazionistica di questo tributo: assicurare un cospicuo gettito. Perciò applicheremo la nuova imposta, inflessibilmente, in un quadro, però, di serena giustizia. Per questo conchiudo ripetendo quanto dettovi giorni addietro: onorevoli colleghi, dateci la migliore delle leggi e noi cercheremo di apportarvi la migliore delle esecuzioni. (Vivissimi applausi – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato ad altra seduta.

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere l’esito dell’inchiesta ed i provvedimenti relativi – se emessi – a seguito dell’azione svolta il 28 maggio scorso dai carabinieri di Quarto di Marano (Napoli) e per la quale numerose case di inscritti al Partito socialista italiano furono perquisite senza ordine o mandato delle autorità competenti con lo specioso pretesto che vi erano depositate armi, determinando così un legittimo risentimento nelle popolazioni.

«Sansone».

«Ai Ministri della marina mercantile e dell’interno, per conoscere quali motivi hanno indotto a consentire la cessione di cinque metri della banchina di Pozzuoli (larga in quel punto solo 10 metri) al parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie per l’ampliamento della detta chiesa, quando non è stato ancora possibile l’ampliamento delle banchine di quel porto, così importante per il traffico del medio e piccolo tonnellaggio.

«Per conoscere, altresì, per quali ragioni il prefetto di Napoli – a seguito dell’ordinanza del comune di Pozzuoli, che ingiungeva al parroco di sospendere i lavori – invitava il sindaco a revocare l’ordinanza stessa, ed al rifiuto di quest’ultimo impediva che gli fosse data esecuzione coattiva, consentendo così la continuazione della costruzione, mentre nella popolazione di Pozzuoli cresce la disoccupazione per la poca attività del porto, dovuta alla sua scarsa ricettività.

«Sansone».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Interesserò i Ministri interrogati affinché facciano conoscere al più prestò quando intendano rispondere.

DUGONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DUGONI. Chiedo al Governo di voler fissare la risposta ad una mia interrogazione, da tempo presentata, relativa all’impiego del Fondo lire U.N.R.R.A.

Si tratta di problemi gravissimi, che sono stati tante volte sfiorati, ma ai quali il Governò non si è mai deciso a dare una risposta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Mi riservo di far presente la cosa ai Ministri competenti.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto, chiede d’interrogare il Governo, per conoscere quali provvedimenti intende prendere per la ricostruzione e la riattrezzatura del porto di Napoli.

«Riccio Stefano».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste, per conoscere quali provvedimenti intendono adottare a tutela del patrimonio morale e comunale di Cervinara, in provincia di Avellino, dolosamente manomesso, ed a tutela dell’ordine pubblico, gravemente minacciato, per il che essi sin d’ora declinano ogni responsabilità.

«E ciò in considerazione:

che il comune di Cervinara, paese di oltre 10 mila abitanti della Valle Caudina, capoluogo di mandamento, ha un patrimonio boschivo di circa 300 ettari di terreno ceduo castagnale, da cui ricavava i maggiori fondi per la integrazione del suo bilancio;

che, frattanto, la nuova Amministrazione comunale, allo scopo di propiziarsi la clientela elettorale, nonché per altri inconfessabili fini, ha consentito la usurpazione delle sezioni boschive da parte di affiliati al suo partito, compresi stretti parenti del sindaco, i quali tutti, già ricchi proprietari e commercianti, hanno proceduto al taglio e trafugamento degli alberi ed hanno occupato il terreno, con un danno accertato di oltre trecento milioni;

che, per ciò solo, è venuto meno al comune il più cospicuo cespite di entrata, necessaria per fronteggiare i pubblici servizi e il pagamento degli stipendi agli impiegati;

che, d’altronde, non sono floride le condizioni economiche del comune, abbisognevole di inderogabili e urgenti opere pubbliche, malgrado l’esoso e partigiano inasprimento dei tributi;

che l’abusivo procedere del sindaco e della civica Amministrazione di Cervinara fu debitamente e varie volte denunziato al prefetto di Avellino, al comando gruppo foreste di Avellino, nonché ai Ministri dell’interno e dell’agricoltura e foreste con atti persino notificati, a garanzia dell’effettivo recapito, a mezzo di ufficiale giudiziario, ma nessun provvedimento è intervenuto;

che il sindaco, già antemarcia, marcia su Roma, squadrista, componente della squadra d’azione «Gabriele D’Annunzio», sciarpa littorio, segretario e commissario di fasci, complicato in delitto fascista nel 1924, al tempo dell’eccidio di Matteotti, e assolto per la amnistia fascista; di cui al regio decreto 31 luglio 1925, n. 1277, intimo del famigerato Augusto Turati, suo ospite a Cervinara, rimasto inalterato fascista dal 1922 al 1943, sospeso per tre anni dall’elettorato attivo e passivo dalla Commissione provinciale di Avellino, poscia assolto da quella centrale di Roma per interferenze politiche, si abbandona ad illegalità ed arbitri, favorendo accoliti e parenti, pervaso dei vecchi metodi di corruttela politica;

che, giusta deliberazioni adottate dalla Giunta comunale, il pubblico denaro viene sperperato in spese non giustificate da documenti di appoggio o quanto meno le somme pagate sono sproporzionate alle asserite prestazioni;

che sono stati concessi in fitto dei vani di casa del comune alla sezione di un partito per puro favoritismo con un canone di lire 1000 al mese, sebbene vi fossero altre richieste, compresa quella dei reduci, e si fosse chiesto al sindaco e al prefetto di Avellino di indire una pubblica gara, con la prospettiva certa e sicura di raggiungere il canone mensile di circa lire 5000;

che il Consiglio comunale, onde sfuggire all’esame di gravi problemi, compreso quello delle usurpazioni innanzi accennato, ha omesso di riunirsi in sessione ordinaria e per cui è stata chiesta la decadenza di tutti i consiglieri, a norma degli articoli 124 e 289 del testo unico della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148;

che sono stati assunti a pubblici impieghi affiliati del sindaco, sforniti dei requisiti voluti dalla legge, in spregio anche e soprattutto alle tassative norme tutelatrici della benemerita classe dei reduci e combattenti, non esclusi gli invalidi e mutilati di guerra, i quali tutti a Cervinara sono in pieno fermento e agitazione e reclamano giustizia;

che il sindaco è sottoposto a due procedimenti penali, il primo pel delitto di estorsione, il secondo per il reato di indebito rifiuto di atti del proprio ufficio, e non c’è speranza di ravvedimento, dati i di lui precedenti morali e penali.

«Gli interroganti chiedono di conoscere, altresì, se accertati i fatti di cui innanzi, gli onorevoli Ministri non credano, in omaggio ai principî di libertà e di democrazia, che non possa rimanere al suo posto l’attuale sindaco e l’amministratore comunale di Cervinara, nonché gli agenti comunali e quelli forestali di Cervinara. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Vinciguerra, Preziosi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e delle finanze, per sapere – considerato che il decreto 29 marzo 1947, n. 177, priva il contadino del legittimo beneficio di consumare il proprio vino in esenzione da imposte di consumo – se non credano conveniente intervenire onde sgravare da ogni tassa tutto il vino consumato dalla famiglia agricola. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’agricoltura e foreste, per sapere – considerato l’aggravamento delle frane e degli smottamenti superficiali dei terreni lungo la Valle dell’Adige, da Trento ad Avio; considerato che esisteva nella Venezia Tridentina un Ufficio tecnico-forestale per la sistemazione dei corsi superiori dei torrenti e dei rispettivi bacini montani, dotato di adeguati fondi, la cui opera fu di immenso beneficio per l’agricoltura trentina – se non credano conveniente ripristinare il suddetto Ufficio tecnico-forestale, onde riprendere vigorosamente l’opera provvidenziale dell’ufficio soppresso dal regime fascista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere – considerato che le acque pubbliche costituiscono una delle principali ricchezze naturali della Venezia Tridentina, che, senza ostacolare l’interesse nazionale, le acque stesse devono essere utilizzate con particolar riguardo agli interessi regionali; che il Trentino e l’Alto Adige devono destinare buona parte delle proprie risorse idriche a scopi d’irrigazione, che non devono essere sacrificati agli interessi industriali – se non creda conveniente e doveroso sospendere le concessioni di utilizzazione di acque pubbliche fino al momento in cui saranno determinati i diritti della Regione Trentino-Alto Adige. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Carbonari, De Unterrichter Maria, Paris».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei trasporti e del tesoro, per sapere quali provvedimenti intendano prendere nei confronti dei dipendenti delle aziende delle ferrovie secondarie sinistrate. Questi dipendenti dal 1944 sono rimasti a disposizione delle proprie aziende, senza che queste abbiano loro corrisposto stipendio e salario. Il licenziamento non avvenne in forza del decreto-legge 8 gennaio 1931, n. 148, secondo il quale ogni provvedimento di licenziamento o sospensione per qualsiasi causa debba essere preso dal Ministero dei trasporti.

«Tale provvedimento, infatti, venne emanato con decreto n. 338 del 12 aprile 1946; rimane quindi da chiarire a chi spetti liquidare il periodo non pagato ai dipendenti di queste aziende, periodo che varia secondo località, in rapporto agli eventi bellici, ma che in ogni caso si aggira sui due anni.

«In modo specifico l’interrogante chiede poi se gli onorevoli Ministri autorizzano la Società ferroviaria italiana ad applicare, dalla stessa data di riassunzione del personale, il contratto nazionale del 27 aprile 1946, in modo che la retribuzione individuale di tutto il personale venga commisurata in relazione alla qualifica rivestita da ciascuno prima della distruzione della linea e precisamente secondo l’articolo 8 dello stesso contratto nazionale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gervasi».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 12.45.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì 7 luglio 1947.

Alle ore 17:

Interrogazioni.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

 

 

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Tosato                                                                                                              

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Nitti                                                                                                                  

Micheli                                                                                                             

Perassi                                                                                                              

Zuccarini                                                                                                         

Fornara                                                                                                           

Miccolis                                                                                                           

Colitto                                                                                                             

Marchesi                                                                                                          

Bozzi                                                                                                                 

Bernini                                                                                                             

Persico                                                                                                             

Nobile                                                                                                               

Tonello                                                                                                            

Caronia                                                                                                            

Costa                                                                                                                

Codignola                                                                                                        

Ambrosini                                                                                                         

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                     

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

COLITTO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo l’onorevole Lopardi.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Avendo l’Assemblea approvato nella seduta di ieri la formulazione definitiva del primo periodo del testo unificato degli articoli 109, 110 e 111, dobbiamo ora passare all’esame della seconda parte, e precisamente alla elencazione delle materie, per le quali è conferita all’ente Regione la potestà legislativa.

Pertanto, dobbiamo esaminare i vari emendamenti presentati. Ritengo che, a questo proposito, possiamo seguire la seguente procedura: invece di esaminare materia per materia e cioè di considerare come emendamento a sé stante ogni singola indicazione di modificazione di ciascuna materia, ai presentatori degli emendamenti sarà data la parola una volta sola, anche se essi propongano modificazioni di più materie indicate o, eventualmente, la loro soppressione. Prego pertanto gli onorevoli colleghi, che hanno presentato emendamenti di questo tipo, di volerli svolgere nel loro complesso.

Desidero aggiungere, in ordine al metodo di votazione, che ritengo sia pacifico che le proposte di soppressione di materie – e gli emendamenti proposti sono nella massima parte soppressivi – non siano messe in votazione come proposte soppressive. Nei confronti degli emendamenti soppressivi praticamente si realizza la decisione votando sopra la proposta positiva. Coloro i quali sostengono la soppressione, votano contro la proposta positiva, sia pure avendo la parola per giustificare, in sede di svolgimento di emendamento, le ragioni per le quali ritengano che quella determinata materia debba essere soppressa nel testo della elencazione.

Se non vi sono obiezioni a questo proposito – e penso che non ve ne possano essere – passiamo allo svolgimento degli emendamenti, i quali propongono modificazioni o aggiunte nell’elencazione.

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Nella seduta di ieri, l’emendamento da me proposto all’articolo 109 è stato approvato con l’emendamento proposto dall’onorevole Perassi. Il testo approvato dispone pertanto: «La Regione emana norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti» non già dalle singole leggi dello Stato, ma, semplicemente, «dalle leggi dello Stato». La soppressione dell’aggettivo «singole» ha fatto sorgere qualche dubbio nel senso di una possibile confusione tra i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in ciascuna materia, deferita alla competenza della Regione, con i principî generalissimi dell’ordinamento giuridico. Noi abbiamo chiaramente ripetuto e ci sembra che la formula adottata sia chiara, sufficientemente chiara, che per «principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» intendiamo precisamente i principî fondamentali posti dallo Stato nelle singole materie deferite alla legislazione regionale, e non i principî generalissimi dell’ordinamento giuridico.

Quando ieri, prima della votazione, il signor Presidente mi ha chiesto se intendevo conservare il testo integrale dell’emendamento da me proposto in confronto al nuovo emendamento proposto dall’onorevole Perassi, ho dichiarato che la soppressione della parola «singole», chiesta dall’onorevole Perassi, non modificava affatto la sostanza normativa dell’articolo.

Ora, a precisazione e a conferma della identità del nostro pensiero, io presento un articolo, che indico come 109-bis, ma che propriamente andrebbe collocato nelle disposizioni finali e transitorie della Costituzione, del seguente tenore:

«Nel termine di 5 anni dall’entrata in vigore della presente Costituzione, il Parlamento provvederà alla revisione delle leggi vigenti in relazione alle esigenze dell’articolo 109».

Resta così ben chiaro che fino a quando il Parlamento non provvederà alla revisione delle leggi che attualmente regolano in modo completo e totale le materie attribuite alla competenza regionale, per contenerle e limitarle alla posizione dei principî fondamentali, fino a quel momento la legislazione regionale non potrà intervenire. Così il contenuto delle disposizioni dell’articolo 109, integrato da questo 109-bis che propongo, resta chiarito e precisato, escludendo qualsiasi seria possibilità di dubbio.

Questo è il nostro pensiero, senza sottintesi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Prendo atto con soddisfazione di quello che ha dichiarato l’onorevole Tosato, perché conferma che l’emendamento da lui accettato, su proposta Perassi, e votato dall’Assemblea, non modifica lo spirito e la portata del testo che egli aveva precedentemente formulato, e che era stato accolto dal Comitato.

Per quanto riguarda l’emendamento nuovo che egli propone, si tratta di disposizione transitoria, e credo sia necessario esaminarlo in quella sede.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Sono dolente di non essermi trovato presente ieri sera alla fine della seduta. Devo ora soltanto chiedere all’onorevole Relatore, Presidente della Commissione, dovendo addentrarci nell’esame di questo sviluppo di argomenti complicatissimi in cui è necessario decidere seriamente, che mi si dica se la Commissione, che si è trovata di fronte a questi complessi problemi, si è messo davanti il problema dell’esecuzione. Ha un programma? Ha idea dei mezzi necessari?

Il Relatore Presidente, ha nella sua relazione parole di melanconia. Comincia con il dire che a spingere verso le Regioni vi è stato non un ragionamento ma una valanga di sentimenti e di passioni. Contrariamente a quello che fu nel Risorgimento, queste passioni hanno agito nel senso opposto.

In realtà il movimento dei nostri grandi uomini del Risorgimento fu uno sforzo di coesione e di unione nazionale. Dopo tanti anni di tirannia e tante guerre perdute, si è manifestato ora uno spirito di dissoluzione. Le autonomie che sono state chieste, senza che nessuno ne avesse prima mai parlato, sono la negazione alla generale tendenza del mondo moderno che va, attraverso le grandi unità, verso il rinsaldamento dei vincoli nazionali. Nessun paese che sia libero della sua volontà ha manifestato dopo la guerra le tendenze di discordia dell’Italia.

L’onorevole Ruini ha detto che il movimento per le autonomie si è prodotto quasi irresistibilmente. Io ho la convinzione che si tratti di un equivoco. Il fascismo aveva tutto statizzato e accentrato: vi è stata reazione per tornare verso la normalità, non mai verso quella forma di disgregazione che è rappresentata ora dal tentativo di Regioni autonome, con poteri legislativi.

Vi sono i sogni e vi è la realtà. Quando diciamo che sarà dato alla Regione di occuparsi anche con poteri legislativi di una materia, dobbiamo ammettere che vi siano i mezzi per poterlo fare. Ora non vi sono mezzi per nulla e in gran parte si può prevedere che non vi saranno. Il Presidente della Commissione fa una malinconica constatazione: dopo aver notato come questo movimento è stato generale ed imposto, si direbbe, da un’opinione generale della Commissione, non si ferma a dire se la Commissione si è posta mai il problema dei mezzi. Egli stesso anche ora non solo non si pone il problema, ma accennandolo, non solo lo rinvia, ma ha quasi un accento di tristezza nel dire che in questa materia è assai difficile provvedere ai mezzi di esecuzione.

Ed invece di precisare quelle che dovrebbero essere le condizioni finanziarie che sono necessarie, non solo sembra volere rinviare di occuparsene, ma poi le trascura. La convinzione che io ho, dall’esame dei disordinati progetti sulla Regione, è che prima di tutto si dovrà costituire una massa enorme di nuovi impiegati e di nuovi uffici. Non è una ipotesi, è una certezza. Il Presidente-Relatore difficilmente potrà negarlo. Nuovi disordinati e incomposti uffici, e come una elefantiasi di nuovi funzionari dello Stato, delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni. Non solo non vi sarà semplificazione, ma vi sarà un aumento enorme di funzionari. Questa non è soltanto un’impressione, ma è anche, purtroppo, la constatazione di una realtà. Come si può provvedere, quando si parla di uno di questi argomenti, ad esempio agricoltura e foreste? Piccolo argomento pare, ma se non è semplice burla, bisognerà creare numerosi uffici speciali e speciali tecnici di ognuna di queste cose, che nelle attuali Provincie non sono rappresentati. Ogni Regione domanderà nuovi uffici di tecnici e di funzionari. Personale tecnico, personale amministrativo, personale di esecuzione specializzato come quello delle foreste. Gran parte del personale come sarà formato? Molti servizi che si vuole regionalizzare non possono funzionare seriamente, se non con mezzi e forme nazionali. Tutti i servizi tecnici, anche nei più grandi paesi, sono nazionali.

L’onorevole Ruini ci mette in imbarazzo quando nella sua relazione constata nell’ultima parte che bisognerà occuparsi anche di questo argomento, cioè dei mezzi e ne dice le difficoltà. Egli scrive testualmente: «Nell’atto di dare il via a così rilevante forma strutturale della vita italiana, la Commissione non si è celata la complessità e le difficoltà di pratica attuazione». Basta pensare all’autonomia finanziaria, non agevole a congegnarsi «ma che pur bisogna prospettarsi», e che non potrà fare a meno di un riparto delle imposte che implichi un contributo di solidarietà delle Regioni provviste di maggiori mezzi a quelle che con le proprie risorse, non sarebbero in grado di adempiere i loro servizi essenziali. Pericolo da evitare è che, mentre si tende ad un alleggerimento della macchina amministrativa, il decentramento non dia origine ad una nuova moltiplicazione di burocrazia nelle Regioni senza toccare quella centrale.

Vi è grande pericolo che con questa riforma delle Regioni non si verrà a diminuire la burocrazia centrale, ma ad aumentarla, e nello stesso tempo si formerà una numerosissima burocrazia locale. Io credo sarà enorme, perché la Regione rimane, la Provincia rimane, i Comuni non solo rimangono ma, essendo autonomi, vorranno avere maggiore larghezza. Si accenna anche a servizi che possono rendere i circondari. E perché non i mandamenti?

Noi avremo presto un ordinamento assurdo che sarà l’elefantiasi della burocrazia, una massa enorme di impiegati. Al milione e 600 mila impiegati che vi sono attualmente, tra Stato ed enti locali, corrisponderà un aumento più grande, tanto per gli impiegati dello Stato, quanto per gli impiegati di enti di nuova creazione. Ora si riesce a pagarli con difficoltà, si riescirà ancor meno o non si riescirà. In definitiva tutto cadrà sullo Stato che è già, con le integrazioni, base della finanza locale. Lo Stato deve pagare ciò che gli enti locali non possono: e lo Stato si avvia a non poter più pagare.

Quale sarà la finanza dell’ordinamento regionale? È un argomento questo che non si tocca e che il Presidente-Relatore, pur così esperto in materia di finanza, non ama toccare. Forse si troverebbe egli stesso, con la sua intelligenza e la sua perspicacia, in un tale groviglio di difficoltà che non potrebbe rispondere. E allora si rinvia. Si rinvia a quando? Io dico che queste difficoltà ce le dobbiamo porre fin da ora. Non si può fare una nuova pesante e costosa istituzione senza denaro. Chi darà i mezzi? Io spero di non annoiarvi obbligandovi a riflettere sulle attuali disastrose condizioni della nostra finanza di Stato. Ora, col pretesto di una lotta all’accentramento burocratico attuale, lotta che non si farà, vogliamo creare nuovi organi e nuove funzioni di Stato e locali? Ma io vorrei veder funzionare le ventidue Regioni come piccoli Stati più o meno seri, più o meno efficienti, più o meno inutili, ma certamente costosi. Non sono eccessivo se desidero sapere almeno in linea generale a quale forma di finanza ricorreranno questi nuovi organi politici e amministrativi. Il Relatore parla di imposte nuove e di imposte addizionali, ma quali? e come concepite e regolate? Poiché tutti vogliono essere autonomi come sarà regolata questa finanza autonoma? Si instaura la Regione costosa e disordinatrice ma rimane la Provincia, rimane il Comune, tutti autonomi. Anche altri enti autonomi sorgeranno. Vi è lavoro per tutti oppure ozio per tutti. Più cresce il numero degli impiegati, più cresce la loro inefficienza e più diminuisce il loro rendimento. Si può anche non pretendere che lavorino, ma si può pretendere di non pagarli? Chi pagherà? Questo disgraziato contribuente italiano, che non sa oramai fra quali difficoltà deve dibattersi, lo mettiamo di fronte a un fatto nuovo, ad una nuova elefantiasi amministrativa, e nuove formazioni, leghe, coalizioni di impiegati.

Io vi prego di riflettere. Nel dare nuove funzioni, delle quali parliamo con tanta facilità, si crea sempre una nuova burocrazia. E non vi è fatuità o sciocchezza cui non si pensi per ingrandire quelle Regioni cui nessuno pensava e che sono destinate, se anche sorgono, a disordinare l’Italia e alla sterilità. Si parla con tanta facilità perfino del controllo del credito e della previdenza. Ora queste sono cose veramente assurde per la vita locale, perché questa è una vera funzione di Stato. E sono anche stupidità. Molte materie che si vuole trasferire alle Regioni non si possono senza danno della Nazione intera (come le acque pubbliche, ad esempio). Ognuna delle funzioni che si vogliono dare alla Regione dovrebbe essere studiata seriamente e ponderata e sono sicuro che non sarà nemmeno materia di riflessione. Tutto diventa materia di partito. Vi sono partiti che sono impegnati nelle Regioni. Le voteranno senza considerare, per il prestigio del partito. E prepareranno una serie di fallimenti nazionali per soddisfare l’equivoco e la vanità regionale.

La mia preoccupazione è che si ottenga l’effetto contrario a quello che si vuole ottenere. Un vero decentramento si poteva fare molto facilmente, dando alle Provincie diversi indirizzi, dando ad esse la possibilità di una maggiore agilità ed arrivando a fare, dove era necessario, unioni di Provincie di carattere generale e permanente o solo consorzi per scopi determinati.

La Provincia, che ha organizzazione e tradizione, sarebbe stata base di azione più economica ed efficace. Non si è potuto abolirla e non si sa perché rimanga se non si fa a meno della Regione. Per avere la Regione dobbiamo creare un Governo alla cui organizzazione non si è ancora pensato. Come si formerà e come sarà organizzato? Da quali funzionari sarà formato? Si utilizzeranno impiegati attuali dello Stato? Si inventerà una burocrazia nuova? Tutto in questa materia è stato pensato con leggerezza e sarà fatto con disordine.

Ora ci sono gli impiegati delle Provincie e dei Comuni. Vi sono poi tutti gli impiegati dello Stato, che non toglierete, prima di tutto perché ci debbono essere al centro; anche per la coordinazione. Nelle Regioni voi creerete Parlamenti per ridere e Ministeri embrionali. Se volete piccoli Parlamenti dovete avere anche piccoli Ministeri e prima o dopo i Capi delle Regioni si considereranno veri Ministri e dovranno anche essi essere pagati. Non vi viene il dubbio che non avrete i mezzi? Riservandomi su qualcuno dei singoli argomenti della Regione di parlare in seguito, se sarà il caso, io mi limito per ora a queste poche e semplici considerazioni.

Il Presidente-Relatore ci dovrà pure dire prima di esaurire questo argomento a quali fonti di entrate intende riferirsi, e dovrà pur dire se ha fatto un calcolo, almeno approssimativo, di ciò che verranno a costare questi meccanismi inutili, che io credo saranno enormi ed ingombranti. Io attendo da lui una risposta rassicurante a questo proposito e non è questa richiesta indiscreta.

PRESIDENTE. Desidero far presente all’onorevole Nitti che la materia alla quale egli ha accennato sarà esaminata quando l’Assemblea sarà chiamata ad intrattenersi sull’articolo 113 che tratta dei problemi finanziari riguardanti la Regione, e sulla VIII disposizione transitoria relativa ai funzionari e ai dipendenti dello Stato.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Io debbo ringraziare il Presidente di avere con questa sua osservazione detto per la maggior parte quanto intendevo osservare io all’onorevole Nitti. In questo momento non siamo ancora arrivati al punto di stabilire quale debba essere la finanza della Regione.

La finanza della Regione sarà certamente coordinata a quelle che saranno le sue funzioni, perché allora solo si potrà vedere quali dovranno esserne le spese, e proporzionare ad esse le entrate.

Comunque, non siamo giunti ancora all’articolo relativo e così anche per quanto si riferisce agli impiegati ed alla organizzazione degli uffici e ad altri argomenti similari dovremo discutere a proposito di altri articoli.

Io, come modesto fautore della Regione, desidero avvertire l’onorevole Nitti che, spiacente di trovarmi in contrasto con il suo pensiero, il concetto della Regione che egli ha è un po’ diverso dal nostro, specialmente, per quanto si riferisce alle spese e quindi anche alle entrate. Noi in questa nuova forma di organizzazione cercheremo di avere spese il meno possibile, e provvederemo a dividere le entrate opportunamente. È ovvio che una parte dei redditi andranno alla Provincia, che si è conservata. Ma anche questo è troppo presto stabilirlo ora, perché non sappiamo ancora quali siano le competenze che noi affidiamo alla Regione, quelle che aggiungeremo eventualmente alle Provincie e non sappiamo ancora in quanti rami dovrà la Regione esplicare la sua attività. Siamo evidentemente in anticipo.

Quanto agli impiegati, siccome io penso, ad esempio – e dichiaro di parlare per mio conto personale – che la Regione è soprattutto la forma di sburocratizzazione del centralismo che incombe ancora sopra tutte le attività dello Stato italiano, è evidente che se noi insistiamo a voler concretare una nuova forma di organizzazione statale, lo facciamo per diminuire l’aggravio che il sistema impiegatizio burocratico viene a portare sul bilancio e quindi sul sacrificio dei contribuenti.

Per eliminare ogni equivoco io devo avvertire il mio illustre contraddittore che noi intendiamo espressamente, attraverso la Regione, arrivare alla diminuzione dei carichi, in quanto vogliamo che le grandi impalcature burocratiche dello Stato siano snellite e diminuite, non solamente per ciò che ha riguardo alle competenze, ma anche pel numero di coloro ai quali viene affidata l’esplicazione di esse e l’organizzazione degli uffici.

Ora, non è possibile che noi continuiamo nello stato attuale; l’aggravio che ne deriva è troppo grande e l’onorevole Nitti può essere certo che in questa parte egli avrà noi suoi alleati, perché noi vogliamo la Regione anche per diminuire le spese, il che si potrà fare solamente eliminando tutto il peso formidabile che la burocrazia ci porta oggi. E soprattutto, non possiamo condividere l’accenno alla tristezza con cui egli ha cominciato il suo discorso; noi speriamo invece che il sorgere di questa nuova forma di organizzazione statale sarà accompagnata dalla lieta serenità di questo nostro popolo, illuminato e confortato da essa nella lunga via che per la sua rinascita deve percorrere. (Applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sarò molto breve nel rispondere all’onorevole Nitti.

Ammiro, anzitutto, la grande freschezza e tenacia con cui egli difende le sue idee. In realtà, nell’intervento di oggi, è ritornata l’idea fondamentale che la Regione non si deve istituire. Ma ormai la questione è stata decisa; l’Assemblea Costituente ha deliberato che la Regione esista; e di fronte ad una deliberazione come questa mi pare che sia democratico non discutere più inutilmente su una deliberazione già adottata, ma cercare, invece, di superare le difficoltà che sorgono dalla istituzione della Regione. Vi possono essere delle riforme necessarie, che presentano delle difficoltà. Quando si parla di difficoltà, non significa che una riforma debba essere respinta; bisogna superare le difficoltà che porta con sé.

Bisognerebbe essere ciechi per non vedere le difficoltà inerenti alla creazione dell’ente Regione, ma difficoltà non è impossibilità; né si può ritornare sopra un principio acquisito. La Regione c’è ormai nella Costituzione; e c’è in quella maniera che abbiamo deliberato ieri.

Io, ripeto, sono contento che sia venuto oggi dagli onorevoli Tosato e Perassi un chiarimento e che si sia confermato lo sforzo degli ultimi tempi del Comitato di trovare una formulazione, sui poteri normativi della Regione, nei limiti che lo Stato può, legge per legge, stabilire, così che anche per questo aspetto vi è la maggiore elasticità; e ciò rientra nel criterio generale del Comitato e dell’Assemblea, che sia consentito all’esperienza ed alla realtà pratica di graduare la vita ed il funzionamento della nuova istituzione che abbiamo fondata.

Con questo criterio realistico e sperimentale affronteremo anche le difficoltà che si presentano. L’onorevole Nitti vorrebbe che tutte le difficoltà fossero risolte a priori. Egli ha, tutti lo ricordiamo, impersonato finora la tendenza che voleva rimandare tutto ciò che riguarda il funzionamento della Regione a leggi future. Ora invece sembra che voglia non solo stabilire con precisione quali devono essere tutte le attribuzioni, ma anche dettagliatamente, gli uffici ed i mezzi, coi quali la Regione potrà, passo per passo, funzionare.

L’onorevole Nitti ha espressamente indicato due punti di precisazione; che, come ha già e benissimo risposto il Presidente dell’Assemblea, saranno esaminati al loro luogo. Il primo punto è quello dell’elefantiasi burocratica che, a suo avviso, si determinerà nella Regione. Un pericolo, se anche in proporzioni non così gravi, l’abbiamo visto, e ne abbiamo parlato anche noi, perché non siamo ciechi, onorevole Nitti. Se stabiliamo un nuovo gradino, dobbiamo preoccuparci che non venga a costituire un elemento di ulteriore pesantezza, ed un aggravio burocratico. Abbiamo cercato di prevenire il pericolo in un articolo transitorio, l’VIII, nel quale è detto che «Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il trapasso delle funzioni statali attribuite alle Regioni e quello di funzionari e dipendenti dello Stato, anche centrali, che si renda necessario in conseguenza del nuovo ordinamento».  A queste disposizioni potremo dare anche una più estesa espressione. Ne parleremo a suo luogo, in concreto, senza fermarci ad un grido, del resto eccessivo, d’allarme.

Il secondo punto è della finanza. Ho raccolto al riguardo dati, e sono risalito anche ai classici studi dell’onorevole Nitti di mezzo secolo fa, che adombrano il concetto di sperequazioni fra Regioni e di un necessario equilibrio finanziario. Questi dati sono a disposizione dell’Assemblea; ma ne parleremo al posto adatto; a proposito dell’articolo 113.

Basti ora un cenno al sistema, che è stato adottato dal Comitato ed è questo: ad ogni Regione debbono essere attribuite, come del resto avviene anche per le Provincie e i Comuni, entrate adeguate ai compiti affidati; e ciò sia come tributi propri, sia come quote di tributi erariali, in modo che col loro gettito complessivo le Regioni potranno adempiere ai loro compiti essenziali. Ma non basta pensare ai compiti essenziali; vi sono per le Regioni altri compiti e scopi determinati, per uno sviluppo ed una elevazione maggiore – quale potrebbe essere, ad esempio, la lotta contro il latifondo – ed a questi scopi si deve provvedere mediante fondi di solidarietà, col concorso delle altre Regioni, o con speciali contributi dal tesoro dello Stato. Vedremo di determinare, nell’articolo 110, il congegno. Ma un sistema c’è; ed io attendo che l’onorevole Nitti lo critichi, dandoci tutto l’apporto della sua competenza; intanto non si può dire che noi non vi abbiamo pensato.

Abbiamo affrontato, con senso di responsabilità le difficoltà che una riforma di tal natura presenta e che sarebbe errore volersi nascondere. Non dobbiamo indugiare sul ritornello che la Regione non deve farsi; dobbiamo cercare di farla nel modo migliore – o almeno, per chi l’ha avversata – meno peggiore possibile. Anche da parte di coloro che erano contrari all’istituzione della Regione, si serve meglio il Paese, inchinandosi democraticamente al volere della maggioranza e cercando, insieme con chi l’abbiano patrocinato, che l’istituto sorga e si sviluppi come meglio si può. Questo è, onorevole Nitti – piuttosto che un’eterna scomunica, o piuttosto che il proposito di fare all’estero una propaganda avversa alla volontà della maggioranza – questo è il compito che si attende da una personalità così alta come la sua: contribuire, anche per la Regione, al bene del Paese.

ROMITA. Ma non si tratta di idee particolari, onorevole Ruini: si tratta di una preoccupazione patriottica.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Romita, io non ho mai detto che chi combatteva la Regione si ispirava ad idee particolari. Ho detto che, una volta che la maggioranza ha deliberato, noi abbiamo tutti il dovere di inchinarci alla sua volontà. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevole Ruini, non vi sono dubbi su quanto ella ha inteso di significare.

Onorevoli colleghi, mi sembra che si possa continuare nello svolgimento degli emendamenti.

Gli onorevoli Perassi, Camangi, Zuccarini, Della Seta, Paolucci, Lussu, Conti, Persico, Bellusci, Pacciardi e Azzi hanno proposto il seguente emendamento:

«Nel primo comma, dopo: Ordinamento degli uffici, ecc., inserire: Stato giuridico ed economico degli impiegati e salariati della Regione e degli enti locali; e dopo: Agricoltura e foreste, inserire: Artigianato, industria e commercio».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. Dirò solo due parole. Come primo oggetto delle competenze legislative attribuite alle Regioni, dall’articolo che stiamo esaminando si indica l’ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione.

Mi pare che, se pur già in parte non si entra in questa nozione si dovrebbe, per affinità di materia, attribuire alle Regioni anche di regolare lo stato giuridico ed economico del personale della Regione e degli enti locali.

Su questa materia potranno esistere, come esistono di già per altri enti, delle leggi generali dello Stato che fissano alcuni principî fondamentali; ma entro l’ambito di questi principî è opportuno che la Regione, per quanto concerne i suoi impiegati e salariati, abbia la possibilità di stabilire norme dettagliate relative allo stato giuridico ed economico.

E per la stessa ragione è opportuno che la Regione, nell’ambito del suo territorio, possa stabilire anche norme integrative delle leggi dello Stato che siano dei limiti alle deliberazioni degli enti locali in ordine allo stato giuridico ed economico del personale degli enti locali medesimi. Anche in questo campo un’assoluta uniformità di norme per tutto il territorio dello Stato non è né necessaria né conveniente.

Mi pare dunque che l’aggiunta di questa materia non dovrebbe incontrare opposizione.

Il mio emendamento si propone anche di aggiungere dopo «Agricoltura e foreste» le parole: «Artigianato, industria e commercio».

Io ricordo che questa materia figurava già, in particolare, in forma più generica (Industria e commercio) nell’articolo 111. Ora, che cosa si è fatto fin qui? Si sono unificate ad un livello molto basso le formule dei diversi articoli relativi alla funzione legislativa della Regione. La formula unica adottata è quella che è stata approvata ieri sera. Data questa formula, che limita in maniera così modesta questa funzione legislativa, è evidente che quelle preoccupazioni che in alcuni potevano sussistere nell’allargare l’elenco delle materie da attribuirsi alla competenza delle Regioni, così subordinata, non hanno più ragione d’essere. Ora, come già nell’articolo 111 si comprendeva «industria e commercio», così mi pare che nell’elencazione delle materie del nuovo articolo (che è dominato dalla formula adottata ieri) debba comprendersi anche «artigianato, industria, commercio».

È una materia nella quale è opportuno che le Regioni abbiano un certo potere legislativo, anche per interessarle ai relativi problemi. Un modo di interessarle è appunto di far sì che esse abbiano la possibilità di disciplinarli in una maniera particolare, avuto riguardo alle esigenze locali. Si pensi, in particolare, all’artigianato che è una forma caratteristica regionale. È una materia nella quale può essere opportuno che le singole Regioni interessate possano emanare certe norme che disciplinino questa attività e ne promuovano lo sviluppo. Per questa ragione ho proposto di aggiungere «Artigianato, industria e commercio».

PRESIDENTE. Poiché sono stati presentati proprio ora alcuni emendamenti, fra i quali otto di un solo deputato, portanti una sola firma, vorrei pregare gli onorevoli colleghi di presentare tempestivamente gli emendamenti, ricordando che per quelli presentati nel corso della discussione occorrono dieci firme.

L’onorevole Zuccarini ha presentato i seguenti emendamenti:

«Dopo il comma terzo aggiungere:

«Stato giuridico ed economico degli impiegati della Regione e degli enti locali».

«Dopo il comma sesto aggiungere:

«Igiene e sanità pubblica».

«Modificare il comma undici così:

«Ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche e altri mezzi di trasporto regionali».

«Modificare il comma tredici così:

«Porti e navigazione interna e lacuale».

«Modificare il comma diciannove così:

«Agricoltura e foreste, consorzi, bonifiche e miglioramenti agrari».

«Dopo il comma diciannove aggiungere:

«Industria e commercio, Camere di commercio».

«All’ultimo comma modificare la parola: esecuzione, in: attuazione».

Ha facoltà di svolgerli.

ZUCCARINI. L’autonomia delle Regioni, dalla quale eravamo partiti con grandi prospettive, è venuta via via riducendosi fino a diventare una cosa, lasciatemelo dire, pressoché ridicola.

Si è legittimata così la ostilità verso il progetto e anche si sono giustificate certe critiche che vengono molto spesso rivolte contro il progetto stesso. Invece di aumentare l’autonomia o, per lo meno, di rendere il sistema delle autonomie un sistema veramente operante nello Stato italiano secondo il principio espresso, in un primo momento, abbiamo creato un sistema il quale rende possibile una moltiplicazione di uffici ed anche il pericolo di un nuovo accentramento. Il Comitato di redazione, per andare incontro alla opposizione, ha creduto di limitare via via le competenze della Regione. Anche con questo articolo abbiamo visto come, oltre ad avere ridotto le facoltà legislative, si siano tolte anche alcune competenze che nel progetto primitivo erano state riconosciute alla Regione. Ora io credo che ciò sia dannoso e che in sede di emendamenti, si debba ritornare a dare alla Regione quell’insieme di possibilità e di capacità che la rendano un organismo veramente effettivo, veramente una forma di decentramento dell’Amministrazione dello Stato.

Altrimenti non ci sarà decentramento; anzi, riducendo a tanto poche le facoltà e le funzioni della Regione si renderà giustificatissima la preoccupazione che poco fa è stata sollevata dall’onorevole Nitti, che accanto ad una burocrazia statale, che resterebbe tale e quale, si venga a creare una burocrazia regionale. Noi pensiamo, invece, alla Regione come ad un sistema destinato ad assorbire molte funzioni dello Stato e, che assorbendo queste funzioni, farà diminuire il numero degli uffici e degli impiegati. Il solo fatto che determinate materie, anzi il maggior numero delle materie – direi quasi la totalità – passino alla Regione, significa eliminare, secondo me, tutto quel personale intermediario che serve oggi per fare arrivare, passare e ripassare le pratiche dalla Regione a Roma. Basterebbe solo questa considerazione per rendersi conto di quanto l’autonomia regionale, qualora fosse estesa al maggior numero di materie, anzi, secondo me, a tutte le materie gioverebbe alla semplificazione dell’organismo dello Stato e anche alla diminuzione della burocrazia. Io spero poi che, dopo le battaglie di questi giorni, l’accanimento contro questo istituto abbia a cessare. Gli amici di sinistra tengano conto che, se persistessero nel loro atteggiamento, non gioverebbero alla migliore soluzione del sistema il quale, posto e approvato in linea di massima dall’Assemblea, deve ora essere portato a termine nel miglior modo. Creare un organismo incompleto, diminuirne le funzioni, creare fra le attribuzioni dello Stato e le attribuzioni della Regione un’infinità di interferenze, significa creare, per la vita del nuovo Stato italiano, nuove difficoltà.

Faccio pure presente che, con il continuare la battaglia che credo debba cessare senza portarla sugli emendamenti stessi, anzi sulle materie da attribuire alla Regione, ripetendo cioè, quello che è avvenuto fino a ieri con la richiesta di scrutinio segreto, si finirà coll’approfondire da questa parte dell’Assemblea una divisione che non si doveva creare. Noi repubblicani continuiamo una vecchia tradizione democratica. La Regione entra in una concezione democratica che fino a venti anni fa, almeno, era di tutta la democrazia italiana, in cui si confondevano, insieme ai repubblicani, i socialisti, i radicali e tutti gli altri democratici.

Ora, non so se convenga proprio su questo concetto generale della democrazia, che è concetto di libertà e di autonomia, approfondire il dissenso e creare tra noi una barriera; per cui qualcuno di noi debba domandarsi se affinità esistono davvero fra noi e gli altri deputati di questa parte dell’Assemblea. Il dissidio si determinerebbe anche nel seno di ciascuno degli stessi partiti di democrazia di sinistra. Sappiamo tutti come in quei partiti molti vi siano ancora che credono nella utilità della Regione e nella sua opportunità come mezzo per la democratizzazione dello Stato.

E vengo agli emendamenti.

PRESIDENTE. Onorevole Zuccarini, la prego di tener conto del tempo che le è concesso per svolgerli.

ZUCCARINI. Io dovevo giustificare anche il perché delle aggiunte che penso debbano essere introdotte nell’elenco preparato dalla Commissione. Ho notato già in precedenza che il Comitato ha eliminato alcune di quelle competenze che erano state comprese nel progetto primitivo. Non mi fermerò ad alcune esclusioni, che possono essere anche giustificate dal fatto che per certe materie, come per la Scuola e per l’Antichità e le Belle Arti, il progetto di Costituzione ha preso già deliberazioni che naturalmente impediscono in un certo senso che queste materie entrino nell’elenco. A torto, secondo me.

Ve ne sono però altre, che sono state escluse; e male escluse. Incomincio dallo stato giuridico ed economico degli impiegati, su cui si è fermato poco fa l’onorevole Perassi; ragione per cui non insisto sui motivi da lui esposti. Ma c’è una considerazione da fare, a proposito del personale degli enti locali: è utile, sommamente utile, che gli impiegati degli enti locali siano, per quanto possibile, legati alla Regione ed agli enti locali della Regione. Questo passaggio continuo di impiegati da una Regione all’altra, in ambienti che essi non conoscono, è assolutamente deleterio per l’Amministrazione locale. Vi sono amministratori, che non conoscono l’ambiente nel quale essi devono svolgere la loro opera. Lo si è lamentato per i prefetti e per il personale delle prefetture; a maggior ragione, dopo il fascismo, lo si è lamentato per il personale degli enti locali, il quale, poi, nell’amministrazione locale, è parte importantissima nell’Amministrazione, anzi, in certo senso, il padrone dell’Amministrazione. Padrone lo era già diventato col fascismo, ma continua ad esserlo, in qualche modo, anche oggi, in quanto le Amministrazioni elettive non si sono ancora impossessate dell’organismo dell’Amministrazione.

Queste ed altre ragioni rendono consigliabile che il personale degli enti locali della Regione abbia un legame regionale, che gli impiegati restino, per quanto possibile, nell’ambiente nel quale devono operare ed esplicare la loro attività, si rendano conto, cioè, dei problemi che devono affrontare ogni giorno, li conoscano perfettamente e siano in grado anche di portarli innanzi, di fronte agli organi regionali, e altresì di fronte agli organi dello Stato.

Igiene e sanità pubblica. Oggi esiste un’organizzazione provinciale della sanità. Non capisco perché anche questa materia non debba rientrare nei compiti della Regione; tanto più che in materia di sanità pubblica, i problemi da Regione a Regione non sono gli stessi. Per esempio, vi è il problema della malaria; ve ne sono altri, i quali devono essere riguardati con occhio regionale, con un criterio regionale, cioè diverso da zona a zona. Da qui l’utilità che in questa materia esistano personale ed uffici che studino i problemi e li risolvano nell’ambito della Regione.

E passo ad altra materia: ferrovie secondarie, tranvie, linee automobilistiche ed altri mezzi di trasporto regionali.

Il progetto della Commissione limita alle tranvie ed alle linee automobilistiche la competenza della Regione, linee secondarie, di carattere prettamente regionale, che nascono e finiscono entro la Regione e che quindi devono restare di competenza, se non esclusiva, per lo meno principale della Regione.

Io, riferendomi solo alle Marche che conosco meglio delle altre Regioni, potrei osservare che in quella Regione ve ne sono almeno quattro di queste ferrovie. Non si capisce perché esse, che assolvono a funzioni locali, non debbano restare di competenza degli organi regionali. In nessuna materia, forse, la Regione può assolvere la propria attività meglio che in questa; tanto più che le tramvie e i servizi automobilistici non esauriscono il problema dei trasporti.

Noi abbiamo poi nuovi mezzi di trasporto, e ve ne sono anche di vecchi che possono riuscire utilissimi nell’ambito della Regione. Vi sono le filovie; vi sono le teleferiche; vi sono altri mezzi di trasporto e di comunicazione per cui questa materia, se veramente la Regione vorrà assolvere bene il suo compito, deve essere sufficientemente vasta e comprensiva delle varie forme di trasporto lasciando pure che le linee principali restino legate o subordinate ai criteri dell’Amministrazione centrale.

Navigazione interna. Gli articoli modificati contemplano: porti e navigazione lacuale. Non si capisce perché i piccoli porti, che servono per la pesca, per il piccolo cabotaggio, che hanno una funzione locale e regionale, insomma molto ristretta, debbano essere sottratti alla competenza della Regione. Non si capisce neanche perché la navigazione interna, che per quello che esiste in Italia è ristretta a certe Regioni ed è il risultato di un’opera svolta attraverso il tempo da iniziative locali, non debba essere anch’essa attribuita alla Regione. In questo modo la Regione verrebbe ad avere un complesso di attività in questa materia che può essere largamente utile. La navigazione del Tevere, fino al porto di Roma ed oltre fino ad Orte, è un problema esclusivamente laziale; il sistema di navigazione interna dell’Arno non si capisce perché non debba restare di competenza della Regione toscana. E così via.

La creazione di laghi artificiali, che avviene adesso con una certa frequenza anche per una necessità dello sviluppo idroelettrico, può permettere dei sistemi di navigazione interna, sia pure per brevi tratti, che, secondo me, devono pure restare di competenza della Regione.

Ho poi aggiunto, là dove si parla di agricoltura e foreste, i consorzi, le bonifiche e altri miglioramenti agrari.

I consorzi agrari furono una creazione squisitamente locale e assolsero magnificamente le loro funzioni quando furono organi locali. Il fascismo ne fece degli organi burocratici dello Stato, ma effettivamente se i consorzi devono restare degli organi locali bisogna che ritornino alle loro forme primitive e si adeguino a quei criteri di autonomia e di iniziativa spontanea degli agricoltori, attraverso cui hanno ottenuto il maggiore risultato. Invece degli ispettori di agricoltura, i quali esercitano un compito investigativo e quanto mai limitativo, occorrerà ritornare al sistema delle cattedre ambulanti di agricoltura, le quali assolsero molto efficacemente una funzione veramente utile, contribuendo molto allo sviluppo agricolo italiano.

Sembra a me che questa parte, cioè tutto ciò che si riferisce all’attività agricola, allo sviluppo dell’agricoltura, alla organizzazione economica in tutte le questioni agricole, debba restare alla Regione. I consorzi agrari, cessando di essere organi burocratici che si muovono in funzione di criteri e di direttive centrali che sono spesso contro gli interessi e contro i desideri degli stessi agricoltori, ritornino intanto ad essere organi autonomi, e si sviluppino nell’ambito della Regione e tornino a basarsi su un sistema di spontanee iniziative locali come quello sul quale si crearono.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ZUCCARINI. lo mi attengo all’argomento. Sono sette i miei emendamenti. Mi permetta di svolgerli uno per uno tutti.

PRESIDENTE. Lei li può svolgere uno per uno, tenendo però conto che c’è un limite di tempo. Io non desidero fare osservazioni sul modo con cui i colleghi svolgono gli emendamenti, ma vorrei che si comprendesse che vi sono una quantità di argomenti che sono impliciti e lo svolgerli ampiamente significa occupare il tempo che dovrebbe essere destinato a giustificare l’emendamento e non a dirci cose interessanti ma non pertinenti all’argomento. La pregherei quindi, onorevole Zuccarini, di voler tener presente che il nostro tempo ha un certo valore.

ZUCCARINI. Mi permetta, signor Presidente, ma io le faccio osservare che il mio emendamento, essendo comprensivo di almeno 6 o 7 emendamenti, deve consentire per lo svolgimento una tolleranza di tempo maggiore di quella che può essere consentita ad un solo emendamento.

PRESIDENTE. Le sue proposte riguardano un solo articolo e si possono considerare pertanto come un solo emendamento. La prego quindi di voler concludere.

ZUCCARINI. Le modifiche e i miglioramenti agrari sono poi così strettamente legati all’attività delle Regioni per cui non si capisce perché queste materie non debbano restare di competenza della Regione.

V’è un’altra materia sottratta alla Regione la cui soppressione non si giustifica in nessun senso: industria e commercio, a cui io ho aggiunto anche le Camere. Se la Regione ha competenza per occuparsi dell’agricoltura, non si capisce perché non debba occuparsi dell’industria e del commercio, almeno di quello che l’industria e il commercio hanno di regionale. Non vi è una industria a carattere unitario, come non v’è un tipo unico di agricoltura. Ogni Regione ha le sue particolari industrie e le sue particolari attività, anche artigiane che possono svilupparsi in industrie. Non vi è quindi motivo perché venga esclusa alla competenza del nuovo organismo una materia che fin qui venne riconosciuta come di competenza della Provincia attraverso le Camere di commercio e di industria, Camere di commercio e industria che io vorrei restassero legate all’ordinamento regionale.

È tutta una materia che non potrebbe essere esclusa, se non con il criterio che l’industria debba essere materia esclusiva dell’attività dello Stato; il che non può essere, a meno che non si pensi di creare in Italia un nuovo protezionismo industriale, un sistema di autarchia, al quale credo invece che si debba rinunciare in ogni modo.

E sono alla fine, cioè all’ultimo emendamento, laddove propongo che la parola. «eseguire» sia sostituita con la parola «attuare». Si eseguiscono gli ordini. «Attuare» invece dà il senso della autonomia della Regione. Siccome noi vogliamo che l’autonomia sia assicurata alla Regione, così proponiamo, come ultimo emendamento, che alla parola «eseguire» sia sostituita la parola «attuare». (Applausi).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Merighi e Fornara hanno presentato i seguenti emendamenti:

«Sopprimere al comma 6°): Assistenza sanitaria ed ospedaliera».

«Sopprimere al comma 15°): Acque minerali e termali».

In assenza, dell’onorevole Merighi, ha facoltà di svolgerli l’onorevole Fornara.

FORNARA. Gli emendamenti che noi proponiamo sono emendamenti soppressivi per quanto riguarda il problema di una legislazione regionale dell’assistenza ospedaliera, dell’assistenza sanitaria, e per il problema delle acque termali.

Svolgerò rapidamente questi tre emendamenti, e chiedo scusa se parlo io in sostituzione dell’onorevole Merighi: sarò meno eloquente, ma molto breve.

Vi parlo come ex-prefetto socialista della provincia di Novara e come tale vi dirò che abbiamo inteso il bisogno di un ente Regione, ma che abbiamo però in esso visto prevalentemente lo scopo di ridurre quella che è l’attuale elefantiasi amministrativa, più che lo scopo legislativo.

In tal senso noi socialisti siamo stati regionalisti, e siamo ancora favorevoli alla Regione, se Regione vuol dire abolizione della Prefettura. Noi abbiamo visto nella carica di Sua Eccellenza il Prefetto, una piccola gloria, ma molte miserie. In tal senso siamo regionalisti, se questo vuol dire anche diminuzione dell’ente Provincia, limitato a puro organo amministrativo della futura Regione. E, accanto all’ente Regione, noi domani vedremo volentieri una reale, completa autonomia comunale. Noi siamo favorevoli all’ente Regione, inteso essenzialmente come ente di decentramento amministrativo. Ma vediamo il pericolo, quando si vuol dare all’ente Regione un’ampiezza legislativa che ci preoccupa, e ci preoccupa prevalentemente nei tre punti che svolgerò.

Primo punto è quello della capacità legislativa in problemi di assistenza ospedaliera.

Poco fa ha parlato l’onorevole Zuccarini, che, pur non essendo medico, ha trattato di argomenti medici. Ha parlato oggi di nuovo di malattie regionali, ed io dico all’onorevole Zuccarini (Interruzione dell’onorevole Zuccarini) che sul problema della malaria al Congresso dell’ottobre 1946, il professore Izar, Relatore al Congresso nazionale di medicina, ha messo in evidenza questo doloroso fatto; che la malaria si è diffusa in Regioni italiane in cui prima non esisteva. Oggi è un problema nazionale, direi di più, un problema mondiale, quando sul British Medical Journal del 21 giugno di quest’anno si vede citato il moltiplicarsi di casi autoctoni di malaria a Londra, dove malaria non c’era mai stata.

Quando vediamo moltiplicarsi casi di malaria in Regioni in cui la malaria non c’è mai stata, e vediamo nelle nostre zone montane, e a Siena finanche, come ha constatato il professore Izar, moltiplicarsi casi autoctoni di malaria, dobbiamo concludere che il problema della malaria – che credevamo limitato ad alcune Regioni – è oggi un problema nazionale, che va risolto con legislazione nazionale e con pieni poteri nazionali. L’affidare questa lotta antimalarica ad una legislazione regionale, per me rappresenta un pericolo e vi dirò il perché: noi che fummo prefetti, che ci occupiamo di problemi amministrativi, ci ricordiamo cosa era il problema della malaria dieci o venti anni fa.

In quei tempi ogni medico provinciale si faceva gloria di aver dichiarato che la propria Provincia non era più zona malarica. Era motivo di vanto.

Ed allora, quando ancora non c’era il D.D.T., per la lotta contro la malaria, si ammazzavano acchiappandole colle mani poche centinaia di zanzare, quando ve ne erano miliardi in tutte le nostre Regioni. Ma il problema era questo: accanto al medico provinciale che, per avere una promozione, cercava di dimostrare che la propria Provincia era meno malarica delle altre, vi era il sindaco, che non voleva questo, perché dichiarare una Provincia zona non malarica significava far togliere la distribuzione di chinino, alla quale erano interessate le tabaccherie. Ora, qualcuno vuole parlare di nuovo di patologia regionale e di patologia razziale. In questi ultimi giorni, all’Accademia medica di Roma, qualcuno ha parlato di anemia di Cooley e di ittero emolitico di Rietti-Greppi-Micheli come di malattie razziali; io ho protestato. Ed io protestai anche nel 1940, quando era difficile protestare. Feci un ordine del giorno allora al Congresso italiano di pediatria del maggio 1940, protestando contro ogni affermazione che riguardava queste malattie come malattie razziali; così protesto oggi contro chi afferma che esistono malattie regionali e contro chi vuol affidare alla legislazione regionale la lotta contro le malattie sociali, lotta che non può essere che nazionale.

UBERTI. Ma chi è che parla di malattie regionali?

FORNARA. Io dico che c’è un altro serio pericolo ed il pericolo è che nel problema della distribuzione delle medicine si segua un criterio regionale. Nella Provincia che io ho amministrato, la distribuzione dell’insulina e della penicillina è stata fatta con tale serietà che la Provincia non ha mai sofferto della mancanza né dell’una né dell’altra medicina. In alcune Provincie vicine, invece, l’insulina mancava al 10 del mese e non si sapeva come fare per arrivare al 30. Tale pericolo si ripresenta ora per la streptomicina, medicina molto rara, la cui distribuzione è fatta dall’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica. Noi vogliamo appunto che tutte le medicine vengano distribuite da quest’organo, unico sistema per potere veramente disporre di queste medicine rare, che saranno rare ancora per molti mesi, e che rappresentano un rimedio efficace contro alcune malattie che infestano l’umanità, ma vogliamo che la distribuzione sia fatta attraverso tutti gli Ospedali.

Vi è ancora un altro pericolo: quello della nomina dei medici ospedalieri e dei medici condotti affidata a Commissioni ospedaliere regionali. Voi sapete a che cosa porta un regionalismo mal compreso. C’è già il doloroso fenomeno di professori universitari nominati dal Governo militare alleato per le cattedre siciliane e che non sono stati confermati dal Governo italiano. Noi speriamo che il Ministero della pubblica istruzione risolva chiaramente questo doloroso problema. Ma non vogliamo che domani vi siano dei primari o dei medici condotti, nominati da una Commissione regionale, che non possano espletare le loro delicate mansioni in tutti gli Ospedali, in tutte le condotte d’Italia.

E c’è infine il problema delle acque termali, che rappresenta l’unica ricchezza che ha l’Italia, tanto povera di materie prime e di prodotti minerari. Ma è una ricchezza che deve servire a tutti gli italiani e specialmente a tutti i lavoratori.

Ricordiamoci che se domani, ad esempio, nella mia provincia di Novara – che ha la sorgente termale di Bognanco molto conosciuta – dovessero affermarsi dei diritti particolari dei suoi abitanti, anche relativamente ai proventi delle acque termali, succederebbe quello sconcio che è capitato quando un Ministero ha permesso che sorgesse un Casino da giuoco, e ogni paese voleva sorgesse a proprio vantaggio. Le acque termali italiane siano dunque per tutti gli italiani, siano soprattutto per tutti i lavoratori italiani. (Approvazioni).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Miccolis, Penna Ottavia, Rodi, Patrissi, Abozzi, Venditti, Castiglia, Colitto, Quintieri Quinto, Trulli hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alla dizione: Istruzione artigiana e tecnico professionale, l’altra: Istruzione artigiana».

L’onorevole Miccolis ha facoltà di svolgerlo.

MICCOLIS. Nel progetto originario della onorevole Commissione dei Settantacinque, fra le materie attribuite alle competenze regionali, all’articolo 108 vi è la scuola artigiana, al successivo articolo 110 l’istruzione tecnico-professionale ed all’articolo 111 la scuola elementare.

Nel testo dei tre articoli unificati dal medesimo onorevole consesso, già approvato nella parte generale, sono stati messi sullo stesso piano di competenza locale la scuola artigiana e l’istruzione tecnico-professionale.

Non a caso – ed io mi azzarderei chiedere il perché – è stata lasciata in pace ed allo Stato la scuola elementare, la quale, proveniente appunto dagli enti locali, ha già fatto l’esperienza della incuria, abbandono e deleterie intromettenze locali. In generale va osservato che la scuola, sotto certi punti di vista, come la magistratura, ha bisogno di libertà ed indipendenza per potere assolvere alla sua missione di educazione e sereno giudizio. Ricordo e non ritengo giusti gli amari apprezzamenti dell’onorevole Einaudi per quei pochi insegnanti elementari che si dibattono tra stipendi di fame e mancanze di alloggi nelle sedi dove dovrebbero esplicare il loro lavoro. Se vi sono state buone ragioni per lasciare allo Stato la scuola elementare, di più ve ne sono per la scuola tecnico-professionale.

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione, onorevole Gonella, ha un giorno riconosciuto in quest’Aula la necessità di un dibattito sulla nostra scuola, che ha bisogno, di essere rivista, riordinata su moderni concetti e restituita alla fiducia dei docenti e delle famiglie degli allievi.

Non è questo il momento per aprire questo dibattito; ma non è neppure il caso di ignorare e non considerare il pericolo che corre la scuola professionale col passaggio alle competenze legislative della Ragione. E il modesto avviso di un uomo che ha sempre vissuto in quel tipo di scuola, che oggi il dibattito non dovrebbe essere che sull’educazione professionale, nel quadro generale del progresso tecnico ed operativo mondiale.

Due organismi ben diversi e distinti sono la scuola artigiana e quella cosiddetta professionale. Nella prima sono le cosiddette scuole di avviamento professionale, da qualche allegro spirito dette di «sviamento al lavoro». Nella seconda scuola sono – me ne può dare atto l’onorevole Bosco Lucarelli e, sempre da parte democristiana, che tanto si batte per la questione delle autonomie regionali, l’onorevole Firrao – vi sono le scuole professionali e gli istituti tecnici. Questi ultimi furono creati e potenziati con larghezza di mezzi e competenza dai Ministeri dell’industria e commercio, della marina e dell’agricoltura e quindi convogliati tutti dal fascismo nel Ministero dell’educazione nazionale, credo verso il 1931-32. Da essi uscirono ed escono dei valorosi tecnici minori, che sono, provenienti tutti dal popolo e dalla piccola borghesia, gli oscuri artefici delle nostre industrie nazionali, che non hanno niente a che fare con quelle di ordine regionale e locale.

Noi dobbiamo puntare, onorevoli colleghi, su queste scuole, se vogliamo veramente potenziare le nostre risorse, le nostre buone braccia ed intelligenze. Affidare alle Regioni queste scuole significa, mi sia permessa la frase, mandarle a morire, arrecando un incalcolabile danno alla Nazione.

Privilegiata apparirà la scuola statale classica o universitaria e continuerà, anzi si aggraverà l’inflazione degli spostati, avvocati senza cause e senza impiego e medici senza ammalati.

L’istruzione tecnica, in quest’ora di rapidi progressi ed organizzazioni scientifiche del lavoro, è materia che non appartiene ad una Regione, ma appartiene oggi al mondo intero e non può essere affidata né ad una Regione, né ai cosiddetti consorzi dell’istruzione tecnica, che sono privi di mezzi e non hanno reale competenza e capacità per governarla.

Se mi si concede di entrare un po’ in qualche sommario dettaglio, devo osservare che legiferare in materia d’istruzione tecnica significa, disporre di rilevanti mezzi per attrezzature e consumo di materiali, cui solo lo Stato potrebbe essere in condizioni di far fronte; disporre di uffici e dirigenti idonei, preparati e in continuo contatto con l’estero; disporre di programmi e curare il loro normale e proficuo svolgimento; reclutare scelto personale, capace di non fossilizzarsi in criteri e ristretti orizzonti locali, ma bensì di poter spaziare secondo il progresso della Nazione e il progresso del mondo.

Io non so che cosa sarebbe, per esempio, di un allievo il quale, seguita una parte di corso in un istituto, per differenze anche minime di programma non possa passare in un altro istituto, quando il padre, o ferroviere – perché sono tutti figli di operai o di impiegati – o ferroviere dunque, o postelegrafonico, o impiegato di qualsiasi altro ente, viene ad essere, per ragioni di servizio, trasferito da una parte all’altra della penisola.

Legiferare in questa materia significa, onorevoli colleghi, rilasciare anche diplomi; ma diplomi di valore regionale o nazionale? noi vorremmo domandare. C’è poi anche la questione del personale. Il personale infatti che è entrato in questo tipo di scuole è entrato al servizio dello Stato. Potete effettivamente voi dire a questo personale che deve passare dallo Stato alla Regione? A me pare di no; voi dovete anzi rendere libero questo personale, voi dovete anzi cercare che esso non vada ad imbrigliarsi nelle beghe locali.

È evidente dunque che non può essere consentito questo passaggio per le scuole di istruzione professionale. Io presento pertanto un emendamento che fa escludere dalla competenza regionale la scuola professionale per lasciare, pure, quella artigiana, perché io credo che effettivamente gli enti locali in materia di istruzione artigiana potrebbero rendere qualche servizio.

Io mi dovrei poi riferire alle parole pronunciate poco fa dall’onorevole Nitti a proposito dell’amministrazione. Esiste infatti al Ministero della pubblica istruzione una direzione generale che ritengo composta, oltre che del suo direttore generale, di una trentina di altri dipendenti. Ebbene, noi dovremo invece aver bisogno di qualche cosa come una trentina di queste direzioni generali, una per Regione, e non so di quanto altro personale: voi potete immaginare; egregi colleghi, quanto in ciò si verrebbe a guadagnare o perdere sul bilancio della pubblica istruzione.

Onorevoli colleghi, io vi ricordo che la scuola professionale è la scuola del popolo e va salvata dagli enti locali. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Colitto ha presentato i seguenti emendamenti:

«Nell’elenco delle materie, dopo: Beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, aggiungere: sanità ed igiene».

«Sopprimere: Istruzione artigiana e tecnico-professionale».

«Alle parole: Tranvie e linee automobilistiche regionali, sostituire le altre: Tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale».

«Dopo: Acque pubbliche ed energia elettrica, sopprimere le parole: in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre Regioni».

«Dopo: Agricoltura e foreste, aggiungere: Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

Ha facoltà di svolgerli.

COLITTO. Renderò molto brevemente conto dei miei emendamenti.

Ho proposto innanzi tutto che, al primo comma, dopo le parole «beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera», siano aggiunte le seguenti altre: «sanità ed igiene». Ed in proposito desidero soltanto aggiungere, a quanto ha detto poc’anzi l’onorevole Zuccarini, che attualmente in materia la Provincia interviene, sostenendo tutta una serie di oneri finanziari, per la provvista e la conservazione del vaccino anti-vaiolico, per l’acquisto e la distribuzione gratuita del chinino nelle zone malariche, per l’abbattimento di animali ammalati, per il servizio antirabbico. Per tutto ciò io penso che sarebbe opportuno che le relative norme emanassero dalla Regione.

Altro mio emendamento è inteso alla soppressione delle parole «istruzione artigiana e tecnico-professionale». A me pare, infatti, che la scuola debba avere una disciplina unitaria nazionale. Io vedo in una legislazione frammentaria per Regioni una causa di regresso della scuola. L’argomento è stato già svolto dall’onorevole Miccolis e sarà svolto ancora dall’onorevole Marchesi. Non desidero, pertanto, aggiungere altro per non far perdere tempo all’Assemblea.

Ho chiesto, poi, che siano sostituite alla parola «regionali» – che nel secondo comma accompagna le parole «tranvie e linee automobilistiche» – le seguenti altre: «di interesse regionale».

La modifica è richiesta dal bisogno che in un testo di legge siano usate le stesse parole per esprimere lo stesso concetto. Ora, le parole «di interesse regionale» sono appunto usate nello stesso secondo comma a proposito della viabilità degli acquedotti e dei lavori pubblici.

Ho chiesto ancora che siano soppresse – sempre nel secondo comma – le parole: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale o su quello di altre regioni» che si leggono dopo le parole «acque pubbliche ed energia elettrica». La ragione di questo emendamento soppressivo è stata già da me indicata in altra occasione ed è stata trovata giusta, se ho ben compreso, dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.

Ho chiesto, infine, che siano aggiunte – nel ripetuto secondo comma – alle parole «Agricoltura e foreste» le seguenti altre: «Assunzione e gestione diretta di pubblici servizi».

È noto che le Provincie sono attualmente autorizzate all’assunzione ed alla gestione diretta dei pubblici servizi, in massima parte con le stesse regole, che riguardano le assunzioni dei servizi da parte dei Comuni. I servizi provinciali più importanti sono i seguenti: costruzione ed esercizio di linee tranviarie, di reti telefoniche, produzione e distribuzione di forza idroelettrica, tenuta di essiccatoi di granturco, di semenzai, di vivai di viti e di piante fruttifere.

Io penso che sia opportuno che tutta questa materia rientri nei limiti dell’attività normativa della Regione.

PRESIDENTE. L’onorevole Marchesi ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere nell’elenco delle materie: Istruzione artigiana e tecnico professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

MARCHESI. Onorevoli colleghi, ritengo che a fare inserire le scuole artigiane e tecnico-professionali nella materia soggetta al potere normativo della Regione abbia contribuito una imperfetta valutazione di quelle scuole, e nello stesso tempo l’erronea persuasione che nel quadro del territorio economico soltanto la Regione sappia indicare le attività le quali devono essere particolarmente stimolate e addestrate di fronte ad uno Stato che si presume ignorantissimo delle esigenze della produzione locale.

A me pare sia questo argomento di grande riflessione, perché le scuole professionali tecniche ed artigiane non sono da meno delle altre scuole. Anzi io penso che alla istituzione e all’incremento di queste scuole è legata la sorte del popolo italiano.

Mentre le scuole medie e superiori accolgono la folla enorme e crescente degli spostati destinati alla disoccupazione, all’accattonaggio e all’intrigo, soltanto queste scuole artigiane e tecnico-professionali potranno venire in soccorso immediato del popolo nostro a cui resta massima, anzi unica ricchezza la propria capacità di lavoro.

L’Italia non ha bisogno di dottori, i quali in minima parte oggi sono degni di questo nome, sceso in tanta degradazione. L’Italia ha bisogno di artigiani, di operai qualificati, i quali hanno sempre reso onore al buon nome del nostro Paese. Le Regioni potranno istituire nuove scuole che lo Stato potrà rendere proprie; potranno le scuole esistenti arricchirsi di nuovi locali, di nuovi corredi, magari di nuove funzioni, ma non essere gli unici enti autorizzati a istituirli.

Certamente, vi sono Regioni nell’Italia del nord e centrale fiorenti di industrie, con larga disponibilità finanziaria, capaci di promuovere e di mantenere in floridezza le scuole professionali ed artigiane; ma altre Regioni sono in ben diverse condizioni, né solo per penuria di denaro, ma per penuria di buona volontà.

Non voglio recare onta a nessuna contrada d’Italia. Cosa vecchia e risaputa è la piaga dell’analfabetismo del Mezzogiorno; e un deputato – che fu onore della Sicilia e decoro del Parlamento italiano, Vincenzo Giuffrida, assai noto all’onorevole Nitti – in un discorso memorabile, ricordava ai suoi elettori di Catania, che non il popolo del Mezzogiorno era nemico dell’istruzione e della scuola, ma nemici dell’istruzione e della scuola erano gli enti locali, municipi, provincie, favoriti in questo malvolere ed in questa inerzia dalla inerzia dello Stato: perché la Sicilia è stata oppressa e danneggiata, si dice, dal Governo centrale, ma essa è stata, prima di tutto e più di tutto, oppressa dai siciliani. E quando l’analfabetismo sembrò attenuarsi nelle contrade del Mezzogiorno, questo non si dovette a provvidenze locali o statali, ma si dovette a quei contadini siciliani che nelle calate del porto di Napoli, sotto enormi sacchi, laceri e stanchi, si avviavano emigranti verso l’America, dove trovavano lavoro e quel poco di cultura che la terra nativa loro negava.

Ritengo dunque che queste scuole, destinate per qualche decennio ad assicurare al popolo italiano il lavoro e il decoro, devono essere mantenute sotto gli ordinamenti e la amministrazione dello Stato.

Onorevoli colleghi, ho finito. Se in Italia fossimo sicuri dell’applicazione rigorosa delle leggi, comprese le leggi costituzionali, io avrei paura di questo progetto di autonomia regionale. Molti di voi ritornerete nella prossima Assemblea legislativa. Ma quando da costituenti vi sarete trasformati in legislatori, vi accorgerete che cosa sia questo progetto che si sta ora votando con due, con quattro, con dieci e magari con quaranta voti di maggioranza.

MICHELI. Perché non ce ne dà di più lei, di voti di maggioranza?

PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Bozzi:

«Nel secondo comma sopprimere le parole: ed enti amministrativi».

L’onorevole Bozzi ha facoltà di svolgerlo.

BOZZI. Onorevoli colleghi, io ho proposto, nella prima voce delle materie indicate in questo articolo, la soppressione delle parole «ed enti amministrativi». La prima voce dice: «Ordinamento degli uffici ed enti amministrativi della Regione». La ragione di questo mio emendamento soppressivo probabilmente sta nel fatto che non sono riuscito a cogliere esattamente il significato di questo inciso «ed enti amministrativi». Mi domando: si vuol dire ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione? Ciò che regge il concetto fondamentale è «l’ordinamento», ovvero si tratta di due cose distinte? Ossia la competenza della Regione si estende tanto all’ordinamento degli uffici della Regione quanto agli enti amministrativi? Quindi penserei che la prima cosa che sia da fare è quella di chiarire, perché non possiamo discutere là dove vi è ragione di dubbio e di incertezza sulla interpretazione. Cosa sono poi gli enti amministrativi della Regione? L’espressione «enti amministrativi» non è la più consueta nel linguaggio della legge e della dottrina. Si usa parlare di regola di «enti pubblici»; anche come proprietà di linguaggio, inserire una parola che non è familiare, può creare una ulteriore ragione di incertezza, che si deve eliminare. Ma se l’interpretazione è nel senso che la Regione può emanare anche norme circa l’ordinamento degli enti amministrativi, mi domando: quali sono questi enti? Le Provincie e i Comuni? Direi di no, perché di Provincie e di Comuni si parla nella seconda voce della elencazione. E se fossero Provincie e Comuni, non capisco perché si debba attribuire alla Regione la potestà di dettare norme di ordinamento di questi enti autarchici. Noi abbiamo mantenuto la Provincia come ente autarchico, alla pari dei Comuni; sottrarre alla autonomia della Provincia e del Comune, che oggi hanno la possibilità di dettare appunto quelle norme che reggono i loro uffici, la loro struttura, le loro funzioni, è una stortura giuridica. Quelle norme rientrano nei poteri di autonomia di ogni ente pubblico. Desidererei, soprattutto, adunque, un chiarimento. Si tratta, invece, che la Regione può stabilire norme sugli enti pubblici? La cosa non è meno grave. Vi rendete conto che l’ente pubblico ha una somma di poteri; il concederli e il disciplinarli deve competere solo allo Stato. L’ente pubblico non è soltanto l’ente pubblico della Regione. Che cosa vuol dire «della Regione»? Questa particella «della» che cosa significa? Quale legame di pertinenza denota con la Regione? È un ente pubblico che sta nella Regione o un ente pubblico della Regione, considerato cioè come ufficio, come organo della Regione?

Tutto ciò non è chiaro. È meglio toglier via la frase.

PRESIDENTE. L’onorevole Bernini ha presentato il seguente emendamento:

«Nell’elenco delle materie, sopprimere la voce: Scuola artigiana».

«Sopprimere la voce: Urbanistica».

«Sopprimere la voce: Istruzione tecnico-professionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

BERNINI. Onorevoli colleghi, già parecchi colleghi hanno proposto prima di me che l’istruzione artigiana e l’istruzione tecnico-professionale siano tolte dall’elenco delle materie di competenza della Regione.

Io vi prego di una qualche benevola attenzione ai pochi argomenti, che intendo aggiungere a quelli già svolti dai colleghi.

Se non sbaglio, anche l’onorevole Zuccarini ha riconosciuto che l’istruzione elementare e la media devono essere tolte dall’elenco delle materie di pertinenza della Regione. In questo credo almeno che debba essere lodato il nuovo testo proposto dalla Commissione. In realtà, se si fosse insistito a proporre che le istruzioni elementare e media dovessero essere, in una forma o nell’altra, di pertinenza della Regione, il nostro dissenso sarebbe stato totale, assoluto. Ora, io non ho nessuna specifica competenza per giudicare sulla maggior parte delle voci proposte come di potestà della Regione. Bisogna che se ne occupino i tecnici. Io spero che, prima di passare alla votazione, i tecnici, che ci sono qua dentro, si esprimano su ciascuna delle materie.

Tuttavia, credo di poter affermare che qualcosa di netto, di preciso separa tutte queste materie dalle altre.

Ritengo che la cultura e la scuola siano materie nelle quali non sia possibile stabilire compartimenti stagni. La scuola e la cultura non possono seguire che una legge di circolarità; sono come il sangue nelle vene, il quale deve circolare: se il sangue si arresta, il corpo muore.

Io ammetto senz’altro che la scuola artigiana, più delle altre, deve adattarsi alle condizioni locali. Ma dal dire questo al credere che il toccasana sia nel fare dirigere queste scuole semplicemente da gente del luogo, al credere che queste scuole si potenzino se si recide ogni collegamento o coordinamento, ci corre. Del resto, ciò è contraddetto dall’esperienza di molti anni.

Voi sapete, onorevoli colleghi, che le scuole artigiane, le quali sono sorte spontaneamente nei vari paesi, dopo l’unificazione del regno d’Italia, dal 1861, attraverso un processo continuo hanno cercato di essere assunte dallo Stato; è un processo naturale. Quello che noi vorremmo adesso è un processo inverso.

Così avviene anche – permettetemi che divaghi un momento – per altra voce, che è stata introdotta in modo molto curioso.

Nel progetto si attribuiscono alla Regione i musei e le biblioteche di enti locali. Io penso che se le Regioni vogliono i musei e le biblioteche degli enti locali, lo Stato non ha niente in contrario. Se li tengano pure. Nessuno vorrà toglierli. Ogni giorno c’è questo tentativo dei musei e delle biblioteche degli enti locali, di passare alle dipendenze dello Stato. Quindi, attribuire la competenza sui musei, e sulle biblioteche agli enti locali è una vera ingenuità. Nessuno vuole minacciare questa autonomia. Naturalmente, lo Stato, il quale sulle biblioteche degli enti locali non ha mai avuto nessun potere, potrà interessarsi, perché una biblioteca non possa vendere all’estero qualche manoscritto prezioso perché una quadreria locale non possa barattare o vendere un quadro celebre.

Ma il centro della questione mi pare questo: la scuola artigiana non è, come forse credono quelli che hanno fatto queste proposte, la scuola della bottega. La scuola della bottega è un’immagine letteraria che va scomparendo ogni giorno. Neppure nel Medioevo, il tempo aureo della scuola artigiana, ci fu questa tecnica chiusa. Chi conosce la storia della tecnica, sa benissimo che anche al tempo del Medioevo ebbe uno sviluppo non solo nazionale, ma perfino internazionale. Basta pensare ai maestri Comacini, agli Antelami, ai Cosmateschi, ai maestri francesi, che hanno lavorato validamente alla costruzione delle nostre cattedrali romaniche. Se la scuola artigiana dovesse coincidere con la bottega, tanto vale che non si facessero scuole e si continuasse ancora col metodo tradizionale dell’imparare il mestiere nella bottega stessa. Ma in verità lo sviluppo della grande industria, la fabbricazione in serie, l’uso delle materie prime dei paesi lontani, la pianificazione alla quale dovremo arrivare anche in questo campo, imporranno nella vita di domani in modo tale che questa tecnica diventerà sempre meno locale.

I grandi complessi industriali sparsi in tutta Italia spostano già i loro operai specializzati da Regione a Regione. Delle fabbriche che risiedono a Milano hanno succursali che si trovano a Napoli e a Firenze, e già fin d’ora vi sono molti operai specializzati che passano da una Regione all’altra. Come potrà avvenire questo, se ogni Regione potrà regolare a suo modo con programmi, con metodi di insegnamento, con tecnica questa materia così importante? Di tali inconvenienti mi pare che si sia accorto il nostro collega onorevole Zotta, quando ha proposto quella aggiunta «in armonia con gli interessi delle altre Regioni». Ma in realtà all’onorevole Zotta vorrei domandare: ma chi promuoverà ciò, se non lo Stato?

Allora voi mi direte: vogliamo lasciare la scuola artigiana nelle condizioni presenti? Oh no!

La scuola odierna di avviamento al lavoro, che sarebbe la più vicina alla scuola artigiana, è in condizioni terribili in Italia. Forse parecchi di voi lo sanno. Le scuole di avviamento agrario, quelle di cui l’Italia ha più bisogno, sono oggi interamente disertate nel nostro Paese.

Io, provveditore agli studi, ne ho chiuse delle decine, perché non c’erano frequentatori. C’erano scuole che avevano due o tre alunni ed allora, per forza, bisognava chiuderle. E perché avviene questo? Avviene per queste ragioni:

1°) per una ragione che è stata detta con molta eloquenza dall’onorevole Marchesi, perché gli italiani hanno tutti la mania di mandare i loro figli agli studi che creano degli spostati;

2°) perché queste scuole non corrispondono praticamente allo scopo; perché il contadino si accorge che in realtà suo figlio non impara affatto a innestare la vite, meglio di quanto non sappia fare lui, con la sua tecnica millenaria.

Ma credete voi che un ordinamento regionale rimedierebbe a tutto ciò? No, certamente, perché non si toglie nessuno degli elementi di fatto, non si toglie la mania di andare verso le professioni, e non si toglie nemmeno l’incapacità all’insegnante di insegnare la materia che dovrebbe insegnare.

Ed allora, qual è il rimedio, secondo me? Il rimedio non è l’autonomia, non è il regionalismo. Il moto deve, sì, partire dalla base, non dal centro, ma il centro deve controllare, deve coordinare, deve dare le direttive, con la cooperazione delle parti.

In pratica si dovrebbero costituire degli enti misti, di dirigenti centrali e di rappresentanti delle parti, come, del resto, in qualche campo è stato fatto. E, badate, che questo in Italia c’è già. In Italia, gli istituti industriali hanno già una certa autonomia amministrativa, hanno una personalità, hanno consigli di amministrazione presieduti da esponenti di attività economiche locali. Non c’è altro, a mio parere, che procedere per questa strada.

E passo ad un argomento più importante ancora, che è quello dell’istruzione tecnico-professionale.

Naturalmente, se sono del parere che l’autonomia non debba essere data nel campo dell’istruzione artigiana, tanto più lo sono per l’istruzione tecnico-professionale. In questo campo bisognerebbe porsi il problema nella sua concretezza. Ora, la Regione dovrebbe avere la potestà di «emanare norme legislative nei limiti delle direttive generali stabilite dalla legge», ma nel concreto, riferendosi a queste scuole, quali facoltà si dovrebbero dare precisamente? Vorrei esaminare la cosa con voi, brevissimamente.

Programmi? Si può dare la facoltà alla Regione di stabilire i programmi degli istituti tecnici? La risposta è chiara. Esami, ordinamenti interni, numero di anni di scuola, materie? È impossibile. È impossibile, finché i diplomati di una Regione avranno il diritto di poter andare nelle altre Regioni e accedere negli uffici, ed allora che cosa resta? Resta lo stato giuridico degli insegnanti, resta l’ordinamento del personale, ma anche per questo non si può dare la competenza alla Regione.

Voi non potete pretendere domani di costringere l’insegnante a restare nell’interno della stessa Regione. Finché l’Italia sarà una Repubblica unitaria, sarà sempre lecito ad un professore di una scuola tecnica, per ragioni di famiglia, di essere trasferito fuori dalla sua Regione.

Resta infine, e questa è l’unica cosa che si possa realizzare, che la Regione possa indicare il luogo e il carattere dell’attività della scuola industriale, ma entro certi limiti. A mio parere, la Regione deve proporre allo Stato sia l’ubicazione della scuola, sia la qualità della scuola. Lo Stato, poi, con enti formati in parte da suoi rappresentanti ed in parte da rappresentanti elettivi o della Regione o della Provincia, dovrebbe decidere. Non c’è altro modo per uscire da una situazione di questo genere. Noi siamo d’accordo che l’istruzione pubblica, com’è oggi, così accentrata, è senza respiro e aderenza al reale, ma io credo sinceramente che il sistema regionale renderebbe il male di gran lunga maggiore.

In realtà, che cosa è oggi la scuola tecnico-professionale?

PRESIDENTE. Onorevole Bernini, tenga conto del tempo, la prego.

BERNINI. Domando scusa. La mia voce, risuona assai di rado qui dentro.

Penso, onorevole Presidente, che non l’autorità mia, ma l’importanza della materia da svolgere, mi consenta di parlare per qualche altro minuto.

PRESIDENTE. Tutte le materie che si svolgono sono importanti, onorevole Bernini.

BERNINI. L’Istituto tecnico – lascio le esemplificazioni – ha molti corsi che portano all’Università. Ora veramente noi vogliamo dare alla Regione l’Istituto tecnico, che è una scuola di passaggio? In altri termini, lo Stato rinuncerebbe ad ogni e qualsiasi controllo su quelli che sono gli studi universitari.

TOSATO. Ma i principî fondamentali sono stabiliti dallo Stato, con norma costituzionale.

BERNINI. Ma cosa vuol dire questo? Appunto per questo l’Istituto tecnico, se è autonomo, potrà mandare tutti gli alunni che vuole all’Università. Mi spiace non poter continuare per mancanza di tempo.

Dunque, se oggi lo Stato centrale non riesce – ed io ne ho esperienza diretta – a resistere alle pressioni degli enti locali, per formare scuole inutili di ogni genere, quando questi enti locali abbiano i poteri per fare queste scuole, quale sarà la sorte della scuola italiana? Ora, il problema scolastico è di una gravità immensa. Se dovessi giudicare da quello che ho visto finora per le autonomie regionali già concesse, avrei di che essere spaventato. Permettete una esemplificazione. La Val d’Aosta ha competenza amministrativa sulle scuole elementari e medie. Il Provveditore agli studi di Aosta è scomparso. Lo statuto della Regione siciliana concede legislazione esclusiva in materia di scuole elementari, musei e biblioteche, accademie e legislazione concorrente in materia di istruzione media e universitaria. La Sardegna, attraverso la Consulta regionale, propone niente meno potestà legislativa per l’istruzione tecnico-professionale e anche in materia di urbanistica, legislazione concorrente per l’istruzione elementare, media e superiore, per l’ordinamento universitario e per le belle arti.

Una voce al centro. Anche in materia di scuole elementari?

BERNINI. Purtroppo anche per le elementari, per quanto mi consta. Ora mi domando quale sarà la potestà che si vorrà dare alla Regione del Friuli e della Venezia Giulia, che ci è sorta di colpo davanti. Non vorrei offendere alcuno, ma mi auguro che in una materia così grave non si scherzi. (Commenti al centro). Quello che ho detto sulle autonomie sono fatti, ed io ho letto solo i testi delle autonomie, come non sono pervenuti. Io dico che queste autonomie, così contraddittorie le une con le altre, che non hanno un fondamento ben preciso, non dànno garanzia di serietà, né dimostrano molta meditazione in coloro che le hanno fatte. (Rumori al centro).

In conclusione, io propongo che la scuola tecnico-professionale e la scuola artigiana siano tolte dalle materie di pertinenza della Regione.

Naturalmente, domando anche che si voti per divisione.

PRESIDENTE. Questo lo chiederà al momento della votazione, onorevole Bernini.

BERNINI. Ancora due parole in materia urbanistica. Vi sono due colleghi democratici cristiani, gli onorevoli Di Fausto e Camposarcuno, i quali hanno presentato lo stesso emendamento. Questo dimostra che in molte cose è possibile andare d’accordo. Sull’urbanistica mi limiterò a leggere alcune righe di una relazione ufficiale fatta dal Ministro della pubblica istruzione e dal Direttore generale della pubblica istruzione. Ecco cosa dice la relazione: «L’urbanistica ha un’importanza che trascende gli interessi specifici della località dove essa può applicare, più o meno bene, i suoi principî. Ricorderemo come, sotto tutte le latitudini, sempre più si vada affermando la tendenza di valutare con maggiore comprensione e interesse i complessi problemi sociali connessi con l’urbanistica. Dovunque si cerca di inquadrare tutto il territorio nazionale in una visione organica e ad attribuire conseguentemente all’Amministrazione centrale un controllo generale sulle decisioni e sui progetti di importanza urbanistica».

Questo vi prego di tener presente, nei giorni in cui l’Italia deve ricostruire se stessa. (Applausi),

PRESIDENTE. L’onorevole Persico, ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse regionale e su quello di altre Regioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

PERSICO. Cercherò di essere brevissimo e di stare nei termini stabiliti dal Presidente.

Io avevo presentato un articolo che riassumeva in sé gli articoli 109 e 110. Per la prima parte c’è stato un voto, e non ci si può tornare sopra; per la seconda parte, avevo raggruppato in tredici punti le materie demandate alla potestà legislativa della Regione.

L’articolo proposto dalla Commissione in gran parte coincide quanto alle materie con quelle da me prescelte. Brevemente farò notare adesso le differenze. Però, vorrei far osservare ai colleghi, che hanno parlato finora, che essi sono caduti in un errore, perché ogni qualvolta hanno accennato ad una materia devoluta alla legislazione e all’ordinamento regionale, sono partiti dal presupposto erroneo che questa materia non competesse più allo Stato, cioè che lo Stato l’abbandonasse unicamente alla competenza regionale. Errore duplice: in primo luogo perché l’ordinamento regionale si svolge nei limiti delle direttive e dei principî generali stabiliti con leggi della Repubblica; in secondo luogo, perché la Regione interviene là dove vi sono manchevolezze dello Stato, e dove vi sono speciali condizioni ambientali che esigono speciale legislazione tecnica per una determinata Regione. Quindi, non è vero, per esempio, quanto osservava l’onorevole Bernini, che d’ora in poi la materia scolastica passerebbe alla Regione. La materia scolastica rimane allo Stato. Le Regioni faranno delle scuole di istruzione artigiana e tecnico-professionale, adempiendo a quella specifica funzione di sviluppare certe capacità tradizionali che in alcune Regioni si manifestano con forme squisitamente artistiche. Basti pensare ai vetri di Murano, ai pizzi di Burano, alle ceramiche umbre, ai ferri battuti di Perugia, ai coralli di Torre del Greco e a tante produzioni specializzate di altre Regioni dove esistono scuole artigiane, che non dànno vita a semplici botteghe artigiane, ma che. sviluppano industrie che hanno larga esportazione anche all’estero e che occorrerà che la Regione potenzii e renda sempre più perfette. Questo non vuol dire che lo Stato non debba mantenere le scuole tecniche e tutti i relativi ordinamenti, perché ciò non ha nulla a che vedere con le scuole artigiane o tecnico-professionali.

Così pure, per quanto riguarda l’osservazione che faceva l’onorevole Bozzi sugli enti amministrativi, forse c’è un piccolo equivoco perché l’ordinamento non riguarda soltanto gli uffici ma gli enti amministrativi regionali. Quali possono essere gli enti amministrativi regionali? Possono essere una quantità; tutti quelli che potranno essere creati dalla Regione, con specifiche funzioni artistiche, sanitarie, ospitaliere, ecc.; di tali enti regionali l’ordinamento è naturalmente di competenza della Regione. L’onorevole Fornara si preoccupava dell’assistenza sanitaria. Se la Regione coesiste con la Provincia ed è un nuovo gradino per arrivare allo Stato, se la Provincia si occupava prima di assistenza, ospitaliera, ecc. continuerà, ad occuparsene oggi. È un gradino intermedio che rimarrà alla Provincia, come si dice nell’articolo 112. D’altra parte, se la Provincia ha funzioni sanitarie ed ospitaliere, a maggior ragione deve averle anche la Regione. Non vedo perché l’onorevole Fornara si preoccupi di questo.

PRESIDENTE. Onorevole Persico, poiché ella non ha proposto che la Regione debba essere investita della funzione sanitaria, la pregherei di attenersi alla sostanza del suo emendamento.

PERSICO. Su questo punto sono d’accordo con l’emendamento proposto dalla Commissione.

PRESIDENTE. Ma lei deve svolgere il suo emendamento.

PERSICO. Vi sono dei punti sui quali non sono d’accordo; per esempio per quanto si riferisce alla viabilità, agli acquedotti, ai lavori pubblici di interesse regionale, ecc. il mio testo diceva: «di esclusivo interesse regionale». Io mantengo questa dizione.

Per quanto riguarda l’agricoltura e foreste, credo che non sia opportuno di mettere anche questa tra le competenze della Regione, per una ragione semplicissima: perché il Ministero dell’agricoltura e delle foreste regola per tutta Italia tale materia. Naturalmente esso potrà demandare, con leggi speciali, alla Regione, quelle particolari funzioni che esso crederà opportuno. Non credo, comunque, che la Regione debba costituire anche un ufficio di agricoltura e foreste e che ogni Regione debba avere un suo ufficio speciale. Si capisce che molte funzioni il Ministero dell’agricoltura dovrà e potrà demandarle alla Regione, ma sarà il Ministero stesso a fare questa divisione di competenza.

Non possiamo noi oggi, nella elencazione delle materie da attribuirsi alla potestà legislativa regionale, aggiungere anche l’agricoltura e le foreste. Con queste modificazioni, io accetto il testo della Commissione.

PRESIDENTE. L’onorevole Nobile ha presentato i seguenti emendamenti, di cui gli ultimi tre insieme con l’onorevole Preti:

«Sopprimere il comma 3°).

«Sopprimere il comma 9°).

«Nel comma 10°) sopprimere le parole: turismo ed.

«Sopprimere il comma 11°).

«Sopprimere il comma 12°).

«Sopprimere, nel comma 13°), le parole: porti e.

«Sopprimere il comma 15°).

«Sopprimere il comma 16°).

«Sopprimere il comma 19°).

«Sopprimere nel comma 7°), le parole: e tecnico-professionale.

«Sopprimere il comma 8°).

«Sopprimere il comma 14°)».

Ha facoltà di svolgerli.

NOBILE. Onorevoli colleghi, ecco che avviene ora quello avevo preveduto: si procede frettolosamente, con un’Assemblea stanca, ad un esame che avrebbe richiesto mesi di ponderazione ed anche vere e proprie inchieste. Con una discussione affrettata, di pochi minuti per ogni singola materia, si decide del campo legislativo delle Regioni, laddove qualcuna di quelle materie avrebbe richiesto, per una decisione ponderata, discussioni di intere settimane. (Commenti al centro).

La dimostrazione, la conferma della necessità di un dibattito profondo, esauriente, su ciascuna delle materie per le quali si vorrebbe riservare alla Regione la facoltà di legiferare, è data da questo fatto: basta che uno i dei nostri colleghi abbia competenza specifica su una data materia, perché egli si pronunzi senz’altro contro l’assegnazione di essa alla Regione, senza preoccuparsi affatto della posizione presa al riguardo dal Gruppo politico cui appartiene.

Questo fatto caratteristico prova che, quando si conosce profondamente una data materia, si vedono tutti gli svantaggi di abbandonare una legislazione nazionale per sostituirvi legislazioni regionali.

Avete sentito quello che ha detto poco fa l’onorevole Marchesi. Egli, con la sua indiscussa competenza, ci ha dimostrato che anche le scuole artigiane non si possono abbandonare alla potestà normativa delle Assemblee regionali. A me, che non ho una particolare competenza al riguardo, era parso che si potesse farlo, ed infatti questa voce è una delle poche delle quali non avevo proposto la soppressione; ma ecco che una persona competente trova gli inconvenienti che io non trovavo.

La stessa cosa può dirsi di altre materie, ad esempio dei musei e delle biblioteche degli enti locali. Anche qui, giudicando da persona che non conosce bene l’argomento, non avevo fatto obiezioni; ma un collega che si intende della questione, l’onorevole Bellusci, mi diceva testualmente l’altro ieri: «Dare alla Regione la facoltà di legiferare in questa materia sarebbe un’enorme bestialità: non si deve farlo». L’onorevole Bellusci appartiene, badate bene, a quel Gruppo repubblicano che è il più intransigente assertore dell’ordinamento regionale.

Questo vi prova che basta conoscere a fondo una data materia dal punto di vista tecnico, perché si veda l’assurdo di frazionare l’attuale legislazione unitaria in ventitré o più legislazioni regionali.

Prendete un altro esempio: l’urbanistica. Io, e con me, credo, tutti gli altri colleghi di questa Assemblea che non hanno una specifica competenza in proposito, ritenevamo si potesse senza danno riservarne la facoltà legislativa alla Regione. Ma ecco che un collega che ha in proposito un’alta competenza, l’onorevole Di Fausto, ci dice: «No». Eppure egli appartiene a quel Gruppo democristiano, che insieme col repubblicano, sostiene tenacemente in questa Assemblea l’ordinamento regionale.

Altri esempi ancora potrei addurre, come quello dell’assistenza sanitaria, che io lasciavo alla Regione, ma che colleghi, aventi una specifica competenza, intendono riservare allo Stato.

Queste cose ho voluto farvi notare, onorevoli colleghi, per dimostrarvi come sia necessario riflettere bene prima di decidere.

Ora, fra le altre materie che, stando al testo del Comitato, si dovrebbero riservare alla Regione vi sono anche le linee automobilistiche, le tranvie extraurbane, la viabilità, i lavori pubblici, ecc.

Permettetemi di dirvi che in questi argomenti ho qualche competenza, essendomene occupato per molti anni. Conosco i problemi dell’Amministrazione che ad essi si collegano, e perciò sono convinto che è assurdo voler stabilire che su di essi le singole Regioni possano differentemente legiferare.

Vi siete domandato che specie di legge potrebbe una Regione fare in tali materie? Se si tratta di una legge con cui si stanziano i fondi per l’esecuzione di una data opera pubblica, o si determinano i contributi che per quell’esecuzione dovrebbero dare i varî Comuni interessati, questa sì che si potrebbe lasciare alla Regione. Ma questo, più che legiferare, sarebbe amministrare, e sulla necessità di un largo decentramento amministrativo siamo tutti d’accordo.

Se invece con una legge si vogliono stabilire norme tecniche per la concessione o esecuzione di un’opera pubblica in genere, queste norme devono necessariamente avere carattere unitario per tutta la Nazione, e sono perciò di competenza dello Stato. Sarebbe veramente incomprensibile che, mentre oggi in tutto il mondo si va verso la standardizzazione di molte norme tecniche, e quindi verso una specie di legislazione internazionale, noi dovessimo procedere a ritroso sostituendo ad una legislazione unitaria ventitré diverse legislazioni regionali. Questo vale non solo per le leggi vere e proprie, ma, in certe materie, ad esempio il traffico stradale, perfino per la regolamentazione!

Vedete da voi stessi, onorevoli colleghi, come gli argomenti che adduco siano, nella loro semplicità, inoppugnabili. Si parla di viabilità, ma che cosa vorrebbe dire fare una legge sulla viabilità? Se si trattasse di decidere la costruzione di una strada, bene: si lasci pure alla Regione la facoltà di farla o non farla, sebbene anche a questa facoltà negativa avrei da fare serie obiezioni. Ma quando si tratta di stabilire le modalità con cui devono essere compilati i progetti per ottenere la concessione, o quando si tratta di stabilire la larghezza minima di una strada, o la sua pendenza trasversale nelle curve, o altre questioni tecniche di tal genere, è evidente che queste norme debbono essere oggetto di un’unica legislazione nazionale. Sarebbe assurdo ritenere che per esse vi possano essere differenti legislazioni regionali. (Proteste al centro).

Non vi sembrino eresie, egregi colleghi, le cose che vado dicendo. È un argomento che conosco. Se voi lo conosceste come me, sareste con me d’accordo. Nelle materie che ho citato la legislazione deve essere unica, come fin oggi è avvenuto. Molto spesso anzi occorrerebbe addirittura una legislazione internazionale!

Una voce al centro. Una cosa non esclude l’altra.

NOBILE. L’ordinamento regionale come voi l’intendete l’esclude, ed è per questo che ho proposto di sopprimere quelle voci dall’elenco delle materie sulle quali la Regione avrebbe facoltà di legiferare. Non ho bisogno di aggiungere altro: sono profondamente convinto – e con me tutti i tecnici che si occupano di queste materie – che è un assurdo voler dare alla Regione la potestà legislativa su di esse.

Vi è un punto di minore importanza, per cui ho presentato anche una proposta di soppressione: si tratta della facoltà che secondo il testo del Comitato avrebbe la Regione di modificare, a suo piacimento, le circoscrizioni provinciali. Francamente non comprendo come si potrebbe lasciare alla Regione questa facoltà, una volta che l’Assemblea ha deciso che la Provincia deve non solo essere mantenuta, ma anzi potenziata. Concedendo quella facoltà, la Regione potrebbe, ad esempio, deliberare la fusione di due Provincie in una sola. Se ponete mente che in media ogni Regione risulterà costituita di tre Provincie o poco più, verrete alla conclusione che la Regione potrebbe, di fatto, finire col sopprimere l’ente Provincia.

Altro non voglio aggiungere. Vorrei però esortare ancora una volta i colleghi a riflettere bene prima di votare. Concedendo alla Regione la facoltà di legiferare abbiamo, a mio avviso, commesso già un errore grave, del quale sicuramente ci pentiremo un giorno. Non aggraviamolo dando ora alla Regione facoltà di legiferare su materie per le quali è necessaria un’unica legislazione nazionale. Fra un anno ricorre il centenario dei moti che diedero inizio al Risorgimento e all’unificazione d’Italia. Dio non voglia che questo centenario debba celebrarsi in un’Italia che l’ordinamento regionale avrebbe sconvolto al punto da obbligare a ricominciare da capo l’opera dei nostri padri.

PRESIDENTE. L’onorevole Dugoni, insieme con gli onorevoli Tonello, Malagugini, Merlin Lina, Bernini, Tomba, Grazia, Barbareschi, Fornara e Pistoia hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere la voce: acque pubbliche».

Essendo presente, dei firmatari, l’onorevole Tonello, ha facoltà di svolgerlo.

TONELLO. Onorevoli colleghi, io non posso dire quali argomenti avrebbe svolto il primo firmatario di questo emendamento: l’ho firmato anch’io, perché l’ho riconosciuto giusto nella sostanza. Se c’è una regolamentazione infatti che deve essere nazionale, è proprio quella delle acque: perché andare a turbare una regolamentazione che è certamente fra le migliori d’Italia?

Io non sono un laudatore dell’onorevole Bonomi (Commenti); ma debbo riconoscere che la riforma Bonomi è importantissima.

Sento dire: si tratta delle acque regionali; ma le acque, onorevoli colleghi, non vanno per confine, come l’aria non va per confine! Far legiferare sulla distribuzione delle forze idriche fra Regione e Regione vuol dire andare incontro anche ad una quantità di liti fra le singole Regioni, specialmente adesso che per il trasporto dell’energia elettrica risultano irrilevanti i fini della Regione in confronto all’estensione dello sfruttamento dell’industria.

Quindi, se si vuole sviluppare l’industria idroelettrica, se si vuole utilizzare la forza idrica, perché creare l’ostacolo delle Regioni? È meglio lasciar libera questa materia com’è oggi, come si è fatto finora, perché queste grandi forze della natura non hanno imbrigliamenti di confine!

PRESIDENTE. L’onorevole Caronia ha presentato i seguenti emendamenti, corredati dalle firme anche degli onorevoli Dominedò, Avanzini, Adonnino, Aldisio, Cappi, Geuna, Di Fausto, Romano Antonio, De Maria, Borsellino e Codacci Pisanelli:

«All’articolo 109, sostituire il comma 6°) con il seguente:

«Igiene e sanità pubblica, beneficenza pubblica ed assistenza ospedaliera».

«Sostituire ai commi 7°) ed 8°) il seguente:

«Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, accademie e biblioteche, belle arti, antichità e musei».

«Sostituire il comma 11°) con il seguente:

«Comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali e fluviali ed aeree nell’interno della Regione e comunicazioni marittime fra porto e porto nella Regione stessa».

«Sostituire il comma 12°) con il seguente:

«Lavori pubblici d’interesse regionale».

«Sostituire il comma 13°) con il seguente:

«Porti, bacini di alaggio e di carenaggio».

«Al comma 18°) dopo la parola: interne, far seguire le parole: e territoriali».

«Sostituire al comma 21°) il seguente:

«Agricoltura e foreste, industria e commercio».

L’onorevole Caronia ha facoltà di svolgerli.

CARONIA. Sarò brevissimo, perché in gran parte quello che io avrei dovuto dire è stato già brillantemente detto dall’onorevole Zuccarini per alcuni emendamenti che sono uguali a quelli da me presentati.

Non vengo quindi a parlare dell’opportunità che sia estesa alla Regione la facoltà di legiferare, oltre che sull’agricoltura e foreste, sull’industria e il commercio.

Non mi fermo a parlare sulla questione riguardante le comunicazioni stradali, ferroviarie, lacuali, fluviali ed aeree, nei limiti della Regione; aggiungo soltanto che sarebbe opportuno riservare alla potestà legislativa della Regione le comunicazioni fra porto e porto della stessa Regione, specialmente per il piccolo cabotaggio.

E passo ai punti cui l’onorevole Zuccarini non ha accennato; in primo luogo all’istruzione pubblica.

Ho sentito che parecchi sono ostili a che alla Regione venga affidata l’istruzione pubblica, fino al punto da negare alla Regione anche la potestà di regolare l’istruzione artigiana e professionale, che ha carattere esclusivamente locale.

Io ritengo invece che sarebbe opportuno estendere a tutte le Regioni la competenza sull’istruzione pubblica di ogni ordine e grado. (Commenti). Sento delle esclamazioni di meraviglia, che non credo siano giustificate. Perché deve essere vietato alla Regione di legiferare sulle proprie accademie, sulle biblioteche, sui propri musei, sulle belle arti, sulle antichità; perché non deve regolare le proprie scuole? Quando abbiamo approvato il 1° comma dell’articolo 109, il quale stabilisce che la Regione può emanare norme legislative entro i principî generali stabiliti dalie leggi dello Stato, è più oltre giustificata la preoccupazione che l’indirizzo seguito sui problemi della scuola dalla Regione possa essere in contrasto con quello seguito dallo Stato?

La Regione può meglio tener conto dei bisogni e delle tradizioni locali, può più facilmente avvicinare la scuola al popolo, può meglio regolamentare la funzione della scuola con vantaggio proprio e della Nazione.

Insisto pertanto che anche questa materia sia compresa nella competenza della Regione.

Dirò brevemente sui lavori pubblici. Non trovo alcun motivo per cui i lavori pubblici di interesse locale non debbano essere di competenza della Regione. In che cosa questo potere della Regione può menomare le funzioni dello Stato?

Altro punto riguarda i porti. Perché la Regione non deve curare i propri porti, i propri bacini di alaggio e di carenaggio? La Regione non può che avere l’interesse di sempre meglio valorizzare i propri porti e da questo non può che venirne vantaggio allo Stato.

Il comma sulla pesca nelle acque interne è incompleto. Non avrebbe alcun valore per Regioni senza acque interne pescose, se non vi si aggiungesse le acque territoriali marittime.

Conchiudo ricordando le due principali finalità della riforma regionale. Una è quella di sempre più educare il nostro popolo all’autogoverno, di avvicinare il cittadino al Governo, abituandolo a trattare i problemi locali ed attraverso di essi comprendere anche quello dello Stato. L’altra è quella di spezzare la pesante corazza burocratica che paralizza la Nazione. Estendendo i poteri della Regione si alleggerisce la macchina burocratica centrale e si rende più agile la vita del Paese.

Il decentramento amministrativo, che parecchi onorevoli colleghi propugnano, porterebbe sì ad un più dannoso incremento della burocrazia. Insisto perciò perché il massimo di attribuzioni sia dato alla Regione, nella convinzione che da questo trarrà sicuramente vantaggio la nostra vita democratica e la nostra Nazione. (Approvazioni).

PRESIDENTE. L’onorevole Costa ha presentato il seguente emendamento:

«Alle parole: modificazioni delle circoscrizioni comunali, aggiungere: e delle denominazioni dei Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

COSTA. Ho un’osservazione di poco conto da fare. Premetto che non corrisponde alle mie simpatie che si attribuisca alla Regione la potestà di cambiare le circoscrizioni dei Comuni.

Nell’eventualità – però – che si voglia dare alla Regione un’attribuzione di questo genere, penso che bisognerebbe completare la disposizione dicendo che la Regione può disporre degli eventuali mutamenti di denominazione dei Comuni, perché se ciò non si facesse si avrebbe questa conseguenza, che la Regione ha potestà di modificare la circoscrizione dei Comuni; viceversa, quando si tratta di cambiare il nome di un Comune (e badate che ci sono Comuni che meritano il cambiamento del nome, perché per esempio Borgo Lodigiano si chiama Borgo del Littorio; San Felice del Molise si chiama San Felice del Littorio), occorrerebbe un decreto reale, secondo la legge comunale e provinciale (adesso del Capo dello Stato), sentito il parere della Deputazione provinciale. Sarebbe assurdo, quindi, che nei riguardi del cambiamento della denominazione del Comune permanesse la competenza speciale del Capo dello Stato; mentre la Regione avrebbe la possibilità di cambiare la circoscrizione dei Comuni. Dico, se l’articolo relativo a questo genere di attribuzione passa nella Costituzione, si tenga presente che vale la pena di completare la disposizione attribuendo alla Regione la potestà di modificare, oltre le circoscrizioni dei Comuni, anche le denominazioni degli stessi.

PRESIDENTE. L’onorevole Codignola ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l’articolo 109 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione generale dello Stato, che ne assicurino unicità d’indirizzo, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste, contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

CODIGNOLA. Gli onorevoli Marchesi e Bernini hanno fatto presenti, con la competenza e l’autorevolezza che tutti riconoscono loro, le preoccupazioni che da qualche parte si nutrono circa il problema della scuola. Devo dire che le medesime preoccupazioni nutrivo anch’io quando nel primitivo progetto della Commissione si parlava di istruzione elementare e media. Ma non posso continuare a nutrirle ora, dopo la nuova formulazione accettata dalla Commissione, per due ordini di motivi: anzitutto perché mi pare si sia dimenticato che la formula approvata ieri stabilisce esplicitamente che in tutte le materie di competenza regionale lo Stato si riserva di determinare i principî fondamentali della legislazione. In queste condizioni, francamente, non riesco a vedere quali pericoli ancora sussistano. Voi sapete che io ho combattuto una medesima battaglia per la scuola con gli onorevoli Marchesi e Bernini, ma in questo caso – ripeto – non riesco a capire quali pericoli vi possano essere se lo Stato si riserva i principî direttivi fondamentali in materia scolastica, secondo la formulazione già approvata del primo comma dell’articolo 109.

In secondo luogo, la materia scolastica di competenza della Regione è stata ora così ridotta, che ogni seria preoccupazione deve sparire. L’onorevole Marchesi mi deve dare atto che, in materia di scuola artigiana, è un’antica esigenza quella di avvicinare questa scuola il più possibile alle condizioni e ai bisogni locali. L’onorevole Bernini ha accennato poc’anzi alla connessione stretta fra scuola professionale e sviluppo industriale: lo sviluppo industriale, egli ha giustamente affermato, non ha e non può avere carattere regionalistico. Ma mi sembra che la sua osservazione non fosse del tutto pertinente, perché sta di fatto che ogni singola industria presenta caratteristiche sue proprie: ed è naturale, che quelle scuole che più sono connesse con quel particolare tipo di industria, non possano non avere, praticamente, una regolamentazione conforme alle condizioni in cui operano. E, poiché, ripeto, resta fermo l’indirizzo generale ed unico dello Stato, non riesco a vedere dove sia il pericolo. D’accordo nel respingere la competenza regionale in tema di istruzione tecnica, accetto, dunque, la proposta della Commissione per quanto riguarda l’istruzione artigiana e professionale.

Dovrei aggiungere qualche parola sull’urbanistica. Ho anch’io il testo della relazione del professor Bianchi Bandinelle Egli partì dal presupposto che l’urbanistica rientrasse fra la materia di competenza regionale esclusiva a norma del vecchio articolo 109, e in questo senso egli aveva pienamente ragione, perché l’urbanistica presenta oggi degli aspetti così generali che non sarebbe possibile affidarne alle singole Regioni la regolamentazione giuridica. Ma nella medesima relazione, il professor Bianchi Bandinelli proponeva che l’urbanistica venisse spostata dall’articolo 109 all’articolo 111: dando così chiaramente a vedere che, anche nel giudizio di un competente di primo piano, non esistevano fondate preoccupazioni nel caso che l’unità dell’indirizzo legislativo generale fosse garantita allo Stato.

Vorrei invece sottolineare, in altro ordine di questioni, il pericolo che l’autonomia regionale possa essere comunque accolta in materia economica. Bene ha affermato l’onorevole Einaudi: se l’autonomia politica è, indubbiamente, un passo verso la democrazia, l’autonomia economica significa nient’altro che autarchia, un passo indietro, dunque, non un progresso. Ecco perché sono decisamente contrario a conservare tra le materie di competenza regionale, come qualcuno ha ancora richiesto, l’industria e il commercio. Se l’industria e il commercio passassero alla competenza regionale, sia pure nella forma limitata che già si è stabilita, ciò importerebbe un serio arretramento ed un ostacolo allo sviluppo economico del Paese.

Ho poi indicato, nel mio emendamento, l’aggiunta di alcune materie, che non figurano nel progetto dell’articolo 109, particolarmente le licenze di esercizio; licenze che sono richieste per molteplici attività commerciali e industriali, sia per ragioni di pubblica sicurezza, sia per impedire i pericoli di una eccessiva concorrenza. Se c’è una materia in cui l’autonomia regionale possa servire a ridurre la burocrazia centralizzata è proprio questa materia, la quale non interessa minimamente l’organizzazione centrale dello Stato e può essere utilmente regolata nell’ambito della competenza della Regione.

Infine, io sarei molto cauto per quanto riguarda la materia delle acque pubbliche. L’onorevole Tonello ha testé espresso in proposito le sue preoccupazioni; preoccupazioni più documentate furono, a suo tempo, manifestate anche dall’onorevole Einaudi. In questa materia, a detta di tutti i competenti, la legislazione esistente è così complessa ed organica che l’Assemblea dovrebbe procedere con molta cautela nell’accettare la proposta inserzione delle acque pubbliche fra gli oggetti di competenza legislativa della Regione.

PRESIDENTE. Invito l’onorevole Ambrosini ad esprimere, a nome della Commissione il proprio parere sugli emendamenti.

AMBROSINI. Tutte le obiezioni che anche ora sono state fatte all’elenco delle materie indicate nel testo accettato dalla Commissione, a cominciare da quelle dell’onorevole Nitti, si riferiscono in sostanza, più che al dettaglio, alla questione di principio: se si debba o no creare la Regione. La risposta è semplice: quando l’Assemblea ha deciso che la Regione deve crearsi, non solo come ente amministrativo, ma anche come ente dotato della facoltà di emanare norme giuridiche legislative, la questione di principio non può riproporsi.

L’ora tarda consente solo brevi osservazioni riguardo a talune materie in discussione.

Circa la scuola, da parte di alcuni tecnici illustri ed appassionati, come il collega, onorevole professor Marchesi, è stata posta la domanda perché la Commissione ha fatto distinzione fra istruzione elementare, istruzione artigiana ed altre forme di istruzione. Non era possibile, credo, seguire un criterio rigido in questa come in altre materie. Se la Commissione ha ritenuto che alcuni determinati rami d’istruzione debbono attribuirsi alla Regione, ad altri no, ciò ha fatto in considerazione della natura specifica di quei determinati rami, quale principalmente quello dell’istruzione artigiana, dell’istruzione professionale, per cui l’insegnamento è opportuno che venga adeguato alle condizioni particolari delle varie Regioni. Non sarà superfluo ricordare che la Regione è chiamata ad emanare soltanto norme supplementari, complementari, che si inquadrano nei principî fondamentali stabiliti con legge dello Stato.

Per quanto riguarda la sanità, il collega onorevole Fornara ha accennato a pretese incongruenze ed ha richiamato il parere dei tecnici. Ma a tale parere si può contrapporre senz’altro il parere dell’onorevole Caronia, che sicuramente è uno dei tecnici più illustri. Né è, in ogni caso, a temersi che la situazione generale sanitaria ed igienica possa essere compromessa da emanazione di norme giuridiche regionali. Ciò è escluso dalla considerazione fatta poc’anzi che si tratta di norme subordinate, complementari.

Se poi si tiene presente la tendenza affermata da vari colleghi e, se non sbaglio, dallo stesso onorevole Fornara, che alla Regione si affidi soltanto la funzione amministrativa e non anche la legislativa, allora si potrebbe ripetere l’osservazione che già feci altra volta, che i pretesi eventuali inconvenienti derivanti dalla emanazione di norme giuridiche da parte della Regione potrebbero ugualmente derivare dall’esercizio della semplice funzione esecutiva. In sostanza l’opposizione al progetto si fonda su una prevenzione.

Basta richiamare la considerazione polemica fatta dall’onorevole Miccolis. Parlando della scuola anche artigiana e professionale, egli ha detto: la scuola ha importanza fondamentale, è del popolo, quindi non deve darsi agli enti locali. Ma che forse gli enti locali sono, rispondiamo, contro il popolo? Che forse può ammettersi che si crei una rappresentanza della popolazione regionale che non senta, come ognuno di noi e come tutta l’Assemblea nel complesso sente, la responsabilità gravissima anche per questa materia? È quindi evidente che si parte da un punto di vista pregiudiziale, da una prestabilita diffidenza verso gli enti locali e la Regione; diffidenza che non è giustificata e non è perciò accettabile. Un’ultima considerazione e finisco. L’Assemblea ha deciso di creare l’ente Regione. Ora, per essere logici, è necessario che lo faccia nascere vivo e vitale. Se procedesse invece a limitare le attribuzioni normative, legislative di questo ente nascituro nella misura proposta da alcuni colleghi e specie dall’onorevole Nobile, allora andrebbe quasi a sabotare la precedente risoluzione, annullandola effettivamente in modo notevole, tale – dobbiamo confessarlo con tutta franchezza – che molti di noi resteremmo perplessi di fronte ad un istituto siffattamente trasformato.

Sono queste le considerazioni per le quali la Commissione insiste sul suo progetto. Adottato il principio, stabilito con coscienza – e tutti abbiamo votato sicuramente con ponderazione e con coscienza acuita dal maggiore senso di responsabilità derivante dalla gravità e complessità della riforma – stabilito il principio che deve nascere l’ente Regione, è giocoforza che questo ente Regione sia dotato di un minimo di potere normativo necessario perché possa funzionare, secondo si è voluto che nascesse. Altrimenti si creerebbe in effetti una nuova entità inutile o inadeguata al raggiungimento degli scopi prefissati.

Egregi colleghi, nessuno di noi sicuramente vuole che nasca un homunculus; noi vogliamo che nasca una creatura viva e vitale. Perciò, concludendo, la Commissione vi prega, onorevoli colleghi, di seguirla approvando l’elencazione delle materie indicate nel testo che ha proposto. (Vivi applausi al centro).

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei sottoporre al Presidente e all’Assemblea un quesito, cioè se sia il caso di iniziare una votazione che è su 13 o 14 numeri ed una volta cominciata non si sa quanto tempo durerà, o se non sia invece più opportuno, dopo aver fatto la più ampia discussione della materia, rimandare alla prossima seduta in cui l’Assemblea si occuperà della Costituzione, le deliberazioni e non cessare se non quando sia esaurita questa materia.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini propone che la votazione sia rinviata alla prossima seduta dedicata all’esame della Costituzione, in maniera che possa essere portata alla fine.

Pongo in votazione la proposta.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di martedì prossimo, avvertendo che domani mattina si terrà seduta alle 10, per la prosecuzione della discussione del decreto legislativo che istituisce un’imposta straordinaria sul patrimonio.

Prego gli onorevoli colleghi di essere presenti data l’importanza dell’argomento all’ordine del giorno.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per sapere in base a quali disposizioni, per quali ragioni e per quale scopo si siano recentemente fatte indagini di indole politica sul conto dell’interrogante al proprio domicilio, in via Catalani n. 63, Milano, da un carabiniere e da un agente di polizia.

«Merlin Lina».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se – anche in relazione con gli incidenti di Venezia – rispondano a verità e ad esattezza le parole che la stampa ha riferito come da lui pronunziate al Collegio Romano la sera del 28 giugno.

«Malagugini».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’agricoltura e foreste, per conoscere se sono informati che il giorno 23 giugno una grandinata di eccezionale violenza si è abbattuta sulle campagne di San Paolo Civitate distruggendo prodotti valutabili per un paio di miliardi; quali provvedimenti urgenti intendano adottare per sollevare dalla miseria e dalla disoccupazione provocate dal sinistro, per prevenire ed evitare possibili agitazioni.

«Miccolis».

«Ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e del tesoro e dell’agricoltura e foreste, per sapere quali provvedimenti hanno preso o intendano prendere per venire incontro agli impellenti e improrogabili bisogni della industre popolazione di San Paolo Civitate, in provincia di Foggia, composta di piccoli viticoltori, olivicoltori e braccianti, dopo lo spaventoso nubifragio, con forte grandinata, del 23 giugno ultimo, mai visto simile, che ha provocato danni per oltre due miliardi alla campagna e la miseria più nera a quei piccoli coltivatori diretti, che non potranno più raccogliere per altri diversi anni, ed ha aggravato la disoccupazione esistente.

«Recca».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere perché non si è ancora provveduto ad indire, a norma dell’articolo 280 del testo unico 4 febbraio 1915, n. 148, della legge comunale, le elezioni suppletive nel comune di Cariati (provincia di Cosenza), dove il Consiglio comunale ha perduto da circa un anno più di un terzo dei suoi membri.

«Priolo».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Non potrò rispondere alle interrogazioni che mi riguardano nella seduta di lunedì prossimo, dovendo recarmi a Parigi. Interesserò tuttavia la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché un altro membro del Governo, al quale fornirò i necessari elementi, possa rispondere lunedì stesso.

Interesserò del pari gli altri Ministri interrogati affinché precisino quando intendano rispondere alle interrogazioni ad essi dirette.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha fatto conoscere che risponderà nella seduta di mercoledì, 9 corrente, all’interpellanza presentata dall’onorevole Li Causi e da altri deputati sulla situazione in Sicilia.

Porrò, pertanto, questa interpellanza all’ordine del giorno della seduta mattutina di mercoledì prossimo.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere:

1°) il valore dei finanziamenti e delle materie prime concessi ad industriali dalla Repubblica di Salò;

2°) quale azione il Ministero ha intrapreso dopo la liberazione ai fini di accertare l’entità dei crediti dello Stato e l’entità dei profitti realizzati dagli industriali attraverso l’utilizzazione di tali materie per prodotti di pace a prezzi non controllati;

3°) quali risultati sono stati ottenuti dall’azione della finanza.

«Lami Starnuti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dei trasporti e della marina mercantile, per sapere se non ritengano doveroso riparare a una grave ingiustizia che si è creata ai danni del porto di La Spezia, col decreto del Capo provvisorio dello Stato 3 aprile 1947, n. 372 – Gazzetta Ufficiale n. 120 – riesumando il decreto-legge n. 1266, del 24 luglio 1938, in base al quale si concedeva la riduzione del 50 per cento sulle tariffe ferroviarie delle merci da e per la zona industriale apuana per distanze superiori ai 50 chilometri (con esclusione perciò del porto di La Spezia, distante da Apuania 35 chilometri).

«Tale esclusione, che parve anche allora ingiusta e fu attribuita a protezionismo di gerarchi per il porto di Livorno, era però in quei tempi tollerabile, poiché la vita economica di La Spezia aveva altri alimenti che la guerra ha poi spaventosamente colpito.

«Quindi gli interroganti, ben lontani dal desiderare che siano soppresse le facilitazioni ripristinate a favore della zona industriale apuana, chiedono solo che tali facilitazioni non costituiscano un ingiusto danno per il porto di La Spezia, e che quindi anche per le merci da e per il porto di La Spezia dirette o provenienti dalla zona industriale apuana venga applicata la stessa riduzione del 50 per cento, anche se tale porto dista da Apuania meno di 50 chilometri.

«Gotelli Angela, Guerrieri Filippo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se non ritenga opportuno estendere agli operai agricoli, specialmente se addetti alle operazioni di mietitura e trebbiatura, il beneficio dell’assegnazione del grano necessario al consumo famigliare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Braschi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, perché sia data assicurazione circa la minacciata chiusura del passaggio a livello di via Vesuvio da parte della ferrovia Circumvesuviana, che è l’unica arteria di comunicazione fra Trecase e Torre Annunziata.

«Giova tener presente il grave scontento di quelle popolazioni per questo provvedimento inutile e dannoso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere per quali motivi non si sia ancora provveduto alla aggregazione della frazione Trecase, ora facente parte del comune di Boscotrecase, a Torre Annunziata, esaudendo il voto unanime di quella popolazione, la quale, in segno di aperta protesta per tale trattamento, nocivo delle sue aspirazioni e dei suoi interessi, nelle elezioni amministrative del 15 giugno ultimo scorso nel comune di Boscotrecase si è quasi totalmente astenuta dalla votazione, essendosi recati alle urne solamente 49 votanti su 3360 iscritti.

«L’invocato provvedimento è in relazione all’assoluta necessità di vita della frazione Trecase, che ha riflesso nel grande centro industriale di naturale sbocco dei prodotti agricoli della frazione Trecase e della mano d’opera locale, che trova lavoro negli stabilimenti e negli uffici pubblici e privati della predetta città. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, premesso:

che con circolare n. 139900/121.4.1, in data 25 giugno 1943, del Ministero della guerra, gli uffici amministrativi, istituiti presso i comandi di Corpo d’armata (ora comandi militari territoriali) con regio decreto-legge 28 settembre 1934, n. 1635, per l’esplicazione delle attività giuridico-amministrative decentrate, furono soppressi e le loro attribuzioni furono devolute agli uffici di contabilità e di revisione, che assunsero la denominazione di direzioni di amministrazione;

considerato che la soppressione degli uffici amministrativi fu illegale, non potendosi abrogare con semplice circolare ministeriale un provvedimento avente carattere di legge;

che con la devoluzione delle funzioni, già attribuite agli uffici amministrativi ed esercitate da funzionari forniti di specifica capacità, alle direzioni di amministrazione si creò uno stato di fatto contrario ai più elementari principî di una buona amministrazione, in quanto che si cumularono in uno stesso organo le funzioni di esecuzione degli atti amministrativi e di controllo sui medesimi;

si chiede:

  1. a) se sia esatto che lo Stato Maggiore dell’Esercito e le direzioni generali del personale civile, dei servizi di commissariato ed amministrativi, di artiglieria e della motorizzazione, rilevando l’illegalità e l’inopportunità del provvedimento, abbiano chiesto il ripristino degli uffici amministrativi;
  2. b) se sia vero che la Corte dei conti, la quale sembra ignorare la circolare soppressiva, con rilievo n. 246 del 14 maggio ultimo scorso abbia restituito tutti i contratti stipulati in materie decentrate dagli enti militari periferici perché siano sottoposti all’esame degli uffici amministrativi;
  3. c) se e quali provvedimenti il Ministro intende adottare affinché, in attesa dell’ordinamento definitivo delle Forze armate, abbia a cessare prontamente la situazione manifestamente illegale e che non garantisce una utile ed opportuna gestione del patrimonio dello Stato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carboni Angelo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, sull’opportunità di fissare entro il corrente mese di luglio i prezzi e le condizioni per la consegna del grano agli ammassi nel raccolto del 1948. Ciò per stimolare gli agricoltori a preparare il terreno ed a predisporre le maggiori superfici possibili per le prossime semine autunnali. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri della difesa e dell’agricoltura e foreste, perché si provveda a rendere sgombri e liberi per le coltivazioni agrarie i terreni che sono ancora occupati inutilmente, a due anni dalla fine della guerra, per depositi di residui. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Montemartini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere le ragioni per le quali la Commissione unica preposta all’esame delle pratiche degli esonerati politici non funziona più, nonostante che migliaia di pratiche istruite dalle Sottocommissioni giacciono al Ministero in attesa di esame definitivo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Musolino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se non creda opportuno, e in tal caso con quali provvedimenti, di correggere la grave ingiustizia derivata dalla applicazione letterale dell’articolo 7 del regio decreto-legge 20 marzo 1941, n. 123, riguardante il trattamento economico degli impiegati privati richiamati alle armi e caduti in prigionia.

«A detti impiegati, secondo l’applicazione letterale del suddetto articolo, l’Istituto della previdenza sociale ha corrisposto il trattamento economico che essi percepivano all’atto della cattura, per cui mentre il contributo percentuale incassato dall’Istituto per tale servizio è andato sempre aumentando in relazione agli aumenti verificatisi nelle retribuzioni, la erogazione alle famiglie degli impiegati in oggetto è rimasta ferma all’importo che aveva all’atto della cattura, con evidente e stridente ingiustizia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Camangi».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della difesa e di grazia e giustizia, per sapere (nella imminenza del terzo anniversario del crudele eccidio di Fossoli, che ha gettato nel lutto tante famiglie e ha coperto di infamia il nome tedesco) quale sia l’attuale situazione processuale dei responsabili materiali del crudele trattamento dei perseguitati politici detenuti in quel campo e dei successivi eccidi, responsabili già consegnati dalle autorità alleate a quelle italiane. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Gasparotto».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare l’Alto Commissario per l’alimentazione, perché comunichi le ragioni per le quali un ricorso straordinario al Capo dello Stato, depositato fin dal settembre 1946 dall’avvocato Comite Ermanno avverso il suo licenziamento dalla Sepral di Napoli, non sia stato ancora trasmesso al Consiglio di Stato pel prescritto parere, malgrado i reiterati reclami dell’interessato, né su di esso sia stato direttamente provveduto dalla Amministrazione che ne avrebbe riconosciuta in via definitiva la fondatezza.

«Conseguentemente, perché voglia compiacersi precisare se ritenga compatibile tale linea di condotta con la tutela dei legittimi interessi dei cittadini garantita dall’ordine giuridico e, qualora l’omissione sia dovuta a personale trascuratezza di dipendenti, se è quali provvedimenti intenda adottare a carico dei responsabili. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zotta».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario dell’alimentazione, per sapere;

perché il prezzo del latte alla produzione, che nell’aprile 1946 era di lire 28 al litro, è attualmente di sole lire 34, quando i costi dei fattori che concorrono a tale produzione hanno subito aumenti che vanno dal 92 per cento per la mano d’opera, al 140 per cento per il fieno, al 200 per cento per la crusca di assegnazione;

perché il latte che il produttore deve consegnare integro e genuino, cioè con un titolo non inferiore al 3 per cento di grasso, viene pagato a lire 34, mentre dopo le varie manipolazioni da parte della Centrale viene posto in vendita, con titolo di grasso dal 2 al 2,5 per cento, al prezzo di lire 60;

perché ai produttori dell’Agro Romano il latte integro e genuino viene pagato a lire 34 il litro, mentre la Centrale che per far fronte alle richieste dei consumatori deve acquistare altrove i due quinti del proprio fabbisogno, paga ai fornitori della provincia di Milano e di Cremona il latte titolato al 2 per cento al prezzo di lire 54,50 al litro ed a quelli di Frosinone a lire 49;

perché, mentre nelle altre provincie di Italia il prezzo del latte ha subito congrui aumenti, nella provincia di Roma si insiste a mantenere un prezzo di imperio che comporta per il produttore una perdita così grave da indurlo a liquidare o trasferire in altre provincie il proprio bestiame da latte con danno evidente al rifornimento normale di Roma. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scotti Alessandro».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dei trasporti, per sapere se intendono avviare nel prossimo esercizio la costruzione della ferrovia Napoli-Somma-Nola-Avellino, considerando che la Commissione istituita con decreto 4 luglio 1929, per lo studio del piano regolatore delle ferrovie da costruirsi in conto diretto dallo Stato, già nel 1931 l’aveva inclusa fra le linee da costruire con carattere di urgenza, e che l’opera si ravvisa oggi più che mai opportuna, necessaria ed indilazionabile, sia nel quadro delle provvidenze promosse per la valorizzazione del Mezzogiorno, sia per lenire la disoccupazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Scoca».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.5.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 4 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

 

 

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (Seguito della discussione):

De Mercurio                                                                                                    

Bonomi Paolo                                                                                                  

Vicentini                                                                                                          

Presidente                                                                                                        

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

La seduta comincia alle 10.

SCHIRATTI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Pera.

(È concesso).

Seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio. (14).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

È iscritto a parlare l’onorevole De Mercurio. Ne ha facoltà.

DE MERCURIO. Onorevoli colleghi, ho presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, interpretando le particolari necessità delle popolazioni dell’Italia meridionale, le quali risentiranno il maggior onere fiscale, che loro deriverà dal decreto istitutivo dell’imposta progressiva e proporzionale sul patrimonio, in rapporto specialmente ai criteri di valutazione in esso contenuti, che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, di cui è caratterizzata l’economia del Mezzogiorno, ritiene opportuno apportarvi quegli emendamenti che valgano a mitigarne gli effetti deleteri».

Ho proposto inoltre degli emendamenti ad alcuni articoli.

La Gazzetta Ufficiale del 29 marzo ha pubblicato il decreto legislativo n. 143 sotto il titolo: «Istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio».

Lo stesso decreto contempla anche l’istituzione di una «imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio».

Sarebbe stato perciò opportuno richiamare l’attenzione dei contribuenti anche su questo tributo straordinario, che dovrà essere assolto interamente entro il 1948, mentre sarà in riscossione anche l’imposta straordinaria progressiva.

Tutti noi ricordiamo che per la discussione in sede plenaria di tale decreto si volevano trascorrere in quest’Aula perfino le ferie pasquali.

Poi sono trascorsi tre mesi e solo da pochi giorni questo disgraziato decreto viene «per convalida» all’esame dell’Assemblea Costituente.

Altri oratori certamente con argomentazioni migliori e con forma più brillante hanno finora rilevato i suoi non lievi difetti, ed anche io, deputato meridionale, di quel Mezzogiorno che sarà il più duramente colpito da questa imposta, non intendo sottrarmi al dovere di porre in evidenza sia pure in modo sommario e sintetico quelle pecche che a mio giudizio sono particolarmente degne di rilievo e di emendamenti.

Non esito anzitutto a rilevare che una imposta patrimoniale progressiva o proporzionale che sia, nelle attuali condizioni del Paese, non uncinata al cambio della moneta, rappresenta una imposta immorale, che servirà solamente a buttare sul lastrico i piccoli e medi proprietari detentori di minima ricchezza, mentre darà il brevetto e le palme accademiche col riconoscimento tangibile di negative benemerenze a tutti coloro che nell’immediato periodo pre-bellico, durante la guerra e dopo, hanno accumulato sul sangue e sulle disgrazie del popolo italiano decine se non centinaia di milioni, e che oggi si godono in barba al fisco e alla legge in esame i loro non sudati risparmi, e in un prossimo domani, gavazzeranno in quelle modeste casette e in quei piccoli poderi che impiegati, artigiani, agricoltori, pensionati, ecc., dovranno alienare per far fronte alle richieste dell’agente delle imposte e dell’esattore.

Vedremo allora, a meno che lo Stato non voglia diventare l’amministratore quasi totalitario di questi beni, tutti i più esosi borsari neri lanciarsi all’acquisto di quegli immobili che onesti cittadini saranno costretti a vendere per pagare l’imposta.

Non ripeterò quanto già è stato detto da altri, specialmente in materia di cambio della moneta.

Ancora oggi, nonostante critiche più o meno interessate all’attuazione di questo provvedimento di giustizia sociale e perequazione tributaria, esso è ritenuto ancora attuabile, perfino da un ex Ministro delle finanze e del tesoro, l’onorevole Bertone che tutti conosciamo quale un tecnico di valore e soprattutto un galantuomo.

Per mio conto, rifacendomi a quanto in proposito venne da me già sostenuto fin dal 1943, confermo che il cambio della moneta è necessario e pienamente attuabile, sempre che il Governo abbia la buona volontà e la ferma decisione di attuarlo.

Passo quindi ad esaminare con la massima obiettività il decreto legislativo in parola.

Le cause che giustificano il provvedimento suenunciato nella sua integrità sono ovvie, e possono così riassumersi:

  1. a) mancata revisione e moderazione delle spese e tempestivo, rigido controllo delle medesime;
  2. b) omesso cambio della moneta, più volte preannunciato con conseguenze speculative, economiche, gravissime;
  3. c) indugio nell’adozione del provvedimento riflettente l’imposta progressiva sul patrimonio, per la cui attuazione integrale, equa e perequata, gli Uffici finanziari esecutivi, né hanno mezzi adeguati, né i funzionari addetti si trovano nella condizione di tranquillità economica che possa spronarli ad intenso lavoro;
  4. d) conseguenti indilazionabili necessità di Tesoreria.

Nell’impossibilità di intrattenerci in modo particolare sull’argomento, ci limitiamo a richiamare l’attenzione su quanto riteniamo meritevole di particolare esame.

Come è noto, l’imposta ordinaria sul patrimonio è applicata per «cespiti» e quindi prescinde dalle persone fisiche individualmente considerate, che abbiano la comproprietà del «cespite».

Ne consegue che lo straordinario tributo sarà dovuto anche da chi si trovi nella più ristretta condizione economica, cosicché, mentre per l’imposta straordinaria progressiva di cui al titolo primo del decreto è previsto il minimo di tre milioni di lire, per ogni persona fisica, che abbia anche poche migliaia di lire di patrimonio, non sfuggirà all’imposta straordinaria nella misura del 4 per cento oltre gli aggi, e ciò nella stessa misura proporzionalmente di chi abbia larghe possibilità.

Per le piccole proprietà, vediamo nel provvedimento l’applicazione di un cinico salasso tributario di cui il Governo avrebbe dovuto rendersi debito conto.

Per citare un caso, quello dei modesti impiegati e lavoratori a reddito fisso, in genere, che attraverso anni di sacrificio si procurarono una modesta abitazione.

Questi contribuenti, privi di risorse, nel volgere di pochi mesi dovranno soddisfare il debito d’imposta se non vogliono consentire all’esattore di far tesoro delle poche e sole masserizie di casa, essendo utopistici, irreali, ed iniqui i presupposti depositi in banca, nonché la proprietà di titoli e di gioielli.

Ove si pensi, poi, al modo con cui praticamente si è proceduto all’applicazione dell’imposta ordinaria sul patrimonio ed a quello col quale si stanno ora effettuando dagli uffici la rivalutazione dei fabbricati, tutto induce ad affermare che se lo straordinario tributo potrà giovare alla Tesoreria, esso sarà assolutamente sperequativo nei rapporti fra contribuenti ed anche vessatorio per i piccoli proprietari.

Sarebbe veramente illogico e contrario ai principî che debbono regolare l’applicazione dei tributi, la pretesa di applicare lo straordinario tributo di cui al titolo secondo su di una base che risaputamente non è perequata fra tutti i cittadini che vi sono tenuti.

Non è poi il caso di attenuare ai contribuenti, intendiamo piccoli e medi, che costituiscono il bersaglio del fisco di tutte le occasioni, la cognizione di quelli che saranno i loro effettivi oneri tributari, dovendosi considerare la coordinata applicazione degli articoli 29 e 68 del decreto-legge.

Infatti, per i patrimoni che non raggiungono i tre milioni di lire, si verificherà, non importa sotto quale titolo, l’applicazione dell’aliquota del 4 per cento stabilita dall’articolo 68 sui valori assoggettati all’imposta ordinaria, e poi per quelli da lire 3 milioni, oltre all’aliquota di cui all’articolo 29, si dovrà quella corrispondente all’imposta straordinaria di cui all’articolo 68. Per impedire le evasioni, per correggere le sperequazioni e gli indebiti gravami della ordinaria patrimoniale, il tributo del 4 per cento dovrebbe essere considerato in acconto della patrimoniale personale progressiva, diminuendo l’imponibile esente, onde pervenire ad una maggiore estensione nell’applicazione del tributo con corrispondente moderazione di aliquota se fosse possibile.

Un eventuale maggiore lavoro degli uffici non sussisterebbe, dato che le dichiarazioni sono obbligatorie da lire un milione e mezzo, e poi d’altra parte si moralizzerebbe la legge che, così com’è, costituisce una offesa al diritto del cittadino, nello stesso tempo che agevola i profittatori e gli evasori.

Cade qui a proposito rilevare che nutriamo fondati dubbi sulla attrezzatura da parte degli Uffici a esperire questo lavoro di mole ponderosa, il quale data la sua natura dovrà essere svolto con scrupolosità e meticolosa pazienza.

Tali dubbi sono, a nostro avviso, legittimamente fondati, se si consideri la dizione dell’articolo 75 del decreto. Ricordiamo che nel settembre 1944 si faceva presente al Ministro delle finanze la necessità di provvedere alla immediata riorganizzazione del personale degli Uffici esecutivi dell’Amministrazione finanziaria (non soltanto delle imposte dirette) ed alle provvidenze tutte relative a cominciare da quella per il suo stato economico. Ora, soltanto all’atto di promulgare il decreto 29 marzo 1947, viene richiamata dai Ministeri economici l’autorizzazione a tale fine, così che è dato di domandarsi:

Quale preparazione ha potuto fare l’Amministrazione finanziaria per essere in grado di assolvere il suo grave compito nell’applicazione del decreto sull’imposta patrimoniale? Come è mai possibile che un organo da formare, elementi da istruire ed addestrare in questo breve lasso di tempo possano corrispondere alle esigenze di una sana amministrazione, che vuole la massima sagacia ed avvedutezza, mentre ha anche il dovere di amministrare la giustizia dei tributi con consapevole equità ed equanimità?

In tali condizioni non sembra opportuno, considerato che il progetto di legge mentre disciplina l’azione delle Commissioni giudicanti, non prevede in alcun modo due altri generi di Commissioni, di istituire appunto quella dei tecnici, e quella di liberi cittadini che spronino e coadiuvino il fisco?

Se la legge agli articoli 75 e 76 prevede provvedimenti per l’organizzazione del personale, ciò significa che il personale fiscale non è preparato. Studiare, dunque, come gli uffici stessi e le Commissioni provinciali possano essere affiancate da elementi tecnici, consulenti legali (ragionieri e commercialisti) nominati da collegi di cittadini, commissioni che dovrebbero affiancare l’opera degli uffici.

Approfondendo lo studio del decreto 29 marzo 1947, relativo alla imposta progressiva sul patrimonio, il capo quarto – valutazione dei cespiti patrimoniali – ha richiamato particolarmente la nostra attenzione.

La legge deve contenere disposizioni tali che consentano di giungere alla determinazione di valori omogenei dei cespiti patrimoniali più diversi, onde perequare, quanto più possibile, l’onere tributario:

  1. a) valutando in base ai valori nudi dell’anno 1946, i terreni, le scorte relative, i fabbricati, le aziende industriali e commerciali ed i cespiti non specificati nel suddetto Capo IV;
  2. b) in base alla media dei prezzi di compenso del semestre 1° ottobre 1946 al 31 marzo 1947 le azioni, obbligazioni, cartelle del prestito ecc. quotate in borsa;
  3. c) in base alla valutazione, giusta la quale è stata effettuata la liquidazione dell’imposta di negoziazione per i titoli sopra indicati non quotati in borsa, nonché per le partecipazioni delle società assoggettate alla suddetta imposta.

Il temuto cambio della moneta, troppo frequentemente preannunciato, il diminuito valore di acquisto della lira, il timore di un eventuale inflazione e – d’altro canto – la necessità di trovare l’impiego alle ingenti somme accumulate nell’esercizio di attività industriali e commerciali, e nei traffici di ogni specie, determinarono, nell’anno 1946, una corsa agli investimenti in beni immobili, che è da ritenere non possano costituire elemento valido nella valutazione dei valori da prendere a base nella applicazione della imposta.

Per i terreni, specialmente in alcune zone particolarmente fertili e coltivate, i prezzi hanno potuto assumere proporzioni iperboliche, per le rendite addirittura fantastiche, conseguite da frutteti, vigneti, ecc., e per la mancanza di offerte di vendita sul mercato.

Se – quindi – non si vuole, o non si deve colpire la proprietà fondiaria oltre il suo valore effettivo, ragguagliato al momento in cui il mercato dei prodotti agricoli sarà normalizzato, i criteri di valutazione da adottare, non potranno non tenere conto di tali circostanze.

Per i fabbricati e porzioni di essi – particolarmente nei grandi centri urbani – i prezzi di mercato subirono nel 1946 influenze varie delle quali si dovrebbe tenere debito conto.

E proprio per tale motivo sarà più equo riferirsi alla media dei valori di un determinato periodo prebellico, rivalutati alla data corrente.

Inoltre, sia per i terreni che per i fabbricati, ma specialmente per questi ultimi, nella determinazione dei valori non dovrebbe essere estraneo il riferimento alle rendite rispettivamente realizzate nella presente situazione vincolistica.

Per la valutazione delle scorte, dei terreni agrari, se – come è dato ritenere – sotto questa voce si considerano le vive, le morte, i macchinari agricoli, ecc., non si comprende come vi si potrà giungere in modo razionale, dato che essa si effettuerà sulla base dei redditi imponibili agrari, quindi forfetariamente e presuntivamente, ponendosi su uno stesso piano le grandi, le medie, e le piccole proprietà terriere che non hanno, né possono avere dotazioni di macchinari, di attrezzi e di scorte in genere, le quali invece sussistono per ingenti valori, in molte delle medie, ma soprattutto nelle grandi proprietà. Non solo, ma deve rilevarsi che non poche delle piccole proprietà terriere ed anche delle medie si trovano in condizione di non disporre di scorta alcuna per la loro stessa natura e destinazione.

Sarebbe quindi opportuno che la dichiarazione di cui all’articolo 33 della legge contenesse la indicazione della composizione e dei valori delle scorte (bestiami, macchinari, attrezzi di qualunque natura, ecc.).

Lasciando la legge come è, si avrà un aggravio, per i valori che non esistono, per i piccoli e medi proprietari ed una ingiustificabile agevolazione a beneficio dei grandi proprietari, ma, nel complesso, a tutto danno dello Stato, che non colpirà chi più possiede.

È poi da notare che, a causa degli eventi bellici, procedendo forfetariamente, si incorrerebbe in errori anche gravi.

Ad evitare tutto ciò basterebbe inserire nella legge l’obbligo di descrivere nella dichiarazione i suddetti cespiti, mentre un eventuale ragguaglio ai redditi agrari potrebbe servire alla finanza come elemento di apprezzamento delle dichiarazioni. Per quanto poi concerne i fabbricati non si dovrebbe dimenticare un criterio di moderazione imposto della gravissima condizione in cui si trova la proprietà edilizia, a causa delle mancate manutenzioni e del regime vincolistico, e dalla considerazione che si è andato progressivamente compromettendo per tal fatto anche l’interesse della collettività, con una politica che ha anche allontanato i capitali privati dalla costruzione di nuovi fabbricati per abitazioni.

La valutazione delle azioni in base alle quotazioni di borsa del semestre 1° ottobre 1946 al 31 marzo 1947, non sembra affatto omogenea alla valutazione dei terreni e dei fabbricati, fino a che non siano state operate le rivalutazioni e siano in corso aumenti di capitali, che importano distribuzione di azioni gratuite, o semigratuite.

Finalmente, la valutazione delle azioni non quotate in borsa sulla stessa base accertata agli effetti della imposta di negoziazione per l’anno 1947, costituisce un’altra grave deficienza della legge, ai compilatori della quale è sfuggito il carattere personale e talvolta familiare di società costituite a soli fini fiscali, e la superficialità e sommarietà, con le quali si procede nella liquidazione della imposta di negoziazione.

Sempre soffermandoci sul Capo IV, il capitolo «valutazioni» offre ed impone largo campo di esame, perché è dalla valutazione idonea e perequata dei cespiti nella loro diversa specie, natura ed ubicazione (questa per quanto attiene i fabbricati), che dipende la equa distribuzione dell’onere patrimoniale tributario a cui i cittadini saranno sottoposti, e dei quali taluni (i proprietari terrieri, i commercianti, gli industriali) potranno riaversi con incremento di fecondo lavoro, mentre altri (i proprietari dei fabbricati) non avranno mezzo alcuno di ripresa economica, e dovranno affannosamente cercare i mezzi per fronteggiare l’imposta.

Secondo l’articolo 9 e seguenti, la valutazione è affidata alla Commissione Censuaria Centrale, la quale dovrà determinare i coefficienti relativi, tenendo presenti le zone economico-agricole per i terreni e scorte, e i Comuni, per i fabbricati. Tali coefficienti predisposti dall’Amministrazione, del catasto e dei servizi tecnici, saranno comunicati alle Commissioni Censuarie comunali e da queste a quelle provinciali con facoltà di far note rispettivamente le proprie osservazioni entro 30 e 90 giorni, così che è da prevedere che per sapere quali saranno i coefficienti definitivamente adottati dalla Amministrazione, non basteranno parecchi mesi.

La Commissione Censuaria Centrale stabilirà i coefficienti definitivi, ma non sarebbe inopportuno che tutte le Commissioni Censuarie Comunali e Provinciali conoscessero i coefficienti di tutte le zone, affinché esse fossero messe in grado di poter fare gli opportuni confronti.

Il concetto di riferire il valore dei terreni e fabbricati all’anno 1946 potrà anche essere accettato, ma a condizione che i coefficienti siano determinati sulla base di razionali considerazioni di estimazioni e non su arbitrari elementi, basati sulle poche contrattazioni verificatisi nell’anno a scopo speculativo, o di investimento, per evitare le conseguenze del cambio della moneta, o non subire l’alea del diminuire del suo potere di acquisto.

La valutazione dei terreni fatta sulla base di coefficienti, trova la sua giustificazione nella necessità di adottare un criterio di massima, ma poiché i coefficienti stessi si applicheranno ad elementi catastali base non aggiornati né determinati contemporaneamente, le più impensate sorprese si verificheranno per l’esistenza di diverse zone economico-agrarie anche nella stessa Provincia.

Secondo l’articolo 12, gli Uffici delle imposte procederanno alla valutazione dei terreni con i coefficienti indicati dagli articoli 9 e 11 applicati alle risultanze catastali, rimanendo così al contribuente come alla finanza il diritto di ricorrere tutte le volte che non sussista la corrispondenza fra risultanze catastali e situazioni di fatto.

Il contribuente potrà rapidamente esercitare il diritto di rettifica, ma dubbi e questioni possono sorgere nei confronti della finanza, non essendo ammesso che gli Uffici distrettuali possano rivedere gli accertamenti una volta modificati, essendo tale facoltà riservata soltanto alle Commissioni amministrative. Occorrerebbe, quindi, che gli Uffici procedessero alla valutazione secondo le risultanze catastali, ma con facoltà di revisione per non conformità allo stato di fatto ed anche per eventuali errori materiali di calcolo.

L’articolo 12, per quanto riflette la valutazione dei terreni, dovrebbe perciò essere modificato come appresso: «Contro la valutazione dei terreni eseguita dagli Uffici in base alle risultanze catastali ed ai coefficienti indicati negli articoli precedenti, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative per la non corrispondenza alle qualità di coltura risultanti dal catasto. D’altra parte gli Uffici potranno rettificare la valutazione dei terreni da essi effettuata, nel termine di un anno dall’eseguita notifica dell’accertamento, tutte le volte che le risultanze catastali non corrispondano allo stato di fatto e che si siano verificati errori di calcolo».

Un’altra osservazione: procedendosi nelle valutazioni – per quanto riguarda i terreni – per zone economico-agrarie, si cadrà facilmente in errore, se non si terranno presenti anche le particolari situazioni di fatto che, nelle singole zone, possono verificarsi e perciò è da prevedere una tale possibilità per le opportune provvidenze.

Inoltre, dalla valutazione dei terreni dovrebbero essere escluse tutte le costruzioni non destinate ai lavoratori o al ricovero di bestiame, per essere comprese specificamente nella dichiarazione di cui all’articolo 33.

Per quanto riflette i fabbricati il problema è non meno grave. Secondo gli articoli 9 e 10, si dovrebbero determinare i valori 1946 applicando alla «consistenza» dei fabbricati, coefficienti determinati dalla Commissione Censuaria Centrale in relazione alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano ai sensi del decreto 14 aprile 1939, n. 652, convertito in legge l’11 agosto 1939, n. 1249. Più considerazioni si impongono a questo riguardo.

Le categorie e classi di fabbricati determinati nel 1939 quali variazioni possono presentare od avranno potuto subire nel frattempo? Come potranno fare gli Uffici delle imposte, se non incorrendo in errori fantastici, ad applicare a tavolino coefficienti sulla base dei particolari del catasto urbano non aggiornati, né precisi, né provvisti dagli elementi tutti occorrenti per addivenire ad una ponderata determinazione di diversi valori attribuibili alle diverse parti di uno stesso fabbricato? In questi anni si sono fatte revisioni parziali dei redditi dei fabbricati, ma la incompletezza dei dati catastali, la non uniformità negli apprezzamenti, determinarono difficoltà assai gravi, dovendosi anche tener presente che la situazione di fatto può notevolmente essere modificata per cause le più diverse.

Occorre poi riflettere che la divisione dei fabbricati in categorie e classi, senza distinzioni nelle singole parti che li costituiscono e, cioè ad abitazioni di lusso e anche economiche, anche nello stesso fabbricato, ad uso industriale, o commerciale, senza poter fare poi i rispettivi apprezzamenti in base alle situazioni di fatto, sarebbe cosa del tutto errata e causa di sperequazione pregiudizievole.

Sarebbe quindi necessario che il penultimo capoverso dell’articolo 9 fosse così modificato:

«I fabbricati si valutano in base ai valori medi dell’anno 1946, mediante applicazione della loro consistenza di coefficienti determinati dalla Commissione censuaria, per le diverse destinazioni, o diverso adattamento delle singole sue parti».

Stabilisce l’articolo 10 come sopra detto che i coefficienti per la valutazione di fabbricati sono stabiliti con riguardo alle categorie ed alle classi istituite per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano.

Specialmente nei grandi centri – ad esempio Roma – si possono commettere gli errori più impensati. Possono esserci casupole nell’interno di Roma aventi valore assai maggiore di un ricco appartamento in località anche centrale, potendo essere il maggior valore rappresentato dall’area. In uno stesso palazzo – specialmente con la generalizzazione del condominio – possono esistere appartamenti che, per esposizione e rifiniture interne differiscono sensibilmente con altri dello stesso palazzo.

Occorre pertanto che non manchino tutte le possibilità di discriminazione e gli Uffici, allo stesso modo che i contributi possano, in sede di accertamento, correggere le applicazioni di coefficienti standardizzati.

Le aree fabbricabili saranno valutate caso per caso, ma non sarebbe inutile che, fossero adeguatamente valutate anche tutte le aree destinate ad uso di giardini, cortili esterni, ecc.

Infine, non va taciuto che per quanto riguarda i fabbricati le leggi vincolistiche hanno messo la proprietà nelle più dure e tristi condizioni, e mentre da tutte le parti si predica di ricostruire non vi è chi rifletta che fra qualche anno la proprietà urbana, oggi esistente, diventerà un mito, e non rimarranno che case inabitabili, poiché senza le manutenzioni, i fabbricati non possono resistere all’azione demolitrice del tempo.

Da tutto quanto abbiamo esposto e data la impreparazione degli uffici e la assoluta insufficienza dei mezzi di cui essi dispongono oggi e potranno disporre domani – così gli Uffici esecutivi delle imposte e più specialmente quelli degli Uffici tecnici erariali ai quali debbono essere affidati compiti vastissimi e di grande difficoltà in uno spazio di tempo ristretto – non è da sperare che la legge potrà trovare un’applicazione che soddisfi le esigenze dell’Erario e purtroppo quelle di una sana perequazione tributaria.

Si avranno vittime numerose fra i proprietari immobiliari, mentre si avvantaggeranno quelli che avranno proprietà prevalentemente mobiliari. E saranno proprio questi che vedranno la possibilità di entrare in possesso in breve tempo, delle proprietà piccole, medie e grandi, impreparate ed impossibilitate a sostenere il gravissimo onere tributario reso più grave dalla ristrettezza del tempo durante il quale l’imposta dovrà essere sodisfatta, e dalla mancanza di provvidenze, che mettano in grado di tentare, occorrendo, non demolitrici operazioni finanziarie.

Passiamo ora da esaminare alcuni altri articoli che meritano a nostro giudizio particolare attenzione e precisamente gli articoli 17, 18, 19 e 31, 44, 45, 75 e 76.

Articolo 17: «Le aziende industriali e commerciali, comprese in esse quelle esercenti industrie agrarie di qualsiasi genere, si valutano nel loro complesso, tenendo conto dei vari elementi che le compongono, sulla base dei valori medi dell’anno 1946».

Articolo 18, secondo comma: «Le azioni, obbligazioni, cartelle di prestito ed ogni altro titolo di credito quotato in borsa sono valutati in base alla media dei prezzi di compenso del semestre 1° ottobre 1946 – 31 marzo 1947».

Articolo 19, primo comma: «Per i titoli indicati nell’articolo precedente, non quotati in borsa, nonché per le quote delle società assoggettate all’imposta di negoziazione, si adotta la valutazione in base alla quale è stata liquidata l’imposta di negoziazione per l’anno 1947».

All’articolo 31, primo comma, si stabilisce poi che le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, a garanzia limitata, di fatto, le associazioni ed enti, in quanto non siano soggetti ad imposta di negoziazione, debbono dichiarare il loro patrimonio, con l’indicazione delle quote spettanti ai singoli soci.

Questi articoli dimostrano come differentemente si proceda per i cespiti patrimoniali in diversi casi, per cui è da ritenere certo:

1°) che tutti coloro che non hanno partecipazioni in società, o pacchetti azionari si troveranno esposti in modo molto più gravoso di quelli che non siano i possessori di titoli azionari, in quanto essi si vedranno valutato il loro patrimonio e le doro aziende analiticamente, mentre ciò non avverrà per coloro che non siano possessori di titoli o partecipi a società;

2°) che, non essendo consentito ai funzionari delle imposte di svolgere indagini presso le banche e gli istituti di credito in genere, per le società azionarie aventi carattere familiare, per quelle a responsabilità limitata, ecc., sarà facile presentare situazioni patrimoniali in cui figurino partite di credito suffragate dal relativo estratto-conto di banca, mentre contemporaneamente possono sussistere, ed in molti casi effettivamente sussisteranno altrettante partite di credito dei soci, per somme anche superiori.

Per le società anonime, siamo del parere che l’indagine fiscale assolutamente non possa limitarsi a quello che risulta dalle valutazioni di borsa, che vengono fatte annualmente agli effetti dell’applicazione della tassa di circolazione delle azioni.

Ci sono società che hanno un piccolo capitale sociale, dietro il quale si nascondono aziende importantissime. Ci sono società che hanno un’apparenza modesta per le cifre che rappresentano le attività (macchine, attrezzi, materie prime, mobili), che invece costituiscono complessi industriali importantissimi e di reddito imponente.

Senza presentare specifici emendamenti, raccomandiamo il riesame oculato degli articoli relativi. Vi sono due articoli il 44 e il 45 che non possono essere da noi accettati.

Il decreto dichiara espressamente che non vi è obbligo da parte delle banche di dare le denunce di tutti i depositi, crediti vari, ecc. Vi è anzi in proposito una dichiarazione in senso contrario: «La presente disposizione non si applica nei confronti delle Banche e delle Aziende di credito».

E per quale motivo?

Ma quanti valori e capitali verranno così sottratti all’imposta? Si vuol tentare anche in questo modo il salvataggio dei grossi capitali?

L’articolo 45 fa obbligo ai notai che abbiano valori in deposito di denunziarli; perché no le Banche? Non esitiamo a proporre i relativi emendamenti. E con poche altre considerazioni d’ordine essenzialmente pratico mi avvicino rapidamente alla fine.

Il grande contribuente italiano che generalmente conosce le manchevolezze e le deficienze dell’Amministrazione sorriderà di fronte alla possibilità di eludere la legge, o di limitarne l’applicazione, ma il piccolo contribuente, quello di tutti i giorni e di tutte le ore e, diciamolo pure, di tutte le occasioni, ingoierà in gran parte l’amaro calice che, per tradizione, è oramai per ogni contributo, ed anche in questo riservato ai piccoli. Si ricordi il motto: «Gli stracci vanno sempre per aria» e si stia certi fino da ora che saranno proprio i piccoli a sopportare il peso tributario nella misura che incide sul vivo e sul necessario è non sul superfluo. Di fronte alla urgente necessità di far cassa ed alla brevità del tempo per l’applicazione della legge, questa situazione non può lasciarci indifferenti, ma inquieti, anzi assolutamente turbati, perché attraverso sistemi e mezzi empirici, si turberanno, si dissesteranno tante piccole e medie economie, con tutte le ripercussioni inevitabili, materiali e morali.

Indubbiamente, l’applicazione della legge riverserà a preferenza e con precedenza, sui proprietari di terreni e di fabbricati: ora noi ci domandiamo come essi procederanno alla liquidazione della quota parte di patrimonio devoluto allo Stato. I proprietari di terreni tenteranno ogni mezzo per conseguire il conseguibile (dei prodotti della terra o del bestiame), con la certa ripercussione sui consumatori e i proprietari di fabbricati già abbandonati nelle manutenzioni, e perciò in stato di progressivo deperimento, con danno indiretto di tutta l’economia nazionale, non potranno far altro che tentare la vendita per coprire il fabbisogno.

È ben vero che la legge presume che ad ogni patrimonio corrisponda un quid in deposito presso le Banche, ma poiché di utopistiche previsioni non si vive, è d’uopo porsi il problema finanziario del contribuente, e vedere come risolverlo, laddove non si tratti di qualche incauto borsaro nero che abbia investito parte del suo non sudato tesoro in beni stabili.

Quindi, la legge è ormai già organizzata e perciò è quasi sempre impossibile emendarla, ma tuttavia quando non saranno presentati ed approvati emendamenti, chiediamo che tutte le osservazioni fatte siano tenute presenti nella emanazione precisa e completa delle istruzioni che tempestivamente precederanno l’applicazione della legge.

Bisogna anche pensare che il decreto ha considerato solamente il modo di battere cassa frettolosamente, ma non abbiamo rilevato nessun accenno, nemmeno il più lontano che si riferisca ai mezzi finanziari che saranno offerti ai contribuenti per sostenere il peso dell’imposta. Provvedere a questo significa avere la tranquillità di poter applicare l’imposta largamente senza il timore di distruggere il patrimonio, il che deve essere presente nella mente e nella preoccupazione del legislatore. Quando ad un patrimonio noi avremo fatto una falcidia della metà, noi avremo portato a questo patrimonio un colpo così forte che esso sarà messo in condizioni di infunzionalità o improduttività, e questo sarebbe un danno gravissimo, perché legiferando in materia fiscale, noi dobbiamo tener sempre presente la necessità di non inaridire le fonti del reddito.

Noi esortiamo il Governo a interpretare la necessità del popolo italiano, e particolarmente delle popolazioni meridionali perché gli effetti dell’imposta proporzionale straordinaria sul patrimonio che incide notevolmente sulla piccola e media proprietà, di cui è caratterizzata la economia del laborioso popolo del Mezzogiorno non raggiunga gli effetti deleteri, che vengono giustamente paventati, e auspichiamo invece che al risanamento dell’erario contribuiscano quasi totalmente quei pingui patrimoni, che il decreto in esame sembra quasi voler preservare dai tentacoli del fisco. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bonomi Paolo. Ne ha facoltà.

BONOMI PAOLO. Più che a considerazioni di carattere generale porterò le mie osservazioni sulle disposizioni che interessano il campo agricolo, ed in modo particolare gli agricoltori-coltivatori diretti, contro i quali, per essere – in molti casi – possessori di beni il cui valore si avvicina al minimo imponibile esente dall’applicazione dell’imposta, saranno puntate le migliori armi fiscali.

Che un’imposta sul patrimonio si dovesse applicare è fuori d’ogni discussione, poiché ragioni di carattere morale e imprescindibili necessità finanziarie impongono allo Stato di ricorrere a questo mezzo straordinario per realizzare entrate a sollievo dello stremato bilancio.

Non si deve dimenticare che a causa della guerra vaste categorie di cittadini (detentori dei titoli di Stato, risparmiatori, possessori di rendite fisse, salariati, impiegati) hanno praticamente, attraverso la svalutazione, pagato la più feroce delle imposte, e che, pertanto, anche i possessori di beni reali dovevano essere chiamati alla leva del sacrificio.

Vi sono, però, alcuni canoni dell’economia e della finanza che non si possono impunemente violare. Non si può, innanzi tutto, tagliare l’albero per raccogliere il frutto. Quando gli oneri fiscali non vengono mantenuti entro i limiti della sopportabilità viene appunto sradicata la pianta. Non vorremmo che questo si verificasse proprio per quelle piccole aziende che tutti dicono di voler tutelare e delle quali in realtà ben pochi si curano. La situazione delle piccole aziende agricole è assai diversa da quella delle aziende più consistenti. Mentre queste ultime possono facilmente ricorrere al credito e fare ampio assegnamento sui proventi monetari della vendita dei prodotti, i piccoli coltivatori, che non hanno generalmente facilità di ottenere credito, destinano gran parte della produzione al consumo diretto, ciò che impedisce loro di realizzare notevoli disponibilità monetarie. La loro posizione va, quindi, guardata con occhio vigile sotto l’aspetto fiscale.

La possibilità contributiva dei coltivatori diretti è già resa anemica dalla grandinata di aumenti delle imposte ordinarie che si è scatenata negli ultimi tempi (imposte fondiarie e sui redditi agrari aumentate di oltre venti volte, imposta di famiglia talvolta centuplicata, imposta sul bestiame portata alle stelle), cui si aggiungono imposte straordinarie, come la imposta sui profitti di guerra per i fittavoli, e la avocazione dei cosidetti profitti di speculazione.

Che cosa avverrà con la patrimoniale?

Il legislatore ha ritenuto di ovviare al pericolo di un collasso della piccola proprietà e della piccola affittanza disponendo l’esonero di due milioni per i patrimoni che superano detto limite. Ma la efficacia della disposizione dipende dal sistema e dal metro che verranno usati per la valutazione dei terreni e delle scorte vive e morte. La legge è alquanto elastica su questo punto e potrà essere bene o male usata secondo le direttive degli organi preposti all’applicazione, cioè dell’Amministrazione finanziaria e della Commissione censuaria centrale.

Anzitutto non si può non compiacersi col legislatore per il sistema che chiameremo automatico della valutazione; ma ove si consideri che i coefficienti (moltiplicatori dei redditi dominicale e agrario) verranno determinati in base ai valori correnti fra il 1° ottobre 1946 e il 31 marzo 1947 la questione diventa di una gravità impressionante, e tale da destare serie preoccupazioni non tanto nei confronti dei singoli contribuenti quanto invece per l’economia agricola, l’unica che sarebbe chiamata a sostenere un peso addirittura vessatorio.

Si tenga presente infatti che nel periodo considerato un mercato vero e proprio dei terreni e delle scorte da cui possono scaturire degli elementi indice-base di una certa attendibilità manca nel modo più assoluto e che i pochi casi che si sono verificati nei trapassi della proprietà fondiaria riguardano più che altro investimenti di moneta da parte di individui che vivono al di fuori della sfera dell’attività agricola. Sono costoro i grandi speculatori e borsari neri che avendo troppo facilmente accumulato delle vistosissime cifre, non si sono peritati d’investirle in terreni a prezzi iperbolici, operazione che per costoro non costituisce che scarsa importanza in quanto il miraggio altro non è stato che quello di accaparrare dei beni reali.

Orbene, se, al riguardo, non interverranno disposizioni chiarificative, moderative e prudenziali, sulla scorta di siffatti elementi del tutto capricciosi, verranno desunti i coefficienti per la valutazione dei terreni e delle scorte.

Poco importa se in una contrada, in un Comune od in una Provincia si sono verificati o meno trapassi di proprietà: basteranno pochi, se non pochissimi casi, per determinare in tutta la Nazione dei coefficienti per comparazione.

Anche per quanto riguarda la valutazione delle scorte (bestiame, attrezzi, capitali di anticipazione), la legge prevede un sistema di coefficienti moltiplicatori del reddito agrario. Ma anche qui la posizione delle piccole aziende coltivatrici presenta aspetti particolari da tre parti e cioè: a) il frutto del capitale investito in scorte vive e morte; b) il frutto del capitale investito in anticipazioni colturali; c) il compenso al lavoro direttivo. Le disposizioni sulla imposta patrimoniale stabiliscono che nel capitalizzare il reddito agrario si deve detrarre la parte rappresentata dal compenso al lavoro direttivo. Questa norma può essere giusta per i proprietari che conducono il fondo in economia: non può essere giusta, invece, per quelli che conducono a mezzadria (in quanto una parte delle scorte può appartenere al mezzadro) e meno ancora per coltivatori diretti, dato che essi, non pagando i salari, non anticipano che in piccola parte i capitali di esercizio, ma anticipano il proprio lavoro, il quale non deve essere certo capitalizzato per venire assoggettato all’imposta patrimoniale.

Purtroppo la nostra legislazione fiscale non ha riguardo alcuno per la piccola proprietà e la piccola azienda coltivatrice tende generalmente a creare – almeno di fatto – una progressività a rovescio a danno dei piccoli. Il frutto del lavoro viene generalmente confuso col frutto dei capitali e tassato come se fosse utile di impresa.

Speriamo che almeno non si giunga all’estremo di considerare come patrimonio imponibile la figurativa capitalizzazione del frutto del lavoro.

È da considerare, poi, che sia la quantità che la qualità di scorte inventariate e valutate colla revisione generale degli estimi dei terreni erano sostanzialmente diverse da quelle d’oggi, e non si è lontani dal vero se si afferma che attualmente dette scorte sono notevolmente ridotte rispetto al triennio 1937-39.

Sempre in tema di valutazione si potrà obiettare che l’articolo 11 stabilisce che i coefficienti predisposti dall’Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali vengono comunicati alle Commissioni censuarie comunali e a quelle provinciali, le quali hanno facoltà di formulare le proprie osservazioni sui coefficienti stessi rispettivamente entro 30 giorni ed entro 90 giorni dalla data di ricezione.

Tale procedura, se può ritenersi normale per quanto riflette le questioni catastali (valori assoluti, valori comparativi, qualità di colture e classe di produttività, esame dei reclami, ecc., ecc.), non altrettanto si può dire per un problema complesso, delicato ed urgentissimo quale è quello dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio.

Si potrà altresì obiettare che, a mente dell’articolo 12, i contribuenti possono ricorrere alle Commissioni amministrative contro le valutazioni dei terreni eseguite dagli Uffici distrettuali delle imposte con i coefficienti indicati dagli articoli 10 e 11.

Siffatto ragionamento però è privo di significato, ove si consideri che proprio all’ultimo capoverso dell’articolo 11 è detto che i predetti coefficienti vengono stabiliti in «via definitiva» per ciascuna zona economico-agraria, e per ciascun Comune, dalla Commissione censuaria centrale.

Una particolare osservazione merita la dizione contenuta nel secondo comma dell’articolo 26: «tenore di vita del contribuente», che si presta per tutti i casi (vita lussuosa, sperperatore, risparmiatore, egoista, ecc.).

Con tale dizione indubbiamente il legislatore ha inteso dare un’arma agli Uffici fiscali per colpire coloro che in breve volgere di tempo hanno accumulato delle vistosissime ricchezze e che per il tenore di vita che conducono, indipendentemente dai redditi conosciuti o dal patrimonio accertato o non accertato, vi siano fondati motivi per ritenere debbano essere o tassati nel caso che la valutazione analitica dei beni non raggiunga il minimo imponibile o tassati per x+y = z dato appunto il loro tenore di vita.

In proposito, ai galantuomini non rimane che manifestare un vivo plauso all’intenzione del legislatore, ma quando si presenterà il caso di un agricoltore coltivatore diretto il cui patrimonio non raggiunge il minimo imponibile, l’Ufficio fiscale, opponendo argomentazioni più o meno valide, quali ad esempio, risparmiatore, egoista, possessore di polli e maiali ed altro ben di Dio, avrà buon gioco per indurre l’agricoltore stesso, a scanso dell’applicazione di una soprattassa pari all’ammontare dell’imposta, oltre l’ammenda pari ad una metà della stessa imposta, ad accettare il concordato proposto.

Ho detto prima che non è improbabile che a fare le maggiori spese della nuova imposta patrimoniale saranno, ancora una volta, gli agricoltori, e la prova della nostra affermazione è fornita anche dal fatto che abbiamo ora brevemente illustrato.

Speciale osservazione ci sia consentito di fare, sia sul primo Capoverso dell’articolo 30 che su quanto è detto alla lettera a) dell’articolo 33.

Per quanto riguarda l’obbligatorietà di presentazione della dichiarazione per i patrimoni netti la cui consistenza alla data del 28 marzo raggiunge l’importo di lire 1.500.000, osservo che nel campo agricolo, non conoscendosi a priori i coefficienti che andrà a stabilire la Commissione censuaria comunale è assai problematico fissare pure a priori chi è soggetto o non è soggetto alla dichiarazione stessa. Poi, quando anche la consistenza di beni sia di entità tale da presumere superi in ogni caso il predetto importo, a parte il fastidio e la perdita di prezioso tempo, ben pochi sono gli agricoltori – specie gli agricoltori diretti – che si trovano nelle condizioni di adempiere ad una formalità burocratica di scarsa importanza.

Si è detto di scarsa importanza perché i cespiti patrimoniali nel campo agricolo sono – a tutti gli effetti – già inventariati anche ai fini del cumulo (vedi imposta complementare progressiva sul reddito).

In proposito si prega di prendere nota che in ogni contrada d’Italia stanno sorgendo degli uffici i cui titolari, più o meno specializzati in materia fiscale, prevedono di poter fare una lauta vendemmia a spese degli agricoltori (si parla di lire 3000 e oltre per ogni piccola dichiarazione).

Circa le indicazioni da fornire nella denuncia, nel caso non venga concesso l’esonero, è quanto mai opportuno semplificare il più possibile in guisa che gli agricoltori, ed in particolar modo i coltivatori diretti, possano fornire agevolmente i pochi elementi richiesti o direttamente o tramite le loro associazioni. Nella dichiarazione basterà indicare: il Comune e la località in cui sono situati i terreni; l’intestazione della partita catastale; i redditi dominicale e agrario; le generalità dell’affittuario nel caso di terreni dati in affitto.

Abbiamo detto semplificare e non complicare, anche perché i contribuenti agricoli hanno da essere incoraggiati a produrre di più con minore spesa e non avviliti da formalità burocratiche che male si adattano colla loro mentalità, sana e semplice, nonché intimoriti da sanzioni più o meno gravose e giustificate.

Con i poteri conferiti ai membri delle Commissioni di merito secondo il disposto dell’articolo 46, di eseguire cioè accertamenti non proposti dagli Uffici e di elevare le cifre di patrimonio fissate dagli Uffici, o concordate fra contribuente e Ufficio, anche se già iscritti a ruolo, a parte il fatto morale e la palese disistima nei confronti dei funzionari preposti alle operazioni di accertamento e perfezionamento dei concordati, si cade nell’arbitrio vero e proprio.

Non saranno infatti infrequenti i casi nei quali uno o più membri di dette Commissioni agiranno per vendetta.

Secondo il disposto dell’articolo 3, ai fini dell’imposta, si considerano nel patrimonio del marito i beni acquistati dalla moglie, a titolo oneroso, durante il matrimonio: ai medesimi fini si considerano nel patrimonio degli ascendenti i beni da essi ceduti ai discendenti dopo il 10 giugno 1940.

Sia nell’uno che nell’altro caso sono previste delle eccezioni, ed è proprio su queste che concentreremo tutta la nostra attenzione.

Le eccezioni che si fanno per la moglie, ai fini cioè di non far luogo al cumulo, concernono beni per i quali sia dimostrato che l’acquisto rappresenta trasformazioni di cespiti posseduti anteriormente al matrimonio o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri, conseguiti durante il matrimonio, o di fondi provenienti da accensione di debiti.

Per i discendenti le eccezioni riguardano: la costituzione di dote in occasione di matrimonio o costituzione di patrimonio ecclesiastico; la trasformazione di beni posseduti dall’acquirente anteriormente alla data 10 giugno 1940 o acquisiti successivamente a titolo gratuito, ovvero investimento di redditi propri o di fondi provenienti da accensione di debiti.

L’intenzione del legislatore non poteva essere che quella di considerare come patrimonio unico quello di coloro che, prevedendo l’istituzione di imposte straordinarie progressive, hanno perfezionato trasferimenti, divisioni, assegnazioni, ecc. al fine o di sottrarsi al pagamento dei tributi (valori imponibili al disotto del minimo) o quanto meno per beneficiare di aliquote inferiori a quella afferente i beni patrimoniali considerati nel loro complesso.

In proposito ci sia consentito di affermare che di siffatte eccezioni andranno a beneficiare proprio coloro che intuitivamente hanno precorso le intenzioni del legislatore, mentre gli agricoltori – in particolar modo i coltivatori diretti – anche quando abbiano le carte in regola, o per ignoranza o per pressioni d’ordine vario a cui saranno sottoposti, ben difficilmente potranno evitare il cumulo di beni che, stando alla lettera e allo spirito delle disposizioni, dovrebbero considerarsi separati.

L’articolo 4 fa espresso richiamo a quanto disposto dall’articolo 1101 del Codice civile, che cioè i pesi della comunione sono in proporzione delle rispettive quote, ma – purtroppo – chi ha anticipato l’importo iscritto a ruolo, in caso di liti (e non saranno infrequenti) per esercitare la rivalsa nei confronti degli aventi causa dovrà promuovere azione legale.

Un ultimo punto del provvedimento merita considerazioni perché particolarmente pericoloso per le sorti della piccola proprietà ed è quello relativo all’applicazione per una volta tanto dell’imposta ordinaria proporzionale con aliquota decuplicata.

In aggiunta all’imposta straordinaria della quale abbiamo fin qui parlato, la legge prevede infatti l’applicazione del 4 per cento sull’imponibile già iscritto a ruolo per l’anno 1947 ai fini dell’imposta ordinaria sul patrimonio. Tale imponibile deriva, com’è noto, da quello ordinariamente accertato sulla base dei valori del periodo prebellico moltiplicato per 10. Praticamente, quindi, un ettaro di terreno che con riferimento al periodo prebellico fosse stato valutato in lire 15.000, risulterà inscritto nei ruoli 1947 per lire 150.000 e pagherà quindi al 4 per cento lire 6000.

Da molte parti d’Italia in queste ultime settimane si è alzata la protesta dei piccoli proprietari di terre e di case contro questa imposta.

Protesta pacifica senza manifestazioni inconsulte e ricattatorie di piazza.

I piccoli proprietari hanno protestato, ma hanno incominciato a pagare la prima rata, perché in loro è profondo il senso del dovere verso la patria, ma anche perché credono ancora nella giustizia e sono sicuri che il Governo e la Costituente accoglieranno la loro giusta richiesta di attenuare il sacrificio imposto dalla patrimoniale proporzionale.

Senza arrivare alla sospensione delle riscossioni, come vorrebbero alcuni, poiché ben conosciamo quali potrebbero essere le conseguenze per il bilancio dello Stato, e poiché si riconosce la difficoltà di far luogo a una vera e propria esenzione soggettiva, che implica l’accertamento preventivo dell’entità del patrimonio di ciascun soggetto, ritengo che si possa suggerire la concessione di uno sgravio parziale del 50 per cento collegato con l’imposta progressiva.

Si potrebbe cioè stabilire che i contribuenti che non risultassero assoggettabili all’imposta progressiva, perché il patrimonio non raggiunge il minimo di cui all’articolo 1, avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta patrimoniale gravante sul cespite immobiliare.

Dato poi che i contribuenti non potranno godere dello sgravio nelle prime rate, è necessario una maggior diluizione dei pagamenti.

Occorrerebbe stabilire che le partite di imposta inferiori a lire 30.000 verranno riscosse entro il 1950 e quelle comprese tra le 30.000 e le 60.000 entro il 1949.

Ciò ha particolare importanza per i piccoli proprietari e affittuari coltivatori diretti che non sono assolutamente in grado di pagare l’imposta entro il 1948 e sarebbero costretti ad alienare i fondi o quanto meno a privarsi dei mezzi finanziari occorrenti per la coltivazione, con gravissima iattura per la produzione agricola e per la stessa tranquillità sociale del Paese.

Lo Stato non verrebbe a perdere nulla con la dilazione richiesta trattandosi solo di questioni di cassa. D’altro canto, la rapida riscossione delle partite maggiori (che spesso vengono anche riscattate) renderebbe meno sensibile e facilmente tollerabile il ritardo nell’affluenza alle casse erariali delle partite minori.

E qui presento due emendamenti:

«All’articolo 68 aggiungere: I contribuenti che non risulteranno assoggettabili all’imposta progressiva di cui all’articolo 1 avranno diritto allo sgravio del 50 per cento dell’imposta proporzionale gravante sui cespiti immobiliari. Lo sgravio è accordato su domanda della parte».

«All’articolo 72 aggiungere: «Le partite di imposta inferiore a lire 30.000 verranno riscosse entro il 1950 e quelle comprese fra le lire 30.000 e lire 60.000 entro il 1949».

Le osservazioni e le richieste da me fatte hanno un solo scopo: tutelare quella piccola proprietà che tutti i partiti, dico tutti i partiti, nei loro programmi hanno detto di voler difendere e potenziare. Non dimentichiamo che questa piccola proprietà è quasi sempre frutto di lavoro, di sacrifici, di sudore. Non dimentichiamo che questa piccola proprietà è garanzia di ordine sociale. Non dimentichiamo ancora che questa piccola proprietà sarà per l’Italia baluardo per la difesa della libertà di tutti i cittadini. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Vicentini. Ne ha facoltà.

VICENTINI. Onorevoli colleghi! Il progetto che stiamo esaminando deve essere considerato nel clima delle preoccupazioni di ordine finanziario che l’Assemblea Costituente, la Commissione di finanza ed il Paese hanno vissuto nei mesi scorsi. Prescindere da esso, come talvolta è accaduto nell’esposizione di qualche oratore, significa dimenticare lo stato di assoluta necessità che ha determinato il provvedimento ed il fine che con lo stesso si intende raggiungere.

Qualche mese fa tutti eravamo pensosi davanti al ritmo incalzante verso l’alto delle quotazioni dei titoli azionari e dei cambi, alla ascesa continua dei prezzi, in una parola di fronte a quelle manifestazioni palesi che potevano portare, con l’inflazione, il nostro Paese sulla via del disastro economico e del caos sociale. Allora si reclamava a gran voce, e da ogni settore dell’Assemblea, che si ponesse mano finalmente a quegli strumenti fiscali, ordinari e straordinari, ed a quella politica del credito, che, insieme, valessero ad infrenare la pericolosa discesa del residuo valore della nostra moneta.

Il progetto di legge che ci sta dinnanzi è uno dei provvedimenti reclamati e nell’esaminarlo non possiamo straniarci dalla considerazione delle condizioni della nostra finanza che lo hanno determinato ed imposto.

L’imposta straordinaria sul patrimonio rientra – e lo dice lo stesso aggettivo «straordinaria» – in quel complesso di provvedimenti che vanno sotto il nome di «Finanza straordinaria» volti a perseguire, in generale scopi di politica finanziaria antinflazionistica, ed in particolare ad offrire un importante contributo per rimarginare, almeno in parte, le falle paurose determinate dallo sforzo bellico nel bilancio dello Stato; a fornire all’Amministrazione pubblica i mezzi indispensabili per quella politica sociale che, se entra ormai in sempre maggior misura nell’azione di ogni Stato moderno, le vicende dell’immane conflitto hanno reso più urgente e più vasta.

Inoltre la «patrimoniale» rappresenta un necessario correttivo di giustizia distributiva del carico tributario. Durante il periodo nel quale si compie lo sforzo finanziario dovuto alle necessità belliche è molto difficile, per non dire impossibile, allo Stato di mantenere alle imposte dirette quella importanza nelle entrate che esse hanno nei tempi normali. E da ciò deriva quello squilibrio tra imposte dirette ed indirette che abbiamo constatato nel bilancio dell’Amministrazione pubblica. L’azione fiscale nel campo dell’imposizione diretta non può seguire il ritmo dello sviluppo della spesa e questa deficienza viene surrogata col ricorso all’imposizione indiretta che, come tutti sappiamo, è la più ingiusta. Il ricorso all’imposizione straordinaria sul patrimonio vuol essere considerato quindi anche come correttivo di questo squilibrio ed è per questa considerazione che mi pare di trovare nei varî aspetti delle motivazioni che giustificano il tributo al nostro esame, la dimostrazione della veridicità e dell’attualità della definizione che l’Hobbes dava dei tributi: partecipazione dei cittadini ai benefici della pace pubblica. Soltanto se lo Stato avrà i mezzi necessari per fronteggiare gli immani problemi della ricostruzione ed i gravi doveri sociali, il nostro Paese potrà infatti guardare con fiducia al proprio avvenire e vedere attuata quella pace pubblica che è e deve essere bene agognato da tutti.

Ciò premesso, in questo mio intervento mi limiterò a mettere in evidenza come il canone della giustizia distributiva del carico tributario anche in quest’imposta sia stato rispettato.

Consideriamo innanzi tutto l’imposta nei confronti dei soggetti chiamati a contributo. L’articolo 2 del disegno di legge dice: «Sono soggette all’imposta straordinaria le persone fisiche». Si tratta quindi di un’imposta personale che per il carattere progressivo delle aliquote non può confondersi con le imposte reali. Da alcuni si è voluto vedere in questo una limitazione del campo di applicazione e si è reclamata l’estensione del tributo sia pure con aliquote differenti e più attenuate, agli enti collettivi. Io sono uno di quelli che sin dall’inizio in seno alla Commissione finanze e tesoro ha messo la pregiudiziale della ingiustizia della doppia tassazione. Allo stato attuale della concezione dell’imposizione tributaria non è sostenibile la tesi che l’assoggettamento a tributo, per lo stesso titolo, del patrimonio posseduto dai partecipanti e di quello dell’ente dagli stessi costituito, non rappresenti una doppia imposizione. Giustizia vuole che il patrimonio venga colpito una volta sola e l’imposta straordinaria progressiva, pur limitata alle persone fisiche, mi sembra la più idonea e la più giusta.

Passiamo ora all’oggetto dell’imposta. Anche qui si è detto che il tributo grava di più la proprietà immobiliare di quella mobiliare. Mi permetto di far osservare che anche questa affermazione non risponde alla realtà delle cose. La proprietà immobiliare, lo sappiamo, è stata l’eroina della nostra finanza. Il pareggio del bilancio in tempi lontani ed i maggiori gravami sono sempre stati sopportati da essa. Però, dobbiamo anche dire che a quell’epoca era quasi sconosciuta nel nostro Paese la proprietà mobiliare.

Non è assolutamente vero che la proprietà immobiliare, agli effetti del disegno di legge sull’imposta straordinaria sul patrimonio, sia trattata in modo più drastico della proprietà mobiliare. E questo lo dico perché mentre il progetto prevede per la proprietà immobiliare una valutazione basata sulla media dei valori dell’anno 1946, per la valutazione della proprietà mobiliare, e primi tra essa la grande massa dei titoli azionari, la valutazione è ristretta ai valori correnti tra l’ultimo trimestre dell’anno 1946 ed il primo trimestre del 1947. Basta osservare le curve dell’andamento dei valori dei titoli quotati in Borsa, per rendersi conto come precisamente quel semestre corrisponda alle massime valutazioni dei titoli influenzate, non dimentichiamolo, anche dalla trista vicenda della sfiducia nella stabilità del potere di acquisto della nostra moneta.

Nella valutazione delle due categorie di beni patrimoniali vengono quindi considerati due periodi sostanzialmente diversi: nella valutazione dei beni mobiliari abbiamo una base che si avvicina alle punte massime, mentre per quanto riguarda la valutazione della proprietà immobiliare, stabilita sulla media dell’intero anno 1946, abbiamo indubbiamente una base molto più bassa. Non solo, ma mentre le quotazioni di Borsa rappresentano i valori quotidiani di mercato, la valutazione dei beni immobiliari è affidata alla Commissione centrale censuaria la quale, nei suoi criteri costitutivi ha quella prudenza che fa sì che la proprietà immobiliare non sia chiamata a rispondere per quelle valutazioni che possono essere state determinate da transitori periodi di emergenza. E quando dico proprietà immobiliare intendo naturalmente di riferirmi anche ai fabbricati, per i quali le valutazioni della predetta Commissione non possono prescindere dalla considerazione dei vincoli che su essi tuttora gravano.

Una dimostrazione del mio assunto la prendo da due indici i quali, se non si riferiscono direttamente e totalmente alla proprietà immobiliare, tuttavia, trattandosi di aziende agricole e aziende immobiliari che hanno i titoli quotati in Borsa, possono dare con sufficiente approssimazione la conferma della mia affermazione.

Fatti uguale a cento i valori del 1938 delle azioni quotate in Borsa delle aziende agricole, il numero indice degli stessi per il 1946 è di 927, mentre lo stesso indice per il mese di marzo 1947 si è elevato a 2493. Se, anziché prendere a base la media dei valori del 1946, la valutazione si fosse ristretta allo stesso limitato periodo stabilito per i titoli azionari, l’imposizione sarebbe stata indubbiamente più gravosa. E lo stesso sarebbe accaduto per le imprese immobiliari l’indice medio dei valori delle quali, per l’anno 1946, è di 936 in confronto di quello del marzo 1947 che è di lire 2605.

Sempre per quanto riguarda la proprietà mobiliare, vi è la grande incognita della tassazione dei titoli azionari non quotati in Borsa. Ma anche qui non bisogna dimenticare che il progetto prevede che la valutazione di tali titoli venga fatta sulla base dei valori che saranno stabiliti per l’imposta di negoziazione per l’anno 1947, dopo che si sarà proceduto alla riforma dei Comitati di borsa. A questo riguardo devo ricordare che, siccome ho accennato alla riforma di questi Comitati anche nell’intervento che ho fatto in sede di discussione generale relativa alla esposizione finanziaria fatta dal Presidente del Consiglio, e per questo fatto mi sono visto attaccare da un giornale finanziario che è sorto a difesa degli attuali Comitati di borsa, i quali, diceva il giornale, hanno sempre agito secondo obiettività, debbo dichiarare che non ho mai inteso mettere comunque in dubbio l’obiettività degli attuali Comitati di borsa, ma che ho inteso soltanto affermare la necessità che dato il preminente interesse della finanza statale in rapporto all’imposta straordinaria sul patrimonio, era opportuno che i membri rappresentanti l’Amministrazione fossero in numero preminente. Si è detto ancora che l’imposta straordinaria sul patrimonio incide specialmente sui patrimoni minori. Anche questo non risponde a verità. La Commissione di finanza, preoccupata di mantenere il rendimento dell’imposta sulla quale è principalmente fondato il risanamento della nostra pubblica finanza, ha inasprito le aliquote aumentandone la progressività tenendo ferma la base dei tre milioni, concedendo un abbattimento alla base di due milioni ed una detrazione per i carichi di famiglia che indubbiamente vanno a beneficio della grande massa dei piccoli e medi proprietari.

E Stato detto, e mi consenta l’onorevole Scoccimarro una cortese polemica, che con questo progetto è la piccola proprietà che ne va di mezzo. Non ricorda l’onorevole Scoccimarro che il progetto da lui predisposto e del quale dava notizia in una intervista concessa al giornale L’Unità il 17 dello scorso mese di gennaio, prevedeva la tassazione dei patrimoni a partire dai due milioni in luogo dei tre, con un’aliquota del 10 per cento in luogo del 6 per cento, senza alcun abbattimento alla base e senza alcuna detrazione per i carichi di famiglia?

SCOCCIMARRO. Perdoni, onorevole Vicentini, un chiarimento: il mio accenno si riferisce alla proporzionale.

VICENTINI. Della proporzionale parlerò dopo.

Se c’è stata una preoccupazione per i medi e piccoli patrimoni, questa preoccupazione è sintetizzata dal disegno di legge e dall’opera che ha svolto la Commissione finanze e tesoro, la quale ha dovuto però anche tener ferma la considerazione delle necessità del tributo straordinario.

Ancora per quanto riguarda la tassazione della ricchezza mobiliare si è accennato ai depositi bancari e qui ritorna alla ribalta il problema ormai famoso del cambio della moneta. Che non sia stato fatto è indubbiamente un male. Dobbiamo dire però che mentre nel 1946 eravamo tutti concordi sulla necessità del provvedimento, ad eccezione forse del solo Ministro del tesoro, per avere una base più sicura di perequazione dei carichi tributari che il Paese doveva imporre ai cittadini, nel 1947 le posizioni sono mutate. L’onorevole Scoccimarro nella intervista del 17 gennaio 1947 così si esprimeva: «Ormai il cambio della moneta non è più essenziale, esso sarebbe andato bene se fatto a suo tempo; mentre oggi non è forse più un argomento assolutamente necessario nei confronti di quello che è e deve essere il piano finanziario della nostra ricostruzione». Non è colpa nostra quindi se si è determinata la rottura di quel fronte politico sul quale poggiavano coloro che ritenevano assolutamente indispensabile il cambio della moneta ai fini di una maggiore giustizia distributiva del carico tributario.

SCOCCIMARRO. Io sono stato sempre favorevole, anche quando scrivevo ciò che lei ha ricordato. Si tratta di un problema di onestà. Vuol dire che alla fine del 1946 ritenevo giusto così. Lo farei anche oggi.

VICENTINI. Prendo atto della sua dichiarazione.

Con lo stesso senso realistico col quale si è voluto considerare nel tempo il problema del cambio della moneta, io prego oggi di voler guardare quello della tassazione dei depositi bancari. Colpire i depositi presso le banche, senza aver proceduto al cambio della moneta, sarebbe una grave ingiustizia verso coloro che, anziché tesaurizzare la valuta, l’hanno depositata alle banche ed hanno consentito alle stesse, attraverso il credito, di finanziare le iniziative volte alla ricostituzione della nostra attività economica. La tassazione dei depositi fiduciari potrebbe essere fatta in persona del proprietario, ma questo porterebbe necessariamente ad infrangere il principio del segreto bancario, oppure dovrebbe essere fatta indiscriminatamente su tutti i depositi con aliquota proporzionale.

In questo secondo caso si realizzerebbe una grave ingiustizia, perché è bene sapere che non siamo nel vero quando, considerando i depositi bancari, noi vediamo sempre dietro ai libretti di deposito bancario la figura del capitalista. Basta prendere il numero dei libretti in circolazione nei singoli Istituti e mettere in rapporto l’ammontare totale dei depositi per conoscere come la media delle somme inscritte in ciascun libretto non superi le 50.000 lire.

Permettetemi, onorevoli colleghi, di dare un altro elemento che giustifica e direi quasi qualifica la composizione dei depositi bancari. Essi si distinguono in due categorie: liberi e vincolati. Dalla nomenclatura noi potremmo ritenere che quelli vincolati sono stabili e sono quelli sui quali la banca può contare, mentre per gli altri essa può essere chiamata giornalmente a rifondere le somme inscritte. L’esame statistico della vita media di un libretto di risparmio libero e di risparmio vincolato dà questi risultati: la vita media di un libretto di risparmio libero si avvicina ai tre anni, mentre quella di risparmio vincolato non raggiunge l’anno. Quindi quel risparmio che noi in gran parte consideriamo come appartenente a classi capitalistiche è invece quello che rappresenta la modesta previdenza delle classi minori.

Procedendo alla tassazione in persona del proprietario si introdurrebbe invece la violazione di un principio che ha sin qui protetto tutta l’attività delle banche.

Violare oggi il segreto bancario equivarrebbe a togliere la fiducia dei depositanti nelle banche e determinerebbe indubbiamente una fuga di capitali depositati che potrebbe compromettere con la stabilità monetaria l’opera ricostruttiva in atto della nostra economia.

Per quelle stesse considerazioni per le quali ad un certo momento il cambio delle moneta non è stato più ritenuto essenziale, ritengo che oggi non si possa assolutamente parlare di tassazione dei depositi fiduciari. Le conseguenze di una tale determinazione non potrebbero non essere disastrose.

Passiamo all’imposta proporzionale.

L’imposta proporzionale non è altro che il riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio prevista a suo tempo, e ne fa fede l’intervista citata dello stesso onorevole Scoccimarro, il quale allora affermava che con l’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio si poneva anche il problema del riscatto dell’imposta ordinaria sul patrimonio.

Questo è il secondo provvedimento che è appunto al nostro esame. Anche qui le considerazioni che sono state fatte non rispecchiano le reali incidenze del tributo. Sappiamo tutti che i valori presi a base per l’imposta sono quelli corrispondenti alla media delle valutazioni del triennio 1937-39 ai quali è stato applicato il coefficiente dieci per i terreni e cinque per i fabbricati.

Mi pare di aver così dimostrato come il disegno di legge proposto dal Governo non abbia violato i criteri di giustizia distributiva che ogni imposta deve avere come base.

Siamo tutti d’accordo che il contribuente italiano è chiamato a duri sacrifici. Però è bene che questa necessità assoluta ed inderogabile sia vista nel clima delle gravi difficoltà che il Paese attraversa e che anche da qui si levi una voce per dire a tutti coloro che sono chiamati al contributo che se è grande il sacrificio, d’altra parte lo scopo per cui il sacrificio è richiesto non è meno importante. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare l’onorevole Mazzei. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunziato.

La discussione generale è così chiusa. Spetta ora di parlare all’onorevole Relatore e al Governo.

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Penso che l’importanza dell’argomento e la figura personale del Relatore potrebbero forse suggerire di rinviare a domani la chiusura della discussione, in modo che il Relatore possa parlare con maggiore comodità che non in questo scorcio di seduta; e ciò anche per dar modo al Governo di parlare dopo il Relatore. Infatti, se oggi parlasse il Relatore, probabilmente il Governo non sarebbe in grado di prendere la parola.

PRESIDENTE. Come l’Assemblea ha udito, il Ministro delle finanze propone di rinviare il seguito della discussione ad altra seduta, in modo che il Relatore e il Governo possano esprimere il loro parere.

Pongo ai voti la proposta dell’onorevole Ministro delle finanze.

(È approvata).

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.45.

GIOVEDÌ 3 LUGLIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLXXI.

SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 LUGLIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

 

 

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Sostituzione di un Deputato:

Presidente                                                                                                        

Elezione contestata per la circoscrizione di Catania:

Presidente                                                                                                        

Grilli                                                                                                                

Giua                                                                                                                  

Bertini, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore                                     

Colitto                                                                                                             

Nobili Tito Oro                                                                                                

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Piccioni                                                                                                             

Micheli                                                                                                             

Cevolotto                                                                                                        

Giannini                                                                                                            

Persico                                                                                                             

Codignola                                                                                                        

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Caronia                                                                                                            

Mortati                                                                                                            

Colitto                                                                                                             

Caroleo                                                                                                           

Dominedò                                                                                                         

Gronchi                                                                                                            

Tosato                                                                                                              

Bozzi                                                                                                                 

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni e interpellanza con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Li Causi                                                                                                             

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta precedente.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo gli onorevoli Caldera, Fedeli Aldo, Pat, Pignatari, Gullo Fausto, Garbato.

(Sono concessi).

Sostituzione di un deputato.

PRESIDENTE. La Giunta delle elezioni, nella sua seduta odierna, ha preso atto delle dimissioni dell’onorevole Natoli Lamantea da deputato per il Collegio unico nazionale, accettate ieri dall’Assemblea Costituente, e ha deliberato di proporne la sostituzione col candidato Magrassi Eliseo Giovanni, primo nella graduatoria dei non eletti della stessa lista del Partito repubblicano italiano (IV), alla quale apparteneva il dimissionario.

Pongo ai voti questa proposta della Giunta.

(È approvata).

Si intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione dei reclami eventuali.

Elezione contestata per la circoscrizione di Catania. (Doc. III, n. 5 e 5-bis).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Elezione contestata della circoscrizione di Catania (Giuseppe Lupis).

Sono state distribuite a tempo debito ai membri dell’Assemblea le due relazioni di maggioranza e di minoranza della Giunta delle elezioni.

La Giunta delle elezioni nella sua maggioranza propone «la proclamazione del candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania, col contemporaneo annullamento della proclamazione del contestato Lupis Giuseppe».

Dichiara aperta la discussione.

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. Vorrei sapere se parlerà soltanto il Presidente che ha redatto la relazione di maggioranza o se parlerà anche qualche rappresentante della relazione di minoranza.

PRESIDENTE. I relatori parlano attraverso la relazione. Gli altri componenti della Giunta non hanno nulla da aggiungere, suppongo. Lei, onorevole Grilli, ha qualche cosa da dire?

GRILLI. Io sono favorevole alla relazione di maggioranza.

PRESIDENTE. Vuol dire che, al momento della votazione, lo dirà con il suo voto.

GIUA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUA. Onorevoli colleghi, la questione di stabilire quale sia il candidato da proporre per la convalida delle elezioni della circoscrizione di Catania ha travagliato molto la Giunta delle elezioni, poiché mentre ordinariamente, nel giudizio della Giunta delle elezioni, si tratta di una questione di merito e quindi facilmente giudicabile, nel caso in esame la questione di merito si è trasformata – e si doveva trasformare – in caso politico. Si comprende quindi come l’onorevole Grilli, già in una precedente seduta, si fosse informato di quelli che erano i desiderata della Giunta delle elezioni e fosse andato ancora al di là nel chiedere informazioni su quelli che erano i lavori della Giunta delle elezioni nelle riunioni segrete.

Ora voi, onorevoli colleghi, qui trovate due relazioni, una del Presidente della Giunta delle elezioni che, in base al concetto numerico, vale a dire al concetto aritmetico, esaminando gli atti non di tutte le sezioni proposte per la verifica, ma di una parte di queste sezioni, giunge al risultato di attribuire un maggior numero di voti al candidato Sapienza, il primo dei non eletti dopo la proclamazione del candidato Lupis, appartenente al Partito socialista italiano.

Si tratta di risultati che non si possono mettere in dubbio, perché i dati dell’ufficio delle elezioni sono dati così esatti che nessuno di noi può metterli in dubbio.

Ed allora, per quale ragione io risulto firmatario di una relazione di minoranza? Per mettermi contro l’aritmetica? Evidentemente no. Evidentemente c’è un’altra ragione che mi ha spinto a presentare una relazione di minoranza, ma non per sostenere le ragioni di un candidato contro un altro. Lupis su Sapienza o Sapienza su Lupis: questo è un problema che non mi interessa. Qui l’Assemblea si trova non più dinanzi ad un problema di aritmetica e quindi di convalida in generale, ma dinanzi ad un problema politico. Qui l’Assemblea, e soprattutto coloro che non appartengono né al Partito socialista italiano né al nuovo Partito socialista che si è creato in seguito alla scissione, per la prima volta, sono chiamati a parteggiare per l’uno o per l’altro dei candidati perché la questione aritmetica è stata portata naturalmente, quasi inevitabilmente, sul piano politico. Se non fosse avvenuta la scissione del nostro Partito nel gennaio scorso, probabilmente non sarebbe apparsa questa questione. Ma, coloro che appartengono al Partito del candidato Sapienza, pongono il problema su di un piano politico, come l’ha posto su di un piano politico l’onorevole Saragat, optando per Roma, in maniera che risultasse eletto Lupis. Questo problema Saragat non l’avrebbe risolto, come l’ha risolto, se si fosse presentato a lui il problema non subito dopo le elezioni, ma a scissione avvenuta.

Quindi il problema è importante, e noi lo dobbiamo risolvere ponendoci su questo piano politico.

Io, onorevoli colleghi, voglio ricordarvi un fatto importante.

Nella vita politica italiana i partiti ormai hanno fatto il loro ingresso, e se anche non sono riconosciuti giuridicamente, lo sono praticamente. Anche il nostro illustre Presidente, che viene da un grande Partito, riconosce, nel funzionamento del Parlamento italiano, l’esistenza di questi partiti, ciò che non si può negare. Ora, se è vero questo fatto, e se giuridicamente i partiti non sono riconosciuti, di fatto esistono: quale sarebbe il diritto del nuovo partito, rispetto alla vacanza del posto, qualora non si volesse convalidare l’elezione dell’onorevole Lupis? Di avere un rappresentante di più; ma, evidentemente, i colleghi, per dare questo voto con coscienza, dovrebbero giudicare se il nuovo partito che aspira a questo posto ha avuto i voti sufficienti per avere effettivamente diritto a questa terza nomina. Questo è il problema, non facile da risolvere; perché, onorevoli colleghi, se vi ponete dal punto di vista del vecchio concetto politico, voi accettate il criterio del Presidente della Giunta delle elezioni, senza entrare in merito alla questione politica. Così giudicando, voi riuscite a riportare la situazione politica, e ciò vale non solo per l’Italia, ma per qualsiasi altra Nazione che si trovasse nelle stesse nostre condizioni, su di un piano artificioso, perché molti dei problemi politici, posti sul tappeto negli ultimi mesi, nella vita politica italiana, sono derivati dal fatto che, a causa della scissione del Partito socialista, si è creato un gruppo parlamentare che non risponde alle reali esigenze del Paese, perché non ha il seguito degli elettori che hanno dato vita al Partito socialista italiano di unità proletaria. (Approvazioni all’estrema sinistra).

Questa è la questione, che produce quella disfunzione organica e politica che si è già verificata nelle due ultime crisi di Governo, per la valorizzazione di questo nuovo Gruppo parlamentare. Ecco perché io mi fermo su due fatti. Il primo è che un concetto strettamente numerico non ha alcun valore per giudicare questa elezione contestata ed in base a questo fatto, esaminando i dati numerici, noi troviamo che al Partito socialista italiano compete di ricoprire il posto che sarebbe vacante, qualora non si convalidasse l’elezione di Lupis. Ma, poiché Lupis è per noi il candidato che ha avuto il maggior numero di voti, a lui compete la convalida di questo posto. A questa conclusione siamo giunti tenendo presente che nelle stesse elezioni regionali siciliane, nelle circoscrizioni che formano la circoscrizione elettorale di Catania, il candidato Sapienza ha avuto poche migliaia di voti di preferenza e così doveva essere, perché questa è la reale base elettorale del nuovo partito.

Ed allora giungo a questa conclusione, che è una conclusione che deriva dal fatto che i rappresentanti dei partiti nel Parlamento, sono in funzione della esistenza dei partiti stessi. Io non so se voi vi offenderete di una mia considerazione. Io, come socialista, non mi offendo e la faccio perché credo che molti altri colleghi non si offenderanno. Io non so che concetto abbiate della vostra importanza politica. Io arrivo a questa conclusione: l’importanza del rappresentante del Partito socialista qui nel Parlamento non dipende dal valore della persona, ma dal fatto della sua appartenenza al Partito socialista. Il giorno che questa persona, qualunque sia il suo valore, esca dal Partito socialista, essa si trova, dal punto di vista politico, in questa situazione: che i voti di preferenza svaniscono, che la sua posizione politica è nulla, perché essa conta unicamente come rappresentante di un partito.

Per le considerazioni generali che ho fatto, io credo perciò che, se si vuole rendere giustizia, se si vuole riportare la collaborazione politica, nell’interno del Parlamento, su un piano di vita normale, è necessario convalidare la elezione di Giuseppe Lupis, perché Lupis è il candidato del Partito socialista, al quale compete il posto.

Ma vi è un’altra questione, in via subordinata, che noi dobbiamo trattare. Nella seduta della Giunta delle elezioni del 26 marzo 1947, su mia proposta, si era pervenuti a questa decisione: esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania. Per quale ragione era stata accettata da molti componenti della Giunta, anche della Democrazia cristiana, questa mia proposta? Era stata accettata perché il risultato dell’esame di alcune sezioni della circoscrizione di Catania non dava dati esatti. Procedendo a questo esame, la Giunta si è trovata di fronte al fatto caratteristico che nessun risultato delle varie sezioni esaminate era esatto: si avevano delle variazioni dei voti preferenziali tanto per Lupis quanto per Sapienza. In nessuna sezione si è avuto un risultato esatto. Ed allora, io mossi ai colleghi un dubbio della mia coscienza: se dall’esame di pochissime sezioni (una trentina) di Catania si verificano questi spostamenti numerici, non è pensabile che da un esame totale dei risultati delle sezioni della circoscrizione elettorale si possano avere dati che ci conducano veramente ad una decisione che non corrisponda anche al criterio vigente? La Giunta delle elezioni deliberò in tal senso, ed appunto in seguito alla decisione del 26 marzo 1947 si sarebbe dovuto procedere all’esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania. Il Presidente della Giunta delle elezioni ha spiegato per quali ragioni, allora, egli ha creduto di non dare corso a questa deliberazione della Giunta. Si trattava di un lavoro che comportava almeno un mese di tempo. Si era allora alla vigilia della scadenza della Costituente. Si pensava, quindi, che la Giunta delle elezioni, iniziando questo lavoro, lo avrebbe terminato alla vigilia o addirittura dopo la chiusura della Costituente. Il Presidente della Giunta delle elezioni, non avendo condotto a termine il lavoro nel tempo indicato, ci riporta dinanzi allo stesso problema. Vale a dire che oggi, dopo che la Costituente è prorogata, la Giunta delle elezioni non si trova più di fronte ad un problema di giudizio sommario, come sarebbe quello a cui è stata condotta in precedenza, perché la Giunta ha ora tutto il tempo di procedere all’esame di tutte le schede della circoscrizione di Catania, mentre, se voi oggi accettate la relazione del Presidente della Giunta delle elezioni, date un giudizio sommario o parziale, e questo non deve essere, perché noi abbiamo tutto il tempo per accertare se un candidato ha avuto più voti dell’altro.

Io propongo pertanto che sia rinviato alla Giunta delle elezioni il riesame della elezione contestata al Lupis, per procedere, in base alla delibera della Giunta stessa nella seduta del 26 marzo 1946, al riesame di tutte le schede della circoscrizione di Catania.

Così facendo, onorevoli colleghi, credo che ci si ponga anche al di sopra di quel problema politico a cui ho accennato e si possa dare un giudizio con maggiore fondatezza. Con il riesame di tutte le schede della circoscrizione di Catania, voi potrete dare un giudizio esatto, ed è questo che noi chiediamo alla maggioranza della Costituente. (Applausi).

GRILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRILLI. Onorevoli colleghi, se un appunto si può muovere alla Giunta delle elezioni, appunto naturalmente amichevole, senza rancore, è questo: che la Giunta delle elezioni ha impiegato un po’ troppo tempo per arrivare alla conclusione di questa controversia, la qual cosa ha determinato questo inconveniente, che il candidato legalmente eletto dagli elettori di Catania è rimasto per più di un anno fuori di questa Assemblea, mentre il candidato proclamato per errore ha tenuto in questa Assemblea un seggio che non gli spettava. Che, se per caso l’Assemblea Costituente non si fosse prorogata fino al 31 dicembre, oggi questo libro sarebbe chiuso e Catania non riuscirebbe mai a sapere quale è stato il suo legittimo rappresentante.

La questione, onorevoli colleghi, non è politica, la questione politica l’ha fabbricata all’ultimo momento la fantasia dell’onorevole Giua. La questione è giuridica ed è nei termini strettamente giuridici che intendo impostare questo mio intervento. E, d’altra parte, la stessa relazione di minoranza non fa che delle eccezioni di carattere prettamente giuridico, direi quasi procedurale, sicché guarderò brevissimamente queste eccezioni, che, a parer mio, non hanno alcun fondamento.

Si dice, prima di tutto – e questa eccezione, sebbene contenuta in una postilla, nell’ultima parte della relazione, è pregiudiziale – che il ricorso del candidato Sapienza sarebbe intempestivo per questi due motivi: perché Sapienza avrebbe fatto un primo ricorso, prima della proclamazione Lupis e un secondo ricorso alla Giunta delle elezioni, dopo il ventesimo giorno dalla proclamazione Lupis; sicché il primo ricorso sarebbe stato fatto troppo presto e il secondo sarebbe stato fatto, troppo tardi; tutti e due intempestivi.

Ora, io osservo che l’articolo 65 della legge per la elezione della Costituente stabilisce due forme di ricorso: il primo è il reclamo che si può fare alle Sezioni o all’Ufficio centrale, finché dura la loro attività e anche posteriormente; il secondo è quello che si può presentare, se non si è fatto il primo alle Sezioni o all’Ufficio centrale, alla Segreteria della Presidenza dell’Assemblea Costituente.

Ora, se è vero che il candidato Sapienza ha presentato il secondo ricorso alla Giunta delle elezioni dopo il ventesimo giorno dalla proclamazione Lupis, è vero però anche che ha presentato regolarmente il primo ricorso all’ufficio centrale il 21 giugno, ossia nei termini di legge. Per modo che il libello introduttivo di questa controversia è il reclamo del 21 giugno, presentato all’Ufficio centrale. Il reclamo posteriore, che è uguale a quello del 21 giugno, presentato alla Giunta delle elezioni, non è più il libello introduttivo del giudizio, è un di più, tanto vero che il Presidente della Giunta delle elezioni l’ha chiamato «suppletivo». È una specie di avviso che la parte interessata ha dato alla Giunta delle elezioni dell’esistenza di questa controversia. Perciò la controversia è legalmente aperta e l’Assemblea Costituente è investita del giudizio.

Seconda eccezione; può l’Assemblea Costituente, esauritosi il suo normale ciclo vitale, procedere alla sostituzione dei suoi membri?

Certo, se l’Assemblea Costituente fosse terminata il 24 giugno, non c’è dubbio che della cosa non si parlerebbe più e si sarebbe verificato quell’inconveniente cui dianzi accennavo; ma siccome l’Assemblea si è prorogata, il suo ciclo vitale esiste ancora e può decidere. Però la relazione di minoranza sostiene che, trascorso un anno dalle elezioni, non è più possibile nessuna sostituzione di candidati; e, per sostenere questa assurdissima tesi, invoca la legge elettorale del 1919.

Noi potremmo dare a tale obiezione una risposta che, come suol dirsi, taglia la testa al toro: che noi cioè siamo regolati dalla legge del 10 marzo 1946 e non già da quella del 1919. Ed infatti, proprio pochi momenti fa, si è proceduto alla sostituzione del Magrassi al dimissionario Natoli Lamantea. Ma anche se, comunque, un riferimento a questa legge del 1919 si potesse fare, magari per un criterio di analogia, io osservo subito che questo riferimento è errato. È errato, perché la legge del 1919 – e lo ricordo ai giovani, perché gli anziani e specialmente quelli che furono deputati nel 1919 la conoscono meglio di me – aveva un articolo, il 103, il quale stabiliva che se un deputato optava per uno dei due Collegi in cui era stato eventualmente eletto, o se era sorteggiato per la mancata opzione, o se l’elezione veniva annullata perché il deputato aveva accettato più di due candidature, oppure se un deputato veniva a morire prima delle elezioni, ossia durante il periodo della lotta elettorale, il posto vacante veniva allora colmato con il primo dei non eletti.

Venne poi successivamente una legge, quella del 26 settembre 1920, la quale modificava questo articolo 103, aggiungendo ai casi che ho indicati anche quello del deputato che fosse morto entro un anno dall’elezione. Si creò così la figura degli aspiranti deputati, i quali potevano diventare deputati per successione, se uno dei deputati eletti avesse fatto loro la cortesia di morire entro l’anno.

Dunque, questo termine di un anno, non è che fosse posto come il limite di tempo per la sostituzione dei candidati; era posto come condizione della morte del deputato, perché si potesse procedere alla sostituzione col primo dei non eletti, anziché procedere alla riconvocazione del Collegio. Dunque, nemmeno la legge del 1919 aveva quel limite invocato dalla relazione di minoranza.

Se un termine ai lavori della Giunta c’è, è, se mai, quello dell’articolo 18 del Regolamento della Giunta, ma questo termine è di un anno e mezzo e l’anno e mezzo non è ancora spirato. D’altra parte, se la tesi della relazione di minoranza fosse giusta, si arriverebbe a questo assurdo, che, ove la Giunta delle elezioni, per qualsiasi motivo, magari per le arti defatigatorie dei litiganti, non riuscisse a condurre a termine il suo lavoro entro l’anno, ricandidato proclamato per errore acquisterebbe di diritto la carica per una specie di prescrizione acquisitiva, di usucapione applicata al diritto elettorale.

Questa tesi è tanto assurda che non c’è davvero bisogno di dimostrarne l’infondatezza. Ma v’è una terza eccezione: la violazione cioè dell’articolo 23 del Regolamento della Camera, perché la seduta del 7 giugno della Giunta delle elezioni sarebbe stata indetta, senza che tra l’affissione dell’avviso di convocazione e il giorno della seduta fossero trascorsi i tre giorni stabiliti dall’articolo 23. Ma io vi faccio osservare, egregi colleghi, che questo termine di tre giorni – e sappiano i relatori di minoranza, per un’eventuale loro prossima futura relazione, che il termine non è di tre giorni, ma di dieci – questo termine di 3 giorni dell’articolo 23 del Regolamento della Camera, che poi è diventato di dieci giorni per il successivo regolamento della Giunta delle elezioni che è posteriore, è richiesto soltanto ed esclusivamente per la seduta pubblica, per quella seduta pubblica di contestazione di cui parla l’articolo 23 del Regolamento della Camera e alla quale si riferisce l’articolo 11 del regolamento della Giunta delle elezioni; per quella seduta pubblica nella quale le parti sono ammesse a discutere, per quella seduta pubblica nella quale si contesta l’elezione e le parti possono produrre documenti, presentare deduzioni e sostenere le loro ragioni.

Ma questo è avvenuto, signori, perché la seduta pubblica fu quella del 22 maggio e fu fatta regolarissimamente, col rispetto dei dieci giorni e di tutte le altre formalità di rito.

L’articolo 14 del regolamento della Giunta stabilisce che, terminata la seduta pubblica, cioè dopo la discussione delle parti (la seduta pubblica, e quindi la fase contestativa, è terminata) la Giunta, in seduta privata, decida, prenda le sue conclusioni.

In questo caso la Giunta delle elezioni che cosa avrebbe potuto fare? Avrebbe potuto prendere i dati che risultavano e che non erano più discutibili, e cioè che il Lupis aveva 141 voti in meno del Sapienza, e senz’altro annullare la proclamazione del Lupis e proclamare eletto il Sapienza.

La Giunta delle elezioni aveva fatto un lavoro di Sisifo, aveva fatto quattro indagini, egregi colleghi. Con la prima indagine aveva trovato che i 13 voti, che secondo l’ufficio centrale della circoscrizione erano a favore del Lupis contro il Sapienza, erano divenuti invece 4 voti a favore del Sapienza; dopo una seconda indagine, la differenza a favore del Sapienza salì a 182 voti; dopo una terza indagine scese a 151; dopo una quarta indagine rimase a 139.

Nonostante tutto questo, e nonostante che nessuno potesse discutere la regolarità di questo conteggio, la Giunta delle elezioni, per uno scrupolo che le fa onore e nell’intento di accedere alle richieste del candidato Lupis, nominò una Commissione inquirente alla quale dette un incarico preciso. E l’incarico era questo: indagare tutte le schede nulle e contestate di Catania.

I limiti di questa indagine furono proposti dall’onorevole Rubilli, che ebbe il voto favorevole degli onorevoli Musotto e Nobili Tito Oro, che sono fra i firmatari della relazione di minoranza.

Questo Comitato ha fatto le sue indagini, e niente di meno ha esaminato 88.000 e più schede, ed è venuto a questo risultato: che il Lupis aveva diritto ad altri 12 voti, il Sapienza aveva diritto ad altri 14 voti, sicché i voti a favore del Sapienza aumentavano di due.

Il Comitato presentò la sua relazione alla Giunta delle elezioni nella sua prima riunione, che fu quella del 7 giugno. E che cosa doveva fare la Giunta delle elezioni? Non doveva fare altro che una semplice operazione aritmetica e vedere se 139 più 2 fa 141.

Si sostiene, dai relatori di minoranza, che si sarebbe dovuta riconvocare la seduta pubblica. E questo è un errore. Si invoca la procedura civile; ma, dal momento che abbiamo una procedura speciale, è questa che conta.

La seduta pubblica si era esaurita il 22 di maggio. Le parti avevano avuto il loro tempo per presentare tutte le deduzioni e muovere tutte le eccezioni, il che fu fatto. Dopo di allora non era più ammessa nessuna difesa. La Giunta delle elezioni, il 7 giugno, si trovava a continuare quella seduta privata che è prevista dall’ultima parte dell’articolo 14, ed in questa seduta privata pervenne alle conclusioni che voi sapete.

Che, se per caso fosse giusta la tesi dei relatori di minoranza, che cioè, tutte le volta che un Comitato inquirente o qualsiasi altro Comitato, per scrupolo dalla Giunta delle elezioni, porti dei dati nuovi, si dovesse riconvocare la seduta pubblica e riammettere le parti alla discussione e a nuove deduzioni, voi capite che non si finirebbe più e sarebbe stato facile, in questo modo, arrivare fino a Natale ed allora, il candidato eletto Sapienza, sarebbe potuto venire a Montecitorio nel 1948 a portare un fiore sulla tomba dell’Assemblea Costituente.

Se dunque questa tesi che pretendono di sostenere gli avversari, cioè di riprendere la seduta pubblica tutte le volte che vi è una novità, fosse giusta, questo non sarebbe più un giudizio, sarebbe quello che i ragazzi della mia Toscana chiamano la «novella dello stento», che non finisce più.

Come vedete, le eccezioni di carattere giuridico che sono state mosse, non hanno nessuna importanza. Io non mi soffermo a discutere la nuova tesi di sapore politico che è stata presentata oggi dall’onorevole Giua. Egli pretende che ormai gli elettori di Catania siano più favorevoli al Partito socialista italiano che non al Partito socialista dei lavoratori italiani e pretende che ad occupare il seggio rimasto vacante per l’opzione di Saragat, invece di Sapienza, si debba chiamare uno dei candidati che appartengono al Partito socialista italiano. (Interruzioni a sinistra). Nelle ultime elezioni il Partito socialista italiano ha avuto forse più voti del Partito socialista dei lavoratori italiani? Mistero questo! È mistero per colpa vostra (Accenna a sinistra) perché voi avete fatto il blocco con i comunisti. Ora noi non sappiamo quanti dei voti che vi hanno favorito siano i voti vostri o dei vostri alleati comunisti. Comunque, voi parlate di preferenze. Ebbene, io dico: siccome qui si discute fra Sapienza e Lupis, Lupis fu candidato del Partito socialista italiano? Non mi risulta. Credo di no. Ed allora è mancata la competizione che potesse far misurare quale di questi due contendenti abbia maggiore credito e fiducia negli elettori di Catania. La lista del 2 giugno era del Partito socialista di unità proletaria. Oggi l’Assemblea Costituente deve vedere chi è della lista socialista di Unità proletaria il quarto candidato in graduatoria ossia il primo dei non eletti per sostituirlo all’onorevole Saragat. Il candidato Sapienza ricorse contro l’Ufficio centrale sostenendo che il quarto posto spettava a lui. L’Ufficio centrale lo assegnò erroneamente a Lupis, e la Giunta delle elezioni proclamò Lupis per questo errore. Oggi si è scoperto che il quarto posto spetta a Sapienza e perciò Sapienza soltanto ha diritto di essere deputato.

Io ho finito, egregi colleghi. Mentre auguro che nelle prossime Assemblee legislative e la Giunta delle elezioni lavori con una maggiore rapidità, a nome mio e dei miei compagni di Gruppo, saluto in Giuseppe Sapienza, il nuovo deputato di Catania. (Applausi).

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Io, come Relatore e come Presidente della Giunta, credo di avere il diritto di rispondere a tutti gli oratori.

DUGONI. Il difensore di ufficio.

PRESIDENTE. Senza dubbio: lei risponderà quando avranno parlato tutti.

COLITTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

COLITTO. Ho domandato di parlare, perché, dovendo anch’io dare il mio voto, desidero darlo con tranquilla coscienza. All’uopo occorre che i Relatori diano chiarimenti, che giovino a questo scopo. A me non sembrano fondate le eccezioni di rito, che sono state hinc inde sollevate. Non mi sembrano, altresì, fondate le eccezioni che, con parole suggestive, sono state formulate dall’onorevole Giua, perché la questione non può essere risolta, a mio sommesso avviso, da un punto di vista politico, sì bene da un punto di vista strettamente giuridico, alla parola della legge dovendo noi rimanere aderenti. Io, però, sono rimasto perplesso di fronte alle asserzioni, che ho letto nella relazione di maggioranza. Se ho ben inteso, nella seduta del 26 marzo 1947, la Giunta prese una precisa deliberazione. Deliberò, cioè, di richiamare presso di sé tutte le schede valide da tutte le numerose sezioni costituenti la circoscrizione elettorale allo scopo di eseguire opportune verifiche. Ora io dico a me stesso: «Bene o male, la Giunta convalidò l’elezione del candidato Lupis» Sarà caduta in errore, non sarà caduta in errore: la Giunta convalidò…

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Lei è fuori strada!

NASI. Proclamò!

COLITTO. Ho sentito poco fa dire dall’onorevole Grilli che, per errore, al posto del Sapienza, era entrato nell’Assemblea il Lupis. Ora, si qualifichi questa decisione, questa deliberazione della Giunta, col termine tecnico che si vuole, ma insomma il Lupis è entrato nell’Assemblea e non vi è entrato il Sapienza. Che cosa deve fare oggi l’Assemblea Costituente? Deve prendere una deliberazione, con la quale dica che si annulla l’elezione del candidato Lupis ed al suo posto si proclama il Sapienza. Ora, ritornando a quello che ho detto poco fa, la Giunta delle elezioni il 26 marzo 1947 deliberò di richiamare dalle varie sezioni della circoscrizione elettorale tutte le schede valide. Ma ha poi essa adempiuto a tale deliberazione?

A questo interrogativo la relazione di maggioranza risponde di no. Vi saranno state difficoltà di ordine pratico ed anche di ordine finanziario (leggo nella relazione che sarebbero stati necessari mezzi finanziari, che avrebbero dovuto essere forniti dal Ministero dell’interno); ma una cosa è certa: che la deliberazione della Giunta del 26 marzo 1947 non è stata poi eseguita.

Vi sono stati richiami di schede; ma la deliberazione non è stata certo, in toto, eseguita.

Ed allora, se l’Assemblea è chiamata a rispondere a questo interrogativo: «Si deve annullare la elezione di Lupis e porre, al posto di Lupis, Sapienza? Deve essere messo fuori da quest’Aula l’uno, perché sia introdotto l’altro?», la mia coscienza mi dice di non rispondere, mancando gli elementi per la risposta. Signori della Giunta, voi siete stati chiamati ad adempiere un mandato, ed avete stabilito di adempierlo in certo modo. Poi non l’avete adempiuto. Ed allora, io vi dico: «Completate quello che avete da completare; fate quello che avevate stabilito di fare e che non avete fatto ancora». L’Assemblea potrà così con più serena coscienza dare il proprio voto in un senso o nell’altro.

Ecco perché io propongo di soprassedere dalla decisione definitiva e che siano di nuovo restituiti gli atti alla Giunta delle elezioni. (Applausi a sinistra).

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Onorevoli colleghi, anzitutto abbiano i colleghi, i quali hanno parlato su questo argomento, a persuadersi che la Giunta delle elezioni, ed io, in particolare, non siamo abituati a scostarci dallo scrupolo della verità. Credo di aver dato prove continue della mia indipendenza; e, se anche i colleghi dissenzienti, al di fuori di questo episodio, volessero ricordarsi delle manifestazioni di concorde consenso, tributate alla mia opera ed a quella dei miei colleghi, sarebbero posti nella condizione di evitare frasi, le quali non possono che suonare poco rispettose per questa integrità di condotta della Giunta delle elezioni. (Approvazioni). Ora, il sentirmi dire che io devo parlare ultimo, perché sono il difensore, sembrerebbe che io dovessi essere il difensore d’ufficio.

DUGONI. C’è un malinteso.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Accetto la dichiarazione e passo oltre, perché ritengo rette e quindi obiettive anche le manifestazioni incidentali del pensiero. Avanti al dilemma posto dall’onorevole Giua, non posso consentire che la questione possa essere trasportata sul terreno politico. Si allude dall’onorevole Giua all’importanza preminente che oggi i partiti assumono nella impostazione della rappresentanza nazionale. Ed io riconosco questa necessità nuova, sulla quale, del resto, si basa anche l’opera di collaborazione o di dissenso che agita le nostre discussioni e determina i nostri voti.

Ma, signori, non posso arrivare fino al punto di tramutare la funzione della Giunta in una funzione politica, nel senso che debba giungere con i miei colleghi ad ammettere la proclamazione di un candidato, il quale, secondo gli accertamenti da noi fatti, non ha raggiunto la maggioranza numerica. Solo una ragione politica, che si desume dalle sorti nelle quali si è trovato il Gruppo del Partito socialista di unità proletaria al momento delle elezioni del giugno e dagli spostamenti che ne sono derivati, per gli effetti del dissidio intervenuto nel febbraio scorso, a scomporne la compagine, mi dovrebbe permettere di dire: io guardo all’una o all’altra parte di queste due frazioni dell’antico partito, perché si debba, secondo le opinioni del candidato dell’una parte o dell’altra in lotta, attribuire, per una ragione politica, la preminenza all’uno invece che all’altro. La nostra è una ricerca di verità, secondo i mezzi che abbiamo ed io dimostrerò anche all’onorevole Colitto che egli è caduto in un grosso equivoco, quando è andato al di là del senso vero e della portata di quella deliberazione, sulla quale ci tratterremo brevemente a discutere fra poco.

E non mi aspettavo, lo dico francamente, dall’onorevole Grilli il rimprovero di eccessiva lentezza nel compimento dei nostri lavori.

Se l’onorevole Grilli avesse posto un’attenzione maggiore a tutti i punti della mia relazione, avrebbe visto che do ampie spiegazioni sulla ragione che ha condotto a questa lentezza. Era già il Collegio di Catania logorato per il contrasto di molte liste e non si può neanche dimenticare che, all’infuori della lotta fra il candidato Sapienza e il candidato Lupis, la difficoltà maggiore nelle ricerche è stata creata dall’ufficio circoscrizionale di Catania, il quale ha fatto il riassunto dei voti in maniera manchevole, al punto da non tener conto, come si doveva, dei voti che risultavano in base ai moduli 5-bis.

Diciamo una parola della funzione a cui è destinato il modulo 5-bis. Si riassumono in esso i numeri dei voti di preferenza. Quindi ecco che, una volta stabilito, in base al modulo 5, quale sia il numero dei voti di lista accolto da ognuna delle liste, se vogliamo poi andare a fare il computo per stabilire la graduatoria dei singoli candidati, bisogna che aggiungiamo al voto di lista i voti preferenziali che sono da assegnare a ciascuno dei candidati.

Quando, giunti gli atti dell’elezione alla Segreteria dell’Assemblea, si notarono queste omissioni e soprattutto intervenne il candidato Sapienza con due ricorsi ad impugnare il conteggio compiuto dall’ufficio centrale, entrò in giuoco il compito affidato dal regolamento della Giunta e dalla legge elettorale all’ufficio di Segreteria di procedere alle verifiche, riesaminando il modulo 5, il modulo 5-bis e quegli altri elementi che potevano essere utilizzati, e fra questi anche quelli indicati dai ricorsi Sapienza. L’Ufficio di Segreteria ha compiuto questo lavoro di riesame fermandosi a un certo punto, e diremo ora quale.

Si è detto, nella relazione di minoranza che la Giunta ha avuto il torto di fermarsi troppo ai reclami e ai ricorsi del Sapienza, quasi che noi avessimo ridotto la nostra indagine soltanto alle indicazioni che il Sapienza ci forniva. Ciò è profondamente inesatto e non risponde a verità. Accanto ai ricorsi del Sapienza sono arrivati alla Giunta i ricorsi del Lupis. È vero che lo stesso Lupis, in lettere fatte pervenire alla Giunta, assume che egli, di questa questione di rettifica in ordine alle proclamazioni, non si è mai curato per molte ragioni, fra le quali quella politica, in quanto parrebbe – lo dico perché è stato scritto in questi documenti, non perché a me consti per altra via – che sarebbe stato imposto, quando il Partito era ancora nella sua unità, al Sapienza di non fare reclami in ordine alla contestata sua posizione per la graduatoria; ma è vero tutto ciò, oppure il Lupis si è reso conto per tempo della necessità di intervenire nel dibattito? Si comprende, da un altro lato, che, siccome le omissioni dell’ufficio centrale venivano a colpire soprattutto il posto di graduatoria del Sapienza, era naturale che il Sapienza fosse quello che si muovesse a far rettificare il posto nei confronti del Lupis, tanto più che la differenza a quell’epoca, trascritta dai risultati dell’Ufficio centrale, era di tredici voti fra la posizione dell’uno e la posizione dell’altro.

E, del resto, il Lupis aveva ogni ragione di fare l’indiano, perché se mai toccava agli altri di andare più o meno ad arrampicarsi nella revisione dei voti per portare in essere la vera maggioranza.

NOBILI TITO ORO. Macché indiano! Lei deve essere obiettivo!

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Lei è stato giudice nella Giunta ed ha il dovere di essere obiettivo come lo sono io, e non fare relazioni di minoranza le quali colpiscono non tanto me, che, francamente, sono abituato alle lotte, ma colpiscono l’intera Giunta e i lavori che la Giunta ha compiuto. Ecco qual è l’obiettività. (Rumori a sinistra). Siate almeno così obiettivi da lasciarmi parlare.

Dunque, quando è che si è mosso il Lupis ad interessarsi della questione? Il 7 settembre 1946 egli delegò a rappresentarlo dinanzi alla Giunta delle elezioni l’avvocato Sinibaldo Tino. Se questa data è inoppugnabile, vediamo un’altra lettera che il Lupis mandò alla Giunta quando ormai si era nel fervore delle indagini, 26 marzo 1947, nella quale spiega, in parte, il retroscena politico del dissidio.

«Il sottoscritto Lupis – egli scrive – aveva, a suo tempo dalla Direzione del proprio Partito e quando già era stato assunto al Governo, notato che contro la sua proclamazione era stato elevato ricorso dal compagno di lista Sapienza, il quale per questa iniziativa non allineata sulla disciplina del Partito era stato censurato. Sempre in conformità di tale disciplina, egli fu invitato a disinteressarsi del reclamo, lasciando arbitra la Giunta degli accertamenti e della decisione. Poscia fu informato degli accertamenti, ma non ancora svincolato dal disinteressamento imposto. Quando più tardi fu, invece, per l’avvenuta scissione del Partito socialista italiano, invitato a provvedere alla difesa della propria posizione, che interessava ormai anche il Partito, lo fece nominando a proprio difensore l’avvocato Tino».

Signori miei, ditemi un po’ voi che siete più competenti di me: quando è avvenuta la scissione nel Partito socialista? Certo è che, dato che la scissione è avvenuta nel febbraio scorso, il signor Lupis aveva già fatto i suoi passi in precedenza, nominando proprio difensore l’avvocato Tino con una delega del 7 settembre 1946, onde reclamare sulla propria posizione.

Ma lasciamo andare tutto questo, che è contorno e veniamo alla sostanza.

Che cosa ha compiuto la Giunta delle elezioni e, con essa, la diligentissima Segreteria? Ha dovuto ristabilire il complesso dei voti e della graduatoria, che l’Ufficio centrale aveva avuta la negligenza di non compiere. Ed allora il criterio è stato questo: dove si avevano i moduli 5-bis, si è cominciato a rifare le indagini su questi moduli, per stabilire il vero ammontare delle preferenze. Inoltre, siccome alcuni moduli 5-bis mancavano – si andava sulle 50-60 sezioni – abbiamo dovuto sollecitare l’Ufficio centrale e la Presidenza della Corte di Catania, affinché mandassero questi documenti. Sono arrivati finalmente, dopo due mesi: l’onorevole Grilli ne tenga conto.

Ed allora ecco come è proceduto il nostro lavoro, e lo esporrò in pochissime parole, affinché tutti vedano l’obiettività della organizzazione in cui ci siamo inquadrati, per giungere ai necessari accertamenti. Dove c’erano i moduli 5-bis e si erano denunciate erroneità di incolonnatura, queste erroneità sono state scoperte e corrette. Dove, viceversa, si è trovato che mancavano i moduli, allora si è ricorso al giusto espediente di farsi inviare tutte le schede valide. Guardino, dunque, che l’esame delle schede valide è stato cominciato fin da allora, ma nel punto che interessava, e non nel punto che era superfluo. È stato in base a questa ricerca, ed in base alla presenza di questi documenti, che tra l’altro, si sono rinvenuti, nel pacco delle schede valide, parecchi moduli 5-bis. Per cui il bivio posto alla Presidenza della Giunta ed alla Segreteria è stato questo: dove abbiamo i moduli 5-bis, si rettifica stando all’indicazione numerica che ci era offerta; dove non abbiamo il modulo 5-bis, si ripara alla mancanza di indicazione attraverso il conteggio delle schede in tutte le sezioni a cui si riferisce questa manchevolezza.

Ed allora, signori, si è detto che siamo stati molto diligenti, ma non molto pazienti. Ma guardate, ecco la pazienza: questo riesame di tutte le schede valide ed anche dei moduli 5-bis ha occupato un gran numero di sedute. E sapete chi è intervenuto all’esame di queste sedute? In mia assenza, i Vicepresidenti, onorevoli Nasi ed Uberti, e di tutto è stato fatto minuto e circostanziato verbale.

Sicché, o signori, quando voi trovate che la graduatoria dei voti si sposta, sia nei riguardi di Sapienza, sia nei riguardi di Lupis, ciò avviene per queste rettifiche fatte sulla base delle schede valide, sulla base dei moduli 5-bis, sulla base del riordinamento delle incolonnature, dove queste si erano prestate alle omissioni compiute dall’Ufficio centrale.

Compiuto tutto questo lavoro, io lo portai, nel marzo scorso, in seno alla Giunta delle elezioni. In quella sede ho riferito, ho dato le spiegazioni di tutto, e queste spiegazioni voi le trovate nella mia relazione, in quei quattro quadri dove gradualmente giustifico tutti gli apporti dei nuovi voti. In essi voi vedete tutto il lavoro singolo, minuto e paziente, di cui vi ho dato ora un accenno, ed arrivate a questo risultato: 139 voti di maggioranza per il candidato Sapienza.

Nessuno fece obiezioni a questo lavoro. Le risultanze furono riconosciute esatte e la Giunta fu unanime in questo riconoscimento. Soltanto è avvenuto che, ad un certo momento – ecco, se mai, dove affiora un certo motivo di interesse politico – quando si è visto che la posizione dei candidati si invertiva, si è creduto di trovare mezzi adatti per cercare di migliorare la situazione di Lupis nei confronti ni Sapienza, e, dopo lunghe discussioni, si è detto, che cosa si fa? Alla fine della seduta – come spesso succede – c’erano due proposte: una proposta fatta – e lo dico in omaggio al rispetto che porto per lui – dall’onorevole Nobili, e un’altra avanzata quasi improvvisamente dall’onorevole Giua.

Dico la verità e le mie impressioni. La Giunta di fronte alla proposta Giua, che chiedeva il richiamo di tutte le schede, che erano più di un milione, non ebbe modo di valutare le difficoltà di un’opera simile ed anzi, la impossibilità di portarla a termine. Bisogna avere un po’ passato il nostro tempo, come si è passato, con molto senso di pazienza e di diligenza nell’avvalorare, col nostro lavoro, la funzione affidata alla Giunta delle elezioni per rendersi esatto conto di ciò. Ora, io ricordo che in quella seduta stessa uno dei colleghi – posso anche dirne il nome, a suo onore: l’onorevole Grieco – domandò alla Presidenza: «Questi risultati differenziali, queste omissioni, queste irregolarità, di cui la difesa Lupis parla genericamente, sono conseguenza di brogli, di un’azione dolosa? Sono stati determinati dalla intenzione malvagia di togliere voti ad un candidato e di alterare il risultato reale della elezione?». Ricordo che tutti coloro che avevano, come me, seguito il lavoro dei colleghi Nasi e Uberti, risposero: «No, signori: tutto quello che è avvenuto si deve a pura omissione, a pura negligenza». Ora comprenderete, onorevoli colleghi, l’effetto che avrebbe avuto il richiamo di tutte le schede. Noi avremmo desiderato che si dicesse: in quelle determinate sezioni sono avvenute irregolarità, perché dai verbali induciamo che vi sono elementi di variazione indebitamente introdotti. Ma si parlava genericamente di richiamare tutte le schede partendo da questo presupposto: siccome, esaminando i moduli 5 e 5-bis, si è trovato un aumento di voti per Sapienza ed un aumento di voti, sia pure minore, per Lupis, chissà che, andando a riguardare tutte le schede delle 1700 sezioni del Collegio, non si possa trovare qualche cosa che migliori la posizione del Lupis. (Interruzioni – Commenti a sinistra). Coloro che parlano di inesattezze hanno la piena libertà di venire a consultare gli atti: così risparmieremo fiato loro ed io.

Dunque, tutti sentirono, fatta questa deliberazione, che la cosa era veramente inattuabile, che era un surmenage di cui ci saremmo caricati. E la ragione è evidente; perché si potrebbe, ad esempio, per tutti i Collegi, semplicemente per un richiamo generico, relativo al risultato dei moduli 5 e 5-bis, dire che il candidato dell’ultimo o del penultimo posto, potrebbe guadagnare un posto migliore se si facesse il riesame di tutte le schede valide del Collegio. (Commenti – Interruzioni). Io, onestamente fedele alla volontà della Giunta, mi misi immediatamente in comunicazione col Presidente della Corte d’appello domandandogli che provvedesse a mandare subito – ed esponesse quali mezzi fossero più adatti al riguardo – tutte le schede valide del Collegio. Egli rispose spaventato, dicendo che si sarebbe dovuto fare una ricerca dappertutto per avere le schede valide e che non c’era il tempo disponibile. Ed allora tornai alla Giunta qualche giorno dopo, e misi a parte i colleghi di queste difficoltà, e debbo dire che tutti, onestamente, ne furono convinti e revocarono la deliberazione precedente.

CAROLEO. Male, male!

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Per via media fu stabilito – guardate anche la tolleranza eccessiva della Giunta fino a questo momento, poiché non si era ancora parlato di contestazione della elezione, e ciò io permisi rendendomi conto di una situazione la quale, per i suoi aspetti politici, voleva essere trattata con molto tatto – fu stabilito: chiamiamo i due contestandi, davanti ad una Commissione composta di tre membri della Giunta, la quale cerchi di far ridurre, se possibile, le loro richieste relative alle schede valide.

Purtroppo ciò non ebbe esito; non si trovarono d’accordo i due contestandi e allora venne la questione alla Giunta, la quale, giustamente seccata dal prolungarsi di un dibattito senza conclusione, su proposta di uno dei suoi membri, disse che non si poteva più oltre protrarre la contestazione, una volta che il conflitto veniva ad approfondirsi.

Fu, pertanto, approvata la contestazione, e si venne alla seduta pubblica del 22 maggio scorso.

Ora, signori, non mi soffermerò su tutte le eccezioni prospettate dai colleghi di minoranza. Dirò che si venne alla discussione della elezione davanti alla Giunta. Sapendo che il terreno era arroventato, non volli presentarmi alla Giunta con una relazione orale; volli che, trattandosi soprattutto di particolarità numeriche sostanziali, la Giunta avesse davanti alla mia relazione scritta tutto il quadro dei risultati di accertamento raggiunti fino allora.

Il difensore del Lupis chiese, sul merito, il completamento delle indagini, a continuazione di quelle già compiute dalla Giunta e che avevano portato alla constatazione dei 139 voti a favore del Sapienza. Riunitasi la Giunta in camera di consiglio, respinse una pregiudiziale di decadenza proposta dal Sapienza e nominò un Comitato nelle persone dei colleghi Nasi, Musotto e Tambroni, incaricato di procedere alla revisione delle schede nulle e contestate della circoscrizione di Catania. I tre colleghi, in nove riunioni, esaminarono ben 88.148 schede. Vi sono qui i documenti, compreso il verbale, composto di numerose pagine. Fra i tre membri che componevano il Comitato, c’era anche uno dei firmatari della relazione di minoranza, il nostro egregio collega onorevole Musotto, il quale, con gli altri, può darvi atto che le deliberazioni, di cui è cenno nel verbale, sono state tutte prese all’unanimità.

E i risultati quali sono stati? I risultati sono stati trascurabili: sopra 88.148 schede sono stati attribuiti 12 voti al Lupis e 14 al Sapienza, di guisa che la prevalenza del Sapienza salì da 139 a 141 voti.

Ora, signori, giunti a questo punto, io domando: che cosa ancora si poteva fare? Io dovevo condurre a conclusione questa elezione; non potevo più ammettere tergiversazioni.

Si dice nella relazione di minoranza: perché il Presidente parla di impulso a sollecitare i risultati? Ma diamine: dopo dieci mesi volevate che dovessi ancora attendere del tempo? Tutto era pronto per presentare all’Assemblea il responso e questo responso io diedi, preparando la mia relazione.

Se, pertanto, una relazione di minoranza si voleva fare, sarebbe stato opportuno che, come di rito, cioè passasse per il tramite della Giunta e venisse all’Assemblea.

Io concludo dicendo che l’Assemblea può chiedermi tutti i chiarimenti che eventualmente desideri, dopo di che ritengo di aver esposto la parte sostanziale della questione. Posso assicurare che la Giunta ha assolto al suo compito con maggior premura, con maggior avvedutezza, con maggior pazienza, di quanto non abbia fatto a proposito di altre elezioni giunte al suo esame.

In ordine ai risultati delle elezioni regionali in Sicilia, e ai voti ottenuti dal Sapienza, osservo che si entra in un campo politico estraneo al problema in esame.

Si è alluso, in proposito, ad una sentenza interlocutoria, ma davanti alla Giunta delle elezioni, non abbiamo una sentenza interlocutoria in cui il giudice emana un provvedimento, salvo a riprendere la causa in un momento successivo: qui invece, una volta che la fase della contestualità, consistente soprattutto nella seduta pubblica e nella discussione delle parti, è chiusa, si entra in Camera di Consiglio; e in Camera di Consiglio la Grinta può benissimo deliberare gli accertamenti che ritenga opportuni. Questi accertamenti sono stati compiuti, hanno dato i risultati che ho comunicato, e la cosa finisce qui.

Penso che la mia relazione, approvata dalla Giunta nella sua maggioranza, risponda a tutti i quesiti posti dagli avversari. Del resto, senza perdermi in altri spunti polemici, desidero soltanto ricordare che dal verbale della seduta del 7 giugno risulta la seguente dichiarazione di un componente di minoranza: «Mentre si ritiene che il risultato a cui hanno portato le indagini non è più modificabile, è da ritenersi infondata la richiesta dell’avvocato Tino di nuove indagini e nuove deduzioni».

Signori, se questo è il pensiero espresso da un componente della minoranza non ho niente da aggiungere. Noi abbiamo fatto opera di giustizia. Faccia altrettanto L’Assemblea, seguendo le tradizioni cui sempre si è informata la Giunta delle elezioni. (Applausi).

NOBILI TITO ORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOBILI TITO ORO. Onorevoli colleghi, era proposito della minoranza della Giunta delle elezioni – sodisfatto che ebbe, con propria relazione scritta, il dovere di illustrare il caso all’Assemblea in aderenza alle realtà processuali e alle necessità giuridiche – di disinteressarsi di questa discussione. Ma, come gli interventi preannunziati hanno reso necessario quello del collega Giua, così quelli successivi rendono doveroso questo mio, che peraltro sarà molto breve.

L’intervento è doveroso, perché è stata, fra l’altro, sollevata una questione ingiustificata: si è preteso che noi abbiamo presentata la relazione di minoranza senza averla fatta ammettere dalla Giunta e la verità è invece che questa, avutane formale richiesta dal collega Musotto nell’ultima seduta, recisamente e sintomaticamente la respinse. Era logico, era legittimo che la minoranza provvedesse, in conseguenza, indipendentemente dal negato beneplacito della maggioranza.

E vengo al merito, rispondendo subito al collega Grilli che il collega Giua, prospettando la questione politica, non l’ha prospettata come una tesi difensiva sulla quale la minoranza abbia fatto leva per le decisioni da adottare: egli ha voluto dire che, disgraziatamente, questa questione elettorale, ad un determinato momento, è stata aggravata dal sopraggiungere di una complicazione politica senza di che non avrebbe assunto la portata che ha arroventato gli animi. Si deve riconoscere che, nel sistema elettorale col quale questa Assemblea si è costituita, soggetti dell’elettorato passivo sono anche i partiti che partecipano alla procedura elettorale col deposito dei contrassegni di lista e con la proclamazione dei candidati e beneficiano dei voti di lista. Essi non hanno invece, di regola interesse alla graduatoria determinata dai voti di preferenza, perché presupposto della candidatura è che ciascun candidato appartenga al partito che lo ha proclamato. Che dire, però, allorché, nell’intervallo fra l’elezione e il giudizio di convalida da parte della Giunta, il candidato che alla proclamazione aspira, abbia lasciato il partito e sia passato ad altra formazione politica che lo combatte?

Io penso che basti proporsi il quesito per dover riconoscere che, se il Partito è un soggetto dell’elettorato passivo, ha anch’esso il diritto di intervenire nella contesa, di opporsi alla sostituzione di un candidato che non risponde più al presupposto pel quale lo comprese nella lista; in quanto cioè non appartiene più al Partito che candidato lo proclamò. Questa è una conseguenza implicita e necessaria del sistema della legge; e non è argomento producente il fatto che essa non lo abbia esplicitamente dichiarato; la legge non dichiara nemmeno che la Giunta non possa sostituire, per modifica di graduatoria ad un altro candidato, un candidato che risulti bensì votato con maggior numero di preferenze, ma che abbia perduto pel frattempo il diritto all’elettorato passivo, per esempio, per avere accettata una cittadinanza straniera. I due casi sono perfettamente analoghi, perché riguardano entrambi la sopraggiunta perdita di un presupposto dell’elettorato passivo; né vale a differenziarli il fatto che nell’uno dei casi il presupposto risponda ad esigenze di ordine pubblico e riguardi il diritto dello Stato e nell’altro caso risponda invece ad esigenze politiche e riguardi il diritto del partito interessato. Ecco perché il collega Giua aveva ragione di dire che, senza la complicazione portata dal passaggio del candidato Sapienza ad altro partito, la questione che si dibatte non avrebbe avuto rilievo; oggi invece, se la sostituzione dovesse avvenire, il Partito socialista italiano, che al posto di Lupis avrebbe avuto un altro compagno, saldo sostenitore del suo programma, si troverebbe invece a vedere eletto un avversario.

E dunque, se anche la questione politica non si pone, quella morale resta e non per colpa nostra.

E ora rispondo al collega Colitto, che ha chiesto, con senso di sorpresa, come mai una deliberazione, quella del 26 marzo, che aveva disposta la revisione di tutte le schede valide della circoscrizione sia rimasta ineseguita. Essa era stata assunta al termine di una lunga discussione nella prima seduta in cui il caso veniva all’esame della Giunta: ed era stato il risultato di una scrupolosa ponderazione di tutte le ragioni pro e contra; si era osservato che, se tutte le richieste del Sapienza erano state sodisfatte, sarebbe stato ingiusto non accordare lo stesso trattamento a quelle del Lupis, contenute nella sua formale richiesta motivata alla Giunta; si era considerato che tutte le indagini eseguite dalla Giunta avevano portato modificazioni ai risultati dichiarati dall’Ufficio di circoscrizione: si era constatata la gravità degli errori, delle deficienze (Commenti – Interruzioni) delle operazioni di scrutinio; era emerso l’omesso uso dei moduli di scrutinio delle preferenze; la non corrispondenza di quelli usati, la non corrispondenza dei risultati dei prospetti al numero delle schede rivedute. In una parola la necessità della revisione richiesta era apparsa come atto di doverosa giustizia. Ma la notizia della deliberazione pervenne fuori della Giunta, fu portata nell’Aula, dove il collega Grilli pretese, contro ogni regola, di elevare per essa fin da allora fiera protesta, e da quel momento si verificarono le cose più inaudite. Riconvocata la Giunta per la seduta dell’11 aprile, il Presidente dette lettura di una lettera del Presidente della Corte di appello di Catania, che avvertiva la necessità di raccogliere le schede nelle varie località, per modo che non prima della fine di aprile esse avrebbero potuto essere spedite a Roma. Invano fu obiettato che la difficoltà nella esecuzione di un incombente non fu mai considerata come motivo della sua inammissibilità, tanto meno come motivo per non dargli esecuzione, quando ammesso; e del resto era facilmente intuibile che il tempo richiesto alla bisogna sarebbe stato sicuramente oltrepassato dagli espedienti che già si andavano escogitando per tentare di porre nel nulla la deliberazione ormai adottata.

Difatti era stata di già prospettata, e fu con ogni cura coltivata, la proposta di un Comitato che, prendendo contatto con gli interessati, si fosse preoccupato di ridurre al minimo gli accertamenti già disposti a richiesta del Lupis. Il Comitato convocò le parti: il Lupis, per quanto impegnato nella campagna elettorale siciliana, venne di persona, il Sapienza si fece rappresentare da un procuratore speciale e da un avvocato. Il Lupis, per quanto sorpreso della richiesta, ridusse subito notevolmente il campo delle indagini e, alle insistenze del Comitato, aggiunse che più le avrebbe potute ridurre, dopo aver consultati, nella propria casa di Ragusa, i rapporti pervenutigli subito dopo le elezioni da Sezioni e da compagni. L’avvocato del Sapienza oppose che con ciò il Lupis tentava d’introdurre un reclamo non presentato ai termini, e che l’articolo 65 della legge elettorale per la Costituente vi si opponeva. Nel termine prefissogli, il Sapienza comunicò le promesse ulteriori limitazioni delle indagini, riducendo le schede valide da verificare a quelle, mi par bene, di quarantotto Sezioni su circa millecinquecento.

Il Comitato riferì alla Giunta, che fu convocata per il 30 aprile, in piena atmosfera di crisi parlamentare: pareva al Comitato di avere risolte, minimizzando l’indagine, le pretestate difficoltà.

Ma ci trovammo di fronte a una situazione ancora una volta completamente cambiata. Si chiedeva senz’altro l’annullamento dell’elezione Lupis e la sostituzione con il Sapienza. Fu l’intervento dell’onorevole Grassi che fece accettare la contestazione del Sapienza colla prospettiva – si disse – di poter disporre formalmente, dopo la seduta pubblica, le indagini che si fossero ritenute necessarie.

Io ricordo l’esclamazione addolorata del collega Rubilli, del quale la sincerità è nota a tutti, quando comprese che l’opera del Comitato era per essere completamente inutilizzata: «Ma allora» egli esclamò «perché avete richiesta l’opera di questo Comitato?».

Non vogliamo indagare sulle circostanze sopraggiunte a determinare il brusco mutamento della Giunta, che frattanto molti colleghi avevano disertato: né il tentativo di protesta nell’Aula, né la ingiustificata protesta della stampa del Partito interessato avrebbero potuto turbare coscienze tranquille; tanto più che nessun espediente si sarebbe potuto dimostrare più inusitato, più antigiuridico di quello di porre nel nulla una deliberazione validamente presa. Fu convocata la seduta pubblica; fu discusso per lungo e per largo, da una parte l’impossibilità per Lupis di avere soddisfazione nella sua richiesta, e dall’altra il diritto del Lupis di veder portata a compimento l’indagine richiesta e già concessa. Il risultato fu che, invece di far la revisione delle schede valide, fu consentita la revisione delle schede nulle e contestate.

È vero che io, in un primo momento, tanto per avviare la ricerca della verità che è indispensabile e che era possibile nella specie, avevo fatta la richiesta della verifica delle schede che erano in possesso della Giunta; ma è altrettanto vero che essa fu respinta come non producente e fu comunque assorbita e superata dalla proposta Giua di addivenire alla revisione di tutte le schede valide: tanto più che il Lupis aveva affermato che da moltissime parti gli era pervenuta la notizia della mancata attribuzione al Partito e a lui di moltissimi voti, contrariamente alle istruzioni ministeriali consacrate in circolari, colle quali era stato insegnato che quando la scheda include delle preferenze al nome del candidato non occorre contrassegnare il simbolo della lista cui egli appartiene. Eppure il Lupis lamentava che moltissime schede sue non fossero state attribuite, malgrado portassero il suo nome, solo perché non portavano il contrassegno della lista socialista!

Io prego il relatore della maggioranza di rileggere l’esposto del 26 marzo e troverà che quello che io dico riguarda solo una parte delle motivate richieste del Lupis. Perché il Lupis precisava anche altre ragioni per le quali egli faceva la richiesta di questa revisione. E dunque, non si dica che erano vaghe e generiche le affermazioni del Lupis quando invocava una revisione delle schede valide. Noi abbiamo trovato che in tutte le indagini eseguite – ed eseguite non a richiesta del Lupis ma per impulso del Sapienza – la Giunta, o chi per essa, si era trovata sempre a constatare risultati dissimili da quelli emergenti dai prospetti. Questo significa che ci trovavamo di fronte ad una elezione, della quale era opportuno e necessario rivedere i risultati. Ed è ormai ora di dire quello che da nessuna relazione scritta od orale è fino ad oggi emerso e che ci è risultato tuttavia dall’esame delle numerose attestazioni prodotte dal Lupis in appoggio alle proprie richieste: cioè che esse erano e sono sorrette, e furono in poche ore raccolte, da più di duemila elettori. Onde il comportamento della Giunta, che, rinnegando il proprio precedente deliberato, sorvolando sulle richieste del Lupis, sorvolò anche sulla fede che ad esse quegli atti attestavano, non può non suonare offesa anche a questa cospicua parte del corpo elettorale della circoscrizione di Catania.

E così, mentre alle indagini chieste dal Sapienza si dedicarono ben dieci mesi, la preoccupazione di pochi giorni da impiegare nell’indagine richiesta dal Lupis la vinse sul sentimento della più doverosa giustizia.

Dice la relazione che la ricerca di quei 141 voti di prevalenza per il Sapienza non fu facile, ma dovette essere in cambio molto paziente. Ma, se tanta pazienza è stata dedicata alla ricerca delle 141 preferenze per Sapienza, perché non degnarsi di rivedere almeno le 48 Sezioni alle quali il Lupis aveva consentito di ridurre la richiesta sulle 1500 della circoscrizione? Deliberata comunque la revisione delle schede nulle e contestate, e rinvenute altre 12 preferenze per il Lupis e le ultime 14 per il Sapienza, fu riconvocata la Giunta, nella tarda sera del 6 giugno, per il primo mattino del 7 e qui sorse la grave questione procedurale, determinata da un’istanza scritta della difesa Lupis che, sostenendo la necessità dell’ulteriore contradittorio in seduta pubblica, chiedeva conseguenzialmente l’autorizzazione alla presentazione di nuove memorie e di nuovi documenti. La richiesta fu respinta, l’elezione Lupis fu annullata e gli fu sostituito il Sapienza.

La minoranza della Giunta sottopone alla legittima revisione dell’Assemblea questa decisione, non soltanto dal punto di vista delle forme seguite, in quanto, dettate a garanzia del contradittorio e della difesa delle parti, hanno carattere assoluto e inderogabile, ma anche dal punto di vista della decisione di merito.

E, procedendo per ordine, enuncio la prima questione formale.

È da premettere che il procedimento avanti alla Giunta delle elezioni è purtroppo frammentariamente regolato dal Regolamento della Giunta, che consta di soli 20 articoli, e da quello della Camera, sotto gli articoli da 20 a 30. Tanto l’articolo 14 del Regolamento della Giunta, quanto l’articolo 27 del Regolamento della Camera mettono in rapporto d’immediatezza e di continuità la seduta pubblica colla decisione che va pronunciata in seduta segreta subito e non oltre 48 ore dalla chiusura della seduta pubblica (articolo 14 Regolamento della Giunta) e colla relazione scritta che ne va fatta entro venti giorni all’Assemblea. Ciò importa, necessariamente, che, quando siasi, a seguito di una prima seduta pubblica, adottato un provvedimento istruttorio, il procedimento, che formalmente era giunto alla fase deliberativa, regredisce e riprende la fase istruttoria, al termine della quale la fase deliberativa deve nuovamente culminare nella seduta pubblica e, senza interruzione, nella decisione e nella susseguente comunicazione. D’altra parte gli articoli 27 del Regolamento della Camera e 13 e 14 del Regolamento della Giunta, vogliono che, tranne i casi pei quali sia eccezionalmente consentita la seduta segreta, tutte le decisioni di elezioni contestate debbano essere decise all’esito della seduta pubblica: e la disposizione del capoverso all’articolo 13 richiamato è giustificata dal fatto che pei casi d’ineleggibilità o d’incompatibilità riconosciuti all’unanimità non è prescritto l’obbligo della contestazione.

La pretesa contraria, non suffragata dai testi, non può essere giustificata dai precedenti invocati (1898-giugno 1922), adottati sotto il precedente Regolamento della Camera che ebbe fine proprio il 23 giugno 1922. Comunque, essi contemplano casi nei quali le parti furono invitate a concludere e conclusero, oltre che sui provvedimenti istruttori, anche sul merito; il che non avvenne, come risulta dal verbale per parte della difesa Lupis, che si limitò a sostenere l’ammissibilità della revisione invocata. V’ha di più: è uso generale che, ove i regolamenti speciali non dispongano con norme precise, si debbano applicare le norme generali e in materia procedurale sia il rito civile che quello penale dànno ragione alla nostra tesi; la quale avrebbe dovuto in ogni caso esser seguita anche perché favores sunt ampliandi.

Questo criterio va specialmente a favore del convalidando (articolo 10 capoverso secondo Regolamento della Giunta) e in ogni caso a favore della interpretazione che allarghi i diritti del contradittorio e presidi quelli della difesa.

E vengo all’altra questione. Approvato l’annullamento dell’elezione dell’onorevole Lupis e deliberata la nomina in sostituzione, dell’onorevole Sapienza, fu convocata la Giunta per il 20 giugno per l’approvazione della relazione. All’apertura della seduta il collega Musotto, facendosi eco delle lamentele di parecchi colleghi membri della Giunta, che non avevano potuto partecipare alla riunione del 7 giugno, perché non avevano ricevuto l’invito o lo avevano ricevuto quando già altrimenti impegnati, eccepì la irritualità di quella seduta in quanto indetta in violazione del termine stabilito nell’articolo 23 Regolamento della Camera. Detto articolo stabilisce che la Giunta è convocata per procedere all’esame delle contestazioni con invito diramato e affisso almeno tre giorni liberi prima di quello dell’adunanza.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Per le contestazioni, la seduta pubblica. Legga il Regolamento e non inventi.

NOBILI TITO ORO. Non posso accettare che si sospetti che io inventi. Confronti l’onorevole Bertini questa parte dell’articolo 23 del Regolamento della Camera coll’articolo 11 ultima parte del Regolamento della Giunta e vedrà che, se il termine per la convocazione della seduta pubblica è di giorni 10, quello di cui si occupa l’articolo 23 del Regolamento della Camera non può riguardare se non la seduta segreta. E concludo che le forme hanno sempre costituito la garanzia di qualunque giudizio; che i termini ne costituiscono l’essenza più delicata e più inderogabile; che quando verba clara sunt, verbis serviendum; che col sistema attuato sarebbe facile a un Presidente di buona volontà di costituirsi il numero legale che gli occorre e la maggioranza più aderente al suo pensiero; che basta questa possibilità astratta a condannare il sistema seguito nella convocazione ad horas della seduta del 7 giugno, sia pure sotto quell’impulso di «sollecitudine» risvegliatosi nella Giunta specialmente dopo l’ultima crisi parlamentare a esclusivo ed ingiusto danno dei nostro compagno Giuseppe Lupis che il nostro affetto e la nostra considerazione non hanno valso a circondare della protezione che i principî e i regolamenti gli accordavano. Noi non avremmo portato tale questione avanti l’Assemblea, se la Giunta, alla quale, come risulta dal verbale 20 giugno venne sottoposta, non l’avesse respinta, in una forma irrispettosa, mentre la richiesta del collega Musotto mirava soltanto a rimettere bonariamente la procedura sul terreno della legalità.

Non mi resta, giunto a questo punto, che dire due parole conclusive sul merito. La Giunta dovette riconoscere, nella seduta del 7 giugno, dopo le mie proteste per la negata convocazione della seduta pubblica, e pel conseguente mancato raccoglimento delle ulteriori conclusioni della difesa Lupis, che i risultati ottenuti colle indagini espletate a richiesta Sapienza non offrivano materia a rilievi e che l’indagine invocata dal Lupis, per quanto ridotta ai minimi termini, non poteva essere ripresa in esame dopo la decisione interlocutoria del 22 maggio; e, a grande maggioranza, procedette all’annullamento e alla sostituzione. Ma quello che la Giunta non poté fare è possibile all’Assemblea, la quale non è vincolata, né dal giudizio definitivo, né da quello interlocutorio col quale furono revocate, dopo gli espedienti che ho illustrati, le decisioni di ammissione della revisione di tutte le schede valide e della successiva nomina di un Comitato per tentare di ridurne l’estensione.

Per tutte le ragioni logiche, morali e giuridiche che la minoranza ha illustrate, io confido che l’Assemblea non esiterà e scegliere fra il rispetto che merita la decisione del 26 marzo, e quanto meno, quella del 10 aprile, e le nubi onde si oscura quella del 22 maggio, preparatoria di quella del 7 giugno. Noi abbiamo invocata la luce e confidiamo che l’Assemblea non si associ al desiderio che permangano le tenebre. (Applausi a sinistra). Non si deve evitare la verità, quando si sa che essa può essere raggiunta con certezza e non si devono considerare come espedienti curialeschi le forme che sono state sempre ricercate come garanzia di ordine processuale, e come presidio di giustizia. Senza l’osservanza delle forme non può esservi che l’arbitrio e pertanto io concludo, chiedendo che l’Assemblea voglia rinviare gli atti alla Giunta delle elezioni per l’osservanza delle forme non osservate e per la esecuzione degli accertamenti più indispensabili, prima ammessi e poi non eseguiti.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Chiedo di parlare per una rettifica in linea di fatto.

Voci. Chiusura!

PRESIDENTE: È stata chiesta la chiusura. Domando se sia appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Giunta dalle elezioni.

BERTINI, Presidente della Giunta delle elezioni e Relatore. Dianzi non ho fatto il nome del membro della Giunta, rispettabilissimo, il quale aveva parlato nel senso che riteneva chiusa ogni discussione sopra i risultati delle indagini avvenute fino a quel momento.

Nella seduta del 7 giugno questo nostro collega, l’onorevole Nobili, concluse che riteneva che per questa parte, cioè per le nuove indagini, il risultato non fosse più modificabile e quindi era da ritenersi infondata la richiesta dell’avvocato Tino di nuove indagini e controdeduzioni.

Un’ultima osservazione ed ho finito. Si dimentica, dai membri di minoranza, una duplice situazione di fatto. Nella maggior parte delle sezioni sulle quali genericamente dal Lupis si era richiesto l’esame delle schede valide, queste erano state già esaminate nel primo momento, in mancanza dei moduli 5-bis.

In secondo luogo, noi abbiamo esaminato tutte le sezioni del Collegio per quella parte che attiene all’apporto delle schede nulle o contestate. E siccome questo è il campo in cui poteva avere effetto una indagine utile ai fini di modificare il risultato, ecco che anche per questa parte soddisfazione piena è stata data al Lupis, perché egli si è potuto avvantaggiare, come il Sapienza, delle schede attribuitegli in base a questo esame, nelle sezioni indicate da lui. Il resto è una logomachia che non interessa la Giunta delle elezioni. (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ci troviamo dunque di fronte alla proposta della maggioranza della Giunta delle elezioni di proclamare il candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania e di annullare la proclamazione del contestato Lupis Giuseppe. Vi è poi la richiesta della minoranza della Giunta delle elezioni che si rinviino gli atti alla Giunta perché compia altri accertamenti, e l’onorevole Colitto ha aderito in sostanza a questa richiesta.

A questo proposito gli onorevoli Fogagnolo, Carpano, Vernocchi, Ghislandi, Mariani Enrico, Fiorentino, Tomba e Nobili Tito Oro, hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente rinvia gli atti alla Giunta delle elezioni, perché dia esecuzione alla propria delibera 26 marzo 1947, intesa al richiamo di tutte le schede valide per eseguire le relative verifiche».

Pongo in votazione questo ordine del giorno.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché l’esito della votazione appare incerto, si proceda alla votazione per divisione.

(L’ordine del giorno non è approvato).

Pongo in votazione la proposta della maggioranza della Giunta per la proclamazione del candidato Sapienza Giuseppe a deputato della circoscrizione di Catania e il contemporaneo annullamento della proclamazione del contestato Lupis Giuseppe.

(È approvata).

Pertanto proclamo il candidato Sapienza Giuseppe deputato per la circoscrizione di Catania.

Si intende che decorre da oggi il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali reclami.

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Ricordo che dobbiamo procedere alla votazione dell’emendamento proposto dall’onorevole Nobile, che ha modificato la sua prima formulazione sostituendo la parola «regionale» con la parola «locale». L’emendamento, pertanto, è del seguente tenore:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione avrà potestà di emanare norme legislative per le materie di interesse strettamente locale che saranno stabilite da una legge del Parlamento avente valore costituzionale. La legge stessa fisserà i limiti e le condizioni entro cui la suddetta facoltà legislativa potrà essere esercitata».

«Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro esecuzione».

Su questo emendamento è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Moranino, Rossi Maria Maddalena, Bibolotti, Negro, Landi, Li Causi, Bucci, De Filpo, Assennato, Barontini Ilio, Dozza, Fedeli Armando, Farini, Ricci, Pratolongo, Giannini, Abozzi, Castiglia, Venditti, Colitto, Coppa, Condorelli, Trulli, Mastrojanni, Perugi, Silipo, Miccolis, Patricolo.

Procedo alla chiama dei firmatari della richiesta.

(Segue la chiama).

Poiché risultano presenti, la richiesta è valida essendo sottoscritta da più di venti deputati.

PICCIONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Votiamo a scrutinio segreto, onorevole Piccioni.

MORO. La dichiarazione di voto si è fatta altre volte.

PRESIDENTE. Si è fatta una volta o due, e poi si è riconosciuto che è contradittoria con la segretezza del voto. (Interruzione dell’onorevole Uberti).

Le dichiarazioni di voto segreto, come i colleghi ricorderanno, si fecero in casi nei quali non era stata ancora avanzata richiesta di votazione segreta e si riteneva che si votasse per appello nominale. Sopravvenuta la richiesta di votazione segreta, si ritenne di consentire che le dichiarazioni di voto si continuassero a fare. Ora però, ritengo che sia opportuno adottare il criterio, più logico e cioè che nelle votazioni a scrutinio segreto non si facciano dichiarazioni di voto.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. La consuetudine parlamentare è inesistente a questo riguardo. Perché? Perché, come è già stato affermato in quest’Aula in un altro momento, gli scrutini segreti sono stati rarissimi. In tanti anni due o tre volte sole sono affiorati, nell’antico nostro libero Parlamento. Ora se vi è qualcuno che dice esservi contrasto fra la dichiarazione di voto e lo scrutinio segreto, io faccio osservare che in pratica ormai la consuetudine dell’Assemblea si viene completamente capovolgendo. E qui, attraverso ragioni politiche, che io non discuto, ma che disprezzo, si è troppe volte esagerato (Rumori a sinistra – Interruzioni dell’onorevole Uberti) nel chiedere lo scrutinio segreto, anche quando questa richiesta non ha nessuna ragione di essere. Ora, di fronte a questa consuetudine nuova, che si è radicata nell’Assemblea Costituente, io sono d’avviso che si debba ammettere la dichiarazione di voto come correttivo ad un nuovo costume politico, al quale non è possibile aderire senza qualche cosa che corregga e riporti l’equilibrio. Qui, dove non si può più parlare in parecchi casi che per dichiarazione di voto, si verrebbe a togliere anche questa possibilità.

Io ricordo che Vittorio Emanuele Orlando fece presente qui come il diritto del deputato di spiegare il suo voto, anche in sede di scrutinio segreto, sia indispensabile. E l’Assemblea aderì ed egli parlò. Limitiamo piuttosto, egregi colleghi, il numero degli scrutini segreti. (Rumori – Interruzioni a sinistra).

Onorevoli colleghi, io ho il diritto di sostenere la mia tesi, e la mia tesi è questa: dal momento che si abusa dello scrutinio segreto, i deputati hanno sempre egualmente il diritto di dire il loro pensiero attraverso le dichiarazioni di voto. (Applausi al centro).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Prendo la parola perché sebbene le ragioni esposte dall’onorevole Micheli non mi persuadano, tuttavia per un’altra ragione credo che si possa ammettere la dichiarazione di voto in sede di scrutinio segreto: ossia, perché il Regolamento non lo vieta. Il diritto del deputato, di esprimere il proprio pensiero prima della votazione anche segreta, è quindi un diritto che non gli può essere contestato. D’altra parte il deputato, in caso di votazione a scrutinio segreto ha il diritto, ma non il dovere, di non rendere palese il proprio voto.

PRESIDENTE. Gli onorevoli Micheli e Cevolotto hanno esposto e sostenuto una tesi rispettabile, ma mi pare che l’analogia dei precedenti ci debba consigliare di attenerci essenzialmente alla logica interna di questo sistema di voto che non per nulla è chiamato voto segreto. Sarà bene o sarà male che in certe occasioni il membro dell’Assemblea rappresentativa dia un voto segreto e non assuma in ogni caso pubblicamente la responsabilità della sua decisione, ma ciò è ammesso dalla procedura regolamentare.

So che l’onorevole Orlando, in altra occasione, ha sostenuto una diversa tesi. Rispettoso della profonda conoscenza di questioni costituzionali dell’onorevole Orlando, in questo momento mi permetto tuttavia di non aderire alla sua tesi, e pertanto, riattaccandomi alla tradizione – e credo che nessuno la possa impugnare – credo che dobbiamo d’ora innanzi – ed ha ragione l’onorevole Micheli – astenerci dal ricorrere troppo di frequente al voto segreto; ma quando ad esso si addivenga, è necessario rinunziare alle dichiarazioni di voto.

MICHELI. Ella propone che si stabilisca, in questo momento, una massima a questo riguardo?

PRESIDENTE. Non proporrei che sia formalmente stabilita: questo potrebbe farlo soltanto la Giunta del regolamento, lasciando all’Assemblea ogni decisione.

MICHELI. Io volevo affermare appunto che, fino a quando non vi sia una norma regolamentare che stabilisca questo, ciascuno di noi ha il diritto di chiedere la parola per fare le sue dichiarazioni, anche se la votazione è a scrutinio segreto; per questo, non posso accedere alla sua proposta. Io chiedo questo per oggi, e per domani. Dal momento che non vi è un articolo di Regolamento che questo vieti, io ritengo che, fino a quando questo non sarà proposto dalla Giunta e approvato dall’Assemblea, ciascuno di noi ha il diritto di chiedere e di ottenere la parola per fare la sua dichiarazione di voto, anche se si vota a scrutinio segreto. (Applausi al centro – Rumori a sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Mi sembra che alla proposta dell’onorevole Micheli si opponga la logica, in quanto, se la votazione è segreta, è segreta appunto perché non ci siano dichiarazioni di voto, che rendono, invece, la votazione pubblica. Si tratta di chiarire la posizione politica del singolo deputato o di un partito, i quali tengano a far sapere di aver votato in un certo senso. Ma vi sono tanti altri mezzi che possono consentire questa pubblicità: i giornali di partito, il verbale dell’Assemblea, ecc. La manifestazione del proprio voto si può sempre fare; ma la dichiarazione di voto fatta in sede di scrutinio segreto mi sembra che urti contro la logica della parola «segreto». Mi pare che sia assolutamente assurdo pensare che si possano fare dichiarazioni di voto in una votazione a scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Onorevole Micheli, dal momento che il Regolamento stabilisce che sono sufficienti i nomi di venti deputati per ottenere lo scrutinio segreto, ciò significa che questa volontà, che appare numericamente modesta, nei confronti del numero dei membri dell’Assemblea, viene tuttavia considerata come rappresentativa della volontà di tutta l’Assemblea. (Commenti al centro). Se c’è una giustificazione del numero di firme richiesto, può essere questa soltanto, e non certamente l’asserzione che venti valgono più di cinquecento. In onesta procedura si suppone che la volontà di venti significa la volontà dell’Assemblea stessa, altrimenti non si imporrebbe la volontà di una minoranza ad una stragrande maggioranza.

Per questa ragione, chi sostiene che non si può imporre la segretezza a coloro che non l’accettano, mi pare che proponga una tesi insostenibile, perché, a termini del Regolamento, bastano venti deputati per procedere alla votazione a scrutinio segreto.

Chiedo ai colleghi che ritengono che d’ora innanzi si debba applicare una diversa procedura, di adire la via che è loro aperta: facciano la proposta alla Giunta del Regolamento.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Non sta a noi di proporre davanti alla Giunta del Regolamento la modifica del Regolamento stesso: sta a coloro i quali sono d’avviso diverso dal nostro, in quanto per ora il Regolamento in vigore non vieta le dichiarazioni di voto, e quindi le permette. (Rumori).

Coloro i quali ritengano il contrario facciano la loro proposta alla Giunta del Regolamento e allora verremo qui a discutere se i 20 comandano ai 500 o viceversa; faremo cioè tutta quella discussione di massima che il signor Presidente ci ha prospettato in questo momento. Ma, oggi come oggi, la disposizione è questa e nulla vieta a noi deputati di fare la nostra dichiarazione di voto anche in sede di scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Sta bene; la proposta la farà chi vorrà farla. Ma in questo momento, riprendendo una tradizione che non è di pochi mesi, ma di decenni, è da ritenersi che la dichiarazione di voto in sede di scrutinio segreto non sia possibile. E pertanto con rammarico, onorevole Piccioni, non posso darle la parola a questo scopo.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione segreta sull’emendamento, testé letto, dell’onorevole Nobile.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente TARGETTI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti     373

Maggioranza           187

Voti favorevoli        168

Voti contrari             205

(L’Assemblea non approva l’emendamento dell’onorevole Nobile).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberganti – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Barbareschi – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Bei Adele – Bellusci – Belotti – Benedetti – Benedettini – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bucci – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Camangi – Canepa – Canevari – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni Angelo – Carignani – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Carratelli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chieffi – Chiostergi – Ciampitti – Cianca – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corsanego – Corsi – Costa – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Vittorio – Dominedò – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.

Einaudi – Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Farina Giovanni – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Firrao – Foa – Fogagnolo – Foresi – Fornara – Franceschini – Fresa.

Galati – Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Li Causi – Lizier – Longo – Lozza – Lussu.

Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mannironi – Manzini – Marazza – Marchesi – Marconi – Mariani Enrico – Marinaro – Martinelli – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni– Mattarella – Mattei Teresa – Mazzei – Mazzoni – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Minio – Molinelli – Momigliano – Montalbano – Montemartini – Monterisi – Montini – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Musolino.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Novella – Numeroso.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Patrissi – Pella – Pellegrini – Perassi – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pistoia – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Preti – Priolo – Proia – Puoti.

Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Sampietro – Sansone – Sapienza – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scoccimarro – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Segala – Segni – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Spallicci – Spano – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Tega – Terranova – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vilardi – Vinciguerra – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Alberti – Arata – Arcangeli.

Baldassari – Bellavista.

Caldera – Chiaramello.

D’Amico Michele.

Fedeli Aldo – Ferrario Celestino – Froggio – Fuschini.

Galioto – Garlato – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Jacini.

Lombardo Ivan Matteo.

Martino Gaetano – Matteotti Matteo – Molè – Moscatelli.

Pat – Pignatari.

Rapelli – Reale Vito.

Saragat.

Tumminelli.

Villani.

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, restano ora da esaminare alcuni emendamenti i quali non limitano la potestà legislativa della Regione così come è configurata, nella sua linea generale, nel testo della Commissione.

Vi è l’emendamento dell’onorevole Persico così concepito:

«Sostituire gli articoli 109 e 110 col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, che siano in armonia con la Costituzione e con i principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato e rispettino gli obblighi internazionali, gli interessi della Nazione e delle altre Regioni, nonché i principî generali che sulle stesse materie siano stati fissati con leggi dello Stato, in materia di:

1°) ordinamento degli uffici ed enti amministrativi regionali;

2°) modificazioni delle circoscrizioni comunali;

3°) polizia locale urbana e rurale;

4°) fiere e mercati;

5°) beneficenza pubblica;

6°) scuola artigiana e istruzione tecnico-professionale;

7°) urbanistica;

8°) strade, acquedotti e lavori pubblici di esclusivo interesse regionale;

9°) porti lacuali;

10°) caccia e pesca nelle acque interne di carattere regionale;

11°) cave, torbiere, acque minerali e termali;

12°) tranvie e linee automobilistiche regionali;

13°) acque pubbliche ed energia elettrica, in quanto il loro regolamento non incida nell’interesse regionale e su quello di altre Regioni».

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. Dichiaro di aderire alla formulazione proposta dall’onorevole Tosato e pertanto ritiro l’emendamento.

PRESIDENTE. Vi è poi l’emendamento dell’onorevole Codignola, del quale do lettura nella sua forma definitiva, perché l’onorevole Codignola lo ha leggermente modificato:

«La Regione ha potestà di emanare norme giuridiche, nell’ambito della Costituzione e nei limiti della legislazione dello Stato, nelle seguenti materie:

ordinamento degli enti e degli uffici dipendenti, e stato giuridico ed economico del personale;

circoscrizioni comunali nell’ambito del territorio regionale;

agricoltura e foreste;

contratti agrari;

usi civici;

caccia e pesca;

miniere, cave, torbiere, saline, acque minerali e termali;

strade, porti, acquedotti, argini, ponti, bonifiche ed altri lavori pubblici, a esclusivo carico della Regione e d’interesse regionale; e relative espropriazioni per pubblica utilità;

navigazione interna, lacuale e di cabotaggio;

urbanistica, e tutela del paesaggio;

turismo e industria alberghiera;

manifestazioni ricreative e sportive;

polizia locale, urbana e rurale;

assistenza e beneficenza pubblica;

istruzione professionale ed artigiana;

biblioteche e musei di enti locali;

istituti di credito e di risparmio regionali, purché esercitati nelle forme della cooperazione e del risparmio;

linee e mezzi di trasporto a carattere locale;

fiere e mercati;

edilizia;

licenze di esercizio;

ogni altra materia indicata dalla legge».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Ritiro il mio emendamento per aderire a quello dell’onorevole Tosato.

PRESIDENTE. Ricordo che l’emendamento dell’onorevole Tosato è così formulato:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie:».

A questa formulazione, accettata dalla Commissione, sono stati proposti alcuni emendamenti, di cui il primo è dell’onorevole Caronia:

«Sostituire le parole: dalle singole leggi, con le altre: dalla Costituzione».

Quello dell’onorevole Colitto è così concepito:

«Aggiungere, dopo le parole: per le seguenti materie, le altre: in quanto la relativa regolamentazione non incida l’interesse nazionale o quello di altre Regioni».

Vi è poi anche un emendamento dell’onorevole Mortati, il quale propone di sostituire alle parole: «La Regione ha potestà di emanare norme legislative» queste altre: «Compete alla Regione di emanare norme legislative».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se ho ben capito, gli emendamenti che sono stati proposti all’ultima ora sono questi: il collega Caronia propone di sostituire alle «leggi» la «Costituzione». Ma allora viene meno tutto il sistema. La Costituzione stabilisce le materie. Sono le leggi dello Stato che pongono i limiti entro i quali le Regioni possono emanare norme aventi valore di legge. Anche dal punto di vista tecnico-giuridico, l’emendamento Caronia non è ammissibile.

L’onorevole Mortati propone di sostituire alle parole: «la Regione ha potestà di emanare norme legislative», le parole: «compete alla Regione di emanare norme legislative». La differenza non è sostanziale, ma essendo la formulazione del Comitato avvenuta sul testo «potestà», ed avendo questa un significato preciso, è meglio che non sia modificata. Sia ben chiaro che il significato della formula del Comitato (che neppure l’emendamento Mortati potrebbe modificare e che pertanto rimane fermo) è che la Regione ha una potestà legislativa, in dati limiti, che non può esserle sottratta; ma che può anche non esercitare; ed allora varranno soltanto i principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato per quelle determinate materie. Questo è il senso, sul quale non può esservi dubbio, anche con la modificazione dell’onorevole Mortati.

Il terzo emendamento è quello dell’onorevole Colitto. Ma egli non ha assistito ad una seduta, nella quale qualche cosa di simile era stato proposto dall’onorevole Zotta. L’onorevole Zotta voleva che in questo articolo fondamentale si dichiarasse che nelle norme legislative della Regione non si può stabilire nulla di contrario all’interesse delle altre Regioni. L’emendamento fu ritirato dopo le dichiarazioni del Comitato che si sarebbe parlato di questo giusto limite a proposito dell’articolo 118, quando si stabilisce il diritto che ha il Governo nazionale di non dare corso a quelle leggi regionali che offendono appunto gli interessi nazionali o di altre Regioni. L’intendimento dell’onorevole Zotta ed anche il suo, onorevole Colitto, potrà essere perfettamente sodisfatto, senza caricare ed alterare le linee più semplici ed il carattere omogeneo e semplice di questo articolo iniziale.

Spero che dopo questa dichiarazione l’onorevole Colitto non abbia difficoltà al riguardo.

PRESIDENTE. Onorevole Caronia, mantiene il suo emendamento?

CARONIA. Lo mantengo; e vorrei dare qualche spiegazione.

PRESIDENTE. Lei può giustificare il ritiro, ma non ha più diritto di svolgerlo.

CARONIA. Potrò fare una dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. La potrà fare quando sarà messo in votazione il suo emendamento.

Onorevole Mortati, mantiene l’emendamento proposto?

MORTATI. Desidero mantenerlo; e, anzi se il signor Presidente consente, vorrei proporlo in una nuova formulazione, che chiarisca meglio il concetto con esso espresso.

Il nuovo testo suona così:

«La Regione emana norme legislative nelle materie seguenti:».

Come ho già chiarito nel precedente intervento, il mio emendamento ha un significato non puramente formale, ma sostanziale, in quanto tende ad attribuire questa competenza normativa alla Regione, in modo esclusivo.

Quindi, nel caso che la Regione non la eserciti, non ci può essere organo che la sostituisca.

L’onorevole Ruini ha espresso un’opinione contraria, e su questo dissenso è opportuno che l’Assemblea si pronunci in modo esplicito. L’importanza della questione appare tanto più notevole quando si rifletta che la competenza amministrativa segue quella normativa.

PRESIDENTE. Onorevole Mortati, lei ha già esposto queste argomentazioni per sostenere il suo primo emendamento. Con queste sue nuove proposte, lei chiarisce ancora di più.

Poiché non ho dato facoltà di parlare ai presentatori degli altri emendamenti, mi rincresce, non posso darla neppure a lei.

Onorevole Colitto mantiene il suo emendamento?

COLITTO. Desidererei dall’onorevole Presidente della Commissione un chiarimento.

A proposito delle acque pubbliche e dell’energia elettrica, nel nuovo articolo proposto dalla Commissione è detto: «in quanto la loro regolamentazione non incida sull’interesse nazionale e su quello di altre Regioni».

Ora, io ho proposto di aggiungere dette parole alla fine del primo comma, perché mi sembra che il concetto delle parole espresse debba essere tenuto presente per tutte le materie, che nell’articolo 110 sono indicate.

Se il signor Presidente della Commissione si compiace darmi, a questo proposito, qualche sodisfacente chiarimento, non trovo difficoltà a rinunziare al mio emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La ragione particolare che induce a questa chiarificazione, a proposito di alcune voci dell’elenco, sta nella posizione giuridica diversa; nell’elenco si tratta di limiti alle materie; nel primo comma generale di limiti all’esercizio della potestà legislativa. La questione non è la stessa.

COLITTO. Ma a proposito delle acque pubbliche e dell’energia elettrica è stata sollevata e risolta. E per le altre materie?

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne parleremo in concreto, in tema d’elenco. Ella potrà dire se si deve o no, in tale particolare materia, parlare di limite regionale.

COLITTO. Non insisto nell’emendamento.

PRESIDENTE. L’onorevole Perassi propone di sopprimere nell’emendamento Tosato la parola «singole» in maniera che il testo sarebbe il seguente:

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo mantenere il testo dell’onorevole Tosato, quale fu accolto dal Comitato, anche perché corrisponde meglio all’intento (è un’idea fissa, la mia), di ottenere il consenso maggiore. Non do all’emendamento Perassi un valore di sostanza; perché rimane sempre fermo, anche con la sua formula, che il limite alle norme legislative della Regione non è dato dai principî dell’ordinamento giuridico e dalla legislazione generale dello Stato, ma dai principî stabiliti nelle leggi dello Stato che concernono determinate materie. Sono cioè limiti specifici; ed il concetto non vien meno coll’emendamento Perassi; ma lasciando «singole leggi» mi pare più chiaro.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Mortati, nel suo ultimo testo:

«La Regione emana norme legislative».

CAROLEO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Voterò contro l’emendamento dell’onorevole Mortati, perché tende ad alterare profondamente la sostanza del testo formulato dal Comitato. In sostanza si eliminerebbe quella subordinazione della potestà legislativa accordata alle Regioni di fronte al potere del Parlamento, cioè dell’organo che costituzionalmente ha la potestà di emanare quei principî generali e quelle direttive, di cui è fatta menzione nel testo della Commissione.

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Ritengo che si possa accettare la formula proposta dall’onorevole Mortati, senza per questo legittimare i dubbi sollevati dall’onorevole Caroleo. E ciò per la ragione che la formula Mortati tende esclusivamente a porre in evidenza come la competenza affidata dalla Costituzione alla Regione debba porsi su un piano di effettiva e operante attuazione. La formula, che tende a concretizzare una facoltà meramente astratta, è adottata anche in altri testi per cui si dice: «la Regione esercita», «la Regione emana» e così via. Discende da ciò la conseguenza che il potere di amministrazione affidato dall’articolo 112 della Costituzione alla Regione, nelle materie in cui questa ha potestà normativa, possa venire da essa effettivamente esercitato. Ciò che non si verificherebbe là dove la Regione non emanasse in concreto le norme previste: essa infatti non potrebbe allora esercitare nemmeno quel potere di amministrazione che la Costituzione le conferisce.

Per queste ragioni noi voteremo a favore dell’emendamento dell’onorevole Mortati.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

PRESIDENTE. Poiché l’esito è incerto, procediamo alla votazione per divisione.

(L’emendamento è approvato).

Resta quindi approvato il primo comma nel seguente tenore:

«La Regione emana norme legislative».

Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Caronia all’emendamento dell’onorevole Tosato:

«nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalla Costituzione».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Con l’emendamento Caronia la Regione avrebbe, non solo la facoltà di legislazione esclusiva in date materie, che si è concordemente esclusa; avrebbe una competenza ultra-esclusiva: ed il Parlamento si spoglierebbe della facoltà di emanare qualsiasi legge. La Regione non potrebbe modificare la Costituzione, ma fare tutte le leggi che crede, senza che possano intervenire leggi dello Stato. Tutto questo va contro ciò che avevamo prima stabilito. (Rumori). Si rovescia tutto, ed è un assurdo giuridico e costituzionale. Mi permetto di richiamare l’Assemblea alla sua responsabilità e mi oppongo recisamente alla proposta Caronia.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Dichiaro che il mio Gruppo non può accettare l’emendamento dell’onorevole Caronia, e voterà contro.

(L’emendamento Caronia non è approvato).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora porre in votazione l’emendamento dell’onorevole Tosato, accettato dalla Commissione.

«La Regione ha potestà di emanare norme legislative, nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle singole leggi dello Stato, nelle seguenti materie:»

L’onorevole Perassi, ha proposto di sopprimere la parola: «singole».

TOSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOSATO. Personalmente non ho nessuna difficoltà ad accettare la proposta dell’onorevole Perassi, perché credo che, sopprimendo la voce «singole» non si modifichi la sostanza dell’emendamento da me proposto.

BOZZI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BOZZI. Voterò contro l’emendamento dell’onorevole Perassi, perché ritengo che l’emendamento che era stato suggerito dall’onorevole Tosato avesse un valore sostanziale; togliendo ora la parola «singole» si allarga la competenza normativa delle Regioni, e per converso, si restringe la potestà legislativa dello Stato. Quei tali principî, infatti, che erano definiti prima come generali, ed ora come fondamentali, potrebbero essere desunti non dalle singole leggi relative a ciascuna delle materie indicate, ma da un complesso di leggi. Vengono in certo senso ad identificarsi con i principî generali dell’ordinamento giuridico, il che è proprio quello che noi non vogliamo, come disse anche l’onorevole Tosato. Quindi io sostengo l’aggettivo proposto dall’onorevole Tosato che elimina, secondo me, un dubbio fondamentale.

PRESIDENTE. Pongo prima in votazione il testo dell’onorevole Tosato senza l’aggettivo «singole».

(Dopo prova e controprova è approvato).

Il testo del primo periodo dell’articolo 109 risulta così approvato:

«La Regione emana norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, nelle seguenti materie:».

Il seguito della discussione è rinvialo alle ore 17 di domani, avvertendo che vi sarà seduta anche alle ore 10, per proseguire l’esame del decreto legislativo che istituisce l’imposta straordinaria sul patrimonio.

Interrogazioni e interpellanza con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

La prima, a firma degli onorevoli D’Onofrio, Minio e Gallico Spano Nadia, è del seguente tenore:

«Al Ministro dell’interno, per sapere come sia possibile e tollerabile che in Italia nel mese di giugno 1947, a due anni dalla liberazione, possa avvenire che si tragga in arresto un cittadino, professore di università e commissario di un grande ente previdenziale, in base a un ordine emanato nel febbraio 1944 dal famigerato Caruso, ordine motivato dall’attività antifascista dell’arrestato; e se non ritenga assolutamente necessario che tanta audacia o tanta inettitudine di funzionari di polizia riceva immediata e severa sanzione, ad ammonimento di ogni altro che avesse vaghezza di seguirne l’esempio».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò nella seduta di lunedì prossimo. (Vivaci commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Vi è poi l’interrogazione degli onorevoli Mentasti, Ponti, Lizier e Bastianetto:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere – in relazione ai deplorevoli episodi di intolleranza accaduti a Venezia il 29 corrente – quali provvidenze il Governo intenda adottare perché la libertà di parola nelle pubbliche manifestazioni sia a tutti garantita e così pure tutelata la sicurezza dei partecipanti contro ogni atto di faziosità e di violenza».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò anche a questa interrogazione lunedì prossimo. (Vivaci commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico il testo delle altre interrogazioni urgenti:

«Al Ministro dei lavori pubblici, della marina mercantile e dei trasporti, per sapere quali pronti energici e concreti provvedimenti intendano adottare per diminuire il gravissimo disagio in cui versa il porto di Napoli, a causa:

  1. a) degli enormi danni riportati nelle attrezzature, nelle banchine e nelle calate, e dei quali è assai lontana la riparazione;
  2. b) della conseguente deviazione delle normali correnti di traffico importanti una insostenibile condizione per l’Ente autonomo del porto di Napoli;
  3. c) della mancanza di ogni servizio igienico-sanitario per le numerose maestranze, costrette a lavori pesanti e pericolosi;
  4. d) della differenza di costo della nafta per bunkeraggio in confronto con gli altri porti esteri del Mediterraneo;
  5. e) e, in genere, a causa della dimenticanza, da parte del Governo, degli interessi che riguardano il lavoro, e la ricchezza connessi con il porto di Napoli.

«Salerno, Leone Giovanni».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere i motivi che lo hanno indotto ad ordinare l’immediata revoca del decreto n. 13911 del 30 aprile 1947 del prefetto di Aquila, con il quale, d’accordo con la Camera confederale del lavoro, venivano disciplinati, per il territorio della provincia, l’assunzione del personale e l’impiego della mano d’opera disoccupata mediante turni di lavoro.

«Corbi»

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò anche a queste interrogazioni nella seduta di lunedì prossimo.

PRESIDENTE. È stata presentata anche la seguente interpellanza con richiesta d’urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere se siano edotti della eccezionale gravità della situazione in Sicilia, e in particolare:

1°) che il banditismo politico appare riorganizzato, rivolgendo la sua particolare attività criminosa contro i partiti democratici e le organizzazioni dei lavoratori;

2°) che l’ispettore generale di pubblica sicurezza per la Sicilia dottor Messana è stato denunziato all’autorità giudiziaria, quale responsabile del reato di rivelazione di segreti d’ufficio è di correità nei delitti commessi dal bandito Ferreri, dal giorno in cui questi ne divenne il confidente;

3°) che contro il dottor Messana grava l’accusa di aver rilasciato il porto d’armi al padre del Ferreri, anche lui affiliato alla banda Giuliano, e di aver fatto scomparire – dopo il conflitto d’Alcamo – lo stesso porto d’armi, che il padre del Ferreri teneva in tasca;

4°) che contro il dottor Messana grava l’accusa di essersi recato qualche ora prima del conflitto in casa del Ferreri.

«Conseguentemente gli interpellanti chiedono di conoscere quali provvedimenti si intenda adottare per far piena luce sul conflitto d’Alcamo e colpire definitivamente il banditismo politico non solo nelle persone dei banditi, ma anche eventualmente di tutti coloro che ne risultino comunque responsabili.

«Li Causi, Montalbano, Lombardi Riccardo, Nasi, Sansone, Fiore».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Dovendo assumere informazioni sui fatti di cui all’interpellanza, mi riservo di precisare possibilmente domani quando il Governo sarà pronto per la discussione dell’interpellanza stessa. Tuttavia, se i suoi presentatori accettano di trasformare l’interpellanza in interrogazione, potrò probabilmente rispondere lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Onorevole Li Causi, intendo mantenere l’interpellanza?

LI CAUSI. A nome anche degli altri firmatari, dichiaro di mantenere l’interpellanza.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge.

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se sia vero che cittadini italiani della provincia di Bolzano vengano tuttora trattenuti in campi di internamento civili a Farfa e Alberobello e militari a Verona e Rimini; e se non ritenga che sarebbe più opportuno seguire una linea diversa e più conforme ai diritti di eguaglianza e di libertà nei riguardi di cittadini che, per essere di lingua tedesca, tanto più occorre sentano concretamente la lealtà della Repubblica italiana. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Jacometti».

«I sottoscritti chiedono di interrogare i Ministri dell’interno e delle finanze, sull’opportunità che il raddoppio delle aliquote nella sovrimposta comunale sui redditi dei terreni (giusta il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 12 maggio 1947, n. 356) sia da riservare esclusivamente ai comuni pei quali l’aumento sia indispensabile per eliminare o attenuare il deficit già verificatosi nel bilancio 1947 e per il quale sia stato chiesto o si ritenga ancora inderogabile l’intervento dello Stato.

«Con questo dovrebbe essere definitivamente sospesa per tutti gli altri comuni della provincia di Pavia, la inutile riscossione dell’aumento della sovrimposta comunale che venne già rinviata alla rata d’agosto; e ciò per evitare un inopportuno sperpero di capacità contributiva, in contrasto con le esigenze economiche e finanziarie generali. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Montemartini, Ferreri».

«La sottoscritta chiede di interrogare i Ministri dei lavori pubblici e dell’interno, per sapere se non ritengano opportuno ed urgente, ai fini della salute pubblica e dell’ordine, impartire sollecite disposizioni agli uffici dell’A.C.E.A. perché rispetti l’impegno assunto a suo tempo di erogare l’acqua necessaria ai comuni di Poggio Mirteto, Montopoli e Salisano, i quali, dopo aver speso 15 milioni concessi dallo Stato per la costruzione di nuovi acquedotti, vengono ora a trovarsi, a lavori ultimati, nella gravissima situazione di non aver acqua proprio nel momento di maggior bisogno, con grave pericolo per le proprie popolazioni, il cui approvvigionamento idrico è assolutamente insufficiente nell’attuale momento. Si osserva al riguardo che sarebbe quanto mai ingiusto che gli interessi di una società debbano prevalere su quelli di intere popolazioni. Si fa notare, altresì, che il prefetto di Rieti, al quale si sono rivolti i sindaci dei tre comuni suddetti, affinché intervenga con tutta l’energia del caso presso la direzione dell’A.C.E.A., avvalendosi dell’articolo 19 della legge provinciale e comunale, non è stato in grado di indurre la suddetta azienda a concedere, nemmeno in via temporanea, l’uso dell’acqua.

«La interrogante chiede l’immediato e deciso intervento degli organi governativi, onde evitare l’ulteriore aggravarsi di una situazione pericolosa nei comuni sopracitati. (La interrogante chiede la risposta scritta).

«Pollastrini Elettra».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se ritenga ritoccare le norme per il conferimento degli incarichi e delle supplenze per l’anno scolastico 1947-48 nel senso di attribuire valore di servizio scolastico (con punteggio pieno o eventualmente ridotto) anche al servizio militare compiuto da coloro che all’atto della chiamata alle armi non erano laureati, limitatamente però al periodo intercorrente dal momento in cui presumibilmente l’aspirante si sarebbe laureato (a quattro anni dalla immatricolazione universitaria) al momento del congedo.

«Questo provvedimento – che sarebbe tempestivo, in quanto il termine della presentazione delle domande è stato prorogato – colmerebbe una grave lacuna attuale, eliminando la sperequazione tra chi dalla guerra riceve qualche indiretto giovamento con una classifica di favore e chi invece ha visto dalla catastrofe troncati gli studi ed ora, pur avendo fatta maggiore fatica a riassestarsi, è quasi completamente abbandonato alla deriva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sullo Fiorentino».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se non credano urgente provvedere all’emanazione del decreto-legge riflettente il risarcimento dei danni di guerra. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’agricoltura e foreste e dell’industria e commercio, per sapere se è a loro conoscenza che una grande quantità di concimi chimici è oggetto di mercato nero, nei quale sono parte attiva soltanto le grandi firme commerciali e i ricchi agricoltori, mentre i piccoli proprietari, perché poveri, sono dallo stesso quasi banditi, con la conseguenza di visibile peggioramento dei loro piccoli poderi e del loro magro bilancio; e come intendano provvedere. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno, dell’industria e commercio e dell’agricoltura e foreste, per sapere – considerato che i prezzi di imperio sono applicati solo alla produzione agricola, provocando le proteste dei contadini contro un apparente sistema dei due pesi e due misure – se non credano urgente provvedere affinché anche la produzione industriale, e specialmente i prodotti tessili e le calzature, siano sottoposti a prezzi vincolati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere se intenda accelerare l’emanazione del decreto che prevede la trasformazione dei Consorzi agrari e delle aziende agrarie di Trento in vere e proprie cooperative di agricoltori. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Carbonari».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno trasmesse ai Ministri competenti per la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul disegno di legge:

«Convalida del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato in data 29 marzo 1947, n. 143, concernente l’istituzione di una imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (14).

Alle ore 17:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.