Come nasce la Costituzione

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLVI.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

INDICE

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Bruni                                                                                                                

De Caro Gerardo                                                                                            

Bovetti                                                                                                             

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.30

RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Bruni. Ne ha facoltà.

BRUNI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, questo mio intervento sarà brevissimo e limitato a due sole osservazioni: una sulla pretesa omogeneità dell’attuale Gabinetto e l’altra sull’aspetto politico con il quale esso si presenta all’attenzione del Paese.

Questo Gabinetto, che venne qualificato di «colore» o di «centro destra» dovrebbe, fra l’altro, trovare la sua giustificazione, stando anche alle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, come Gabinetto di «emergenza», capace, per la sua «omogeneità», di risolvere alcuni dei più urgenti problemi del Paese, lasciati insoluti dai precedenti Governi multicolori.

Per quanto mi riguarda, confesso di essermi sempre reso conto che il Governo non può essere, al pari dell’Assemblea, un organo di rappresentanza puro e semplice. Un Gabinetto dei Ministri non può essere un Parlamento in piccolo. L’opposizione deve controllare e criticare il Governo; ma, per far questo, mi pare ovvio che non debba insediarsi in seno al Governo stesso, senza, altrimenti, paralizzarne l’azione.

Infatti, nella misura che ciò avvenne nel tripartitismo, il tripartitismo non funzionò!

Il Gabinetto dei Ministri, sotto l’iniziativa ed il controllo delle Camere legislative, è un organo esecutivo e, per funzionare, deve evidentemente presentare una certa omogeneità. Ciò mi pare ovvio. Ma il quarto Gabinetto De Gasperi è veramente omogeneo e si presenta, almeno sotto questo aspetto, veramente più efficace dei precedenti, e tale da ispirarci una maggiore fiducia? È la prima domanda che mi faccio.

Evidentemente l’omogeneità, bisogna, innanzitutto, ricercarla nelle persone dei Ministri, nelle loro idee, nelle loro convinzioni, nel loro costume politico e nei reali propositi da cui sono animati al fine di realizzare il programma governativo. E non basta; per giudicare di questa omogeneità o meno, bisogna, nel nostro caso, guardare in particolare anche all’interno della Democrazia cristiana e all’esterno del Gabinetto, cioè, alle forze che lo sostengono, con i loro consensi ed i loro voti.

Quanto all’omogeneità della Democrazia cristiana nel suo interno, è noto come in seno a questo partito, come del resto avvenne un giorno in seno al Partito popolare italiano, cozzano due tendenze inconciliabili, si agitano due anime, il che ha sempre determinato una sua efficienza molto relativa, nel Paese e al Governo, nonostante la sua forza numerica.

La ricetta dell’interclassismo, che è la sua ricetta, escogitata per comporre il proprio dualismo, non sana il suo malessere: ne è semplicemente l’indice.

E così si spiega come non ci sia stata una chiara iniziativa democristiana nei precedenti Gabinetti, e, naturalmente, specie sul terreno economico, dove si sono prodotte tutte le precedenti crisi.

E questa mancanza di sufficiente omogeneità democristiana costituisce una delle lacune più gravi dello schieramento politico italiano, di cui risente tutto il Paese. Ciò dicendo, non è ch’io voglia addossare alla sola Democrazia cristiana la inefficienza ed il fallimento del tripartitismo.

Il fallimento del tripartitismo, fallimento del resto sempre relativo, non è soltanto il suo fallimento. Ma sia chiaro che resta anche il suo fallimento. Ma, a parte la problematica omogeneità dello stesso partito al Governo, a me pare che questa circostanza venga notevolmente aggravata dalla presenza, in seno al gabinetto, dei così detti indipendenti.

L’onorevole De Gasperi ha tenuto molto a sottolineare la dichiarazione che il suo quarto Gabinetto rappresenterà, né più né meno, che la continuazione di quella politica economica che fu programmata, per il suo terzo Gabinetto, dall’onorevole Morandi.

Non si tratterebbe, dunque, di mutare la vecchia linea della politica economica tripartitica, ma di camminare più speditamente sullo stesso binario, puntando sulla pretesa maggiore omogeneità del nuovo Ministero.

È inutile che io osservi che qui non voglio mettere in dubbio le buone intenzioni né dell’onorevole De Gasperi, né dell’onorevole Einaudi nell’accettare quelli che furono pomposamente chiamati «i 14 punti», ma che in realtà non sono che i 14 «appunti» del socialista onorevole Morandi. Non si tratta di questo. Si tratta della perplessità in cui mi lascia la realizzazione di questo programma, del resto vago e lacunoso in se stesso, e divenuto, comunque, assolutamente impari alle nuove circostanze, come mi pare abbia dimostrato a sufficienza l’onorevole Scoccimarro.

A questo si aggiunga che mi lascia non meno perplesso la circostanza che, se il quarto Gabinetto De Gasperi potrà essere varato, come ormai appare sicuro, ciò si dovrà al contributo delle destre che, se non sono tutte rappresentate al Governo, non vi sono, per questo, tutte meno presenti.

Concludendo questa mia prima osservazione sulle dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi, dirò che, o la famosa omogeneità lascerà molto a desiderare o, se questa si realizzerà, non potrà non realizzarsi che sopra la piattaforma degli interessi delle classi abbienti. In quest’Aula abbiamo del resto già ascoltato come sia condizionata la fiducia delle destre, di cui la Democrazia cristiana ha bisogno assoluto.

E passo, rapidamente, alla seconda osservazione.

Questa, dell’omogeneità del nuovo Ministero, è stata la giustificazione più appariscente per il pubblico che non era soddisfatto (e come poteva esserlo?) del tripartito.

Ad ogni modo non ne costituisce affatto la giustificazione principale.

Il motivo principale, che, del resto, l’onorevole Presidente del Consiglio non ha potuto passare completamente sotto silenzio, nonostante la sua nota prudenza, ma che ha tuttavia lasciato, a mio parere, troppo prudentemente, nell’ombra, è ben altro. E non è di carattere tecnico; è di carattere squisitamente politico.

In effetti ha valore – come dire? – di semplice motto di spirito la dichiarazione dell’onorevole Presidente del Consiglio di non voler «entrare in polemica». Certamente la «polemica» non sta nelle «parole» dell’onorevole De Gasperi; la polemica, anzi la sfida, è nei «fatti». Ed i fatti hanno un’eloquenza assai maggiore di qualsiasi parola.

I fatti, che spiegano questa crisi e conferiscono ad essa un carattere squisitamente politico e polemico, risalgono, come è noto, al tentativo compiuto dall’onorevole De Gasperi appena ritornato dall’America.

L’operazione che l’onorevole Presidente allora ebbe in animo di portare a compimento, è stata compiuta ora con l’aiuto di alcune circostanze ch’io non starò qui ad enumerare. Tutti conoscono le dolorose condizioni del Paese. L’Italia ha conosciuto le rovine morali e materiali della guerra; ed è tuttora sottoposta alla tutela straniera.

L’Italia è ancora controllata in molti dei suoi movimenti.

Quanto all’attuale schieramento dei partiti, ricorderò soltanto la dolorosa scissione dei socialisti, che è venuta a complicare le cose, nonché la cattiva volontà e il diffuso spirito di fazione di cui abbiamo peccato un po’ tutti.

La mancanza di una forte corrente socialista, ricca di umanesimo cristiano, cosciente dei propri specifici destini, rivoluzionaria dello spirito e dei nostri costumi politici, personalista e comunitaria, ha reso possibile il consolidarsi di due blocchi estremi in Italia, irti di metafisici teoremi, e ha reso difficile la vita della nostra democrazia.

Tutti coloro che hanno lavorato, scientemente o inscientemente (e costoro non sono pochi, sui banchi di queste sinistre), al disgregamento del partito socialista e a fargli affievolire la coscienza della sua autonomia, hanno in questo quarto Gabinetto De Gasperi la propria meritata punizione.

Di questa tragica situazione ora è stata la Democrazia cristiana a girare le somme. Domani potranno essere altri.

Questa situazione ha certamente aiutato la quarta, deprecabile soluzione De Gasperi, senza peraltro renderla assolutamente necessaria, perché altra via era possibile perseguire, a mio parere, ed è ancora possibile percorrere.

Che questa crisi abbia poi coinciso proprio coi giorni in cui la missione Lombardo stava negoziando un prestito a Washington, ciò non parrebbe senza significato.

I prestiti americani sono condizionati, anche politicamente. Truman e Marshall ce lo hanno detto in tutti i toni, in questi ultimi tempi; essi sono disposti ad aiutare soltanto quelle nazioni che si accodano al blocco occidentale.

In altre parole l’Italia, con il quarto Gabinetto De Gasperi, sull’esempio della Francia di Ramadier e del Belgio di Spaak, manifestamente si inserisce nell’attuale congiuntura internazionale.

L’onorevole De Gasperi vuol rafforzare la posizione dell’Italia di fronte al mondo occidentale, da cui ci dovrebbero arrivare i necessari aiuti.

Pertanto non c’è dubbio che il quarto Ministero De Gasperi rappresenti una presa di posizione inequivocabile, a mio parere, sul piano della politica internazionale.

L’Italia s’appresta anch’essa a compiere l’esperienza che, mutatis mutandis, come ho detto, stanno facendo la Francia ed il Belgio.

L’onorevole Presidente del Consiglio punta decisamente sulla carta americana.

Dalle sue dichiarazioni risulta che noi abbiamo bisogno immediato di un prestito di almeno 200 milioni di dollari e che tale prestito sarà dato solo ad un Governo che riscuota la fiducia degli Stati Uniti d’America.

L’onorevole De Gasperi ci ha detto chiaramente come la vera causa di questa crisi sia una questione di fiducia all’interno e all’estero.

In ciò non gli si può dar torto.

Ma io non vedo come la questione della fiducia all’interno possa essere risolta col suo Governo di «colore» sostenuto dalle sole destre.

E sono dell’opinione che la questione della fiducia all’interno, qualora non fosse risolta, renderebbe impossibile la soluzione del problema della fiducia all’estero, anche di fronte agli Stati Uniti.

Noi dobbiamo desiderare la fiducia, se possibile, di tutte le Nazioni del mondo. È pertanto legittima la preoccupazione dell’onorevole De Gasperi di guadagnare anche la fiducia degli Stati Uniti d’America.

Nessun Governo italiano, veramente sollecito del bene del Paese, può non desiderare vivamente l’amicizia del grande popolo americano, al quale ci legano vincoli di sangue e l’amore alle libere istituzioni.

Se non che la quarta soluzione De Gasperi mette in grave pericolo la pace nel Paese, e praticamente non mi pare la più adatta ad ispirare fiducia alle altre Nazioni. Non esclusa l’America.

Direi che egli non abbia bene dosato i mezzi, al fine che vuole raggiungere.

Questo suo Governo si presenta in una posizione di aspra polemica contro il mondo del lavoro. Questa è la sua grande debolezza ed anche l’America lo sa, e non ne è soddisfatta, onorevole De Gasperi

E mi pare che ciò, non facilitando il compito dell’onorevole De Gasperi all’interno, gli renderà problematico quello all’estero.

Basterà una settimana di agitazioni, di quelle agitazioni che l’onorevole De Gasperi non potrà avere la forza di evitare, per cancellare i benefici di quel prestito che l’onorevole De Gasperi si attende, dato e non concesso, che questo prestito, in tali circostanze, sia concesso.

Non voglio fare un malaugurio all’onorevole De Gasperi, ma io mi preoccupo che queste agitazioni possano avvenire e me ne preoccupo per il popolo sofferente e per il pericolo in cui esse metterebbero le nostre libertà civili. Questo suo Governo, per le reazioni che potrebbe provocare, potrebbe divenire un Governo predittatoriale. Ciò mi permetto di ricordargli, perché egli tenga gli occhi bene aperti in tutti i settori della vita politica, ed egli stesso non sia mai indotto in tentazione.

Questa soluzione De Gasperi si presenta foriera di gravi perturbazioni sociali.

Escluse dal Governo le rappresentanze delle grandi masse lavoratrici, che sino ad ora, nonostante le loro sofferenze, hanno dato un esempio mirabile di disciplina civica, sarà difficile continuare ad esigere da esse gli stessi sacrifici. Il nuovo Governo, infatti, si presenta dinanzi a loro con due caratteristiche ben marcate: con una caratteristica di centro-destra in servizio delle forze conservatrici nazionali ed internazionali; e con una caratteristica monarchica o filomonarchica, o, come si sia, di tepido repubblicanesimo. La soluzione De Gasperi è sostenuta quasi completamente da forze che tentarono di affossare la Repubblica.

Queste sono due caratteristiche dell’attuale Governo (per non accennare ad altre) che lo rendono impopolare alle forze più vive della Nazione. Nel quarto Gabinetto De Gasperi è assente tutto il socialismo, e, con esso, sono assenti i rappresentanti fra i più accreditati delle classi lavoratrici. È composto di soli democristiani, non molto accreditati presso queste classi, e di «indipendenti», che sono invece «dipendentissimi» dai ceti agrari ed industriali. (Applausi).

Il liberale onorevole Einaudi è divenuto, a dire dell’onorevole De Gasperi, il gran maestro della politica economica del Gabinetto democristiano, ma non credo con molta soddisfazione dei lavoratori democristiani.

Né si tenti di riavvicinare troppo la soluzione francese e belga a questa soluzione De Gasperi. In Francia e nel Belgio il socialismo è alla direzione del Governo.

In questo momento l’unica soluzione, la più omogenea politicamente, e, nello stesso tempo), la più pacificatrice degli animi, era un Governo di larga concentrazione nazionale, che poteva andare, Democrazia cristiana compresa, dai repubblicani ai comunisti, con l’esclusione delle destre. In ogni caso, nella soluzione della crisi, dovevano essere tenute presenti, oltre che l’esigenza tecnica, anche le ripercussioni politiche che si sarebbero avute nel Paese, e l’una e le altre dovevano essere assieme saggiamente contemperate. È ciò che l’onorevole De Gasperi non mi pare abbia fatto. L’iniziativa democristiana appare così poco saggia, e così inaspettata, da far nascere il sospetto che essa appartenga ad un piano di grandiose proporzioni di cui essa sia una semplice pedina, più o meno cosciente. Siamo forse alla vigilia di grandiosi e forse dolorosi avvenimenti internazionali che sfuggono al controllo di questa Assemblea? Non lo so; soltanto temo che il gesto dell’onorevole De Gasperi, anche sul terreno internazionale, non risponda agli interessi del Paese.

La nostra politica estera deve tendere a non incoraggiare la politica dei blocchi e delle zone di influenza. Col quarto Ministero De Gasperi l’Italia prende invece manifestamente partito sul terreno internazionale. Anche l’Italia entra a condividere le responsabilità di un eventuale conflitto tra Occidente ed Oriente.

A questo punto vorrei fare una raccomandazione all’onorevole Ministro degli esteri. In questo momento è in discussione il piano Marshall di unificazione economica dell’Europa. Spero che la Russia possa trovare un punto d’intesa con l’America su questo terreno.

La raccomandazione che faccio all’onorevole Sforza è di seguire attentamente questo movimento di unificazione.

Se l’Europa resterà divisa come lo è attualmente, essa graviterà in parte verso l’America e in parte verso la Russia, e l’Europa continuerà a dividersi in due. Se invece riuscirà ad unificarsi prima sul piano economico, essa acquisterà la forza necessaria per impedire forse il cozzo fra le due grandi Nazioni.

L’onorevole Ministro degli esteri dovrebbe esaminare ed eventualmente appoggiare il piano Marshall, tenendo presente però questo obiettivo di pace e di civiltà. Che l’Italia non perda di vista la proposta Marshall, perché la sua salvezza e la sua ricostruzione sono nel quadro della salvezza e della ricostruzione europea!

All’esigenza espressa dall’onorevole De Gasperi, di formare un Governo che possa riscuotere la fiducia delle altre Nazioni, bisognava dare soddisfazione, come dicevo, con la formazione di un Gabinetto che avesse potuto riscuotere nel contempo la fiducia all’interno e non avesse aperto un periodo di agitazioni politiche e sociali.

Questo risultato lo poteva dare un Governo guidato da un uomo che, au dessus de la mêlée avesse potuto ricevere la collaborazione di tutti i gruppi dell’Assemblea. I colleghi democristiani, e l’onorevole De Gasperi in prima linea, hanno la coscienza di aver fatto tutto il possibile per appoggiare – per esempio – il tentativo dell’onorevole Nitti o dell’onorevole Orlando? Come si è passati dal Ministero a larga concentrazione, con l’onorevole Nitti con l’onorevole Orlando, al Ministero di colore? L’appoggio dato dalla Democrazia Cristiana al Ministero a larga concentrazione fu veramente sincero ed effettivo, o si volle piuttosto che la situazione scivolasse dove è scivolata?

Sarò ingenuo, ma tutto è permesso agli ingenui. Vorrei, in questo momento così difficile della nostra vita nazionale, rivolgere un’amichevole sollecitazione a tutti i partiti, e in primo luogo a quello democristiano, perché si possa ritornare rapidamente ad un Governo di più larga concentrazione, certamente più idoneo a ristabilire la fiducia e la pace tra gli italiani.

La politica che questo Ministero inaugura a chi giova? Giova forse al Paese? Giova forse alla causa dell’indipendenza nazionale? Giova forse alla causa del povero? Ne dubito fortemente! (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole De Caro Gerardo. Ne ha facoltà.

DE CARO GERARDO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, ciò che sto per dire ha un valore ed un significato personali, ma nel medesimo tempo porta il riflesso delle esperienze addensatesi nella coscienza del partito a cui appartengo, in questi ultimi mesi. Ciò che dirò sarà improntato ad uno spirito di obiettività, vale a dire ad uno sforzo di adattamento delle nostre vedute parziali al sistema dell’utilità comune e generale; alla obiettività della buona fede con cui ciascuno di noi ha il dovere di esprimersi.

Distinguerò, e mi soffermerò su tre punti; e precisamente un primo punto: cioè il problema attuale, la discussione attuale non ha un valore meramente tecnico; non si tratta di impastare il problema di una tecnica nuova dell’economia e della finanza, ma si tratta soprattutto della differenza di metodi politici.

Secondo punto: la nostra crisi di Governo va considerata in relazione ai problemi internazionali.

Ed il terzo punto, più ampio, a cui accennerò soltanto fuggevolmente, è la crisi guardata come l’espressione di un profondo dramma religioso che involge oggi l’umanità; che ha assunto, anche nel campo parlamentare, le forme più raffinate di lotta, nel bene come nel male, più adatte alla nostra sensibilità moderna ed in cui convergono tutti i motivi economici, sociali e politici del mondo contemporaneo.

Dunque, il nostro non è soltanto un problema di tecnica economica. Finché noi impostiamo questo problema sulle premesse di una soluzione tecnica nuova, dobbiamo necessariamente riportarci ad una esperienza retrospettiva politica; cioè, in altri termini, ci dobbiamo rifare, volenti o nolenti, alla storia interna della crisi del tripartito, senza cui non potremmo comprendere nemmeno la situazione attuale.

Tutti abbiamo avvertito, nell’esperienza tripartitica, un senso di malessere accanto alle grandi probabilità, alle grandi mete che avevamo poste davanti. Il tripartito somigliava un poco a quell’oca – di cui ci parla un grande umorista tedesco – che ha posto il suo piede dentro la pania e sta per poggiare l’altro piede a terra, quando si accorge che anche lì c’è un laccio.

In altri termini si è avuta la sensazione, abbiamo sentito in noi il drammatico riflesso della inibizione ad una opera di vera e propria e ben intesa collaborazione; si è avuta la sensazione insomma di una sterilità latente del tripartito che non rendeva immediatamente attuali né attuabili quei grandi ideali comuni, che pure costituivano il sogno e l’aspirazione di tutta Italia.

Ora, bisognava assolutamente uscire da questa esperienza, e bisognava uscirne attraverso una rivalutazione dei metodi. Indubbiamente questa rivalutazione di metodi hai preso l’aspetto di una messa a punto di problemi tecnici dell’economia. Anche questi problemi hanno la loro enorme importanza; ho detto che la vera difficoltà era soprattutto del metodo politico. Se noi guardiamo da un punto di vista più alto, l’accusa di contradizione mossa al nuovo Gabinetto De Gasperi, di seguire un metodo di destra con un programma di sinistra, quest’accusa di un ricollegamento al programma economico del precedente Governo con direttive mutate, non ha un vero e proprio fondamento.

Quando noi esaminiamo la storia dei grandi popoli nella fase culminante della loro felicità politica ed economica, notiamo sempre questo accordo inscindibile di una necessaria politica di destra – intesa nel senso di ordine all’interno di profonda coesione degli spiriti, di un’armonizzazione completa di forze nell’interesse della Nazione – accanto a una politica di riforme sociali ed economiche, graduali, che costituiscono l’esigenza e lo spirito dei tempi moderni. Qualunque popolo o storia di popolo noi osserviamo, nel periodo di slancio vitale, ritroviamo sempre questa caratteristica.

Quindi, voler considerare l’atteggiamento attuale, assunto da un Governo di omogeneità, come l’unione ibrida di una politica di destra con un programma di sinistra, è in realtà inesatto, in quanto corrisponde ad una esigenza profonda, che è propria dei momenti di ripresa e delle concrete realizzazioni economiche, sociali e politiche, e che attendiamo, col nostro voto di fiducia, da questo Governo. Quindi non c’è contradizione. Noi non dobbiamo guardare la destra e la sinistra nel senso topografico, né soffermarci alla sensazione plastica che si ha, guardando a destra ed a sinistra di questa Assemblea: dovremmo guardare con maggiore profondità, per vedere che cosa significhi e quale valore abbia una politica di destra, nel momento attuale, in Italia.

Quando si osserva un grande Stato come la Russia, si vede che qui la politica che si segue è politica di destra; e intendo dire una politica geniale, profonda, una politica eminentemente unitaria all’interno, salvo poi a discutere dei metodi, sui quali ci troviamo in profondo contrasto.

Io, che sono un ammiratore della civiltà e del popolo russo, quando mi soffermo ad esaminare la grandiosa visione politica che lo seduce, devo riconoscere di trovarmi di fronte al tipo classico della politica di destra nel suo sistema di unità governativa, che con le sue esigenze, con le sue deviazioni o con i suoi errori e soprattutto con la tendenza fondamentale alle riforme sociali, realizza un programma di sinistra.

Quindi noi non dobbiamo stabilire queste artificiose antitesi di una destra e di una sinistra che hanno valore di carattere meramente parlamentare, e, nel campo delle differenze ideologiche, di una preparazione strumentale alla lotta politica; ma dovremmo guardare dal punto di vista più alto e comprensivo, come una necessaria fusione degli elementi di forza interna, per creare lo slancio di progresso delle classi lavoratrici. Il punto di vista tecnico, indubbiamente, costituisce una base di stabilità nelle oscillazioni d’incompatibilità dei metodi politici, nelle provvisorie composizioni governative; ma è un elemento di obiettività scientifica, di fronte al quale tuttavia restiamo perplessi. Le relazioni tecniche non possono essere politicamente indifferenti, come vorrebbero presumere, e rivelano ben presto la divergenza fondamentale degli orientamenti politici che le ispirano. Queste relazioni di pura metodologia tecnica corrispondono ad un criterio di obiettività, che ha senza dubbio il suo fondamento scientifico, ma conservano una struttura propria e inconfondibile di vedute sociali e politiche, che alimentano i contrasti e gli inevitabili dissensi. Ma questa struttura tecnica, che è parziale e rappresenta soltanto un punto di vista, non può oggi sodisfare le esigenze di tutti.

Ecco perché noi, pur riconoscendo il valore delle composizioni tecniche governative, che costituiscono per ora un indirizzo necessario di salute pubblica, sentiamo di non poter racchiudere nella formula tecnica tutta l’enorme ricchezza e varietà della vita e delle esigenze attuali. Ed allora, come va inteso questo collegamento del programma economico del Governo precedente col nuovo Governo? È il tentativo di superamento di un compromesso, che ha facilitato il doppio gioco delle sinistre, di partecipazione al Governo, di opposizione al Governo; il doppio gioco del sì e del no, per servirmi di una espressione dell’onorevole Nenni.

È una voce che risuona imperiosa oggi nel popolo d’Italia, perché in questo momento di emergenza, dinanzi al pericolo di un’inflazione, si riuniscano, momentaneamente almeno, tutte le forze purché si salvi la Patria.

Da questa crisi interna del tripartito è derivata una particolare posizione dei cosiddetti «piccoli partiti». Noi ammiriamo la intelligenza così nobile, così fine e complessa dell’onorevole Nitti, che noi ascoltiamo di volta in volta ammirando ed imparando; però non condividiamo il parere da lui espresso nella sua ultima relazione, in cui egli è portato a svalutare l’efficienza dei piccoli partiti, che, invece, rappresentano, nella sensibilità politica del nostro paese, il termometro che ne misura l’orientamento complessivo e dà il senso delle sfumature, delle differenziazioni necessarie fra diverse aspirazioni nascenti da un medesimo schieramento politico, specie nel settore più cospicuo dell’Assemblea per nobiltà di cultura e di preparazione politica: nel centro sinistra.

Noi apprezziamo l’importanza del ruolo di questo settore.

La opportunità della sua collaborazione al Governo è oggi il problema più vivo, più sentito da tutti, e, risolto, darebbe davvero un orientamento progressivo a una politica di ordine.

Anche i piccoli partiti hanno il loro valore, la loro profonda esigenza. Aggiungo una osservazione: allorché noi guardiamo i grandi partiti, che cosa vi osserviamo? Che anche nei grandi partiti abbiamo delle divisioni, dei diversi orientamenti, tenuti insieme da un principio ideologico superiore, che li coordina e sintetizza; ma anche lì noi ritroviamo le solite distinzioni o disfunzioni: solchi che attraversano vaste contrade. Quindi, giudicare un partito «piccolo» soltanto perché si presenta numericamente in forze inferiori, mentre poi, nell’orientamento, può determinare o rovesciare posizioni faticosamente raggiunte, con la medesima intensità ideale dei grandi partiti, a me sembra una constatazione politicamente inaccettabile.

Ma in verità oggi la crisi è aggravata dalla posizione di splendido isolamento assunta dalla «piccola intesa», che sganciatasi dalla Democrazia cristiana, ha finito per rompere l’equilibrio che si profilava tra le necessità di un piano economico, già esposto dall’onorevole Tremelloni, a cui – si badi – non era stata opposta alcuna pregiudiziale da parte nostra, e le esigenze immediate di ordine del Paese. E non avremmo potuto trovare una via migliore, se non appunto in un contemperamento, in un adattamento reciproco delle nostre vedute.

I motivi confessionali sono stati del tutto estranei al gran rifiuto della «piccola intesa»?

Non so. Purtroppo la collaborazione è mancata, e noi ci siamo trovati di fronte alla necessità di una soluzione omogenea. La «piccola intesa», al dire dell’onorevole Nitti, è stata il «grande malinteso» della crisi.

E ora devo passare al secondo punto, cioè esaminare in che senso va inteso l’inquadramento di questa nostra crisi nel vasto, più ampio panorama dei problemi internazionali. Prima di tutto, però, devo fare una osservazione. Se ci guardiamo attorno, notiamo che fra di noi, in Italia, oggi c’è un grande malato, che sopporta su di sé, nelle sue piaghe, nelle sue sofferenze, nelle sue tristezze, tutte le lacerazioni e tutte le difficoltà della situazione odierna.

Questo grande malato, per cui vogliamo tutti lavorare e per la cui guarigione dobbiamo unire i nostri sforzi, è la borghesia. Noi abbiamo ormai un’idea generica di origine sociale-politico-letteraria, dispregiativa, che si esprime appunto con il termine «borghesia». Ma io non mi voglio soffermare su questo aspetto, che è ancora molto limitato e circoscritto; voglio fermarmi invece sulla constatazione di un’antitesi, che devo riscontrare proprio in quelle tendenze, in quelle ideologie e soprattutto in quegli uomini, i quali fanno professione anti-borghese. E precisamente noto questo fenomeno: il grande proletariato sta diventando borghese. (Rumori). Non vi sembri che io faccia una sciocca ingiuria o che stia dicendo eresie. Ve lo dimostro. Infatti, l’operaio non vuole far più l’operaio ma l’impiegato. Se guardiamo da un punto di vista realistico la vita, ci dobbiamo preoccupare di ciò. (Rumori a sinistra). Non è un rimprovero che sto facendo a voi. Noi dobbiamo curare, perché, queste differenziazioni, di carattere ancora esteriore, ci siano, perché se noi giungiamo ad una svalutazione dei mestieri, noi perdiamo quella che costituisce una delle grandi glorie della nostra civiltà, quella che è la nostra civiltà artigiana, rappresentata in certe epoche felici della nostra storia da autentici artisti. Quindi noi ci dobbiamo enormemente preoccupare perché l’operaio sia messo nelle migliori condizioni, ma perché, nel medesimo tempo non crei una defezione da quelle che sono le proprie attitudini e la tradizione delle attitudini: le attitudini si ereditano e si coltivano.

Io parlo da un punto di vista di mera constatazione, nel senso che addito un problema al nostro studio e soprattutto alla nostra volontà di trasformazione, cioè di elevamento delle classi.

Allorché quindi noi facciamo professione anti-borghese, dobbiamo preoccuparci di questo e soprattutto dobbiamo pensare, non soltanto a non deprezzare quelle che sono le attitudini della borghesia, ma, ciò che più interessa, a non disperdere nella borghesia le qualità inventive del proletario. Questo è un problema che io pongo davanti a voi, perché noi cerchiamo di risolverlo attraverso quelle che sono le nostre comuni idealità.

Mi domanderete quali siano le condizioni per giungere a questa meta, a questo compito; come dobbiamo raggiungere questo miglioramento del proletariato e se il programma, quale è stato presentito dal Governo, offra queste condizioni e dia queste garanzie.

Ora, nelle considerazioni finali fatte dall’onorevole Scoccimarro, egli osservava appunto che una vera, propria ripresa economia (dopo un certo numero di anni) noi l’avremmo avuta soltanto nella eventualità del tramonto definitivo dell’economia capitalistica, il che fa presupporre logicamente che, soltanto con una economia fondata sul lavoro e sulla distribuzione del capitale privato, noi potremmo riprenderci infine. E siamo d’accordo, in parte.

Ma, poiché le allusioni sono troppo palesi e troppo dirette, giacché noi abbiamo, nel mondo europeo, un grande Stato come la Russia che ha realizzato o tenta approssimativamente di realizzare questa civiltà proletaria, dovremmo vedere se abbiamo concordi testimonianze della felicità economica del popolo russo. Ebbene: è proprio questo, che noi non sappiamo e non conosciamo, in quanto non abbiamo la fortuna di possedere una letteratura introspettiva sulle attuali condizione della Russia. Però possiamo attingere ed attingiamo a fonti russe di indubbia imparzialità.

Ecco che trovo, per esempio, nella Sozialisticeskij Viéstnik del 13 marzo 1947, una rivista socialista edita a New York (e chiarisco che si tratta di scrittori e di testimonianze russe, e non delle solite fonti spurie), trovo a pagina 44 espressioni di questo genere: «Nelle regioni dove è il capitalismo, la vita è migliore e più soddisfacente che nei paesi sovietici». E ancora: «Se io dovessi scegliere – è Osokin che scrive – tra socialismo sovietico e capitalismo, sceglierei senza esitazione il capitalismo. Da questo fatto che il socialismo sovietico è cattivo non deriva certo che il capitalismo sia buono».

Anche noi riconosciamo evidentemente i difetti di una società capitalistica, ma non dobbiamo accettare il mito di una società anticapitalistica senza una conoscenza profonda delle reali condizioni dei grandi Stati dove si è tentato di realizzarla in forma sistematica.

Io sono un ammiratore della grande anima del popolo russo: al di là di questa ammirazione intellettuale, devo però riconoscere anche le gravi deficienze della Russia; e mi domando se la Russia ha la possibilità di esprimere attualmente tutte le sue angosce, così come noi le possiamo esprimere oggi.

In altri termini, questa mancanza di libertà, questo senso di afa e di soffocamento, attenua in gran parte e abbassa il livello morale che la Russia ha raggiunto oggi nel campo delle realizzazioni politiche, perché non ci porta verso una civiltà profondamente umana, ma distrugge il rispetto della libertà e della coscienza civile.

MINIO. Chiedetelo ai combattenti di Stalingrado!

DE CARO GERARDO. Questa è un’altra questione. Noi qui discutiamo delle esigenze spirituali di un popolo. Nessuno, come me, può giudicare più favorevolmente il popolo russo, verso cui sento vivo qui nel Parlamento italiano, il desiderio di formulare l’augurio del raggiungimento di una grande, più alta è più umana libertà.

Ma, io intravedo la più grande insidia alla libertà in tutto codesto ordinamento sociale ed economico. Ci troviamo oggi di fronte ad una esperienza che, ormai, ha raggiunto il suo apice.

La nostra crisi è indipendente, ma non indifferente al sottile e cauto giuoco di antitesi fra la Russia e l’America.

Anche su questo punto vorremmo portare il nostro contributo di pensiero. A parer nostro, veramente, soltanto nella Russia noi potremmo avere un centro ed un rinnovamento totale dell’Europa, una spinta agli Stati Uniti europei.

Però la grande difficoltà di questa realizzazione è in un solo motivo, cioè nella realizzazione di una economia sociale cristiana che oggi in Russia manca, come è stato onestamente riconosciuto da Kalinin, il quale è onesto al riguardo, e, dopo averci fatto un quadro completo delle idealità e ideologie russe nel momento attuale (alludo al suo ultimo libro del 1946 L’Educazione comunista), ammette che si sta facendo uno sforzo enorme di coartazione sulla coscienza religiosa del popolo russo.

Ebbene, da che cosa deriva questa deformazione della coscienza russa? Deriva dal fatto che oggi il popolo russo non conosce se stesso, come non si conosceva duecento anni fa. Per un momento, però, vi fu – nell’altro dopoguerra – la rivelazione improvvisa di una grande forza. Ma chi rivelò la Russia ai russi non furono certo gli uomini politici; furono i grandi artisti, che li precedettero, quei grandi scopritori dell’uomo, i più profondi forse, dopo i padri della Chiesa, i quali posero uno specchio, non solo di fronte alla Russia ma di fronte a tutta l’Europa; e l’Europa, con l’anima piena di tarli e di ragnateli della sua vecchia cultura, non poteva resistere al soffio di vita nuova dinanzi a cui tutto cadeva: tranne il gigantesco colonnato della Cristianità, alla cui ombra, nella luce crepuscolare della loro educazione o deviazione personale, delle loro tradizioni religiose, questi ultimi grandi artisti del Vangelo avevano sognato!

La borghesia, distruggendo se stessa, levava al potere la classe allora meno preparata, aprendo la via alla dittatura del proletariato e della morale atea. Con Lenin questa fase raggiunse il suo culmine; fu l’espressione di una cultura vasta ma sterile. Si compromise e rovinò un’opera che, svolta con la guida del Vangelo cristiano, avrebbe veramente soddisfatto l’attesa intorno a cui gravita tutta la civiltà del millennio, creando in Russia un secondo Rinascimento, infinitamente più alto di quello che 500 anni prima, sorto dall’Italia, aveva ringiovanito l’Europa: un Rinascimento di Stati Uniti europei, nei quali Occidente e Oriente avrebbero finalmente confuse le loro acque in una sorgente più ricca e profonda. Fu il più grande errore di questa seconda metà del millennio. (Interruzioni e commenti a sinistra). La Russia era stata sul punto di dire la grande parola di libertà, di redenzione dei popoli dalla servitù del passato.

Quella parola, balbettata per un istante, fu arrestata, soffocata dalle piccole oligarchie di una grande dittatura di terrore. (Interruzioni e commenti a sinistra).

Da questo punto di vista noi oggi guardiamo; e dovete riconoscere che la nostra visuale è molto più ampia di quanto potrebbe parere ad un primo sguardo. Noi non vediamo questa «antitesi» politica ed economica fra la Russia e l’America. Restando fermi al nostro punto di vista, cioè alle possibilità che avrebbe in sé la Russia di una trasformazione europea, salvo però l’adattamento ed il riconoscimento di una economia cristiano-sociale, si dovrebbe assistere al fenomeno spontaneo di un rinascimento dell’Europa, rinascimento ancora più vasto di quello che si operò dal quattordicesimo al sedicesimo secolo. Invece, questo orientamento non c’è e viene rinnegato a danno delle aspirazioni spirituali ed anche economiche e sociali dell’Europa; per conseguenza, si crea questa «antitesi artificiosa» di un’America contro la Russia.

Ora, si devono prendere delle posizioni rispondenti alle esigenze dei singoli popoli, nelle fasi momentanee delle relazioni politiche. Quindi, seppure vogliamo considerare la nostra crisi attuale al riflesso di questo grandioso contrasto mondiale, noi dobbiamo intenderla in questo senso, cioè non come una nostra predilezione di carattere capitalistico verso l’America, ma come un opportuno ripiegamento su noi stessi. Quando abbiamo assistito ed assistiamo alla delusione che una ideologia, come quella dominante il mondo russo, porta alla coscienza europea, alla umiliante coartazione di questa coscienza. (Interruzione dell’onorevole Maffi). veramente, da questo punto di vista, il problema tecnico si allarga in problema internazionale, e il problema di politica internazionale si amplia in un dramma profondamente religioso.

TONELLO. Lo risolveranno i vostri compagni di destra questo problema.

DE CARO GERARDO. Se io non dicessi ciò che sono per dirvi, avrei giudicato inutile parlarvi; e ciò che sono per dirvi è una cosa molto grave e profonda. Vi prego perciò di bandire, in questo momento, dai vostri spiriti, ogni senso di risentimento personale, di impazienza inevitabilmente faziosa che ci prende tutti.

Io parlo come uomo di fede, col rispetto di tutte le fedi; e parlo come un uomo che ha e porta in sé questo dramma elevante e lo vive nella propria vita. Ebbene, noi oggi parliamo un po’ tutti di Cristianesimo. Mi rivolgo non soltanto ai fratelli inquieti di una parte dell’Assemblea, ma anche ai miei amici di parte bianca: ché ci diciamo tutti cristiani. Mi rivolgo quindi a tutti noi e domando: comprendiamo noi oggi l’enorme valore di questa parola di fede, del Vangelo cristiano, nel mondo sociale contemporaneo? Siamo noi veramente all’altezza di realizzare, in funzione politica e sociale, le grandi mete additate dal Vangelo?

Potremmo esserlo, ove noi giungessimo all’accettazione totale e verace del Cristianesimo, senza aggettivi; invece noi parliamo in genere da posizioni teoriche, senza che ci sia da parte nostra una partecipazione concreta.

Ma è un fatto che oggi noi, amici, assistiamo ad un grande rivolgimento spirituale, che viene dall’Italia e che riempie un mondo: in verità, vi dico che vive, oggi, fra le altre, una creatura sublime di cui si irradia e si irradierà la nostra civiltà cristiana. (Commenti). Io vi dico che la luce del mondo è nascosta oggi nella cella di un antico convento del Gargano. Mi chiedete chi sia questa creatura?

Una voce a sinistra. Sarà il dottor Costa!

DE CARO GERARDO. Vi prego, o amici, bandite ogni leggerezza; elevatevi un momento alla consapevolezza e al rispetto pieno di umiltà, di tragica umiltà, con cui vi parlo. Ascoltatemi. Noi oggi abbiamo un modello che ci può ispirare e guidare. Non dico: convertitevi; dico: osservate. Mi domandate dunque chi è quest’uomo?

È una creatura umile e dolce, che porta nel suo corpo le stigmate di San Francesco, e ci insegna ad ascoltare, nell’intimità dello spirito, il linguaggio di Dio. È uno di cui io ho toccato con mano i tesori infiniti di scienza dell’anima, assistendo dentro di me a prodigi e rivelazioni della mia vita profonda.

TONELLO. Ma che cosa c’entra questo con la soluzione della crisi!

DE CARO GERARDO. Noi assistiamo, io vi ripeto, all’irradiazione di una grande parola di bontà e di verità che supera i dissensi e vince la discordia. Attingiamo a questa parola; attingiamo a questa Vita e sono sicuro che assisteremo a un grande rinnovamento cristiano della società attuale – sono i Santi che aprono le grandi ere! – noi assisteremo a questa rinascita del mondo cristiano; rinascita in cui gli stessi strumenti del lavoro umano saranno santificati, elevati sul Libro di Dio, dalla parola della divina Sapienza; e il sole della rinascita – ve lo ripeto, amici – sarà questo Sole che, dalle cime del Gargano, irradierà la prossima, la nuova aurora del mondo. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Bovetti. Ne ha facoltà.

BOVETTI. Io ho rinunciato a parlare sulle comunicazioni del Governo in generale, ma ho presentato un ordine del giorno su di una questione riguardante l’imposta patrimoniale, che, se crede, potrei ora illustrare brevissimamente riservandomi di fare pervenire ai competenti Ministeri dettagliate e documentate memorie a sostegno del mio assunto.

PRESIDENTE. Va bene, dica pure, onorevole Bovetti.

BOVETTI. L’ordine del giorno, che telegraficamente mi permetto di sottoporre all’approvazione dell’Assemblea, è il seguente:

«L’Assemblea Costituente,

ritenuto che mentre l’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, esenta dall’imposta patrimoniale le istituzioni di assistenza e beneficenza, l’articolo 68 dello stesso decreto non fa distinzione fra persone fisiche e giuridiche e viene a colpirle indistintamente;

ritenuto che, conseguentemente, tutte le opere di beneficenza vengono per l’anno 1947 ad essere gravate di un carico di imposte che, avendo riguardo alla rivalutazione patrimoniale stabilita dal decreto legislativo 18 ottobre 1946, viene ad essere di 50 volte il carico precedente;

ritenuto che tutte le opere pie, ospedaliere, di ricovero, di educazione e, comunque, di assistenza versano in situazione economica precaria determinata dalla diminuzione delle entrate e dai ben maggiori oneri che il costo della vita e l’accrescere degli assistiti comporta;

che in identica situazione si trovano gli enti locali:

invita il Governo

ad emendare l’articolo 68 del decreto legislativo 29 marzo 1947, stabilendo espressamente la esenzione delle istituzioni di beneficenza e di assistenza e degli enti locali dalla imposta proporzionale sul patrimonio come già lo sono per quella progressiva;

a riserbare ogni più provvida cura a favore di tali istituzioni che costituiscono una delle più nobili tradizioni del nostro Paese».

Esso riguarda un particolare dell’imposta patrimoniale, sul quale già un altro collega, l’onorevole Crispo, hai invocato l’intervento del Governo in sede di emendamento.

La questione che mi permetto di richiamare nel mio ordine del giorno è relativa alle Opere di assistenza, di educazione, di beneficenza, ecc.; in una parola, a tutte quelle molteplici attività che con pubblica o privata veste svolgono un’azione vasta e benefica, centrale o capillare nel nostro Paese.

Il progetto di legge sull’imposta patrimoniale, non allontanandosi dal concetto ispiratore della legge del 1921, in quella che è l’imposta straordinaria progressiva afferma una distinzione fra persone fisiche e persone giuridiche, richiamandosi nella relazione al Codice civile, che espressamente introduce una terza figura di persone giuridiche quali fondazioni, istituzioni, ecc.

Ora, come la legge che istituì la imposta patrimoniale straordinaria dopo la guerra 1915-18 prevedeva la esenzione per le provincie, comuni, società di mutuo soccorso; istituti di diritto e di fatto che, pur senza rientrare nel novero delle istituzioni pubbliche di beneficenza, attendono ad opere filantropiche di assistenza ed educazione degli indigenti, ecc., corpi scientifici, letterari e simili, l’attuale legge, per quanto ha tratto alla imposta progressiva, mantiene sostanzialmente l’esenzione stessa.

Né avrebbe potuto essere altrimenti, perché, anche prescindendo da pur rilevanti considerazioni morali, l’imposta istituita col decreto 29 marzo 1947 ha il carattere tipico del tributo personale, sia perché ad aliquota progressiva, sia perché esclusivamente applicata a carico delle persone fisiche, sia perché, infine, ammette la detrazione per i figli e per passività non afferenti i singoli cespiti tassati.

Tale concetto avrebbe, per vero, dovuto essere mantenuto nel capo XIII del secondo titolo della legge in discussione, ove si istituisce una imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.

Invece l’articolo 68 di tale decreto assoggetta ad una imposta straordinaria proporzionale tutti i contribuenti tenuti per l’anno 1947 al pagamento della imposta ordinaria sul patrimonio.

Mancando quindi una espressa esenzione come quella stabilita per la imposta progressiva, ne consegue che quella proporzionale verrebbe, nella attuale dizione della legge, a colpire indiscriminatamente tutti quegli enti, associazioni, opere, che, con veste giuridica o meno, esplicano, attraverso difficoltà e sacrifici di ogni genere, così vasta ed intensa opera di assistenza e di benefica solidarietà.

Il che non solo costituisce una ingiustizia fiscale, ma sovratutto viene ad apportare un danno insanabile ad un complesso vastissimo di opere che, per le contingenze attuali da nessuno ignorate, si trovano in condizioni quanto mai assillanti e precarie.

Dalla statistica che, per non tediare l’Assemblea, ometto di leggere, ma che invio a parte al Governo, viene confermata appieno la non lieta realtà di questo mio assunto.

Difatti, signori, non v’è chi non sappia quali sono le situazioni gravissime degli enti di assistenza, ospedalieri, di educazione, delle infinite istituzioni benefiche di cui è ricca e fiera la nostra Italia. Ho sentito in questi giorni rievocare dai vari settori la situazione drammatica degli ospedali italiani, dei sanatori, le condizioni altrettanto penose di numerosissime altre piccole e grandi istituzioni di beneficenza, che si trovano a lottare ogni giorno con l’insufficienza dei mezzi, col numero accresciuto degli assistiti; che si trovano nella crudele alternativa di dover dismettere ammalati, tubercolotici, bimbi, vecchi, gente bisognosa di aiuto materiale e morale, di dover limitare la propria assistenza ospedaliera, di beneficenza, proprio in questi giorni in cui l’accrescersi delle sofferenze e dei sofferenti esige da tutti gli italiani un fronte unico di solidarietà.

Quindi io credo che invocare su questo punto l’intervento del Governo in sede di emendamento, l’invitarlo ad estendere l’esenzione dall’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio anche a tutte queste istituzioni, associazioni, enti di beneficenza, ecc. sia una esigenza di giustizia e di solidarietà, e risponda ad una necessità urgente e concreta che chiunque viva al centro o alla periferia del Paese avverte per evitare che queste istituzioni vadano fatalmente disperdendo o diminuendo un patrimonio materiale e morale che è uno dei vanti della nostra Italia.

Signori, nel mio ordine del giorno, oltre che richiedere un ritocco fiscale da parte del Governo, mi sono permesso – e telegraficamente lo ricorderò all’Assemblea – di invocare anche un altro intervento, ed è per quanto ha tratto all’assistenza in genere.

Io ho sentito ieri ricordare dall’onorevole Caso e da altri colleghi la situazione confusa dell’assistenza in Italia. Chiunque abbia pratico e quotidiano contatto con l’amministrazione pubblica, specie capillare, conosce la dispersione delle direttive e delle energie per quanto riguarda l’assistenza in Italia. Una pratica, avente per oggetto la stessa materia, deve peregrinare attraverso vari Ministeri, subisce ritardi ed intralci di ogni specie: dal che ne consegue una nuova confusione ed una altrettanto esasperante lentezza, che viene ad incrinare il non già solido ordinamento assistenziale italiano.

È ben lungi da me il pensiero di invocar quella che da altro collega venne definita come la «burocratizzazione della carità».

L’accentramento che il regime fascista cercò in questo campo di attuare, ebbe risultati nefasti.

La carità non soffre costrizioni o tentativi di burocratizzazione, non soffre tentativi di accentramento che possono, sì, darle carattere nazionale, nel senso geografico o decorativo del termine, ma che tolgono a queste energie il calore ed il colore di spontaneità e di libera determinazione che esse traggono dal fatto di essere la espressione, per quanto è possibile immediata, del cuore, della coscienza, delle passioni generose!

Ma ciò non significa che il Governo debba essere assente, non debba intervenire, dare impulsi od aiuti.

È stato da altri colleghi formulato l’augurio che (nonostante la invocata riduzione di Ministeri, Sottosegretariati, ecc.) tutta la materia assistenziale sia coordinata in un Ministero, in un organismo che dia la certezza della presenza vigile e non soffocante del Governo, che possa incrementare e sostenere tutte le opere a carattere assistenziale, che in Italia sono così numerose.

La proposta merita di essere esaminata e discussa: deve però, come già notai, essere evitato, in materia così delicata, un accentramento che potrebbe sopire o irretire le infinite energie che, con spirito italiano e cristiano, operano nei molteplici settori della beneficenza.

Parlo in momenti in cui l’attenzione della Assemblea è tesa verso brucianti problemi di politica.

Ed è per questo che ometto molteplici considerazioni che mi ero proposto di fare, in omaggio alla promessa di essere telegrafico, rimettendo il risultato di questi miei modesti studi a memoriali e proposte che invio ai Ministeri o che mi riservo di discutere in altre tornate.

Mi si permetta però il rilievo che «politica» non deve significare solo lotta di partiti per supremazie di parte o affermazione di ideologie: il nostro popolo, che tanto ha sofferto e soffre, attende dai suoi rappresentanti la dimostrazione concreta che essi sanno posporre gli interessi di parte a quei ben più degni interessi e problemi che sono diretti a lenire le sofferenze, le ansie, le angustie di settori vastissimi delle nostre popolazioni.

L’augurio quindi, che io traggo dal mio modesto ordine del giorno, non è soltanto quello di un ritocco fiscale, che io ritengo debba imporsi all’attenzione del Ministero delle finanze, all’attenzione del Governo, ma è un augurio più generale. Noi in Italia ci troviamo, nel confronto con altri paesi, in una situazione di penosa minorità, se si ha riguardo alla situazione economica, della moneta, ecc.; però abbiamo una ricchezza, una tradizione nobilissima, che ci pone al di sopra degli altri: vedete in Italia quanto sono numerose e provvide non solo le pubbliche, ma sovratutto le private istituzioni di beneficenza! Andate in tutti i paesi italiani e voi troverete dagli asili alle opere di beneficenza e alle congregazioni, alle scuole, agli ospedali, ai tubercolosari, ai ricoveri, un’espressione meravigliosa di quella carità che non è umiliazione – come l’onorevole Bianca Bianchi ha ricordato ieri – ma invece è un dovere, è una esaltazione per chi dà ed un senso di solidarietà umana e cristiana per chi riceve! L’Italia è tutta un fiorire di questa beneficenza e di questa carità, ma la situazione economica di questi giorni ci pone di fronte ad un dilemma terribile: che cioè questa espressione di solidarietà umana, che trova la sua base e le sue tradizioni in quei principî che il Cristianesimo addita ed esalta, abbia a restringere le sue attività, a limitare i suoi soccorsi per tanta gente che soffre ed attende.

Signori, oltre al ritocco fiscale, chiediamo al Governo che voglia intervenire con provvidenze ed aiuti immediati, consentendoci la fierezza di poter dire a noi e al mondo che, se altri primati anche non avessimo, un primato però conserviamo che nessun paese ci può contestare: quello della solidarietà viva, operante, cristiana, italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare gli onorevoli De Martino, Gallo, Di Giovanni. Non essendo presenti, si intende che vi abbiano rinunziato.

Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 11.45.

POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLV.

SEDUTA POMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Risposta del Presidente della Camera dei Deputati brasiliana al Messaggio dell’Assemblea Costituente:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Bianchi Bianca                                                                                                

Caso                                                                                                                  

Dugoni                                                                                                              

Einaudi                                                                                                             

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                               

Mazza                                                                                                               

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La sedata comincia alle 16.

AMADEI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Risposta del Presidente della Camera dei Deputati brasiliana al Messaggio dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Sono lieto di portare a conoscenza dell’Assemblea il seguente messaggio inviatomi dal signor Samuel Duarte, Presidente della Camera dei Deputati brasiliana:

«Ho l’onore di comunicare che la Camera dei Deputati del Brasile ha ricevuto con particolare compiacimento il messaggio relativo al trattato di pace e, nella seduta di oggi, presa conoscenza dell’argomento, ha approvato una risoluzione in cui manifesta la comprensione del popolo brasiliano e il proposito della Camera di cooperare con il Governo nell’esame della materia di cui si occupa detto messaggio e coglie l’occasione per riaffermare i vincoli della tradizionale amicizia con la Nazione italiana». (Vivi, generali applausi).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo».

È iscritta a parlare l’onorevole Bianchi Bianca. Ne ha facoltà.

BIANCHI BIANCA. Onorevoli colleghi, circa dieci mesi fa, quando noi, in quest’Aula, per la prima volta fummo chiamati ad esprimere il nostro sereno giudizio sulle dichiarazioni del Governo, io ebbi occasione di formulare un augurio e una speranza: di veder dare un contenuto e un volto di giustizia e di umanità sociale alla nostra Repubblica democratica.

Oggi, per non incorrere in ulteriori delusioni, sono tentata di non prendere più a misura di giudizio e di limite di certi atti o programmi politici una norma che evidentemente si è rivelata un po’ troppo alta per scendere a terra nelle manifestazioni e nelle cose di tutti i giorni. Mi limiterò, quindi, a fare brevi considerazioni e brevi rilievi. Né voglio entrare in materia di alta politica trattando della composizione del Governo che, di per se stessa e da sola, rappresenta una determinata linea di azione; né voglio soffermarmi ad esaminare quella tinta di color rosso con cui sarebbero rivestite a festa, qua e là, certe formule di economia che appartengono ad altri indirizzi e ad altre ideologie.

Nelle dichiarazioni del Governo mi colpisce, prima di tutto, la mancanza di organicità: non c’è la saggia visione a largo raggio. Il respiro, si direbbe, è limitato ancora una volta nel breve cerchio di una vita povera, grama, vissuta alla giornata, senza legami di precisione e di coerenza con un prossimo o lontano futuro.

Non basta, secondo noi, dire di voler risolvere i problemi, anzi di volersi preparare ad affrontare i problemi in un altro momento, ma bisogna affrontarli e risolverli oggi, in una visione e in una azione integrale.

Cavour avrebbe detto, a suo tempo, che questa è la peggiore delle politiche, quella che si assoggetta al flusso e riflusso delle oscillazioni, quella che non ha un coordinamento, una omogeneità, una azione concorde e comune, quella che si presenta alla critica dell’incertezza di oggi e che compromette, oggi, la possibilità di risoluzioni organiche per il futuro.

Ma veniamo agli specifici problemi che per noi contano, non in quanto sono competenza specifica di singoli Ministeri, ma in quanto sono parti integranti di un unico sistema.

Veniamo, per esempio, al problema del lavoro. La nostra Carta costituzionale, per fortuna, sancisce il diritto di tutti i cittadini al lavoro. Ma, nell’attesa che questa aspirazione possa diventare una realtà acquisita, noi dobbiamo assicurare a tutti la garanzia alla vita; è il minimo che lo Stato possa assicurare ai suoi cittadini: garantirli dalla fame, dalla disperazione nella miseria, dalla disoccupazione.

Ebbene, noi non abbiamo visto finora un tentativo serio e concorde del Governo e dello Stato per affrontare e per risolvere questo spaventoso, gravissimo problema dell’economia nazionale. Finché non si inserisce questo problema nel centro, nel seno della stessa economia nazionale, finché si continua a considerarlo come una questione di contingenza e di emergenza, nulla si farà per avviare noi stessi, la nostra Repubblica democratica, alla vita normale. E di un ritorno alla normalità il nostro Paese ha quanto mai bisogno.

Ora, noi dovremmo mettere a norma impegnativa di tutti i governi, un nuovo comandamento che ci obblighi, non verso Dio in astratto, ma verso l’umana dignità dei poveri e degli umili in concreto; a dar da mangiare al popolo italiano, diciamo, a tutto il popolo italiano. Ché l’offesa alla povertà è un peccato, e offendono la povertà tutti coloro che permettono ad una parte dell’umanità di gavazzare nel lusso, nello sperpero, nel godimento, lasciando tutta l’altra sterminata massa di infelici nella desolazione dell’indigenza.

Ora, non c’è soltanto l’aspetto economico del problema: c’è anche quello morale. Esso è semplicissimo a vedersi: finché continueremo nella società organizzata così come adesso, incapace di risolvere i suoi rapporti sotto l’aspetto della giustizia, noi non faremo se non aprire di più la strada e la porta al vizio, alla disonestà, alla delinquenza.

Io personalmente vi confesso che non arrivo a comprendere la giustizia di una legge che possa condannare un povero diavolo, un disgraziato, a ventiquattro anni di carcere perché lo si è trovato a partecipare ad una banda di rapinatori e di briganti (Si ride – Commenti), dopo che egli aveva onestamente tentato di trovare lavoro decente presso varie ditte e varie aziende e varie società, quando questa medesima banda di briganti è stata l’unica ditta ad offrirgli lavoro e pane.

Né si potrebbe condannare a cuor leggero quel disgraziato… (Si ride).

DUGONI. Non c’è niente da ridere: sono cose serie che dovrebbero far pensare.

RUSSO PEREZ. Perché quel poveretto non si dedica al furto con destrezza? Sarebbe, rispetto alla rapina, almeno una tonalità minore.

BIANCHI BIANCA. Cari giuristi, non sono competente in materia specifica di legge; vedo il problema del lato umano e sociale; dicevo che non si potrebbe oggi a cuor leggero condannare quel disgraziato che una settimana fa a Roma si impiccò per la disperazione della miseria, lasciando cinque figli soli, se, invece di uccidersi, dopo aver tentato di trovare lavoro, avesse rubato per mantenersi in vita. Al fondo della delinquenza, se noi andiamo a investigare, c’è quasi sempre il bisogno, l’istinto della conservazione, quel naturale amor di sé che ci spinge a tutto fare pur di mantenerci in piedi.

Finché lo Stato, il Governo, l’organo cui è commessa la risoluzione di questo problema, non pensa a porre la società in una organizzazione diversa da quella dell’elemosina o della beneficenza, a farla passare al sistema della giustizia, allora saremo ancora in una strada lontana dalla normalità; perché la beneficenza, l’assistenza, l’elemosina – comunque la vogliate chiamare – la carità in grande stile, è un’offesa sempre alla dignità umana: è un’offesa per chi la fa e per chi la riceve; mentre la giustizia, essendo un diritto della persona umana, ne è la prima, la più alta e la più naturale esaltazione.

Ma vengo al concreto, onorevoli colleghi. In Italia, si dice che esistono due milioni e cinquecentomila disoccupati. Questo costituisce un gravissimo problema, che tende a diventare una malattia cronica della nostra economia nazionale. Che cosa si fa per risolverlo? Dicevo prima che i punti particolari di un programma non hanno valore di per se stessi; hanno valore soltanto in quanto entrino a far parte della unità dell’economia nazionale e si risolvano in essa. Orbene, fino ad oggi si è trattato questo problema della disoccupazione – e non mi sembra di vedere nelle dichiarazioni del Governo una linea di azione diversa – come un punto nero isolato, come una falla da coprire alla meno peggio, come una questione di emergenza o di contingenza, ma non lo si è studiato nella sua unità con l’economia nazionale, con l’opera di ricostruzione in grande stile. Non si è tentato – ed ho paura che non si tenti neppure da oggi in avanti – quest’opera di ricostruzione, che abbraccia organicamente, nell’insieme, tutte le organizzazioni dell’economia e del lavoro e coordina il loro continuo ed armonioso sviluppo.

Che cosa si dovrebbe fare? Prima di tutto si dovrebbe vedere quanti nella cifra globale sono veramente disoccupati; ci saranno i veri disoccupati e ci saranno coloro che avranno potuto trovare lavoro e non avranno voluto lavorare in quella determinata e specifica attività. Questo è il primo lato da chiarire. Ma ce n’è subito un altro più ampio. Voi vedete che un numero stragrande di disoccupati appartengono alla categoria dei reduci o a quella dei partigiani o degli ex combattenti, di coloro che sono partiti dall’Italia a venti-ventidue anni e sono tornati a 26-27-28 anni e che oggi hanno trent’anni, e non solo non hanno lavoro, ma non sanno lavorare. Questa è la spaventosa gravità del caso, che è tuttavia spiegabile con le condizioni che ho testé enunciato. Ma che cosa si dovrebbe fare? Con urgenza si dovrebbe attuare un progetto di apertura di scuole, di corsi di riabilitazione al lavoro, di vera e propria riqualificazione operaia, per costituire veramente una mano d’opera specializzata e dare a questi nostri cittadini disoccupati la garanzia, non solo contro la disoccupazione di oggi, ma contro l’eventuale disoccupazione, di domani. Non basta, onorevoli colleghi, occuparli così, transitoriamente, nei lavori di ricostruzione stradale, o ferroviaria, o edilizia: sono cose che cessano; sono problemi che poi finiscono di essere risolti. E che cosa ne facciamo poi, quando le macerie delle strade non sono più da smassare, quando quella casa è stata costruita, quando la strada ferrata è stata riparata? Che cosa facciamo di questa mano d’opera che non è specializzata? Dovremmo curare subito l’apertura di questi corsi in ogni dove, in ogni parte d’Italia, perché si formino veramente scuole di arti e mestieri. Qualche cosa si è fatto: c’è la Fondazione di solidarietà nazionale che ha lavorato in Emilia, in Lombardia e nel Veneto, anche senza una confacente larghezza di mezzi, ed ha aperto 514 corsi per reduci e non reduci; c’è l’Ente nazionale addestramento lavoratori commercio, che ha aperto corsi per reduci e non reduci per oltre diecimila allievi; c’è l’istituto nazionale addestramento lavoratori industria, che ha aperto anch’esso 1510 corsi per oltre 52.824 iscritti; ci sono altri tentativi nel Pugliese, ed in Toscana, ma sono ancora tentativi molto sporadici.

Bisogna moltiplicarli e bisogna dare ai loro promotori le possibilità di agire, di risolvere il loro problema. Bisogna dare loro un coefficiente di larghezza di mezzi, perché queste scuole e questi corsi siano messi nella possibilità di svolgere bene la loro funzione; e bisogna intanto farli uscire dal generico, perché una cultura superficiale, con un titoluccio corrispondente, come viene corrisposto dalle Scuole di avviamento al lavoro, non serve a niente e non risolve la situazione: produce altri spostati in cerca di impieghi negli uffici già colmi di personale. Mentre una mano d’opera riqualificata nel lavoro domani ci servirà per la ricostruzione del Paese e, se non altro, nel gravissimo problema dell’emigrazione, che d’ora in avanti dovrà essere studiato con maggiore giustizia e dignità, con imparzialità e longanimità da parte delle autorità governative.

Potreste anche obiettare a queste brevissime osservazioni: ma i mezzi? I mezzi si trovano, considerando il problema – come ho detto in principio – non come un punto nero isolato, ma inserendolo nel seno dell’economia nazionale, di cui è divenuto una malattia gravissima e pericolosa.

Gli economisti ci dicono che 150 miliardi, il ventesimo del nostro reddito, sono devoluti per le spese militari e che 52 miliardi, un sesto delle spese totali del bilancio statale, sono devoluti per l’assistenza.

Ora, non dovete badare alle mie parole: io sono decisamente antimilitarista, non solo perché appartengo ad un partito che per sua natura ed essenza è contrario ad ogni tipo di militarismo, ma soprattutto per una coscienza civile e per una certa sensibilità di donna (se me lo permettete, onorevoli colleghi) che rifugge da simili aberrazioni mentali. Ma io penso che, in questo momento, all’infuori e al disopra di queste considerazioni, ogni uomo di buon senso capisce che in un’Italia così stremata di forze e ridotta a miseria, ed anche – non metaforicamente – alla disperazione, bisognerebbe ridurre le spese militari ed aumentare le spese per la ricostruzione e per l’assistenza.

Che cosa s’intende fare – per esempio – per i danneggiati di guerra? Che cosa s’intende fare per quei proprietari di qualche casa distrutta dai bombardamenti, dal passaggio della guerra, i quali hanno ricostruito per metà la loro abitazione, il loro negozietto, la loro azienda, in attesa e con la speranza di aiuti e contributi da parte dello Stato che non sono mai venuti o sono venuti in misura molto ridotta? Essi si sono riempiti di debiti e stanno lì, senza un soldo, senza potere abitare la loro casa ricostruita a metà, senza potere far fruttare neppure quel pochissimo capitale che avevano potuto rimettere in piedi dopo il passaggio della guerra!

Che cosa s’intende fare per queste categorie danneggiate? Non basta esprimersi così genericamente come si legge nelle dichiarazioni del Governo: «Il Governo farà di tutto per venire incontro alle categorie dei danneggiati di guerra, dei pensionati di guerra, degli ex combattenti, degli invalidi, dei mutilati». Ma anche altre volte ho sentito esprimere queste vaghe promesse, e mi si perdoni se esprimo la mia sfiducia in una possibilità che siano mantenute. Queste promesse si fanno ad ogni reincarnazione del Governo e non si vede che è necessario che siano prese sul serio queste necessità di elementare ricostruzione economica, morale e materiale del nostro Paese. Troppo poco si è fatto, ma ho paura che troppo poco si faccia d’ora in avanti. Dunque, onorevoli colleghi, bisognerebbe metterci su di un piano di ricostruzione un po’ più vasto, più omogeneo e coordinato di quanto non si sia fatto finora.

Che cosa si potrebbe fare per esempio a proposito dei pensionati? Mi è stato detto che soltanto in questi giorni, si sono trovati i locali adatti allo svolgimento del lavoro per le pensioni di guerra. Le domande di pensione inesitate sono ancora 400 mila o giù di lì, e sono ancora troppe quelle che aspettano una risposta nel nostro Paese. Questi pensionati di guerra, poi, o le altre categorie di pensionati, molto spesso riescono ad avere 20, 30 o 40 lire al giorno; potete bene immaginare che essi non risolvono così il loro problema di fame. Ma, ad ogni modo, anche di questa piccolissima cosa questi disgraziati avrebbero enormemente bisogno.

Anche se l’iniziativa privata nella ricostruzione edilizia avesse trovato un maggior incoraggiamento da parte dello Stato e fosse stata sorretta tempestivamente in un primo momento, io credo che l’economia nazionale nel suo complesso se ne sarebbe avvantaggiata. Ancora nel nostro Paese ci sono centinaia di migliaia di lavoratori senza un ricovero decente. Non è un fatto sporadico della Sicilia, né una prerogativa dei paesi del Mezzogiorno quella che otto o dieci persone convivano in un’unica stanza. Anche nella civilissima Toscana; nei paesi devastati dalla guerra, moltissime sono le famiglie che vivono in queste condizioni, perché non hanno di meglio. Vi è un paese che sta al confine tosco-romagnolo, il paese di Firenzuola, che contava 13 mila abitanti, dei quali soltanto poche centinaia hanno avuto la fortuna di tornare ad abitare in una casa, mentre altre numerose centinaia abitano ancora nei magazzini umidi, nelle capanne, nelle stalle sporche, nelle baracche coperte di lamiera, dove in inverno la temperatura scende a 17 gradi sotto zero.

Quando ci sono situazioni così urgenti, bisogna prendere delle risoluzioni altrettanto urgenti, con un programma coordinato, omogeneo che dia la possibilità di una risoluzione, o per lo meno rappresenti il tentativo di una risoluzione, una decisa promessa per risolvere il problema domani. (Applausi).

Io sento molto spesso parlare, da tutti i settori dell’Assemblea, di democrazia. Qui tutte le parti, quando vogliono sostenere le proprie tesi, parlano di democrazia; e sento ancora che non c’è forza politica, qui fra noi, che non dica di voler lottare in ogni modo per il consolidamento delle istituzioni di libertà.

Io credo – e permettetemi, onorevoli colleghi, l’osservazione – io credo che noi abbiamo sbagliato strada; che non abbiamo preso la strada giusta se vogliamo veramente consolidare la libertà. C’è un tarlo che sta rodendo alle radici le nostre istituzioni, che sono ancora deboli perché nuove, troppo giovani. In questo tarlo io ravviso due nemici da cui ogni forma di governo, ogni programma dovrebbe guardarsi se vuol seminare nel Paese la fiducia, se vuole incoraggiare il Paese, se lo vuol strappare dalla sfiducia e dallo sgomento in cui si trova per colpa dei tempi e per colpa degli uomini.

Nelle sue condizioni tanto critiche il Paese accomuna uomini ed istituzioni, forme di governo e programmi: non riesce a distinguere la democrazia da coloro che hanno colpa di questa situazione, non riesce a distinguere la democrazia dagli uomini che non sanno fortificare la democrazia. (Applausi).

Io ravviso in questo tarlo, dicevo, due nemici. Prima di tutto la nullità delle azioni, ciò che è peggiore di qualsiasi azione; ed in secondo luogo il mal costume che ha finora dilagato da tutte le amministrazioni e tenta di versare in sua immoralità anche nel più alto confine della vita pubblica e nazionale.

Dovremmo pensare, ed i democristiani lo devono ricordare, più spesso a quelle parole di Gesù Cristo: «Badate bene di non mettere il vino nuovo nell’otre vecchio» ed anche: «Badate bene di lasciare i morti a seppellire i loro morti». Ho paure che stiamo mettendo questa nuova forma repubblicana in quel vaso di miserabilità che ci è venuto in eredità dal passato e che non riusciamo ad eliminare completamente dalla nostra vita. Ci sono dei residui del male dei tempi tristi e corrotti che tutti vogliamo definitivamente superati e vinti. E lasciate che, a mo’ di conclusione, perché non ho l’abitudine di stancare l’Assemblea, io esprima il senso unico di questo mio sconclusionato dire, di queste poche osservazioni che sono venuta facendo, che sia come una sintesi di una brevissima analisi compiuta. Ho visto nelle dichiarazioni del Governo qua e là una verniciatura di rosso, ma ho paura che non vi corrisponda la sostanza; ed ho visto, anche nelle dichiarazioni del Governo trapelare qua e là una certa vaga forma di socialismo, ma ho paura che il socialismo manchi. O, meglio, si ha del socialismo ancora l’idea di una vaga, imprecisa, inconsapevole azione di certe classi umili e diseredate come se queste classi umili e diseredate avessero sempre questo sogno davanti a loro, di redimere la loro vita e di portare ad un livello un po’ più alto la loro esistenza. Ma si pensa ancora al socialismo come a questa vaga aspirazione, senza corpo né sostanza né forma. Noi pensiamo invece che il socialismo sia una volontà decisa, consapevole, di emancipazione morale e materiale di queste medesime classi e lo sentiamo sopratutto come eterno e vivente rimprovero che il mondo esprime dal suo seno verso quegli strati sociali che non hanno voluto nel corso dei secoli rispettare indistintamente per tutti gli uomini i medesimi diritti della giustizia e della libertà. (Applausi – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Caso. Ne ha facoltà.

CASO. Onorevoli colleghi. Le dichiarazioni del Governo sono inquadrate, con senso di grande lealismo e realtà, in limiti accettabili da tutte le parti dell’opinione pubblica, anche se alcuni ribelli per costituzione vogliono ad ogni costo trovare in esse le ragioni del dissenso; il che non inficia affatto la nuda e cruda verità delle dichiarazioni medesime.

La caratteristica dell’attuale Governo, per dichiarazione dello stesso onorevole De Gasperi, degli oratori che mi hanno preceduto e della maggioranza della stampa, è di un Governo di emergenza, cioè di eccezionale importanza e struttura che trascende dalla geografia politica dell’Assemblea per attuare il più sollecitamente possibile e col massimo rispetto delle esigenze popolari un programma straordinario. Questo programma non solo deve curare i mali che ci affliggono con rimedi chirurgici, ma mettere le fondamenta per l’avvenire prossimo della nostra rinascita, che già s’intravede dall’ansia stessa dei cittadini a volere ad ogni costo rifare la loro fortuna morale e materiale di popolo sicuro del suo immancabile destino.

Ma il carattere di emergenza rimarrebbe enunciazione teorica, se in pratica non vi corrispondessero provvedimenti, che potremmo ugualmente denominare di emergenza non per appagare il nostro senso superficiale di attesa ma per indicare che bisogna opporre mezzi idonei a mali profondi.

In sostanza le ragioni stesse che sono alle origini della crisi nel Paese, nel Parlamento, nel Governo, cioè ragioni di assestamento dalla bufera che ci ha travolti tra opposte ideologie (nessuna in condizione di prevalere per numero di aderenti e potenza qualitativa sulle altre) sono quelle che da una parte rendono difficile una stabilità, sia pure relativa, della vita pubblica italiana, ma dall’altra dimostrano chiaramente che la posta finale di questo sforzo ansioso del bene comune è l’unità nazionale che va rifacendosi in un regime di recente democrazia che, seppure sia incespicante e malferma, dimostra a chiare note la sua nobiliare discendenza dalla tradizione italiana rispettosa della libertà umana come non mai in altre parti del mondo.

Dice espressivamente l’onorevole De Gasperi: «Affermo solo che questo Ministero serve la stessa causa della solidarietà nazionale e, anche se non può rappresentare visibilmente l’unità ricercata, la vuole rappresentare nella risultante dei suoi sforzi lungo una linea mediana fra ali opposte».

Siamo dunque in presenza di un fatto concreto che è venuto maturandosi al vaglio della sperimentazione politica e, perciò solo, è nostro dovere di prenderne atto per sorreggere con ogni fervore questo Governo che è veramente il Governo di quella Italia che vuole vivere ad ogni costo e risorgere al centro di tutti i popoli civili del mondo.

Io sono convinto che esiste un «programma comune, un binario obbligato, una procedura di emergenza che si impone a chiunque voglia salvarci», come afferma lo stesso onorevole De Gasperi nelle sue dichiarazioni quando si assume, a nome del nuovo Ministero, la responsabilità dei provvedimenti eccezionali soprattutto contro il nemico più pericoloso che è l’inflazione la quale, molte volte, si verifica anche indipendentemente dai fattori economici generali. Esigenza, quindi, comune a tutti gli italiani degni di questo nome è quella di secondare il programma eccezionale in questo grave ma niente affatto catastrofico periodo della vita nazionale, non solo con l’ubbidienza disciplinata alle leggi di salvezza collettiva, ma cercando con ogni impegno di attuare nella propria vita privata l’esemplare abitudine dell’equilibrio fra le entrate e le uscite e la ricerca di ogni particolare nel rimandare al domani quelle che possono sembrare spese indispensabili al momento della decisione famigliare e non lo sono.

L’onorevole Corbino, nella sua riconosciuta esperienza, ha dato anche recentemente tali consigli attraverso la stampa. Si tratta di chiarire al popolo la effettiva situazione del bilancio e diffondere con tutti i mezzi di propaganda di cui dispone lo Stato il senso della realtà finanziaria per conquistare la fiducia necessaria. Si tratta di operare nell’interesse della collettività per raggiungere il bene comune, e, per ciò fare, occorre la chiarezza nell’impostazione di qualunque problema (anche il più difficile teorema si può rendere, senza astruserie, accessibile al pubblico) e la semplicità e la snellezza nei provvedimenti esecutivi, specie se questi devono essere adottati in un momento che, per un complesso di fattori individuali, collettivi ed ambientali suol definirsi di emergenza.

La concentrazione degli sforzi e la continuità dell’azione centrale governativa, seppure contrastante con alcune giustificate deficienze strutturali burocratiche (che d’altra parte non possono che risanarsi gradualmente dallo sfacelo subito), vengono formulate e racchiuse questa volta in decisioni risolutive. Esse riguardano la diminuzione dei consumi non essenziali, la lotta contro la speculazione e contro gli aumenti che più direttamente incidono sul costo della vita, la rigorosa graduazione delle spese pubbliche con la preferenza per quelle economicamente produttive, la disciplina del credito, degli investimenti e degli scambi, la concessione di prestiti esteri, l’emigrazione, la sistemazione dei danni di guerra, tutte preoccupazioni e provvidenze che devono e ancor più dovranno contribuire a salvare la nostra moneta e con essa la finanza e l’economia. La difesa della lira resta, dunque, la premessa di ogni attività privata e pubblica e pertanto saranno giustificati i provvedimenti d’emergenza.

Ciò premesso intendo richiamare l’attenzione del Governo sulla necessità che i provvedimenti di emergenza non si limitino soltanto all’istituzione di controlli ministeriali o interministeriali qui a Roma, ove ogni problema può essere riguardato con un aspetto sia pure vigile ed unitario, ma molte volte staccato dalla visuale o dalla concretizzazione che di esso si ha o si attende dalle zone periferiche del Paese.

Desidero a tale proposito, fra i tanti problemi, richiamare l’attenzione su quello della nostra emigrazione che deve essere impostato innanzitutto col rispetto delle esigenze umane dei lavoratori e poi in considerazione del reddito che da essa può derivare. Così vede la questione un seguace della dottrina cristiano-sociale.

È recente il doloroso episodio capitato in Francia e nel Belgio dove i nostri lavoratori, pure essendo partiti con un contratto preventivo e sotto la tutela del Ministero del lavoro italiano, hanno avuto la sensazione della schiavitù in piena vantata, ma non ancora attuata, civiltà del lavoro. Il Ministro francese Croizat e l’onorevole Romita ritennero di aver stipulato un accordo col proposito di giovare ai lavoratori e alle due Nazioni, dimenticando che l’emigrazione collettiva garantita, se ha dei pregi, presenta il grave difetto comune ai problemi di massa nei quali ultimi si confondono e, spesso, si annullano l’intelligenza, la volontà e la libertà degli individui. È accaduto, così, che i nostri fratelli, giunti con una certa benevola aspettativa ai cosiddetti «campi di sosta», sono ripiombati nella psicologia e nell’ambiente dei prigionieri di guerra o dei deportati politici. Quasi non si crederebbe al racconto di alcuni fuggiaschi e alle notizie ufficiali trasmesse anche attraverso la stampa! Qual è la ragione recondita di un simile risultato? Non certo le intenzioni dei due Ministri, che dovevano essere e sono favorevoli al lato umano e sociale del problema, ma indubbiamente la rispettiva convinzione mentale ideologica che si possono trattare i lavoratori come gli armenti. Di qui il suggerimento di riguardare attraverso la funzione del ricostituito Comitato centrale per l’emigrazione, gli interessi del lavoro e dei lavoratori come un bene prezioso che, anche sotto l’esteriorità di un accordo fra Enti sociali o Governi, non deve giammai dare ai lavoratori la benché minima sensazione della compravendita. Credo che la Delegazione argentina ci abbia già dato un esempio: quello di mettere, a fondamento del lavoro, il nucleo familiare quale soggetto della produzione. Così regolandosi, anche il nostro Governo si metterà in grado di raggiungere il duplice scopo di procurare lavoro in un paese a noi affine per civiltà e di rinsaldare i vincoli familiari i quali costituiscono, da sé soli, il primo alimento dell’edificio sociale.

In questi ultimi tempi, frequentando molti paesi della provincia, ho potuto notare che nella scelta della corrente migratoria si segue un criterio confusionario dovuto, invero, anche al numero esorbitante delle domande. Sono d’accordo che liberamente le domande devono affluire dai singoli individui oppure attraverso le A.C.L.I. e le Camere del lavoro all’Ufficio del lavoro locale o provinciale, ma è presso quest’ultimo che le domande dovrebbero essere vagliate e selezionate per categorie professionali, per moralità e condotta politica, per età, per famiglie, così da dare la possibilità ad un comitato centrale misto di poter fare la scelta.

Vi è pure da seguire un’altra strada: che la richiesta venga dalla Delegazione dello Stato straniero sui nominativi per i quali gli uffici italiani esprimeranno il parere e daranno tutte le garanzie sia dal lato della salute che da quello morale e professionale. Comunque l’importante è che le trattative per l’ingaggio dei lavoratori e i relativi accordi siano fatti in un ambiente più dignitoso e col più assoluto rispetto dell’esigenza della persona umana, senza divenire vittime involontarie di un’abitudine mentale che si forma nelle grandi organizzazioni e che rischia di avviluppare i lavoratori, anche inconsciamente, nella speculazione dei capitalisti stranieri. Bisogna tenere il massimo conto di questa realtà psicologica per stabilire rapporti di buona amicizia con tutti i paesi che richieggono i lavoratori italiani, senza che la sfiducia e l’umiliazione debbano essere una condizione quasi fatale per questi ultimi. Se le condizioni non potranno essere quelle volute dalla civiltà e saranno invece quelle del compromesso, seppure giustificate dalle attuali necessità economiche, è preferibile che i nostri fratelli operai restino con noi a dividere, come amici, il nostro stesso lavoro.

Altri problemi che meritano di essere sottoposti all’attenzione del Governo e che hanno grande importanza sociale e politica sono quelli della istruzione professionale, della cooperazione e degli istituti d’assistenza, non solo riguardanti questi ultimi i lavoratori ma tutto il complesso della Nazione dal punto di vista più generale dell’igiene e della sanità pubblica.

In altre occasioni in questa stessa Assemblea ho prospettato la necessità che nelle prossime riforme del lavoro e della previdenza sociale si dia il dovuto posto alla medicina e all’igiene del lavoro (voce finora rimasta inascoltata forse per quella sorte che accompagna i medici, primi nel proprio dovere e quasi sempre ultimi nella considerazione sociale), ma ora debbo con maggiore vigore far notare che, data l’emergenza del momento, anche i problemi della salute pubblica e dell’assistenza sociale vanno riguardati sotto un tale aspetto.

Il problema dell’assistenza deve avere soprattutto il carattere della tempestività; bisogna promuovere un decreto legislativo che modifichi, alleggerendo l’istruttoria, l’attuale legge sulle pensioni sociali, d’infortunio e di guerra, e altresì per quelle provvidenze di eccezione quali il sussidio straordinario di disoccupazione.

Cito un esempio che vale per tutti, data la esperienza dolorosa e continuativa che ognuno si sarà fatta di certa invecchiata tecnica burocratica in Italia; e l’esempio è questo: si chiede e si ottiene nel novembre 1946 la concessione di un sussidio straordinario agli operai cotonieri, nel febbraio 1947 il decreto viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, nel mese di maggio 1947 finalmente i cotonieri ricevono lire 4.500 corrispondenti a tre mesi di sussidio a lire 50 al giorno, cioè dopo sette mesi di attesa. È, dunque, l’attesa ma non il sussidio che può dirsi straordinaria!

Sono stato testimone del disappunto e del senso di umiliazione che ha colpito gli operai di una zona fortemente sinistrata del Volturno nella snervante aspettativa. Si modifichi dunque questa struttura, onorevole Ministro del lavoro, giacché la tempestività dell’intervento credo che debba essere la prima esigenza per l’utilità dell’intervento medesimo, specie in condizioni sociali di riconosciuta ed eccezionale gravità. Altrettanto è a dirsi per la categoria dei pensionati dello Stato e di altri enti e per i pensionati del lavoro i cui sacrifici devono essere ricordati dalla Nazione con un atto tangibile che non ammette dilazioni, proprio perché, al riconoscimento del leale servizio a favore dello Stato, si aggiunge oggi il bisogno economico aggravato dalle speciali condizioni di emergenza.

Per i danneggiati e i sinistrati di guerra, per i quali si sono erogati finora circa 900 miliardi (dei quali 200 per riparazioni e ripristino di proprietà private e costruzione di case per gli sfollati e per i senzatetto), attendiamo di conoscere il nuovo progetto di legge, preparato con amore e diligenza dall’onorevole Braschi. Pare che la forma prescelta sia quella di concedere mutui senza interesse o con mite interesse, a scadenza per lo meno trentennale, onde così incoraggiare, tangibilmente, l’iniziativa privata.

Si sente, dunque, la necessità di coordinare le varie disposizioni e, per giunta, così sparpagliate fra i vari dicasteri per riunirle in una specie di testo unico legislativo che, con unicità di criterio e di direttive, dica finalmente agli interessati che hanno subito danni o sinistri di guerra (oltre 5 milioni di famiglie in Italia) quali siano le speranze da coltivare e quali le illusioni da abbandonare.

Domando al Governo, per logica conseguenza di quanto è stato fatto e sopratutto per quant’altro occorre fare in questa che è una delle attività più importanti dell’attuale periodo di emergenza della nostra vita nazionale, che sia non solo mantenuto ma rinforzato un organo efficiente quale il Sottosegretariato o l’Alto Commissariato per i danni di guerra per sodisfare appieno le esigenze del pubblico gradualmente ripartite. Sarebbe invero ben strano che, ammessa e riconosciuta la necessità di una funzione di Governo così importante come quella per i danni di guerra, si dovesse ora procedere alla soppressione di organi direttivi laddove si richiede il contrario, cioè un migliore coordinamento di organismi e di funzioni.

Se la nuova impostazione del provvedimento legislativo sarà basata sulla forma dei mutui dilazionati, a me pare che la detta soluzione sia accettabile, giacché si raggiungerebbe il duplice scopo di non chiedere allo Stato uno sforzo finanziario insostenibile e di aiutare in pari tempo i privati nella loro opera di ricostruzione.

In conseguenza delle osservazioni da me fatte, rivolgo la seguente proposta atta a coordinare i servizi e a dare un’immediata attuazione alla nuova legge per i danni di guerra: senza aumentare il personale converrà riunire tutti i vari servizi generali che sono alle dipendenze di altri dicasteri (Tesoro, per le pensioni di guerra e per i danni di guerra avvenuti nel territorio nazionale; Africa Italiana per i danni avvenuti nei territori coloniali; danni di guerra agli enti pubblici locali, agli istituti pubblici di beneficenza, agli edifici di culto, ai senzatetto con i servizi esistenti presso il Ministero dei lavori pubblici; assistenza ai reduci e partigiani con i servizi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri); e mettere i servizi medesimi alle dipendenze di un unico organismo per i danni di guerra che, per i dettagli, potrebbe modellarsi sull’antico Ministero delle terre liberate e sull’istituto di credito per il risorgimento delle Venezie.

Per una pronta attuazione della legge il lavoro si potrebbe svolgere oltre che raggruppando i servizi e gli uffici, come abbiamo già visto, curando l’unicità di indirizzo, accelerando le istruttorie presso gli uffici periferici e varando una legge organica d’accordo con gli altri enti che curano la ricostruzione, da sottoporre al vaglio dell’Assemblea Costituente.

Il risultato più importante da raggiungere è naturalmente quello di stimolare al massimo l’iniziativa privata sussidiando opere sulle quali lo Stato potrà, a suo tempo, fare anche la sua politica fiscale, mentre che oggi rimarrebbe alleggerito dei sussidi che costituiscono la parte più infeconda dei lavori pubblici. È sottinteso che i sussidi riguardanti le masserizie e i piccoli danni potrebbero rimanere invariati.

Con il coordinamento di funzioni e servizi che riguardano ben 5 milioni di famiglie colpite dalle più svariate sventure legate agli eventi bellici è logico ed intuitivo che si farà, in sostanza, opera di economia e, quindi, di saggezza amministrativa.

Inoltre raccomando il problema della piccola proprietà che deve essere sempre riguardata nella sua funzione sociale ed, in questo speciale periodo di emergenza, rispettata anche e soprattutto dal punto di vista fiscale per evitare che rischi di dissolversi quella unità terriera riguardante i piccoli proprietari, specie se coltivatori diretti, la quale è, invece, uno dei più importanti presupposti della moderna legislazione sociale già inclusa nella nuova Costituzione italiana.

Per questo mi sono associato all’ordine del giorno presentato e sapientemente discusso dall’onorevole Crispo.

Ed ancora e per ultimo raccomando l’assistenza a tutti gli italiani riguardata dal punto di vista dell’igiene e della sanità pubblica, cioè in quella forma solenne ed impegnativa di recente sancita nella nuova Costituzione. Bisogna tener conto, trattandosi appunto di un periodo di emergenza, anche delle condizioni di emergenza dell’igiene e della sanità pubblica, le quali formano assieme uno degli aspetti più importanti della stessa economia della Nazione.

Un giorno non lontano avremo certamente un Ministero della difesa sociale o della sanità pubblica (come meglio piacerà chiamarlo), ma ora che abbiamo un Alto Commissariato sentiamo il dovere di renderci conto del perché questo ente non debba meritare l’attenzione dovutagli per lo meno al pari di quella che si dà alle altre attività pubbliche. Proprio perché ci troviamo in un periodo di emergenza, io desidero proporre al Governo (con la richiesta di una esplicita risposta da parte dell’onorevole Presidente del Consiglio) un provvedimento che non solo consolidi la maggior coesione possibile fra le attuali, già troppo ristrette, attribuzioni dell’Alto Commissariato ma che ne estenda i poteri di vigilanza e di coordinamento a tutti i servizi sanitari che sono sparpagliati nei vari Ministeri.

Lo Stato che esercita il suo potere secondo la competenza attraverso vari dicasteri (Giustizia, Istruzione, Agricoltura, ecc.) soltanto per tutelare la salute pubblica suddivide il compito specifico ed integrale della medicina in tanti compartimenti, fra l’altro, neppure intercomunicanti fra loro. I servizi sanitari sono così suddivisi fra i vari Dicasteri:

1°) Ministero del lavoro: assistenza sanitaria ai lavoratori cui fanno capo tutti gli Istituti mutualistici, tutti gli Istituti sanitari della Previdenza sociale e delle Assicurazioni infortuni sul lavoro; 2°) Direzione generale post-bellica: una propria organizzazione sanitaria per l’assistenza ai reduci, partigiani e loro familiari; Opera nazionale assistenza orfani di guerra anormali psichici; 3°) Ministero dell’interno: Direzione generale opere pie (ospedali, brefotrofi); Prefetture, Deputazioni provinciali, Comuni cui è devoluta l’assistenza sanitaria ai poveri; Patronati scolastici; Opere pie con un capitale di parecchie centinaia di milioni; 4°) Ministero dell’istruzione pubblica: le Facoltà di medicina e chirurgia con le cliniche costituiscono il nucleo fondamentale delle Università e dipendono dall’istruzione superiore; 5°) Ministeri militari con le Direzioni di sanità dell’Esercito, della Marina e dell’Aviazione; 6°) Ministero dei trasporti con la Direzione generale di sanità marittima per la marina mercantile e la Direzione igiene ferroviaria per le ferrovie; 7°) Ministero di grazia e giustizia con la sua Direzione sanitaria e le case penali per minorati psichici;. 8°) Ministero delle finanze: Direzione sanitaria delle terme di Acqui, Castrocaro, Chianciano, Levico, Montecatini, Recoaro, Roncegno, Salsomaggiore, Santocesarea, ecc.; Cassa mutualità personale imposte dirette; preparazione e vendita del chinino dello Stato; 9°) Ministero degli affari esteri: servizio sanitario per l’emigrazione e per i figli degli italiani all’estero; 10) Ministero dell’Africa: Direzione della sanità e fondo di assistenza malattie Africa Italiana; 11°) Ministero agricoltura e foreste: bonifica igienica e laboratori di idrobiologia; 12°) Ministero dei lavori pubblici: opere igieniche, risanamenti, acquedotti.

All’Alto Commissariato della sanità sono assegnati soltanto i seguenti servizi: Croce rossa; Associazione contro la tubercolosi; Comitati provinciali antimalarici; Datori di sangue; Consorzi provinciali antitubercolari; Enti provinciali antitracomatosi; Istituti della sanità e di malariologia; Istituto assistenza tubercolotici; Lega italiana contro i tumori; Opera maternità e infanzia; Scuola convitto professionale; Scuola specializzata assistenti e visitatrici sanitarie.

Anche qui, dunque, la stessa necessità di coordinamento e di indirizzo per rendere quanto più tempestivi possibili i provvedimenti di emergenza.

In base ai propositi e alle proposte da me espresse credo che il Governo potrà agevolare l’opera dei suoi collaboratori di ogni classe sociale e grado politico per ridare gradualmente all’Italia le possibilità della sua difficile ma sicura rinascita. Il popolo italiano sa ritrovare sé stesso proprio in questo slancio di ripresa ma a patto che la sua fiducia sia ricambiata con una più giusta valutazione ed una ancora più giusta distribuzione dei beni comuni. Bisogna, attraverso una rinnovata e più semplice struttura organizzativa, far sentire il beneficio dell’intervento e della assistenza i quali saranno tanto più pronti quanto più tempestivi ed organici.

Così facendo voi del Governo contribuirete ad elevare il tono della vita civile e politica e alimenterete la fiduciosa attesa degli italiani. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Dugoni. Ne ha facoltà.

DUGONI. Onorevoli colleghi!

Riprendo i motivi tecnici che sono stati già accennati in questa Assemblea nel magistrale discorso che l’onorevole Morandi ha pronunziato alcuni giorni addietro parlando su queste stesse dichiarazioni del Governo. Riprendo queste ragioni tecniche per precisare l’impossibilità sostanziale in cui noi siamo di prestare la nostra fiducia ad un Governo composto come è composto, ad un Governo che ha presentato il programma che ha presentato, ad un Governo il quale sarà sostenuto dai Gruppi e dagli uomini che lo sosterranno. Cioè, io intendo precisare che noi, nella nostra opposizione, non mettiamo soltanto un carattere politico, ma mettiamo anche un carattere tecnico, cioè noi mettiamo, non dico alla base, ma certo come elemento di grande influenza nella nostra decisione, la parte tecnica che il momento comporta.

L’onorevole Corbino, parlando sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, in quel suo eccellente discorso (che ha fatto au pied levé e che ha dato una misura delle sue straordinarie qualità parlamentari), ci ha detto che, quasi a placare le sinistre, il Presidente del Consiglio ha dichiarato che il Governo manterrà il programma già fissato dal Gabinetto precedente.

Ora, onorevoli colleghi, vi è stata poi una cosa molto importante, e la cosa molto importante è il discorso di ieri dell’onorevole Nitti.

L’ex Presidente del Consiglio, con quella sincerità che lo distingue, ha punteggiato che per l’onorevole Einaudi, summus economico del Governo, vi è una impossibilità sostanziale di accettare i 14 punti di Morandi, che il Presidente del Consiglio ha viceversa dichiarato di mettere alla base della sua politica. E questo appunto del Presidente Nitti è stato accolto con un magnifico sorriso di soddisfazione dall’onorevole Einaudi. L’onorevole Einaudi, sostanzialmente, ha, senza parlare, annuito a questa posizione presa dall’onorevole Nitti, cioè ha acconsentito nel fatto che i 14 punti di Morandi non possano essere accettabili dal Governo e non possano formare la base della politica governativa.

E l’onorevole Corbino soggiungeva che il Tripartito è fallito, perché i diversi partiti avevano idee divergenti in questa materia, cioè nella materia economica.

Ma dal momento in cui siamo usciti dal Tripartito, la divergenza cessa, e nasce una linea retta che noi comprendiamo, ma che evidentemente non è la nostra, perché, se divergenza c’era mentre eravamo al Governo, oggi dentro al Governo cessa la divergenza e cessa contro la parte del programma che avevamo sostenuto. Questo mi sembra il punto e questa è la ragione per cui Corbino rientra nel Governo e noi ne usciamo. Questa è la ragione che l’onorevole De Gasperi ha dato quando ha detto che vi è una politica sola da fare ora ed un solo binario su cui camminare in questo momento, e questo binario sarebbe quello dettato dalle circostanze.

Ora io non condivido quest’opinione. Non credo che vi possa essere una sola politica e non credo che uomini della competenza che ho citato prima possano veramente credere che vi sia una sola via, che cioè, di fronte alle difficoltà gravi, senza alcun dubbio, ma difficoltà che tutti convengono essere superabili, non vi siano più vie di salvezza, non vi siano più vie di uscita.

Di fronte a questo problema molte possono essere le attitudini da prendere. Sempre riprendendo il discorso di Corbino, ricordo che egli disse che la recente crisi di Governo è un riflesso della crisi in cui si dibatte attualmente il Paese.

E allora dobbiamo francamente dire che la soluzione data a questa crisi è esattamente la più divergente possibile che si potesse dare dall’orientamento politico attuale del Paese. A mano a mano che la Democrazia cristiana ha perso terreno in seno alla opinione pubblica, a mano a mano che le elezioni ci hanno indicato che la Democrazia cristiana perdeva terreno tra il corpo elettorale, come è dimostrato dalle elezioni in Sicilia e, ieri, dalle elezioni di Torre Annunziata, a mano a mano che la Democrazia cristiana ha aumentato la manomissione delle leve di comando dello Stato, cioè ha perso di intensità di presa sul Paese, essa ha cercato di recuperarla all’interno dell’apparato burocratico dello Stato (Commenti al centro).

Da ciò questa divaricazione, questo volgersi le spalle tra l’opinione pubblica e il Governo, che si appoggia su settori sempre più ristretti di uomini e su settori sempre più ristretti del corpo elettorale.

Perché non possiamo dimenticare che il Tripartito, pur coi suoi difetti, rappresentava 17 milioni di voti. Il Governo attuale non so quanti voti rappresenterà. Personalmente, poi, Merzagora, per esempio, rappresenta i tre voti della famiglia Pirelli. Non conosco altri elettori che abbiano votato per l’onorevole Merzagora…

ZERBI. Un figlio di Pirelli ha votato per i socialisti: quindi i voti sono due!

DUGONI. Se questo è vero mi affretto a rettificare: i voti di Merzagora sono soltanto due.

Le reazioni provocate dall’annuncio della crisi sono state reazioni economiche favorevoli. L’onorevole Corbino ha detto che queste reazioni favorevoli furono inaspettate.

CORBINO. No, no.

DUGONI. Lei ha detto, onorevole Corbino, che «l’annuncio della crisi, contrariamente alle previsioni, determinò una favorevole impressione che si è riflessa chiaramente nel corso dei cambi». Questo, se io non vado errato, è quello che lei ebbe a dire. Ebbene, onorevole Corbino, io sono spiacente di dirle che un uomo come lei non doveva dire: «contrariamente alle previsioni». Invece, erano proprio le correnti capitalistiche che, avendo puntato sulla rottura del Tripartito, facendo le pressioni più diverse sulla Democrazia cristiana e sul suo capo De Gasperi, avendo visto che finalmente il Tripartito si rompeva, si accorsero che non avevano più bisogno di mantenere i loro capitali all’estero per paura dell’imposizione, non avevano più bisogno di servirsi di altri stratagemmi per sottrarsi a determinate costrizioni che noi sostenevamo nell’ambito del Governo, perché, una volta usciti noi dal Governo, essi stessi vi rientravano, e quindi non avrebbero mai costretto i loro capitali a quei sacrifici, ai quali la nostra presenza non li avrebbe certamente sottratti.

È questa la ragione per cui, all’annuncio di questa crisi, tutte le Borse hanno segnato il passo, per cui i cambi si sono flessi, per cui, conseguentemente, per un determinato periodo di tempo, il Governo De Gasperi vivrà in tranquillità. Ma io metto in guardia l’onorevole De Gasperi da questa tranquillità, proprio per quello che è successo all’onorevole Corbino. Anche l’onorevole Corbino ha detto che egli viveva tranquillo, o, quanto meno, che viveva non troppo inquieto su quel campo minato che si chiamava il debito a breve scadenza. E questo ce lo aveva detto prima, cioè intorno al 25 luglio. Quaranta giorni dopo l’onorevole Corbino saltava sul campo minato di quel debito fluttuante, che egli era stato nell’impossibilità di mantenere ad un determinato livello.

Ebbene, onorevole De Gasperi, la classe capitalistica ha fatto con l’onorevole Corbino quello che si appresta a fare con lei e con i suoi collaboratori, cioè le dà oggi l’appoggio per estromettere noi, e domani vi metterà il laccio al collo se voi tentaste, in qualsiasi modo, come onestamente devo riconoscere avrebbe voluto fare l’onorevole Corbino e non ha potuto, di prendere un giorno una strada che non fa piacere a coloro che oggi vi sostengono. Oggi forse questi vi hanno portato anche dei buoni del tesoro (sono particolari che io non so, ma credo che ciò sia avvenuto) perché voi possiate affrontare con calma la battaglia parlamentare. Questi stessi signori un giorno vi leveranno il tappeto sotto i piedi e voi vi pentirete amaramente di non avere quegli otto milioni e mezzo di voti che noi al Tripartito apportavamo. Ed invece, noi oggi siamo fuori, e quando voi, onorevole De Gasperi, vi preoccupate tanto «della situazione tecnica del bilancio, della tesoreria e della moneta» (tutte cose che nelle dichiarazioni di febbraio non avevate nominato, tutte cose che avevate invece intelligentemente conglobato nel problema del piano economico, mentre oggi voi le avete staccate), noi vi ricorderemo che, mentre in febbraio, sotto l’influenza, non dirò pianificatrice e neppure collettivizzatrice, ma sotto l’influenza validissima degli uomini del Tripartito, voi avete parlato di piani di economia, di problemi connessi, di problemi attuali collegati con problemi futuri, oggi, invece, nelle dichiarazioni che avete fatto (ed io credo di avere seguito con attenzione quello che avete detto), voi avete parlato di certi problemi isolati e avete parlato di sintomi, e vi apprestate a combattere dei sintomi e non una malattia.

Già nella discussione precedente, l’onorevole Lombardi denunciò la campagna inaudita che la Confindustria, con organi specializzati e con diversi giornali, combatteva contro il Ministro dell’industria, onorevole Morandi; e denunciò questa campagna, non meravigliandosene, ma richiamando la vostra attenzione; cioè dicendo: onorevole De Gasperi, guardatevi da questa gente, perché questa gente difende degli interessi particolari. E oggi, onorevole De Gasperi, voi avete aperto le porte della cittadella assediata: questa cittadella si chiamava il Ministero dell’industria e commercio e l’assediante si chiamava la Confindustria.

Ebbene, un uomo è entrato là dentro, e quest’uomo si chiama Togni, il quale è Presidente dell’Associazione dei Dirigenti Industriali, e come tale è sostanzialmente e costituzionalmente un uomo che appartiene a gruppi industriali.

RESTAGNO. Non è vero.

DUGONI. Se voi aveste messo un operaio a difendere gli interessi degli operai al Ministero del lavoro, avreste fatto un’opera giustissima, e noi l’abbiamo fatto con Barbareschi. Quando avessimo messo un rappresentante della Confederazione italiana del lavoro al Ministero dell’industria avremmo commesso il più grande degli errori, fatto il più grande dei torti. Questo noi non lo abbiamo fatto, ma lo avete fatto voi, mettendo un rappresentante della Confederazione degli industriali dove non lo dovevate mettere. Perché i dirigenti industriali sono molto spesso quelli che applicano le direttive dei padroni. (Proteste – Commenti al centro).

Io ho l’onore di conoscere i dirigenti industriali, per farne praticamente parte da 15 anni; ma so anche benissimo che cosa è la loro associazione, e so quindi benissimo che cosa può rappresentare l’onorevole Togni al Ministero dell’industria. Il Ministero dell’industria è il Ministero che deve controllare – se l’onorevole De Gasperi vuole veramente seguire una politica di pianificazione – la pianificazione, ed è naturalmente indicato per chiedere dei sacrifici a determinati rami dell’industria; ebbene voi, onorevole De Gasperi, conoscete certamente il Dilemma del dottore di Bernard Shaw. Ora voi avete messo l’onorevole Togni nella medesima situazione del medico di cui parla Shaw.

Io non posso giurare che l’onorevole Togni sarà così pieno di scrupoli nei confronti dei suoi compagni di ieri. Io sono certo che, se voi aveste messo un uomo al di sopra di ogni sospetto (Interruzioni – Commenti al centro), se voi aveste messo «la moglie di Cesare» a quel posto, nessuno avrebbe potuto dir nulla.

RESTAGNO. L’onorevole Di Vittorio al Congresso di Firenze ha invitato la Confederazione dei dirigenti le aziende industriali ad entrare nell’ambito della Confederazione del lavoro. Dunque si tratta di lavoratori. (Interruzioni – Commenti a sinistra).

DUGONI. Ha ragione, onorevole Restagno; però essa è rimasta accanto alla Confederazione degli industriali. (Commenti).

RESTAGNO. No, si tratta di una associazione autonoma.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, cerchino di evitare colloqui individuali!

RESTAGNO. Non si tratta di colloqui, ma di precisazioni.

DUGONI. Comunque, che l’onorevole Togni sia al Ministero dell’industria è una di quelle coincidenze tipiche di Ministeri di questo genere, cioè di Ministeri che non hanno il controllo reciproco dei partiti; perché, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, essere in parecchi al Governo significa condividerne la responsabilità, ma anche controllarne reciprocamente l’azione. Oggi, che voi non avete più quel cordiale controllo (Ilarità al centro) che vi abbiamo prestato per tanto tempo, voi avete commesso degli errori i quali, di fronte all’opinione pubblica, indicano il vostro Governo non come un Governo della Democrazia cristiana, ma come un Governo della parte plutocratica, della parte possidente della Nazione.

JACINI. Il controllo si deve fare all’opposizione, non in seno al Governo!

DUGONI. Io ho detto prima che non ci sentivamo di dare la nostra fiducia al Governo proprio per delle considerazioni tecniche che riguardavano gli uomini che sono al Governo. Ho parlato dell’onorevole Togni, vorrei dire dell’onorevole Einaudi. Però vorrei premettere che io sono stato indirettamente un allievo dell’onorevole Einaudi, poiché ho avuto familiarità scientifica con uno dei suoi migliori allievi, il Professor Fasiani dell’università di Genova: ho quindi per il metodo, per la umanità dell’onorevole Einaudi un rispetto che non può essere superato, penso, che da pochissime persone in questa Assemblea. Pertanto quello che dirò verso di lui sarà sempre una critica politica, sarà sempre una critica tecnica, di riflesso alla situazione politica in cui egli deve agire e in cui noi dobbiamo agire, perché l’onorevole Einaudi non arriva al Governo da una posizione privata. È un uomo che è stato, dal suo ritorno dall’esilio, Governatore della Banca d’Italia; è un uomo che ha fatto parte della Consulta, che fa parte di questa Assemblea, che ha avuto occasione di parlare e di scrivere e che ha avuto occasione di agire. Quindi, noi non possiamo prescindere da questa sua situazione, da queste sue posizioni, nel domandarci che cosa egli farà stando dentro al Governo.

Se è vero che il giorno si conosce dal mattino, noi dobbiamo giudicare dell’opera al Governo dell’onorevole Einaudi proprio basandoci su quello che l’onorevole Einaudi ha fatto come Governatore della Banca d’Italia, proprio su quello che l’onorevole Einaudi ha detto come uomo politico in questa Assemblea e fuori di questa Assemblea.

Vi sono delle cose che caratterizzano l’azione di un uomo politico o di un economista.

Io ricorderò qui che, poco tempo addietro, l’Istituto di ricostruzione industriale era in situazione di dover essere finanziato, e perciò si rivolse alla Banca d’Italia dicendo: «Signori, io non posso finanziarmi sul mercato, perché c’è una campagna orchestrata dagli industriali, una campagna di stampa, la quale ogni minuto tenta di dimostrare che io sono uno ospedale dove tutti gli ammalati muoiono, che io sono un’amministrazione dove nessun soldo basta, perché sono un pozzo senza fondo, dove si gettano miliardi che si consumano in tutte le maniere; io sono screditato di fronte agli ambienti creditizi della Nazione, debbo venire a voi, Banca d’Italia, di proprietà del Governo, a chiedere di essere finanziato per la mia riconversione e per la mia ricostruzione».

Ebbene, onorevoli colleghi, dello Stato era l’I.R.I. e dello Stato è la Banca d’Italia: sapete voi a quali dolcissime condizioni l’I.R.I. ha potuto trovare un finanziamento che non può essere un finanziamento a breve termine, ma deve per forza essere un finanziamento a medio o lungo termine? Sapete voi quanto duramente l’I.R.I. ha dovuto pagare questo prestito?

In quattro parole ve lo dirò io. L’I.R.I. aveva bisogno di sei miliardi; aveva anzi bisogno di più, ma poi ridusse le sue richieste a quello che era necessario ed urgente e si accontentò di sei miliardi. Ebbene, per ottenerli, dovette depositare nelle casse della Banca d’Italia dodici miliardi di titoli al corso della giornata, cioè il doppio di quello di cui aveva bisogno; e dovette pagare un interesse, che si aggira se non sbaglio, intorno al sei per cento.

Ebbene, onorevole Einaudi, eravate voi in quel momento Governatore della Banca d’Italia o non lo eravate? E se voi eravate Governatore della Banca d’Italia, non vi sembra che questo deposito di titoli così cospicuo aggravi la situazione dell’I.R.I., il quale deve cercare altri finanziamenti? Non vi sembra che questi signori – senza che io metta per un istante in dubbio il pensiero di collaborazione vostra con l’onorevole Zerbi o con l’onorevole Uberti: le distanze sono talmente grandi che non è il caso di parlarne – ma non credete voi che questi signori, i quali chiedono che l’I.R.I. sia smembrato, siano singolarmente aiutati dalle condizioni coattive, dalle condizioni gravi che voi avete fatto all’I.R.I. per concedergli il finanziamento di cui aveva bisogno?

Queste sono domande che hanno una grandissima importanza perché voi, onorevole Einaudi, dovrete dirci che cosa intendete fare dell’I.R.I. Noi non ammetteremo mai uno smembramento dell’I.R.I.; noi dobbiamo cercarne una ricostruzione, noi dobbiamo cercarne una rifusione, noi dobbiamo cercarne una nuova sistemazione, se voi volete; ma noi, che sappiamo come sia troppo comodo per il capitale lasciare sulle braccia dello Stato le proprie industrie quando esse vanno male, per riprendersele poi quando vi sia una convenienza qualsiasi, noi questo non lo lasceremo mai fare. E lo diciamo chiaramente, a nome dei duecentocinquantamila dipendenti dell’I.R.I.

Ora, onorevole Einaudi, se voi pensate in qualche modo che l’I.R.I. debba essere riassestato, noi vi aiuteremo; ma intanto, di grazia, fateci dare il bilancio del 1946 dell’I.R.I., questo bilancio che noi non abbiamo visto, questo bilancio per cui noi non sappiamo cosa sia l’I.R.I., da chi sia finanziata, in qual modo soprattutto abbia speso il denaro che ha avuto.

Siamo al 18 giugno e noi non conosciamo il bilancio dell’I.R.I.: io credo che non sia pretesa eccessiva chiedere che questo bilancio ci sia dato, perché anche noi si possa emettere un giudizio sulla gestione, sulle operazioni, sulla riorganizzazione dell’I.R.I.

D’altra parte, onorevole Einaudi, noi non possiamo dimenticare che il 31 di marzo, nella vostra relazione – che è una bellissima e interessantissima relazione, una vera miniera di dati e certamente una delle più cospicue relazioni che siano mai state presentate ai partecipanti della Banca d’Italia – noi abbiamo visto che voi sostenete, a proposito della distribuzione del reddito nazionale, una tesi che non può non preoccuparci, dal momento che voi siete oggi Vicepresidente del Consiglio. E questa tesi è precisamente quella che noi non abbiamo più risparmiatori. E quando voi parlate di risparmiatori, parlate di capitalisti, di piccoli e medi risparmiatori, e vi preoccupate, o quanto meno lasciate intravedere la vostra preoccupazione per la ricerca di mezzi che permettano a questi risparmiatori di tornare a vivere di rendita. Ora, di fronte ai problemi che noi abbiamo per le classi attive del nostro Paese, per le classi lavoratrici, per le classi imprenditrici, noi non possiamo in questo momento occuparci dei risparmiatori. Noi, in questo momento, dobbiamo preoccuparci di coloro che producono nel Paese, di coloro che lavorano per il Paese; successivamente potremo e dovremo pensare ai risparmiatori; ma oggi, con due milioni di disoccupati, oggi che la produzione industriale non raggiunge il 55 per cento della produzione del 1938-39, onorevole Einaudi, noi non possiamo cercare delle soluzioni che riguardino i risparmiatori; noi dobbiamo cercare delle soluzioni che riguardino i produttori. E questo è un altro punto interrogativo per darvi la nostra fiducia come Ministro del bilancio.

E voglio ricordare, a questo proposito, un altro piccolo dettaglio. Nel settembre dell’anno scorso voi avete pronunciato – il 24 settembre, se non erro – in quest’Aula un bellissimo discorso in cui, fra le altre cose avete detto – e avete messo il dito sulla verità – che non eravate preoccupato della differenza, del divario che poteva esistere fra le entrate e le spese di questo bilancio. Voi dicevate: «I tempi sono eccezionali; questi divari si colmano coll’andare del tempo; quindi, io non sono preoccupato». Ora, onorevole Einaudi, noi vorremmo sapere se questo è ancora oggi il vostro pensiero, perché, siccome voi siete stato messo al posto che occupate, un pochino col criterio di mettere il «vecchio Ministro piemontese della lesina» in un posto dove la possa usare, onorevole Einaudi, io spero che vi ricorderete piuttosto della frase felice del discorso del 24 settembre che non dell’incarico ingrato che vi è stato dato. Perché, restringere le spese è nell’augurio di tutti, ma bisogna restringerle con grande criterio e con grande cautela, per due ragioni. Prima di tutto, perché voi conoscete meglio di me che la deflazione è un’inflazione a specchi rovesciati, e successivamente perché voi sapete che gran parte della situazione economica del nostro Paese oggi dipende dal come lo Stato spende i suoi denari. Quindi, fare economia – siamo tutti d’accordo – ma, nel fare economia, stiamo molto attenti come spendiamo i nostri denari.

E, onorevole Einaudi, a questo proposito io – e mi scuso di incomodarvi continuamente – devo anche porre in rilievo quella parte della vostra relazione sulla Banca d’Italia nella quale vi siete preoccupato del problema delle banche.

Vi è un divario tra l’onorevole Campilli l’onorevole Einaudi, nello stesso giorno.

Il 31 marzo di quest’anno, parlando davanti alle quattro Commissioni legislative riunite, l’onorevole Campilli diceva: «Sì, le banche – secondo noi – non fanno tutto quello che possono, però dobbiamo far presente che, convocate, le banche ci hanno detto che circa il 62 per cento delle loro disponibilità erano investite in titoli di Stato o erano affidate allo Stato. Di fronte a questo, il nostro entusiasmo per la speranza di una nuova politica delle banche si è raffreddato, perché (l’onorevole Campilli non lo dice, ma lo lascia intendere) sostanzialmente quello che le banche potevano darci (questo ci hanno fatto intendere) ce lo hanno già dato».

L’onorevole Einaudi che, proprio lo stesso 31 marzo presentava la sua relazione ai partecipanti della Banca d’Italia, viceversa, ha – direi – il linguaggio dello scienziato: esamina quel che succede e si dimentica di essere Governatore della Banca d’Italia. Cioè, constata che nel terzo e nel quarto trimestre del 1946 la speculazione ha fatto passi da gigante, le banche hanno allargato il loro credito come credito commerciale e, quindi, hanno spinto in avanti questa speculazione.

Constatato questo, dice l’onorevole Einaudi: certo le banche hanno anche sottoscritto ai titoli dello Stato; ma hanno sottoscritto in una misura piccolissima, soprattutto se si tiene conto che il 50 per cento di quello che le banche hanno sottoscritto l’hanno sottoscritto per loro comodo, non per comodo dello Stato; lo sottoscrivono perché serve per cauzioni, perché serve ad essere dato a dossier. E quindi le banche non hanno fatto una politica di aiuto dello Stato.

Ma, onorevole Einaudi, voi eravate Governatore della Banca d’Italia, voi avevate una certa vigilanza su questa posizione, voi avevate il dovere di richiamare l’attenzione dei Ministri su questa ondata speculativa, che è la stessa che fece saltare l’onorevole Corbino, che fece saltare il Governo precedente, e che è la stessa che fra qualche mese farà saltare voi. Perché queste ondate successive di speculazione le abbiamo viste abbattersi anche su altre monete: diecine di volte sul franco in Francia e sulla sterlina in Inghilterra. Tutte le monete sono state soggette a queste terribili stroncature dovute alla speculazione. E la speculazione in Francia si è chiamata Banque de Paris et des Pays Bas; in Italia ha altri nomi: non voglio farli, ma sono quasi stati pronunziati qua dentro. Sono banche che vanno scandalosamente all’assalto della lira, banche che appartengono allo Stato e sabotano la lira che è della Nazione, banche nelle mani di vostri amici, onorevole Einaudi, che sono stati allievi del professor Cabiati; persone che voi conoscete molto bene.

Ebbene, che cosa aspettiamo noi per mettere un fermo a questa politica della «Banca», che è nemica dello Stato?

Questi sono i punti che non comprendiamo. E se al banco del Governo fossero uomini che queste cose non sapessero o che non conoscessero, noi potremmo dire: Signore, perdona loro… con quel che segue.

Ma questo non è possibile dirlo. Voi sapete bene che cosa e come dovete manovrare per impedire questo scandaloso andazzo delle cose in Italia.

Dovrei ora parlare della situazione di Tesoreria, ma ve ne faccio grazia, onorevole Einaudi, perché la conoscete infinitamente meglio di me e sapete anche per quali vie andare in porto.

Ma, parlando a voi come Ministro del bilancio, onorevole Einaudi, io devo richiamare veramente la vostra attenzione su di un fatto inusitato.

Ieri l’onorevole Scoccimarro, parlando dei bilanci militari, ha detto delle cose che sono nettamente al disotto della verità. All’ora attuale i bilanci dei Ministeri militari costano allo Stato 164 miliardi, il che significa che più del 50 per cento delle entrate ordinarie sono andate a finire nelle tasche dei bilanci militari. (Commenti). Parlo del consuntivo 1946-1947.

Ebbene, onorevole Einaudi, io dirò che ciò non basta, perché i dicasteri militari hanno trovato dei sistemi di autofinanziamento, cioè hanno trovato dei sistemi come quello che si chiamava una volta del «bilancio netto», quel sistema che il Puviani, in quell’aureo libretto che voi conoscete certamente meglio di chiunque altro, indica come uno dei peggiori sistemi in uso nei bilanci che precedettero la rivoluzione francese ed il 1810 in Inghilterra. Ebbene i Ministeri militari si autofinanziano, cioè liquidano delle proprietà, dei mezzi, dei magazzini, degli automezzi e con questi pagano dei fornitori e comperano delle forniture di cui hanno bisogno.

Questo sistema, onorevole Einaudi, deve cessare. È uno dei peggiori sistemi di amministrare la cosa pubblica. È una cosa su cui richiamo veramente l’attenzione dello Stato, perché, onorevole Einaudi, io non voglio che voi pensiate neppure un istante che sotto il vostro Governo si possa riscrivere il diario di Pepy.

D’altra parte i Ministeri militari hanno fatto delle cose veramente preoccupanti. Citerò qualche dettaglio ad edificazione dell’Assemblea. Questo inverno è stato scoperto che il Ministero della marina riscaldava i suoi 800 locali con il carbone delle basi di Civitavecchia o di Gaeta e faceva venire questo carbone con i camions, cioè consumando benzina. Questo è stato scoperto a Roma nell’anno di grazia 1947, quando Milano era per giornate intere privata di luce. Credo che sia il caso che si metta un pochino il dito sulla piaga e che si guardi in qual modo si amministra in casa nostra.

E vorrei ricordare d’altra parte che i Ministeri militari non si possono lamentare di avere insufficienti dotazioni, o di non avere avuto tutte le attenzioni dei Ministri del tesoro che si sono succeduti. Nei primi nove mesi di quest’anno le Amministrazioni militari avevano ricevuto fondi in queste proporzioni: l’Aeronautica aveva goduto di un effettivo esborso dello Stato superiore del 100 per cento a quello del corrispondente periodo del bilancio 1945-46; la Marina il 50 per cento in più, e l’Esercito poco più del 20 per cento.

Altri Ministeri, come quello del lavoro, avevano avuto meno del 10 per cento in più. E ricordo, per la seconda volta in quest’Aula, che vi sono sanatori chiusi, sanatori della Previdenza sociale chiusi perché mancano i fondi necessari per gestirli.

E poiché siamo entrati nel campo sociale, vorrei in questa mia conversazione con il Ministro del bilancio – conversazione che voglio che il Ministro del bilancio creda veramente priva di qualsiasi carattere di acidità, ma soltanto dolorosa constatazione di fatti che io sono certo dolgono tanto a lui quanto a noi – vorrei richiamare l’attenzione del Ministro del bilancio sullo squilibrio tra imposte dirette e indirette. Le imposte dirette dimostrano in modo irrefutabile che la classe possidente in Italia non intende per nessuna ragione e sotto nessuna pressione pagare le imposte.

Ricorderò anzitutto che l’onorevole Riccardo Lombardi, in un suo discorso muscoloso ed energico, aveva detto che c’era stato un momento nel quale i detentori di ricchezza erano pronti a pagare ed avevano perfino delle riserve precostituite per poter fronteggiare una efficace e moderna finanza dello Stato. Ebbene, noi abbiamo lasciato passare questo momento e non parliamone più.

Però ci sono delle cose che colpiscono: come per esempio l’incremento della riscossione delle imposte dirette fra il marzo 1946 e il marzo 1947. Ebbene, onorevole Einaudi, chi lo direbbe? Nel marzo 1946 abbiamo incassato per imposte dirette 1365 milioni e nel marzo 1947 ne abbiamo incassati 1446, con un incremento di circa 80 milioni. Ebbene, le tasse e le imposte indirette sugli affari sono passate da 6 a 12 miliardi. Le imposte sui consumi sono passate da 570 milioni a 3 miliardi e 305 milioni! I monopoli sono passati da 3 miliardi a 4 miliardi e 300 milioni. Questo significa che le imposte dirette sono rimaste quasi stazionarie; le imposte indirette si sono moltiplicate, non dico in ragione della svalutazione della lira, ma si sono moltiplicate con un incremento che veramente è notevole. E se noi prendiamo i primi nove mesi dell’esercizio, vediamo che mentre le imposte di consumo sono aumentate di 4, 6 volte, le imposte dirette sono aumentate meno di due volte e mezzo; e le tasse e le imposte indirette sugli affari poco più di due volte e mezzo. Il che significa che gli incassi che gravano direttamente sui consumatori sono moltiplicati per un coefficiente che è doppio di quello applicato alle imposte dirette. A ciò contribuiscono due fattori: prima di tutto una morosità sistematica dei contribuenti delle imposte dirette. Noi abbiamo dei dati di questo genere: nei primi 9 mesi dell’esercizio 1946-47 abbiamo degli accertamenti per 39 miliardi. Onorevole Pella, noi ne abbiamo riscosso 25. Il che significa che abbiamo una morosità pari al 30 per cento degli accertamenti. D’altra parte per le imposte indirette noi abbiamo una percentuale di poco più del 5 per cento nelle stesse circostanze. Il che significa che c’è un décalage fra le imposte dirette e indirette proprio perché non si vuol pagare. Inoltre l’onorevole Nitti ha detto ieri – e mi associo – che gli accertamenti sono insufficienti come numero di contribuenti e come entità accertata per i singoli contribuenti: come numero, perché quasi tutti gli speculatori e quasi tutti i borsaneristi sfuggono a qualsiasi imposta; come entità, perché una parte cospicua delle operazioni, precisamente quasi tutte le operazioni mobiliari, sfuggono all’imposizione.

In Val d’Aosta, per esempio, 12 ditte che commerciavano in legname non risultavano nell’elenco dei contribuenti.

E, d’altra parte, come colpire il miliardo e più guadagnato in borsa in questi ultimi due mesi da pochi, ma notori, speculatori di Roma, Torino, Genova e Milano?

Ed allora noi chiediamo, onorevole Einaudi, che venga mantenuta la promessa fatta dall’onorevole Campilli.

Io ho un grande rimorso: quello di essermi opposto a che si applicasse l’imposta patrimoniale ai titoli azionari, fidando nella promessa dell’onorevole Campilli di emanare una legge che avrebbe colpito le azioni.

Ebbene, onorevole Einaudi, questa legge non è venuta. Ed io oggi devo pentirmi amaramente di quello che ho fatto e devo chiedermi se veramente dare fiducia ad un Ministro sia sempre un grave errore.

CAMPILLI. C’è stata la crisi.

DUGONI. Avevate detto che la legge era pronta e che l’avreste sottoposta alla Commissione nel più breve tempo possibile. Sono passati due mesi, perché dal marzo abbiamo chiuso l’esame della «patrimoniale», e non abbiamo visto nulla. Mi auguro che sia pronta e che venga pubblicata, così non dovrò pentirmi di aver dato la mia fiducia ad un Ministro, ed avrò fatto un errore di meno nella mia vita.

Altra grave questione, che riguarda il Ministro del bilancio, è quella dell’ispezione bancaria, postasi a proposito dell’imposta straordinaria sul patrimonio.

In parecchi paesi è stata ammessa, una tantum, in occasione dell’applicazione di queste imposte straordinarie per il pagamento dei danni provocati dalla guerra, l’esecuzione di ispezioni bancarie, dirette ad accertare la consistenza patrimoniale dei contribuenti.

La Commissione finanze e tesoro, alla quasi unanimità, aveva chiesto al Governo l’introduzione di questa facoltà a favore degli agenti tributari. E l’onorevole Campilli non si era mostrato decisamente contrario. Aveva detto: «Vedremo; sentirò il Governatore della Banca d’Italia, il quale è più vicino alle banche, e poi, sul suo parere, vi dirò qualche cosa». Qualche giorno dopo venne a riferirci che l’onorevole Einaudi aveva scritto una lettera, colla quale credeva di potersi assumere la responsabilità di fare escludere l’ispezione bancaria dalle facoltà relative alla determinazione dell’imposta patrimoniale.

Ebbene, onorevole Einaudi, anche questo, noi dobbiamo dirlo molto sinceramente, non è un punto che noi mettiamo al vostro attivo, perché con questo voi avete dato un colossale aiuto alla speculazione ed agli speculatori, avete dato un colossale aiuto a tutte le banche, che si vogliono sottrarre alla vostra vigilanza. Si sono sovratutto messe le banche in condizione di giuocare al ribasso o al rialzo, a loro piacimento, coi fondi dei loro clienti, perché noi non possiamo andare a controllare cosa c’è di deposito e come viene adoperato.

Mi avvio verso la fine e chiedo scusa di avere così tediato l’Assemblea, ma credete che l’ho fatto con una grande equanimità. Se le mie parole possono essere sembrate dure, vi assicuro che ne ho risparmiate altre che avrebbero potuto essere molto più dure di quelle che io ho detto.

L’onorevole Corbino riconosceva l’altro giorno di essere stato sbalzato dal potere dalla speculazione.

CORBINO. Anche dalla speculazione.

DUGONI. L’onorevole De Gasperi riconosceva l’esistenza di un «quarto partito», cioè ci mettiamo sulla strada di un riconoscimento pubblico, ufficiale, della potenza del denaro nell’ambito delle istituzioni repubblicane.

Signori, questo è un sistema feudale, il sistema in cui esistevano dei diritti per il signore, e degli obblighi per i taillables et corvéables à merci.

Ebbene, noi diciamo che vi è un solo sistema di Governo nelle nostre istituzioni ed è il sistema del suffragio democratico. Il denaro non può governare lo Stato. Lo Stato deve essere governato dal suffragio elettorale. Se il denaro entra dentro lo Stato, non solo corromperà lo Stato, ma corromperà anche la Nazione ed i cittadini.

Onorevole De Gasperi, io la metto in guardia contro questo sistema, la metto in guardia contro queste pressioni che sono fatte su di lei, perché altrimenti andiamo verso la Repubblica del denaro, cioè la Repubblica di quello che vi è di più spregevole su questa terra. (Vivi applausi a sinistra Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro del bilancio, onorevole Einaudi. Ne ha facoltà.

EINAUDI, Ministro del bilancio. Onorevoli colleghi, devo constatare che questa discussione economico-finanziaria ha assunto un tono assai elevato. Credo che essa faccia onore all’Assemblea e si conformi alle migliori tradizioni del Parlamento italiano.

Io non posso, per la necessaria brevità del tempo, rispondere distintamente a tutti gli oratori che si sono susseguiti e che tutti hanno dato un contributo notevole alla discussione.

Dall’amico onorevole Ruini a Corbino, a Bertone, a Cappi, a Labriola, a Vicentini, a Tripepi, a Bonino, a Tremelloni, a Foa, a Morandi, a Scoccimarro, a Crispo, a Nitti, a Marina, oggi a Dugoni, tutti hanno fornito argomenti alla discussione, la quale è certamente feconda, perché se il Parlamento deve servire a qualche cosa, la sua funzione più elevata è quella di porre i problemi e di assoggettarli a una libera discussione nella quale tutte le opinioni possono manifestarsi.

All’onorevole Corbino, il quale ha proposto un blocco della circolazione, a voce ho già detto che il blocco della circolazione è qualche cosa che non può essere se concepito come norma assoluta e che neppure nella legge del 1893 era stato scompagnato da una opportuna elasticità. Questa elasticità potrà essere più o meno accentuata; ma è impossibile dare una regola assolutamente rigida, la quale fissi una cifra al di là della quale non si possa andare. Il meccanismo economico è qualche cosa di complesso, il quale non può essere soggetto ad una rottura immediata. Anche nel 1893 il legislatore aveva stabilito si potesse andare al di là di un certo livello purché si pagasse una tassa uguale a due terzi del saggio di sconto e al di là ancora purché si pagasse una tassa uguale a tutto lo sconto.

All’onorevole Bertone, senza soffermarmi su tutti i punti del suo discorso, dirò che gli do atto che il prestito della ricostruzione è riuscito così come meglio, secondo le previsioni fatte innanzi che esso avesse cominciamento, non poteva riuscire. Nessuno di noi che ha avuto parte in questo prestito aveva immaginato che si potesse andare al di là di quella percentuale del 12 per cento sull’ammontare complessivo della circolazione e dei depositi che fu infatti raggiunta. E fu raggiunta anche con il contributo di coloro ai quali noi non avevamo sperato di poter fare appello, ossia dei piccoli sottoscrittori. Questi non diedero come cifra assoluta moltissimo ma diedero una dimostrazione solenne della loro decisione di contribuire alla salvezza dell’erario. Su 1.631.000 sottoscrittori ben 1.003.600 sottoscrissero per somme non superiori a 10.000 lire e per una media di 4.140 lire; chiara dimostrazione della partecipazione di tutte le classi sociali a quel prestito.

All’onorevole Ruini il quale, fra tante altre idee notabili esposte nel suo discorso, di alcune delle quali mi occuperò in seguito, ha anche avanzato preoccupazioni intorno al peso dei residui, dirò senz’altro che le sue preoccupazioni intorno alla pulizia da farsi sui residui sono da me condivise e che una pulizia del genere è in corso. Al 30 giugno 1946 vi erano 235 milioni di residui passivi.

Una voce. Miliardi, non milioni.

EINAUDI: Miliardi, ha ragione: Nitti ed io sbagliamo spesso. Noi apparteniamo all’epoca in cui di miliardi non si parlava tanto spesso. Ricordo quel Ministro delle finanze francese del principio del secolo scorso, il quale, avendo presentato un bilancio che raggiungeva la cifra di un miliardo di lire, ai deputati che si scandalizzavano disse: salutate il miliardo, perché questa cifra non la rivedrete mai più!

Dunque dicevo che dei 235 miliardi di residui passivi ben 43 si riconobbero puramente scritturali, privi cioè di contenuto attuale. Si riferivano ad erogazioni già materialmente effettuate e non ancora contabilmente regolate. E dei 192 miliardi di residui effettivi presumibilmente al 31 maggio 1947 soltanto 113 residuavano in essere. Tenendo conto dei residui attivi accertati, i residui passivi relativi agli esercizi anteriori al corrente si riducono a 105,5 miliardi di lire.

All’onorevole Nitti io faccio la promessa formale che le sue richieste intorno ad economie sui gabinetti, automobili e cose simili saranno tenute nella massima considerazione. È già in corso un censimento delle automobili in tutti i dicasteri, ed in seguito a questo censimento saranno presi i provvedimenti opportuni.

Ma la sua osservazione relativa alle automobili va al di là del punto particolare e si riconnette con una osservazione fatta dall’onorevole Dugoni rispetto al controllo delle spese e, in particolare, delle spese fuori bilancio. Essa si riferisce in sostanza all’essere venuta meno col tempo la suddivisione che si faceva, nei bilanci antichi, dei capitoli in articoli. La suddivisione dei capitoli in articoli era necessaria ed utile ai fini di una più adeguata possibilità di controllo delle facoltà di spesa dei singoli ministeri. È allo studio un provvedimento affinché l’inconveniente costituito dalla troppo vasta ed incontrollata possibilità di eseguire spese piuttosto od a preferenza di altre nell’ambito di singoli capitoli troppo vasti che abbracciano quantità di materia eccessiva venga ad essere eliminato. E così pure furono già iniziate pratiche allo scopo di ridurre, come ha proposto l’onorevole Dugoni, le spese fuori bilancio attinte a fondi speciali. È certamente questa una delle ragioni per cui si possono fare spese senza autorizzazione esplicita da parte del Parlamento. Sarà nostra cura di far sì che alle spese fuori bilancio si ponga riparo il più rapidamente possibile. (Approvazioni al centro).

I colleghi che hanno parlato vorranno consentire (affinché il mio discorso non duri un paio di giorni e si riduca ad un minimo di tempo ragionevole) che io riassuma, senza riferimenti personali ai singoli oratori, le argomentazioni esposte e le mie risposte.

In sostanza si è qui riprodotta, nelle grandi linee, una discussione non nuova al Parlamento italiano. Si è detto: con l’istituzione del Ministero del bilancio, voi dimostrate di essere preoccupati soltanto del bilancio dello Stato. Voi invece dovete preoccuparvi di qualcosa che va al di là, perché il bilancio dello Stato può essere sano ed in equilibrio soltanto quando sana e prospera sia l’economia nazionale.

Antica controversia questa, tra la sanità del bilancio dello Stato e la prosperità dell’economia nazionale. Antica controversia che si è ripetuta infinite volte in quest’Aula e che ha avuto insigni protagonisti. Non è quindi meraviglia che essa, sotto altri nomi, si ripeta anche oggi e si ripetano richieste che in altri tempi furono già avanzate e furono attuate per la distinzione razionale del bilancio dello Stato in parecchie categorie le quali raffigurassero la loro maggiore o minore ordinarietà, così da assegnare ad ogni categoria entrate corrispondenti, allo scopo di poter affermare che il bilancio ordinario sia in pareggio anche quando si debbono fare spese straordinarie da sopperirsi con entrate straordinarie, di rado derivanti da imposte straordinarie, ma per lo più da varie forme di prestito.

Ricordo un’esposizione finanziaria di Agostino Magliani, fervidissimo fra i ministri delle finanze e del tesoro italiani, che, nelle sedute del 26 e del 27 febbraio del 1882, sosteneva la tesi fosse opportuno istituire, accanto al bilancio ordinario ed a quello straordinario, anche un «bilancio ultrastraordinario», allo scopo di tener conto di quelle spese che realmente fossero eccezionali, che si ripetessero a periodi lunghi di tempo. Così fu fatto introducendosi la categoria delle spese ultrastraordinarie a cui corrispondeva, nella categoria movimento di capitali, una entrata per vendita di vecchie obbligazioni ecclesiastiche, che non erano state esaurite, sebbene deliberate fin dal 1870, ed erano sostenute dalla garanzia dei beni ecclesiastici non ancora venduti. Ma, come accade di solito, la distinzione assai sottile finì per obliterarsi, poiché nelle cose pubbliche, come nelle cose private, è spesso assai difficile poter distinguere ciò che sia ordinario da ciò che sia straordinario. Nella vita dello Stato, come nella vita dell’individuo, si ripetono tutti gli anni spese le quali per loro natura singola sono straordinarie ma negli anni successivi trovano la loro riproduzione in altre spese straordinarie le quali, rispondendo ad altra situazione, di per sé sono anch’esse straordinarie. Tutti gli anni nella vita dello Stato si riproducono situazioni che possono essere chiamate straordinarie, sicché la distinzione, a prima vista logica, nella realtà non corrisponde poi a quella che è la sostanza e sono le esigenze del bilancio dello Stato.

È molto difficile poter fare una distinzione esatta fra quelle che sono spese ordinarie e quelle che sono spese straordinarie. Noi oggi dobbiamo far fronte alle spese della ricostruzione per tutto ciò che è stato distrutto dalla guerra; ma quando l’impresa della ricostruzione sarà conclusa, dovremo fare ben altre cose e ci saranno ben altre imprese a cui lo Stato dovrà sobbarcarsi: ci saranno nuove ferrovie, nuove bonifiche, e mai finirà il periodo di spese straordinarie se si vorrà che lo Stato italiano, via via nel tempo, adempia ai suoi nuovi uffici. La vita è moto, è trasformazione, è lotta, e gli Stati non si sottraggono alla necessità continua del rinnovamento. Lo Stato stabile, vivo non è lo Stato immobile.

Tuttavia la distinzione è qualcosa che ricompare di tempo in tempo. Nel 1935, ad esempio, fu introdotta, sia pur soltanto nella «Nota preliminare al bilancio di previsione», una classificazione nuova che si chiamò delle «spese per esigenze eccezionali», In sostanza, essa però non ha un significato diverso di quello che potrebbe avere qualunque altra categoria di spese semplicemente straordinarie.

In sostanza, la esigenza della costruzione di un bilancio il quale accanto alle spese ed entrate ordinarie raffiguri anche distintamente le spese e le entrate straordinarie è una esigenza vecchia che oggi si chiama del «piano». In verità, quando si dice che si fanno delle spese straordinarie, si dice che si fanno delle spese le quali vanno al di là dell’anno, i cui effetti sono tali da potersi ripercuotere anche negli anni successivi, ossia si dice che si vuol fare un piano il quale vada al di là dell’esercizio finanziario. E questa non è soltanto una esigenza di oggi: è stata una esigenza di tutti i tempi, in quanto la distinzione del tempo in anni e in esercizi finanziari è una distinzione astratta ed artificiosa. Nulla ci dice che l’anno solare debba proprio finire al 31 dicembre; nulla ci dice che l’esercizio finanziario debba realmente finire al 30 giugno. Tutte le spese le quali sono state incominciate in un anno hanno addentellati con le spese degli anni precedenti. Distinguere il tempo in anni è un artificio della nostra mente, artificio necessario senza del quale non si potrebbe vivere e fare i conti. Ma ricordiamolo bene, è un artificio; e ricordiamo essere logica l’esigenza di fare previsioni che vadano al di là dell’anno finanziario. Quando noi sodisfiamo all’esigenza di fare previsioni le quali vadano al di là dell’esercizio finanziario, senz’altro abbiamo fatto un piano.

L’onorevole Ruini ha citato molti di questi piani, ha citato sopratutto i libri bianchi inglesi. Li ho qui sott’occhio. Questi libri bianchi inglesi si distinguono sostanzialmente in due tipi: ce n’è uno, che si potrebbe chiamare «di conoscenza» ed uno che si potrebbe chiamare «di attuazione»; si è ritenuto cioè necessario, per poter fare un piano, per poter sapere quanto lo Stato deve spendere, per poter sapere in che modo lo Stato deve intervenire nelle cose economiche e finanziarie, per poter sapere quali siano gli stimoli che lo Stato deve dare all’economia privata, si è ritenuto necessario, anzitutto, di conoscere i fatti. Questo è il libro bianco che si può chiamare «di conoscenza», che ha lo scopo di fornire la conoscenza dei fatti. E veramente quando noi lo apriamo abbiamo una impressione di grande sodisfazione, e questa sensazione sopratutto la riceve chi ha avuto per tutta la vita l’abitudine di guardare cifre e tabelle; sodisfazione poiché in queste pagine vediamo squadernate, non soltanto quelle che sono le entrate e le spese dello Stato, ma quelle che sono le entrate e le spese generali della nazione, cioè le entrate e le spese dei cittadini appartenenti alla Gran Bretagna. E non solo ciò noi vediamo, ma abbiamo una visione del modo con cui i cittadini privati ricevono e amministrano il loro reddito, del modo col quale essi distribuiscono il loro reddito, una visione di quello che è il loro risparmio, di quelle che sono le spese che si fanno all’estero o all’interno, di quelle che sono le importazioni e le esportazioni; cioè un bilancio complessivo delle entrate e delle spese di tutta la nazione; ed è sulla base di questa conoscenza che il governo inglese – come dirò poi in fine del mio discorso – ha costruito il suo piano di azione.

Avrei anch’io desiderato di presentare all’Assemblea un piano il quale corrispondesse o arieggiasse a questo libro bianco inglese, il quale ci dicesse cioè come i cittadini italiani vivono, quale è il loro reddito, in quali categorie sociali si dividono, quanti sono coloro che hanno un reddito da zero a centomila lire, quanti hanno un reddito da cento a cinquecento mila lire ecc., ma purtroppo noi dobbiamo riconoscere – e tutti coloro che si sono occupati di questo argomento debbono riconoscerlo – che, nonostante i tentativi fatti dagli studiosi italiani per progredire su questa linea, siamo ben lungi dal poter costruire un siffatto piano. Col tempo raggiungeremo la meta; gli sforzi di molti studiosi sono appunto indirizzati a questo scopo. Sforzi non incominciati da oggi, sforzi che risalgono ad epoche passate, sforzi già tentati da quegli iniziatori della statistica italiana che si chiamavano Maestri e Bodio, nomi che ancora oggi onorano la scienza statistica ed economica italiana, i cui studi furono proseguiti poi da altri. Ma questi sforzi si urtano contro difficoltà grandi. Non è agevole conoscere ciò che accade veramente, per poter trarre dalla conoscenza le illazioni necessarie affinché la nostra condotta non abbia luogo alla cieca e non sia basata soltanto su impressioni. Qualche cosa si sa, qualche indizio abbiamo sulla linea di azione che si intende percorrere, ma non sono dati sicuri e precisi come quelli che oggi sono apprestati per l’Inghilterra e che si conoscono anche per gli Stati Uniti; sono puri indizi, gli uni dagli altri disgiunti, che non formano una materia compatta e non ci permettono di avere una visione unitaria di ciò che è la società economica italiana.

Noi sappiamo, per esempio – è una notizia che ci era fornita prima dell’altra guerra dal professor Gini – che il reddito nazionale italiano poteva calcolarsi nel 1914 dai diciannove ai venti miliardi di lire nel complesso. E sappiamo anche, per le indagini compiute dal professor Vinci, che nel 1938 lo stesso reddito nazionale totale, ossia il reddito dei cittadini italiani sommati insieme poteva essere considerato uguale a 116-117 miliardi di lire; ossia, possiamo dire che erano stati necessari circa 24 anni affinché l’economia nazionale potesse ritornare alla vigilia dell’ultima guerra ad essere quella che era già nel 1914, perché i 116-117 miliardi del 1938 calcolati dal Vinci su per giù corrispondevano, come potenza d’acquisto, ai 19-20 miliardi calcolati per il 1914 dal Gini.

Dopo il 1938, non dico che ci sia il buio assoluto, ma c’è l’incertezza. All’incirca si sa che il reddito nazionale è diminuito; all’incirca si può intuire che se i prezzi fossero rimasti costanti, noi saremmo caduti da 116 miliardi di reddito nazionale – a prezzi 1938 – a circa 60-70, medesimamente a prezzi 1938, nel 1945.

Ma trattasi di cifre incerte dalle quali non è agevole trarre insegnamenti precisi. Statistici di grande nome hanno combattuto tra loro a lungo su queste cifre degli ultimi mesi e tutti voi sapete che le lotte tra gli studiosi sono lotte assai più cortesi – nella forma – delle lotte parlamentari ma sono, nel fondo, assai più acerbe delle lotte parlamentari e che, quando uno studioso dice ad un altro che ha commesso un errore, questa è un’offesa mortale che lo studioso cui il rimprovero è mosso non dimenticherà mai per tutta la vita, perché tutto si può perdonare, ma non l’accusa di avere commesso un errore di calcolo o un errore di ragionamento, accusa rivolta a chi dovrebbe conoscere il modo di calcolare e il modo di fare i ragionamenti.

Quindi, io non mi azzarderò a dire quello che sia il reddito nazionale attuale; dirò soltanto che esso è qualche cosa che è notevolmente minore in confronto a quello che era il reddito nazionale del 1938.

Qualche cosa di più si può dire a questo riguardo, ed è che il reddito nazionale, oltreché diminuito, si è anche contorto – e ciò ha un’importanza per la finanza pubblica – si è contorto, inquantoché alcuni redditi sono aumentati e altri sono diminuiti e la velocità della mutazione è stata tale che gli organi fiscali non hanno fatto in tempo a perseguire le variazioni.

Non bisogna, poi, fare agli organi della pubblica amministrazione rimproveri troppo acerbi, affermando che essi non sono stati in grado di accertare completamente i redditi. Essi, è vero, non sono stati in grado di accertare completamente i nuovi redditi, hanno conservato le cifre dei redditi antichi, le hanno moltiplicate con coefficienti empirici; ma l’impresa di tener dietro alle variazioni dei redditi che si sono verificate in questo tempo di variazioni monetarie è una impresa ardua e difficile, alla quale soltanto il tempo potrà consentire che le pubbliche amministrazioni possano sodisfare.

Per dare un’idea della variazione nella ripartizione dei redditi, osservo, ad esempio, che il reddito dominicale dei terreni si distingueva nel 1938 su per giù in queste grandi proporzioni: 40 per cento andava ai lavoratori, 30 per cento andava alle spese fatte fuori dell’azienda per acquisto di sementi, concimi chimici, macchine ecc., e il 30 per cento andava per la rimunerazione dei capitali investiti nella terra e nell’industria agraria. Sappiamo noi se oggi le proporzioni siano le stesse? Eppure, per avere una guida nel determinare una politica della imposta, noi abbiamo bisogno di conoscere quale sia oggi la ripartizione dei redditi derivanti dalla terra. L’amministrazione del catasto è forse una di quelle che ha tenuto meglio dietro alle variazioni dei redditi e non ho alcun dubbio che, nell’applicazione prossima dell’imposta patrimoniale, i valori che saranno attribuiti ai terreni terranno conto delle variazioni che si sono verificate nei redditi a seconda delle varie colture.

Citerò, a titolo di esempio, soltanto due colture: quella dei vigneti e quella dei seminativi. Si può calcolare che il reddito dominicale dei vigneti sia stato moltiplicato forse fino a cento, con punte di moltiplico persino di 166, là dove invece il reddito dei terreni seminativi si è moltiplicato in media solo per 20 e, in qualche caso, si è moltiplicato solo per 10.

Notizie, queste, frammentarie intorno alle variazioni del reddito; notizie che però ci sono di grande utilità, affinché l’amministrazione delle imposte sia equa nelle valutazioni, affinché l’imposta patrimoniale straordinaria riesca, per quanto è umanamente possibile, adeguata alle variazioni più recenti dei redditi.

Perché noi non possiamo costruire un Libro bianco di conoscenza come quello che ha costruito l’Inghilterra? Le ragioni sono varie. Innanzi tutto noi non abbiamo un censimento industriale recente e le cifre del censimento industriale del 1935-1940 non ci sono di soccorso rilevante per il calcolo di quelle che siano le spese di produzione e per il calcolo delle quote di ammortamento.

Se non si sa quali sono le spese di produzione, quali sono le quote di ammortamento, nelle varie industrie, come è possibile che si possa conoscere esattamente il reddito dei contribuenti? È necessario perciò che, se la pubblica finanza deve variare i suoi proventi in funzione delle variazioni dell’economia, è necessario, dicevo, che al più presto possibile si compiano censimenti non solo della popolazione, ma anche industriali ed agricoli; ed è necessario altresì che si perfezionino le statistiche che sono in corso – e che sono già tra le più perfezionale – sulla produzione agricola e sulle varie forme di attività inerenti alla terra. Ed è necessario anche che gli accertamenti compiuti a scopo fiscale siano accertamenti i quali tengano conto di tutto ciò che è necessario per la conoscenza del reddito.

Il libro bianco inglese dunque non avrebbe potuto essere pubblicato, non avrebbe potuto essere composto, se l’amministrazione finanziaria britannica non avesse tenuto una contabilità tecnicamente appropriata per le singole categorie di industrie, distintamente per ognuna delle spese di produzione. Poiché dunque questi dati esistono là e non esistono qui, non è possibile compilare per ora un nostro bilancio del reddito nazionale. Deve essere questo, tuttavia, un augurio che possiamo formulare per l’avvenire.

Un buon accertamento tributario è dunque il punto di partenza per una buona conoscenza dei redditi; ed è quindi il punto di partenza per una consapevole politica economica. Per ora noi sappiamo soltanto che i calcoli fatti in passato debbono essere adeguati tenendo conto di tutte le variazioni grandissime che si sono verificate nel prezzo dei diversi generi, così agricoli come industriali, variazioni le quali hanno avuto una grande influenza sulla distribuzione del reddito fra le varie classi sociali. Un competente corpo di accertatori tributari sarà forse l’aiuto maggiore che l’amministrazione finanziaria italiana potrà dare ai compilatori di un qualsiasi piano economico. Senza buoni accertamenti noi navigheremo sempre nel buio. Seguiteremo a sapere qualcosa intorno alla quantità ed alla distribuzione dei redditi derivanti dalla terra, poco e male intorno a quello degli altri redditi industriali, commerciali, professionali.

Una cosa possiamo riconoscere e non siamo solo noi a doverne tener conto. In tutti i paesi europei, a partire dall’inizio della guerra, quasi sempre quello che noi chiamiamo «reddito consumato» è stato superiore al reddito prodotto, al reddito guadagnato netto. Anche in Inghilterra, ancora quest’anno, il reddito nazionale consumato nel paese si accresce, per apporti stranieri, di circa 400 milioni di lire sterline in confronto al reddito prodotto nel paese stesso; ossia, anche l’Inghilterra vive in parte di apporti stranieri.

Noi dobbiamo porre a noi stessi la medesima domanda per l’Italia. E la risposta è degna di essere meditata. L’Italia nel 1946 può ritenersi abbia avuto un aiuto, o un concorso – se non vogliamo chiamarlo aiuto – al suo reddito, ossia ai consumi che gli italiani nel loro complesso hanno potuto fare, non inferiore a circa 800 milioni di dollari. Questi ottocento milioni di dollari, calcolando le merci di cui essi si compongono a prezzi eguali a quelli a cui si vendono i corrispondenti prodotti italiani, possono essere considerati uguali al 20 per cento di ciò che è stato consumato in Italia. La situazione del 1946 è stata questa: gli italiani sono vissuti per quattro quinti con la produzione nazionale, con quello che in Italia si è prodotto, e per un quinto con ciò che è stato importato dall’estero, senza che ci sia stata, nel medesimo periodo di tempo, una contropartita di pagamento. Non tutti questi 800 milioni di dollari furono, in verità, forniti gratuitamente: gratuiti furono i 380 milioni dell’U.N.R.R.A., gratuita qualche altra piccola partita; gli altri furono pagati prima o saranno pagati dopo. Si può asserire che durante l’anno 1946 questi 800 milioni di dollari sono venuti in Italia senza che gli italiani abbiano fatto uno sforzo corrispondente, abbiano pagato nello stesso tempo un prezzo, abbiano subito un sacrificio di lavoro corrispondente al valore dei beni introdotti e consumati nel paese. Da ciò la conclusione che nel 1946 la popolazione italiana è vissuta per quattro quinti su ciò che è stato prodotto nell’interno del paese e per un quinto su ciò che abbiamo ricevuto dall’estero.

Questa situazione non è certamente stabile, non è duratura. Non è immaginabile che un paese possa seguitare per sempre a vivere in parte su ciò che gli è dato, gratuitamente o con promessa di pagamento futuro, dall’estero. È una situazione la quale dovrà un certo giorno finire. Non potrà finire tanto presto. I dati della bilancia commerciale che sono stati ricordati da varie parti in quest’aula, ci dicono che non solo in questo anno 1947, ma anche per parecchi anni successivi la nostra bilancia dei pagamenti sarà deficitaria; e sarà deficitaria per una somma che a priori è impossibile calcolare, ma che non è possibile presumere possa scendere molto al di sotto dei 600 milioni di dollari all’anno. La traduzione dei 600 milioni di dollari in lire italiane varia a seconda delle ipotesi che si fanno intorno al saggio. A 500 lire per ogni dollaro, cambio medio attuale, trattasi di un apporto dell’ordine di grandezza di 300 miliardi di lire all’anno. Per qualche anno ancora, questa è la situazione della nostra economia; ossia, ancora per qualche anno sarà necessario che si trovino i modi di importare merci e di ottenere servizi dall’estero per una somma di circa 600 milioni di dollari. Non sarà più il quinto, non sarà più il 20 per cento, sarà augurabilmente meno del 20 per cento, sarà una percentuale minore. A mano a mano che la produzione italiana aumenterà, noi discenderemo al 15, al 10, finché nell’anno 1950 o 1951 (non voglio fare precise previsioni al riguardo) noi giungeremo al momento in cui i beni che importeremo dall’estero saranno interamente pagati con beni e servizi che avremo esportato all’estero. Sarà nel 1950, o nel 1951, o nel 1952, ma deve venire il tempo in cui gli italiani torneranno a vivere esclusivamente con i propri mezzi. Se fosse altrimenti, dovremmo confessare a noi stessi di non essere in grado di vivere col frutto del nostro lavoro e dei nostri risparmi passati. Un popolo intero, consapevole di sé, non può rassegnarsi a vivere, neppure in piccola parte, permanentemente di concorsi stranieri. Noi non vogliamo vivere di elemosina.

Certamente noi dobbiamo tenere oggi però dinanzi agli occhi questo stato di fatto indiscutibile: che la produzione totale italiana non è sufficiente a far vivere gli italiani con quel tenore di vita a cui essi sono arrivati oggi; non solo è insufficiente a migliorarne il tenore di vita; ma è altresì incapace a tenere fermo il tenore di vita attuale. Fa d’uopo ricorrere perciò a concorsi da parte dell’estero.

Né possiamo illuderci di poter rimediare alla necessità di ricorrere al credito estero restringendo le nostre importazioni. Non possiamo illuderci di far ciò inquantoché, se riducessimo le nostre importazioni, la riduzione dovrebbe cadere esclusivamente sulle materie prime industriali. Noi non possiamo invero in nessun caso fare a meno, con i mezzi che abbiamo, di importare il grano ed il carbone: di importare grano per far vivere la nostra popolazione e di importare carbone per far marciare la nostra industria, per non lasciare al buio le nostre città e al freddo gli abitanti. Se noi volessimo ridurre le nostre importazioni e il nostro indebitamento verso l’estero, la riduzione dovrebbe cadere sulle materie prime, ossia sulla possibilità di far marciare l’industria. Dovrebbe crescere quella disoccupazione che oggi si dice arrivi a 2 milioni di persone. Se vogliamo che la disoccupazione resti al massimo quella che è, e non cresca, bisogna tener fermo il punto che occorre non diminuire l’importazione delle materie prime. Non volendo e non potendo acconciarci alla diminuzione, il disavanzo nella bilancia dei pagamenti che oggi si stima di 600 milioni di dollari all’anno, e che speriamo possa andare diminuendo col crescere delle nostre esportazioni, quel divario non potrà essere colmato se non con crediti che ci siano forniti dall’estero. Ottener crediti dall’estero è una necessità assoluta della nostra situazione attuale! Potremo sperare che la situazione della bilancia dei pagamenti torni ad essere in equilibrio e magari, come accadde in altri tempi, torni a dare un saldo attivo. Fu tempo in cui l’Italia aveva nella bilancia dei pagamenti un saldo attivo e in cui l’Italia riuscì a rimborsare tutti i debiti contratti all’estero per la guerra d’indipendenza e per la costruzione del proprio assetto industriale. Noi, quando ci siamo formati a nazione, avevamo dovuto ricorrere a prestiti che ci furono concessi dalla Svizzera, dalla Francia, dall’Inghilterra, ma tutti questi prestiti noi li avevamo rimborsati fino all’ultimo centesimo nel 1914 e tutti i titoli (salvo una piccolissima quantità) emessi all’estero erano stati ricomprati dagli italiani. Il che voleva dire che l’Italia aveva una bilancia dei pagamenti attiva, la quale consentiva di rimborsare i debiti precedentemente contratti, e contratti per la causa sacrosanta dell’unificazione italiana! Dal 1914 in poi gli avvenimenti sono stati troppo colossali per poter di nuovo aspirare subito, nell’intervallo di due guerre, a rimborsare i debiti contratti durante la prima guerra mondiale. Se lo tentammo, lo tentammo invano: e fu pura apparenza. Dirò qualche cifra, rapidamente, su questo tentativo.

Nel 1914 i tre banchi di emissione – erano allora tre – avevano una riserva totale in oro effettivo, più il valore in oro delle valute auree possedute, di 463,2 tonnellate. A poco a poco noi aumentammo queste tonnellate d’oro a 958,7 tonnellate nel 1927 (360,1 tonnellate in oro effettivo e 598,6 in valute equiparate all’oro), epoca della cosiddetta stabilizzazione; epoca nella quale si volle fissare la quota 90, quota che era squilibrata in rapporto al livello interno dei prezzi ed alla situazione economica italiana. Dovemmo contrarre debiti per poter importare tutto quest’oro e queste divise e per poter dire che gli istituti di emissione italiani possedevano quasi 1000 tonnellate d’oro. Fu pura illusione, perché a poco a poco quell’oro, così come era venuto in Italia con prestiti, se ne ritornò all’estero. Nel 1935, a furia di quote di ammortamento e di rimborso prestiti, le tonnellate d’oro erano ridotte a 268,8. Avevano cominciato a ridursi le divise equiparate a 29,1 tonnellate; ma anche l’oro effettivo si era ridotto a 259,7 tonnellate. Alla fine del 1943, in conseguenza delle spese della guerra etiopica e di Spagna, le tonnellate si erano ridotte a 104,6. Così, quando vennero i tedeschi e ci portarono via quello che ci rimaneva, essi portarono via la minor parte dell’oro che ci eravamo illusi di avere nel 1927. Ci eravamo illusi, dico. Sarebbe stato molto meglio che non ci fossimo montati la testa e che non avessimo mai posseduto quella quantità d’oro per avere la quale avevamo dovuto contrarre debiti. Forse ne avremmo avuto di più. Non so se sarebbe stato meglio o peggio. Se la rimanenza fosse stata maggiore, i tedeschi ce ne avrebbero forse portato via una quantità maggiore, ma oggi avremmo anche la speranza che invece delle 24 tonnellate che ci sono state restituite sulle 104 portate via dai tedeschi, ne avremmo avuto, in restituzione sul mal tolto, una massa maggiore.

Ho citato l’esempio per ribadire il concetto che la bilancia dei pagamenti non è tale da poterci far illudere di ricostituire rapidamente quella che è l’indice esteriore della ricchezza di un paese, cioè la riserva aurea. Ricostituire la riserva aurea è una delle nostre aspirazioni; ma non la dobbiamo sodisfare artificialmente, dovremo ancora lavorare a lungo, dovremo innanzi tutto ristabilire la nostra bilancia dei pagamenti, dovremo far sì che la bilancia sia in equilibrio. Ci arriveremo fra qualche anno: ci arriveremo nel 1950, nel 1951 o nel 1952? Quando ci saremo arrivati, saremo anche arrivati a non vivere più sull’apporto dell’estero, saremo arrivati a far sì che tutti i cittadini italiani possano dire: noi viviamo su ciò che produciamo in Italia o che mandiamo all’estero in cambio di altri prodotti che dall’estero ci vengono.

In quel momento potremo proporci anche di ricostituire la nostra riserva aurea. Fino a quel momento il ricorso ai crediti esteri sarà necessario per soddisfare alle necessità della vita. Il paese, che è il solo in questo momento, come fu ricordato parecchie volte in questa aula, a poterci fornire credito, è non solo desideroso ma convinto di doverlo fornire per ragioni le quali io voglio ripetere qui con le parole del segretario agli esteri degli Stati Uniti signor Marshall. In un discorso tenuto all’università di Harvard (Cambridge, Mass.) negli Stati Uniti il signor Marshall così espresse le ragioni della necessità assoluta per la quale gli Stati Uniti devono venire in soccorso dell’Europa (sono ragioni le quali stanno nella trasformazione che si è verificata nell’economia degli Stati Uniti e nell’economia europea):

«Anche il contadino degli Stati Uniti ha sempre prodotto le materie alimentari che egli deve scambiare con gli abitanti della città per ottenere da questi le altre cose che a lui sono necessarie. La divisione del lavoro è la base della moderna civiltà. Oggi però il principio dello scambio fra la campagna e la città è minacciato di rottura. Le industrie della città non producono oggi beni in quantità adeguata per poterli scambiare con il contadino il quale produce derrate alimentari. Le materie prime ed i combustibili sono prodotti in quantità scarsa; il macchinario manca od è in molti paesi logoro. Il contadino non può quindi trovare sul mercato i beni che egli desidera di acquistare; cosicché per lui il vendere i suoi prodotti costituisce un affare che non è profittevole.

«Perciò il contadino (non solo italiano ma degli Stati Uniti ed anche di molti altri paesi del mondo: Marshall parla in generale) ha sottratto molti campi alla coltivazione a cereali e li usa soltanto per pascolo. Egli ne ha abbastanza dei cereali che produce per alimentare sé stesso, la sua famiglia ed il suo bestiame; e non è interessato a venderli perché non ottiene abbastanza vestiti od altre cose a lui necessarie.

«Frattanto gli abitanti della città mancano di cibo e di combustibili, cosicché i governi sono costretti ad usare il credito che essi possono avere all’estero per comperare le derrate alimentari di cui hanno bisogno. Questo sistema per cui i governi sono costretti a consumare le loro riserve per procacciarsi dall’estero ciò che il contadino non può comperare esaurisce i fondi di cui i governi hanno bisogno per la ricostruzione: cosicché nel mondo è sorta una situazione grave la quale non promette nulla di buono. Il sistema moderno di divisione del lavoro su cui è basato lo scambio dei prodotti minaccia di rompersi. La verità fondamentale che sta in fondo a tutto ciò è che i bisogni dell’Europa per i prossimi 3 o 4 anni (bisogni di materie alimentari e di altre cose necessarie da ottenersi principalmente dall’America) sono tanto maggiori della capacità degli europei a pagare, che l’Europa è in necessità assoluta di ottenere aiuti addizionali se non vuole andare incontro ad un abbassamento economico, sociale e politico molto grave».

Questa è la condizione di cose descritta da Marshall e che ci fa persuadere sia nell’interesse di tutti in Europa ed in America di riunire insieme gli sforzi affinché l’America dando crediti e l’Europa riavendo crediti possano superare il presente periodo di transizione, un periodo che potrà durare tre – quattro – cinque anni, sicché l’economia europea possa non solo conservare il presente tenore di vita ma anche migliorarlo, senza ricorrere ad aiuti, pagando i beni di cui essa avrà all’uopo bisogno.

La necessità di ottenere credito per un certo spazio di tempo fa parte di quel piano, che tutti i paesi devono costruire. Anche noi dobbiamo conoscere l’entità del credito, di cui avremo bisogno, allo scopo di dimostrare a chi ci dovrà fornire credito la nostra attitudine a ridiventare economicamente indipendenti. Nessuno è disposto a far credito in perpetuo ed altri, se non vi sia la speranza che questi possa più o meno presto stare in piedi per conto proprio senza ricorrere al braccio altrui. Il bisogno di indipendenza del debitore non è particolare a questi; è comune a lui ed al creditore.

Parte essenziale del programma di indipendenza, che noi dobbiamo avere, è l’equilibrio del bilancio.

Io non sono d’accordo nel ritenere che l’equilibrio del bilancio si sia già attenuto e non presenti ancora oggi delle incognite assai gravi. Ho ascoltato con molta attenzione le argomentazioni dell’onorevole Scoccimarro che del resto conoscevo già, perché ne avevamo fatto oggetto di colloquio. Le sue argomentazioni sono esatte ad una condizione: che le previsioni che si fanno oggi siano quelle stesse che si potranno fare domani. Se poi potessimo supporre che nella realtà, la spesa per il 1947-1948 sarà di 832 miliardi di lire e l’entrata di lire 521 miliardi; se dovessimo soltanto tener conto del fatto, di cui si può essere sicuri, che, per l’incremento delle entrate ordinarie e per il provento dell’imposta straordinaria patrimoniale proporzionale, le entrate aumenteranno, come aumenteranno sicuramente nel 1947-1948, al di là dei 600 miliardi di lire, mentre nel frattempo le spese rimarranno invariate in 832 miliardi di lire, direi anch’io che la situazione del bilancio italiano è buona e non presenta nessun grave problema nel momento attuale. Un disavanzo limitato a 230 miliardi di lire all’anno potrebbe essere coperto, non dico neppure dall’accensione di debiti all’interno e cioè dal ricorso al mercato italiano per emissione di prestiti, di buoni del tesoro e di altri mezzi di tesoreria; ma semplicemente con la vendita, a prezzo di mercato interno, dei beni che gli Stati Uniti vorranno fornirci coi loro crediti. Se gli Stati Uniti anticiperanno, supponiamo, 600 milioni di dollari nel 1948, ciò vuol dire che essi così ci daranno il mezzo di fornirci di beni comprati all’estero. Quei beni dovranno essere venduti in Italia, a profitto del tesoro italiano; e questo ne ricaverà tanto da coprire il suo disavanzo. Infatti 600 milioni di dollari, al cambio medio, fra quello di esportazione ed ufficiale, di circa 500 lire, corrispondono precisamente a circa 300 miliardi di lire italiane, che è proprio la cifra di cui noi abbiamo bisogno all’ingrosso per colmare il nostro disavanzo. Un problema del bilancio italiano non sussisterebbe se la cifra della spesa rimanesse costante in 832 miliardi di lire e se le cifre delle entrate aumentassero come sono sicuro che aumenteranno, come aveva previsto l’onorevole Scoccimarro, al di là dei 600 miliardi di lire. Ma io devo fare subito una riserva alla suadente ottimistica deduzione; e la riserva è suggerita dall’esperienza del passato, esperienza del passato che, se anche non vogliamo imitare, dobbiamo però tenere d’occhio. La esperienza del passato ci fa dire che un problema del bilancio esiste, esiste anche solo nel proposito di tener ferma la cifra di 832 e sia pure 850 od anche 900 (le variazioni piccole non sono quelle che importano per la soluzione del problema). Per fare vedere come il problema esista, ricorderò le cifre dei due esercizi precedenti. Le cifre del 1945-1946 non hanno un grande rilievo, in quanto quello è stato un anno finanziario in cui si sono verificate troppe variazioni nel territorio soggetto all’amministrazione italiana, perché se ne possano trarre illazioni plausibili. Eravamo partiti da una previsione di 114 miliardi di lire: previsione iniziale. Ma le previsioni successive fatte nei singoli mesi successivi crebbero a poco a poco come segue: luglio 150 (da 114 eravamo saliti a 150), agosto 180, settembre 230, ottobre 290, novembre 330, dicembre 350, gennaio 420, febbraio 430, marzo 440, aprile 460, maggio 485, giugno 501. Cosicché le previsioni di spese le quali si erano iniziate con 114 miliardi di lire, all’ultimo momento erano salite a 501 miliardi di lire.

Dico che sull’esercizio 1945-1946 non mi soffermo, poiché, contemporaneamente alle variazioni delle spese, variano molte altre circostanze per cui potrebbe darsi (essendo sempre difficile, fra tante cause che producono un fatto, estrarre quella che è la vera causa) che la sola estensione di territorio nazionale soggetto all’amministrazione italiana abbia prodotto questa variazione. Ma l’esercizio 1946-1947 non soffre più di questa riserva. Ecco ora le previsioni successive: previsione iniziale 341, previsione di luglio 576, di agosto 600, di settembre 660, di ottobre 720, di novembre 745, del dicembre 806, del gennaio (1947) 890, del febbraio 896. A questo punto la progressione nell’ascesa delle previsioni della spesa diventa molto più lenta. Non dico che si arresti; ma è certo che durante l’amministrazione dell’onorevole Campilli, l’ascesa è più lenta; dal gennaio di 890, si passa al febbraio con 896, al marzo con 908, all’aprile con 920, al maggio con 932. In complesso le previsioni di spese che si erano iniziate, prima che l’esercizio cominciasse, con 341 miliardi, arrivati alla fine dell’esercizio, avevano finito per dover essere calcolate in 932 miliardi di lire.

Quale è dunque lo sforzo che noi dobbiamo fare? Lo sforzo che noi dobbiamo fare è quello di cercare di far sì che le previsioni di spese iniziali che oggi sono calcolate in 832 miliardi di lire si fermino lì o, se dovranno aumentare, aumentino in proporzioni le quali siano in cifra assoluta non superiori all’aumento delle entrate, cosicché se spese maggiori dovessero farsi, l’incremento della spesa non superi l’incremento delle entrate. Soltanto a questa condizione noi potremo dire che il problema del bilancio dello Stato italiano, se non risoluto, non è un problema il quale presenti difficoltà insormontabili. Ma la difficoltà, ripeto, lo voglio dichiarare solennemente dinanzi all’Assemblea, la difficoltà sta nell’impedire che le previsioni di spesa crescano al di là di quelle iniziali più di quanto non cresceranno gli accertamenti di entrate in confronto alle previsioni di entrate fatte al principio dell’esercizio. Per ottenere questo risultato non sarà inutile lo sforzo non solo di tutti i colleghi del ministero, ma pur quello di tutti i colleghi dell’Assemblea, i quali dovranno cercare di aiutare colui il quale deve sobbarcarsi alla fatica di trattenere l’incremento delle spese, dovranno aiutare colui che ha questo ufficio col non presentare domande di aumento di spese. Anche le minime domande di aumento di spese, anche le domande che apparentemente appaiono più urgenti e più necessarie, sono domande che possono turbare un equilibrio il quale potrà essere faticosamente ottenuto soltanto se tutti i nostri sforzi ed i vostri saranno indirizzati a questo scopo. (Applausi).

Fra i pericoli ai quali noi andiamo incontro nello sforzarci di mantenere l’equilibrio parziale che oggi, nelle previsioni, si è ottenuto, vorrei ricordarne soltanto uno, che sta nella inevitabilità di impostare nuove spese in conseguenza di spese già deliberate.

Vi è una disposizione la quale per i pubblici appalti ha stabilito la regola della revisione dei prezzi. Gli appalti pubblici non sono più fatti per cifre certe, assolute. Essi portano tutti una clausola che si chiama «della revisione dei prezzi», secondo regole in base alle quali, variando i salari, variando i prezzi del ferro e del cemento, variando altri coefficienti di costo, variano anche gli importi da pagare agli appaltatori.

Orbene, è stato calcolato che soltanto per gli appalti del Ministero dei lavori pubblici le revisioni di prezzi relative ad appalti già concessi potranno importare una spesa fino a 150-200 miliardi di lire. È una previsione soltanto. La previsione è probabile che non sia seguita totalmente dai fatti, poiché non tutti gli appalti sono stati eseguiti o saranno eseguiti nell’esercizio che sta per chiudersi, non tutti gli appalti daranno luogo a revisioni di prezzi e non tutte le richieste degli appaltatori saranno accolte. È assai probabile che la clausola importi un incremento ulteriore delle impostazioni di spesa, oltre ai 932 miliardi previsti a tutto il mese di giugno, minore dei ricordati 150-200 miliardi di lire. Il rischio derivante della clausola della revisione dei prezzi dobbiamo tuttavia pur sempre averlo dinnanzi agli occhi. Si imposta una certa cifra per i lavori pubblici e poi la cifra impostata deve essere necessariamente variata in conseguenza di una clausola contrattuale conforme a legge; clausola, che in tempo di grandi imprevedibili variazioni di prezzi, è inevitabile, se non si vuole allontanare dagli appalti gli appaltatori solidi ed onesti.

Finché la legge esiste è difficile mutare la clausola e finché la lira non sia stabilizzata pare difficile sottrarsi alla eventualità di incremento di spese per revisione di prezzi. Pur passando sopra ad altre possibilità di incremento di spese che possono verificarsi, credo mi sarà consentito di affermare che tutta la vigilanza nostra e vostra sarà necessaria affinché le spese siano contenute in modo tale da non dar luogo a pericolo per la pubblica finanza.

Il problema del pubblico bilancio non è dunque ancora risoluto; e, non essendo ancora risoluto, è necessario che i contribuenti italiani, pure con quelle cautele e con quelle eventuali modificazioni che l’Assemblea vorrà deliberare, comprendano la necessità degli incrementi di imposta.

Questi incrementi di entrate, a primo aspetto, non paiono possibili, perché la pressione tributaria nominale è arrivata a un punto tale da rasentare l’assurdo. Noi possiamo dire, anticipando le conclusioni a cui arriveranno gli statistici italiani i quali compileranno il futuro libro bianco di conoscenza, noi possiamo dire che la pressione tributaria italiana è tale che, se le leggi fossero osservate, più del cento per cento del reddito nazionale dovrebbe essere assorbito dalle imposte. Le cifre che addurrò sono calcolate sulla base della legislazione vigente nel momento attuale, senza tener conto dei provvedimenti che si trovano attualmente dinnanzi alla Assemblea od alle sue commissioni. Le cifre includono, come si deve, le imposte erariali, le sovraimposte comunali e provinciali, le varie addizionali minori e gli aggi esattoriali medi. Tenendo conto soltanto di un gruppo di imposte che, come ha rilevato l’onorevole Dugoni e come dirò subito anch’io, rappresenta soltanto una parte della pressione tributaria italiana, tenendo conto cioè solo delle imposte reali sui terreni, sui redditi agrari, sui fabbricati, e sui redditi di ricchezza mobile, dell’imposta complementare sui redditi e di quella ordinaria patrimoniale, vale a dire, di quella del 0,40 per cento sul patrimonio; tenendo conto soltanto di queste imposte, i contribuenti, percettori di redditi fondiari, avrebbero dovuto pagare sul loro reddito una percentuale la quale partiva da un minimo del 43,4 per cento per i redditi di 20.000 lire all’anno, ed andava al 47 per cento per i redditi di 500.000, al 49,1 per i redditi di 1 milione, ed arrivava fino ad un’aliquota del 68,5 per cento del reddito per i redditi di 10.000.000 di lire. Anche la minima aliquota, quella del 43,4 per cento per i redditi di 20.000 lire all’anno – non so davvero cosa possa significare ora un reddito, se fosse attuale, di 20.000 lire all’anno –, è un’aliquota enorme.

I redditi agrarî sono assoggettati, nel loro complesso, ad un’imposta che va dal 30 per cento per redditi di 20.000 lire, ad un massimo di aliquota del 38,6 per cento per redditi di 1.000.000 di lire.

I redditi dei fabbricati sono assoggettati ad una imposta complessiva dal 52,1 per cento per i redditi di 20.000 lire all’anno, fino al 57 per cento per i redditi di un milione.

I redditi di capitale puro (interessi di mutui, tassati in categoria A della ricchezza mobile) vanno fra questi due estremi: dal 43,4 al 49,1 per cento; i redditi degli industriali e commercianti (categoria B) vanno dal 39,7 al 49,1 per cento; i redditi dei professionisti (categoria C 1) vanno dal 17,7 al 32,2 per cento; quelli degli impiegati (categoria C 2) incominciano ad essere tassati da 100.000 lire in su col 4 per cento, per arrivare, per i redditi di un milione, al 21 per cento.

Dico che queste aliquote sono assurde, comprendendo esse soltanto il 17 per cento delle imposte esatte nel nostro paese. Rimangono fuori da queste aliquote, pur così alte, tutte le altre imposte, che pure giungono all’83 per cento del totale gettito tributario; ossia rimangono fuori tutte le imposte sugli utili di guerra, di regime, di contingenza; rimangono fuori le imposte sulle patenti, sui dividendi, le imposte di famiglia, le imposte sui consumi non necessari, l’imposta sul bestiame e quella sulle fognature. Prestano fuori sovratutto le tasse sugli affari e sulle successioni, le imposte sulla dogana e sui consumi e le imposte di monopolio. Di che cosa dovrebbe vivere il contribuente italiano se, su questa base delle aliquote legali, egli dovesse sul serio più del cento per cento del suo reddito allo Stato?

Evidentemente, abbiamo un sistema tributario il quale è basato sull’assurdo. L’assurdo in che cosa consiste? Consiste nella acquiescenza da parte dell’amministrazione ad accertamenti i quali non corrispondono alla realtà. Se gli accertamenti corrispondessero alla realtà, tutte le imposte esistenti, senza tener conto dell’imposta patrimoniale straordinaria, proporzionale e progressiva, tutte queste imposte ucciderebbero il contribuente e lo costringerebbero a morire di fame. È necessario che le aliquote siano ridotte a livelli umanamente sopportabili e che i contribuenti si adattino in compenso a pagare imposte maggiori collaborando con l’amministrazione finanziaria nella grande intrapresa che dovrà essere compiuta negli anni prossimi e che è quella di aggiornare gli accertamenti delle imposte ordinarie, base di qualunque buon sistema finanziario.

Oggi – ripeterò cose già accennate dall’onorevole Dugoni, ma le ripeterò sulla base dei dati più recenti che mi son potuto procurare – oggi certamente il sistema tributario italiano non è equilibrato e le imposte sui redditi e sulla ricchezza non giungono a quell’altezza alla quale dovrebbero arrivare. Attualmente, che cosa è accaduto? È accaduto che mentre nel 1938-1939 le imposte dirette sui redditi davano il 22 e mezzo per cento del prodotto totale di tutte le imposte, nel primo trimestre di quest’anno hanno dato solo il 10,6 per cento, e nei mesi di aprile e maggio hanno dato il 17 per cento.

Il quadro non sarebbe corretto se non tenesse conto del gettito delle tasse sugli affari che, ad esclusione della tassa sull’entrata, sono praticamente altresì imposte sulla ricchezza: la tassa di registro, la tassa di bollo e le due imposte sulle successioni. Queste imposte, dette tasse sugli affari nella nostra terminologia, sono imposte che colpiscono reddito e capitale nelle trasformazioni e nei passaggi che il reddito o il capitale subisce. Se noi aggiungiamo alle percentuali delle imposte dirette anche quelle delle tasse sugli affari, ad esclusione della tassa sull’entrata, la quale è invece, nonostante il nome, una vera e propria imposta sui consumi, dobbiamo dire che mentre nel 1938-1939 il gettito delle imposte sui redditi e delle tasse sugli affari giungeva fino al 35,8 per cento, nel primo trimestre di quest’anno giungeva soltanto al 26 per cento e nei mesi di aprile e maggio di quest’anno al 30 per cento.

Questa è la ragione fondamentale per la quale io ritengo che i contribuenti si debbano rassegnare – con quelle attenuazioni e discriminazioni eventuali che l’Assemblea vorrà deliberare – al pagamento delle due imposte proporzionale e progressiva sul patrimonio. Ho sempre detto e sostenuto che le imposte straordinarie sono mezzi di fortuna di paesi poveri, di paesi i quali non hanno un sistema tributario nel quale gli accertamenti seguano la realtà, di paesi nei quali non si può fare affidamento sulle vere e fondamentali imposte sui contribuenti, che sono le imposte che colpiscono i redditi ed il reddito. Le imposte patrimoniali sono, tale è la mia radicata convinzione, una edizione peggiorata delle imposte sui redditi e sul reddito; una edizione peggiorata in quanto si ha l’impressione che con esse si riesca a scoprire una fonte di imposizione che non era tassata prima. Il concetto della imposta patrimoniale riposa sull’idea sbagliata che esista – salvo casi rarissimi e trascurabili – un patrimonio il quale non abbia la sua corrispondenza in un reddito.

Reddito e patrimonio non sono due cose distinte, ma sono la medesima cosa guardata da due angoli diversi. Se noi tassiamo un reddito di 5 lire con una lira, e lo riduciamo permanentemente a 4, nel medesimo istante noi riduciamo anche il capitale corrispondente da 100 a 80. Se noi invece colpiamo il patrimonio, e lo riduciamo da 100 ad 80, noi riduciamo nel tempo stesso permanentemente il reddito da 5 a 4 lire, e quindi tassiamo anche il reddito. È una pura ragione di convenienza la scelta fra la tassazione del patrimonio o del capitale e la tassazione del reddito. Quando si tassa l’uno si tassa necessariamente anche l’altro.

Noi ci troviamo oggi nella necessità di dovere aumentare le entrate nel complesso e di aumentare la proporzione che nel gettito totale ha il gettito di quel gruppo di imposte che colpisce direttamente il reddito e la ricchezza. A causa di queste due necessità, una di bilancio (aumento del gettito tributario nel suo complesso) e l’altra sociale, di perequazione sociale (aumento della quota che nel gettito totale spetta ai tributi sul reddito in confronto ai tributi sui consumi) noi dobbiamo chiedere oggi ai contribuenti il sacrificio del pagamento delle due patrimoniali. Il sacrificio sarà doloroso; ma è sacrificio necessario dovendosi aumentare il gettito delle imposte le quali colpiscono reddito e ricchezza nel loro complesso.

Oggi è necessario riparare alla sperequazione che esiste tra le diverse categorie di imposte. Oggi (e prendiamo i due ultimi mesi per non citare troppe cifre) noi abbiamo che le imposte dirette e le tasse sugli affari che colpiscono la ricchezza danno il 30 per cento del reddito di tutte le imposte; la tassa sull’entrata – che in realtà è una imposta bella e buona sui consumi – dà il 30,5 per cento; le dogane il 17,5 per cento ed i monopoli il 19,6 per cento. Il resto, per arrivare a 100, è dato dalle entrate minori. In sostanza, il sistema tributario è sperequato: i consumi hanno pagato all’incirca nei due mesi passati il 70 per cento, ed il reddito e la ricchezza, invece, il 30 per cento.

È necessario, con le due imposte straordinarie, restaurare l’equilibrio tra le diverse imposte ritornando a quella che in passato era ritenuta dai finanzieri una massima di giustizia tributaria, intendendosi per giustizia la corrispondenza approssimativa da una parte alle esigenze della finanza, la quale non può rinunciare in nessun paese alle imposte sui consumi a larga base, e dall’altra parte ai sentimenti radicati negli uomini di tassare i contribuenti secondo i redditi, indice della loro capacità contributiva. La massima è empirica, non ha base razionale, ma era accettata universalmente dai finanzieri: dovere i due gruppi d’imposte sui redditi e sui consumi provvedere egualmente al sopperimento delle spese pubbliche, 50 per cento l’uno e 50 per cento l’altro.

Naturalmente, anche le imposte sui consumi dovranno sempre meglio essere organizzate in modo che paghino quei consumi i quali non sono strettamente necessari alla esistenza, consumi tipo tabacco, imposta principe sui consumi, la quale non colpisce un consumo che sia necessario alla vita fisica: consumo che può essere diventato per molti uomini indispensabile, ma non si può dire che sia necessario alla vita fisica dell’uomo ed al suo benessere materiale e morale.

Durante il periodo di transizione attraverso il quale noi passiamo e durante il quale noi dobbiamo ancora ricorrere ai soccorsi dell’estero, noi dobbiamo con le due imposte patrimoniali sopperire alla deficienza del gruppo delle imposte sui redditi e sui trasferimenti della ricchezza e, nel tempo stesso, perfezionare le imposte ordinarie nella loro incidenza, così che si possa ben dire, alla fine di esso, che ambo le imposte sui redditi e sui consumi corrispondono a quelli che il sentimento generale considera postulati della giustizia tributaria.

Nel periodo di transizione l’opera della amministrazione dovrà sopra tutto essere rivolta – e il mio collega delle finanze me ne dà pieno affidamento – a perfezionare gli organi amministrativi per l’accertamento dei redditi soggetti alle imposte normali.

È su questa via regia che ci dobbiamo incamminare, così che il giorno in cui le imposte straordinarie patrimoniali cesseranno di esistere, in quel giorno le imposte ordinarie sui redditi – sia quelle reali sia quella progressiva complementare – diano ciò che verrà a mancare per il cessare del gettito delle imposte straordinarie, così che anche allora la percentuale empirica del 50 e 50 per cento possa seguitare ad essere osservata.

In questo frattempo la finanza straordinaria è impegno del governo, impegno preso dal ministero precedente, di rivedere tutto ciò che può esserci di mancante nel sistema tributario, allo scopo di tassare quegli incrementi di reddito o quegli incrementi di valore che si sono pronunciati o che si sono accentuati negli ultimi anni.

È allo studio, e sarà questo studio finito nel più breve tempo possibile, il progetto relativo alle cosiddette rivalutazioni. Lo scopo essenziale della tassazione connessa con le rivalutazioni è quello di cercare di scoprire e di tassare le rivalutazioni le quali diano a coloro che le ricevono un vero ed effettivo incremento di ricchezza.

In questa materia complicata assai e che ha dato luogo in passato a discussioni approfondite, in questa materia oscilliamo tra la necessità di non tassare quelli che sono soltanto arricchimenti nominali e non effettivi che non accrescono affatto la ricchezza dei contribuenti, e la necessità invece di tassare quelli che sono gli arricchimenti effettivi, sia di enti come di persone. Questo è il problema che si tratta di risolvere, questo è il problema sul quale saranno presentate proposte alla Assemblea Costituente. Frattanto l’amministrazione già si adopera per tassare quelli che sono chiamati, secondo la legislazione già vigente, utili di contingenza, utili già tassati all’ottanta per cento e per cui sono già in corso accertamenti e riscossioni per quanto si riferisce alle maggiorazioni di prezzi legali sulle giacenze di merci, o ad altre cause eccezionali.

A proposito delle due imposte patrimoniali, o meglio dell’imposta progressiva patrimoniale, è stata in quest’aula di nuovo sollevata la questione del cambio dei biglietti. Debbo qui esprimere apertamente, perché non vi siano incertezze nel paese, la mia opinione contraria al cambio dei biglietti.

Debbo, restringendo il mio discorso agli interessi del bilancio, affermare che il mio parere è nettamente contrario al cambio dei biglietti. Non è questione di conoscere quale sia la quantità dei biglietti che sia stata in qualche modo distrutta a cagione di avvenimenti di guerra, di bombardamenti e via dicendo: sarebbe questa una mera curiosità statistica che, per quanto la statistica a me piaccia assai, credo non valga la pena di sodisfare, quando, per sodisfarla, si debbano spendere miliardi.

SCOCCIMARRO. Non è per questo che si voleva fare il cambio della moneta.

EINAUDI, Ministro del bilancio. Non è per questo, lo so: è per altri scopi, ma, siccome in quest’Aula è stato detto che era necessario conoscere la entità di biglietti che sono andati distrutti, io dico che se ne può fare a meno, perché quei biglietti non ricompariranno mai alla luce e non esercitano oggi né potranno esercitare mai nel futuro alcuna influenza sui prezzi.

Ciò di cui mi preoccupo oggi è di sapere se il provvedimento sarebbe o meno di qualche vantaggio per il bilancio. Ora, io, posto innanzi ad una relazione in data 6 febbraio del corrente anno compilata da una Commissione competente, nella quale si dichiarava a titolo puramente indicativo una cifra di spesa non per il cambio dei biglietti propriamente detto, ma per la semplice stampigliatura, che è un’operazione di minor costo, di ben quindici miliardi di lire, sono rimasto alquanto perplesso.

Certo, può essere che vi sia chi crede che questa cifra sia esagerata; io, per abitudine, quando mi si presenta un preventivo di spesa, lo accetto, sì, dopo averlo studiato, ma lascio sempre un certo margine nella mia mente per un presunto aumento. La speranza della diminuzione non può certo essere esclusa; ma sembra debba prudentemente essere considerata di minor peso della probabilità di un aumento. Nell’incertezza accettiamo il dato dei 15 od anche di un numero maggiore o minore di miliardi come la parte passiva dell’operazione. Orbene, quali sono le attività che il bilancio si può ripromettere dal cambio della moneta? Due vie io vedo possibili: che si applichi il sistema dell’imposta progressiva patrimoniale, ovvero che si applichi il sistema dell’imposta proporzionale. Non c’è altra ipotesi possibile.

Se si applica il sistema dell’imposta progressiva patrimoniale, i dati sono questi: circolazione: ultima cifra conosciuta, al 20 maggio: 544 miliardi di lire; sono da dedurre da questa cifra i biglietti distrutti, che sono un profitto del tesoro già in essere e su cui non dobbiamo tornare sopra; inoltre le giacenze che non appartengono a privati, che non fanno parte della fortuna privata, la sola tassabile da un’imposta progressiva patrimoniale la quale ha come suo concetto fondamentale la tassazione progressiva di coloro che hanno una fortuna superiore ad un certo livello, ad esempio, oggi, a tre milioni di lire. Quindi, tutte le giacenze di cassa, tutti i fondi di società, di enti morali, i quali non sono soggetti ad imposta, non devono essere tenuti in conto. Io non so quali siano queste detrazioni, che nessuno ha mai calcolato con esattezza, so soltanto che per altri scopi, puramente scientifici, il professore Gini nel 1925 aveva calcolato che sulla circolazione di allora soltanto il 31 per cento fosse in mano dei privati; il resto della circolazione era in mano di enti, di banche; costituiva, quindi, una materia la quale non era materia imponibile per l’imposta progressiva patrimoniale.

Io voglio ammettere che l’ipotesi fatta per ragioni scientifiche dal Gini, pur essendo fondata su dati plausibili, possa considerarsi, ai fini attuali, troppo tenue; voglio immaginare che in mano dei privati, invece del 31 per cento, si trovi il 50, si trovi anche il 60 per cento. Al 60 per cento sono circa 320 miliardi che noi potremmo assumere come circolazione soggetta a tassazione. Quale il quoziente per abitante? Circa settemila lire a testa. Vuol dire che in media la circolazione tassabile ammonta a 7.000 lire a testa. Nel Belgio si fece un’esperienza interessante in proposito: tutti i cittadini belgi ebbero, al momento del cambio, diritto di chiedere il cambio di 5.900 franchi belgi; somma non molto diversa dal medio quoziente attuale italiano. Non accadde che vi fosse un belga, per quanto vecchio, centenario anche, o per quanto appena nato, fantolino nelle braccia della nutrice, che non avesse i suoi 5.900 franchi. Io non credo che gli italiani siano persone meno accorte, in media – non intendo con ciò muovere alcuna critica agli italiani; constato soltanto una probabilità – di quel che furono i cittadini belgi. Nessun italiano, al momento della stampigliatura o del cambio – quando questa stampigliatura o questo cambio dovessero servire come elemento per l’imposta progressiva patrimoniale – nessuno si presenterebbe con una somma minore di 7.000 lire; e sarebbe così esaurita completamente tutta la circolazione tassabile. Poiché la patrimoniale progressiva esenta i patrimoni sino ai 3 milioni di lire, quasi tutta la circolazione, a 7000 lire per abitante, cadrebbe entro i limiti di esenzione.

Questa non è dunque materia che dia un centesimo alla finanza. Non credo che un ministro del bilancio ritenga conveniente accettare una transazione che implicherebbe un certo numero di miliardi di spesa probabile e zero o quasi zero, o qualche piccolo milione di lire, per caso, di entrata: sarebbe una pessima operazione, che non credo debba essere fatta dal punto di vista fiscale. (Applausi a destra – Commenti a sinistra).

Passiamo ad un’altra ipotesi: all’ipotesi dell’imposta proporzionale. L’ipotesi dell’imposta proporzionale in parole volgari si chiama «taglio dei biglietti», ossia vuol dire che ogni biglietto di cento lire, presentato al cambio o alla stampigliatura, sarebbe rimborsato, restituito in 90 lire, se supponiamo un taglio del 10 per cento, in 80 lire se l’imposta proporzionale fosse del 20 per cento. E allora, se questa è l’ipotesi, io mi domando se essa sia accettabile.

Chi ha biglietti? Questa è la domanda che occorre sia fatta. Chi ha biglietti cioè non in cifra assoluta, ma in proporzione al proprio reddito o patrimonio? Chi tiene in tasca dei biglietti in quantità notevole proporzionalmente al proprio patrimonio? Non certo i ricchi. Sarebbero gli operai e gli impiegati, coloro che ricevono la busta paga… (Commenti a sinistra), coloro che pagherebbero sovratutto la imposta proporzionale. (Commenti a sinistra).

L’ipotesi dell’imposta progressiva, adeguata alla fortuna dei contribuenti, l’ho già fatta prima; ed è l’ipotesi nella quale il povero non paga niente, non pagano niente coloro che hanno un patrimonio fino a tre milioni di lire, è l’ipotesi nella quale coloro che hanno di più pagano di più, quanto più cresce la loro ricchezza. In questa ipotesi ho dimostrato che il provento sarebbe zero per la finanza. Credo che nessun ministro può arrischiarsi a spendere per incassare zero.

L’altra ipotesi, che si può contrapporre alla prima, è quella dell’imposta proporzionale, ossia: i biglietti presentati al cambio sono tutti tassati al 10, al 20 per cento; sono tutti ridotti di valore, cambiati con un nuovo biglietto di valore minore di quello consegnato; novanta lire invece di cento, per esempio. Questa è l’ipotesi dell’imposta proporzionale che grava su tutti i presentatori di biglietti, nella medesima proporzione.

Io dico che questa imposta è ingiusta, e non potrebbe essere tollerata perché costituirebbe una tassazione dei poveri e una esenzione dei ricchi. (Commenti a sinistra).

Una voce. Ma i poveri non hanno niente!

EINAUDI, Ministro del bilancio. Il cambio dei biglietti fatto in misura proporzionale colpisce in un certo giorno tutti coloro che hanno biglietti in tasca ed i biglietti in tasca non li hanno i ricchi. (Commenti a sinistra). Coloro che hanno una grande fortuna non portano biglietti in tasca. (Commenti a sinistra).

L’operaio, l’impiegato, il quale riceve alla fine della settimana o del mese la busta paga, possiede in questa una parte notevolissima della propria fortuna. Ad esempio, l’impiegato che riceve 20.000 lire di stipendio non avrà gran che di fortuna oltre il mobilio e qualche piccolo risparmio. Anche se il resto della sua fortuna fosse di 80.000 lire, egli, pagando 2.000 lire per taglio del 10 per cento sui biglietti, pagherebbe il 2 per cento della sua fortuna complessiva. Spesso pagherebbe di più: il 5 od il 6 per cento. Invece il ricco, il quale ha una fortuna di 50 milioni, non tiene biglietti in proporzione. A metter grosso, terrà 100.000 lire in siffatta forma. Col taglio del 10 per cento, pagherà 10.000 lire. Ma cosa sono 10.000 lite su una fortuna di 50 milioni? Appena il 0,02 per cento, una centesima parte di quel che pagherebbe l’impiegato.

Quindi, se l’ipotesi del cambio per imposta progressiva deve essere respinta perché contraria agli interessi del bilancio, l’altra ipotesi deve essere respinta perché contraria agli interessi delle classi lavoratrici e perché favorevole alle classi ricche! (Applausi al centro e a sinistra).

Accanto al problema del bilancio dello Stato, l’altra grande questione che si è presentata in questa Assemblea si riferisce al controllo del credito. Ho avuto occasione di esporre altra volta perché sia nei tempi moderni sorta e cresciuta l’importanza di quella che si chiama la moneta creditizia. È sorta perché accanto ai mezzi che le banche traggono dal risparmio propriamente detto, quel risparmio il quale si forma quando la persona spende meno di quello che incassa e deposita il supero sia a lunga scadenza, sia temporaneamente in una banca, accanto al risparmio propriamente detto, è sorta un’altra maniera di depositi, depositi che in paesi più progrediti del nostro risalgono a più di un secolo.

Da noi l’origine è recente, ed ancora nel 1938 questi depositi avevano meno importanza di quella che abbiano oggi.

Questa moneta creditizia nasce temporalmente in modo contrario a quello in cui nasce il risparmio propriamente detto. Il risparmio propriamente detto nasce, ripeto, perché c’è un individuo che ha per esempio un reddito di 100 di cui spende soltanto 90 e la rimanenza di 10 porta in deposito alla cassa postale se si trova in una piccola località, o in genere alle casse di risparmio o alle banche. Il risparmio propriamente detto costituisce una parte imponente del totale dei depositi esistenti nel paese. L’altra maniera di depositi ha origine inversa. È la banca che crea il deposito a favore di una determinata persona in cui ha fiducia, la banca la quale agisce di propria iniziativa. Essa apre a favore di una determinata persona un credito, per esempio di un milione di lire, scrivendo una lettera nella quale dice: tu hai un credito presso di me di un milione di lire e puoi tirar su di me assegni fino alla concorrenza di un milione di lire. Ecco l’atto creativo della banca. Naturalmente la banca non può aprir crediti indefinitamente, ma soltanto entro certi limiti, perché essa deve poi pagare le somme che promette, e deve perciò usare della possibilità di fare aperture di credito con necessaria prudenza. Ma all’origine non si può negare che c’è un atto di volontà, un atto creativo da parte della banca.

Il cliente che è stato così accreditato, da noi si dice anche affidato, trae sul milione, supponiamo, un assegno di 100.000 lire a favore di un’altra persona. La persona che riceve l’assegno non lo riscuote in biglietti; ma lo porta alla sua banca che lo accredita per altrettanto. Ecco nati i successivi depositi. C’è un deposito di 100.000 lire a favore del cliente che ha ricevuto il primo assegno; poi ce ne sarà un secondo, un terzo, fino alla concorrenza totale del milione inizialmente concesso. Gli accreditamenti bancari sono una forma di moneta come un’altra, moneta che nasce non dalle banche di emissione, ma da una banca ordinaria la quale crea una particolare specie di moneta e dà in mano ai suoi clienti la capacità di comperare merci. E quindi è possibile – non dico essere certo ma solo essere possibile – che dalla moneta creditizia nasca l’inflazione così come può nascere dalla moneta emessa dall’istituto di emissione. Da noi in Italia la cosa ancora ha una importanza relativamente modesta. In altri paesi la moneta creditizia ha superato di gran lunga, di molte volte l’importanza della moneta, dei biglietti propriamente detti. Noi siamo ancora in un periodo iniziale, sicché la moneta creditizia ha da noi una importanza moderata.

Se l’Assemblea me lo consente, darò qualche notizia sulle variazioni recenti della moneta creditizia. Dalla fine maggio del 1946 alla fine marzo 1947 i biglietti della Banca d’Italia – comprese le lire militari alleate – erano cresciuti da 393,3 a 531,6 miliardi. Ma gli assegni circolari che sono anche una specie di moneta creditizia creata dalle banche erano cresciuti da 58,7 a 86 miliardi di lire, ed i depositi in conto corrente che sono quei tali depositi creati in conseguenza di aperture di credito e su cui si possono tirare assegni e quindi costituiscono moneta creditizia erano cresciuti da 291,3 a 484,6 miliardi di lire. Proporzionalmente, i biglietti dalla fine maggio 1946 alla fine marzo 1947 erano cresciuti del 35 per cento. Nello stesso tempo gli assegni erano cresciuti del 46 per cento ed i conti correnti erano cresciuti del 66 per cento. È dunque innegabile che c’è stato in questo frattempo nella moneta creditizia un incremento maggiore di quello che vi fu nella moneta cartacea propriamente detta.

Ci troviamo qui di fronte ad inflazione? È un problema assai delicato. Io non oserei pronunciarmi. Perché dare delle risposte precise in questo argomento ed affermare che ci sia stata o non ci sia stata inflazione è uno dei problemi più ardui che si possono presentare ad uno studioso. Credo e suppongo che il collega Del Vecchio sarà d’accordo con me nel dire che la definizione dell’inflazione è qualche cosa sulla quale gli economisti hanno litigato dalla prima guerra mondiale in qua ed ancora litigano; e seguiteranno a discutere ancora per parecchio tempo. Limitiamoci a dire quello che risulta dai fatti: c’è stato un incremento maggiore nella moneta creditizia in confronto della moneta-biglietti. Quali sono i mezzi con i quali si può frenare l’inflazione creditizia? Dirò che fin dal gennaio 1946 l’istituto di emissione, preoccupato dal fatto dell’incremento della moneta creditizia ha inviato a tutte le banche una circolare richiamandole all’osservanza della legge che impone alle banche di depositare presso il tesoro o presso gli istituti di emissione l’eccedenza dei loro depositi al disopra d’un multiplo di 30 volte il loro patrimonio, riserve comprese.

La norma era adeguata alla realtà, quando fu emanata, perché esisteva allora corrispondenza effettiva tra il patrimonio delle banche ed i depositi. Supponiamo che una banca avesse un patrimonio di 100 milioni di lire. Si diceva: «fino a 30 volte cento milioni di lire tu puoi trattenere i tuoi depositi e li puoi impiegare, prudentemente, come ritieni opportuno; l’eccedenza oltre i 3 miliardi devi depositarla presso il tesoro o presso l’istituto di emissione».

Ciò era ragionevole, quando depositi e patrimonio erano valutati nella medesima moneta; ma attualmente le cose sono cambiate. I patrimoni delle banche sono rimasti valutati nelle cifre antiche; sono valutazioni che qualche volta sembrano ridicole. Banche con 50 miliardi di depositi hanno talvolta un patrimonio di mezzo miliardo, di un miliardo; cifra che moltiplicata per 30, dà 15 ovvero 30 miliardi. Ognuna di quelle banche dovrebbe depositare presso il tesoro o presso l’istituto di emissione, ad un saggio di interesse non remunerativo (che non compensa le spese di amministrazione, che per tutte le banche superano il 5 per cento), 35 ovvero 20 miliardi; il che vorrebbe dire che quelle banche non potrebbero più assolvere al dovere di pareggiare spese con entrate, ove si tenga presente che una parte dei depositi liberi dovrebbe essere serbata in contanti, per sopperire alle esigenze quotidiane dei rimborsi.

La circolare inviata in gennaio dall’istituto di emissione ebbe valore d’un monito morale, che fu ascoltato per quanto possibile; ma il rispetto completo sarebbe stato assurdo, perché la norma era diventata contrastante con la realtà. Coloro che hanno certa familiarità col bilancio d’una banca o di una cassa di risparmio sanno che questi istituti si sarebbero trovati nell’impossibilità di vivere, se avessero dovuto depositare presso il tesoro, a saggi di frutto tanto inferiori al costo, una così gran parte dei loro depositi. Di qui la necessità di mutare la norma.

Questa necessità fu la spinta iniziale a quella riforma del controllo del credito che la Commissione di finanza e tesoro dell’Assemblea ha approvato in una delle ultime sedute. Nel provvedimento approvato si afferma il principio che lo Stato deve esercitare un controllo sulle banche, per mezzo d’un comitato di ministri, presieduto dal ministro del tesoro, che detta le norme per il controllo del credito: all’attuazione provvede l’istituto di emissione, a mezzo d’un suo corpo specializzato.

Una delle norme che dovranno essere discusse ed eventualmente approvate dal comitato dei ministri si riferisce appunto al controllo della moneta creditizia. Bisogna modificare la norma antiquata, che non corrisponde più alle esigenze attuali. L’istituto di emissione, in proposito, ha fatto proposte già rese di pubblica ragione. Il principio al quale la nuova norma dovrebbe ispirarsi è quello stesso adottato nei paesi a grande sviluppo bancario, per esempio negli Stati Uniti. Le banche dovrebbero tenere per sé una certa proporzione dei depositi. Sarà il comitato dei ministri competenti il quale stabilirà, a seconda delle condizioni del mercato, a seconda delle necessità di allargare e di restringere il credito, se le banche possano tenere per sé il 70 o il 60 per cento o l’80 per cento dei depositi. Sarà lo stesso comitato dei ministri il quale delibererà se si possa fare una distinzione fra depositi già esistenti a una certa data e i nuovi depositi, perché sono questi nuovi depositi che sono specialmente inflazionistici; sono le nuove aperture di credito le quali contribuiscono all’inflazione. Quindi potrà anche darsi che la norma accolta sia quella di stabilire, come si fa altrove, una proporzione più bassa per i depositi antichi, per i depositi già esistenti a una certa data e una percentuale più alta da versarsi al tesoro per i depositi nuovi. Percentuali fisse non potrebbero mai essere stabilite per legge, perché in breve volgere di tempo diventerebbero disadatte alle necessità nuove; ma dovrebbero essere variate di tempo in tempo per tenere conto delle esigenze di frenare o allargare il credito. Sino a questo momento non si può dire che si siano superati i limiti tradizionali negli impieghi diretti da parte delle banche.

Facciamo un confronto fra la fine del 1938 e la fine del 1946. Alla fine del 1938 le banche avevano impieghi diretti per il 62 per cento dei loro depositi; alla fine del 1946 la percentuale era del 50 per cento.

Se noi supponiamo (è una ipotesi) che la situazione del 1938 potesse definirsi normale (è difficile saper che cosa sia il normale nel mondo economico; ma l’ipotesi non si allontana da quella che era l’esperienza del passato), dobbiamo concludere che alla fine del 1946 gli impieghi fatti dalle banche, essendo soltanto del 50 per cento dei depositi invece del 62 per cento quanto erano nel 1938, non erano ancora diventati pericolosi; non c’era cioè in generale indizio che avessero superato il livello considerato un tempo normale. Dal canto loro gli impieghi in titoli, massimamente in titoli di Stato, erano aumentati dal 17 per cento al 25 per cento ed era anche aumentato il contante e le somme disponibili a vista dal 13 per cento al 25 per cento. Alla fine del 1946, in confronto al 1938 le banche si trovavano in una situazione di maggiore notevole liquidità. Non si poteva affermare che esse avessero raggiunto e superato il limite di quello che poteva essere considerato inizio di inflazione; si tenevano in una situazione di liquidità. Certamente il controllo da parte della nuova istituzione la quale andrà a funzionare entro pochissimo tempo, con il compito di variare le percentuali le quali devono essere sottratte alla disponibilità delle banche allo scopo di impedire eccessi e di consentire allargamento di crediti a seconda delle esigenze del mercato, è una funzione delicatissima ed in essa si concreta il controllo quantitativo del credito.

Non è ancora il controllo qualitativo del credito, che è impresa assai più delicata. Controllare qualitativamente il credito implica che l’istituto controllante ingiunga alle banche di dare o non dar credito a questo o a quel cliente, a questa o quella industria. Io ritengo (ed è un punto di eccezionale gravità) che se l’istituto controllante indica singolarmente alle banche e casse di risparmio quali siano gli enti e le persone a cui si deve o non si deve dar credito, la responsabilità del dar credito viene sottratta a coloro che debbono sopportarla interamente, perché hanno la responsabilità dei depositi, e trasportata a coloro che, non correndo il rischio dei depositi, non debbono arrogarsi il diritto di disporre dei depositi stessi. Tanto varrebbe dire che l’istituto di emissione è esso che fa il credito. Tutto il progresso, in tutti i paesi, dell’ordinamento bancario si è svolto lungo la direttiva di proibire agli istituti di emissione di far credito direttamente alla clientela.

Se deve essere esercitato un controllo, non lo deve esercitare un ente il quale nel tempo stesso delibererebbe sulle singole operazioni. Un controllo qualitativo può essere immaginato; ma esso più che sulle singole persone da affidare e sulle singole operazioni dovrà avvenire secondo criteri obiettivi già in atto secondo le leggi vigenti o nuovi criteri che potranno essere instaurati.

È già nella legge vigente che una banca non può far credito ad un solo cliente per più di una determinata percentuale dei suoi depositi. Potrà essere argomento di studio il punto se certe industrie possono ricevere di più e certe altre di meno, nel loro complesso. Questo è un problema grave, un problema il quale deve essere risoluto senza menomare il diritto di controllo da parte dell’istituto controllante e senza togliere la responsabilità delle proprie azioni a coloro che decidono le operazioni. Il giorno in cui l’istituto si sostituisse alle banche che forniscono il credito e l’operazione suggerita o comandata dall’istituto controllante andasse a male, le banche, che danno il credito avrebbero il diritto di rivolgersi contro l’istituto controllante e cioè contro lo Stato e dire: «Sei tu che mi hai consigliato ad aprire quel dato credito a quel dato nominativo».

Se noi togliamo la responsabilità a coloro che danno il credito noi distruggiamo una delle basi fondamentali dell’istituto del credito e noi potremmo fare un danno, che sarebbe incommensurabile, a tutta l’economia nazionale.

Il controllo da parte dello Stato sul credito dovrà poi, a parer mio, cominciare da se stesso. Negli ultimi anni, per necessità di cose, per contingenze alle quali sarebbe stato impossibile sottrarsi, lo Stato, in virtù di due decreti che sono diventati famosi nel mondo industriale per i loro numeri – il 449 ed il 367 – ha concesso credito direttamente per 13 miliardi e ha dato garanzie o per interessi o per capitale per altri 25 miliardi di lire: in totale 38 miliardi di lire di crediti dati direttamente o indirettamente dallo Stato. Non credo che sia conveniente seguitare su questa linea. Se il credito deve esser dato, deve essere dato secondo i comuni canali bancari. Sono le banche, le casse di risparmio le quali devono avere la responsabilità di dar credito a coloro che esse ritengono meritevoli. Lo Stato dovrà esercitare il controllo impedendo che il credito sia dato provocando l’inflazione creditizia. Lo Stato non è tuttavia direttamente un buon banchiere; epperciò alle operazioni dirette deve mettersi la parola fine definitivamente.

Un altro punto sul quale è stata richiamata in questa Assemblea l’attenzione del Governo è stato quello dell’I.R.I. Come per tutti gli altri problemi delicati possiamo soltanto affermare, nel modo più reciso, che il governo attuale non ha nessunissima intenzione di dissolvere questo istituto; caso mai, se ad un’opera di riforma dovrà porsi mano, essa dovrà essere compiuta nello spirito con cui l’istituto deve esser retto e cioè ai fini della economia nazionale, a tutela della economia nazionale, dei consumatori contro tutti i monopoli. Questo deve essere il fine dell’opera dello Stato nei rapporti con l’I.R.I.

L’I.R.I. nacque sotto cattiva stella, come un ospedale, che abbracciò imprese buone ed imprese cattive: le imprese buone rimasero tali: parecchie delle cattive divennero buone; e parecchie di quelle sia buone che cattive non sono istituzionalmente connesse con fini pubblici. Già l’amico onorevole Ruini ha indicato alcune di queste intraprese che non hanno nessuna parentela con lo Stato e non rappresentano nessuna esigenza pubblica e possono perciò essere alienate. Se l’I.R.I. possiede alberghi, aree fabbricabili, case di affitto, terreni, ghiacciaie ed altre imprese di siffatta natura, che non presentano nessun interesse pubblico, non vedo ragione perché l’I.R.I. non abbia gradatamente a spogliarsene, vendendo ai prezzi più alti possibili, facendo oggi buoni affari, in confronto ai prezzi di acquisto; non vedo perché l’I.R.I. non possa, con buoni risultati finanziari, alienare quelle imprese che non rappresentano nessun interesse dal punto di vista pubblico, per facilitare la vita delle sue altre intraprese, e cioè per fornire, contribuire a fornire mezzi finanziari alle altre sue intraprese le quali abbiano veramente interesse pubblico.

A parere mio, le intraprese le quali abbiano carattere pubblico dovranno essere conservate ed eventualmente essere ancora rafforzate. Tutte quelle che hanno attinenza o potrebbero avere, a cagion d’esempio, attinenza con l’industria degli armamenti dovranno essere conservate e dovranno rimanere nel seno dell’I.R.I. così da essere condotte soltanto con criteri pubblicistici e non mai con criteri privatistici.

Ritenni sempre – e credo di non essere stato tra gli ultimi ad averlo dichiarato più di trent’anni addietro, innanzi alla prima guerra mondiale – che le imprese di armamenti debbono essere sottratte all’industria privata, perché le imprese di armamenti in mano a privati possono essere fomite di guerre, perché i privati possono avere interesse a far nascere occasioni di guerra e diventare così non ultima causa e non ultimo contributo alle guerre. (Applausi).

Perciò, in tutti i casi nei quali l’Istituto di ricostruzione industriale continuerà ad esercitare una industria per fini pubblici, non vi può essere dubbio che nessuna alienazione dovrà essere fatta.

Se d’altra parte vi sono casi in cui manca il carattere pubblicistico – e nel 1933-1934 le banche furono costrette a consegnare all’I.R.I. una miscellanea di intraprese di ogni specie – non vedo la ragione, per cui, con prudenza e con i migliori criteri per la più conveniente alienazione, l’I.R.I. non si possa sbarazzare delle aziende extravaganti allo scopo di dare incremento a quelle che debbono giovare ai suoi fini pubblici. Non soltanto dentro l’I.R.I. vi sono intraprese di Stato. Anche in altri campi bisogna fare in modo di perfezionare la gestione delle imprese economiche di spettanza dello Stato, sicché da esse si ottenga il maggior risultato possibile. Quando si dice maggior risultato possibile si dice nel tempo stesso, risultato economico e risultato pubblico.

Non so se in questa esposizione, alquanto diffusa, io abbia soddisfatto tutte le domande che mi sono state fatte. Probabilmente no. Ma, a volere rispondere compiutamente ad ogni discorso, il mio intervento sarebbe stato ancora più lungo. Voglio soltanto dire che in questo momento nel quale le forze di tutte le classi sociali devono contribuire al bene comune, il non preoccuparsi dei risparmiatori, come ha detto l’onorevole Dugoni, sia concetto che vada un po’ al di là delle sue intenzioni. Ricordiamoci sempre che il risparmiatore è una persona la quale è altrettanto necessaria per il progresso economico di un paese e sopratutto per l’avanzamento dei ceti più numerosi quanto qualsiasi altra persona del mondo economico e sociale. Ricordiamoci sempre che non esiste un capitale, non è mai esistito, né esisterà, un capitale il quale sia fermo nella sua quantità economica. Ogni capitale, ogni casa, ogni terreno, ogni fabbrica si distrugge continuamente, di giorno in giorno, e molte volte si distrugge in un brevissimo volger di tempo. Io oserei dire che se nuovo risparmio non si formasse nel nostro paese, in dieci o venti anni l’Italia diventerebbe incapace di far vivere, non dico i 45 milioni di abitanti di oggi, ma neppure la metà. Neppure 20 milioni potrebbero vivere nel nostro paese, se ogni giorno non si formasse nuovo risparmio.

DUGONI. Io distinguo fra risparmio e risparmiatore. Sono due cose distinte.

EINAUDI, Ministro del bilancio. Sono la stessa cosa. Nessun nuovo risparmio si forma da sé. Occorre che esista un produttore di risparmio. La produzione del risparmio è una operazione economica della stessa natura della produzione di ogni altro bene utile agli uomini. Il contadino che acquista un aratro, deve prima avere risparmiato la somma necessaria a comprarlo; e senza la previsione del suo risparmio e del suo acquisto, nessun aratro si fabbricherebbe, e le terre non produrrebbero frumento. Non ho mai veduto che il risparmio sia formato da agenti pubblici; io ho sempre visto il risparmio formato da laboriosi privati risparmiatori. Quel milione e 600 mila sottoscrittori al prestito della ricostruzione ci dicono qualche cosa. Nessuno dei sottoscrittori è stato un ente, perché gli enti non furono invitati, non dovevano essere invitati a sottoscrivere. I sottoscrittori sono stati tutti risparmiatori privati, e senza di essi lo Stato non avrebbe avuto quei 231 miliardi di sottoscrizione. Solo i risparmiatori privati forniscono il nuovo risparmio. Quindi, è necessario non reprimere lo stimolo a risparmiare.

Ricordiamo che l’intervento dello Stato nelle cose economiche deve sovratutto consistere di stimoli ai privati produttori, di stimoli ad investire il loro risparmio in maniera confacente all’interesse collettivo.

I libri bianchi inglesi, nella parte che si riferisce all’azione, a differenza di quello già ricordato relativo alla conoscenza, sono a questo riguardo illuminanti. Vi è una differenza essenziale, dice il libro bianco, pubblicato dal Governo laburista, fra un sistema di pianificazione totalitaria e un sistema di pianificazione democratica: la prima subordina tutti i desideri individuali e tutte le preferenze individuali alle domande dello Stato. A questo scopo il sistema usa vari mezzi di costrizione sugli individui, mezzi che privano l’individuo della sua libertà di scelta. Questi sistemi di costrizione possono essere necessari anche in un paese democratico, durante le estreme necessità di una guerra, e perciò quindi tutto il popolo britannico diede al suo governo di guerra il diritto di indirizzare il lavoro verso questa o quella industria. Ma in tempi normali il popolo di un paese democratico non abbandonerebbe mai la sua libertà di scelta a favore del proprio governo. Un governo democratico – continua il libro bianco, che traduco letteralmente – deve perciò condurre il suo sistema di pianificazione economico in maniera da serbare la massima libertà possibile di scelta ai cittadini.

Per conseguenza il piano che si sviluppa in un paese democratico è fondato sui seguenti principî: lo Stato esercita una sua influenza profonda sull’economia nazionale in primo luogo attraverso il suo bilancio. Quando il bilancio dello Stato e degli enti pubblici assorbe, come assorbe anche il nostro, all’incirca la terza parte del reddito nazionale, è evidente l’influenza grandissima che una buona amministrazione del bilancio dello Stato ed una buona amministrazione delle provincie, dei comuni e degli altri enti pubblici esercitano sull’economia privata e sull’indirizzo economico privato, il quale viene indirizzato verso questo o quel fine. Inoltre il governo esercita una influenza importante sulla economia privata attraverso la sua politica tributaria. Già dissi che lo scopo delle due imposte straordinarie patrimoniali e dell’aggiornamento che nel frattempo dovrà essere fatto delle imposte ordinarie è quello di ridare importanza alle imposte dirette sul reddito e sulla ricchezza, e di aumentarne il peso dal 30 per cento fino al 50 per cento.

In questa maniera lo Stato dà necessariamente un indirizzo al consumo dei privati, sottraendo con le imposte il reddito a coloro che hanno maggior reddito; ossia trasforma la domanda e fa sì che essa sia la domanda di coloro che hanno reddito più basso in confronto di quelli che hanno reddito più alto. Ma nel far ciò lo Stato non abbandona le vie della libertà. Esso agisce secondo propri criteri ed indirizzi. La sua azione non è di costrizione. Esso non dice agli individui: tu agirai in questo o quel modo. L’azione dello Stato è quella di dire: io spendo il provento delle imposte in una certa determinata maniera ed aggiusto le imposte in maniera da togliere potenza di acquisto a coloro ai quali intendo toglierla; ma col resto della potenza di acquisto che essi conservano e con la potenza di acquisto che acquisteranno gli altri, i cittadini devono essere liberi di esercitare la loro facoltà di scelta fra i beni che sono messi a loro disposizione.

Una voce a sinistra. E i razionamenti, allora?

EINAUDI, Ministro del bilancio. Il libro bianco non esclude le costrizioni; ma le limita a condizioni in cui prevale lo stato di necessità. Badando alla azione normale dello Stato, il libro bianco inglese conclude: «L’impresa di indirizzare con metodi democratici tutta l’economia del paese va al di là, grandemente al di là della potenza di una qualunque macchina governativa. Se si vuole ottenere dallo Stato un qualche risultato, lo Stato deve agire per via di stimoli, deve avere fiducia inoltre sovratutto sulla collaborazione sia degli industriali che dell’intera popolazione».

Lo scopo che lo Stato si propone di raggiungere deve essere ben chiaro a tutti e accettato da tutti così che tutti abbiano la consapevolezza della necessità di seguire lo Stato in questa sua azione, se l’azione è di utilità pubblica.

Non sarà né oggi né domani che noi riusciremo a raggiungere gli scopi che ci proponiamo, se non di pareggio aritmetico del bilancio, almeno di equilibrio del bilancio; non sarà né oggi né domani. L’ideale che noi ci ripromettiamo, che si riprometteranno coloro che dalle elezioni popolari saranno mandati a governare le sorti del paese è quello di far sì che il tenore di vita della popolazione italiana cresca continuamente, che si ricominci a tornare, in primo luogo, al punto di partenza del 1938 e poi si vada ancora al di là di questo punto di partenza.

Se questo ideale potremo raggiungere, io affermo che ciò non accadrà né a spese dell’individuo libero né a spese dello Stato. Non esiste un contrapposto tra lo Stato e l’individuo. Lo Stato non può diventare più potente a danno dell’individuo, usurpando le funzioni che sono proprie dell’individuo; né l’individuo deve far lui cose che spettano allo Stato.

La società nostra va diventando sempre più complicata e in una società complicata, nella quale in uno spazio piccolo di territorio vivono decine di milioni di abitanti, è necessario che queste decine di milioni di abitanti abbiano – se vogliono mantenere la loro libertà individuale – rapporti sempre più stretti gli uni con gli altri.

Non è vero che lo Stato cresca a danno dell’individuo; lo Stato cresce a vantaggio dell’individuo. Se lo Stato adempie bene ai suoi fini e soltanto a quei fini cui esso è chiamato, se lo Stato, in materia economica, si occuperà soltanto di quelle industrie che hanno fini pubblici e sopratutto di quelle industrie che, se lasciate in mano privata, trascenderebbero in monopoli, lo Stato non avrà diminuito il campo dell’azione privata, l’avrà anzi accresciuto.

Mi sia consentito di ricordare – forse l’ho già fatto altra volta, ma una ripetizione non è fuori luogo – di ricordare una celebre polemica che fu condotta, o che pareva essere condotta tra statalisti e, diciamo così, liberisti; ma non era in realtà fra statalisti e liberisti, era tra persone che ragionavano in modo conforme e persone che ragionavano in modo difforme dall’interesse permanente della collettività. La polemica risale al 1853. Protagonisti due napoletani, uno già illustre, l’altro diventato poi il finanziere avvedutissimo che ho dianzi ricordato. Il primo era Antonio Scialoia, esule dalle galere borboniche, professore di economia politica all’università di Torino, l’altro Agostino Magliani, allora semplice uffiziale del ministero delle finanze napoletano. La polemica era originata dai rimproveri che i giornali sardi facevano al governo del Borbone di trascurare ogni iniziativa pubblica, di tenere le sue popolazioni in un abietto stato di povertà.

Insieme con gli altri, insorse a difesa del governo borbonico, insorse a difesa della sua amministrazione, amministrazione che era in verità un’ottima amministrazione, Agostino Magliani. Egli dimostrò, in un opuscolo celebre, che a Napoli le imposte erano mitissime, le più miti che si conoscessero in Italia; che il debito pubblico, per testa di abitante, era il più tenue che ci fosse al mondo, e che quindi gli abitanti napoletani erano i più felici di ogni contrada della terra.

Ma insorse da Torino Antonio Scialoia. Sì, è vero – egli disse – è vero che noi qui in Piemonte siamo assoggettati a un gravame di imposte assai maggiori delle vostre, è vero che il nostro debito pubblico cresce di anno in anno ed è quindi non meno vero che qualcuno dei nostri contribuenti sarebbe più contento di non pagare imposte e di trovarsi a vivere sotto quel regime felice in cui imposte non si pagano e non esiste quasi debito pubblico: qui però, sotto il governo di Camillo di Cavour si pagano, sì alte imposte e i contribuenti gridano contro di esse, ma abbiamo invece di un breve tratto di ferrovia di lusso una rete ferroviaria imponente che va via via perfezionandosi, si inizia il traforo del Fréjus, si costruisce la ferrovia che va da Torino a Genova, si costruisce quella che va da Torino a Novara e tende verso Milano, non appena l’Austria ce lo permetterà; si impiantano nuove industrie, si crea un istituto di emissione – Camillo Cavour aveva infatti creato lui la Banca di Torino che, insieme con quella di Genova, è stata la progenitrice dell’istituto di emissione attuale – noi paghiamo alte imposte, dunque, ma abbiamo grandi servizi pubblici e crediamo fermamente che i cittadini piemontesi siano, in definitiva, più contenti del loro elevato gravame di imposte cui però corrisponde tanta provvidenza di opere pubbliche, che non lo siano i cittadini napoletani, i quali vivono, sì, in un regime di poche imposte, ma di manchevoli opere pubbliche e di economia stagnante.

Questa è dunque una vecchia controversia; controversia che non si risolve già nel senso di non far nulla, ma nel senso di fare tutto ciò che può tornare a vantaggio della collettività, compatibilmente con l’esigenza di non annullare quelli che sono i fini della vita degli uomini, fini che consistono nel loro elevamento spirituale e materiale.

Non esiste contrasto fra cittadini e Stato; la vera libertà esiste quando lo Stato, aumentando le sue funzioni, consente però che i cittadini, nell’ambito loro proprio, possano esercitare liberamente le loro attività economiche e dare incremento alla propria libera personalità morale. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 10.30.

Vi sarà seduta anche nel pomeriggio, alle 16, ed all’inizio, l’onorevole Scelba darà gli ulteriori chiarimenti, che si era riservato di dare, in merito all’intervento dell’onorevole Cerreti nella discussione sulle comunicazioni del Governo.

Interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, per sapere se abbiano compiuto passi presso le Autorità alleate competenti allo scopo di ottenere una commutazione della pena inflitta dal Tribunale militare alleato, testé riunitosi a Livorno, a carico di un cittadino italiano il quale, in occasione di uno dei più tragici bombardamenti della città di Grosseto, ha commesso atti che provocarono la morte di uno degli aviatori che avevano proceduto al bombardamento e il cui apparecchio era stato precipitato dalla contraerea; o se, non avendoli compiuti, non ritengano necessario ed urgente provvedere, dando così giusta soddisfazione all’unanime opinione pubblica.

«Magnani».

«Al Ministro della difesa, per conoscere se non creda di dare e subito disposizioni al comando della divisione «Folgore» onde siano evitate requisizioni di alloggi in Treviso per ufficiali e sottufficiali, tenuta presente la tragica situazione della città: Treviso ebbe, infatti, 708 fabbricati con n. 9240 vani completamente distrutti; 1112 fabbricati con numero 14.200 vani gravemente danneggiati; 1963 fabbricati con n. 25.560 vani lievemente danneggiati: su un totale di 4600 fabbricati anteguerra.

«Molto si è fatto sul terreno della ricostruzione, ma restano tuttora senza alloggio in città circa 5000 persone sfollate nei vari comuni della provincia, e la popolazione residente nel comune vive spesso in poveri ambienti di fortuna, non capaci, in contrasto con le più elementari norme di morale e di igiene.

«Ferrarese».

«Ai Ministri dell’interno e della difesa, per conoscere come intendono conciliare il grande bisogno di abitazioni della popolazione di Treviso – città tradizionalmente ospitale, ma fra le più colpite dalle distruzioni di guerra e con diverse migliaia dei suoi abitanti costretti ancora in gravissimo disagio nei luoghi di sfollamento – e la necessaria, quanto impossibile, provvista di alloggi per ufficiali e sottufficiali del Comando e Reparti divisionali della «Folgore», trasferiti in questi giorni a Treviso su ordine del Ministero.

«Ghidetti».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Interesserò i Ministri competenti perché vogliano comunicare quando intendano rispondere a queste interrogazioni.

PRESIDENTE. È stata pure presentata la seguente altra interrogazione con richiesta di risposta urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se sia vero che il Governo regionale della Sicilia abbia richiesto al Governo nazionale la immediata erogazione di cinque miliardi di lire, e per conoscere il titolo di tale richiesta.

«Bozzi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Risponderò domani o dopodomani.

PRESIDENTE. L’onorevole Longhena ha lamentato che non si sia data ancora risposta ad una interrogazione urgente che presentò circa un mese fa, relativa alla difficile situazione delle amministrazioni ospedaliere.

Sullo stesso argomento, limitatamente agli ospedali di Napoli, gli onorevoli Porzio, Sansone, Notarianni, Leone Giovanni, Numeroso e Rodinò Mario hanno presentato la seguente interrogazione urgente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti d’urgenza intenda adottare perché gli ospedali di Napoli non falliscano gli scopi cui sono stati da secoli destinati».

MAZZA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZA. Onorevole Presidente, anch’io avevo presentato una interrogazione a carattere d’urgenza riguardante la situazione degli ospedali di Napoli. Chiedo che sia abbinata con quella presentata da altri colleghi sullo stesso argomento. Ma, data l’urgenza, vorrei che fosse considerata addirittura una interrogazione-lampo.

PRESIDENTE. Sarà abbinata come lei desidera.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Penso che sia opportuno destinare quanto prima un’intera seduta allo svolgimento delle interrogazioni urgenti.

PRESIDENTE. Finita la discussione sulle comunicazioni del Governo, credo che sarà possibile dedicare in genere la prima mezz’ora di ogni seduta allo svolgimento delle interrogazioni. Se i colleghi desiderano che le loro interrogazioni abbiano risposta e se le interrogazioni continueranno ad affluire con la stessa intensità, penso che nessuno si opporrà a questa innovazione nello svolgimento dei nostri lavori.

Ad ogni modo, nella prossima settimana penso che una seduta possa essere dedicata allo svolgimento delle interrogazioni.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Assistenza reduci e partigiani), per conoscere quali sono stati i motivi che hanno indotto l’allora Ministro dell’assistenza post-bellica, che ne ha proposto lo schema, ad escludere dai benefici sanciti con il decreto legislativo luogotenenziale 4 agosto 1945, n. 453 (articolo 1), gli orfani dei caduti della guerra 1915-18, e se non sia il caso far luogo ad altro provvedimento legislativo che possa integrare il precedente nel senso d’includere gli orfani dei caduti nella guerra 1915-18. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Zagari».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere se e quando intende procedere al reimpiego del personale effettivo appartenente al disciolto Corpo della milizia portuaria, nel quadro del riordinamento dei servizi di polizia portuaria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Salerno».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere i motivi per i quali non si è ancora provveduto a emettere i decreti di nomina dei sottotenenti di complemento, che frequentarono l’ultimo corso allievi ufficiali del 1943, e che l’8 settembre 1943 già prestavano servizio di prima nomina pei vari reggimenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Nobile».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dei lavori pubblici e del tesoro, per conoscere se non ritengano opportuno di concedere a scomputo gli alloggi che hanno in effetto attualmente gli impiegati dello Stato, per dare una prova tangibile della solidarietà e dell’interessamento dello Stato in favore di una classe che più soffre dell’attuale disagio. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Basile».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non ritenga opportuno instaurare una comunicazione diretta Vercelli-Santhià-Varallo a mezzo di un autotreno.

«Gli interroganti fanno presente che tale comunicazione diretta è particolarmente necessaria nel periodo estivo, al fine di favorire il movimento turistico in una zona montana, la Valsesia, senza il quale essa è destinata ad un inevitabile spopolamento. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Bertola, Pastore Giulio».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali è stata chiesta la risposta scritta, saranno inviate ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 20.25.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10.30 e alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLIV.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno                                                  

Pignatari                                                                                                         

Zotta                                                                                                                

Reale Vito                                                                                                       

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                     

Perugi                                                                                                               

Gonella, Ministro della pubblica istruzione                                                        

Macrelli                                                                                                          

Cavallotti                                                                                                       

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Foresi                                                                                                               

Rodi                                                                                                                  

Roselli                                                                                                             

Quarello                                                                                                         

Zerbi                                                                                                                 

La seduta comincia alle 10.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 14 giugno.

(È approvato).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni. Le prime quattro, riguardano il medesimo argomento e possono essere svolte congiuntamente:

Fioritto, Lopardi, Mancini, al Ministro dell’interno, «sugli incidenti avvenuti il 29 aprile a Potenza durante una manifestazione di contadini, nella quale la forza pubblica, facendo uso delle armi, provocava la morte di un cittadino e il ferimento di altri»;

Reale Vito, al Ministro dell’interno, «per sapere il modo con cui è stata preparata e si è svolta la dimostrazione dei contadini il 29 aprile in Piazza Prefettura in Potenza; se conosce i paesi di provenienza dei dimostranti, le cause che hanno determinato la manifestazione, il contegno della polizia in tale circostanza»;

Pignatari, Canevari, Zanardi, Rossi Paolo, Morini, Carboni, Gullo Rocco, Paris, al Ministro dell’interno, «sui sanguinosi incidenti avvenuti a Potenza il 29 aprile 1947, durante i quali fu fatto fuoco sulla folla provocando la morte di due cittadini ed il ferimento di altri quattordici. E per sapere se siano state accertate le cause della sommossa, se ne siano stati individuati i fomentatori e se siano state acclarate le responsabilità dell’eccidio»;

Zotta, Colombo Emilio, al Ministro dell’interno, «sul grave e sanguinoso incidente del 29 aprile a Potenza, che ha causato la morte di due cittadini e il ferimento di altri quattordici, per sapere se siano stati individuati i provocatori della sommossa e i responsabili dell’eccidio».

L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Immediatamente dopo i luttuosi avvenimenti ai quali si riferiscono le interrogazioni, il Ministero ha inviato sul posto un Ispettore generale, dalla cui diligente inchiesta è risultato quanto segue:

Nella zona serpeggiava da tempo un grave malcontento causato dall’obbligo di consegnare agli ammassi i residui di grano e, in genere, da tutti i vincoli posti all’agricoltura.

La sera del 28 di aprile si sparse la notizia che, il mattino del giorno successivo, coltivatori della zona sarebbero discesi in paese per una dimostrazione. Devo, a questo proposito, dire che la zona di Potenza è considerata una delle più tranquille, in quanto la popolazione è ritenuta una delle meno turbolente. In effetti, questo è il primo caso luttuoso, di questo genere, che si è verificato a Potenza e in provincia, dall’unità d’Italia in poi.

Interpellate, da parte della Prefettura, le organizzazioni sindacali e le direzioni dei partiti, le une e le altre hanno escluso che, da parte loro, fosse stata organizzata tale dimostrazione. Soprattutto energiche le dichiarazioni del Segretario della Federterra. Con tutto ciò, le autorità hanno predisposto un servizio di protezione alle sedi dell’U.P.S.E.A. e dell’U.C.E.A., che venne ritenuto sufficiente.

Il mattino la notizia fu confermala; si seppe che, da alcuni centri della provincia, stavano marciando verso la città di Potenza gruppi di contadini. Erano armati di randelli, di attrezzi da lavoro, di roncole, e il loro atteggiamento era minaccioso. Questi gruppi andavano ingrossando lungo la strada, sia per il convergere di parecchi di essi, sia perché quanti venivano incontrati, erano costretti ad unirsi ai gruppi.

Avvertita la Prefettura, essa mandò incontro a quei contadini uno dei funzionarî più benvoluti della zona, nella speranza che riuscisse a distoglierli da qualsiasi intenzione meno che pacifica. Purtroppo il funzionario non ottenne lo scopo che si proponeva, e non poté che accompagnarsi a questi gruppi di contadini nella marcia verso la città.

Intanto, però, nella città erano state raccolte le poche forze di polizia disponibili ed erano state messe a disposizione degli uffici della Prefettura.

Quando i contadini arrivarono sulla piazza della Prefettura, il loro numero poteva valutarsi intorno ad un migliaio. Il loro atteggiamento era minacciosissimo: le urla, i fischi, e soprattutto i gesti, mostrarono che la situazione era molto grave. Gli agenti di pubblica sicurezza si sentirono subito in numero insufficiente per resistere e per mantenere l’ordine. Furono chiamati sul posto tutti gli agenti di cui era possibile disporre in quel momento, ma con tutto ciò la forza pubblica era rappresentata da una sessantina di elementi e non più; infine fu chiuso anche il portone della Prefettura. Gli agenti si erano disposti fuori, naturalmente, a protezione.

Crescendo le minacce e le urla, non intendendosi bene neanche che cosa la folla richiedesse, riusciti vani i tentativi dei rappresentanti dei partiti e delle organizzazioni sindacali di ottenere la calma per discutere tranquillamente quelli che potevano essere gli argomenti della manifestazione, si cercò di organizzare una commissione la quale potesse parlare direttamente col Prefetto e con gli altri dirigenti e cercare di risolvere amichevolmente la cosa.

La commissione risultò di una quindicina di persone, fra le quali si insinuò uno dei violenti più conosciuti della zona, che venne successivamente trovato armato di pistola con cartuccia in canna e col cane alzato.

Naturalmente nessuna discussione fu possibile. Le richieste trascendevano quelle che potevano essere le possibilità delle autorità locali: si voleva l’abolizione degli ammassi, la libertà di macinazione, l’abolizione di tutti i vincoli posti all’agricoltura.

Intanto che la commissione discuteva nel gabinetto del Prefetto, la folla, anziché placarsi, continuava a tumultuare. Ed anche gli interventi conciliativi di alcuni elementi di questa commissione riuscirono completamente vani. Avvenne che ad un certo punto, ad iniziativa di non si sa chi, la folla cominciò ad esercitare una violenta pressione contro il portone della Prefettura. Fatto sta che gli agenti posti a difesa del medesimo credettero opportuno di rientrare, mantenendo però aperto il portoncino di uno dei battenti, attraverso cui pensavano di poter controllare la situazione. Viceversa, la folla agì a catapulta contro il portone cercando di demolirlo con tutti gli strumenti di cui era in possesso. Un giovane, arrampicatosi, abbatté i cristalli della lunetta sovrastante il portone. I cristalli caddero sugli agenti della forza pubblica che erano collocati a difesa nell’interno, e che rimasero anche leggermente feriti. Infine, la folla riusciva a penetrare attraverso il portoncino che inutilmente dall’interno si era tentato di mantenere chiuso, e che era stato scardinato. Fatto sta che, ad un certo momento, una settantina di facinorosi, seguiti poi da una parte di dimostranti, penetrava nella prefettura e tentava di raggiungere le scale della medesima, per salire minacciosissima negli uffici del Prefetto. Naturalmente gli agenti tentarono di resistere quanto più poterono, ma ad un certo momento furono travolti. Avvenne così – ed io riferisco esattamente quello che risulta al Ministero, attraverso questa diligente relazione dell’ispettore generale colà inviato – che alcuni di essi, senza ordine ricevuto, sparassero con le armi di cui erano muniti.

I colpi sembra – dico sembra in quanto non ho visto, ma ci credo – siano stati sparati in alto: confermerebbe questo il fatto che i feriti che si sono trovati in quel luogo furono feriti tutti da proiettili di rimbalzo. Lo dimostra anche il fatto che i fori del portone, le tracce lasciate sul soffitto dell’atrio, ecc., sono tutti ad una altezza tale che sembra escludere che i colpi siano stati diretti contro la folla. Questo servì a sbandare gli assalitori, i quali si ritirarono.

All’esterno intanto veniva tentata la scalata alla facciata del palazzo. Un agente che si trovava nel gabinetto del prefetto, presentandosi alla finestra, esplodeva anche lì quattro colpi in aria. Devo aggiungere, però, che nel corso di questo tumulto si sentirono altri colpi di cui non si poté precisare la provenienza. Quando, finalmente, la folla fu respinta, ed una certa calma riuscì a stabilirsi, purtroppo furono raccolti 14 feriti, due dei quali poco dopo morirono all’ospedale. Uno di costoro, un giovane studente di venti anni, non faceva nemmeno parte della folla dei manifestanti; anzi risulta che, trovatosi nella piazza, aveva cercato di uscirne, ma non vi era riuscito perché i dimostranti avevano bloccato tutte le uscite.

Il fatto è stato naturalmente dolorosissimo, particolarmente grave, anche perché, nonostante tutto quello che ho descritto, la folla non si calmò e si ebbero successivamente altri ritorni offensivi, ma senza importanza; tanto che ad un certo punto, finalmente, i rappresentanti dei partiti e delle organizzazioni sindacali, che fino a quel momento erano stati minacciati – (la folla urlava che non voleva più saperne di Camera del lavoro, di Federterra, di partiti, ecc.) – furono ascoltati; ed i dimostranti si lasciarono persuadere a recarsi alla Camera del lavoro, dove il Segretario della Federterra, che già aveva concorso con gli agenti alla difesa del palazzo, arringava i dimostranti e li persuadeva a tornarsene alle loro case.

Così questa manifestazione, che aveva avuto inizio verso le dieci del mattino, si concludeva, nel modo che ho detto, verso le tredici del pomeriggio.

Devo dire che il Procuratore della Repubblica aveva assistito a tutti gli avvenimenti dalle finestre dei propri uffici.

Naturalmente l’autorità giudiziaria ha immediatamente aperto una istruttoria.

I partiti hanno sconfessato la manifestazione, pubblicando manifesti, e altrettanto hanno fatto le organizzazioni sindacali. Si tratta ora di scoprire i promotori. Furono arrestati da principio otto, poi undici persone, che si trovano tuttora in stato di arresto. A piede libero furono imputate altre 33 persone (almeno così a me risulta da una comunicazione dì ieri); infine 265 fra i dimostranti, che sono stati riconosciuti, sono stati pure denunciati. Degli arrestati, 9 sono considerati promotori della manifestazione, due sono imputati di violenza. Dei 9 promotori in istato d’arresto, 3 sono capizona della Federterra; altri 7 capizona sono fra gli imputati a piede libero. Costoro, a detta del Segretario della Federterra, avrebbero tutti agito completamente di propria iniziativa, all’insaputa della organizzazione centrale.

Quanto al comportamento dell’autorità, e in modo particolare della polizia, esso è stato, dall’inchiesta che ho riferito, riconosciuto perfettamente adeguato alla gravità delle circostanze. Se la polizia non si fosse comportata nel modo che ho detto, gli assalitori avrebbero certo avuto ragione di essa, avrebbero invaso i locali della Prefettura, li avrebbero distrutti, avrebbero certamente, eccitati come erano, arrecato gravi violenze alle persone. Con tutta probabilità ne sarebbero derivati altri conflitti e i danni sarebbero stati certamente più gravi.

L’autorità giudiziaria, da parte sua, ha concluso, almeno fino a questo momento, in conformità e contro gli agenti della polizia non è stato proceduto. Devo però dichiarare che l’istruttoria è ancora in corso e che, da parte di chi la conduce, non si ritengono ancora esaurite le indagini circa i responsabili della manifestazione e dell’eccidio.

Ho accennato, nel corso della mia esposizione, a colpi che si sono sentiti all’esterno della Prefettura e che non si sono potuti individuare. Devo aggiungere che si è ritenuto anche alcuni dei manifestanti fossero in possesso di armi. Non voglio dichiarare in modo preciso che i colpi siano partiti da loro, però credo di poter escludere con certezza assoluta che anche questi colpi siano partiti da agenti dell’ordine pubblico.

PRESIDENTE. L’onorevole Pignatari ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

PIGNATARI. Non posso dichiararmi sodisfatto delle dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario all’interno, principalmente per quello che si riferisce alle responsabilità dell’eccidio e per le notizie che ha fornito circa l’emissione di mandati di cattura contro numerosi contadini, che si vogliono far passare come i promotori e gli organizzatori della manifestazione, mentre i veri organizzatori non si sono potuti o non si sono voluti trovare.

Vi era indubbiamente un grave malcontento tra la classe rurale del potentino, acuito da un provvedimento preso dall’Alto commissariato per l’alimentazione, col quale si disponeva che, senza alcuna discriminazione, tutti i rurali avrebbero dovuto conferire le quote di grano trattenute per i bisogni familiari per un’intera mensilità.

Ora bisogna tener presente che, nell’agro di Potenza, la principale, se non l’unica coltura, è quella granaria, e che i nostri contadini vivono in condizioni miserrime, onde non è una frase fatta l’affermare che molti di essi, la grande maggioranza, vivono di solo pane. Data l’altitudine della zona (il grano si coltiva fra gli 800-1000 metri) la trebbiatura avviene molto tardi, nell’agosto avanzato. Quando si è preso questo provvedimento, col quale si obbligavano i contadini a versare l’intera quota di un mese e per di più si davano disposizioni ai molini di non molire il grano, se non a coloro che avessero dimostrato di aver versato la quota richiesta, è sorto naturalmente un profondo malcontento, del quale, per fini economici o per fini politici, indubbiamente qualcuno ha voluto approfittare. Ma non si vada alla ricerca degli organizzatori fra i capi zona della Federterra, non si vada alla ricerca dei sobillatori fra i contadini, i quali hanno partecipato alla manifestazione sol perché, nell’urgenza dei lavori agricoli, temevano di rimanere privi di farina e privi di pane. Gli organizzatori non sono lì! Cercateli altrove e, se sarete animati da onesti propositi, indubbiamente li troverete! La stessa Questura di Potenza e lo stesso Ispettore mandato dal Ministero debbono aver accertato che vi è stato chi ha girato a cavallo nei giorni precedenti, per le masserie dell’agro di Potenza e dei paesi limitrofi, per preparare questa manifestazione, che si è svolta fino ad un certo punto così come l’onorevole Sottosegretario ci ha riferito. Ma l’inchiesta è stata vana, perché i due obiettivi principali, accertare cioè chi fossero stati i sobillatori ed individuare i responsabili dell’inutile eccidio, non sono stati raggiunti.

Io stesso posso testimoniare come si sono svolti i fatti, perché sono accorsi subito dopo gli spari ed ho contribuito a calmare la folla, a condurla alla Camera del lavoro ed a raccogliere i feriti, che si trovavano a non meno di 40 metri dal portone della Prefettura, mentre altri erano ad una distanza anche maggiore. Nessuno è stato colpito nei pressi del Palazzo della Prefettura. Quando la forza pubblica ha sparato in aria nell’interno del Palazzo, ha fatto bene. Ma posso assicurare l’onorevole Sottosegretario che, dopo questa scarica in aria, la folla è scappata. Subito dopo si è avuta una sventagliata di mitra, che ha provocato 2 morti e 14 feriti. Non si venga a dire che i colpi sono partiti dalla folla. Noi dobbiamo respingere con sdegno questa versione, che è un travisamento della verità allo scopo di salvare i responsabili dell’eccidio!

Si abbia il coraggio di riconoscere che si è sparato senza alcuna necessità contro la folla che, dopo i colpi sparati in aria, si era data alla fuga e, in conseguenza, si colpisca severamente chi, forse per sola brutale malvagità, ha con la inutile strage, gettato seme di fermento e di rancore in una laboriosa popolazione, che, come ha riconosciuto l’onorevole Sottosegretario, è stato sempre tranquilla, pacifica e paziente.

Ciò è provato dal fatto che i feriti furono colpiti a distanza notevole dal portone della Prefettura, e questo perché, subito dopo i primi colpi sparati in aria, la folla si era allontanata. Gli agenti hanno sparato in un primo momento, pur senza averne l’ordine, nell’interno del palazzo, ma anche alle finestre, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Sottosegretario. Ora, quando si tenga presente che lo studente colpito alla testa ed ucciso, si trovava a quaranta metri di distanza dal palazzo della Prefettura, mentre altri che si trovavano a circa cento metri, sono stati colpiti alle gambe, si ha la prova che la traiettoria dei colpi è stata dall’alto in basso e che i colpi sono indubbiamente venuti dai piani superiori del palazzo della Prefettura. Ma, mentre non si scoprono gli autori della strage e non si individuano i sobillatori della sommossa, si arrestano undici disgraziati padri di famiglia e non si concede loro nemmeno la libertà provvisoria. Eppure non vi era stato un solo agente ferito, né alcun tentativo di incendio, ma solo pochi vetri rotti, mentre due morti e quattordici feriti tra la folla stanno a testimoniare la ferocia della reazione e l’inutilità della strage. Ma il Mezzogiorno d’Italia non è una colonia. Certi ingiusti provvedimenti di rigore contro contadini innocenti, non debbono essere presi. Bisogna venire incontro a questa umile gente, intervenuta alla manifestazione sol perché spintavi ed eccitata per oscuri moventi da coloro che son rimasti nell’ombra, bisogna dimostrare generosità verso i contadini del Mezzogiorno che sono e devono essere una delle forze più salde della Repubblica. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Zotta, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

ZOTTA. Comincio col dire che sono sodisfatto delle dichiarazioni del Sottosegretario. Soltanto vorrei pregare l’onorevole Sottosegretario di dare disposizioni perché non si desista dalle ulteriori indagini, in quanto, in questo fatto, si impone soprattutto un’opera sottile, delicata di investigazione. E fermo la mia attenzione soltanto sulla ragione che ha determinata la sommossa. L’onorevole Sottosegretario diceva dianzi che Potenza è tra i paesi più tranquilli; diceva che non vi sono precedenti di eventi turbolenti. Ebbene questo fatto deve invitare a riflettere.

Io conosco a fondo l’anima del popolo lucano, particolarmente dei contadini sparsi per de campagne nei dintorni di Potenza, che hanno partecipato alla sommossa e so bene che essi non sono usi ad atti di sedizione e di violenza e che obbediscono ad un’intima disciplina morale, prima che giuridica, e quindi, non so trovare un motivo plausibile che dia ragione di questa sommossa, la quale doveva terminare in maniera così tragica.

In effetti, non vi è stato precedente di fatti analoghi, né prima, né dopo questa guerra; eppure, Potenza è fra le città più duramente colpite dalla guerra. Pochi sanno forse che, solo per bombardamenti, questa città, che conta 25 mila abitanti, ha perduto 1500 uomini, ed ha avuto la distruzione della quarta parte dell’abitato.

In questa zona, le condizioni sono misere e l’agricoltura, unica risorsa, è praticata in terreni aspri, infecondi, come diceva esattamente l’onorevole Pignatari testé, ad una altitudine superiore ai sette-ottocento metri.

La sommossa fu determinata dal motivo degli ammassi? Mai più. Se si constata la statistica dei conferimenti agli ammassi, in tutti gli anni, si ha da osservare che Potenza è fra le prime città in questo periodo di doverosa e generosa solidarietà nazionale. Ed allora, se una sommossa vi è stata – si noti, in una popolazione sparsa per la campagna, in un raggio di 60-70 chilometri, fra paesi senza vie di comunicazioni – e se si sono viste persone a cavallo, come diceva l’onorevole Pignatari, che hanno girato di masseria in masseria, allora bisogna assolutamente ritenere che vi sia stato un piano studiato da abili sobillatori i quali, sfruttando le particolari condizioni di miseria di questa povera gente, l’hanno aizzata fino al furore, non fosse che con la prospettiva di travolgere questa pacifica popolazione nel gorgo comune della indisciplina e del disordine.

Ecco la preghiera che intendo rivolgere – ed ho finito – all’onorevole Sottosegretario. Bisogna continuare l’indagine, bisogna ricercare questi professionali sobillatori e fomentatori, perché non si trovano le cause psicologiche che possano spiegare una sommossa in Lucania, né per ragioni subiettive, né per ragioni obiettive. Questi elementi turbolenti bisogna rintracciarli, forse nella Lucania stessa, se si vuole assicurare veramente la pace e la tranquillità al nostro Paese. (Applausi).

MARAZZA, Sottosegretario di Stato all’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Vorrei aggiungere una sola cosa alla mia esposizione di poco fa, in relazione all’ultima dichiarazione dell’onorevole Pignatari. È stata immediatamente fatta, in un modo più diligente, l’ispezione alle armi, ed è stato constatato che i colpi complessivamente sparati dalla forza pubblica, in quell’occasione, furono ventisette. Devo escludere, in modo assoluto, che vi sia stata alcuna raffica di mitra, perché i mitra, manco a farlo apposta, in quella occasione si sono inceppati.

Quanto poi all’invito che ho ricevuto dall’una e dall’altra parte, devo dire che il Ministero dell’interno ha fatto e farà tutto il possibile perché, con la collaborazione degli organi a sua disposizione, sia fatta definitivamente la luce su questi avvenimenti. Ad ogni modo, l’inchiesta è oggi deferita all’autorità giudiziaria.

L’onorevole Pignatari ha affermato – e mi è dispiaciuto – che i colpevoli, gli organizzatori, non si sono potuti o voluti trovare. Su questo «voluti», io mi fermo per escluderlo in modo assoluto ed anche per protestare molto amichevolmente, ma anche molto energicamente. (Approvazioni al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Reale Vito ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

REALE VITO. Sono spiacente di essere arrivato in ritardo e di ignorare quindi il contenuto della risposta dell’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno. Mi preme di chiarire un punto, su cui mi pare che la discussione si è già svolta: di accertare cioè il modo come le manifestazioni si sono svolte, perché ogni organizzatore che prepari una manifestazione del genere, ha il dovere di dirigerla e di conoscere esattamente le finalità che la manifestazione stessa si propone; per poter contemperare le richieste e sapere come le cose si svolgono.

Per quanto si riferisce alla responsabilità della pubblica sicurezza, mi sembra che, per lo meno, si è agito un po’ confusamente. È necessario accertare se la pubblica sicurezza abbia effettivamente agito per un pericolo evidente o semplicemente per un pericolo immaginario. Le ultime parole dell’onorevole Sottosegretario di Stato ci danno, comunque, affidamento che la verità sarà accertata.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Perugi al Presidente del Consiglio dei Ministri «per conoscere: 1°) perché il Ministro dell’agricoltura e delle foreste ha ritenuto di disporre che i produttori agricoli della provincia di Viterbo possano versare grano ai granai del popolo dietro il corrispettivo del doppio, di granoturco; 2°) se corrisponde al vero che personale dell’Unione cooperative di Roma si sia recato nel territorio della provincia di Viterbo per acquistare a prezzi di mercato nero 800 quintali di grano dai vari detentori, consenziente l’Alto Commissariato per l’alimentazione; 3°) se sia compatibile, con le vigenti disposizioni di legge che hanno duramente e giustamente colpito tanti contravventori, legalizzare l’abusiva detenzione e vendita di grano di alcuni produttori e consentire la compravendita di genere contingentato per legge e quindi fuori commercio».

L’onorevole Ministro dell’agricoltura ha facoltà di rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò su tutti i punti della interrogazione, anche su quelli che non riguardano direttamente il mio Ministero. La disposizione, per la quale i produttori conferenti grano, a partire dalla fine di aprile, potevano acquistare del granoturco in proporzione di due quintali di granoturco per ogni quintale di grano, consegnato agli ammassi, è di carattere generale e non fu limitata soltanto alla provincia di Viterbo; fu estesa bensì a tutta Italia.

Il motivo di questa disposizione è il seguente: nel mese di aprile gli invii in Italia di cereali furono composti quasi esclusivamente di granoturco, cosicché noi ci siamo trovati a mancare quasi completamente di grano o a dover distribuire in quasi tutte le regioni d’Italia farina di granoturco, che non veniva ritirata perché non era gradita dalla popolazione.

Da questa situazione alimentare – che nel mese di aprile era diventata catastrofica – siamo stati indotti ad accelerare le operazioni di reperimento dei pochi residuati di semina, ma sopratutto dell’anticipata scadenza delle carte di macinazione, che erano già in corso fin dal mese di aprile, ma che avevano dato dei risultati fino allora poco soddisfacenti, permettendo a coloro che, in omaggio agli obblighi loro imposti, consegnavano del grano, di poter acquistare dagli ammassi due quintali di granoturco per ogni quintale di grano consegnato. Si sono in tal modo favorite le consegne di grano e si è ottenuto un gettito giornaliero fino a otto a dieci mila quintali, in una misura quindi assolutamente insperata.

Il risultato è stato così, nel complesso, soddisfacente, in quanto ha permesso di superare un periodo difficile, mentre nel frattempo sopravvenivano i carichi di grano dall’America. Si è trattato quindi di una situazione non particolare di Viterbo, ma estesa a tutta l’Italia e a favore di quei produttori che sono venuti a consegnare sia i residui delle semine, sia la decurtazione della loro trattenuta legale.

Questo fu il motivo del provvedimento che è stato tuttora mantenuto. Non vi è quindi alcun premio, nelle disposizioni del Ministero dell’agricoltura, per i contravventori alla legge sugli ammassi.

Non è nemmeno esatto che sia stata autorizzata l’Unione delle cooperative dei dipendenti dal comune di Roma ad acquistare sul mercato libero del grano.

Il provvedimento preso dal Ministero dell’agricoltura, in seguito a richiesta dell’Alto commissariato dell’alimentazione è un provvedimento che autorizza questa cooperativa, della quale fanno parte quattromila impiegati del comune di Roma, a versare dei quantitativi di grano che la cooperativa assicurava di avere acquistato.

È un provvedimento che è stato preso del resto anche nei confronti di altre cooperative di impiegati. Nei casi di cooperative di impiegati di Roma trovate in contravvenzione alla legge sugli ammassi, abbiamo sempre avuto insistenza da parte di diversi ministeri perché le sanzioni contro di esse venissero limitate al versamento all’ammasso dei cereali illecitamente acquistati.

La cooperativa veniva così ad essere punita perché veniva a rimetterci il maggior prezzo pagato nell’acquisto sul libero mercato. E non si credette mai di infierire maggiormente contro queste cooperative, perché esse non facevano altro, in definitiva, se non quello che il 95 per cento dei cittadini comuni compie a piazza Vittorio o altrove.

Queste sono d’altronde cooperative di impiegati di enti pubblici, che si trovano certo in condizioni finanziarie e quindi alimentari veramente disastrose. Allo stesso criterio ci si è informati per quanto riguarda la cooperativa degli impiegati del Comune di Roma.

Successive indagini hanno però portato a conoscere che un certo signor X – non voglio nominarlo, per non intralciare le indagini che sono in corso – si è presentato a Viterbo, dicendosi autorizzato ad acquistare grano per conto di tale cooperativa. Poiché invece questa autorizzazione non esisteva, il Ministero ha dato ordine che venisse proceduto contro questo signore a norma di legge in modo che, se il fatto veramente esisteva, venisse denunziato all’autorità giudiziaria.

Lo sciopero dell’U.P.S.E.A., che si è chiuso solamente l’altro ieri, ha impedito di sapere se questa indagine sia stata compiuta. Ad ogni modo, il Prefetto di Viterbo e tutte le autorità dipendenti sono state subito informate che nessuna autorizzazione ad acquistar grano è stata rilasciata dal Ministero dell’agricoltura, il quale non poteva evidentemente rilasciarne, perché sarebbe andato in tal modo contro legge.

Per ora non ci consta dunque altro che questo: la cooperativa, la quale asseriva di avere del grano, non lo ha versato all’ammasso di Viterbo, come le era stato consentito. Le indagini, che noi abbiamo esperite, non ci hanno però nemmeno permesso di accertare se questa cooperativa detenesse questo grano in effetti. Sono in corso delle indagini e, se questa cooperativa verrà trovata in possesso di grano, questo grano verrà confiscato, perché io, con una lettera di otto giorni or sono, e l’Alto Commissario per l’alimentazione qualche giorno fa, abbiamo rivolto una viva preghiera a tutti i colleghi di non interessarsi più di favorire le cooperative trovate in contravvenzione alla legge sugli ammassi; e abbiamo formalmente dichiarato che queste cooperative subiranno la sorte di qualunque altro contravventore. E la prima applicazione di questo principio si è avuta otto giorni or sono, quando alla cooperativa del Ministero dei lavori pubblici è stato confiscato un vagone di riso e sono stati denunciati gli autori della contravvenzione all’autorità giudiziaria.

Quindi, questo sistema che noi avevamo adottato temporaneamente, in seguito alle richieste che ci venivano da parte dei funzionari e dei loro rappresentanti legittimi, cioè i Ministri, e che era diretto a non punire in modo eccessivamente grave le cooperative composte di impiegati, è ormai un sistema che abbiamo revocato, perché troppi inconvenienti esso aveva originato. E ormai, anche queste cooperative sanno che non possono aspettarsi più nessun atto di pietà da parte del Ministero dell’agricoltura e da parte dell’Alto Commissariato per l’alimentazione e che subiranno la legge comune, sia per il grano, sia per l’olio, sia per qualunque altro genere soggetto all’ammasso.

Le ragioni, però, della mitigazione precedente erano anch’esse giustificate, perché non si poteva permettere che singoli cittadini andassero a comperare liberamente generi contingentati a piazza Vittorio – cosa che nessuno è riuscito e riuscirà ad impedire – mentre invece, solamente perché l’organismo della cooperativa aveva acquistato globalmente quello che i singoli potevano acquistare liberamente, la merce fosse confiscata.

Ad ogni modo, questo sistema, non dico di favore, ma che ritengo fosse equo, è stato abbandonato, perché troppi inconvenienti sono sorti successivamente. Comunque, tengo a riaffermare che per il caso specifico di Viterbo è in corso da parte dei carabinieri e dell’U.P.S.E.A. un’indagine, e se i signori che sono andati ad acquistare grano, vantando dei permessi che non avevano, verranno trovati colpevoli, saranno denunciati all’autorità giudiziaria, e se si troverà che il grano è stato illegalmente acquistato, esso verrà confiscato, come la legge stabilisce.

PRESIDENTE. L’onorevole Perugi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PERUGI. Ringrazio l’onorevole Ministro dell’agricoltura dei chiarimenti che ha fornito; chiarimenti dei quali, però, non sono soddisfatto, perché ciò che risulta a me non è in relazione a quanto ha detto il Ministro. E mi spiego. Per quanto riguarda l’autorizzazione data dal Ministero dell’agricoltura che i produttori della provincia di Viterbo potessero avere in corrispettivo del grano versato il doppio di granoturco, essa è stata data ai primi di maggio, quando cioè i produttori, in base alle disposizioni di legge, avevano il dovere – perché contrariamente sarebbero incorsi in un reato – di versare il seme avanzato ai granai del popolo. Ciò non è stato fatto.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Ma non la decurtazione della carta annonaria; per quella non c’era nessun obbligo.

PERUGI. Ciò non è stato fatto. Il Ministero dell’agricoltura, autorizzando la concessione di due quintali di granoturco per ogni quintale di grano versato, ha sanato il reato commesso, ed ha favorito la borsa nera, nel senso che, mentre un quintale di grano viene pagato in media 3200 lire all’atto del versamento all’ammasso, due quintali di granoturco costano diecimila lire al prezzo di borsa nera.

La questione alla quale accenna il Ministro, l’avere cioè io confuso questo versamento con il versamento del grano che ciascun produttore aveva ritenuto – e che poteva ritenere fino al 15 luglio – è diversa, ed è molto precedente alla disposizione telegrafica data dal Ministero dell’agricoltura.

Il Ministero dell’agricoltura autorizzò, invece, per lettera tutte le Prefetture e tutti i Consorzi agrari della Repubblica – dispose anzi – che fosse versato il grano trattenuto dai produttori fino al 15 luglio; e siccome era stato trattenuto fino al 15 agosto, ogni produttore doveva versare quindici chili di grano.

E questo grano è stato pagato in contanti, sulla base del prezzo di ammasso. Quindi sono due cose distinte e senza relazione l’una con l’altra. E che ciò corrisponda a verità è dimostrato dal fatto che il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Viterbo, che ha chiesto al direttore del Consorzio e ai vari consegnatari dei granai del popolo i nomi di coloro che avevano fatto questo scandalo, non è riuscito ad ottenere i nomi, perché i consegnatari degli ammassi si sono chiusi nel segreto professionale.

Quindi io trovo necessario che le leggi siano rispettate da tutti, perché, se è vero che il popolo è assetato di giustizia, è anche vero e indispensabile che l’esempio dell’osservanza delle leggi deve venire dall’alto.

Riguardo poi agli 800 quintali di grano che l’Unione cooperative di Roma sarebbe andata ad acquistare a prezzo di borsanera in provincia di Viterbo, sta di fatto che l’incaricato di questa Unione cooperative ha versato centinaia di migliaia di lire anticipatamente a molti individui che detenevano illegalmente il grano.

Una voce. È un reato. Denunciatelo!

PERUGI. Senonché questo incaricato non è stato arrestato dai carabinieri quando è andato a fare il contratto, perché deteneva (ciò che risulta alle autorità della provincia) un’autorizzazione che chiamerei generica (perché non precisava i termini dell’incarico) ad acquistare 800 quintali da vari granai del popolo.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Di chi era l’autorizzazione?

PERUGI. Dell’Alto Commissariato per l’alimentazione.

Si creava così una condizione di privilegio fra una categoria e un’altra di cittadini. Io lascio ai colleghi di pensare se tutto ciò significa rispetto della legge da parte delle autorità che devono tutelare la vita della popolazione.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Vorrei precisare una cosa: per quanto mi consta, nessuna autorizzazione ad acquistare grano è stata data.

PERUGI. I carabinieri li avrebbero arrestati!

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Smentisco che alcuna autorizzazione sia stata data da parte del Ministero dell’agricoltura. Lo smentisco in modo formale.

PERUGI. Io non vengo qui a fare insinuazioni.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Io smentisco in modo formale e la invito a produrre copia di questa lettera, se c’è.

PERUGI. Domandate alle autorità della provincia di Viterbo perché i carabinieri non hanno arrestato queste persone.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Mi consta che nessuna autorizzazione è stata rilasciata dal Ministero dell’agricoltura. Chiedo che l’interrogante precisi chi ha rilasciato l’autorizzazione.

PRESIDENTE. È detto nell’interrogazione.

PERUGI. L’Alto Commissariato per l’alimentazione.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Io affermo che nessuna autorizzazione ad acquistare grano era stata rilasciata dal Ministero dell’agricoltura. Ora lei mi dice che è l’Alto Commissariato per l’alimentazione. Constato che è caduto in equivoco.

PERUGI. Io non ho parlato di Ministero, ma di Alto Commissariato. Ho diviso le questioni.

PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni riguardano uno stesso argomento e possono essere abbinate:

Macrelli, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere se non creda doveroso e urgente provvedere alla sistemazione giuridica e morale degli insegnanti delle scuole pubbliche, che – per non essere inscritti al partito nazionale fascista – furono esclusi da ogni possibile inizio e avanzamento di carriera»;

Cavallotti, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere se intende prendere in considerazione le richieste formulate da maestri e funzionari della scuola elementare, mai iscritti al partito fascista, nel convegno di Bologna (15 marzo 1947). Tali richieste tendono a ricostruire la carriera di coloro che rinunciarono, o furono costretti a rinunciare, ad avanzamenti per non piegarsi alle imposizioni del fascismo. L’urgenza è motivata dall’immediatezza dei concorsi».

L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ringrazio gli onorevoli interroganti di avere attirato l’attenzione su un problema di particolare delicatezza morale, perché si tratta di riparare ad evidenti ingiustizie commesse in passato.

Le questioni cui si riferiscono le interrogazioni si riassumono in due gruppi: 1°) mancato avanzamento nella carriera, durante il passato regime, di funzionari della scuola elementare non iscritti al partito fascista; 2°) mancato avanzamento, per gli stessi motivi, di insegnanti elementari.

Sul primo gruppo di questioni, ritengo sufficiente osservare che i funzionari della scuola elementare hanno uno stato giuridico pienamente analogo a quello di tutti gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Sono pertanto ad essi applicabili, e sono state di fatto applicate, le note disposizioni legislative (Regio decreto legislativo 6 gennaio 1944, n. 9; decreto-legge legislativo 19 ottobre 1944, n. 301; decreto-legge legislativo 30 novembre 1945, n. 880) concernenti la revisione delle carriere dei personali civili dello Stato. Numerosissime sono infatti le domande di riammissione in servizio e di ricostruzione della carriera, esaminate ed accolte dal Ministero della pubblica istruzione, nei confronti di funzionari scolastici dispensati dal servigio o pretermessi nelle promozioni durante il passato regime, perché non iscritti al partito fascista.

In merito al secondo gruppo di questioni riguardanti gli insegnanti elementari, osservo, in via preliminare, che la carriera del maestro si svolge nei gradi gerarchici dello Stato soltanto del 1942. Durante il regime fascista, la carriera magistrale si sviluppava soltanto attraverso una serie di aumenti periodici di stipendio, sui quali non interferivano in alcun modo l’iscrizione al partito fascista o altre valutazioni di carattere politico. Gli «avanzamenti», cui allude l’interrogante, non potevano consistere quindi in promozioni di grado, nel senso che a questo termine si attribuisce per gli altri personali civili dello Stato, bensì in mutamenti di ruolo, cioè nel passaggio da un ruolo di categoria inferiore a un ruolo di categoria superiore, ovvero nel passaggio dal ruolo magistrale al ruolo di Direttori didattici.

Poiché per ottenere tali mutamenti di ruolo era prescritto un concorso, e per partecipare al concorso era prescritta l’iscrizione al partito fascista, non vi è dubbio che l’interrogante, accennando a mancati «avanzamenti» di insegnanti elementari non iscritti al partito fascista, alluda appunto all’impossibilità, in cui tali insegnanti si trovarono durante il regime fascista, di partecipare ai concorsi a posti di Direttore didattico, ovvero ai concorsi per sedi considerate di categoria superiore.

Sia l’uno che l’altro gruppo di insegnanti, che furono così danneggiati dal passato regime, trovano nella legislazione vigente ampia e soddisfacente tutela dei loro diritti. Per quanto riguarda i concorsi a posti di Direttore didattico, il recentissimo decreto legislativo 21 aprile 1947, n. 373, prevede all’articolo 17 il bando di uno speciale concorso riservato ai perseguitati politici e razziali. Il concorso, che sarà indetto quanto prima, non avrà limitazione di posti.

Per quanto riguarda i concorsi a sedi di categoria superiore, poiché la distinzione delle sedi in categorie è stata abolita, non si è potuta adottare analoga soluzione. Tuttavia, poiché l’oggetto di quei concorsi era il trasferimento a sedi di maggiore importanza, e poiché ora, in forza dell’articolo 14 del decreto legislativo, n. 373 sopra citato, tale trasferimento può aver luogo nel normale movimento magistrale senza bisogno di uno speciale concorso, l’ordinanza ministeriale del 22 aprile ultimo scorso, sul movimento magistrale che ha luogo in questi giorni, dispone, all’articolo 10, che spetti nei trasferimenti la precedenza assoluta «ai maestri che comprovino di essere stati, per interferenze politiche, trasferiti per servizio o pretermessi nella loro domanda di trasferimento» durante il passato regime.

PRESIDENTE. L’onorevole Macrelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.

MACRELLI. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dal Ministro della pubblica istruzione. Devo però aggiungere che non sono completamente sodisfatto. È opportuno rilevare che, nella risposta data dal Ministro, si è fatto accenno a due recenti provvedimenti, del 21 e del 22 aprile 1947. Ma soprattutto si è fatto accenno al decreto 19 ottobre 1944, n. 301.

Questi provvedimenti effettivamente riguardano tutti i danneggiati dal fascismo, sia per ragioni politiche sia per ragioni razziali: provvedimenti che comprendono anche coloro che, allontanati in un primo momento perché non avevano la tessera fascista, successivamente però, per motivi che io non voglio indagare, entrarono in possesso di questo documento.

Noi non ci occupiamo ora di tutti i danneggiati, ma soltanto di quelli che non hanno mai piegato davanti al fascismo, che non hanno mai avuto in tasca la tessera del partito nazionale fascista: maestri elementari, direttori didattici, ispettori; e badate, numero esiguo, un centinaio appena, uomini che ormai si trovano al limite della pensione, perché sono fra i sessanta e i settant’anni.

Ci sono dei casi-tipo che meriterebbero di essere esaminati e sui quali richiamo l’attenzione, non soltanto del Ministro della pubblica istruzione, ma anche dei colleghi.

Accenno ad uno: noi abbiamo qui, nell’Assemblea Costituente, rappresentante della mia circoscrizione emiliana-romagnola, un modesto, ma valoroso deputato di parte socialista: l’onorevole Renato Tega, condannato più volte, confinato. Ebbene, è ancora maestro elementare, non ha potuto avere nessuna promozione, non ha mai potuto aumentare di grado, perché la sua coscienza gli rifiutava di accettare quella tessera che era il segno o della vigliaccheria o della umiliazione. Anche l’onorevole Tonello (mi dispiace di non vederlo presente) si trova nello stesso caso. Io ho già avuto occasione di segnalare al Ministro della pubblica istruzione, posizioni personali che era opportuno esaminare e per le quali era necessario prendere dei provvedimenti. Ricordo il caso del professore Domenico Bazzoli di Forlì. Laureato in lettere e filosofia, incaricato dell’Ispettorato di Forlì dal Comitato di Liberazione nazionale e dagli Alleati, si mantiene in posizione di ispettore incaricato e dovrebbe ora iniziare la carriera da direttore, cioè ritornare indietro. Ricordo il caso di Riccardo Campagnoni, direttore didattico a Ravenna, già presidente della Unione magistrale nazionale dal 1920 al 1925. Non ha mai potuto sviluppare la sua carriera perché mai iscritto al partito nazionale fascista.

E così Cervi Ugo, direttore didattico a La Spezia, mai iscritto al partito nazionale fascista. Ha chiesto ed ottenuto dal Consiglio di amministrazione la riassunzione, ma la pratica giace da oltre un anno al Ministero. Non sappiamo perché ancora non abbia avuta applicazione. E poi Giuseppe Grossi, maestro a Ferrara. Trasferito dalla città, dopo trentaquattro anni di servizio, in una frazione di campagna dove rimane fino ad oggi.

E termino, noblesse oblige, con una donna, Barbieri Borri Gemma, maestra a Torino, mai iscritta al partito nazionale fascista, già ordinaria di ruolo dal 1919 al 1929. Domanda di riassunzione in data 8 ottobre 1946 trasmessa dal Provveditore di Torino. Finora non si è provveduto. Ed altri casi potrei citare sui quali mi limito a richiamare particolarmente l’attenzione del Ministro.

Io non so se è noto all’onorevole Gonella che recentemente a Bologna si sono convocati questi dispersi da tutte lo parti d’Italia; poche diecine di uomini che hanno mantenuto fede alla loro idea, non si sono mai piegati davanti alla violenza morale e materiale del fascismo.

In quel convegno si è votato un ordine del giorno, nel quale si sono formulate delle richieste: non tutte sono state accolte.

Merita ricordarle perché sono rivendicazioni di carattere fondamentale. Eccole:

1°) che i maestri non di ruolo, non tesserati, vengano assunti per concorso di soli titoli in qualità di straordinari e vengano poi considerati ordinari dopo un anno di servizio, con anzianità retrodatata al primo concorso dopo il conseguimento del diploma;

2°) che i maestri, i direttori, gli ispettori, mai tesserati, forniti di abilitazione vengano ammessi, a mezzo concorso per soli titoli, all’avanzamento di carriera da retrodatarsi secondo la norma di cui al punto 5;

3°) che ai maestri non tesserati e sforniti di diploma di abilitazione alla vigilanza scolastica sia concesso un concorso speciale per esami ai posti di direttori didattici;

4°) che ai maestri licenziati per motivi politici venga riconosciuto, agli effetti dell’anzianità e della pensione, il periodo della subita sospensione;

5°) che ai funzionari d’ogni ordine e grado, non tesserati, della scuola elementare, vengano riconosciuti gli avanzamenti di carriera e il mantenimento degli incarichi loro affidati dai Comitati di liberazione e dagli Alleati a liberazione avvenuta, pur che abbiano i titoli di studio richiesti.

Inoltre si chiede per tutti che l’anzianità di servizio decorra dalla data del primo concorso bandito durante il periodo fascista con l’obbligo di presentazione della tessera.

Fin qui la parola degli interessati.

Ma una richiesta, l’ultima, definitiva, desideravo fare. Ci sono molti ricorsi, centinaia di ricorsi, che riguardano non soltanto questi casi ma anche molti altri insegnanti, le cui pratiche sono ancora giacenti presso il Ministero. Da quali Commissioni sono esaminati questi ricorsi? Io mi auguro (e vorrei un’assicurazione attraverso la parola del Ministro dell’istruzione pubblica) che queste Commissioni non siano composte da quegli ex fascisti, che purtroppo si moltiplicano in tutti gli uffici dei Ministeri compreso quello della pubblica istruzione. Noi chiediamo una risposta rassicurante anche a questo proposito. Prendiamo atto di quello che ha dichiarato il Ministro onorevole Gonella, ma insistiamo perché si provveda una buona volta sui casi particolari che noi abbiamo esposto. Si tratta di una causa di giustizia e di moralità. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Cavallotti ha facoltà di dichiarare se è sodisfatto.

CAVALLOTTI. La mia soddisfazione, per quanto ha risposto l’onorevole Ministro della pubblica istruzione, è parziale e ne dirò subito il perché. Sono, onorevole Ministro, sodisfatto per il 38 per cento ed insoddisfatto per il 62 per cento. In quel convegno al quale alludeva l’onorevole Macrelli c’erano più di cento maestri e di questi, circa 38 erano maestri di ruolo e maestri in possesso del diploma di abilitazione alla vigilanza scolastica, mentre il 62 per cento erano maestri non di ruolo e non in possesso di quel diploma di abilitazione. Ai concorsi banditi dal Ministero della pubblica istruzione mi pare che non possa partecipare quel 62 per cento, cioè quei maestri non di ruolo e sforniti del diploma di abilitazione alla vigilanza scolastica. Mi pare, invece, che il problema sia proprio per questi maestri, prima di tutto perché sono più numerosi degli altri, e poi soprattutto perché hanno più di tutti sofferto, ed io avrei voluto dire all’onorevole Ministro la delusione e la sfiducia che vi è fra questi maestri, che, tuttavia, moralmente ed anche intellettualmente non hanno niente a che invidiare agli altri. Questi maestri si son visti passare avanti per le vie normali gli altri maestri che avevano potuto esibire nel corso della loro carriera, i così detti meriti fascisti, cioè sciarpa littorio, marcia su Roma, ecc., dal concorso del 1928 in poi. Ma quale è stata la tragedia di questi maestri? I Comitati di liberazione nazionale, subito dopo la liberazione, hanno dato incarico a parecchi di questi maestri di ricoprire il posto di direttore didattico. Successivamente, dopo l’opera di discriminazione, non so come sia avvenuto, i maestri fascisti, che in quei giorni si erano allontanati, sono tornati a prendere i loro posti e questi maestri antifascisti, questi bravi italiani, si sono trovati ancora in subordine.

Spero che l’onorevole Ministro voglia fare tutto il possibile per provvedere a questi maestri antifascisti. Come dicevo, i maestri che sono rimasti antifascisti durante il periodo fascista non hanno avuto la possibilità di migliorare la loro capacità didattica e c’è un numero di questi poveri vecchiotti rimasti fuori, o ai limiti dell’insegnamento, che non hanno avuto… i vantaggi riservati ai maestri fascisti.

Sono sicuro che l’onorevole Ministro mi comprenderà. Lo credo, e qui ce ne danno l’esempio il compagno Tonello ed il compagno Tega: credo che questi maestri, riammessi al ruolo che loro spetta, potranno insegnare agli scolari qualcosa che gli altri maestri non possono più insegnare. Essi potranno insegnare nozioni di storia, di geografia, di aritmetica e d’italiano, ma potranno insegnare con l’esempio della loro vita, che bisogna avere dirittura di carattere e non curvare la schiena davanti alle imposizioni della dittatura; ed amare la libertà, ed avere rispetto per la propria coscienza e non mercanteggiarla. (Applausi).

PRESIDENTE. Le interrogazioni all’ordine del giorno di oggi sono così esaurite.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo. È iscritto a parlare l’onorevole Foresi. Ne ha facoltà.

FORESI. Onorevoli colleghi, l’onorevole Presidente del Consiglio, nella esposizione del suo programma di Governo, ha sottolineata la necessità di dare impulso alla emigrazione che tanto può contribuire alla rinascita del Paese. Difatti le condizioni economiche dell’Italia in questo tragico dopoguerra, hanno acuita la necessità di esaminare il problema emigratorio con la massima attenzione e con il più largo favore.

È noto a tutti voi che l’emigrazione costituisce una valvola di sfogo della nostra pressione demografica, notevolmente superiore alle possibilità economiche del territorio nazionale e che, con la favorevole impostazione di questo problema, il nostro Paese potrà nuovamente ed efficacemente inserirsi nel consorzio internazionale, mettendo a disposizione del mondo il lavoro italiano, unica forza ed unica ricchezza del nostro popolo e sicuro strumento di rinnovato clima fraterno fra tutti i popoli.

È necessario, quindi, che in questo momento speciale, in cui tutti parlano, troppo – (almeno le parole sono abbondantissime nelle loro affermazioni di collaborazione internazionale) – si cerchi di valorizzare giustamente il nostro lavoro e di potenziarlo al massimo, elevando la capacità lavorativa degli operai attraverso corsi professionali ed assicurando agli espatriandi la massima garanzia economica, sociale e morale.

Per questo ritengo opportuno portare il mio modesto contributo, non tanto per criticare l’opera fin qui svolta, ma per mettere in rilievo alcuni aspetti di questo complesso problema e per farli valutare nella loro importanza e possibilmente nella loro interezza. Sino ad oggi il problema della emigrazione è stato affrontato, voglio dire, dal Ministero del lavoro e dal Ministero degli esteri. L’emigrazione deve essere, invece, secondo me, impostata e risolta in modo unitario. Sarebbe indubbiamente utile creare di nuovo il vecchio Commissariato dell’emigrazione, che il fascismo distrusse; ma nel frattempo non si dovrebbe ulteriormente indugiare nell’istituire quel Consiglio superiore della emigrazione che, come già nel passato, dovrebbe riprendere la sua funzione di ispiratore della politica emigratoria, studiare e formulare i programmi di massima e dare le sue direttive unitarie agli organi esecutivi in questo delicato settore ed in tutti quei problemi che sono strettamente ad esso connessi. In tal modo, il Consiglio sarebbe l’organo superiore direttivo e dovrebbe essere costituito da coloro che per la loro preparazione scientifica e per la loro competenza, fatta di pratica esperienza, potrebbero fornire un valido contributo. Con la sua costituzione saranno anche delimitati i rapporti fra il Ministero del lavoro ed il Ministero degli esteri: il primo dovrà provvedere alla istituzione delle scuole di perfezionamento della mano d’opera ed al regolamento del lavoro; l’altro all’assistenza dei lavoratori, dal momento dell’imbarco fino a tutto il periodo della loro permanenza all’estero. Delimitando tali compiti si preciseranno le responsabilità dei due organismi, e sicuramente avremo fatto il primo passo nell’interesse dei lavoratori.

Per quanto riguarda l’istituzione di scuole di perfezionamento per i lavoratori, è ovvio rilevarne tutta l’importanza, poiché essa potrebbe significare anche la risoluzione di moltissimi e difficilissimi compiti che oggi si presentano. Infatti, finora, onorevoli colleghi, nei vari accordi di emigrazione conclusi – accordi che, insieme a quelli di ordine culturale, auspico sempre più frequenti, anche di quelli di carattere strettamente politico – i diversi paesi di emigrazione hanno dimostrato il loro desiderio di avere una mano d’opera specializzata, qualificata. Purtroppo, di fronte a questa richiesta noi abbiamo più volte dovuto ripiegare a sistemi che non sono stati sempre seri, ed anche poco vantaggiosi per gli stessi lavoratori. Gli emigranti si lamentano che i salari ricevuti non sono corrispondenti a quelli stabiliti dagli accordi. La ragione di ciò viene prevalentemente dal fatto che i paesi di emigrazione si riservano, una volta che è giunta la nostra mano d’opera, di esaminare le qualità dei nostri operai, perché spesso (e qui bisogna dire la verità) queste qualità risultano inferiori a quelle dichiarate, dando poi luogo a retrocessioni di categorie, il che apporta differenze sensibili nei salari, e di conseguenza anche le rimesse alle famiglie non possono essere effettuate con vantaggio né per le famiglie stesse, né per il Paese.

Bisogna perciò istituire immediatamente scuole professionali ed evitare le squalificazioni della nostra mano d’opera, per non correre il rischio, più volte giustamente lamentato, di depauperare oltre un certo limite il patrimonio nazionale delle maestranze specializzate, così utile e necessario anche alle nostre industrie nazionali.

Nell’era della macchina noi dobbiamo formare lavoratori qualificati, che conoscano il meccanismo produttivo moderno e che possano intelligentemente imporsi sul mercato del lavoro mondiale. Le scuole di perfezionamento potranno essere veri centri di produzione nazionale ed inserirsi efficacemente nella vita economica del nostro Paese. Potremo così assorbire anche una parte della nostra mano d’opera disoccupata e dare a questi lavoratori il necessario e giusto aiuto.

Altro problema che si presenta è quello dell’arruolamento degli emigranti: fino ad oggi alla sua risoluzione non è stata riposta tutta l’attenzione necessaria. Si sono troppe volte indicati come operai qualificati delle persone che non conoscevano il mestiere, e così dei barbieri sono stati ingaggiati come minatori, dei maestri elementari come muratori, ecc. Tutto ciò significa ingannare i lavoratori, perché se è spiegabile che il miraggio di una occupazione possa indurre degli operai, spinti dalla necessità, a dichiarare e ad impegnarsi per attività diverse da quelle che essi praticano, a fatiche superiori alle loro forze, è invece una colpa degli organi preposti al reclutamento di non predisporre tutti gli accurati accertamenti per la verifica delle dichiarate attitudini di ciascun lavoratore che espatria.

Io penso che non debba essere difficile per tali organi conoscere la situazione delle varie categorie operaie della propria circoscrizione ed avere mezzi sufficienti per poter vagliare se effettivamente il lavoratore appartenga alla categoria dichiarata. In altre parole, gli Uffici provinciali del lavoro debbono essere meglio attrezzati per portare un effettivo contributo alla buona riuscita del reclutamento, e le organizzazioni sindacali, che anche in tale campo intendono di collaborare e vi insistono giustamente, mantenendosi al di sopra di ogni considerazione politica o di parte nella scelta dei lavoratori, debbono fornire tutti quei ragguagli tecnici che sono necessari.

Per quanto riguarda l’assistenza agli emigranti ben poco si è fatto fino ad oggi. I centri di raccolta degli espatriandi sono stati spesso improvvisati e sono privi delle più elementari attrezzature per le necessità di vita. Occorre, invece, che nei porti d’imbarco e nei luoghi vicini al confine siano istituiti appositi centri permanenti per gli emigranti. Questi centri debbono essere attrezzati convenientemente e devono essere dotati di tutto ciò che è necessario ad una vita dignitosa. Non dovranno, cioè, essere luoghi d’infezione fisica, morale e sociale, ove l’uomo viene molto spesso ridotto allo stato di bruto, ma bensì dovranno essere costituiti da case accoglienti, provviste almeno dei più elementari conforti. Ed è questa una esigenza di rudimentale umanità!

L’emigrante che lascia la sua terra perché non può dare da vivere a tutti i suoi figli deve sentirsi sicuro che la Patria ha fatto e farà per lui tutto il possibile e che nel penoso lavoro gli sarà sempre vicina.

D’altra parte questo è il minimo che noi potremmo e dovremmo fare per quei lavoratori che, con la loro opera contribuiranno – autorevolissimi ambasciatori italiani di vera pace e di fecondo bene – alla ripresa dei nostri contatti con il mondo e alla risoluzione del nostro problema economico.

Altro importante problema, sul quale mi riprometto di parlare in momento più opportuno, è la sistemazione di tutti gli espulsi rimpatriati dall’estero. Sono parecchie decine di migliaia che non riescono ad inserirsi nella vita economica nazionale, sia per le difficoltà dell’attuale situazione, sia perché aspirano ancora a rientrare nei vecchi luoghi di residenza. Solo poche migliaia di essi ricevono un sussidio che va dalle venti alle quarantasei lire al giorno o sono ricoverati nei campi dell’assistenza post-bellica o del Ministero degli esteri; mentre è vivo in loro il desiderio di trovarsi una dignitosa occupazione e di dare un apporto alla ricostruzione del Paese. Sono anch’essi vittime di questa guerra non voluta dal popolo italiano, vittime innocenti che non dobbiamo abbandonare ed alle quali dobbiamo rivolgere ogni nostra cura e tutta la nostra attenzione.

Gli espulsi rimpatriati dall’estero dovrebbero, quindi, secondo i loro desideri, essere avviati con preferenza verso i paesi d’immigrazione, oppure, compatibilmente con le possibilità, verso quei luoghi ove essi hanno interessi, amicizie, conoscenze. In tal modo, potremo accontentare nelle loro aspirazioni questi figli che, per essere rimasti fedeli alla Madre Patria e per essersi creati con la loro laboriosità delle attività fiorenti, sono stati costretti ad allontanarsi dall’abituale luogo di lavoro, assai spesso tutto perdendo!

Ho voluto dare questo mio modesto contributo sull’azione futura del Governo, solo spinto dal desiderio di vedere lenite le pene che oggi travagliano tanti nostri lavoratori.

Al tempo stesso, sono sicuro che i problemi che ho qui accennato saranno affrontati con la maggior cura e col maggior impegno dall’attuale Governo, il quale offre la necessaria garanzia di contribuire in modo tangibile, con amorosa ed oculata azione, al benessere delle masse lavoratrici; e ciò non solo per avere nel suo seno lavoratori autentici come il Ministro Corbellini, o apostoli purissimi dell’ideale sociale cristiano come il collega professor Fanfani, ma soprattutto per il fatto che in esso è rappresentato un partito che ha le sue profonde radici nel popolo lavoratore e che si ispira alle massime morali e sociali davvero indefettibili del Vangelo di Cristo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Rodi. Ne ha facoltà.

RODI. Onorevoli colleghi, noi siamo chiamati ad esprimere un giudizio, a muovere una libera critica, ad accettare o respingere il programma esposto dal Governo, prima ancora che questo abbia praticamente dato la prova della sua capacità o della sua inettitudine. Le nostre osservazioni pertanto sono in un certo senso affette da presunzione aprioristica, ma non cessano di avere egualmente valore di contributo al perfezionamento di un programma e alla sua pratica attuazione.

Sono perciò rimasto perplesso il giorno in cui, al primo annuncio ufficiale della formazione del quarto Governo De Gasperi, un giornale di sinistra, ignaro ancora del programma e delle intenzioni del Governo stesso, affermava l’assoluta necessità di rovesciarlo immediatamente. E il direttore di quel giornale, noto per i suoi drammatici dilemmi, parlando in una grande città italiana, non solo ribadiva quella necessità, ma faceva addirittura allusione alla minaccia di ricorrere ai movimenti di piazza per raggiungere l’intento.

Tutto ciò, signori, è veramente strano e comunque denuncia l’esistenza di una mentalità estremistica, che deve destare le nostre preoccupazioni, se non altro per il fatto che essa minaccia di trascinare l’Italia in una assurda avventura rivoluzionaria.

Il quarto Governo De Gasperi è un tentativo politico audace e storicamente individuabile: esso, difatti, rappresenta un netto e meditato distacco dal tripartito, cioè da un sistema politico e amministrativo che non ha dato buoni risultati e che appariva ed era ormai esautorato dall’equivoco, da una forte ispirazione demagogica e dal fallimento di un compromesso.

Si è detto che il nuovo Governo è un Governo di emergenza. Io non so se esso tale sia veramente, perché l’attribuzione di un simile carattere è dipendente dal punto di vista dal quale ci si pone: dico soltanto che il voto di fiducia non può essere, come ha affermato l’onorevole Ruini, un voto di emergenza, perché l’attuale Governo è chiamato ad assolvere compiti di eccezionale importanza in un momento cruciale della nostra storia. La sua vita dovrà essere breve, in quanto è legata a quella dell’Assemblea Costituente, ma ogni suo atto può trovare consistenti ripercussioni in un lungo futuro.

Ad ogni modo la nascita di questo Governo ha modificato favorevolmente la nostra prospettiva politica. Ieri, difatti, abbiamo sentito che c’era un penoso distacco tra il Governo tripartito e il popolo italiano; oggi possiamo constatare che un distacco c’è ancora, ma questa volta esso corre tra il Governo ed un settore della classe politica italiana. Prova ne sia che mentre in quel settore si è manifestata subito una sorda e intransigente ostilità nei confronti del nuovo Governo, nel popolo si è invece diffuso un largo senso di fiducia.

L’onorevole Nitti ha parlato in verità non di fiducia, ma di euforia: ed io trovo strano che l’illustre uomo abbia chiamato euforia un orientamento spontaneo dell’opinione pubblica, di quella stessa opinione pubblica già estremamente stanca del compromesso tripartito ed ora atteggiata ad una benevola attesa nei confronti del nuovo Ministero. Codesta attesa pertanto non può essere interpretata come un segno di euforia, ma piuttosto come una prova di saggezza.

Per quanto riguarda l’atteggiamento dell’estrema sinistra ho parlato deliberatamente di ostilità e non di opposizione, perché tra l’una e l’altra corre un notevole divario. L’ostilità, spesso ispirata da motivi personali o da interessi di partito, si estrinseca sul piano dell’insidia, della montatura scandalistica e delle sorprese di piazza, per costringere un Governo a dimettersi; invece l’opposizione, pur nel contrasto delle idee, si concilia nel comune interesse nazionale e tende comunque a sostenere criticamente l’azione del Governo. Gli uomini del nuovo Governo sono coscienti della responsabilità che si assumono, coscienti della drammatica situazione che comprime e agita il nostro popolo, coscienti della qualità degli avversari e dei nemici: codesta consapevolezza è già motivo sufficiente a determinare una disposizione d’animo e d’intenti consona alla difficoltà dell’impresa, ma debbo qui ricordare che la sfiducia intorno al tripartito si è formata non solo a causa della cattiva amministrazione della cosa pubblica, ma anche per il mancato adempimento delle promesse fatte al popolo in ogni circostanza e con imperdonabile faciloneria,.

Gli oppositori della sinistra hanno già posto una singolare pregiudiziale: cioè che i tecnici immessi nel governo, pur essendo stati unanimemente riconosciuti come uomini di alto valore e di indiscussa integrità morale, sono elementi asserviti alla plutocrazia. Si tratta evidentemente di uno dei tanti luoghi comuni di cui si serve l’estrema sinistra per alimentare un’ormai contorta demagogia e può derivare anche da quella morbosità politica che un’accesa concezione estremista ha distillato nella coscienza degli italiani.

Da parte mia penso che un tecnico di valore e dotato di spiccate qualità morali non può che recare vantaggi al Paese.

Credo però che il primo compito del nuovo governo sia quello di identificare la psicologia del popolo italiano, di intendere nella sua essenza il momento politico del quale siamo protagonisti e di individuare la realtà nel seno stesso di quel movimentato scenario che è la stampa: e cito la stampa in considerazione del fatto che essa è nel suo complesso tanto l’espressione dell’opinione pubblica quanto l’incrocio delle più disparate correnti politiche. A me sembra che codesto compito sia di estrema importanza, perché non si può governare senza conoscere i governati e la storia ci dice quali fatali conseguenze abbiano subito quei popoli i cui sovrani non riuscirono ad intendere infatti contemporanei.

Aristotele condannò l’usura senza aver compreso che da essa andava nascendo il prestito commerciale; Machiavelli non sentì l’importanza delle armi da fuoco di recente invenzione e trattò di arte militare prendendo ad immagine della realtà i vecchi strumenti e le vecchie formazioni di battaglia; Luigi XVI non comprese le profonde modificazioni avvenute nel popolo francese e fu travolto dalla rivoluzione; Thiers non intese l’importanza delle ferrovie che cominciavano allora a solcare i suoli europei e le ignorò nelle sue concezioni politiche; Victor Hugo, avendo visto sparare un cannone, sentenziò che l’artiglieria avrebbe ucciso la guerra e pertanto non intuì quale sviluppo avrebbero avuto le armi fortemente distruttive; Napoleone non comprese lo spirito italiano dei suoi tempi e calpestò l’Italia da padrone, preparando con ciò anzitutto il danno della Francia; l’ultimo Zar non comprese che dalla coscienza del popolo russo era caduta la credenza nella monarchia di diritto divino e non poté opporsi ad una sanguinosa rivoluzione. Così i dittatori moderni non hanno ancora compreso che la dittatura è un fenomeno storico ormai superato dai tempi e che perciò oggi ogni dittatura è destinata a finire tragicamente; così gli uomini politici non intendono spesso gli effetti sociali del progresso scientifico e restano fedeli alla mentalità e ai metodi dei loro colleghi che operarono nel Settecento e più in là; così alcuni partiti che si dicono espressione dei lavoratori non sanno sovente comprendere e interpretare i bisogni dei loro rappresentati.

Onorevoli colleghi, noi siamo usciti da una guerra di immense proporzioni e dobbiamo tener conto che ogni guerra produce profonde modificazioni, che presuppongono ad ogni modo un processo evoluzionistico. Dice uno storico inglese: «L’uomo è ancora nell’età dell’adolescenza. I suoi tormenti non sono i tormenti della senilità e dell’esaurimento, ma della sua forza crescente e ancora indisciplinata. Se guardiamo a tutta la storia come ad un unico processo, se consideriamo la costante lotta ascensionale della vita verso la luce e il controllo, allora vedremo nelle sue proporzioni le speranze e i danni dell’ora presente».

Ebbene noi dobbiamo inserire nella nostra azione politica il concetto di codesta irrequietezza giovanile, poiché penso che questa sia in gran parte colpevole delle nostre agitazioni presenti. Comunque la guerra, sebbene abbia investito l’intera umanità e l’abbia sconvolta nell’orrore delle grandi stragi e delle grandi distruzioni, non ha risolto i problemi europei, che anzi sembrano diventati più acuti. E dobbiamo purtroppo constatare che l’egoismo organizzato e la passione imperialistica sono ancora alla base della politica internazionale, la quale appare totalmente dimentica delle cause che generarono la guerra.

Io ricordo il tempo in cui la propaganda bellica degli Alleati era tutta intessuta di aspirazioni pacifiche, di fraterne promesse, di conciliazioni superiori, di perdoni cristiani, di impulsi generosi: di tutto ciò oggi non rimane che un astioso contrasto tra vinti e vincitori e quel pugno di uomini politici divenuti inopinatamente arbitri delle sorti del mondo, sembrano la reincarnazione di coloro che trattarono la pace di Westfalia o che sedettero al Congresso di Vienna: cioè come ieri il duello politico trae il suo alimento dall’egoismo e si continuano ad ignorare le reali esigenze dei popoli.

Per cui quando sento dire, con esasperante monotonia, che bisogna distruggere il monopolio economico, penso che bisogna distruggere anzitutto il monopolio politico, che è cosa ben peggiore e trascina le folle inconsapevoli nelle guerre civili, dopo aver deformato gli ideali dell’umanità.

Per quanto riguarda particolarmente l’Italia è facile constatare che, nonostante il marasma politico, abbiamo dimostrato di possedere inesauribili risorse, una notevole capacità di recupero ed una tenace volontà di rinascita. Sono perciò nettamente contrario al pessimismo manifestato dall’onorevole Nitti, che, nonostante la sua autorità di esperto politico, non riuscirà a farci vedere tutto il nero ch’egli crede di scorgere nel nostro avvenire.

Da noi trionfa ancora il senso dell’universalismo, cioè quel misterioso senso che ci ha consentito e ci consente di essere primi anche quando gli avvenimenti storici ci sospingono nella retroguardia dei popoli. Errano perciò gli uomini politici italiani quando rendono piccoli e angusti i nostri fatti interni: tali uomini hanno per lo meno la colpa di ignorare la nostra tradizione universalistica nell’intento di sostituirla con il meschino interesse della fazione.

Questo senso universalistico noi lo abbiamo ereditato dall’impero Romano, dalla Chiesa Cattolica, ed è nel genio stesso del popolo italiano.

Noi abbiamo civilizzato i barbari invasori, universalizzando i nostri costumi e la nostra cultura; quando audaci e ambiziosi sovrani tentavano l’anacronistica ricostruzione dell’impero Romano, noi universalizzammo l’idea di una repubblica che traesse dal popolo la sua sovranità; quando gl’italiani compirono i primi sforzi nazionalistici, scaturì l’universalizzazione delle libertà comunali; un’Italia invasa dallo straniero creò nel Mezzogiorno una monarchia che doveva universalizzarsi secondo il concetto della costituzionalità; nell’irrequietezza delle Signorie gl’italiani inventarono e universalizzarono la rivoluzione sociale e fiscale, intesa come eguaglianza di diritti e come aspirazione ad una più equa distribuzione della ricchezza; quando in Italia vacillò la coscienza del diritto e la Penisola fu gettata in una grave decadenza politica, il genio italiano creò il Rinascimento, universalizzando la maestà dell’arte italiana, e un italiano scoprì nuove terre oltre Atlantico; la rivolta luterana non toccò gl’italiani, non soltanto a causa della nostra coscienza religiosa, ma anche perché quella rivolta fu angusta e non poteva investire tutta l’umanità credente; molto prendemmo invece dalla Rivoluzione francese, che ebbe carattere universale e segnò la fine di un’epoca; lo stesso nostro Risorgimento, che a tutta prima può apparire come un fatto puramente italiano, è invece, nei suoi eroismi militari, artistici e filosofici, l’interpretazione dell’universale esigenza di libertà e di indipendenza.

Oggi non possiamo rimpicciolire l’Italia con una politica interna che s’isterilisca nell’angustia delle posizioni personali e muoia nell’ambito di inqualificabili ambizioni. L’Italia deve inserirsi nella politica internazionale con tutto il suo ricco patrimonio e dobbiamo intanto convincerci che le nostre crisi governative non sono un fatto che si esaurisce in se stesso, ma un fatto che appartiene al congegno mondiale.

Non è lecito consigliare, per un malinteso desiderio di pace e di neutralità, l’ignoranza o il disinteresse per quanto avviene intorno a noi, oltre i nostri confini: e le altrui cose dobbiamo vederle non nella veste di semplici e indifferenti osservatori, bensì come esperti che dai fatti internazionali possano trarre esperienza e insegnamento.

Un giovane deputato ha affacciato il dubbio che alla base di quest’ultima formazione ministeriale vi siano l’ingerenza e la pressione dello straniero. Un vecchio parlamentare ha fatto suo quel dubbio e lo ha tradotto in sospetto. Ora io deploro che, per discutibili interessi di partito e per una più discutibile esigenza di opposizione, si possa gettare una simile ombra sul governo testé costituitosi. Ed anche ammesso che il dubbio e il sospetto siano scaturiti da un’intima e sincera convinzione, si è caduti comunque nell’errore di deformare la natura dei nostri rapporti internazionali, dopo averli individuati in maniera del tutto arbitraria.

Onorevoli colleghi, noi viviamo in una straordinaria epoca rivoluzionaria e c’è di particolare il fatto che un’ideologia politica vorrebbe dare la sua impronta al nostro secolo. Ma la rivoluzione non sorge ora da un fenomeno politico, bensì dal progresso scientifico, dall’evoluzione sociale, dal trapasso da un’età all’altra: è dunque un travaglio pacifico e non un sovvertimento violento.

La dottrina politica cui ho fatto cenno nacque nella mente di un filosofo greco, fu vagheggiata da Tommaso Moro e dal Campanella, manifestò i suoi primi sintomi nelle violenze compiute da alcuni epigoni di Lutero in Sassonia e nella Westfalia. La stessa dottrina, resa socialmente reale dalla Rivoluzione francese, divenne un «Manifesto» nel 1848 e intorno al 1870 si tramutò in una serie di «centri d’azione». Dopo lo slogan di Proudhon, secondo il quale la proprietà è un furto, quella dottrina produsse nuove intemperanze. Tra la congiura di Babeuf, i primi opifici nazionali creati da Luigi Blanc e demoliti dalla logica economica della nazione francese, i falliti esperimenti canadesi di Owen, i falansteri del Fourier, si pervenne al rivoluzionarismo di Carlo Marx e alla grande tragedia bolscevica del 1917.

Ora il comunismo, singolare alleato di alcune Potenze democratiche, ha al suo attivo una grande vittoria militare: cioè tanto quanto basta per metterlo alla testa di una straordinaria corrente imperialista.

Ebbene, signori, taluni credono che il comunismo sia una nuova dottrina e che la sua storia dai primi movimenti dei luterani tedeschi ai giorni nostri si possa identificare con un processo evolutivo destinato a rendere lungamente e universalmente stabile la sua attuale affermazione politica.

Secondo me, il fenomeno è grandemente diverso. La lotta tra lo spirito e la materia è antica quanto la società umana. Nel corso dei secoli la materia ha assunto atteggiamenti diversi e l’ultimo di codesti atteggiamenti, realizzato politicamente dalla Rivoluzione francese, si chiama comunismo. Ritengo pertanto assurda l’aspirazione del materialismo a salire sul trono del mondo.

Vero è che l’umanità ha subito sovente la dittatura del materialismo, ma si è trattato sempre di fenomeni fugaci, destinati comunque a preparare una più luminosa vittoria dello spirito. Pertanto il comunismo, che è una rinnovata immagine delle forze materialistiche, non può essere considerato come una nuova dottrina sociale, politica ed economica, ma corme il termine di contrasto nell’eterna lotta dell’umanità travagliata.

A questa grande lotta tra la libertà e il totalitarismo noi partecipiamo attivamente: l’ultima crisi governativa, dalla quale le sinistre sono uscite sconfitte, è un episodio di codesta nostra partecipazione, un episodio che altri ne presuppone e più salienti ancora.

I deputati dell’Assemblea Costituente rappresentano tutto il popolo italiano e ciascuno di noi reca in sé l’immagine di un gruppo, di una categoria, di una classe di elettori. Perciò qui si amalgamano i più disparati sentimenti, le più diverse ideologie: voglia Iddio che la fusione di tutti questi elementi pervenga a dare l’immagine del Paese quale veramente è e non un’immagine deformata dalla passione politica.

Qui siedono contadini, operai, giuristi, filosofi, maestri, artisti, medici, scienziati, economisti, tecnici, apostoli, martiri, credenti e atei, conservatori e rivoluzionari. Qui esplodono le passioni e si estrinseca il pensiero di un popolo; qui convergono tutte le aspirazioni e tutte le ostilità, tutti i fremiti della lotta e tutte le ambizioni; qui tengono il campo il pessimismo e l’ottimismo, la moderazione e l’estremismo, il desiderio di veder giganteggiare l’Italia e il timore di vederla cadere nell’abisso.

Ora io mi auguro che dal contrasto di tutti questi elementi il nuovo Governo saprà saggiamente trarre quel termine medio che la storia destina come strumento della nostra rinascita. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Roselli. Ne ha facoltà.

ROSELLI. Rinuncio a parlare per abbreviare le discussioni sulle comunicazioni del Governo. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Quarello. Ne ha facoltà.

QUARELLO. Rinuncio a parlare. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Zerbi. Ne ha facoltà.

ZERBI. Onorevoli colleghi, autorevoli oratori che mi hanno preceduto hanno in vario modo rimproverato al quarto Gabinetto De Gasperi la mancanza di un organico piano economico inteso alla difesa degli interessi vitali delle classi popolari con quella varietà e complementarità di provvedimenti che la gravità del problema richiederebbe.

L’onorevole Morandi opina che non basta a tale intento la riaffermata fedeltà del nuovo Governo alle direttive contenute nei 14 punti del programma d’aprile. Egli ritiene che il programma economico di questo Governo non è quello che ci è stato esposto» ed in ogni caso è d’avviso ch’esso ci avvia ad un disastro proponendosi di difendere la lira coni mezzi semplicemente finanziari.

Con riferimento ai problemi alimentari, nei quali egli è particolarmente versato, l’onorevole Cerreti asseriva che il quarto Gabinetto De Gasperi non saprà resistere alle rivendicazioni di libertà le quali si levano vivaci da ogni parte del settore annonario, che il Ministro del bilancio «non sarà l’uomo il quale prenderà misure coercitive contro la speculazione», che, insomma, «il Governo non ci garantisce dalle minaccie degli accaparratori».

L’onorevole Tremelloni appare invece preoccupato che l’accentuazione dei motivi di risanamento finanziario e monetario portino il nuovo Governo a sottovalutare l’importanza dei problemi di priorità d’investimenti e di produzioni, di stimolo a migliori rendimenti tecnici e di quelli attinenti il regolamento e la difesa del tenore di vita delle classi popolari.

L’onorevole Tremelloni ha invitato il Governo «a bandire risolutamente ogni controllismo il quale non abbia precise finalità»; ma al tempo stesso – col suo apologo dei semafori – ha egli pure sottolineata la propria viva preoccupazione contro eventuali esperimenti di liberismo intempestivo. Senonché lo stesso apologo dei semafori, concludendo con l’invito a spegnere quelli accecanti, alleava sostanzialmente l’oratore al programma del Governo.

Esprimendo un dubbio, che ho motivo di ritenere diffuso nei settori di mezz’ala sinistra di questa Assemblea, l’onorevole Foa ha creduto di poter interpretare come disarmonia politica il fatto che il programma economico contenuto nelle dichiarazioni del Governo non abbia dato agli strumenti non monetari o finanziari dell’intervento di Stato quel rilievo che egli si sarebbe atteso dalla Democrazia cristiana, la quale annovererebbe non pochi deputati le cui opinioni in argomento vanno ben oltre l’uso dei soli strumenti monetari e finanziari di politica economica.

In realtà il dissenso fra noi ed i colleghi di mezz’ala sinistra non verte tanto sull’attuale necessità dell’intervento diretto ed indiretto dello Stato nel congegno della produzione, nel sistema dei prezzi, nella rete circolatoria dei prodotti, del credito, dei mezzi di pagamento, quanto piuttosto sul contingente giudizio di merito dei vari strumenti di siffatto intervento.

Se proprio volessimo riassumere in vocaboli diversi, sia pure sinonimi, posizioni diversificate, se pure convergenti, diremmo che in questo nostro settore di centro siamo per una economia «disciplinata», piuttosto che per una economia «pianificata».

La diversificazione è motivata anzitutto dal nostro attuale scetticismo rispetto a taluni strumenti della pianificazione, la quale nel nostro Paese povero di talune materie prime essenziali e deficiente di talune essenziali derrate alimentari, postula ammassi totalitari, assegnazioni di materie prime, fissazione di prezzi d’imperio, non già in via sussidiaria, o come tentativo di estremo rimedio, ma come strumenti preminenti o per lo meno consueti e caratteristici di un efficace intervento dello Stato nella produzione, ai fini del bene comune.

Tale nostro scetticismo circa l’efficacia strumentale di taluni metodi, in taluni settori, nella contingente situazione del nostro Paese, è maturato al diretto contatto con la prassi italiana sia dell’ammasso che dell’assegnazione e dei prezzi d’imperio.

Como già nel passato, così tuttora, i nostri piani d’assegnazione sono abitualmente frutto della collaborazione fra uomini della burocrazia statale e commissioni di tecnici del mondo produttivo.

Siffatto sistema, mentre assicura alla pianificazione statale il continuativo apporto di specifiche competenze, rende però accessibili delicatissime leve di comando – quali sono i piani di assegnazione – ad uomini che bene spesso sono esponenti di concreti interessi aziendali e che dovrebbero essere sempre dei santi e degli eroi per non piegare mai ad altra preoccupazione che non sia l’utilità collettiva quale viene a loro segnalata dalla profonda conoscenza tecnica dei problemi.

Era lamento spesso giustificato negli anni del corporativismo fascista, che le singolari fortune di taluni complessi aziendali fossero dovute – non tanto a vantaggi acquisiti in libera competizione organizzativa e produttiva – quanto all’efficace patronato economico loro assicurato dagli emissari diretti ed indiretti che tali gruppi aziendali avevano potuto insinuare negli organismi della macchina corporativa e del regime politico.

Ma il lamento – a diritto o a torto – ed io insisto a credere che per lo più sia a torto – affiora e serpeggia tuttora in più di un settore nei confronti di taluni gruppi aziendali ed a volte esplode vivacissimo anche nella stampa, come è accaduto, ad esempio, giorni or sono in un diffuso quotidiano milanese a proposito di certe assegnazioni straordinarie ed ordinarie di zucchero, disposte nello scorso maggio.

Un’economia pianificata con largo uso del sistema delle assegnazioni tende a perpetuare situazioni di privilegio per le aziende vecchie in danno delle nuove, lascia che talune aziende continuino ad ingrassare su comode prebende assegnatizie, mentre aziende nuove e tese al miglioramento dei propri rendimenti tecnici sono costrette ad accanirsi sulle magre quote residuanti dal banchetto dei nobili della categoria, quando pur non debbano abitualmente alimentarsi attingendo al cosidetto mercato libero di borsa nera.

Abbiamo numerose aziende industriali o commerciali che da lunghi anni prosperano nella comoda poltrona o per contro si dibattono nella angusta strettoia di quote d’assegnazione rapportate alle importazioni od ai consumi effettuati da ciascuna nel tale o nel tal’altro semestre del 1937 o del 1939. Si giunge talvolta al paradosso che assegnatari neghittosi trovino più espediente di speculare sulla rivendita a prezzo libero di parte delle proprie laute assegnazioni anziché alimentare il lavoro delle proprie aziende. La concreta esperienza italiana ci porta a concludere che sovente, laddove si è più rigidamente pianificato, più si è mortificato lo sviluppo del settore. Basti citare l’Ente Nazionale Metano, creato con legge 2 ottobre 1940, del quale un’autorevole Commissione di riforma ha riconosciuto che «non ha saputo o potuto realizzare quel compito di aiuto e sviluppo dell’attività produttiva del gas metano che era negli intenti dei fondatori, ed anzi ne ha in vari casi depressa la forza propulsiva, riuscendo solamente a vivere in perenne ed acuto contrasto con produttori e consumatori di metano».

A 600 metri di profondità nel sottosuolo lodigiano è stato scoperto un largo giacimento di metano, lungo una trentina di chilometri e largo all’incirca sei. Secondo pubbliche dichiarazioni dell’assessore competente, dall’immediata valorizzazione di tale giacimento e dal suo razionale coordinamento con gli esistenti impianti di produzione di gas combustibili, il Comune di Milano potrebbe trarre di che normalizzare i servizi del gas per la città, non solo con totale soddisfacimento dei consumi casalinghi, ma con possibilità di devolvere non trascurabili eccedenze ad utilizzazioni industriali. Senonché il Comune di Milano avrebbe trovato finora gravi ostacoli all’accennata sistemazione, proprio nelle riserve opposte dall’Ente Nazionale Metano.

Taluno degli accennati lauti privilegi è stato ricostituito non molto tempo addietro. È il caso dell’Ente Approvvigionamento Carboni, attraverso il quale i vecchi grossisti nostrani importatori – in rapporto ai quantitativi da essi rispettivamente importati nel 1939 – hanno assicurato a sé medesimi il monopolio della distribuzione del carbone estero in Italia, impedendo che le industrie nazionali consumatrici, per quanto forti acquirenti e quand’anche abbiano proprie disponibilità valutarie, possano direttamente approvvigionarsi all’estero.

E come possiamo qui tacere che non una delle 100.000 tonnellate mensili di carbone Sulcis sia finora direttamente accessibile – neppure con la debita assegnazione – alle industrie italiane consumatrici? Io non credo che, nella fattispecie, le accennate bardature siano le più adatte ad attuare quella graduatoria o quella priorità di impieghi che i passati Governi certo intesero di conseguire per il bene comune del Paese.

Mi giunge invece da autorevoli personalità dell’accennato settore la segnalazione che fra i massimi beneficiari di quei privilegi – e per difetto organico del sistema adottato, ossia per il riferimento alla base 1939 – figurano ancora uomini che di analogo privilegio godettero negli anni del passato regime, al quale rimasero tanto lungamente fedeli da meritarsi, se non una condanna, un clamoroso processo per collaborazionismo. (Applausi).

Constato, ancora, che il carbone Sulcis, tariffato legalmente a lire 6.800 la tonnellata cif continente, viene offerto a Milano per riscaldamento casalingo a 3.000 lire il quintale.

Non è chi non veda quale formidabile trasposizione di redditi sia possibile con lo strumento delle assegnazioni e quale somma di rettitudine si richieda negli assegnanti e negli assegnatari perché l’assegnazione non diventi preoccupante fomite di corruzione e di ingiustizia sociale!

A volte il privilegio dell’assegnazione poggia anche sul fatto che, all’epoca dei censimenti i quali servirono di base alle graduatorie, talune aziende più scaltre o meglio prevenute di altre ebbero a gonfiare artificiosamente i dati delle loro potenzialità.

In questi casi il sistema non soltanto consacra un privilegio, ma continua a premiare una menzogna.

La mia critica non vuole proporre di abolire sic et simpliciter il vigente sistema di assegnazioni: ciò sarebbe puerile.

Essa mira soltanto a sottolineare che nulla di dannoso dobbiamo temere se l’onorevole Togni, Ministro particolarmente chiamato in causa, porrà mano ad una coraggiosa potatura dell’attuale apparato assegnatario sfrondandolo del «troppo» e del «vano».

Né avremo di che temere per il costo della vita delle nostre masse popolari se – non appena vengano maturando possibilità interne ed estere – il Ministro dell’agricoltura, con tempestiva sollecitudine, passerà dal superstite ammasso totalitario del grano ad ammassi per contingenti e da questi alla libertà.

Una sconfortante constatazione di fatto s’impone a chiunque osservi con occhio spregiudicato il panorama economico italiano: il regime vincolistico malamente pianificatorio tuttora superstite, ma sbrecciato e claudicante, è vecchio di molti anni, ha scaltrito produttori ed intermediari nei più estrosi espedienti d’evasione e qualsiasi disciplina incardinata prevalentemente sui criticati strumenti d’interventismo statale, ha fatto sorgere e prosperare una intera classe parassitaria di professionisti del millantato credito, di speculatori improvvisati, di intrallazzatori di ogni specie, conoscitori di tutti gli anfratti procedurali, e di tutti gli espedienti di altra indole, che consentono di manipolare ai fini degli egoismi particolari il congegno della raccolta e della distribuzione pianificata con strumenti tipicamente non monetari o creditizi.

I cosiddetti borsaneristi sono oggi legione senza numero, sono la sabbia quarzifera gettata a piene mani negli ingranaggi della delicatissima macchina dell’intervento dello Stato nell’economia. E la macchina stride ormai tanto nel suo malo funzionamento, che l’eco degli stridori è risuonato più volte in quest’aula medesima.

L’onorevole Morandi ci ricordava come lo Stato controlli, attraverso l’I.R.I., circa il 45 per cento dell’industria siderurgica ed altra notevole quota ne gestisca direttamente. Ma neppure questo largo controllo di Stato ha consentito al Ministro Morandi di mantenere la siderurgia nazionale in disciplina di produzioni, di distribuzioni, di prezzi. Lo Stato controlla direttamente oltre i due terzi dell’apparato bancario del Paese. Ma ciò non è bastato ad evitare che non poche banche – pur fra quelle direttamente controllate – facessero una loro politica del credito, che in misura più o meno larga, più o meno palese, cercassero di riequilibrare il proprio conto esercizio con profitti di partecipazione alla speculazione di borsa e con gli arrotondati saggi reali attivi consentiti dall’arrendevole clientela rialzista, e perciò accumulatrice di larghi stocks ed affamata di sempre maggiori finanziamenti, qualunque ne sia il costo. Questo accade, onorevoli colleghi, non solo o non tanto per carenza del controllo di Stato sul credito, ma per legge di legittima difesa: in tempi di rapida svalutazione monetaria i depositi bancari non aumentano con ritmo adeguato alla svalutazione della moneta; i saggi passivi sui depositi tendono, invero, a diminuire; incrementano però massicce le spese economali ed i costi del personale; l’incremento di tali costi ingoia ben presto anche l’aumentato gettito delle consuete operazioni attive di credito commerciale; anche le banche, e vorrei dire tutte le banche, che non si rassegnino a sacrificare nel corso stesso della inflazione le proprie riserve di bilancio, sono allora sospinte a ricercare in lucri di speculazione il riequilibrio del proprio conto di perdite e profitti.

La svalutazione monetaria è irresistibile fomite di speculazione eccezionale anche per le banche.

In tempo di svalutazione monetaria, sotto il pungolo della speculazione altrui, l’istinto della sopravvivenza sospinge anche le aziende oneste a speculare. In tal clima economico il numero dei giusti decresce quotidianamente in ogni settore, mentre cresce in ogni settore la legione dei reprobi: e fra i reprobi potremmo oggi individuare anche aziende di conclamata castità antispeculativa: cooperative toscane trafficanti baccalà d’assegnazione od altri enti analoghi, qua e là in Italia, speculanti su tonno all’olio o su aggiudicazioni ARAR.

In regime di moneta svalutantesi, non è sperabile di ricondurre la produzione e lo scambio a disciplina economica, se lo Stato non premette degli interventi finanziari atti ad arrestare lo svilimento della moneta.

Alla luce di queste realistiche constatazioni, il programma economico di emergenza delineato nelle dichiarazioni del Governo appare logico, organico e concreto, proprio perché affronta anzitutto la situazione con gli strumenti monetari e finanziari. (Commenti a sinistra).

Il problema pregiudiziale è uno e ben definito: arrestare lo slittamento della lira; tale arresto significherà per molti settori inversione della tendenza dei prezzi, l’inversione di tendenza stroncherà l’indisciplina ed attuerà l’arresto dei salari nominali e l’incremento dei salari reali; l’una e l’altra cosa aiuteranno il consolidamento. dei costi di produzione; ciò rallenterà il rialzo dei prezzi anche nei settori carenti di materie prime; e là dove s’arrestano i prezzi dei prodotti aumentano gli sforzi per incrementare i rendimenti tecnici della produzione; e con alti rendimenti tecnici si conquistano i mercati esteri. È questa, onorevoli colleghi, la successione logica dei fatti che avvieranno la nostra economia al risanamento.

L’onorevole Tremelloni ebbe a dire che questo Governo è nato sotto la stella del bilancio.

Il Paese pensa che questo Governo è nato per salvare la lira: il Paese pensa che questo Governo può salvare la lira.

Il Governo attacca sul terreno finanziario e monetario: il Governo avrà successo.

Il favore psicologico del Paese, il suo avallo. morale al Governo è premessa necessaria per il consolidamento della lira. Il Paese ha già dato questo avallo, ma il Governo deve fornire sollecitamente al Paese taluni segni d’avvio al consolidamento della lira, in quanto tali segni sono a loro volta indispensabili, affinché si prolunghi nel tempo l’avallo modale del Paese, perché il fatto psicologico diventi fatto economico, l’avallo morale avallo politico.

Questi sogni che il Paese sollecita sono da un lato un chiaro programma per l’assestamento del pubblico bilancio, dall’altro lato un persuasivo programma d’attacco per ottenere l’inversione di tendenza, almeno di taluni sistemi di prezzi, e soprattutto nei prezzi annonari.

Non mi soffermerò sui problemi attinenti all’equilibrio del bilancio e alla bilancia dei pagamenti, temi già lungamente dibattuti, temi sui quali, d’altronde, i dissensi non sono molti né forse inconciliabili e sui quali ho motivo di credere che l’alta competenza degli uomini di governo cui viene affidata la gestione dell’uno e dell’altra vorranno ulteriormente intrattenere l’Assemblea.

Mi limiterò invece, ad alcune brevi considerazioni sulla linea d’attacco ai prezzi interni delineata dalle dichiarazioni del Governo.

Nell’immenso campo dei prezzi interessano soprattutto tre nuclei, più degli altri significativi in ordine al complicato problema psico-economico che ci preoccupa: i cambi esteri, le quotazioni di Borsa, i prezzi annonari.

I cambi sono oggi meno tesi di quanto non fossero anteriormente alla crisi di governo: e non è questo di cattivo auspicio. Conosco la estrema complessità delle questioni che trovano la loro sintesi nelle fluttuazioni del cambio della lira con le valute estere e non intendo affrontarle con i brevi cenni che mi sarebbero consentiti dai brevissimi minuti che la cortesia del Presidente vorrà ulteriormente accordarmi: ne diranno meglio di me i ministri Einaudi, Del Vecchio e Merzagora.

A me sia lecito sottolineare che la maggioranza dei nostri cittadini, che l’italiano qualsiasi, se volete, l’italiano qualunque, non sembra condividere certe esitazioni o paure affiorate in taluni settori di quest’Assemblea in ordine agli sperati finanziamenti esteri, ai quali è connesso, insieme con tanti altri anche il problema dei cambi.

Io credo di non illudermi quando penso che ai milioni di dollari che ci auguriamo in prestito dall’occidente daranno il benvenuto anche i lavoratori, così come lo darebbero anche gli imprenditori ad altri milioni che ci venissero dall’oriente.

La Borsa. La Borsa fornisce oggi il più letto bollettino di prezzi che si pubblichi nel nostro Paese. Non molto tempo addietro alcuni nostri colleghi hanno sollecitato dal Governo interventi drastici intesi a mortificare quotazioni di Borsa ritenute prettamente «speculative». Anche allora non ho condiviso l’opinione di tali nostri colleghi. Io ritengo che la Borsa abbia una sua utile funzione, e che non convenga interferire con provvedimenti mutilatori nel funzionamento della Borsa stessa, allo scopo di mutare gli indici del suo funzionamento. Tanto più sono contrario oggi, in quanto la Borsa ha dato, attraverso le flessioni dei suoi prezzi, una dimostrazione dell’atteggiamento di favorevole aspettativa di non trascurabili settori del risparmio nazionale nei confronti della politica monetaria prospettata dal nuovo governo.

Si dice che la Borsa non sia un termometro sincero. Ho sentito paragonare la Borsa ad un termometro la cui ampollina poggi su di una fiamma, sulla fiamma della cosiddetta speculazione occasionale. Sono d’opinione – come lo ero durante il boom di qualche mese fa – che non convenga rompere il termometro, quand’anche si fosse in fase di termometro poggiante sulla fiamma; meno che meno converrebbe romperlo nell’attuale contingenza di mercato.

Sono moltissimi, ben più che di consueto, gli italiani i quali oggi leggono le quotazioni di Borsa; essi sono molto più numerosi di quanti non siano i risparmiatori o gli «speculatori» direttamente interessati alle fluttuazioni di tale preziario.

La scarsa competenza finanziaria ed economica di una larga quota di coloro che leggono il listino di Borsa induce moltissimi ad attribuirgli un eccessivo valore segnaletico, ne porta moltissimi ad interpretare semplicisticamente gli andamenti delle quotazioni azionarie come reciproci dell’andamento del potere d’acquisto della lira.

Se l’attuale Governo sopprimesse le negoziazioni di Borsa a termine, o ne prescrivesse la totale copertura per contanti, cioè le sopprimesse asfissiandole, od anche solo se ne aumentasse notevolmente il già prescritto deposito cauzionale del 25 per cento, il Governo stesso romperebbe con le proprie mani quel tal osservatissimo termometro, proprio quando, con le sue quotazioni decisamente orientate al ribasso, esso induce gran numero di italiani a riprendere fiducia nella lira, a credere nella possibilità del suo consolidamento, e, con ciò solo, a contribuire alla realizzazione del consolidamento stesso. In verità, se fossi chiamato a proporre nell’attuale momento qualche forma di intervento sulle borse valori intesa a secondare il programma del Governo, proporrei di potenziarne il funzionamento tecnico. Uno dei difetti delle nostre Borse sta proprio nel fatto che esse non siano delle grandi Borse, perché il flottante di molti dei titoli in esse quotati, ossia la quantità di titoli che in Borsa può essere realmente scambiabile è spesso una assai piccola frazione del capitale nominale dell’azienda quotata, il quale rimane sedentario nei cosiddetti portafogli di comando o nelle mani dei risparmiatori «cassettisti». A differenza delle borse merci, le quali tanto meglio adempiono a funzione «antispeculativa» – intesa la «speculazione» nel significato deteriore e volgare – quanto più raramente conducono a reale consegna di grano o di cotone, la borsa valori è abitualmente anche mercato di realizzo e di approvvigionamento effettivo di titoli azionari ed obbligazionari ed ha – per ragioni tecniche che sarebbe lungo analizzare, ma che in parte sono intuitive – un regime di prezzi tanto più influenzabile dalla cosiddetta «speculazione» quanto più limitato è il «flottante» del titolo «speculato». Questo handicap delle nostre Borse potrebbe facilmente essere attenuato nell’attuale momento quando nelle mani di banche e di nuovi e di vecchi azionisti trovansi i certificati provvisori rappresentativi degli ingentissimi aumenti di capitale attuati di recente da gran numero delle società che hanno le proprie azioni quotate in borsa.

Tali certificati provvisori non sono ammessi alla stanza di compensazione in esecuzione di contratti a termine, e vengono negoziati ai margini della borsa a prezzi inferiori alle quotazioni ufficiali, le quali si riferiscono ad azioni rappresentate da titoli definitivi.

Io ritengo che gioverebbe non poco all’efficienza delle nostre borse valori l’ammettere anche i certificati provvisori all’esecuzione dei contratti a termine, salvo, bene inteso, l’eventuale conguaglio del godimento, ove occorresse. Così facendo noi accresceremmo la massa dei titoli consegnabili nel mercato borsistico, ossia incrementeremmo il cosidetto «flottante»; contribuiremmo a rendere più difficile l’attuazione di eventuali manovre sui corsi, senza peraltro incidere sulla euritmia tecnica della Borsa, quando si abbia l’avvertenza d’annunciare il provvedimento al primo giorno di negoziazione a fine prossimo.

Non va dimenticato che un’attiva negoziazione di Borsa è oggi fonte di non trascurabile gettito fiscale attraverso la sovrimposta di negoziazione del 2 più 2 per cento. Ho motivo di credere, anche per riconoscimento di esperti della Borsa, che tale aliquota di sovrimposta possa considerarsi un «optimum», nel senso che essa forse rappresenta empiricamente il massimo che il fisco possa prelevare sulla negoziazione di Borsa con un minimo relativo di inconvenienti nel buon funzionamento tecnico del delicato congegno del mercato borsistico.

Un’imposta di questo tipo può paragonarsi ad un gradino inserito ad interrompere il piano inclinato lungo il quale scorre la biglia della quotazione di Borsa sospinta dalle contrarie forze della domanda e dell’offerta. Tale gradino costituisce ostacolo iniziale ad ogni nuova negoziazione e tende di sua natura ad arrestare il pronto scorrere della biglia: potremmo dire – continuando nell’accennata figurazione – che la biglia si muove ora con uno strappo o salto per superare l’ostacolo iniziale del gradino fiscale, strappo il quale tende fatalmente a deviare la biglia dal piano inclinato della quotazione ufficiale a quello della quotazione clandestina evasiva dell’imposta.

Non nego che già l’aliquota del 2 più 2 per cento abbia forse costituito ostacolo sufficiente a sospingere non pochi all’evasione. Si dice, infatti, che degli agenti di cambio, invece di redigere il «fissato bollato» e corrispondere l’imposta per ciascuna negoziazione conclusa, rinviino più o meno lungamente tale compilazione entro il termine del calendario borsistico all’intento di compensare nel mese stesso le operazioni opposte ed omogenee reciprocamente negoziate e di evadere pertanto il «fissato» e la «sovrimposta» per tutte le operazioni in tal modo clandestinamente compensate.

Senonché tale evasione può essere facilmente ed energicamente stroncata. Le negoziazioni di Borsa avvengono mediante lo scambio dei cosiddetti «interinali», ossia di appunti di contratto staccati da speciali blocchetti vistati dal Comitato di Borsa, il quale dovrebbe tenere distinta nota di tutti siffatti carnets rilasciati col visto a ciascun agente di cambio. Sulla scorta di tali distinte dei «visti» sarebbe facile controllare il numero degli «interinali» staccati dai carnets e se ciascuno abbia riscontro in un regolare «fissato». Le Borse non sono numerose; non sono numerosissimi nel Paese gli agenti di cambio: il controllo fiscale delle negoziazioni in Borsa ed anche fuori Borsa può giovarsi della possibilità di concretare la vigilanza in poche località e su di un numero relativamente esiguo d’aziende. Un siffatto controllo opportunamente concentrato su punti strategici di mercato potrebbe consentire di recuperare forse ingenti somme di sovrimposta evasa, mentre, a modesto parer mio, la legge dovrebbe colpire d’ora innanzi, con la decadenza dal mandato, quegli agenti di cambio che evadessero o comunque collaborassero all’evasione della sovrimposta, dimentichi della delicata funzione fiduciaria che lo Stato loro affida.

Così la negoziazione di Borsa contribuirà col proprio gettito fiscale al risanamento dell’erario pubblico, mentre negli andamenti del proprio listino ci sottolinea da alcune settimane la favorevole aspettativa del mercato del risparmio e potrà segnalarci domani il concreto plauso dei risparmiatori agli specifici utili provvedimenti che il nuovo Governo adottasse.

L’altro tema che l’attività del Governo dovrebbe immediatamente affrontare per fornire all’opinione pubblica taluni altri di quei segni di avvio alla stabilizzazione che ritengo indispensabile, è l’arresto e la compressione dei prezzi dei generi di prima necessità.

Il costo della vita è imperniato su tre capitoli: affitto, vestiario, cibo.

La stragrande maggioranza degli affitti per abitazione è controllata dallo Stato con energico mordente, nei modi che noi tutti conosciamo. La meccanicità di tale controllo è anzi controproducente per più di un aspetto in ordine alla soluzione del problema delle abitazioni. Sono risapute certe esose speculazioni di inquilini uscenti o subaffittanti di vecchi appartamenti; è universalmente riconosciuta l’iniqua disparità di regime economico e giuridico fra proprietari di vecchie e nuove case di affitto. Queste ed altre incongruenze dovranno pur essere affrontate e rimosse quando si vorrà energicamente avviare a normalizzazione il mercato delle abitazioni. Ma intanto gioverebbe non poco il rendere immediatamente revisionabili, senza limite alcuno, i canoni di affitto relativi a quelle porzioni dei vecchi appartamenti a canone bloccato, le quali eccedono un vano per ogni persona della famiglia locataria, oltre i servizi. Nonostante lo zelo e le angherie dei Commissariati alloggi ed i nefasti della coabitazione, abbondano tuttora dei casi che solo la forza del prezzo riuscirà a stanare: casi di vecchi inquilini soli o con famiglia ridotta a due o tre persone, i quali continuano ad occupare i vasti appartamenti di un tempo, sol perché col blocco dei canoni e con lo svilimento della lira tali esuberanti appartamenti costano ora un’inezia d’affitto. Daremmo in tal modo un parziale sollievo economico alla vecchia proprietà edilizia e sicuramente procureremmo una immediata e non trascurabile disponibilità di vani abitabili, il cui canone, benché non bloccato, contribuirebbe a moderare il prezzo dei vani di nuova costruzione.

Per quanto attiene il settore del vestiario, sarà titolo di onore per il Ministro Togni se egli riuscirà finalmente a riversare a fiotti sul mercato al dettaglio i manufatti ritraibili dalle materie prime dell’U.N.R.R.A.-Tessile. Sono comunemente noti gli ingenti quantitativi delle accennate donazioni U.N.R.R.A.: 30 milioni di chili di lana nuova, 8 di stracci e 2 di cascami di lana, 35 milioni di cotone sodo, 500.000 pelli per calzature; un complesso i cui manufatti, assegnati per circa un terzo a titolo gratuito e per circa 2 terzi a modico prezzo, interesseranno circa 25 milioni di italiani delle classi meno abbienti e ne copriranno i consumi di quasi un anno. Finora per un complesso di circostanze che sarebbe lungo analizzare, non siamo riusciti a riversare ai consumatori i prodotti ottenibili da queste materie prime.

Una voce a sinistra. Perché gli industriali hanno preferito esportare.

ZERBI. Ma il Ministro aveva per legge e poteva usare della facoltà di mobilitare determinate aliquote di attrezzature industriali per costringerle alle lavorazioni dell’U.N.R.R.A.-Tessile.

In ogni caso quello che non si è fatto sinora può essere fatto da oggi. È necessario che i manufatti dell’U.N.R.R.A.-Tessile vengano riversati al più presto ed in massa al consumo popolare. La mole di tali prodotti è così ingente che non potrà non esercitare una notevole azione calmieratrice su tutto il mercato interno dei tessili e delle calzature, anche ben oltre la ristretta gamma dei manufatti di più largo consumo popolare, sulla cui produzione opportunamente l’U.N.R.R.A.-Tessile ha voluto concentrare l’impiego delle proprie materie prime. L’immissione al consumo, specie se attuata con distribuzione massiccia e pressoché contemporanea in tutto il Paese, può saturare pro tempore importanti settori della domanda con diffusa azione depressiva dei prezzi di libero mercato; azione che, insieme ad altri concomitanti provvedimenti depressivi del costo della vita, varrà più e meglio di ogni regolamentazione, più e meglio di un esercito di poliziotti, a stanare molte delle laute scorte di manufatti che intasano non pochi magazzini.

Sarà problema di un prossimo domani lo studiare se e quale strumento necessiterà per dilungare nel tempo l’azione depressiva dei prezzi ora conseguibile attraverso le distribuzioni dell’U.N.R.R.A.-Tessile: se attraverso un’ulteriore azione dell’U.N.R.R.A.-Tessile medesima o di altro organismo di Stato, oppure attraverso l’opera di Consorzi fra industriali, grossisti, dettaglianti, cooperative ecc. opportunamente controllati dallo Stato.

Quello che urge al momento è di pungolare con mezzi energici le imprese industriali ad esaurire a tappe forzate le lavorazioni per conto U.N.R.R.A.-Tessile, è di dare subito la stura alla distribuzione massiccia dei manufatti U.N.R.R.A.

Settore annonario. La spesa del vitto è incardinata soprattutto sui prezzi dei cereali, dei grassi e della carne. Il capitolo dei cereali è il più doloroso dei tre: per la sua mole, per le condizioni della produzione interna, per il regime del mercato granario internazionale. Il popolo italiano è gran consumatore di pane, perché è un popolo frugale. Ma purtroppo il rendimento medio nazionale per ettaro è quest’anno singolarmente scarso rispetto alle medie di anni non lontani; tale superficie diminuirà ancora largamente, anticipando quella revisione nella distribuzione delle colture in funzione dei costi comparati internazionali che le contingenti necessità alimentari del Paese avrebbero voluta dilazionata a quando fossero completamente liberi gli scambi internazionali delle derrate. Fintanto che un ettaro coltivato a patate nelle campagne asciutte dell’Alto milanese, col rendimento di 150 quintali venduti fra le 4 e le 6 mila lire darà dalle 600 alle 900 mila lire di ricavo lordo annuale, fintanto che l’erbaio od il prato consentiranno, direttamente od attraverso la stalla, redditi di gran lunga maggiori di quelli consentiti dalla destinazione a frumento, è vano opporsi alla rapida restrizione della superficie frumentaria.

Confesso il mio scetticismo circa l’ammasso granario in corso. Sarà fatica improba e forse per gran parte fatica vana lo sforzo dello Stato per nuovamente potenziare l’ammasso dei cereali, in un Paese in cui i produttori agricoli da ricondurre in disciplina sono forse milioni ed in una congiuntura di prezzi liberi e d’imperio per la quale i cereali di alimentazione umana sono vivacemente contesi dall’allevamento zootecnico, dentro e fuori, dell’azienda cerealicola.

Dubito pure che un raddoppio del prezzo legale di conferimento possa oggi valere a realizzare in Italia l’efficienza dell’ammasso granario, se non nell’ipotesi che tale raddoppio lasci inalterati gli attuali prezzi agricoli e zootecnici: la quale mi sembra ipotesi poco probabile.

È invece fuori dubbio che maggiori importazioni di cereali esteri – opportunamente coordinate con altre importazioni intese ad inflettere gli attuali prezzi zootecnici e caseari, di cui dirò in seguito – modificherebbero gli stimoli che attualmente sospingono gli agricoltori ad evadere l’ammasso.

Non ignoro che i piani internazionali di assegnazione di cereali esigono dall’Italia un’effettiva disciplina di ammasso interno e di razionamento. Ma i realistici rilievi dianzi fatti parmi dimostrino che tale disciplina può essere riottenuta, soprattutto in conseguenza di più larghe importazioni cerealicole dall’estero.

Il raccolto frumentario dei grandi mercati esportatori – che specie negli Stati Uniti ed in Australia si annuncia di molto superiore ad ogni precedente – autorizza a sperare che le maggiori importazioni granarie dianzi auspicate si riducano soprattutto ad un problema di disponibilità valutaria: il che sarebbe già non poco.

Credo tuttavia che il successo degli sforzi diplomatici e valutari del Governo per conseguire la sufficienza del pane e della pasta per tutti gli italiani sia condizionato, per le accennate condizioni economiche dei nostri prezzi e delle nostre produzioni alimentari, al successo che meno difficilmente e più rapidamente lo stesso Governo potrebbe conseguire, con alcuni ben assestati colpi d’ariete sul meno largo ma pur vulnerabile fronte dei prezzi zootecnici e caseari.

Pressoché in tutta la Valle Padana ed in larghe zone del resto del Paese, il piccolo cosmo dell’azienda agraria è incardinato sulla stalla, e sulla stalla punta l’inflazionismo che caratterizza oggi la forma mentis di milioni di nostri agricoltori. Perduta la fiducia nella moneta e negli investimenti monetari, l’agricoltore, il quale non investe in immobili per timore del fisco, o perché non trova il venditore, o perché pensa di avere la terra a minor prezzo attraverso l’agitazione, fa della propria stalla l’investimento di rifugio dei propri guadagni monetari. Alleva il maggior numero possibile di capi, ne compera a prezzi iperbolici, accaparra mangimi a qualsiasi costo, ha esteso il prato e l’erbaio a detrimento delle colture granarie, destina all’alimentazione del bestiame il raccolto dei mais e forse porzioni non indifferenti di altri cereali macinati clandestinamente ed abburattati a basso tasso. Ciò è spiegato dai rapporti di prezzo: il bestiame d’allevamento come quello da macello, così come il burro e gli altri grassi, sono aumentati nell’ultimo novennio da 100 a 130 volte e più, mentre i cereali sono abitualmente inferiori a tale parametro anche nella cosidetta borsa nera.

L’agricoltore nutre sfiducia nella lira, e là dove l’economia aziendale è incardinata sulla stalla, la stalla diventa il salvadanaio nel quale egli investe a costi di affezione i propri risparmi monetari, quei risparmi che spesse volte gli sono consentiti dall’evasione alla disciplina dei conferimenti.

Noi abbiamo oggi, almeno nella Valle Padana, un sovraccarico notevole di stalle, specialmente per quanto attiene alla popolazione bovina, la quale di certo supera quella pre-bellica. Il supero ritengo che sia così grande da compensare anche i residui vuoti delle zone dove la guerra ha particolarmente indugiato. Tuttavia noi abbiamo una scarsità notevolissima di carne e prezzi altissimi del latte e dei prodotti caseari.

Per le accennate connessioni con la crisi cerealicola, ma soprattutto per la loro medesima ipertensione, i prezzi della carne e dei grassi alimentari costituiscono, a parer mio, il punto sul quale conviene subito incidere all’intento di avviare un’inversione di tendenza dei prezzi annonari. Il bisturi utile a siffatta incisione non può essere che l’acquisto all’estero e l’immissione al consumo interno, a prezzi calmieratori opportunamente controllati dallo Stato, di stocks correttivi della offerta nazionale. I nefasti della sedicente disciplina decisa di nuovo lo scorso autunno per il settore caseario e dei grassi suini, stanno a dimostrare come gli altri bisturi rechino sempre i germi patogeni di ulteriore tumefazione dei prezzi.

Onorevoli colleghi, nell’iperteso nostro mercato alimentare già il solo annuncio di provvedimenti come quelli che andiamo sollecitando può avere favorevoli ripercussioni immediate. Così i brevi cenni contenuti nel discorso dell’onorevole Presidente del Consiglio sono stati commentati dal mercato con un’inflessione delle quotazioni maggiormente tese.

Il prezzo del burro nel mercato all’ingrosso di Milano è sceso. Era sulle 1200-1300 lire, si quota ora a 930-950. Anche il prezzo della carne all’ingrosso è sceso di una settantina di lire al chilo. Sono primi sintomi, direi, che sono degli affidamenti del mercato interno, i quali andrebbero subito consolidati ed amplificati con partite d’importazione, le quali non sarebbero poi straordinariamente ingenti e gravi per la nostra bilancia commerciale: 10.000 tonnellate di polpa bovina congelata, ai prezzi correnti sul mercato argentino ed in quello dei noli, costerebbero circa 6 milioni di dollari, in ragione di circa 60 centesimi al chilo cif  Genova, e potrebbero affluire al consumo italiano ad un prezzo pari all’incirca alla metà degli attuali prezzi interni.

Diecimila tonnellate di polpa bovina riversate sui consumi delle grandi convivenze militari e civili, ed immesse al tesseramento attraverso le Sepral di Milano, Torino e Genova e di ben pochi altri grandi centri industriali, basterebbero a far sì che prima dell’autunno in molti luoghi d’Italia l’agricoltore torni dal mercato rurale traendosi dietro il bue invenduto. La carne diminuirebbe spontaneamente di prezzo anche là dove non giungesse quella d’importazione. Il sopraggiungere dell’autunno, il venir meno dei foraggi estivi, le necessità della cosiddetta rimonta della stalla e sovratutto la forza persuasiva dell’avvenuto ribasso aiuterebbero e prolungherebbero gli effetti calmieratori del colpo d’ariente assestato dall’importazione.

Analogamente è possibile operare al ribasso dei grassi alimentari con importazioni di copra che l’industria nazionale è ora attrezzata a trasformare in ottima margarina con costi che pare rendano già rimunerativo il prezzo di 250-300 lire al chilo. Favorevoli opportunità per importazioni di burro e di formaggi duri, ma congiuntamente con caseina, offre anche il mercato argentino a condizioni che, stante il favorevole prezzo della caseina, rispetto al nostro mercato interno, risultano nel complesso convenienti. Proficui scambi di nostri salumi pregiati sono attuabili contro strutto ed altri grassi, e, ad esempio, la Svizzera offre in baratto tre chili di grassi per ogni chilo di salame nostro.

L’inversione della tendenza dei prezzi eliminerà anche gran parte degli inconvenienti che tuttora si lamentano negli organi di distribuzione, perché ritengo che nessuna circostanza meglio della tendenza al ribasso dei prezzi valga a garantire l’onestà delle categorie commerciali nella distribuzione delle merci. Io credo che se il Governo, secondo l’annuncio dato quasi per inciso nelle sue dichiarazioni, affronterà questi problemi con l’indirizzo dianzi caldeggiato, riuscirà presto a dare quei tali indici segnalatori i quali consolideranno quella fiducia che il Paese ha già spontaneamente fornito, fidente nei nuovi orientamenti della politica monetaria ed economica del Paese.

Se l’austerità di quest’Aula me lo consentisse, io direi che molto del successo di questo Governo è localizzato nella borsa della spesa delle nostre massaie.

Sugli accennati ultimi settori, con sacrifici di valuta relativamente modesti, è possibile, a parer mio, consolidare degli indici di netta inversione di tendenza dei prezzi annonari. L’inversione decongestionerà le stalle delle aziende agricole, il che da un lato favorirà l’ulteriore ribasso dei prezzi zootecnici e dall’altro favorirà la ripresa della disciplina granaria.

Potenziati i primi indici, invertita la tendenza dei prezzi nei settori particolarmente delicati e tesi, sarà possibile puntare efficacemente su fronti più vasti per un ulteriore compressione dei fattori inflazionistici.

In questo secondo tempo della lotta uno strumento, a parer mio, efficacissimo, dovrebbe essere il controllo del credito: ed in ciò convengo con talune tesi espresse dai settori di sinistra di questa Assemblea.

Le banche sono state indotte, per le ragioni già dianzi accennate, a finanziare largamente la politica di magazzino. Non è vero che in Italia i magazzini siano vuoti. Sempre in conseguenza della tendenza svalutatrice della lira, i nostri magazzini sono in genere ben riforniti, ed in taluni settori si dice che siano addirittura intasati. Non c’è polizia che sappia stanare le merci dai magazzini meglio della tendenza dei prezzi al ribasso: tale tendenza, nel quadro di una politica generale di governo intesa a salvare la moneta può essere efficacemente amplificata da restrizioni del credito le quali secondino lo sfollamento dei magazzini e l’afflusso al consumo.

Le banche stesse, ripeto, attraverso il consolidamento della moneta sarebbero distolte da certi impieghi cui furono indotte dalla precedente fase inflazionista. Ma un ben congegnato controllo statale sulla destinazione dei finanziamenti bancari può conferire al governo uno strumento potente d’indiretto controllo della produzione e degli scambi e quindi dei prezzi. A misura che l’opera del governo riuscirà a diffondere da un settore all’altro la stasi dei prezzi, e poi l’inversione di tendenza, anche il residuo sistema di controllo statale con assegnazioni e vincoli diretti riprenderà mordente e, se coraggiosamente potato di ogni bardatura superflua, potrà veramente servire al bene comune.

Non dunque sottintesi o contradizioni o visioni unilaterali o compromessi o baratti, come si accennava da qualche precedente oratore, sono l’antefatto, il substrato, su cui poggia il programma del governo. Siamo partiti dal rifiuto di certi strumenti come non efficaci per affermare la priorità strumentale dei mezzi finanziari e monetari e ritorniamo ora agli strumenti dei quali in principio criticammo gli abusi e sottolineammo le disfunzioni.

Ecco, onorevole Foa, in che consiste l’armonia del programma di governo, e, attraverso questa sua armonia logica ed economica, la sincerità di quel programma, il quale, a parer mio ha chiare possibilità di successo, di quel successo che, evidentemente, è un mio augurio. (Applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alle 16.

La seduta termina alle 13.5.

MARTEDÌ 17 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLIII.

SEDUTA DI MARTEDÌ 17 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Tupini, Ministro dei lavori pubblici                                                                     

Silipo                                                                                                                

Pella, Ministro delle finanze                                                                              

Molè                                                                                                                 

Grassi, Ministro di grazia e giustizia                                                                   

Montalbano                                                                                                    

Volpe                                                                                                                

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Marina                                                                                                             

Molè                                                                                                                 

Nitti                                                                                                                  

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.15.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il deputato Villani.

(È concesso).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.

La prima è dell’onorevole Caroleo, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere se sia edotto delle tragiche condizioni delle popolazioni calabresi colpite dal recente disastro tellurico e se non creda di dare urgenti disposizioni al Provveditorato delle Opere pubbliche per la Calabria per la ricostruzione nel periodo estivo di case o almeno di ricovero ai senza tetto, ora ammucchiati in attendamenti provvisori».

Non essendo presente l’onorevole Caroleo, si intende che vi abbia rinunziato.

Seguono altre due interrogazioni sul medesimo argomento, che possono essere svolte congiuntamente:

Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Bei Adele, ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze, del tesoro e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, «per sapere come intendano affrontare e risolvere il gravissimo problema che si è posto in conseguenza del recente terremoto, che sconvolse una parte della costiera ionica calabrese, col suo retroterra, arrecando danni non lievi, in modo particolare a ben 16 paesi, tra i quali Isca sul Ionio, che ebbe danneggiato gravissimamente o distrutto il 35 per cento dell’intero agglomerato urbano e si trova attualmente con ben 350 famiglie (in complesso 1870 persone, circa la metà della popolazione) senza tetto e prive di tutto. Giacché, dopo i primi soccorsi, nulla di concreto si è fatto fino ad oggi; giacché, appunto per questo, un grave malumore serpeggia tra gli abitanti dei paesi terremotati, i quali insistentemente chiedono che si provveda in tempo utile, affinché tutte le famiglie colpite dal disastro – in tutto 1244 per complessive 5342 persone – riabbiano un tetto; giacché infine si temono anche gravi conseguenze per la salute pubblica per le condizioni antigieniche in cui si è costretti a vivere, si chiede che la presente interrogazione sia discussa con carattere di urgenza».

Molè, Turco, ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, «sui provvedimenti che intendono adottare per venire incontro ai senza tetto, disastrati dal terremoto in provincia di Catanzaro».

L’onorevole Ministro dei lavori pubblici ha facoltà di rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Onorevoli colleghi, già gli onorevoli Lucifero, Priolo, Cassiani ed altri mi avevano verbalmente e per iscritto interessato a questo grave problema del terremoto del maggio ultimo in quella striscia di terreno costiero della parte finale della Calabria. Già avevo dato loro, per iscritto e verbalmente, alcune informazioni ed altrettante assicurazioni.

Oggi sono lieto che, a seguito delle interrogazioni pubbliche presentate dagli onorevoli Caroleo, Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Bei Adele, Molè e Turco queste informazioni e queste assicurazioni io possa confermare all’Assemblea.

Subito dopo il terremoto, gli onorevoli interroganti forse lo sanno, (ed infatti nella loro interrogazione non si lamentano del passato), il Prefetto di Catanzaro con tutti i mezzi a sua disposizione ed anche mediante l’incitamento del Ministero dei lavori pubblici si è recato sul posto. Il Genio civile e tutte le organizzazioni interessate hanno provveduto, lì per lì, a rendere meno gravi le conseguenze del disastro, fornendo i primi soccorsi che sembravano ed appaiono a tutt’oggi, a quanto risulta, sodisfacenti, al fine di fronteggiare la disgrazia abbattutasi su quella striscia di territorio nazionale.

Furono subito apprestate le tende per i ricoveri della popolazione civile. Cinquemila furono le persone rimaste prive del loro tetto e le tende furono messe a disposizione anche grazie al concorso del Comando alleato, perché la popolazione rimasta senza tetto potesse avere un ricovero momentaneo.

Furono anche distribuite circa duemila coperte e furono prestati tutti i soccorsi che l’urgenza del caso richiedeva. Si provvide subito con mezzi adeguati alla demolizione delle case o dei residui di case divenuti pericolosi. Anche a questo riguardo taluno ha osservato che si è proceduto e si procede con sistemi troppo spicciativi, ed ebbi già a dire all’onorevole Lucifero che, interrogato il Genio civile, questo, mentre mi ha assicurato che userà la necessaria cautela, mi ha, d’altra parte, comunicato che le condizioni di queste case sono così fatiscenti che sarà difficile poterne salvare anche una minima percentuale. Comunque questo appartiene al passato: gli onorevoli interroganti mi hanno domandato cosa si intende fare per l’avvenire. Il settembre è prossimo e le prime piogge potranno rendere ancora più gravi e insopportabili le condizioni di vita delle popolazioni colpite. Di questo si è preoccupato fino ad oggi il Ministero dei lavori pubblici, ed in modo speciale chi vi parla in questi giorni ha dato disposizioni perché venissero approntati i mezzi necessari, idonei per fronteggiare, nel modo migliore possibile, l’imminente autunno e ancor più il prossimo inverno.

Sono già stati messi a disposizione 70 milioni per la costruzione dei primi ricoveri e delle prime case: a questo riguardo ho dato istruzioni perché i ricoveri non abbiano una consistenza di carattere provvisorio ma stabile e definitivo. Abbiamo all’uopo cercato di provvederci del materiale necessario onde assicurare, con una certa proiezione nel tempo, la stabilità del tetto a coloro che hanno perduto la casa a seguito del terremoto.

Sono poi in corso dei progetti nuovi per altri 70 milioni di lavori. Ho dato disposizioni perché questi progetti siano esaminati con la massima rapidità, perché il Consiglio Superiore dei lavori pubblici vi porti il più sollecitamente possibile il suo esame per affrettarne la realizzazione e l’esecuzione. Intanto, in attesa dell’approvazione del Consiglio Superiore, anche in ordine ai primi progetti che riguardano il primo stanziamento di 70 milioni, mi sono preoccupato di creare le condizioni necessarie perché si addivenga alla immediata costruzione delle prime case, con le riserve di legge, in modo da poter affrontare nel modo migliore la stagione delle piogge.

Ma l’Assemblea deve sapere a questo riguardo che anche questi 70 milioni che abbiamo stanziato con i mezzi che sono a nostra disposizione, distogliendoli da altri Capitoli, e quegli altri 70 milioni che ancora potremo mettere a disposizione per la costruzione di un nuovo lotto di case il più possibilmente stabili, sono poca cosa in confronto del fabbisogno, che si prospetta con la cifra macroscopica di circa un miliardo. Evidentemente, non dipende soltanto dal mio Dicastero poter disporre di questa somma e dovrò fare i conti col Ministro del tesoro perché, preoccupato anche lui di questa esigenza, possa, con la massima comprensione consentita dall’attuale situazione di emergenza, venire incontro a questi bisogni.

L’Assemblea poi, deve sapere che in questa materia, purtroppo, non abbiamo una legislazione di carattere organico, capace di far fronte alla serie di disgrazie che periodicamente si abbattono sul nostro Paese o per terremoti, o per alluvioni, o per eruzioni vulcaniche e via di seguito. Ho domandato se già vi fosse una legge apposita; non l’ho trovata. Ho trovato invece delle leggine che volta a volta sono state fatte a seconda degli eventi calamitosi che si sono verificati nel nostro Paese. Così, la legge del 1919 per il terremoto calabro-siculo, legge che poi fu assorbita da quella del 1926. Ma anche questa ultima legge, che pure ha un contenuto in carattere ed una finalità specifica, e cioè prende soltanto di mira quei particolari disastri ai quali si intendeva provvedere, non è una legge di competenza, nel senso cioè che attribuisca al Ministero dei lavori pubblici delle capacità, e quindi delle risorse tali da poter sodisfare queste particolari esigenze; ma è una legge di coordinamento delle attività dei vari Ministeri, per i quali si suppone talvolta una competenza che i Ministeri stessi non hanno.

Evidentemente, una legislazione organica a questo riguardo è necessaria ed io ho dato disposizioni ai miei uffici perché preparino gli elementi necessari per una legge adeguata a provvedere a tutte le eventualità, deprecate e deprecabili, che possano comunque abbattersi sulle nostre contrade. Ma, intanto, dobbiamo preoccuparci concretamente di disporre i mezzi di cui hanno bisogno le vittime colpite dal recente terremoto calabrese.

E qui le ipotesi sono due: o applicare la legge del 1926, che, come vi ho detto, è una legge di natura formale, che non contempla provvidenze di carattere concreto; o senz’altro fare una leggina – il che rappresenta il mio punto di vista – che, modellandosi su quella del 1946, che si è fatta in occasione, per quanto tre anni dopo, del terremoto di Teramo, Macerata ed Ascoli Piceno del 1943, possa dare veramente al Ministero dei lavori pubblici, sempre che il Ministro del tesoro lo consenta, i mezzi idonei per fronteggiare la grave situazione, ricordata, dagli onorevoli interroganti. A questo riguardo vi do pieno affidamento, che, per quanto dipende da me, metterò tutto l’impegno perché a questa situazione sia provveduto nel modo migliore, più concreto e positivo. Penso che il mio collega del tesoro vorrà fare buon viso a queste istanze e che non ostacolerà la legge da me preparata, in modo che io possa presto annunciarla alla Camera.

Frattanto, utilizzando i mezzi, sia pure modesti, dei quali dispongo, farò di tutto perché le esigenze rappresentate da queste interrogazioni siano sodisfatte nel miglior modo e nel più breve tempo possibile. Se saremo onorati dalla fiducia della Camera, e io rimarrò a questo posto e le cure di Governo me lo consentiranno, mi propongo più in là di fare addirittura un sopraluogo sul posto per rendermi conto personalmente della reale situazione e per poter dare di persona quelle disposizioni che meglio rispondano alla necessità di alleviare i disagi delle popolazioni colpite. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SILIPO. Ringrazio l’onorevole Ministro dei lavori pubblici per la cortese sollecitudine con la quale ha risposto alla mia interrogazione; però mi dichiaro insoddisfatto delle misure sin qui prese. Anzitutto debbo osservare che l’interrogazione era rivolta non solo al Ministro dei lavori pubblici, ma anche a quelli delle finanze, del tesoro e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità. Ora né il Ministro delle finanze, né quello del tesoro né l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità hanno ancora detto una parola per la parte che li riguardava.

Per quanto si riferisce poi alle affermazioni fatte dall’onorevole Ministro dei lavori pubblici, queste appaiono troppo generiche. Nelle regioni terremotate sono stati colpiti in modo particolare ben 16 paesi e fra questi Isca sul Ionio, che ha avuto danni gravissimi e, avendo subito una distruzione del 35 per cento dell’intero agglomerato urbano, si trova attualmente con ben 350 famiglie senza tetto. Assieme ad Isca, Badolato, S. Andrea Ionio, Chiaravalle Centrale, Pellizzi, Satriano, Soverato, S. Caterina Ionio, Palermili, Squillace, Satriano, Centrache, Olivadi S. Sostene, Girifalco, Staletti, Montepaone sono stati i comuni più duramente colpiti. In complesso nei 16 paesi le famiglie colpite dal disastro ammontano a 1244 per complessive 5342 persone, e queste sono alloggiate attualmente sotto le tende. Oggi siamo in primavera, ma noi dobbiamo pensare seriamente all’inverno prossimo. Io ho inteso parlare l’onorevole Ministro di costruzione di baracche, ma noi non possiamo sentire parlare di baracche oggi, dopo essere stati ammaestrati dalla esperienza del passato. Infatti in molti comuni, dopo la sciagura del 1908, si vive ancora in quelle baracche che furono costruite allora e che avrebbero dovuto costituire un ricovero temporaneo a chi conobbe tutti gli orrori di quello sconvolgimento tellurico.

Ecco perché non vogliamo più sentir parlare di baracche.

D’altra parte, è vero che la somma occorrente per fronteggiare questa situazione è di circa un miliardo ma, di fronte ad un miliardo, 70 milioni stanziati sono ben poca cosa.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Questo tanto per incominciare.

SILIPO. E ancora non si è nemmeno incominciato! Dicevo, noi paventiamo l’inverno, e lei, onorevole Ministro, sa meglio di me o quanto me come si vive in quei paesi rurali della provincia di Catanzaro che sono estremamente poveri. Che cosa direbbe lei, onorevole Ministro, se io le dicessi che tutte le terre intorno ad Isca sul Ionio appartengono ad un solo proprietario, e che è sulla miseria di tutta la popolazione che si sono formate immense ricchezze? Io voglio augurarmi che il Ministro del tesoro provveda immediatamente a stanziare la somma necessaria, tanto più che, così facendo, la Calabria non riavrebbe che la millesima parte di quello che ha dato, anche tenendo conto di quella imposta straordinaria sul patrimonio che grava particolarmente sul Mezzogiorno d’Italia, come ha rilevato ieri l’onorevole Scoccimarro; non avrebbe – ripeto – che una millesima parte di quello che essa offre alle casse dello Stato.

Lei dice che non esiste una legge: ebbene, si faccia, e subito e, se vuole un suggerimento, io potrei anche darglielo: dia la facoltà al Provveditorato delle opere pubbliche per la Calabria affinché, stimolando da un lato l’iniziativa privata ed intervenendo direttamente nel resto, provveda a restituire una casa a chi ne ha tanto bisogno.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. L’ho già fatto.

SILIPO. Non credo, almeno fino a questo momento!

Pensi, onorevole Ministro, che lì si vive di nulla. È già molto se quei poveri diavoli sono scampati dal terremoto, e sono scampati dal terremoto per un puro caso, e cioè per il fatto che la scossa violenta, durata ben 13 secondi (si fa presto a dire 13 secondi e fanno anche presto a passare; ma quando debbono passare, mentre la terra ondeggia e sobbalza sotto i piedi, allora sono lunghi quanto secoli!) fu preceduta da due scosse leggere e da un boato premonitore, sicché, quando essa avvenne, si può dire che le case erano vuote. Se così non fosse stato, molti di coloro che dormono sotto quelle tende che lei ha mandato, dormirebbero a quest’ora il sonno della morte, e molti, purtroppo, cominciano a desiderare questo secondo sonno!

E quando chi vive di nulla ed è contento di nulla, desidera la morte, vuol dire che la vita è impossibile. Si dia alla Calabria quella modesta sodisfazione che deve avere per un complesso di ragioni e non solo per principî di solidarietà umana, ma anche per motivi di carattere politico. Onorevole Ministro, la Calabria ha dato alla Repubblica il 40 per cento dei voti, mentre gli ambienti monarchici si aspettavano il 96 o il 98 per cento. La Repubblica si rafforza continuamente, ma guai se si dovessero fare dei paragoni tra il presente e il passato qualora quello dovesse essere come questo: non lo dobbiamo permettere, onorevoli colleghi.

Lei, onorevole Ministro, ha buona memoria: noi calabresi avremo buona memoria e fra un mese mi permetterò di ricordarle quello che ha detto di fare per constatare quello che ha fatto. (Applausi a sinistra).

PELLA, Ministro delle finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PELLA, Ministro delle finanze. Desidero assicurare l’onorevole Silipo che il Ministero delle finanze, immediatamente dopo i tragici eventi che hanno sconvolto la vita della provincia dei cui bisogni si è reso interprete l’onorevole interrogante, ha immediatamente telefonato all’Intendente di finanza perché provvedesse alla sospensione di tutte le imposte, a partire dalla prima rata in scadenza.

Siccome il Ministero non era in condizione di valutare quali erano i comuni danneggiati, si è lasciata all’Intendenza di finanza locale questa facoltà di sospensione, in relazione alle indagini di fatto che lo stesso Intendente avrebbe dovuto svolgere.

Davanti a questo sciagurato avvenimento, in nome di quella umanità che trascende le concezioni politiche che possono dividere un Governo dai banchi dell’opposizione, vorrei veramente pregare l’onorevole Silipo di controllare sul posto quale possa essere l’applicazione pratica di questa disposizione che abbiamo dato; e se, per avventura, in sede di applicazione pratica, il provvedimento ministeriale, indipendentemente dalla buona volontà degli uffici locali, desse luogo a qualche inconveniente, pregherei l’onorevole Silipo di rendersi interprete presso il Ministero degli opportuni rilievi. Il Ministero non ha che il desiderio di venire veramente incontro ai Comuni danneggiati.

PRESIDENTE. L’onorevole Molè ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MOLÈ. Ringrazio il Ministro dei lavori pubblici e il Ministro delle finanze per il tono cordiale e il senso di comprensione che hanno dimostrato nel promettere tutto il loro interessamento per la soluzione di un problema, che è assolutamente indifferibile.

Penso tuttavia che, data la sproporzione fra le somme stanziate e il fabbisogno necessario, sarebbe opportuno, come in altri casi, provvedere con una leggina speciale.

Senza disturbare la Camera con vani discorsi, io vorrei, insieme con i colleghi della deputazione catanzarese, fissare dei colloqui con i Ministri competenti per preparare questi provvedimenti di legge che ritengo assolutamente necessari.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Sono già in preparazione.

MOLÈ. Va bene. Allora li esamineremo. E preso atto di tali propositi, ringrazio.

PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni che, riguardando lo stesso argomento, possono essere abbinate:

Montalbano, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere: 1°) come mai il Risorgimento liberale in data odierna (12 giugno 1947) in una corrispondenza da Palermo dal titolo: «Lo scandalo di Sciacca» e dal sottotitolo: «L’inesplicabile atteggiamento di un deputato comunista», dopo aver messo in rilievo presunti rapporti dell’interrogante con funzionari di polizia della provincia di Agrigento, ha potuto affermare quanto segue: «A meglio illuminare il morboso clima di speculazione politica, che ha gravitato intorno all’episodio di Sciacca, vale la pena ricordare l’inesplicabile atteggiamento di un teste molto importante, l’onorevole Montalbano Giuseppe, citato a comparire innanzi alla Sezione istruttoria e non ancora comparso probabilmente per sottrarsi ad un confronto pericoloso con qualche ufficiale di polizia giudiziaria». La verità è che l’interrogante è stato citato due volte a comparire dinanzi alla Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo e tutte e due le volte si è presentato all’ora stabilita (ore 9) alla Sezione istruttoria; ha trovato l’Ufficio col solo cancelliere, ha atteso più di un’ora invano, l’arrivo di qualche consigliere istruttore e poi ha dovuto andar via, d’intesa col cancelliere che sarebbe stato citato per altro giorno; 2°) quali provvedimenti intenda proporre contro quei consiglieri della Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo, colpevoli sia di recarsi molto tardi in ufficio, sia di fornire alla stampa notizie arbitrarie e tendenziose su un processo ancora in corso di istruzione; 3°) per quale ragione l’istruttoria per l’assassinio del ragionier Miraglia sia ancora affidata al consigliere Merenda, che, alcuni mesi fa, firmò l’ordinanza di scarcerazione degli imputati Curreri, Di Stefano e Rossi, senza motivare l’ordinanza, come ne aveva l’obbligo; 4°) quali disposizioni intenda dare affinché la deposizione dell’interrogante possa essere raccolta veramente ed al più presto dal magistrato inquirente; 5°) se è vero che siano stati sottratti dei verbali dal processo Miraglia e, nell’affermativa, quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili; 6°) se è vero che la polizia abbia estorto mediante sevizie la confessione dell’imputato Marciante e quali provvedimenti intenda disporre perché sia fatta piena luce al riguardo».

Volpe, Salvatore, Adonnino, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per conoscere della fondatezza o meno delle notizie pubblicate dalla stampa sul cosiddetto scandalo giudiziario di Sciacca ed in particolare sulla denunciata sottrazione di verbali dell’istruttoria del processo Miraglia e sulle sevizie inflitte ad imputati, i quali hanno, davanti il magistrato penale, denunziato le sevizie medesime. Per conoscere ancora, quali provvedimenti, nell’affermativa delle circostanze precedenti, si siano presi o s’intendano prendere contro i funzionari che si sarebbero resi colpevoli di tali gravi reati».

L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, rispondo anche per conto del Ministro dell’interno alle interrogazioni dell’onorevole Montalbano e degli onorevoli Volpe, Salvatore, Adonnino, le quali sono, per quanto diverse su alcuni punti, strettamente connesse fra di loro.

Incomincio da quella dell’onorevole Montalbano, per la parte specifica che lo riguarda. L’onorevole Montalbano vuol sapere dal Ministro di grazia e giustizia come mai un giornale di Roma, in data 12 giugno 1947, abbia potuto, in una corrispondenza da Palermo dal sottotitolo «Inesplicabile atteggiamento di un deputato comunista», dopo aver messo in rilievo presunti rapporti dell’onorevole Montalbano con funzionari di polizia della provincia di Agrigento, affermare che l’onorevole Montalbano, citato a comparire dinanzi alia Sezione istruttoria di Palermo non è ancora comparso, probabilmente per sottrarsi ad un confronto pericoloso con qualche ufficiale di polizia giudiziaria.

L’onorevole Montalbano, nel seguito della sua interrogazione, smentisce la notizia e chiede provvedimenti contro il consigliere istruttore della Corte di appello di Palermo, colpevole di recarsi molto tardi in ufficio e di fornire alla stampa notizie arbitrarie e tendenziose su di un processo ancora in corso di istruzione.

Su questo primo punto posso precisare all’interrogante e all’Assemblea quanto mi risulta da un rapporto della Procura Generale di Palermo in data 13 giugno 1947:

«L’onorevole Giuseppe Montalbano fu regolarmente citato una prima volta a comparire innanzi al Consigliere delegato della Sezione istruttoria per essere inteso quale testimone nel procedimento penale contro Curreri e C.i, imputati dell’omicidio in persona di Accursio Miraglia, il 17 maggio 1947, per il 19 dello stesso mese alle ore 10. Il Consigliere delegato alle ore 9.45 era già nel suo ufficio, ed apprese dal cancelliere della Sezione Istruttoria che l’onorevole Montalbano si era presentato alle ore 9 e minuti, si era soffermato per un quarto d’ora e si era allontanato dicendo al cancelliere stesso che si sarebbe recato a visitare il Procuratore Generale è sarebbe quindi tornato alla Sezione Istruttoria ove, invece, non fece più ritorno.

«Il Consigliere delegato rimase quel giorno in ufficio ad attendere l’onorevole Montalbano fino alle ore 13.

«La citazione dell’onorevole Montalbano era stata fatta per le ore 10, essendosi tenuto conto delle occupazioni che avrebbero potuto impedirgli di comparire per le ore 9, ora che di solito viene indicata per la comparizione dei testimoni.

«Il Cancelliere della Sezione Istruttoria fu incaricato dal Consigliere delegato di telefonare in casa dell’onorevole Montalbano per conoscere se questi si sarebbe presentato, ed avendo telefonato, apprese dalla moglie dell’onorevole Montalbano che l’ufficiale giudiziario aveva segnato sulla cedola relativa le ore 9 e non le ore 10.

«Pertanto, non essendo stato possibile escutere l’onorevole Montalbano per detto giorno, questi fu nuovamente e regolarmente citato a comparire per le ore 10 del 24 maggio 1947. In detto giorno l’onorevole Montalbano non si presentò e però il Consigliere delegato fece nuovamente telefonare dal Cancelliere in casa dell’onorevole Montalbano, in assenza del quale conferì con la moglie, pregandola d’avvertire il marito di fissare egli stesso un giorno e un’ora per la comparizione, compatibilmente con i suoi impegni politici. La signora Montalbano promise che avrebbe riferito al marito, ma sta di fatto che nessuna comunicazione né dall’onorevole Montalbano né dalla moglie è stata più data all’ufficio.

«Poiché ai fini istruttori è assolutamente indispensabile l’esame dell’onorevole Montalbano, il signor Procuratore Generale incaricato del processo, con richiesta del 7 giugno 1947, insisteva per l’audizione dell’onorevole Montalbano, richiesta alla quale non si è potuto dare subito corso perché l’ufficio si dovette trasferire a Sciacca per altri atti di istruzione.

«È da augurarsi, pertanto, che l’onorevole Montalbano, in relazione alla precedente comunicazione telefonica, faccia conoscere alla cancelleria della Sezione istruttoria il giorno e l’ora in cui egli è disposto ad essere sentito, mentre da parte del Consigliere delegato si è rinnovata la citazione a comparire per il giorno 21 giugno alle ore 10».

Da quanto esposto risulta evidente che l’onorevole Montalbano ha il modo come rendere presto la sua deposizione, ritenuta indispensabile ai fini istruttori, e così potrà smentire la notizia stampata da alcuni giornali che egli voglia sottrarsi a confronti pericolosi. D’altra parte appare infondato l’addebito mosso ai magistrati di recarsi tardi in ufficio. Escludo poi, date le informazioni raccolte, nella maniera più assoluta che da parte della Magistratura inquirente possano essere state fornite alla stampa notizie attinenti a procedure coperte da rigoroso segreto istruttorio. Tali notizie potrebbero essere pervenute alla stampa da parti diverse da quelle della magistratura, ossia da persone non vincolate dal segreto d’ufficio.

Circa il fatto che l’istruttoria sia affidata al Consigliere che in un primo tempo dispose la scarcerazione degli imputati, devesi far presente che la scarcerazione non fu disposta dal Consigliere istruttore, ma collegialmente, su conforme richiesta della Procura generale, dalla Sezione istruttoria, che è composta da un Presidente e due Consiglieri, secondo il disposto dell’articolo 57 dell’ordinamento giudiziario.

È poi da rilevare che nessuna incompatibilità esiste perché lo stesso giudice continui a svolgere un procedimento penale di cui ebbe ad occuparsi in una precedente fase della istruttoria; anzi, questo suole costantemente avvenire, quando emergono nuovi elementi di prova a carico delle persone prima escarcerate per insufficienza di indizi, essendo il giudice, già in precedenza informato su tutti gli elementi del procedimento, nelle condizioni più adatte per istruire le nuove prove emerse a carico delle stesse persone.

Del resto, la scelta del Consigliere delegato entra nella competenza insindacabile ed esclusiva della Sezione istruttoria (articolo 297 Codice procedura penale) ed è sottratta nella maniera più assoluta alla facoltà del Ministero.

Per quanto si riferisce agli ultimi punti (5° e 6°) dell’interrogazione, che sono connessi all’interrogazione degli onorevoli Volpe, Salvatore, Adonnino, rispondo che non è affatto vero che siano stati sottratti verbali o altri atti del processo Miraglia e che soltanto dopo il pronunciato giurisdizionale della Sezione istruttoria si potrà conoscere se sia vero o no che la polizia abbia estorto la confessione dell’imputato Marciante o di altri mediante sevizie, ed in caso affermativo l’autorità giudiziaria non mancherà di esercitare l’iniziativa penale e disciplinare in ordine ad eventuali reati che fossero stati commessi.

In tale eventualità – e qui voglio riportare le testuali parole del Procuratore generale – «le iniziative che saranno prese formeranno oggetto di serena ed obiettiva indagine giudiziaria, che sarà scevra, come del resto è nelle tradizioni della Magistratura, da preconcetti e da pietismi».

Onorevoli colleghi, da questo banco io non posso che rivolgere a voi tutti ed al Paese la preghiera che si lasci, con ogni tranquillità, svolgere l’istruttoria in corso, confermando nella Magistratura la fiducia necessaria perché essa eserciti la sua funzione in piena indipendenza.

Soltanto sulla giustizia, assicurata da una Magistratura libera ed indipendente, possiamo fondare il nuovo ordinamento della Repubblica italiana. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. L’onorevole Montalbano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

MONTALBANO. Desidero anzitutto far notare che, mentre la mia interrogazione è diretta a sodisfare le due esigenze fondamentali del processo penale – una diretta alla punizione del colpevole, la seconda a tutelare l’innocenza – invece l’interrogazione dei colleghi democristiani è diretta solamente a tutelare l’innocente, cioè l’imputato che si presume tale fino a prova contraria, e che comunque non deve essere sottoposto a sevizie.

Evidentemente io avrei piacere che i colleghi democristiani facessero anche loro opera perché non solo venga tutelata l’innocenza dell’imputato, qualunque sia, ma anche venga fatta opera perché vengano puniti i veri colpevoli e i veri responsabili dell’assassinio di Miraglia.

Cultore di diritto penale e memore delle sevizie riportate nel periodo fascista, sono stato sempre avversario – come dimostrano le mie pubblicazioni – di qualsiasi forma di tortura quale strumento per estorcere confessioni all’imputato.

Se oggi in alcuni casi la polizia adopera la tortura per indurre gli imputati a confessare, ciò dipende innanzi tutto dal fatto che gli organi dello Stato, il Ministero dell’interno e la Magistratura in generale sono essi per primi ancora disposti a tollerare lo sconcio che le sevizie siano usate, e dipende in secondo luogo dalla tradizione infausta per cui si protraggono ancora oggi, ai nostri giorni, i metodi della Santa Inquisizione (Commenti) che elevò la tortura a perfetta regola d’arte per assicurare la confessione dell’imputato e ritenne la confessione estorta con la tortura il più valido mezzo di prova.

Occorre dunque che, da parte del Ministro dell’interno e da parte della Magistratura, si diano severe disposizioni perché i funzionari di polizia vengano sottoposti essi stessi a procedimento penale tutte le volte che adoperano le sevizie contro gli imputati.

Però quella di oggi non è una questione da risolversi in astratto, bensì in concreto; cioè si tratta di sapere se sia vero o no che l’imputato Marciante sia stato sottoposto a sevizie e che la sua confessione sia stata estorta mediante torture. Questo è il punto.

Il Ministro della giustizia ha detto che bisogna avere fiducia nella Magistratura, e che la Magistratura deve decidere. Noi vogliamo avere questa fiducia, e speriamo che la questione sia risolta al più presto.

Per quanto riguarda l’accusa che mi è stata rivolta di aver avuto rapporti con funzionari di polizia, posso assicurare che coloro i quali hanno rapporti con la polizia, cercano di corromperla e la spingono a commettere azioni illegali; a volte a compiere sevizie a carico degli imputati, a volte a stendere verbali falsi o a sopprimere gli esistenti. Costoro non siedono nei banchi di sinistra, ma eventualmente appartengono a quei partiti che sono l’espressione dei ceti plutocratici, i quali alimentano la delinquenza e ne sono i veri protettori.

PRESIDENTE. Onorevole Montalbano, sono passati cinque minuti, concluda.

MONTALBANO. Per quanto riguarda l’incidente mio personale, ripeto che ero stato citato a comparire alle ore 9, e alle 9 mi sono presentato alla sezione istruttoria. Ma c’era soltanto il cancelliere. Sono stato ad attendere la prima volta fino alle 10 e poi fino alle dieci e un quarto (Interruzioni Commenti)… Recatisi a casa mia hanno parlato con mia moglie… (Interruzioni Rumori) rimanendo d’accordo che sarei stato citato una terza volta.

RUSSO PEREZ. Sono fatti che non interessano la Camera.

MOLTALBANO. Sono stato io a sollecitare di essere interrogato per svelare una circostanza che forse sarà decisiva per l’accertamento della verità. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Non interrompano. Vi sono pochi minuti dedicati alle interrogazioni. Non perdiamo altro tempo.

MOLTALBANO. Io sono convinto che scandali nel processo di Sciacca non ci sono stati. Si è verificata soltanto qualche indelicatezza durante il periodo di istruttoria. C’è stata qualche indiscrezione e la stampa ne ha approfittato per scrivere cose non conformi alla verità e creare un’atmosfera completamente diversa da quella che dovrebbe esserci perché sia fatta completamente luce e perché vengano scoperti i colpevoli. Noi miriamo a questo: che siano assicurati alla giustizia i veri colpevoli. Concludo dicendo che la risposta del Ministro è in parte sodisfacente, ma in parte no. Per quanto riguarda il fatto Merenda, evidentemente il Ministro non può provvedere alla sostituzione. Però è bene, secondo me, che non sia più lui a dirigere l’istruttoria del processo Miragli, perché c’è da presumere che, se qualche indiscrezione è trapelata dalla stampa, questa indiscrezione proviene da parte sua. Per questa ragione è bene che sia fatta la sostituzione da parte del Presidente della Sezione Istruttoria.

PRESIDENTE. L’onorevole Volpe ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

VOLPE. Desidero ringraziare il Ministro di grazia e giustizia; e desidero dire, anche a nome dei miei colleghi, che siamo in attesa fiduciosa dell’esito delle indagini che la Magistratura sta per svolgere. Ci riserviamo di tornare a interrogare il Ministro di grazia e giustizia ad inchiesta ultimata. Desidererei dire qualche cosa all’onorevole Montalbano che mi ha preceduto; e precisamente questo: l’onorevole Montalbano ha rimproverato a noi del gruppo democratico cristiano di non aver accennato alla necessità di una inchiesta, né incitato alla scoperta dei colpevoli dell’assassinio Miraglia. Desidererei dire all’onorevole Montalbano che chi parla è figlio di lavoratore delle miniere; che è cresciuto nelle miniere di zolfo tra i minatori; che ha perduti due suoi zii nel fondo della miniera, schiacciati dal minerale che su di loro è precipitato. Parla quindi un lavoratore, e l’onorevole Montalbano sa che in tutte le battaglie, nelle quali i lavoratori di Sicilia sono stati impegnati, sono stato sempre al loro fianco. Era implicito, quindi, che nella nostra interrogazione si chiedesse vivissimamente agli onorevoli Ministri interessati tutto il loro interessamento a che gli autori del barbaro delitto Miraglia fossero scoperti; e noi qui solennemente dichiariamo che siamo contro tutte le azioni di violenza, siamo contro tutti i fatti di sangue che vengano commessi contro chicchessia.

Desideravo sottoporre ancora all’attenzione dell’onorevole Montalbano quanto leggo su un giornale: lo sottopongo all’onorevole Montalbano il quale diceva di aver fiducia nella Magistratura. Desideravo leggergli quello che è riportato in un articolo sulla Voce della Sicilia di giorni fa, e precisamente l’ordine del giorno votato dalla Camera del lavoro di Sciacca nel quale si dice che da parte delle autorità inquirenti non si vuol tener conto delle prime dichiarazioni fatte dagli imputati… ma si vogliono prendere in considerazione gli alibi degli imputati, creati coi milioni degli agrari assassini, con cui si pretende di far figurare presente a Padova l’imputato Marciante.

Questo, onorevole Montalbano, vuol significare far pressione sulla Magistratura. La Magistratura deve essere libera.

Sulla Magistratura non si deve neppur pensare di fare la benché minima pressione, di qualsiasi specie.

La Magistratura deve tutelare tutte le libertà, tutti i cittadini.

Sulla Magistratura nessuna influenza di piazza deve mai verificarsi.

Noi, onorevole Montalbano, dobbiamo stare accanto ai lavoratori, insieme con loro combattere la grande battaglia, che è la nostra battaglia; ma non spingiamo i nostri lavoratori ad azioni, che pregiudicano la serietà e la dignità nostra.

Noi ci prefiggevamo di chiedere notizie circa quanto riportato dalla stampa e cioè sulle sevizie commesse contro gli attuali imputati.

Non si parla in Sicilia di sevizie soltanto in questo caso.

Sevizie contro gli inquisiti, onorevoli colleghi, se ne commettono da parte della autorità di Pubblica Sicurezza giornalmente, in tutte le caserme di Sicilia.

Io avrei un documentario di sevizie contro inquisiti in Sicilia da sottoporre all’onorevole Ministro dell’interno, ma penso che non sia questo il momento opportuno.

Mi riservo, quindi, di abbinare le due questioni quando l’onorevole Ministro per la grazia e la giustizia ci avrà dato ulteriori, definitive notizie circa il caso Miraglia.

PRESIDENTE. È così trascorso il tempo regolamentare assegnato alle interrogazioni.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Marina. Ne ha facoltà.

MARINA. Non avrei chiesto la parola, per aderire al desiderio espresso da numerosi onorevoli colleghi di abbreviare questa discussione sulle dichiarazioni del Governo, se non avessi ritenuto opportuno aggiungere alcune osservazioni particolari a quanto già ampiamente hanno esposto gli oratori che mi hanno preceduto e coi quali di massima convengo; altrimenti non farei che ripetere cose già note, sugli accorgimenti che si dovrebbero prendere per porre un freno all’aumento dei prezzi ed allo slittamento della lira.

A mio avviso, però, nessuno degli oratori precedenti ha fatto presente che forse la causa principale di questa situazione è agganciata alla mancata tregua salariale, che continua a persistere tuttora, cosicché invece di aversi un equilibrio fra spese, paghe e stipendi, abbiamo continuamente in agitazione questo settore della vita nazionale.

Infatti, se noi vogliamo, d’accordo, fissare i prezzi, come possiamo farlo se notiamo lo squilibrio fra i prezzi attuali e i prezzi anteguerra in modo così difforme che non sappiamo su quale di questi basarci?

Per i generi alimentari – riferisco i dati dell’aprile 1947 tolti dalla rivista diretta dal nostro collega Parri – il vino è cresciuto, per esempio, 50 volte, il latte 47, il burro 45, l’olio d’oliva 43, lo zucchero 24, la pasta 20 e la farina 14.

Quali di questi prezzi potranno trovare il loro equilibrio e formare la base su cui fermarci? Le 50 volte del vino, o le 14 volte della farina? E così dicasi per gli oggetti di vestiario. I tessuti di lana sono cresciuti 100 volte, le calzature 75, i tessuti misti 45, gli autoveicoli 30, i giornali 27, le lampadine 25, le sigarette normali almeno 24 volte, e così potrei continuare a fare osservare quali punte altissime si sono raggiunte in certe qualità di merci e come bassissime viceversa siano le tariffe telegrafiche, del gas, dell’abbonamento alla radio, le tariffe postali che superano appena 10 volte quelle dell’ante-guerra, mentre gli affitti non sono neppure raddoppiati.

Onorevoli colleghi, di questo continuo perturbamento che noi abbiamo sul mercato dobbiamo osservare quali sono le cause fondamentali che portano a questo squilibrio, e non solo gli effetti, e contro queste cause agire con drastica energia.

Tutti coloro che si occupano di economia sanno che un prodotto finito, quando giunge al consumo e al consumatore, è costituito da vari elementi di costo; il più importante di essi è la spesa per la mano d’opera, che assorbe in definitiva il 60-70 per cento del costo globale, mentre il resto è costituito dalle spese dei trasporti, dall’energia trasformatrice e dagli utili dell’imprenditore, oltre le spese dei vari servizi accessori, come assicurazioni, ecc.

Così, ad esempio, il banco dove sediamo è costituito, come voi vedete, da legname. Il legname all’origine non costa niente, o tutt’al più la piccola spesa di mano d’opera per la messa a dimora della pianta, se questa non è nata spontaneamente: però incomincia a costare il giorno in cui andiamo a tagliare quell’albero: occorre la mano d’opera per l’abbattimento e per la spoliazione dei rami, per il rotolamento del tronco a fondo valle, occorre la spesa di trasporto dalla montagna al piano, ove nella segheria subisce il processo di trasformazione in tavole e travi.

Anche per far ciò occorre la mano d’opera ed una piccolissima spesa per l’energia elettrica necessaria per azionare le macchine. Le tavole e le travi passano successivamente in vari magazzini di rivenditori con spese di mano d’opera per il carico e lo scarico e spese di trasporto. Giunte le tavole e le travi al mobilificio, altra mano d’opera le trasforma in quel banco su cui noi sediamo e per il quale, una volta costruito, sono occorse altre spese per il suo trasporto e mano d’opera per il collocamento in quest’aula. Potrei darvi altre dimostrazioni, ma ritengo non occorra. Vi posso però assicurare che il dato di incidenza della mano d’opera e delle altre spese stipendiali è esatto, cosicché il costo di un prodotto ha un carico definitivo per quelle del 60-70 per cento.

Infatti lo potete controllare attraverso questo conto sommario. Si dice che nell’industria italiana siano impiegati 6 milioni di lavoratori; ciascun lavoratore costa all’industria all’incirca 250 mila lire l’anno: abbiamo così una spesa globale annua di 500 miliardi per mano d’opera e stipendi, contro una produzione che viene valutata a prezzi odierni dai 2200 ai 2500 miliardi.

Come vedete, il calcolo sopraindicato vi dimostra la approssimativa incidenza delle spese di paga e stipendi, che raggiunge quel 60-70 per cento che ho sopramenzionato. Ed allora, se noi vogliamo mettere un punto fermo a questa nostra economia oscillante e disordinata dalla guerra, dobbiamo effettivamente partire da questo che è il dato fondamentale e di gran lunga più importante di ogni altro.

Vi dirò subito che a me non importa conoscere se convenga fissare le paghe a 25 o a 30 piuttosto che a 40 volte quelle dell’anteguerra, perché questo non ha grande importanza; se mai ha grande importanza la differenziazione salariale che si deve stabilire fra le categorie di lavoratori, categorie che in questo momento, attraverso quel processo di revisione salariale che conoscete, si sono venute invece parificando, con differenziazioni minime nei loro rispettivi guadagni. Ed è questa la causa prima del grave disturbo che noi abbiamo nel campo dei lavoratori, è questo il motivo per cui i nostri operai specializzati non rendono come rendevano nel periodo anteguerra, perché sono male pagati in confronto alle altre categorie, come pure gli impiegati ed i dirigenti, che, a parer mio, non ricevono un compenso sufficiente né proporzionale alle altre categorie di lavoratori. E chi ne soffre è la produzione e coloro che la godono, che sono in definitiva i lavoratori stessi.

Ora, in effetti, quando l’onorevole De Gasperi ha detto che bisogna arrivare a salvare la lira e a salvare la situazione economica del Paese, ha detto delle cose note, ma ha pure detto delle parole esatte dicendo che bisogna aggredire tutti i settori dell’economia italiana. Tra questi settori vi è precisamente quello delle paghe e degli stipendi che è per me, come vi ho dimostrato più sopra, il più importante e sul quale noi dobbiamo agire.

Io ebbi già occasione, nello scorso settembre, in una seduta preliminare nella sede della Confederazione Generale dell’industria, di suggerire, in materia di tregua salariale, quanto vi ho accennato poco fa, e gli onorevoli Lizzadri e Bitossi, che qui non vedo, mi possono essere testimoni: arrivare cioè a far sì che i salari fossero equamente corrisposti e fosse stabilita la base che biologicamente si riteneva necessaria e indispensabile per compensare l’operaio tipo (che ritengo sia il manovale specializzato e l’impiegato di terza categoria) e dopo differenziare tecnicamente, come pressappoco anteguerra, questi stipendi e queste paghe fra tutte le varie categorie di lavoratori. Non mi si è voluto ascoltare.

Ho dimostrato pure che la scala mobile, nel modo come funzionava allora e come funziona ora, è controproducente e dannosa all’economia del Paese.

Difatti voi vedete questo. La scala mobile viene variata ogni due mesi in base ai prezzi che si sono modificati nel bimestre precedente. Che cosa avviene? Avviene che aumentando i salari di quanto è aritmeticamente necessario per far fronte agli scivolamenti dei prezzi che a volte si sono verificati per ragioni diverse, stagionali e di speculazione, si viene così a rendere definitivo un aumento che, per la sua causalità, col tempo sarebbe scomparso e si sarebbe corretto da solo, specialmente in base alla legge della domanda e dell’offerta.

Appena le paghe vengono aumentate, anzi nelle more della discussione fra le parti interessate a trattare le rettifiche, il mercato reagisce ed i prezzi riprendono a salire in forza ed in causa degli aumenti dei salari che si stanno concordando.

Difatti, se voi ricorderete, nel marzo di quest’anno, appena si fece cenno che la tregua salariale non si sapeva ancora se si sarebbe rinnovata o meno, nel dubbio, i prezzi scapparono rapidissimamente in su, spintivi anche da cause politiche. Per quale motivo? È un motivo mercantile logico, perché colui che detiene un determinato prodotto ed è costretto a venderlo per rinnovarlo, onde mantenere nel suo stabilimento il lavoro, deve necessariamente aumentare il prezzo in modo tale (ammesso che questo sia un industriale onesto) da ricavare il medesimo quantitativo di danaro che gli serve per riprodurre l’oggetto che è costretto a vendere. Ma parallelamente all’industriale onesto, che aumenta il prodotto di quel tanto che è necessario per cautelarsi come vi ho detto più sopra, vi sono anche quella serie di speculatori che noi conosciamo, i quali al minimo cenno della salita dei prezzi nel mercato nazionale, e oserei dire nel mercato mondiale, approfittano ed accentuano tale fenomeno: e noi vediamo che le materie prime base scompaiono subito dal mercato per riapparire però otto, dieci, quindici giorni dopo aumentate di prezzo di gran lunga di più di quello che è il coefficiente di aumento che a loro spetterebbe in proporzione a quello che si deve applicare nelle paghe e negli stipendi, in base alla oscillazione che si è verificata nei prezzi indici.

E allora voi direte: così facendo, se noi ci fermiamo, chi si sacrifica? Si sacrificano certamente i salariati e gli stipendiati, ed è questo il contributo che essi devono dare per la difesa della lira e per la stabilizzazione dei prezzi. Mentre le classi abbienti debbono, allo stesso scopo, sacrificare gran parte dei loro redditi e dei loro capitali.

Io ho ventisette anni di esperienza. Ho partecipato all’altra guerra mondiale, ho vissuto il dopoguerra e dal 1920 ad oggi ho diretto diverse aziende, ho vissuto i processi economici e sociali di quel dopoguerra e che si ripetono ora in modo pressoché identico. A mio avviso, se si vuol fare qualche cosa di veramente utile, occorre metterci tutti in trincea: prestatori d’opera e datori di lavoro, poveri e ricchi. Così solo si potrà veramente difendere e salvare questa nostra economia.

Il sacrificio che dobbiamo chiedere ai prestatori d’opera è precisamente quello di cercare di fermarsi nella richiesta di aumenti di paga: dico fermarsi nel senso relativo, perché a fianco del dato «paga», voi sapete che opera in modo correttivo l’indennità di contingenza, che dovrà però essere riveduta nel suo funzionamento.

Sono del parere che a questa indennità di contingenza dovrebbe essere applicato un coefficiente, che io chiamerei coefficiente di sicurezza, ragguagliato ad uno scarto del 20 per cento in più o in meno. Questo coefficiente dovrebbe funzionare nel senso che, qualora i dati indici del bimestre precedente segnassero una oscillazione inferiore a questo dato da me indicato, non si dovrebbe far luogo a nessun aumento o a nessuna diminuzione della indennità di contingenza. Se viceversa questo dato fosse superato, si dovrebbe aumentare o diminuire l’indennità di contingenza di quel tanto che eccede il 20 per cento sopra indicato.

È un modo tecnico sicuro per fermare il dato fondamentale della produzione che si ravvisa nel costo della mano d’opera e degli stipendi.

Confesso che ciò sarebbe veramente un sacrificio per le categorie lavoratrici, che vivono esclusivamente del frutto del loro lavoro, in quanto che le loro paghe e i loro stipendi attuali non consentono di poter acquistare beni nella stessa misura anteguerra perché essi possano vivere la passata vita, biologicamente sana e sodisfacente.

La ragione fondamentale ed obiettiva è che i beni di consumo e strumentali che si trovano oggi sul mercato mondiale, sono in quantità molto minore di quelli anteguerra e pertanto nessun aumento di paga permetterebbe ai lavoratori una migliore e maggiore distribuzione di questi beni a loro favore.

Ma a questo stato di cose si potrà portare un effettivo miglioramento solo attraverso una precisa e paziente volontà da parte di tutti di aumentare la produttività nazionale.

Per riformare le nostre scorte in tutti i settori merceologici, occorreranno 3, 4, 5 anni ancora.

Nell’altra guerra, occorsero ben otto anni per riformare le scorte nei vari stabilimenti e nei vari magazzini.

In effetti questo può sembrare un suggerimento a carattere conservatore, come si usa dire oggi, ma non è così. Noi dell’Uomo Qualunque che rappresentiamo anche noi, modestamente, una certa quantità di lavoratori, abbiamo la volontà precisa di far sì che al lavoratore sia dato tutto il possibile, cioè quel compenso che, ragguagliato all’attuale situazione economica del Paese, consenta ad esso lavoratore di avere il massimo dei guadagni. La ragione è ovvia e tutti la conoscono; ognuno di noi sa, infatti, che il lavoratore è il consumatore del prodotto del proprio lavoro. Se lo mettiamo in condizioni di guadagnare e di guadagnare bene, e lo facciamo lavorare poche ore al giorno perché egli possa nelle rimanenti godere i frutti del proprio lavoro, mettiamo in pratica il principio della rapida circolazione del capitale; sollecitando così il consumo si aumenta la produzione e conseguentemente diminuiscono i prezzi dei prodotti. Più rapidamente si svolge questo processo e più rapidamente si raggiungerà il vero benessere nel nostro Paese.

Noi abbiamo un solo divario fondamentale con la concezione comunista, ed è che riteniamo più utile e meno costoso e più producente il capitale privato in confronto al capitale di Stato.

Il nostro asserto è confortato dai significativi esempi che abbiamo oggi qui in Italia.

Superata questa ideologia, credo che sul maggiore benessere possibile da dare ai prestatori d’opera siamo tutti d’accordo e specialmente, credo, il Partito democratico cristiano che avendo avuto 8 milioni di voti, rappresenta senza dubbio tutta la gamma delle categorie produttrici del Paese. Non vedo quindi perché questo partito, che oggi ha creduto opportuno governare da solo, non debba essere sorretto dalla fiducia, per lo meno condizionata, di tutta la Camera. Non vedo perché non si debba lasciar fare un esperimento di qualche mese a questo Governo, che l’onorevole De Gasperi ha formato, come l’onorevole Giannini, fin dallo scorso giugno, aveva suggerito in un suo intervento alla Camera. Costituire cioè un Gabinetto con uomini del Partito più numeroso, il democristiano, che evidentemente aveva riscosso la maggiore fiducia nel Paese, integrandolo con tecnici di capacità indiscussa e di provata esperienza, che potesse amministrare il Paese, il quale, in questo momento, come tutti i paesi d’Europa, sta attraversando la parte più tragica e pericolosa della sua vita economica. Ma noi siamo dei dilettanti e non dei politici professionali e ragioniamo solo colla logica del buon senso, che evidentemente in politica non basta.

Ora io vorrei che venisse trattato con urgenza il problema della effettiva tregua salariale, perché, non più tardi di qualche giorno fa, come rappresentante di una categoria industriale, ebbi occasione di fare completare un contratto nazionale salariale e stipendiale di categoria che doveva far luogo alla sostituzione, con una unica regolamentazione, delle varie sperequazioni salariali che nella stessa categoria si riscontrano nelle diverse zone industriali.

Per addivenire a questa regolamentazione si è finito per stipulare un contratto nazionale che prevede un aumento medio dei salari e degli stipendi di circa il 32 per cento.

E questo non sarebbe un male, perché, come dicevo prima, è mia opinione che l’operaio debba essere ben pagato. Il guaio è che gli stessi rappresentanti dei lavoratori, dopo avermi pregato di smussare tutti gli ostacoli per la conclusione di questo contratto, mi preannunciarono che fra non molti giorni si sarebbero messi in agitazione per la revisione del contratto normativo di categoria. Ora, è possibile che il Paese debba continuare a vivere in agitazioni permanenti, che non hanno nessuna ragione…

Una voce a sinistra. La ragione è che aumentano i prezzi tutti i giorni.

MARINA. …per il fatto obiettivo che ho detto prima, e cioè che a noi non interessa sapere quale sia il livello tecnico che realmente si vuole fissare a base degli stipendi e delle paghe? Questo livello lo si potrebbe fissare anche cento volte superiore a quello che era prima della guerra. Ciò non ha nessuna importanza, perché tutto si adeguerebbe poi su questa nuova base.

Ma in questo momento, onorevoli colleghi, siamo o non siamo in una situazione grave per cui dobbiamo dire: «fermiamoci»? Da dove dobbiamo incominciare a fermarci? Dai prezzi? Vi ho già dimostrato che vi sono sperequazioni tali che non si sa dove cominciare: comprimere i prezzi è una parola, e voi lo sapete. Però vi assicuro che se noi avessimo il coraggio di dire che la tregua salariale è effettiva, vera, reale e che sarà procrastinata almeno per un anno, potete essere certi che fra quindici giorni voi vedreste i prezzi scendere, e scendere violentemente in tutte le categorie merceologiche, e i signori speculatori ed i disonesti ne pagherebbero lo scotto.

Voi potete avere la prova di ciò, esaminando l’andamento dei bollettini di Borsa. Basta un minimo di tranquillità perché tutto scenda ad un livello più adeguato.

Io vorrei – e credo sia necessario farlo – che si arrivasse anche ad una tregua politica, oltre che salariale. Come la tregua salariale agisce indubbiamente in modo drastico sui prezzi e li fa scendere, così la tregua politica darebbe garanzia a quelle Nazioni che ci possono e ci debbono aiutare, ma che in questo momento non ci aiutano appunto perché non diamo loro alcun affidamento politico di tranquillità.

Badate che attualmente questo stato di continua agitazione mantiene lontani anche quei turisti stranieri che, con la loro permanenza nel nostro Paese, alimentano una delle entrate invisibili e cospicue della nostra bilancia commerciale.

TEGA. Siete voi che create queste cose. Dove sono le agitazioni?

MARINA. Io non so cosa lei faccia nella sua vita privata, ma vorrei vedere, caro signore, se siamo noi o se siete voi. Ho detto prima, e lo confermo, che noi abbiamo un programma che forse sopravanza il vostro sul terreno economico sociale.

Quando voi dite che siamo noi, informatevi chi sono io presso la Camera del lavoro di Milano e saprete quali sono i miei concetti, concetti che qui esprimo e confermo nell’interesse non del mio partito, ma della Nazione.

Ora, ho detto che, oltre la tregua salariale, credo occorra anche la tregua politica.

Vorrei dare ora qualche suggerimento di carattere finanziario e produttivo.

Io vorrei chiedere all’onorevole Pella, se non abbia esaminato la possibilità di far pagare anche un’altra tassa che il contribuente sarebbe lietissimo di pagare: la tassa cioè sul ritorno dei titoli da nominativi al portatore.

Ella mi insegna, onorevole Pella, che tutti i portatori di titoli, chissà perché, non gradiscono essere conosciuti. Ed appunto per questo, per questa psicologia particolare, mi parrebbe opportuno un provvedimento che permettesse a questi signori di trasformare da nominativi al portatore i titoli in loro possesso, facendo pagare per questo una tassa, ad esempio del 15 per cento sul prezzo di Borsa.

Mi parrebbe, che, grosso modo, oltre 200 miliardi potrebbero entrare nelle casse dello Stato, ed entrarvi in modo dolce e spontaneo, se è esatto che il valore dei titoli azionari ammonta oggi a circa 1500 miliardi.

Le tasse, voi sapete, il contribuente le paga malvolentieri; ma questa, parrebbe strano, è come la tassa sul fumo, una tassa che il contribuente è lietissimo di pagare.

Io non sono un fumatore, ma ho visto, a proposito di tabacchi, che in questa congiuntura economica, lo Stato è arrivato a vendere il doppio del quantitativo di tabacco in confronto all’anteguerra, perché ai fumatori piace fumare e pagano volentieri la tassa relativa.

Io ho qui una rivista economica nella quale si legge che nel 1945, nel mese di luglio, le quantità prodotte di generi da fumo erano 1862 tonnellate e nel marzo del 1947 sono arrivate a circa 2850 tonnellate; oltre al tabacco che viene dall’estero contrabbandato, ecc. Pertanto si ha oggi un quantitativo doppio di consumo in confronto all’anteguerra.

PELLA, Ministro delle finanze. È il 110 per cento.

MARINA. Un’altra tassa, che ha segnato un benefico incremento, è la tassa di scambio, il cui coefficiente è stato ridotto dal 4 al 3 per cento. Questa riduzione ha già provocato un maggiore introito; ma, a mio avviso, anche il 3 per cento è ancora troppo elevato. Voi sapete che i prodotti di grande consumo, prima di arrivare al consumatore girano almeno tre o quattro volte, il che vuol dire che con questi trapassi essi pagano una tassa complessiva del 12 per cento.

Un prodotto che ha un forte consumo non può sopportare questo onere del 12 per cento, ed ecco perché abbiamo evasioni su larga scala della tassa di scambio: vendite senza fattura, e tanti altri accorgimenti che gli esperti conoscono.

Riducendo dal 3 al 2 per cento questa tassa, sono d’avviso che si ridurranno fortemente le evasioni e che lo Stato finirà per beneficiarne.

Gli uomini che sono ora al Governo, esperti quanto me e più di me, sanno che questa è la strada da seguire perché le tasse indirette diano il massimo gettito possibile. Quando il coefficiente è basso, l’interessato non ha convenienza ad evadere la tassa per il forte rischio cui dovrebbe andare incontro.

Ritornando alla tregua, quando nello scorso settembre discussi sulla tregua salariale, prospettai la possibilità di cogliere l’occasione in quel momento per abolire tutti i prezzi politici, e specialmente quello del pane: con pochissime lire di più al giorno corrisposte all’operaio noi potevamo fin d’allora abolire quel prezzo politico che viene tolto solo oggi, e così lo Stato avrebbe risparmiati circa 70 miliardi.

Allora suggerii pure di abolire un altro prezzo politico che, a parer mio, è una vera ingiustizia sociale per una larghissima categoria di cittadini.

Un altro oratore di questa Camera ne fece un larvato cenno in riferimento alla imposta straordinaria sul patrimonio, che tanto preoccupa specialmente i piccoli proprietari di immobili.

Dissi allora: «Amici! cerchiamo di abolire anche il prezzo politico degli affitti. Portiamolo con velocità, non dico al prezzo giusto, ma ad un prezzo bloccato e condizionato che sia tale da compensare il proprietario dell’immobile e da indurre i costruttori a riprendere le costruzioni edilizie di cui si ha tanto bisogno».

La cosa essendo politicamente poco accettabile per certi partiti, non venne accolta, per quanto i conti da me fatti fare, in riferimento a quel famoso limite relativo alla indennità di contingenza, mi dicevano che con sole 80 lire di aumento al giorno ai salariati avremmo potuto abolire il prezzo politico del pane e portare questo al giusto livello di mercato, aumentare gli affitti urbani a 10, 12 volte l’anteguerra, e di conseguenza a 15-20 volte gli affitti industriali e commerciali.

Perché, con questo modesto accorgimento non si è voluto affrontare un problema che ha una importanza grandissima nell’economia nazionale? Io oserei dire che lo si potrebbe e lo si dovrebbe affrontare ancora oggi, perché siamo ancora in tempo. Voi vedete che ogni due mesi aumentiamo le indennità di contingenza agli operai di 100 lire al giorno. Che male ci sarebbe, se questo operaio facesse da passamano di un altro biglietto da cento che dalla sua mano passasse a quella del proprietario dello stabile di cui egli gode una parte? Si verrebbe a cancellare quella che io ritengo una grave ingiustizia sociale, perché è ingiusto che ci siano dei cittadini che si sacrificano non a favore di una collettività ma di singoli individui, quando gli altri cittadini questo non fanno: non solo non è giusto, ma è anche delittuoso che ci siano coloro che beneficiando di questi beni quasi gratuiti ne facciano anche una larga speculazione.

Ora, signori miei, può continuare questo stato di cose?

A me parrebbe di no, nell’interesse della collettività.

Voi vedete qui in Roma una quantità di locali, come bar e cinematografi, che pagano sciocchezze di affitto e che pure guadagnano fior di quattrini. È giusto questo?

L’attuale Governo aggredisca questo problema: è un problema interessante; è un problema fondamentale per l’economia della nazione; è un problema di ricostruzione che ha un peso notevolissimo.

L’industria edilizia, voi lo sapete, è la più grande industria italiana: essa è arrivata ad impiegare sino ad un milione di lavoratori, mentre ora – stando per lo meno agli ultimi miei dati – non occupa che 120 mila operai. Non dico certo che immediatamente questa industria possa passare dai 120 mila lavoratori impiegati attualmente al milione dell’anteguerra. Affermo però che centinaia di migliaia degli attuali disoccupati troverebbero un lavoro, perché voi mi insegnate che proprio nell’industria edilizia trova occupazione quella mano d’opera non qualificata e non specificata che abitudinariamente e stagionalmente passa dall’agricoltura all’industria e viceversa: proprio quel tipo di mano d’opera disoccupata che grava specialmente sul meridione d’Italia, ove non sappiamo come si possa risolvere il problema della disoccupazione se non con la lenta emigrazione, perché non vi sono che modestissime possibilità industriali.

Io che sono milanese posso dirvi con piacere che nell’Italia settentrionale la ripresa è così rapida e così incoraggiante nel settore industriale, da poter affermare che la disoccupazione non esiste più, o esiste solo sulla carta, tanto che, oso dire, se si indagasse a fondo su questo problema, probabilmente si scoprirebbe che molti di coloro i quali attualmente godono del sussidio di disoccupazione e sono elencati come disoccupati, non hanno diritto al sussidio, perché non sono disoccupati veri e lo Stato potrebbe risparmiare in tal modo decine e decine di miliardi.

È dunque un problema di carattere nazionale, che deve essere affrontato, e che va affrontato e risolto in sede comunale, perché quella è la sua sede. È là che i sindaci e gli assessori debbono guardare a fondo e rendersi personalmente responsabili della lista dei disoccupati dei loro paesi.

Vi ricorderò un piccolo episodio: a Milano, nello scorso inverno, avemmo quella nevicata che voi sapete. Ebbene, non si trovò la mano d’opera sufficiente per lo spalamento. Similmente le imprese che dovevano provvedere allo sgombero delle macerie non trovarono neppure esse la mano d’opera bastante per operare rapidamente questo sgombero. Chi vive a Milano ne sa qualche cosa.

Dico questo perché è interesse di tutti, e non è interesse soltanto del partito dell’Uomo Qualunque, o del partito socialista, o del partito comunista o di qualsiasi altro partito che siede in questa Camera. È un interesse della ricostruzione, è un problema di moralità che si inserisce nelle questioni che più ci stanno a cuore, quella della sistemazione delle finanze dello Stato e quella di provvedere lavoro ai disoccupati. Ma il padrone di casa che riceve, non dico un giusto affitto, ma qualche cosa che si avvicini al giusto, sarebbe ben lieto di pagare quella tassa di fronte alla quale oggi violentemente si ribella perché non ne ha i mezzi, e la sua proprietà non glieli fornisce.

Io so che al professor Einaudi è stata mandata, da parte dell’Associazione dei proprietari di case, una lettera implorante un qualsiasi accorgimento che permetta, sì, di pagare le tasse, ma in modo che i proprietari di questi immobili, e specialmente dei più modesti, non abbiano a dover subire il grave danno di ipotecare le loro case o, peggio ancora, di dover ricorrere a prestiti che hanno qualche volta carattere di esosità per il loro alto tasso, dato che gli istituti bancari si rifiutano di aiutarli.

Non vi pare che l’accorgimento ci sia e sia quello da me indicato? Invito pertanto il Governo a porsi con urgenza il problema ed a risolverlo nell’interesse di una cospicua categoria di cittadini, anch’essi meritevoli di considerazione, che non lesineranno, ne sono sicuro, aiuti allo Stato, se questo Stato li aiuterà e non si mostrerà loro nemico come fa oggi, anche in contrasto con gli interessi veri della collettività.

Passando al tesseramento, credo che il Governo sia entrato nell’ordine di idee di toglierlo al più presto: è necessario, per fare ciò, disporre di una massa di manovra di generi alimentari cospicua. Solo così si potrà presto arrivare alla sua abolizione.

Ma per poter acquistare sul mercato mondiale i viveri occorrenti per formare questa massa, ci necessitano degli ingenti prestiti esteri; e qui mi riallaccio a quanto dicevo prima circa la tregua politica: questa tregua politica è indispensabile in modo assoluto, perché dando tranquillità alle Nazioni che ci devono aiutare con prestiti, ci permetterebbe di avere quel danaro, in una misura non di 100 milioni di dollari, coi quali chiuderemmo appena un buco, un piccolo buco delle nostre grandi necessità, ma non risolveremmo mai il problema in modo completo. A mio avviso almeno mille milioni di dollari ci occorrono. E perché dico mille milioni di dollari?

A parte il fatto che bisogna risanare il deficit della nostra bilancia commerciale, come è stato dimostrato dalla relazione Campilli, abbiamo un bisogno indispensabile, fondamentale: quello di riformare le scorte: quello di acquistare in larga misura i generi alimentari che ci occorrono: perché con poche decine di migliaia di tonnellate di generi alimentari buttate sui grandi mercati di Milano, di Roma, di Napoli, di Genova e di tutte le grandi città, vedreste che i prezzi dei generi alimentari scenderebbero velocissimamente a tutto sollievo del modesto consumatore, oggi spesse volte impossibilitato a comperare da prezzi eccessivamente alti e spareggiati.

E che ci sia in questo campo uno spareggio, che non è giustificato, ve lo può provare un piccolo fatto, che mi è capitato dieci giorni fa.

Dieci giorni fa ero in quel di Bergamo, ospite di un modesto contadino, il quale, oltre ad avere in proprietà poche pertiche di terreno, ne coltiva, a fianco del suo campicello, altre otto.

Questo uomo mi disse, facendomi vedere i suoi campi, queste precise parole: «Le otto pertiche che lei vede, sono in vendita: il proprietario so che chiede dalle 250 alle 300 mila lire. Io sarei disposto a comperarle subito».

Dico io; meravigliato: «Certo che l’acquisto di questo terreno ti sarebbe utile, perché ti amplia il fondo, ma come fai ad avere il danaro necessario?»

So che è un povero diavolo che fa l’operaio durante il giorno e il coltivatore nel tempo libero. «Molto semplice» mi ha risposto, «prendo una delle tre mucche che ho qui nella stalla, e che mi è di troppo perché non ho sufficiente mangime per tutte e tre, la vendo e ricavo il denaro che mi basta per comperare questo terreno, e ne ho la convenienza. Questo fatto non mi poteva avvenire nell’anteguerra, perché con l’importo ricavato dalla vendita di una mucca si comperava allora, sì e no, una pertica di terreno».

Ora, egregi colleghi, abbiamo da una parte una mucca che vale oggi 8 volte quello che vale una pertica di terreno, e un terreno che proporzionalmente, dall’altra parte, non vale quello che valeva nell’anteguerra.

Quale sarà il prezzo giusto di queste due cose? Non certo quello della mucca! Ecco perché – dicevo – bastano poche diecine di migliaia di tonnellate di generi alimentari per far scendere fortemente i prezzi di questi generi che ora sono alla libera disponibilità dei produttori, per la massima parte contadini, che ne stabiliscono il prezzo secondo la loro mercantile convenienza. Quel prezzo che noi, oggi come oggi, troviamo esagerato, specialmente per le carni, e che è quello che incide in modo così sfavorevole sul costo della vita.

Ho citato questo esempio, ma si potrebbe continuare ancora perché esempi similari ce ne sono parecchi altri.

Voglio però avviarmi rapidamente alla fine del mio dire, per esporvi ancora qualche osservazione di carattere fondamentale.

Il dollaro, inteso nel suo vero valore venale, che dovrebbe essere la media di compenso fra il dollaro di borsa nera e il dollaro che deve essere versato allo Stato, è cresciuto circa da 25 a 30 volte rispetto all’anteguerra. Mi parrebbe che queste quote dovrebbero essere quelle che ci devono dare la misura ed il limite sul quale fissare la nostra economia, perché un limite qualunque, una vera trincea, dobbiamo pur porcela se vogliamo tentare di mettere fine al più presto all’attuale anarchia economica della Nazione.

Dobbiamo dire a quale limite si vuol fare la resistenza, e su questo limite tutti dobbiamo operare concordi affinché la nostra economia sia veramente difesa. Gli italiani debbono oggi costruire quella che io chiamerei «la linea del Piave dell’economia italiana».

Avrei parecchie altre cose da dire ed altri suggerimenti da dare, ma per aderire al desiderio generale di chiudere sollecitamente la discussione sulle dichiarazioni del Governo, dirò che quando l’onorevole Giannini, nello scorso anno, invitò la Democrazia cristiana ad assumere da sola la direzione del Governo, essendo essa il Partito più numeroso, cui evidentemente il popolo italiano aveva concesso la fiducia, egli parlò non come rappresentante del partito dell’Uomo Qualunque, ma come italiano pensoso delle sorti del Paese, alle quali il partito, cui io mi onoro di appartenere, pospone e posporrà sempre i suoi particolari interessi.

Come italiano anch’io parlo oggi agli italiani che siedono su tutti i settori della Camera, e chiedo loro – rivolgendomi particolarmente ai componenti del partito social-comunista – se non sia possibile per qualche mese, anzi fino alla vigilia delle prossime elezioni, addivenire, tra i vari partiti, ad una tregua politica, che unitamente alla tregua salariale da me invocata come pilastro essenziale per la difesa della lira e la stabilizzazione dei prezzi, consenta al Paese un periodo di operoso raccoglimento, e alle Nazioni che ci vogliono aiutare dia quelle garanzie politiche ed economiche necessarie perché il loro aiuto ci venga dato in modo largo e continuativo, e ci giunga al più presto.

L’attuale Ministero De Gasperi, integrato da tecnici di indiscusso valore, risponde al nostro concetto politico, e pertanto, nell’interesse della Nazione e dei prestatori d’opera, ritengo che possa e debba avere una vita tranquilla, anche se limitata nel tempo, perché la sua azione sia efficace e produttiva di benessere per il Paese.

Così consigliando, da dilettante politico, quale io dicevo prima di essere, esprimo un concetto che trascende l’interesse del mio partito, anzi direi che va contro di esso, perché è a tutti noto che al partito dell’Uomo Qualunque giovano politicamente, e lo irrobustiscono, tutte le manchevolezze (e per dirle in termine qualunquista, tutte le «fesserie») che i Governi passati non potevano non commettere nel campo economico e finanziario. Noi uomini qualunque saremo paghi che le nostre idee politiche si siano fatte strada ed abbiano contribuito alla ricostruzione della Patria nostra, che deve essere in cima ai nostri pensieri, più dei nostri particolari interessi.

Gli uomini qualunque (gli uomini comuni, come ebbe l’amabilità di chiamarli l’onorevole Calosso), che sono l’infinita maggioranza del popolo italiano, non chiedono di meglio e di più che vivere in pace, in una pace serena fatta di lavoro e di concordia, che permetta loro di godere questa breve vita terrena e di sentirsi cittadini liberi in un mondo libero e felice. (Applausi a destra e al centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Molè. Ne ha facoltà.

MOLÈ. Onorevoli colleghi. Farò un’esposizione semplice, pacata, serena del mio pensiero e del pensiero dei miei amici, senza atteggiamenti gladiatorii, che non si addicono a chi, non avendo dietro di sé forze strabocchevoli, capaci da sole di determinare una situazione, è consapevole del suo ruolo modesto di complementarietà, di mediazione, di conciliazione nella lotta fra i grandi partiti protagonisti della vita civile, che si contendono il primato. Senza atteggiamenti gladiatorii e senza eccessivi toni polemici, i quali non fanno che aggravare gli urti, esasperare le passioni, intossicare i contrasti politici, trasferendoli dalla serena atmosfera del dissenso ideale sul terreno mortificante del personalismo.

Parlerò sine ira ac studio. Tanto più senza ira e senza passione ostile, in quanto, se noi oggi dobbiamo criticare e dichiarare inefficiente e pericolosa la formula, in base alla quale è sorto il quarto ministero De Gasperi, non possiamo – d’altra parte – perché sarebbe contrario alla verità, allo schieramento delle forze e alla funzione dei partiti – non possiamo e non dobbiamo dimenticare che il partito democratico cristiano, se ha nelle sue file anche i rappresentanti delle classi privilegiate, è tuttavia partito di popolo; e in quanto tale, ha una funzione non transitoria, una funzione di primo piano nella vita italiana.

Dirò quello che a noi pare il difetto veramente essenziale di questa formazione governativa, senza entrare nella questione economico-finanziaria. Come i clinici al letto dell’ammalato, tutti gli specialisti dell’economia e della finanza hanno suggerito rimedi e cure per superare i pericoli di una situazione quanto mai paurosa. La grande ammalata è la lira. E per salvare la grande ammalata sono intervenuti tutti o quasi tutti i Baccelli, i Murri, i Marchiafava di primo e di secondo piano. Noi non apparteniamo al novero dei clinici, che forniscono le ricette miracolose. Ma, giunti alla fine del dibattito, possiamo rilevare che intorno a questo problema finanziario – che è alla base del problema politico, perché è il problema del pane quotidiano, della vita, del lavoro, della produzione, dalla cui risoluzione dipende l’avvenire e la sicurezza della Repubblica – intorno a questo problema, dal quale sorse la crisi, non abbiamo assistito a dissensi spettacolari. Anzi, intorno a questo problema, a me pare si sia fatto un certo consenso.

Lo stesso onorevole Scoccimarro, che ha portato la parola della censura più severa, si è riferito più a le responsabilità del passato che al programma dell’avvenire. Egli ha detto che criticava più quello che non è scritto che quello che è scritto. Ma quello che è scritto, è, in fondo, il programma del terzo Ministero De Gasperi, e avendo il partito dell’onorevole Scoccimarro partecipato al terzo Ministero De Gasperi, e approvato quel programma, non poteva di quel programma rinnegare la validità.

E allora, se è vero che si verifica una specie di consenso fra i suggerimenti, le cure, le ricette per guarire la grande ammalata, fra i vari metodi per cercare di risollevare la lira, fra quelle che devono essere le provvidenze per il risanamento del bilancio e la ricostruzione economica, dov’è il dissenso? Il dissenso è nella formazione del governo. Problema di uomini e di forze politiche: non di direttive tecniche. Problema di base, non urto di programmi. La questione non è più economico-finanziaria: è una questione politica. È il problema squisitamente politico, agganciato al problema economico-finanziario. Chi eseguirà il programma? Lo stesso programma eseguito da una parte o dall’altra è accettabile o inaccettabile: può suscitare la fiducia o la sfiducia.

Voi avete detto, per criticare la nostra opposizione: qui è un programma di cose, non di persone. Giudicate le cose, non le persone.

Ebbene, i programmi di cose non esistono, politicamente. Esistono coloro che li attuano. I partiti non si equivalgono; i gruppi sono uno diverso dall’altro; un ministro non vale un altro, anche a parità di programma. Sono gli uomini che impersonano i programmi: è l’esecuzione dei programmi che può produrre dissensi. E ce ne date la prova voi, proprio voi, signori della destra. Perché appoggiate la quarta incarnazione De Gasperi, mentre non appoggiavate la terza formazione De Gasperi, malgrado che avesse lo stesso programma? La diversità del vostro atteggiamento di fronte ai due governi si spiega unicamente con la diversità delle due composizioni. (Approvazioni a sinistra).

Problema squisitamente politico, dunque. Ed io mi propongo di trattarlo in termini semplici, per esprimere non solo il pensiero degli uomini del mio partito ma anche il pensiero di quelli che sono affini, per concezione della vita e della politica, al mio partito.

Non è il programma che ci divide. Lasciamo da parte il programma. È la formula governativa che ha prodotto il dissenso. Parliamo della formula governativa.

Perché riteniamo che questa composizione di Governo non risponda alla logica, alla necessità del momento, al bene del Paese, ai vostri precedenti impegni, onorevole De Gasperi?

Risaliamo alla crisi. Vale anche in questo campo la eterna verità di Giovan Battista Vico. Nascimento di cosa è spiegazione di essa.

Come sorse la crisi? Perché sorse la crisi? Che cosa è, anzitutto, una crisi? La crisi è l’impostazione di un problema di direzione politica, di organizzazione amministrativa, di azione sociale ed economica, che un Governo, per debolezza propria o per sfiducia dell’Assemblea, si è dimostrato incapace di risolvere; e per cui, bisogna ricorrere a un altro Governo.

Che cosa è la soluzione della crisi? È la formazione di questo nuovo Governo.

Che cosa è la formula di Governo? È la ricerca degli uomini più capaci e delle forze più idonee a formare il nuovo Governo, per risolvere i problemi che non può più risolvere il vecchio Governo, inadatto o incapace.

Ed allora a me pare che, se vogliamo risalire alle origini, non ci sia da perdere molto tempo per trovare perché sorse la crisi, come sorse la crisi, e quale formula governativa questa crisi doveva risolvere. La risposta è tanto più agevole quanto più la indagine è facile. Noi non dobbiamo perscrutare gli orientamenti, spesso complicati, di una coscienza collettiva, ma raccogliere la espressione di un proposito individuale. Qui, non è stato il voto di un’Assemblea a rovesciare un Governo: è stata ed è bastata la volontà di un solo uomo: dell’uomo che era a capo del vecchio Governo e che doveva poi formare il nuovo Governo: l’onorevole De Gasperi.

Perché l’onorevole De Gasperi fu violento contro se stesso? Per quale motivo, diciamo così, suicidò il suo terzo Ministero?

L’onorevole De Gasperi pose risolutamente il dilemma: «rinnovarsi o perire».

Di fronte ad una situazione economico-finanziaria sempre più grave, di fronte alla visione catastrofica di una sproporzione sempre crescente fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, di fronte all’incolmabile divario fra salari, stipendi e prezzi, di fronte al continuo slittamento della lira, di fronte alla necessità di eliminare alcune forme di indisciplina interna, di fronte all’urgenza di provvedere ai bisogni dell’erario con prestiti esteri e con drastici provvedimenti fiscali, di fronte alla minaccia, del crack, del fallimento, della bancarotta statale, l’onorevole De Gasperi aveva già posto, nel discorso del 25 febbraio, le premesse, i problemi e la formula di un nuovo Governo. Il Governo che allora non poté formare, si propose di formarlo adesso.

Egli disse su per giù: Qui i problemi diventano sempre più paurosi. Qui occorre un’azione governativa più forte, più omogenea, più coraggiosa. Qui occorre un Governo che, per le forze su cui poggia nell’Assemblea, e per i consensi che riscuote nel Paese, sia capace di quest’azione e possa risolvere questi grandi problemi. Allargare, dunque, il Governo. Ampliare la formula del tripartito, rivelatasi debole e inefficace.

Senza essere profeti o figli di profeti, nel dibattito sulle comunicazioni del terzo Ministero De Gasperi, che definimmo l’alleanza dei contrari, avevamo previsto che il matrimonio fra i partiti di massa era destinato a finire nella separazione e nell’adulterio. E non occorrevano virtù profetiche per prevedere quel ch’è avvenuto. Bastava ricordare il principio che due forze uguali e contrarie si elidono, per il fatto stesso d’essere uguali e contrarie.

Noi accogliemmo perciò, con evidente favore, il proposito dell’onorevole De Gasperi, che voleva immettere fra le due grandi forze contrarie altre forze, forze medie, forze schiettamente democratiche e repubblicane, che potessero esercitare un’azione conciliatrice, eliminare gli urti, comprimere i dissidi, diluire le ragioni di dissenso, servire di cemento alla formazione governativa. Era questa, del resto, la communis opinio.

Quando fummo consultati per la crisi, sentimmo ripetere la stessa formula. La formula passò in eredità all’onorevole Nitti.

Era la formula, onorevole De Gasperi, di cui avevamo avuto le avvisaglie. nella precedente crisi col nostalgico richiamo a questa parte della Camera.

Questa formula di coalizione democratica, perché la maggioranza, già salda, diventasse formidabile, e raccogliesse quasi la totalità di quest’Assemblea (si trattava di aggiungere 91 deputati ai 378 del tripartito), questa formula, in un’ora particolarmente delicata della nostra storia, doveva essere l’appello a tutte le forze schiettamente repubblicane, ed era l’espressione di un pensiero nobilissimo, nel quale, insieme col proposito di dare soluzione ai gravissimi problemi di politica interna, estera e finanziaria, era la preoccupazione di consolidare la Repubblica. Perché, o signori, non lo dimenticate, se noi non possiamo giudicare favorevolmente questa formazione governativa di minoranza, inaspettata, imprevista, sparuta ed equivoca, se condanniamo questo esperimento, che sarebbe pericoloso se non fosse infelice, la ragione è che certi esperimenti si possono fare in periodi normali e in momenti tranquilli. Ma, mentre viviamo ancora in un periodo critico, quando in un’ora oscura della nostra storia si accavallano i problemi della fame e della miseria, e si fa leva sul malcontento e si tentano le inversioni scellerate delle responsabilità per accusare la Repubblica dei mali, di cui essa ha soltanto ricevuto l’eredità paurosa, quando, nel giorno anniversario della Repubblica, vediamo riapparire sui giornali e sulle cantonate i ritratti dinastici, quando in questa stessa Aula è ancora possibile, e lecito, che si levi il saluto alla maestà del Re assente, ma presente – la Repubblica, che è appena nata, che deve fare le ossa, si deve difendere, si deve consolidare.

E per difenderla e consolidarla, per superare le difficoltà che l’angustiano, per respingere gli assalti che la minacciano, per assolvere i problemi da cui dipende il suo avvenire, dobbiamo raccogliere, non possiamo dividere, non dobbiamo disgregare le forze schiettamente repubblicane e democratiche. (Vivi applausi a sinistra).

Era questo il proposito dell’onorevole De Gasperi, era questo il pensiero nel quale fummo tutti concordi. Formula obbligatoria. Soluzione di rigore. Qui non c’era nemmeno un’alternativa o un dilemma: aut aut. Un solo corno: secundum non datur. Governo di concentrazione. Allargamento di base. Altro che restrizione! Nemmeno lo status quo del tripartito. Ci vuole anche la piccola intesa. Se no, no. Tanto vero che, quando sembrò impossibile che questo allargamento avvenisse e l’onorevole Nitti pensò ad una resurrezione del tripartito con in più l’adesione del suo piccolo gruppo parlamentare, vi fu il veto espresso della democrazia cristiana. (Interruzioni al centro). Non interrompete. Non è materia opinabile. Ci fu il vostro veto, ci fu il vostro no. Ne faceste una deliberazione esplicita che i giornali riprodussero. Ritengo che il documento ancora esista, e che le collezioni dei giornali non siano scomparse. Voi riaffermaste la formula De Gasperi: vogliamo l’allargamento. Se no, no. E fu no per l’onorevole Nitti, e fu no per l’onorevole Orlando. Ora, come mai il no per Orlando e per Nitti è diventato per l’onorevole De Gasperi, il quale aveva trovato la formula, il quale è stato il padre di questa formula, il quale, per non disconoscere la sua paternità, in un primo momento aveva anche nobilmente detto: se io non posso attuare questa formula, venga fuori l’uomo imparziale, fuori partito, che più facilmente possa attuarla? Perché De Gasperi ha rinnegato De Gasperi? Perché la formula necessaria per gli altri non è stata necessaria per lui? Perché dal governo allargato siamo passati al governo, non di maggioranza, com’era il tripartito, ma di minoranza, senza comunisti – e sia! – senza socialisti ufficiali – e transeat! – ma anche senza la piccola intesa? È questo capovolgimento integrale che produce un senso di disorientamento e di meraviglia.

Perché l’idillio con la piccola intesa, già cominciato con il discorso del 25 febbraio, era – come dire? – giunto alle soglie del fidanzamento nei giorni che precedettero questa crisi.

Quando nel mese di aprile, sembrò – ricordate? – che Annibale fosse alle porte e si convocò, in sede di Commissione della finanza, una specie di comitato di salute pubblica, che sedette in permanenza, quasi dovesse decidere ad horas, e non ci fece rispettare nemmeno il riposo cristiano della Pasqua, noi vedemmo accentuarsi l’idillio fra il finanziere, diciamo così, ufficiale della democrazia cristiana e i finanzieri della Piccola Intesa, un idillio, un accordo, una identità di vedute, di cui dura il ricordo e avemmo qualche eco anche nell’attuale dibattito. Quando Annibale…

Voci a destra. Ma chi è Annibale?…

MOLE. La miseria, il crollo della lira, il crack economico che avanza.

Quando dunque sembrava che Annibale fosse alle porte, e l’annunziatore di Annibale fu l’onorevole Nitti con la sua famosa interpellanza e la richiesta di immediata discussione nell’Aula, questa corrispondenza di amorosi sensi (Si ride) fu aperta, palese, attraverso i rapporti cordiali fra Campilli, La Malfa, Lombardi, Tremelloni che lavorarono nella Commissione gomito a gomito. La Malfa e Campilli trovarono la maniera di accordarsi sugli emendamenti da apportare ai provvedimenti fiscali. Ci fu qualcosa di più. Una specie di pezzo a quattro mani: l’ordine del giorno Gronchi-La Malfa a chiusura della discussione. Non parliamo di Tremelloni, l’innocente Tremelloni che doveva poi essere la pietra dello scandalo per la mancata combinazione dell’onorevole Nitti. (Si ride).

Tremelloni. Chi era costui? Domandava l’onorevole Nitti, con la impronta del suo genio incorreggibilmente ironico. Ma Tremelloni, l’homo novus che, in un suo quadrato discorso, aveva rivelato l’equilibrio del suo intervenzionismo economico, era stato solennemente laureato e proclamato uomo di governo dall’onorevole De Gasperi, nella replica al dibattito sulle sue comunicazioni.

Tremelloni fu allora la vostra trouvaille, la vostra scoperta, onorevole De Gasperi, e voi non gli lesinaste lodi e consensi e vi trovaste d’accordo in tutto con lui. Programma ragionevole. Visione realistica. Anche la pianificazione non vi faceva paura.

Una qualche riserva – del resto momentanea – voi faceste, mi pare, sulla proposta di un super Ministro coordinatore dell’economia nazionale. Ma la proposta che, al quarto giorno della crisi, non accettaste di attuare a sinistra, l’avete attuata, il quinto giorno, a destra, con la creazione di un superministero del bilancio, affidato all’onorevole Einaudi.

Dunque questi erano gli uomini che dovevano collaborare con voi e dovevano partecipare al nuovo governo omogeneo.

Di chi la colpa se questo non avvenne? E perché sorse invece la formula inaspettata dei «tecnici non politici», presi dai gruppi parlamentari, ma senza partecipazione e responsabilità dei gruppi parlamentari, come se i tecnici che sono politici non fossero politici? Io vi dico qualche cosa di più: che non esiste un tecnico che non sia politico: perché ogni uomo è uomo politico, anche se non lo sappia. E per questo, onorevole Scoccimarro, io non sono d’accordo con voi, nella visione lungimirante che voi avete tracciato ieri. La politica è e sarà e continuerà ad esistere, anche in quella vostra «città del sole» nella quale voi sognate che, cessate finalmente le ingiustizie sociali, una umanità redenta possa semplicemente amministrare, senza fare della politica, per la fine delle classi e dei partiti.

Perché questa vostra ipotesi o utopia generosa presuppone la fine della storia e l’immobilità della famiglia umana. L’uomo è uomo politico perché uomo sociale e perché nella socialità e negli sviluppi delle consociazioni umane non vi sono soste. Il destino dell’umanità è di non fermarsi mai dinanzi a un’ultima Thule. L’uomo camminerà sempre, come il mistico Aasvero, e cercherà sempre il meglio ed avrà sempre nuove e diverse concezioni della vita e della storia. E non ci sarà mai un tecnico che non sia uomo politico, che non abbia cioè una sua opinione del divenire umano.

Io ricordo l’alto insegnamento dell’onorevole Orlando sulla vecchia questione dei rapporti fra tecnica e politica. Tutte le soluzioni sono tecniche, in quanto hanno bisogno dell’accorgimento, della preparazione, della competenza dell’uomo del mestiere, dell’arte della professione; ma sono politiche in quanto agiscono in una direzione o nell’altra: non c’è un solo problema che si sottragga alla politica e alla tendenzialità delle opinioni politiche.

Vi è la politica estera del partito socialista che è diversa dalla politica estera del partito conservatore; la politica scolastica del mio partito ch’è diversa dalla politica scolastica di altri partiti; e questa diversità è tanto più evidente per la politica economica, finanziaria, che ubbidisce agl’interessi di classi, di ceti, di categorie. Ora per il solo fatto che voi avete adottato la formula impensata dei «tecnici non politici», nella quale sembra che abbia trionfato il qualunquismo dell’onorevole Giannini (Si ride) col suo «stato amministrativo», sarebbe lecito pensare, onorevole De Gasperi, che voi abbiate mutato la direzione della vostra politica e che non è più da questa parte (Indica la sinistra) che voi vogliate ricevere sostegno e orientamento.

Di questo cambiamento di fronte che ci preoccupa, voi rigettate la colpa, affermando che non lo volevate. Ed allora, onorevole De Gasperi, di chi la colpa? Non voglio fare il processo delle responsabilità. Voi sapete che io vidi il pericolo di uno slittamento a destra e cercai, a tutti i costi, qualche volta con un realismo spregiudicato, non condiviso dagli altri gruppi affini, di facilitare la formazione di un governo schiettamente repubblicano. Potrei, dunque, per questo atteggiamento specifico, negare la mia responsabilità, per quanto la mia responsabilità ci sia, se poi ho obbedito, per dovere di solidarietà alla decisione degli altri gruppi della Piccola Intesa. Ma io non voglio fare il processo delle responsabilità. Non so se possa esserci stata una manifestazione imprudente di pensiero, una inabilità di negoziatori da parte nostra, o l’impazienza, il nervosismo da parte vostra: non so nemmeno se possa essere stata qualche altra pressione di forze estranee. Ma io vi dico, onorevole De Gasperi, che potevate attendere 24 ore prima di rompere le trattative con i partiti di sinistra. Le 24 ore di attesa per avere una risposta affermativa del Ministro Merzagora dai confini di un altro mondo, potevano essere anche impiegate per continuare le trattative e per non dichiarare frettolosamente all’onorevole D’Aragona che le sue condizioni erano inaccettabili. Quali condizioni? La manifestazione di una opinione personale, diffusa per la stampa, dell’onorevole Saragat fece pensare che il suo partito pretendesse un certo numero di Ministri, mentre l’esigenza esposta dall’onorevole D’Aragona era un’altra: l’omogeneità dei Ministeri economici per un’azione di governo efficace, lasciando a voi la scelta dei Ministri fra i partiti affini.

Ma questa esigenza di omogeneità era tanto ragionevole che voi stesso la riconosceste, attuandola a destra anziché a sinistra. Come dunque è sorto l’equivoco? Di chi la colpa? Io non so, perché non sono hinc inde riuscito ad assodare la circostanza. Ma se non faccio il processo delle responsabilità, io vi dichiaro, comunque, onorevole De Gasperi, che voi non potevate, non dovevate formare il Ministero, in contrasto con le vostre premesse e con la vostra formula originaria. Io avrei preferito che questo esperimento governativo lo avesse – se mai – fatto un uomo politico isolato, che poteva anche bruciarsi, senza pericolo per l’avvenire delle forze democratiche; e che non si fosse bruciato, nel tentativo infelice, il capo di un grande partito che ha un ruolo non transitorio nella nostra vita politica.

Perché il capo di un grande partito non può impersonare una formula opposta e contraria a quella per cui ha fatto la crisi. L’esponente di un indirizzo politico è legato alla coerenza del suo passato, alla logica continuità della sua tendenza e della sua idea. Non può formare questo o quel governo, ma quello conforme alle sue idee, al suo passato, alla tendenza del suo partito.

Per la prassi parlamentare, per la dottrina dei partiti, per la logica politica non si possono cambiare formule, come si cambia cravatta o camicia. Non si può essere l’uomo di tutte le formule. Quando si dice che per salvare il paese è necessaria la grande maggioranza dell’Assemblea, quando si dice che per consolidare la Repubblica è necessario un Governo di concentrazione di tutte le forze repubblicane, non si può poi passare dalla formula del Governo di maggioranza, della concentrazione repubblicana, del Governo forte, del Governo di sinistra, alla formula del Governo di destra, del governo di minoranza, del Governo di divisione delle forze repubblicane. Altrimenti si rinnova il malcostume del governare comunque, con un Governo qualunque, su una base purchessia: cioè del Governo per il Governo, non del Governo come mezzo per attuare una definita e non equivoca concezione politica.

Questo, e non altro che questo, fu il fenomeno del trasformismo, che operò la violazione del principio rappresentativo e il disconoscimento delle più elementari norme democratiche. Io non penso che voi vogliate risuscitare il trasformismo, onorevole De Gasperi. Io non ho dimenticato né il mio né il vostro passato, né il nostro lavoro comune, nei momenti più foschi della vita italiana, quando insieme con noi erano coloro che ora sono delle ombre, Turati, Amendola, Treves, Donati, quelli che noi consideriamo come i grandi spiriti tutelari della nuova democrazia italiana. E se vi dico quello che vi dico, vi dichiaro con uguale lealtà che non ho nessun sospetto sull’onestà dei vostri propositi.

Ma appunto per questo non posso capire questo vostro esperimento che turba e offende la logica. E la politica è logica. In fondo, avviene a me (voglio seguire l’onorevole Cappi nel gusto delle citazioni umanistiche) quello che avveniva al povero Renzo, quando don Abbondio, per convincerlo o confonderlo, ricorreva al suo latinorum. Diffidava perché non capiva. Ciò che non si capisce non persuade. Ciò che non persuade produce lo stato d’animo della perplessità e della legittima suspicione. La perplessità e la suspicione ingenerano la diffidenza; che è lo stato d’animo contrario alla fiducia.

Questa formazione governativa è una contradizione in termini. Non si giustifica perché non si capisce. Ingenera la sfiducia. La quale si conferma ed aggrava, quando dalla scelta degli uomini passiamo a esaminare la formulazione del programma. Perché avete preso a nolo i 14 punti di Morandi; avete accettato gli emendamenti di La Malfa ai provvedimenti fiscali; avete convenuto nella pianificazione di Tremelloni; avete mandato in America – nell’America che, secondo voi, teme il rosso, come il toro: il rosso di tutte le gradazioni, dal rosso scarlatto al rosso sbiadito – il «compagno» Ivan Matteo Lombardo, che è almeno roseo come l’alba del sole dell’avvenire.

E allora che cosa vediamo? Che passando dal Governo di concentrazione repubblicana al Governo di divisione repubblicana; dal Governo di maggioranza al Governo di minoranza, mandate via gli uomini di sinistra e accogliete gli uomini di destra, ma nello stesso tempo fate accettare agli uomini di destra il programma degli uomini di sinistra. E fate – con una inversione logica prima che politica – eseguire il programma di sinistra dagli uomini di destra.

Così per andare, come voi promettete, incontro al lavoro, chiamate un industriale – capace, capacissimo, preparato, preparatissimo ma sempre un industriale – ed escludete i rappresentanti qualificati delle classi lavoratrici… (Interruzioni al centro e a destra).

Una voce al centro. Basta col monopolio.

MOLÈ. Voi contestate agli uomini delle sinistre il diritto di rappresentare il lavoro. Ebbene: anche noi siamo lavoratori, anche noi rappresentiamo il lavoro e lo rappresentate anche voi o alcuni di voi. Ma come possiamo negare che socialisti e comunisti sono i rappresentanti più diretti e qualificati delle classi lavoratrici? O volete la testimonianza dei numeri? L’aritmetica non è un’opinione. Guardate le statistiche: il numero degli elettori e degli operai organizzati nella Confederazione del Lavoro che appartengono a questi partiti. (Interruzioni al centro).

Potete protestare quanto volete, ma il fatto è questo.

Sono la grande maggioranza delle classi lavoratrici e degli impiegati di ogni categoria.

Voi dite dunque di andare incontro al lavoro, e viceversa chiamate un industriale al governo, nel momento che ne escono i partiti socialisti. Voi dite di accettare l’interventismo statale e di voler fare l’economia controllata e mettete alla testa dei dicasteri finanziari ed economici un uomo insigne, al quale è andato, malgrado ogni dissenso, il saluto dell’Assemblea, ma che è il caposcuola del liberismo. Voi dite che volete consolidare la Repubblica ma allargate la rappresentanza monarchica nel vostro nido repubblicano. (Proteste al centro Commenti Applausi all’estrema sinistra).

Una voce a sinistra. Lasciatelo parlare!

FUSCHINI. Voi sapete che non siamo monarchici.

MOLÈ. Voi no, certamente, onorevole Fuschini. Ma fra i vostri ci sono coloro che hanno votato per la monarchia come ci sono coloro che hanno volato per la Repubblica. Comunque, io parlo dei nuovi ministri, che votarono apertamente per la monarchia. Ora, intendiamoci bene. Absit iniuria verbis. Sarei indegno di sedere in quest’Assemblea se mettessi in dubbio il lealismo perfetto dei ralliés gentiluomini, che sono nostri colleghi, se soltanto sospettassi che, dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica, costoro siano capaci di tradirla o di mancare alla fede giurata…

Una voce al centro. E allora?

MOLÈ. Ma quando si tratta di consolidare e difendere la Repubblica con le unghie e con i rostri, quando si tratta di assicurare l’intangibilità della Repubblica, che noi amiamo ma che tutti devono rispettare, io non chiamo al Governo coloro che hanno accettato come un pis aller la Repubblica ma preferivano la monarchia, e forse in altre situazioni ancora la preferirebbero: io chiamo coloro che ci hanno creduto, ci credono e ci crederanno. (Applausi a sinistra).

Io chiamo coloro che appartengono al numero dei 13 milioni d’italiani che prima del 2 giugno erano convinti assertori della superiorità civile e politica e della necessità morale della nuova forma istituzionale, non coloro che sono diventati repubblicani dopo il referendum; chiamo quelli che sono repubblicani, non per necessità ma per libera elezione, perché, quando si tratta di difendere la Repubblica con le unghie e con i rostri, quando si devono cercare gli strumenti umani che devono difendere ed eseguire un programma, bisogna ricorrere a quegli uomini che in questo programma hanno fede. Non ai ralliés, ma ai credenti che hanno questa passione di convinzione repubblicana.

Occorre la fede. La fede che compie i miracoli e muove gli uomini, se non le montagne. Perché la lotta politica è come la guerra. E noi sappiamo che cosa significa far combattere i soldati per una causa alla quale non credono. Io vi ricordo una pagina immortale: «La Messa dell’ateo»: è una di quelle pagine di Balzac che sembrano scolpite non nel bronzo, ma nel cuore degli uomini; l’ateo che va ad ascoltare la Messa per omaggio alla memoria del suo benefattore, perché il suo benefattore, un umile uomo del popolo, colui che l’ha sottratto alla miseria e si è tolto il pane di bocca per farlo studiare e l’ha fatto diventare un grande scienziato, era una candida anima religiosa. Ma fra la Messa dell’ateo e la Messa del credente, io preferisco la Messa del credente. La Messa dell’ateo è una concessione al sentimento, la Messa del credente è una necessità di ordine morale. Chi non crede, assiste al rito senza la convinzione di colui che crede.

Guai a noi se affidiamo la difesa della Repubblica a chi non crede nella Repubblica. (Applausi a sinistra).

Ed allora, signori, scusate: tutto ciò premesso e valutato, potete meravigliarvi se, dopo aver cercato di aiutare in tutti i modi la formazione di un Governo di maggioranza e di concentrazione delle forze democratiche, siamo rimasti estranei a questo Governo di minoranza che minaccia di aprire un solco, non facilmente colmabile, fra le forze democratiche e repubblicane?

Che cosa vi avremmo portato? Un numero di voti uguale alle dita delle due mani: un po’ di colore vivo che il grigio della formazione governativa avrebbe neutralizzato; ma ci saremmo isolati da tutti i partiti di sinistra. Peggio ancora, dalle nostre convinzioni, che sono la nostra forza e a cui saranno (o l’Italia avrà periodi tragici) conformi, in buona parte, le vostre stesse convinzioni. Non potevamo farlo. Avremmo mancato alla nostra funzione. Noi abbiamo pure una funzione specifica, signori. Non ci stanchiamo di ripetere che questa funzione è necessaria e abbiamo la coscienza della sua necessità. E se non siamo i rappresentanti della grande massa lavoratrice, non possiamo metterci contro questi partiti di massa, di popolo, di moltitudini, perché le moltitudini, anche quando si muovono con la maschera della rivolta, esprimono una sofferenza umana e nella sofferenza umana è sempre un’anima di verità e una sete di giustizia. E noi, uomini di democrazia progressiva, dobbiamo seguire gl’impulsi, accogliere il grido di sofferenza, secondare le giuste rivendicazioni delle moltitudini lavoratrici, cercando di inalveare nei confini delle leggi questi torrenti umani che minacciano di rompere gli argini, per modo che la rivolta contro lo Stato diventi la conquista graduale, pacifica dello Stato.

Non siamo nemmeno contro di voi (Accenna al centro), in quanto anche voi siate partito di popolo. Noi non ripetiamo la definizione ironica del partito democristiano che è venuta da alcuni dei vostri avversari di destra, divenuti improvvisamente entusiastici amici, di un entusiasmo così delirante che non può essere sincero: noi non vi chiamiamo «partito pipistrello, metà topo, metà uccello». Ricordiamo invece la immagine di Claudio Treves: il vostro partito è un albero, i cui rami si allargano anche nel clima delle classi privilegiate; ma il grande tronco affonda le radici nell’humus del popolo, del popolo che lavora, che soffre, di quella parte del popolo lavoratore che ha la felicità di credere, oltre la transitoria vicenda della vita terrena, nella certezza di una vita futura.

E appunto per la nostra funzione di complementarietà e mediazione fra i partiti di massa, noi non siamo sodisfatti di questa illogica soluzione della crisi, ch’è un errore del vostro partito e presenta molti pericoli per voi, per noi e per il Paese.

Il primo pericolo per voi deriva dal fatto che siete un governo di minoranza. I governi di minoranza non hanno vita autonoma e possibilità di decisioni e di azione indipendenti. Voi vivete di vita provvisoria, legata al filo dei pochi voti di maggioranza che vi concedono forze a voi estranee, che vi sostengono come la corda sostiene l’impiccato. Sono i partiti di destra. Il patto che avete con loro è il patto di Faust. Essi vi centellinano un appoggio, che vi possono togliere da un momento all’altro, ma vi chiedono l’anima, spingendovi verso destra, orientandovi verso le forze della reazione, anche contro la vostra volontà. Voi cercherete di resistere, ma la situazione è più forte della vostra volontà e l’istinto di conservazione è più forte di ogni logica. Già, questa compagnia di fortuna vi ha, come si dice, guastato i connotati. Deputati di centro, apparite governo di destra.

Non per nulla ammoniva Emilio Castelar che sono le maggioranze che qualificano i governi. La maggioranza conservatrice vi mimetizzerà. Non avete fatto un buon’affare, amici della democrazia cristiana. Non credo che ne saranno contenti gli umili, che costituiscono la forza vitale del vostro partito.

Voi avete oggi l’entusiasmo – poco fa vi dicevo – di quelli che prima vi erano avversi. È un entusiasmo di cui non è difficile scoprire le origini. Timeo danaos et dona ferentes. L’origine è l’interesse. Quale? C’è stato un oratore che con imprudente candore ha rivelato il gioco. Il gioco della reazione. Dopo avervi votato sempre contro, egli vi ha dichiarato che avrebbe votato a favore, onorevole De Gasperi, perché era sicuro che voi avreste avuto la «mano forte».

Ma che cos’è la mano forte? Parliamone pure, di questa cosidetta politica della «mano forte». Io sono d’accordo: bisogna restituire l’autorità allo Stato, bisogna che la forza pubblica non sia una debolezza, bisogna che funzioni la magistratura, che funzioni la polizia. Ma dove è fame e miseria, la fame e la miseria non si sopprimono con la polizia. Non è con la polizia che si calmano i crampi dello stomaco vuoto. E la mano forte deve prima colpire i privilegiati, i più ricchi, e poi i più poveri, gli umili. (Applausi a sinistra).

Non dovete dimenticare che in questa grande famiglia umana dei disagiati e degli affamati – che è costituita dai quattro quinti del Paese e potrebbe essere forse identificata in una figura: Oronzo E. Marginati – ci sono gli agenti della forza pubblica e, ahimè – lo dico con dolore – anche i magistrati che scioperano.

Il secondo pericolo per voi e per il Paese è nell’opinione diffusa che il vostro Governo sia così sorto, perché avete ceduto all’imposizione di una potenza straniera. Non è vero: voi lo avete smentito e noi vi crediamo. Ma intanto questa opinione esiste ed è offensiva e ci diminuisce all’interno ed all’estero, perché l’indipendenza del Paese è una cosa sacra, che non è lecito non dico barattare, ma sospettare che sia capace di baratto.

Noi dobbiamo esser grati a quelli che ci aiutano; ma noi vogliamo e voi attuerete – ne ho piena fiducia – una politica estera che non sia né di destra né di sinistra, né di ovest né di est, né di oltre monte né di oltre mare, che resti al di fuori dei blocchi imperiali, e non ci trascini, come strumenti occhiuti dell’altrui rapina, nella guerra dell’avvenire, nella contesa dei grandi rapaci.

Ma un altro pericolo è per voi attuale: che questa opinione faccia sorgere delle aspettative messianiche, che noi sappiamo che nessuno – non solo voi, ma nessuno – potrà mai soddisfare: aiuti generosi, pingui prestiti, grandi stock di merci e di viveri. E questo è anche un pericolo contro la tranquillità del Paese, perché la delusione inevitabile aumenterà il malcontento degli italiani, che non sono ancora guariti né della psicosi guerresca, né della mentalità miracolistica!

Il quarto pericolo – e questo è il più grave – per il Paese, per noi, per voi, che siete e vi definite come noi democratici, è nella convinzione, alimentata da molti giornali, che il vostro Governo di minoranza derivi la sua autorità non dal Parlamento ma dal Paese e sia legittimo e possa esser legittimo perché l’ha imposto il Paese, contro e malgrado la volontà dell’Assemblea, estranea e sorda alla volontà del Paese. Questa mentalità antidemocratica, antirappresentativa, che pone il Paese contro il Parlamento, come due termini antitetici, e da cui muovono gli assalti contro il solo istituto legittimo di sovranità popolare, prepara e giustifica i regimi autoritari. (Applausi a sinistra). Noi lo sappiamo, onorevole De Gasperi, noi che ne facemmo la prova dolorosa, noi che insieme ci opponemmo al fascismo e insieme difendemmo il Parlamento. Io mi rifiuto di accettare questa opinione, che voi stesso rinnegate, e riconosco subito che l’avete rinnegata, nel momento stesso in cui siete venuto in quest’Aula a chiedere il voto dell’Assemblea. Ma il giorno in cui si affermasse il principio che ci possa essere una rappresentanza legittima del Paese al di fuori del Parlamento, della maggioranza del Parlamento, sarebbe il proemio della dittatura.

Il vostro passato ci conforta e assicura. Voi non rappresentate per noi né un sospetto, né un pericolo. Ma il pericolo è che una siffatta mentalità si diffonda nel Paese, in cui fermentano tanti lieviti di dissoluzione, nell’ora stessa in cui i relitti del regime passato tentano l’audace manomissione di ogni verità, per mettere sotto processo il regime repubblicano. Bisogna reagire a questi tentativi scellerati di mettere il Parlamento contro il Paese. Il Parlamento è il Paese. Il Parlamento è lo specchio del Paese. Se ci sono passioni esasperate nel Parlamento è perché ci sono passioni esasperate nel Paese. Se il Parlamento è in crisi è perché è in crisi il Paese. Ma nessuno ha il diritto di sostituirsi al Parlamento. Il Parlamento è l’unica rappresentanza legittima del Paese. (Vivi applausi a sinistra).

Ma chi è poi il Paese? Vi siete domandato voi, quando certi giornali dicono: «noi siamo la voce del popolo, o la voce del Paese», chi è il popolo, chi è il Paese che rappresentano?

Io mi metto al di sopra della mischia. Chi è il Paese? La folla che dimostrava contro l’onorevole De Gasperi, il 2 giugno? O quella del 9 giugno che lo applaudiva? La stampa che impreca a Togliatti o quella che osanna a Togliatti? Chi è il Paese?

TOGLIATTI. Quello che elegge il Blocco del Popolo a Torre Annunziata!

MOLÈ. Gli speculatori di Borsa o i milioni di affamati? (Interruzioni a destra e al centro)…

Voci a destra: Frasi fatte!

MOLÈ. Signori, domandate agli operai e agli impiegati se la fame è una frase o una realtà (Applausi a sinistra).

Io non dico nemmeno quali sono le mie preferenze – e se sono uomo politico, debbo pure averle – io vi pongo il problema. Il Paese può avere un rappresentante che non sia il Parlamento? Chi è il Paese? Le migliaia d’industriali della Confederazione dell’industria o i milioni di operai della Confederazione del Lavoro?

Una voce a destra. Tutti e due.

MOLÈ. Ogni corrente, ogni movimento, ogni interesse ha una voce. Sono tutte e ciascuna voce del Paese che, anche se non rispettabili, quando sono imponenti, devono essere ascoltate. E tutte le voci del Paese debbono giungere qui dentro. Qui e solo qui si compongono gli interessi e le manifestazioni di volontà del Paese. Qui e solo qui è la rappresentanza del Paese. Le altre sono voci isolate o discordi, voci di questa o di quella corrente. Ma la voce del Paese è la voce del Parlamento. L’unico rappresentante organico del Paese è il Parlamento.

Noi non possiamo indulgere a questo slogan di una stampa indipendente – di cui conosciamo l’indipendenza, perché sappiamo che dipende e da chi dipende (Ilarità a sinistra) – che altri possa impersonare legittimamente la volontà del Paese perché se no può avvenire che un bel giorno, o un brutto giorno, arrivi colui che afferma: «Io sono il paese», e agisce in conseguenza. E può essere Napoleone il Grande, che manda Luciano a congedare la Camera degli Anziani e a sbarrare la Camera dei Cinquecento. Può essere Napoleone il piccolo che prepara il colpo di stato col suo Duca di Morny. Può essere il dittatore (di cui dopo la fine terribile e miseranda, non è necessario dire parole di esecrazione) che viene qui a dirci, nell’Aula «sorda e grigia»: «Signori Deputati, mi avete seccato, avete troppo chiacchierato! Io sono il Paese»!

Ecco il pericolo! (Applausi a sinistra).

Io ammetto – intendiamoci – che ci siano anche discrasie fra Parlamento e Paese. Ci possono essere. È questa la volta? Non credo. Ma quale sarebbe il rimedio? Un Governo di unione o un Governo di affari (quando sia possibile e in questo momento non è possibile) con un Presidente imparziale, se non può essere il Presidente dell’Assemblea, che abbia il mandato d’interrogare, attraverso le elezioni, il Paese.

Ma, signori, a fare le elezioni non può essere il governo di un solo partito, non perché io mi rifiuti all’idea che un governo d’un solo partito possa fare le elezioni – questo è normale quando abbia, beninteso, una maggioranza cospicua – ma sapete perché? Perché ora, con il governo di un solo partito orientato verso destra, e un’opposizione di estrema sinistra, di forze pressoché pari, il gioco elettorale si ridurrebbe a un contrasto fra i maggiori partiti e si conchiuderebbe, per la psicologia popolare che si polarizza ai due estremi, con l’affermazione di due sole correnti, la democristiana e la comunista. E ne andrebbero di mezzo i partiti minori, i partiti medi. Il che sarebbe pernicioso, per la democrazia e per il paese.

Onorevole De Gasperi, ho finito.

Credo di aver parlato con la lealtà dell’amico non consenziente, che denuncia l’errore all’amico. Ho ragione? Ho torto? Non so. Io so questo soltanto: che denunciando i pericoli della situazione che il vostro errore ha creato, credo fermamente in quello che dico, senza passione di parte o con la passione di un convincimento che ritengo corrisponda alla verità.

Meditate su questa situazione, onorevole De Gasperi.

Perché forse nelle mie parole voi sentirete anche un poco la voce della vostra coscienza. (Vivissimi applausi Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nitti. Ne ha facoltà.

NITTI. (Segni di attenzione). Mi propongo oggi di fare soltanto un esame sincero e calmo della situazione attuale del nostro paese, situazione che io giudico particolarmente grave.

Devo però prima di tutto chiarire la mia situazione personale.

Io sono stato la parentesi involontaria fra due Ministeri De Gasperi. È necessario che spieghi quindi la mia condotta.

Fui chiamato inaspettatamente dal Presidente della Repubblica il 16 maggio, ed improvvisamente, senza che io sospettassi, senza che nulla mi designasse ai miei occhi come invitabile, il Presidente mi chiese di fare un Ministero e di studiare la possibilità di avere un Ministero di carattere nazionale.

Gli fui grato della fiducia. Io ho per lui molta deferenza e anche sincera affezione. Egli, come molti in quest’Aula, fra i più interessanti uomini del Mezzogiorno, fu mio discepolo. Conosco la sua intelligenza, la sua bontà, valuto tutte le sue attitudini. Mi parlò con sincerità: mi invitò a fare uno sforzo di conciliazione nazionale. Io non aspettavo compito così spiritualmente gradevole. Ero stato, tornando dopo lunga assenza in Italia, un po’ contro tutti. Ero stato sempre all’opposizione. Non avevo mai voluto essere di alcun partito, né fondare un nuovo partito. Avevo dopo solo pochi mesi dal mio arrivo gittato le basi di una Unione Nazionale per la Ricostruzione. Fra tante distruzioni e tanti odi io mi proponevo, dimenticando gli odi e non volendo vendette, di costruire. Come mai si ricorreva a me? Dopo avere ringraziato il Presidente, accettai di esaminare la situazione prima di prendere impegno alcuno. E così cominciai la mia ricerca. Grande fu la mia sorpresa per l’entusiasmo che si mostrò in tutto il Paese. Nelle città più lontane d’Italia, sopratutto del Nord, dove il mio nome pareva a qualcuno che non fosse popolare, vi furono da tutte le parti manifestazioni di simpatia, di consenso e, se mi permettete di dirlo, di entusiasmo. Ebbi da ogni parte gente che venne a posta di lontano ad incitarmi di riuscire in questa impresa, e tutti si offrivano di aiutarmi e di collaborare. E allora io cercai di osare. L’entusiasmo fu tale che si videro subito le conseguenze immediate. La situazione in borsa mutò improvvisamente e anche le borse straniere ne risentirono vantaggiosamente. Perfino i cambi stranieri migliorarono. Avevo vissuto tanto all’estero, avevo grandi amici dovunque, ed essi mi manifestarono la loro fiducia e il loro consenso.

Dunque io cominciai i miei tentativi il 16 maggio, ma dopo cinque giorni rinunciai. Vidi uomini di quasi tutti i partiti e di tutte le tendenze più diverse. Dopo essermi reso conto della situazione reale e aver tutto meditato, mi decisi a rinunciare. Pure io avevo la maggioranza.

I tre partiti di massa, democrazia cristiana, comunisti e socialisti si erano dichiarati favorevoli e, io credo, in buona fede.

Avevo discusso con i loro rappresentanti la forma e i modi della partecipazione. Non avevo trovato alcuna vera resistenza. Il tripartito formava o pareva formasse in quel momento una maggioranza solida e dato il fatto che io avevo nell’Assemblea molti amici personali, almeno per i primi tempi non era il numero che doveva preoccuparmi.

Ma era una grande maggioranza che per le opposte tendenze dei partiti che la componevano, avendo diverse e anche opposte tendenze, poteva ben facilmente rompersi nell’affrontare alcuni problemi essenziali di cui la soluzione si impone.

L’Italia va incontro a tali tremende difficoltà, che aumenteranno nella seconda metà dell’anno e saranno ancor più gravi nell’anno prossimo, che occorre unione spirituale e una comune volontà di sacrificio per uscirne senza troppo danno.

Io ritenevo necessari l’adesione e il consenso di quei partiti che rappresentano le classi medie e che divisi fra loro più che da idee e da programmi, da lotte e divergenze del passato, possono, se riuniti da propositi comuni, esercitare una influenza notevole. Ma la coesione fra essi era senza dubbio difficile. Le richieste che direttamente o indirettamente manifestavano erano anche contrarie alla loro efficienza e gruppi poco numerosi mostravano il desiderio di dirigere da soli i tre o quattro ministeri della produzione.

Quei partiti furono definiti o si definirono «la piccola intesa», e furono in realtà il grande malinteso.

Vi sono anche nell’Assemblea attuale piccoli gruppi di nove o dieci o dodici membri, i quali non certo per desiderio, ma per mantenere la loro coesione sono obbligati quasi in ogni crisi ministeriale, quando è loro possibile, a fissare il loro atteggiamento e a decidere se partecipare e come al governo, con qualche ministro e perfino con qualche sottosegretario. Ciò pare necessario per fare un ministero…

Una voce. E anche per non farlo.

NITTI. E anche, se volete, per non farlo!

Le classi medie che vogliono governare l’Italia non fanno spesso a traverso i loro rappresentanti opera di coesione. All’infuori di ogni preoccupazione di numero, io desideravo la loro cooperazione, perché volevo veramente un gran movimento nazionale. Io avevo la maggioranza; ma, prevedendo i tempi difficilissimi che ci attendono, io volevo non già dei voti soltanto, ma una cooperazione basata sui sentimenti ancor più che sui programmi.

Con atto amichevole, degno e credo sincero, quando De Nicola mi ebbe dato l’incarico e i tre partiti di massa avevano aderito, l’onorevole Orlando si presentò spontaneamente a De Nicola, non richiesto da me, non pregato da me, e disse che egli accettava di entrare nel Ministero che io componevo, per servire la Nazione in momento difficile. (Approvazioni).

Atto degnissimo e che io non dimenticherò perché, più anziano di me e con il suo passato, accettava di avere un capo, non dirò più giovane ma meno vecchio (Ilarità) e che era stato nel suo Ministero come Ministro. Io sono molto grato all’onorevole Orlando di questo atto di dignità morale e voglio pubblicamente ringraziarlo.

E perché non fece il Ministero? Voi mi domanderete. Me lo sono domandato io stesso, quando presi la decisione. Non ho difficoltà a dirlo. In quel momento io giudicavo come giudico ora – ed ancor più ora – (è passato un mese da allora) la situazione dell’Italia di tale gravità che abbisogna di un concorso di volontà tenaci. So con assoluta certezza che la situazione del Paese sarà grave dopo l’ottobre, gravissima economicamente nel prossimo anno e forse anche peggiore che non nei tempi che abbiamo sopportati. E mi dispiacque che questo aggruppamento non abbia voluto aiutarmi. Io desideravo che le classi medie nelle loro manifestazioni politiche si riunissero per dare al Paese la sensazione di una volontà vivente. Dovetti rinunciarvi. Non trovai il consenso. Me ne duole anche ora che il fatto è passato. Ma ebbi anche – ve lo confesso – un’altra preoccupazione, per un intuito politico di vecchio uomo di battaglia. Io sentii che il fatto che più tardi si è prodotto, la rottura fra i comunisti e i democristiani, si sarebbe prodotta inevitabilmente sotto il mio governo.

Niente mi autorizzava in apparenza a questa convinzione. Ma il senso politico è come il senso musicale: o si ha o non si ha. Io sentii ciò che sarebbe avvenuto e non volevo che accadesse quando io ero a capo del Governo. Quando un capo politico ha dietro di sé il voto di un partito di massa, si può fare, in assemblee come l’attuale, un Governo senza troppe difficoltà; ma quando ci si deve agitare nei contrasti, e quando vi sono difficoltà di ordine personale oltreché di ordine materiale, difficile è il consenso di una maggioranza sicura, difficile se non anche impossibile.

Adottando l’espressione di Mussolini, le quadrate legioni del partito democristiano consentono al Presidente del Consiglio di fare alcuni atti ed alcuni gesti che non sono consentiti a chi non ha dietro di sé un grande partito di massa e ha invece tante gelosie e vanità in contrasto. Quindi, dopo aver consultato quanti dovevo, rinunciai alla prova. Vi rinunciai con dolore, e fu soprattutto per l’azione di quei partiti medi ai quali mi ero rivolto con fiducia. E non rinunciai per calcolo di voti, ma perché mancò ciò che io desideravo di più, il sentimento dell’opera che mi proponevo di compiere. Io ero preoccupato della situazione dell’Italia, tanto più grave quanto più grande è la incoscienza del pericolo. Alla fine dell’anno corrente e nel 1948 dovremo affrontare periodi difficilissimi con mezzi inadeguati. Dissi altra volta in quest’Aula che l’Italia è come una fortezza assediata, nella quale o periremo tutti o ci salveremo tutti con uno sforzo comune. Io sono contro ogni disunione, e detesto tutte le vane ideologie che mettono l’Italia in pericolo. Ripeto ora ciò che dissi con ancora più ferma convinzione, e niente mi par peggiore che mentire la realtà e nascondere o dissimulare il pericolo. Montesquieu scrisse che noi abbiamo il dovere di servire la patria, non di mentire per la patria.

Anche nel nostro tempo, vi sono senza dubbio molti disposti a morire per la patria, ma sono assai più coloro disposti a mentire per la patria, tanto più se la patria si confonde con la fazione o col partito.

Noi abbiamo avuto finora nelle nostre sventure un periodo relativamente facile anche nelle privazioni e nel dolore: abbiamo avuto un periodo in cui siamo stati aiutati e sorretti sopra tutto dall’America. Ora l’America, compiuto un grande sforzo in Europa e in Asia, deve necessariamente rivedere il suo programma e, se vuole evitare una grandissima crisi americana, deve lentamente ritirarsi.

Proprio ora, che avremmo maggior bisogno di alimenti, abbiamo, quest’anno, il peggiore raccolto di grano che negli ultimi anni si ricordi. (Commenti).

Una voce. Non è esatto!

NITTI. Vi possono nei dettagli essere opinioni diverse, ma tutti i competenti si trovano d’accordo nel dire che il raccolto di questo anno è uno dei peggiori e anche il peggiore degli ultimi anni.

Sarà soltanto di 40 milioni o di 45, se non ancor meno; è comunque un pessimo raccolto. Si può sperare un qualsiasi aiuto dalla Russia? Si può sperare in aiuti durevoli e massicci dall’America, tipo U.N.R.R.A? Certamente no.

Io sono stato sempre avversario dei comunisti: ho scritto in tutti i miei libri, in tutti i miei articoli che il comunismo è un sogno irrealizzabile. Antica aspirazione di utopisti, di religiosi e di filosofi, non si è mai realizzata veramente in una società civile e forse non poteva. Il bolscevismo è invece una realtà, cioè uno Stato unico grande capitalista e un socialismo di Stato, in condizioni assolutamente eccezionali e non riproducibili altrove.

Dunque non possiamo contare che su una cooperazione limitata dell’America, e sempre oramai guidata da una concezione economica.

Il pubblico segue nei giornali le notizie economiche come gli sono somministrate, cioè male e quasi sempre secondo la convenienza politica. E però non si rende conto della realtà.

Viceversa sono le notizie politiche, e sopra tutto quelle che riguardano l’azione dei partiti, che formano il pascolo di tutte le discussioni che interessano il pubblico.

La grande notizia che ha più interessato l’opinione pubblica è che l’onorevole De Gasperi e il Governo attuale si sono distaccati dai comunisti e dai socialisti. E ciò è veramente fatto interessante e che si poteva ben prevedere. Appunto perché io prevedevo la rottura prossima come inevitabile fui esitante se comporre un Ministero che poteva anche decomporsi per la rottura fra i tre partiti di massa.

La rottura è fatto importante per le sue conseguenze e bisogna considerarla non come un episodio, ma come un mutamento di rotta.

Con quali conseguenze?

Il bolscevismo fuori della Russia non è stato mai una realtà, ma ha una forza di attrazione fuori della Russia, sopra tutto su coloro che non si rendono conto che la sua natura non può adattarsi ai paesi di civiltà occidentale.

La notizia della rottura fra il Governo e i comunisti ha determinato in Italia, in alcuni ceti, un senso di viva soddisfazione e anche un senso di euforia che credo esagerato.

In tutte le cose che ci riguardano noi dobbiamo contare sopra tutto su noi stessi.

Nelle illusioni che si sono diffuse, vi è da un lato la illusione della Russia, che ci possa essere utile e, nello stesso tempo, in parti opposte, la illusione che l’America ci deva durevolmente aiutare, come e più che in passato, sopra tutto se seguiremo la sua linea politica.

Non è vera né l’una cosa né l’altra.

Ora e per non pochi anni, anche volendo, la Russia, che è essa stessa in enormi difficoltà, non potrà darci alcun aiuto e né meno essere di apprezzabile vantaggio per la ripresa del nostro commercio. Non ci darà nulla, né può essere, e non sarà, un grande mercato; né pure essendo il più vasto paese del mondo, potrà e vorrà accogliere anche una minima parte della nostra emigrazione.

La uscita dei comunisti dal Governo, che può essere giudicata diversamente secondo i diversi punti di vista dei partiti, non muta sostanzialmente la nostra situazione economica attuale.

Certo, l’ordine essendo condizione essenziale per la produzione, se l’uscita dei comunisti fosse maggiore garanzia per quell’ordine che spesso manca, il fatto sarebbe apprezzabile.

Ma non pochi ammettono senz’altro che l’uscita dei comunisti dal governo basti da sola a procurarci aiuto dall’America. Vi è in Italia chi guarda a oriente, vi è chi guarda a occidente. Vi sono quelli che aspettano, come si dice, il vento dal nord, che non viene e non può venire.

La Russia, immenso paese e con risorse naturali grandissime, soffre essa stessa delle più gravi difficoltà. Essendo un continente più che uno Stato, vive ora in grandi difficoltà e in molta parte del suo territorio le popolazioni devono accettare dure privazioni.

La Russia è il paese che ha più sofferto e che è stato più terribilmente sterminato dalla guerra da cui usciamo.

Quante diecine di milioni di uomini la Russia ha perduto in guerra o a causa della guerra? Quanti dei suoi più fertili territori per parecchio tempo non potranno produrre? Quante delle ricchezze industriali della Russia (lo sforzo di tanti anni) sono state distrutte? La Russia ha avuto contro di sé in piena efficienza tutto il grande esercito tedesco e col suo sacrifizio ha salvato anche noi: ma è uscita assai malconcia dalla guerra. La Russia non ci dà e non ci darà per molti anni nulla e nemmeno un grande contributo alla ripresa dell’economia europea.

La illusione che qualche volta è nel popolo, a causa della propaganda comunista, che la Russia possa aiutarci è da scartare: la Russia non potrà far nulla per noi e deve anzi soffrire per la propria sua ricostituzione.

La Russia non può dare ciò che non ha. La sola cosa che potrebbe fare la Russia non ora, ma quando fra due anni si dovranno pagare le riparazioni, è la rinunzia ai cento milioni di dollari che le dobbiamo dare. (Si ride). Non vedo altra cosa che la Russia possa fare per noi…

Una voce. Magro conforto.

NITTI. …e forse a suo tempo l’opera degli amici della Russia ci può essere utile. Ma la Russia non può dare nient’altro.

In quanto all’America, bisogna finirla con le grossolane illusioni che si diffondono. L’America ora si preoccupa sopra tutto di se stessa. Fa troppo grande sforzo e continuando nel sistema attuale potrebbe anche essere minacciata da una grandissima crisi, come e peggio di quella che venne dopo il 1929. L’America ha fatto miracoli per aiutare nella generale caduta l’Europa e l’Asia. Questo paese, che rappresenta uno sforzo di volontà tenace, che ha fatto la guerra senza aver mai fatto prima di ora grandi guerre, ha trovato nello stesso tempo energie di produzione superiori a ogni previsione. Ma non è in condizioni di continuare in quello che si è proposto e che ha seguito finora per noi, nel nostro interesse e per le sue visioni di avvenire anche nel suo.

Si dice: l’America, ora che non vi sono i comunisti al governo d’Italia, ci darà ciò che ci occorre. Credo che in America abbia prodotto gradevole impressione il fatto che i comunisti non siano al Governo. Ammetto per la stessa ragione, senza difficoltà, che alla Russia farebbe piacere se i conservatori uscissero dal Governo d’Italia. Sono sentimenti legittimi, ma non bisogna confondere la realtà economica con le illusioni.

Qual è la situazione della Russia? Si vede in tanti documenti ufficiali e di studiosi e di viaggiatori, e io non ho nessun desiderio di somministrarvi una enorme quantità di documenti e di cifre.

Devo premettere una cosa: tutti aspettano da me molte cifre e discussioni finanziarie. Io voglio ragionare invece molto semplicemente, senza apparato di cifre e senza apparato scientifico, sempre con un discorso di buon senso e di realtà.

Il Governo d’Italia, mutando nella sua formazione, almeno nella forma esteriore, l’America svilupperà i suoi propositi amichevoli nella politica economica? Certo se ne potranno avere vantaggi nel senso di una maggiore fiducia. Senza che la politica economica dello Stato americano muti, vi sarà da parte dei privati minore diffidenza. Ma non vi sarà perciò nulla di mutato nella politica economica e finanziaria dello Stato, perché l’Italia non è che un piccolo scacchiere dell’Europa e dell’Asia; e ora l’America adotta per necessità una politica verso l’Europa e l’Asia che è determinata da necessità e per i bisogni stessi del popolo americano.

Di ciò tutti i documenti ufficiali sono la prova più chiara. Noi possiamo, se vogliamo, mutare la nostra politica, l’America non muterà oramai la propria vera politica economica che ha scelto per necessità.

Il dottor Dean Acheson, sottosegretario permanente al Ministero degli esteri, ha pronunciato l’8 maggio a Cleveland, nel Mississippi, un discorso molto importante. Ha detto alcune cifre che bisogna ricordare e ha autorevolmente indicato il programma americano. La nostra produzione, egli ha detto, si svolge nel 1947 in ragione di 210 miliardi di dollari all’anno.

Non si è mai avuta idea nel mondo di una produzione così enorme: 210 miliardi di dollari in un anno.

Ora, egli ha detto, di questa produzione dell’anno in corso noi esportiamo 16 miliardi di dollari in Europa ed in Asia. Importiamo da questi continenti per otto miliardi di dollari, né è possibile importare di più perché né l’Asia né l’Europa possono nella loro limitata produzione esportare di più. Il problema dell’Europa è dunque di esportare. L’America è messa in pericolo dalla deficiente esportazione. Non ha potuto riprendersi. Tutta l’Europa e l’Asia dovrebbero esportare di più, ma l’Europa e l’Asia sono stanche e non possono esportare che limitatamente.

Per l’Europa e l’Asia, ha detto Acheson, il problema della mancanza di dollari per avere esportazioni americane è assolutamente fondamentale. L’Europa deve produrre di più per potere esportare e ottenere prodotti americani. L’Europa non può fare a meno di importazioni americane in misura molto importante. Ma l’America si trova in difficoltà perché o esporta consentendo il prestito a lunga scadenza per sedici miliardi, come è ora, o deve limitare le esportazioni da sedici miliardi a otto. L’America non può a lungo esportare come ora senza danno. Deve quindi ridurre le esportazioni nella misura delle importazioni, cioè a otto miliardi. Ma questa improvvisa mutazione non può che produrre crisi, una crisi per lo meno eguale nel mercato interno dell’America eguale a quella del 1929, la crisi Hoover. La crisi del 1929 produsse conseguenze terribili in America. Durò fino al 1936, vi furono fino a oltre 10 milioni di disoccupati e fu la più grande crisi interna del mercato americano. Dunque, l’Europa dovrebbe esportare in America in assai più grande misura, per rendere possibile all’America di continuare la sua esportazione: altrimenti, l’America deve ridurre la sua esportazione a metà, ciò che equivale a provocare la crisi in America. Perché, se l’America non esporta avrà sovrabbondanza all’interno, ma non può esportare se viceversa l’Europa non esporta. L’Europa e l’Asia, dunque, si trovano in condizione che devono esportare, cioè produrre esse stesse, se vogliono i prodotti americani che sono loro necessari.

In Europa si sono proposti vari tentativi per rendere più facile l’esportazione. Le difficoltà sono grandi, perché la mancanza di materie prime o la mancanza di lavoro rendono all’Europa difficilissime le esportazioni.

Ad ogni modo, questa è la situazione reale. L’America vuole aiutare l’Europa, ma nella misura conveniente alla sua vita ed al suo sviluppo.

In Italia vi sono molte illusioni che bisogna eliminare. Che cosa noi abbiamo avuto dall’America? Adesso si esagera ciò che può essere l’azione dei prestiti dell’Import Export Bank. Sono 100 milioni di dollari che, come i coristi dei teatri, compaiono, scompaiono, ricompaiono e che, essendo modesta cosa nella realtà, servono a creare nuove illusioni. Questa comica esagerazione dei giornali, senza dubbio voluta, crea nuove ridicole illusioni e nuovi equivoci.

L’America, attraverso l’Export Import Bank, concorre nel proprio interesse alla ricostruzione industriale dell’Europa: naturalmente con prudenza e secondo un piano.

Accorda quindi prestiti alle industrie in forma tale che vi siano garanzie di restituzione e il prestito non abbia rischio.

Per l’Italia è previsto un prestito alla industria di 100 milioni di dollari. Questo contributo alla ricostruzione è limitato da una serie di condizioni che oramai tutti conoscono: lo Stato garantisce tutti i prestiti ottenuti, e questa situazione è regolata da una serie di norme inderogabili. Lo Stato non fa prestiti direttamente agli industriali, se non attraverso alcune condizioni: bisogna che la Banca stessa sia sicura che il Paese è in tale situazione che l’operazione non presenti alcun rischio. Bisogna che le condizioni della situazione di ciascuna industria siano separatamente considerate: una casa italiana, ad esempio, chiede 20 o 30 milioni di dollari. Essa è sottoposta all’esame da parte della Direzione della Export-Import Bank, la quale si riserva anche un giudizio politico sulla situazione generale del Paese.

Non si tratta di somme enormi e tanto meno d’impegni d’avvenire; si tratta di una utile cosa che può domani anche essere migliorata, ma che non modifica sostanzialmente la nostra situazione. E quindi tutte queste illusioni che l’America, soprattutto in seguito alla nostra politica attuale, venga a cambiare il suo indirizzo, sono singolarmente esagerate e anche un po’ ridicole.

E se venisse la guerra? Parecchi amici italiani mi hanno domandato che cosa io pensi della guerra. Signori, soprattutto mi auguro e spero che la guerra non venga. Fino a poco tempo fa l’ho completamente esclusa; ora non sarei così sicuro, perché vi è in qualche paese una vera eccitazione di guerra, una psicosi politica diffusa, soprattutto in alcune classi, un vero stato di preoccupazione assillante. Io spero nondimeno, e credo, che difficilmente l’America vorrà entrare in guerra. Anche se sicura della vittoria non lo desidera e nulla ha da guadagnare. Nemmeno la Russia può desiderare la guerra dove non ha probabilità di vittoria. Ma io spero che quest’atto di follia, una più grande guerra, non si verifichi. Comunque, se venisse la guerra non facciamoci illusioni: noi Italiani saremmo certamente sacrificati. Che cosa potremmo sperare e cosa potremmo attendere? che cosa potremmo offrire nella terribile situazione di adesso?

Coloro che per triste tradizione di bellicità fascista, o per semplice follia sperano che la guerra possa farci uscire dalle difficoltà attuali, non sanno ciò che dicono o sono fatui e dissennati.

La guerra, se venisse, sarebbe per noi il crollo di quello che ancora ci resta.

Io dissento dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli esteri i quali sinora non hanno fatto ancora ratificare il Trattato di pace. Non occorreva aspettare il voto di fiducia al nuovo Governo. Anzi ho fondato motivo di credere che di fronte all’America e di fronte all’Inghilterra ci nuoccia. Noi abbiamo troppi cattivi ricordi per aver mancato di lealtà e di parola, per effetto del passato regime. Perché suscitare incertezze e sospetti e diffidenze? È doloroso accettare e ratificare il Trattato di pace; ma lo dobbiamo ratificare. Se abbiamo già firmato la pace dobbiamo ratificarla, perché ormai non vi è niente altro da fare. Il fare gesti eroici in questa situazione è cosa non conveniente e anche ridicola. Ciò può essere ammesso solo se siamo decisi a respingere la pace. Quindi dobbiamo ratificare, senza troppo discutere, il Trattato di pace. Occorre, senza dubbio, che nel giorno della ratifica il Presidente dell’Assemblea, in nome di tutti, dica il nostro dolore profondo per le amare e ingiuste condizioni che ci sono imposte, e dica che noi le accettiamo come una necessità, ma che spiritualmente manteniamo tutti i nostri diritti e tutte le nostre speranze. E che, soffrendo, attendiamo in atmosfera di pace e con il concorso stesso dei nostri vincitori, che ci sia resa giustizia.

Ora non vi sono difficoltà alla ratifica: ma vi sono situazioni mutevoli e diffidenze che possono sorgere. Anche fra un mese possono sorgere difficoltà per contrasti fra i vincitori o per altre cause.

Dal momento che le basi del Trattato non possono essere mutate (e purtroppo non possono) perché tardare?

Ma il non ratificare non servirebbe a nulla, non ci gioverebbe; anzi sarebbe causa di diffidenza. E allora perché ritardare?

Vi dicevo che la situazione che noi dobbiamo risolvere in questo periodo è dolorosa, sotto tutti i punti di vista. Le cifre che vi ha esposto parcamente (anche troppo parcamente) l’onorevole De Gasperi e che io accetto, dicono tutto l’imbarazzo in cui egli si trova. L’onorevole De Gasperi, senza dubbio, è in un vero imbarazzo. Egli è l’erede di sé stesso e deve fare la critica a sé stesso. Di ogni situazione del passato che egli giudichi come non utile o dannosa, egli è responsabile. Ed è responsabile anche del distacco dai comunisti.

Vi ricordo che io irritavo i miei amici di quella parte (Indica la sinistra) quando essendo essi troppo in amore con i democristiani e dicendo perfino di credere in Dio come concezione etica e sociale, io dicevo loro che cristianesimo e marxismo sono due cose completamente diverse, e prevedevo che si dovesse necessariamente arrivare al conflitto fra comunisti e democristiani.

Avete accettate tutte quelle formule (la così detta democrazia progressiva!) che sembravano comode per l’occasione, ed ora mi spiegate perché anche il distacco dai comunisti ha qualcosa che l’opinione pubblica non si spiega? Dopo i casti amplessi fra l’onorevole Togliatti e l’onorevole De Gasperi, seguiti dopo da diffidenti conversazioni nei rispettivi giornali, i due leaders tornano a distaccarsi. L’opinione pubblica non si spiega questa improvvisa mutazione e non vede le ragioni proprie di questo distacco che pure è naturale e doveva prima o poi avvenire. L’onorevole De Gasperi non è stato forse abilissimo. Ora pare che faccia uno sforzo per continuare i governi precedenti combattendoli. E in fatto egli ha dichiarato che il programma del Governo attuale è il programma del 4 aprile, cioè il programma combinato di accordo con i comunisti e i socialisti: programma, che io non accettavo allora e non accetto nemmeno adesso, e che l’onorevole De Gasperi ha detto, presentandosi, di mantenere ancora nelle linee generali. È difficile cosa passare da un programma all’altro rimanendo assieme; più difficile, dividendosi, conservare lo stesso programma.

La situazione del Paese è grave; ed è diventata ancor più grave dopo che l’onorevole Campilli ha fatto quella prima esposizione di carattere finanziario, che fu rivelatrice a molti anche di questa Assemblea che non la conoscevano, e che rappresenta un documento di notevole importanza.

Quando giunsi dalla deportazione in Germania, dopo una breve sosta in Francia, l’unico documento di carattere finanziario che mi capitò nelle mani fu quello del mio amico Soleri. Era uomo onesto e probo e io lo chiamai ancor giovane nel mio governo. Ma anche egli, pubblicando il suo primo documento finanziario, aveva fatto scrivere sopra «segreto». L’onorevole Campilli per primo ha dato cifre che ci hanno fatto vedere la situazione reale, ed io di questo lo lodo volentieri. Utilizzerò le cifre che lo stesso Governo ha pubblicato. Ma non desidero darvi cifre che non sono necessarie. Mi limiterò a poche constatazioni; mi basta fissare chiaramente ciò che è più essenziale.

Cominciamo per constatare che noi spendiamo tre volte di più di quello che abbiamo come entrate. Se in una famiglia la spesa supera più di tre volte le entrate e non si trova modo né di diminuire le spese, né di aumentare le entrate; se, dopo aver fatto tutte le forme possibili di debito e nella maggior misura possibile, si vuole continuare a far debiti, dove si arriva? Lo Stato deve abusare della carta moneta e quindi arriva alla minaccia d’inflazione.

Secondo l’esposizione dell’onorevole Campilli, vi sono spese dello Stato per 896 miliardi e vi sono soltanto 286 miliardi di entrate, cioè 610 miliardi di deficit. Da qui la necessità di far debiti in continuazione e i debiti, in tutte le forme, hanno sorpassato nell’insieme i 1390 miliardi; ed allora si è abusato delle ultime formule dei buoni del tesoro a breve termine. In questi ultimi tempi, mentre si era cercato prima in tutti i modi di non aumentare la circolazione, abbiamo dovuto aumentare anche la circolazione.

Il 28 febbraio scorso la nostra circolazione, già in aumento, era arrivata a 504 miliardi, il 9 aprile a 540 ed ora forse raggiunge i 560 miliardi.

Di quanto potrà aumentare la continua minaccia per la lira? Bisogna affrontare il problema monetario. È necessario ridurre le spese più che si può. La prima necessità è che il pubblico senta, senza illusione, che non è vero che la nostra situazione finanziaria possa rapidamente e intensamente migliorare. Se la resurrezione italiana è legata alla resurrezione finanziaria noi dobbiamo volere a ogni costo la resurrezione finanziaria. E perciò, prima di tutto, non illuderci e non illudere.

Ma l’onorevole Ruini e l’onorevole Scoccimarro non si dorranno della mia esitanza nell’ammettere che nelle loro dichiarazioni ho trovato una fiducia che mi pare eccessiva nella ripresa finanziaria dello Stato e, perfino, che si possa arrivare al pareggio già fra qualche anno.

Io ho molta stima per l’onorevole Scoccimarro, per la sua irruenza e per la passione che l’anima; ma l’onorevole Scoccimarro, mi permetta, ha un difetto fondamentale: che egli è stato a lungo Ministro delle finanze e voleva invece funzionare sempre come Ministro del tesoro. (Si ride).

Una voce a sinistra. Non è vero,

NITTI. La funzione del Ministro delle finanze è assai diversa. Il Ministro del tesoro è il grande amministratore dello Stato, il grande banchiere dello Stato e dirige tutta la politica finanziaria; il Ministro delle finanze ha la funzione di riscuotere tutte le entrate dello Stato, di amministrarle nel modo migliore e di provvedere ai bisogni di nuove entrate, sempre d’accordo col Ministro del tesoro.

L’onorevole Scoccimarro, di cui non nego la volontà e le attitudini, voleva spesso funzionare da Ministro del tesoro: in ogni occasione egli presentava un programma che doveva essere invece di competenza del Ministro del tesoro e promuoveva o eccitava, anche in questa forma, speranze che non potevano tradursi in realtà.

Ora, tanto l’onorevole Ruini quanto l’onorevole Scoccimarro dicono che si può arrivare relativamente presto al pareggio, dividendo il bilancio ordinario e il bilancio straordinario dello Stato. E che cosa sono questi bilanci? Quando io insegnavo ai miei modesti allievi, facevamo la differenza fra le entrate ordinarie e le entrate straordinarie, tra bilancio ordinario e bilancio straordinario. Si parlava allora in Parlamento di entrate ordinarie e straordinarie e anche di ultrastraordinarie. Queste sono nei bilanci attuali, disordinati e iperbolici, distinzioni accademiche. Adesso siamo in un periodo in cui in questo enorme calderone ove entra tutto non si possono fare differenze sicure. Quando dite: ciò che serve per la ricostruzione rappresenta il bilancio straordinario e ciò che serve per la vita quotidiana è il bilancio ordinario, non avete detto nulla. Se il bilancio straordinario fosse soltanto quello di uno o due anni, si potrebbe ancora capire: ma quanto dureranno in Italia queste spese per la ricostruzione? È vano credere che tra qualche anno avremo esaurito le conseguenze della guerra e del disordine del dopo guerra. Spese che si faranno per molti anni è inutile dichiararle straordinarie per il loro scopo se si ripetono continuamente; come si può? Non differiscono dal punto di vista finanziario dalle ordinarie. E le chiamate straordinarie per dare una illusione che non può essere realtà.

In realtà, la cassa è unica: al pubblico non interessa niente la nostra classifica. Vuol sapere quanto si incassa realmente e quanto si spende. Il resto è superfluo.

Io ho l’abitudine dei conti della serva: quando ero al Ministero del tesoro e i direttori generali mi venivano con tutto quell’apparato dottrinario e logico, io dicevo: queste cose io le insegno e quindi le capisco, facciamo però i conti della serva, mettiamo tutto in cifre semplici e in modo che il pubblico possa comprendere.

Io non ci credo a questa storiella del bilancio straordinario e del bilancio ordinario: bisogna vedere la cassa, tutto il resto è parvenza. Spese ordinarie e spese straordinarie sfociano nella stessa cassa e bisogna pagarle.

Può darsi che un bilancio che appaia in regola non abbia niente dietro se la cassa è vuota. Quindi, noi dobbiamo vedere non già le situazioni fantastiche ma le situazioni reali. Se una spesa deve durare cinque o sei anni poco importa che la dichiariate straordinaria, perché questo nulla muta.

Constatiamo che la situazione attuale è per i prossimi anni veramente preoccupante. Noi abbiamo bisogno di lavorare e di risparmiare, di produrre e di esportare. Le esportazioni non tendono ad aumentare.

L’onorevole Merzagora ci dirà poi qual è la situazione del commercio internazionale, quale quella del commercio di esportazione, e quale la situazione reale della bilancia dei pagamenti e dei cambi. Noi dobbiamo lì concentrare il nostro sforzo, e vedere che cosa si può fare, su quali entrate possiamo contare, quali possiamo migliorare. Non vi mentirò dicendovi che allo stato attuale noi abbiamo una bilancia di pagamenti internazionali preoccupante e che non tende a migliorare. L’onorevole Merzagora – che è uomo di fine intelligenza – potrà dirci, quando crederà, la gravità di questa situazione internazionale, che bisognerà con tutti gli sforzi modificare presto nella misura del possibile.

Bisogna trovar modo di utilizzare tutte le risorse, senza alcuna volontà di tacere la verità. Non vi meravigliate della mia modestia quando io vi dico: contate, per quanto riguarda lo Stato, sulla semplicità e sulla economia. I francesi, che sono il popolo più avaro d’Europa – li conosco bene, sacrificano tutto all’avarizia – hanno un proverbio che non è poi ingiusto: «il n’y a pas de petites économies».

Noi, nella vita dello Stato, dobbiamo portare questo principio: economizzare, semplificare il meccanismo dello Stato, produrre di più. È la vecchia formula che io avevo lanciato nel 1919 e che fece sorridere gli ignoranti: produrre di più e per quanto si può, consumare di meno.

Noi abbiamo una popolazione passiva enorme che pesa sul bilancio dello Stato. La chiamo popolazione passiva non perché sia inutile – gli impiegati non sono certo inutili – ma perché è una popolazione che non ha una produzione economica diretta e che è pagata per i servizi che rende. Sono servizi necessari e utili; ma il numero degli impiegati è troppo grande e i servizi sono troppo costosi.

Vi sono ora in Italia masse enormi di impiegati (Commenti), e invece di diminuire aumentano. Alla data del 31 marzo di questo anno vi erano in Italia un milione e centomila impiegati dello Stato, i quali gravavano sul bilancio nella misura di 230 miliardi.

Oltre a questa enorme massa di impiegati dello Stato e di stipendiati dello Stato, vi sono almeno 300 mila impiegati locali per province e comuni, oltre quelli delle opere pie e delle istituzioni parastatali in genere: una massa simile di impiegati come non era mai esistita, ed io non ne avevo l’idea nel nostro paese. Dovunque si spende troppo. Nel Comune di Roma, ad esempio, mentre alcuni anni fa si spendevano per stipendi 5 miliardi, ora se ne spendono 15.

E dappertutto è la stessa cosa: impiegati che non sanno che cosa fare. Nominati spesso senza che fossero necessari, rimangono in posti dei quali non vi è bisogno senza che si possano toccare. Appartengono tutti a partiti e han difesa nel partito e diventano, sopra tutto nei piccoli comuni, intangibili. Io so di un piccolo comune della provincia di Roma che aveva pochissimi impiegati e che ora ne ha invece 40. Essi non fanno altro che passeggiare, discutere e litigare.

Si è pagati per fare ma anche per non fare. In non poche fabbriche industriali noi abbiano, sia pure per necessità, due operai che lavorano e uno che non lavora. Abbiamo in tutto oltre un milione e 700 mila impiegati o stipendiati dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni. Su una popolazione di 46 milioni di uomini: uomini adulti, vecchi, donne, fanciulli, questa enorme massa di popolazione preme e certamente rende più pesante la produzione.

Io non credo, come vi dicevo, che tutto questo possa improvvisamente mutare ma deve essere cura del Governo arrestare il male e limitarlo e cominciare dal non fare altre nomine non urgenti e indispensabili. Ora basta esaminare ogni giorno la Gazzetta Ufficiale per vedere sempre nuovi concorsi e in gran numero senza tener conto delle nomine avvenute o che avvengono senza concorso.

Noi viviamo, vorrei dire la parola amara, in un’atmosfera satura di sostanze stupefacenti. E illudiamo e vogliamo illudere noi stessi. Quante illusioni e, senza rendercene conto, quante menzogne!

Noi affermiamo, per esempio, che tutti pagano le imposte: non è vero. Grande è il numero di coloro che non pagano le imposte. Noi abbiamo promesso sistemazioni monetarie che non possono avvenire; noi annunciamo ogni giorno opere pubbliche in grande quantità, che non si possono fare per mancanza di materiali, per mancanza di mezzi; noi annunciamo ciò che non si può fare, e che non può da parte nostra essere in buona fede promesso. È bugia dunque che vi sono imposte regolari per tutti; è bugia che noi possiamo fare quei lavori pubblici che si promettono. Quando voi pensate che il prezzo di un chilo di ferro passa oramai le cento lire, che un quintale di cemento si paga fra 1.000 e 1.200 lire (Commenti), che tutti i materiali hanno prezzi inverosimili (un mattone in fornace da 8 a 9 lire), come promettere questi programmi di costruzioni? Quando vi trovate di fronte a questa situazione, che cosa noi possiamo seriamente promettere? Molto poco. Noi dobbiamo promettere soprattutto di lavorare seriamente alla ripresa. Il male è dovunque ma il malo esempio viene sopratutto da Roma. Roma, fatemi usare la parola brutale, è un immenso scandalo per l’Italia! Si fanno tutte le cose che si dicono di vietare, ed è spesso lo stesso Governo che ne dà l’esempio!

Poco dopo che giunse alla Presidenza della Repubblica l’onorevole De Nicola, io fui sorpreso che gli si desse a firmare un decreto col quale si aumentava il personale dei Gabinetti dei ministri da quello che era ai tempi del fascismo. Non mi seppi spiegare la cosa. Però l’aumento non era grave; passò inosservato. E da allora tutte le cose più inverosimili sono accadute: un numero grandissimo di Ministri, di Sottosegretari, di Commissari, introduce nei Gabinetti folle di funzionari o di privati ed è un’opera continua di allargamento ed una elefantiasi di gabinettisti. Vi è una spesa di Gabinetti e vi è un numero di gabinettisti così enorme e paradossale che danneggia l’amministrazione dello Stato e la disgrega. Il numero enorme dei gabinettisti è la caduta dell’amministrazione. I Gabinetti numerosi sono il covo del disordine e l’ambiente per la preparazione di tutti gl’intrighi e anche per fomentare la corruzione. Nei Paesi onestamente amministrati, com’era anche ai nostri tempi l’Italia, che cos’era il Gabinetto del Ministro? Cinque, sei o sette persone. Io ho avuto un tempo un Ministero che comprendeva cinque Ministeri attuali: agricoltura, industria e commercio. Era a via della Stamperia, fra la fontana di Trevi e il Tritone. Locale modesto. Noi eravamo chiusi in quelle piccole stanze e ci parevano sufficienti. Dunque, avevo alle mie dipendenze l’agricoltura, l’industria e commercio (adesso c’è anche il commercio estero). Ed io avevo anche il lavoro e tutti i servizi speciali. Vi erano il credito, la monetazione, la statistica, il servizio minerario, la pesca, ecc. Massa imponente di servizi di ogni natura. Nel mio Gabinetto erano uomini di prim’ordine: l’onorevole Giuffrida, per esempio, che era il mio capo di gabinetto. In tutto però pochissime persone. Andate a vedere gli annuari: quant’era il Gabinetto? E i locali non erano che modesti, tali che ora il più umile Sottosegretario non vorrebbe.

Il Gabinetto è la depravazione dell’amministrazione, se troppo esteso, perché tutte le pratiche devono andare agli uffici competenti, non al Gabinetto! Il Gabinetto serve ora quasi sempre ad interessi elettorali e politici immediati, non all’amministrazione. Ogni Gabinetto considera le cose dal punto di vista della situazione politica e del partito e non dal punto di vista degli interessi dello Stato, di cui pochi si occupano veramente.

Questo scandalo è aggravato poi dal fatto delle abitudini indecenti di dissipazione che sono entrate nei Ministeri.

Quando noi eravamo Ministri avevamo fra il 1910 e il 1915 una carrozza a un cavallo (Commenti). Quando furono introdotte le automobili e Giolitti volle la prima automobile, le automobili erano limitate al Ministro; più tardi al Sottosegretario di Stato. Ma nei Ministeri attuali l’uso dell’automobile è comune, ed è tale lo scandalo che – vi sembrerà strano e inverosimile – questa è la cosa che più offende gli americani! Essi che sanno le nostre difficoltà a procurarci dollari, vedono con stupore come si dissipa proprio là donde dovrebbe venire l’esempio della parsimonia e della dignità. Si vedono non solo Ministri e Sottosegretari, ma funzionari di Gabinetto, disporre di automobili e fare giri per l’Italia e preoccuparsi sin da ora di elezioni! Si vede lo spettacolo di impiegati di Gabinetto che la sera vanno al cinema in automobile con la moglie o l’amante, lasciando fuori la macchina per riprenderla a spettacolo finito.

Americani autorevoli, constatando queste cose mi hanno detto: – Come credete che sia tollerabile, dato che ogni goccia di benzina dovete comperarla a caro prezzo e non avete dollari da sciupare? –

Io mi rivolgo all’onorevole Einaudi e gliene faccio un preciso dovere: egli deve, fra le altre cose, regolare la materia dei Gabinetti. I Gabinetti dissolvono l’amministrazione e non solo fanno danno allo Stato dal punto di vista economico, ma abbassano con il loro disordine la dignità dell’amministrazione stessa.

E un’altra cosa deve essere presa subito in esame: l’uso, l’abuso dei locali requisiti per servizi dell’amministrazione dello Stato. In ogni occasione si requisiscono locali: dove prima c’era un grande Ministero non è bastato il locale a un semplice Sottosegretario che ha avuto bisogno di altri locali.

L’onorevole Sforza era – credo – Capo di Gabinetto del mio amico di San Giuliano: ricorderà come la Consulta era bastevole per tutti i servizi del Ministero degli esteri, che era un grande ministero e dava anche grandi ricevimenti. Noi stavamo in locali molto modesti, mentre ora la smania della grandezza e del lusso è dappertutto, eredità anche peggiorata del fascismo. Ogni nuovo Sottosegretario vuole nuovi e più grandi locali. Noi dobbiamo tornare alla serietà e alla dignità. Io invito dunque l’onorevole Einaudi non solo a fare delle indagini sui Gabinetti e a ridurre il numero dei funzionari che vi sono addetti, ma a rivedere tutti i locali abusivamente occupati, spesso col pretesto di uffici di stralcio che non finiscono mai il loro lavoro e rischiano di diventare eterni. Il Tesoro deve vietare tutte queste spese insane. Ora tutti sentiamo la necessità di economie. Tutti vogliono che il Governo abbia modo di difendere la lira. Ma dipende innanzi tutto dalla nostra sincera intenzione di economia e dalla nostra serietà, e il governo deve dare l’esempio della decenza e della sincerità.

Qual è il programma finanziario del Governo? Io sono un poco inquieto su questo punto. Nella sua dichiarazione l’onorevole De Gasperi ci ha detto con molta cortesia quelli che gli parevano i punti principali. Ma qual è il programma del Governo? L’onorevole De Gasperi ha detto che il programma del Governo rimane in fondo quello del 4 aprile cioè il programma fissato insieme coi comunisti e i socialisti, e che si basa su alcune cose che non potrei accettare senza mettermi in dissenso con me stesso.

De Gasperi ricorda che in quel programma sono compresi i 14 punti di Morandi. Devo dire che io mi sento in imbarazzo quando odo parlare di punti. Oggi tutto è elencato con cifre: anche l’onorevole Giannini ci ha detto che l’uomo qualunque ha dei punti, cominciando col rispetto di Dio. (Si ride). I 14 punti di Morandi mi fanno una certa paura. Clemenceau, che era uomo di spirito, detestava Wilson, e non osava dirlo perché anche allora tutti avevano bisogno dell’America. Ma tutte le volte che parlava con me di Wilson, sorrideva e diceva: «Dio ha dato i dieci comandamenti, Wilson ne ha dati 14». (Si ride).

Anche l’onorevole Morandi ha fatto 14 comandamenti, che sono accettati in gran parte, o totalmente, credo, dal Ministero perché fanno parte del programma del 4 aprile.

Devo dire che per quanto abbia simpatia per l’onorevole Morandi, i 14 punti mi pare che debbano essere quasi interamente accantonati. Einaudi è certamente più imbarazzato di me ad accettarli, perché essi sono la negazione di tutte le sue idee. (Si ride).

Vediamo la realtà com’è. Noi dobbiamo applicare delle vere imposte, noi dobbiamo sottomettere il Paese a gravi sacrifizi, noi dobbiamo far sì che tutti contribuiscano. Ma dobbiamo parlare e fare sul serio? O dobbiamo continuare a mentire per demagogia, da qualunque parte venga?

Tutti si son trovati d’accordo sulla necessità di aumentare il prezzo del pane. Ma poi siamo arrivati subito all’assurdo, quando per demagogia si è voluto il prezzo differenziale del pane, cioè il prezzo secondo la situazione personale di ciascuno e il suo guadagno.

Vi è nulla di più assurdo, di più fatuo e di più irritante? Ogni persona mediocremente colta in cose economiche sa come il pane abbia sulla tavola del ricco una minima importanza di fronte a quella del povero.

Ma poi si è creato con questo un dissidio più vasto, perché il fatto che la moglie dell’uomo, non dirò ricco ma agiato, che va con una carta di diverso colore a comprare dove altri devono comprare, non fa che esasperare.

La lotta di classe può essere una necessità, ma l’esasperazione volontaria di contrasti è cosa stupida e malvagia. La differenziazione del prezzo del pane non fa che urtare e offendere le folle. Speravo che questo punto fosse abbandonato. In realtà non è stato applicato. Come in gran parte delle cose italiane, le leggi si fanno per non applicarle, e la non applicazione è sempre a discredito dello Stato. Poi ora si parla di prezzo differenziato della pasta, dei grassi e di altri generi alimentari. Signori, vi rendete conto di quello che dovrebbe essere un’amministrazione che dovesse compiere seriamente queste cose assurde? Nuovi Ministeri, masse enormi di impiegati ed una organizzazione sempre più sconvolta e che disordinerebbe sempre più la nostra vita sociale.

Vi devo anche dire che io sono rimasto perplesso di fronte alla imposta patrimoniale. Signori, non mi potete dire che io ne sia l’avversario: io sono proprio il solo capo politico che ha ideato e dopo la prima guerra ha applicato l’imposta patrimoniale in Italia. L’ho voluta io e l’ho adottata io non senza difficoltà. Ma ho cercato di applicare questa difficile imposta in modo tale che fosse veramente applicata e che non fosse materia soltanto di cialtroneria e di promesse al popolo che non potevano essere mantenute. L’onorevole De Gasperi ha detto nella sua relazione che la patrimoniale, nell’idea del Governo, è un contributo necessario delle classi abbienti alle spese di guerra.

Vi ricordate proprio adesso delle spese di guerra? E come c’entrano? La patrimoniale è soltanto una grande imposta temporanea ed occasionale. Perché vogliamo cercare spiegazioni non vere e non necessarie? E perché le spese di guerra proprio adesso sarebbero pagate con la patrimoniale?

Ma perché io giudico questa imposta con avversione e con severità?

Perché si vuole applicarla senza serietà nel momento meno opportuno, meno logico. Ma è ora il tempo di una simile politica? Io ho applicato la patrimoniale anche in condizioni politiche difficili. Vi era il re ed il Papa ed ho dovuto chiedere all’uno e all’altro di pagare l’imposta sul patrimonio. Vi assicuro che non era impresa senza difficoltà. Ebbene, ho regolato anche questa materia in tal modo che ho potuto applicare l’imposta patrimoniale senza avere nemmeno la resistenza del Vaticano.

Non volli fare alcuna speculazione politica sulla patrimoniale: io volevo una buona entrata ma non volevo una affermazione politica. Le imposte vanno trattate sempre come entrate, non come argomenti di propaganda.

La imposta che ci vien mal congegnata, viene nel peggiore momento: adesso che dobbiamo applicare rudemente le imposte esistenti, introdurre la patrimoniale è cosa assurda e senza risultato utile. Nella situazione sociale dell’Italia attuale la patrimoniale deve essere necessariamente inquisitiva e si può ben calcolare come questo carattere inquisitivo debba creare le diffidenze. Sarà il modo di aumentare le resistenze dei contribuenti.

Veniamo ora ad istituire la «patrimoniale», perché, si dice, (e ha detto nella sua relazione l’onorevole De Gasperi) così i ricchi pagano le spese di guerra. Nessuno si ricorda più di imposte di guerra. Tutte le imposte si istituiscono allo scopo di avere nuove entrate. Quindi anche «la patrimoniale» è istituita da noi in realtà per avere delle entrate. Quanto più rende, tanto più è utile.

Solo gli ignoranti possono concepire che la «patrimoniale» sia per rappresentare una grande entrata.

Io ho studiato la «patrimoniale» in tutti i paesi dove è stata applicata e ho visto che comunque applicata può essere solo una entrata temporanea e di produttività limitata.

Noi vogliamo introdurre la «patrimoniale» nello stesso tempo in cui dobbiamo applicare le imposte antiche e nuove. Con quale risultato? Solo fra qualche anno diventerà somma apprezzabile, quindi di effetto importante. Un piccolo aumento invece sulle imposte dirette attuali darebbe un gettito immediato, ben più grande.

La patrimoniale che si vuole imporre si presenta senza fini ben chiari, senza possibilità di grandi risultati. Irriterà i contribuenti, aumentandone la diffidenza; darà risultati molto scarsi dal punto di vista finanziario e in definitiva sarà dannosa e tutti cercheranno evaderla nella maggiore misura possibile.

Se tenete la patrimoniale nei limiti in cui, con sacrificio, può essere pagata dal reddito in una serie di anni, può essere facilmente sopportabile. Se la volete introdurre come imposta, che deve produrre rapidamente una notevole entrata allo Stato, voi rovinerete moltissimi senza risultato.

Se moltissimi sono costretti a vendere e pochi possono comperare è il disordine e la caduta dell’economia del paese intero.

La «patrimoniale» deve essere attuata in tal modo che possa essere pagata dal reddito, sia pure con molto sacrificio; ma non tale da obbligare tutti a vendere tutto e da produrre il disordine e la caduta di tante economie private.

In fondo l’onorevole De Gasperi si è proposto, costituendo il governo di destra, di avere un programma di sinistra. Io odio queste parole «destra» o «sinistra»…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Anch’io.

NITTI. …che sono senza significato ma che qui dentro bisogna accettare per quello che non sono: come espressioni di idee e di programmi. Le idee, espresse in questo programma del Governo sono in contrasto completo con le idee dell’onorevole Einaudi e dell’onorevole Del Vecchio e dei loro collaboratori. Sono anche in contrasto con le mie idee.

Noi dobbiamo applicare un’imposta che non sia spettacolare, ma che dia veramente un gettito.

Non possiamo contare che su noi stessi. Il domani sarà ben più aspro dell’oggi. La popolazione attuale è di 45 milioni e 600 mila abitanti. Ho sentito dire da qualcuno – Dio lo perdoni – che ammirava ancora le idee di Mussolini sulle famiglie numerose, senza pensare alla catastrofe cui ci ha portato questo equivoco delle famiglie numerose, che è stata la causa originaria più profonda della guerra.

Quel povero folle che fu Mussolini credeva che l’Italia, aumentando di abitanti, diventasse più potente perché era obbligata a «fare esplosione» e quindi guerre sempre vittoriose, che l’avrebbero resa ricca e potente. Si esaltavano le madri prolifiche come benemerite della patria, si davano loro premi e sussidi. Chi non aveva figli appariva come un disertore e non poteva essere nell’amministrazione in situazione seria e non poteva far carriera.

Stravaganti follie e non scomparse del tutto anche ora da quelle povere menti che il fascismo ha intorbidato e che non ancora hanno perduto il veleno della stupidità fascista.

In Italia la fecondità naturale è elevata e rappresenta anche essa sola grande preoccupazione, se le vie del mondo non ci sono aperte. Eccitarla artificialmente è demenza.

L’Italia viveva nel passato, oltre che delle risorse e della sua attività, in buona parte anche dell’emigrazione. Noi abbiamo mandato all’estero fino a un milione di uomini all’anno, di cui metà tornava e l’altra metà restava. L’emigrazione all’estero si aggirava, in generale, intorno ad una cifra importante, che compensava il disquilibrio fra le nascite e i morti. In Italia nascono oltre un milione di uomini e muoiono circa seicento mila uomini. Pensate alla situazione terribile che, non per l’avvenire, ma anche ora, chiusa in gran parte l’emigrazione, si sta producendo. Abbiamo in Italia 400-450 mila uomini che nascono ogni anno in più dei morti; quindi su questo territorio così angusto dell’Italia, così piccolo, e così insufficiente, devono viver ogni anno 450 mila uomini nuovi. Sapete che cosa significano 450 mila uomini nuovi?

Una voce a sinistra. Si creano le industrie.

NITTI. Me lo deve spiegare dopo come si creano le industrie senza materie prime. E proprio in questa fase che è difficile sorreggere le vecchie industrie anche migliori.

Una voce a sinistra. Lo ha affermato anche l’onorevole Einaudi.

NITTI. Non ha potuto dire cosa simile. Se lo avesse detto in un momento di buon umore, sarebbe stato solo per ridere.

La situazione è questa: che vi sono 400-450 mila uomini in più ogni anno. Sapete che significa 400-450 mila uomini? La Provincia di Forlì o la Provincia di Avellino ogni anno.

Forlì ha proprio 444 mila, uomini, Avellino ne ha 450 mila.

Dunque nasce ogni anno una provincia intera, senza territorio. Pensate quanto è aumentata (se avessimo statistiche esatte, ma non le abbiamo) la popolazione d’Italia anche dopo il fascismo, e soprattutto dopo il fascismo, a causa dei ritorni, dei rimpatri degli emigrati, degli aumenti spontanei! È una massa di popolazione nuova che noi dobbiamo nutrire e che noi non possiamo dimenticare. Dobbiamo andare per il mondo in cerca di mezzi da vivere. Non dobbiamo dimenticare e non dobbiamo illuderci nemmeno sulla facilità della emigrazione che praticamente ci è molto limitata.

Sento con leggerezza parlare di centinaia di migliaia di uomini, di milioni che possiamo mandare all’estero. Come? Dove? Quali sono questi paesi ospitali? E in che misura hanno mezzi per darci ospitalità? E in che misura ci desiderano e ci accolgono?

Noi dobbiamo soffrire in questo duro periodo e riunire qui le nostre forze per vivere e utilizzarle tutte. Se io odio ogni divisione dell’Italia, se io odio tutti i tentativi di disgregazione, è perché tutti i nostri sforzi devono essere rivolti all’unione. L’Italia deve essere prima di tutto il nostro grande mercato. Ogni separazione dell’Italia, dal nord al sud, ogni separazione determinata da contrasti o da diffidenze non farà che immiserire tutti.

Quando è venuto qui il mio amico La Guardia, così festosamente accolto, ha voluto, mentre ci parlava dell’U.N.R.R.A., darci savi avvertimenti. Uomo intelligentissimo ed esperto, egli non è un tecnico, non è un erudito, ma è un uomo di senso politico notevole e spirito acutissimi e pratico. Egli ci ha raccomandato di vivere sopra tutto di noi stessi. «Badate soprattutto al vostro mercato – egli ha detto – e rimanete uniti. Non vi illudete. L’America non potrà essere ciò che voi credete. Voi dovete sviluppare la vostra attività nel vostro mercato e con i vostri vicini».

Noi dobbiamo considerare ogni cosa che divida l’Italia e la metta in contesa con se stessa come malefica. Perciò la mia profonda, invincibile avversione per le autonomie regionali. Io non ho pace da quando questa follia minaccia l’Italia. Ne misuro tutte le conseguenze, so che inizierà, se accolta, il dissolvimento e la caduta del nostro paese. (Commenti).

Economicamente l’Italia, nella situazione attuale dell’Europa e del mondo, deve avere in se stessa il suo grande mercato e deve trovare in se stessa molte delle sue più grandi risorse.

Io ho una grande preoccupazione per l’avvenire della lira. Per un Paese non vi è niente di più dannoso della caduta della moneta. Rivolgo formale invito all’onorevole Einaudi di studiare se in queste minacce che sono sulla lira vi sia soltanto un fenomeno economico spontaneo dipendente dal disordine finanziario, o se vi siano anche interessi italiani che considerano, senza avversione e forse con qualche simpatia la caduta della lira. (Applausi).

Io non voglio fare della demagogia, ma affermo che la lira va difesa con tutti i mezzi da malefiche speculazioni. L’onorevole Einaudi e l’onorevole Merzagora meriteranno la nostra riconoscenza se non esiteranno e se ogni speculazione che essi troveranno illegale e quindi anche immorale colpiranno nella forma più aspra, anche attraverso il magistrato penale.

La lira dev’essere difesa. Io oso ripetere che vi sono anche interessi italiani che per ragioni diverse sono in contrasto con il pubblico interesse. Vi sono persone evidentemente che, avendo potuto accumulare fuori d’Italia grosse fortune in valuta straniera, possono più facilmente conquistare l’Italia se avverrà la caduta della nostra moneta.

L’onorevole Einaudi faccia ricerche a fondo: troverà forse ciò che cerca e forse anche persone che non sospetta.

Io non devo dire nulla di più. Devo aggiungere soltanto che l’onorevole Einaudi ha questo preciso dovere. Mi permetto di usare questo linguaggio nei confronti di un amico come Einaudi. Fui io che nel 1919 lo introdussi nella politica nominandolo senatore. L’onorevole Einaudi ha bisogno anche, oltre a quello che ho detto della moneta, di preoccuparsi di un altro problema urgente, insieme con l’onorevole Merzagora e col Ministro dell’agricoltura: cioè, della questione del grano. Nei rapporti del Segretario dell’agricoltura americano e nelle pubblicazioni ufficiali vedo che grande preoccupazione dell’America è anche per il fatto che essa non potrà sodisfare, di fronte alla fame del mondo (così dicono i rapporti!) le richieste grandissime di grano, cioè non potrà offrire che quantità molto inferiori alla richiesta. Il raccolto del grano, come ho detto, è stato in generale scarso. L’anno passato il grano non mancava e noi l’avevamo a traverso l’U.N.R.R.A. e non dovevamo pagarlo. Quest’anno il raccolto è minore e noi dovremo pagarlo. Lasciamo le valutazioni per l’Italia. Ho avuto le cifre più diverse ma tutte concordano nel ritenere un cattivo raccolto e peggiore degli anni precedenti.

Ebbene, noi dobbiamo affrontare la questione del grano con vedute prospettive per tutto l’anno fino al raccolto dell’anno venturo. Se facciamo ora degli sperperi, se per condiscendenza elettorale, se per cedere alla demagogia dei partiti che ci domandano di aumentare le razioni, e che ci domandano di largheggiare, noi non avremo rigidità nel concedere, avremo per risultato di affamare il Paese.

Noi dobbiamo fare un’organizzazione tale che dia sicurezza, almeno relativa, che fino all’anno prossimo al popolo il pane non mancherà. Se il popolo ha il pane è tranquillo: in Francia si dice che il popolo per essere tranquillo, deve avere il pot au feu. Noi dobbiamo più modestamente organizzarci in modo che almeno il pane non manchi. Dobbiamo ordinare la nostra agricoltura in guisa che abbia interesse a produrre. E quindi il prezzo del grano e la materia degli ammassi devono essere organizzati seriamente e vorrei dire ragionevolmente, perché troppo si è mancato non solo di idee economiche, ma anche di logica.

Basta con le minacce, che in materia economica non servono a nulla. Minacciare in materia economica è quasi sempre ottenere un effetto contrario. Bisogna creare l’interesse nei coltivatori di grano. Debbono essere interessati a produrre il grano nella maggiore quantità possibile, e se permettete, concedendo loro di guadagnare il più possibile.

Dovete fare che i coltivatori di grano abbiano fin da quest’anno interesse che l’anno venturo la produzione sia più alta. E per ottenere un risultato, a cominciare dal prossimo ottobre, coltivando ne avranno i vantaggi. Guadagnino più o meno, importa relativamente poco; importa che il grano ci sia. Il modo più semplice è di cointeressare i produttori di grano all’aumento della quantità del prodotto.

Abbiamo le notizie di quello che è stato portato agli ammassi negli ultimi due anni, un anno buono e un anno cattivo. Aboliamo inutili uffici, ricerche di burocrati improvvisati. Bisogna adottare forme semplici di accertamento. Ogni coltivatore di grano potrà essere obbligato a dare agli ammassi la media degli ultimi due anni, e non essere soggetto ad alcuna inutile investigazione. Se egli darà grano nella misura indicata (la media degli ultimi due anni) tutto quello che potrà raccogliere in più avrà diritto di vendere per suo conto, dovunque gli piaccia, anche al mercato nero se vorrà e al prezzo che vorrà. Se si vuole seguire invece il sistema amministrativo peggiorato dalle minacce non si otterrà nulla.

L’onorevole Einaudi si è giustamente preoccupato dei Ministeri finanziari. Vi erano prima due Ministri finanziari, poi ridotti a uno solo: ora sono aumentati a tre, con il relativo numero dei Sottosegretari. Tanto meglio, se questo vuol dire uno studio più accurato ed un’azione più definita. Però anche qui cominciano le superfetazioni; si è pensato perfino a costituire un comitato economico affidato all’onorevole Vanoni. Perché una istituzione nuova, un nuovo Comitato? Come sarà composto? quale sarà il suo compito? quale la sua efficienza?

Si è pensato, se ho ben letto la relazione dell’onorevole De Gasperi, che l’onorevole Vanoni sarebbe utilizzato per dirigere questo Comitato mentre l’onorevole Campilli sarebbe mandato all’estero per cercare fortuna e prestiti per l’Italia. (Si ride). Vi sarebbe quindi, se mi permettete la espressione, un praetor peregrinus da una parte ed un praetor urbanus dall’altra: praetor urbanus l’onorevole Vanoni, e praetor peregrinus l’onorevole Campilli. (Si ride). Non so se queste istituzioni siano veramente necessarie.

L’onorevole Einaudi, dal momento che ha il titolo, non perfettamente spiegabile in Italia, di Ministro del bilancio, vuol dire che si vuol occupare del bilancio.

In verità il bilancio merita particolare cura, perché nessuno se ne è mai occupato. (Si ride). Sistemi di controllo ora non esistono.

I capitoli sono estremamente larghi – e questo è materia di grandi abusi e d’arbitri spesso scandalosi. I Ministri possono fare tutto quello che vogliono. La serietà del bilancio è data in gran parte dalla sua conformazione. Vi devono essere capitoli brevi, in modo che si sappia come il denaro dello Stato viene realmente speso; quando si fanno capitoli di somme enormi, non vi è alcuna sicurezza d’ordine. Voi dovete mettere il Ministro in condizioni che nessun abuso gli sia possibile e ciò si può fare con la specificazione dei capitoli. Adesso accadono le cose più strane e inverosimili: un Ministro uscente prima di andar via concede spesso un premio a tutti gli impiegati del suo Gabinetto e il Ministro che gli succede dà un altro premio. Vi potrei citare una diecina di questi casi ridicoli. Del denaro dello Stato si dispone non con criteri di economia pubblica ma con criteri di economia privata e personale. Questo accade anche oggi. Il galantuomo che dirigeva la Corte dei conti, valorosissimo studioso di diritto pubblico e sopratutto o di diritto finanziario, l’onorevole Ingrosso, fu licenziato senza alcun motivo e senza nemmeno che gli fosse notificato il provvedimento. Aveva il difetto, mi dissero, di essere sordo. Ed infatti era vero in parte, ma pareva che fosse sordo alla volontà del Governo.

Io credo che l’Italia, passata attraverso grandi sofferenze, debba risorgere; bisogna però, nell’ora attuale, calmare i nervi e bisogna lavorare. Io sono lieto di aver contribuito a far prorogare la durata della nostra Assemblea Costituente fino al 31 dicembre dell’anno in corso. In realtà non vi era né meno un vero abbozzo di Costituzione e si era perduto un anno in discussioni estranee allo scopo che era quello di dare al paese una Costituzione. Quante unioni si fanno e quante disunioni si producono con scopi più o meno ideologici di partiti, che qualche volta quasi non esistono, ma che in realtà si propongono soltanto una partecipazione al Governo!

Gran parte degli studi e delle discussioni sulla Costituzione sono stati inutili e superflui e riguardano ideologie fuori della realtà o visioni di avvenire o impegnano a fare cose non realizzabili. Una Costituzione non è un programma e tanto meno un mezzo di propaganda di partito.

Ora dobbiamo fare la vera Costituzione e occorre che ciò sia fatto nel termine di proroga che ci è stato consentito, cioè per il 31 dicembre.

Niente di ciò che è stato fatto nei due ultimi anni dallo Stato per mezzo del Governo indica una via sicura di rinnovamento, se anche opere lodevoli si siano parzialmente realizzate.

Ma il popolo (e intendo per popolo tutta la nazione) ha mostrato molta resistenza, molta capacità di adattamento, di fronte alle difficoltà della vita e sopra tutto nei lavoratori è fiducia nell’avvenire e in non pochi desiderio di lavoro.

I grandi terremoti lasciano nei paesi colpiti un senso di atonia e per qualche tempo poca voglia di lavorare. Le grandi guerre (è fenomeno sempre constatato) sono seguite da periodi di disordine e da diminuzione nella capacità di lavoro.

Anche ora fenomeni di questa natura si verificano nei grandi paesi di Europa e di America. Vi è meno voglia di lavorare e si disertano le occupazioni più faticose che sono anche le più necessarie.

Ciò non avviene in Italia.

Anche spesso malamente nutrito, il popolo è disposto al lavoro e se trova da lavorare non esita anche dinanzi al lavoro più duro. Sopratutto i contadini sono egualmente frugali e laboriosi. Gli americani e gli inglesi che vengono in Italia dicono (e spesso mi hanno detto) che sentono che l’Italia risorge perché in Italia vi è una cosa che non è in tutti i paesi: il lavoratore italiano. Questa povera gente, che spesso non ha avuto istruzione sufficiente, composta da lavoratori frugali, resistenti e tenaci. Purtroppo nelle condizioni attuali l’emigrazione ci sottrae molti elementi preziosi. I paesi industriali vogliono ciò che di meglio noi abbiamo. Quanta ricchezza perduta per noi! Ma la grande massa dei lavoratori unskilled è disposta sempre a lavorare anche in opere faticose, ciò che non accade in non pochi paesi, dove il rendimento del lavoro diminuisce. Molti americani hanno rilevato come i nostri contadini, gli operai e i nostri lavoratori cercano con ogni mezzo di costruire e la loro attività è rivolta sempre ad uno sforzo continuo. Questi americani mi hanno detto: il vostro Paese non può cadere perché ha questa massa di ottimi lavoratori, che nelle privazioni e turbati da propagande di ogni natura non si allontanano dal lavoro…

CALOSSO. È cattiva la classe dirigente. Bisognerebbe provarsi a cambiarla.

NITTI. Purtroppo perdiamo lavoratori eccellenti e tra i migliori. Dicevo che gli americani prendono il meglio e così gli altri paesi; perché essi distinguono tra lavoratori scelti e quelli che non lo sono, distinguono tra unskilled e skilled, e naturalmente scelgono questi ultimi. Ma rimangono a noi tanti lavoratori solidi, tenaci e di vere attitudini.

Io vorrei scrivere, se avessi il tempo, dei lavoratori italiani con cui sono stato in contatto in un centro difficile come Parigi. Non erano amati dagli operai francesi e spesso diffidati. E perché non erano amati? Perché li consideravano «crumiri». Non si ubriacavano, risparmiavano e cercavano farsi con il risparmio una posizione che li mettesse al sicuro. Quando fu introdotta la settimana di 40 ore, i lavoratori italiani che venivano a vedermi ne facevano 48 o 50. Non per crumiraggio, bensì agivano e lavoravano con lena pensando all’avvenire. Ho visto operai che dal sabato al lunedì, non uscivano per costruirsi, associandosi a loro parenti, una casa di abitazione, per abitarla e anche in parte per affittarla. Quanti di questi operai ho conosciuti e che erano muratori, falegnami, perfino un marinaio di Salerno. Quegli operai italiani che sono andati per il mondo e che vanno ancora per il mondo rappresentano, quando è loro possibile, un grande esempio di laboriosità e di capacità. Un popolo così resistente nelle privazioni, così tenace nel lavoro come può soccombere? Lavoratori siffatti che vivano in Italia o siano già all’estero sono la grande forza di resurrezione.

Io credo fermamente nella resurrezione dell’Italia. Essa giungerà a salvarsi dopo tante delusioni e dopo tanti dolori.

Io sono stato spesso accusato di pessimismo, eppure nessuno ha più di me fiducia nell’avvenire. Ma la mia passione della realtà domina sempre la illusione. Sono spesso aspro perché resisto alle illusioni che avvelenano il paese, e le mie constatazioni sono penose. Ma nessuna delle previsioni che ho fatto e che sono solo constatazioni è stata mai smentita dai fatti!

A questo punto una domanda legittima mi può essere rivolta: come io voterò? La domanda è lecita e vi devo dire che sono in imbarazzo. Aspettavo ed aspetto le dichiarazioni dei Ministri responsabili che mi illuminino sui propositi del nuovo e in tanta parte vecchio Ministero. Io odio le crisi, e l’onorevole De Gasperi sa che mai ho cercato di creargli imbarazzo, come pure non l’ho creato al suo predecessore. Le crisi ministeriali in un’Assemblea come la nostra fanno spesso più male che bene: succede un Governo peggiore di quello che va via. Per me il Governo non ha nessuna personale attrazione e sono lieto di servire il Paese modestamente, semplicemente, spesso anche antipaticamente, per l’amore della verità che mi costringe a essere severo.

Ora, come voterò? Io aspetto le dichiarazioni dei Ministri responsabili. Certamente non voterò contro il Governo, perché non credo prudente in quest’ora darci il lusso di una nuova crisi ministeriale.

Dunque certamente non voterò contro il Governo: ma aspetto dalle dichiarazioni dell’onorevole Einaudi e dei suoi collaboratori di sapere quale è il vero programma del Governo. Allora, se non potrò votare in favore del Governo, io mi asterrò. (Applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta d’urgenza:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti sono stati presi contro i violatori della libertà di riunione e di parola che provocarono i noti incidenti del 15 corrente a Livorno in cui Beverelli Paolo, della locale sezione del Partito cristiano sociale, accorso in difesa dell’onorevole D’Aragona che commemorava Giacomo Matteotti, venne selvaggiamente aggredito, malmenato e denudato.

«Bruni».

«Al Ministro dell’interno, per conoscere in base a quali disposizioni e da chi emanate i carabinieri di Quarto di Marano (Napoli) nella mattina del giorno 28 maggio scorso hanno proceduto, senza esibire alcun mandato di autorità giudiziaria né ordini superiori, a una serie di perquisizioni domiciliari nella casa di numerose famiglie di iscritti al Partito socialista italiano, perquisizioni tutte compiute con esito negativo e dirette, a detta dei procedenti, al rinvenimento di armi.

«E per conoscere se non ritenga che tale atto, non conforme alle norme procedurali e avente carattere di prevenzione di parte e che ingenera sfiducia e discredito verso gli organi incaricati dell’ordine pubblico, non meriti la sanzione disciplinare opportuna.

«Sansone, Cacciatore, Mancini».

«Al Ministro dei lavori pubblici, per sapere se è a sua conoscenza che, a circa un chilometro da Colleferro, i lavori di ricostruzione del ponte sul fiume Sacco, iniziati da oltre un anno, sono condotti con lentezza, disinteresse e noncuranza della pubblica incolumità, sì da provocare, in questi ultimi tempi, ben sei seri gravi incidenti automobilistici; e per sapere quali provvedimenti intenda adottare per punire i responsabili di tali trascuraggini e prevenire, con opportuni servizi di segnalazione, altri disastri.

«De Martino».

Prego i membri del Governo presenti di comunicare queste interrogazioni ai Ministri cui sono rivolte, affinché possano far conoscere quando intendano rispondere.

Domani vi sarà seduta alle 10, per lo svolgimento di alcune interrogazioni urgenti, e alle 16.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle altre interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere quando verrà approvato il decreto che disporrà la fusione dell’Istituto degli orfani dei maestri elementari con l’Istituto nazionale di assistenza magistrale. Tale fusione è attesa da tutta la classe magistrale d’Italia fin dal novembre 1945, sia per far cessare la gestione commissariale che dura da oltre 7 anni, sia per la riforma dei due Istituti e per il potenziamento delle forme assistenziali in questo difficile periodo d’emergenza, in cui si sente più forte il bisogno d’una efficace assistenza. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Persico».

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, per conoscere se non ravvisino l’opportunità di riesaminare il provvedimento, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, concernente la carriera del personale di ruolo dei Convitti nazionali.

«Il provvedimento ha peggiorato la carriera di codesta categoria di educatori, e non ha tenuto in alcun conto le richieste da essi avanzate.

«Se si tenga presente l’attuale stato del ruolo del personale direttivo dei Convitti, gli istitutori – e specialmente quelli entrati in ruolo nel 1942 – dovrebbero attendere ben 40 anni per essere promossi ai gradi di vicerettore e di rettore, seguendo le norme del provvedimento citato; mentre, per le disposizioni ancora vigenti, essi potrebbero, dopo sei od otto anni di servizio, mediante concorso per merito distinto o idoneità, aspirare al posto di rettore, capo d’Istituto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bozzi».

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga un dovere d’urgente giustizia distributiva accontentare i numerosi piccoli proprietari ed affittuari, i quali segnalano l’impossibilità di sostenere l’onere dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, testé posta in riscossione; e chiedono che, previa determinazione di un «minimo imponibile esente», venga «procrastinata la riscossione» dell’imposta medesima, «dilazionandone congruamente il pagamento».

«Se si consideri che l’imposta predetta colpisce anche i piccoli patrimoni (da lire 100 mila in su), che le piccole proprietà rappresentano oltre il 54 per cento dei patrimoni inscritti a ruolo e che tali patrimoni sono costituiti da piccole estensioni di terreno o da modesti appartamenti, risulta evidente la fondatezza della richiesta che venga riconosciuto un minimo valore patrimoniale esente, analogamente a quanto la legge ha previsto agli effetti dell’imposta patrimoniale straordinaria progressiva.

«L’iniquità dell’imposizione in parola nei confronti dei piccoli patrimoni, di quelli – soprattutto – costituiti da beni rustici, a carico dei quali è in corso di riscossione anche il raddoppio dell’imposta erariale e delle sovrimposte provinciali e comunali, in conseguenza della rivalutazione degli estimi predisposta con decreto legislativo presidenziale 12 maggio 1947, n. 356, si manifesta in tutta la sua gravità, solo che si consideri che, mentre agli effetti della straordinaria progressiva sono stati stabiliti dei minimi esenti, e anche più o meno congrue dilazioni per il pagamento del tributo, non altrettanto si è ritenuto di fare nel campo di un’imposta straordinaria, alla quale sono assoggettati, praticamente, i patrimoni che sui ruoli dell’anno 1946 figuravano compresi per cifre di lire 10 mila in su. Ciò significa il sacrificio della piccola e media proprietà, gravata da oneri fiscali e da pesi di carattere sociale, che nel loro complesso hanno ormai raggiunto il massimo limite di tollerabilità.

«Se a questi gravami si aggiunga l’imposta proporzionale del 4 per cento senza una doverosa discriminazione delle entità patrimoniali oggetto del tributo, si finirà per condannare ad un inevitabile indebitamento o, peggio, ad un’espropriazione di beni, proprio tutti quei piccoli risparmiatori e lavoratori che, a prezzo di gravi sacrifici e col frutto di un’intera vita di lavoro, hanno costituito per sé e per i propri figli un modesto peculio familiare, ben degno di rispetto e di tutela.

«È dunque doveroso che le condizioni di gravissimo disagio dei piccoli e medi proprietari ed affittuari vengano tenute in conto agli effetti di una giusta modificazione delle norme stabilite dal decreto legislativo presidenziale 29 marzo 1947, n. 143.

«Gli interroganti fanno presente che l’accoglimento della predetta richiesta con l’urgenza del caso è consigliato anche dalla considerazione che il vivissimo malcontento determinatosi in seno alle categorie interessate può determinare forme di protesta che è indispensabile evitare. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).

«Scotti Alessandro, Perrone Capano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se non intenda:

1°) rivedere la situazione dei pensionati dello Stato che, non avendo raggiunto i 60 anni di età ed essendo stati allontanati dal servizio attivo per ragioni indipendenti dalle loro volontà (esempio, ragioni di salute), vengono privati della intera corresponsione degli aumenti, che per ragioni contingenti il Governo ha concesso dall’aprile 1945 a tutto oggi;

2°) modificare l’articolo 18 del decreto Parri, 21 novembre 1945, n. 722, nel senso di ripristinare a favore dei pensionati stessi il trattamento e gli aumenti che a questa categoria competono e vengono o verranno concessi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Rodinò Mario».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali è stata chiesta la risposta scritta, saranno trasmesse ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 20.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 10:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

LUNEDÌ 16 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLII.

SEDUTA DI LUNEDÌ 16 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedi:

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Risposte scritte ed interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Colitto                                                                                                             

Scoccimarro                                                                                                    

Benedettini                                                                                                      

Cianca                                                                                                              

Presidente                                                                                                        

Crispo                                                                                                               

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Costantini                                                                                                        

Sardiello                                                                                                         

Sui lavori dell’Assemblea:

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Uberti                                                                                                               

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 16.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Comunico che hanno chiesto congedo i deputati: Cimenti, Colonnetti, Gasparotto, Mariani, Saragat, Tremelloni, Caroleo e Arata.

(Sono concessi).

Comunicazioni del Presidente.

PRESIDENTE. L’onorevole Eugenio Reale, non potendo essere presente oggi, mi ha scritto per precisare che nel resoconto della seduta di venerdì scorso il suo nome figura erroneamente fra coloro che hanno votato a favore dell’ordine del giorno Selvaggi, mentre egli ha votato contro.

Comunico che, in sostituzione dell’onorevole Grassi, nominato Ministro di grazia e giustizia, ho chiamato l’onorevole Bozzi a far parte della Giunta delle elezioni e l’onorevole Reale Vito a far parte della Commissione per la Costituzione, nonché della Commissione per l’esame delle leggi elettorali.

Comunico, infine, che ho chiamato l’onorevole Morelli Renato a far parte della Commissione per l’esame delle leggi elettorali, in sostituzione dell’onorevole Lucifero, dimissionario, e l’onorevole Zuccarini della terza Commissione permanente per l’esame dei disegni di legge, in sostituzione dell’onorevole Santi, il quale è passato al Gruppo parlamentare misto.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

PRESIDENTE. Comunico che i Ministri competenti hanno inviato risposte scritte a interrogazioni presentate da onorevoli deputati.

Saranno pubblicate in allegato al resoconto stenografico della seduta di oggi.

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Colitto. Ne ha facoltà.

COLITTO. Onorevoli colleghi, il mio intervento nella discussione sarà brevissimo. Mi sono, or è qualche mese, rivolto con una interrogazione al Presidente del Consiglio ed al Ministro delle finanze e del tesoro, per conoscere i loro propositi – dopo anni di attività, che, per essere stata frammentaria, avrebbe scoraggiato, come si è detto e si è scritto, la privata iniziativa e avrebbe anche rallentato il ritmo della ricostruzione – circa il problema, che va diventando sempre più scottante, del risarcimento dei danni, che la guerra, nella sua furia scientificamente di struggitrice, ha recato ovunque nel nostro Paese.

Il problema – chi non lo sa? – è veramente un grosso problema. Basti considerare che la guerra ha ruinato la quattordicesima parte delle abitazioni esistenti nel 1931, che i danni ammontano ad oltre tre miliardi di lire italiane, che interessati sono circa sei milioni di cittadini.

Le parole pronunziate dall’onorevole De Gasperi in proposito, nel suo discorso, mi sono sembrate come una risposta a quella mia interrogazione. «È nostro dovere» – egli ha detto – «di non dimenticare i danneggiati di guerra». E, dopo aver ricordato le erogazioni finora effettuate, ha testualmente aggiunto: «Si è elaborato un provvedimento organico, che il Governo esaminerà per poter accertare entro quali limiti di tempo e di misura sia possibile compiere uno sforzo più intenso e più sistematico».

Ma siano o non siano tali parole risposta alla mia interrogazione, io le considero tali, e dichiaro che della risposta sono sodisfatto, ma solo parzialmente.

Le disposizioni vigenti in materia di risarcimento di danni e di ricostruzione non può dirsi certo che rispondano a un criterio di organicità, né può dirsi che gli sforzi sin oggi compiuti siano stati compiuti sistematicamente.

Di qui la mia soddisfazione nell’apprendere che è pronto un provvedimento legislativo organico e che il governo si propone di compiere uno sforzo, oltre che più intenso, più sistematico.

Era tempo, per la verità, che lo Stato a ciò provvedesse.

Pensate. Manca in materia una legge: vi sono capitoli di una legge, vi sono, rectius, anticipazioni di una legge; ma una legge non c’è. Una legge esisteva. Mi riferisco alla legge 26 ottobre 1940, n. 1543, emanata dal Governo fascista, con la quale lo Stato assunse l’impegno di concedere alle persone fisiche e giuridiche, aventi rispettivamente cittadinanza e nazionalità italiana, il risarcimento per la perdita, la distruzione, il deterioramento di cose mobili e immobili, in quanto conseguenza di un qualsiasi fatto della guerra.

Ma tale legge, sebbene non abrogata esplicitamente, non ha potuto di fatto dal 1945 essere più applicata, essendo via via divenuti sempre più imponenti i danni sofferti dall’Italia, danni che, al momento dell’emanazione della legge, bisogna riconoscere che non furono per nulla previsti.

Si sarebbe, quindi, dovuto riformare tale legge, aggiornandola. Ciò non si è fatto; ma si è emanata tutta una serie di provvedimenti sporadici, quasi di emergenza, sarei per dire di pronto soccorso, con i quali si è cercato di recare ausilio alla ricostruzione in determinati settori, come in quello dell’industria, in quello della marina mercantile, in quello dell’agricoltura ed in quello dei trasporti.

Una legge disciplinatrice dell’intera materia adunque non c’è. Sì che, ad esempio, per la ricostruzione degli edifici distrutti dalle azioni belliche, non si ha ancor oggi la norma da applicare. E, in genere, una volta chiusa la fase statistico-istruttoria di una pratica per risarcimento di danni, nessuna parola precisa e definitiva può essere pronunciata, che permetta al danneggiato di conoscere quali le speranze da coltivare o le illusioni da abbandonare, perché appunto manca la legge.

Le disposizioni esistenti, poi, non può, in coscienza, affermarsi che rappresentino, sia singolarmente considerate sia considerate nel loro complesso, la quintessenza della perfezione. Sono anzitutto molto numerose. E poi ve ne sono alcune di dubbia utilità, altre non adeguate, altre fra loro contrastanti, sì che – in definitiva – il danneggiato, se proprio non è munito di un chiaro, preciso e completo vademecum, assai difficilmente riesce ad orientarsi nel labirinto ed a trovare la giusta via.

Assai difficilmente, anche perché della ricostruzione si occupano uffici ancorati presso almeno nove dicasteri (Africa Italiana, Agricoltura, Lavori Pubblici, Esteri, Trasporti, Industria e Commercio, Interni, Marina Mercantile, Tesoro), a ciascuno dei quali corrispondono molto spesso uffici diversi alla periferia.

Il danneggiato, in conseguenza, che voglia godere delle concesse agevolazioni, è costretto a presentare tante domande ed a seguire lo svolgimento di tante pratiche, quante, per così dire, sono le cose o i generi delle cose, che gli eventi bellici gli hanno danneggiato o distrutto. Ha subito danni ai mobili della sua casa di abitazione? Ebbene, occorre rivolgersi al Sottosegretariato per i danni di guerra. Ha subito danni ad una casa colonica? Occorre richiedere l’intervento del Ministero dell’agricoltura. E, se i danni sono stati recati ad un fabbricato urbano, la competenza è del Ministero dei lavori pubblici.

Rileverò qui, fra parentesi e quasi in sordina, due cose, delle quali dovremo ricordarci al momento opportuno: la prima, che al Sottosegretariato per i danni di guerra è stata riservata la leva di manovra più inefficiente, essendosi esso occupato solo dei danni ai mobili delle civili abitazioni; la seconda, che gli otto miliardi, da esso anticipati ai danneggiati, non sono serviti all’acquisto dei mobili, che, data l’irrisorietà degli anticipi, non potevano più essere acquistati, ma sono serviti ad alimentare le attività speculative, che sono molto vicine a quello, che si suole chiamare mercato nero.

Vi sono, poi, pratiche, le quali, per i vari aspetti sotto cui si presentano, debbono passare attraverso uffici diversi di diversi dicasteri. Una pratica riguardante i danni sofferti da un asilo infantile ha dovuto, in questi ultimi mesi, passare attraverso gli uffici di ben sette ministeri!

E ancora più intricata la situazione appare, ove si consideri che chi chiede il contributo per riparare o ricostruire non perde il suo diritto al risarcimento del danno, donde oggi la esistenza di una infinità di procedure parallele, e domani la necessità di conguagli, destinati a diventare sempre più difficili ed arbitrari col variare del valore della lira.

È inutile, infine, sottolineare, a mo’ di conclusione, che rebus sic stantibus, è da escludere che vi sia stata in materia unità di comando e di indirizzo. Altro che unità! Sono stati assegnati 25 miliardi per la ricostruzione nel settore industriale, 3 miliardi per la ricostruzione nel settore della marina mercantile, 12 miliardi per la ricostruzione nel settore dell’agricoltura, 14 miliardi sono stati dati in gestione esclusiva all’IMI con l’incarico di finanziare la riconversione industriale. Ora i vari dicasteri, che si sono occupati della cosa, e l’IMI, hanno svolto attività l’uno indipendentemente dall’altro, hanno agito ciascuno per proprio conto. Nessuna visione unitaria del da farsi. Al posto dell’unità, anzi, la massima varietà, rispecchiante anche – perché negarlo? – la varietà di colore dei dirigenti i vari dicasteri, che spesso hanno perduto il senso della propria responsabilità, esaurendo le loro energie nella faida elettorale, invece di guardare al Paese come ad un più vasto ordito di interessi nazionali.

Era tempo, quindi, come, dicevo, che si provvedesse.

È giunta, pertanto, opportuna la parola del Presidente del Consiglio ad annunziare un testo di legge, che è stato da lui qualificato «organico».

Non lo conosco. Se è quello predisposto dalla diligenza e dalla competenza dell’onorevole Braschi, che ha diretto il Sottosegretariato di Stato per i danni di guerra, ne so quanto è giunto a me attraverso comunicazioni ed indiscrezioni di stampa.

La nuova legge, secondo queste, sarebbe una specie di testo unico, che, raccogliendo e riordinando le norme disseminate in una cinquantina di provvedimenti, trasformerebbe, aggiornandola, la legge del 1940, esaminando e risolvendo il problema in una visione unitaria di insieme, su un piano realistico, in modo preciso.

Il risarcimento dei danni ai mobili avrebbe luogo per intero fino ad una certa cifra e parzialmente al di là di essa, in base a liquidazioni dell’intendenza di finanza con l’ausilio di commissioni, che sarebbero ricostituite (voglio augurarmi che subito dopo i mobili di civile abitazione si pensi agli strumenti di lavoro), mentre per gli immobili sarebbero previste dalla legge anticipazioni attraverso un particolare congegno creditizio – che oso sperare prescinda da opportunità politiche ed elettorali, puntando unicamente su competenze riconosciute e su esperienze acquisite – e con ammortamenti, in cui lo Stato interverrebbe pro quota.

La legge così non accoglierebbe il duplice voto, che da qualche parte, anche di recente, è stato formulato.

Il primo voto è che si conceda un risarcimento integrale in conformità di quella parte della dottrina, per la quale i danni di guerra derivano come rapporto di causa ad effetto dall’atto di volontà dello Stato, che costituisce il rapporto bellico, e in conformità dell’impegno assunto dallo Stato con la legge del 1940, con la quale effettivamente lo Stato, pur escludendo dalla valutazione del danno il lucrum cessans e tenendo conto solamente del damnum emergens, lasciò intendere che sarebbe intervenuto in guisa da assicurare al danneggiato una restitutio in integrum. Non è giusto, d’altra parte, si dice, che alcuni danneggiati abbiano conseguito il risarcimento totale ed altri lo debbano avere soltanto parzialmente. E non mancano persone, che vedono nella limitazione del concorso statale un freno alla ricostruzione dei grandi caseggiati distrutti, per la qual ragione soltanto esisterebbero ancora, a loro giudizio, una quantità di fabbricati, ridotti allo stato di ruderi, che, mentre le intemperie lavorano ad aggiungere lesioni e franamenti e pericoli nuovi, si levano come braccia moncherino verso il cielo, quasi protesta permanente contro la ignavia degli uomini. Il secondo voto è che al risarcimento del danno si disponga che debbono concorrere tutte le proprietà in base al principio mutualistico, che è una delle caratteristiche della civiltà moderna. È tutta la Nazione – si dice – che deve pagare, fiera di compiere, nella sventura di una parte dei suoi figli, il dovere della solidarietà nazionale. Se alcuni soffrirono, gli altri non debbono dimenticare che i primi soffrirono anche per loro. Quello che ieri incolse agli uni, potrebbe, del resto, domani – quod Deus avertat! – intervenire per gli altri. Comuni, inoltre, sarebbero stati i vantaggi, se la fortuna avesse sorriso alle sorti d’Italia. La nuova legge, invece, a quanto pare, tale duplice voto non accoglie. Solo per i mobili – come si è detto – e fino ad un certo limite consentirebbe un risarcimento totale e non farebbe ricorso al criterio della mutualità e, quindi, ad una imposta speciale per la provvista del denaro occorrente. Forse non a torto. Lo Stato può avere il più simpatico proposito di risarcire in toto i danni; ma non può evidentemente dimenticare le sue possibilità economico-finanziarie. Lo Stato non può, inoltre, fare distinzione, né in teoria né in pratica, fra i molteplici suoi fini e non può, quindi, nell’amministrazione finanziaria tenere distinto dagli altri il gettito della particolare imposta, che dovrebbe istituirsi per provvedere al risarcimento dei danni di guerra.

Ma su ciò avremo occasione di ritornare, quando la legge sarà discussa. Quello che occorre ora è che la nuova legge sia presentata e che il Governo si prepari a fare del suo meglio per adempiere agli impegni assunti o che andrà ad assumere nei limiti più larghi, che le capacità finanziarie del Paese permettano, secondo condizioni, che la legge detti con chiarezza e precisione, augurandoci che non sorgano difficoltà per la provvista dei mezzi occorrenti per il funzionamento del congegno, del quale ho parlato.

A fianco della cosidetta grande politica dei lavori pubblici avrà così inizio subito anche una ordinata, concreta, feconda politica di lavori privati. Avrà luogo così, alfine, la ricostruzione del patrimonio edilizio nazionale, risorgeranno i lavoratori, avranno il loro riassetto le private imprese. La vita della Nazione assumerà così, in generale, nuovamente quel ritmo di vitalità, che la civiltà odierna imprime.

La ricostruzione dei patrimoni dei singoli individui significa ricostituzione delle sorgenti vive della produzione della ricchezza e sarà, pertanto, una spinta davvero effettiva alla tanto auspicata ricostruzione dell’economia del Paese e di restaurazione per un domani non lontano delle fonti del reddito, cui la finanza – anche questo non va dimenticato – deve attingere per i bisogni del tesoro.

Ma perché ho detto che sono sodisfatto solo in parte? Perché il Presidente del Consiglio, mentre ha dichiarato che il Governo si propone di svolgere in materia un’azione più intensa e più sistematica, ha poi soppresso l’organo, che la deve svolgere, cioè il sottosegretariato di stato per i danni di guerra. In Francia esiste un ministero della ricostruzione. Dopo l’altra guerra, nel 1919, per cinque provincie danneggiate – e i danni di allora furono un’inezia nei confronti degli attuali – fu creato il Ministero delle terre liberate. E oggi che il Paese è stato dall’un capo all’altro danneggiato, si sopprime l’unico organo esistente, che possa coordinare e dirigere l’azione, che s’intende svolgere. È evidente che senza l’organo, titolare della funzione organica, intensa, sistematica, da svolgere, tutto rimarrebbe relegato nel limbo delle buone intenzioni.

Di qui preoccupazioni in ogni parte del Paese.

Mi risulta che si sono agitate l’Associazione nazionale danneggiati di guerra, avente la sua sede in Roma, e la Unione nazionale sinistrati di guerra, avente la sua sede in Napoli.

A me pare, invece, che, una volta emanata la legge, occorra rafforzare i compiti del sottosegretariato, unificandosi tutti i servizi o gli uffici sparsi nel Paese, sì che al da farsi si provveda con un’unità di comando, veramente efficiente, e con unità di indirizzo.

La emananda legge, nelle sue esigenze esecutive, dirà quale configurazione più precisa dovrà assumere l’organo di governo, che oggi si identifica col predetto sottosegretariato, se, cioè, debba questo diventare un Ministero od un Alto Commissariato autonomo. Ma un organo, che abbia la forza ed il prestigio sufficiente per disciplinare, si ripete, in unità di comando e di direttive, tutti gli uffici oggi operanti, per così dire, in ordine sparso nelle varie amministrazioni dello Stato, vi deve pur essere, è indispensabile che vi sia.

Onorevoli colleghi, si è già perduto troppo tempo. Ulteriori indugi non dovrebbero essere consentiti. Le sciagure del Paese richiedono un intervento urgente e soprattutto energico, deciso, unitario. Che questo intervento vi sia, legale e amministrativo. Esso gioverà, oltre tutto, a salvare quello che è ancora salvabile ed a realizzare altresì – evitandosi o correggendosi errori, sperequazioni, favoritismi, arbitrî – un ideale di giustizia, che è poi sempre l’ideale, che illumina la via ad ogni popolo civile. (Applausi a destra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Scoccimarro. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. È la prima volta che questa Assemblea si trova dinanzi a un mutamento di Governo che segna una svolta importante nella direzione politica del Paese, e tuttavia non le è stata data occasione e possibilità né di valutarne preventivamente le ragioni, né di dare una qualsiasi indicazione di merito.

Ciò è tanto più grave in quanto la crisi di maggio segue a pochi mesi la crisi di gennaio e l’una e l’altra si sono svolte al di fuori di questa Assemblea, e l’una e l’altra si sono determinate proprio nel momento critico in cui la situazione economica e finanziaria esigeva particolari provvedimenti di Governo, il cui difetto è stato di grave pregiudizio agli interessi generali del Paese.

È questa pura coincidenza casuale? Non so: questo è il segreto dell’onorevole De Gasperi. Ma, prescindendo da ogni considerazione soggettiva e limitandomi alla valutazione obiettiva dei fatti, devo constatare che un serio e grave danno è stato arrecato al Paese e che un danno ancora maggiore si arrischia di infliggergli per l’avvenire, per cui a questa Assemblea si pone un problema di responsabilità. L’Assemblea rappresentativa non può assistere inerte e passiva al succedersi di crisi governative di cui ignora persino le origini; non può ammettere di essere ridotta alla funzione di «notaio» che registra a posteriori quanto si fa al di fuori e indipendentemente da essa; non può tollerare di essere esclusa da ogni suo intervento preventivo nella formazione del Governo; non può rinunciare a giudicare l’opera dei Governi nell’attuazione dei programmi sulla base dei quali essa ha dato la sua fiducia; infine non può ignorare l’esigenza, che sorge dal Paese, di far luce su queste strane crisi governative, a giustificazione delle quali si adducono motivi che non giustificano nulla e che si palesano sempre più come pretesti o artifici polemici atti piuttosto a mascherare la realtà, a creare una cortina di nebbia che ricopre e nasconde le vere ragioni del malessere e della instabilità politica di cui soffriamo.

Come porre termine a questo stato di cose? Non certo, con la formazione di un Governo come l’attuale, il quale non risponde né alla situazione obiettiva del Paese, né alla volontà della maggioranza del popolo italiano. Il quale oggi si domanda: quali sono le vere cause della crisi? – quale il suo valore e significato? – quali conseguenze ne possono derivare nello sviluppo della situazione politica in Italia? L’onorevole De Gasperi ci ha detto che un giorno, dopo un accurato esame della situazione economica e finanziaria, di fronte a manifestazioni concrete di sfiducia, ha creduto di vedere il fondo dell’abisso dell’inflazione: era necessario riconquistare fiducia all’interno ed all’estero.

Io non so se l’onorevole De Gasperi ha soltanto creduto di vedere l’abisso dell’inflazione, o lo ha visto realmente o glielo hanno fatto vedere coloro che potevano avere interesse a farlo. Certo è che queste parole danno l’impressione che egli abbia avuto un momento di smarrimento e di panico: e la paura, si sa, è cattiva consigliera. Invece di prendere provvedimenti adeguati egli rovescia il Governo. In verità la causa della crisi è da ricercarsi nella capitolazione della democrazia cristiana di fronte all’offensiva delle forze conservatrici e reazionarie. Sono quelle stesse forze che prima del 2 giugno si sono battute sotto la bandiera della monarchia e poi, sconfitte sul terreno istituzionale, si sono rivestite di panni repubblicani ed hanno continuato ad agire sabotando e paralizzando l’azione del Governo per dare alla Repubblica un contenuto conservatore e antipopolare: ora hanno conquistato una prima posizione con l’attuale Governo, e di qui tenteranno di muovere verso nuove conquiste.

Pericolosa illusione! Non bisogna confondere le maggioranze occasionali che possono determinarsi in questa Assemblea con il reale rapporto di forze esistente nel Paese. Qual è il valore ed il significato della crisi? Nel nostro Paese si era creata una contraddizione fondamentale. Dopo il crollo del fascismo, l’insurrezione liberatrice, ed il rovesciamento della monarchia, era crollata in Italia la sovrastruttura politica che garantiva il predominio politico dei gruppi monopolistici e plutocratici, i quali però conservano nelle loro mani le leve di comando del mondo economico. In tale situazione si sono trovati di fronte due programmi: il nostro, quello dei partiti di sinistra, che tende ad adeguare il mondo economico alla nuova realtà politica nello spirito della solidarietà nazionale e nell’interesse generale del Paese; quello della destra conservatrice che tende a riadeguare la situazione politica alla immutata realtà economica, riportando la direzione politica del Paese nelle mani delle vecchie classi dirigenti.

In questo contrasto sta il senso profondo della lotta politica svoltasi in questo primo anno di vita della Repubblica. Qui è da ricercarsi il significato vero della crisi: per la prima volta noi abbiamo un Governo, che segna un primo passo verso la realizzazione del programma delle forze conservatrici e reazionarie. Quali possono esserne le conseguenze? Le conseguenze possono essere gravi. La coscienza delle masse popolari ha raggiunto un livello di maturità politica tale da comprendere perfettamente il dilemma che oggi si pone dinanzi ad esse: creazione di una democrazia popolare che tragga forza e autorità dalla coscienza del popolo lavoratore a cui assicura possibilità di tutti i progressi per l’avvenire, oppure instaurazione di una democrazia conservatrice, antipopolare che si impone dall’esterno alla coscienza delle masse popolari, di fronte alle quali si erige come un ostacolo sempre pronto a far resistenza ad ogni loro passo in avanti? In sostanza il problema, messo in termini Crudi, è questo: nel nuovo regime democratico si vuol riconoscere alle classi lavoratrici il diritto di divenire legalmente e democraticamente una delle forze dirigenti del Paese? Questa crisi ci rivela che vi sono in Italia forze sociali che negano questo diritto.

Una voce a destra. Chi l’ha detto?

SCOCCIMARRO. A confermarlo, onorevoli colleghi, c’è questo fatto: nei giorni in cui la crisi ha avuto la sua soluzione, alcuni organi di stampa, per esempio del partito dell’«Uomo qualunque», esprimevano questo concetto: finalmente i partiti di sinistra sono stati riportati alla loro funzione naturale di opposizione e di critica.

Ora, chi ha detto che la funzione naturale dei partiti di sinistra è di essere sempre all’opposizione e di dover fare solo opera di critica? Questa è una concezione che presuppone uno stato di servitù permanente delle classi lavoratrici. I lavoratori non l’accettano. Noi pensiamo che in questo momento storico la funzione dei partiti di sinistra, in quanto rappresentanti diretti delle classi lavoratrici, può anche essere quella dell’opposizione e della critica, quando il responso elettorale li pone in tale condizione, ma può anche essere quella di forza dirigente dello Stato.

GIANNINI. Dopo aver vinto le elezioni!

Una voce a sinistra. Come voi! L’onorevole Einaudi le ha vinte forse?

SCOCCIMARRO. L’aver posto tale problema in forma così brutale può avere senza dubbio gravi conseguenze nel senso di inasprire la tensione dei rapporti politici, di esasperare tutte le contradizioni e i contrasti di classe.

Oh! Non si tema, e nemmeno si speri, che comunisti e socialisti, perché estromessi dal Governo, si lancino a testa bassa in una politica di avventure. Non siamo né folli, né sciocchi. (Approvazioni a sinistra). Però dobbiamo pure dirvi: non fatevi illusioni, la via per la quale vi siete messi non vi darà la fiducia e la solidarietà dei lavoratori italiani.

Per quella via non si costruisce una solida Repubblica democratica in Italia. Al di là di tutte le intenzioni – che sono fuori discussione – i fatti hanno una loro logica inesorabile a cui non si sfugge e saggezza politica vuole che se ne tenga conto.

Voi avete fatto un passo falso. Ritraetevi indietro. Siete ancora in tempo.

Ma, si dice, perché mai il nuovo Governo non risponde a una norma democratica? Esso si presenta all’Assemblea per avere un voto di fiducia e subordina la sua permanenza al potere a questo voto.

Formalmente è vero; sostanzialmente le cose stanno diversamente. Quando il 2 giugno ci siamo presentati al popolo per chiederne i suffragi, il programma col quale anche voi democristiani vi siete presentati indicava un indirizzo preciso: il partito democratico cristiano oggi abbandona il suo programma del 2 giugno e si incammina per la via opposta. Limitandoci al solo terreno economico, i democratici cristiani erano, come noi, in contrasto specialmente col partito liberale, affermando la necessità dell’intervento dello Stato nel riordinamento economico del Paese.

Ebbene, noi oggi dobbiamo constatare che la direzione della politica economica e finanziaria del Governo è affidata ad un uomo che in Italia è il più puro, più coerente, più conseguente rappresentante di quella politica economica liberista contro la quale, il 2 giugno, si sono pronunciati più del 75 per cento degli elettori.

Questo può avvenire perché i 207 deputati democristiani non hanno tenuto fede al mandato del 2 giugno. Non basta richiamarsi al programma del Governo; noi sappiamo per esperienza che voi avete un modo tutto vostro particolare di mantenere gli impegni…

VALENTI. È molto diverso dal vostro.

SCOCCIMARRO. Si è anche detto che bisognava cambiare Governo, perché il tripartito è fallito, che bisognava finirla con la così detta partitocrazia. Ora, io mi domando se veramente è esistito in Italia il tripartito. Vi sono stati dei Governi sul programma dei quali avevano concordato, più o meno, tre o quattro partiti; ma un tripartito, che presuppone un patto fra tre partiti, non è mai esistito. Da parte nostra si è fatta diverse volte la proposta di un patto che regolasse i rapporti fra i nostri partiti, ma da parte vostra ciò è stato sempre respinto, per cui un vero e proprio tripartito non è mai esistito. Quanto alla partitocrazia ho la impressione che qui o ci troviamo di fronte ad un fenomeno di incomprensione, oppure si tratta di una mascheratura esteriore di esigenze politiche reazionarie.

Nelle condizioni storiche dei nostri tempi la democrazia non può funzionare senza i grandi partiti. All’epoca in cui gli elettori erano delle forze ancora limitate e ristrette, l’autorità di eminenti personalità, singoli organi di stampa, potevano essere elementi organizzativi sufficienti per disciplinare le forze politicamente attive; ma quando entrano sulla scena politica milioni e milioni di uomini (oggi in Italia vi sono ventotto milioni di elettori) questa vecchia forma di organizzazione non regge più. È significativo quanto sta accadendo nell’Italia meridionale, dove la vita politica era basata sulle clientele personali (anche la clientela è una forma di organizzazione): oggi queste forme di organizzazione non reggono più e sono sostituite dalle organizzazioni dei partiti. La democrazia moderna non può prescindere dai grandi partiti di massa. Essi sono un mezzo di collegamento con le grandi masse alle quali danno la possibilità di una partecipazione quotidiana alla attività politica generale, al controllo ecc. L’onorevole Piccioni ha giustamente rilevato come questa esigenza storica sta alla base anche del problema, che oggi affiora in tutti i Paesi, delle autonomie locali. Persino nei dibattiti costituzionali è sorto questo problema, per cui si è posto il quesito se si dovevano o no dettare norme costituzionali anche per i partiti. Noi non vi siamo contrari in principio: anzi vediamo in ciò il germe di forme nuove verso le quali può evolvere la democrazia moderna, ma ci pare che oggi manchino ancora le condizioni obiettive per la soluzione di tale problema.

Comunque, partitocrazia, tripartito ecc. non sono altro che pretesti: o rappresentano un fenomeno di incomprensione o sono una mascheratura di esigenze politiche conservatrici: averli accettati e fatti propri è una capitolazione dinanzi alle forze conservatrici e reazionarie.

Si è detto: occorreva un Governo di emergenza.

Ma, emergenza di che cosa? Noi siamo un Paese che sta faticosamente uscendo da una formidabile catastrofe, e la situazione dell’Italia oggi non è più grave di quanto fosse nel 1945 o 1946. Dirò di più: noi non siamo ancora arrivati al momento cruciale della nostra vita economica, che incontreremo nel 1948. La nostra situazione si ritrova in tutti i paesi che hanno subìto, come noi, la furia devastatrice della guerra. Si tratta di uno stato di «emergenza» che durerà molti anni. Non si tratta dunque di un problema di emergenza. La situazione è grave nel nostro Paese, ma non è di tale gravità quale si è voluto far credere al popolo italiano. Io non so per quale mania di autolesionismo economico e finanziario, noi da qualche tempo ci teniamo a dare agli italiani soltanto notizia degli aspetti negativi della situazione, nulla dicendo degli aspetti positivi, che pure ci sono.

Lasciamo quindi stare l’emergenza che non giustifica nulla. Si è detto anche che era necessaria una tregua politica. Ma una tregua politica, non si raggiunge costituendo un Governo che fatalmente determinerà una intensificazione della lotta politica. E quanto poi alla pretesa di costituire un Governo puramente amministrativo, questa è pura illusione. L’onorevole Giannini ha fatto della poesia sullo Stato amministrativo in un suo recente discorso a Bari e vede in questo Governo una prima realizzazione del suo ideale. Mi consenta qualche osservazione: è vero che anche noi comunisti aspiriamo ad un governo che non sia governo di uomini, ma amministrazione di cose.

Però, onorevole Giannini, questa aspirazione – che io mi auguro possa diventare un giorno realtà – presuppone determinate condizioni storiche obiettive che oggi non esistono. Presuppone, cioè, una evoluzione nell’organizzazione economica della società, in cui il contrasto fondamentale di interessi – che non nasce da cattiveria di uomini, ma, obiettivamente, da determinate forme di organizzazione economica rispondenti ad una necessità storica dello sviluppo di un Paese – questo contrasto venga superato in una nuova forma di organizzazione economica in cui si afferma l’unità e la solidarietà di interessi comuni. Tutte le volte che noi ci troviamo di fronte a contrasti di interessi fra gruppi sociali, tra classi, i problemi si risolvono sulla base di un rapporto di forze, e quindi di un rapporto politico: ovunque c’è un rapporto di forze, c’è un elemento politico.

Ora, questi contrasti esistono nel nostro Paese ed oggi è illusione pensare ad un governo che amministri e non faccia della politica.

Chi ha questa illusione – ed è al Governo – fa necessariamente della politica senza saperlo, il che è anche peggio perché così si fa la peggiore delle politiche, oppure si fa una politica che non si osa dichiarare apertamente ed allora la si ricopre con la formula dello Stato Amministrativo, la quale perciò è una ingenuità politica o un inganno.

Voi, signori del Governo, farete dell’amministrazione ed anche della politica e farete una cattiva politica. Ma non è solo questo il motivo della nostra opposizione: nella discussione come si è svolta fino a questo momento tutti si sono dichiarati d’accordo col programma del Governo riconosciuto come programma della sinistra, opponendosi invece alla costituzione del Governo da cui sono assenti proprio i rappresentanti della sinistra.

Ora, signori, io devo portare una voce nuova. Io desidero dire e spiegare le ragioni per le quali non mi soddisfa nemmeno il programma del Governo. In questi cinque mesi sono maturati nel campo economico-finanziario nuovi problemi, i quali esigono una urgente soluzione, e di questi problemi non si fa cenno nel programma del Governo.

Perché non mi soddisfa il programma del Governo? Non per le cose che dice, ma per quelle che non dice. L’onorevole Labriola ha detto giustamente che il programma del Governo non offre materia di discussione perché è un catalogo di questioni, di cui non si dice nemmeno con quale criterio saranno risolte.

Io aggiungerò: è un catalogo incompleto. E dirò di più: sul problema più grave, la difesa della lira, il programma del Governo mi soddisfa ancora meno perché la impostazione generale di tale questione mi pare inadeguata e non rispondente alla realtà.

La difesa della lira è certo la parola d’ordine più suggestiva in questo momento, in quanto riflette ed esprime le preoccupazioni più diffuse: il Paese è oggi dominato dallo spettro dell’inflazione. Ma il modo come è posto il problema risponde veramente alla situazione obiettiva?

Il programma con il quale il Governo si propone di difendere la lira è ispirato al principio di ridurre al minimo l’intervento dello Stato nella vita economica del Paese. Ora, perseguendo un tal fine, si afferma che il maggior pericolo per la nostra moneta deriva oggi dal bilancio dello Stato mentre si accenna solo di sfuggita ad altri problemi che indicano invece, a mio parere, un pericolo ben maggiore.

Con tale errata valutazione, si concentrano le forze là dove minore è il pericolo e si lasciano invece scoperti i punti più vulnerabili.

Di questo mio giudizio desidero dare la dimostrazione. Il pericolo più immediato, quello che minaccia maggiormente la nostra moneta oggi, non viene dal bilancio dello Stato, ma è piuttosto costituito dalla situazione che si è creata nel campo del credito e dalla speculazione nelle sue diverse forme. Il pericolo meno immediato, ma più grave, proviene dalla bilancia dei pagamenti internazionali. Il bilancio dello Stato è il punto di minor pericolo per la lira. Da ciò derivano tutta una serie di problemi che il Governo dovrebbe subito affrontare.

Incomincio dal bilancio dello Stato. Noi ci troviamo in questo momento nel periodo di transizione dal vecchio al nuovo esercizio finanziario. L’esercizio passato ci lascia un’eredità di 610 miliardi di disavanzo, quello nuovo si presenta con una previsione di 300 miliardi di disavanzo. Nel punto di sutura, abbiamo una situazione di tesoreria veramente seria. Essa non è però tale da non consentire al Ministero del tesoro di superarla senza perdere il controllo della situazione.

Ora, noi dobbiamo porci il quesito: perché abbiamo oggi un disavanzo ed una situazione di tesoreria così grave? È derivato ciò da incomprensione dei precedenti governi, i quali avrebbero chiesto al Paese uno sforzo per la ricostruzione superiore alle sue possibilità? Io penso di no.

I governi precedenti avevano un programma di spese ordinarie e straordinarie e di entrate ordinarie e straordinarie. Ora, che cosa è avvenuto? È avvenuto che nel campo delle spese, sia ordinarie che straordinarie, il programma si è attuato, mentre nel campo delle entrate, il programma previsto si è realizzato per le entrate ordinarie, ma non si è realizzato per le entrate straordinarie, poiché i provvedimenti relativi erano collegati al cambio della moneta, che non si poté fare per il furto dei «clichés».

Nel secondo semestre 1946 il Governo contava di realizzare determinati provvedimenti di finanziamento straordinario delle spese per la ricostruzione; il mancato cambio della moneta li ha resi impossibili e ciò è stata una cosa grave, così grave che io mi domando se non sarebbe stato dovere del Governo di accertare tutte le responsabilità. Noi abbiamo delle leggi che prescrivono determinate norme di vigilanza e controllo per la stampa dei biglietti. Quali organi e quali uomini hanno mancato di esercitare la vigilanza e il controllo prescritto per legge, tanto da rendere possibile un atto di così grave danno agli interessi generali del Paese?

Verso la fine di dicembre, sulla base del nuovo stato di previsione per il nuovo esercizio e vedendo che nuovi ostacoli sorgevano per il cambio della moneta nelle nuove forme tecniche alle quali si era pensato, si convenne – d’accordo fra il Ministero delle finanze e il Ministero del tesoro – di provvedere ad una serie di misure finanziarie indipendentemente dal cambio della moneta, pur senza escluderlo. Si elaborò un nuovo piano finanziario che poneva al centro il problema della rivalutazione delle aziende industriali ormai venuto a maturazione.

Gli obiettivi che esso si poneva erano questi: ridurre il disavanzo, normalizzare la situazione di tesoreria per l’esercizio 1946-47, creare le condizioni del pareggio del bilancio ordinario per il nuovo esercizio, e un piano triennale di finanziamenti per le spese di ricostruzione.

L’onorevole De Gasperi dovrebbe ricordare che il giorno della sua partenza per l’America, salutandolo all’aeroporto, io davo notizia a lui e all’onorevole Campilli, che proprio la sera precedente, a tarda ora, avendo ultimato i lavori per la determinazione del nuovo bilancio di previsione, avevo potuto constatare che l’obiettivo propostosi dal Governo di assicurare un minimo di 400 miliardi di entrate e il pareggio per il bilancio ordinario 1947-48 era raggiunto e se nelle conversazioni in America ciò avesse potuto servire, io avrei potuto mandargli la necessaria documentazione.

Quando l’onorevole De Gasperi fu di ritorno in Italia, gli assicurai e gli riaffermai questi risultati che poteva presentare al Paese come un successo del suo Governo.

Viceversa, qualche giorno dopo, venni a sapere alle ore diciotto che alle 16 l’onorevole De Gasperi aveva rassegnato le dimissioni del Gabinetto. Strana procedura!

La crisi di gennaio ha reso inapplicabile il piano, ha fatto perdere molti mesi, ha fatto sì che il prestito della ricostruzione rimanesse sospeso in aria senza i provvedimenti che dovevano immediatamente seguirlo. Persino i provvedimenti di adeguamento di tributi ordinari che dovevano entrare in vigore in gennaio, sono rimasti inattuati causando allo Stato, alle province, e ai comuni, solo per l’imposta sui terreni, un danno totale di sei miliardi.

E si sono persi tre mesi, lasciando passare il tempo più prezioso per provvedere alle esigenze più urgenti della situazione.

Poi che cosa si è fatto?

Io mi domando sempre perché non si è attuato quel programma che io ho esposto a questa Assemblea nel mio discorso di febbraio.

Che cosa si è fatto? Invece di annunciare al Paese il nuovo piano finanziario che avrebbe dato un senso di fiducia e tranquillità, si è preferito scatenare una campagna allarmistica. Si è data alla stampa la cifra di 610 miliardi di disavanzo, senza chiarire che quello non era disavanzo di cassa, che non bisognava temere un crollo della moneta, che avrebbe potuto essere ancora ridotta. E non si è detto nemmeno quello che diceva l’onorevole Einaudi nella sua relazione di Governatore della Banca d’Italia, che di quei 610 miliardi più di 300 rappresentavano spese di ricostruzione che potevano essere differite al futuro esercizio, non solo come residui passivi, ma anche come stanziamento di bilancio perché una parte di quelle opere non si sarebbero potute attuare nell’esercizio in corso; mentre lo stesso onere del prezzo politico del pane sarebbe stato ridotto dalla riduzione graduale del prezzo politico. Si ha l’impressione che si sia voluto gonfiare quella cifra quanto più era possibile, presentando la situazione nei suoi aspetti negativi e tacendo di quelli positivi. Così, ad esempio, da mesi continuava la campagna contro il Ministero delle finanze e non si è voluto dire al Paese quello che l’onorevole Einaudi ha detto nella sua relazione a proposito delle entrate.

Desidero leggere quello che ha scritto l’onorevole Einaudi: «Le entrate da imposte sono aumentate non solo in quantità assoluta, ma la velocità del loro incremento è stata maggiore dell’aumento dei prezzi. L’aumento è notevole nel gettito nominale, ma vi è pure un aumento sostanziale nella quantità di beni e servizi che con quel gettito si può acquistare». Egli dà degli indici dai quali risulta che mentre i pagamenti diretti passano dal primo al secondo semestre 1946 da 100 a 118, e 144 in dicembre, le entrate passano da 100 a 144 e 216 in dicembre; mentre la circolazione passa da 100 a 116 e 132 nel dicembre, le entrate da 100 a 144 e 216 nel dicembre; i prezzi all’ingrosso da 100 a 141 nel dicembre, le entrate da 100 a 216. L’onorevole Einaudi aggiunge: «la sorte della lira dipende dalla velocità rispettiva dei diversi corridori in lizza: da una parte la spesa pubblica la quale è aizzata a corsa sfrenata dal crescere rapido degli stanziamenti di bilancio fortunatamente non seguiti da erogazioni effettive; dall’altro lato le entrate, di cui quelle derivanti dal mercato monetario danno segno evidente di stanchezza, poiché passano da un indice di 100 a 81, mentre le entrate effettive aumentano da 100 a 144 e danno segni di velocità crescente ascendendo a 216 nel mese di dicembre. E nei primi mesi del 1947 la velocità cresce ancora, perché si passa da 26 miliardi a 32 di entrate mensili. E l’onorevole Bertone diceva che siamo giunti a 36. Ora, quando si è data quella cifra di 610 miliardi di disavanzo perché non si sono dette anche queste verità che pur stavano scritte in un documento notevole e si è invece data l’impressione di una situazione catastrofica? Insomma, invece di dire una parola fiduciosa, e si poteva farlo se si aveva veramente intenzione di agire con rapidità ed energia, si è preferito fare del disfattismo. Ma non basta. Il primo provvedimento da prendere era quello sulla rivalutazione delle aziende industriali: invece non si fa nulla, mentre la rivalutazione, tra il 5 febbraio ed il 5 maggio, assume tale ampiezza da portare alla distribuzione gratuita, ai soci di una settantina di società, di 1200 miliardi, con scarso beneficio per il Tesoro e sfuggendo in gran parte anche alla imposta straordinaria sul patrimonio. Il Governo assiste a questa pioggia di oro come un osservatore distratto ed indifferente. In compenso si comunica la rinuncia al cambio della moneta. E, mentre si lascia libero corso alla speculazione ed alla svalutazione della moneta, senza prendere nessun provvedimento per la stabilizzazione monetaria, si decreta in gran fretta l’imposta straordinaria, lasciando così la via aperta ad una larga evasione attraverso la svalutazione monetaria. Questo provvedimento è stato intempestivo ed inadeguato: è stato sbagliato il momento e il modo, per cui lo stesso onorevole Cappi ha posto il quesito se non convenga differire la data del 28 marzo stabilita per gli accertamenti patrimoniali. Sulla struttura della imposta straordinaria mi si permetta qualche osservazione che ho già avuto occasione di svolgere in sede di Commissione finanza e tesoro. Manca la tassazione degli enti collettivi; manca l’accertamento dei titoli e dei depositi bancari: in tanti Paesi si è sospeso, una volta tanto, il segreto bancario; in Italia non si vuole fare nulla di simile.

Inoltre, mancando l’accertamento del possesso della moneta, dei depositi e dei titoli, se ne attribuisce una parte ad ogni contribuente in base ad una percentuale del patrimonio unica per tutti, per cui avverrà che coloro che non hanno ricchezza mobiliare pagheranno l’imposta per quelli che l’hanno.

Conseguenza di tutto ciò è che con questa imposta straordinaria ancora una volta si colpisce prevalentemente la ricchezza immobiliare, lasciando sfuggire in gran parte la ricchezza mobiliare. E nel nostro Paese questa è cosa grave, perché favorisce le regioni settentrionali a danno delle regioni meridionali.

Ma c’è qualcosa di più. Agli effetti dei bisogni immediati era necessario stabilire il pagamento immediato di una quota come anticipo in attesa dell’accertamento definitivo. Invece cosa si è fatto? Si è imposto il pagamento immediato di 10 annualità dell’imposta ordinaria sul patrimonio, che è una imposta proporzionale e non progressiva, senza stabilire nessun minimo di esenzione e nessuna discriminazione di aliquote. Io so bene che la dottrina vieta tali criteri per le imposte reali. Ma confesso che io sarei più disposto a violare la dottrina, le cui conseguenze d’altronde sarebbero di secondaria importanza, piuttosto che fare una cosa simile. Bisognava stabilire un minimo di proprietà al disotto del quale non si doveva chiedere il tributo straordinario; bisognava discriminare le aliquote secondo l’entità del patrimonio.

Far pagare subito a tutti sulla base d’un tributo reale e proporzionale, rinviando invece il pagamento dell’imposta personale progressiva, significa creare una grave sperequazione a danno dei piccoli proprietari.

Badate che la cosa è seria: la finanza dello Stato si troverà di fronte a moltissimi casi nei quali il contribuente non può pagare. Molta gente dovrà vendere urgentemente la casetta, messa su coi risparmi accumulati in molti anni di lavoro. Io ricevo certe lettere che sono un grido di angoscia, come di chi sta per naufragare. Signori del Governo, impedite che questo avvenga.

A questo punto si pone un quesito. Io so che l’onorevole Campilli era favorevole al piano finanziario del dicembre: perché non lo si è attuato? Quando in Commissione di finanza e tesoro si discusse della inclusione degli enti collettivi nell’imposta straordinaria, il Ministro assicurò che per essi era pronto un provvedimento a parte. I colleghi della Commissione ricordano la motivazione del mio voto contrario su quel punto. Dissi che credevo alla parola del Ministro, ma temevo che qualche evento improvviso poteva impedirne l’attuazione. Nessuno credeva ciò possibile. Ebbene, nel momento in cui il provvedimento che chiamava le Società industriali, la ricchezza mobiliare, a dare il suo contributo, stava per essere portato al Consiglio dei Ministro, l’evento improvviso è avvenuto: è scoppiata la crisi, un’altra crisi. (Applausi a sinistra). Ed allora io ho il diritto di pensare che le cause e i responsabili della attuale situazione finanziaria sono da ricercarsi altrove che non nell’insipienza di Governi o nel fallimento del tripartito. Giorni fa alcuni giornali dei settori di destra della Camera dicevano: oggi abbiamo avuto una vittoria col nuovo Governo, ma noi non rinunziamo a chiamare in giudizio i responsabili della attuale situazione economico-finanziaria italiana. Signori, io vi prego di farlo e vi dico che se non lo farete voi, è molto probabile che lo faremo noi: accertare tutte le responsabilità, accertare perché non si è fatto quello che si poteva e si doveva fare. (Applausi a sinistra).

Perché in gennaio non si è dato tempo di attuare i provvedimenti predisposti? Perché non si sono attuati poi col nuovo Governo? Perché si è rimasti inattivi di fronte alla rivalutazione delle aziende industriali, di fronte alla speculazione? Chi ha fermato la mano del Governo? Sono quelle stesse forze che oggi gridano vittoria con la soluzione data alla crisi, con l’avvento del nuovo Governo.

Se oggi abbiamo un disavanzo di 600 miliardi ed una difficile situazione di tesoreria, le cause sono tre: mancato cambio della moneta, la crisi di gennaio, la mancata attuazione dal piano finanziario di dicembre.

Onorevole De Gasperi, se quella transvolata atlantica fosse venuta solo un mese dopo, noi non ci troveremmo oggi in una così difficile situazione finanziaria, poiché sarebbero stati presi i provvedimenti necessari. Nel mio discorso di febbraio io indicavo le possibilità obiettive di miglioramento e i provvedimenti che si imponevano. Si giudicò ottimista quel mio giudizio ed invece era realista. Quelle possibilità voi avete in larga misura sciupate. Ancora oggi, sia pure in misura più ridotta, esistono possibilità di miglioramento: ma io temo forte che voi sciuperete anche questo ultimo residuo.

Ed ora accennerò rapidamente al bilancio come si prospetta per l’avvenire. Che cosa ci dicono le cifre? Entrate ordinarie previste 430 miliardi, 90 miliardi entrate straordinarie, totale 520 miliardi.

Orbene, per le entrate ordinarie la valutazione è eccessivamente pessimistica; per molte voci essa è già superata con le entrate del mese di aprile. Per quanto riguarda le imposte dirette si dà una previsione di 67 miliardi, mentre dovrebbe essere almeno di 80 miliardi. Vi sono tributi, che per effetto della crisi di gennaio, non hanno dato il loro risultato nel primo semestre e lo daranno invece nel secondo; vi è il problema degli accertamenti di ricchezza mobile il cui adeguamento è stato arrestato dalla crisi di gennaio e che dovrebbe essere messo rapidamente in atto. Dato il ritardo che si è avuto, veda il Ministro Pella se non conviene adottare, ad esempio, per la categoria C., l’accertamento e il pagamento col sistema del contingente.

Ma c’è di più. Nelle imposte e tasse sugli affari si dà una cifra di 168 miliardi. Ora, in questo campo, una sola voce, quella dell’imposta sull’entrata, era fin dal novembre-dicembre preventivata in 120 miliardi. Con la svalutazione della lira di questi ultimi mesi, già nell’aprile ha superato quella previsione ed alcuni organi tecnici hanno dimostrato che essa darà almeno 150 miliardi. Tuttavia la previsione è mantenuta in 120 miliardi. Vi è qui una differenza di almeno 20-30 miliardi.

Anche per i Monopoli i 70 miliardi previsti saranno abbondantemente superati per le possibilità obiettive di aumento della produzione. I 70 miliardi previsti si eleveranno fra gli 80 e 90 miliardi.

In definitiva le entrate ordinarie devono essere elevate da 430 a 480 miliardi. Ed ora poniamo a raffronto le entrate con le spese: entrate ordinarie 480 miliardi; spese ordinarie 470 miliardi; entrate straordinarie previste: 90 miliardi; spese straordinarie di carattere assistenziale: 100 miliardi. Poi avete 260 miliardi di spese straordinarie per la ricostruzione. Cosa ci dicono queste cifre? Che abbiamo il pareggio del bilancio ordinario; che le spese straordinarie a fondo perduto sono coperte dalle entrate straordinarie. Rimangono scoperte le spese di 260 miliardi per la ricostruzione: ma, come dirò poi, queste spese non hanno nulla a che vedere col bilancio ordinario dello Stato e per far fronte ad esse si deve attingere al mercato finanziario, come è logico per spese di investimento patrimoniale. Se questa è la realtà obiettiva, perché non dire che esistono le condizioni del pareggio del Bilancio ordinario?

Si può porre il problema: queste entrate sono possibili con l’attuale reddito nazionale? La attuale situazione economica e finanziaria può sostenere tale onere? La previsione di 480 miliardi di entrate ordinarie rappresenta all’ingrosso una pressione fiscale del 20 per cento; vi si aggiunga il 5 o 6 per cento di tributi locali e il 4-5 per cento di tributi straordinari, si arriva in totale ad una pressione fiscale del 30 per cento, destinata a decrescere gradatamente nei prossimi anni. È uno sforzo notevole che si esige dal Paese, ma è possibile e compatibile con l’attuale situazione economica.

Ed ora, signori, voglio riprendere un argomento su cui da un anno vado insistendo e sul quale ho sentito ora parlare favorevolmente dall’onorevole Ruini e dall’onorevole Bertone: il problema del bilancio straordinario. Questo non è un problema contabile. La Ragioneria Generale dello Stato ha pensato alla distinzione delle spese in normali ed eccezionali, che – secondo me – non risponde alle esigenze attuali. Dobbiamo renderci conto che quando lo Stato spende, ad esempio, 100 miliardi per le ferrovie, o altri miliardi per la costruzione di manifatture, o rimette in piedi stabilimenti termali distrutti, queste spese hanno carattere di veri e propri investimenti di capitali come quelle di un industriale che impianta una fabbrica. Perché queste spese devono rientrare nel bilancio ordinario dello Stato; perché bisogna farvi fronte con i mezzi normali delle imposte e delle tasse? E quando si vede che le spese straordinarie arrivano al 59 per cento della spesa totale, esse non possono più considerarsi un capitolo secondario del Bilancio ordinario.

Ora, io mi domando: perché non prendiamo le spese che lo Stato deve sostenere per ricostruire ciò che la guerra ha distrutto e ne facciamo un conto a parte, che va regolato con particolari criteri e direttive e per il quale si deve provvedere attingendo a fonti diverse da quelle a cui si attinge per le spese normali dello Stato?

Il Bilancio straordinario della Ricostruzione che io propongo risponde a diverse esigenze: anzitutto esso afferma la necessità di un piano della Ricostruzione, del quale il bilancio straordinario è la traduzione contabile. Esso esprime inoltre l’esigenza di una politica del tesoro che superi i limiti di una politica di cassa in quanto assume a proprio criterio direttivo la determinazione del modo e dei limiti di impiego del risparmio nazionale attraverso lo Stato e attraverso l’iniziativa privata; ed anche la determinazione del limite del risparmio nazionale rispetto al reddito globale. Il risparmio è un fatto volontario, ma tutti sanno che vi sono provvedimenti che possono determinare anche un risparmio forzoso ed il tesoro può influire nel determinare il limite del risparmio rispetto al reddito generale, esso può e deve dire agli italiani quanto debbono risparmiare, per avviare secondo le nostre possibilità la ricostruzione del Paese. Questo rientra nella politica del tesoro, la quale deve tener presente che il reddito nazionale non è un dato statico e che quando il reddito nazionale si eleva, le possibilità di risparmio si elevano in modo più che proporzionale, mentre quando il reddito nazionale diminuisce le possibilità del risparmio diminuiscono in modo più che proporzionale. Il bilancio straordinario riafferma anche un principio di politica finanziaria per cui le spese ordinarie debbono essere sostenute con le entrate ordinarie; le spese straordinarie di assistenza con tributi straordinari; le spese straordinarie della ricostruzione con mezzi finanziari attinti dal mercato finanziario. Non si devono adoperare le entrate ordinarie per le spese straordinarie; col nostro sistema tributario ciò significa riversare il maggior costo delle conseguenze della guerra e della ricostruzione sulle classi meno abbienti; ma non devono nemmeno le entrate straordinarie servire alle spese ordinarie, perché in tal modo lo Stato perde credito. Vi è poi una esigenza di politica economica, e cioè la necessità di coordinare i lavori di ricostruzione alla attività economica generale del Paese, perché non è indifferente il modo come lo Stato spende i mezzi che preleva dal mercato finanziario: bisogna valutarne le ripercussioni nella situazione economica e finanziaria, anche ai fini della politica monetaria e dell’inflazione. Inoltre, quando si lancia un prestito, se vi è la certezza che esso sarà investito nella ricostruzione di beni reali e produttivi, i sottoscrittori accorrono in maggior numero e con maggiore fiducia, anche perché si possono dare garanzie reali e si può realizzare quel decentramento dei prestiti che oggi ancora non si fa. Vi è infine una esigenza di garanzia e di controllo. Il Governo ha il dovere di dare al cittadino la garanzia giuridica dell’impiego dei mezzi finanziari ai fini per i quali sono stati richiesti. Con la distinzione dei due bilanci non sarà possibile mescolare entrate e spese ordinarie e straordinarie. E viene anche reso possibile un maggior controllo non solo per la veridicità delle cifre, ma anche per la corrispondenza dei documenti contabili alla natura economica e finanziaria degli atti che lo Stato compie. E ciò è tanto più importante oggi che lo Stato è chiamato a compiere una vasta opera di ricostruzione ed assume sempre nuovi compiti e sempre maggiore diviene il suo intervento e la sua influenza nella vita economica del paese.

Per quanto riguarda il controllo dell’opinione pubblica, voglio riferire un esempio concreto. Alcuni giornali, poco tempo fa, asserivano che se si fa un raffronto fra le attuali spese militari, di personale e per interessi del debito pubblico, con quelle di prima della guerra, rispetto alla spesa totale, si constata che la situazione è migliorata. Così le spese militari erano allora un quarto della spesa totale, mentre oggi sarebbero un nono. Questo non è vero; se si tolgono le spese della ricostruzione, che non esistevano nel bilancio antebellico, noi constatiamo che invece di diminuire le spese militari sono aumentate; erano un quarto e sono diventate quasi un terzo. Così per le spese del personale: prima della guerra erano un quarto, mentre oggi si dice che sono un sesto, mentre sono più di un terzo e si avvicinano quasi alla metà. E così per le spese degli interessi: si dice che erano un quarto prima della guerra e che oggi sono un quindicesimo; invece oggi sono quasi un settimo. Ora, se si distinguono i due bilanci questi trucchi non sono più possibili. Voglio infine ricordare l’esperienza che si è fatta fuori d’Italia, ad esempio in Francia. Qui si è istituito il bilancio straordinario della ricostruzione, che è la traduzione contabile del piano Monnet. Quel bilancio è stato discusso in Parlamento ed i problemi discussi sono: distribuzione del risparmio nazionale negli impieghi pubblici e privati; limite del risparmio rispetto al reddito nazionale; decentralizzazione dei prestiti e finanziamenti, controllo sulla spesa, garanzie reali. Tutti problemi di interesse fondamentale per la politica economica del Governo. I due bilanci ci permetterebbero inoltre di affermare: abbiamo il bilancio ordinario in paleggio e un bilancio della ricostruzione di 200, 250, 300 miliardi, al quale facciamo fronte con questi e questi altri finanziamenti, equilibrando le spese con le entrate.

Con tale prospettiva per il bilancio dello Stato 1947-48, nonostante le innegabili difficoltà immediate del Tesoro che tuttavia potranno essere superate senza perdere il controllo della situazione, il Governo può e deve definitivamente risolvere alcuni gravi problemi ancora non risolti.

In primo luogo quello dei pensionati; quando si avvicina questi vecchi lavoratori in miseria, defraudati di ciò che è loro legittimo diritto, si prova un senso di pena e di vergogna, si ha l’impressione che questa povera gente vi dica: «Perché ci continuate a derubare, proprio noi che non possediamo più niente?». Viene poi il problema degli impiegati statali. Eccovi alcune cifre: negli anni dal 1939 al 1943 il numero delle cessioni di stipendio degli impiegati dello Stato contratte presso una grande Banca specializzata in queste operazioni si elevava in media a 300 cessioni mensili per un importo di 30-40 mila lire. Oggi le cessioni di stipendio sono arrivate alla cifra di 3000 per un importo di 110-120 milioni ogni mese: gli impiegati dello Stato spendono oggi quello che sperano di guadagnare nel 1952 e negli anni avvenire. Non è possibile che questa situazione possa durare più a lungo.

Il terzo problema riguarda le imposte sui redditi di lavoro. Io voglio ricordare che il limite già insufficiente proposto in un provvedimento di legge è stato annullato dagli aumenti di prezzo di questi ultimi mesi. Onorevole Pella, io la prego di rivedere il sistema tecnico di quella legge. Si è adottato un sistema che va a danno dei redditi minori ed a benefìcio di quelli maggiori. Non è giusto che ci sia una detrazione fissa di 96 mila lire per tutti i redditi piccoli e grandi. Non c’è motivo di concedere agevolazioni agli alti redditi a spese dei redditi più bassi. Lei sa con quali criteri io mi proponevo di risolvere tale problema prima di lasciare il Ministero delle finanze.

Bisogna cambiare tecnica ed adottare un sistema per cui, quando si supera un certo limite di reddito, non vi deve essere più alcuna detrazione fissa. L’onere della minore entrata deve essere riservato ad alleviare le condizioni di chi ha bisogno e non di chi può pagare.

La risoluzione di questi problemi non compromette la prospettiva del bilancio dello Stato per il 1947-48. Questa è tale che, se sarà mantenuta, ci assicura che non è di là che provengono oggi i maggiori pericoli per la lira. Il bilancio oggi lo possiamo dominare. Non è su questo settore che si combatte la battaglia decisiva per la difesa della nostra moneta.

Ed ora consentitemi di accompagnarvi nella zona veramente pericolosa per la lira: la circolazione monetaria e creditizia. Qui si pongono due problemi: uno di politica monetaria, l’altro di politica del credito. E si impone inoltre la necessità di liquidare una serie di luoghi comuni, che circolano come verità indiscusse, mentre non hanno alcuna rispondenza nella realtà.

A fondamento delle considerazioni che verrò svolgendo richiamo l’attenzione dell’Assemblea su alcuni dati di fatto di particolare interesse. Alcuni indici, che per se stessi hanno un valore limitato, posti in correlazione gli uni con gli altri ci rivelano alcuni aspetti della realtà di particolare importanza per una giusta valutazione della situazione economica attuale. Prendiamo gli indici della produzione, circolazione e prezzi. Nel 1946-47, la produzione in Italia è aumentata del 40/45 per cento e la circolazione è aumentata a un dipresso del 30/33 per cento: questo significa che sul mercato italiano l’offerta di merci e di beni è aumentata in proporzione maggiore all’aumento della circolazione. In queste condizioni i prezzi non avrebbero dovuto aumentare: anche se si tiene conto dell’eventuale aumento di velocità della circolazione e del ritorno sul mercato di moneta tesaurizzata, i due indici possono essersi equilibrati, e quindi i prezzi se non sono diminuiti non avrebbero dovuto nemmeno salire. Invece, nello stesso periodo di tempo si è avuto un aumento del 50 per cento dei prezzi all’ingrosso e del 70 per cento dei prezzi al minuto.

Come si spiega questo fatto?

Per tutto l’anno 1945 e per i primi mesi del 1946, noi abbiamo avuto un aumento di prezzi di carattere inflazionistico, perché la produzione diminuiva mentre la circolazione aumentava. In quella situazione il cambio della moneta, con il blocco di una parte della circolazione, avrebbe operato contro l’inflazione. Il cambio non si fece e l’inflazione continuò a produrre i suoi effetti. Ma nel corso del 1946 la produzione incomincia ad aumentare, mentre la circolazione aumenta in misura minore: ad un certo momento il rapporto si rovescia e con essa si rovescia il processo inflazionistico; non è più l’aumento della circolazione monetaria a determinare l’aumento dei prezzi, ma è invece l’aumento dei prezzi, determinato da altri fattori, che si trascina dietro l’aumento della circolazione.

Quali sono questi altri fattori? Si tratta prevalentemente di fattori speculativi, i quali operano in diverse forme e in diversi campi: in primo luogo in quello del credito. Accanto alla circolazione monetaria, noi abbiamo infatti una circolazione bancaria: nel periodo in cui lo Stato aumentava di cento miliardi la sua circolazione per pagare gli ammassi, le spese degli alleati, ecc., il limite di espansione della circolazione bancaria si elevava fino alla possibilità di un aumento di 282 miliardi della circolazione creditizia.

Può darsi che non tutta questa circolazione fosse in atto, ma è indubbio che qui appare un elemento inflazionistico, che trae origine da operazioni di natura prevalentemente speculativa. La cosa è tanto vera che l’onorevole Einaudi, nella sua relazione come Governatore della Banca d’Italia, ha posto il dito sulla piaga: egli ci dice che le Banche hanno superato i limiti imposti dalla legge per la concessione di crediti, e quando egli ha cercato di farli rientrare in quei limiti ha incontrato da parte dei banchieri le più vive resistenze.

È chiaro che noi abbiamo qui una circolazione creditizia che si è sovrapposta alla circolazione monetaria legale in misura tale da determinare una situazione inflazionistica: questa circolazione creditizia è di origine prevalentemente speculativa, perciò è nella speculazione che noi vediamo uno dei fattori dell’aumento dei prezzi.

Qui si pone un problema al quale ha accennato l’onorevole Corbino nel suo discorso. Ad un certo momento egli ha detto: «Vedrei volentieri un progetto di legge, il quale stabilisse che la circolazione è bloccata ad una determinata cifra, e non può venire modificata». In quell’occasione io l’ho interrotto dicendo che questo era un errore logico e pratico. Io penso che sia più giusto porre il problema come è stato posto nelle dichiarazioni del Governo, là dove si dice che il problema importante non è di bloccare la circolazione ad una determinata cifra, ma stabilire un punto di equilibrio fra la circolazione ed i prezzi ed impedire a fattori estranei di spostare questo punto di equilibrio.

Io richiamo l’attenzione del Governo su questo problema, che così impostato – e giustamente impostato – pone però dei compiti particolari. Quale è la situazione che abbiamo noi in Italia? Abbiamo un livello dei prezzi superiore a quello che dovrebbe essere, data la produzione e la circolazione monetaria…

CORBINO. Ecco perché dico che bisogna bloccare la circolazione. Questa è la ragione.

SCOCCIMARRO. …ed abbiamo viceversa una circolazione monetaria – non vi sembri paradosso quello che dico – inferiore a quella che dovrebbe essere, dato il livello dei prezzi.

Ora, fare una politica di stabilizzazione, non vuol dire non emettere più biglietti, vuol dire creare un equilibrio fra circolazione e prezzi, e con esso le condizioni di stabilità di questo equilibrio. Oggi, l’indice di aumento dei prezzi è di 70; per riportarlo al punto di equilibrio dovrebbe scendere a 45; la circolazione, che ha un indice di aumento di 24, per portarla al punto di equilibrio dovrebbe salire a 36. Ora, come risolvere questo problema? Vi sono tre vie: se si parte dal presupposto di mantenere i prezzi fermi al livello attuale, allora la circolazione, prima o poi, deve adeguarsi e portarsi al suo giusto punto; oppure mantenere ferma la circolazione ed allora bisogna fare una politica economica che faccia assolutamente scendere i prezzi, altrimenti non si ristabilisce l’equilibrio; oppure, si potrebbe seguire la via di mezzo: operare dalle due parti: comprimere i prezzi e lasciare un certo respiro alla circolazione. Qui si pone un problema di composizione qualitativa della circolazione. Onorevole Einaudi, io penso che in questo momento, nelle nostre attuali condizioni, sarebbe ottima cosa se la circolazione bancaria si potesse restringere e si allargasse al suo posto, per la stessa quantità, la circolazione monetaria dello Stato.

CORBINO. Bene.

SCOCCIMARRO. E questa non sarebbe inflazione, perché se noi facciamo una politica di riduzione dei prezzi, e contemporaneamente diamo un po’ di maggiore respiro alla circolazione necessaria alla vita economica del Paese, noi facciamo sempre una politica di stabilizzazione, che implica anche una certa rivalutazione della lira, sebbene minore di quella che si avrebbe se riducessimo i prezzi al loro punto di equilibrio, poiché eliminiamo dalla svalutazione monetaria quel margine attualmente sostenuto da influenze speculative.

Questo è il problema: il programma del Governo imposta il problema in modo esatto, ma non dice come lo risolverà. È interesse dei lavoratori che si faccia una politica di compressione dei prezzi e contemporaneamente si realizzino quelle condizioni di stabilizzazione di cui ho parlato.

Tutto ciò implica un problema di intervento nelle banche, nel credito. Il Governatore della Banca d’Italia ha già fatto la proposta al Ministro del tesoro di modificare le norme vigenti circa i limiti e i rapporti fra depositi, credito e patrimonio delle banche; ma io penso che, alla luce delle nuove realtà, è da vedere se quella proposta non meriti di essere resa un po’ più severa di quanto non sia di fatto.

Se ora osserviamo quanto è accaduto nel 1946-47, non più nel suo complesso, ma per fasi successive, si possono fare non meno importanti constatazioni. Ad esempio, nel trimestre gennaio, febbraio, marzo di quest’anno il prezzo delle merci all’ingrosso aumenta di 150 punti, mentre il prezzo delle merci al minuto aumenta di 1500.

Ora, cosa significa questo divario?

Significa accaparramento che sottrae merci al mercato e fa salire i prezzi a fine speculativo. Ecco un nuovo elemento che fa salire i prezzi!

Ma non è ancor tutto. Andiamo a vedere che cosa accade nel commercio delle materie prime. Vi sono oggi in Italia grandi industrie le quali impegnano tutta la loro produzione annuale al cosiddetto mercato libero, affidandola cioè a speculatori coi quali hanno un tacito patto di non assumere ordinazioni dirette. Si crea così una specie di incrostazione monopolistica per cui l’intermediario impone i prezzi che vuole senza nessun controllo. E avviene, ad esempio, che il ferro, che si potrebbe comprare alla fabbrica a 40 lire al chilogrammo o poco più, i costruttori edili devono pagarlo 120-130 lire al chilogrammo.

Industrie che operano in questo modo ce ne sono diverse in Italia.

Bisogna spezzare queste incrostazioni!

Ma anche per le materie prime che vengono dall’estero avviene qualcosa di analogo.

Permettete che vi dia notizia di un solo fatto: l’Associazione cotoniera italiana è stata autorizzata dal Ministero per il commercio estero a vistare le fatture originarie di acquisto dei cotoni sodi da presentare alle dogane per l’importazione. Questa rispettabile Associazione, senza l’autorizzazione di nessuno, impone per suo conto un tributo di 4 lire al chilo sui cotoni importati, il che vuol dire che sopra una importazione di 174 milioni e 600 mila chilogrammi, realizza un guadagno di 698 milioni e 400 mila lire percepito arbitrariamente. E questo lo paga il consumatore! Queste sono sopravvivenze corporative del fascismo.

Voci a sinistra. Servono per sovvenzionare i giornali fascisti! Questo è quello che succede!

SCOCCIMARRO. Ma c’è di più: questa funzione di controllo poteva essere attuata da un organo ministeriale, dalla Sezione fibre e industrie tessili del Sottocomitato industriale Alta Italia, che già la faceva senza spesa alcuna! Perché si è sottratta quella funzione a quell’organismo per affidarla all’Associazione cotoniera che per suo conto impone un tributo a spese dei consumatori? Ne sa qualcosa il Ministro del commercio estero? E poi ci si chiede perché crescono i prezzi. È la speculazione che è penetrata nelle fibre più intime dell’organismo economico del nostro Paese. Bisogna distruggere la speculazione in tutte le sue forme: questo è il problema.

Ed ora veniamo alle Borse. Signori, è avvenuto che nel periodo del terzo Governo De Gasperi vi sono state molte industrie che hanno proceduto alla rivalutazione monetaria dei loro impianti. Quando si pretende che l’aumento delle quotazioni dei titoli avvenuto in questi mesi è un fatto economico normale dovuto alla rivalutazione ed agli aumenti di capitali, io devo far notare che molte grandi società avevano rivalutato prima del febbraio e il valore dei loro titoli si era già adeguato; l’onorevole Einaudi, nella sua relazione alla Banca d’Italia, afferma che fin dal febbraio l’adeguamento dei titoli era quasi compiuto e ci dà anche i dati: da 13 a 60 volte. Ora, dopo il febbraio noi assistiamo ad un rialzo dei titoli veramente incredibile anche per società che avevano già attuato la rivalutazione monetaria e per quelle che hanno rivalutato in quel periodo, il rialzo dei titoli è andato molto al di là del limite di rivalutazione. Vediamo titoli passare da 21 mila a 54 mila lire, altri da 139 mila a 242 mila; da 9 a 26; si tratta di aumenti del 100, 200 e anche 300 per cento per Società che avevano già rivalutato. Come si spiega tutto ciò? Io mi limiterò a indicare un solo elemento: gli aumenti di capitale nella forma classica dell’«annacquamento». Nei tre mesi, dal febbraio al maggio, si sono distribuiti 491 miliardi di azioni gratuite e 760 miliardi come opzioni, cioè acquisto di azioni ad un prezzo inferiore al valore. È una vera pioggia d’oro di più di 1.200 miliardi a beneficio dei capitalisti e degli speculatori. E non manca l’aggiotaggio, quella speculazione che è reato: ad esempio, i titoli della «Condotte d’acqua» (l’Acqua Marcia di Roma) un bel giorno rialzano da 1.300 a 2.400, poi arrivano al lunedì a 2.800, il martedì scendono a 2.000, il mercoledì rialzano di nuovo a 2.800: è una specie di montagne russe della speculazione. E si sa che coloro i quali avevano venduto il lunedì sono gli stessi che ricomprano il martedì. Vecchio sistema ben noto. Tutto questo avviene mentre il Governo assiste come un osservatore distratto ed indifferente alla distribuzione di 1.200 miliardi, senza trarne un contributo adeguato per il tesoro boccheggiante. Intanto i titoli di Stato diminuiscono del 10 o 15 per cento, le valute estere vanno alle stelle, la lira si svaluta ed i prezzi aumentano.

Questa è la dura realtà, che nessun professore riuscirà mai a coprire con il manto logoro di una pseudo-scienza di eccezione messa al servizio degli speculatori. Alludo ad un professore universitario che recentemente, dalle colonne di un organo tecnico della Capitale, si rammaricava della «ignoranza economica» degli uomini politici che attribuiscono alla speculazione l’aumento dei prezzi, che dipenderebbe invece da altri fattori. Con buona pace di quell’egregio professore, se è vero che a determinare i prezzi concorrono altri fattori, è pur vero che ogni qual volta la moneta si svaluta, per qualsiasi causa, i prezzi aumentano. A quell’egregio signore io posso anche dire che l’indice di maggiorazione dei prezzi per effetto della speculazione è stato nel primo semestre del 1946 del 17 per cento; nel secondo semestre del 37 per cento e tale si è press’a poco mantenuto nei primi mesi del 1947. Ancor più: la lira oggi è scesa ad un centesimo e mezzo rispetto al 1938; mentre il suo valore, in relazione alla produzione ed alla circolazione attuale, dovrebbe essere almeno di centesimi 2,5. La sua maggiore svalutazione è dovuta a fattori speculativi. Questa è la realtà: ed è veramente spiacevole che dei professori universitari la ignorino e dicano sciocchezze tali che disonorano la cattedra che ricoprono.

Nessuno ignora che una formidabile ondata speculativa si è riversata sul nostro paese nei mesi scorsi, che non può spiegarsi interamente con ragioni economiche: vi sono stati anche motivi politici. Ed anche qui si è fatta l’obbiezione: «Voi credete che sia la speculazione a creare la sfiducia politica, mentre è la sfiducia politica che crea la speculazione». Ora a me pare che tanto l’una quanto l’altra asserzione possono essere vere: bisogna guardare volta a volta alla concreta realtà. Ma prima di esaminare che cosa è avvenuto di fatto nei mesi scorsi, desidero dare alcune precisazioni sulle borse e la speculazione.

La Borsa è l’organismo più perfetto e più delicato creato dall’economia capitalistica nel suo sviluppo storico. Essa assolve ad una funzione utile e necessaria: pensare di sopprimere la Borsa, permanendo il sistema dell’economia capitalistica, è una sciocchezza. Tra le funzioni della Borsa è anche quella della speculazione: prevedere lo sviluppo avvenire della situazione economica per adeguarvi gradatamente il meccanismo economico, in modo da evitare sbalzi improvvisi di prezzi. La Borsa e la speculazione sono un po’ come il «volano» del meccanismo economico. Lo speculatore prevede l’avvenire e gradatamente vi adegua la realtà con enorme benefìcio della società; ma questa è la speculazione sana, utile, che assolve ad una funzione economica importante e che bisogna difendere. Ma c’è poi anche un’altra speculazione, la speculazione che somiglia al giuoco d’azzardo, la speculazione di aggiotaggio e la speculazione con moventi e fini politici. Una determinata situazione politica può creare sfiducia e determinare la speculazione; ma può avvenire anche che si operi con la speculazione in borsa per determinare una situazione politica: i due aspetti possono essere contemporanei. Che cosa è avvenuto nei mesi scorsi? Si è commessa l’imprudenza di lanciare quella cifra: 610 miliardi di disavanzo, in modo tale da suscitare una ondata di allarme e di panico in tutto il Paese: ci sono poi stati gruppi e forze finanziarie che ne hanno approfittato aggravando la psicosi allarmistica, potenziando consapevolmente il moto inflazionistico per creare una determinata situazione politica. Ecco quello che è avvenuto. La speculazione opera in pieno: all’orizzonte si leva lo spettro dell’inflazione. De Gasperi si spaventa e invece di colpire la speculazione con provvedimenti adeguati, rovescia il Governo ed estromette comunisti e socialisti per conquistare la fiducia degli speculatori: altro che «doppio giuoco dei comunisti». Quelle forze che tanto male hanno fatto al paese hanno spinto l’onorevole De Gasperi alla crisi ed hanno imposto la loro volontà nella formazione del nuovo Governo. Questo è, o signori, quanto è avvenuto in Italia; questo è il retroscena che sta alla base della crisi. Quale fiducia si può avere in tale Governo? Perciò quando noi parliamo di speculazione, non intendiamo affatto parlare di quella che è la funzione normale e logica delle Borse, ma di ben altra cosa, che non ha nulla a che fare con la funzione normale e necessaria delle Borse che bisogna salvaguardare: è perciò che siamo dubbiosi di fronte alla proposta dell’onorevole Ruini di sospendere i contratti a termine: temiamo che sarebbe un errore, poiché i contratti a termine servono…

RUINI. Ho detto temporaneamente.

SCOCCIMARRO. …allo svolgimento normale di quella che ho detto essere la funzione utile e necessaria delle borse.

Voce al centro. Ma servono anche molto alla speculazione.

SCOCCIMARRO. D’accordo. Ma appunto per questo bisogna distinguere. Le proposte che farò tendono a colpire la speculazione senza danneggiare la funzione normale delle borse. A tal fine è necessario porci un altro problema. Quando noi poniamo il dilemma: stabilizzazione o inflazione, tutti rispondono: stabilizzazione, niente inflazione. Ma io mi domando: ci sono o non ci sono delle forze in Italia che sono interessate e vogliono l’inflazione? Io dico di sì. In verità l’inflazione è un processo di violenta redistribuzione della ricchezza nazionale: sulla miseria e la rovina della maggioranza della popolazione si accumulano nuove ricchezze nelle mani di classi o gruppi che già detengono la maggior potenza economica. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Oggi poi, l’inflazione è il mezzo più facile e più efficace di evasione dall’imposta straordinaria sul patrimonio. E sul piano politico, l’inflazione è ancora l’arma più insidiosa e pericolosa contro la sorgente democrazia repubblicana: non dimentichiamo che in Germania, è stata la catastrofica inflazione del 1923 a dare impulso al nazismo.

Voci. Benissimo.

SCOCCIMARRO. Ora, una serie di fatti e di episodi, specialmente dopo il 2 giugno e con maggior rilievo ed intensità negli ultimi mesi, dimostrano e confermano che ci sono nel paese forze che operano consapevolmente in senso inflazionistico. Ho detto consapevolmente, per tacere di coloro che inconsapevolmente, mossi dal panico od altro, concorrono a favorire il moto inflazionistico e quindi a determinare quella situazione che essi per primi temono e deprecano. Noi assistiamo di tanto in tanto a delle vere e proprie offensive contro la lira: ondate speculative in grande stile in Borsa, fughe di capitali, aumenti artificiosi di prezzi, ecc. Fenomeni di questo genere si sono manifestati dopo la crisi di gennaio in tali proporzioni da creare nel paese una situazione di grave turbamento, uno stato d’animo quasi di panico come di chi si senta minacciato da un pericolo a cui non può sfuggire; uno stato di psicosi collettiva in cui l’immaginazione ingrandisce il pericolo, dà corpo alle ombre e si producono i fenomeni più strani, incomprensibili e irrazionali, nei quali tuttavia si ritrova un elemento razionale e precisamente nell’azione di chi, in tanto scomposto agitarsi, persegue freddamente e consapevolmente un suo fine determinato.

Per concludere su questo punto dell’inflazione creditizia e della speculazione, delle incrostazioni monopolistiche negli scambi dei beni di consumo e delle materie prime, il Governo, a mio giudizio, deve prendere provvedimenti immediati in difesa della moneta. Il credito deve essere messo sotto controllo: non deve essere possibile che la circolazione aumenti per volontà di interessi particolari, come è già avvenuto. L’onorevole Corbino ha ricordato un episodio della nostra storia monetaria, che ha determinato una nuova legislazione sulla emissione dei biglietti. Non ha detto però che in quella occasione c’era una circolazione clandestina fatta dalle banche in frode dello Stato.

CORBINO. C’era la circolazione eccedente.

SCOCCIMARRO. Le banche si erano fatte venire clandestinamente i biglietti dall’estero. Anche ora c’è stato qualcosa di analogo: si è violata la legge e si è creata una inflazione nella circolazione a beneficio di interessi particolari e contro gli interessi generali del Paese. Bisogna stabilire un serio controllo del credito, ricondurre la circolazione creditizia alla normalità ed impedire che si ripeta quanto è avvenuto.

Per quanto riguarda le Borse occorrono tre provvedimenti. Innanzi tutto occorre che sia riveduta la legge per la vigilanza ed il controllo delle borse: il Tesoro dovrebbe già avere un ispettore in ogni Borsa; ma di fatto ne esistono solo in qualche località. Per di più essi si trovano da molti anni nello stesso luogo ed hanno contratto rapporti personali con gli operatori per cui la funzione ispettiva in realtà vien meno. Bisogna cambiare sistema. Sapete che cosa avviene oggi in Borsa? Gli operatori di Borsa denunciano solo in parte i titoli che negoziano: si calcola che ne denunciano solo il 10 per cento. E mentre in passato registravano i titoli negoziati nella loro contabilità, dopo l’aumento dell’imposta di negoziazione al 4 per cento non fanno più nemmeno questo e frodano quindi lo Stato.

FABBRI. Come fanno allora a trasferire i titoli nominativi?

SCOCCIMARRO. Ho detto che denunciano il 10 per cento. Non omettono tutto. Avvengono poi accordi fuori Borsa.

FABBRI. Ma come trasferiscono i titoli nominativi?

PRESIDENTE. Onorevole Fabbri, la prego di non interrompere.

FABBRI. No, mi interesserebbe saperlo.

SCOCCIMARRO. Gli agenti di cambio, quando operano o in proprio a mezzo di prestanome o per conto di clienti di piena fiducia, non registrano le operazioni nei loro libri, né compilano per esse i regolari fissati bollati. Essi compensano direttamente le operazioni chiuse nella stessa giornata, mettendo a diretto contatto le rispettive contropartite di Borsa e facendosi accreditare o addebitare le differenze in conto liquidazione. Per le operazioni che non si chiudono lo stesso giorno, il compenso viene effettuato a fine mese facendo passare nei conti di liquidazione solo i saldi in valuta risultanti a debito o a credito. Essi si sottraggono perciò: 1°) alla sovraimposta di negoziazione 4 per cento; 2°) alla tassa di bollo per i fissati bollati; 3°) al regolare accertamento dell’imponibile di ricchezza mobile. Il danno per l’Erario è dell’ordine di parecchi miliardi all’anno.

Oltre a istituire una reale vigilanza e controllo, occorre dare una nuova disciplina ai rapporti fra Banche e Borse, particolarmente per quanto riguarda i «riporti», che sono il mezzo tipico di cui si serve la speculazione. Infine io credo necessaria una nuova legislazione fiscale per le Borse.

Per quanto riguarda la circolazione delle materie prime, è necessario sopprimere tutte le inutili bardature, pure sopravvivenze corporative, e istituire un reale controllo democratico sulla distribuzione delle materie prime per distruggere tutte le incrostazioni monopolistiche che si sono costituite.

Per i beni di consumo, è necessario controllare seriamente alcuni prezzi fondamentali contro ogni forma di accaparramento speculativo.

Per i prezzi bisogna fare una seria ed energica politica di compressione.

Questi sono i provvedimenti che in questo campo io ritengo urgenti per la difesa della lira. Saranno adottati dal Governo? Non nascondo che ho seri dubbi. Io non posso dimenticare che nel 1935 l’onorevole Einaudi scrisse nella Riforma Sociale che «arrangiarsi è il più meraviglioso verbo che esista nell’economia applicata. Di tutti i consigli che possono essere dati agli uomini, questo è forse il più salutare». Non lo ripeta oggi, onorevole Einaudi: c’è della gente che si arrangia anche troppo; è contro di loro che ella dovrebbe lottare per difendere la lira. E non dimentico nemmeno che anche l’onorevole Ministro Del Vecchio ebbe a scrivere nel 1933 nel Giornale degli Economisti che «di fronte alla lenta liquidazione delle insolvenze ed agli altri processi che derivano dalla diminuzione di certi prezzi e di certi redditi ed oltre certi limiti della loro intensità ed estensione l’inflazione si può presentare come il minor male»; io la pregherei, onorevole Del Vecchio, di dimenticare in questo momento questa sua affermazione.

DEL VECCHIO. Ministro del tesoro. Non mi ricordo di averlo mai scritto.

SCOCCIMARRO. Se non lo ricorda gliela manderò; le farò omaggio di un suo scritto.

Ed ora passiamo ad un ultimo problema che, a mio giudizio, è il più grave di tutti: la bilancia dei pagamenti.

Tutti sanno che nel 1946 abbiamo usufruito dei rifornimenti U.N.R.R.A. che hanno coperto il disavanzo della nostra bilancia. Nel 1947 possiamo usufruire dei residui del piano U.N.R.R.A., dell’assegnazione post-U.N.R.R.A., dei conti sospesi per il fondo paga truppe, e di altre voci, per cui il disavanzo si riduce di molto e potrà essere coperto con qualche aiuto limitato: la situazione perciò non è grave, per il momento. Ma sarà gravissima nel 1948, quando vi sarà uno scoperto medio di 600 milioni, senza più nessuna riserva. È necessario ricordare alcuni dati della nostra bilancia commerciale ante-guerra. Le importazioni ed esportazioni in Europa comprendevano il 60 per cento dei nostri scambi internazionali: solo nella Germania e nei paesi orientali i nostri scambi andavano dal 20 al 25 per cento. La Germania assorbiva quasi un terzo dei nostri ortaggi e della nostra frutta ed un terzo di agrumi. Attualmente il nostro commercio con la Germania e i paesi dell’Europa sud-orientale è quasi nullo: finché non avremo riaperto le vie del commercio con l’Europa centro-orientale, alla nostra bilancia dei pagamenti mancherà un apporto del 20 per cento. Con l’aggravante che i nostri approvvigionamenti ci vengono d’oltre mare e su di essi incide un maggior costo di trasporti, ancor più aggravato dal fatto che, contrariamente a quanto avvenne dopo l’altra guerra, i noli si mantengono elevatissimi a causa del forzato disarmo di gran parte delle navi Liberty e Victory costruite durante la guerra.

In secondo luogo le entrate invisibili si calcolavano, nella nostra bilancia, tra il 15 ed il 20 per cento, mentre oggi sono ridotte al minimo.

In terzo luogo noi non siamo in grado di ridurre le nostre importazioni senza aggravare ancora di più la bilancia dei pagamenti, perché per un paese che ha esuberanza di forze lavoratrici ed ha un tenore di vita così basso, una riduzione di importazioni vuol dire una riduzione di materie prime e questo incide più che proporzionalmente sulle nostre esportazioni e quindi si aggrava la nostra bilancia.

Queste tre condizioni: la mancanza di alcuni principali mercati europei di sbocco; la perdita della maggior parte delle partite invisibili; la rigidità delle nostre importazioni, fa sì che per alcuni anni avremo un deficit approssimativo di 600 milioni di dollari all’anno.

In queste condizioni per noi il prestito dall’estero è assoluta necessità.

A questo proposito desidero precisare il nostro pensiero sui rapporti con l’America. Noi sappiamo che abbiamo bisogno di prestiti e sappiamo che il solo paese che ce li può dare sono gli Stati Uniti d’America. Noi siamo disposti a dare tutte le garanzie economiche per i prestiti che ci sono fatti, ed anche tutte le garanzie politiche, nel senso della stabilità politica nel nostro Paese. Però, signori, se noi riconosciamo che l’investimento di capitali crea un interesse economico dell’America in Italia, io debbo ricordare anche che l’America non ha mai avuto interessi politici nel nostro Paese. E pensiamo che non vi è ragione che li debba avere oggi, al di là delle garanzie di quella stabilità politica che assicura alla nostra vita economica la possibilità di svilupparsi in modo da garantire che i prestiti saranno pagati, e, con essi, i relativi interessi. Altrimenti arrischiamo di lasciarci trascinare nel vortice di contrasti internazionali verso nuovi conflitti.

Vorrei anche ricordare che se è vero che noi abbiamo bisogno di prestiti, anche «l’America ha bisogno di far prestiti»: la sua economia non può prescindere dall’economia europea senza esporsi ad una gravissima crisi: essa ha bisogno di esportare. L’interesse è reciproco, come sempre accade quando si fanno degli affari. Su questo punto non s’incontrerà mai nessun ostacolo da parte nostra.

Che cosa occorre fare per risolvere il grave problema della nostra bilancia di pagamenti? Anzitutto c’è una questione di politica valutaria. Noi crediamo che bisogna rivedere urgentemente la politica che si è seguita fino ad oggi: il 50 % delle valute libere lasciate agli esportatori è stata un’esperienza dei cui insegnamenti non possiamo prescindere. È avvenuto che gli esportatori hanno avuto un interesse particolare ad esportare nei Paesi a valuta libera, piuttosto che nei paesi dove si scambia in compensazione, anche a un prezzo più basso di quello al quale avrebbero potuto vendere altrove, compensandosi col guadagno speculativo sulla valuta: l’interesse particolare è favorito a danno dell’interesse generale, poiché il nostro lavoro è venduto a troppo basso prezzo ed inoltre si svaluta la nostra lira di fronte alla valuta estera.

Oltre a ciò, il sistema attuale crea all’interno un regime di prezzi discriminati e quindi di equilibrio instabile che tende a distruggersi da sé e diviene perciò un ostacolo alla determinazione dell’equilibrio economico nel paese.

Ora, noi dobbiamo creare le condizioni favorevoli all’esportazione, dobbiamo favorire i nostri esportatori, ma dobbiamo trovare un altro sistema: quello seguito fin ad oggi deve essere riveduto.

Un altro problema che si pone è quello della fuga dei capitali con il sistema delle doppie fatture. Tutti sanno che in Italia gli esportatori denunciano un prezzo di vendita inferiore a quello reale e lasciano poi all’estero parte delle valute. Non è possibile trovare un sistema di controllo per impedire questo scandalo? E poi bisogna trovare il modo di far rientrare questi capitali italiani che si sono insediati fuori di Italia, mentre noi ne abbiamo tanto bisogno.

Altro problema è quello della ripresa dei nostri traffici con i paesi europei. Non si dimentichi che l’area del dollaro difficilmente assorbe i nostri prodotti, mentre l’area della sterlina acquista ma non vende. Sorgono perciò problemi nuovi per sfruttare tutte le possibilità che ci si offrono. Intanto noi dobbiamo fare tutto il possibile per accelerare la ripresa dei rapporti commerciali con l’Europa centrale e orientale. È questa una esigenza essenziale per la nostra bilancia dei pagamenti. Perciò raccomando vivamente al Governo l’approvazione e la ratifica del trattato di commercio con la Jugoslavia: esso ci fa condizioni favorevoli che saranno molto utili alla ripresa dei nostri scambi commerciali.

Ultimo problema essenziale per le nostre esportazioni è quello del «costo di produzione». Le nostre esportazioni sono ostacolate dai nostri costi troppo elevati rispetto ai costi di produzione internazionali. Bisogna affrontare seriamente e subito questo problema: bisogna ottenere una riduzione dei costi. In quale modo?

Mediante un aumento della produttività del lavoro, e la riorganizzazione economica generale sulla base del principio dei più bassi costi.

Per aumentare la produttività del lavoro occorre rinnovare l’attrezzatura tecnica industriale da una parte e l’intensità del lavoro dall’altra. Sotto questo aspetto, guai se pensassimo di ottenere una riduzione dei costi con la riduzione dei salari! Sarebbe grave errore perché si otterrebbe l’effetto opposto: il tenore di vita dei nostri operai è così basso che ogni ulteriore riduzione significa una caduta più che proporzionale dell’intensità del lavoro. I nostri lavoratori avrebbero bisogno di più di tremila calorie, mentre invece ne hanno appena poco più di duemila. Per aumentare la produttività del lavoro in Italia si devono migliorare le condizioni alimentari dei lavoratori; perché solo così potremo avere una intensificazione del lavoro, un aumento della produttività ed una riduzione dei costi di produzione.

Ma, signori, per i lavoratori italiani non c’è soltanto un problema alimentare, c’è anche un problema morale. Tenga presente il Governo che una delle condizioni per condurre la battaglia della riduzione dei costi in Italia oggi è la risoluzione del problema dei consigli gestione: bisogna creare condizioni morali e politiche nell’interno della fabbrica per cui l’operaio sia stimolato a porsi il problema dei «costi», come un suo problema.

Se non risolviamo questo problema, non risolviamo quello della nostra esportazione, non risolviamo quello della nostra bilancia dei pagamenti: ed allora saremo un Paese destinato alla servitù.

Un altro aspetto di tale questione, investe tutta l’organizzazione industriale del Paese, la quale deve essere riorganizzata dal punto di vista produttivistico secondo il principio del più basso costo di produzione. In altre parole, il principio del costo di produzione deve valere non solo per ogni singola industria, ma deve essere il principio regolatore dell’organizzazione di tutta l’industria italiana, e, sotto questo aspetto, permettetemi che vi accenni all’ultimo grave problema: l’I.R.I., l’Istituto per la ricostruzione industriale.

Questo, oggi, è diventato un problema nazionale; problema economico in quanto è elemento essenziale per la riorganizzazione economica del Paese; problema politico in quanto è strumento efficace di intervento dello Stato nella vita economica del Paese; problema sociale in quanto investe la vita di 250 mila lavoratori.

Ora, a che cosa assistiamo? Ricompare oggi quella campagna sulla «riprivatizzazione» che già si sviluppò negli ultimi anni del regime fascista. Essa tende a strappare dalle mani dello Stato questo importante strumento del suo intervento regolatore nella vita economica; tende a screditare l’I.R.I. per farlo crollare e liquidare sottocosto, tende infine a mobilitare l’opinione pubblica facendo apparire l’I.R.I. come un baratro nel quale il Tesoro debba versare miliardi e miliardi. (Commenti al centro).

UBERTI. Bisognerebbe che i miliardi non fossero dilapidati!

SCOCCIMARRO. Ora, l’I.R.I. mi fa l’impressione di una nave in gran tempesta, sbattuta dai marosi che minacciano di sommergerla e tutt’intorno si aggirano grossi squali dall’appetito vorace che attendono il momento opportuno per dare l’assalto e cogliere l’ambita preda.

È tempo che il Governo dica una parola molto precisa su tale questione; una parola che faccia scomparire tanti appetiti insani, che faccia comprendere a tutti che è inutile perdere tempo a mettere mine sotto l’I.R.I. per farlo saltare in aria. Sull’I.R.I. vigilano 250 mila operai i quali non tollereranno che l’I.R.I. serva a qualche grosso affare speculativo a danno del patrimonio nazionale e dell’interesse generale.

Oggi l’I.R.I. rappresenta un patrimonio intorno ai cento miliardi.

UBERTI. Non si è mai chiarito bene questo punto.

SCOCCIMARRO. No, è invece molto chiaro. L’I.R.I. controlla il 30 per cento dei depositi fiduciari. Ora, se si esamina la situazione dell’I.R.I., tranne che per il settore meccanico-cantieristico, le aziende sono in stato normale ed alcune anche in stato di floridezza.

Per il settore meccanico-cantieristico avviene per l’I.R.I. quello che avviene per tutte le industrie italiane le quali, per riparare danneggiamenti, per la riconversione da industrie di guerra in industrie di pace, per la ricostruzione e l’ammodernamento delle attrezzature hanno bisogno di essere sostenute…

Una voce al centro. Ma sono state sempre passive.

Un’altra voce al centro. Allora bisogna vendere.

Una voce a destra. E lì ci sono i consigli di gestione.

SCOCCIMARRO. …hanno bisogno di essere sostenute, come ne hanno avuto bisogno le industrie private per le quali voi non protestate.

SCOCA. Altro che se protestiamo!

SCOCCIMARRO. L’I.R.I. avrebbe potuto anche provvedere da sé, se la campagna di discredito condotta contro di essa non le avesse tolto la possibilità di finanziarsi sul mercato privato.

Le industrie meccaniche e cantieristiche dell’I.R.I. saranno entro un anno in condizioni di andare avanti con i propri mezzi; esse hanno bisogno soltanto di avere un credito sufficiente per riconvertire i loro impianti, così come ne hanno avuto bisogno industrie alle quali pure molto si è dato.

SCOCA. Male!

Una voce a destra. Ma hanno gestioni attive, quelle.

SCOCCIMARRO. Io sono d’accordo che l’I.R.I. non deve essere un baratro nel quale debba precipitare il Tesoro dello Stato. Ma qual è la situazione oggi? Alienando alcune sue attività non essenziali, l’I.R.I. potrebbe realizzare quanto le occorre per assolvere a questo compito: 24 miliardi.

L’I.R.I. possiede proprietà immobiliari urbane non essenziali per i compiti e le funzioni che noi le attribuiamo; proprietà immobiliari agricole nell’Agro Romano, Sardegna e Calabria; attività estere che non rappresentano interessi vitali; occorrendo si possono smobilitare tali attività per sostenere quelle essenziali. Però, se noi obbligassimo l’I.R.I. a farlo subito noi commetteremmo una cattiva azione, perché la campagna di discredito che si è fatta contro l’I.R.I. ha fatto sì che essa dovrebbe vendere sotto costo, a prezzi fallimentari.

Una voce al centro. Ma se le aziende sono buone, le comprano subito.

Altra voce al centro. Ma se anche voi dite che all’I.R.I. le cose vanno male!

SCOCCIMARRO. Sicuro; e anche ora lo ripetiamo; ma le cose non possono continuare ad andare avanti come per il passato.

La lotta fra chi vuole liquidare e chi vuol salvare l’I.R.I., ne ha paralizzato l’azione. È anzitutto necessario che si ponga termine a tale situazione assurda.

Bisogna poi aiutare subito l’I.R.I. e si può farlo senza esborsi diretti del Tesoro: per esempio, concedendo buoni del tesoro di cui l’I.R.I. assicura il collocamento e il servizio di interessi, oppure concedendo un certo numero di annualità che l’I.R.I. può scontare presso il Consorzio per le opere di pubblica utilità; si può far concedere dall’I.M.I. dei mutui alle aziende I.R.I. di cui questo garantirebbe il servizio. Si possono trovare anche altre forme. In ogni modo occorre che si decida e che si ponga termine al sistema dell’eterno rinvio di ogni decisione. Finora l’I.R.I. è vissuta alla giornata: questo sistema deve finire. Non si obblighi a liquidare immediatamente, ciò che può essere liquidato in condizioni più favorevoli domani.

Una voce al centro. No, in questo momento pagano bene.

SCOCCIMARRO. Che cosa occorre fare?

Occorre che l’I.R.I. concentri nelle sue mani tutte le partecipazioni industriali, bancarie e finanziarie dello Stato, ora gestite da diversi Ministeri. Io avevo incominciato a farlo col Ministero delle finanze; ma non lo si è fatto per tutti i Ministeri. Bisogna che tutto si concentri in mano all’I.R.I. Poi occorre che il Governo stabilisca quali sono le funzioni ed i compiti dell’I.R.I. nella economia italiana, quale la direttiva politica della sua azione, e in relazione a ciò la sua struttura ed organizzazione e quindi quello che deve rimanere all’I.R.I. e quello che può essere liquidato.

L’I.R.I. deve diventare l’organo e lo strumento tecnico del Governo, assumendo una funzione regolatrice nella vita economica del Paese: deve divenire il mezzo attraverso cui si realizza ogni iniziativa ed attività dello Stato nella economia nazionale. Perciò i rapporti fra Confederazione dell’industria e l’I.R.I. devono porsi su un piano di stretta collaborazione.

Se faremo in questo modo, noi potremo avere nell’I.R.I. uno strumento che può servire grandemente a risolvere il problema della riorganizzazione economica ed industriale italiana secondo i principî cui ho dianzi accennato.

Io ho finito. Volendo trarre da questa mia esposizione un giudizio conclusivo sui pericoli che minacciano la lira e quindi sulla azione da compiere in sua difesa, io porrei in primo luogo il problema della bilancia dei pagamenti, che presenta i pericoli meno immediati, ma certo i più gravi; poi quelli del credito e della speculazione, più immediati ma più facilmente dominabili. Per ultimo porrei il bilancio dello Stato, per il quale si sono già create condizioni che rendono minori i pericoli e più facilmente superabili. Il programma del Governo dà invece importanza preminente se non unica al bilancio statale. Questa impostazione della lotta per la difesa della lira, mi pare che non corrisponda alla realtà.

È per questo che il programma del Governo, così com’è, non ci soddisfa e non ci ispira fiducia. Ho già detto e non ripeterò quali provvedimenti si dovrebbero prendere per il bilancio, la politica monetaria e creditizia, le borse, il commercio interno ed estero, la produzione e riorganizzazione industriale. Questi sono tutti problemi urgenti che dovrebbero entrare nel programma del Governo. Io non so che cosa esso ne pensi, ma il solo fatto di non averli considerati ha già di per sé un significato. Ma quand’anche il Governo condividesse i miei giudizi e le mie proposte, sorge un altro problema: avrebbe esso la forza politica di realizzare tale programma che tende a spezzare le incrostazioni parassitane, a recidere i tumori maligni che infettano e rovinano la nostra economia; in altre parole, che comporta un’azione a fondo contro interessi ben agguerriti nella difesa dei loro privilegi? Non lo credo. Oltre alla vostra volontà che è dubbia, occorrerebbe il sostegno attivo e la fiducia delle forze popolari. Ma tale fiducia non esiste. Da ciò anche la nostra sfiducia.

Onorevoli colleghi, giorni fa l’onorevole Corbino, iniziando il suo discorso si compiaceva che questa crisi avesse dato al Paese la prova della lealtà democratica del Partito comunista, il quale, benché allontanato dal Governo, non ha dato luogo non so a quali diavolerie: l’insurrezione od altro che sia.

C’era molta ingenuità in quelle parole; esse però dimostrano quanta incomprensione ancora esiste in taluni nei nostri confronti.

Ma i fatti finiranno col far comprendere la realtà a quanti non l’hanno ancora compresa.

Oggi vi diciamo: noi siamo all’opposizione convinti di fare così opera utile, ed ancor più utile sarebbe se riuscissimo a rovesciare subito il Governo! (Commenti).

Quello che desideravo dirvi è che noi oggi stiamo all’opposizione con uno spirito diverso di quello col quale vi saremmo stati 25 anni fa: siamo all’opposizione con lo spirito di un partito il quale sa che la volontà del popolo gli chiederà di riassumere nuovamente responsabilità diretta di Governo. La nostra opposizione sarà costruttiva, perché vogliamo ridurre al minimo possibile il male che questo Governo può fare.

Sulla vostra attività, signori del Governo, noi terremo gli occhi aperti! Ricordatevi che il popolo italiano ha sofferto abbastanza per avere il diritto di crearsi una vita nuova per l’avvenire. Voi non date questa garanzia, perciò non avete la fiducia dei lavoratori e non avrete il nostro voto.

Una voce al centro. Ma noi non siamo lavoratori? Non siamo popolo anche noi?

SCOCCIMARRO. Fate attenzione alle suggestioni e alle lusinghe reazionarie; non sbarrate la via alle masse lavoratrici: il progresso e l’ascesa dei lavoratori significa progresso e ascesa di tutta la nazione! (Vivi applausi a sinistra Congratulazioni).

PRESIDENTE. La seduta è sospesa per 10 minuti.

(La seduta, sospesa alle 19.5, è ripresa alle 19.35).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Benedettini. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Dopo il discorso semi-conservatore dell’onorevole Scoccimarro, io sarò brevissimo.

Se le dichiarazioni fatte finora dagli oratori che mi hanno preceduto sono state quasi tutte impostate sulla questione economico-finanziaria, non vuol dire che sulle comunicazioni del Governo De Gasperi non vi siano da fare considerazioni di altro carattere e di natura differente, importanti quanto e forse più di quelle.

Innanzitutto c’è un equivoco che deve essere chiarito. Sembra che il problema più scottante dell’attuale momento sia di natura economico-finanziaria. Ora, io non discuto l’importanza e l’urgenza di questo problema ma affermo che la crisi del precedente Governo e quella di tutto il Paese è una crisi eminentemente politica. Perciò qui si ha il preciso dovere di giocare a carte scoperte.

L’onorevole De Gasperi ha provocato quaranta giorni or sono una crisi del suo Ministero perché, dopo un anno di cosiddetta coabitazione forzata, di matrimonio di convenienza, si è convinto che in quel modo non poteva andare avanti. In altre parole, più crude ma più espressive, l’onorevole Presidente del Consiglio, al pari della maggioranza degli italiani, è giunto alla conclusione che con i comunfusionisti al Governo non si poteva, non si può governare. Di qui la crisi, di qui il nuovo Governo De Gasperi, terzo della Repubblica.

Quale monarchico tengo a dichiarare che i monarchici non hanno dimenticato e non possono dimenticare, per ciò che concerne il fattore istituzionale e politico, tutte le responsabilità che gravano sui passati Governi, e quindi anche sul nuovo, che di quelli è il diretto erede.

Da questo punto di vista, è chiaro che i monarchici dovrebbero schierarsi contro questo Governo. Ma per i monarchici, come ha dimostrato col suo alto esempio, col suo personale sacrificio Sua Maestà Umberto II (Interruzioni a sinistra) – dico Sua Maestà Umberto II (Vivi rumori a sinistra) – partendo per l’esilio per evitare la guerra civile (Interruzioni Rumori), al disopra della questione istituzionale, vi è innanzitutto l’interesse della Patria (Commenti) e al lume di questo interesse la mia coscienza, e credo anche quella di moltissimi monarchici, sente il dovere di appoggiare il nuovo Governo. (Applausi à sinistra).

Prendiamo atto dell’approvazione con molto piacere.

Qui però la questione è duplice: l’una riguarda la fiducia al Governo, cioè agli uomini ed ai Gruppi che questo Governo impersona; l’altra riguarda l’approvazione o meno del suo programma. Anche a tal proposito, sarò quanto mai chiaro ed esplicito. Di fronte alla situazione del Paese che richiede un Governo capace di governare, di fronte alle esigenze del popolo che sta sopportando con crescente indignazione la politica dei suoi rappresentanti…

COSTANTINI. Conseguenze della monarchia.

BENEDETTINI. …pur non dimenticando la responsabilità che alcuni uomini dell’attuale Governo hanno assunto per il nascere di questa Repubblica, dichiaro che il nuovo Governo De Gasperi, anche per gli uomini che lo compongono, deve avere il nostro appoggio. (Commenti a sinistra).

Né potrebbe essere diversamente se si considera che già nella crisi del gennaio scorso noi ci dichiarammo disposti ad appoggiare un Governo De Gasperi senza i comun-socialisti, cioè composto da democristiani e da tecnici. L’onorevole De Gasperi ricorderà che tale parere personalmente gli espressi nel gennaio scorso (Commenti) e questi sei mesi hanno rafforzato ancor più il mio convincimento; cosicché ripeto oggi quello che dissi allora: di dovere appoggiare questa nuova compagine ministeriale. Ma nell’altro punto della questione è necessario discutere e parlarci chiaro. L’onorevole Presidente del Consiglio nell’esposizione del suo nuovo programma ha affermato che il Governo manterrà fede ai 14 punti del precedente Governo…

Una voce a sinistra. Per la difesa della Repubblica.

BENEDETTINI. …vale a dire al programma imposto nel gennaio scorso dai marxisti. In quei 14 punti si parla di leggi eccezionali per la difesa della Repubblica, e quindi di provvedimenti antiliberali che sopprimono le basilari libertà democratiche del Paese. Ora è evidente che se il nuovo Governo De Gasperi intende continuare a percorrere quella strada non può trovarci solidali. Io so benissimo che quello che sto per dire, se non è opportuno diplomaticamente, né prudente politicamente, è però espressione di una realtà di fatto. Questa realtà, piaccia o dispiaccia ai repubblicani di ogni colore, ci avverte che l’attuale Governo, formato da democristiani e da tecnici, ha contro di sé le estreme sinistre ed ha l’appoggio dei liberali, dei qualunquisti e degli esponenti dichiaratamente monarchici. (Commenti).

Ebbene, io ho il dovere di ricordare che gli 11 milioni di voti monarchici, oltre che agli esponenti dichiaratamente monarchici, andarono precisamente nella loro totalità a questi partiti: ai democristiani, ai liberali, ai qualunquisti. Sarebbe perciò veramente grottesco, oltre che assurdo, se un Governo, poggiato prevalentemente su forze monarchiche, dovesse con leggi speciali ed eccezionali perseguitare i monarchici o impedire ad essi l’uso delle fondamentali libertà democratiche. E sarebbe anche assurdo se i partiti, che questo Governo compongono e questo Governo appoggiano, dovessero continuare a impedire ai propri iscritti e ai propri rappresentanti di esprimere liberamente le proprie opinioni e i propri convincimenti nel campo istituzionale; dovessero, ad esempio, impedire di far parte o di accettar cariche nell’Unione monarchica italiana, che è un’associazione al di fuori ed al di sopra dei partiti. Tutto ciò, ripeto, sarebbe non solo grottesco e assurdo, ma contrario a quei principî di libertà che questi partiti affermano di propugnare, e assolutamente conforme a quei principî totalitari che pur si afferma di voler combattere.

Intendiamoci: io non riapro qui la questione istituzionale; anzi, proprio perché sono pensoso delle sorti del Paese, affermo la necessità di appoggiare il nuovo Governo De Gasperi, ma devo pur precisare che questo appoggio è decisamente condizionato al rispetto di quelle libertà che sono a fondamento di ogni società civile, e di ogni Governo veramente democratico.

Una voce a sinistra. Violate dalla monarchia del tradimento.

BENEDETTINI. Ho l’impressione che qui si abbia un po’ il timore di chiamare le cose con il loro vero nome, il che crea confusione e impedisce di chiarire la situazione.

Non bisogna mai aver paura della chiarezza. In genere non bisogna mai aver paura di niente.

La situazione è questa: l’Italia non può rinascere, i suoi Governi non possono governare perché le forze sovversive impediscono questa rinascita, impediscono quest’azione di Governo.

Una voce a sinistra. Siete voi le forze sovversive.

BENEDETTINI. L’Avanti! ha detto chiaramente: «Il così detto Gabinetto di colore (nero) che s’è presentato alla Costituente è il tipico Ministero Facta o Kerenski. Non si sa se farà il giuoco dell’estrema destra o dell’estrema sinistra, ma è destinato a provocare un conflitto che la democrazia cristiana (cioè il Governo) non è in grado di dominare». Dunque, per i sovversivi, siamo alla guerra civile, siamo alla vigilia dell’azione diretta. (Interruzioni a sinistra).

Qui non c’è tempo da perdere, qui non si tratta di compromessi vecchi o nuovi. La guerra civile s’impedisce se il Governo assume in pieno le responsabilità dell’ora, se è deciso ad affrontare la situazione politica prima di quella economica e finanziaria, perché è questa che dipende da quella e non viceversa, come molti credono.

SICIGNANO. Vuole il colpo di Stato monarchico?

BENEDETTINI. Con la scusante della questione sociale i sovversivi apprestano la rivoluzione, il colpo di Stato e a tal fine aizzano le masse, impediscono al Governo di governare, giacché le rivoluzioni hanno bisogno di disordine, di scontenti, di miseria, di disoccupazione per scatenarsi.

E questo non hanno compreso i repubblicani veramente democratici; non hanno mai compreso di fare il giuoco dei sovversivi.

Infatti, stando ai risultati del referendum (risultati che non hanno mai convinto i monarchici e forse neppure i repubblicani)…

ROMITA. Sono esattissimi.

BENEDETTINI …dei 12.700.000 voti che avrebbe riscosso la Repubblica, circa 9 milioni sono favorevoli ad una Repubblica non democratica, ma totalitaria, cioè bolscevica, così che per il regime totalitario e dittatoriale vi sono 9 milioni di voti, per il regime democratico vi sono 3.700.000 voti repubblicani e 10.700.000 voti monarchici.

Ieri si volle decidere sul dilemma monarchia o repubblica; oggi bisogna scegliere e decidersi sul dilemma: democrazia o totalitarismo ed il Governo non può, non deve dimenticare questa realtà di fatto, la democrazia è voluta, è difesa decisamente e in grande maggioranza dalle forze monarchiche. (Commenti). E mentre queste hanno come fine supremo il bene della Nazione (tanto che noi monarchici siamo disposti ad appoggiare questo Governo), le forze totalitarie sono avverse a ogni nazionalismo, perché legate all’internazionalismo, a quell’internazionalismo che oggi ha per sede centrale il Cremlino. Questa è la realtà di fatto e su di essa bisogna operare, senza equivoci, a viso aperto, perché il tempo stringe. La realtà dimostra che sinora la vita politica italiana è stata disorientata e sconvolta dal monopolio dei partiti marxisti sulle classi lavoratrici, come ha recentemente confermato il Congresso della Confederazione generale italiana del lavoro a Firenze. (Interruzioni).

Noi neghiamo recisamente che i partiti sovversivi abbiano difeso gli interessi del proletariato, e denunciamo alla Nazione che l’opera da loro svolta, apertamente od occultamente, impedendo la ripresa del Paese, ha nuociuto sopratutto alle classi lavoratrici.

Una voce. Questo è falso.

BENEDETTINI. Bisogna spezzare questa bassa demagogia speculatrice. Tutti gli italiani, che hanno il senso della solidarietà nazionale e la sensibilità dei tempi, vogliono che il livello di vita del popolo italiano, soprattutto di coloro che lavorano e soffrono in silenzio, sia portato al massimo di benessere, e che si raggiunga finalmente una vera giustizia sociale. Questa è la volontà e la meta dei monarchici che solo una propaganda falsa e faziosa dipinge come reazionari. Tanto è vero che molti, moltissimi sono i monarchici che vanno ingrossando le file del Partito nazionale del lavoro, partito sociale, cattolico e monarchico, che unisce nel suo programma la difesa delle libertà democratiche con l’esigenza di una più alta giustizia sociale, senza deprimere i valori nazionali. Le masse lavoratrici, che sempre più affluiscono in questo partito (Commenti), dimostrano che il popolo è desideroso di ordine e di pace; e non vi è affatto bisogno di essere sovversivi per tutelare gli effettivi interessi dei lavoratori, e questi, se per qualche tempo possono cadere vittime della demagogia, al momento opportuno sanno aprire gli occhi e giudicare la via migliore per difendere i propri interessi. (Commenti).

Concludendo: data la drammatica situazione in cui versa il Paese, io, a nome dell’Unione monarchica italiana, da cui ho avuto il preciso mandato, dichiaro che i monarchici sentono di dover appoggiare in questo momento il nuovo Governo (Interruzioni a sinistra), in quanto ritengono che esso, anche per le persone che lo compongono, parta con la volontà di iniziare la ricostruzione. Devo però subordinare questo appoggio a tre condizioni (Commenti): innanzitutto l’abbandono di quegli impegni programmatici che, se erano concepibili con il tripartito, sono un assurdo oggi che il Governo De Gasperi si è liberato dei comunisti.

Intendo riferirmi a quelle leggi speciali e eccezionali che, rappresentando una palese violazione delle libertà democratiche, sono agli antipodi dei princìpi che ispirano la Democrazia cristiana.

Secondo: l’attuazione di una sana politica sociale, che vada incontro agli interessi delle masse lavoratrici e i cui elementi sono contenuti in quella parte dei 14 punti che noi accettiamo e sosteniamo.

Infine, lo smantellamento di tutto quel complesso di enormità giuridiche che vanno dal sistema epurativo alla retroattività delle leggi, ai tribunali speciali e che, dividendo gli italiani dagli italiani, servono ad acuire le ingiustizie, le fazioni, gli odi, preparando il terreno alla guerra civile.

Onorevole Presidente del Consiglio, io sono certo che sodisfacendo a queste necessità morali, politiche e sociali, voi non solo avrete l’appoggio dei monarchici, ma otterrete l’unanime consenso della Nazione, che per noi come per voi dev’essere sempre al di sopra di ogni interesse di parte. (Commenti a sinistra Applausi all’estrema destra).

CIANCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su che cosa?

CIANCA. In riferimento ad una frase contenuta nel discorso che il precedente oratore ha letto. In detto discorso c’è una frase che suona così: «I 12 milioni e 700.000 voti che avrebbe riscosso la Repubblica».

PRESIDENTE. Ritengo che questa non sia una ragione sufficiente per dare la parola a lei o a qualunque altro collega che la chiedesse. Nel corso degli interventi che si faranno, coloro che vogliono parlare a questo proposito avranno modo di esporre la loro giusta opposizione.

CIANCA. Se permette, io la prego, signor Presidente, di farsi interprete della nostra protesta contro un’affermazione la quale tende ad invalidare le origini stesse di questa Assemblea. La Repubblica è, ed è, per volontà diretta degli elettori italiani. La Repubblica non «avrebbe avuto» ma «ha avuto» 12 milioni e 700.000 voti. Io non potevo lasciar passare l’affermazione dell’oratore senza protestare. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Crispo, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno firmato anche dagli onorevoli Badini Confalonieri, Morelli Renato, Zanardi, Villabruna, Reale Vito, Bozzi, Rubilli, Scoccimarro, Costantini, Gullo Fausto, Mancini, Sereni, Perrone Capano, Martino Gaetano, Preziosi, Caso, Rodinò Mario e Abozzi:

«L’Assemblea, considerato che l’applicazione del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, colpisce fino all’espropriazione la proprietà edilizia e terriera, a danno dei meno abbienti, con specifico grave pregiudizio dell’economia meridionale, invita il Governo agli opportuni emendamenti».

L’onorevole Crispo ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.

CRISPO. Onorevoli colleghi, mi piace rilevare che il mio ordine del giorno è sottoscritto non solo dai colleghi del mio Gruppo, ma anche dagli onorevoli Scoccimarro, Gullo, Mancini e Sereni.

I motivi che lo ispirano non possono, adunque, suscitare alcuna diffidenza.

Come è noto, col 10 giugno s’inizia l’applicazione dell’imposta straordinaria di cui al decreto legislativo 29 marzo 1946, e col 13 luglio si dovrà adempiere l’obbligo della denunzia, ai fini dell’imposta progressiva sul patrimonio. Due provvedimenti che s’inquadrano nello stato attuale di emergenza: l’uno, inteso a risolvere il problema delle impellenti esigenze di Tesoreria; l’altro, considerato come il primo di una serie di mezzi rivolti al risanamento del bilancio e ad impedire il processo di slittamento della lira. Due provvedimenti che incidono – e questa è la ragione del mio intervento – in modo pauroso e preoccupante, sopratutto, sulla piccola proprietà. A me sembra, innanzitutto, un errore che l’Assemblea e il Paese siano stati posti dinanzi al fatto compiuto, che il decreto legislativo, cioè, sia entrato in vigore, senza l’intervento dell’Assemblea, rimasta del tutto estranea in un atto di così evidente importanza tecnica e politica. Errore tanto più grave in quanto nell’articolo 77 del decreto stesso è stabilito che esso dovrebbe essere convalidato dall’Assemblea, e il disegno di legge per tale convalida fu già presentato da tempo.

Questo fatto crea, a mio avviso, un problema politico, un problema giuridico e un problema d’indole pratica. Quanto al primo, in uno Stato democratico il rispetto verso il cittadino deve essere norma inderogabile in ogni provvedimento che lo concerne e non può essere consueto che si disponga dei beni dei singoli, senza che se ne dimostrino, con pubblica discussione, la utilità e la necessità Non si tratta, per vero, di diritti contrapposti, quello dello Stato e quello del cittadino, ma si tratta, invece, di contemperare le esigenze dello Stato con le garanzie che deve avere il cittadino, quando è chiamato a sodisfare quelle esigenze. Tanto più in quanto, in tema di tributi, ha notevole importanza il fattore psicologico, la fiducia, cioè, che un governo deve riscuotere. La fiducia crea l’autorità del governo nello Stato democratico, e l’autorità è cosa diversa dall’autoritarietà che di quella è soltanto la veste esteriore. Ed è la fiducia che crea anche la coscienza tributaria dei cittadini, lo spirito di sacrificio, la consapevolezza della necessità del sacrificio stesso, elementi senza dei quali il contribuente è indotto a ricorrere a tutti i mezzi per l’evasione. Imporre, adunque, il tributo, e riscuoterlo senza la preventiva autorizzazione del Parlamento può apparire come una sopraffazione, come una specie di despotismo finanziario, destinato a suscitare le maggiori diffidenze, e anche a frustrare la finalità dei provvedimenti.

Dopo la disfatta di Novara, il piccolo Piemonte si trovò in una situazione tragica, e il Governo impose e riscosse senza alcuna autorizzazione del Parlamento. Orbene, quando nel 27 agosto 1849, il Parlamento subalpino accordò la sanatoria al Governo, non mancò di far precedere al disegno di legge un preambolo che affermava non soltanto gli obblighi, ma anche i diritti del cittadino per il pagamento dei tributi, ed era di severo monito per il Governo. E a proposito dei rapporti tra Governo e Parlamento sono sempre attuali le parole di Ruggiero Bonghi: «Questo che si è andato sviluppando, per la supina condiscendenza dell’Assemblea, è un sistema assurdo, da qualunque aspetto si guardi. Se è vero che il potere esecutivo da solo faccia meglio che col concorso del legislativo, cominciamo dal convertire il sistema parlamentare in assoluto, e sarà, almeno, cosa intelligibile e chiara».

Il fatto compiuto, in contrasto, per altro, con le esigenze proprie del metodo democratico, crea un problema d’indole giuridica. I rapporti tra Governo ed Assemblea sono regolati dal decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, per il quale, a norma dell’articolo 3, il potere legislativo è delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali, le quali devono essere deliberate dall’Assemblea. Nondimeno, è data facoltà al Governo di sottoporre all’esame dell’Assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa.

Tale facoltà, per il noto articolo, aggiunto al regolamento, divenne obbligo per i casi nei quali apposite Commissioni permanenti rilevassero l’importanza tecnica e politica di determinati provvedimenti.

Nel caso nostro, l’importanza tecnica e politica dei provvedimenti finanziari è evidente, epperò essi furono oggetto di fervide discussioni, in seno alle Commissioni riunite, ed avrebbero dovuto essere deliberati dalla Assemblea. Non si comprende, adunque, la disposizione dell’articolo 77, col quale si stabilisce che L’Assemblea sarà chiamata a convalidare il decreto legislativo. L’istituto della convalida non è contemplato nel surricordato decreto legislativo luogotenenziale, il quale, all’articolo 6, per l’attività legislativa delegata al Governo, stabilisce l’obbligo della ratifica non da parte dell’Assemblea, ma da parte del futuro Parlamento, entro un anno dalla entrata in funzione di esso.

Occorre, adunque, domandarsi che cosa significhi la convalida di cui al suddetto articolo 77. Una delle due: o il provvedimento rientra nell’ambito della facoltà legislativa delegata, e, in tal caso, non c’è bisogno di convalida, o non rientra nell’ambito della delega, per l’importanza di esso, e, in tal caso, l’esorbitanza è evidente, sì che il Governo, usurpando un potere che non gli spetta, emette un provvedimento privo di efficacia. Si versa chiaramente in quest’ultimo caso, come del resto si rileva dalla stessa relazione del Ministro Campilli, nella quale non si dice che il provvedimento sarà sottoposto all’Assemblea per la convalida che non consentirebbe emendamenti, ma si dice, invece, che l’Assemblea potrà deliberare le eventuali necessarie od opportune modificazioni.

FUSCHINI. Il provvedimento ha il carattere di un decreto catenaccio.

CRISPO. No, si tratta d’un decreto legislativo del Capo dello stato, come è definito nel testo. Il decreto catenaccio, come ella sa, onorevole Fuschini, rientra nella competenza straordinaria del governo, ed è giustificato da esigenze di necessità. Si tratta, adunque, non di attività delegata, ma di attività autonoma, che la dottrina riconosce legittima nei casi straordinari di urgenza, e pei quali dovrà poi intervenire il potere legislativo per convertire o non in legge il provvedimento del potere esecutivo.

Adunque l’articolo 77 che prevede la convalida ha una sola spiegazione. Il provvedimento doveva essere deliberato dall’Assemblea; venne, invece, emesso dal Capo dello stato, senza l’intervento dell’Assemblea, e si credette, per sanare la evidente violazione del diritto e del potere di essa, di ricorrere allo espediente della convalida.

Ciò premesso, a quale funzione obbedisce la convalida? È condizione sospensiva o risolutiva?

Nel primo caso, dovrebbe sospendersi l’esecuzione della legge fino alla convalida, nel secondo, pur venendo applicato, la legge si caducherebbe, se la convalida fosse negata.

Ecco il problema giuridico, del quale non bisogna dissimularsi la gravità e l’importanza.

Il fatto compiuto pone, infine, problemi d’ordine pratico. Non può, innanzi tutto, sfuggire ad alcuno la diversità di trattamento in rapporto al patrimonio mobiliare e a quello immobiliare. Prescindendosi dall’errore del mancato cambio della moneta, il decreto favorisce l’evasione della massa dei capitali liquidi, poiché consente soltanto di accertare la consistenza del capitale azionario, ove lo schedario centrale sia aggiornato e funzioni, mentre per i titoli al portatore e per i depositi bancari l’accertamento dipenderà soltanto dalla buona volontà del contribuente. La norma dell’articolo 44 non si estende, difatti, alle banche, epperò i titoli e i depositi saranno coperti dal segreto che ragioni di opportunità politica e psicologica avrebbero consigliato di rispettare.

Quanto al coefficiente di valutazione, esso costituisce un mezzo di espropriazione, sopratutto della piccola proprietà. Capitalizzandosi la rendita al tasso del 5 per cento, e moltiplicandosi il capitale per 5, se si tratta di immobili urbani, e per 10, se si tratta di fondi, la rivalutazione si ottiene in base ad un criterio che non risponde alla realtà, in base, cioè, ad un valore venale immaginario, non reale, senza tenersi conto della rendita, e senza alcuna discriminazione tra case a fìtti bloccati e case a fìtti non bloccati.

Si faccia, per esempio, il caso di un immobile con un reddito lordo di 90 mila lire: si avrà un imponibile di 60 mila lire che, capitalizzato al 5 per cento, corrisponderà alla somma di un milione e duecentomila lire, la quale, moltiplicata per cinque, raggiungerà la cifra di sei milioni.

Orbene, il contribuente dovrà corrispondere l’imposta straordinaria in ragione del 4 per cento, pari a dieci annualità in ragione del 0,40 per cento, cioè duecentoquarantamila lire; dovrà pagare, inoltre, l’imposta sul patrimonio progressivamente sulla base del 7 per cento, nonché il 7 per cento per mobili, arredamento e gioielli, e, infine, il 5 per cento per denaro liquido per la nota, indefinibile presunzione con la quale si pretende di colpire il patrimonio mobiliare nel possessore di attività immobiliari.

Una cifra enorme! Un peso che supera la capacità contributiva, e, come tale, insopportabile.

E si giunge a tanto per l’assurdo criterio di rivalutazione al quale si è fatto ricorso, e per la mancata discriminazione tra fitti bloccati e fìtti non bloccati.

PELLA, Ministro delle finanze. Si farà.

CRISPO. Prendo atto della sua promessa, e la ringrazio, ma, intanto, il contribuente deve pagare.

Se si consideri poi la condizione del piccolo proprietario, che dovrà pagare soltanto l’imposta straordinaria, si constaterà che egli non potrà sodisfarla. La proprietà è vincolata dal 1930; nel 1934 furono ridotti i fìtti del 15 e del 12 per cento, secondo la destinazione dell’immobile; nel 1940 fu applicata l’imposta sulle entrate, e nel 1936 quella straordinaria, collegata col prestito forzoso di quell’anno. Essa ha, inoltre, sopportato il peso di un vero e proprio prezzo politico mercé il blocco degli affitti; un prezzo politico posto a carico del privato, a favore della collettività! E se calcolate questo sacrificio in ragione del 4 per cento per quattro anni, esso corrisponde al 16 per cento!

I provvedimenti finanziari adottati si risolvono, adunque, in una vera espropriazione, a danno, sopratutto, dell’economia meridionale, e sono destinati a creare un enorme turbamento di essa, senza realizzare il gettito sul quale il Governo fa assegnamento per fronteggiare le attuali esigenze.

È, difatti, assurda pretesa che vi siano proprietari in condizione di sopportare pesi siffatti e di provvedere alle esigenze impellenti dello Stato. Il proprietario o dovrà vendere, o dovrà lasciarsi espropriare. Nel primo caso, o le vendite non saranno facili, anche per l’ipoteca di cui saranno gravati gli immobili a favore dello Stato, o le vendite si risolveranno in esose speculazioni a favore degli arricchiti di guerra; nel secondo caso, è difficile immaginare un maggiore disordine economico, posta la possibilità d’una generale espropriazione dei contribuenti non in grado di pagare. Comunque, il bisogno urgente dello Stato non sarebbe sodisfatto. Anche questa volta l’economia meridionale resterà particolarmente colpita, ove si consideri che si sottrae all’imposta il patrimonio degli enti collettivi, ossia il quinto del patrimonio imponibile, e sarà facile l’evasione dei depositi bancari e dei titoli di Stato, non estendendosi l’articolo 44 alle banche e alle aziende di credito. Questa ricchezza, compreso il patrimonio degli enti collettivi, si calcola in circa 1600 miliardi. Milleseicento miliardi sottratti all’imposta, mentre la piccola proprietà paga! Ecco la realtà!

Tutti gl’italiani sono consapevoli della tragica ora che il Paese attraversa.

Ciò non toglie che il Governo debba rendersi conto della enorme gravità, della insopportabile durezza dei provvedimenti adottati, tanto più duri, quanto meno aderenti alla realtà, nella indefinibile disparità di trattamento tra patrimonio mobiliare e patrimonio immobiliare, e, sopratutto, tra nord e sud! Si disse che la Repubblica avrebbe dato in pochi mesi al Mezzogiorno quello che in 50 anni i passati governi avevano sempre inutilmente promesso. Orbene, noi chiediamo soltanto che ci si lasci, almeno, vivere, ed esprimendo la nostra fiducia al Governo, poniamo voti perché esso, raccogliendo il nostro monito, non voglia accrescere lo stato di disagio e di abbandono delle popolazioni meridionali. (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Interrogazioni ed interpellanza con richiesta d’urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con carattere di urgenza. Desidero a questo proposito far presente ai colleghi che il grande numero di interrogazioni con carattere di urgenza fa sì che questa non possa essere più rispettata. Il Governo sino ad ora non ha risposto e abbiamo elevato la nostra protesta; ma v’era la giustificazione che non si tenevano più sedute per lo svolgimento delle interrogazioni. D’ora innanzi qualche seduta mattutina si potrà tenere a questo scopo; occorre che non tutte le interrogazioni siano presentate con carattere di urgenza. E veramente per alcune di esse la qualifica di «urgente» è tale da lasciare stupiti.

Comunico che all’interrogazione urgente presentata sabato scorso dagli onorevoli Li Causi e Montalbano al Ministro dell’interno questo risponderà giovedì prossimo.

L’onorevole Abozzi ha presentato la seguente interpellanza urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, per sapere se credano opportuno politicamente e giuridicamente lecito che il Governo approvi immediatamente lo Statuto regionale sardo sottraendolo all’esame, alla discussione e al voto dell’Assemblea Costituente alla quale è riservata la materia costituzionale».

Chiedo al Governo quando intenda fissarne lo svolgimento.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Questa come altre interpellanze sullo stesso oggetto potranno essere svolte dopo il voto sulle dichiarazioni del Governo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente presentata dagli onorevoli Molè e Turco:

«Ai Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sui provvedimenti che intendono adottare per venire incontro ai senza tetto, disastrati dal terremoto in provincia di Catanzaro».

Poiché il Ministro dei lavori pubblici risponderà domani ad altra interrogazione sullo stesso oggetto, penso che risponderà contemporaneamente a questa.

L’onorevole Costantini ha presentato la seguente interrogazione con richiesta di urgenza:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri, per sapere se consti l’esistenza in Albania, a precisamente a Korce, di circa settecento lavoratori italiani ai quali non è stato finora consentito di rientrare in Patria, e per conoscere quali provvedimenti siano stati presi o siano in corso di adozione allo scopo suddetto, tenuto anche presente che gli stessi prigionieri di guerra sono da tempo rientrati in famiglia».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io sarei disposto a star qui anche la notte; ma l’Assemblea ci metta in condizione di poter rispondere come Governo responsabile. Vi sono ancora 54 oratori iscritti sulle comunicazioni del Governo e siamo alla seconda settimana. Il Governo dovrebbe avere il tempo di preparare le risposte. Prendo impegno di una maggiore solerzia, ma chiedo all’Assemblea che permetta al Governo di esaminare i singoli argomenti per poter rispondere.

COSTANTINI. Il Presidente del Consiglio potrebbe rispondere alla mia interrogazione prima che l’Assemblea concluda la discussione sulle comunicazioni del Governo data l’importanza dell’argomento della mia interrogazione che non consente indugi.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente degli onorevoli Musolino e Silipo:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato per l’alimentazione) e al Ministro dell’agricoltura e foreste, per sapere se non ritengano necessario ed urgente autorizzare i prefetti delle provincie produttrici di olio a bloccare un quantitativo di questo prodotto, essenziale all’alimentazione, in quantità sufficiente a far fronte ai bisogni delle popolazioni interessate, servendosi per la vendita degli enti più qualificati.

«Ciò allo scopo di infrenare la speculazione che in questi ultimi giorni, dopo avvenuto lo sblocco in virtù del decreto ministeriale 14 maggio 1947, ha fatto salire il prezzo dell’olio a cifre iperboliche nei luoghi di produzione con gravissimo danno delle masse popolari consumatrici».

Sarà comunicata al Ministro dell’agricoltura e delle foreste il quale potrà precisare quando vi risponderà.

Segue l’interrogazione urgente presentata dall’onorevole Sardiello:

«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:

1°) se – in esecuzione del decreto che, dal 1° luglio prossimo venturo, trasferisce la Sezione di Corte d’appello di Reggio Calabria dalla dipendenza della Corte d’appello di Messina a quella di Catanzaro, e dovendo il 1° luglio i magistrati ed i funzionari attualmente in missione a Reggio rientrare alla Corte di appello di Messina – possa assicurare che la Corte di Catanzaro provvederà prontamente alla sostituzione;

2°) se – nel caso non sia possibile dare tale assicurazione – non creda opportuno disporre, con l’urgenza che il caso consiglia, che i magistrati e i funzionari attualmente dipendenti dalla Corte di Messina ed in missione presso la Sezione di Reggio vengano (per i magistrati, con la loro adesione) trasferiti alla Corte di Catanzaro, restando destinati in missione presso la Sezione di Reggio. A tal proposito è da notare che i magistrati e funzionari predetti, durante la loro missione presso la Sezione di Reggio, sono stati sempre esclusivamente adibiti al lavoro di questa;

3°) quali altri provvedimenti – in caso che non ritenga attuabile o non risulti sufficiente quello sopra indicato – intende adottare (e potrebbesi pensare anche ad una proroga della data di entrata in vigore del decreto) per garantire oltre il 1° luglio prossimo venturo il funzionamento della Sezione di Corte di appello di Reggio Calabria, che ha risposto e risponde in modo opportuno e degno sotto tutti i rapporti al funzionamento della giustizia, e che quella nobile popolazione ha invocato per lunghi decenni, ha conseguito con piena soddisfazione ed intende conservare e difendere con tutte le sue forze».

SARDIELLO. Il Ministro della giustizia mi ha già comunicato che risponderà lunedì prossimo.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione urgente presentata dall’onorevole Morini:

«Al Governo (Alto Commissariato dell’alimentazione), per conoscere se non si ritiene che le stesse ragioni che hanno consigliato – agli effetti del tesseramento differenziato – di assegnare tutti gli operai alla categoria A, indipendentemente dal salario percepito, militino anche a favore degli impiegati, assegnati invece nella categoria A o B, a seconda dello stipendio sino a 25.000 lire mensili o superiore a detta somma».

Interesserò l’Alto Commissario, affinché comunichi quando intenda rispondere.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Dopo l’approvazione della proroga ritengo che si possa vedere con una certa tranquillità la prospettiva dei nostri lavori. Penso che potremo ridurre grandemente le sedute mattutine. C’era anzi, a questo proposito, una proposta dell’onorevole Giannini, il quale ha acceduto al criterio che ho espresso e cioè che potremmo limitarci a due sedute mattutine per settimana, lasciando quattro mattinate libere per le altre incombenze dei deputati e per le riunioni di Gruppo. Le due sedute mattutine possono essere dedicate allo svolgimento delle interrogazioni e delle interpellanze oppure, ove queste non vi siano, alla prosecuzione dell’ordinaria discussione. Ad esempio, mentre propongo che domattina non si tenga seduta, penso che dovremo tenerla mercoledì per riprendere l’esame del Titolo V del progetto di Costituzione, relativo alle Regioni. Ritengo che in questi giorni siano stati presi gli eventuali contatti per gli accordi sul testo di Costituzione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mercoledì si potrebbe continuare la discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Desidero accennare alla questione, che l’onorevole Presidente del Consiglio ha già sfiorato con una certa delicatezza. Occorrerebbe che in questa settimana si finisse la discussione sulle comunicazioni del Governo. Ma vi sono ancora 54 iscritti a parlare ed ogni giorno ricevo nuove iscrizioni.

UBERTI. Chiederemo la chiusura.

PRESIDENTE. Poiché gli elementi più rappresentativi di tutti i Gruppi, salvo alcuni, non hanno ancora parlato, non so se una richiesta di chiusura presentata domani non vada contro il desiderio dei Gruppi stessi. Quindi, prima di chiedere la chiusura, sarà bene che i Gruppi rivedano l’elenco degli iscritti, in modo che nel momento in cui la chiusura sarà chiesta ed approvata, nessuno abbia a rammaricarsi. Cosicché la discussione sulle comunicazioni del Governo potrebbe chiudersi col voto venerdì, poiché tutti sanno che vi è in programma un viaggio a Milano per la visita alla Fiera Campionaria.

UBERTI. Teniamo seduta anche domattina.

PRESIDENTE. Si potrebbe tener seduta anche domattina; ma i Ministri saranno pronti a rispondere alle interrogazioni?

Una voce. Domattina si potrà porre all’ordine il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. Faccio osservare che i colleghi iscritti a parlare non sono stati avvisati; questo potremo farlo per mercoledì.

Pertanto ritengo che si possa proseguire nella seduta di domani, alle 16, la discussione sulle comunicazioni del Governo, dedicando la prima mezz’ora ad alcune interrogazioni urgenti, alle quali i Ministri competenti si sono impegnati di rispondere.

Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro dell’industria e del commercio, per sapere per quale ragione il Governo tollera che associazioni private impongano forti contributi alle industrie beneficiarie di assegnazioni statali di prodotti contingentati. In particolare, per sapere perché si consente che l’Associazione prodotti alimentari, che si è fatta iniziatrice di una causa presso il Consiglio di Stato per evitare il contributo di circa trenta centesimi per ogni chilogrammo di zucchero a favore della Commissione centrale economica, proceda poi ad applicare a proprio favore un contributo di sei lire al chilogrammo, e cioè venti volte maggiore. Gli interroganti chiedono se l’onorevole Ministro non ritenga opportuna un’indagine completa sui contributi fatti pagare dalle associazioni private sulle assegnazioni statali di prodotti contingentati.

«Tremelloni, Cairo».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni che hanno indotto il Governo a nominare Vicedirettore generale della Banca d’Italia il dottor Paride Formentini, estraneo all’Amministrazione della Banca stessa, interrompendo così una lunga tradizione, in base alla quale almeno uno dei tre alti dirigenti dell’Istituto veniva scelto fra il personale superiore del medesimo, ed umiliando ingiustamente il folto gruppo di detto personale.

«Marinaro».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere i motivi per i quali non è stata ancora concessa l’autorizzazione (che la Direzione generale dell’Italcable assicura di avere da tempo richiesta al Ministero) per la istituzione del servizio Italcable in Reggio Calabria. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri (Alto Commissariato dell’alimentazione), per conoscere i risultati degli accertamenti disposti sulle cause che hanno determinato nei magazzini dell’Alimentazione di Reggio Calabria il deterioramento di quintali 49,67 di latte evaporato e sulle decisioni della Commissione provinciale per l’accertamento delle avarie, nonché sui provvedimenti adottati in conseguenza.

«L’interrogazione ha riferimento alla risposta scritta comunicata il 9 febbraio 1947, col n. 7388, ad un’altra precedente, nonché all’interrogazione immediatamente successiva, dello stesso tenore della presente e rimasta, tuttavia, senza risposta. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Sardiello».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, perché – in relazione al regio decreto-legge 8 luglio 1941, n. 868, convertito in legge il 5 dicembre 1941, n. 1508, che estende i beneficî economici di carriera concessi ai combattenti della guerra 1915-18 a quelli della guerra 1940-45, e più precisamente con riferimento alle disposizioni sulla carriera del personale dello Stato di cui al comma terzo, articolo 43, capo IV, del regio decreto 30 settembre 1922, n. 1290, nel quale è detto che «il tempo trascorso lontano dai reparti combattenti, per ferite o malattie contratte a causa di servizio o per prigionia non dipendente da circostanze imputabili all’interessato, si considera come passato presso i reparti predetti, agli effetti del collocamento di cui al presente articolo» – voglia precisare se il periodo trascorso in prigionia dopo l’8 maggio 1945 (data di cessazione delle ostilità) e fino alla data del rimpatrio, sia da considerarsi come trascorso presso i reparti combattenti per la concessione dei beneficî economici e di carriera di cui al predetto articolo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ferrarese».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per sapere se sia a conoscenza che vi sono vallate che, pur essendo importanti centri turistici (Cogne e Gressoney), sono ancora, a seguito dei danneggiamenti avuti durante la guerra, senza servizio telegrafico, nonostante che esse da tempo abbiano offerto di mettere a disposizione dell’Amministrazione statale il materiale (pali) occorrente per la riattivazione delle linee relative a tale servizio.

«Data l’imminente ripresa della stagione turistica, si invocano urgenti provvedimenti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Bordon».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

La seduta termina alle 20.45.

Ordine del giorno per la seduta di domani.

Alle ore 16:

  1. – Interrogazioni.
  2. – Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

SABATO 14 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CLI.

SEDUTA DI SABATO 14 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                          

Disegno di legge (Discussione):

Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16
marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente (22)                           

Benedetti                                                                                                         

Lucifero                                                                                                           

Crispo                                                                                                               

Meda                                                                                                                 

Grassi, Ministro di grazia e giustizia                                                                   

Nitti                                                                                                                  

Cevolotto                                                                                                        

Basso                                                                                                                

Lussu                                                                                                                

Piccioni, Relatore                                                                                              

Gasparotto                                                                                                      

Presidente                                                                                                        

Perassi                                                                                                              

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni ed interpellanze con richiesta d’urgenza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Laconi                                                                                                              

Chieffi                                                                                                              

Lussu                                                                                                                

Mastino Gesumino                                                                                           

Fuschini                                                                                                            

Silipo                                                                                                                

Interrogazione (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 9.30.

CREMASCHI CARLO, Il Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Canevari.

(È concesso).

Discussione del disegno di legge: Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente (22)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente.

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Onorevoli colleghi, è fuori dubbio che la nuova Carta costituzionale deve essere fatta ed è altrettanto fuori dubbio che siamo nell’impossibilità di farla entro il termine del 24 giugno.

Come uscire da questa situazione? A mio avviso si doveva scegliere la via maestra della democrazia, la via del rispetto della volontà del popolo, la via di una nuova consultazione popolare: domandare cioè al popolo se intendeva prorogare i poteri di questa Assemblea, oppure se, in considerazione anche degli scarsi risultati dati dall’Assemblea stessa, intendeva nominare altri delegati ad adempiere al compito di formulare la nuova Carta costituzionale.

Questa via non è stata scelta ed è sorto così un problema costituzionale di fondamentale importanza, cioè se l’Assemblea abbia o no il diritto di accordarsi una proroga non prevista dalla legge. C’è chi non ne dubita affatto partendo dal principio che l’Assemblea Costituente è sovrana ed è legge a se stessa.

Questa stessa opinione è quella della Commissione, la quale ha risolto il gravissimo quesito in modo molto sommario: se l’è cavata con quattro parole. Ha detto che l’Assemblea, depositaria ed interprete della volontà sovrana, ha il potere indiscusso di deliberare in proposito.

A me sembra assai dubbio che esista un simile potere, anzi mi sembra che questo potere non esista affatto. Il sovrano è il popolo al quale l’Assemblea Costituente dovrebbe far luogo nel caso non potesse compiere il mandato che dal popolo ha ricevuto.

Due Governi di emergenza, rappresentanti del popolo, interpreti unici della volontà popolare, fissarono rispettivamente, nel decreto legge del 25 giugno 1944 e nel decreto legislativo del 16 marzo 1946, il carattere ed i termini dell’Assemblea Costituente.

Il popolo, convocato nei comizi elettorali, implicitamente fece suoi quei decreti in base ai quali delegò la propria sovranità ai 554 costituenti: Nessun altro, tranne che il popolo stesso, può variare il tenore di queste disposizioni. All’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946 è scritto: «L’Assemblea è sciolta di diritto il giorno dell’entrata in vigore della nuova Costituzione e comunque non oltre l’ottavo mese dalla sua prima riunione. Essa può prorogare questo termine per non più di quattro mesi».

Io sono ingegnere, non sono un giurista. Parlo col buonsenso del popolo, ma mi sento di sfidare i giuristi ed i costituzionalisti ad interpretare questa disposizione in altro modo che nel senso perentorio datogli dal legislatore.

A convalidare questa interpretazione basta mettere a confronto due articoli dello stesso decreto legislativo: il secondo ed il quarto. Il secondo fissa il termine delle funzioni del Capo provvisorio dello Stato fino a quando sarà nominato il Capo dello Stato senza limite di tempo; il quarto, come abbiamo visto, fissa il termine dell’Assemblea comunque a dopo otto mesi dall’inizio dei suoi lavori ed eventualmente consente quattro mesi di proroga. Né più e né meno. È evidente che in questo caso una proroga di poteri da parte dell’Assemblea sarebbe un colpo di Stato! (Interruzioni al centro).

Mi dispiace che da quella parte dell’Assemblea sorgano dei rumori di disapprovazione. Quello che io ho detto l’ho letto anche in un articolo di don Luigi Sturzo il quale è un eminente uomo politico che ha affermato esattamente questa stessa tesi: quindi non comprendo perché, proprio da quel settore dell’Assemblea partano dei rumori di disapprovazione; per quanto ho sempre saputo che quel settore dell’Assemblea ha, verso quell’uomo politico, una grande deferenza, come la ho io stesso. (Commenti al centro e a sinistra).

CARPANO MAGLIOLI. Quel che lei ha detto è pregiudiziale!

PRESIDENTE. La conclusione è pregiudiziale!

BENEDETTI. Sì, la conclusione è pregiudiziale! Se me lo permettono, ripeto che a giudizio di quell’eminente uomo politico, ed a mio modestissimo giudizio, la proroga dell’Assemblea è un colpo di Stato. Io credo, e lo credo fermamente, che bisogna attenerci al disposto del decreto 16 marzo, il quale stabilisce che l’Assemblea è sciolta di diritto il giorno in cui scadono i suoi poteri, cioè a dire il 24 giugno. (Interruzioni al centro e a sinistra). Mi rendo perfettamente conto, onorevoli colleghi, che qui tutti hanno desiderio di prorogare la durata dell’Assemblea. La divergenza fra loro consiste in questo soltanto: se la proroga debba essere più o meno lunga. Io ritengo che la questione non si ha nemmeno il diritto di discuterla e che si debba applicare integralmente un articolo di legge il quale non può essere variato da un’Assemblea che non ha i poteri per farlo.

Rendendomi però conto – e dico questo ora per non prendere più la parola in seguito nel corso della discussione – che l’Assemblea Costituente, probabilmente all’unanimità, salvo rarissime eccezioni, sarà di parere contrario al mio, io affermo che tutto quanto sarà fatto d’ora in avanti è fuori di ogni legalità e perciò evidente è la necessità assoluta che la nuova Carta costituzionale sia sottoposta al giudizio del popolo da esprimersi mediante referendum.

LACONI. Sicché il 24 giugno, per non essere illegale, lei si dimette?…

BENEDETTI. Senza attendere il 24 giugno io ho presentato questo ordine del giorno: «L’assemblea Costituente afferma che la nuova Costituzione dello Stato deve essere approvata dal popolo mediante referendum». (Interruzioni a sinistra). E ho chiesto che ce ne andiamo tutti.

LACONI. Si dimetta il 24 giugno per non essere illegale!

BENEDETTI. Può darsi che io mi dimetta, ma non è questa la soluzione di una questione costituzionale. Lei gradirebbe forse eliminare dall’Assemblea un suo oppositore. Mi sembra, oltre tutto, onorevole collega, che la sua domanda sia ingenua.

PRESIDENTE. Lei conclude dicendo che presenta questo ordine del giorno a titolo di abbondanza, per non prendere più la parola nel corso della discussione; ma mi permetta di dirle che non è pertinente alla discussione di oggi e pertanto non potrebbe essere messo in votazione nella seduta di oggi in cui è in discussione un altro argomento. Le ricordo un altro ordine del giorno che fu presentato tempo fa alla Presidenza da alcuni colleghi, i quali accettarono di sospenderne la discussione. Se mai il suo ordine del giorno potrà essere discusso dopo che avremo concluso l’esame del disegno di legge all’ordine del giorno.

BENEDETTI. Non sono d’accordo, perché trovo che il mio è piuttosto un emendamento, anzi, un articolo aggiuntivo al progetto di legge; ed andrebbe messo in votazione. Comunque io sono sempre estremamente remissivo e soprattutto deferente alla sua grande autorità: perciò mi rimetto al suo parere.

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti, se avesse voluto presentare un emendamento, avrebbe dovuto seguire una diversa procedura.

Apro la discussione sulla questione pregiudiziale posta dall’onorevole Benedetti, avvertendo che possono parlare due oratori a favore e due contro.

LUCIFERO. Chiedo di parlare a favore della pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Onorevoli colleghi, dichiaro innanzitutto che io parlo a titolo strettamente personale. Ritengo che la questione che noi affrontiamo è forse una delle più delicate che l’Assemblea Costituente abbia dovuto, fino ad oggi, discutere, perché un organo quale noi siamo, che ha ricevuto i suoi poteri dall’esterno, oggi dall’interno si appresta probabilmente a prorogare questi poteri. Si pone, quindi, per ciascuno di noi una questione di coscienza, ed io parlo proprio per rispondere ad una questione della mia coscienza e per scaricare la mia personale coscienza di quel cinquecentesimo di responsabilità che io ho delle decisioni di questa Assemblea.

Io penso che questa questione dell’ulteriore proroga dei poteri dell’Assemblea, al di là dei termini fissati dalla legge istitutiva, sia ingenerata da un grandissimo equivoco; da un equivoco che è anche un grandissimo errore; cioè il credere che le cose umane debbano essere perfette per forza, ed il volerle costruire perfette, anche se la sorte perfette non le fa.

Io non concordo con l’opinione espressa dall’onorevole Benedetti che questa Assemblea non abbia lavorato ed abbia dato scarsi risultati. Questa Assemblea ha dato quello che poteva. Chi come me ha fatto parte della Commissione dei settantacinque sa a quale lavoro i settantacinque si sono sottoposti; ed a quale lavoro presentemente siamo sottoposti lo vediamo e lo soffriamo tutti, perché – mi permetta il nostro Presidente – certe volte il suo parossismo lavorativo raggiunge addirittura il sequestro collettivo di persona, in quanto ci ha tenuto qua dentro, certi giorni, dalle 9 del mattino all’una di notte. Quindi che si dica che l’Assemblea ha dato scarsi risultati, mi pare una ingiustizia verso l’Assemblea stessa. L’Assemblea ha veramente lavorato, e la materia che essa ha elaborato (che è la Costituzione) e che a me non piace indubbiamente è il risultato di un grande lavoro, che non può essere né minimizzato né disprezzato. Ma questo non significa che l’Assemblea debba assolutamente finire la Costituzione, perché tante cose a questo mondo sono incominciate da un uomo e finite da un altro, da un consesso e finite da un altro, da una generazione e finite da un’altra. Ora, noi abbiamo lavorato in questa Costituzione come potevamo. Abbiamo fatto tutta la dichiarazione di diritti – perché quello che abbiamo fatto finora non era Costituzione, ma dichiarazione di diritti; abbiamo messo mano al lavoro costituzionale, propriamente detto, ed abbiamo preparato tutto il materiale di base per la costruzione della seconda parte. Non abbiamo finito; chi verrà dopo di noi finirà. Sarà a noi stessi lo stabilire i termini, perché questo entra nei nostri poteri costituzionali, cioè le norme per la nuova Assemblea. Potremo evitare gli errori di chi ha costituito noi dandoci termini troppo brevi e facendoci discutere tutta una Costituzione in un clima permanente elettorale. Cioè, si potrà tornare al principio, già accennato allora, di una Assemblea Costituente che esaurita la sua funzione costitutiva si trasforma in legislativa e continua regolarmente le sue funzioni per il periodo che la Costituzione stessa le assegna. Ma il credere che la Costituente debba assolutamente finire la Costituzione penso che sia un errore, un errore anche di onestà umana. La Costituente ha fatto quello che poteva fare. Forse sarebbe errore più grave il dire che la vogliamo finire per forza, questa Costituzione, benché nei termini che ci sono stati assegnati non l’abbiamo finita. Quindi, io ho voluto fare questa osservazione preventiva, perché la mia convinzione che la Costituzione possa essere fatta in due tappe, mi sembrerebbe anche la più logica.

La relazione presentata dalla Commissione, mi riferisco a quella approvata dalla maggioranza, si pone due domande: la prima domanda è sulla legittimità della proroga, la seconda domanda è sul termine in se stesso.

Dato che io mi trovo su un piano completamente opposto a quello in cui si è trovata la Commissione, risponderò anzitutto alla seconda domanda.

PRESIDENTE. In sede di pregiudiziale, però, lei non deve rispondere che alla prima domanda.

LUCIFERO. Io mi riservo allora di riprendere la parola per quanto riguarda la seconda parte. Ora, la domanda è questa: la proroga è legittima? Secondo me non lo è. I sostenitori della proroga affermano che, anzitutto, il mandato è limitato dall’esercizio della facoltà costituente, cioè, fino a che noi non avremo fatto la Costituzione, essi dicono, noi ci possiamo prorogare indefinitamente. Ma questo non è esatto, perché con questo principio noi ci potremmo prorogare per anni, non finendo la Costituzione. Il mandato si esaurisce quindi nel termine che è stato stabilito tanto più che il mandato prevedeva già una possibilità di proroga, e stabiliva, anzi, il periodo massimo di questa proroga.

Faccio notare la genesi di quel decreto legislativo, dal quale è nato il nostro mandato, e ricordo che fu l’unico caso – in tutta la durata dei vari Governi che si sono seguiti, da Bonomi a Parri e coi successivi Ministeri De Gasperi – in cui il Presidente del Consiglio ha ritenuto di consultare anche l’opposizione perché, per tutto il periodo della durata dei varî Governi dei Comitati di liberazione nazionale mai era passato a un Presidente del Consiglio per la mente che anche il pensiero dei gruppi di opposizione potesse avere la sua importanza in un paese senza Parlamento. In quel caso soltanto, l’onorevole De Gasperi si ricordò che l’opposizione ha pure una funzione democratica e quindi chiese di conoscere anche il nostro parere su questo decreto. Il decreto fu infatti compilato sulla base di una consultazione di tutte le forze politiche. Ricordo che egli ebbe con me un colloquio di oltre un’ora, per conoscere anche il nostro parere su questo punto. Fu quindi sentito il pensiero di tutte le correnti politiche operanti nel Paese: fu sanzionato col voto del 2 giugno, e quella fu la sanzione del Corpo elettorale; e quando qualcuno chiese che questa legge e la legge elettorale fossero sottoposte ad un referendum preventivo, si disse che la sanzione sarebbe venuta con questo voto del corpo elettorale.

Per me non c’è dubbio che questa proroga non potrà esser legittimamente affermata; né si può dire che la sovranità è passata dal popolo a noi, e quindi che noi esercitiamo una sovranità nostra. La nostra sovranità è derivata dal popolo; e noi non possiamo andare al di là del mandato del popolo. Io mi riserbo quindi di rientrare in discussione più profonda sul merito in altra sede, mentre in questa sede io debbo semplicemente affermare che ritengo che qualunque proroga non sarebbe legittima giuridicamente, non sarebbe opportuna politicamente e che metterebbe ciascuno di noi, e noi tutti nel nostro complesso, in una situazione enormemente delicata. Potrebbe infatti accadere domani – e prego di notare che questa osservazione viene fatta da questo banco – che questa proroga servisse di mezzo di invalidazione delle nostre deliberazioni ed io sono del parere che le nostre deliberazioni non debbano essere assolutamente attaccabili, quali che esse siano.

Questa è la ragione per la quale io ritengo che la pregiudiziale dell’onorevole Benedetti debba essere approvata, salvo a prendere tutte quelle deliberazioni che saranno richieste dalla avvenuta accettazione.

CRISPO. Chiedo di parlare contro la pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CRISPO. Onorevoli colleghi! Io parlo in nome del Gruppo liberale e dichiaro subito che il Gruppo liberale esprime il proprio dissenso sulla opinione espressa dall’onorevole Lucifero. La sola questione, a mio avviso, da risolvere è quella della legittimità della proroga dell’Assemblea Costituente.

Per risolverla, occorre domandarsi in che cosa consista questa questione di legittimità. Io ritengo che la questione della legittimità debba essere esaminata sotto un triplice aspetto: sotto quello del potere proprio dell’Assemblea Costituente; sotto quello del compito specifico per il quale l’Assemblea Costituente fu eletta dal popolo; e, infine, sotto quello del significato da attribuire al termine posto alla durata dell’Assemblea Costituente.

Ora a me sembra che, comunque si consideri la questione, non possa dubitarsi della legittimità della proroga in rapporto alla necessità della proroga stessa.

In caso contrario, data la suddetta necessità, si dovrebbe riconoscere la competenza del Governo per la proroga dell’Assemblea a norma dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946 che regola i rapporti tra Governo e Assemblea.

A me pare non si possa uscire dai termini di questo ragionamento; e vorrei osservare, a coloro i quali negano la legittimità della proroga, che il legislatore non può porsi sul terreno astratto; poiché la legge obbedisce ad esigenze concrete. Se si ponesse, difatti, il problema astrattamente, e si pretendesse di dare al termine efficacia operativa di decadenza, si dovrebbe prescindere dalla funzione per la quale noi siamo qui, eletti dal popolo: funzione specifica, determinata che non abbiamo potuto adempiere interamente, per ragioni assolutamente indipendenti dalla nostra volontà.

Ora, senza riferirmi al potere sovrano dell’Assemblea che nessuno può contestare, è innegabile il fatto che il 24 giugno la Costituzione sarà ancora in fieri ed esigerà ancora un lungo periodo di tempo per la sua definizione. La realtà è questa. Che cosa si dovrebbe fare, adunque? Eleggere una nuova Assemblea? Basta proporsi questa ipotesi per intenderne tutta l’assurdità. Né si comprende quali ostacoli possano opporsi alla proroga della durata di questa Assemblea, perché il compito iniziato sia portato a compimento. È evidente, adunque, o che l’Assemblea ha il potere di autoprorogarsi – e questo potere ha indubbiamente – o, se tale potere si disconoscesse, alla proroga dovrebbe provvedere il Governo, a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 marzo 1946, data la necessità assoluta della proroga stessa.

Il secondo aspetto della questione riguarda il compito dell’Assemblea. Non v’è alcuno il quale non intenda come il termine debba avere una diversa funzione. Vi è, cioè, un termine perentorio allo spirare del quale, ope legis, per effetto stesso della predeterminazione del termine, può verificarsi la decadenza d’un organo in rapporto ad una determinata funzione che aveva come limite prefissato un’epoca determinata.

Ora, nel caso nostro il termine non si può intendere se non in rapporto al mandato ricevuto.

Mandato e termine sono in intimo rapporto di connessione, nel senso che il termine non può svuotare il mandato del suo contenuto determinando la decadenza dell’organo delegato all’adempimento del mandato stesso. Si tratta, adunque, d’un termine prorogabile, e la proroga deve essere necessariamente in relazione all’importanza del lavoro che deve ancora espletarsi.

E allora qual è la soluzione? Nessuna altra che quella della proroga dell’Assemblea. Proroga legittima, per le ragioni che mi son permesso di illustrare; onde confido che l’Assemblea vorrà respingere la proposta pregiudiziale. (Applausi).

MEDA. Chiedo di parlare contro la pregiudiziale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MEDA. Ho poco da aggiungere a quanto ha detto l’onorevole Crispo per dimostrare la legittimità della nuova proroga che l’Assemblea Costituente intende concedersi. A coloro che sono favorevoli alla pregiudiziale, io devo rispondere che se ricordano l’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, dimenticano l’articolo 1 del decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, il decreto base che fissa e stabilisce la convocazione dell’Assemblea istituente.

L’articolo 1 di questo decreto dice: «Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato.

«I modi e le procedure saranno stabiliti con successivo provvedimento».

Il decreto successivo, che è un decreto integrativo, normativo, non può aver mutato nella sostanza questo articolo 1. Si doveva nominare un’Assemblea Costituente, una sola che doveva e deve formare la nuova Costituzione della Repubblica italiana. Non si può supporre che l’Assemblea Costituente debba operare in diversi tempi, in diverse formazioni; ma deve operare in continuità per dare la Costituzione alla Repubblica italiana.

Quindi, la pregiudiziale non è accoglibile, appunto perché non è mai venuto meno, nello spirito e nella sostanza, l’articolo 1 del decreto 25 giugno 1944.

È verissimo, pertanto, ciò che ha detto il collega Crispo, che noi legittimamente possiamo prorogare i nostri lavori, per non venir meno al compito preciso che abbiamo avuto dal popolo italiano: quello di dargli una Costituzione.

Ma, onorevoli colleghi, se dovessimo accettare la pregiudiziale dell’onorevole Benedetti, quale situazione si creerebbe nel Paese? Quale nuovo organo potrebbe continuare i lavori che noi abbiamo iniziato?

Non voglio pensar male, ma quando si parla di colpo di Stato, accusando noi di volerlo fare prorogando i nostri poteri, sorge il sospetto che forse il colpo di Stato lo vogliano attuare altri, lasciando il Paese senza una Camera, senza rappresentanti, senza la possibilità di completare quel lavoro che abbiamo iniziato il giorno che ci siamo riuniti per dare la nuova Costituzione all’Italia.

Questa è la situazione. Non un colpo di Stato da parte nostra, ripeto, ma forse nostalgia di qualche colpo di Stato da parte di altri. Noi abbiamo il dovere di proseguire i nostri lavori, perché questo è il compito preciso che abbiamo avuto dal popolo italiano. (Applausi).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, prego il Governo di esprimere il suo parere sulla pregiudiziale.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La questione pregiudiziale sollevata dagli onorevoli Benedetti e Lucifero involge, in fondo, la questione principale, la questione di merito cioè del provvedimento stesso, ossia la sua legittimità. Quindi credo che se discutiamo e risolviamo questa questione pregiudiziale, vuol dire che la difficoltà principale che poteva dividere l’Assemblea su tale argomento, sarà superata, e potremo procedere più rapidamente nell’esame del disegno di legge.

Mi pare che dopo le osservazioni fatte così acutamente da parte degli onorevoli Crispo e Meda non possano rimanere dubbi al riguardo. Ad ogni modo la questione è di tale importanza, che è indispensabile che l’Assemblea se ne occupi e decida.

È necessario tener presente che il sistema costituzionale provvisorio, su cui si fonda il nostro attuale ordinamento giuridico, deriva dai provvedimenti legislativi del 25 giugno 1944 e del 16 marzo 1946.

Con questa sistemazione provvisoria dell’ordinamento giuridico italiano, in attesa della futura Costituzione, il potere legislativo viene affidato al Governo, mentre il potere costituente rimane affidato all’Assemblea Costituente. Il divario fra il decreto-legge 25 giugno 1944 ed il decreto legislativo del 16 marzo 1946 è rappresentato soltanto da questo: che mentre il primo provvedimento (che fu un accordo fra il regime monarchico e il nuovo ordinamento formatosi durante la guerra di liberazione) stabiliva che a liberazione completa del territorio italiano sarebbe stata convocata l’Assemblea Costituente per decidere sulla forma istituzionale e sulla Costituzione del Paese; col provvedimento del 16 marzo si stabilì che la forma istituzionale venisse decisa da un referendum popolare, lasciando all’Assemblea Costituente il compito di formulare il nuovo ordinamento costituzionale italiano. Le elezioni del 2 giugno hanno determinato con il referendum il regime istituzionale del Paese, mentre hanno creato l’organo nuovo che deve dare il nuovo Statuto alla Repubblica italiana. Questi sono i termini della questione. Quindi non c’è dubbio che mentre il Governo rimane depositario del potere legislativo, durante questo periodo provvisorio, altrettanto è vero che tutta la competenza costituzionale per l’articolo 3 spetta all’Assemblea Costituente. Quindi non è questione di materia o di potere che si deve discutere in questo momento, ma di termine; ossia se il termine stabilito nel decreto legislativo 16 marzo sia un termine che possa essere prorogato. Mi pare assurdo giudicare che non vi sia possibilità di proroga. Anche durante periodi precedenti, quando, in momenti di necessità, gli organi legislativi si trovarono in circostanze analoghe, non discussero sull’improrogabilità del termine. È utile che legga a voi la dizione dell’articolo 42 dello Statuto Albertino, il quale suona così: «I deputati sono eletti per cinque anni; il loro mandato cessa di pieno diritto allo spirare di questo termine». Secondo l’articolo 42 dello Statuto Albertino, il termine della 24a legislatura scadeva di pieno diritto e sarebbe sembrato quindi illegittimo prorogare il termine di quella legislatura. Eppure durante la grande guerra, dopo un’elevata discussione sul disegno di legge per la proroga di un anno, presentato dal Presidente del Consiglio, che era Vittorio Emanuele Orlando, su relazione di Barzilai nella Camera e di Scialoja nel Senato, venne concessa la proroga perché si ritenne che il termine dell’articolo 42 non era perentorio, dato lo stato di necessità.

BENEDETTI. C’era la guerra!

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Allora lo stato di necessità era creato dalla guerra, oggi dalle condizioni eccezionali in cui ci troviamo. Il Parlamento nel 1918 prorogò di un anno la durata della Camera dei deputati, come avevano fatto la Francia e l’Inghilterra per la stessa ragione dello stato di guerra, con questa differenza che l’Inghilterra fece diverse proroghe successive mentre la Francia stabilì una proroga sino alla fine della guerra.

Ma al di fuori di questa differenza di forma, la sostanza fu la stessa, ossia tutti i Parlamenti che in quel momento combattevano una guerra di liberazione contro la Germania si trovarono d’accordo nella necessità di prorogare il termine delle Assemblee in quanto questa necessità si imponeva per lo stato di guerra. E non è esatto che questa necessità fosse da tutti ritenuta insuperabile, perché ricordo che in quelle discussioni vi fu l’onorevole Gambarotta che sostenne che le elezioni si potevano fare anche durante la guerra, stabilendo un sistema elettorale diverso: ma prevalse l’opinione che le elezioni bisognava farle in clima di libertà, che non era possibile farle in tempo di guerra.

L’onorevole Benedetti afferma che ora non è la stessa situazione; io dico che la situazione non è identica, ma è quasi analoga; perché se non c’è uno stato di necessità in quanto vi è la possibilità di convocare i comizi io domando: quali comizi il Governo può convocare oggi, con quali mezzi, se la legge elettorale del 10 marzo 1946 fu fatta esclusivamente per l’elezione dei deputati di questa Assemblea? E poi dico: non abbiamo ancora la Costituzione, non sappiamo quali saranno le future Assemblee legislative, e come possiamo fare le elezioni se non sono fissati gli organi ed i sistemi elettorali della Camera e del Senato? È desiderio del Governo procedere presto alle elezioni non solo per ragioni politiche, ma anche per scaricarsi del grave fardello del potere legislativo; ma occorre la Costituzione. Oggi lo stato di necessità si impone e quindi è legittima la proroga ed il termine può essere concesso dalla sovranità di questa Assemblea. (Applausi).

PRESIDENTE. La Commissione ha qualcosa da aggiungere?

PICCIONI, Relatore. No.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la pregiudiziale posta dall’onorevole Benedetti.

(Non è approvata).

Dichiaro aperta la discussione generale sul disegno di legge.

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Qui non vi sono che due soluzioni logiche e ve ne è una che sembra illogica: la proposta Benedetti. Andare comunque avanti e sia pronta o no la Costituzione (e ora nulla è pronto) dichiarare finita la Costituente. Andare davanti a chi? e a che? Nessuna soluzione dunque fuori che l’inverosimile di nominare per suffragio universale una nuova Costituente che, se nominata con il metodo già usato, sarebbe peggiore e più confusionaria dell’attuale. Sarebbe questo un procedimento tumultuoso. Escluso questo metodo, la questione è se possiamo fare una proroga o se dobbiamo. Se possiamo non è dubbio; nessuno può negare questo nostro diritto.

L’onorevole Crispo, con precisione, con chiarezza e, come è suo costume, in forma definitiva, ha dimostrato il diritto che noi abbiamo, né altri lo ha seriamente contradetto. Finora non ho udito nessuna dimostrazione, dal punto di vista giuridico, che ci impedisca di prorogare il termine della nostra Assemblea. Questo punto è dunque sicuro. Ciò che occorre vedere è se possiamo fare le elezioni a breve termine. È una illusione e anche, se mi permettete, un falso spirituale. Molti come me e più di me e a differenza di me che sono indifferente, desiderano che le elezioni si facciano nell’anno prossimo, nel 1948. Ma parecchi sono che vogliono comunque prospettarsi come custodi di democrazia e vigili difensori dei diritti del popolo. Mentre si è perduto un anno in vane discussioni senza fare la vera Costituzione, ora vogliono che ciò che non si è fatto in un anno si faccia in qualche giorno, o in due mesi! Si parla di una volontà popolare che non si è manifestata in questa materia e non poteva manifestarsi. Ora, non si tratta invece che di una questione di necessità, e, se è permesso dirlo, di serietà.

Vi sono diecine di problemi su cui non è possibile decidere senza serio esame.

Prendo la questione che è certo, o sembra, più semplice: quella del Capo dello Stato. Come sarà eletto il Presidente della Repubblica? Lo schema di disegno che ci è stato presentato non lo dice. Lo elegge tutto il paese come in America o sono le due Camere legislative come in Francia? Non è una semplice questione, ma è una questione fondamentale. Non è argomento da trattare in dieci minuti, o forse in fine di seduta, o di sera, dopo, sei o sette ore di lunghe dispute. Non vale di prolungare quelle che chiamerò le «giornate lavorative» della nostra Assemblea delle ultime settimane, a cui si arriva in stato di stanchezza mentale. Possiamo continuare a fare due o tre sedute al giorno che per la loro stessa durata non sono efficienti né conclusive e discutere in questa forma disordinata e tumultuosa le più grandi questioni politiche? Prendiamo quella del Senato. Siamo tutti di accordo nel volere il Senato. Quali sono gli elettori? E quali le funzioni e i poteri del Senato? Tutti sono ora di accordo che un Parlamento senza la seconda Camera è necessariamente destinato a fallire. Tutte le prove di una Camera sola non sono riuscite e dovunque è stato il fallimento. La prova più recente in Spagna. La caduta della Spagna liberale e il regime di Franco soprattutto son dipesi dalla mancanza di una seconda Camera che potesse frenare o moderare gli errori e le intemperanze della prima Camera. Ma come va formato il Senato? Da chi sarà eletto e sarà puramente elettivo? Chi è pratico di Assemblee ha visto, e lo vedete anche qui, quando la Camera si eccita per nulla e si discutono le questioni più insignificanti: anche qui vediamo discutere come in Pretura, tra un partito ed un altro, le responsabilità di un individuo o di un altro: piccole cose. Se il Senato sarà elettivo, stabiliti i requisiti dell’elettorato, vi deve essere poi la lista degli elettori. Queste liste richiedono qualche mese e non sono le stesse della Camera dei deputati. E anche ciò richiede qualche mese.

Il Senato deve intervenire e compiere opera necessaria quando le Camere si abbandonano a movimenti di eccitazione e a frenare gli errori delle folle, che si comunicano alla prima Camera, come abbiamo visto in Francia, nel delirio militarista per Boulanger.

Il Senato è sempre sorto in tutti i paesi ed è elemento necessario di equilibrio.

Permettete una parentesi che mi pare necessaria. Vi prego di toglier da questa Costituzione la sconcia espressione di Camera dei senatori: espressione volgare voluta da ignoranti. Bisogna dire semplicemente Senato. Nulla è più grande che il nome Senato, nato qui in Roma, scritto in tutte le vie di Roma (S.P.Q.R.). Camera, dei senatori è espressione ridicola per noi, imitazione servile del linguaggio dei popoli vincitori. Gli inglesi dicono Camera dei Comuni e Camera dei Lords e noi crediamo di imitarli dicendo Camera dei deputati e Camera dei senatori. Nulla di più stolido.

Senato e solamente Senato! La sconcia idea di togliere la bellezza della nostra tradizione che tutti i popoli hanno imitato deve essere abbandonata subito. Tutti i popoli europei, e anche l’America, parlano solamente di Senato, e noi saremo così ridicoli che parleremo di Camera dei senatori? Qui dove è esistito il Senato di Roma faremmo una caricatura di Assemblea, che comincia con l’abolire ciò che è di meglio, il nome.

LUSSU. Camera unica!

NITTI. Misericordia! Dovunque vi è stata una Camera unica non è durata, dovunque ha fatto cadere tutte le democrazie, dovunque ha provocato disastri, questo fatale errore!

Abbiamo poi necessità di trattare tante altre questioni che saranno necessariamente messe in discussione. Fra le altre grandi questioni vi sono quelle dell’ordinamento costituzionale. E poi altre questioni di grande rilievo, le Regioni che pure devono essere ancora discusse. E così persino la Corte suprema di cui proprio non vedo né la necessità né la serietà, ma che pure bisogna esaminare sia pure soltanto per respingerla.

Parecchio tempo fa io dissi che l’Assemblea Costituente doveva essere prorogata per necessità fino al 31 dicembre e che le elezioni non potevano avvenire che nella primavera prossima. Alcuni protestarono, altri si mostrarono sorpresi, ma io sapevo che le proteste, anche se sincere, erano inutili e che lo stesso Governo manifestandosi contrario non poteva esserlo realmente. Vi è una logica e vi sono la necessità e il tempo. Quale è la questione da risolvere ora? Dobbiamo decidere se la proroga sarà come propone la maggioranza della Commissione al 16 settembre o, come propone la minoranza, al 31 dicembre. Questo termine che vi avevo già indicato qualche mese fa, sarà il termine più breve se si vogliono fare le elezioni sul serio.

È una necessità dipendente da un errore, e non voglio dire da una colpa. Che cosa abbiamo fatto finora? Abbiamo perduto gran tempo in cose e discorsi inutili. Voi dite che il pubblico sarà forse severo nel giudicare le proroga che ci diamo. Perché sarà severo? Sarà invece severo nel giudicare la Costituzione che abbiamo preparato e che, sinceramente, non è felice, e in molta parte inapplicabile. Cattivo metodo, cattivi risultati. È la prima volta che una Costituzione non esce da un cervello o da pochi cervelli di uomini competenti, ma da una Assemblea, numerosa e composta di uomini in gran parte impreparati. Non si era mai fatta questa prova. Il popolo può fare tante cose, ma vi sono cose che il popolo non può e non potrà mai fare. La preparazione di ogni riforma legislativa deve seguire un metodo logico.

Deve essere preparata seriamente da persone competenti e che rappresentano idee o programmi in un periodo determinato. È così una Costituzione. Il popolo non prepara riforme o Costituzioni: esso può essere chiamato ad approvarle o a respingerle, con plebisciti o referendum. Ma la preparazione di una Costituzione non può venire dal popolo. Questa nostra Costituzione è il frutto non so di chi e non so di che, è il frutto di molte persone in gran parte impreparate, che si sono trovate insieme, hanno dovuto in parte esse stesse istruirsi e han discusso all’infinito non i termini di una Costituzione soltanto, ma programmi politici e sociali avveniristici. Il mio amico onorevole Ruini che ha presieduto la Commissione per la Costituzione si è affaticato, pur con la sua fervida fantasia, a riunire tante cose e ha dovuto finire per accettare un progetto di Costituzione che non è il migliore possibile ed è, nella parte che abbiamo discusso, in gran parte inapplicabile.

Abbiamo perduto molto tempo invano e dopo aver tanto discusso e divagato ora soltanto entriamo nel vivo della Costituzione. Abbiamo finora parlato di tanti argomenti inutili, di cose che non hanno nessuna applicazione nella organizzazione politica e solo da poche settimane cominciamo a parlare della Regione. Dopo un anno, solo in questi giorni è cominciato dunque l’esame vero della Costituzione. Si è cominciato a discutere della Costituzione solo quando il Presidente è stato obbligato a stralciare la questione delle Regioni che avrebbe assorbito molto tempo e che coinvolge la definizione di altri argomenti. L’ha separata per metterla avanti. Ma siamo ancora agli inizi. Quella delle Regioni è una terribile questione e la leggerezza con cui se ne parla mi offende e mi angoscia. Le autonomie regionali che io considero e pavento, unite alla proporzionale, sarebbero la rovina dell’Italia. Vedremo se io o voi sbagliamo. Comunque ne discutiamo solo da pochi giorni e senza alcuna seria conclusione. E questo sarebbe l’inizio di quella che deve essere la parte politica della Costituzione, cioè il nostro compito essenziale.

Ma poi vengono fuori tutte le altre questioni, tutti i vari problemi: i veri problemi di una Costituzione. E su di essi non abbiamo nemmeno non dico deciso, ma nemmeno avuto occasione di parlare!

Vi è il problema della Corte suprema costituzionale che dev’essere accuratamente ponderato. A questo proposito si sono manifestati pareri derivanti da equivoco o da ignoranza. Corti dette supreme esistono negli Stati Uniti di America, in Germania, in Svizzera ecc. Io che le ho visitate ho assistito anche a qualcuna delle loro sedute, particolarmente della Corte di Washington. Penso che chi ha proposto una Corte suprema italiana non ha compreso che se la cosa si realizzasse non farebbe che accrescere la confusione, e creare una istituzione pesante, cattiva e inutile. In questo Paese, dove la Magistratura è già in tanta difficoltà di vita, questa Corte costituirebbe un pesante e costoso meccanismo di cui nessuno sa dire la necessità e dissiperebbe le somme meglio utilizzabili a pagare la Magistratura.

Molti problemi importanti, anzi i più importanti dobbiamo ancora esaminare e richiedono serietà e, anche lavorando bene, del tempo.

lì problema dunque per noi non è di decidere se possiamo fare la proroga, ma se possiamo adempiere onestamente al nostro mandato nel tempo necessario. Vi sono due soluzioni: bisogna scegliere fra la proposta Nenni, cioè una nuova Costituente con tutti i suoi pericoli derivanti da una decisione tumultuaria; o una proroga ragionevole per fare seriamente l’esame della Costituzione. O accordare una proroga che dovrebbe essere la base per lavorare sul serio o una situazione di caos.

Comunque, le elezioni quali sono normalmente previste non potremmo farle. Le elezioni a breve termine non ci darebbero modo di terminare la Costituzione. In conseguenza gli argomenti che riguardanti la Costituzione politica del paese li dobbiamo discutere con serietà e dignità. È evidente che la Costituzione non può essere finita in settembre, dato che vi è tutta la parte politica da definire e perché finora non abbiamo fatto quasi nulla. Ciò che abbiamo discusso e deciso finora non è cosa importante: i principî morali stabiliti nella prima parte, sono basati sul compromesso continuo fra l’estrema destra e l’estrema sinistra.

Quanti giorni sono stati perduti a discutere assurdità che dipendevano da posizioni politiche transitorie, quando si sosteneva da una parte e dall’altra che fra il cristianesimo e il marxismo non vi era nessuna differenza sostanziale e che il fondamento era comune. Io ho assunto il compito penoso, venendo in questa Assemblea, di dire che tutto ciò era una falsità dovuta a scopi politici ed elettoralistici. Il Cristianesimo da una parte, marxismo e bolscevismo dall’altra: due tendenze inconciliabili. Non si cercava la verità ma il compromesso per ragioni transitorie di partiti.

In questa situazione di equivoci e di silenzi discreti è nata la prima parte di questa Costituzione. La Camera legislativa che ci seguirà, certamente modificherà profondamente o trasformerà questa Costituzione, perché in gran parte non applicabile, e, nella parte applicabile, non vera.

Ora dobbiamo decidere solo sul termine della nostra Costituente. Sul fatto di prolungare i nostri lavori siamo tutti di accordo. Io non ho veduto una minima opposizione con seri argomenti. Occorre fare tutta la parte politica e rivedere tutto ciò che è stato fatto finora. Si può nel termine di settembre? No. Non esiste forza umana, nemmeno la tenace volontà del nostro Presidente, disposto a soffrire sulla breccia, non dirò a morire sulla breccia (Si ride), nemmeno la sua tenace volontà riuscirà a fare una Costituzione decente entro settembre, nemmeno lavorando intensamente; ed io darò prova alla mia età di ogni resistenza e anche se non vi saranno vacanze, io non mancherò mai. Tutto questo per rispetto verso noi stessi.

Ora, io credo che il volere fare entro così breve periodo la Costituzione, non avendola preparata e discussa prima, sia un assurdo. Noi, o stabiliremo il termine del 31 dicembre (ed è questo che io propongo con la minoranza della Commissione) o saremo costretti a riproporlo in seguito. Sapete quale sarebbe la conseguenza del termine di settembre? Che noi con il termine di settembre non avremo fatto niente. Quando si arriverà a luglio ed agosto, molti vorranno le vacanze. Io sono tra gli oppositori di ogni proposta di lunghe vacanze, ma capisco perfettamente che, uomini fragili come noi siamo, abbiamo bisogno di alcuni agi. Capisco quindi la necessità; ma noi dovremmo lavorare intensamente per arrivare a fare la Costituzione, ed anche con un lavoro frettoloso dobbiamo rimanere a lavorare anche in agosto…

CANEPA. In agosto non viene nessuno; lo abbiamo già fatto questo esperimento, un anno, ed abbiamo visto che non c’era nessuno, i banchi erano vuoti.

NITTI. Sono perfettamente convinto che sarà necessario un breve riposo; lo accetteremo, ma noi dobbiamo tornare qui al lavoro appena sarà possibile. Infine dopo che avremo votato tante disposizioni che son superflue o contradittorie, occorre che l’ultima parte del nostro tempo sia riservata ad una opera di coordinamento e di correzione. Vi sono tante cose che sono state votate e che vanno rivedute. Nell’ultima fase, probabilmente noi dovremo dedicare la nostra attività a correggere ciò che vi è di non utile e di contradittorio. Le ultime settimane saranno utilizzate quindi a questo scopo.

Ora, qual è il pericolo che noi corriamo? Se noi vogliamo limitare il termine a settembre, noi non esauriremo i nostri lavori, e nemmeno la maggior parte dei nostri lavori, neppure la più urgente, ed allora noi saremmo costretti a chiedere una nuova proroga, che sarebbe inevitabilmente fino a dicembre. Allora noi saremmo squalificati; perché, se ora si dice che noi non abbiamo adempiuto al nostro mandato con dignità e non abbiamo fatto quello che dovevamo fare, cioè la Costituzione, cosa si dirà dopo una fugace proroga che non serve a nulla, allorché si chiederà una nuova proroga? Il nostro discredito allora sarà completo. (Approvazioni).

Voi sapete che io non ho nessun interesse personale e vi assicuro che non ne ho alcuno, nemmeno di partito. Ed io vi chiedo quindi soltanto per nostra dignità di fissare il termine al 31 dicembre. Salveremo forse così il Paese da molti errori, ma salveremo soprattutto la dignità della nostra Assemblea. (Applausi).

CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CEVOLOTTO. Onorevoli colleghi, la relazione della maggioranza della Commissione dice che i lavori dell’Assemblea sono già in una fase notevolmente avanzata. Non sembra invece sia questa l’opinione dell’onorevole Nitti e non sembra che le questioni più complesse e controverse che rimangono da discutere siano tali da poter essere risolte nei termini della nuova proroga che ci si propone di deliberare. Anche a questo proposito, l’onorevole Nitti ha espresso un parere nettamente contrario.

Certo, con la proposta di proroga al 9 settembre ci si chiede una continuità indefessa di lavoro, come quella che fin qui abbiamo dato, anzi ci si chiede – e possiamo essere pronti a farlo – un lavoro anche più intenso.

Ora, io dico: non sono più giovane; vi sono molti deputati, in quest’Assemblea, che sono non più giovani, come me. Con tutta la buona volontà, possiamo utilmente aumentare ancora lo sforzo che abbiamo sin qui compiuto e a cui ci ha sottoposto il rigore, del resto necessario, del nostro Presidente?

Per quanto concerne il cercare e l’imporci il mezzo più stringato di discussione, ricordo che l’Assemblea ha già deliberato; e se è vero, come è vero, quello che ha rilevato l’onorevole Nitti, che cioè adesso debbono venire in discussione gli argomenti più importanti e che vanno discussi più a fondo, sarebbe difficile rendere più rapida la discussione, perché ciò verrebbe in definitiva a significare l’abolizione di una parte della discussione stessa in quest’ultima fase dei nostri lavori.

Ricordo che, quando si trattò degli argomenti più controversi intorno ai quali la Commissione dei settantacinque si trovò divisa, si disse: deciderà l’Assemblea. Questi problemi – che sono i più importanti – vanno quindi ancora approfonditi.

Dice la relazione dell’onorevole Piccioni:

«Certo si richiede una continuità indefessa di lavoro non minore di quella fin qui sperimentata, un più stringato metodo di discussione e una massima applicazione dell’Assemblea al lavoro costituente vero e proprio. Se taluna di queste condizioni venisse a mancare, non v’è dubbio che più incerta si prospetterebbe la conclusione dei lavori nel termine previsto».

Ci si chiede dunque che nel mese di agosto e nei primi giorni di settembre noi si aumenti ancor più il nostro sforzo. Siamo pronti, ma questo – si riconosce – non è che un tentativo e la relazione prevede che questo tentativo possa non riuscire. E allora vogliamo metterci in condizione di doverci poi dare quella seconda proroga che giustamente l’onorevole Nitti depreca come una squalifica dell’Assemblea?

Ma queste sono questioni di indole pratica; vi è però anche una questione politica. Essa è stata chiaramente indicata dal Ministro guardasigilli. Egli ha detto: «Il Governo resta depositario del potere legislativo in questo periodo». In altre parole, se noi vogliamo tentare, e probabilmente invano, di fare la Costituzione per l’8 settembre, dobbiamo deferire completamente al Governo il potere legislativo ordinario, secondo un sistema che, in seguito ai temperamenti adottati dalla Costituente, era stato modificato dal voto dell’Assemblea e dall’accordo con il Governo.

Non potrebbero più funzionare le Commissioni legislative; con due sedute al giorno, non vi sarebbe più tempo neanche di deliberare alcuna legge. Si dovrebbe rinunziare a discutere qualunque legge in quest’Assemblea. Si staccherebbe nettamente il Governo dall’Assemblea. L’Assemblea dovrebbe rinunziare anche alle interrogazioni, alle interpellanze, alle mozioni; dovrebbe rinunciare a discutere persino la legge sulla stampa, che è necessaria e urgente, e che non può – a mio avviso – essere lasciata al Governo.

Non so come farebbe poi la Costituente a votare le leggi che sono necessarie, in quanto sono costituzionali: la legge elettorale, anzi le leggi elettorali, quella sulla Regione, quella sulla Corte costituzionale, se il principio sarà accolto. Vi è una discussione essenziale alla quale l’Assemblea non può sottrarsi: la discussione del Trattato di pace. Può darsi, poi, che qualche discussione, malgrado tutto, sorga sul terreno politico; e noi abbiamo visto nei giorni scorsi quale è la conseguenza di votare la Costituzione contemporaneamente ad una discussione di carattere politico. Quello che è successo nella votazione della Regione, la mancanza di possibilità di accordo, il nervosismo dell’Assemblea, non erano forse in relazione alla discussione politica sulle comunicazioni del Governo che si svolgeva contemporaneamente? E non dimostra quanto sarebbe stato più opportuno rinviare la discussione della Costituzione ad un momento più calmo, quando la questione politica fosse stata già discussa e superata?

Ma, ad ogni modo, staccando completamente il Governo dall’Assemblea, in un periodo pre-elettorale, urgentemente pre-elettorale, non verremmo noi stessi a dare al Governo quella qualifica che il Governo non vuole, cioè di cancellierato? Il Governo non lo vuole; vuole rimanere in contatto con l’Assemblea. Ma se votate la proroga all’8 settembre, voi mettete il Governo nell’impossibilità di tenersi in contatto con l’Assemblea la quale non potrà occuparsi che della Costituzione.

Se così è, io domando a voi: i deputati si sentono in grado di sacrificare tutta la loro attività oltre il limite delle proprie forze, per arrivare ad un risultato incerto, fino al 9 settembre, preparandosi così allo sforzo successivo della campagna elettorale e rinunziando fino al 9 settembre ad occuparsi di elezioni, perché dovranno occuparsi della Costituzione?

E d’altra parte domando anche questo: è proprio opportuno che le decisioni stesse sulla Costituzione siano dominate dal pensiero delle elezioni vicine?

Io credo che, perché una Costituzione si possa fare con calma, con tranquillità, con dignità – come diceva l’onorevole Nitti – sia necessario che nessuna preoccupazione elettorale imminente turbi troppo il pensiero o l’aspettazione dei deputati.

Non aggiungo altro, perché le argomentazioni sono già note ed è inutile ripeterle.

Per la serietà della nostra Assemblea, per l’utilità dei nostri lavori, noi dobbiamo approvare la proroga più lunga. (Approvazioni).

BASSO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BASSO. Onorevoli colleghi, la legge che è sottoposta al nostro esame implica dei gravi problemi non solo di ordine giuridico, ma anche di ordine politico. Si tratta di stabilire se la maggioranza dell’Assemblea ha o non ha il diritto di prorogare l’esistenza dell’Assemblea in modo da assicurare a se stessa la possibilità…

Una voce. È già stato deciso, abbiamo già votato.

BASSO. …di continuare indefinitamente. Gli oratori che mi hanno qui preceduto, anche gli oratori di maggioranza, tengono ad affermare puramente e semplicemente che l’Assemblea può prorogare il termine dei propri lavori.

Ora, noi crediamo che sia un fondamentale diritto delle minoranze di vedere garantito il rispetto delle norme che regolano la vita dell’Assemblea, in modo particolare il rispetto dei termini.

La legge in base alla quale questa Assemblea è stata convocata stabiliva che essa doveva decadere di diritto allo scadere di otto mesi, prorogabili una sola volta a dodici mesi. Questa scadenza sta per essere raggiunta e noi dobbiamo decidere se abbiamo o no la facoltà di continuare a prorogare i nostri lavori.

Io credo che noi possiamo oggi votare e noi voteremo la legge così come ci è proposta, ma la voteremo con uno spirito diverso da quello che è stato affermato da altri oratori, da quello che è stato affermato dal Guardasigilli e da quello che è stato affermato dal Relatore.

Noi riteniamo che questa proroga possa essere ancora concessa in quanto essa non incide sul principio fondamentale che crediamo debba essere rispettato, e cioè che la maggioranza non ha il diritto di eternarsi come maggioranza.

Io ricordo che nelle discussioni che hanno preceduto la formazione della legge per la convocazione di questa Assemblea si è molto discusso sulla utilità o meno del termine, e l’utilità del termine è stata sostenuta perché non si voleva che un’Assemblea Costituente straordinaria, durante la quale il Paese ha un regime non normale, durasse indefinitamente. Si voleva stabilire un termine massimo entro il quale dovesse cessare il regime eccezionale ed il Paese dovesse essere riportato alla normalità dei suoi organi legislativi.

Tenuto conto di questa ragione fondamentale che ha ispirato la fissazione di un termine, noi crediamo di poter essere anche nello spirito della legge se accettiamo una proroga che praticamente non ci porta al di là di quello che potrebbe essere il ritorno ad un ordine normale.

Cioè noi pensiamo che se anche l’Assemblea cessasse, com’è previsto dalla legge istitutiva, dai propri poteri il 24 giugno, non potrebbe ugualmente aver luogo la convocazione dei comizi elettorali e l’istituzione di un ordine legislativo normale se non per il prossimo autunno.

Noi crediamo di non violare lo spirito della legge quando accondiscendiamo ad una proroga che salvaguardi questo principio che al di là del prossimo autunno non si possa andare, non si possa prorogare il regime eccezionale in cui viviamo, nel quale il Paese ha soltanto l’Assemblea Costituente e non ha i suoi organi normali.

Crediamo quindi che la proroga eccezionale può essere concessa soltanto in questo spirito, ma non può costituire un principio in favore di ulteriori proroghe, che pensiamo sarebbero una violazione del diritto fondamentale della democrazia, che è rispetto delle minoranze e del diritto delle minoranze a diventare maggioranze attraverso il normale gioco democratico delle vicende elettorali. Ora questo diritto sarebbe posto nel nulla, se una maggioranza esigua ed effimera potesse dare a se stessa l’autorità di prorogare indefinitamente i propri poteri.

Noi crediamo che gli argomenti invocati per dimostrare che l’Assemblea è sovrana e che può prorogare i suoi poteri non reggano al lume della più semplice analisi, perché se è vero che la legge che ha istituito l’Assemblea Costituente ci ha fissato un compito, non è men vero che per questo compito ha fissato un termine, e che ha dato la precedenza al termine e non al compito, giacché l’articolo 4 dice bensì che l’Assemblea Costituente sarà sciolta quando entrerà in vigore la nuova Costituzione, ma dice anche: «comunque» non oltre gli otto mesi, prorogabili a dodici. Se quindi sorge conflitto fra il compito e il termine, è indubbio che con quel «comunque» il termine deve prevalere sul compito.

E non credo che possano valere i precedenti citati dal Guardasigilli che si riferivano a casi di vera e propria impossibilità materiale in tempo di guerra. Del resto è questo il pensiero della stessa Assemblea, espresso in modo evidente quando nell’articolo 58 del progetto di Costituzione si stabilisce che la legislatura può essere prorogata solo nel caso di guerra.

Qualunque ulteriore proroga dei nostri lavori rappresenterebbe dunque una sopraffazione della maggioranza sulla minoranza, un vero colpo di Stato.

È quindi in questo spirito di una interpretazione della «mens legis» che noi aderiamo a questa proroga, che non deve andare al di là del termine nel quale il Paese ha il diritto di avere i suoi normali organi legislativi. (Applausi a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Mi permetto di parlare esclusivamente a titolo personale, esprimendo il mio pensiero personale.

Per me la proroga, connessa con la data delle elezioni in autunno o in primavera, è perfettamente indifferente. Da quando io faccio parte di questa Assemblea non ho perduto quasi una sola seduta, e sono stato sempre qui, sicché gli elettori che hanno avuto la bontà di mandarmi al Parlamento hanno perduto di vista la persona del loro rappresentante, non solo, ma temo ne abbiano perduto anche il ricordo. Quindi sia che le elezioni si facciano in novembre, sia che si facciano in primavera, mi pare del tutto impossibile che gli elettori mi rimandino al Parlamento una seconda volta. Credo dunque di parlare assolutamente lontano da considerazioni di carattere personale.

Ma io parlo anche per un dovere di coerenza.

I colleghi della Commissione dei Settantacinque sanno che in gennaio ho sostenuto, contro tutti, che era impossibile che noi potessimo finire i nostri lavori il 24 giugno. I fatti mi hanno dato facilmente ragione. Oggi, per le stesse considerazioni, sento il dovere di dire che è impossibile che noi finiamo i nostri lavori a settembre; e quindi è impossibile che noi possiamo fare le elezioni a novembre. Questa è la mia convinzione derivatami dalle esperienze fatte, ed ho l’obbligo di dirlo. Quindi io concordo perfettamente con la proposta avanzata dall’onorevole Nitti la quale chiede una proroga fino al 31 dicembre.

Si pensa di poter aumentare il lavoro! Ma io vi dico che vado a dormire tutte le notti a mezzanotte. E quando mi metto a dormire dopo una discussione mattutina ed una pomeridiana io non sogno che cifre, cifre, articoli, articoli. (Commenti Ilarità).

Ora, faccio appello al vostro buonsenso: come si può aumentare la mole di questo lavoro? Sono io mai arrivato una volta con cinque minuti di ritardo alle sedute? Mai. E mai sono mancato ad una riunione. Quindi nessuno penserà che io parli per sottrarmi al lavoro.

Dico che lavorare di più è impossibile,

E poi pensate: il mese di agosto! Noi possiamo veramente credere di poter fare nel mese di agosto quei lavori accelerati? Se vogliamo lavorare nel mese di agosto, ci dovremo far portare alla Camera e riportare a casa in palanchino. Non è possibile.

E poi c’è un’altra questione: si dice che noi discutiamo troppo. È vero: noi discutiamo troppo; ma non è colpa nostra: È da 25 anni che l’Italia non era più abituata a veder discutere assieme più di 25 persone riunite. Ci si riuniva solo in pochi fidati, e clandestinamente. Solo i rappresentanti del regime si riunivano spesso. Ma quelle non erano discussioni: In piedi! Seduti! Per fila sinistra! Per fila destra! (Ilarità). Queste nostre sedute sono i primi esperimenti di libera vita in comune. Piano piano impareremo e ci abitueremo a discutere meno.

Ora io dico: è delicato chiedere una proroga? E se noi chiediamo una proroga, così come propone la Commissione, e poi, dopo aver constatato che non abbiamo condotto a termine i nostri lavori, cosa che è evidente, è molto più delicato chiederne una seconda? Tanto vale chiederne una a grande scadenza e lavorare seriamente. La cosa principale e fondamentale è la Costituzione: la serietà e la dignità della Costituzione. Questo è il problema essenziale: il resto è secondario.

Debbo ricordare la situazione della Francia liberata un anno prima di noi: ha avuto definitivamente la sua Carta costituzionale il novembre scorso. Eppure era un Paese che usciva da 75 anni di regime ed abitudini democratiche e repubblicane, mentre noi usciamo dalla monarchia e dal fascismo e dobbiamo creare tutto ex novo. È una carta nuova quella che dobbiamo fare. Mi pare quindi che non faremmo di fronte al Paese e all’Europa brutta figura se ci comportassimo come si sono comportati i francesi.

C’è un’altra questione su cui si è sorvolato e che ho il dovere di fare rilevare. Se noi rinviamo al 31 dicembre, possiamo fare affidamento su di un Governo come quello che si onora presentarsi di fronte a questa Assemblea in queste condizioni? Ecco il problema. Ed io dico francamente che, con un Governo come questo, col rispetto personale dovuto a ciascuno dei membri componenti il Governo, a cominciare dal suo Presidente, non si ha nessuna garanzia. Ma io non credo affatto che una maggioranza fittizia che si è creata ieri e avantieri in questa Aula, possa reggersi compatta fino al voto.

Ci sono grandi perplessità ed inquietudini in tutti i settori di questa Aula, compreso quello democristiano, dove esistono democratici, come noi legati alla volontà di rafforzare la democrazia repubblicana. Io ho dei dubbi che si possa arrivare al voto di fiducia. E poi se un pericolo c’è che il governo (cosa al quale non credo) ottenga la fiducia, io credo che ci potremo facilmente mettere d’accordo per sbarazzarci di un Governo che non dà nessuna garanzia elettorale, perché il Partito della Democrazia cristiana ha grandi elementi di democrazia – lo sappiamo tutti – ma in campo elettorale la sua azione è pericolosissima. (Approvazioni).

Voci. Ai voti!

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Relatore.

PICCIONI, Relatore per la maggioranza. Sarò brevissimo in coerenza con la brevità della relazione che ho avuto l’onore di fare per conto della Commissione. Premetterò soltanto il ricordo, per coloro che non avessero letto la relazione stessa, di una circostanza fondamentale, cioè dell’accordo unanime dei membri della Commissione sul principio della legittimità della Costituente a deliberare una ulteriore proroga. Questo per rispondere a qualche lieve osservazione fatta in modo particolare dall’onorevole Basso, che riproponeva, anche dopo la votazione dell’Assemblea testé avvenuta sulla pregiudiziale proposta dall’onorevole Benedetti, il quesito della legittimità o meno in rapporto al fatto che una maggioranza potesse arrogarsi il diritto di concedere delle proroghe ai lavori dell’Assemblea Costituente.

Con tutto il rispetto verso l’onorevole Benedetti, qui non si tratta di una maggioranza e, tanto meno, di una maggioranza esigua; qui si tratta, mi pare, della unanimità meno due dell’Assemblea Costituente che ha stabilito di avere, precisamente in esecuzione di principî di carattere giuridico, sviluppati molto acutamente da alcuni colleghi, tale potere anche per effetto di una valutazione di carattere politico che ha anche la sua notevolissima importanza.

Io vi risparmierò quindi qualsiasi ripetizione dei motivi che sono stati accennati da altri colleghi.

Sul termine – cioè 8 settembre o 31 dicembre – la Commissione si è divisa, e la maggioranza ha stabilito di appoggiare il disegno di legge presentato dal Governo che prevede il termine di proroga per l’8 settembre. Per quale motivo? Per il motivo – è chiaro – essenzialmente politico che deriva in modo particolare dalla valutazione di una determinata situazione politica, di questa situazione politica connessa con la situazione generale, direi psicologica, del Paese.

Si dice: Il Paese è distaccato dal Governo ma più che dal Governo è distaccato anche dall’Assemblea Costituente. Ci sono state, come capita sempre, delle fluttuazioni, delle variazioni negli orientamenti politici del Paese. Non c’è da stupirsi che ci possano essere delle variazioni di questo genere in momenti così eccezionali come quelli che attraversiamo, se ci sono di solito anche in momenti di normalità. È doveroso per noi, uomini responsabili, di far sì che la traduzione in espressione politica operante delle variazioni che ci possono essere nel Paese sia  la più sollecita possibile. D’altra parte l’Assemblea deve fare ogni sforzo per concludere i suoi lavori. Non è del tutto esatto – me lo consenta l’onorevole Nitti – ritenere che l’Assemblea abbia perso tempo. Il lavoro è stato veramente intenso, veramente indefesso. Si sarà sbagliato nel metodo, probabilmente, ma nella prima fase le Commissioni hanno lavorato assiduamente senza sosta. Si è sbagliato il metodo? È probabile.

L’onorevole Nitti diceva: Questa Costituzione non porterà incisa l’impronta che ci sarebbe voluta dello sforzo di una mente o di poche menti preparate a fare la Costituzione. In linea di fatto è esatto, ma in linea psicologica e politica io devo ricordare che questa Costituente anche se non è sorta da un movimento, direi, rivoluzionario, o meglio ancora romantico, è tuttavia sorta con l’impulso, con l’istinto di dover realizzare originalmente una forma di organizzazione politica democratica del Paese nel senso più vivo e completo, direi nel senso di una democrazia integrale.

D’altra parte è questa la caratteristica delle Costituenti, specialmente delle Costituenti moderne, di essere la espressione larga delle varie correnti politiche che si agitano nel Paese, e di realizzare il lavoro concreto per la formazione della Costituzione attraverso una conciliazione, una sintesi di opinioni diverse, ma sempre rispondenti ad una concezione democratica.

Ora questo non poteva essere fatto e non può essere fatto se non attraverso uno sforzo notevole per trovare quella linea di convergenza necessaria, ed attraverso un logorio di tempo non indifferente perché le discussioni, come abbiamo visto, sia in seno alla Commissione che in seno alla Costituente, sono, non direi eccessive, ma certo abbondanti dal punto di vista degli interventi, resi necessari dal proposito di precisare gli orientamenti politici particolari ed anche le sfumature di orientamento sui singoli problemi concreti. Ma, giunti a questo punto, e tenuto presente l’altro concetto, che non essendovi stata in Italia nessuna tradizione di lavoro costituzionale nel senso pieno della parola, e, d’altra parte essendovi nella coscienza pubblica democratica questa esigenza di non riportarsi ad un tipo di Costituzione puramente tecnico-politico, ma ad un tipo di Costituzione largamente aperto alle esigenze anche di carattere sociale e spirituale, ne è venuta, come conseguenza, che il tipo della Costituzione che noi adottiamo, supera i vecchi schemi delle Costituzioni più strettamente politiche dell’800, per realizzare un tipo nuovo che vada incontro, almeno dal punto di vista delle aspirazioni ideali, a quelle che sono le esigenze più profonde e complesse della vita moderna.

Oggi, è vero, siamo proprio di fronte alla Costituzione vera e propria, nel senso tecnico e politico: ci siamo appena addentrati in mezzo alla complessa e pregiudiziale questione dell’ordinamento regionale.

Però la Commissione nella propria maggioranza si è chiesta: termine dell’8 settembre – che e stata una lieve riduzione del termine del 15 settembre, venuto fuori da una convocazione dei capi dei Gruppi della Costituente presieduta dall’onorevole Presidente dell’Assemblea – cioè 76 giorni di proroga, possono essere sufficienti per ultimare il lavoro che resta da fare, quello più squisitamente tecnico e politico?

Rispondiamo: è necessario insistere su questo termine per quella esigenza politica che ho ricordato dianzi, per la stessa situazione direi più squisitamente politica di Governo, è necessario concludere i lavori per l’8 settembre, per modo che le elezioni per il rinnovamento degli istituti costituzionali permanenti possano avvenire nell’autunno prossimo, nel novembre prossimo. Ma è chiaro che la maggioranza della Commissione ha detto: ad un patto ci si può arrivare all’8 settembre, che si lavori ininterrottamente, tenacemente. Siamo uomini ragionevoli, uomini di buon senso; evidentemente, se i lavori di questi 76 giorni dovessero essere assorbiti da attività, da compiti, da discussioni su altri argomenti, e non dedicati esclusivamente, indefessamente al lavoro costituente, è evidente che noi dicendo di esser sicuri di compiere il nostro lavoro commetteremmo un falso spirituale, come ha detto l’onorevole Nitti. Quando io vi dico che da una breve statistica risulta che 43 sedute della Costituente sono state dedicate a discussioni completamente estranee al lavoro costituente, se si dovesse ripetere una situazione di questo genere o analoga, in questo breve spazio di tempo che ci rimane, è chiaro che noi non arriveremmo in fondo; non vi può essere nessuno in questa Assemblea – dico nessuno – che possa asserire il contrario, se non coll’apparente presupposto di arrivare all’8 settembre, per poi chiedere un’altra proroga. La qual cosa, evidentemente, non è simpatica e non è dignitosa per l’Assemblea.

Quindi, per concludere, onorevoli colleghi, se io ben riferisco il pensiero della Commissione, si tratta di questo: o muoverci con il proposito fermo da oggi fino all’8 settembre – agosto o non agosto, mattino o pomeriggio, Fiuggi o Montecatini lasciati in disparte – di lavorare duramente, anche più duramente di quello che si è fatto e che pure è stato moltissimo; ed allora noi possiamo in questo momento ritenere di arrivare seriamente in fondo, sia pure riducendo un po’ quel tipo di discussioni che abbiamo esperimentato in questi primi mesi forse con soddisfazioni personali, ma dal punto di vista della conclusività concreta non del tutto efficienti, e quindi facendo uno sforzo collettivo per tenere ferma la possibilità della conclusione dei lavori entro l’8 settembre o se, come da talune parti si è già fatto osservare, si vuol ritenere che non è possibile mantenere una separazione netta fra azione di Governo e controllo o contatto della Costituente, che non è possibile rinunciare ad altri compiti, ad altri lavori di carattere legislativo già imbastiti (ratifica dei trattati, legge sulla stampa, legge elettorale e via di seguito), e che il ritmo di lavoro della Costituente proceda più o meno come ha proceduto fin qui, allora affermeremmo veramente cosa non rispondente a verità se dicessimo che entro l’8 settembre il lavoro della Costituente sarà completato.

Onorevoli colleghi, per concludere, io ribadisco la mia relazione, che credo espressione del pensiero della maggioranza della Commissione, ma la ribadisco in tutta la sua interezza, in tutta la sua espressione, specialmente in quel richiamo preciso a queste condizioni pregiudiziali per ritenere che il lavoro possa essere veramente concluso nel termine stabilito. (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Gasparotto come Relatore di minoranza.

GASPAROTTO, Relatore per la minoranza. L’ultima parte delle dichiarazioni del Relatore della maggioranza mi toglie dall’animo qualsiasi velleità di polemica.

Egli stesso ha detto che, ove fosse nella coscienza dei singoli deputati la convinzione della impossibilità di portare a compimento quella che è veramente la nostra missione, il mandato preciso, ricevuto dal popolo, entro l’8 settembre, un termine ulteriore si rivelerebbe fin da questo momento necessario. Do atto inoltre al Relatore della maggioranza che nella sua stessa relazione egli ha riconosciuto che il termine che oggi noi dovremmo fissare sarà riconosciuto fin da ora come improrogabile, perché una ulteriore deliberazione di proroga colpirebbe la dignità dell’Assemblea. Ecco perché il pensiero dell’onorevole Nitti e la relazione della minoranza coincidono col dire che, chiedendo eventualmente dopo l’8 settembre una ulteriore proroga dei nostri lavori, ciò tornerebbe a danno del prestigio dell’Assemblea Costituente.

Voi, onorevole Nitti, avete detto che in tal caso risulterebbero squalificati i deputati; la parola è troppo forte; noi l’abbiamo mitigata. Comunque, è nella convinzione profonda dei membri della minoranza che, dovendosi discutere, oltre che della Costituzione, anche della legge elettorale, dei trattati di pace, dei bilanci – ai quali non possiamo rinunciare –, della legge sulla stampa, che si impone e che ci è richiesta dalla pubblica opinione, nonché della imposta straordinaria patrimoniale, che è di particolare urgenza; e d’altro canto, non essendo lecito, per questioni di principio, che fin da ora la Assemblea rinunzi al diritto di interpellanza e di interrogazione, di fronte alla imponenza di questi temi, la convinzione nostra ci ha portato a proporre un termine più congruo, perché, se l’onorevole Piccioni ha detto giustamente che l’Assemblea Costituente deve fare ogni sforzo per chiudere i propri lavori, rettifico il suo pensiero, dicendo che essa deve chiuderli degnamente. (Applausi).

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli colleghi, l’Assemblea ha esaurito la sua discussione sulla legittimità della proroga; quindi non rimane altro che stabilire il termine della proroga.

Come ha detto giustamente l’onorevole Piccioni, relatore della maggioranza della Commissione, il Governo, in seguito a comunicazioni ricevute da parte del Presidente di questa Assemblea sui pareri dei rappresentanti dei Gruppi circa la durata della proroga, ha tenuto presente tale richiesta insieme all’altra esigenza, manifestata dai Gruppi più numerosi dell’Assemblea, e ripetuta largamente dalla stampa, che la consultazione popolare dovesse farsi quanto più presto è possibile.

Non nascondo la mia impressione che questa esigenza l’ho vista molto attenuata qui dentro. In ogni modo questo non è più compito del Governo, ma è compito dell’Assemblea. In altri termini, con l’iniziativa presa in seguito alla richiesta fatta dal Presidente dell’Assemblea Costituente, il Governo ha dato modo all’Assemblea Costituente di potersi pronunciare, sia sulla questione della legittimità della proroga e sia sulla questione della durata della proroga.

Il Governo, presentando il disegno di legge con il termine dell’8 settembre, ha creduto di assolvere alle due esigenze, ossia concedere una proroga ristretta perché l’Assemblea possa completare i suoi lavori e mantenere la proroga nell’ultimo termine possibile per poter procedere all’elezioni nel novembre del 1947, ossia prima dell’inverno.

È necessario quindi che l’Assemblea, nella sua responsabilità politica e con la sua competenza costituzionale, esamini queste due esigenze: se l’Assemblea crede che nel termine previsto dal disegno di legge non potrà portare a complimento i suoi lavori, non potrà realizzare il fine precipuo per il quale essa è stata costituita, sarà l’Assemblea che dirà qual è il termine che ritiene necessario (Applausi) perché, in forma definitiva, possa dare una buona e una salda Costituzione alla nostra Repubblica. (Applausi).

PRESIDENTE. Abbiamo dunque, onorevoli colleghi, un testo proposto dalla maggioranza della Commissione e un testo della minoranza. Chiedo al Governo quale dei due accetta.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo accetta il testo proposto dalla maggioranza della Commissione, in quanto, riferendosi al decreto legislativo del 16 marzo 1946, conferma il doppio termine: ossia la durata della Costituente sarà fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione e non oltre il termine ultimo che sarà stabilito dall’Assemblea.

PRESIDENTE. Se l’Assemblea consente, passiamo all’esame degli articoli nel testo della Commissione.

L’articolo 1 è del seguente tenore:

«Il termine stabilito dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente, è prorogato non oltre l’8 settembre 1947».

A questo articolo è stato presentato dagli onorevoli Gasparotto, Fabbri, Paratore e Bocconi il seguente emendamento:

«Alle parole: 8 settembre 1947, sostituire: 31 dicembre 1947».

Nessuno chiedendo di parlare, pongo in votazione questo emendamento.

Avverto che su di esso è stata presentata una domanda di appello nominale dagli onorevoli Nenni, Pertini, Togliatti, Farini, Barontini Anelito, Moranino, Farina, Basso, Rossi Maria Maddalena, Barbareschi, Amendola, Pellegrini e Grazia Verenin.

Comunico, inoltre, che è stata presentata una richiesta di votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Preziosi, Preti, Lami Starnuti, Filippini, Momigliano, Di Gloria, Mastino Pietro, Nasi, Candela, Villabruna, Varvaro, Crispo, Carboni, Bozzi, Pera, Canepa, Zanardi, Cairo, Cevolotto, Paris, Salerno, Bianchi Bianca, Molè, Gasparotto, Mazzoni, Reale Vito, Paratore, Bocconi, Martino Gaetano, Cuomo, Damiani, Piemonte e Gullo Rocco.

A norma di Regolamento, prevale la domanda di scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto. Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione segreta, e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sull’emendamento presentato dall’onorevole Gasparotto e da altri deputati:

Presenti                    435

Votanti                     434

Astenuti                       1

Maggioranza             218

Voti favorevoli          279

Voti contrari             155

(L’Assemblea approva l’emendamento).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Bassano – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno –Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni – Caristia – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Crispo – Cuomo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gavina – Germano – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Ghislandi – Giacchiero – Giacometti – Giannini – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gronchi Guariento – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nitti – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Patrissi – Pecorari – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor.

Saccenti – Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Segala – Selvaggi – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Sullo Fiorentino.

Taddia – Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tumminelli – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Si è astenuto:

Lucifero.

Sono in congedo:

Bernardi.

Canevari – Carratelli.

Lombardo Ivan Matteo.

Pellizzari.

Rapelli – Russo Perez.

Vinciguerra.

Si riprende la discussione del disegno di legge: Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente (22)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del disegno di legge.

Passiamo all’articolo 2, che dice:

«La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

A questo articolo l’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

L’onorevole Perassi ha facoltà di svolgerlo.

PERASSI. L’emendamento che ho presentato non ha bisogno di molti chiarimenti, anche perché ho motivo di credere che non darà luogo ad obiezioni.

Si tratta di mantenere la legge che stiamo approvando nella linea delle leggi costituzionali, la cui serie è stata aperta con la legge costituzionale 21 febbraio 1947, n. 1. In quella legge la formula usata fu precisamente questa: «La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro due giorni dalla sua approvazione».

Dato questo precedente, che corrisponde pienamente alla dizione dell’articolo 3 del decreto 16 marzo 1946, il quale attribuisce esclusivamente all’Assemblea Costituente la competenza in materia costituzionale, è opportuno che anche la legge attuale segua la stessa formula.

La circostanza che il disegno di legge sia stato presentato dal Governo, non ha a questo riguardo, evidentemente, nessuna rilevanza. L’importante è che la legge, che si sta approvando, segua, anche nella forma, il tipo delle leggi costituzionali, alle quali appartiene.

PRESIDENTE. Chiedo il parere della Commissione.

PICCIONI, Relatore. La Commissione accetta l’emendamento.

PRESIDENTE. Chiedo il parere del Governo.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Il Governo non ha difficoltà di accettare questa modifica: è questione non solo di forma ma di squisita sensibilità costituzionale. Si tratta in sostanza di un provvedimento di ordine costituzionale, ed è bene seguire la forma che abbiamo dato e daremo alle leggi costituzionali. Il Governo non può che accettare l’emendamento Perassi.

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione l’emendamento Perassi, sostitutivo dell’articolo 2:

«La presente legge costituzionale sarà promulgata dal Capo dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione ed entrerà in vigore il giorno stesso della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica».

(È approvato).

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Procediamo ora alla votazione a scrutinio segreto del disegno di legge. Si faccia la chiama.

SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto e invito gli onorevoli segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione segreta:

Presenti e votanti       307

Maggioranza             154

Voti favorevoli          292

Voti contrari               15

(L’Assemblea approva).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Aldisio – Amadei – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Azzi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bassano – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernini Ferdinando – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchini Laura – Binni – Bocconi – Bonino – Bonomi Ivanoe – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bulloni Pietro.

Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Calosso – Camangi – Campilli – Camposarcuno – Candela – Canepa – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappi Giuseppe – Cappugi – Carbonari – Carboni – Caristia – Caroleo – Caronia – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavalli – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsi – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Crispo – Cuomo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco– De Gasperi – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Di Gloria – Dominedò – Dossetti.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Finocchiaro Aprile – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Garlato – Gasparotto – Germano – Ghidini – Giacchiero – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela – Gullo Rocco.

Jacini – Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – Lami Starnuti – Lazzati – Lettieri – Lizier – Lombardi Riccardo – Longhena – Lucifero – Lussu.

Macrelli – Maffioli – Magrini – Malagugini – Malvestiti – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Molè – Momigliano – Monterisi – Monticelli – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Murgia.

Nasi – Natoli Lamantea – Nicotra Maria – Nitti – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Piccioni – Pignatari – Ponti – Porzio – Preziosi – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Reale Vito – Recca – Rescigno – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rossi Paolo – Rubilli – Ruggiero Carlo – Ruini – Rumor.

Saggin – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sardiello – Scalfaro – Schiavetti – Schiratti – Segala – Segni – Siles – Spataro.

Taddia – Tambroni Armaroli – Taviani – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tomba – Tonello – Tosato – Tosi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Trulli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Venditti – Veroni – Viale – Vicentini – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bernardi.

Canevari – Carratelli.

Lombardo Ivan Matteo.

Pellizzari.

Rapelli – Russo Perez.

Vinciguerra.

Interrogazioni ed interpellanze con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate due interrogazioni con richiesta di risposta urgente.

La prima è dell’onorevole Tozzi Condivi, al Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere come intende contenersi dinanzi allo sciopero dipendenti Upsee ed Ucsee, quando questi dovrebbero provvedere al controllo per gli ammassi grano e mentre già il grano in qualche regione si sta trebbiando».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sono in corso trattative in proposito. Spero che il Ministro dell’agricoltura e delle foreste sia in grado di rispondere nella prossima seduta.

PRESIDENTE. La seconda interrogazione è la seguente:

«Al Ministro dell’interno, per conoscere se è vero che gli organi di polizia di Palermo (Ispettorato di pubblica sicurezza, Brigata di carabinieri, Questura), siano in possesso di elementi secondo i quali la vita dei sottoscritti sarebbe minacciata dagli organizzatori dell’infame strage di Piana della Ginestra, e se non ritiene che il modo più efficace di tutelare la vita dei cittadini sia quello di reprimere energicamente ogni forma di delinquenza e in particolare di assicurare alla giustizia i responsabili diretti e indiretti della strage di Piana.

«Li Causi, Montalbano».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Nella prossima seduta il Ministro dell’interno preciserà quando intenda rispondere a questa interrogazione.

PRESIDENTE. Sono state presentate anche le tre seguenti interpellanze, con richiesta di svolgimento urgente:

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se non intenda dare esecuzione allo Statuto regionale sardo in conformità con l’impegno assunto dal Governo in occasione dell’approvazione dello Statuto siciliano, salvo il futuro coordinamento con la Costituzione.

«Mastino Gesumino, Murgia, Chieffi, Mannironi».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo non intenda procedere immediatamente all’approvazione dello Statuto regionale sardo con modalità e cautele analoghe a quelle previste per lo Statuto siciliano in ordine al suo coordinamento con la Costituzione della Repubblica. Per sapere, altresì, se il Governo non ritenga opportuno fissare la data delle elezioni per l’Assemblea regionale sarda entro il termine più breve possibile.

«Laconi, Spano».

«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per chiedere che il Governo approvi subito lo Statuto regionale sardo, in conformità con la procedura usata per lo Statuto siciliano, ed in modo che possa essere presentato all’Assemblea Costituente per il coordinamento con la Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro, Lussu».

Chiedo al Governo quando intenda fissare lo svolgimento di queste interpellanze.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Sarei pronto a rispondere anche subito, qualora gli onorevoli presentatori consentano a trasformare le interpellanze in interrogazioni.

PRESIDENTE. Chiedo agli onorevoli interroganti se consentono a trasformare le loro interpellanze in interrogazioni.

LACONI. Sarei disposto allo svolgimento immediato della interpellanza, ma non alla trasformazione in interrogazione.

CHIEFFI. Mi associo all’onorevole Laconi.

LUSSU. Per accelerare la trattazione, accetterei la richiesta del Presidente del Consiglio.

MASTINO GESUMINO. Mi associo.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei osservare che è costante consuetudine che il Governo non risponda ad interpellanze prima di avere ottenuto il voto di fiducia, perché non potrebbe assumere impegni.

DE GASPERI, Presidente dei Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Effettivamente il Governo non potrebbe assumere alcun impegno prima di avere ottenuto la fiducia dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Le interpellanze potrebbero essere svolte nella prima seduta successiva a quella in cui il Governo avrà ottenuto il voto di fiducia.

(Così rimane stabilito).

SILIPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILIPO. Ho presentato il 12 giugno ai Ministri dei lavori pubblici, delle finanze e del tesoro e all’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, una interpellanza relativa ai danni prodotti dall’ultimo terremoto in Calabria. Intendo ora trasformarla in interrogazione con carattere di urgenza.

PRESIDENTE. Poiché il Ministro dei lavori pubblici si è impegnato a rispondere lunedì prossimo ad altre interrogazioni sullo stesso oggetto, penso che il Governo potrà lunedì rispondere anche a quella dell’onorevole Silipo.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Consento.

PRESIDENTE. Lunedì prossimo si terrà seduta alle 16 per continuare la discussione sulle comunicazioni del Governo, premettendo lo svolgimento delle interrogazioni urgenti già fissato.

Interrogazione.

PRESIDENTE. Si dia lettura di una interrogazione pervenuta alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare i Ministri dell’interno e del tesoro, per conoscere quali siano i motivi che ancora ostano ad omologare la deliberazione della Deputazione provinciale di Avellino, concernente la ricostituzione del Corpo dei cantonieri stradali.

«Detta deliberazione, benché approvata nella seduta del 19 ottobre 1946 dalla Sottocommissione per la riforma degli organici degli enti locali e inviata il 2 dicembre successivo per la controfirma del Ministro delle finanze e del tesoro, a distanza di oltre sei mesi non è stata ancora resa esecutiva. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«De Mercurio».

PRESIDENTE. L’interrogazione testé letta, per la quale si chiede la risposta scritta, sarà trasmessa ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 13.10.

Ordine del giorno per la seduta di lunedì
16 giugno 1941.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

POMERIDIANA DI VENERDÌ 13 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CL.

SEDUTA POMERIDIANA DI VENERDÌ 13 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Presentazione di relazioni:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Svolgimento):

Presidente                                                                                                        

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Pressinotti                                                                                                       

Caporali                                                                                                           

Cappi                                                                                                                 

Bernamonti                                                                                                      

Selvaggi                                                                                                           

Sulle accuse mosse al Ministro dell’interno:

Presidente                                                                                                        

Cifaldi                                                                                                              

Taviani                                                                                                             

Assennato                                                                                                        

Chieffi                                                                                                              

Pajetta Giancarlo                                                                                          

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Scoccimarro                                                                                                    

Bellavista                                                                                                       

Cerreti                                                                                                             

Dossetti                                                                                                           

Giannini                                                                                                            

Lucifero                                                                                                           

Codignola                                                                                                        

Togliatti                                                                                                          

Mastrojanni                                                                                                    

Vernocchi                                                                                                        

Nenni                                                                                                                

Selvaggi                                                                                                           

Gullo Rocco                                                                                                    

Dugoni                                                                                                              

Votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione nominale:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni con richiesta d’urgenza:

Presidente                                                                                                        

Gonella, Ministro della pubblica istruzione                                                       

Tupini, Ministro dei lavori pubblici                                                                     

Grassi, Ministro di grazia e giustizia                                                                  

Pignatari                                                                                                         

Scelba, Ministro dell’interno                                                                             

Segni, Ministro dell’agricoltura e delle foreste                                                    

Sull’ordine dei lavori:

Presidente                                                                                                        

Interrogazioni (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 17.

MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana:

(È approvato).

Presentazione di relazioni.

PRESIDENTE. Comunico che la Commissione nominata per l’esame del disegna di legge: «Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente» ha presentato alla Presidenza la sua relazione.

È stata pure presentata una relazione di minoranza.

Ambedue le relazioni saranno stampate e distribuite in serata.

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Ieri sera, in fine di seduta, il Ministro dell’interno, onorevole Scelba, aveva dichiarato di essere pronto a rispondere, all’inizio della seduta pomeridiana di oggi, alle interrogazioni presentate, con carattere d’urgenza, sui fatti di Cremona.

Chiedo all’onorevole Ministro dell’interno, se intende ora rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Sono pronto a rispondere.

PRESIDENTE. Le interrogazioni presentate sono le seguenti:

«Al Ministro dell’interno, sugli incidenti occorsi a Cremona la domenica 8 giugno ultimo scorso in occasione di un’assemblea politica, in conseguenza dei quali il questore di quella città è stato destituito dalla carica.

«Caporali».

«Al Ministro dell’interno, per sapere se il provvedimento nei confronti del questore di Cremona è stato preso al lume di precisi fatti controllati, o se invece è stato determinato da generiche informazioni, pervenutegli da fonti non completamente serene e disinteressate.

«L’interrogante è in condizione di affermare, dopo un’accurata inchiesta, che il questore di Cremona predispose regolare servizio d’ordine per garantire lo svolgimento del Congresso provinciale del fronte qualunquista.

«Senonché la popolazione di quella laboriosa e pacifica città, ravvisando, fra i partecipanti al Congresso in parola, taluni fra i più noti manganellatori, seviziatori, ufficiali di brigate nere e responsabili dell’invio di lavoratori nei campi della morte in Germania, di fronte a tanta provocazione, che coincideva con la giornata commemorativa di Giacomo Matteotti, non potevasi trattenere dal manifestare il suo disprezzo e la sua giusta indignazione.

«Dal sereno esame dei fatti, i quali si riducono a cazzottature e frasi dispregiative, l’interrogante deduce che il questore di Cremona non poteva che impiegare, a tutela dell’ordine, i mezzi normali, rifiutandosi di ricorrere a forme che potevano essere nei desideri di taluni ceti interessati.

«L’interrogante, rendendosi interprete del locale Comitato d’intesa della Repubblica, nel quale tutti i partiti democratici sono rappresentati, invita l’onorevole Ministro al riesame del provvedimento, ritenendolo un incoraggiamento alla riorganizzazione fascista.

«Pressinoti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere la reale entità degli incidenti avvenuti a Cremona l’8 giugno in occasione del Congresso provinciale del partito liberal-democratico dell’Uomo Qualunque.

«Cappi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni che hanno determinato il grave provvedimento adottato in data 9 giugno a carico del questore di Cremona e la pubblicità data per radio al provvedimento stesso ancora prima che giungesse ufficialmente a destinazione.

«E per chiedere, inoltre, che con la stessa pubblicità venga ricondotto alle sue vere, modestissime proporzioni, l’episodio verificatosi domenica scorsa a Cremona, sul quale la stampa – male informata dall’Ansa e da altre fonti tendenziose di informazione – e la radio italiana e straniera hanno inscenato una montatura, il cui risultato non può essere altro che quello di invelenire la lotta politica e provocare nuovi incidenti.

«Bernamonti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti concreti sono stati presi in dipendenza dei gravi fatti di Cremona.

«Selvaggi».

L’onorevole Ministro dell’interno ha facoltà di rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, un prefetto ispettore inviato a Cremona per compiere una accurata inchiesta sui fatti e accertare tutte le responsabilità, trovasi tuttora sul posto, e per conseguenza oggi io non sono ancora in grado di precisare i fatti stessi variamente riferiti dalla stampa. Ma un fatto è pacifico, incontestabile: un partito politico, che in questa Assemblea ha una sua rappresentanza, non ha potuto tenere in una città capoluogo di provincia il suo Congresso regolarmente preannunciato, perché un gruppo di avversari politici bloccavano, fin dalle prime ore del mattino, gli accessi al luogo fissato per il Congresso, col proposito d’impedirlo, riuscendo nell’intento.

La pubblica sicurezza non poté impedire la violenza, perché, secondo rapporti ufficiali, non avendo il questore prevista la possibile violenza, non aveva chiesto tempestivamente rinforzi atti a fronteggiare la situazione e garantire le libertà politiche dei cittadini. Allorché, la mattina, si accorse del pericolo e chiese rinforzi, questi giunsero troppo tardi. Il Congresso, data la situazione, era stato nel frattempo sospeso.

In base a questi elementi fornitimi dalle Autorità locali ho ritenuto di disporre il richiamo del questore e la sua messa a disposizione, dando pubblica comunicazione del provvedimento.

Onorevoli colleghi, dovere primordiale di un Governo democratico è quello di garantire ed assicurare le libertà politiche e civili dei cittadini. Se l’autorità non riuscisse a realizzare questo, sarebbe l’anarchia, la rivolta. Di fronte alla carenza dei poteri dello Stato, i cittadini, i partiti cercherebbero in sé, nelle proprie forze armate, l’auto-difesa; e sarebbe la rovina della democrazia. L’esperienza l’abbiamo già fatta e le conseguenze sono ancora in atto.

Ora il fatto che un partito non abbia potuto tenere un Congresso, si noti, in un locale chiuso, e che la pubblica sicurezza non abbia saputo prevenire o reprimere la violenza inaudita, a me è parsa cosa di una particolare gravità; e non poteva passare sotto silenzio, senza creare precedenti assai pericolosi.

Il severo provvedimento preso a carico del questore di Cremona, per me, è non soltanto giusta punizione per la insufficienza del funzionario, ma monito a tutte le forze chiamate a presidiare la libertà dei cittadini, che nessuna debolezza sarà consentita nella difesa delle libertà democratiche; ed è manifestazione dei propositi del Governo di voler garantire a tutti i costi e con tutti i mezzi a disposizione, il patrimonio sacro della libertà, conquistata dal popolo italiano a prezzo di tanti sacrifici.

Nessuno, io penso, che abbia sinceramente a cuore le sorti della rinata democrazia in Italia, nessuno di coloro che, partiti e deputati che hanno qui dentro sancito col loro voto le libertà politiche, può solidarizzare con coloro, che io vorrei fossero senza partito, i quali si sono resi responsabili, in una città italiana, di un così grave attentato alle libertà costituzionali; e tutti, io mi auguro, vorranno trovarsi concordi nel deplorare il fatto e nell’approvare l’azione vigile del Governo per la tutela della libertà. (Vivissimi applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. L’onorevole Pressinotti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

PRESSINOTTI. Io non mi ritengo soddisfatto della risposta dell’onorevole Scelba, perché convengo che la Repubblica si difende mantenendo l’ordine, ma, specialmente in questi ultimi tempi, si è autorizzati a pensare che troppe forme repressive vengono adottate nei confronti del popolo, mentre troppi nemici del popolo agiscono indisturbati.

È evidente che sui fatti di Cremona si è fatta una speculazione da parte di determinata stampa. È evidente che il provvedimento di sostituzione del questore di Cremona è stato preso dall’onorevole Scelba quando non aveva ancora elementi sufficienti.

Abbiamo assistito per vent’anni a forme del genere e queste non possono venire approvate dai partiti democratici che anche a Cremona, in un ordine del giorno, hanno unanimemente riprovato questa forma. È provato da una mia inchiesta personale… (Rumori al centro).

Una voce. Bisogna nominarlo questore!

PRESIDENTE. Gli onorevoli colleghi hanno sentito dalla lettura delle interrogazioni che su ogni settore dell’Assemblea sono degli interroganti e pertanto ogni voce avrà possibilità di farsi sentire in maniera ordinata. Li prego di ascoltare senza interrompere.

PRESSINOTTI. È provato nella mia inchiesta personale che nel giorno 8 giugno a Cremona vennero mobilitate tutte le forze disponibili di polizia e del corpo dei carabinieri unitamente a 200 soldati in pieno assetto di guerra, di servizio. Quindi tutti i mezzi necessari furono impiegati. Ma esistono fatti che l’onorevole Scelba non conosce e non conosceva all’atto del provvedimento, e che, cioè, da tempo la popolazione di Cremona era contraria ad un lavorio sordo di riorganizzazione reazionaria appoggiata dagli agrari, di traffici d’armi il cui reperimento avvenuto anche nella sede dell’«Uomo Qualunque». Ad ogni modo io leggo la mozione votata da partiti ed associazioni, che rappresentano la grande maggioranza della popolazione della provincia di Cremona, mozione firmata dal partito socialista italiano, dal partito comunista italiano, dal partito socialista lavoratori italiani, dal partito repubblicano italiano, dall’ANPI, dai reduci, dai mutilati del lavoro, dai combattenti, dall’UDI, dal Fronte della Gioventù, dalla Camera del lavoro (Interruzione del deputato Giannini).

Il Comitato di difesa della Repubblica, dopo aver esaminato obiettivamente i fatti, ha deplorato l’atteggiamento assunto da certa stampa che ha cercato di metter su una grossolana montatura, con l’esagerazione dell’incidente stesso. Risulta infatti che, contrariamente a quanto è stato pubblicato, la forza pubblica non è stata in nessun caso travolta né oltraggiata e che il comportamento della folla, del resto non molto numerosa, è stato nei suoi riguardi corretto e composto. Si smentisce inoltre nella maniera più assoluta che vi siano state delle manifestazioni, delle bandiere rosse o simboli di partiti e che siano stati ricoverati o medicati individui nell’ospedale della guardia medica di Cremona. Lo sdegno dei presenti è stato provocato non già dal Congresso dell’Uomo Qualunque, che qualora agisca nella legalità, come ogni altro partito, ha il pieno diritto di riunirsi (Commenti), ma per la presenza di elementi notoriamente conosciuti come criminali, rastrellatori, trafficanti di armi automatiche (Rumori a destra) trovate anche nella stessa sede dell’Uomo Qualunque.

Le forze armate della polizia, dei carabinieri e dell’esercito, chiamate per il mantenimento dell’ordine pubblico, hanno assolto il loro compito con tatto e fermezza. È pertanto ingiustificato il provvedimento del Ministro dell’interno, che destituisce il questore prima ancora che abbia appurato i fatti.

Il Comitato di difesa protesta contro questa misura che colpisce ingiustamente un funzionario dello Stato che ha compiuto il suo dovere, evitando conseguenze gravi e ritiene che la motivazione stessa è senza fondamento, perché il Congresso, dopo i primi incidenti del mattino, era stato rinviato. Il Comitato di difesa della Repubblica ravvisa nella misura ingiustificata che è stata presa un incoraggiamento ai criminali fascisti che complottano nella sede dell’Uomo Qualunque in Cremona.

Io vorrei far rilevare un’altra cosa, cioè che questo fatto è stato una ancor maggiore provocazione nei confronti della pacifica e laboriosa cittadinanza cremonese, perché nello stesso giorno si svolgeva la commemorazione di Giacomo Matteotti; oratore ufficiale era un mio collega e compagno, l’onorevole Malagugini, commemorazione che ha avuto la commossa e totale partecipazione della cittadinanza sana di Cremona.

Io credo che il provvedimento dell’onorevole Scelba, adottato affrettatamente, si richiami ad altri provvedimenti che noi abbiamo esperimentati nei tragici venti anni di regime. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Caporali ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CAPORALI. Nemmeno io sono soddisfatto, in quanto ho avuto da Cremona un rapporto preciso sugli incidenti della giornata di domenica. Non bisogna mai dimenticare che Cremona è stata nell’Italia un feudo dell’impero mussoliniano. Non bisogna mai dimenticare che a Cremona si sono compiute, sotto il regime fascista, tutte le infamie che tutti conoscono. Ora è evidente, colleghi dell’«Uomo Qualunque», che quando qualcuno dei vostri viene a Cremona, sotto l’usbergo del vostro «Uomo Qualunque» e porta i gambaloni alla fascista e la camicia nera, è evidente (Rumori a destra Interruzioni) che chi ha subìto tutto il peso della oppressione mussoliniana e farinacciana, si senta indignare e possa eventualmente reagire. Ed ha reagito, però, secondo il gusto e la tradizione della nostra bella popolazione cremonese.

Non ci sono stati feriti, c’è stato soltanto qualche schiaffeggiato: l’onorevole Venditti ha potuto constatare che i miei concittadini non gli hanno recato alcun malanno. Tuttavia vi è un problema grave ed è questo: il Ministro dell’interno ha preso un provvedimento prima di avere delle notizie precise su quello che era avvenuto a Cremona. (Rumori al centro e a destra). Onorevole Scelba, lei è siciliano e probabilmente non conosce l’atmosfera di una provincia che per venti anni è stata dominata dal «farinaccismo», e quindi non comprende questa ipersensibilità delle nostre popolazioni contro tutto ciò che ricorda appena la eventualità della rinascita fascista.

Io vorrei dire anche questo: la provincia di Cremona ha dato, nell’immediato periodo dopo la liberazione, un quantitativo limitato di crimini, di quei crimini di folla che sono un po’ comuni a tutte le popolazioni che hanno tanto sofferto nel lungo periodo di oppressione. È una gloria ed un onore per la mia provincia che non ci siano state queste vendette, che pure potevano apparire legittime (Rumori a destra). Posso deplorare quello che è avvenuto perché penso che tutti i partiti hanno il diritto di organizzarsi ed hanno diritto di fare in modo che le loro idee possano avere udienza. Penso però, onorevoli colleghi, che c’è troppo fascismo in Italia ed il fascismo continua ad esserci in tutti i partiti (Applausi a destra Commenti), vi è un diffuso senso di intolleranza e di incomprensione della nostra libertà che è poi la libertà degli altri: vuol dire che gli italiani sono, purtroppo, ancora immaturi alla democrazia ed alla comprensione esatta della libertà. (Interruzioni Rumori).

Io deploro quello che ha potuto fare, con troppa precipitazione, l’onorevole Scelba; deploro quello che è avvenuto, nella mia città., e mi auguro che l’Italia democratica e la Repubblica italiana sappiano conciliare i problemi e le esigenze della libertà e della democrazia. (Applausi).

PRESIDENTE. L’onorevole Cappi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

CAPPI. Mi dichiaro soddisfatto, in linea di massima, delle dichiarazioni del Ministro dell’interno. Non ho fatto una inchiesta per conto mio, come l’onorevole Pressinotti, però qualche notizia ho cercato di averla. La verità, se non spiace ai colleghi, anche questa volta sta al centro. (Commenti a sinistra). I fatti, fortunatamente, non hanno avuto quella gravità che era apparsa dalle prime notizie dei giornali, e francamente io devo deplorare che un’agenzia ufficiosa abbia diramato in tutta Italia delle notizie esagerate. Credo che non sarebbe male sapere come e perché il corrispondente da Cremona dell’Ansa

Una voce a sinistra. È un fascista!

SELVAGGI. Allora, perché non lo denunciate?

CAPPI. …che non conosco, abbia dato notizie simili.

Ad ogni modo, però, i fatti non vanno così minimizzati come dall’altra parte si cerca di fare. Voglio fare due semplici rilievi obiettivi. Si dice nella mozione del Comitato di difesa repubblicana, al quale la Democrazia cristiana non ha creduto di apporre la sua firma (Commenti a sinistra) emanando un altro comunicato proprio, che poche erano le persone dimostranti, le quali tenevano per di più un contegno composto; viceversa, numerose ed agguerrite, come è stato detto, erano le forze dell’ordine. Ed allora non si spiega perché, data la pochezza e la compostezza dei dimostranti e il largo spiegamento delle forze dell’ordine, il congresso non si sia potuto tenere. (Applausi al centro e a destra).

La seconda osservazione è questa: non si può, obiettivamente, parlare di provocazione. Bisognerebbe parlare forse di premeditazione, perché sta di fatto che prima ancora che comparissero i gambaloni e le camicie nere…

Una voce a sinistra. C’erano. (Interruzioni Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano. Si grida quando si sentono cose piacevoli, si grida quando si sentono cose spiacevoli. Facciano silenzio, li prego.

CAPPI. Io non ho fatto apprezzamenti; non capisco queste interruzioni.

Agli accessi stradali che conducevano al luogo dove si doveva tenere il congresso, vi erano gruppi e gruppetti di persone fin dal mattino.

Detto questo, vorrei rivolgere, se mi è consentito, alla direzione del Partito liberal-democratico dell’Uomo Qualunque, un consiglio: credo che, specialmente nella mia città, non sarebbe male accogliere nel partito non uomini qualunque, ma uomini il cui passato dia per lo meno una minima garanzia di corrispondere anche agli altri due aggettivi di liberale e democratico. (Applausi a sinistra Rumori).

È una disavventura, questa di avere certi relitti di un brutto passato, che può capitare anche ad altri partiti. (Commenti). In ogni modo, cerchiamo di essere almeno d’accordo in questo: nella soddisfazione che fatti gravi non siano avvenuti e nell’augurio che gli incidenti del genere, più o meno gravi, non abbiano più a ripetersi né a Cremona né in altre città. (Applausi al centro).

Una voce a sinistra. E il questore cosa ne pensa? (Commenti Rumori).

PRESIDENTE. L’onorevole Bernamonti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

BERNAMONTI. Non posso dichiararmi soddisfatto della risposta del Ministro Scelba. Egli dimostra di avere poca simpatia con le inchieste: se avesse aspettato il risultato della sua inchiesta, prima di prendere provvedimenti, sarebbe stato molto meglio. Ancora oggi questi risultati non ci sono, neanche parziali. Ora, veda, onorevole Scelba, le sue notizie sono parziali e unilaterali e quindi facilmente tendenziose.

Io mi sono recato personalmente a Cremona per rendermi ragione di come si sono svolti i fatti ed ho fatto la mia personale inchiesta. (Commenti Rumori).

Ebbene, io sono in possesso di una documentazione di fotografie, di nomi e di stampa pubblicata a Cremona: quindi sono in grado di documentare, eventualmente, anche l’onorevole Ministro.

Per quanto riguarda il comunicato della Democrazia cristiana, che si è staccato da quello del Fronte di difesa repubblicana, leggerò io la valutazione dei fatti che è in esso contenuta: «La Democrazia cristiana deplora l’eccessiva deformazione e gonfiatura operata da una parte della stampa sugli incidenti verificatisi a Cremona domenica 8 giugno, in occasione del Congresso provinciale dell’Uomo qualunque.

«Parte della stampa ha esagerato i fatti. Invero non vi sono stati, per quanto consta, feriti.

«Riconosce che la presenza al Congresso di elementi oggi aderenti all’Uomo qualunque, che già appartenevano all’U.P.I.»…

Sapete che cosa significa l’U.P.I.?

GIANNINI. No! (Rumori Commenti).

BERNAMONTI. «…già appartenenti all’U.P.I. e alle organizzazioni della repubblica fascista e che avrebbero dovuto avere il buon senso di non presentarsi in pubblico, costituiva, per la popolazione di Cremona, una grave provocazione». (Applausi a sinistra Rumori).

SCELBA, Ministro dell’interno. Vuole continuare la lettura dell’ordine del giorno, per essere esatto, onorevole Bernamonti? (Commenti Rumori).

BERNAMONTI. C’è poi la deplorazione.

Una voce al centro. Fuori le fotografie, per favore! (Rumori Commenti Scambio di apostrofi).

BERNAMONTI. Perché io non possa essere tacciato di parzialità verso il partito che rappresento, leggerò anche il resoconto di un giornale indipendente: «Poco dopo che gli iscritti e simpatizzanti, venuti anche dalla provincia, ebbero preso posto nel luogo della riunione, una folla composta di alcune centinaia di persone si stanziava in via Platina, all’imbocco di via XI Febbraio, con l’evidente intenzione di passare a vie di fatto contro i qualunquisti.

«Alcuni di questi ultimi, arrivati in ritardo, venivano identificati dalla folla che inveiva contro di loro e malmenava i malcapitati che tentavano di reagire».

Ora, quindi, vedete: la folla non si è scagliata contro coloro che volevano andare al congresso, ma contro i fascisti, quando ha visto le stesse grinte che aveva incontrato durante il ventennio fascista e dalle quali aveva tanto sofferto. (Applausi a sinistra Rumori e proteste a destra).

Il partito qualunquista cremonese…

Una voce a destra. Perché non fanno lo stesso coi vostri?

Una voce a sinistra. Eravate tutti fascisti a Cremona! (Proteste a destra Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Bernamonti, concluda: sono trascorsi i cinque minuti.

BERNAMONTI. Si sono presentati sul camion gli agrari fascisti della provincia. Per esempio, Vico Moscano è un paese vicino a Casalmaggiore che è stato la culla del fascismo e che ora è la culla del qualunquismo; ebbene, gli agrari qualunquisti di questo paese hanno avuto persino il toupet di chiedere la restituzione della casa del fascio. (Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Bernamonti, la prego di concludere.

BERNAMONTI. Aggiungo solo… (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono loro responsabili se l’onorevole Bernamonti non ha potuto utilizzare i suoi cinque minuti.

BERNAMONTI. Aggiungo dunque questo, che, nella provincia di Cremona, mentre non ha avuto luogo alcun episodio di violenza dal periodo della liberazione in poi, abbiamo avuto tre assassinî a danno di contadini ed operai.

Noi sappiamo che in tutta la provincia l’Uomo qualunque si arma: volete che possano rimanere tranquilli i lavoratori di Cremona? Il qualunquismo, quando ha la faccia che ispira umorismo dell’onorevole Giannini (Si ride Commenti a destra), può sembrare anche simpatico; ma quando ha ancora la grinta di quegli agrari fascisti che spararono sui lavoratori, e dei quali uno pochi mesi or sono, a Scandolara Ravara ha sparato alla schiena ad un contadino che stava lavandosi ad una pompa, ed è tuttora a piede libero, cari miei, i contadini e i lavoratori hanno ragione di essere molto sospettosi. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.

SELVAGGI. Onorevoli colleghi, non mi sono assentato da Roma e non ho potuto fare inchieste in loco (Commenti a sinistra); mi limiterò pertanto a porre alcune domande precise.

Anzitutto ringrazio per il riconoscimento che noi siamo qui legalmente. Se siamo qui legalmente, abbiamo il diritto di esercitare i diritti che la democrazia ci conferisce e che si chiamano: libertà di parola, libertà di riunione, libertà di pensiero; e non possiamo tollerare che queste libertà si vogliano coartare. (Interruzioni a sinistra).

Una voce a sinistra. Ma senza stivaloni!

SELVAGGI. E ora, le domande precise: se ci sono dei fascisti voi avete il mezzo e il diritto di denunziarli; ma non avete il diritto di lanciare delle accuse anonime con un metodo che è fin troppo facile.

Una voce a sinistra. A chi li vuol denunciare?

SELVAGGI. Se alla riunione sono intervenuti individui con gambali e camicia nera, perché non sono stati denunciati?

Dopo una serie di episodi come quello di Cremona, che non è che l’ultimo di una serie, parlate di provocazioni, di fascisti? Il nostro Comitato di Cremona ha inviato ai vostri partiti una lettera scritta, che è stata pubblicata, chiedendo che ogni partito comunichi i nomi dei propri iscritti. Si vedrà allora a quale parte appartengono questi manganellatori, dei quali ho sentito parlare. (Approvazioni a destra). E allora vedremo chi è in condizioni di scagliare la prima pietra; perché – signori – i littori fascisti si sa dove sono oggi. (Applausi a destra Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, li prego di rientrare nella tranquillità. Lo svolgimento delle interrogazioni è chiuso.

Sulle accuse mosse al Ministro dell’interno.

PRESIDENTE. Stamane, in fine di seduta, per accordo e consenso di tutta l’Assemblea, è stata rinviata al pomeriggio la comunicazione alla quale la Presidenza è stata impegnata dalla decisione presa ieri sera.

Ricordo che nel corso della discussione sulle comunicazioni del Governo, nell’intervento che egli ha fatto, l’onorevole Cerreti ad un certo punto ha pronunciato queste parole:

«Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui io ho la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».

Successivamente l’onorevole Cerreti, nel corso sempre del suo intervento, ha detto:

«Insisto per la nomina di una Commissione parlamentare d’inchiesta per esaminare se le interferenze di cui ho accusato il Ministro dell’interno (Rumori Interruzioni) per impedire che denunce fossero fatte, o che quelle già fatte andassero avanti…». I rumori hanno coperto la voce dell’oratore ma si comprende che egli volesse dire: «hanno avuto luogo». E infine ha aggiunto: «Tengo a precisare che sono giunto soltanto incidentalmente su una questione concreta che può toccare il metodo di direzione di un dicastero da parte di un collega o di un altro. Ma sono spinto, all’infuori delle ragioni politiche, a precisare che il fatto, o i fatti, a cui ho accennato esistono e che del fatto fondamentale ho qui il documento».

L’onorevole Scelba ha detto: «Desidero che l’onorevole Cerreti (ed è suo dovere, è sua lealtà di deputato e di gentiluomo) indichi e precisi i fatti affinché io possa essere messo in grado di rispondere, indipendentemente dalla Commissione di inchiesta, se i fatti sono veri o sono falsi».

A seguito di questa richiesta del Ministro dell’interno, l’onorevole Cerreti ad un certo punto ha esposto: «Come Alto Commissario per l’alimentazione, io ho dovuto, negli ultimi tempi, procedere ad una inchiesta rigorosa sulla situazione alimentare a Padova». E più oltre: «Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denuncia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di aver presentata la denuncia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Con sua dichiarazione esplicita, presentandosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un telegramma del Ministro, col quale gli chiedeva di sospendere l’inchiesta in attesa di ulteriori disposizioni».

L’onorevole Scelba ha successivamente detto: «Ora l’onorevole Cerreti precisa i contorni della sua accusa e li precisa dicendo che un capitano dei carabinieri da lui inviato a compiere una ispezione a Padova, avrebbe avuto comunicazione da parte del Prefetto di un fonogramma che il Ministro dell’interno avrebbe inviato al Prefetto per sospendere l’inchiesta in attesa di ulteriori istruzioni».

E più oltre: «Prego l’onorevole Cerreti di volermi comunicare la data del fonogramma diretto dal Ministro dell’interno al Prefetto di Padova».

E ancora: «Ho il diritto di pretendere questo, perché, ripeto, un fonogramma ha una data ed ha un numero di protocollo».

E poi: «Io chiedo di essere messo in condizione di poter rispondere immediatamente all’onorevole Cerreti, chiedendo a lui che mi precisi pubblicamente, di fronte all’Assemblea – dal momento che possiede il documento – che mi precisi soltanto questo: la data del telegramma».

Ancora una frase dell’onorevole Scelba ripete la stessa richiesta: «Poiché egli ha fatto chiaro e preciso riferimento ad un documento di cui possiede la copia fotografica, io non vedo perché l’onorevole Cerreti non debba comunicare la data per accertare questo documento».

È stato in seguito a questo contrapporsi di domande, di risposte, di precisazioni che in fine di seduta ieri sera è stata votata la seguente risoluzione: «La Camera invita l’onorevole Cerreti a depositare presso il Presidente dell’Assemblea i documenti dai lui indicati nelle sue dichiarazioni, restando stabilito che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, esaminatili e sentito il Ministro Scelba, riferirà domattina all’Assemblea per le sue decisioni».

L’ora tarda a cui si chiuse ieri sera la seduta ha impedito che la consegna dei documenti avvenisse immediatamente. (Commenti al centro).

CHIEFFI. Non è esatto!

PRESIDENTE. Poiché l’onorevole Chieffi afferma non essere esatto, mi permetto ricordargli che ieri sera (ed egli lo sa) immediatamente dopo la seduta, l’Ufficio di Presidenza ha rivolto invito all’onorevole Cerreti di depositare i documenti. L’Ufficio di Presidenza si è riunito infatti (vi erano i tre Vicepresidenti, i Questori e parte dei Segretari) per ricevere appunto questa consegna, per quanto l’ordine del giorno votato dall’Assemblea stabilisse che i documenti dovessero essere consegnati al Presidente. Ho preferito fosse la Presidenza, e per l’appunto (e mi è parso che questa sensazione tutti avessero) l’ora tarda ha impedito che questo avvenisse immediatamente, perché l’onorevole Cerreti, uscito dal palazzo, come tutti i colleghi, non ha potuto rientrare ad un’ora in cui i membri della Presidenza potessero stare ad attenderlo. (Vive proteste al centro e a destra).

BENEDETTINI. Questo è fuggire di fronte all’Assemblea! (Rumori).

PRESIDENTE. I commenti si potranno fare dopo, ma per ora io sto riferendo obiettivamente su quanto è avvenuto. (Commenti).

Vorrei sapere che cosa c’è di non obiettivo in ciò che ho detto. (Commenti). È vero o non è vero, e me ne appello ai colleghi della Presidenza, che ieri sera dalla mezzanotte e mezzo ad oltre l’una nel mio gabinetto particolare abbiamo atteso? Questo è un dato obiettivo, e non comprendo per quale ragione si facciano commenti. (Interruzioni). Se vi saranno considerazioni da fare, si faranno dopo. Adesso, onorevoli colleghi, ascoltino la relazione.

Stamattina alle ore nove l’onorevole Cerreti è venuto e ha consegnato i documenti, i quali consistono in due fogli. Uno di essi è una lettera di accompagnamento del secondo. Sono due fogli scritti a macchina e recano la firma autentica di coloro che li hanno trasmessi all’Alto Commissario dell’alimentazione, che era in quell’epoca l’onorevole Cerreti.

Il secondo documento è costituito da una dichiarazione rilasciata dal funzionario del quale l’onorevole Cerreti aveva parlato nel corso del suo intervento di ieri: il funzionario che, inviato a Padova, era stato convocato dal Prefetto e aveva ricevuto dal Prefetto quella tale comunicazione. Nel documento è indicato ciò che particolarmente interessava ieri l’onorevole Scelba e con lui tutta l’Assemblea: è indicato il giorno e l’ora precisa nel quale la comunicazione telefonica è giunta al Prefetto di Padova, e la comunicazione è indicata sommariamente, perché non vi è il testo del fonogramma (Interruzioni Rumori). Ho detto che è l’attestazione rilasciata dal funzionario il quale a Padova ha avuto quell’incontro col Prefetto e in essa è indicato il giorno e l’ora in cui la comunicazione telefonica è stata fatta da Roma al Prefetto di Padova. È indicata la persona che ha fatto per telefono la comunicazione, ed è indicata la sostanza della comunicazione stessa (Interruzioni). Non riesco a capire perché a queste informazioni che sto dando si debba rispondere con delle reazioni di carattere ingiustificato. Si parlerà dopo di questo. In questo momento prego di permettere che io informi l’Assemblea.

Questi sono i due documenti depositati dall’onorevole Cerreti alla Presidenza… (Interruzioni).

Una voce al centro. Si legga!

PRESIDENTE. Non sono autorizzato a leggere, poiché la Presidenza ha avuto semplicemente, secondo la dizione della risoluzione che i colleghi hanno votato ieri sera, l’incarico di ricevere i documenti, di esaminarli e di riferire all’Assemblea, perché la Assemblea prenda le sue decisioni… (Interruzioni Commenti).

Perché io dia comunicazione all’Assemblea del documento, io chiedo che l’Assemblea me ne faccia esplicita richiesta. Fino a questo momento ho un solo dovere: quello di fare avere questi documenti a quelle persone od a quell’organo che l’Assemblea delibererà a questo scopo.

Se l’Assemblea nel suo complesso vuole averne comunicazione, essa lo decida ed io eseguirò. Aggiungo che l’onorevole Cerreti ha ritenuto opportuno e necessario, dal suo punto di vista, di consegnarmi anche un breve pro-memoria nel quale sono riassunti i fatti nel cui quadro si è svolto l’episodio al quale si è riferito nel suo intervento d’ieri. E con questo l’incarico che ieri sera l’Assemblea ha dato alla Presidenza è esaurito: era un incarico di carattere non so se interlocutorio o pregiudiziale: sta in questo momento all’Assemblea trarne le conseguenze e svolgerlo con i mezzi che riterrà più opportuni.

CIFALDI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero pregarla di voler dare lettura, all’Assemblea, della relazione che l’onorevole Cerreti ha ricevuto in conseguenza dell’inchiesta da lui ordinata. Credo che quando sarà stata data comunicazione all’Assemblea del testo di questi documenti, potrà l’Assemblea decidere quello che crede di fare nella sua sovranità. L’onorevole Presidente ha riassunto quanto è contenuto in questa comunicazione. L’Assemblea credo abbia ora interesse, e direi il diritto, di sentire il testo integrale del documento, in maniera da poter prendere le deliberazioni conseguenti al contenuto del documento stesso.

TAVIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TAVIANI. Volevo fare la medesima richiesta e mi associo a quanto ha detto l’onorevole Cifaldi.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Benedettini si è associato con richiesta scritta. Se non vi sono altre osservazioni, do lettura del documento. (Rumori al centro Commenti prolungati).

ASSENNATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ASSENNATO. Si fa preghiera perché l’onorevole Presidente dia lettura di tutto il carteggio trasmesso dall’onorevole Cerreti cioè degli altri documenti e del pro-memoria allegato.

CHIEFFI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CHIEFFI. Ho fatto una breve interruzione, quando il Signor Presidente comunicava che, a causa dell’ora tarda, l’onorevole Cerreti non aveva potuto depositare i documenti. La mia interruzione aveva fondamento per il fatto che il Signor Presidente ieri aveva fatto sapere ai membri della Presidenza che l’onorevole Cerreti sapeva che lo si attendeva, tanto che il Signor Presidente ha fatto una dichiarazione alla stampa (Interruzioni a sinistra); leggo la dichiarazione testuale, che egli ha fatto ai giornalisti: «Ho fatto sapere all’onorevole Cerreti che lo attendo nel mio ufficio». Quindi, l’onorevole Cerreti sapeva che lo si attendeva (Rumori a sinistra Commenti); questo ha molta importanza. «La Costituente lo ha impegnato a depositare il documento e quindi non vedo perché non lo dovrebbe consegnare».

Durante la notte (Rumori a sinistra) vi è stato un allarme a Montecitorio, perché si riteneva che l’onorevole Cerreti sarebbe venuto verso le tre di notte. La presentazione dei documenti da parte dell’onorevole Cerreti è avvenuta semplicemente alle 9 di questa mattina. È una cosa strana – non so se sia lecito svelare un segreto riservato all’ufficio di Presidenza – ma dato che ormai è stata data lettura pubblica del documento, devo fare osservare che la lettera del capitano dei carabinieri non porta alcuna piegatura e non è scritta su carta intestata dell’Alto Commissariato (Rumori a sinistra) e quindi può far supporre che sia stata approntata questa notte. (Applausi al centro Rumori e proteste a sinistra).

Una voce a destra. È stata fabbricata in casa!

CHIEFFI. Ad ogni modo devo fare osservate che il documento era indirizzato all’Ispettorato generale della SEPRAL ed è strano che questo documento indirizzato ad un servizio della SEPRAL nella sua edizione originale sia nelle mani dell’onorevole Cerreti. (Applausi a destra e al centro Rumori a sinistra).

Questa considerazione fa rafforzare in me il sospetto che, non avendo l’onorevole Cerreti presentato il documento nella nottata, nonostante fosse stato avvertito dall’ufficio di Presidenza, e non essendo l’onorevole Cerreti intervenuto alla fine della seduta notturna, nonostante che il Signor Presidente lo avesse chiamato, la lettera è stata solo consegnata questa mattina alle 9, nella forma che io ho detto, e poiché un documento di pertinenza della SEPRAL si trovava nelle mani dell’onorevole Cerreti, tutto mi fa supporre che il documento non sia autentico e che invece sia stato fatto questa mattina. (Applausi al centro ed a destra Rumori e commenti a sinistra).

PAJETTA GIANCARLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAJETTA GIANCARLO. Confesso che le parole del collega che ha parlato, mi hanno gravemente preoccupato. Io credo che in tutti i banchi dell’Assemblea sia la stessa preoccupazione e da questa preoccupazione credo che possa sorgere una richiesta comune: una Commissione di inchiesta che indaghi. (Approvazioni a sinistra Rumori vivissimi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Mi perviene una mozione d’ordine firmata dagli onorevoli Sardiello, Magrini, Preziosi e Candela, con la quale si chiede che sia data lettura di tutti i documenti presentati dall’onorevole Cerreti e sia data poi la parola all’onorevole Scelba per rispondere e successivamente sia aperta la discussione.

D’altra parte, anche l’onorevole Assennato aveva già rivolto la prima delle richieste contenute nella mozione d’ordine. Ritengo che, non essendovi osservazioni, la mozione d’ordine debba ritenersi accettata.

(Così rimane stabilito).

Leggo allora i documenti.

La lettera d’accompagnamento è così redatta…

Una voce a destra. Il numero di protocollo!

PRESIDENTE. Desidera anche le impronte digitali? (Si ride).

Voci al centro. Desideriamo sapere se c’è o no.

PRESIDENTE. Io mi stupisco che di fronte ad un fonografo qualcuno si permetta di protestare contro le parole che lo strumento pronuncia. In questo momento non sto che leggendo. I commenti li facciano dopo. La mozione d’ordine che è stata accettata rinvia a fra poco le discussioni che potranno anche comprendere questi commenti. Per il momento mi permettano di leggere.

«Alto Commissariato dell’alimentazione

Servizio centrale ispettivo

Roma, 23 maggio 1947.

Al signor Ispettore generale Sede

«Riferisco, a richiesta, che, durante l’inchiesta giudiziaria da me eseguita a Padova, sono stato convocato il giorno 13 corrente alle ore 11.30 nell’ufficio del prefetto, il quale mi riferì che la sera precedente alle ore 20.30 aveva ricevuto telefonicamente l’incarico dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno onorevole Scelba, di comunicarmi di sospendere l’inchiesta in attesa di ulteriori disposizioni.

«Feci presente al prefetto che l’inchiesta era stata ultimata e che avevo già presentato regolare rapporto giudiziario al signor Procuratore della Repubblica di Padova.

Il capitano dei carabinieri
firmato
: Giuseppe Cancilla».

(Commenti).

Ed ecco ora il promemoria:

«All’Onorevole Presidente della Assemblea Costituente

Onorevole Presidente,

Dopo aver ottemperato all’obbligo di consegnare il documento originale concernente l’interferenza degli Interni sui fatti di Padova, da me denunciati ieri alla Camera, mi sento in dovere di inviarle il presente promemoria a illustrazione delle conclusioni del mio discorso.

Sui fatti di Padova. – Nella terza decade di gennaio fu fermato dalla squadra annonaria di Grosseto un autotreno con 160 quintali di pasta e farina indirizzati alla Pontificia Commissione Assistenza di Roma. Il fermo fu originato dalla falsificazione della data della bolletta. Successivamente per l’intervento della Commissione Pontificia di Roma e di Padova e della questura di Padova, la questura di Grosseto revocò il fermo del Toffanin accompagnatore della merce e il rilascio del carico che fu fatto proseguire per Roma – alla Commissione Pontificia – per l’intervento di Monsignor Buccefari di Roma. La pratica fu archiviata.

Dopo il mio arrivo all’Alto Commissariato, a seguito di una circostanziata segnalazione da Grosseto, feci riaprire l’inchiesta dall’Ispettore generale, il quale si recò a Grosseto, conferì con il questore e risulta che questo fu dal mio funzionario rimproverato per la leggerezza con cui la pratica era stata condotta.

Il questore, a sua discolpa, mostrò e dette copia di tutta la documentazione in suo possesso. L’Ispettore generale proseguì per Padova e ordinò all’Ispettore regionale dell’Alimentazione, dottor Soldan, di sequestrare tutti i bollettari in possesso della Sepral di Padova. Dall’esame di detti bollettari risultò:

1°) che la bolletta n. 10111 era stata alterata;

2°) che la merce non era indirizzata alla Commissione Pontificia Assistenza di Roma;

3°) che il mittente della merce non era la Commissione Pontificia di Padova;

4°) che il traffico era fatto da Padre Bianchi, fuori dell’Abbadia di Santa Giustina col beneplacito dei dirigenti della Sepral e del Prefetto di Padova;

5°) che il traffico non era soltanto di 160 quintali di cui alla bolletta n. 10111, ma era fatto su larga scala per migliaia di quintali di pasta, farina, grano, granoturco, zucchero e latte in polvere e olio.

Gli elementi di cui al punto cinque furono accertati e documentati dal dottore D’Amore dei servizi amministrativi dell’Alto Commissariato, il quale, trovandosi a Venezia, era stato invitato dall’Ispettore generale ad eseguire una rigorosa inchiesta. Successivamente, dopo le relazioni degli Ispettori, fu inviato a Padova un Capitano dei carabinieri che procedette, dopo tutti gli interrogatori del caso, alla denuncia alla Procura della Repubblica di Padova di tutti i responsabili fatta eccezione per la Commissione Pontificia di Roma, pur avendo essa compiuto un reato di ricettazione col suo intervento su Grosseto, avendo dichiarato che la merce era propria; e i signori Monsignor della Zuana, della Commissione Pontificia di Padova e Monsignor Buccefari della C.P. di Roma, pur essendo imputabili di occultazioni di reato, sapendo, sia l’uno che l’altro, che la merce apparteneva alla Commissione Pontificia di Assistenza. Queste eccezioni furono fatte dal Capitano, nell’intento di non far troppo dilagare lo scandalo rimettendo queste eventuali denunce alle risultanze dell’istruttoria stessa.

Aggiungo che pressioni particolari furono esercitate su di me, affinché rinunciassi a demandare i fatti alla Autorità giudiziaria, dall’onorevole Saggin, Alto Commissario Aggiunto e sull’Ispettore generale da parte dello stesso onorevole Saggin e da Padre Angeli, giunto specialmente da Padova, in aereo, assieme ad un Sindaco comunista.

Fatti di Montorio Romano. – Debbo segnalare che con fonogramma n. 1572 U.D.A. del 6 corrente ore 14 a firma del Prefetto di Roma si è chiesto all’Alto Commissario di sospendere la denuncia essendo il Sindaco e l’Assessore dell’Annona di Montorio Romano incolpati di sottrazione di generi razionati.

Negli archivi dell’Alto Commissariato esiste tutta la pratica.

La denuncia firmata da me il 30 maggio, ha però avuto corso solo il 4 giugno.

Infrazioni annonarie a Luringa (Catanzaro). Denuncia alla Procura della Repubblica di Nicastro del 28 febbraio così motivata:

1°) per avere il Sindaco, dottore Perugini Fortunato, fatto restituire oltre 400 cedole e buoni di prelevamento di generi da minestra già decurtati dalle carte annonarie a produttori approvvigionati per l’intiero anno;

2°) per non avere il citato Sindaco obbligato n. 175 produttori a fornirsi di bollette di macinazione, produttori che avevano già denunziato all’U.C.S.E.A. i cereali prodotti;

3°) per non avere obbligato 25 produttori a definire la loro pratica di rilascio definitivo della bolletta macinazione in sostituzione di quella rilasciata in via provvisoria;

4°) per avere distribuito alla popolazione grammi 250 di pane in luogo di grammi 235 confezionati con farina all’85 per cento;

5°) per sottrazione al normale consumo di quintali 8,40 di orzo destinati, dietro assegnazione della S.E.P.R.A.L., alla popolazione di Curinga; orzo ripartito invece fra alcuni componenti del Consiglio comunale, a loro amici e parenti.

I denunciati sono: sindaco, vice-sindaco e i consiglieri comunali Senese Pietro e Palleria Giuseppe, ed altri.

L’Alto Commissariato avuto sentore, a seguito di manifestazioni di malcontento da parte della popolazione, che la denuncia non era istruita, chiese spiegazioni al Direttore della S.E.P.R.A.L. di Catanzaro e all’Ispettore regionale della Calabria, circa i provvedimenti presi dalle Autorità prefettizie a carico degli accusati. A risposta del nostro intervento ci fu un intervento del Ministro Scelba, con lettera in data 10 maggio 1947 protocollo 4176/838A per dire che non era di nostra competenza il passo su riferito. (Originale archivio Alto Commissariato). Constato che a tutt’oggi nulla si è fatto per colpire gli amministratori imputati dei reati suesposti.

Questo le dovevo, onorevole Presidente, a illustrazione di certe parti del mio intervento di ieri alla Camera.

Con deferenza

Firmato: Giulio Cerreti».

13 giugno 1947.

La seconda parte della mozione d’ordine approvata dall’Assemblea chiede che sia data la parola all’onorevole Scelba per la risposta. Se l’onorevole Scelba intende parlare, ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, ieri l’onorevole Cerreti nel suo discorso dichiarava esplicitamente che il Ministro dell’interno aveva mandato un telegramma al Prefetto di Padova, invitandolo a sospendere l’inchiesta in attesa delle proprie istruzioni. Questo era stato riferito all’onorevole Cerreti dal capitano dei carabinieri, al quale egli aveva dato l’incarico di presentare la denuncia. L’onorevole Cerreti dichiarò pubblicamente e ciò è risultato dalla lettura fatta del Presidente, che aveva copia del telegramma inviato dai Ministro Scelba.

Io chiesi ripetutamente all’onorevole Cerreti di voler precisare la data del telegramma o del fonogramma che il Ministro dell’interno aveva mandato e di voler precisare, eventualmente, anche il numero di protocollo, perché i telegrammi e i fonogrammi hanno un loro numero di protocollo. Non riuscii ad ottenere soddisfazione in questo senso, pur avendo sbandierato, in quest’Assemblea, lo stesso onorevole Cerreti la copia del documento.

A seguito della discussione l’onorevole Cerreti ha depositato stamani un documento. I giuristi che sono qui presenti possono insegnare a me che cosa è un documento. (Interruzioni Rumori a sinistra).

Si tratta di una dichiarazione, possiamo dire di una attestazione, o di una testimonianza, rilasciata dal Capitano dei Carabinieri, cui il Cerreti aveva commesso di presentare la denuncia, nella quale si dichiara che, recatosi a Padova, egli sarebbe stato chiamato dal Prefetto del posto, che a lui avrebbe comunicato che, la sera avanti, aveva ricevuto una comunicazione dal Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno con la quale lo si invitava a sospendere una inchiesta, in attesa di istruzioni.

È questo il contenuto del documento a cui si è riferito il Presidente e che è stato depositato stamane dall’onorevole Cerreti.

Allora, una prima precisazione mi pare vada fatta, ed è questa: che non esiste né un telegramma, né un fonogramma del Ministro dell’interno al Prefetto di Padova. (Commenti Interruzioni all’estrema sinistra). Noi dobbiamo cercare la verità, e la verità richiede precisazioni. Non esiste, quindi – e non è provato, anzi risulta perfettamente il contrario – un documento, o un telegramma, o un fonogramma mandato dal Ministro dell’interno. Esisterebbe invece una comunicazione, una conversazione telefonica, avvenuta col Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno. Io dichiaro di fronte all’Assemblea che intendo assumere la piena responsabilità dell’operato del mio Capo di Gabinetto. (Applausi al centro).

Una voce all’estrema sinistra. È una confessione.

SCELBA, Ministro dell’interno. Intendo assumerla pienamente, e posso farlo perché il contenuto stesso della comunicazione riferita dal Capitano dei carabinieri è tale che entra nel pieno e legittimo diritto del Capo di Gabinetto.

Noi, come Ministero dell’interno, riceviamo tutti i giorni centinaia di telegrammi e di segnalazioni. Ora, un Capo di Gabinetto diligente, la mattina, prima ancora che il Ministro si rechi in ufficio, ha già fatto lo spoglio di questi telegrammi e, per suo conto, ha già dato le disposizioni necessarie del caso.

Ripeto ancora, ed aggiungo, che le denunce all’autorità giudiziaria per fatti del genere debbono essere fatte sentito il parere del Prefetto; e se il Capo di Gabinetto viene informato, da una comunicazione qualsiasi, che c’è un fatto, uno scandalo, o qualche cosa che può turbare la vita politica del Paese, il Ministro dell’interno, o il suo organo, attraverso il Capo di Gabinetto, ha il diritto di indagare e di chiedere informazioni e precisazioni per suo conto. Ha questo diritto.

L’onorevole Cerreti ci ha dichiarato che egli, per considerazioni di alta politica, per non turbare la pace tra i partiti che stavano al Governo, per non denunciare un fatto molto grave, che avrebbe fatto scalpore nel Paese egli, che pure è espressione e rappresentante di un organo squisitamente tecnico, quale Alto Commissario per l’Alimentazione, aveva ritenuto di soprassedere alla denuncia dei fatti, che egli ha denunciato soltanto il 12 maggio, due giorni dopo le dimissioni del Gabinetto.

Se l’Alto Commissario per l’Alimentazione, organo squisitamente tecnico, riteneva che, per motivi politici, poteva o meno soprassedere ad una denunzia, ritengo che il Ministro dell’interno, organo squisitamente politico, avesse il diritto di informarsi di queste circostanze per poter esprimere anche ed eventualmente il proprio avviso sulla questione, tanto più, ripeto, che denunzie di questo genere – a quanto consta a me, e non so se la legislazione di guerra fatta dal fascismo sia stata modificata – denunzie di questo genere non possono essere presentate, se non sentito il parere del Prefetto.

Una voce a sinistra. È stata modificata! (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Ripeto che posso assumere pienamente la responsabilità dell’azione del mio Capo di Gabinetto, se avesse agito in questo senso, perché il Ministero dell’interno, ripeto, come organo squisitamente politico, aveva il diritto di informarsi sull’esistenza di un fatto di questo genere.

Ma, onorevoli colleghi, di fronte alla denunzia fatta dall’onorevole Cerreti ieri, che esisteva un telegramma del Ministro dell’interno, di cui egli dichiarava di possedere la copia…

Una voce al centro. Fotografica!

SCELBA, Ministro dell’interno. …oggi abbiamo una semplice dichiarazione, dichiarazione – notate – fatta su richiesta, cioè a questo fine specifico di documentare e di provare l’interferenza del Ministro dell’interno in questa faccenda, perché il documento dice: «Riferisco, a richiesta, che, ecc.»

Una voce al centro. Il 23 maggio! (Commenti).

SCELBA, Ministro dell’interno. Io non intendo minimamente mettere in dubbio il valore di detto documento. Sarà vero, non sarà vero, sarà autentico, non sarà autentico (Rumori a sinistra), non importa. Io intendo prenderlo per autentico, nella sua autenticità e nel suo contenuto.

Permettano gli onorevoli colleghi che io senta se questa dichiarazione privata rilasciata dal capitano dei carabinieri corrisponda al vero, cioè a dire se l’organo dipendente dal Ministero effettivamente ha fatto questa comunicazione.

È un mio diritto di indagare; io, come capo responsabile dell’Amministrazione, ho il diritto di domandare al prefetto di Padova, se è vero, se è esatto che egli ha fatto al capitano dei carabinieri quella comunicazione.

Io intendo esercitare questo mio diritto e riferire all’Assemblea appena avrò potuto compiere l’indagine. (Rumori a sinistra Commenti Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio!

SCELBA, Ministro dell’interno. Io vorrei dichiarare all’Assemblea che le indagini da me tempestivamente fatte stamane sono in contrasto con i risultati e con la dichiarazione rilasciata dal capitano dei carabinieri.

Ma io non posso limitarmi a fare mere affermazioni verbali; io desidero fornire all’Assemblea delle documentazioni, così come ha fatto l’onorevole Cerreti. Io intendo cioè esercitare il mio diritto di capo dell’amministrazione. E poiché non risulta che sono stato io a… (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Facciano silenzio!

SCELBA, Ministro dell’interno. Ho dichiarato, mi pare abbastanza esplicitamente e chiaramente, che ritengo di assumermi tutte le responsabilità. (Rumori). Ho dichiarato, in secondo luogo, che ritengo l’atto e il gesto compiuto nel pieno esercizio delle funzioni del Ministero dell’interno, atto squisitamente politico, atto dell’amministrazione dell’interno perfettamente legittimo.

In quanto poi al pro-memoria che l’onorevole Cerreti ha creduto di accompagnare al documento, io manifesto la mia sorpresa per il fatto che il Presidente abbia ritenuto di accogliere siffatto documento, che non è poi un documento, poiché l’Assemblea ieri sera aveva dato mandato alla Presidenza di accogliere i documenti cui ieri l’onorevole Cerreti aveva fatto cenno. (Rumori Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio! Lascino proseguire.

SCELBA, Ministro dell’interno. Manifesto dunque la mia sorpresa, poiché esisteva un voto formale e preciso della Assemblea sul mandato conferito alla Presidenza. Ed inoltre, se all’onorevole Cerreti è stata data la possibilità di presentare un pro-memoria, un appunto, una comparsa, come si direbbe in termini civili, in cui si fa riferimento ad altri fatti di cui ieri non si era parlato e se di questo pro-memoria il Ministro dell’interno non ha avuto alcuna comunicazione né dal Presidente, né dalla Presidenza (Approvazioni al centro), salvo la comunicazione data qui all’Assemblea, mettendo me in condizione di non poter rispondere anche per la complessità dei fatti che nel pro-memoria stesso sono esposti, io credo di aver almeno un diritto pari a quello dell’onorevole Cerreti, di poter presentare alla Presidenza una memoria aggiunta in risposta a quella presentata dall’onorevole Cerreti. (Applausi al centro).

Io non avrei altro da aggiungere. Mi riservo, se mi sarà consentito, di comunicare all’Assemblea i risultati, documentati naturalmente, delle indagini che esperirò nell’ambito della mia Amministrazione (Interruzioni e commenti a sinistra) e di presentare le conclusioni (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Facciano silenzio, perché l’onorevole Scelba possa proseguire.

SCELBA, Ministro dell’interno. Assicuro l’Assemblea che mi riservo di dare comunicazione, non nascostamente, né alle 9 del mattino, ma in pubblica seduta, dei risultati delle indagini che saranno da me esperite e di presentare una memoria per illustrare il pro-memoria dell’onorevole Cerreti. (Vivi applausi al centro e a destra Rumori a sinistra Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, darò la facoltà di parlare a chiunque la chieda.

Desidero poi notare, per mio conto, che stamane ho comunicato personalmente all’onorevole Scelba che l’onorevole Cerreti, avendomi consegnato due documenti, si era riservato di consegnarmi in successione di tempo, un appunto o pro-memoria. Non è pertanto riuscita del tutto nuova all’onorevole Scelba l’esistenza di questo pro-memoria. (Interruzioni al centro Proteste).

In secondo luogo rammento all’Assemblea che se ho dato lettura del pro-memoria è perché l’Assemblea, unanime, mi ha invitato a farlo. (Applausi a sinistra Commenti).

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Onorevoli colleghi, io credo che non siamo qui in un tribunale, ma bensì in una Assemblea politica. Sulla questione se i documenti presentati possono o no considerarsi tali dal punto di vista giuridico, cioè, se rivestono o no le forme legali, potrà giudicare una commissione. (Proteste al centro e a destra).

Per noi quel che importa è che ci troviamo di fronte ad una indicazione di fatti, e vogliamo sapere se quei fatti sono veri o falsi. (Rumori al centro e a destra).

L’Assemblea si trova di fronte a un dilemma: o c’è una scorrettezza da parte dell’Amministrazione, o c’è una scorrettezza da parte dell’onorevole Cerreti. (Commenti al centro e a destra).

Noi abbiamo il diritto di sapere se la dichiarazione fatta dall’onorevole Cerreti era legittima o no, se ha detto il vero o no (Commenti al centro e a destra), come abbiamo diritto di sapere se l’intervento dell’Ammirazione in episodi come questi è un fatto senza importanza, o richiede invece un giudizio da parte nostra.

Intanto devo rilevare che in quella tale comunicazione telefonica non si chiede di sospendere un giudizio o una denuncia; bensì di sospendere una inchiesta, cioè la ricerca degli elementi del giudizio e della denuncia (Commenti al centro). Che il Ministro dell’interno voglia ed abbia il diritto di appurare tutti gli elementi di fatto, nessuno lo contesta. Se il Ministro dell’interno vuole fare una inchiesta amministrativa ne ha pieno diritto.

Però abbiamo anche noi il diritto, come Assemblea, di giudicare sopra quanto ci è stato riferito. Il pro-memoria che ci è stato letto mi pare di tale importanza che sarebbe invero molto strano che ci dichiarassimo soddisfatti quasi che non avessimo bisogno di sapere null’altro su questo incidente. (Proteste Rumori al centro).

CHIEFFI. Il Ministro andrà fino in fondo.

SCOCCIMARRO. Il Paese giudicherebbe assai strano, e ne trarrebbe una ancora più strana impressione se di fronte agli episodi riferiti dimostrassimo di non sentire il bisogno di andare fino in fondo nella ricerca della verità. Daremmo prova di un’insensibilità morale che ogni galantuomo ed ogni uomo onesto non potrebbe tollerare.

Chiunque qui dentro vuole non solo difendere la dignità dell’Assemblea, ma anche la dignità personale di ciascuno di noi… (Rumori al centro Interruzioni). Noi vogliamo uscire da questo palazzo in modo che nessuno ci possa dire: tu sei corresponsabile di aver messo a tacere delle porcherie! (Proteste al centro). Poiché non potete smentire che qui sono affiorate delle irregolarità. A chi pensa che tutto ciò non vale la pena di essere chiarito, o che l’intervento in tali questioni del Capo di Gabinetto del Ministro è un fatto di ordinaria amministrazione perfettamente lecito, noi dobbiamo far rilevare che c’è il dubbio che si siano esercitate influenze non del tutto corrette, e pertanto riteniamo che tale dubbio debba essere chiarito. Perciò, oltre l’accertamento del Ministro, è necessario anche un accertamento della verità da parte dell’Assemblea. (Vivi applausi a sinistra Rumori al centro Commenti).

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Onorevoli colleghi, come ieri, anche oggi ho la immodesta pretesa di correre al soccorso dell’onorevole Cerreti, reagendo decisamente a quanto di offensivo per lui, e può darsi che mi sbagli, ho inteso trapelare nella parola dell’onorevole Scoccimarro. L’onorevole Scoccimarro ha detto che il Paese deve sapere chi consente a che sia sottaciuta la verità e chi non consente. Io ho visto chiara l’allusione in ciò al comportamento tenuto dall’onorevole Cerreti che, essendo in possesso di un documento in data 23 maggio, lo ha «taciuto» e «sottaciuto» per farlo conflagrare il giorno dopo che è uscito dal Gabinetto. (Applausi al centro Rumori interruzioni).

Credo quindi che il Paese non possa porsi altro che imparzialmente questo interrogativo, e credo che l’organo del partito al quale si onora di appartenere l’onorevole Scoccimarro, abbia già nella sua manchette di stamattina anticipato la risposta e il giudizio che si attende dall’Assemblea. «Non vogliamo al Governo chi protegge gli affamatori del popolo»; e non c’è nessun riferimento evidentemente a quella che è stata la complicità, di almeno due settimane, dell’onorevole Cerreti. (Ilarità al centro).

Ma entriamo piuttosto in quella che è la vera questione che si agita in questo momento e che non poteva essere – lealmente lo riconosco – nelle «prime intenzioni» dell’onorevole Cerreti. Io ho ottima memoria ritentiva. Ricordo perfettamente il discorso dell’onorevole Cerreti di ieri e l’inizio delle vaghe allusioni: prova perfetta che non c’era intenzione da parte dell’onorevole Cerreti di arrivare fino a questo punto; poi l’onorevole Cerreti è stato costretto dalle nostre pressanti richieste, a dar corpo alle sue ombre, che avevano quel carattere generico che hanno, quasi sempre, i discorsi degli oppositori sulle dichiarazioni del Governo.

E quando è stato costretto a dar corpo a quelle ombre (cito sempre un organo che, per voi almeno, raramente sbaglia: «l’Unità») «ha agitato» (avete un resocontista parlamentare intelligente e fedele, anche se un po’ di colore) «ha agitato, ripeto, dinanzi agli occhi della Assemblea esterrefatta la copia del famoso telegramma Scelba» (Applausi al centro).

Anche se i molti lettori dell’«Unità» non avessero letto la manchette avrebbero avuto la giusta sensazione – che tutti noi ieri sera qui si aveva – che l’onorevole Cerreti fosse in possesso delle prove – della copia fotografica di quel fonogramma – per l’apprentissage del periodo clandestino al quale egli faceva riferimento ieri. E noi si aspettava che il telegramma o il fonogramma, che rappresenta la fonte unica direttamente riappiccabile a quello che dovrebbe provenire dal Ministro Scelba e non dal capitano Cancelli o Canciglio (non so come si chiama), fosse prodotto dinanzi all’Assemblea. L’onorevole Cerreti ieri sera fu malauguratamente contumace.

La Presidenza attese pazientemente oltre tre quarti d’ora.

Stamane, secondo informazioni di giornali, che vanno anche prese cum grano salis, si è riunita la direzione del Partito comunista italiano, che forse ha dato il suo exequatur alla presentazione di qualcosa, che è certamente quello che i giuristi (l’onorevole Scoccimarro vorrebbe far divorziare il diritto dalla politica, mentre sono fraterni compagni o amici e non possono divorziare) chiamano un principio di prova, ma un principio di prova molto sospetto, per la fonte da cui promana, il tempo della presentazione, la sostanziale diversità tra l’annunziato ed il presentato.

PAJETTA GIANCARLO. Voi siete sospetti.

BELLAVISTA. Onorevole Pajetta, io voglio evitare la polemica. Ma non vorrei esser costretto a ripetere all’Assemblea che lo ignora quello che un giornale del pomeriggio pubblica (perché credo, fino a prova in contrario, da galantuomo, alla smentita dell’onorevole Cerreti) che stamani a Pistoia, per un grave reato annonario, è stato arrestato certo Oscar Brighenti, che si proclama suo segretario (Applausi al centro e a destra Commenti).

Questo non ha alcuna importanza; la stampa è quasi sempre faziosa; ne abbiamo le prove ogni giorno leggendo l’«Unità».

Ed allora, che c’è in fondo a questa, non so, se felix o infelix culpa?

Il tentativo di mettere sotto inchiesta il governo, prima di arrivare al voto di fiducia?

L’onorevole Pajetta, che, essendo giovane, è impulsivo e spontaneo, non ha avuto pazienza, ha scoperto le batterie e ad un certo punto ha detto: la commissione d’inchiesta.

PIAJETTA GIANCARLO. L’hanno chiesta gli onorevoli Giannini e Gronchi.

BELLAVISTA. Sì, ma lei lo ha ripetuto oggi; forse lo ha sognato ieri, lo sognerà domani e penso che continuerà a sognarlo ancora per qualche tempo inutilmente, onorevole Pajetta! (Vivi Applausi al centro ed a destra Rumori Commenti a sinistra).

CERRETI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Onorevoli colleghi, dall’allusione fatta dall’onorevole Bellavista, a proposito d’una pubblicazione comunicata dall’Ansa, si capisce dove ci può portare questo dibattito, cercando di giuocare a colpi di maggioranza, anche se non si conosce il carattere particolare e composto di questa materia. Si rischia di cadere nel ridicolo.

Si badi che il signor Brighenti, del quale parlano i giornali, non è mai stato mio segretario particolare né facente funzione di mio segretario particolare; il mio segretario particolare si trova in quella tribuna ed è con me da un anno e mezzo.

CAPPA, Ministro della marina mercantile. C’era o non c’era nella Segreteria?

CERRETI. Non andiamo su questo terreno, onorevole Cappa.

SCOCCIMARRO. Abbiamo altre cosette da dire.

Una voce al centro. Anche noi. (Rumori Interruzioni).

CERRETI. Si tratta di un addetto alla Segreteria e ve ne erano dodici. (Commenti al centro). In un anno e mezzo, di addetti all’Alto Commissariato ne sono stati arrestati diversi, credo in numero di sette, e questo addetto, che nel mio ufficio non ha mai messo piede, è stato arrestato anche perché, pur non essendo più io Alto Commissario, al Presidente della SEPRAL di Pistoia che aveva chiesto se in quel caso si poteva procedere, dato che l’assegnazione era stata regolarmente fatta alla Cooperativa di Pistoia, ho fatto dire senza nessun ritegno che, quando si trattava di colpire qualcuno che ha sbagliato, bisognava colpire più forte quelli vicini a me, che non quelli che erano lontani. (Applausi a sinistra). E questo è stato sempre il contegno da me tenuto al dicastero dell’alimentazione.

Ho detto ieri, e ripeto che, prima di fare colpire chicchessia, fu un comunista ad essere colpito, un mese e mezzo fa, perché era un disonesto, in altro campo. (Interruzioni).

SCOCCIMARRO. Noi abbiamo il coraggio di dirlo, voi no.

CERRETI. Mentre li scopriamo e li denunziamo ed aiutiamo a fare scoprire coloro che non sono onesti, da altre parti si coprono i disonesti, e questo è il problema in discussione.

Voce al centro. Come al Poligrafico!

Una voce a destra. Fuori le prove!

CERRETI. Io mi riservo di riprendere la parola in questo dibattito.

Per adesso ho chiesto di parlare a titolo personale, per smentire recisamente quello che dicono i giornali circa i legami fra l’arrestato e l’onorevole Cerreti. Per il resto, vedremo.

GUERRIERI FILIPPO. Se pensassimo un po’ al nostro Paese non sarebbe meglio? È ora di finirla; sono miserie enormi.

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOSSETTI. Onorevole Presidente, vorrei esordire con un ammonimento a me stesso è anche un po’, brevemente, con una confessione. Nell’agitata riunione di ieri anch’io non sono stato di quelli che ha dato un maggiore esempio di calma e di pacatezza. Lo riconosco ora per propormi di affidare nelle mani del nostro Presidente, perché mi richiami durante la mia dichiarazione, che del resto non sarà lunga, il proposito di non dire alcunché che possa in qualche maniera indisporre un settore dell’Assemblea o qualcuno degli onorevoli colleghi.

Vi sono dei momenti nella vita dei popoli, e credo che ne stiamo attraversando appunto uno, in cui il giudizio che si può fare della democrazia dipende in gran parte dal costume, dal senso di dignità e pacatezza che l’Assemblea rappresentativa ha nei confronti del Paese. È dunque in base a questo rilievo che io cercherò oggi, brevemente, di muovermi su dati assolutamente obiettivi, anche se sarò costretto a ripetere alcune cose che l’Assemblea ha già avuto occasione di udire più di una volta, cioè alcune delle principali dichiarazioni fatte ieri dall’onorevole Cerreti.

Se mi permettono i colleghi, vorrei rileggere il testo della prima delle dichiarazioni relative all’argomento in questione fatte dall’onorevole Cerreti, perché in questa prima dichiarazione era contenuta una frase che, nella lettura fattane or ora dall’onorevole Presidente, è stata forse sorvolata o, per lo meno, al mio orecchio non è pervenuta, e quindi credo che lo stesso possa essere avvenuto anche per altri colleghi:

«Aggiungo – e l’onorevole Presidente mi potrà controllare sul resoconto stenografico – che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono quei fonogrammi, di cui io ho la copia – (e questa è la frase) – a mezzo dei quali si chiede che la tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».

Ora, se i colleghi mi permettono, io devo sottolineare che questa enunciazione contiene specificamente la denuncia di ben tre reati, cioè: primo reato: quello dei prefetti che trattengono e ritirano le denunce documentate, già presentate al Procuratore generale; secondo reato: denunce firmate dall’Alto Commissario di cui si dispone che non debbano aver luogo; terzo reato: impedire ad un comandante dei carabinieri che proceda ad una denuncia per un reato annonario.

E tanto vero che queste affermazioni contengono l’enunciazione dell’accusa di tre reati, che lo stesso onorevole Cerreti, raccogliendo una voce dell’Assemblea, ha detto: È un reato, lo so, per questo dico, ecc. ecc.

Successivamente, tralasciando altre dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, e venendo a quella centrale, in cui ha fornito i primi elementi di individuazione generica del fatto oggi dibattuto, egli ha detto: «Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denuncia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di aver presentato la denuncia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Per sua dichiarazione esplicita, presentatosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un telegramma del Ministro, col quale si chiedeva di sospendere l’inchiesta, in attesa di ulteriori disposizioni. Ero io il solo a doverle dare. Il firmatario fece presente al Prefetto che l’inchiesta era stata ultimata e che aveva presentato rapporto giudiziario al signor Procuratore della Repubblica di Padova. Ho il documento autentico».

Da questa successiva dichiarazione dell’onorevole Cerreti risultano annullate le accuse dei tre reati che egli aveva delineato nella dichiarazione precedente (Interruzioni), perché non si può più parlare di denunce ritirate, in quanto queste erano state già presentate; non si può più parlare di intervento per impedire che una denuncia presentata dall’Alto Commissario avesse corso, e soprattutto non si può più parlare di un fonogramma o telegramma di cui l’onorevole Cerreti doveva avere copia, in cui si ordinava ad un capitano dei carabinieri di non presentare la denuncia che egli aveva deciso ai presentare.

Le affermazioni dell’onorevole Cerreti ieri sono state su questo punto tanto contradittorie che lo stesso onorevole Presidente – e lo prego ancora di controllare il resoconto stenografico – riassumendo il punto della discussione, direi facendo la contestatio litis, stabilendo quello che doveva essere oggetto di una eventuale inchiesta, si è espresso con queste parole – e la prego di controllare, onorevole Presidente – dopo aver ripetuto le dichiarazioni centrali dell’onorevole Cerreti: «In sostanza, l’onorevole Cerreti ha mosso accusa al Ministro dell’interno di avere, con un fonogramma, di cui egli avrebbe copia, chiesto che la denuncia firmata dall’Alto Commissario per l’alimentazione non avesse luogo, ecc., ecc. come ho letto poco fa. Questi – soggiunge sempre l’onorevole Presidente – sono i termini precisi della questione. E, ove si debba procedere alla nomina di una Commissione d’inchiesta, questa sarebbe la materia di esame per tale Commissione».

Siccome il punto del dibattito era stato chiaramente e perspicuamente riassunto ieri dallo stesso onorevole Presidente, io debbo attenermi a ciò che il Presidente ha detto e far constatare – perché è una constatazione che si può fare immediatamente e de visu – come sia venuto meno e sia completamente crollato ciò che doveva essere, secondo le stesse indicazioni dell’onorevole Presidente, il punto del dibattito e l’oggetto dell’eventuale inchiesta da parte della Commissione parlamentare.

Non insisterò né sul fatto che l’onorevole Cerreti, dopo aver ripetutamente affermato – e tale affermazione risulta dal resoconto stenografico, ma non dai resoconti dei giornali – di avere copia del fonogramma, o del telegramma che sia, questa copia non ha potuto esibire.

Né insisto sul fatto che il telegramma, o fonogramma che sia – che è invece semplicemente una conversazione telefonica, secondo il documento esibito dallo stesso onorevole Cerreti – ha contenuto radicalmente diverso da quello che era stato prospettato inizialmente.

Il documento presentato dall’onorevole Cerreti non dà più in nessuna maniera la possibilità di accusare il Ministro ai sensi dell’articolo 328 del Codice penale, ma semplicemente, com’è già stato rilevato in maniera difficilmente oppugnabile, dà, se mai, la prova di un intervento telefonico effettuato dal Gabinetto del Ministro, al semplice scopo di sospendere in via amministrativa un’inchiesta amministrativa, che si presumeva ancora in corso, perché l’onorevole Cerreti, come ha detto egli stesso ieri, aveva avuto cura di far sì che l’inchiesta pervenisse alla sua conclusione, cioè alla denuncia, senza che si fosse data conoscenza al Ministro dell’interno, né alla Prefettura di Padova.

E molto chiaro ciò di cui prendiamo atto oggi. In base al documento esibito, un capitano dei carabinieri, che aveva già presentato regolare denuncia, si è semplicemente sentito chiedere dal Prefetto se supponeva che questa denuncia avrebbe avuto ancora corso e se credeva che l’inchiesta avrebbe dovuto essere sospesa per valutazioni di carattere politico, di cui lo stesso onorevole Cerreti, in più enunciazioni, ci ha mostrata la possibilità e talvolta persino la necessità.

Non discuto il merito della questione, mi basta accertare questo fatto. Ogni uomo in buona fede, in base ai soli dati forniti dall’onorevole Cerreti, dimenticando tutto il resto e qualunque altra dichiarazione fatta dalle parti in causa, deve riconoscere che egli, dopo avere accusato un Ministro in carica di un triplice reato, configurato nettamente nel Codice penale, ci viene a fornire un documento che è semplicemente la prova di un intervento amministrativo, durante la fase amministrativa, e quindi perfettamente giusto e legittimo e persino, secondo lo stesso onorevole Cerreti, conveniente ed opportuno durante lo svolgimento amministrativo. Ora, in relazione a tutti gli altri fatti, nei quali l’onorevole Cerreti ha voluto inquadrare il problema che deve formare oggetto esclusivo della nostra indagine, mi limito solo ad osservare che questi fatti sono ormai di dominio dell’autorità giudiziaria, la quale deve condurre le relative indagini.

Ed allora, mi pare che la conclusione non lasci alcun dubbio; la conclusione è quella che lo stesso onorevole Cerreti ci aveva proposto ieri, in una delle molte frasi che ha detto, e che è opportuno ricordare. Ad un certo momento, egli ha detto di aver voluto dare a questo suo accenno un carattere incidentale, in una discussione politica. È precisamente questo che noi dobbiamo prendere atto. L’onorevole Cerreti ha fatto una affermazione incidentale nella vivacità polemica della agitata seduta di ieri. Egli è stato portato, nel calore della discussione, a fare delle affermazioni che egli per primo, ieri, ed oggi in maniera documentata, riconosce infondate. Queste affermazioni infondate non possono in nessuna maniera fornire materia di inchiesta di carattere parlamentare; in caso contrario esse servirebbero a spostare un dibattito che, nelle intenzioni di tutti, e dello stesso onorevole Cerreti, si deve limitare unicamente al carattere politico della questione che ci sta di fronte, e non deve spostarsi su di un terreno giudiziario o morale, che non ha nessuno spunto di legittimità e di convenienza per essere giudicato tale. Il dibattito è politico e noi dobbiamo avere la franchezza ed il coraggio di riconoscere che è tale. Non vi è nessuna questione morale, e la responsabilità che ciascuno di noi dovrà assumersi è di carattere politico, responsabilità che va presa a viso aperto, in sede di discussione politica. (Approvazioni Commenti).

Ho detto e sostengo, che avrei cercato di essere pacato. Credo e spero di non avere offeso nessuno con le mie dichiarazioni. Vorrei però aggiungere che questa pacatezza e questa serenità, questo sforzo di obiettività sono un elemento – e vorrei che tutti i colleghi di tutti i settori ne tenessero conto – il quale prova la consapevolezza del nostro buon diritto, e la consapevolezza anche che, ove la questione fosse deviata su di un terreno nel quale non può essere assolutamente portata, si tratterebbe evidentemente di una manovra in cui di morale non vi è assolutamente nulla, e che avrebbe soltanto un significato politico. Perciò, con questa stessa pacatezza, amici e colleghi di tutti i settori, noi vi diciamo: badate, se credete che in sede politica ci si possa valere di queste armi, e se pensate di potere, con queste armi, come in più di una occasione ieri avete fatto, portare lo smarrimento fra di noi, ebbene, noi vi diciamo, con estrema serenità, che è questo che noi vogliamo, perché questo ci garantisce di conseguire una piena unità fra di noi ed una piena unità col popolo italiano (Applausi vivissimi al centro), perché il popolo italiano, in questo momento, non vuole false questioni morali, ma vuole soltanto un Governo che lavori per dargli pane, libertà e giustizia. (Vivissimi applausi al centro e a destra Rumori a sinistra Commenti).

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Dossetti mi ha giocato il terribile tiro di dire i tre quarti di quello che volevo dire io, sicché ne guadagnerà l’Assemblea, perché parlerò molto di meno.

Volevo semplicemente fare osservare che, secondo me, la questione non è impostata giustamente. Questo è un problema che non può che avere due soli aspetti: uno politico e uno amministrativo. Avrebbe l’aspetto politico, ove l’accusa precisa a carico del Ministro dell’interno, anche configurata come è stata configurata, avesse avuto non dico un serio fondamento, ma un fondamento. Ed in questo caso la responsabilità del Ministro, e del Governo di cui egli fa parte, sarebbe stata in giuoco, ed il problema sarebbe stato politico. È stato appunto per questo che io, ieri, ho proposto (e sono lieto che alla mia proposta si siano associati anche gli onorevoli Gronchi e Taviani) un’inchiesta parlamentare, in quanto tutto faceva supporre che esistesse una responsabilità politica del Ministro dell’interno.

Non starò qui a ripetere che la esistenza di un documento, la cui paternità si faceva direttamente risalire al Ministro dell’interno, è stata ripetutamente affermata ieri. È stata questa la ragione per cui ho chiesto l’inchiesta parlamentare ed ho invitato anche io l’onorevole Cerreti a voler depositare nelle mani del Presidente dell’Assemblea questo documento.

Ora, questo documento non c’è; ce n’è un altro, che non involge la responsabilità del Ministro dell’interno. Ed allora, che cosa importa a noi di un fatto amministrativo? Ma è possibile che noi dobbiamo chiedere ai singoli Ministri di render conto di tutto quanto fanno i propri dipendenti? Questo è oggetto di inchiesta amministrativa e nell’ambito delle amministrazioni se ne facciano pure dieci, venti, trenta. Noi abbiamo il diritto e il dovere di sottoporre ad inchiesta parlamentare i membri del Governo per colpe a loro attribuite e documentate; ma non abbiamo certo la facoltà, né avremmo il tempo, di trasformarci in tribunale per giudicare, caso per caso, tutte le malefatte che si possono verificare in una amministrazione.

Ora, se non ho capito male, sono stati denunciati fatti di questo genere: c’è stato un contrabbando di 160 quintali di pasta. Ma è forse il primo o l’unico contrabbando di pasta che c’è stato? Ci sono stati contrabbandi di ben altro genere!

Una voce a sinistra. Questo è il guaio!

GIANNINI. Chi di noi non si è macchiato di qualche contrabbando, sia per fumare di frodo, sia per portare qualche pasticcino ai propri figliuoli? Noi siamo più o meno tutti quanti colpevoli di contrabbando, appunto in ragione diretta della idiozia dell’economia controllata, che spinge tutti i cittadini al contrabbando.

Ora, che ci siano questi 160 quintali di merce contrabbandata, è certamente un fatto molto grave, che potrà coinvolgere la responsabilità di un prefetto, di un questore, di un brigadiere o sottobrigadiere delle guardie di finanza; ma, per carità, non ce ne immischiamo noi, perché altrimenti dove andremmo a finire? Noi ci dovremmo occupare in tutti i dettagli di tutto ciò che succede nelle pubbliche amministrazioni!

Questo capitano dei carabinieri – (ed ha fatto benissimo l’onorevole Commissario Cerreti di servirsi di un capitano dei carabinieri, per esperire delle indagini, perché, come ufficiale, è un perfetto galantuomo) – ha fatto le sue dichiarazioni, ma non c’è ragione che si debba credere ed esclusivamente credere ad un capitano dei carabinieri anziché ad un prefetto, che si deve interrogare. È tutta materia di indagine amministrativa da svolgere, questa.

Io non vedo la drammaticità che vogliamo dare a questo fatto. Si potrebbe supporre che si voglia mettere il Governo sotto inchiesta. E va bene, mettiamolo pure sotto inchiesta, ma non per 160 quintali di pasta. È troppo poco!

Una voce a sinistra. E la borsa nera?

GIANNINI. Ma ringraziamo questa borsa nera, con la quale viviamo, perché se dovessimo vivere con le tessere, differenziate o meno, che ci dà lo Stato, a quest’ora, almeno io, non avrei più la pinguedine che mi ha fatto diventare un uomo politico abbastanza noto. (Si ride).

Signori, io proporrei che a questo sciagurato episodio si desse l’importanza che merita: ossia l’importanza di una – diciamo – precipitosa frase dell’onorevole Cerreti, il quale, come me novellino, si è forse lasciato trascinare. Non voglia raccogliere voci di speculazioni; per me, qui, speculazioni non se ne fanno, per me, qui, noi siamo divisi unicamente dal diverso modo col quale intendiamo servire il nostro Paese. E, alle volte, sbagliamo ed esageriamo in questa preoccupazione.

Oramai, questo incidente ha dimostrato precisamente questo: che noi ci troviamo di fronte ad una delle tante, delle molte, delle inevitabili irregolarità di tutte le amministrazioni annonarie, che il Signore dovrebbe una buona volta distruggere, per nostra pace e per nostra felicità. (Si ride).

Non c’entra nessuna responsabilità politica di un Ministro; c’entrerà la responsabilità amministrativa di un funzionario: ebbene, si ricerchi questo funzionario, e lo si punisca, se ha sbagliato.

Ma andiamo avanti, in nome di Dio, con i nostri lavori, perché altrimenti, coi 160 quintali di pasta e col capitano dei carabinieri, signori, noi ci copriamo di ridicolo di fronte al Paese, che aspetta da noi qualche cosa di molto più serio che non questa discussione. (Applausi a destra Commenti).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Io, in verità, confesso che sono un poco imbarazzato, perché mi trovo nella situazione dello studioso di diritto che non ha mai fatto l’avvocato e qui esiste, in fondo, un processo: tutti accusano qualcuno e tutti difendono qualcuno, come se ci fosse qualcuno da condannare o qualcuno da assolvere.

Per me, la situazione è completamente diversa e non è nei termini in cui l’ha posta l’onorevole Scoccimarro. L’onorevole Scoccimarro ha detto: «Uno dei due mente». Io vi dico che probabilmente tutti e due dicono la verità: il Ministro Scelba, che si è sentito promettere un telegramma e si vede presentare invece una letterina postergata di un capitano dei carabinieri, perché la lettera del capitano dei carabinieri non l’ha scritta lui, ed è evidente; e l’onorevole Cerreti che dice di aver visto delle irregolarità. E l’onorevole Bellavista si è già posto alcune domande, ed ha posto alcune domande all’onorevole Cerreti su questa questione.

Io mi permetterò, se mi è consentito, di fare una domanda, che per me è fondamentale, all’onorevole Cerreti e al Presidente del Consiglio, perché qui la questione non è tanto – per me – che si siano commesse delle irregolarità, non è tanto che queste irregolarità possano essere state commesse più in alto o più in basso, perché questo significa colpire più in alto, o più in basso: quello che mi preoccupa è che delle irregolarità si possano commettere e si possano tacere.

Ora, l’onorevole Cerreti ha detto che per ragioni di opportunità politica, ha ritenuto di non dover dare pubblicità a quanto era venuto a sua conoscenza. Io non condivido questa opinione, perché penso che, quando vi sono cose che non vanno, più in alto si sta, più responsabili si è, e più si ha il dovere di parlare. È questione di apprezzamento.

Però, una domanda devo fare all’onorevole Cerreti o al Presidente del Consiglio: l’onorevole Cerreti ha informato sì o no il Presidente del Consiglio? (Segni di diniego dell’onorevole De Gasperi). Perché questo ha un significato e un colore politico, perché questo significa che, se irregolarità sono state commesse, esse sarebbero state taciute, ed allora anche l’accusa perde ogni valore.

Ecco perché, per me, è su questa domanda che si basa il valore politico e morale della questione. Se nemmeno il Capo responsabile del Governo è stato informato, vuol dire che questa questione o non esisteva, o veniva riservata non a fini di giustizia, ma a fini diversi. E allora rimane semplicemente questo: rimane un oratore di opposizione il quale si è fatto prendere la mano e ha detto di più di quello che avrebbe doluto dire, perché ha promesso delle prove che non possedeva.

Di fronte a questa affermazione, c’è la smentita di un ministro, non più coimplicato direttamente, come era ieri, ma, caso mai, chiamato in causa per la irregolarità di un ufficio cui egli è preposto.

Oggi non ci resta altro da fare se non di invitare il ministro a provvedere al più presto a fare questa inchiesta. Se poi tale inchiesta e le spiegazioni che fornirà il ministro dovessero esser tali da non soddisfare l’Assemblea, questa potrà allora prendere tutte le deliberazioni che vorrà: ma, fino a quando questo non sarà avvenuto, a noi non resta altro da fare che passare all’ordine del giorno e tornare ai nostri lavori. (Applausi a destra).

Ma da ciò dobbiamo almeno trarre un insegnamento: che quando succedono cose che non dovrebbero succedere, si ha il dovere di parlare subito e non di aspettare il momento in cui conviene. (Vivi applausi al centro e a destra Commenti).

PRESIDENTE. Sono pervenuti alla Presidenza alcuni ordini del giorno. Il primo, dell’onorevole Cifaldi, è del seguente tenore:

«L’Assemblea, udita l’esposizione dell’onorevole Presidente e le dichiarazioni del Ministro dell’interno, passa all’ordine del giorno».

Il secondo, dell’onorevole Selvaggi, è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni dell’onorevole Scelba e nell’attesa delle nuove dichiarazioni da lui preannunciate, passa all’ordine del giorno».

Il terzo è dell’onorevole Caroleo e suona così:

«L’Assemblea Costituente, avuta notizia, attraverso la lettura fatta dal Presidente, del contenuto dei documenti presentati dall’onorevole Cerreti, esclude che possano ravvisarsi, negli stessi, elementi a carico del Ministro dell’interno».

CODIGNOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CODIGNOLA. Onorevoli colleghi! Non rientrerò nel merito della questione che è stata discussa davanti a questa Assemblea oggi e nelle ultime ore della seduta di ieri, poiché invero non mi sembra che questa Assemblea abbia il potere di discutere il merito della questione stessa.

Io vorrei, prima di tutto, tornare un momento indietro, cioè al momento in cui ieri sera fu stabilito, d’accordo tutti i settori dell’Assemblea, che l’onorevole Cerreti avrebbe depositato presso il Presidente dell’Assemblea i documenti sulla base dei quali egli aveva portato le proprie accuse in sede di Assemblea nei riguardi dell’onorevole Scelba.

Una volta superata questa pregiudiziale, si sarebbe dovuta decidere la successiva procedura. Ricordo, a questo riguardo, quanto esattamente il Presidente dell’Assemblea ebbe a dire, riassumendo: «Vi sono tre proposte: una del Presidente del Consiglio, un’altra dell’onorevole Benedetti e infine quella dell’onorevole Giannini.

«La proposta del Presidente del Consiglio è questa: si depositino al banco della Presidenza i documenti; la Presidenza ne prenda visione, e comunichi al Ministro gli estremi dei documenti, in modo che questi possa domattina venire all’Assemblea a confermare o a smentire la validità dei documenti stessi.

«Vi è poi la proposta dell’onorevole Benedetti, il quale vorrebbe porre in essere uno speciale meccanismo, una commissione sul tipo della Commissione degli undici. Vi è infine la proposta dell’onorevole Giannini, accettata dall’onorevole Gronchi e dall’onorevole Valiani, che si proceda alla nomina di una Commissione di inchiesta parlamentare sulla base di un progetto di legge che l’Assemblea discuterà e approverà».

Questi sono i termini della questione dal punto di vista procedurale; e debbo esprimere la mia meraviglia che oggi, dopo aver ascoltato le dichiarazioni del Presidente dell’Assemblea e quelle dell’onorevole Scelba, l’Assemblea abbia ripreso in esame il merito della questione, senza affrontare il primo problema, che già ieri era stato discusso, cioè il problema della procedura da adottarsi in questa discussione.

Invero, mi pare che i documenti presentati dall’onorevole Cerreti, anche se indubbiamente si notino alcune contradizioni fra la forma di questi documenti, quale in un primo tempo era apparsa dalle dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, è quella che è risultata invece dalle dichiarazioni del nostro Presidente, e nonostante la svalutazione che all’ultimo momento ne è stata fatta in modo strano da alcune parti della Camera, le quali sembrerebbero avere un diretto interesse politico in questa questione, mi pare, dico, che queste comunicazioni conservino tutta la loro gravità. Direi che le comunicazioni lette dall’onorevole Presidente e le dichiarazioni successive dell’onorevole Scelba abbiano aggiunto motivi di gravità a quanto era già noto a questa Assemblea fin da ieri sera.

Anzitutto, l’onorevole Presidente ci ha letto, oltre al documento rilasciato dal capitano dei carabinieri, un esposto che l’onorevole Cerreti ha depositato, esposto che contiene accuse molto più gravi di quelle contenute nel documento firmato dal capitano dei carabinieri. Le accuse che l’onorevole Cerreti muove devono, evidentemente, essere chiarite.

L’onorevole Dossetti poc’anzi diceva che la forza della democrazia dipende in larga parte dalla serietà, dalla responsabilità che questa Assemblea dimostra in questioni di questo genere. Mi associo a queste dichiarazioni; ma credo che non sarebbe certamente uno spettacolo molto edificante per la nostra democrazia se, dopo che l’Assemblea ha avuto nozione di accuse così gravi, quali quelle denunciate nel suo esposto dall’onorevole Cerreti, si limitasse semplicemente a passare all’ordine del giorno, come se non fossimo stati investiti di una questione così seria. Noi potremmo anche dolerci che questa questione sia stata portata in Assemblea, potremmo anche pensare che, dietro a questa questione, si muovano interessi di carattere politico: tuttavia, la questione è stata portata in tutti i suoi particolari davanti all’Assemblea e l’Assemblea non può e non deve disinteressarsene. (Commenti a sinistra). L’Assemblea è stata investita di questa questione, ed ora occorre, evidentemente, andare in fondo.

Ma devo aggiungere un’altra cosa. Nelle dichiarazioni dell’onorevole Scelba è forse sfuggito a qualcuno un elemento che mi pare di estrema importanza. L’onorevole Scelba ha affermato, come un dato di fatto, che in materia annonaria le denunce all’autorità giudiziaria devono essere fatte, sentito il prefetto.

Una voce al centro. Ha detto che non lo sapeva.

CODIGNOLA. E pertanto l’onorevole Scelba ritiene che la procedura adottata, e l’ordine di fermare la famosa inchiesta, rientrasse nei poteri ordinari del Ministero dell’interno.

Ora, mi meraviglia come l’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, non sappia quello che tanti poveri deputati conoscono, cioè che non esiste più questa disposizione, disposizione estremamente grave, perché essa importava un intervento del potere esecutivo nell’ambito del potere giudiziario. Questa disposizione non esiste più, da oltre un anno; e pertanto il Ministro dell’interno non può ad essa riferirsi per sostenere che era legittimo, comunque, il suo intervento presso il prefetto di Padova.

D’altra parte, dagli opposti settori, si sono fatti alcuni rilievi che non ci hanno lasciati indifferenti. Per esempio, è stato osservato da qualcuno, che il documento presentato stamane dall’onorevole Cerreti all’onorevole Presidente non porta il segno di alcuna piegatura e che la sua autenticità può essere messa in dubbio. Naturalmente, noi non abbiamo alcun mezzo per provare se questa accusa, che proviene dalla controparte, sia vera o falsa.

Noi chiediamo quindi che anche su codeste dichiarazioni dell’onorevole Chieffi, che ha posto in dubbio l’autenticità del documento, si faccia luce piena, perché è chiaro che da una delle due parti ci deve essere una responsabilità e vogliamo sapere da quale parte la responsabilità ci sia. Se il documento presentato a tutta l’Assemblea fosse un documento falso – come ha fatto supporre l’onorevole Chieffi – tanto più è necessario che si vada in fondo, attraverso una regolare procedura, per vedere dove stiano le effettive responsabilità.

Ho poi ascoltato le dichiarazioni dell’onorevole Giannini. L’onorevole Giannini era forse in vena di umorismo, cosa che gli capita di frequente, e ci ha fatto conoscere che non sarebbe serio che l’Assemblea Costituente si occupasse di questioni del genere, perché i casi di reati annonari sono innumerevoli e il fatto che un funzionario del Ministero dell’interno sia intervenuto presso un prefetto è un fatto puramente amministrativo. Per quale ragione dunque l’Assemblea Costituente, che ha tante cose assai più importanti da fare, dovrebbe perdere tempo intorno a questo episodio?

Ma l’onorevole Giannini (e mi dispiace che non sia presente) mi permetta di fargli osservare che la questione di cui si parla è ormai stata portata al giudizio dell’Assemblea Costituente, e vi è stata portata sotto il profilo di una responsabilità politica e amministrativa del Ministro dell’interno, il quale a sua volta ha dichiarato dinanzi all’Assemblea che se ne assume piena e completa responsabilità.

Di fronte a questo non possiamo più pensare, onorevoli colleghi, che si tratti di una qualsiasi azione amministrativa su cui sarebbe competente lo stesso Ministro interessato e di cui l’Assemblea potrebbe disinteressarsi. Noi abbiamo qui una questione di grande delicatezza morale e anche politica (Rumori al centro e a destra), una questione di estrema gravità morale, alla quale, se è insensibile una parte dell’Assemblea, non sono insensibili le altre parti. (Applausi a sinistra). E soprattutto, onorevoli colleghi, nonostante i vostri commenti, non è insensibile il Paese. (Commenti).

Pertanto, io ritengo di esprimere l’esigenza di molti colleghi di questa Assemblea col proporre che il problema qui aperto, lasciando da parte ogni giudizio sul merito, venga affrontato e interamente chiarito: e va da sé – come io stesso ebbi a dichiarare in occasione d’altro episodio consimile – che saremmo noi i primi ad essere lieti se il risultato delle indagini dimostrasse l’assoluta innocenza dell’accusato. (Rumori).

Io debbo dichiarare che, a nostro giudizio, l’Assemblea è chiamata a dare in questa occasione la misura della sua dignità e della sua responsabilità morale e politica. (Applausi a sinistra Rumori al centro e a destra).

Onorevoli colleghi, non è la prima volta che al Parlamento italiano si presentano episodi di questo genere; e anche se certa stampa attribuisce ad essi carattere di scandalo, io penso che sia piuttosto benefico che codesti casi siano portati pubblicamente davanti al Parlamento e quindi all’opinione pubblica del paese. Meglio è portarli di fronte al Parlamento che regolarsi come faceva il fascismo, cioè compierli e tenerli nascosti (Applausi a sinistra).

Nella giornata del 26 novembre 1895 (Commenti) il deputato Barzilai, in un caso molto simile a questo – era allora Presidente del Consiglio e Ministro dell’interno l’onorevole Crispi – denunziò che un prefetto del Regno aveva detto ad un magistrato: «Il Governo è costretto a combattervi perché voi avete pronunziato una sentenza di assoluzione per certi socialisti»; e che ad un altro magistrato un sottoprefetto aveva osato proporre una indennità perché si ritirasse dalla lotta elettorale per far posto ad un altro candidato, desiderato dal Ministero dell’interno. L’onorevole Crispi, Presidente del Consiglio e Ministro dell’interno, intervenendo, chiedeva seduta stante un’inchiesta per appurare i fatti denunziati dall’onorevole Barzilai. Infatti nella stessa seduta il Presidente provvedeva a nominare una Commissione parlamentare col compito di riferire immediatamente il risultato delle proprie indagini.

Come vedete, noi non ci troviamo di fronte ad un caso assolutamente nuovo. Non per nulla il regolamento della Camera prevede in due articoli diversi due possibilità diverse di soluzione.

Vi è l’articolo 80-bis che dice: «Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi il fondamento dell’accusa; alla Commissione può essere assegnato un termine per riferire».

Ricordo che di questo articolo si è valso a suo tempo l’onorevole collega Parri, quando venne accusato di fatti che ledevano la sua onorabilità.

L’onorevole Scelba non ha ritenuto tuttavia di far uso della facoltà che gli è conferita dall’articolo 80-bis del Regolamento della Camera, chiedendo egli stesso, come ci saremmo aspettati tutti noi, che si aprisse immediatamente una inchiesta sui fatti qui denunziati. L’onorevole Scelba può ritenere che, essendo egli Ministro in carica, il suo caso non rientri in quelli previsti dall’articolo 80-bis. È un giudizio che riguarda esclusivamente la sua coscienza di uomo politico, e gliene lasciamo l’intera responsabilità.

Ma, in altri casi, questa Assemblea procedette, indipendentemente dalla richiesta dell’interessato, alla nomina di una Commissione di inchiesta, e questo precedente può ben essere ritenuto valido in questa occasione. (Interruzioni a destra).

Una voce al centro. Siamo stanchi!

CODIGNOLA. Un collega della Democrazia cristiana ha dichiarato che essi sono stanchi: rispondo che anche noi siamo stanchi. (Applausi a sinistra).

Dunque, anche al di fuori dell’articolo 80-bis vi è un precedente parlamentare recente, che autorizza questa Assemblea ad eleggere nel proprio seno una Commissione parlamentare di inchiesta, che prenda in esame le accuse mosse dall’onorevole Cerreti e le difese dell’onorevole Scelba; giudichi (Interruzioni) e porti questo giudizio di fronte all’Assemblea. Io mi auguro, nell’interesse di tutti, che questa sia la soluzione prescelta: soprattutto nell’interesse del partito più degli altri compromesso in questa questione (Interruzioni al centro), il partito della Democrazia cristiana. Mi auguro che provenga proprio dai vostri banchi la richiesta di questa Commissione. (Interruzioni a destra Commenti).

Evidentemente, siete padroni di fare quello che credete. Padroni tuttavia fino ad un certo limite, fino al limite cioè, in cui la vostra azione non comprometta il prestigio di tutta l’Assemblea. (Applausi a sinistra).

Vi ricordo anche che l’onorevole Gronchi, non più tardi di ieri sera, dichiarò di aderire alla proposta formulata poco prima dall’onorevole Giannini, di nominare una Commissione d’inchiesta. (Interruzioni).

Una voce al centro. No! Niente inchiesta parlamentare!

CODIGNOLA. L’onorevole Giannini ci ha detto poc’anzi che secondo lui non esistono più oggi le condizioni perché la sua richiesta sia mantenuta. Vorrei sapere se è dello stesso parere l’onorevole Gronchi; se cioè per la sensibilità politica dell’onorevole Gronchi e del suo gruppo, le comunicazioni lette dall’onorevole Terracini, nostro Presidente, non siano sufficienti ad aprire una inchiesta parlamentare.

Voci al centro. No! No!

CODIGNOLA. Vi ringrazio della risposta, che considero ufficiale da parte del vostro gruppo, e pertanto valendomi dell’articolo 135 del Regolamento, presento formale domanda di inchiesta parlamentare; ed a norma degli articoli 133 e 134 propongo il seguente disegno di legge di iniziativa parlamentare:

«Per un’inchiesta parlamentare sugli interventi del Ministero dell’interno in relazione all’azione di repressione di reati annonari promossa dall’Alto Commissario per l’alimentazione.

«Art. 1. – «È istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta coll’incarico di indagare e di accertare la consistenza e la veridicità delle accuse mosse nella seduta del 12 giugno 1947 dal deputato onorevole Cerreti nei confronti del deputato onorevole Scelba, Ministro dell’interno, relativamente ad un preteso intervento di quest’ultimo presso la Prefettura di Padova, per sospendere l’azione legale, già in corso, promossa dall’Alto Commissario per l’alimentazione per la repressione di reati annonari.

«Art. 2. – «Il Presidente dell’Assemblea è autorizzato a nominare i membri della Commissione ed a consegnare al Presidente di essa i documenti presso di lui depositati dalle parti.

«Art. 3. – «Sono deferiti alla Commissione, per l’esercizio del suo mandato ed allo scopo di consentire il migliore accertamento della verità, tutti i poteri attribuiti dalla legge al magistrato inquirente.

«I funzionari chiamati eventualmente a deporre davanti alla Commissione sono prosciolti dal vincolo del segreto d’ufficio.

«Art. 4. – «La Commissione riferirà all’Assemblea Costituente sui risultati delle proprie indagini al più presto e comunque non oltre un mese dalla data della sua costituzione».

Per concludere, presentando ufficialmente questo disegno di legge, dichiaro di assumerne piena ed intera la responsabilità.

Mi auguro che tutti gli altri settori dell’Assemblea si assumano la propria. (Applausi a sinistra Commenti).

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI: Signor Presidente, onorevoli colleghi, poiché l’onorevole Dossetti ha incominciato il suo intervento rilevando che ieri l’Assemblea è stata troppo nervosa e promettendo per oggi serenità, io, che ritengo di non essere stato ieri troppo nervoso, ma altrettanto calmo quanto oggi, prometto uguale serenità, ma ne chiedo altrettanta ai colleghi di parte democristiana, i quali spero vorranno ascoltarmi sino alla fine, con la stessa obiettività con la quale io ho ascoltato loro.

La questione ha differenti aspetti: un aspetto giuridico, un aspetto politico ed altri.

Giuridicamente si tratta d’un atto condannato dalla legge, che sarebbe stato commesso da un funzionario strettamente legato al Ministro dell’interno, non sappiamo se per sua disposizione oppur no.

Era in corso un’inchiesta giudiziaria, fase prima del processo.

Ora, esiste una legge (relativa a reati annonari) che, all’articolo 23, dice:

«L’ufficiale e l’agente di polizia giudiziaria danno notizia al prefetto dei fatti che presentano caratteri di reato, ai sensi del presente decreto. Il prefetto, dopo 20 giorni, presenta denunzia all’autorità giudiziaria. Il prefetto può ordinare la sospensione dell’inchiesta ecc. ecc.». A questo articolo 23 della legge 22 aprile 1943 relativa a reati annonari, fa seguito l’articolo 24 che precisa e allarga i poteri del prefetto riguardo alle persone arrestate e alle cose sequestrate. Questo stato di fatto legislativo dura fino al giorno 26 dicembre 1944, nel quale un decreto-legge luogotenenziale, all’articolo 11 dice esattamente che le disposizioni degli articoli 23 e 24 del decreto-legge, che prima ho citato, «sono abrogate».

Ecco lo stato giuridico: noi siamo passati, passando dal regime fascista al regime democratico (non ancora in quel momento repubblicano) da una situazione in cui il prefetto poteva intervenire nel corso dell’attività della polizia giudiziaria, nel corso dell’inchiesta giudiziaria preliminare alla denunzia di reati annonari, ad uno stato giuridico in cui il prefetto non può intervenire e, se interviene, viola una legge. A maggior ragione però, viola la legge, se interviene il Ministro dell’interno, in quanto le sue facoltà e i suoi poteri nel nostro ordinamento giuridico sono analoghi a quelli del prefetto. Questo è, ripeto, lo stato di diritto. Al Ministro dell’interno è stata mossa l’accusa che, da parte di uno dei suoi uffici, consenziente, consapevole egli oppure no, essendo in corso il procedimento della polizia giudiziaria, è stato compiuto un atto che la legge proibisce, ed è stato portato un documento da cui risulta che l’intervento non ha avuto luogo. Si dice bensì: non è un documento! Orbene, è un documento o non lo è, è una prova testimoniale, o non è prova testimoniale?

Non lo so. Non spetta a me dirlo; però dalla lettera, che qui ci è stata letta, risulta la precisa attestazione di un fatto: il prefetto chiama a sé l’ufficiale della polizia giudiziaria incaricato da un’alta autorità dello Stato (Alto Commissario dell’alimentazione) di un procedimento di inchiesta di carattere giudiziario, e gli dice: questa inchiesta non si fa, questa inchiesta non si deve fare. Ecco tutto: il fatto ha avuto luogo, almeno fino a prova contraria. Era giustificato? Vi è stata da parte dell’amministrazione violazione di legge, sì o no? Questo è, ora, il problema che bisogna risolvere. E qui vi è un accusatore e un accusato. L’accusatore è colui che porta a sostegno di quanto dice una prova o un principio di prova; accusato è il Ministro dell’interno o il suo Gabinetto.

Da questa impostazione non si esce e tutto il resto non serve a niente, tutto il resto è fronzolo, tutto il resto, mi permettano, colleghi, lo dico senza voler offendere nessuno, è cavillo. Bisogna indagare se il fatto è vero, se esso esiste. Siamo noi in grado di indagare se il fatto esiste, se esso è vero, noi, Assemblea di 556 eletti del popolo? No, non ne siamo capaci, a meno che ci vogliamo erigere in Alta Corte per giudicare il Ministro Scelba, cosa che nessuno di noi ha voluto proporre. Noi abbiamo unicamente constatato che un principio di prova è stato fornito e proposto di incaricare un organismo eletto nel nostro seno, chiamiamolo come vorremo, Commissione d’inchiesta o di indagine o altro, alla quale si diano tutti i poteri che intendiamo dargli, affinché conduca a termine una ricerca e ci dica se il fatto è avvenuto o non è avvenuto, e se il fatto era corretto, o no.

Quanto alla gravità dei fatti che avevano dato luogo all’inchiesta troncata per l’ordine di cui abbiamo avuto notizia, abbiamo sentito la lettura di un memoriale abbastanza preciso, ed io non voglio andare ora a vedere se siano importanti centosessanta quintali di pasta come ha detto l’onorevole Giannini, o se non abbiano importanza. Ripeto che personalmente, ignoro questi fatti precedenti, non avendo qui sentito altro che la lettura fuggevole fatta dal nostro Presidente. Però l’onorevole Giannini non crede che anche se il fatto riguarda soltanto alcuni quintali, la reazione di quello che egli è solito chiamare l’uomo qualunque non sarà sempre la stessa?

Andiamo a vedere se le cose sono state fatte a dovere o se non sia stata invece commessa qualche porcheria: questa sarà in ogni caso la reazione dell’uomo qualunque. E l’onorevole Giannini, che qualche volta conserva la coscienza dell’uomo qualunque, ha avuto come sua prima reazione proprio questa. Ha detto: facciamo una Commissione di inchiesta e vediamo come stanno le cose.

L’onorevole Giannini, però, il quale ha cominciato a essere uomo qualunque, è diventato poi, non dico un politicante, ma il dirigente di un partito politico, il quale deve destreggiarsi in un’atmosfera politica determinata, e la reazione, non dico del politicante, ma dell’uomo politico sopprime in lui la reazione dell’uomo qualunque e allora egli dichiara: 160 quintali di più o 160 quintali di meno, che cosa importa? Che cosa importa, che l’autorità amministrativa sia intervenuta violando la legge oppure no? Lasciamo stare tutte queste cose! Non occupiamocene! L’uomo qualunque, onorevole Giannini, a questo punto non la comprenderà più.

GIANNINI. Non ho detto questo!

TOGLIATTI. L’uomo della strada non la comprenderà più, perché l’uomo qualunque, quando sente dire che qualche porcheria è stata fatta, anche in settore non molto importante, dice: «Andiamo a vedere, veglio sapere se la nostra amministrazione funziona bene ed è pulita, oppure no. Accertiamolo. Voglio sapere se nei procedimenti di inchiesta giudiziaria viene rispettata oppure no la legge che vieta gli interventi amministrativi. Facciamo una inchiesta e vediamo come stanno le cose».

Qui è tutta la questione.

L’onorevole Dossetti, che è esperto non solo in diritto civile, ma anche in diritto canonico, è riuscito, e figuratevi se non poteva riuscirvi, a trovare argomenti per contradire e negare questa che è la più semplice impostazione del problema e la più giusta. Egli però non mi ha convinto.

Onorevoli colleghi, ognuno di noi è arrivato nella vita politica per strade diverse, ed io alle volte non posso dimenticare di aver fatto anche degli studi di letteratura italiana. Nel sentire ieri l’intervento dell’onorevole Scelba e quello dell’onorevole De Gasperi ed oggi quelli degli altri colleghi di parte democristiana, non ho potuto sfuggire ad alcune rimembranze. Mi è tornato a mente un capolavoro della nostra letteratura.

Onorevole Calamandrei, ella che si commuove tanto quando si citano i capolavori della nostra letteratura, sarà oggi particolarmente contento di questa citazione. Parlo di un grande libro: delle Avventure di Pinocchio, dove si narra un episodio che fa meditare. Ricordano tutti i nostri ragazzini come avvenga che il povero Pinocchio abbia un giorno in regalo, non mi sovviene il perché, alcuni zecchini d’oro. Egli va errando per qualche tempo, e ha una serie di avventure, assillato dal problema di far sì che da questi zecchini ne escano degli altri.

Finalmente trova due impostori che lo consigliano di sotterrare i suoi zecchini perché il giorno dopo dalla buca verrà fuori una pianta dalla quale Pinocchio potrà cogliere tutti gli zecchini che vuole.

Onorevole Einaudi, non le consiglio di seguire questo metodo, sotterrare i suoi zecchini per risanare il bilancio dello Stato (Ilarità)… fatto sta che il povero Pinocchio crede ai consigli dei due impostori, sotterra i suoi zecchini, che nella notte i due malandrini gli portano via. Il giorno dopo Pinocchio si accorge del furto e va davanti a un Tribunale.

Una voce. Tribunale di cani!

TOGLIATTI. Risultato: venne condannato a tre mesi di prigione. Questo è l’episodio bizzarro che volevo ricordarvi, perché è rimasto un poco l’espressione della concezione che il nostro popolo ha della giustizia e dell’abilità che determinati organi e ausiliari della giustizia hanno, di trasformare da parte lesa in accusato e l’accusatore in imputato, in modo che nessuno ne capisce più nulla e il poveretto, che sarebbe poi l’uomo qualunque, va sempre a finire, come dire, nel sacco. (Ilarità al centro e a destra). Ora io mi chiedo come può avvenire che questa nostra Assemblea si trovi a dare un così clamoroso esempio, davanti a tutto il popolo, di giustizia alla Pinocchio. Come può avvenire, – e oramai so che avverrà, perché ho sentito le dichiarazioni di voto e ho visto lo schieramento dei gruppi – che, alla elementare richiesta di condurre una indagine su di un fatto attestato da un pubblico ufficiale e che pertanto non può essere messo in dubbio, a meno che non sorga una seria prova in contrario, si risponda di no, e per poco non si risponda che bisogna mettere sotto inchiesta l’accusatore?

Una voce al centro. Sì, perché è un calunniatore! (Rumori a sinistra Commenti).

TOGLIATTI. Mi sono chiesto, e mi sto chiedendo perché questo è possibile, come può avvenire questa stortura, questo ritorno alla giustizia delle Avventure di Pinocchio. Onorevoli colleghi, tutto questo può avvenire per un fatto molto semplice: perché il gruppo democratico cristiano conta in questa Assemblea 207 deputati ed in questo momento ha dalla sua i qualunquisti, i liberali e gli altri partiti di destra. (Rumori al centro). Arrivato a questo punto, colleghi democratici cristiani, sopportate – perché la sopportazione, anche se non sempre la praticate, dovrebbe però essere una delle vostre virtù – che vi dica che in sostanza, quando per il voto di 207 deputati democristiani, più l’appendice che ho testé indicata, si deciderà che non abbia luogo quella inchiesta che ciascuno di noi riconosce legittima e necessaria, questo voto non solo non ci stupirà per niente, ma per un certo aspetto persino ci potrebbe far piacere, se non si trattasse di fatto così grave perché ci permetterà di andare davanti al Paese e dire a tutto il Paese: ecco che cosa vuol dire avere nel Parlamento un gruppo di 207 deputati democratici cristiani alleati con i gruppi della destra... (Approvazioni a sinistra Vivaci interruzioni a destra Rumori Commenti).

Una voce al centro. E il fonogramma?

TOGLIATTI. Voi ci fornite un’arma tra le più convincenti per dimostrare al Paese, che cosa questo vuol dire… (Interruzioni al centro).

CHIEFFI. Vi farebbe comodo far cadere il Governo in questa maniera! Ricorrete a tutti i mezzi: aspettate di essere dimissionari, per parlare!

TOGLIATTI. Vuol dire che si può avere una legge che vieta l’intervento dell’autorità amministrativa in ordine ad un procedimento che comporta una inchiesta giudiziaria, ma che, anche se la legge lo vieta, la cosa si potrà fare lo stesso, perché 207 voti democristiani più quelli delle destre reazionarie metteranno della sabbia sulla legge, e impediranno persino che sulla cosa si indaghi. Vuol dire che si possono commettere scorrettezze gravissime contro la nostra amministrazione, e la cosa passerà senza conseguenze per l’intervento di quella maggioranza. (Interruzioni al centro e a destra). Vuol dire che, mentre la maggioranza del popolo ha fame, e vuole che il pezzo di pane che gli si dà… (Interruzioni al centro).

TOGLIATTI. …sia difeso dagli speculatori, si potrà fare a meno di questa difesa… (Interruzioni Rumori).

ANGELINI. Siete responsabili anche voi. Allora, eravate al Governo anche voi. Perché denunciate adesso queste cose e non quando eravate al governo?

TOGLIATTI. …perché 207 voti democristiani, più l’appendice di destra, impediranno anche questa difesa. (Vive interruzioni al centro e a destra).

Ora, onorevoli colleghi, l’onorevole Cerreti non ha sollevato questo problema per amor di polemica o per amor di scandalo. (Rumori al centro).

Una voce al centro. Non ci crede nessuno! (Commenti).

TOGLIATTI. Voi mi insegnate, o troppo spesso ululanti colleghi della Democrazia cristiana, che è necessario che qualche volta avvenga lo scandalo. Ma non è per questo che l’onorevole Cerreti ha voluto sollevare questa questione, bensì per porre il dito sopra problemi politici, e particolarmente su quello della possibilità o meno che un Governo composto in questo modo, con simile maggioranza parlamentare, con simili uomini ai posti decisivi dell’amministrazione pubblica, abbia non soltanto la fiducia di quelli che voteranno per lui, ma anche quel certo grado di fiducia degli altri settori, per cui un Governo può chiamarsi Governo nazionale, Governo democratico, e non governo di una sola parte e nell’interesse di essa. Quando questo Governo farà le elezioni con un Ministro dell’interno come l’onorevole Scelba, saremo noi sicuri che queste elezioni saranno fatte in modo onesto, e in generale siamo noi sicuri che in modo onesto venga amministrata la cosa pubblica? L’onorevole Cerreti non ha voluto sollevare altro problema che questo, che non tocca in particolare lui stesso, o lei (Indica l’onorevole Scelba), o l’onorevole Nenni, più di quanto non tocchi l’onorevole Giannini o un uomo del partito liberale, o della destra, o di altri gruppi del centro sinistra. Il problema ci tocca tutti allo stesso modo. Noi vogliamo avere alla testa dell’amministrazione pubblica uomini che non intervengano se non in base alla legge, conformemente alla legge (Rumori al centro). Ogni atto compiuto in aperta violazione della legge, distrugge quella fiducia che tutti devono avere nel Governo. (Interruzioni e commenti al centro Rumori).

Il fatto che qui è stato portato dimostra che questa qualità di rispettare ad ogni costo la legge, nell’onorevole Scelba, per lo meno per quel determinato atto della sua amministrazione, non è esistita. Ebbene, poiché questo oramai è stato provato, non vi resta che un compito: cancellate questa macchia, e a questo scopo fate almeno una Commissione di inchiesta che ci faccia sapere la verità. (Interruzioni e commenti al centro). Se voi non lo fate, ed io sono perfettamente convinto che non lo farete… (Interruzioni al centro).

Una voce al centro. Perché avete ritirato l’accusa.

TOGLIATTI. …ebbene la macchia, onorevoli colleghi della Democrazia cristiana, resterà e sul Governo e sulla Democrazia cristiana e il Paese la vedrà. (Vivi applausi a sinistra Rumori e proteste al centro Scambio di apostrofi fra il centro e la sinistra).

GIANNINI. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’onorevole Togliatti mi ha rivolto un rimprovero che ferisce crudelmente il mio cuore di uomo qualunque. Mi ha accusato di essere diventato un uomo politico. Io gli potrei agevolmente rispondere che chi pratica lo zoppo, finisce sempre con lo zoppicare. (Si ride).

Ma, in ogni modo, questa accusa di essere diventato un uomo politico, se potrà essere giustificata in altri casi, non mi sembra che lo sia nel caso in esame. Difatti, che cosa mi rimprovera l’onorevole Togliatti? Di avere proposto, come uomo qualunque, una inchiesta parlamentare a carico dell’onorevole Scelba; di avere quindi rimangiata la mia proposta, di avere ringoiato, diciamo, questo rospo, questo drago che avevo messo fuori, per interessi di partito.

È vero che gli interessi di partito ormai coprono molta merce avariata; senonché la nostra merce è ancora fresca, tanto è vero che noi possiamo forse avere una idealità di partito, una ostinazione di partito, una testardaggine di partito; ma, onorevole Togliatti, noi non abbiamo interessi di partito, perché al Governo noi non sediamo.

Inoltre, io avevo chiesto questa inchiesta parlamentare, precisamente per le ragioni che l’onorevole Togliatti ha detto: la tutela della dignità di tutti e di ciascuno di noi, la quale dignità veniva, secondo il mio criterio di uomo qualunque, ad essere vulnerata dal fatto che un Ministro si fosse reso colpevole di una scorrettezza nell’esercizio delle sue funzioni.

Ora, è la prova di questa scorrettezza che noi abbiamo chiesto all’onorevole Cerreti, che sosteneva l’accusa, e l’onorevole Cerreti non ci ha recato questa prova di una scorrettezza che io non voglio nemmeno discutere. Egli ha recato una prova di scorrettezza da accertarsi contro altri, contro funzionari che eventualmente dipendono dall’onorevole Scelba, ma non una prova contro l’onorevole Scelba, di modo che non si tratta del Ministro… (Rumori Commenti a sinistra).

Una voce a sinistra. Ne ha assunto la responsabilità!

Una voce al centro. Responsabilità politica, però!

GIANNINI. Ora, questa accusa noi la attendevamo contro il Ministro. Cosa interessa a noi una accusa di altro genere? Non che si voglia mettere a tacere, no: ci sarebbe tanto da mettere a tacere in Italia! Ma io ho detto semplicemente che non è questa materia di inchiesta parlamentare; si tratta di un procedimento amministrativo che si deve esperire a carico di questo prefetto e a carico di questo funzionario del Ministero. E si deve esperire per un fatto, che è indipendente persino dalla nostra volontà, perché questo capitano dei carabinieri, di cui sì è parlato, ha detto di aver già iniziato l’azione giudiziaria, di aver presentato delle denunzie, Quindi, essendo un reato di azione pubblica, indipendentemente dalla nostra volontà, andrà avanti e certamente si concluderà o con una sentenza di non luogo, o con una sentenza di condanna o di assoluzione; ma avrà, comunque, una conclusione giudiziaria. (Commenti).

E allora, mi sono domandato: ma noi siamo un corpo politico o siamo il tribunale di Roccapizzopapero di Sotto? Dobbiamo stare ad indagare sull’operato del dipendente di un Ministro? Ma non solamente i dipendenti del Ministro Scelba; dipendenti di qualsiasi Ministro possono cadere in qualche reato.

Onorevole Togliatti, vorrei che lei si rassicurasse: io non ho cessato e non cesso di essere un uomo qualunque che ragiona col suo buon senso. Se c’è un Ministro accusato, in questo momento ripresento la mia domanda di inchiesta a carico di questo Ministro; ma voglio la prova dell’accusa.

Una voce a sinistra. Ma il Ministro Scelba ha assunto la responsabilità!

Una voce al centro. Ma politica! (Rumori Commenti).

GIANNINI. Non vorrei che gli onorevoli colleghi mi costringessero a parlare a lungo. Vorrei concludere, scusatemi.

Mi si porti una accusa precisa, un fondamento di accusa contro il Ministro e allora mi impegno, a nome del mio Gruppo, di chiedere una inchiesta parlamentare a carico del Ministro.

E s’intenda bene che noi non abbiamo nessuna alleanza con la Democrazia cristiana (Commenti): ve lo dimostrerò in sede di discussione sulle dichiarazioni del Governo. Noi facciamo il nostro interesse di partito, se interesse di partito si può chiamare quello che facciamo qui dentro, senza nemmeno ottenere una croce di cavaliere, visto che non si può avere: noi siamo qui al servizio del Paese e possiamo anche sbagliare; tutti siamo fallibili. Ma noi non abbiamo nessun impegno con i signori della Democrazia cristiana, che continuano a combatterci come se nulla fosse.

Io dico semplicemente questo: mi si rechi una prova a carico del Ministro ed io ripresenterò la mia domanda di inchiesta parlamentare. Ma se si tratta di irregolarità da parte di un funzionario, di un prefetto, di un altro nobilissimo cittadino italiano che non ricopre la carica di Ministro, non vedo perché dobbiamo interrompere i nostri lavori, mettere virtualmente in crisi, un Governo che non ha ancora cominciato a funzionare e che mena una vita abbastanza difficile. A quale scopo? Per seguire una manovra parlamentare?

Poiché l’onorevole Togliatti ci accusa e ci fa una minaccia, di andare dicendo nel paese che l’Uomo Qualunque non vuole una inchiesta, cosa gli devo rispondere? Io gli devo rispondere che l’Uomo Qualunque non vuole l’inchiesta per non prestarsi ad una manovra contro il Governo, io debbo rispondergli che lui vuole l’inchiesta, invece, per mettere in imbarazzo il Ministero, di cui faceva parte il giorno prima, e che quindi non c’è una questione di modalità, non c’è una questione di correttezza: c’è semplicemente una questione politica, sulla quale a chicchessia è concesso di prendere un atteggiamento; e quindi lo prendiamo anche noi.

Si rassicuri, quindi, l’onorevole Togliatti che io sono e rimangono un uomo qualunque ed è in questa qualità che ho esposto il mio pensiero e che spero di spiegare il resto quando parlerò in sede di dichiarazioni di Governo. (Applausi al centro e a destra Commenti a sinistra).        

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei pregare di ascoltare in silenzio gli oratori per evitare che la seduta abbia termine troppo tardi.

MASTROJANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTROJANNI. Onorevoli colleghi, desidero brevemente rispondere alle argomentazioni che l’onorevole Togliatti ha rappresentate, anche sotto l’aspetto politico, sulla questione sottoposta al nostro giudizio. Poiché si è detto che la questione è politica e giuridica insieme, è bene ricordare che i due aspetti sono sempre strettamente legati e che ogni orientamento politico porta di conseguenza un coerente orientamento di natura giuridica.

Che la norma .giuridica non debba essere piegata alla pretesa politica, e che la politica possa solo illuminare la norma giuridica, è cosa che rientra nella onestà politica e giuridica; ma che si debbano capovolgere le questioni di natura squisitamente giuridica, trasmutandole in speculazioni politiche, è cosa che noi decisamente respingiamo, e contro la quale decisamente ci leviamo a combattere. (Commenti Interruzioni Applausi a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono compiaciuto che la mia preghiera di poco fa sia stata accolta in pieno!

VERNOCCHI. Chiusura!

PRESIDENTE. La domanda di chiusura non deve essere un grido anonimo: chi la chiede si alzi e faccia la proposta.

VERNOCCHI. Io domando la chiusura.

PRESIDENTE. Adesso sta parlando l’onorevole Mastrojanni: quando avrà finito, metterò in votazioni la domanda di chiusura.

Prosegua, onorevole Mastrojanni.

MASTROJANNI. A mio avviso, è stato commesso un errore sostanziale, che ad arte è stato mascherato, nell’intento di sostenere una pretesa che è infondata in fatto e destituita d’ogni fondamento in diritto. La materia che dovrebbe costituire, quella che noi chiamiamo la generica del fatto, non esiste. Infatti si è dimenticato che, quel presunto documento, inserito negli atti presentati al Presidente dell’Assemblea, non costituisce, per se stesso e per sé solo, un principio o un indizio di prova che consenta di identificare un’ipotesi delittuosa attribuita al Ministro dell’interno.

Perché? Perché il documento presunto, in atti, parla di una presunta richiesta di sospensiva di un’inchiesta. Ma la sospensiva di un’inchiesta, fino a prova contraria, non significa la proibizione dell’inchiesta stessa. Se i sostenitori della Commissione di inchiesta avessero dimostrato, sia pure attraverso uno pseudo-documento, che la presunta attività del Ministro si è manifestata nel senso di pretendere o di ordinare di non fare l’inchiesta, bene allora si potrebbe discutere sulla necessità o sull’opportunità di sottoporlo alla Commissione di inchiesta; ma, dal momento che la sostanza, il contenuto, l’oggettività del documento in atti, ictu oculi, non consentono di identificare una ipotesi delittuosa, tutto quanto qui finora si è detto, non ha altro sapore che quello di una polemica a scopo politico e nient’altro che politico.

Non posso presumere che persone colte e addestrate in tema di diritto, possano non aver visto quanto affiora dalla più elementare indagine, che deve essere fatta prima di iniziare atti giudiziari. Non posso presumere che uomini di intelletto, i quali hanno sferrata questa offensiva con evidente e preventiva meditazione e con logico esame analitico, non abbiano esaminato pacatamente il documento e non si siano domandati se esso documento avesse i crismi, il fondamento, l’oggettività perché in esso potesse identificarsi un’ipotesi delittuosa.

D’altra parte, onorevoli colleghi, nessuno di noi qui è avulso dal più elementare od empirico orientamento giuridico, nessuno di noi è incapace di considerare, in modo elementare, se un fatto possa assurgere alla gravità di reato. Nel nostro Codice processuale penale esistono norme per cui il pubblico ministero ha il dovere e il diritto di archiviare le denunce le quali non presentino alcun elemento concreto, che giustifichi e consenta un’indagine, o un’istruttoria sommaria. Anche noi, del pari, abbiamo il diritto, dopo questo esame superficiale ed elementare, di respingere qualsiasi richiesta di Commissione d’inchiesta perché, essendo in grado di comprendere che cosa significhi in lingua italiana sospendere un’inchiesta, e che cosa significhi ordinare che l’inchiesta non si faccia, possiamo convenire che la sospensione di una procedura d’inchiesta non costituisca alcun illecito, né penale, né amministrativo.

Ecco perché, in questo modo, ritengo che si debba ritenere sgomberato in modo definitivo il terreno per qualsiasi richiesta diretta a reclamare la Commissioni d’inchiesta. È destituita altresì la pretesa per la Commissione d’inchiesta per altre considerazioni, che ricavo dalle stesse argomentazioni che l’onorevole Togliatti ha ritenuto di esporre a conforto della sua tesi. Egli, infatti, ha distinto la legislazione in tema di repressione di delitti annonari in due epoche: ha ricordalo la precedente, per la quale non poteva instaurarsi procedimento penale fino a quando non si avesse avuto la preventiva autorizzazione da parte dell’autorità prefettizia ed ha ricordato quella successiva, per la quale tale autorizzazione preventiva è stata abrogata.

Da tali considerazioni discendono logiche conseguenze: se il presunto comportamento del Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno si fosse verificato nell’epoca nella quale doveva l’autorità tutoria intervenire prima di mandare all’autorità giudiziaria le eventuali denunce, allora noi avremmo ben potuto coltivare un sospetto in ordine al comportamento del Capo di Gabinetto del Ministro dell’interno; ma quando i presunti fatti, noi sappiamo, si sono verificati in epoca successiva, quando cioè l’autorità tutoria era stata completamente esonerata da qualsiasi intervento in materia, allora dobbiamo concludere che quel qualsiasi intervento, anche se si fosse verificato, da parte dell’autorità prefettizia, nessuno peso avrebbe potuto apportare e nessuna influenza avrebbe potuto esercitare, sicché alcun apprezzamento negativo a noi non è consentito di fare, in quanto che l’autorità giudiziaria, comunque, avrebbe proceduto ad instaurare un regolare procedimento.

Ma, altra considerazione, onorevoli colleghi, in tema di diritto è da farsi. Poiché il protagonista di questa vicenda è un capitano dei carabinieri, e poiché a nessuno è ignoto il fatto che l’arma dei carabinieri esplica funzioni di polizia giudiziaria ma, nel contempo, di informazione politica, di polizia militare, di pubblica sicurezza, ecc., è conseguenziale, è logico, è inevitabile, che all’ufficiale di polizia giudiziaria incombono personalissimi obblighi precisi e tassativi ai quali egli assolutamente non può sottrarsi, dai quali egli assolutamente non può esimersi, anche se la sua volontà venisse coartata da un esponente della politica o da più alta autorità dello Stato. Se anche fosse vero dunque, che il prefetto di Padova ebbe a chiamare il capitano dei carabinieri e che ebbe allo stesso a dire che, per ordine del Ministero degli interni doveva sospendersi l’inchiesta in corso, quel capitano dei carabinieri avrebbe avuto egualmente il dovere di informare l’autorità giudiziaria e di presentare all’autorità giudiziaria la denuncia, anche ed in contrasto col desiderio o con gli ordini a lui impartiti dal Ministro dell’interno.

Noi siamo pienamente sicuri e convinti che il Ministro dell’interno, essendo anche un avvocato (gli avvocati sono sempre i più fanatici e scrupolosi osservanti delle norme legislative e regolamentari) e poiché – nel caso nostro – non è un empirico né un impreparato, egli o i suoi diretti dipendenti, non si sarebbero mai permessi di dare ordini ad un capitano dei carabinieri, sapendo essi che, rivolgendosi ad un ufficiale di polizia giudiziaria, questi avrebbe avuto ugualmente l’obbligo di presentare la denuncia all’autorità giudiziaria.

Concludo quindi col dire che, mancando ogni e qualsiasi indizio o principio di prova sulla presunta responsabilità del Ministro dell’interno, e d’altra parte avendo anche nel merito esaminata la questione, anche nei termini maliziosamente impostati da parte avversa, ed anche in questo caso, avendo tratta l’esatta e piena convinzione che nel fatto, in ispecie, esula qualsiasi possibilità di identificazione di reato o di illecito amministrativo, non resta che l’archiviazione della denuncia. (Applausi a destra Commenti).

PRESIDENTE. È stata chiesta la chiusura della discussione. Domando se sia appoggiata.

(È appoggiata).

La pongo in votazione.

(È approvata).

Si tratta ora di concludere la discussione. Fra gli ordini del giorno presentati, di cui ho dato lettura, ha la precedenza quello dell’onorevole Cifaldi, che chiede il puro e semplice passaggio all’ordine del giorno. Esso infatti dice: «L’Assemblea, udita l’esposizione dell’onorevole Presidente e le dichiarazioni del Ministro dell’interno, passa all’ordine del giorno».

La proposta dell’onorevole Codignola è indipendente dagli ordini del giorno, in quanto è una proposta di iniziativa parlamentare, e pertanto si deciderà in un secondo tempo ciò che l’Assemblea intenda fare.

Sull’ordine del giorno Cifaldi è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Dugoni, Gullo Fausto, Jacometti, Faralli, Mattei Teresa, Molinelli, De Michelis, Basso, Lopardi, Grazia, Giua, Musotto, Mancini.

NENNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NENNI. Nessun rappresentante del Gruppo del Partito socialista italiano essendo intervenuto nel dibattito che ha preceduto il voto che stiamo per dare, reputo doveroso verso l’Assemblea intervenire con una breve dichiarazione di voto. Noi voteremo contro l’ordine del giorno Cifaldi; col che daremo implicitamente la nostra adesione al progetto di legge Codignola per l’inchiesta parlamentare. Vorrei, a questo proposito, richiamare l’Assemblea ad una recente esperienza. Siamo tutti convinti che, in una occasione recente in cui alcuni colleghi e alcuni Ministri furono oggetti di attacchi, sbagliammo, nell’interesse stesso di quanti furono ingiustamente accusati, a non promuovere un’inchiesta rapida e personale. Ora la maggioranza che si è costituita ieri su questa questione, e che sta per ricostituirsi – pare a me che ripeta esattamente l’errore di alcune settimane or sono. Che dopo quanto è stato detto ieri una inchiesta sia indispensabile, non è messo in dubbio né dal Governo né dall’Assemblea. L’onorevole Scelba ha preso personalmente l’impegno di fare questa inchiesta e non ho nessun motivo di credere che nel fare questa inchiesta, egli mancherà al. suo dovere di correttezza e di imparzialità. Tuttavia, quando l’onorevole Scelba verrà davanti a noi con le conclusioni della sua inchiesta e ci comunicherà le sue conclusioni, una parte dell’opinione pubblica non sarà convinta del risultato.

Sono convinto che, se l’onorevole Scelba verrà davanti all’Assemblea tra qualche giorno ad annunciarci dei provvedimenti contro questo o quel funzionario, molti resteranno convinti che si è sacrificato un funzionario agli interessi politici di un Ministro o di un Governo. Ciò non conviene né al Ministro, né al Governo, né all’Assemblea.

Quanto alla giustizia, della quale parlava poco fa l’onorevole Togliatti: la giustizia…

Una voce al centro. Da burattini!

NENNI. …di Pinocchio, vorrei dire che, fortunatamente, non si tratta qui di trasformare l’accusatore in accusato, né di precostituire una sentenza. La procedura dell’inchiesta pone sullo stesso piano l’accusatore e l’accusato. Chiedere un’inchiesta non può significare, non deve significare che c’è già la sentenza. Chiedere un’inchiesta vuol dire sodisfare il legittimo desiderio che su un fatto determinato, di cui oggi ci sfuggono gli elementi essenziali, si faccia luce completa. (Interruzioni).

Casi di questo genere non si risolvono con un voto di maggioranza, risponda questa ad una formazione politica permanente o effimera e momentanea.

Ieri sera ho creduto che fossimo arrivati al punto giusto delle nostre deliberazioni, quando dai banchi della Democrazia cristiana e dal Presidente stesso del Gruppo democristiano, è partita l’adesione alla domanda di inchiesta. (Interruzioni). Sono convinto che, senza entrare nel merito del documento (Interruzioni a destra), perché l’Assemblea non è una pretura, serviremmo la causa della dignità collettiva dell’Assemblea, se accettassimo l’inchiesta e domandassimo ai commissari di fare luce completa nello spazio di pochi giorni. (Applausi a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Cifaldi ha ritirato il suo ordine del giorno.

Ritengo allora che debba essere posto in votazione quello dell’onorevole Selvaggi del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni dell’onorevole Scelba e nell’attesa delle nuove dichiarazioni da lui preannunciate, passa all’ordine del giorno».

SELVAGGI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SELVAGGI. Avevo presentato l’ordine del giorno, che a un dipresso è come quello del collega Cifaldi con l’aggiunta relativa all’attesa di conoscere le nuove dichiarazioni che il Ministro Scelba ha promesso. Mi sembrava in questo modo di venire incontro ad un’esigenza sentita da ogni parte di questa Assemblea e, nello stesso tempo, di essere coerente con quanto ieri sera noi stessi avevamo proposto. Mi sono ancora di più confermato nell’idea che la via da me scelta era la giusta, dopo le parole un po’ umoristiche dell’onorevole Togliatti, con le quali egli, in definitiva, ha messo in stato di accusa l’onorevole Cerreti, perché egli ha detto che, se le cose stanno come stanno, l’onorevole Scelba è responsabile; e allora noi, proprio per la tutela della serietà dell’Assemblea e proprio perché si tratta di cose, fra l’altro, nelle quali non entriamo, dobbiamo domandare che le cose siano chiarite e dovremmo, a nostra volta, chiedere un’inchiesta perché l’onorevole Cerreti, Alto Commissario per l’alimentazione, non ha denunciato quei fatti al momento in cui sono avvenuti. (Approvazioni al centro).

Ma l’onorevole Togliatti ha aggiunto dopo: provata o non provata che sia. E io mi voglio limitare a questo punto che incide su un principio morale, che investe l’Assemblea di fronte al Paese.

È stato ricordato un altro episodio avvenuto qui dentro. Anche in quell’occasione noi parlammo di questione morale, cioè ricordammo di andare molto cauti col sistema di accusare con enorme facilità, senza poi potere portare delle prove concrete. (Applausi a destra). In questo caso una Commissione di inchiesta o fa una brutta figura in sé e per sé, e mette quindi in pessime condizioni morali i membri dell’Assemblea stessa, oppure deve dimostrare di fronte al Paese che non c’è stato più un accusatore, ma un calunniatore. E allora, per essere coerenti, per garantire la nostra posizione morale, dico nostra di ogni settore, mi pare che, allo stesso modo che si sono presi come elementi, diciamo, probanti quelli portati dall’onorevole Cerreti, sia altrettanto equo e giusto attendere che dall’altra parte in causa siano portati i suoi elementi, altrimenti dovremmo domandare: perché dobbiamo prestar fede agli elementi dell’onorevole Cerreti e non a quelli dell’onorevole Scelba? Quando avremo anche gli altri elementi, forse saremo in condizione di esprimere un giudizio preciso e allora, confermando quanto a nome del nostro gruppo ha chiesto l’onorevole Giannini, saremo noi a renderci iniziatori di una inchiesta parlamentare, ampia, precisa, definitiva. (Applausi al centro e a destra Commenti).

CIFALDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CIFALDI. Desidero chiarire la ragione per la quale, avendo presentato un ordine del giorno, l’ho ritirato aderendo a quello dell’onorevole Selvaggi.

Ritengo che allo stato attuale delle cose si possa giungere alla conclusione di questo incidente.

Inizialmente credo di potere osservare che l’Assemblea è vincolata dalla votazione di ieri sera, in quanto, avendo approvato che i documenti dovevano essere presentati alla Presidenza e dalla Presidenza comunicati all’Assemblea per il giudizio di merito, oggi l’Assemblea può, alla stregua di quella chiara documentazione presentata, emettere il suo giudizio definitivo. Ed a me pare, esaminando i documenti che l’onorevole Cerreti ha esibito, che noi possiamo in serena coscienza concludere che non vi è elemento alcuno che consenta una ulteriore inchiesta. (Proteste a sinistra).

Io dico il mio parere. L’accusa rifletteva indiscutibilmente un profilo morale. L’accusa era chiara e precisa, in quanto si attribuiva ad un Ministro in carica, non per quello che era il suo mandato attuale, ma nel precedente Ministero, di essere intervenuto per fermare una inchiesta in corso e per impedire lo svolgimento di una azione giudiziaria.

Dal documento presentato dall’onorevole Cerreti è risultato semplicemente che è partito dal Ministero degli interni un fonogramma che diceva al prefetto di sospendere l’inchiesta. Con questo, a mio modesto parere, non si commetteva un’interferenza di carattere morale che dovesse imporre un’inchiesta contro un Ministro in carica, ma si viene a cadere su un profilo di carattere politico. Innanzi tutto si può trarre una illazione, cioè che non vi era da parte del Ministero degli interni una predisposizione per interferire illecitamente nell’eventuale procedimento penale che potesse sorgere (Rumori a sinistra) ricollegandosi ad una norma abrogata di legge, perché se questo ci fosse stato si sarebbe saputo che non vi era più tempestività nell’intervento, in quanto il prefetto di Padova poteva interferire sull’organo di polizia giudiziaria per non far fare un’inchiesta, per non far fare una denuncia, ma non poteva intervenire allorché una denuncia era già stata presentata all’Autorità giudiziaria. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Cifaldi, lei sta esaminando la questione di merito.

CIFALDI. Concludo. Si trattava eventualmente di una irregolarità di carattere politico e per questa ragione a me pare che l’Assemblea possa esprimere il suo parere con un voto sul terreno politico ma non sul campo morale. (Proteste a sinistra).

In questa Camera siamo in sede politica e possiamo con il nostro voto dare la nostra approvazione o la nostra disapprovazione all’opera dal Governo, ma non disporre una inchiesta parlamentare, laddove manca totalmente ogni base di accusa a carico di un nostro collega.

Tuttavia aderisco all’ordine del giorno Selvaggi nel senso di dare un giudizio terminale in conseguenza delle comunicazioni che l’onorevole Ministro dell’interno si è riservato di dare sul contenuto del materiale che l’onorevole Cerreti ha presentato al Presidente dell’Assemblea in aggiunta ed illustrazione dei documenti in suo possesso. (Commenti).

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare. (Rumori).

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO. ROCCO. Sono dolente di essere accolto da unanimi rumori – ma è bene raccogliere ogni tanto unanimità –, ma poiché nessuno del nostro Gruppo ha parlato in merito, è opportuno che qualcuno dica la nostra opinione. Onorevoli colleghi, ciò che noi discutiamo da ieri sera a questa parte è molto divertente per le tribune, per la stampa e più tardi anche per gli strilloni. Non è divertente però per gli uomini politici e per tutti i cittadini italiani, pensosi della sorte del proprio Paese.

Ciò che è più doloroso si è che, in casi di questo genere, ci si divida a seconda dei settori in cui siamo seduti. E più doloroso ancora il fatto che ci si divide, e che si manifesta un’opinione, piuttosto che un’altra, a seconda che si è assieme al Governo con un altro partito o si sia distanti. (Approvazioni).

Ricordo che proprio da autorevolissimi banchi dell’estrema sinistra, a proposito di una altra accusa fatta ad altri uomini del precedente Governo, si ebbe a deplorare che con queste accuse, sia dalla tribuna parlamentare, sia dalla stampa, si fornissero nuove armi per insidiare le sorti della nascente democrazia. Ricordo che la Commissione degli Undici ebbe a chiedere l’ampliamento dei propri poteri. Fui urlato anche allora per essermi opposto ad un ordine del giorno che portava le autorevolissime firme degli onorevoli Nenni, Togliatti e Gronchi, ed in cui si diceva che, sentite le dichiarazioni del Governo, prima ancora dell’inchiesta, le si approvava e si concedevano poteri alla Commissione d’inchiesta. (Interruzioni a sinistra). Questo l’ordine del giorno contro cui io parlai e che poi fu ritirato. Allora noi dicevamo che non potevamo approvare o disapprovare nulla perché sarebbe stato un giudizio preventivo, e noi non potevamo né volevamo dare un giudizio preventivo. E dicevamo allora che formulavamo l’augurio che le accuse risultassero infondate, ma che volevamo che queste accuse, a cui l’Assemblea aveva dato corso e per cui la Commissione degli Undici aveva chiesto un ampliamento dei suoi poteri d’indagine, fossero valutate, nell’interesse degli stessi accusati.

Oggi molti hanno cambiato opinione, ma noi non abbiamo cambiato opinione (Ilarità all’estrema sinistra). E diciamo che, di fronte a un fatto di questo genere, non ci si deve limitare ad accusare, o a difendere, né a votare un ordine del giorno o l’altro a seconda che ci si trovi nella coalizione del Governo o all’opposizione: questioni di questo genere non debbono dividerci, a seconda della tendenza a cui si appartiene, perché ciascuno deve rivendicare piena libertà di giudizio alla propria coscienza. (Approvazioni).

Da questa premessa deriva la conseguenza, almeno per il mio Gruppo – perché parlo per il mio Gruppo, né ho interesse a parlare in nome di altri Gruppi –…

Una voce all’estrema sinistra. Ci mancherebbe altro!

GULLO ROCCO. …di lasciare ad ogni suo componente piena libertà di giudizio alla propria coscienza, e di votare secondo la propria coscienza. Il nostro pensiero, onorevoli colleghi, è che sarebbe bene che luce venisse fatta, – ma su tutto, non su questo episodio soltanto – abbia o non abbia esso valore – ma su tutti gli episodi di cui sentiamo parlare, qualche volta qui e più spesso fuori di qui. Ogni giorno, leggendo giornali, riviste, settimanali, non troviamo soltanto le sciocche accuse del barbiere, ma sullo stesso giornale che portava le accuse del barbiere abbiamo visto altre accuse che hanno formato oggetto di interrogazioni…

MAZZA. Non mi hanno mai risposto.

GULLO ROCCO. …interrogazioni a proposito del Ministero della post-bellica, dei paracadute di seta o di altra roba del genere. Noi vorremmo che la luce venisse fatta su tutto ciò che si fa al Governo, ci siano i nostri amici o ci siano i nostri avversari politici, e vorremmo che quando accuse fondate vengono a galla non si faccia la congiura del silenzio o della difesa, intorno ad uomini del proprio partito o uomini di parte che in quel momento ci sono vicini per una coabitazione più o meno forzata.

Dunque, vorremmo la luce su tutto e vorremmo che tutti ci chiedessero di fare questa luce: vorremmo la luce non soltanto su questo fatto, di cui possiamo anche ammettere che abbia una portata limitata, ma anche su altri fatti denunciati all’opinione pubblica, se non dalla tribuna parlamentare, da altre tribune che, se non sono altrettanto autorevoli, sono però sempre degne di essere prese in considerazione. Amici del Ministero dell’assistenza post-bellica, non sappiamo se sia vero o no… (Commenti) io non intendo formulare nessuna accusa. Dico che saremmo ben lieti se questa accusa fosse infondata, perché non ho alcun piacere, nonostante sieda ad un banco dell’opposizione, di sentire dire che gli uomini della nuova democrazia, appartengano a questo o a quel partito, si sono macchiati degli stessi errori di cui si macchiarono i predecessori. E sarei ben lieto che queste accuse fossero infondate, anziché provare che vi sono al Governo degli uomini politici i quali fanno cattivo uso della loro carica.

Ho voluto dire tutto questo non per lanciare delle accuse ma per dire che roba di questo genere non dev’essere portata in discussione soltanto in un determinato momento, e in sede di discussione sulle dichiarazione di Governo, perché ciò che noi deploriamo profondamente, è che per denunciare questi fatti si sia atteso lo scioglimento del Tripartito, che per poco non stava per ricostituirsi con gli stessi uomini, di cui alcuni siedono ora sul banco dell’accusa, ed altri viceversa sul banco del Governo (Applausi al centro Proteste a sinistra).

Onorevoli colleghi, noi diciamo che ormai la questione è scivolata su un terreno di equivoco, perché può sorgere il dubbio a qualcuno che, sotto l’aspetto di una questione morale, si introduca di contrabbando una questione politica. Noi dobbiamo dire chiaramente quando vogliamo fare delle questioni morali e quando intendiamo fare soltanto delle questioni politiche. (Approvazioni). Ed allora, poiché la questione non dev’essere contrabbandata e poiché in questo momento si tradurrebbe in un voto politico, e noi invece non intendiamo dare ad essa alcun significato di voto politico, perché se qualcuno di noi fosse accusato, vorremmo lo stesso che si facesse luce e non faremmo nessuna congiura del silenzio, neppure nell’interesse di un uomo di parte nostra, diciamo che la questione, così come è stata impostata per lo meno nell’ordine del giorno che viene presentato, è diversa da quella prospettata dall’onorevole Nenni, che non è stato urlato, ma che in fondo è arrivato presso a poco alle mie stesse conclusioni. Mi pare che l’intervento dell’onorevole Nenni in sostanza si è ridotto a questo: togliere un preciso sapore di accusa ad una determinata persona o ad un determinato Ministro.

Se non ho compreso male, l’onorevole Nenni ha detto che si trattava di fare una inchiesta sulle accuse. Noi diciamo: se una inchiesta deve essere fatta, deve essere sui fatti. Noi, per quanto da un banco che non è quello del Governo, diciamo che, in linea di principio, non ci sembra opportuno che ad ogni piè sospinto si possa mettere sotto inchiesta un Ministro e a questo dovreste pensarci soprattutto voi, (Accenna all’estrema sinistra) che siete stati tante volte partito di Governo e che, probabilmente, ritornerete ad essere partito di Governo.

Una voce a destra. Speriamo di no! (Commenti).

GULLO ROCCO. Io non vorrei che ad ogni minuto si possa mettere sotto inchiesta un Ministro. Questa è una cosa così grave, per cui occorre che ci pensino soprattutto i partiti che possono diventare di Governo. Noi possiamo in questa sede ammettere – e voteremo in questo senso – che l’ordine del giorno Codignola rappresenta non la messa sotto inchiesta di una determinata persona e neppure la messa sotto inchiesta di questa persona e contemporaneamente dell’accusatore, ma che qui, serenamente, da parte di tutti (ed è un invito che vorrei fare anche agli uomini che in questo momento sono accusati, o al cui Gruppo appartengono i pretesi accusati), che in questo momento ci sia una votazione unanime che dica come noi non vogliamo mettere sotto inchiesta questo Ministro, ma che, di fronte ad una accusa che viene lanciata e che riguarda un determinato fatto, vogliamo che sia fatta la luce sul fatto in se stesso, senza con questo indicare fin da ora che vi sia un accusato o un accusatore. Questa è l’opinione del Gruppo che ho l’onore di rappresentare. (Rumori Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Passiamo ora alla votazione dell’ordine del giorno Selvaggi:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni dell’onorevole Scelba e nell’attesa delle nuove dichiarazioni da lui preannunziate, passa all’ordine del giorno».

Per l’ordine del giorno Cifaldi era stata richiesta votazione per appello nominale. Chiedo ai proponenti se intendano trasferire la loro richiesta in sede di questa votazione.

DUGONI. Sì.

PRESIDENTE. Procediamo all’appello. nominale.

Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà.

(Segue il sorteggio).

Comincerà dall’onorevole Rodinò Mario. Si faccia la chiama.

MOLINELLI, Segretario, fa la chiama.

Rispondono sì:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini– Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Balduzzi – Baracco– Bastianetto – Bazoli – Bellato – Bellavista – Belotti – Benedettini – Benvenuti – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bovetti – Bozzi – Braschi – Brusasca – Bulloni Pietro – Burato.

Caccuri – Caiati – Campilli – Camposarcuno – Candela – Cannizzo – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Capua – Carbonari – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Corsini – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cuomo.

Damiani – D’Amico Diego – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.

Einaudi – Ermini.

Fabriani – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrario Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Galati – Galioto – Garlato – Germano – Geuna – Giacchero – Giannini – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.

Jervolino.

La Gravinese Nicola – Lagravinese Pasquale – La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.

Maffioli – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Motolese – Murgia.

Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Penna Ottavia – Perlingieri – Perrore Capano – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo.

Raimondi – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor.

Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Scalfaro – Schiratti – Scoca – Segni – Selvaggi – Sforza – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.

Zaccagnini – Zerbi – Zotta.

Rispondono no:

Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.

Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bennani – Bernamonti – Bianchi Bruno – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bordon – Bosi – Bucci – Buffoni Francesco.

Cacciatore – Calamandrei – Caldera – Caporali – Caprani – Carmagnola – Cartia – Cavallari – Cavallotti – Codignola – Colombi Arturo – Corbi – Corsi – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.

D’Amico Michele – D’Aragona – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – Di Giovanni – D’Onofrio – Dugoni.

Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto.

Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghislandi – Giolitti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grilli – Gullo Fausto.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti.

Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Lombardi Carlo – Lombardi Riccardo – Longo – Lopardi – Lozza – Luisetti – Lupis – Lussu.

Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzei – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Montagnana Rita – Montalbano – Morandi – Moranino – Moscatelli – Musolino – Musotto.

Nasi – Negarville – Negro – Nenni – Nobili Tito Oro – Noce Teresa.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Parri – Pellegrini – Pesenti – Piemonte – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pressinotti – Priolo – Pucci.

Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Ruggeri Luigi.

Saccenti – Sansone – Saragat – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Spano – Stampacchia.

Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti.

Varvaro – Vernocchi – Vigna – Villani – Vischioni.

Zagari – Zanardi – Zannerini – Zuccarini.

Si è astenuto:

Scelba.

Sono in congedo:

Bernardi.

Carratelli.

Ghidini.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani Enrico.

Pellizzari.

Rapelli – Russo Perez.

Vinciguerra.

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.

(Gli onorevoli Segretari procedono al computo dei voti).

Presidenza del Presidente TERRACINI

Risultato della votazione nominale.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per appello nominale:

Presenti                    422

Votanti                     421

Astenuti                       1

Maggioranza             212

Hanno risposto        247

Hanno risposto no     173

(L’Assemblea approva l’ordine del giorno Selvaggi Applausi).

Avverto che in seguito a questa votazione che rappresenta una specie di sospensiva, l’onorevole Codignola si riserva di depositare il disegno di legge – del quale ha annuncialo la presentazione – al momento in cui questa sospensiva sarà risolta.

Sui lavori dell’Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Giannini ha presentato la seguente richiesta:

«Il sottoscritto chiede di parlare sull’ordine dei lavori con precedenza e carattere di mozione d’ordine per svolgere il seguente ordine del giorno: L’Assemblea Costituente, allo stato dei fatti, ravvisa l’opportunità di rinunciare alle normali continuative sedute antimeridiane e delibera che le sedute, salvo casi eccezionali, abbiano luogo soltanto nel pomeriggio».

L’onorevole Giannini si riserva di svolgere questa sua proposta dopo che sarà stato approvato il disegno di legge sulla proroga dei poteri della Costituente.

Interrogazioni con richiesta di urgenza.

PRESIDENTE. Sono state presentate alcune interrogazioni con richiesta di urgenza. La prima è quella dell’onorevole Cavallotti:

«Al Ministro della pubblica istruzione, per sapere se intenda prendere in considerazione le richieste formulate da maestri e funzionari della Scuola elementare, mai iscritti al partito fascista, nel convegno di Bologna (15 marzo 1947). Tali richieste tendono a ricostruire la carriera di coloro che rinunciarono, o furono costretti a rinunciare, ad avanzamenti per non piegarsi alle imposizioni del fascismo. L’urgenza è motivata dall’immediatezza dei concorsi».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GONELLA, Ministro della pubblica, istruzione. Risponderò nella seduta di lunedì o in quella di martedì della prossima settimana.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Caroleo:

«Al Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se sia edotto delle tragiche condizioni delle popolazioni calabresi colpite dal recente disastro tellurico e se non creda di dare urgenti disposizioni al Provveditorato delle opere pubbliche per la Calabria per la ricostruzione nel periodo estivo di case o almeno di ricovero ai senza-tetto, ora ammucchiati in attendamenti provvisori».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

TUPINI, Ministro dei lavori pubblici. Risponderò anch’io in una delle due sedute di lunedì o martedì della prossima settimana.

PRESIDENTE. Infine vi è la seguente interrogazione:

«Ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere della fondatezza o meno delle notizie pubblicate dalla stampa sul cosiddetto scandalo giudiziario di Sciacca ed in particolare sulla denunciata sottrazione di verbali dell’istruttoria del processo Miraglia e sulle sevizie inflitte ad imputati, i quali hanno, davanti il magistrato penale, denunziato le sevizie medesime.

«Per conoscere, ancora, quali provvedimenti, nell’affermativa delle circostanze precedenti, si siano presi o s’intendano prendere contro i funzionari, che si sarebbero resi colpevoli di tali gravi reati.

«Volpe, Salvatore, Adonnino».

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Risponderò in una delle sedute della prossima settimana.

PIGNATARI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Vorrei sollecitare la risposta ad una mia interrogazione già da tempo presentata con carattere di urgenza, riguardante gravi incidenti verificatisi a Potenza.

PRESIDENTE. Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò lunedì o martedì della prossima settimana.

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Perugi ha sollecitato la risposta ad una sua interrogazione urgente, presentata il 19 maggio scorso, relativa ad irregolarità nelle consegne del grano agli ammassi verificatesi in provincia di Viterbo.

Chiedo al Governo quando intenda rispondere.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Risponderò martedì prossimo.

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo di tenere domani una seduta unica con inizio alle 9.30, eventualmente con un intervallo di un’ora, per discutere ed approvare il disegno di legge sulla proroga dei poteri della Costituente.

(Così rimane stabilito).

Interrogazioni.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza:

MOLINELLI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere se è a sua conoscenza che, per le cure del Ministero dei trasporti, è imminente l’inizio dei lavori di riparazione del ponte ferroviario su Chioggia, già adattato a carrettiera per l’inefficienza del servizio ferroviario, e per conoscere se sono stati presi provvedimenti urgenti per la riattivazione del ponte carrettiere rovinato dalla guerra, sul quale dovrà entro breve contare il traffico stradale e la vita civile della città di Chioggia. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Ghidetti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se non ritiene giustificato un provvedimento che, riparando gli effetti ingiusti ed antigiuridici della legge del 1923 e le parzialità da cui sono viziati i provvedimenti successivi, riapra il termine per l’iscrizione all’albo degli architetti di quei professori di disegno architettonico, i quali si siano trovati, alla data di entrata in vigore della legge del 1923, a possedere il diploma o ad essere vicini al suo conseguimento e che abbiano successivamente svolto una attività professionale tale da garantire la loro idoneità all’esercizio della professione d’architetto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Pellegrini».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, per conoscere le ragioni per le quali ai dipendenti dell’Ufficio postale di Rovereto Borgo Sacco non vengono corrisposte le indennità previste dall’articolo 2 del decreto legislativo 11 gennaio 1946, n. 18, estese alla città di Rovereto con decreto ministeriale 31 agosto 1946, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 203 del 9 settembre 1946, mentre tali indennità sono regolarmente liquidate agli altri dipendenti statali che lavorano e abitano nello stesso rione di Borgo Sacco della città di Rovereto. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Paris».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette, per le quali si chiede la risposta scritta, saranno trasmesse ai Ministri competenti.

La seduta termina alle 22.30.

Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 9.30:

Discussione del disegno di legge:

Proroga del termine previsto dall’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98, per la durata dell’Assemblea Costituente. (22).

ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 13 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXLIX.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI VENERDÌ 13 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Abozzi                                                                                                               

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Gasparotto                                                                                                      

De Caro Raffaele                                                                                           

Zuccarini                                                                                                         

Laconi                                                                                                              

Piccioni                                                                                                             

Lussu                                                                                                                

Persico                                                                                                             

Togliatti                                                                                                          

Mastino Pietro                                                                                                

Dominedò                                                                                                         

Zotta                                                                                                                

Caroleo                                                                                                           

Fabbri                                                                                                               

Grassi                                                                                                               

Moro                                                                                                                

Corbino                                                                                                            

Gullo Rocco                                                                                                    

Bonomi Ivanoe                                                                                                 

Orlando Vittorio Emanuele                                                                          

Micheli                                                                                                             

Leone Giovanni                                                                                                

Bordon                                                                                                             

Condorelli                                                                                                      

Schiavetti                                                                                                        

Comunicazione del Presidente:

Presidente                                                                                                        

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Sull’ordine dei lavori:

Presidente                                                                                                          

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Si dovrebbe passare innanzitutto alla votazione dell’ordine del giorno dell’onorevole Nitti così formulato:

«L’Assemblea Costituente, tenendo Conto della incertezza emersa dalla discussione dinanzi al problema dell’autonomia regionale, riconoscendone la gravità e l’importanza, delibera di rinviarne l’esame alla futura Camera legislativa».

Ma l’onorevole Nitti ha dichiarato che riteneva il suo ordine del giorno assorbito da quello Rubilli, sul quale l’Assemblea ebbe a pronunciarsi ieri.

Passiamo perciò all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Abozzi, così formulato:

«L’Assemblea, convinta che l’istituzione dell’Ente Regione non risponde alle attuali necessità politiche, economiche e sociali della Nazione,

che l’Ente Provincia – aggruppamento di interessi locali unitari e naturali – deve essere allargato e potenziato,

delibera di affermare in un articolo di Costituzione che la Repubblica attuerà un largo decentramento a base provinciale, ferma restando l’autonomia regionale già attuata in Sicilia».

Su quest’ordine del giorno l’onorevole Abozzi ed altri Deputati avevano chiesto la votazione per scrutinio segreto. Senza volere in alcun modo dare suggerimenti all’onorevole Abozzi, non so se egli, dopo l’esito della votazione dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Rubilli, avvenuta ieri, insiste nella richiesta di votazione per scrutinio segreto sul suo ordine del giorno.

ABOZZI. Non insisto sulla votazione a scrutinio segreto. Insisto però sull’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Segue l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Nobili Tito Oro, così formulato:

«L’Assemblea, visto il Titolo V della Parte II del progetto di Costituzione (articoli 106-131), rileva che la creazione dell’ente regione è ancora immatura nella coscienza del popolo; ritiene che, comunque, essa non debba essere proclamata prima di aver fatto tesoro dei risultati degli esperimenti in corso per le autonomie regionali già deliberate dal Governo.

«Ma, riaffermando, fin d’ora, che è compito della Repubblica riordinare l’Amministrazione in via legislativa sulla base delle autonomie locali e di un razionale decentramento, approva l’articolo 106 del progetto, come garanzia della osservanza di tale indirizzo».

L’onorevole Nobili Tito Oro ebbe ieri a dichiarare che avrebbe rimandato lo svolgimento del suo ordine del giorno in sede di discussione degli articoli sull’ordinamento regionale.

Pongo in votazione l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Abozzi, di cui ho già dato lettura.

(Non è approvato).

Dovremmo ora passare all’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Grieco e Laconi, che è del seguente tenore:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità di effettuare un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, a mezzo della creazione dell’Ente Regione, avente facoltà legislativa di integrazione e di attuazione, per le materie da stabilirsi, onde adattare alle condizioni locali le leggi della Repubblica;

riconosce la necessità della conservazione e del potenziamento dell’Ente Provincia;

decide che il Titolo V si limiti ad affermare i principî costituzionali dell’Ente Regione, rinviando ad una legge speciale la regolamentazione delle funzioni del nuovo Ente e dei suoi rapporti con le Provincie, i Comuni e lo Stato».

Poiché gli Onorevoli Grieco e Laconi hanno sottoscritto anche l’ordine del giorno dell’onorevole Bonomi Ivanoe, il loro ordine del giorno si intende ritirato.

Vi è ora l’ordine del giorno a firma dell’onorevole Bozzi, di cui do lettura:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che la Regione può svolgere una sua utile funzione, nel quadro della unità della Repubblica, soltanto se sia concepita come ente di decentramento amministrativo, accanto alle autonomie dei Comuni e delle Provincie;

che la Regione deve essere dotata di una propria potestà normativa nei limiti della attuazione e della integrazione dei principî generali e direttivi fissati dalla legge dello Stato;

delibera che nella Carta costituzionale debba trovar sede soltanto l’affermazione dell’esistenza della Regione e la delimitazione della sua competenza normativa, rinviando alla legge ogni altra determinazione».

Anche l’onorevole Bozzi ha però sottoscritto l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Bonomi Ivanoe e pertanto il suo ordine del giorno si intende ritirato.

Passiamo quindi all’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti e Molè:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità:

  1. a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, anche a mezzo dell’ente Regione;
  2. b) che la Regione debba essere dotata di potestà normativa nei limiti della attuazione e dell’integrazione delle direttive e dei principî fissati dalle leggi della Repubblica;
  3. c) che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108 del Progetto

e delibera

che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione, accanto ai Comuni e alle Provincie, con l’indicazione dei poteri e degli organi del nuovo Ente e di quanto altro sia necessario alla sua essenziale definizione costituzionale».

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. D’accordo con il comitato di redazione, e per scrupolo di coscienza, devo esporre che questa mattina è stato esperito un altro tentativo per vedere se questo ordine del giorno, modificato in alcuni punti, possa costituire la piattaforma di un accordo più largo il quale eviterebbe molte discussioni e farebbe sì che i lavori fossero affrettati: dico questo per la questione formale, ma vi è sovratutto quella sostanziale, di far sì che la regione venga Costituita con i maggiori consensi possibili. Il tentativo non è riuscito: ma si sono avanzate formule che potrebbero essere oggetto di altri tentativi.

Io ed il Comitato siamo a disposizione dell’Assemblea. Se l’Assemblea crede di procedere senz’altro alla votazione di questo ordine del giorno, io non ho nulla in contrario. Se essa crede invece di sospendere la seduta per pochi minuti, per vedere ancora una volta, in questo lavoro di Sisifo che andiamo facendo, se sia possibile un accordo, noi siamo parimenti a disposizione dell’Assemblea.

Non formulo ad ogni modo alcuna proposta: se l’Assemblea vuol decidere subito, si passi senz’altro alla votazione; se essa chiede invece di sospendere per pochi minuti, prego allora i rappresentanti delle varie tendenze di trovarsi nella solita sala.

PRESIDENTE. L’onorevole Ruini ha dichiarato di non fare alcuna proposta, ma egli in realtà ne ha fatta una, quella cioè di sospendere per alcuni minuti la seduta per tentare, se è possibile, di raggiungere un accordo più largo sopra l’ordine del giorno dell’onorevole Bonomi Ivanoe.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Dichiaro di votare a favore dell’ordine del giorno e dichiaro, nel tempo stesso, che ritengo opportuno prima discutere e poi sospendere la seduta.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io ho accennato, rimettendomi completamente all’Assemblea, alla possibilità di sospendere la seduta per potere realizzare un accordo. Se cominciamo con le dichiarazioni di voto, evidentemente l’idea non è accolta. Quindi vi prego di decidere su questo punto.

PRESIDENTE. Sta bene. Onorevole Gasparotto; come ha ricordato l’onorevole Ruini, non si sarebbe ancora in sede di dichiarazione di voto. L’onorevole Ruini ha fatto presente l’opportunità di sospendere la seduta per un ulteriore scambio di idee sul problema della regione, per vedere se è possibile di ottenere consensi più larghi alla formula proposta dall’onorevole Ivanoe Bonomi.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. L’onorevole Gasparotto potrebbe riunirsi con noi e poi potrebbe fare la dichiarazione di voto.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Io credo che sia logico sentire prima le varie opinioni e poi giudicare se sia opportuno sospendere.

DE CARO RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE CARO RAFFAELE. Concordo con l’onorevole Ruini e propongo una breve sospensione della seduta.

ZUCCARINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZUCCARINI. Con questo ordine del giorno si riprendono discussioni che dovevano essere considerate ormai esaurite.

PRESIDENTE. Lei entra in merito, senza accorgersene, all’ordine del giorno. La proposta è di sospendere la seduta per uno scambio di idee.

ZUCCARINI. Ritengo che, dopo quello che si è fatto per trovare una via di conciliazione nelle giornate precedenti, sia perfettamente inutile – su un ordine del giorno di questo genere – fare una nuova sospensione e stabilire nuovi contatti per nuovi accordi. Questo è un ordine del giorno che riproduce, peggiorato, secondo me, il tentativo fatto in precedenza, quello cioè di rinviare tutto, lasciando una semplice affermazione di principio. Per mio conto questo significa rimandare «sine die». E credo anche che, data la natura della proposta, sia perfettamente inutile riprendere le trattative e fare discussioni in materia.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se permettete, vorrei dire questo: se parliamo quindici minuti per ciascuno per dire se si debba sospendere o no la seduta, la questione sarà prolungata indefinitamente. Sospendiamo senz’altro per quindici minuti e poi ci ritroveremo. Se sarà inutile, non avremo perduto che quindici minuti. Se continuiamo così, perderemo delle ore.

PRESIDENTE. Pongo ai voti la proposta di una breve sospensione della seduta.

(È approvata).

(La seduta, sospesa alle 10.25, è ripresa alle 10.55).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, riprendiamo l’esame dell’ordine del giorno presentato dagli onorevoli Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti e Molè.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La mia dichiarazione è molto breve: i Gruppi non hanno creduto di trovare una linea di accordo nell’accettazione dell’ordine del giorno Bonomi ed hanno ripreso quindi la propria libertà d’azione. Il Comitato di redazione non può che essere spettatore in questa questione.

PRESIDENTE. Chiedo ai firmatari di quest’ordine del giorno se lo mantengono e in caso affermativo, chi lo svolge.

LACONI. Lo manteniamo, ma rinunciamo a svolgerlo; eventualmente faremo le nostre dichiarazioni di voto.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Io ritengo che non sia giustificata la precedenza dell’ordine del giorno Bonomi nella votazione che stiamo per fare. A mio avviso, dopo l’ampia discussione che si è avuta ieri mattina, conclusa con il voto, per quanto negativamente espresso, sull’ordine del giorno Rubilli, l’Assemblea implicitamente ha riconosciuto la necessità dell’inclusione nella Costituzione dell’ordinamento regionale.

A seguito di ciò, mi pare che oggi si debba cominciare la votazione, mettendo in decisione l’ordine del giorno più ampio nell’interpretazione e nella concezione dell’ordinamento regionale. Non può valere il criterio che si segue circa gli emendamenti su particolari ordini del giorno, ma deve valere invece il criterio dell’ampiezza della nozione dell’istituto che intendiamo introdurre nella Costituzione; per poi, dalla posizione più ampia, degradare eventualmente ad una posizione che sia più ristretta.

Altrimenti la libertà di votazione dell’Assemblea mi pare vincolata senza la possibilità di manifestarsi nella forma più ampia. Quindi, ritengo che fra i diversi ordini del giorno che sono in discussione ci sia come concezione massima l’ordine del giorno da me firmato che riproduce sostanzialmente quello votato all’inizio dei lavori dalla seconda Sottocommissione. Immediatamente dopo c’è l’ordine del giorno Conti che si limita a prendere atto del risultato già acquisito con la votazione di ieri e passa senz’altro all’esame degli articoli del progetto. L’ordine del giorno Bonomi Ivanoe ed altri è una concezione diversa di quello che è l’ordinamento regionale così come è risultato preliminarmente dall’esame e dalla discussione dell’Assemblea. Logicamente quindi deve venire per ultimo, se l’ordine del giorno più ampio non raccoglierà i dovuti suffragi dell’Assemblea. In questo senso faccio formale proposta alla Presidenza perché cominci a porre in votazione gli ordini del giorno più ampi.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all’onorevole Laconi mi permetto di accennare le ragioni per le quali la Presidenza aveva annunciato che intendeva far procedere senz’altro alla votazione dell’ordine del giorno Bonomi. Siccome è regola generale che si mettano in votazione prima gli ordini del giorno che in qualche modo modificano il disegno di legge, pareva alla Presidenza che fosse fuori discussione che l’ordine del giorno Bonomi rispondesse appunto a tale requisito; in quanto se accettato, porterebbe a modificare in gran parte il contenuto del disegno di legge sottoposto all’approvazione dell’Assemblea. L’Assemblea ha ben compreso, infatti, che l’ordine del giorno Bonomi respinge, sia più, sia meno, il concetto della regione quale è determinato dal progetto di Costituzione.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Laconi.

LACONI. Non avevo altra intenzione che dire quello che ha così lucidamente precisato il Presidente. Se esiste una prassi, una norma di procedura, che è stata costantemente osservata in questo periodo e che si fonda su precedenti indiscussi; se esiste una norma di procedura secondo la quale gli ordini del giorno che si allontanano maggiormente dal testo vanno messi in votazione prima di quelli che confermano il testo o lo emendano in misura minore, mi pare che essa debba essere osservata anche in questo caso. Non vi è alcun dubbio che l’ordine del giorno Bonomi sia, allo stato attuale delle cose, quello che maggiormente si allontana dal testo. Tutti gli ordini del giorno, come quelli dell’onorevole Piccioni e dell’onorevole Conti, che invece rinviano alla discussione degli articoli, approvano evidentemente il progetto o comunque escludono qualsiasi emendamento essenziale. Tutto ciò è assolutamente fuori dubbio ed io vorrei far notare all’onorevole Piccioni che se questa norma di procedura è stata costantemente osservata dalla Camera non è certo a caso. Questa norma di procedura è in sostanza un privilegio della minoranza. Posto che un determinato progetto sia stato portato alla votazione dell’Assemblea da una determinata maggioranza e sia espressione di quella maggioranza, la minoranza ha il privilegio di veder posti per primi in votazione i suoi emendamenti; e cioè quella tesi che più si discosta dalla tesi della maggioranza. È una norma così confortata da esempi, è una tradizione così costante e così piena di significato, che pregherei l’onorevole Piccioni di non insistere in quanto contro questa norma e contro la valutazione dell’ordine del giorno Bonomi a questa stregua egli non ha portato alcun argomento. Egli ha chiesto soltanto che venisse in questo particolare caso adottata una procedura diversa e, cioè, si partisse dall’ordine del giorno più ampio, invece che da quello che più si allontana dal testo della Commissione. Non vi è quindi nessuna ragione seria perché la proposta dell’onorevole Piccioni possa essere mantenuta e accolta dall’Assemblea. Pregherei l’onorevole Piccioni di voler ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare il tenore preciso dell’articolo 87 del Regolamento, che dice: «Durante la discussione generale o prima che s’apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d’istruzioni alle Commissioni.

«Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale».

Vorrei poi pregare l’onorevole Piccioni di considerare che il tenore dell’ordine del giorno Bonomi ed altri è chiaro e non vi possono essere equivoci. Si voti prima o dopo, l’Assemblea sa benissimo che chi è favorevole alla conclusione che della regione presenta il progetto in discussione deve votare contro l’ordine del giorno Bonomi.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Per l’economia della discussione ho presentato un ordine del giorno del seguente tenore:

«L’Assemblea, esaurita la discussione generale, passa all’esame degli articoli».

Credo che l’avrebbe potuto presentare chiunque dei colleghi che abbia assistito a questa discussione e che vuole arrivare alle conclusioni al più presto possibile. Che cosa avverrebbe se noi discutessimo innanzi tutto questo ordine del giorno? Io ho il senso della misura, e rappresento un piccolo Gruppo parlamentare: mi limiterò a dire poche cose. Parlerei a lungo per dire che il testo dell’ordine del giorno Bonomi è il capovolgimento di quanto abbiamo fatto durante…

PRESIDENTE. Onorevole Lussu, non siamo ancora in sede di dichiarazione di voto.

LUSSU. Sostengo la tesi prospettata nel mio ordine del giorno. A che cosa tende il mio ordine del giorno? Penso che possa ottenere il consenso di tutti, perché si prefigge la brevità della discussione. Esso tiene conto di quella avvenuta finora che ha dato, nella espressione negativa contro l’ordine del giorno Rubilli, indicazioni precise sul progetto in esame. Ora, prima della votazione dell’ordine del giorno, si sono avute dichiarazioni che hanno un significato e un contenuto politico ben preciso.

Ora vogliamo tornare a discutere da capo? Io trovo che, qualunque cosa dica il regolamento, raggiunta una tappa che segna un punto preciso, non si può tornare indietro, per trovare altre vie. Quindi credo che affrontando senz’altro la discussione degli articoli – e in questo possono concordare tutti i colleghi, anche quelli che dissentono dalla riforma – si affronta il problema e non si allunga questa discussione, che, come le altre, ho d’impressione che duri eccessivamente.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. A me pare, al punto in cui siamo arrivati, dopo la votazione di ieri, che non si può dimenticare, con la quale fu respinto l’ordine del giorno Rubilli, costituente proprio quell’ordine del giorno cui alludeva il Presidente col ricordo dell’articolo 87 del Regolamento, che ormai è chiusa la discussione generale. (Interruzioni).

L’ordine del giorno Rubilli ha risolto la questione se, prima del passaggio agli articoli, si possa modificare strutturalmente il Titolo V della nuova Costituzione. L’ordine del giorno Rubilli proponeva che l’ordinamento regionale fosse rimandato alla nuova Camera legislativa. È stato respinto, quindi questa fase è chiusa. Oggi siamo in una nuova fase. Può nuovamente l’Assemblea respingere la parte di Costituzione contenuta in questo Titolo quinto, votando contro il passaggio agli articoli. Questo può fare l’Assemblea, altrimenti si riaprirebbe un’altra volta la discussione generale (Commenti) perché, in fondo, l’ordine del giorno Bonomi non è che la precisazione di alcune modifiche al testo proposto dalla Commissione, quindi tutte le idee espresse in quell’ordine del giorno potranno diventare emendamenti man mano che discuteremo i vari articoli. Ci deve essere un punto in cui si finisce con la discussione generale. Ecco perché io dissento anche dall’onorevole Piccioni circa la precedenza del suo ordine del giorno, perché il suo ordine del giorno è già una precisazione, è già qualche cosa che incide sulla discussione del progetto, cioè stabilisce delle direttive di marcia su quella che è la discussione. Noi siamo alla fase conclusiva: discussione generale chiusa; ordine del giorno Rubilli respinto; restano l’ordine del giorno Lussu e l’ordine del giorno Conti, che si equivalgono, ma poiché l’ordine del giorno Lussu è più sintetico, è l’unico che deve essere votato. Esso considera senz’altro chiusa la discussione e propone il passaggio alla discussione degli articoli.

Chi è contrario alle regioni, voterà contro il passaggio agli articoli. Ma se la maggioranza, come già si è manifestata, è favorevole alla discussione del progetto sulle regioni, l’ordine del giorno Bonomi troverà la sua espressione pratica in una serie di emendamenti, che saranno presentati sui singoli articoli.

Quindi, concludendo, propongo che si voti un ordine del giorno pregiudiziale a tutti come quello Lussu, cioè il semplice passaggio alla discussione degli articoli.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Aderisco alle conclusioni dell’onorevole Persico, di dare la precedenza all’ordine del giorno Lussu.

PRESIDENTE. Quindi rinuncia alla votazione sul suo ordine del giorno.

PICCIONI. Sostengo che debba avere la precedenza l’ordine del giorno Lussu, per le considerazioni svolte dall’onorevole Persico.

PRESIDENTE. Siccome l’onorevole Laconi insiste perché sia data la precedenza al suo ordine del giorno, bisogna che l’Assemblea decida.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Desidero far osservare che questo metodo di sottoporre all’Assemblea l’ordine di votazione di determinate proposte non è giusto. Attraverso una applicazione sistematica di questo metodo, tutto il regolamento può esser messo sossopra e tutte le consuetudini parlamentari, già consolidate da una esperienza e da una tradizione di decenni, possono essere distrutte. Le minoranze si troveranno sempre alla mercé di una maggioranza, anche occasionale e transitoria.

Per questo insisto che non si passi alla votazione per decidere sull’ordine di precedenza dei diversi ordini del giorno, ma invece si segua la tradizione la quale vuole che prima si metta in votazione quell’ordine del giorno che più si distacca dal testo che è in discussione (Commenti al centro).

Aggiungo che, se si riterrà di dover decidere la questione con un voto, il nostro Gruppo uscirà dall’Aula, perché ritiene che qui si stia calpestando un diritto delle minoranze. (Rumori Commenti).

PRESIDENTE. L’argomento ultimo portato dall’onorevole Togliatti non concorre certamente ad avvalorare la bontà della sua tesi. La questione va risolta indipendentemente dalla minaccia di esodo da parte di un Gruppo (Applausi al centro).

Io mi permetto ancora una volta di richiamare l’attenzione di quei colleghi, che insistono perché non sia data la precedenza all’ordine del giorno Bonomi, sopra la disposizione precisa dell’articolo 87. In questo concordo con l’onorevole Togliatti che non si possa cioè mettere in non cale una disposizione di Regolamento precisa e tassativa chiedendo, anche quando si tratta di applicare una disposizione non equivoca all’Assemblea, se essa si debba o no applicare. La prassi seguita in queste ultime sedute è stata in realtà questa; ma io non voglio arbitrariamente mutare l’esistente e pertanto richiamo l’attenzione dei colleghi dissidenti sopra lo articolo 87 del Regolamento. Siccome l’articolo 87 prescrive che siano votati prima gli ordini del giorno che modificano il concetto espresso dai disegni di legge, mi pare proprio che tanto l’onorevole Piccioni quanto gli onorevoli Lussu e Persico non possono contestare che se c’è un ordine del giorno che modifica il concetto espresso dal progetto di legge esso è proprio quello dell’onorevole Bonomi. Perché insistere nel volerlo disconoscere?

PICCIONI. Bisogna leggere tutto l’articolo 87.

PRESIDENTE. Io sono abituato a leggere secondo l’esperienza raccolta nella mia lunga pratica di avvocato tralasciando ciò che ritengo perfettamente inutile. Ad ogni modo l’ultima parte dell’articolo 87 dice: «L’ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza su tutti gli altri ordini del giorno». Ma questo non ha niente a che fare con i commi precedenti. (Commenti). Comunque la dizione «Si passa all’ordine del giorno» è erroneamente interpretata da alcuni colleghi che la intendono come il passaggio all’esame degli articoli, mentre evidentemente – ciò è fuori discussione – vuol dire precisamente l’opposto.

L’Assemblea delibera di passare all’ordine del giorno, quando è del parere di non prendere in esame gli articoli del disegno di legge in esame. Questa è la prassi che tutti i vecchi parlamentari conoscono. (Approvazioni Commenti al centro).

MASTINO PIETRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASTINO PIETRO. Noi abbiamo respinto l’ordine del giorno Rubilli e, respingendolo, abbiamo chiaramente affermato il riconoscimento dell’Ente Regione. Si legge nell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Rubilli: «…per ora almeno, una grande riforma come quella che si prospetta per le Regioni, non appare, anche secondo il progetto, ben ponderata nelle sue non lievi conseguenze» e per ciò si propone il rigetto di quella riforma sull’ordinamento regionale che è contenuta nel progetto. L’Assemblea, respingendo l’ordine del giorno Rubilli, ha stabilito un punto fisso che non può essere modificato dal contrario ordine del giorno, che oggi dovrebbe essere sottoposto al voto. L’ordine del giorno su cui si vorrebbe ora discutere e votare (quello Laconi-Bonomi-Togliatti ecc., è in contrasto sostanziale con quello che abbiamo votato ieri. (Commenti a sinistra). Questa è la mia opinione. Con ciò non nego il diritto d’intervento per modificare eventualmente il progetto nella sua formulazione, sull’ordinamento regionale, ma ciò potrà essere fatta dai presentatori dell’ordine del giorno Laconi, Bonomi, Togliatti, in sede di esame e di votazione dei singoli articoli; cioè con quella procedura che è stata indicata dall’onorevole Lussu. D’altra parte l’articolo 87, nell’ultimo capoverso, che l’onorevole Presidente ha già letto, ed il cui significato mi pare non abbia sufficientemente chiarito; l’articolo 87, nell’ultimo capoverso dice: «L’ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza su tutti gli altri ordini del giorno». Qui abbiamo parecchi ordini del giorno: qual è quello che si presenta come «puro e semplice» e che perciò deve avere la precedenza? Senza dubbio, quello formulato dall’onorevole Lussu che consente l’applicazione pratica, l’attuazione concreta della sostanza del voto che ieri abbiamo espresso col rigetto dell’ordine del giorno Rubilli. I presentatori dell’ordine del giorno Bonomi-Togliatti-Laconi possono proporre modifiche, senza però cambiare la sostanza del concetto, già affermato con la ripulsa dell’ordine del giorno Rubilli, in quanto il concetto di Regione ieri è stato riconosciuto come necessario da una larghissima maggioranza dell’Assemblea.

Insisto quindi perché l’Assemblea si pronunzi sull’ordine del giorno proposto dall’onorevole Lussu. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, avevo affermato che l’ordine del giorno al quale l’articolo 87 dà la precedenza è l’ordine del giorno che impedisce il passaggio alla discussione degli articoli. L’avevo affermato per un ricordo che però avrebbe potuto essere anche fallace.

Ho ora il piacere, mio personale, di constatare che non avevo sbagliato, perché nel più autorevole commento del Regolamento parlamentare è scritto, in modo tassativo, senza possibilità di discussione, così: «L’ordine del giorno puro e semplice si differisce dalla pregiudiziale in ciò che quella (la pregiudiziale) è diretta ad impedire la discussione, questo (l’ordine del giorno puro e semplice) è diretto ad impedire la risoluzione». Questa è la prova più lampante che l’ordine del giorno puro e semplice, che ha la precedenza, è diretto ad impedire la risoluzione della questione. L’Assemblea mi perdonerà questa piccola soddisfazione che mi sono preso di dimostrare che non mi ero sbagliato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Onorevoli colleghi, la questione che è in questo momento davanti all’Assemblea non credo possa essere da noi lasciata passare sotto silenzio o liquidata attraverso un voto improvvisato. È questione che trascende l’occasione particolare da cui è sorta per investire tutta la forma di organizzazione interna di questa Assemblea.

All’atto in cui noi siamo venuti in questa sede, abbiamo accettato il Regolamento tradizionale che le Assemblee legislative italiane si son date fin dalla prima loro costituzione, e lo abbiamo accettato consapevoli, maggioranza e minoranza, di sottoporci alla disciplina che ne discende. Ci siamo, quindi, sottoposti volontariamente a questa disciplina in quanto riconoscevamo che qualsiasi organismo democratico, che debba far convivere uomini di tendenze diverse, deve necessariamente concordare un Regolamento che sia al di sopra dell’interesse mutevole dei singoli e dei Gruppi, e che non possa essere rovesciato ad ogni prima occasione.

La questione, quindi, è questione che investe tutto l’istituto democratico del quale facciamo parte.

Ho ascoltato con stupore, l’uno dopo l’altro, gli interventi che si sono susseguiti in questa Assemblea. Il primo intervento è stato quello dell’onorevole Piccioni, al quale ho già risposto. Non un argomento è stato addotto dall’onorevole Piccioni per dimostrare che l’ordine del giorno Bonomi si distacchi meno dal testo degli altri ordini del giorno. Gli unici argomenti da lui sostenuti erano rivolti a sostenere un mutamento della nostra procedura parlamentare. Unicamente questo. Allo stesso fine sono stati rivolti gli interventi degli onorevoli Persico e Lussu, per quanto in perfetta buona fede. Quando l’onorevole Lussu – ripeto, in perfetta buona fede – propone all’Assemblea degli accomodamenti, che seguono piuttosto le vie facili del buon senso che non quelle della logica e della norma consuetudinaria, evidentemente non se ne rende conto, ma in sostanza propone una violazione del Regolamento dell’Assemblea.

Ultimo argomento è stato quello dell’onorevole Mastino. Mi permetta l’onorevole Mastino, ma il dire che la votazione contraria all’ordine del giorno Rubilli comporti per l’Assemblea una limitazione nelle sue ulteriori votazioni, indubbiamente è un assurdo. La Assemblea avrebbe potuto votare contro l’ordine del giorno Rubilli per una semplice parola che non le convenisse: una simile motivazione avrebbe potuto giustificare un voto contrario a tutto l’ordine del giorno Rubilli. Successivamente, altri ordini del giorno potrebbero essere presentati per modificare quella semplice parola. Del resto, una votazione negativa non comporta nessun apprezzamento particolare. Ma, quando l’Assemblea ha votato contro l’ordine del giorno Rubilli, niente altro si può desumere dal suo voto se non che quell’ordine del giorno è stato respinto, e che sono aperte tutte le strade ad ogni altra eventuale votazione. Questa è la realtà; noi non possiamo sopprimere, con delle motivazioni di questo genere, una discussione che investe il merito della questione.

Io dicevo poco fa che, attraverso questo Regolamento, che la Camera si è data da quando è stata per la prima volta costituita in Italia, e che è stato riconosciuto da questa Assemblea Costituente, non solo si è voluto tutelare il diritto delle minoranze, ma il diritto e l’essenziale compito nostro di deputati. Perché, se venisse vietato a noi di presentare degli emendamenti, o degli ordini del giorno che importino degli emendamenti, ad un determinato progetto di legge o a una qualsiasi proposta del Governo, ciò significherebbe unicamente che noi saremmo costretti ad accettare qualsiasi proposta venisse fatta attraverso un colpo di maggioranza che ci imponesse il passaggio agli articoli senza alcuna modificazione.

Noi crediamo che fra la votazione pregiudiziale – semplice passaggio ad altro punto dell’ordine del giorno dell’Assemblea – che deve precedere ogni altra, e la votazione per il passaggio agli articoli, può intervenire tutta una serie di votazioni che toccano il merito della questione e determinano lo spirito e la struttura generale del progetto. Questo è quello che dobbiamo fare noi oggi.

Io ricordo che, quando si è stabilita la procedura particolare, per la discussione del progetto di Costituzione, d’onorevole Presidente disse che, al termine della discussione generale, poteva darsi luogo alla votazione degli ordini del giorno, sulla base di queste stesse discussioni. Se questo vale per altri Titoli, tanto più deve valere per l’ordinamento regionale, che interviene in questa discussione come l’argomento più nuovo, più organico e più compiuto in se stesso, sul quale qualunque parere, dal più radicale al più conforme, al progetto, può essere discusso. Dobbiamo quindi dar voce a tutti i diversi pareri sulla struttura generale di questo Titolo. Ieri abbiamo messo in minoranza coloro che volevano respingere in senso totale il progetto e coloro che volevano rinviare la questione all’Assemblea legislativa; siamo quindi entrati oggi nel merito, e deve intervenire quindi tutta una serie di votazioni, che consentano all’Assemblea di esprimere il proprio avviso intorno alla organizzazione generale del Titolo. In questi limiti è contenuto l’ordine del giorno Bonomi, che d’altra parte investe una questione di sostanza, in quanto incide sul punto principale dell’ordinamento regionale, e cioè sulla potestà legislativa più o meno larga che deve essere conferita alla regione. Non c’è quindi possibilità di eliminare su questo punto la discussione. A che pro? Forse voi credete che eliminare una questione di questo genere possa servire a modificare i mostri pareri?

Ma è evidente che i nostri pareri sono quelli che sono e ciascuno di noi comprende che questo è l’ultimo baluardo del buon senso, mi consentano di dirlo. L’ordine del giorno Bonomi è l’ultima trincea di coloro che non vogliono lanciarsi nel buio, procedendo a delle costruzioni prive di qualsiasi fondamento e del tutto avulse dalla tradizione italiana.

Io non credo pertanto che, rinunziando a questa votazione, si verrebbero a modificare alla fine i risultati.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Laconi.

LACONI, Comunque, senza soffermarmi più a lungo sulla questione, desidero fare appello a tutti coloro cui sta a cuore la tradizione parlamentare, cui sta a cuore il rispetto delle regole di convivenza di questo Parlamento e che sono scrupolosi custodi dei diritti delle minoranze, faccio appello alle destre e alle sinistre, faccio appello a tutti coloro che hanno interesse a che ci siano regole universalmente osservate e che valgono per il piccolo e per il grande in questa Assemblea e che non si fanno scrupolo, ove ciò si ravvisi necessario, di riaffermare queste regole, questi diritti, anche nei confronti di una maggioranza occasionale.

Faccio appello alle destre perché tutelino anch’esse questo fondamentale diritto, perché ricordino che oggi può essere a svantaggio dell’uno o dell’altro la soppressione di questo diritto delle minoranze, ma domani agirà in altro senso e in altra direzione. Noi non possiamo ammettere che venga soppresso il nostro diritto di parlare su qualunque questione, il nostro diritto di esprimere le nostre idee. (Interruzioni al centro e a destra – Applausi a sinistra). Noi non possiamo ammettere che vengano fatte prevalere, attraverso espedienti procedurali, soluzioni che sono lontane dal parere della maggioranza reale dell’Assemblea.

È in nome di questa libertà di discussione che io invito pertanto tutti i settori dell’Assemblea a votare concordi, se una votazione sarà resa necessaria dall’insistenza dei proponenti, perché questa parte del Regolamento della Camera venga mantenuta e osservata. (Commenti).

Ricordatevi, onorevoli colleghi, che, dando adito alla possibilità di una modifica del Regolamento su questo punto, noi apriremmo la via a qualsiasi colpo di maggioranza che domani ci volesse imporre una legge senza discussione preliminare, che domani ci volesse costringere a passare immediatamente alla votazione degli articoli senza che noi si fosse avuta precedentemente la possibilità di esprimere il nostro parere.

Noi minoranza in questo momento, maggioranza forse domani, ma comunque sempre egualmente rispettosi dei diritti degli uni e degli altri, siamo per la difesa del Regolamento. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).

PRESIDENTE. Desidero leggere ancora due righe dell’interpretazione autorevole del Mancini-Galeotti in materia di ordini del giorno:

«Gli ordini del giorno emendativi hanno la precedenza e tra di essi i più larghi, quelli cioè che chiudono l’adito al minor numero di proposte; seguono i reiettivi e vengono ultimi quelli per il passaggio alla discussione degli articoli».

Io vorrei pregare anzitutto di non drammatizzare ulteriormente la questione. Vi sono argomenti che hanno maggiore importanza della procedura. Non diamo questo spettacolo, di un’Assemblea che impiega, per decidere circa le norme di discussione e votazione, un tempo maggiore di quello che dedica alla sostanza delle questioni. (Commenti).

DOMINEDÒ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DOMINEDÒ. Mi sia consentito un breve intervento nella questione di procedura, negli stretti termini in cui essa è stata impostata dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Laconi, salva quella valutazione politica, alla quale non possiamo che associarci, rafforzando anzi le considerazioni già da altri fatte. In questa materia non v’è questione giuridica che non presenti il riverbero politico di una tutela delle minoranze: anche noi vediamo un’affermazione del principio di democrazia attraverso la stretta osservanza del Regolamento e della prassi parlamentare su di esso formatasi.

Qual è la norma del Regolamento? È l’articolo 87, il quale contempla nel primo e secondo comma la possibilità che ciascun deputato presenti ordini del giorno, i quali saranno suscettibili di valutazione da parte dell’Assemblea, per quanto attiene alla loro forza innovativa, alla loro attitudine a modificare più o meno profondamente l’impostazione della materia cui essi si riferiscono. Primo e secondo comma, dunque: facoltà di presentazione di ordini del giorno, i quali potranno essere definiti e classificati a seconda del loro carattere intrinseco. Dopo questi due primi commi vi è il terzo che effettivamente introduce una norma di graduazione nell’ordine di votazione di quegli ordini del giorno, che nei precedenti commi sono considerati non già in vista della graduatoria in sede di votazione, ma in vista del diverso loro contenuto.

Ora, la norma di Regolamento non afferma, quando a proposito dell’ordine di votazione, dà la precedenza dell’ordine del giorno puro e semplice, che debba considerarsi per tale quello che porti ad una risoluzione della questione, come testé accennava il Presidente, o anche quello, come sommessamente io riterrei, che si traduca in un semplice rinvio alla discussione degli articoli.

Sussiste nel nostro caso la presentazione di un ordine del giorno puro e semplice, quale è quello contemplato dal terzo comma, che ad esso concede la precedenza? È questa, e non altra, la questione, nei suoi termini di diritto.

A me parrebbe che in questi termini estremi, per essere rigorosi, nemmeno l’ordine del giorno Lussu possa essere considerato un ordine del giorno puro e semplice. Comunque, il dilemma è chiaro. O un tale ordine del giorno sussiste, – e questo spetta all’Assemblea di valutarlo secondo i canoni dell’interpretazione dominante – ed allora esso ha la precedenza. Oppure non sussiste; e allora, poiché non c’è norma del Regolamento che introduca altre graduazioni nell’ordine di votazione, non spetta, secondo il principio democratico, che all’Assemblea di decidere sovranamente nel merito.

Quanto alle norme che graduerebbero l’ordine di votazione degli emendamenti, secondo i richiami storici del Presidente, non si tratta di norme di Regolamento, bensì di regole di trattato, o di commentario. Ora, noi tutti sappiamo quale sia la forza probante o l’efficacia vincolante da attribuire ad un manuale, che intendiamo mantenere nel suo giusto rango rispetto a quello superiore in cui poniamo il Regolamento e la prassi su di esso formatasi.

È vero – come diceva l’onorevole Laconi – che per quanto concerne gli emendamenti, opera una prassi, direi soprattutto parlamentare prima che costituzionale, la quale comunque è stata osservata sin qui anche nel dibattito sul progetto di Costituzione. È perfettamente vero – e credo che maggiore prova di schiettezza nella discussione non si potrebbe così dare – che in forza di quella prassi si è soliti concedere la precedenza, evidentemente per una tacita volontà dell’Assemblea – che potrebbe anche non incidere sul Regolamento – a quegli emendamenti i quali più si allontanano dal testo in esame. Ma a questo proposito si è dimenticato – e l’amico Piccioni non ha toccato l’argomento che costituisce motivo di replica alle sottili osservazioni dell’onorevole Laconi – che qui siamo in tema di ordini del giorno, orientativi o conclusivi, non già di emendamenti, a un disegno di legge, modificativi, soppressivi o aggiuntivi. E non ho bisogno di sottolineare all’Assemblea la profonda differenza formale e sostanziale, che corre fra le due ipotesi. Cosicché, distinguendo doverosamente l’ordine del giorno dall’emendamento, non solo non sussiste la norma regolamentare, ma nemmeno quella dottrinale invocata dal Presidente.

Per tali ragioni io penso che, qualora manchi un ordine del giorno puro e semplice qual è quello esclusivamente contemplato dal Regolamento, sia vera legge di democrazia, alla quale noi vogliamo inchinarci come gli altri, e non voglio dire più degli altri, rimetterci alla libera volontà dell’Assemblea, la quale sola può decidere nel merito. (Applausi al centro).

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Ho avuto già occasione più d’una volta di richiamare alla gelosa difesa del Regolamento, che è la garanzia comune di noi tutti, e quindi raccolgo con piacere l’appello che questa volta viene dalla sponda opposta, per la difesa di questo comune diritto.

Faccio notare all’onorevole Dominedò che certe prassi, anche se non sono tutte formulate nello scritto, hanno una ragione e non sono nate così come i funghi. Se si è seguita e se si è adottata e se è regola internazionale la prassi di andare dal testo più lontano al testo originario, questo è stato fatto per una graduazione logica e per abbreviare i tempi e semplificare le discissioni. Una consuetudine così lunga, così solida e così radicata non si può mutare senza compiere un atto rivoluzionario.

Credo quindi che quell’ordine del giorno il quale comunque stabilisca una limitazione a quello che è il testo originario non possa non essere votato per primo, sia per motivi di consuetudine, che per motivi di logica, ma soprattutto – io penso – per risparmio di tempo nella discussione.

Sono quindi del parere che la precedenza si debba dare all’ordine del giorno dell’onorevole Bonomi, e ciò anche per un motivo politico: perché quando un gruppo che in questo momento è in minoranza invoca una difesa, è dovere dell’Assemblea dargli questa difesa.

Vorrei dire ora una parola all’onorevole Togliatti, il quale ha fatto una proposta e ha dichiarato che se la sua proposta fosse respinta, proposta che ritengo giusta, egli e il suo Gruppo abbandonerebbero l’Aula. Io non credo che la sua proposta sarà respinta, ma prego l’onorevole Togliatti, se questo accadesse, di non abbandonare l’Aula, perché questa rappresenta qualcosa se ci siamo tutti; se qualcuno manca c’è una lacuna incolmabile. Dobbiamo tutti quanti subire le situazioni, affrontarle e combattere, ma mai disertare il posto di combattimento. (Applausi a destra e a sinistra).

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Onorevoli colleghi, riconosco di essere stato molto ingenuo, perché ho presentato l’ordine del giorno, che voi conoscete, con la certezza – ne ero proprio convinto – di abbreviare la discussione. Invece mi accorgo che non è così. Comunque, se l’ordine del giorno Bonomi fosse stato presentato precedentemente alla votazione di ieri, insieme agli altri ordini del giorno (quello dell’onorevole Lami Starnuti, quello dell’onorevole Conti, ecc.), probabilmente non avrei presentato il mio, ma mi son trovato con sorpresa dinanzi ad un ordine del giorno presentato dopo che un altro fondamentale era stato discusso e non approvato dall’Assemblea. E allora mi sorge il dubbio che se questo sistema divenisse in questa Aula una regola, noi cadremmo in pieno disordine di discussione, perché basterebbe che, dopo una votazione calma e di maggioranza svoltasi durante la mattina, maturasse durante la notte successiva il cattivo umore di due capi di partiti forti per capovolgere all’indomani la situazione con un ordine del giorno presentato all’ultimo momento. Ecco perché credevo anche di avere il diritto di presentare il mio ordine del giorno. Il collega Laconi ha riconosciuto che io, sostenendolo, ho dimostrato del buon senso. Egli ha aggiunto però che non era logico. A mio parere il buon senso è sempre logico e credo di non essere caduto in un peccato di illogicità. Comunque, arrivati a questo punto, riconosco che si è discusso troppo, e riconosco anche che l’intervento del collega Togliatti è stato eccessivo.

Caro Togliatti, quando tu hai dichiarato che se il mio ordine del giorno fosse posto in discussione, il gruppo parlamentare comunista abbandonerebbe quest’Aula, tu hai commesso un errore. Vero è che non è il primo errore che commetti (Si ride) e mi auguro che per la tua carriera non sia neppure l’ultimo; ma è un errore, certo. Comunque, onorevoli colleghi, io non voglio affatto drammatizzare in una questione di procedura la situazione politica, che è già abbastanza tesa. Non conservo, né ritiro il mio emendamento. Mi rimetto all’alta imparzialità del nostro Presidente, che ci rappresenta tutti. Ho piena fiducia nel giudizio del nostro Presidente in ordine alla votazione che egli vorrà proporre.

PRESIDENTE. Mi sembra che ella abbia sostenuta l’intempestività della presentazione dell’ordine del giorno Bonomi.

LUSSU. Mi ha politicamente sorpreso ed ho detto il perché.

ZOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ZOTTA. La questione è questa: si chiede all’Assemblea non già se voglia dare la precedenza ad uno o un altro ordine del giorno. Su questo vige il Regolamento; ma all’Assemblea si deve chiedere quale ordine del giorno si distacca di più dall’oggetto in discussione. Ed in questo non vi è inosservanza di Regolamento. Ora qui è da distinguere in ordine alla materia che trattiamo. Gli ordini del giorno finora esaminati riguardavano il Titolo intero; l’ordine del giorno Bonomi, al contrario, riguarda singole disposizioni del Titolo in esame. Infatti, esso si riferisce a due punti particolari: l’uno relativo alla potestà legislativa, in quanto si chiede che gli articoli 109 e 110 siano assorbiti dall’articolo 111 e per questo punto non vi è nessuna ragione che possa giustificare una discussione generale e quindi determinare la necessità di un ordine del giorno, quando se noi scorriamo i singoli emendamenti, troviamo che questa stessa materia è stata già affrontata da altri senza la pretesa di formulare un ordine del giorno.

L’altro punto innovativo è l’introduzione della Provincia. Ed anche su questo vi sono numerosi emendamenti. Ora, io non vedo per quale ragione Bonomi, Bozzi ed altri chiedono che vengano posti in discussione con la maestà dell’ordine del giorno argomenti che, per altro, modestamente sono apparsi poter costituire oggetto di emendamento.

Abbiamo esaminato l’ordine del giorno Rubilli, ed abbiamo concluso con una votazione la quale ha espresso sfavorevolmente il pensiero dell’Assemblea in ordine a questo punto generale e riassuntivo.

L’ordine del giorno Rubilli non si riferisce più – e questo è il punto essenziale – al titolo nella sua estensione, ma si riferisce a singole disposizioni, ed allora è opportuno esaminare l’ordine del giorno Lussu in quanto quello Rubilli ha esaurito la materia in ordine al testo dell’intero titolo. Occorre ora passare ai singoli articoli, in rapporto ai quali troverà la possibilità di collocazione questo ordine del giorno che a rigore non è che la riunione di due emendamenti diversi.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. L’onorevole Lucifero ha osservato giustamente che è necessario che ci atteniamo al Regolamento della Assemblea perché esso è legge comune ed è garanzia fondamentale per tutti noi, maggioranze e minoranze. Garanzia per le maggioranze che mai possano essere accusate di prepotenza in qualsiasi loro azione; garanzia delle minoranze per la difesa contro ogni eventuale sopraffazione. Desidero far presente e ricordare che in tutta la nostra attività parlamentare, dal momento in cui si è riunita questa Assemblea, noi sempre ci siamo attenuti a questa norma. Ancora ieri, in una Commissione, essendosi un Ministro presentato senza essere stato chiamato dalla Commissione stessa, siamo stati noi a far presente che ciò era parlamentarmente non corretto, in quanto soltanto quando vi è un invito della Commissione il Ministro può presentarsi per rendere ragione del disegno di legge che egli presentale di cui la Commissione sta discutendo. Ma io desidero allargare la visuale. Qui non si tratta soltanto di regolamento, si tratta di una legge. È infatti sancito in una legge, e precisamente nella legge istitutiva di questa Assemblea Costituente, che questa deve svolgere i lavori secondo il Regolamento della Camera. Questo è detto espressamente nell’articolo 4 della legge istitutiva dell’Assemblea Costituente. Quindi la questione è molto più profonda.

Ora io mi meraviglio che l’onorevole Lussu, il quale fra i partiti di minoranza credo che abbia il privilegio di essere rappresentante di quello che è più di minoranza di tutti gli altri, voglia rinunciare ad una simile garanzia, perché domani noi potremmo anche essere, uniti ad altri partiti o soli, una forza la quale potrebbe avere la tentazione di fare un sopruso verso una piccola minoranza, mentre è difficile che questa prospettiva si possa facilmente aprire per l’onorevole Lussu.

Sul merito è errato dire che l’ordine del giorno Bonomi-Togliatti sia una improvvisazione. Tutti sanno che questo ordine del giorno è il risultato di un lungo lavoro politico che si è compiuto, per giorni e giorni di seguito, partendo da altri ordini del giorno precedentemente presentati, discussi ed esaminati dai differenti gruppi, e che sono stati oggetto di trattative politiche. Non si tratta quindi di una forma di malumore che avrebbe colpito stanotte l’onorevole Bonomi e il sottoscritto. Si tratta di un accordo a cui si è arrivati, e i colleghi democristiani, a nome dei quali ora viene detto che questo ordine del giorno non sarebbe legittimo ed ammissibile perché tende a mettere in discussione preliminarmente tutta la materia del titolo che stiamo discutendo, dimenticano che fino ad un’ora fa stavano trattando insieme con noi per vedere se anch’essi avrebbero messa una firma a questo ordine del giorno che si sarebbe di conseguenza presentato come espressione dell’opinione di una sicura maggioranza.

PICCIONI. Questo non è esatto!

TOGLIATTI. Onorevole Piccioni, la prego di non interrompermi; lei potrà sempre chiedere la parola, che non le verrà certamente negata dal Presidente. Se avete negata la firma, per un dissenso non di termini, ma di sostanza, è evidente che la presentazione dell’ordine del giorno è legittima. Essa infatti corrisponde al metodo che abbiamo seguito fin dall’inizio della discussione costituzionale. Sempre abbiamo seguito un metodo indicato da queste successive tappe: 1°) dibattito generale; 2°) presentazione degli ordini del giorno, allo scopo di orientare i voti sui singoli articoli; 3°) voto sui singoli articoli.

Ieri è stato respinto l’ordine del giorno Rubilli che rimandava tutta la questione ad una successiva istanza legislativa. Oggi ci troviamo di fronte ad un terreno libero da questa pregiudiziale. Visto che è finita la discussione generale, è giusto che si cerchi ora di riassumere il pensiero comune della maggioranza dell’Assemblea, e se questo pensiero comune, come è espresso nell’ordine del giorno Bonomi-Togliatti, si stacca dal progetto di Costituzione di più di quello espresso negli altri ordini del giorno presentati, è evidente che questo ordine del giorno va messo in votazione per primo, se ci si vuole attenere alla norma del Regolamento e alla consuetudine parlamentare. Né vale l’argomento portato dall’onorevole Dominedò, secondo cui non vi sarebbe una prassi in questo senso per quello che si riferisce agli ordini del giorno, ma soltanto una prassi per quanto si riferisca agli emendamenti. Consulti il Regolamento e vedrà che in un articolo di esso è stabilito un collegamento diretto tra ordini del giorno ed emendamenti, in quanto si dice che un emendamento che si riferisce ad un ordine del giorno respinto non può più essere ripresentato. Basandoci su questa norma di regolamento passiamo concludere per analogia che le norme le quali valgono per la presentazione di emendamenti valgono anche per la presentazione di ordini del giorno, il che a me pare, del resto, di per sé evidente.

Per quanto si riferisce al rimprovero fattomi dall’onorevole Lucifero, ho detto che ci saremmo allontanati dall’Aula soltanto per far mancare il numero legale né ho aggiunto altro. Desidero però dare un avvertimento all’onorevole Lucifero: stiamo attenti, perché quando si comincia, con votazioni di maggioranza, a violare le norme che regolano il funzionamento di un’Assemblea, e quando poi ciò viene fatto per norme che non sono solo di Regolamento ma sono norme di legge, sappiamo dove si comincia, ma non sappiamo dove si può finire. Ricordo che i democratici che sedevano qui nell’anno 1926 furono esclusi da quest’Aula per un voto di maggioranza, del tutto regolare a seconda di quella norma che noi oggi dovremmo accettare; profondamente ingiusto, anzi criminale delitto contro la democrazia, se si fosse badato, come si deve badare, alla sostanza.

Faccio un appello ai colleghi democratici cristiani perché, se si sentono buoni democratici, guardino a questa sostanza. I risultati credo che non cambieranno tanto se si vota in un senso o in un altro; i voti saranno certo dati allo stesso modo; ma non introduciamo, non introducete, nella pratica di questa Assemblea, un costume il quale è contrario alla democrazia, perché è contrario alla norma fondamentale che regola e deve continuare a regolare il funzionamento di questa Assemblea Costituente. (Applausi a sinistra).

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Intendo trattenermi, molto brevemente, su quella che è stata definita questione di procedura e che trascende il caso particolare, che potrà essere, dall’Assemblea sovrana, risoluto nel senso che le sembrerà migliore e più conforme al Regolamento. Voglio domandare soltanto a questa sovrana Assemblea se, nei casi dubbi di interpretazione e di sola interpretazione e applicazione del Regolamento, debba decidere l’Assemblea stessa nella sua sovranità, oppure il Presidente, oppure questo o quel deputato.

Questo soltanto io voglio domandare.

Si parla di diritti delle minoranze, ma purtroppo i diritti delle minoranze (ed io, da questo banco isolato ne so qualcosa), in tutte le Assemblee, politiche o non, sono soltanto affidati alla maggioranza. Non devo dire altro.

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Vorrei fare una brevissima osservazione. Mi pare che, oltre al testo del Regolamento, certamente favorevole alla precedenza dell’ordine del giorno Bonomi, rispetto a quello Piccioni, vi sia anche una questione di procedura, che è questa: noi, in sostanza, abbiamo già incominciato a votare su questo tormentato argomento, e abbiamo precisamente incominciato a votare, secondo le norme della logica e secondo le norme della procedura, dal testo che prima si è chiamato Nitti-Rubilli, in quanto disponeva lo stralcio e cioè era esclusivo di tutto il titolo dal progetto di Costituzione, relativo alle Regioni. È bastato che, nel suo ordine del giorno, l’onorevole Rubilli accennasse a fare una eccezione per la Sicilia, che l’onorevole Nitti ha dichiarato di ritirare la sua adesione. Quindi, questo ordine del giorno Nitti, completamente remoto dal testo del Progetto, è stato sostanzialmente abbandonato. Allora, siamo venuti al testo Rubilli, meno remoto di quello Nitti, in quanto il testo Rubilli escludeva la Regione, salvi i diritti di autonomia della Sicilia già acquisiti.

Ora, noi dobbiamo procedere per questo iter, già intrapreso, e, indiscutibilmente, fra l’ordine del giorno Piccioni, che è una pura e semplice parafrasi del progetto di Costituzione, e l’ordine del giorno Bonomi-Togliatti, che lo emenda su punti sostanziali e concettuali, che non si prestano ad essere illustrati in sede di emendamenti dei singoli articoli, non vi è dubbio al mondo, dal punto di vista della logica e dal punto di vista della procedura, che l’ordine del giorno Bonomi ha la precedenza sull’ordine del giorno Piccioni. Il fare dei richiami storici o politici mi pare che sia ingrossare straordinariamente la questione ed abbandonare quella che deve essere, da parte della Presidenza, l’applicazione pura e semplice delle regole della procedura; per cui non si può, nel corso della votazione, cambiare le regole con cui la votazione è stata incominciata.

GRASSI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRASSI. Prendo la parola, non solo per dire la mia opinione su questa questione, ma anche per rispondere un po’ all’onorevole Togliatti, il quale, non so con quanta opportunità, ha riportato una questione che era stata già risoluta in seno alla Commissione.

Ci tengo a dire che, dinanzi alla Commissione per la proroga, intervenni soltanto per dare dei chiarimenti, essendo stata fatta la brevissima relazione in fretta, dato l’impegno preso dinanzi all’Assemblea di portare con urgenza il disegno di legge per la proroga.

In ogni modo, io, entrando nella Commissione – con l’ossequio che ho sempre avuto per le Commissioni parlamentari – esposi le ragioni del mio intervento e mi misi a disposizione della Commissione stessa. Credo che la mia opera non fu inutile, in quanto potei dare spiegazioni sufficienti sulla giustificazione del provvedimento e sulle ragioni che lo avevano determinato.

Per quanto riguarda la presente discussione, io parto dal concetto che il Regolamento deve essere rispettato, inquantoché esso è la garanzia delle maggioranze e delle minoranze, ossia è la garanzia di ogni Assemblea democratica. Penso che in questa occasione non ci sia una grande discussione da fare.

La verità è questa: da vecchio parlamentare, ricordo che vi sono due tipi di ordine del giorno puro e semplice, e cioè ordine del giorno puro e semplice che si riferisce alla chiusura della discussione generale, ed ordine del giorno puro e semplice di cui all’articolo 92, relativo agli emendamenti.

Non c’è dubbio che, chiusa la discussione generale, l’ordine del giorno puro e semplice significa questo: approvazione o disapprovazione dell’intero testo presentato dinanzi all’Assemblea. L’ultimo comma dell’articolo 87 stabilisce, a questo riguardo, che l’Assemblea, in linea di massima, deve dire se vuole passare o no agli articoli. Ciò non toglie che diversi ordini del giorno, che si avvicinano o si discostano di più dal testo, o che stabiliscono direttive, possano essere presi successivamente in considerazione. In ogni modo, dal momento che gli onorevoli Lussu e Piccioni accettano la proposta di deferire al Presidente dell’Assemblea la scelta della soluzione, cioè quale ordine del giorno debba essere votato in precedenza, io penso che l’unica soluzione per uscire da questa questione procedurale – che non dà buona impressione al Paese, il quale attende soluzioni concrete – sia quella che il Presidente stabilisca l’ordine delle votazioni, in modo da uscire subito da questa lunga discussione su di una questione procedurale.

MORO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORO. Dichiaro, a nome del mio gruppo, che, pur non essendo noi persuasi delle argomentazioni che sono state addotte da varie parti su questa questione procedurale, e quindi non ritenendo di avere torto nella posizione da noi assunta, per non prolungare oltre questo dibattito che ci fa perdere tempo prezioso, ci rimettiamo alla Presidenza dell’Assemblea per la determinazione dell’ordine del giorno che abbia la precedenza.

PRESIDENTE. La Presidenza prende atto delle dichiarazioni dell’onorevole Moro, le quali contribuiscono a togliere qualsiasi dubbio sopra la precedenza da dare all’ordine del giorno dell’onorevole Bonomi. L’osservazione fatta dall’onorevole Fabbri credo debba convincere tutti; noi abbiamo cioè, già in questa discussione, adottato tale interpretazione del Regolamento. Se alcuni colleghi erano del parere – e non lo dico per risollevare la questione – che fosse da darsi la precedenza all’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, avrebbero evidentemente dovuto eccepirlo prima.

L’Assemblea ha votato l’ordine del giorno Abozzi, che riguardava in modo specifico la ripartizione del territorio della Repubblica, considerandolo come un emendamento. Pongo quindi in votazione l’ordine del giorno Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, Molè:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità:

  1. a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, anche a mezzo dell’ente Regione;
  2. b) che la Regione debba essere dotata di potestà normativa nei limiti della attuazione e della integrazione delle direttive e dei principî fissati dalle leggi della Repubblica;
  3. c) che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108 del Progetto;

e delibera

che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione, accanto ai Comuni e alle Provincie, con l’indicazione dei poteri e degli organi del nuovo Ente e di quanto altro sia necessario alla sua essenziale definizione costituzionale».

Su questo ordine del giorno è stata chiesta la votazione per appello nominale e la votazione a scrutinio segreto – che prevale sulla prima – dagli onorevoli Pajetta Giuliano, Barontini Ilio, Massola, Maltagliati, Gallico Spano Nadia, Imperiale, Allegato, Platone, Noce Teresa, Roveda, Bosi, Corbi, Lombardi Carlo, Negarville, Mezzadra, Gavina, Ferrari, Pucci, Landi, Grieco, Bolognesi.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Chiedo che la votazione abbia luogo per divisione, affinché sia dato a tutti i colleghi il modo di esprimere il proprio giudizio, mediante votazioni separate sulle singole parti dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ma la prima condizione, onorevole Corbino, perché si possa accedere alla sua proposta, è che si sappia come la divisione verrà fatta. Occorre pertanto che lei ci dichiari come desidera che l’ordine del giorno sia diviso.

CORBINO. Io vorrei che la divisione avvenisse soprattutto sulla lettera b), che concerne la potestà normativa da concedere alla Regione, e per la quale proporrei la formula: «nei limiti dell’attuazione delle leggi della Repubblica»; togliendo quindi la facoltà di «integrazione delle direttive e dei principî». È il mio un sistema molto più restrittivo di quanto non sia affermato nell’ordine del giorno.

E poi devo fare delle riserve per quello che concerne la lettera c), in quanto non possiamo senz’altro considerare cerne accettabile l’elenco delle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108. Ecco perché penso che dovremmo, o concordare una divisione, oppure convenire che la votazione avvenga sul contenuto generale dell’articolo, salvo poi ad approvare, eventualmente per alzata e seduta o con altre forme, ciascuno dei singoli paragrafi nei quali l’ordine del giorno si scompone.

PRESIDENTE. Mi permetto di farle osservare – senza che questo possa assolutamente influire sulla decisione – che il sistema di votazione a scrutinio segreto non è quello che più si addice al voto per divisione. Come l’Assemblea mi insegna, infatti, procedere alla votazione per divisione in base allo scrutinio segreto significa fare successive votazioni per scrutinio segreto.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Io credo d’interpretare il pensiero dei presentatori di quest’ordine del giorno dicendo che la proposta dell’onorevole Corbino corrisponde in realtà ad una situazione di fatto, e cioè a questo: che vi è una coincidenza più larga di pareri sul contenuto generale dell’ordine del giorno che non sulle sue singole parti. Io credo quindi che si possa accettare la proposta dell’onorevole Corbino, e cioè si possa votare genericamente l’ordine del giorno, salvo a passare ad una dettagliata votazione delle sue singole parti.

Per quanto riguarda lo scrutinio segreto, io non trovo che abbiano valore le eccezioni che il Presidente ha fatto, perché, quando, invece d’una votazione sola si disponga una serie di votazioni, rimarrà ai presentatori della richiesta la scelta del momento in cui chiedere lo scrutinio segreto o del momento in cui rinunciare.

PRESIDENTE. Occorrono allora altrettante votazioni a scrutinio segreto.

LACONI. Se questa è la richiesta dei presentatori, sì. Se invece ritengono che basti una sola votazione, anche questo è possibile.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Noi stiamo passando alla votazione di un ordine del giorno che ha, o potrebbe avere, se approvato, una grandissima importanza e delle gravissime ripercussioni, senza averne discusso per nulla il contenuto e il testo. Abbiamo impiegato quasi due ore per decidere una questione che direi di lana caprina: se cioè debba avere la precedenza l’uno o l’altro degli ordini del giorno. All’inizio di seduta l’onorevole Laconi ha dichiarato che non intendeva illustrare l’ordine del giorno, forse perché si riservava di rispondere poi ai diversi oratori. Mi sono rivolto alla Presidenza per sapere cosa potessi fare per discutere l’ordine del giorno e mi fu giustamente osservato che avrei potuto discuterlo in sede di dichiarazione di voto.

Abbiamo discusso due ore e l’onorevole Laconi ha parlato per dimostrare una cosa in cui aveva perfettamente ragione, che era la precedenza del suo ordine del giorno. Ma egli non ha affatto parlato (e qui trovo che ha avuto torto) per dimostrare la bontà del suo ordine del giorno. Dopo di che c’è una domanda di scrutinio segreto e mi sento dire che non posso fare alcuna osservazione e non posso rendermi eco di una preoccupazione gravissima di molti deputati di regioni che hanno già l’autonomia, perché siamo in scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Mi permetta: la dichiarazione di voto è in contradizione con lo scrutinio segreto; nella pratica, però, non v’è stato uno scrutinio segreto senza che si siano avute dichiarazioni di voto.

GULLO ROCCO. Non solo è nell’applicazione pratica, ma a proposito di un ordine del giorno presentato da me, per cui l’onorevole Orlando ebbe a dire che si poteva fare dichiarazione di voto, e la fece; ma, oltre a questo, poiché l’unico modo che noi abbiamo di discutere, di fare le nostre osservazioni, di rendere conto agli altri delle nostre preoccupazioni e di aprire in questo modo gli occhi a qualcuno su un determinato argomento e sperare di convertire qualcuno alla nostra tesi, farò questa dichiarazione di voto. Io penso che l’ordine del giorno è per lo meno pleonastico e che l’argomento portato dall’onorevole Laconi, quando diceva che il rigettare questo ordine del giorno non impediva poi, in sede di discussione di emendamenti soppressivi o aggiuntivi, di riportare di nuovo la questione, è un argomento esatto, ma anche un argomento ritorcibile e cioè che l’approvazione di questo ordine del giorno non porta alcuna conseguenza di ordine pratico, perché poi dobbiamo discutere i singoli articoli ed i singoli emendamenti che verranno presentati; e questo ordine del giorno dovrà poi tradursi in altrettanti emendamenti (specialmente emendamenti soppressivi) che dovranno poi, volta per volta, essere oggetto di votazione da parte dell’Assemblea. A parer mio questo ordine del giorno potrebbe andar bene (non nel suo contenuto, ma nella sua forma) come un ordine del giorno di un gruppo parlamentare che si riunisca per conto proprio e che tracci per i propri iscritti una direttiva di ordine generale, per ciò che riguarda l’atteggiamento del gruppo in ordine al problema della regione. Ma tracciare all’Assemblea queste direttive mi sembra una cosa pleonastica, in quanto, dopo aver tracciato queste direttive, noi rimandiamo, con questo ordine del giorno, la questione a noi stessi ed impegniamo noi stessi a votare o non votare determinati articoli. Ecco la differenza sostanziale di questo ordine del giorno da quello Nitti-Rubilli, con cui si rimandava puramente e semplicemente la questione all’Assemblea legislativa. È chiaro che noi, più tardi, potremo votare degli articoli ed emendamenti soppressivi ed aggiuntivi, perfettamente in contrasto con questo ordine del giorno, senza sentirci per nulla vincolati dall’esito di questa votazione, specie se questa votazione avrà luogo a scrutinio segreto.

Ma, più che sul contenuto dell’intero ordine del giorno, mi soffermo sulla lettera c), e mi permetto di farmi eco di una preoccupazione gravissima, che non è soltanto mia, ma credo sia condivisa da molti, se non da tutti i deputati siciliani presenti. Nella lettera c) si legge «che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108 del progetto». Nell’articolo 108 del progetto, tra le varie regioni indicate, è compresa anche la Sicilia. Ora io domando, è questo, più che una dichiarazione di voto, è una richiesta di spiegazione ai presentatori dell’ordine del giorno, una interpretazione autentica del loro pensiero in ordine alla lettera c), soprattutto alla frase per cui le speciali forme e condizioni di autonomia devono essere adottate mediante leggi costituzionali. Anzitutto a me sembra che la forma di questa disposizione indichi il tempo futuro e non il tempo presente e tanto meno il tempo passato.

Ora mi permetto di ricordare all’Assemblea ciò che l’Assemblea sa perfettamente e cioè che per una di queste particolari regioni, e precisamente per la Sicilia, è già stata adottata una forma di autonomia. Non solo, ma contrariamente al mio pensiero – perché io in questo momento difendo la coerenza degli altri membri dell’Assemblea, più che la mia coerenza – proprio per volontà di questa Assemblea, non soltanto si è considerata come già acquisita l’autonomia della Sicilia, ma si è fatto di più: si è respinta una proposta di proroga delle elezioni e quindi si è data una indicazione precisa, si è fatta una precisa manifestazione di volontà perché in Sicilia avessero luogo le elezioni e cioè fossero creati già gli organi per l’attuazione dell’autonomia. Bene o male che ciò sia stato, ed io per conto mio posso pensare che non sia stato bene, ormai ci troviamo di fronte a un fatto compiuto. E io, che non ero del parere di fare subito le elezioni, dico ora che di fronte al fatto compiuto, noi deputati siciliani dobbiamo difendere le decisioni prese e voi deputati delle altre regioni italiane avete l’obbligo, per coerenza, di difendere pure questo fatto compiuto, che voi avete voluto. Noi, dunque, abbiamo in Sicilia un Parlamento regionale, una Assemblea regionale, che ha già cominciato a funzionare.

Io mi chiedo che cosa avverrà quando l’Assemblea Costituente, che ha già riconosciuto l’autonomia siciliana, che ha già voluto che si creassero gli organi per dare vita e corpo a questa autonomia, dirà che alla Sicilia dovranno essere concesse particolari condizioni di autonomia.

Ciò che avete scritto, significa che queste forme particolari, che queste condizioni particolari di autonomia, devono essere ancora affidate a leggi costituzionali ed io mi domando e domando ai presentatori dell’ordine del giorno: considerate voi leggi costituzionali quei vari decreti luogotenenziali o reali, i quali hanno dato la autonomia alla Sicilia e di cui uno, il più importante di tutti, quello del 15 maggio 1946 è stato registrato con riserva da parte della Corte dei Conti? E domando: conoscete ciò che è avvenuto successivamente alla votazione che voi avete fatto, cioè alla creazione di quel tale organismo importantissimo: l’Assemblea regionale, che appunto doveva dare vita e corpo alla autonomia? Sapete voi che oltre le norme statutarie e speciali per la Sicilia – lo Statuto, cioè nella Regione siciliana – vi sono anche delle norme di attuazione per cui noi attendiamo di sapere dal Governo se intende dare ad esse vigore di legge? Al riguardo, onorevoli colleghi, vi chiedo scusa se vado, apparentemente, ma solo apparentemente, al di là di una semplice dichiarazione di voto; ma l’argomento è scottante e – aggiungo – siamo tutti profondamente impreparati a discuterne, pur avendo votato pro o contro, mentre molti di noi – voglio mettermi anche io nel numero – ignoriamo o ignoravamo completamente in che cosa consiste. (Commenti).

Vorrei chiedere a ognuno di voi, specialmente a quelli i quali hanno accusato il collega La Malfa o altri di noi di essere dei sabotatori dell’autonomia siciliana, se quando avete votato per le elezioni che noi allora non volevamo, ma di cui ora difendiamo il risultato perché una volta creato il fatto compiuto dell’autonomia dell’Assemblea regionale… (Interruzioni).

PRESIDENTE. Non dimentichi, onorevole Gullo, che lei è in sede di dichiarazione di voto.

GULLO ROCCO. In sede di dichiarazione di voto io richiamo l’attenzione, prima di votare, dell’Assemblea Costituente, sulla gravità di una votazione… (Commenti – Rumori).

PRESIDENTE. L’Assemblea Costituente è consapevole dell’importanza dell’argomento in esame.

GULLO ROCCO. Ma io desidero che voi sappiate che cosa votate. (Proteste – Rumori). Non lo sapete!

LACONI. È già previsto il coordinamento con la legge costituzionale. Questi sono discorsi completamente inutili.

GULLO ROCCO. Noi abbiamo perduto due ore di tempo su una questione di procedura. Ora che si parla di cose che interessano la regione e la Nazione, vogliamo strozzare la discussione. (Applausi a destra – Rumori a sinistra).

Rispondendo ad una cortese interruzione dell’onorevole Laconi, riconosco che è perfettamente vero che nello stesso Statuto della regione siciliana si dice che lo Statuto dovrà essere presentato all’Assemblea Costituente per il suo coordinamento con le altre leggi dello Stato; ma io non farò perdere tempo all’Assemblea – pensate quanto tempo avete fatto perdere anche voi! – dicendo quello che gli altri sanno meglio di me, cioè in che cosa consiste il coordinamento; ma chiedo se domani non si potrà dire che questo ordine del giorno, in cui si parla di leggi costituzionali, non si possa riferire allo Statuto che è venuto fuori attraverso un decreto reale registrato per giunta con riserva da parte della Corte dei Conti. (Rumori).

Nello Statuto della regione siciliana, vi era anche una disposizione per cui le norme di attuazione… (Rumori).

Onorevoli colleghi, quello che sto per dire non sarà molto interessante, secondo voi, ma per lo meno è nuovo per alcuni di voi! (Proteste).

PRESIDENTE. Onorevole Gullo, le ricordo che le dichiarazioni di voto devono essere brevi e succinte.

GULLO ROCCO. Mi permetta di dire che questo ordine del giorno non è stato svolto neppure dai suoi presentatori!

PRESIDENTE. È esatto, ma tale esattezza non aumenta, se lei continua a ripeterlo!

GULLO ROCCO. Credo, signor Presiedente, che senza il brusio e la disattenzione dell’Assemblea, di cui evidentemente la colpa sta nelle mie scarse qualità oratorie, avrei già finito. (Interruzioni Commenti).

Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, consentitemi pochi minuti di tempo.

Lo Statuto dell’Assemblea siciliana, all’articolo 43, dice che «una Commissione paritetica di 4 membri, nominati dall’Alto Commissario per la Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla regione, nonché le norme per l’attuazione del presente Statuto».

Onorevoli colleghi, sapete voi cosa c’è fra le norme di attuazione? Sapete che in Sicilia i prefetti della Repubblica non sanno se debbono rimanere sul posto o se debbono andar via? Sapete che, essendo state soppresse dallo Statuto le Giunte provinciali amministrative, i Comuni non sanno ancora quali sono i loro organi di tutela e di controllo? Quali sono le conseguenze di tutto ciò? (Rumori Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Gullo.

GULLO ROCCO. Ma se non sapete che cosa volete? (Interruzioni a sinistra). Desidero informare l’Assemblea che, in seguito a questa disposizione dell’articolo 43, è stata nominata la Commissione paritetica. Questa Commissione paritetica ha dettato delle norme che sono di una grande importanza e che assumono valore di legge e nella relazione di questa Commissione – di cui è stata distribuita copia soltanto ai deputati siciliani e sarebbe stato molto bene che anche i deputati di altre regioni fossero informati, perché, vivaddio, la Sicilia è una delle regioni d’Italia e ciò che interessa la Sicilia interessa tutta l’Italia (Applausi a destra) – si fa questa affermazione, che io posso condividere, cioè che queste norme – che hanno grandissima portata perché con esse si decide la soppressione delle prefetture e la soppressione di alcuni organi molto importanti e la creazione o l’istituzione di nuovi organi – secondo la Commissione hanno valore di legge, indipendentemente da quello che ne pensa il Governo, in quanto la Commissione ha detto di aver avuto la delega per l’emanazione di dette norme. (Interruzioni a sinistra).

PRESIDENTE. Le ricordo che lei sta facendo una dichiarazione di voto!

GULLO ROCCO. Di questa digressione, signor Presidente, la colpa non è mia, ma di chi propone, all’ultimo momento, ordini del giorno di questo genere che possono investire gravissime situazioni. (Rumori a sinistra). Voi, dopo avere riconosciuto l’autonomia della Sicilia, rischiate, attraverso emendamenti aggiuntivi o soppressivi, attraverso l’impazienza dei colleghi, che non possono perdere cinque minuti di tempo, rischiate di compromettere gli interessi della Sicilia (Applausi).

Io non sono stato tra i fautori più accesi dell’autonomia, ma una volta che essa è stata data, dichiaro che sarebbe un grave pericolo, non solo per la mia regione, ma per tutta la Nazione, di cui la Sicilia è solo una grande regione, se venissimo incidentalmente, di straforo, a colpire questa autonomia che, una volta data, bisogna difendere e potenziare. (Applausi).

Ed allora concludo dichiarando, indipendentemente da altre ragioni, per la difesa dall’autonomia siciliana (di cui ripeto che possiamo essere fautori più o meno accesi, ma che una volta data, bisogna difendere per evitare i pericoli gravissimi di un fallimento) che noi deputati siciliani – e questa volta oso dire che parlo a nome di tutti i deputati siciliani (Approvazioni) – vediamo in quest’ordine del giorno, magari indipendentemente dalla volontà dei presentatori, un grave pericolo per l’autonomia, per la tranquillità della nostra regione. Nell’interesse della nostra regione, nell’interesse nazionale, noi dichiariamo di votare contro (Applausi – Rumori – Commenti).

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE, Ne ha facoltà.

PICCIONI. La mia, dato che mi rendo conto dello stato d’animo dell’Assemblea, è una dichiarazione brevissima, per quanto vi sarebbe motivo, per gli interventi che si sono avuti, di fare delle dichiarazioni più lunghe. Mi limito perciò a dichiarare che io e il mio gruppo votiamo contro l’ordine del giorno Bonomi-Togliatti; voteremo contro, perché riteniamo di interpretare esattamente il criterio dell’indirizzo seguito dalla Commissione dei settantacinque nella preparazione del progetto presentato all’Assemblea Costituente. Ed ha detto bene l’onorevole Gullo dianzi, quando ha affacciato il fondato timore, anche per l’ulteriore consistenza dell’autonomia, che un progetto di questo genere, come quello abbozzato nell’ordine del giorno Bonomi, che si vuol far passare come un progetto che rispetti e consacri le forme delle autonomie regionali, mentre ciò non è, costituirebbe un precedente che potrebbe porre in pericolo anche l’autonomia regionale consolidata in Sicilia. Ciò che è previsto dall’ordine del giorno Bonomi non è che una forma tradizionale, assai blanda, più semplice di quel decentramento amministrativo, che non ha nulla a che fare con i principî costituzionali istitutivi del principio della forma autonomista nell’ordinamento dello Stato. Bisogna inoltre rilevare la stranezza di un tale ordine del giorno che, a conclusione di una discussione generale vasta, come quella che ha avuto luogo in quest’Aula, si presta anche o si crede che si possa prestare, ad una distinzione e ad una divisione delle sue parti; cosicché chiaro appare l’equivoco denunciato da noi nelle dichiarazioni di oggi, per cui non lo si intende come un ordine del giorno vero e proprio, ma come un abbozzo di schema, che può comprendere in sé anche taluni principî fissati dal progetto stesso, ed altri nettamente discordanti.

Di fronte a queste anomalie dell’ordine del giorno – che fa passare per autonomia quello che autonomia non è, e che vuole preventivamente pregiudicare le disposizioni concrete contenute nel progetto – io dico che, necessariamente, noi dobbiamo arrivare all’esame degli articoli ed articolo per articolo, vedremo quale sarà il criterio e la forma più opportuna da applicare. Per questi motivi noi voteremo contro l’ordine del giorno Bonomi.

PRESIDENTE. Comunico che gli onorevoli Corbino, Lucifero, Rodi, Perrone Capano, Quintieri Quinto, Condorelli, Galioto, Vilardi, Lagravinese Pasquale, Colonna, hanno proposto di sostituire la lettera b) dell’ordine del giorno Bonomi con la seguente formulazione: «che la regione debba essere dotata di potestà normative nei limiti della attuazione delle leggi della Repubblica».

BONOMI IVANOE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BONOMI IVANOE. Mi permetta l’Assemblea brevissime parole per rispondere all’interrogazione che mi ha rivolto, quale presentatore dell’ordine del giorno, l’onorevole Gullo Rocco. Mi ha domandato se noi, con il nostro ordine del giorno, intendevamo mettere in dubbio l’autonomia siciliana, chiedendo che, per questo Statuto, l’autonomia potrà essere data attraverso una legge costituzionale. Rispondo che nessuno dei presentatori dell’ordine del giorno ha messo in dubbio che si voglia revocare l’autonomia siciliana.

Qui si è detto semplicemente che le quattro autonomie previste dalla legge costituzionale dovranno diventare leggi costituzionali e dovranno essere comprese nella Costituzione italiana, per dare maggiore garanzia e stabilità alla autonomia stessa. Le dichiarazioni dell’onorevole Gullo Rocco non hanno quindi nessuna ragione di essere. Di questo i presentatori dell’ordine del giorno sono perfettamente persuasi.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Per quanto si riferisce agli Statuti già concessi, non solo alla Sicilia, ma anche alla Sardegna e ad altre regioni d’Italia, questi rappresentano degli impegni i quali non potrebbero essere violati e tanto meno poi in una maniera che sarebbe fraudolenta. (Applausi a sinistra). Non partecipo dunque alle preoccupazioni espresse dall’onorevole Rocco Gullo; però io non capisco come in un ordine del giorno, quale è quello dell’onorevole Bonomi, si voglia anticipare la risoluzione di tutte le questioni cui darà luogo la costituzione futura della regione, con questo di peggio: che i caratteri essenziali del nuovo istituto, quali deriverebbero dall’ordine del giorno stesso, farebbero di quello un ente puramente amministrativo, messo sullo stesso piano di altri enti aventi il medesimo carattere e che sino ad ora sono stati regolati per legge. Con un tale processo, la materia si trasforma da costituzionale in legislativa. Quindi non mi rendo conto delle ragioni per cui questo nuovo eventuale ente debba essere inserito nella Costituzione come se si trattasse di una riforma influente sugli ordinamenti strutturali dello Stato. Esso, infatti, come dissi, è messo sullo stesso piano del Comune e della Provincia, ma non credo che ciò significhi che voi intendiate considerare il Comune e la Provincia come materia costituzionale. Noi siamo vissuti e viviamo in un sistema ben diverso; ha sempre avuto valore e tuttora vige la legge comunale e provinciale e nessuno pensa che debba far parte della Costituzione. Che se invece si vuole, secondo l’ordine del giorno Bonomi considerare alla stessa stregua i futuri Comuni e le future Provincie con la futura Regione, come facenti parte della materia regolata dalla Costituzione, voi verrete fatalmente a rendere impossibile la legislazione futura: credete a me. Voi verrete a creare tali conflitti con il potere legislativo dei Governi futuri – cioè con voi stessi, perché io non vi sarò più, ma voi qui tornerete come membri dei futuri Parlamenti – che troverete insopportabili i limiti che ora siete venuti qui stabilendo. Da legislatori vi detesterete come costituenti!

L’ordine del giorno conterrebbe una affermazione di principio, che cioè nella Carta costituzionale debba trovar sede la dichiarazione dell’esistenza della Regione accanto ai Comuni ed alle Provincie, con l’indicazione dei poteri e dei compiti del nuovo ente e di quanto sia necessario alla sua essenziale costituzione, come organi e come funzioni. Ma queste definizioni e questi ordinamenti debbono forse valere per le Provincie e per i Comuni così come per le Regioni? Che tutta questa materia sia compresa nella Costituzione è per me inconcepibile. Badate che, nella legislazione ordinaria una rilevante quota ordinaria degli atti riguarda i Comuni: è una legislazione perenne, continua. Ebbene, il futuro legislatore si troverà costretto ogni volta a promuovere una riforma costituzionale.

E poi, per venire a qualche altro particolare, che cosa significa il dire che la Regione deve essere dotata di potestà normativa nei limiti dell’attuazione e dell’integrazione delle direttive e dei principî fissati dalle leggi della Repubblica? Questo potere normativo dunque che si deve contenere nei limiti delle leggi non sarebbe altro che il comune regolamento. E i nostri Comuni non fanno continuamente dei regolamenti? E c’è bisogno per questo di discussioni e, per giunta, così concitate in sede di Costituzione?

È dal principio, da che si discusse in sede generale che io faccio questo stesso discorso. Come Assemblea Costituente, dobbiamo restare nei limiti di quelle materie che son proprie di una Costituzione. Ora, tutto questo non è Costituzione. È perciò che, per non impegnare me stesso e la mia coscienza circa quelle che potrebbero essere le conseguenze dell’approvazione di questo ordine del giorno, io voterò contro.

Una voce. Ai voti!

Un’altra voce. A domani!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sento esprimere due desideri: uno eventualmente realizzabile, l’altro no. Circa il rinvio a domani, dipende dall’Assemblea il decidere; ma passare ai voti subito non si può, perché ciò vorrebbe dire togliere senz’altro la libertà delle dichiarazioni di voto.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Propongo che il seguito della discussione sia rinviato a lunedì, perché c’era già l’intesa che per sabato mattina si sarebbe discusso il disegno di legge sulla proroga dei poteri della Costituente.

MICHELI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELI. Propongo un emendamento alla proposta fatta dall’onorevole Gasparotto, nel senso che si rimandi a martedì, perché non sembra possibile che in una sola seduta, cioè in quella di sabato, si esaurisca la discussione sul disegno di legge per la proroga dei poteri della Costituente.

LUCIFERO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIFERO. Vorrei far presente che siamo già in votazione, e che sono già in corso le dichiarazioni di voto.

LEONE GIOVANNI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LEONE GIOVANNI. Noi chiediamo che si continui nelle dichiarazioni di voto e si proceda immediatamente nella giornata odierna alla votazione stessa, perché a noi pare che le dichiarazioni di voto siano una formalità che si collega direttamente alle operazioni di voto. Pensiamo che le dichiarazioni di voto, anzi, facciano parte della votazione. Iniziate, quindi, le dichiarazioni di voto, che sono la parte preliminare della complessa operazione di votazione, a noi pare che non sia né corretto, né corrispondente alla continuità della nostra funzione, interrompere questa operazione, rinviandola a domani. Aggiungiamo a questo rilievo di carattere strettamente giuridico e politico, la difficoltà di poter rinviare a domani la votazione. Noi toglieremmo, infatti, alle dichiarazioni di voto la loro continuità, con un distacco di tempo che non corrisponde alla serietà di una votazione. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. In realtà il rilievo dell’onorevole Leone Giovanni trova corrispondenza con la pratica. Non si ricorda, infatti, che si siano rinviate ad una seduta successiva le votazioni, una volta cominciate le dichiarazioni di voto.

GASPAROTTO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GASPAROTTO. Non insisto nella mia proposta e mi associo ai rilievi dell’onorevole Leone Giovanni.

Presidenza del Presidente TERRACINI.

Comunicazione del Presidente.

PRESIDENTE. Gli onorevoli colleghi ricorderanno certamente che ieri sera si è votata una risoluzione che impegnava la Presidenza dell’Assemblea a fare nella mattinata alcune comunicazioni.

Se l’Assemblea è d’accordo, tali comunicazioni potranno esser fatte subito dopo la votazione in corso.

(Così rimane stabilito).

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE Riprendiamo le dichiarazioni di voto.

ABOZZI. Chiede di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ABOZZI. Ho presentato un ordine del giorno per l’attuazione d’un decentramento a base provinciale. Quest’ordine del giorno rappresentava anche il pensiero del gruppo a cui ho l’onore di appartenere. L’ordine del giorno non ha avuto fortuna. Tuttavia, la più elementare coerenza mi obbliga, e con me i colleghi del mio Gruppo, a votare contro l’ordine del giorno Bonomi.

Nel mio ordine del giorno era scritto che ferma doveva rimanere l’autonomia regionale già attuata in Sicilia, e, sotto questo punto di vista, mi associo a quanto ha detto l’onorevole Rocco Gullo.

BORDON. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto. (Interruzioni – Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non è tollerabile che le sedute continuino con l’andazzo che hanno preso da due o tre giorni a questa parte. Ritorniamo ad essere un’Assemblea dignitosa, seria e corretta. Se non si rientra nell’ordine, è evidente che nessun nostro lavoro acquisterà valore e significato. Prego vivamente – non ho altri mezzi della preghiera – di rendersi conto che è necessario che noi ritorniamo a quel metodo con cui abbiamo lavorato per tanto tempo sereno e ponderato. È spiacevole che alcuni non sappiano resistere agli impulsi vari che sorgono in relazione all’andamento della discussione. Concederò ancora alcuni minuti ai colleghi per le loro dichiarazioni. Poi farò la comunicazione annunciata.

L’onorevole Bordon ha facoltà di parlare.

BORDON. Domando quale deputato possa in queste condizioni svolgere il suo compito.

Voto contro l’ordine del giorno perché, anche con la riserva che contiene, esso rappresenta un assurdo giuridico.

CONDORELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Dichiaro di aderire alle dichiarazioni testé fatte dall’onorevole Gullo Rocco ed alle dichiarazioni del comune maestro onorevole Orlando. Certamente non è nella intenzione di alcuno di revocare surrettiziamente le autonomie, già concesse, a varie regioni d’Italia. Però il significato letterale dell’ordine del giorno importa indubbiamente una remora. Per questo io voterò contro questo punto dell’ordine del giorno (Commenti), e per dare la possibilità ad altri colleghi che volessero accogliere in altri punti l’ordine del giorno, io chiedo che anche sul paragrafo c) si voti per divisione. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la votazione alla quale si deve procedere è molto complicata, perché vi è un ordine del giorno che, come sanno, è diviso in tre considerando ed una conclusione. A questo proposito è stato chiesto che due di questi consideranda siano votati separatamente per divisione (Commenti), uno di questi considerando dovrebbe essere sostituito da un emendamento. Vi è, d’altra parte, la domanda di votazione a scrutinio segreto. Si tratta quasi di risolvere un rebus, a meno che non si vogliano fare tante votazioni a scrutinio segreto quante sono le parti dell’ordine del giorno. (Commenti). Io proporrei, per superare la difficoltà, che la votazione a scrutinio segreto si facesse solo sulla deliberazione conclusiva, e che viceversa, si votassero per alzata e seduta i consideranda. In questa maniera mentre si avrebbe la possibilità di affermarsi sulla parte conclusiva, non mancherebbe il modo di differenziarsi nei confronti delle parti giustificative. Questo è un modo di risolvere la questione, se non si intende fare quattro votazioni a scrutinio segreto consecutivamente.

Chiedo ai presentatori della domanda di scrutinio segreto se sono d’accordo sulla proposta che ho avanzato.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Come presentatore dell’ordine del giorno e come presentatore della domanda di scrutinio segreto, vorrei fare presente in questo momento all’Assemblea… (Interruzioni). Io comprendo quale fretta possa esservi di precisare. L’ora tarda porta all’eccitazione degli animi. Questo è un motivo concreto ed esatto; però rendetevi conto del fatto che in questo momento siamo per decidere uno dei punti essenziali della riforma dello Stato.

PRESIDENTE. La prego di venire alla conclusione.

LACONI. Chi ha presentato questo ordine del giorno e la proposta di scrutinio segreto non può rinunciare a nessuna di quelle particolarità della procedura che devono consentire la votazione più schietta e più aderente all’opinione dell’Assemblea. Quindi non si cerchi di abbreviare di un istante la votazione, perché noi dobbiamo procedere con calma e serietà.

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, le dichiarazioni di voto sono chiuse.

LACONI. È impossibile fare dichiarazioni di voto prima che sia deciso l’ordine di votazione! Se lei fa quattro votazioni diverse, io ho il diritto di fare quattro dichiarazioni di voto!

SCHIAVETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCHIAVETTI. Domando alla Presidenza se non sia possibile fare una votazione per scrutinio segreto unica con quattro coppie di urne.

PRESIDENTE. La richiesta può teoricamente attuarsi, ma occorre tener presente che si tratta di votare quattro parti organicamente connesse di uno stesso ordine del giorno. Sono evidenti le difficoltà di una votazione simile.

Ad ogni modo, si tratta adesso di stabilire se lo scrutinio segreto si debba estendere a tutte le votazioni delle singole parti dell’ordine del giorno.

L’onorevole Laconi non mi ha detto se pensa che ogni parte debba essere votata a scrutinio segreto. Questa è la domanda che io avevo posto.

LACONI. Forse lei ha chiarito il suo pensiero, signor Presidente, ma io non ho afferrato fino ad ora quali siano le parti su cui si voterà, ed è appunto in dipendenza di questa divisione dell’ordine del giorno, che noi ci riserviamo di dire su quali parti chiediamo lo scrutinio segreto.

PRESIDENTE. Vi è una prima parte in cui è detto: «L’Assemblea Costituente riconosce la necessità:

  1. a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato anche a mezzo dell’ente Regione».

Su questa parte non vi sono emendamenti.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Corbino di sostituire la lettera b) con la seguente: «che la Regione debba essere dotata di potestà normativa nei limiti della attuazione delle leggi della Repubblica». Vi è poi la proposta dell’onorevole Condorelli di votare per divisione la lettera c): «che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108 del progetto». Infine v’è la conclusione: «e delibera che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione, accanto ai comuni e alle provincie, con l’indicazione dei poteri e degli organi del nuovo ente e di quanto altro sia necessario alla sua essenziale definizione costituzionale».

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Senza pregiudizio per quanto riguarda il comportamento che noi terremo per le altre parti in cui verrà diviso l’ordine del giorno, noi chiediamo la votazione a scrutinio segreto per la prima parte.

PRESIDENTE. La richiesta di votazione per scrutinio segreto riguarda dunque questa parte: «L’Assemblea Costituente riconosce la necessità:

  1. a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, anche a mezzo dell’ente Regione».

UBERTI. Non ha senso una siffatta votazione a scrutinio segreto.

CORBINO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CORBINO. Per facilitare i lavori, e pur facendo tutte le più ampie riserve, io ritiro la proposta di emendamento alla lettera b), ed in questo caso credo che anche l’onorevole Condorelli possa ritirare la sua proposta. Noi potremo votare senz’altro se accettare o meno l’ordine del giorno. (Applausi).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Faccio mia la proposta di divisione dell’ordine del giorno presentata dall’onorevole Corbino. (Commenti al centro).

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, lei ha presentato quest’ordine del giorno come un tutto organico ed ha desiderato che come tale fosse accolto. È pensabile che vi siano taluni che non condividano il pensiero che lei ha esposto e che accettino soltanto una parte dell’ordine del giorno e chiedano, pertanto, la divisione; ma è molto strano che proprio lei chieda lo smembramento del suo ordine del giorno. (Applausi).

È evidente, onorevoli colleghi, che occorre stare sul piano delle cose comprensibili.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Alcuni non avvertono l’importanza che avrebbe la divisione dell’ordine del giorno. (Interruzioni al centro). Il fatto è che in questo momento vi è una maggioranza di persone che non desiderano un esperimento avventato dell’ordinamento regionale; invece per l’andamento che ha seguito la discussione, per i particolari modi con cui la discussione si è svolta, noi corriamo pericolo di cadere nella soluzione più estremistica, soluzione che è condannata dalla maggioranza dell’Assemblea. (Interruzioni al centro). Per questo, io pensavo di insistere sulla proposta di divisione, in modo che fòsse possibile, alle diverse parti dell’Assemblea, di specificare i loro pareri. (Interruzione dell’onorevole Uberti). L’importanza di questa divisione non era formale, ma era sostanziale. Io rinuncio a far mie le proposte dell’onorevole Corbino; però invito i settori dell’Assemblea, che avrebbero votato determinate parti, a rendersi conto del fatto che questa loro posizione può essere salvata soltanto nella votazione degli articoli.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto sull’ordine del giorno Bonomi Ivanoe e altri.

Si faccia la chiama.

MATTEI TERESA, Segretaria, fa la chiama.

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che da parte di tutti i Gruppi mi sono pervenute la richiesta di rinviare di un’ora l’inizio della seduta pomeridiana, già stabilito per le 16, e la proposta che la Presidenza faccia, all’inizio della seduta pomeridiana medesima, quelle comunicazioni che avrebbe dovuto fare al termine della votazione.

Se non vi sono osservazioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

Risultato della votazione segreta.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto sull’ordine del giorno Bonomi Ivanoe e altri:

Presenti e votanti       448

Maggioranza             225

Voti favorevoli          158

Voti contrari             280

(L’Assemblea non approva – Applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Avanzini – Ayroldi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bruno – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Buffoni Francesco – Bulloni Pietro – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Caldera – Camangi – Campilli –Camposarcuno – Candela – Canepa – Canevari – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Carbonari – Carboni – Carignani – Caristia – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cartia – Caso – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cremaschi Olindo – Cuomo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curto – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Faccio – Fanfani – Fantoni – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Filippini – Finocchiaro Aprile – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghirlandi – Giacchero – Giannini – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacometti – Jervolino.

Laconi – La Gravinese Nicola – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – La Rocca – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffioli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mancini – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazza – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Monterisi – Monticelli – Montini – Morandi – Morelli Luigi – Morelli Renato – Morini – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perlingieri – Perrone Capano – Persico – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Priolo – Proia – Pucci – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Rumor.

Saccenti – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sansone – Saragat – Sardiello – Sartor – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Sereni – Sicignano – Siles – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Tambroni Armaroli – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Venditti – Vernocchi – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vigorelli – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zagari – Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Sono in congedo:

Bernardi.

Carratelli.

Ghidini – Gui.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani Enrico.

Pellizzari.

Rapelli – Russo Perez.

Vinciguerra.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.15.

POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 12 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXLVIII.

SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 12 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Commemorazione:

Pieri                                                                                                                  

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Risposta del Vicepresidente del Consiglio di Stato del Paraguay al messaggio dell’Assemblea Costituente:

Presidente                                                                                                          

Comunicazioni del Governo (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                        

Morandi                                                                                                           

Tremelloni                                                                                                      

Cerreti                                                                                                             

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Bellavista                                                                                                       

De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri                                                

Bettiol                                                                                                             

Mazzoni                                                                                                            

La Rocca                                                                                                          

Gronchi                                                                                                            

Laconi                                                                                                               

Dossetti                                                                                                            

Marina                                                                                                             

Benedettini                                                                                                      

Fresa                                                                                                                

Benedetti                                                                                                         

Giannini                                                                                                            

Pignatari                                                                                                          

Caroleo                                                                                                           

Scoccimarro                                                                                                    

Valiani                                                                                                             

Vigorelli                                                                                                          

Togliatti                                                                                                          

Fuschini                                                                                                            

Interrogazione con richiesta d’urgenza:

Pressinotti                                                                                                       

Scelba, Ministro dell’interno                                                                              

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio):

Presidente                                                                                                        

La sedata comincia alle 16.

MATTEI TERESA, Segretaria, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.

(È approvato).

Commemorazione.

PIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERI. Onorevoli colleghi, per un malinteso, ieri, nella seduta pomeridiana, all’inizio non ebbi la parola che avevo domandata per ricordare all’Assemblea Costituente, a nome dei medici che ne fanno parte, che ieri ricorreva il centenario della nascita di Carlo Forlanini, ideatore del pneumatorace per guarire la tubercolosi polmonare, una delle più luminose figure che onorano il nostro Paese nel campo della medicina e del progresso civile.

Nacque a Milano l’11 giugno 1847. A lui la medicina deve il pneumatorace terapeutico per la cura della tubercolosi polmonare, che ad oltre 75 anni dalla sua scoperta, dopo aver superato tutto il misoneismo che sempre osteggia le grandi scoperte, resta la conquista più grande nella terapia della tubercolosi polmonare, ed una vera pietra miliare nella storia della medicina.

Per esso, la terribile leggenda millenaria della inesorabilità della tubercolosi polmonare è stata demolita e l’insidia del bacillo di Koch è apparsa domabile. Tanta parte della umanità che prima, vinta dalla disperazione, era votata ad un amaro destino, ha riacquistato la fiducia nella vita e la gioia del lavoro.

Nella nostra Italia, dove la mortalità annua della tubercolosi al principio di questo secolo era di 60 mila persone, nell’ultima statistica, quella del 1939, era discesa a 30 mila morti annui.

In Carlo Forlanini, al genio dello scienziato si accompagnava l’altissimo sentimento patriottico per cui, a 19 anni, si arruolò come volontario nella legione garibaldina e combatté a Bezzecca, ed il senso profondo di umanità per il quale egli visse per la sua scoperta, sempre assorto a difenderla e perfezionarla per il bene degli uomini. Altri hanno in seguito raccolto i suoi insegnamenti, e portano ora la fiaccola, protendendola verso il futuro, e l’idea scaturita dal cervello di Forlanini ha dato così inizio alla più umana e benefica delle battaglie.

Noi ci auguriamo che la nostra Assemblea onori oggi Carlo Forlanini nel modo più opportuno ed efficace, formulando il fermo proponimento che la lotta contro la tubercolosi non abbia tregua né sosta, poiché la salute dei cittadini rappresenta il sommo bene per l’individuo e la più grande ricchezza per la Nazione. (Applausi).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Gui.

(È concesso).

Risposta del Vicepresidente del Consiglio di Stato del Paraguay al messaggio dell’Assemblea Costituente.

PRESIDENTE. Comunico che il Vice presidente del Consiglio di Stato del Paraguay, in risposta al messaggio della nostra Assemblea Costituente, ha espresso la profonda ammirazione della sua Nazione per l’Italia, che definisce «culla della civiltà e della cultura latina», formulando i migliori voti per la ricostruzione totale del nostro Paese e per il suo crescente progresso nel mondo. (Vivissimi generali applausi).

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

È iscritto a parlare l’onorevole Morandi. Ne ha facoltà.

MORANDI. Onorevoli colleghi, riconoscerete che non è sulla base delle comunicazioni fatte dal Presidente del Consiglio che noi si possa seriamente stabilire un giudizio sull’indirizzo che sarà impresso all’opera a cui si accinge il nuovo Governo.

L’onorevole De Gasperi non ci ha detta una parola delle ragioni che l’hanno portato alla crisi per l’allargamento, e determinato poi a mettersi a capo di un Governo di colore.

Egli ha deluso così la nostra legittima attesa e curiosità di vedere con quali armi dialettiche avrebbe tentato di dimostrare che il corso di una politica, di cui egli ha per un anno e mezzo portato la responsabilità più diretta, non sia stato da lui bruscamente rovesciato con un’azione puramente personale.

L’onorevole De Gasperi non ha saputo trasfondere alcun calore di convinzione nelle sue dichiarazioni, e possiamo comprendere del resto come questo dovesse riuscirgli impossibile. Egli non è mai stato dinanzi a noi così freddo e chiuso: questo vuol dire, per chi lo conosce, che ha una contrarietà da celare. E quel che ha celato è il suo corruccio, per non essere riuscito a rovesciare sulle sinistre le responsabilità della crisi e del difficile e pericoloso corso che ha avuto. Egli infatti si è ridotto a sganciarsi maldestramente da esse, quando, sotto l’urgenza delle cose e impensatamente per lui, contro la volontà che l’aveva sempre animato di tenerlo nell’impotenza, un’azione unitaria e lineare si è sviluppata dal seno del tripartito.

Così, dopo essersi invano ostinato a sostenere, per aprirsi una via parlamentare all’operazione ideata fin dal dicembre, che nulla c’era da mutare al programma di emergenza tracciato già dal passato Gabinetto, egli è costretto oggi a rimanipolare proprio quella dichiarazione di Governo dell’aprile, cui s’era lasciato sospingere in un’ora difficile, ma che doveva per l’appunto obbligarlo poi, per svincolarsene in tempo, a bruciare le tappe nell’esecuzione del suo vecchio disegno.

Onorevole De Gasperi, mi consenta, con tutta la deferenza che le porto, di dire che non mi sembra convenga al prestigio del suo nuovo Governo e s’addica all’autorità dell’eminente persona cui ella ha affidato la Vicepresidenza che si stia ora a sforbiciare il programma economico del Gabinetto da quella dichiarazione e ad insistere ancora su quei quasi famosi quattordici punti, ch’ella sa benissimo essere stati in origine semplicemente una serie di motivi appuntati da me, per prenderne riferimento nello svolgere al Consiglio dei Ministri una diffusa relazione sulla nostra situazione economica e in particolare sull’andamento dei prezzi. Essi furono utilizzati poi quasi tal quale nell’intento di fissare sinteticamente tutto un orientamento di azione approvato dal Gabinetto, che oggi viene nel suo significato e nella sua sostanza abbandonato, se non capovolto. L’enunciazione pubblica di punti, in qual si voglia numero, era del resto fuori di ogni mia previsione o proposito: questo conviene che dica a mio discarico, dopo che è stato causticamente rilevato, credo dall’onorevole Nitti, che al Signore bastarono dieci punti per ordinare il mondo.

Ricordiamo comunque come furono accolti questi quattordici punti dalla stampa gialla, oggi osannante al nuovo Governo che li riconferma. Buoni i primi due o tre, che significavano la consapevole accettazione da parte nostra di misure che dovevano forzatamente tradursi in nuovi sacrifici per i lavoratori. Eresie e mostruosità tutti gli altri. Del resto posso anche immaginare le aspre critiche che si sarebbero levate da certi settori, che hanno confortato del loro applauso il Presidente del Consiglio, se mai mi fossi presentato a svolgere di persona dinanzi all’Assemblea il programma su di essi incardinato e che era da sviluppare. Su queste critiche l’onorevole De Gasperi aveva forse accortamente calcolato per legittimare la sua così detta operazione di allargamento, ossia, in più povere parole, la crisi. E questo è probabilmente l’imbarazzo che la sua reticenza ha espresso.

Tutto ciò si confà però ugualmente, per un altro verso, all’interesse che l’onorevole De Gasperi ha di non dare neanche a questo Governo – e sotto certi aspetti tanto meno adesso – una linea che lo possa troppo caratterizzare: egli deve pure avere occhio al grosso del suo Partito, che non è costituito da plutocrati, ma da lavoratori, i quali non si differenziano per condizione di vita dagli altri, che sono di diverso colore, e si trovano assillati dagli stessi penosi problemi d’esistenza.

Pertanto, dal momento che l’onorevole Presidente del Consiglio considera la materia dei programmi di una tale elasticità, da poter essere rimessi per l’esecuzione a chi si ispira all’una come all’opposta tesi, noi siamo indotti a chiederci quanta parte della dottrina dei due illustri uomini di scienza, cui s’è affidata la regolazione dei centri motori e inibitori della politica economica, si verserà nell’azione di governo. È un po’ difficile prevederlo, poiché non c’è dubbio, onorevoli colleghi, che l’arte di governare – ed oggi soprattutto in una condizione così mossa, così piena di contrasti e di incognite – può suggere ben poco dalla dottrina e tanto meno nutrirsi del dubbio, che è canone della ricerca, ed ha troppo travagliato in questo periodo – con ben nefasti effetti, ahimè, nella pratica – la mente dell’onorevole Einaudi in materia di politica valutaria. Prima di farlo magicamente calare con la stregoneria di questi giorni, chi ha sospinto il cambio tanto all’insù, ostinandosi a conservare il 50 per cento della valuta libera? Non dirò del cambio nella moneta, poiché in questo caso egli mostrò – come governatore della Banca d’Italia – di possedere tale decisione da saper mettere in atto ogni mezzo, per renderlo alla fine praticamente inattuabile.

E dobbiamo chiederci quanta parte d’altronde, quella che è la prassi spregiudicata dell’alta finanza e della grande industria, prenderà nella politica economica del Governo, attraverso l’opera del nuovo Ministro pieno di vigore che va a maneggiare la leva più delicata di comando, quella del commercio estero.

Non tarderemo a vederlo se questo Governo dovesse superare, come noi vogliamo augurarci, che non sia il primo collaudo del nostro voto. Quel che è certo è che l’onorevole De Gasperi ha inteso, fagocitando questi tecnici, di sottrarsi ad una politica popolare coerente ispirata agli interessi della stragrande parte degli italiani, che penano per saldare la sera col mattino. Sotto un tale aspetto c’è stata veramente una paradossale dose di ingenuità nella pretesa avanzata verso di lui da qualche Gruppo a noi vicino, di avere per sé la direzione economica del Governo, la quale proprio doveva evolvere – questa è stata la ragione della crisi – nell’opposto senso.

È inutile che noi chiediamo all’onorevole De Gasperi dove egli voglia arrivare.

L’operazione politica che egli ha svolto ci parla ben altro linguaggio di quello che non abbia tenuto a quest’Assemblea. Ci dice con grande rudezza questo: che si vuole eludere gli angosciosi problemi che angustiano la popolazione, che si è decisi a non marciare in attesa di invertire il cammino: perché la fiducia che deve sostenere il Governo non è più quella del popolo lavoratore, desideroso d’impegnare tutte le sue energie per riaprire al Paese le vie dell’ascesa, ma quella dei magnati del capitale dell’interno e di fuori, quella che si cucina nelle Borse e deve spuntare nella prava coscienza di chi ha accumulato ricchezze sulla devastazione della vita nazionale.

Onorevole Presidente, voi ci avete detto: «Difendere la lira». Questa è l’ufficiale etichetta del nuovo Governo. Sì, voi vi disponete a difendere la lira, difatti, ma con quei mezzi che torna conto di usare alla borghesia possidente. Ebbene quando, costringendo a fame più nera i lavoratori e infittendo ancora le schiere dei disoccupati, vi sarete guadagnata la fiducia dei banchieri, dei commercianti, dei grandi industriali e degli agrari, che farete poi?

Difendere la lira: ma non ci avete precisato come, quasi consistesse in qualcosa di meccanico e non ci fossero modi diversi per farlo.

Vedete: difendere la lira, vuol dire per noi altra cosa da quel che voi avete avuto in vista affidandovi al forte terzetto che tiene nel vostro Governo le leve della manovra monetaria. Vuol dire non semplicemente difendere la sua convertibilità, ossia il rapporto di cambio di un segno monetario con altre monete, ma difendere piuttosto l’esistenza di un popolo minacciato dal pericolo di una catastrofe monetaria. Non vuol dire presidiare la ricchezza, ma salvaguardare il lavoro e le sole possibilità di vita che da esso trae l’immensa parte della popolazione.

Voi ci avviate inconsciamente ad un disastro, proponendovi di difendere la lira con mezzi puramente finanziari, e, quel che è tragico, esso sarà del tutto inutile. Inutili saranno le sanguinose sofferenze che, per le vie sulle quali vi inoltrate, incontrerà la popolazione lavoratrice, inutili i fallimenti che i nostri liberisti oggi si trovano ad auspicare perché si ristabiliscano quelle norme di giuoco, che – essi lo sanno pure – hanno per presupposto la capacità del mercato di sodisfare i bisogni essenziali della vita e le esigenze dello sviluppo economico.

Essi infatti ci debbono ancora dimostrare come possa mai spontaneamente assestarsi, per virtù insita nella libera concorrenza e nella esplicazione dell’iniziativa individuale, un’economia stremata di risorse come è oggi la nostra, una situazione come è quella in cui precariamente viviamo, caratterizzata da una estrema penuria di beni e stringente carenza di materie.

Il programma economico di questo Governo non è quello che ci è stato esposto, ma piuttosto è semplicemente il proposito di elevare l’interesse delle categorie abbienti sopra la dura condizione che si è creata per noi per effetto delle disastrose vicende che abbiamo attraversate.

Guardiamo alla nuda realtà delle cose, se vogliamo, onorevoli colleghi, stabilire su questa questione un giudizio scevro di preconcetti e di passione.

Consentitemi una rapida incursione in una materia più soda della polemica, anche se può riuscire un po’ pesante a chi ne tratti, senza possedere la scintillante oratoria dell’amico Corbino.

Con la fine dell’U.N.R.R.A. la nuova congiuntura economica ci pone davanti al problema di come provvedere coi nostri mezzi all’acquisto sui mercati esteri dei beni di cui abbisognarne. Il pericolo che nell’attuale momento noi corriamo è precisamente quello di ricadere in quel circolo chiuso, dal quale ci è stato possibile di uscire solo grazie all’aiuto che abbiamo avuto dall’esterno.

Per quanto non ci sia paragone da fare tra la situazione di oggi e le condizioni disperate in cui ancora versavamo un anno e mezzo fa, resta il fatto che l’aiuto accordatoci ci ha permesso sì di risalire dal precipizio, ma non di sorpassare un livello medio, tuttora molto basso, di produzione.

Da questo fatto derivano in catena una serie di conseguenze: insufficienza dei mezzi di pagamento ricavabili da quel tanto che possiamo destinare all’esportazione e che sono necessari ad assicurarci i rifornimenti essenziali – scarse possibilità di riassorbire sul piano produttivo la disoccupazione, applicando in pieno la nostra forza di lavoro – difficoltà di aumentare i rendimenti, perché la scarsità di materie, la miseria e la disoccupazione costituiscono altrettanti ostacoli alla realizzazione del processo produttivo: maestranze esuberanti da un lato, aggrappate alla fabbrica come ad una tavola di salvezza; aziende che mendicano l’aiuto dello Stato dall’altro e si trascinano stentatamente, contradizione drammatica in cui viene ad essere avvolta la politica del Tesoro, premuto per un verso da esigenze di ordine economico che ne richiedono l’intervento, per un altro dalle esigenze di bilancio che ad esso si oppongono.

Da che parte cominciare in una situazione come questa? I consigli interessati non mancano. Ma sono cattivi consiglieri quanti prospettano la situazione sotto qualsivoglia angolo visuale che non sia quello dell’interesse della generalità. Pertanto, pare che il nuovo Governo ad essi precisamente si sia arreso.

Occorrono prestiti e la partecipazione del capitale straniero e dunque, essi dicono, è ozioso preoccuparsi di altro e di salvaguardare la nostra indipendenza economica. È necessario incrementare le esportazioni, e dunque cediamo anche tutta la valuta agli esportatori, perché siano in grado di forzare; bisogna aumentare i rendimenti, e dunque togliamo ogni limitazione ai licenziamenti; si debbono contenere i costi e normalizzare i prezzi, e dunque fermiamo i salari e rendiamo libertà al mercato.

In realtà, la situazione è tale da non poter essere dominata da questo lato solo, che rappresenta l’assicurazione di profitti ai capitalisti, ma investendola da tutti i lati assieme.

Indubbiamente occorre che si moltiplichino gli sforzi per ottenere la partecipazione del capitale straniero alla nostra ricostruzione sotto forma di prestiti, con apertura di crediti, attraverso investimenti. Ma l’onorevole De Gasperi si è guardato fin qui dal farlo, per il timore che ne acquistasse merito e forza il tripartito e per cinque mesi ha voluto che marciassero le trattative per il prestito della Export-Import Bank. Questi famosi cento milioni di dollari debbono piovere solo ora come benemerenza del nuovissimo Governo, il quale avrà cura certamente di concedere forme più lucrose di acquisizione ai grandi industriali.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Lei sa che non è esatto quello che dice.

MORANDI. Questa è la mia convinzione.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Allora mi dispiace che abbia una convinzione non fondata. Lei sa benissimo quando sono stati accantonati i cento milioni per il tripartito.

MORANDI. Ma le trattative per la loro utilizzazione…

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Le trattative dipendevano, caso mai, dal Ministero dell’industria e non da me. (Applausi al centro).

Come si può accusarmi di aver lasciato stagnare apposta le trattative? Questo supera ogni limite! (Applausi al centro).

Una voce a destra. Questa è malafede!

MORANDI. Onorevole Presidente del Consiglio, le mie parole sono tanto libere e crude, oggi, quanto è stata leale sempre l’opera che ho prestato al suo fianco. (Applausi a sinistra).

Non molti hanno un’idea della reale proporzione in cui questo concorso è necessario per assicurare la vita al nostro sistema economico, per consolidare e portare a sviluppo la ripresa iniziata nell’anno decorso.

Fino ad oggi nessun intervento è stato trattato in misura anche lontanamente proporzionata alla possibilità di riportare la nostra attività ad un livello che ci consenta di bastare con le nostre forze a noi stessi.

Ma anche quando le nostre richieste trovassero il più favorevole accoglimento – dal momento che non è su una improvvisa pioggia di miliardi di dollari che noi possiamo contare – il nostro problema non si potrebbe risolvere se non con l’impiego più razionale ed oculato delle nostre attuali risorse, e di tutte quelle di cui potremo in aggiunta venire a disporre. Questo significa che le nostre forze non possono essere lasciate libere di esplicarsi secondo il tornaconto individuale, ma debbono essere fatte convergere su obiettivi determinati, poiché, in relazione appunto alle proporzioni di questo concorso, noi dovremo attenerci ad una produzione ed importazione prevalentemente di beni di consumo, ovvero potremo maggiormente sviluppare la produzione di beni strumentali e l’importazione di materie. Senza una così vasta manovra delle forze economiche, noi non possiamo evitare di cadere in crisi, in una crisi che non sarebbe soltanto – è appena necessario avvertirlo – una crisi economica.

Non si vede come si possano attuare più, oggi che siamo completamente allo scoperto e senza più un sostegno di sicurezza, le sperimentazioni alterne o miste di liberismo e vincolismo che abbiamo potuto praticare nella fase scorsa, operando su ridotta scala o per settori singoli. E allora queste sole sono le vie che noi possiamo battere:

o realizzare – come fino ad un mese fa il Presidente si dichiarava disposto a fare – un ordine che non può scaturire dallo sbrigliarsi della iniziativa individuale e deve proporsi di sodisfare alle esigenze vitali della collettività, rafforzando, per conseguire questo fine, l’autorità dello Stato democratico;

o abbandonare qualsivoglia regolamentazione e disciplina pubblica, smantellando ogni struttura di direzione e di controllo, mettere le forze del lavoro alla mercé del capitale e porre all’incanto lo Stato. È questa l’impresa cui oggi l’onorevole De Gasperi si accinge, a capo del suo nuovo Governo.

Oggi si vuole, onorevoli colleghi, ipnotizzare il Paese, ricercando le cause dell’inflazione che ci minaccia esclusivamente nello stato del bilancio, per distrarre l’attenzione dalle cause vere che toccano la moralità e il civismo delle classi abbienti. Dobbiamo, del resto, dire che tutti gli elementi portati fino ad oggi a nostra conoscenza, non consentono – se vogliamo essere sinceri – una disamina seria della reale situazione finanziaria. Va dato merito all’onorevole Campilli di essersi sforzato di porre un ordine nelle cifre. L’onorevole Corbino si era perfino dimenticato di impostare l’onere derivante dal prezzo politico del pane.

CORBINO. Perché contavo di abolirlo; ecco perché. (Commenti a sinistra).

LEONE FRANCESCO. Tanto, i suoi amici lo possono pagare a duecento lire il chilo!

CORBINO. L’avete abolito anche voi altri!

MORANDI. Neanche l’onere del prezzo politico del pane del resto corrisponde in effetti alla cifra di 90 o 100 miliardi messa in conto da Campilli, perché è da detrarre il saldo attivo di cassa derivante in pratica dal grano ceduto dall’U.N.R.R.A.

E così, non sappiamo bene capire con quali intenzioni, da parte della Ragioneria generale dello Stato, altre cifre sono state allineate al passivo, quando costituivano uno stanziamento puramente nominale, mentre alcune cifre sono state alterate in difetto quando dovevano figurare all’attivo. Questo solo spiega del resto come il deficit di previsione abbia potuto essere ridotto della metà nel giro di due mesi, che han potuto essere utilizzati per un miglior vaglio di esse. Del resto, c’è da domandarci come delle previsioni serie oggi possano essere fatte. Resta però il fatto che indubbiamente non è nel bilancio l’epicentro del pericolo.

Una politica economica la quale abdichi dinanzi all’egoismo dei ceti privilegiati, alla manovra delle forze produttive, e si proponga come soli obiettivi la limitazione rigida della circolazione monetaria e il riassestamento a tappe forzate del bilancio può strozzare oggi, nelle delicate condizioni della nostra economia, la vita della Nazione.

I problemi imponenti, onorevoli colleghi, che noi abbiamo dinanzi si chiamano: la disoccupazione di massa; la minacciata degradazione economica del nostro Mezzogiorno; la specifica formazione nel territorio nazionale di aree depresse; la così detta riconversione dell’industria meccanica, che presuppone la sistemazione del grande complesso I.R.I.; infine, come condizione generale della nostra vita economica, la ripercussione che può avere, sul costo della vita e il potere di acquisto dei salari, l’allineamento dei prezzi al rapporto di cambio della nostra moneta.

Formazione e riqualificazione di maestranze – intervento volto ad evitare la cristallizzazione perniciosa delle aree economicamente depresse, dove è stasi di ogni attività – incremento di ogni attività economica nel Mezzogiorno: dobbiamo proprio chiudere gli occhi davanti a queste primordiali necessità della nostra ricostruzione? La nostra condizione è tale da impedirci veramente uno sforzo serio in queste direzioni? Noi sosteniamo che no, e che non dobbiamo lasciarci abbacinare da una situazione di bilancio, che è seria indubbiamente, ma non è così tragica e nera come si tende a rappresentare, quando sia vero per lo meno che si intende di applicarsi con la più strenua energia alla esazione dei tributi. Del resto tanto varrebbe a rinunciare del tutto al nostro domani ed a risollevarci mai, poiché la nostra politica di risanamento finanziario risulterebbe di ben corta vista, se non si preoccupasse di schiudere nuove fonti di attività e di ricchezza.

Noi abbiamo già affacciato la possibilità ed opportunità di destinare il fondo-lire U.N.R.R.A. alle grandi opere di rigenerazione economica. Si tratta di molte diecine di miliardi che a questo fine precisamente, secondo le vedute e i programmi dell’U.N.R.R.A., dovrebbero essere devoluti e che, impiegati a spizzico, potrebbero disperdersi con ben scarso vantaggio per l’economia della Nazione. So che in gran parte rappresentano oggi delle impostazioni nominali, perché il Tesoro li ha già utilizzati. Ma è anche vero che essi in un modo o nell’altro debbono uscire di nuovo, magari per un ammontare ridotto, dalle casse dello Stato, perché una destinazione ad essi comunque si dia. Pertanto, sarebbe ora che si levasse il velario che si è calato sulla gestione di questo fondo. La domanda è rivolta direttamente alla Presidenza del Consiglio da cui dipende la Delegazione italiana dell’U.N.R.R.A., la quale, senza che nessuna informazione sia stata data mai al pubblico né ai Ministri dei precedenti. Gabinetti, ha già fatto per suo conto una serie di progetti col proposito manifesto di continuare a disporre in avvenire di questo fondo fuori di ogni controllo.

Ci sono stati già una serie di incontri e di scontri su questo terreno con la missione alleata dell’U.N.R.R.A, cui si è in più modi riusciti a forzare la mano. Si tratta di 70-90 miliardi. I Ministri dei precedenti Gabinetti, per lo meno quelli che non erano democristiani, sono stati sempre tenuti del tutto all’oscuro di questa faccenda, che rappresenta una delle tante manifestazioni di accaparramento di posizioni e di influenze che si fa da parte della Democrazia cristiana sotto le materne ali della Presidenza del Consiglio, le quali si conservano tuttora non per nulla così vaste come la dittatura le aveva fatte.

Quando si costituì il passato Gabinetto si era dato incarico ad un ristretto Comitato del CIR di portare a soluzione quello che è diventato il problema I.R.I, riconoscendo tutta la rilevanza che esso era venuto ad assumere nel quadro dell’economia italiana, del cui risanamento è un po’ il presupposto. Ad una soluzione, per lo meno nelle grandi linee, formalmente s’era arrivati all’atto della crisi. Ma nelle dichiarazioni di Governo che abbiamo ascoltate se ne è più completamente taciuto. Ora le idee varie volte manifestate al riguardo dall’onorevole Einaudi, ci impongono di chiedere al nuovo Governo che sollecitamente si esprima al riguardo.

Troppi interessi si sono in questi ultimi tempi agitati per accaparrarsi delle posizioni e troppe premure sono state fatte per una pronta e larga smobilitazione dell’I.R.I., se non addirittura per la sua liquidazione. Si sappia che noi, non consentiremo in nessun modo che queste manovre volgano al risultato nefasto a cui mirano, di privare cioè lo Stato dello strumento più importante di cui disponga per recare ad attuazione una politica produttiva e creditizia improntata agli interessi della collettività. Ricorreremo ad ogni mezzo per attraversare i disegni di chi muove all’attacco del mastodontico organismo, per divorarne la polpa e lasciarne lo scheletro a maggiore imbarazzo dello Stato.

La potenza dell’I.R.I. è presto raffigurata, se si considera che le Banche dall’Istituto controllate dispongono di poco meno di un terzo dei depositi bancari esistenti in Italia. Le imprese siderurgiche vengono a rappresentare circa il 45 per cento della produzione di acciaio e si aggiunga in proposito che, all’infuori del complesso I.R.I., lo Stato è proprietario di un’altra grande azienda siderurgica, la Cogne. Dall’I.R.I. viene controllato circa l’85 per cento dell’attività cantieristica, oltre ad industrie meccaniche importantissime. L’I.R.I. controlla infine il 40 per cento del nostro tonnellaggio marittimo ed in una proporzione molto più grande la navigazione di linea.

Bastano questi riferimenti a dire quale formidabile strumento di azione possa essere esso, proprio quando si voglia esercitare una influenza ed imprimere un indirizzo sulla produzione senza ricorrere alle regolamentazioni coattive.

Si vede, infatti, come nel settore siderurgico sia dato di impostare fondamentalmente i problemi della riconversione, della ricostruzione ferroviaria e della edilizia popolare, nel settore cantieristico quelli della ricostruzione della flotta mercantile od una politica di produzione che serva eminentemente alle nostra manovra valutaria; in quello telefonico ed elettrico la razionalizzazione delle telecomunicazioni ed un’azione equilibratrice, che potrebbe avviare a soluzione senza interventi drastici tanti gravi problemi dell’industria elettrica; infine come la nostra politica creditizia abbia il suo perno nel settore bancario dell’istituto.

Nella sfera dell’industria, nuova parte ha dovuto assumere lo Stato attraverso le operazioni finanziarie svolte dall’I.M.I. Esse riguardano prevalentemente il settore meccanico, e non si può dire ancora a quali risultati ci possano portare. Dipenderà dall’andamento generale della congiuntura se le aziende private che hanno avuto questi aiuti potranno reggere, o non finiranno per cadere sulle braccia dello Stato. In ogni caso è una situazione che deve essere opportunamente inquadrata e vigilata per evitare il pericolo che vada alla deriva, originando nuove crisi.

I nostri liberali e liberisti, che troppo facilmente si abbandonano all’elogio dell’iniziativa privata, per deprecare ogni intervento dello Stato, e poi – come è accaduto per mano del liberale e liberista Corbino, quando era Ministro del tesoro – allargano molto volentieri le maglie della borsa per sodisfare le richieste che i privati imprenditori avanzano, ricattando lo Stato, debbono mettersi d’accordo con se stessi.

Noi sappiamo che proprio per l’avvio dato dal collega onorevole Corbino sono stati spesi molto male, nel complesso, quella dozzina di miliardi che il Tesoro ha direttamente erogato alle industrie (per circa 2/3 alle industrie private). Basti dire che soltanto il gruppo Caproni, la Fiat, Breda e Franco Tosi ne hanno inghiottito 5 sugli 8 che sono andati a imprese private. Abbiamo anche aziende a stretto carattere personale che sono state sovvenute dallo Stato per somme vistosissime, in molti casi non si vede a quale altro titolo che non fosse la loro potenza finanziaria, che li metteva meglio degli altri in grado di speculare sullo svilimento della moneta. Né più utilmente e con sufficienti cautele sono state dallo Stato prestate garanzie con concorso al pagamento degli interessi, per 24 miliardi, su prestiti all’industria, dei quali le banche hanno preferito di non assumere i rischi.

Quando, come Ministro dell’industria, mi feci sostenitore del diritto che lo Stato ha di salvaguardarsi nell’impiego del denaro pubblico e del dovere che ha il capitale privato di correre rischi di congiuntura, se vuole conservare legittimo titolo alla proprietà delle imprese, fui accusato in coro, da tutta la stampa liberista, di perseguire il celato fine di metter mano sull’industria privata; alla fine mi riuscì però di convincere il Tesoro a un cambiamento. Pertanto il freno che opportunamente nel più recente periodo era stato posto, già minacciava di stringersi troppo, per mano del Ministro Campilli, al punto di impedire o render nullo, in settori di produzione che sono di vitale importanza, uno sforzo adeguato di recupero. Quale via intende di tenere il Ministro Einaudi? Qui pure siamo davanti ad una di quelle situazioni che vanno affrontate nel quadro di tutta la dinamica economica, la quale dovrebbe trovare nell’azione governativa un’ispirazione e un indirizzo, che invece non mostra di avere.

Il Presidente del Consiglio, accennando all’azione che il Governo intende di svolgere nel campo dei prezzi, ha riesumato qualche frase della famosa dichiarazione d’aprile. Noi ne prendiamo scandalo a nome del Vice-Presidente, il quale non crede per nulla a tal genere di sofismi che possono solo albergare nella nostra mente di statolatri. Abbiamo la ventura di conoscere tutti il suo pensiero al riguardo, perché ognuno di noi legge sempre volentieri un articolo di Luigi Einaudi.

L’esperienza è però, almeno su un punto, conclusiva in materia di regolazione di prezzi. Essa ci dice che il prezzo delle merci, quando esse si rarefanno sul mercato, si svincola dagli elementi del costo, i quali ne sono in condizione normale di concorrenza la fondamentale determinante, e tende a stabilirsi in semplice funzione d’una domanda che presenta la più grande irregolarità e mutevolezza. Così, per quanto i prezzi vincolati che interessano la sfera dell’economia privata fossero già stati nella generalità dei casi adeguati ai costi, tali cioè da remunerare il produttore ed il commerciante (ossia «prezzi economici»), scarti enormi noi abbiamo visto determinarsi tra essi e quelli che il consumatore è disposto a pagare. Su un mercato depauperato avviene d’altra parte paradossalmente che gli scarsi beni a disposizione siano attratti dai settori d’impiego meno essenziali e dalle categorie che sodisfano eccessi di consumo. Per queste ragioni il controllo dei prezzi ha ben dubbia efficacia, se non si attua in stretta correlazione con una regolamentazione preferenziale della produzione ed una disciplina degli scambi, dei consumi e delle valute.

L’onorevole De Gasperi non può certamente dire che i partiti della sinistra, della cui collaborazione ha voluto sbarazzarsi, non abbiano dato prova di senso di responsabilità accettando di addivenire, come premessa necessaria del risanamento finanziario, alla graduale abolizione dei prezzi politici, che vuol dire inevitabilmente scaricarne l’onere soprattutto sulle classi meno abbienti.

Ma noi intendevamo che queste misure, così come l’inasprimento effettuato delle imposte indirette, la contrazione delle spese in generale e la graduale normalizzazione dei prezzi vincolati, venissero controbilanciati con quel complesso di azioni rivolte a salvaguardare il livello di vita dei lavoratori e dei ceti più miseri della popolazione, che noi non abbiamo ottenuto venissero dal precedente Governo messe in atto se non in piccolissima parte, e che non abbiamo fede alcuna che questo Governo realizzi. Perché? Perché ricordiamo quale coro di dileggi e di proteste si sia levato contro la semplice enunciazione che se ne fece, proprio da parte di chi oggi sostiene questo Governo e lo tiene, lo voglia esso o no, suo prigioniero. Perché sappiamo che alle pressioni di chi le osteggia, alle pressioni degli agrari, degli industriali e dei commercianti, questo Governo cederà: cederà tanto più di buon grado in quanto esso è stato composto dopo di aver tenuto consulto coi dirigenti delle associazioni padronali ed essersene guadagnata la benevolenza. Si capisce che esse ben tollerano oggi un affronto ai sacri canoni dell’egoismo mercantile, se questo può servire all’imbonimento del pubblico, e sono così disposte a digerirsi i 14 punti e quanti altri punti si vogliano: sono denti che non morderanno mai nelle loro carni.

Per quanto riguarda quelli che impropriamente si chiamano «prezzi politici», è da tener presente quando si parla della loro eliminazione, da una parte il gravame rappresentato dall’accollo al Tesoro dell’integrazione per determinati generi o per la gestione di servizi pubblici fortemente deficitari; dall’altra un onere virtuale relativo all’applicazione di un tasso di cambio, nella utilizzazione dei fondi in valuta a disposizione dello Stato, non più rispondente alla linea di equilibrio dell’attuale nostra situazione.

Qui tocchiamo una delle questioni più delicate che si pongono agli effetti dell’equilibrio del nostro sistema economico, voglio dire la questione valutaria. C’è da temere fortemente che questo Governo non sia capace di risolvere la contradizione che noi vediamo già profilarsi, tra un’azione intesa a recuperare la lira all’interno con mezzi puramente finanziari (e per ciò stesso già per sé insufficienti), ed un’altra in direzione decisamente opposta, che la lascia liberamente rotolare sul mercato internazionale. Conosciamo tutti con quale tenacia di convinzioni l’onorevole Einaudi abbia sostenuto il sistema vigente, il quale consente la libera negoziazione del 50 per cento della valuta che resta a disposizione dell’esportatore: escogitazione suggerita una volta dagli industriali esportatori e dimostratasi gravida di conseguenze, che ha trovato solo a posteriori la sua giustificazione teorica in questa tesi, che cioè affacciandoci attraverso questa finestra sul mondo – che è del resto un mondo di Stati tutti ancora gelosamente chiusi nelle loro frontiere valutarie – avremmo potuto trovare un utile termine di riferimento per stabilire il valore reale della nostra moneta. Nella pratica infatti gli scambi che noi potemmo attivare dovevano naturalmente risultare ben troppo limitata cosa per servire allo scopo. Il risultato di questo infelice esperimento furono, non soltanto i profitti di qualche settore, incrementati dal «franco valuta» e dalle «lavorazioni per conto», ma, in definitiva, un turbamento profondo di tutto il nostro sistema che, accendendo una indomabile febbre speculativa, pregiudica oggi sempre più seriamente, per lo stesso nostro esportatore, l’equilibrio tra prezzi e costo.

È accaduto poi questo fatto paradossale: il Tesoro, che è portato a considerare come una integrazione di prezzo la realizzazione di valuta al di sotto del cambio medio, che si stabilisce fra il tasso ufficiale (il quale si è completamente volatilizzato e non si capisce più quali elementi di determinazione abbia) e il tasso della valuta negoziata, si è ridotto a rincorrere le quotazioni del mercato libero, che sono altrettanto fittizie, poiché basta una manovra speculativa di modesta portata o la notizia che stanno per essere rilasciate licenze di importazioni di qualche conto per causare sempre nuovi bruschi balzi all’insù.

Possiamo ben sostenere che i liberisti (per essere troppo facili a subire le suggestioni di un mercato dominato dalla speculazione) ai quali oggi si dà la sacra consegna di difendere la moneta, sono stati essi i primi responsabili del processo inflazionistico e dell’ascesa tumultuosa dei prezzi che per questa via hanno sospinto… (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole collega, cerchi di riassumere.

Una voce. Ma gli altri hanno parlato quanto hanno voluto.

PRESIDENTE. Si può parlare quanto si vuole; ma se si legge si ha solo un quarto d’ora a disposizione.

I colleghi di tutti i settori che ricordano alla Presidenza che c’è questa disposizione per l’appunto quando si fanno discorsi che ad essi spiacciono, dovrebbero ricordarla in tutti i casi. Onorevole Morandi, prosegua.

MORANDI. Onorevole De Gasperi, non ci dica che sia piacevole la parte che noi oggi ci assumiamo di oppositori; in noi c’è l’ansia del presente e la tema per il domani di questo popolo, che non merita davvero nuove umiliazioni e nuove afflizioni dopo tatto quello che con virile animo ha sofferto. In un’ora così grave, nella quale si gioca l’avvenire del nostro Paese, noi non mancheremmo di augurare, per il bene e la maggior fortuna di esso, successo pieno alla vostra opera, sol che ci aveste francamente detto che il nostro momentaneo allontanamento doveva facilitarvi per ottenere quei prestiti di cui abbisogniamo o questo comunque fosse vero. Eppure questa precisa domanda vi fu posta in una seduta di Consiglio quando, al preludio della crisi, con altro animo da quello che avete portato all’Assemblea, ci parlavate della vostra tormentosa ricerca. Noi eravamo, e saremmo del resto ancora, ben disposti ad aiutarvi, se si trattasse soltanto di rimuovere un ostacolo costituito da infondate prevenzioni a nostro riguardo. Malauguratamente la verità è tutt’altra e suona severa condanna al vostro operato. La verità è che non l’interesse della Nazione avete avuto in vista, ma un interesse di parte e di classe. (Rumori, interruzioni al centro Applausi a sinistra).

JACINI. Valeva la pena di leggere per dire queste belle cose! (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano!

MORANDI. E nel giuoco condotto contro le forze che sono le più genuine rappresentanti del popolo lavoratore, voi non solo non avete combattuto tali prevenzioni nei circoli ben lavorati dai nostri plutocrati, dove esse si manifestano… (Rumori al centro).

CARBONARI. Anche noi rappresentiamo dei lavoratori! (Rumori).

MORANDI. …ma le avete di buon grado tollerate e con la vostra condotta rafforzate, sol per trarne profitto isolandoci. (Commenti).

Vi siete lasciato attrarre, inconsciamente, noi vorremmo ancora credere, nella rete di intrighi tesa dalla parte più spregevole della reazione che è disposta a perpetrare ogni delitto contro la Nazione, sino ad insidiarne l’indipendenza. (Rumori al centro).

Per l’estimazione che abbiamo, onorevole Presidente del Consiglio, della vostra persona, per le privazioni ed i sacrifici che avete patito nell’affermare la vostra fede nella libertà, noi vi diciamo: guardatevene! (Interruzioni Rumori).

CARBONARI. A me, il Presidente tolse la parola dopo quindici minuti che leggevo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, facciano silenzio. Si può non applicare strettamente il regolamento, ma questa inosservanza non deve essere rivendicata quasi come un diritto in modo così rumoroso. L’onorevole Carbonari ha buone ragioni di intervenire, perché, in occasione di un suo discorso letto, gli dovetti togliere la parola. (Interruzione dell’onorevole Vernocchi). Onorevole Vernocchi, abbia memoria anche per le cose che le dispiacciono!

MORANDI. Gli aiuti a noi necessari non ci debbono venire sotto condizione di asservirci. Gli aiuti di cui abbisogniamo, noi riteniamo che si debbano chiedere a fronte alta, ponendo l’esigenza inviolabile della indipendenza come la vera e più grande forza vitale della Nazione e la garanzia di solvenza massima che essa può prestare.

Tutto questo permettetemi di soggiungere, onorevoli colleghi, si riduce comunque a una frase facile ad uscire dai nostri petti, se – come è destinato ad accadere con questo Governo – non sappiamo e non vogliamo dare altra consistenza che di parole a una tale rivendicazione: e così sarebbe se noi lasciassimo concorrere cioè sfrenatamente le forze più agguerrite del capitale, in gara per sopraffarsi, prevalendo in definitiva sull’interesse della generalità – se noi rinunciassimo, a pro di interessi particolaristici, ad assumerne la guida e ad esigere un ordine – se ad essa non chiedessimo di schierarsi al servizio delle collettività come chiediamo ai lavoratori di essere a servizio della Nazione, che domanda loro nuovi sacrifici per risorgere – se noi non svolgessimo insomma una manovra razionale delle nostre forze, col supremo obiettivo di subordinare ogni altro interesse alle esigenze dì vita della Nazione minacciata nella sua esistenza.

Ecco la suprema ragione della condotta economica che noi propugniamo esprimendo l’esigenza del piano. La politica del piano per noi non è quell’ibrido connubio di ideologismo con la realtà economica che i nostri avversari vogliono raffigurare. Non è il soffocamento delle risorse spontanee e l’irretimento progressivo della privata iniziativa. Non è un ponte di passaggio verso la società socialista, poiché non esistono di questi passaggi. Noi abbiamo in vista la dura realtà di oggi e ne facciamo pacata considerazione. Essa esige che sia tutelata da noi prima di tutto la vita materiale dei lavoratori, ed a questo consideriamo dovere nostro di dedicarci senza lasciarci distrarre da miraggi avveniristici. L’economia del piano non è un nuovo ordine che noi si voglia introdurre, ma semplicemente la manovra delle nostre forze, che è necessaria per vincere la limitazione opposta alla nostra ricostruzione dalla povertà delle risorse di cui disponiamo, all’infuori di quella del nostro lavoro, che non può avere oggi, senza che sia regolata la ricerca dell’utile e l’accumulazione del profitto, possibilità di essere sfruttata a pieno a vantaggio della collettività.

La condotta programmata della nostra economia è dunque prima di tutto la positiva e concreta condizione per la Nazione di ottenere crediti senza vendersi.

Il piano vuol dire nella sua attuazione la condotta manovrata della nostra economia, per conseguire la più razionale applicazione delle nostre forze e l’eccitazione massima di esse. Se è così, misuriamo tutta la vastità e complessità dell’opera.

Non si tratta tanto di quei congegni tecnici, che voi onorevole De Gasperi lamentate che manchino – di strutture amministrative, di commissioni, di organi di rilevazione e di controllo – quanto, e ancor più, di una coscienza che si deve infondere nel Paese, perché siano messe in moto tutte le nostre energie. Si tratta di chiamare ad uno sforzo consapevole l’intera popolazione.

Il fenomeno della produzione non appartiene invero, onorevoli colleghi, solo a chi lo dirige, e tanto meno in un’ora come questa, in cui dobbiamo disperatamente lottare per la nostra salvezza. Schiudiamo allora, noi vi diciamo, senza pavide riluttanze, la immensa riserva di volontà e di intelligenza dei nostri lavoratori facendoli, fuor d’ogni retriva prevenzione, partecipi del processo produttivo. Ecco su quale fondamento noi abbiamo inteso poggiasse il riconoscimento dei consigli di gestione, al quale tutti i vostri Governi, onorevole Presidente, sono stati successivamente impegnati, fino a questo ultimo Governo che dichiaratamente non assume più su di sé l’obbligo di corrispondervi.

Ho terminato, onorevoli colleghi, e tutto quanto ho detto è stato rivolto a provare che la difesa della lira – intesa come salvaguardia della nostra economia e della nostra indipendenza – non è dunque cosa così semplice ad attuarsi per un Governo come questo, sollecitato essenzialmente dagli interessi di quelle categorie che non sarebbero certamente le più colpite dalla rovina monetaria e che hanno puntato finora sull’inflazione. Esse possono bensì mutare oggi di atteggiamento, dopo l’atto di debolezza che noi imputiamo al Presidente del Consiglio, quando si è piegato al volere del capitale (è la più benevola interpretazione che noi possiamo dare della crisi), ma questo avverrà solo e fino a quando il nuovo Governo a questo volere si manterrà prono.

È incontrastabile, infatti, che la caduta della moneta, alla quale abbiamo assistito, non trova spiegazione in una situazione economica che non ha subito in questi ultimi mesi sostanziali peggioramenti, ma solo nella estrema tensione dei rapporti economici dovuta all’opera delle forze responsabili della nostra economia, le quali hanno sistematicamente sabotato ogni azione ispirata alla tutela degli interessi della collettività.

Esse hanno avuto un obiettivo politico e non hanno esitato a giocare la vita della Nazione per raggiungerlo. Di queste forze il nuovo Governo è destinato a subire l’incessante ricatto. Ma pure, onorevole De Gasperi, non è per merito di questo «Quarto partito», come con triste ironia ella lo ha battezzato, che il popolo italiano s’è risollevato dal fondo di miseria e di dolore in cui l’aveva precipitato un regime sciagurato di tirannia!

Il «Quarto partito», che oggi vi affianca, vi sospingerà fatalmente, onorevoli colleghi del Governo, contro ogni vostra volontà, per una via al fondo della quale stanno nuovi dolori e nuovi stenti per il popolo, e può costare forse la perdita del nostro bene più grande, che abbiamo già difeso con la morte dei nostri migliori, e dobbiamo oggi nella nostra povertà più gelosamente custodire.

Ebbene, senza alcuna enfasi noi vi diciamo che, con quella forza che è stata in essi ingenerata dalle sventure immeritatamente patite, i lavoratori italiani riprendono la lotta contro chi fa calcolo di trarre vantaggio dalle avversità dell’ora. È in noi la calma certezza che questa forza attrarrà a sé tutti gli italiani liberi e piegherà possente gli ostacoli e le resistenze che vorrebbero sbarrare la via del civile progresso, poiché essa attinge alla coscienza in virtù della quale il nostro popolo, nel tormento di questi anni, ha tratto la consapevolezza di avere solo nel lavoro e nella giustizia sociale la possibilità di conservare la dignità, a così grave prezzo guadagnata, di popolo libero. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra Commenti Molte congratulazioni).

Presidenza del Vicepresidente CONTI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cappi. Non essendo presente, s’intende che vi abbia rinunciato.

È iscritto a parlare l’onorevole Tremelloni. Ne ha facoltà.

TREMELLONI. Questa crisi ministeriale non si è aperta ai primi di maggio, ma, a mio avviso, si è aperta dal giorno della liberazione. Allora si posero i grandi problemi che la pace deve risolvere sul piano economico e sul piano morale. Si trattava allora di andare verso la pace con ardita risolutezza, con quella risolutezza con cui un Paese si avvia ad una guerra sacrosanta di liberazione. Questa chiara visione e questa robusta certezza io ho forti dubbi che manchino ancora. Noi ci troviamo, insomma, come quei naufraghi che, dopo avere fatto il punto per via indiziaria, e dopo una lunga e stremante lotta con i marosi, si accorgono di essere molto più lontani dalla costa di quanto credevano.

Di che cosa ha bisogno il Paese oggi?

Il Paese ha bisogno soprattutto di sapere e sapendo, di sperare: ha bisogno di quella che gli americani chiamerebbero la libertà dal dubbio e dalla paura; ha bisogno di un ordine giuridico volto al bene di tutti i cittadini e non di una parte soltanto; ha bisogno di un potere esecutivo che abbia il prestigio per far osservare questo ordine giuridico. Ma io mi limiterò a prendere in esame qui il tema economico.

Quando, dopo le sollecitazioni pervenute anche dal nostro Gruppo, l’onorevole Campilli si decise a rompere quella prescrizione per silenzio continuo che gravava sulle reali condizioni del bilancio statale, l’attenzione si incentrò su tale bilancio, e questo Ministero è nato sotto questa stella. È essenziale che, per vedere una stella, non perdiamo di vista il firmamento. Il problema è, evidentemente, più vasto: anche se ci si limitasse al solo terreno economico, un dibattito che si rattrappisse nell’esame di un bilancio statale, e tanto meno un dibattito che si limitasse alla sola imposta straordinaria, farebbe immiserire la discussione che si svolge qui oggi.

Il problema trascende irresistibilmente i limiti contabili di un bilancio; essendo un problema di politica economica generale, ci obbliga a guardare oltre l’equilibrio formale, anche oltre il convenzionale allineamento delle cifre, anche oltre la convenzionale suddivisione in cicli annuali. È inutile che io ripeta qui gli argomenti che ho affacciato quattro mesi or sono, e che potrei a buon diritto ripetere. È indubbio che in tutti i paesi si va rapidamente sostituendo ad un bilancio finanziario un bilancio economico nel senso più vasto della parola. E la ricca documentazione che accompagna al Parlamento inglese questa ampia discussione può esserci senza dubbio di esempio. Nel succedersi dei governi di emergenza noi abbiamo avuto sempre, invece, l’abitudine di vivere un po’ alla giornata: senza arrischiarci a spingere l’occhio al futuro, abbiamo travisato un po’ il significato originario della parola «emergenza». Confesso che mi trovo qui molto esitante nel parlare, di fronte ad uomini che sono stati miei venerati maestri come Einaudi, Del Vecchio e Corbino e ai quali, d’altronde, nel campo scientifico va la deferente ammirazione di tutti. Ma è giusto che io esprima quella che ritengo essere la verità.

Cosa avevamo proposto noi? Ben lontani dal miracolismo delle formule capaci di risolvere tutto – e, in realtà, qui si sono fatti e si fanno molti discorsi ma, diciamoci la verità, nessuno possiede ricette magiche – eravamo però convinti che occorresse tracciar le linee chiare di una politica economica, e di una sola. Ed eravamo convinti che l’esecuzione di tale politica doveva essere tale da offrire ogni garanzia alla grande maggioranza del popolo italiano.

Ora, tutti gli onorevoli colleghi sanno – io lo vado dicendo da un paio di anni, e l’onorevole Corbino l’ha ripetuto ancora ieri – non c’è in questo eccezionale momento un’alternativa tra due sistemi economici; ci sono dei binari obbligati; c’è l’esigenza di una politica empirica capace di conciliare temporaneamente istanze ideologiche differenti.

L’essenziale è di vedere come, in un periodo di così grave patologia economica, in cui non si può credere a rapidi riequilibri spontanei, si possano imporre le necessarie restrizioni; l’essenziale è di vedere come vengano distribuite queste restrizioni. E qui davvero vi sono molte strade, non una sola. Più che nelle proposte di provvedimenti analitici che i medici ricercano affannosamente, e sul carattere dei quali spesso possono anche essere d’accordo, il divario sta dunque in certe questioni di limiti. È perciò che la politica economica concreta non si scrive: si fa. Molto rumore si è udito sulla stampa intorno a questa, che ha assunto il carattere di una controversia tra pianificatori e antipianificatori. Ritengo che in realtà si sia molto esagerato su questo punto: la politica economica oggi può essere una sola, e noi abbiamo appunto criticato il tripartito perché aveva due politiche. Ma quella dell’onorevole De Gasperi qual è di queste due politiche: quella che ha descritto ieri l’onorevole Corbino o quella che l’onorevole De Gasperi ha affermato nel suo programma? Io credo che purtroppo vogliano essere entrambe contemporaneamente. Non c’è, a mio avviso, che un modo per risolvere l’antinomia; ed è quello di scegliere o l’uno o l’altro spirito informatore, quindi l’una o l’altra – e qui confesso la mia somma ignoranza in materia – «combinazione politica».

Qualche deputato mi esprimeva in questi giorni la propria preoccupazione perché argomenti di natura così delicata vengano portati al dibattito pubblico. Ma io sarei più giustamente preoccupato se questi argomenti non fossero portati qui, e sono più preoccupato della deficienza di elementi ai fini conoscitivi, o della scarsezza di ricerche a tal uopo, perché ritengo che la sfiducia nasca nel dubbio e ingigantisca nel dubbio.

Comprendo in tutti i loro minimi aspetti e non minimizzo le difficoltà dei passati governi, stretti tra le morse di un congegno statale che è meno efficiente proprio quando dovrebbe esserlo di più, di fronte ad un’opinione pubblica tanto esigente nel pretendere quanto avara nel dare, di fronte a coercizioni esterne non sempre modificabili per volontà nostra. Se parlo, dunque, non è per aggiungere altra facile rettorica e altre critiche di maniera, ai costosi tornei di parole di questo dopoguerra troppo loquace, ma per incentrare l’attenzione su alcuni argomenti e per evitare che la congiura del silenzio su taluni argomenti possa continuare.

Concordo che sarebbe vano e difficile redigere programmi a lunghissima scadenza, ma ritengo che altrettanto pericoloso – e forse più – sia redigere programmi a troppo breve scadenza. A spingere l’occhio lontano si rischia di cadere nelle generose utopie; ma guardare soltanto alle poche settimane di vita che consente questa strana democrazia orientale ad ogni nostro Governo, è altrettanto dannoso e gravido di illusioni.

Qualcuno diceva durante la recente crisi che i piani non occorrono; anzi, che i programmi non occorrono, e che l’unico piano era quello di non fare piani. E forse lo diceva con l’intenzione di un piacevole paradosso, perché un paese non può vivere alla giornata, come il felice lazzarone napoletano esaltato da Goethe. Fare un piano è evidentemente qualche cosa di più che fare un programma; almeno se queste parole, si intendono nel loro significato volgare. La verità è che oggi occorrono limitazioni, e che nessun gruppo sociale vuole soggiacere a queste limitazioni, a questi sacrifici. Equilibri spontanei rischiano di farli sopportare dai più deboli, avvantaggiando i più forti. Ciascuno preferisce svolgere il proprio piano, e quindi diviene pianificatore per sé e antipianificatore per gli altri. Ma quando i vari piani si intersecano, quando si trova una strettoia, chi passerà per primo? Chi regola le precedenze? La sola forza fisica della persona che è in grado di passare per prima?

Qui, in particolari circostanze come le attuali, devono intervenire, noi pensiamo, coloro cui è affidata la vigilanza dell’interesse collettivo, e devono intervenire senza essere ispirati da passioni di parte, senza che sia lecito neppure il dubbio che lo siano.

Comunque, sull’esigenza di deciderci a fare il nostro preventivo e il nostro consuntivo nella ricostruzione della nostra casa lesionata, tutti concordano. Da parte nostra vorremmo che si delineassero chiaramente il pavimento e il soffitto di questa casa da ricostruire, tenendo conto dei mattoni a nostra disposizione. Ecco perché la collana di provvedimenti isolatamente studiati, alternativamente e parzialmente applicati, prima ancora di aver tracciato le linee generali di una politica economica conseguente, formò oggetto delle nostre critiche e fece trovare il Paese di fronte a crescenti scetticismi. Non si può affrontare una situazione economica e sociale come quella che ci sta dinanzi con il sistema degli Orazi e dei Curiazi, per esperienze di successive approssimazioni. Non si può con soverchio semplicismo pensare ad una politica economica totalmente intervenzionista o totalmente liberista. D’altronde, lo stesso onorevole De Gasperi ci aveva detto qui quattro mesi fa che il piano era in elaborazione, e io spero che il nostro suggerimento abbia ora migliore esito.

Il «diabolico» pavimento di questo piano è quello che noi abbiamo chiamato il minimo vitale da assicurare a tutti gli italiani, col contributo di tutti gli italiani. Senza dubbio, per un certo periodo di tempo, il tenore di vita del nostro popolo non potrà non essere inferiore a quello d’anteguerra. Ma noi dobbiamo mettere tutti nella condizione di vivere fisicamente, di alimentarsi, di vestirsi, di alloggiarsi, di nutrire fondate speranze per il domani. Vi furono obiettivi assai meno degni, come le guerre di conquista, che giustificarono qualsiasi intervento e qualsiasi imposizione di sacrifici e di vincoli. Oggi il compito è di assicurare il minimo vitale, ed è a mio avviso un compito al quale lo Stato non può sottrarsi. D’altronde il significato della nota e spesso abusata distinzione tra spese pubbliche e spese private consiste proprio in ciò: fino a che limite lo Stato deve assicurare questo famoso minimo vitale a tutti i propri cittadini? Anche dallo stretto punto di vista produttivistico è essenziale rendere impossibile il verificarsi di condizioni di estrema povertà che non consentano ad una parte di popolazione di lavorare in modo efficiente.

È con questa premessa, la quale significa una politica di austerità non limitata ad una sola classe sociale, che noi mettiamo in luce il tema di aumentare il reddito nazionale attraverso un concorde sforzo collettivo per vincere i costi naturali, così alti nel nostro Paese. Noi socialisti ci rendiamo conto per primi che o portiamo la produttività del nostro lavoro ad un livello più alto, o dobbiamo ancora abbassare il nostro tenor di vita, già incredibilmente e quasi ferocemente basso. Sappiamo perfettamente che nessuna magia economica può essere invocata e messa in atto per cui determinati vincoli restrittivi adducano di per sé un aumento del reddito reale per la collettività. Un rapido aumento della produzione totale è d’altronde la condizione essenziale per mettere in grado le classi lavoratrici di migliorare la loro esistenza. E noi non abbiamo creato mai illusioni a questo proposito, neanche nei comizi elettorali quando non c’erano gli stenografi che raccoglievano le nostre parole.

Occorre quindi concretare le condizioni necessarie e sufficienti per un clima di lavoro; il che non vuol dire soltanto però ridurre il numero delle carte bollate e dei timbri, come qualcuno vorrebbe suggerire a mo’ di soluzione, perché anche sulle cosiddette «sovrastrutture» si è molte volte esagerato. Noi non potremo senza dubbio guarire di questa pervicace malattia, che ci ha inoculato il lungo periodo di guerre, di autarchia e di inflazione, se non aumentando la massa totale della ricchezza disponibile.

Sarebbe già un notevolissimo risultato se toccassimo quella meta alla quale ho altra volta accennato: raggiungere cioè nel 1950 un reddito medio individuale pari almeno a quello del 1938.

Mi pare che non sia sconveniente, né in alcun modo taumaturgico, proporci questo obiettivo, e tanto meglio se i fatti consentiranno di raggiungerlo prima. Obiettivo che non potremo certo toccare se non abbandonando ogni stanchezza, ogni lusso di interiori violenze (e il costo delle violenze, badate, è altissimo, ancorché invisibile ai contendenti); abbandonando, dicevo, ogni pigrizia intellettuale o materiale, talvolta anche rinviando senza rimpianti carezzate conquiste delle nostre ideologie, ma offrendo la sicurezza che nessuno avrà privilegi o esenzioni di sacrifici rispetto ad altri, che nessuno sarà in condizioni tali da stare al disotto di quel minimo vitale cui abbiamo accennato, che nessuno sarà privato della parte che gli spetta nell’aumento del reddito nazionale. In questo quadriennio, che chiamerei «del pane e del lavoro», se non temessi di abusare di questo slogan inventato per i comizi elettorali, la politica economica e sociale di qualsiasi Governo non può essere più superba e ottimistica, e deve contentarsi di essere una politica minimalista, che non trascuri però alcuna delle esigenze accennate. Solo conciliando queste esigenze, si possono trovare le premesse per un temporaneo accordo tra gli antagonisti della lotta sociale, e solo così si possono stabilire garanzie reciproche per quel periodo di emergenza che ci sta dinanzi e che dobbiamo superare.

È possibile tutto ciò senza fare programmi e senza cercare di farli eseguire, ove occorra? È possibile aspettare che le cose si aggiustino da sé date le posizioni di partenza che tutti conosciamo? Noi abbiamo affermato di no, anche se gli onorevoli colleghi, che siedono alla destra, non sono tutti convinti di questa nostra conclusione, a differenza del loro amico Beveridge. In una sola cosa siamo d’accordo però, che la politica economica a mosca cieca, quella che accumula controlli senza alcuna organicità, quella che è vincolista senza precisi scopi di interesse collettivo, deve essere bandita risolutamente.

Ecco la ragione del programma, anzi del piano.

A nessuno sfugge oggi che quel complesso di limitatissime risorse di cui disponiamo deve sodisfare il più possibile a numerose richieste: uomini, servizi da essi prodotti e altri beni di cui può disporre il Paese devono congiuntamente provvedere ai consumi personali, ai servizi pubblici, all’attrezzatura e manutenzione di imprese produttive; e tutto ciò si risolve anche nel pagamento di necessarie importazioni. Di queste concomitanti esigenze occorre stabilire, sia pure senza scrupolo di esattezza assoluta, la mutua complementarietà. Se aggiungete qualcosa ad uno di questi capitoli di spesa, di altrettanto private un altro, almeno finché il dividendo nazionale non si elevi. In quasi tutti i paesi europei, quindi, si tende a tracciare le linee di queste attribuzioni delle limitate disponibilità alle concorrenti istanze del Paese. Si tratta di garantire, per quanto possibile, che le cose essenziali abbiano la precedenza sulle non essenziali, almeno finché durino circostanze tali da prevedere che questo ordine di priorità sia invertito con grave danno per la collettività.

Noi pensiamo naturalmente a un piano che si compia sempre su rapporti favorevoli tra costi e ricavi, che eviti le contradizioni e le neutralizzazioni, che assista e non contrasti mai la formazione del reddito, e così possa raggiungere gli scopi che si è proposto. Fare tale piano non significa creare una camicia di forza, condannarci in una totalitaria caserma: non dobbiamo dimenticare la struttura economica e sociale differenziatissima del nostro Paese, né il carattere degli abitanti. Un governo democratico deve evidentemente dare una sua impostazione a questo piano, deve dare molta importanza al carattere orientatore, deve condurne l’attuazione in modo ben differente dal governo totalitario, deve tener conto di decisioni democraticamente prese, deve mirare a conservare quel massimo possibile di libere scelte individuali che è compatibile con le esigenze collettive.

Fare un piano per noi significa insomma pensare ed attuare quella politica economica organica che le condizioni oggi richiedono inesorabilmente, e che manca. Molti, forse troppi, sono i provvedimenti già in atto: qualcuno senza dubbio pleonastico o applicato solo formalmente, qualche altro contraddittorio. È essenziale – avevamo detto – che questi provvedimenti siano pensati ed attuati con minor lusso di circolari che si sovrappongono vulcanicamente, si smentiscono con facilità. I testi unici, quando ci sono, diventano spesso testi plurimi. Talvolta i cittadini, gli stessi funzionari e magari il magistrato sono padroneggiati dal dubbio, che è cosa assai commendevole nella scienza; ma non è altrettanto commendevole nei riguardi dell’obbedienza alle leggi. Ora il Governo deve esporre chiaramente le condizioni di questa azione e promuovere senza indugio maggiori ricerche ai fini conoscitivi; deve dire quali sono gli obiettivi desiderati e indirizzare e coordinare l’attività degli enti pubblici, ed entro certi limiti dei privati; e ciò ai fini dell’utilità collettiva di cui è guardiano. Ognuno deve sapere con esattezza e senza tavole logaritmiche fin dove può arrivare, dove può muoversi. Ognuno deve sapere quale è l’area che gli è riservata. Far tornare la fiducia significa dare al Paese un minimo di certezza, non un massimo di incertezza. È necessario affermare senza reticenze che ci sono cose possibili e cose impossibili; e che ci si accinge a fare solo le cose realmente possibili; e che nessuno si attenda le impossibili. Tutti i partiti devono convincersi che queste non necessarie incertezze sull’avvenire hanno un costo incommensurabilmente alto che si aggiunge ai costi già altissimi di altre incertezze non facilmente eliminabili.

Noi abbiamo più volte fatto cenno dei punti essenziali del nostro programma: punti che d’altronde, per quel che riguarda l’enunciazione, sono, mi pare, condivisi da tutti: 1) avviarci rapidamente verso la stabilizzazione monetaria; 2) assicurare gli approvvigionamenti alimentari e di materie prime, tali da consentire un livello minimo di esistenza, una graduale ripresa e un’occupazione crescente; 3) attuare una politica economica produttivistica facendo saggio uso delle risorse disponibili; 4) distribuire i sacrifici in relazione alle reali capacità contributive.

Nell’avviamento alla stabilizzazione monetaria non è ignoto ad alcuno che occorre deciderci a raggiungere al più presto l’equilibrio dei bilanci degli enti pubblici in generale. Ma un intervento decisivo sulla bilancia dei pagamenti è solo possibile attraverso una energica chiamata di prestiti esteri e la garanzia di quel clima di lavoro cui accennavo prima. Frattanto occorrerà mobilitare tutte le risorse valutarie mobilitabili; sollecitare e pungolare l’esportazione, dirigendo verso di essa alcuni beni di consumo o strumentali che rappresentano in Paese dei consumi superflui. Infine occorre avviarci gradualmente a migliorare, con la rapida formazione dei rispettivi strumenti, l’apporto delle voci invisibili: quella dei noli e quella dei trasporti; e con saggi accorgimenti migliorare l’apporto delle rimesse degli emigrati. Senza dubbio irta di difficoltà è l’azione da svolgere riguardo agli approvvigionamenti, dove mentre si deve, a mio avviso, minimizzare i consumi ritenuti superflui, si devono assicurare rigorosamente quei pochi razionamenti che sono realmente applicabili, anche con il sistema del contingente, se è il migliore, e utilizzare meglio la manovra delle importazioni dei beni di consumo ritenuti indispensabili.

Il cosiddetto controllo dei prezzi, più che da calmieri o da imposizioni pubblicitarie di ribassi, manifestatisi ripetutamente vane, dovrebbe essere continuato per voci essenziali, ma con rigore e con attento e rapido studio dei costi. Occorre influire maggiormente sui prezzi attraverso l’azione antinflazionistica, giacché ora è il timore della svalutazione monetaria l’elemento preponderante, della pressione assai più che non gli elementi quantitativi di mercato.

La ripartizione delle materie prime, alle quali occorre dare la massima pubblicità, è essenziale avvenga più razionalmente e secondo i programmi stabiliti. Ove possibile, si accerti che sia il consumatore ultimo ad avere vantaggio dalla definizione di prezzi ufficiali, se sono distanti dai prezzi di mercato; quando ciò non sia possibile, occorre riassorbire il margine eccezionale rapidamente, attraverso un’energica azione fiscale.

Ogni possibile accorgimento deve essere anche messo in atto per evitare la compressione dei salari reali; ed è inutile dire che una più organica politica deve essere attuata anche attraverso il riordino e l’estensione delle mense popolari, degli alberghi popolari, delle aziende consorziali di consumi, degli spacci di paragone, la razionalità dei trasporti e della distribuzione di viveri, e così via.

A questo proposito è utile che il Governo faccia sapere come intende affrontare la situazione alimentare, per tutta l’annata 1947-1948, al fine di evitare che possano essere distribuiti oggi, in periodo estivo, delle razioni abbondanti, mentre poi si rimanga a secco al momento dell’inizio dell’inverno.

Tutto ciò non vuole sempre essere uno stimolo all’aumento delle pratiche restrittive; ma significa, in gran parte, effettivo, armonico e non formale funzionamento di quelle che sono giudicate necessarie; significa sostituzione e coordinamento di provvedimenti, alternativamente o disordinatamente applicati, con i pochi seriamente ed organicamente applicabili. Anzi, a mio avviso, il Governo non deve essere ossessionato unicamente delle pratiche restrizionistiche, che sono negative, ed essere cieco di fronte all’efficienza; ma a questa politica di restrizioni, che chiamerei negativa, deve affiancarsi una vivace politica positiva di incoraggiamento e di stimolo, altrettanto organica ed armonica. A ciò potranno giovare quelle maggiori disponibilità di risorse energetiche e di materie prime, sulle quali dobbiamo decisamente puntare; una saggia concessione del credito, affinché riesca socialmente produttivo; la graduale riconversione programmata di imprese; una maggiore mobilità qualitativa e spaziale del lavoro, accompagnata da una sistematica rieducazione delle maestranze. Né potranno dimenticarsi applicazioni di intelligenti incentivi, affinché sia rapidamente rialzato l’indice di produzione, mentre l’avviamento a più intensi scambi internazionali dovrebbe premere sui costi, ora altissimi, delle nostre imprese.

Qui occorrerebbe innanzi tutto affrontare il tema di più ampie dotazioni di beni strumentali, cioè di quegli organismi collettivi efficienti (centrali idro-elettriche, macchinari, sistemi irrigatori, scuole, ecc.) che fu veramente il grande problema delle generazioni che ci precedettero, ma che oggi è di gran lunga ingigantito. Si tratta di saper dare al Paese, nel tempo stesso in cui non lo si lascia morire di fame, non soltanto quei beni capitali che furono distrutti, ma anche dei nuovi, più numerosi e più efficienti, in modo da sollevare dal cantinato profondo e fangoso quel pavimento di cui abbiamo parlato.

Se si pon mente al fatto che, ad uguali unità lavorative, la deficienza soprattutto di adatti beni strumentali procura a noi una ricchezza pari ad uno, quando negli Stati Uniti ne procura una pari a cinque, ci si accorge che i quattro quinti della fatica umana sono sperperati tra noi per deficienza di beni strumentali. Ecco perché noi poniamo il tema di una politica congiunturale attiva, riducendo oggi la promessa al solo minimo vitale per gli italiani, pur di ottenere questa rapida dotazione di beni strumentali che è la condizione prima per una esistenza migliore dei lavoratori, poiché il lavoro non forma la ricchezza più di quanto non ne sia da essa formato. Sono i lavoratori che per primi ambiscono di uscire da questa palude economica, perché nessuna conquista sociale sarà loro possibile in un clima di mortifera e generale miseria, perché il loro sforzo e la loro fatica sono inesorabilmente avviliti in questa che sembra essere una fatale involuzione. Indispensabile sarà quindi, nel bilancio prospettico dell’economia del Paese, destinare le nostre risorse con una graduatoria di urgenze e, sodisfatti i bisogni essenziali ridotti al minimo, provvedere a quegli investimenti che sono i più suscettivi di aumento del dividendo nazionale.

Purtroppo il nostro risparmio monetario non supera attualmente i 300 miliardi annui di lire, e viene conteso tra Stato e privati. Ora è evidente che è sommamente necessaria ed urgente una energica politica degli investimenti, giacché finora non c’è stata. Né la piccolina legge degli impianti industriali ha resistito validamente agli assalti degli interessi di gruppo, né si è potuto vietare che sorgano moltissimi nuovi cinematografi e deliziosi edifici per i nuovi ricchi, impegnati a collocare in tal modo quei capitali che il fisco aveva loro generosamente concesso; né si è potuto evitare che lussuose automobili consumassero lamiere, benzina e gomme, sottraendo così all’importazione un certo quantitativo di grano. Esemplifico, non intendo enumerare. Né lo Stato ha potuto evitare che gran parte dei lavori pubblici si risolvessero in vere e proprie spese di lusso per un paese che non riesce a costruirsi le proprie dighe, o sistemar bonifiche. Né tanto meno si è riusciti ad un efficace controllo del sistema bancario e così a rendere meno indifferenti le banche, neppure quelle collegate all’I.R.I., di fronte alla utilizzazione di loro depositi. Tutto ciò si è fatto, invece, ad esempio, nel paese che ha le più radicate tradizioni liberiste del mondo, dove a tutt’oggi, ad esempio, si vietano costruzioni edilizie; dove c’è un sistema di razionamenti rigorosi; dove le automobili prodotte sono obbligatoriamente esportate nella quasi totalità, dove si è attuato un sistema di vita estremamente austero. Bisogna insomma decidere se questo modesto risparmio monetario, gravato oggi di troppi alti costi del servizio bancario, e con cento cause che cospirano a deprimerlo anziché farlo vigorosamente rinascere, debba essere convogliato verso quelle imprese che rispondendo a bisogni di utilità pubblica possono pagare un saggio di interesse minimo o se debba essere convogliato ad imprese che producono beni di carattere voluttuario, e che possono pagare un saggio di interesse altissimo.

Questo, a mio avviso, è il punto centrale: attuare una seria ed organica politica degli investimenti. Bisogna decidere se il Paese oggi ha più bisogno di strade o di centrali elettriche, di teatri o di ponti, di sale da ballo o di abitazioni, di profumerie o di stalle.

E qui potremo anche chiederci fino a che punto il Paese può destinare miliardi alle lotterie e alle bische, per noi, poveri sfortunati perdenti di questa grande disperata lotteria che abbiamo giocato nell’ultimo terzo di secolo.

Purtroppo alla somma di queste confuse alternative noi non abbiamo risposto, o abbiamo risposto parzialmente, talvolta incolpando quel relitto di macchina statale che è a nostra disposizione. Possiamo, in coscienza, continuare questa olimpica attesa? È singolarmente proprio delle crisi italiane – di questa, in particolare – di tendere a degenerare in marasma, perché né i gruppi favoriti, né i Governi timidi, né circostanze effimere consentono che se ne affronti un programma coraggioso di liquidazione per la salvaguardia degli interessi della maggioranza.

Intendiamoci, anche qui ci sono limiti all’azione del Governo. È troppo facile dare la colpa soltanto al Governo. Anche questa mania di fare qualche cosa ad ogni costo – che è la ragionevole mania dei parenti ad ogni capezzale di malato – va intesa con saggezza e non sodisfatta senza discriminazione. La spinta ad una terapeutica superficiale e che viene da chi vede il fenomeno economico alla sola superficie, è pericolosa. Bisogna prendere dei provvedimenti, ma ritenere che le leggi e le disposizioni governative nel campo economico possano agire come la pietra filosofale è errore da combattere con ogni energia.

Ciò che è necessario è agire come quei medici saggi che badano più alle cause profonde e congegnano la loro terapia con organicità, senza pericolose concessioni al malato, dandogli poche medicine ma facendogli osservare rigorosamente la dieta.

Onorevole Presidente, se lei ritiene che l’Assemblea sia stanca e sia opportuno consentire cinque minuti di riposo, io posso sospendere.

PRESIDENTE. Prosegua onorevole Tremelloni. L’Assemblea è calmissima.

TREMELLONI. Io ho volutamente falciato, prima di parlare, due argomenti sui quali mi pare essenziale invece approfondire l’indagine. Sono quelli che riguardano la bilancia dei pagamenti e il bilancio statale. Non so quindi se devo prolungare il mio discorso.

PRESIDENTE. Prosegua pure.

TREMELLONI. Se la gravità del bilancio statale è stata spesso drammatizzata, forse non lo è stata abbastanza la gravità delle condizioni della bilancia dei pagamenti. Noi siamo vissuti finora al livello attuale di esistenza, e lo hanno detto numerosi oratori, in virtù di quei due miliardi e mezzo di dollari che in due anni e mezzo sono affluiti in vario modo dall’estero. Il 1947, e soprattutto gli anni successivi, ci si presentano densissimi di incognite; perché a tutt’oggi non sappiamo come potremo operare questo saldo, se intendiamo mantenere il tenore materiale di esistenza ed il livello di occupazione che abbiamo avuto nel 1946. Della duplice esigenza per il risanamento monetario, che è costituita dall’equilibrio del bilancio statale e dall’equilibrio della bilancia dei pagamenti, è però proprio quest’ultima la meno suscettibile di essere sodisfatta per volontà nostra. Ma l’esperienza di Schacht, quando operò nel 1924 il cosiddetto «miracolo del marco», ci insegna che non è tanto sul bilancio statale che dobbiamo contare, quanto sulla bilancia dei pagamenti, per risolvere le nostre difficoltà. Allora Schacht si trovava con un bilancio statale che aveva un’entrata pari, salvo errore, al 2 per cento. Quindi il problema della bilancia dei pagamenti va esaminato con somma rapidità e somma energia.

Hanno già detto gli altri oratori come questo problema si presenta quantitativamente. Badate, io non sono favorevole a far discendere di molto il livello, già ridotto, di 1200-1300 milioni di dollari che rappresenta la cifra dei nostri acquisti all’estero. Alcuni vorrebbero costringerla a 900-1000 milioni di dollari, ma non ritengo sia possibile senza gravi conseguenze. Non credo necessario ricordare all’Assemblea che ad ogni contrazione di 100 milioni di dollari in materie prime importate, corrisponde quasi sempre una contrazione di almeno 200 milioni di dollari di prodotti da esportare. E quindi il processo di involuzione si farebbe catastrofico e la spirale si chiuderebbe: tutte le economie autarchiche ce lo insegnano.

Nessuno potrebbe d’altra parte postulare qui la sorridente attesa di un equilibrio automatico della nostra bilancia dei pagamenti, in breve periodo, perché ciò vorrebbe dire un ulteriore sacrificio alimentare per le nostre masse lavoratrici, vorrebbe dire superare realmente quei pericolosi limiti di rottura a cui siamo già assai vicini, vorrebbe dire raddoppiare le sofferenze dei più poveri senza scalfire nessuna posizione di privilegio. E, d’altra parte, pensare a contrazioni di acquisti di materie prime mi pare altrettanto impossibile, perché significherebbe fare entrare le nostre industrie in una fase di paralisi progressiva, coll’aumento pauroso della disoccupazione. In una parola significherebbe entrare nel baratro di esasperati ed incontenibili antagonismi sociali.

Ed allora? Vi sono soluzioni che dipendono da noi ed altre che non dipendono da noi. Quelle che dipendono da noi sono, fra l’altro, di aumentare le nostre esportazioni eventualmente contraendo alcuni consumi interni; ma occorre anche influire su quelle che dipendono da altri, continuamente intensificando l’azione per ottenere, nei prossimi quattro o cinque anni, quel prestito estero di cui ho più volte parlato.

Occorre dire senza reticenze che, mancando nei prossimi anni un ben congegnato sistema di prestiti esteri che approssimativamente, secondo un mio calcolo, non possono essere inferiori, nel quadriennio venturo, a 500 milioni di dollari annui, è vano sperare in un prossimo avvenire più degno per il nostro Paese.

Il problema economico si incentra dunque soprattutto in un problema di carattere internazionale. Ma se i rifornimenti dall’estero ci mancassero? Questa è la domanda che oggi si sente ripetere spesso, e di fronte alla quale si propongono istanze politiche che in questo momento appaiono vane. Se i paesi che possono collaborare con noi per la rinascita italiana non comprendessero che il venirci incontro con immediatezza e senza stillicidi rappresenta un risparmio di costi rispetto a ben più gravosi e irreparabili e deprecabili interventi tardivi; se si accentuasse lo squilibrio tra un emisfero orientale devastato dalla guerra ed un emisfero occidentale ricco di viveri e di materie prime; se noi fossimo confinati ancora e sempre in un’isola avara di risorse, cronicamente povera e amaramente scettica sui principî conclamati di solidarietà internazionale, è sommamente probabile che i germi di una disgregazione sociale facciano trascorrere alla nostra generazione giorni assai peggiori di quelli che abbiamo trascorso. (Applausi a sinistra).

È da augurarsi che i nostri uomini di Stato pongano nettamente e rudemente e senza ritardi, ai paesi dell’ONU, questo come un problema di emergenza, informandoli con onesta obiettività e senza infingimenti delle sue reali dimensioni prospettiche. Ma per fare questo occorre ancora il «diabolico» piano, il quale documenti nitidamente quel che intendiamo seriamente costruire, occorre che dimostriamo di sapere amministrare nel modo più conveniente e nel modo più efficace le nostre limitate risorse; occorre che stabiliamo quali sacrifici siamo capaci di fare e quali limiti ha la sopportazione dei nostri lavoratori.

Dobbiamo dire anche a questi Paesi che la dolorosa ironia della sorte non può e non deve farci concludere che il costo immane pagato per edificare e poi distruggere una autarchia, non debba essere doppiamente pagato per riedificarne un’altra.

L’Europa sta attraversando, senza dubbio, il più tremendo periodo della sua storia, dopo un secolo e mezzo di prosperità e di quasi ininterrotto progresso. E non solo l’Europa, ma ogni continente sta assumendosi gravi responsabilità sul pagamento del prezzo della pace, sul come si ricostruisce una vita economica e sociale intorno alle macerie. A noi l’assumere con onesta chiarezza le nostre responsabilità; agli altri paesi, le loro.

Io mi scuso vivamente presso i colleghi se devo prolungare ancora il mio discorso. Devo dire ora qualche parola sul bilancio statale. Il problema finanziario italiano è oggi più un problema di aumento delle entrate o di compressione delle spese? Io non vorrei essere frainteso, ma penso che in questo periodo in cui lo Stato non può e non deve sottrarsi ai compiti gravi che gli sono attribuiti, sarebbe estremamente avventato prendere impegni precisi per i prossimi esercizi, in ordine alla contrazione di spese. Assai difficile, a mio avviso, sarà nei prossimi due o tre anni spendere molto al di sotto delle cifre attuali, le quali rappresentano, in lire attuali, spese quali si ebbero in altri gravi periodi della vita nazionale, come dopo la prima guerra mondiale. Ed anche allora, se rileggete i discorsi parlamentari, si gridò – e forse si gridò troppo – alla fine del mondo, alla bancarotta; eppure non si ebbe né la fine del mondo né la bancarotta.

Una pacata valutazione di queste colonne d’Ercole della pressione tributaria va sempre fatta anche tenendo conto dei fini a cui lo Stato deve provvedere, quei fini a cui lo Stato non può sottrarsi senza trarne motivi ben più costosi di disgregazione sociale. Bisogna superare i limiti angusti di un ciclo annuale, considerando un più vasto orizzonte, perché è proprio quando le condizioni economiche di un Paese sono allo stremo, che maggiori sono le esigenze cui provvedere.

Se ci sono economie che possono e debbono esser fatte, ci sono anche grosse incognite, che si avanzano e che non tarderanno ad affollarsi intorno a queste economie. L’eredità assistenziale lasciataci dalla guerra difficilmente potrà essere ridotta nel prossimo triennio e quadriennio. È probabile che nel futuro inverno, sia per la depressione internazionale da taluno prevista non senza fondamento, sia per cause di natura interna alle quali prima accennavo, i compiti di assistenza ai disoccupati – censiti, speriamo, con maggior rigore – si moltiplichino, mentre le imprese deboli (e ce ne sono tante) invocheranno salvataggi. È sommamente probabile che l’azione assistenziale richiederà una estensione di provvedimenti, alla quale nessun Governo potrebbe porre un diniego, specialmente quando la Costituzione sancisce il diritto al lavoro.

D’altra parte, molte spese per i servizi pubblici hanno un carattere strumentale, per cui una riduzione di esse potrebbe incidere sulle sorgenti stesse del reddito privato, come sulla sorgente stessa di tale reddito può influire il depauperamento dei capitali personali, intesi come la vigoria e l’educazione della persona fisica. Anche le spese per i beni strumentali diventano più gravi ed urgenti proprio quando lo scarso risparmio inibirebbe di erogarle in più gran copia.

Ho detto, comunque: «non vorrei essere frainteso», perché sono lontano con ciò dal giustificare quelle che si possono chiamare le prodigalità del bilancio dello Stato. A me pare soprattutto che la tesi avanzata, di operare l’equilibrio attraverso una contrazione notevole delle spese, sia errata, o almeno illusoria, perché non dobbiamo crearci dei castelli in aria circa una sensibile contrazione nei prossimi anni di quegli 800-900 miliardi di spese cui si accennò nella relazione del Ministro Campilli e nell’esposizione dell’onorevole De Gasperi.

È d’altra parte pacifico che nessuna collettività può essere prodiga al punto da destinare alle spese pubbliche più di quello che produce, se non ha, come noi non abbiamo, un patrimonio da intaccare, o se non può operare fondati sconti su formazioni rapide di ricchezza nel futuro immediato.

A lungo andare il bilancio dello Stato deve certamente svolgersi in armonia con il bilancio dei cittadini; ed allora bisogna trovare quella serie di limiti che possano conciliare le esigenze inderogabili dei bisogni privati con quelli che riteniamo i bisogni pubblici, senza dimenticare i fini che ci proponiamo di raggiungere, e senza astrarre da nessuno dei mezzi che sono a nostra disposizione.

Il mio giudizio è che gli 800-900 miliardi di lire, che diventano 1000 miliardi di lire con i bisogni degli enti autarchici, e che rappresentano oggi pressoché il 40 per cento del reddito nazionale, come è valutato dagli statistici – lascio agli statistici la responsabilità di questa valutazione – non potranno essere raggiunti senza dubbio; ma almeno per due terzi dovranno essere coperti dalle entrate tributarie. E lo potranno solo se si attuerà un sistema tributario severo, anche senza trasmodare in un sistema di rapina a cui si sarebbe, senza dubbio, costretti, ove si superasse questo termine, quando pensiamo che il reddito medio degli italiani, sempre se i calcoli degli statistici sono esatti, non supera le 150 lire giornaliere.

L’essenziale – a parte l’esigenza di una azione fiscale condotta con energia, con prestigio e con congegni adatti – è che si diano sicure garanzie sul modo e sul perché della spesa: tale è il locus minoris resistentiae del nostro bilancio. Si è speso finora affrettatamente, senza una politica attiva ed organica e, talora, con inconscia prodigalità e, soprattutto, si è atteso troppo a fare i conti, giudicandoli poi col doloroso stupore che è giustificabile solo per chi non li conoscesse, e non per i ministri responsabili.

Delle spese fatte fin qui, alcune, e non tra le minori, potevano essere procrastinate, e per talune di quelle impegnate si arriverà ancora in tempo a farlo, come certe spese pubbliche che ricordano gli sfortunati esperimenti degli atéliers nationaux; altre hanno giovato a piccoli gruppi privilegiati e potevano essere seguite da paralleli prelievi sugli extra redditi così conseguiti, il che non si è fatto. Comunque, tutte le spese dovrebbero essere coordinate alla reale disponibilità di materiali: sono cose che ho detto altre volte e mi scuso se devo ripeterle. Su altre spese, ancora, potevano agire quelle doti di fermezza che si attribuiscono a qualche ministro delle finanze del secolo scorso, per nostra fortuna amante dell’impopolarità.

È possibile, ad esempio, che, ad oltre due anni dalla pace, per ogni lira di reddito il cittadino debba spenderne almeno un ventesimo per la difesa militare di un paese che non ha alcuna intenzione, né la materiale possibilità di risolvere manu militari i proprî problemi internazionali? (Applausi a sinistra). È possibile che in un paese che ha ancora un quarto o un quinto della sua popolazione analfabeta si dedichi all’istruzione pubblica una spesa pari ad un terzo di quella che si brucia sull’ara di Marte? Poco gioverebbe avere a disposizione un apparato militare se ciò si accompagnasse al collasso economico di una collettività nazionale che non sa né leggere né scrivere.

È possibile che un altro settimo del reddito del cittadino sia destinato ad opere pubbliche, se il cittadino non è convinto che tali opere siano veramente profittevoli ed impostate su un programma organicamente produttivo? Ad un altro ventesimo del reddito destinato ai razionamenti ed ai prezzi politici corrisponde un insieme di vantaggi, nelle condizioni attuali in cui tali servizi sono resi, da giustificare questa parte di tributi? E che dire di quel decimo della sua fatica che il cittadino paga per avere una burocrazia non tanto numerosa quanto bene scelta, selezionata, razionalmente organizzata e retribuita quanto è necessario per esplicare onestamente il proprio compito? È oggi l’apparato statale congegnato in modo da fornire quei servizi pubblici che ad esso si chiedono celeri e col minor costo possibile?

Non vorrei ripetere qui quello che ho detto, onorevole colleghi, quattro mesi fa in quest’Aula. Ci sono dei dipendenti statali che sono trattenuti in servizio a titolo puramente caritativo, e la selezione dei migliori opera alla rovescia, e le note caratteristiche dei funzionari sono monotonamente ottime per tutti. Ci sono degli statali veramente sfruttati da questo solitamente generoso padrone che è lo Stato, ma ce ne sono anche moltissimi che sfruttano lo Stato con rendimento impari alla loro stessa modesta mercede. Le economie nei bilanci dei ministeri si possono accompagnare a ben maggiori snellezze, purché si adotti una severità che è oggi ignota.

Una sottocommissione di sottosegretari, mi pare nel giugno del ’46 – presieduta dall’onorevole Persico – presentò delle conclusioni per addivenire a delle economie nei bilanci dei ministeri: che fine hanno fatto quelle conclusioni?

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Abbiamo ridotto qualche cosa.

TREMELLONI. Bisognerà pure accingerci ad affrontare il tema centrale e vitale per ottenere una maggiore efficienza e moralità nella macchina dello Stato; altrimenti anche i più perfetti programmi non potranno mai essere attuati, neppure i programmi postulati da qualche settore dell’Assemblea che vorrebbe veder ridotto lo Stato alla sola funzione del carabiniere e dell’agente fiscale; e la politica economica sarà nelle mani non dei ministri, ma nel migliore dei casi nelle mani di qualche volonteroso e isolato funzionario soffocato dal lavoro in mezzo a gente soffocata dall’ozio, in mezzo a quelle forme di «nazionalismo di ministero» che sono tipiche come i nazionalismi regionali sopravviventi.

Io non credo che la soppressione di molti dei sottosegretariati, soppressi ora, sia utile. Non mi spavento né del numero dei ministeri né del numero dei sottosegretari, purché naturalmente ministeri e sottosegretari facciano solo il loro mestiere, quello cioè di attenti e laboriosi e imparziali e infaticabili amministratori della cosa pubblica. Qualche volta la lesina può anche essere una cattiva forma di risparmio.

Quanto alla nebulosa distinzione tra oneri normali e oneri eccezionali – che si manifesta sempre più arbitraria, assai più di ogni abituale classificazione schematica – andrebbe forse completata con quella tra spese per servizi immediati e spese per dotazione di beni strumentali: in tal modo potrebbero meglio saltare all’occhio le spese procrastinabili. Talune, poi, contabilizzate ora, dovrebbero essere sottoposte subito ad un vaglio perché si possa sapere esattamente quali spese impegnate saranno cancellabili, quali si impegnarono per lavori cui sarà certamente impossibile dar seguito per mancanza di materiali, quali sono urgenti e quali meno urgenti. Sebbene un controllo repressivo delle spese riesca spesso difficile e inefficace, queste discriminazioni e questi depennamenti gioveranno alla chiarezza del bilancio e ad una sua meno generica discussione. Su quel grosso calderone delle spese per opere pubbliche e per la ricostruzione – che rappresenta il 37 per cento del totale –         si deve esercitare utilmente l’acume critico del Paese, perché furono erogate piuttosto disordinatamente e senza badare all’utilità dei lavori.

La stessa ricostruzione di impianti delle aziende autonome non può sempre avvenire con un ritmo tale da non essere soppesato e graduato in relazione alle possibilità del paese e alle priorità giustificate.

E le spese per colmare i disavanzi di gestione delle imprese statali devono scomparire al più presto. Non è possibile, che il contribuente si addossi il prezzo politico dei trasporti ferroviarî, che integri le tasse postali, che paghi una parte notevole dei servizi forniti da imprese male amministrate. Lo Stato può e deve esigere che le proprie imprese siano condotte con criteri rigorosamente economici, provvedendo in altra forma e con altri capitoli di bilancio ad esigenze di altra natura. Lo Stato deve assolutamente contrarre i costi dei servizi che rende. Le imprese statali devono cessare di essere l’appannaggio di questo o quel partito, per dispensare piccoli o grandi favori. (Applausi).

Le innegabili ragioni sociali con cui si giustificano troppo comode esuberanze di personale, possono essere a miglior diritto invocate per ben diversi provvedimenti che non quelli di appesantire le imprese statali. E prima di assumersi il compito di diventare imprenditore in nuovi settori, lo Stato – a mio avviso – deve dimostrare che può essere oggi un saggio imprenditore nelle aziende che già possiede. Oggi invero non si potrebbe affermare con onesta tranquillità che lo sia. La grande impresa statale non ha soltanto bisogno di dipendenti selezionatissimi, ma anche di organizzatori che alla sagacia sappiano spesso unire un’eroica inflessibilità. E bisogna pure dire che è giunta l’ora di rinviare senza debolezze tutte le spese che riflettono servizi non essenziali alle esigenze odierne della collettività, anche se clientele politiche tentino di dare loro carattere di urgenza. Fino a che gli italiani riterranno, a torto o a ragione, che gli uomini del Governo hanno la facoltà di decidere partendo da malintese ragioni elettorali, non potranno inchinarsi alla legge, e considereranno la legge un sopruso. Se non dovesse essere questa l’ora delle ardite innovazioni e dell’autocritica da parte di tutti i partiti, dovremmo proprio disperare di averla mai.

Le spese statali, insomma, se si palesano al cittadino, come fin qui si sono palesate negli ultimi anni, scarsamente ispirate a criteri seriamente sociali o dedicate a strumenti inefficienti, provocano o accrescono giustificate resistenze dei contribuenti.

Il nostro bilancio trascina con sé inevitabilmente, e inesorabilmente forse, quella pesante palla al piede che si è formata durante un lungo periodo, attraverso incrostazioni lasciate dalla guerra e dall’autarchia; e se si vuole procedere leggeri, bisognerà pure eliminarla questa palla, prima che sorga qualche costoso salvatore.

Sono costretto ad essere brevissimo anche sulla politica delle entrate, se il Presidente mi consente di continuare.

Da oltre un biennio il popolo italiano non si lamenta – e forse soltanto per la prima volta nella sua storia – del fisco. Ciò non è solo indice di una sua manifesta lacunosa educazione economica, perché il mondo economico non elargisce mai regali, ma è anche prova di grave colpa dei Governi succedutisi dalla liberazione in poi.

Delle tre strade classiche: imposte, prestiti, inflazione, la terza è stata seguita con particolare indulgenza e con inspiegabile mancanza di resistenza da parte dei contribuenti, anche se con sommo compiacimento da parte di quei gruppi che potevano profittarne. Ora, la terza – come ben sanno gli onorevoli colleghi – è la più facile, la più silenziosa, la più allettevole, forse, ma certo la più disperata delle imposte; ed essa può scuotere l’istituto tributario fin nelle sue fondamenta.

Questa finanza, che non è straordinaria, ma ultra-straordinaria, ha purtroppo caratterizzato in gran parte l’ultimo terzo di secolo della nostra vita economica. Ed è venuta l’ora in cui minaccia di bruciare le radici dell’albero, e di sconvolgere ogni moderna struttura sociale. Noi siamo forse – e nessuno se l’è nascosto fino adesso – alla vigilia o all’antivigilia di quella fase inflazionistica che ad un certo punto blocca tutto il meccanismo, conduce alla paralisi progressiva l’economia di tutto il Paese, infetta la nostra vita sociale e lo stesso istituto democratico.

Non da oggi noi diciamo chiaramente e onestamente ai lavoratori che non dobbiamo a nessun costo consentire questa catastrofica conclusione; che la via d’uscita ottenuta attraverso il moltiplicarsi dei segni monetari è illusoria; che sono i percettori di redditi fissi o semifissi, cioè le categorie cosiddette proletarie e quelle dei ceti medi, le più scarnificate da questo iniquo e vano prestito forzoso. E i lavoratori se ne sono convinti, sì che ormai ritengono giustamente l’inflazione il verme solitario dei loro salari reali; reclamano non aumenti cartacei di mercedi, ma il mantenimento di un minimo di alimenti e di vestiario.

Primo punto del programma economico è dunque quello di rialzare questo piano inclinato, sul quale sdrucciola inesorabilmente ogni nostra costruzione economica e sociale; e di rialzarlo senza molti indugi. Ci sono probabilmente ancor oggi tutte le condizioni obiettive per salvare la lira, e gravi colpe si assumerebbe chi tardasse ad affrontare coraggiosamente questo salvataggio. Ma errore altrettanto grave, a mio avviso, sarebbe di considerare il problema dell’inflazione con una concezione semplicemente e puramente monetaria, illudendosi che basti immobilizzare il torchio, fermare cioè meccanicamente l’emissione dei segni monetari, trascurando l’intima correlazione tra politica economica e politica finanziaria, affidando al solo equilibrio del bilancio statale la funzione risolutiva. Ritengo che la Assemblea sia concorde dunque nell’invocare il più stretto coordinamento tra i dicasteri che si occupano più generalmente di politica economica e quelli che si occupano più specialmente di politica finanziaria, coordinamento fin qui in gran parte mancato.

Forse con qualche esagerazione, ma non senza ragione, un economista inglese, D.H. Robertson, diceva che consigliare ai governi di ritrovare l’equilibrio economico-monetario attraverso l’equilibrio del bilancio statale, è come consigliare ad un uomo che sta per affogare di mantenersi bene al riparo dall’umidità.

Se vogliamo soffermarci brevemente sulle entrate statali, dobbiamo ripetere che occorre una immediata, dura, inesorabile politica fiscale. Sarà utile concentrare gli sforzi su pochi tributi amministrati in modo efficiente; aggiornare l’imposizione diretta, che oggi non tocca un quinto delle entrate mentre era pressoché un terzo; liquidare con celerità la precedente finanza straordinaria; semplificare alcune ingombranti imposte minori; accentuare alcune progressività; aumentare alcuni minimi imponibili per consentire una maggiore efficienza fiscale al di sopra di tali minimi. Occorre che il congegno tributario funzioni rapidamente e senza falle, riducendo il divario fra il verificarsi del fatto imponibile e la riscossione. Tutto ciò è necessario anche ai fini di rialzare decisamente il rapporto, fra tributi e debiti. Giacché non si può sperare in un notevole ricorso ad indebitamenti volontari ulteriori nelle attuali circostanze, e fino a che il metro monetario non sarà assestato; mentre il ricorso ad indebitamenti forzosi presenta altri pericoli, non ultimo dei quali quello di togliere all’iniziativa privata le possibilità di un ricorso al risparmio monetario, paralizzando temporaneamente o definitivamente molte fonti produttive e quindi disseccando le stesse sorgenti fiscali. Se lo Stato possa, nel prossimo esercizio, far conto ancora su quella larga parte di risparmio monetario che ha assorbito negli ultimi due anni, è cosa assai dubbia, e sotto taluni aspetti non sperabile. Probabilmente è da ritenersi fortemente anemizzata la politica dell’indebitamento a breve scadenza, né purtroppo mi sembra per ora destinata ad essere efficacemente utilizzata la politica dell’indebitamento a lunga scadenza. Non c’è che la prevalente strada dei tributi, almeno in un primo momento.

Per la situazione di Tesoreria, che il Ministro Einaudi ci dirà certamente come intenda di affrontare nei prossimi mesi, occorreranno accorgimenti immediati ad evitare che la soluzione poggi ancora quasi totalmente sull’emissione di moneta cartacea. Uno di tali accorgimenti potrebbe essere, ad esempio, una più sollecita liquidazione dei beni in possesso dell’A.R.A.R., e che, se non vado errato, sommano a un centinaio di miliardi di lire. La più rapida immissione di queste merci sul mercato potrebbe anche agire come espediente calmieristico non privo di efficacia.

Ai fini di offrire il massimo di risorse alla tesoreria sarà anche necessario perfezionare i rapporti con il sistema bancario, nel senso di evitare che continui a ridursi fortemente l’afflusso di danaro al Tesoro per tali canali. La coordinazione tra emissioni statali ed emissioni di privati dovrà essere presa, infine, in serio esame.

Quanto all’intero sistema tributario, non occorre ripetere che esso somiglia ormai a un paniere di vimini con il quale si voglia trasportare a distanza dell’acqua. Tutti i sistemi tributari studiati per i periodi di moneta sana, invero, non valgono più, perché l’erosione monetaria li appesantisce e li deforma, assai più di quanto non deformi la stessa curva dei redditi; e l’essenziale è di adattarli in modo che non diano origine a un’impresa in cui i costi di accertamento e di esazione quasi pareggino, se non in moneta legale certo in misura reale, le entrate tributarie. E man mano che si richiede un congegno più agile e tempestivo, si ha proprio allora più pesante, più tardo, più impacciato, più ricco di attriti, perché il lavoro si moltiplica geometricamente, si fa caotico, quindi arbitrario ed iniquo. Occorre quindi, anzitutto, alleggerire il congegno delle cose ingombranti non necessarie, e farlo seriamente funzionare per le necessarie.

Cosicché – e non sembri una contradizione in chi vi parla, che sempre sostenne doversi ricorrere più alle imposte dirette che alle indirette – è giocoforza oggi ricorrere soprattutto a quelle imposizioni il cui tributo è accertabile automaticamente ed è crescente in ragione inversa della svalutazione. Purtroppo, fino a che non si avrà la lira stabilizzata, dovremo dunque far ancora largo ricorso alle imposte indirette, e in particolare a quella imposta sull’entrata che per molti noti motivi abbiamo vivacemente criticato. L’essenziale è invece di poterle discriminare in modo da evitare che i suoi effetti distributivi non siano inaccettabili, che ricadano cioè sul consumatore più povero, mirando invece a colpire fortemente quei consumi che si ritiene di giudicare voluttuari. Penso che la larga capacità di acquisto di alcune categorie di cittadini, cui contribuisce la facilità di alcuni guadagni congiunturali, debba essere colpita attraverso questa identificazione e una saggia discriminazione di alcuni consumi: in tal senso vedrei favorevolmente una decisa azione del nostro Ministro delle finanze, alla cui fertile fantasia noi bruciamo sempre incensi propiziatori. È singolare che i nostri ministri delle finanze abbiano agito finora, nei confronti del contribuente, come quei bambini cattivi che tormentano volentieri le mosche, ma si guardano bene dal toccare le vespe: bisogna invece tormentare le vespe e lasciar in pace le api. Quei 500 o 600 miliardi che si attribuiscono dagli statistici, nel calcolo del dividendo nazionale, ai redditi di borsa nera o comunque a redditi largiti da queste patologiche congiunture, sfuggono quasi interamente al fisco; ed essi non sono raggiungibili se non attraverso le manifestazioni del consumo, di quel consumo eccezionale che colpisce la fantasia dei turisti stranieri e giustifica spesso le reazioni dei ceti proletarizzati dall’inflazione.

E quelle centinaia di miliardi che attraverso le materie prime importate dall’U.N.R.R.A. hanno rappresentato la differenza tra i prezzi ufficiali cui furono cedute ed i prezzi che dovette pagare il consumatore del prodotto, non sono stati finora sfiorati dal fisco.

Inutile aggiungere chiaramente che le imposte sullo scambio della ricchezza – portatesi dal 13 al 40 per cento delle entrate tributarie dal 1913 ad oggi – sebbene rappresentino in gran parte un espediente necessario oggi, dovranno essere le prime a subire le opportune contrazioni non appena il terreno monetario lo consentirà.

Il tempo non mi consente soffermarmi minutamente sui vari problemi tecnici dei provvedimenti presentati (e che d’altronde la commissione finanze tesoro ha esaminato analiticamente), ma mi rendo assai parzialmente conto delle ragioni tecniche che hanno ora indotto il Governo a far naufragare il troppo ritardato e discusso cambio della moneta che era considerato, a ragione o a torto, l’espressione più significativa di una politica fiscale energica; e mi si consenta di dolermi che in tal modo si sia persa forse definitivamente l’occasione di utilizzare un mezzo di accertamento della ripartizione di questa ricchezza mobiliare, la cui stima percentuale ragguagliata ad altri elementi nell’imposta straordinaria darà origine a non lievi sperequazioni. L’imposta straordinaria, così come era proposta, non era sufficientemente progressiva e bene ha fatto la Commissione finanze a rincrudirne l’incidenza per i patrimoni maggiori. Ma doveva trattarsi di congegnare un’imposta di rapida attuazione, non diluita nel tempo e resa molto aleatoria nel gettito reale delle scadenze pluriennali. Si dovrà comunque pensare a quella imposta sulla rivalutazione dei bilanci azionari, di cui si è più volte parlato.

Ché se poi la somma dei provvedimenti presi per evitare ulteriori svalutazioni monetarie non riuscisse a frenarla in modo deciso, allo Stato non rimarrebbe se non la soluzione di sistemi di scala mobile per talune imposte che si accertano oggi e che si possono pagare tra qualche anno: il principio, che già si riconobbe d’altronde nel caso delle spese, non è certo ortodosso, né gradito, ma la sua applicazione diverrebbe inevitabile se non si giungesse rapidamente a un metro monetario stabile.

D’accordo, infine, sulle riduzioni operate per i minori redditi di lavoro nella ricchezza mobile, ma non condivido l’opinione che in momenti tanto gravi vi siano generiche esenzioni per i redditi di lavoro in generale. Il minor gettito della imposta diretta verrebbe inevitabilmente sopportato dalle masse lavoratrici attraverso più temibili imposte indirette che graverebbero anche sulla massa dei disoccupati. Se da un lato, per talune imposizioni, giova puntare con maggior energia più sull’intensità che sull’estensione delle imposte, attese anche le condizioni degli uffici accertatori, per talune altre non si può prescindere dal criterio dell’estensione.

Poca ma decisa e rapida finanza straordinaria, che è finanza di eccezione e che spesso illude e si illude su arricchimenti a loro volta illusori. Molta e chiara finanza ordinaria, senza aspettare che la riforma del sistema – da porre in ogni caso sollecitamente allo studio – possa concretarsi perfetta e istantanea come Minerva nel cervello di Giove.

Vorrei raccomandare ancora al nostro Ministro delle finanze di avviare rapidamente e di perseguire rapidamente studi intesi a determinare i costi di accertamento e di esazione paragonandoli con criteri severamente economici. Vi sono tributi che non mette conto di riscuotere, tanto sono modesti in relazione agli oneri che comportano. E taluni tributi vivono ancora come quei gendarmi messi dinanzi alla famosa panchina verniciata di fresco; taluni altri si possono notevolmente rialzare in ragione del diminuito valore della moneta. Inutile poi ricordare ancora qui l’esigenza che la macchina dello Stato sia veramente messa a punto. Che, cioè, la selezione dei funzionari avvenga con quel rigore soltanto possibile quando si retribuiranno con adeguatezza; che sia dato valore di giuramento alle dichiarazioni formali del contribuente, con penali severe per le false dichiarazioni; che si snellisca con disposizioni chiare il sistema dei rapporti fra il contribuente e fisco; che si riformi adeguatamente il contenzioso; che si torni ad un’inflessibile severità nel colpire quei funzionari i quali non fanno l’interesse dello Stato e che comunque non intendono il delicato compito loro affidato.

La politica dell’entrata non può essere oggi considerata che come una politica di emergenza; e io non credo debba spaventare l’obbiettivo di raggiungere, almeno temporaneamente, un rapporto che si avvicini anche al 30 per cento fra tributi e reddito nazionale, né debba essere dimenticato che l’urgenza degli accertamenti e delle riscossioni è massima. Ciò che si rischia di perdere, con una politica fiscale troppo cauta, supera certo di molto i pericoli e gli svantaggi di una politica fiscale troppo energica. Vi sono larghe zone di privilegio determinate dalla congiuntura, vi sono infinite rendite di posizioni che l’azione d’intervento dello Stato può e deve contribuire a ridurre e correggere. Attraverso l’azione tributaria, se ben condotta ed entro limiti adatti, si possono assai meglio raggiungere molti scopi extra fiscali di natura sociale, e talvolta si può deviare il flusso delle attività verso i rami ritenuti più utili. Scopi che sarebbero con maggiori oneri ottenibili oggi attraverso regolazioni dirette nel campo della produzione, e che, in determinate condizioni, possono preferibilmente essere raggiunti con questa strada, evitando complicati e più costosi vincoli nella fase produttiva. Ma bisogna finirla di promettere feroci imposte, senza attuare neppure quelle modeste e pacificamente accettate, altrimenti finiremo per attenere quel che ottenne il pastore che gridava troppo, e per ischerzo, «al lupo».

Ho superato i limiti della vostra pazienza a sopportazione e mi affretto a concludere. Gli obiettivi immediati della nostra politica economica sono dolorosamente quelli di costringere gli italiani a più duri sacrifici, a più intenso lavoro, ma anche a meno inuguali oneri: solo così essi potranno costruirsi un edificio sociale migliore, così solo potranno salvarsi dalla catastrofe. Dobbiamo insomma stabilire nell’interesse di tutti, e non soltanto della minoranza, i semafori di questa nostra caotica affollata circolazione stradale, dove il transito è ritardato e spesso impossibile, e dove sarebbe contrario alle nostre concezioni di uomini del secolo ventesimo se dovessimo concludere con il «peggio per chi rimane travolto». Badiamo bene che i semafori siano collocati nei crocevia dove occorrono, e che le luci guidino e non accechino il passante, lo facciano sostare ma non lo immobilizzino. Se i semafori esistenti, spesso residui di quelli di una pericolosa impalcatura corporativa, sono destinati a rimanere spenti, tanto vale eliminarli; ma se si ritengono dalla maggioranza indispensabili, bisogna farli funzionare con regolarità severa in modo che siano consoni allo spirito dell’ordinamento democratico. Non bisogna permettere che ogni gruppo possa a piacer proprio spengerli e accenderli quando più gli fa comodo, come ha fatto spesso finora.

Tutto ciò si accompagna a gravi sforzi, a gravi difficoltà che nessuno, e tanto meno chi vi parla, sottovaluta. Ma guai a sostare sempre e rassegnatamente nei vicoli ciechi del mito delle «impossibilità fatali».

Dobbiamo infine andar cauti nell’applicare soluzioni permanenti a problemi temporanei; ma io vorrei ammonire anche il governo ad essere cauto nel trovare soluzioni temporanee che possono compromettere problemi permanenti.

La posta in gioco è così alta da farci riflettere quale sarebbe il costo se noi perdessimo la partita. Tanto vale oggi adottare severamente i provvedimenti necessari, per non essere costretti in peggiori condizioni ad adottarne il doppio domani. Nessuna classe sociale, nessun partito può illudersi, d’altra parte, di portare a concretezza le proprie ideologie se le condizioni peggiorano al punto da scendere al livello di quella che fu chiamata la «sottonutrizione sociale», se cioè si lascia mancare il vitale calore della convivenza, e si lasciano liberamente vaganti fuori della cornice sociale gli sfrenati interessi individuali e di gruppo. Il problema diventa anche qui, di limiti: ma tutto l’istituto democratico è un problema di limiti: o sappiamo imporceli, o li lasceremo imporre alla dittatura. Non si tratta dunque oggi di una polemica di opposte ideologie, dove da un lato si mettono i pianificatori e dall’altro i liberisti. Una nota rivista economica inglese tracciava qualche tempo fa le linee di una «politica della ricchezza», ed una politica della ricchezza può anche essere facilmente liberista; purtroppo noi dobbiamo tracciare i programmi di una «politica della povertà», che non può essere, almeno nel futuro immediato, se non una politica di limiti e di intelligenti vincoli. Personalmente non sono affatto amico dei vincolismi, e non vorrei farmene patrono se non trovassi regolarissimo, d’accordo in ciò con gli stessi liberali, almeno quelli inglesi, che in una zona terremotata si proclami lo stato d’assedio. In tutti gli altri paesi europei se ne sono accorti dal giorno in cui la guerra è finita; in taluni, come in Gran Bretagna, si è avuto l’eroismo di siffatte restrizioni, ed è forse un eroismo più difficile di quello bellico.

Senza dubbio il compito di dirigere con metodi democratici un sistema economico complesso e molto differenziato come il nostro attuale, va oltre il potere di qualsiasi meccanismo governativo, anche se efficiente; e qui ha ragione Luigi Einaudi di fare appello alla concorde, ma non inconsapevole e fatalistica, ubbidienza e allo sforzo di tutti. Una politica della povertà non si può fare se si consentono, e non si eliminano, i presupposti oggettivi della litigiosità. «Tutto ciò che dà valore all’esistenza di ognuno di noi – diceva non un patrono della pianificazione, ma John Stuart Mill – dipende dai freni che sono imposti all’azione degli altri». Sforzo, dunque, ma non unilaterale; sacrificio, ma equo e consapevole; freni all’azione dei gruppi e non privilegio e messianica attesa. Queste, a mio avviso, sono le vie d’uscita, anche se le più dure e le più difficili, sono le invocate e non messianiche salamandre per questa che è la definitiva, la irrevocabile prova del fuoco della democrazia nel nostro Paese. (Vivissimi applausi Molte congratulazioni).

La seduta, sospesa alle 18.55, è ripresa alle 19.55.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Cerreti. Ne ha facoltà.

CERRETI. Onorevoli colleghi, già alcuni oratori di questi settori hanno messo in luce che le dichiarazioni del Governo hanno dato luogo a larghe sorprese e che la presentazione del nuovo programma ha uguale facciata a quella del Governo precedente. Però il paradosso è questo: che ad applicare questo programma sarebbero chiamati uomini diversi da coloro che lo hanno concepito, che probabilmente sono ostili e forse sono disposti, «tecnicamente» s’intende, a dimostrarne la inattuabilità.

Credo che il Paese non potrà mai comprendere che ad applicare ad esempio i quattordici punti cosiddetti di Morandi non sia il simpatico ed attivo ex Ministro socialista e coloro che con lui hanno collaborato durante sedute lunghissime e penose del Consiglio dei Ministri durate – non so, secondo la cronaca – 140 o 170 ore, ma altri che a quei dibattiti non erano presenti e che rappresentano interessi opposti a quelli che ci spingevano a decidere quando discutevamo questi problemi.

Ad applicare, per esempio, la politica del tesseramento cosidetto differenziato non dovrebbe essere il sottoscritto che, per carenza di altri, se ne è dovuto assumere la responsabilità, ma coloro che non ci credono, forse un Sottosegretario alla Presidenza che deride quel progetto, aiutato da un tecnico che sarà incaricato di dare le cifre alterate per dimostrarne la inapplicabilità.

Questo doppio giuoco mi ricorda una fiaba del grande scrittore scandinavo Andersen, fiaba poco conosciuta che scrisse nel decimo anniversario della pubblicazione del suo primo libro di novelle e che fu riesumata soltanto nel 1940 da uno scrittore antifascista perseguitato e pubblicata in un grande giornale danese, il «Politiken».

Questa fiaba diceva che in un grande paesaggio norvegese vi erano due vallate, una più alta e l’altra più bassa. A cavallo delle due vallate si trovava una grotta ed in questa grotta vi era un uomo deforme, una specie di mostro. Nella bassa valle si trovavano dei derelitti, pescatori affamati, artigiani disgraziati e malvestiti, villici che non avevano certamente la facoltà degli abbienti di assicurarsi il benessere. Nell’altra, in alto, vi erano invece un grande castello feudale, una zona fertile, un centro di ricchezza. E questo mostro che stava a cavallo fra le due vallate aveva la facoltà, forse per incantesimo (non so se allora si parlasse di provvidenza divina) di trasformarsi volgendosi verso la vallata povera in uomo compassionevole, derelitto anche lui e volgendosi dall’altra parte in cortigiano profumato. Egli si chiamava il «mostriciattolo del doppio giuoco». (Rumori al centro Applausi a sinistra). Termino la fiaba.

Una voce a destra. Ma è una fiaba!

Una voce a sinistra. È realtà.

Una voce al centro. Purtroppo è realtà, lo sappiamo.

CERRETI. È una fiaba che non ho scritto io. (Ilarità Rumori).

Ma la cosa curiosa del fenomeno era che in questo incrocio di vallate tirava sempre un vento fortissimo che, il più delle volte, spingeva il mostriciattolo del doppio giuoco ad andare verso la valle dei ricchi e quindi ad essere un cortigiano. La fiaba è terminata. (Commenti).

Resta il fatto che è impossibile per i democratici italiani concepire che, ad applicare il programma steso ed elaborato da uomini della democrazia, tra cui collaborarono i rappresentanti dei lavoratori in modo diretto, possa essere il senatore Einaudi, malgrado il rispetto che gli dobbiamo come studioso. (Commenti a destra).

LUCIFERO. E perché, l’onorevole Einaudi non è forse un rappresentante della democrazia? (Commenti).

CERRETI. Vi prevengo, onorevoli colleghi, che, se c’è volontà d’interrompere, ne avrete molte occasioni, ma non perderò la calma (Commenti al centro e a destra). Dicevo che l’onorevole Einaudi, uomo di studio e di vasta cultura – forse troppo antico per comprendere il corso nuovo della situazione in Italia, o per età, o per disposizione intellettuale troppo sordo a comprendere le voci allarmate ed inquiete delle masse lavoratrici – non crediamo potrà essere l’uomo che farà una politica a favore delle classi più disagiate del nostro Paese. (Commenti al centro). Non crediamo che sarà l’uomo che prenderà misure coercitive contro la speculazione e che sarà l’uomo che potrà permettere al Paese di attuare alfine una politica che porti a far pagare i ricchi, responsabili dei grandi disastri nazionali.

L’onorevole Einaudi farà una politica a favore delle classi possidenti e dei ceti plutocratici italiani. Si può dire: perché? Perché l’onorevole Einaudi è il Governo! Ma che tipo di Governo! (Commenti al centro e a destra). Si è parlato di Governo di emergenza, ma, permettete, se l’emergenza ha una caratteristica particolare, legata a contingenze immediate, e siccome si dice che questa emergenza ha carattere finanziario ed economico, è giusto che l’uomo che ha preso un dicastero che controlla tutti i settori della finanza e dell’economia, sia l’uomo che dirige in fatto e di fatto il Governo.

L’onorevole De Gasperi non abbia l’illusione di essere il dirigente del Governo, come lo fu di quello passato, anche se dei due precedenti lo fu solo in una certa misura. Ora lo sarà in misura minore. Ci sono esempi storici…

Una voce al centro. Prima la fiaba ed ora la storia!

CERRETI. …che dimostrano questa verità.

In Francia nel 1937, al momento dell’aggressione straniera contro il popolo spagnuolo, vi era un Governo diretto da un socialista, da Léon Blum.

Questo Governo, malgrado le manifestazioni visibili della stragrande maggioranza delle forze popolari francesi – compresi i socialisti che erano appassionatamente difensori e sostenitori della lotta eroica del popolo spagnolo – non fu in grado di prendere posizione di difesa e di aiuto verso quella Repubblica minacciata da tutte le parti.

E sapete perché? Perché chi decideva nel Consiglio dei Ministri era il Ministro delle finanze, che in Francia comprende tutto – tesoro e bilancio – e questo uomo subiva la pressione della City, che voleva mettere in difficoltà ed in pericolo la Repubblica spagnola a mezzo della criminale politica del «non intervento». E si cominciò ad agitare lo spauracchio dei titoli che in borsa cadevano, dello sfacelo del franco, sicché il Governo francese fu costretto, malgrado fosse diretto da un socialista che intenzionalmente era favorevole agli spagnoli, a cedere alle ingiunzioni di Londra e ad applicare la politica del non intervento che costò sangue, rovine e favorì la fine della Repubblica popolare spagnola.

Possiamo portare anche due esempi nostrani. Nel primo Governo, dopo la proclamazione della Repubblica, vi era un uomo che per certi aspetti è estremamente simpatico, l’onorevole Corbino. Ma, chi fu il dirigente di quel Governo? Fu Corbino e non De Gasperi, ed anche se De Gasperi avesse avuto delle eccellenti intenzioni non poteva riuscire a fare una politica a favore del popolo, perché vi era la mano della finanza, a mezzo di Corbino, che ne impediva gli effetti, come avvenne per il cambio della moneta.

CONDORELLI. Per il popolo ci siete solo voi, gli altri non contano! (Commenti).

CERRETI. Quando fu Ministro del tesoro l’onorevole Campilli, devo riconoscere qui che in tutte le sessioni dei comitati interministeriali del CIR e del Governo, alle quali ho avuto l’onore di partecipare, ho visto questo Ministro sforzarsi di fare una politica democratica. Egli stesso però era premuto da forze oscure, alle quali l’onorevole Corbino ha fatto lievi allusioni (Commenti al centro), che facevano di alcuni Consigli dei Ministri un ambiente di apprensione, di inquietudine a causa delle notizie che giungevano dai circoli finanziari a proposito della lira, a proposito dei titoli di Stato, a proposito dei Buoni del Tesoro, a proposito del ritiro dei depositi dalla Banche medesime e degli aiuti e anticipi finanziari al Tesoro. Sicché, anche tutte quelle decisioni sui famosi quattordici punti di Morandi furono prese in quell’ambiente, non per colpa del Ministro del tesoro, ma per colpa di quelle forze pericolose che sono attorno e che oggi hanno in mano il Governo, in modo diretto e in modo aperto. Si capisce che si nasconde il fatto sotto la formula dei tecnici. Ma, diciamolo francamente (perché siamo uomini abituati alla vita politica e quindi allo studio della storia e dei problemi che sono connessi alla vita dei popoli), che cosa significano questi tecnici? Nel primo caso, o sono già legati ai gruppi plutocratici o finanziari, e quindi non sono indipendenti; nel secondo caso, quando non sono legati già a questi gruppi plutocratici, sono più facile preda degli uomini politici i quali devono rispondere, di fronte al paese, del proprio mandato e della propria qualità di Rappresentante del popolo. I tecnici rappresentano sempre l’ingerenza attiva e diretta delle forze che sono dietro le quinte del Governo, le quali mandano i loro tecnici al Governo per impadronirsi della leva di comando, sono uomini che, strumenti di queste forze, sono divorati rapidamente da esse. E si potrebbero citare esempi al riguardo in tutti i paesi democratici.

Del resto, mi stupisce che il Presidente del Consiglio, che è un uomo duttile e abile e – non date a questa parola il significato cattivo – anche furbo, non ricordi come rispose ad un deputato che lo interpellava a proposito della nomina dell’onorevole Micheli a capo del Ministero della marina militare: che là occorreva un uomo politico per mettere a posto le cose. Ma dappertutto occorre un uomo politico. Si tratta di sapere quale politica dobbiamo fare, in quale direzione dobbiamo andare per alleviare le maggiori sofferenze delle classi lavoratrici; ossia se dobbiamo fare una politica che faccia pagare le spese della catastrofe del fascismo a coloro che del fascismo hanno approfittato, oppure una politica che vada a favore dei ceti medi e delle classi lavoratrici.

Un tecnico si perde in questo dedalo. Il professor Merzagora è giunto dal Brasile da poco, e probabilmente non porterà nelle sue valigie del caffè a prezzi modici, ma è probabile che porti invece i nuovi cartelli che dovranno avere il monopolio del commercio estero. È probabile che si vedano rapidamente risorgere in Italia quei cartelli che furono la caratteristica del periodo fascista, con i vari Pozzani che furono i re dei cereali sotto il fascismo, e quindi con quei profitti marginali che verrebbero ad incidere sul prezzo di costo e cioè sul pane del popolo.

Anche all’alimentazione adesso abbiamo un tecnico di valore, lo riconosco; ma c’è da domandarsi come mai questo tecnico non fu sorretto e sostenuto nel periodo tragico della saldatura, che sembrava compromessa, ma fu invece costretto dal mio predecessore ad andarsene sbattendo le porte.

Come mai l’onorevole De Gasperi non consigliò che questo tecnico restasse, e mi riferisco al professor Ronchi…

MENTASTI. È falso!

CERRETI. La verità è che il professor Ronchi è un uomo dignitoso, e non approvava la sua politica.

MENTASTI. Non è vero niente.

CERRETI. Tanto è vero che, il secondo giorno della mia nomina ad Alto Commissario, il primo passo che feci fu di chiedere al professor Ronchi che venisse a collaborare con me e riprendesse il suo posto di direttore generale. Non poté farlo, non so perché, ma ritengo che ci fosse un siluramento sotterraneo che impedisse la nuova nomina a cui io lo avevo proposto.

SEGNI, Ministro dell’agricoltura e foreste. Non volle ritornare lui. (Approvazioni al centro).

CERRETI. Io ho troppo rispetto per lei, onorevole Segni, per non ritenere la sua interruzione dettata da buona fede; ma io ho qui una lettera del professor Ronchi nella quale egli dice che, a seguito di un nuovo incarico avuto nell’agricoltura, non poteva accettare l’incarico da me offertogli.

MENTASTI. Questo che cosa significa? Che non volle lui.

Una voce al centro. Troppe favole, onorevole Cerreti. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.

CERRETI. Comunque, il settore dell’alimentazione aveva ed ha, per fortuna, oltre al professor Ronchi, dei tecnici eccellenti, quali il professor De Marzi, il professor Pellegrini, e tutti i loro collaboratori che sono stati gli artefici della saldatura ottima, che abbiamo fatto quest’anno.

MENTASTI. E che si è fatta anche l’anno scorso.

CERRETI. Ma la questione non è ancora questa. Io mi domando come farà questo tecnico, bravissimo, a poter sostenere la necessità di una politica alimentare a favore dei ceti meno abbienti se il Governo non la vorrà fare, quale voce egli potrà avere in questo Ministero quando sarà convocato ad udienza al Consiglio dei Ministri, sapendo che dietro di sé non ha le forze che noi avevamo, la fiducia del popolo, i partiti di sinistra, le organizzazioni sindacali, quelle forze che ci hanno messo in condizioni di mantenere una tranquillità completa nel Paese. Queste forze mancheranno al professor Ronchi e quindi o farà una politica conforme alle premesse del Presidente del Consiglio, o, altrimenti, sarà liquidato e al suo posto andrà un altro tecnico, forse più maneggevole.

Io vorrei far rilevare come mi è amaramente spiaciuta la formula che ha dato l’onorevole Presidente del Consiglio alla rilevazione annonaria decisa dal Consiglio dei Ministri: egli ha parlato di «inchiesta Cerreti», ben sapendo che tutta la stampa faziosa italiana non ha fatto altro che dare questo attributo al Cerreti, di aver fatto una cosa personale, mentre si trattava di una decisione nei termini in cui era stata deliberata dal Consiglio dei Ministri, preceduto da ben quattro Comitati interministeriali, alla testa dei quali si trovava l’onorevole Segni, che è stato sempre con me un corretto collaboratore.

Quindi, si è dato pretesto alla stampa di falsare i fatti, di dimostrare che vi era un piccolo dittatore in un settore governativo, il quale faceva di sua testa, e il Governo lo ha tollerato.

Quando, addì 20 aprile, chiesi alla Presidenza del Consiglio di fare un comunicato ufficiale di rettifica per spiegare le ragioni del censimento, non ho avuto mai risposta, malgrado quattro fonogrammi di sollecitazione. Tengo però a dichiarare che quando si è rivelato il sabotaggio organizzato dalla Confida e dalla Confederazione dell’Industria, l’onorevole De Gasperi ha fatto un telegramma a queste organizzazioni, spiegando che era obbligatorio rispondere agli impegni contenuti nelle disposizioni per questa rilevazione annonaria. Ma tutte le falsità che sono state scritte sui giornali sul fallimento del censimento nazionale non sono state mai rettificate.

Io mi permetto di darvi le cifre. Questo malfamato censimento annonario si termina, perché, malgrado i chiari sabotaggi, le insinuazioni, le accuse personali, siamo nella fase decisiva, superata quella della rilevazione nel lavoro delle Commissioni comunali, che devono adempiere alla loro funzione del controllo delle classificazioni.

È in queste condizioni che oltre un milione di carte annonarie è stato eliminato, il che vuol dire oltre un milione di quintali di grano risparmiati all’anno, il che vuol dire 30 o 40 miliardi di lire risparmiati all’anno per la nostra economia nazionale. (Applausi a sinistra).

Ed è terminato anche con una proporzione molto giudiziosa, migliore delle prospettive di impostazione che noi avevamo dato circa le classificazioni delle varie categorie dei cittadini: 59,4 per cento di non abbienti, 19,9 per cento di semiabbienti, 20,7 per cento di abbienti. Ci sarà ancora probabilmente qualche modificazione; ma quello che è certo è che noi abbiamo dato al Governo uno strumento efficiente per fare, se lo vorrà, una politica democratica.

A ciò abbiamo lavorato per mesi e mesi, in commissioni composte di uomini di alta capacità; tutto sta adesso a vedere quale uso si vorrà fare di queste cifre, quale politica si vorrà seguire. Io mi permetto di avvertire che il censimento, nonostante quello che ha scritto certa stampa gialla, i cui articoli sono fatti da giornalisti, o pseudo tali, che non hanno perduto l’abitudine di intingere i loro pennini nell’inchiostro fascista (Commenti), è un’arma efficiente nelle mani del Governo.

In quella stampa ci si è accusati di aver speso due miliardi e più…

Una voce al centro. Cinque miliardi.

CERRETI. …per i moduli, quando per i moduli si sono spesi appena 95 milioni e per le spese di censimento sono andati circa 930 milioni: neppure un miliardo!

Una voce al centro. Non è vero.

CERRETI. Ma non interrompete! Voi non conoscete i fatti e le cifre: siete soltanto degli insolenti! (Commenti Interruzioni Rumori Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, misuri le parole che pronunzia; lei non può offendere l’Assemblea.

CERRETI. Io non offendo nessuno. (Rumori Commenti).

È doloroso constatare ciò quando si è avuta l’onestà di accettare, almeno a parole, il punto quarto del progetto Morandi, di dichiarare cioè che il tesseramento differenziato sarà tenuto in considerazione.

Il brutto è che al Governo vi è il partito delle destre che ha perseguito il sabotaggio del censimento annonario e questo partito prende la direzione della politica italiana.

Non facciamo quindi della demagogia. Se non si porranno in questa Assemblea e nel Paese le condizioni perché si costituisca un vero governo rappresentativo, le classi lavoratrici italiane, i ceti medi possono essere certi che questo tentativo di organizzazione della politica annonaria democratica sarà votato al fallimento.

Del resto, io metto in guardia il Governo sui problemi che al tesseramento differenziato sono legati.

Perché si sbaglierebbe colui che ritenesse che noi siamo stati spinti per demagogia a mettere in campo questo progetto, a volerlo attuare con decisione. Forse questa è la sola nostra colpa. Si sbaglierebbe colui che pensasse che è dovuto al caso. Guardate, la mia breve esperienza all’Alto Commissariato per l’alimentazione mi ha dimostrato che da tutte le parti si chiede la libertà. Vogliono la libertà gli importatori, vogliono la libertà i contadini, vogliono la libertà gli industriali: tutti vogliono la libertà. In queste condizioni, se noi accettassimo di liquidare tutti i vincoli esistenti all’ora attuale, ciò significherebbe spingere la parte più povera del nostro paese – e mi riferisco a quelli che sono a reddito fisso e specialmente ai vecchi pensionati, ai disoccupati, a tutte le famiglie più disagiate del Paese – a conoscere in gran parte periodi incresciosi; e molte di queste persone potrebbero incontrare quella morte reale per fame cui alludeva metaforicamente ieri l’onorevole Corbino.

Non solo questo, ma non bisogna dimenticare che prima la guerra e le conseguenze di essa, poi l’arrivo degli Alleati in Italia, avevano sconquassato tutto il sistema dei controlli, e quindi reso impossibile per il Governo l’applicazione stretta e metodica del regime vincolistico, per fare una politica che impedisse le evasioni, che impedisse il mercato nero, che impedisse gli accaparramenti e le speculazioni.

Inoltre è da aggiungere che quella politica fu chiamata socialista quando gli Alleati ce la imposero come politica annonaria, ma in realtà oggi ci troviamo con strumenti invecchiati e semidistrutti in mano, senza aver potuto sostituirli con nuovi strumenti che ci permettano di agire per giungere alla liquidazione di ogni tesseramento, per gradi, senza creare disordini nel nostro Paese.

E poi mi ha portato molto a riflettere – e con me i miei amici – il fatto che nelle zone industriali e nelle zone di montagna i lavoratori vivono in condizioni disagiatissime. Ho sempre davanti agli occhi i costruttori delle nuove centrali elettriche a Bolzano, quei settemila lavoratori che stanno quasi tutta la giornata con l’acqua fino alle ginocchia e che devono essere alimentati coi prodotti che lo Stato dà loro: cioè appena mille o millecinquanta calorie. E la questione è che noi non abbiamo una massa di prodotti sufficienti da distribuire equamente, come sarebbe giusto, a tutti gli italiani. E quindi, siccome c’è una situazione sperequata, siccome le nostre possibilità sono modeste, bisogna, attraverso il tesseramento differenziato, andare incontro a queste categorie disagiate, anche per fermare quella corsa catastrofica degli alti salari e dei continui aumenti della «contingenza», che poi porta ad influire sui prezzi di costo e quindi sulla saldezza della lira.

Aumentando unicamente la quantità dei beni di consumo a disposizione di questa parte attiva e davvero produttiva della popolazione italiana, noi potremo garantirci da molti guai, ai quali altrimenti andremmo incontro.

Ma qui c’è un problema: non basta fare questa politica democratica nel campo annonario; occorre anche pensare a dare più poteri all’Alto Commissariato dell’alimentazione, perché adesso è come quel famoso vaso di terracotta, di manzoniana memoria, fra due vasi di ferro: l’agricoltura e il commercio estero; deve distribuire ciò che l’agricoltura riesce ad avere e deve dare come assegnazione, generalizzata, una volta tanto, ogni tanto, cioè raramente, quel poco che ci viene dagli acquisti all’estero. L’essenziale è che nel periodo in cui durerà ancora la necessità di un mercato razionato, controllato dallo Stato, l’Alto Commissariato abbia i poteri di ammassare, di reperire e di fare gli acquisti all’estero; cioè sia creato un vero Ministero degli approvvigionamenti il quale faccia una politica sociale mantenendosi in contatto stretto con organizzazioni che non sono a carattere speculativo, quale la meravigliosa rete di cooperative che abbiamo in Italia e gli Enti comunali di consumo, che da tutte le parti si cerca di far venir meno salvo dalla parte, direi, di questo settore, perché si comprende la capacità di quest’organismo a carattere collettivo di potere intervenire come fattore calmieratore sul mercato annonario italiano.

Badate, l’avvertimento di questa debolezza dell’Alto Commissariato fu dato un anno fa da personalità alleate, studiose delle nostre questioni alimentari, che misero in guardia il Governo di allora sulla insufficienza dei poteri di esso che, quasi povero servo, deve togliersi sempre il cappello quando parla al gruppo dei signori dei due Dicasteri maggiori. E dissero questi esperti alleati che, se si voleva assicurare in Italia una politica alimentare che tenesse conto delle esigenze della parte più disagiata del popolo, bisognava dare più poteri a chi si trovava alla testa di questo Dicastero, dargli il diritto di parlare da pari a pari con gli altri Ministri.

Non si ascoltò quella voce, allora. Speriamo che questa volta si ascolti la nostra, perché ragione vorrebbe che si pensasse a questa soluzione, e non ad una diversa, a diminuire cioè i poteri di questo strumento, che deve essere invece sempre più efficiente nella politica alimentare del nostro Paese.

Comunque, ritornando al Governo, quando si verifica il caso strano di uomini chiamati a fare una politica nella quale non credono e la quale porterà ad un vicolo cieco, c’è da dirsi che il vero problema sta nel nostro vecchio adagio: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». (Applausi a sinistra Commenti).

Io mi domando se la crisi poteva essere evitata. Secondo me, è certo che poteva essere evitata. L’onorevole Presidente del Consiglia dovrà, agli uomini che hanno collaborato con lui nel Governo precedente, concedere per lo meno questo: che hanno con lealtà, e direi anche con devozione, o per lo meno con grande passione (Commenti a destra), collaborato alla stesura di quel programma e lavorato alla sua applicazione.

Quindi un problema di fiducia fra gli uomini del Governo non esistette. Fiducia di popolo. Quale? Dei lavoratori? Dei contadini? Di queste masse che, in condizioni disagiatissime, nei mesi di febbraio e marzo non hanno fatto, come negli altri Paesi esteri, manifestazioni contro la fame (Applausi a sinistra), manifestazioni anche contro la grande Repubblica americana, ritenuta responsabile per non aver dato a sufficienza, per mantenere inalterate le razioni? Da noi questo non vi è stato, ma non per caso strano; non v’è stato perché i lavoratori, le masse popolari avevano fiducia negli uomini che li rappresentavano al Governo! Voi, questi uomini, li avete mandati via. E quindi, quale fiducia avete ricercato? La fiducia degli elettori che dopo le elezioni del 2 giugno hanno sempre manifestato una più netta speranza nel consolidamento della Repubblica e della democrazia, che hanno sempre maggiormente fatto affluire i loro voti, e quindi i loro appoggi, alle forze di sinistra? Oppure di quei gruppi industriali e commerciali che si sono lanciati nell’opera di ricostruzione del Paese, appoggiandosi alle organizzazioni sindacali e che non sono forze parassitarie? Neppure di queste! Tutte queste forze, se mancavano di fiducia era perché il Presidente del Consiglio aveva già dato troppe volte la prova di non essere fermo nell’applicazione dei programmi che erano stati decisi. Se una prova di sfiducia vi è stata, è stata questa e non quella che si è voluta presentare.

Sfiducia dell’estero? Per carità! L’estero durante i governi ai quali hanno partecipato i rappresentanti dei lavoratori, ha dato all’Italia – lo diceva l’onorevole Corbino – oltre due miliardi di dollari, ed oggi, per 200 milioni, per questa misera somma, bisogna gettare fuori i comunisti e i socialisti, ché, altrimenti, l’America non li darebbe. (Applausi a sinistra). Se fosse così, sarebbe umiliante per tutti noi, in tutti i settori, dalla destra alla sinistra.

In realtà non è così. Gli alleati non vanno visti in senso separato, non vanno presi isolatamente. Noi abbiamo bisogno della fiducia del grande popolo americano, sì, ma anche degli altri popoli e degli altri Stati che hanno contribuito a liberarci dal fascismo e dall’oppressione tedesca, e la condizione essenziale per questa fiducia è di mostrare che noi restiamo fedeli alla democrazia, alla Repubblica e che siamo decisi a estirpare alle radici il regime che ci ha portato alla disfatta. Questa è la condotta che chiedono gli alleati all’Italia, ma la strada sulla quale si è incamminato questo quarto governo porta ad un fine opposto. Non a guadagnare questo tipo di fiducia, ma quella di certi circoli che stanno tramando nel mondo (Commenti) per provocare nuove guerre e per trascinare l’Italia in un nuovo conflitto, conflitto che potrebbe essere per noi non solo la fine dell’indipendenza ma la fine anche fisica dello Stato italiano e dell’Italia.

Con troppa leggerezza si parla di fiducia dell’estero quando si hanno degli esempi concreti, e prendo il mio settore; e se non erro, il segretario generale del mio partito, prima di accettare il posto difficile che gli si voleva affidare, pose una questione, disse: forse sarà meglio che ci sia un altro uomo, anziché un comunista, per ottenere dall’America quegli aiuti in grano e in cereali che ci sono necessari. Si rispose: forse non è necessario. Quali i risultati di questo tentativo? I risultati di questo tentativo sono stati che quando io ho preso l’Alto Commissariato dell’Alimentazione – fatti tutti i conti di quello che dovevamo ricevere e di quello che avevamo in Italia – mancavano netti quaranta giorni di pane al nostro Paese. Come fare? Occorreva chiedere nuovi prestiti all’America, nuovi invii; fare nuovi acquisti. Ma vi erano le assegnazioni, la politica dell’allocation che ci teneva imbrigliati; bisognava costringere i nostri amici alleati, a cominciare dall’ammiraglio Stone, a dare i prestiti necessari al nostro Paese. Sono stati dirottati in Italia oltre 36 vapori non attesi, sono stati permessi all’Italia acquisti per altri 20 vapori di farina non attesi e non previsti, cosicché abbiamo il piacere di far conoscere alcuni brani (due soltanto) del direttore generale dei generi razionati dell’alimentazione, di un documento che mi ha rivolto quando ero ancora Alto Commissario, per dimostrare che eravamo tranquilli per la saldatura.

Dice il primo brano: «Sono lieto di segnalare che la saldatura, che in altri paesi d’Europa si presenta in condizioni veramente critiche, può essere ormai sicuramente superata nelle migliori condizioni possibili in Italia per merito dell’attività svolta dal Governo italiano all’estero per l’acquisto di cereali in aggiunta all’approvvigionamento U.N.R.R.A.».

L’altro: «Prescindendo dai quantitativi di granoturco, le disponibilità di cereali per la copertura della seconda quindicina di giugno presentano una eccedenza che può calcolarsi in 40.000 tonnellate di grano e derivati». Questo è il risultato. E abbiamo chiesto all’Agricoltura di non occuparsi quest’anno di fare l’ammasso dei grani precoci per non spendere somme inutili, in quanto il grano ci sarà in Italia fino al cinque o sei luglio, senza bisogno di accelerare niente. Non solo, ma abbiamo voluto, prima di uscire da quel dicastero, inviare telegrammi a tutti i Prefetti invitandoli per la prima volta a pastificare in tutta Italia. Aggiungo: a noi che siamo stati cacciati dal Governo perché non degni di avere la fiducia dei grandi amici americani, l’U.N.R.R.A ha concesso su per giù due miliardi di lire italiane di prodotti alimentari che sono andati in quei modesti pacchi alimentari di cui, all’ora attuale, sono in distribuzione circa 4 milioni e mezzo. E quindi mi pare smentita la diceria assurda che comunisti e socialisti al Governo siano un impedimento ai prestiti, siano un impedimento agli aiuti da parte dell’America. Il problema è interno e politico; e quindi non si devono cambiare le carte in tavola. Il fatto è che le forze della reazione che da tempo premevano… (Interruzioni a destra Commenti) le forze della reazione… (Rumori Interruzioni a destra).

Una voce a destra. In agguato!

CERRETI. …i rottami del fascismo (Applausi a sinistra) che da tempo premevano… (Interruzioni Commenti a destra) i così detti uomini della plutocrazia sono riusciti a prendere la mano all’onorevole De Gasperi e ad una parte del partito della democrazia cristiana, alla sua ala destra. (Interruzioni al centro).

E c’è da domandarsi: «perché questo strano Governo?» Si è detto ad un certo momento che si voleva fare un tentativo – sempre possibile – di dare maggior responsabilità al più grande partito dell’Assemblea Costituente, il partito democratico-cristiano: e va bene. L’esperienza, benché osteggiata, non era impossibile a realizzarsi. Ma non dite che questo Governo sia un Governo democristiano puro, anche se quasi tutti i dicasteri sono in mano dei democristiani. Perché, aggiungo, mancano su quei banchi, salvo alcuni fra cui l’onorevole Segni ed altri, gli uomini più rappresentativi della democrazia cristiana: gli onorevoli Gronchi, Bertone, Bertini (Commenti); manca l’onorevole Aldisio, il quale ebbe il merito, nel tempo in cui fu all’alimentazione, di avere messo in guardia il Governo sui pericoli cui andavamo incontro, se non si cambiava la razione di pane da novembre.

Come mai non ci sono questi uomini? Non date ad intendere quindi agli italiani che avete voluto fare un nuovo governo, per assumere maggiori responsabilità.

Avete, forse, fatto il governo per scopi elettorali? Per fare le elezioni ad ottobre o novembre e quindi avere in mano tutte le leve, per fare elezioni di parte?

È questo che avete voluto fare? (Interruzioni al centro).

In questo caso, io dico che tutti qui dobbiamo essere inquieti, a cominciare dai deputati del meridione, con un Ministro della Giustizia che si chiama onorevole Grassi, che personalmente può essere la persona più degna, ma politicamente rappresenta determinati interessi degli agrari pugliesi (Interruzioni) e con un Ministro degli interni quale l’onorevole Scelba, di cui non è in giuoco la persona, ma il metodo, la concezione settaria di interprete della legge e il fatto che egli non tiene conto forse, troppo spesso, che esiste una Repubblica, che esistono delle forze da salvaguardare ed istituzioni da consolidare contro tutti i faziosi e contro quei giornali che creano il discredito e che gettano il Paese in condizioni di divergenze pericolose che sono sempre preliminari alla guerra civile.

Non avremo più all’interno un uomo equilibrato, indipendente, quale si rivelò il Ministro Romita nel periodo delle elezioni (Interruzioni a destra); avremo un uomo di parte…

BENEDETTINI. Non è di parte l’onorevole Romita?

CERRETI. …un uomo di parte, che in alcune sue azioni può apparire anche, sotto certi aspetti, scorretto. (Commenti). Mi spiego. Siccome le parole non servono a convincere molti colleghi dell’Assemblea, passiamo agli atti.

Vi è una legge sugli Enti comunali di consumo, dovuta alle agitazioni del Nord d’un anno fa (l’amico Corsi, allora Sottosegretario di Stato agli Interni, ne ricorda l’origine e gli sviluppi). Questa legge avrebbe potuto permettere al nostro Paese di creare un nuovo organismo indipendente, veramente efficiente, per lenire un po’ le sofferenze di questo nostro disgraziato Paese o almeno della parte che più soffre delle condizioni disagiate.

Orbene, alcuni articoli di questa legge sono involuti e danno luogo ad interpretazioni varie da parte dei prefetti, i quali, anche senza applicare l’articolo 19, hanno, purtroppo, tendenza a creare degli staterelli o repubblichette, qualche volta dei piccoli feudi, ed allora in talune località si danno dei generi contingentati e razionati, in altre non se ne danno e quindi non si creano condizioni per uno sviluppo normale e regolare di questi organismi, dato che manca l’atteso finanziamento elaborato dall’onorevole Campilli, del quale non si parla più in questo quarto Governo dell’onorevole De Gasperi.

Durante la mia permanenza all’Alto Commissariato io chiesi, per precauzione, prima di dare disposizioni alle SEPRAL, all’onorevole Ministro dell’interno che precisasse la sua opinione sulla possibilità di dare generi razionati, in base a quelle disposizioni, agli Enti di consumo. Rispose: «Il Ministro concorda sui criteri ai quali la proposta si ispira. In particolare riconosce l’opportunità che siano affidati agli Enti di consumo, insieme con i commercianti, anche generi razionati». Fatto acquisito. Le disposizioni furono date il 30 aprile. Il 29 maggio fu diramata una circolare ai Prefetti, che io ho ignorato, io il maggiore responsabile del settore alimentare del Paese non sono stato interrogato su un documento, che ne infrangeva un altro e (che di comune accordo avevamo cercato di rendere pubblico attraverso disposizioni alle Sepral ed ai Prefetti), secondo il quale si attribuisce agli Enti suindicati di consumo il compito di provvedere mediante la distribuzione di derrate non razionate, (quindi è proibito dare generi razionati a questi Enti di consumo). Modo questo per farli morire.

SCELBA, Ministro dell’interno. È la legge.

Una voce a sinistra. Questo è doppio gioco.

CERRETI. Non è solo doppio gioco, questa è scorrettezza.

SCELBA, Ministro dell’interno. È la legge, onorevole Cerreti. La scorrettezza la fa lei, nel dare disposizioni contrarie alla legge. (Commenti).

PRESIDENTE. Prosegua, onorevole Cerreti.

CERRETI. Io ho volontà di proseguire anche senza essere redarguito.

PRESIDENTE. Io non la redarguisco, la agevolo, anzi. (Si ride).

CERRETI. Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso.

LOPARDI. È un reato.

CERRETI. È un reato. Lo so. Per questo dico che se questo Governo vuol fare le elezioni dobbiamo essere tutti inquieti; non abbiamo garanzia della dovuta imparzialità che saranno, cioè, fatti gli interessi del Paese e non gli interessi di parte. (Applausi a sinistra Commenti Interruzioni).

LOPARDI. Si faccia una inchiesta.

CERRETI. Noi abbiamo legittima ragione per essere in opposizione con questo Governo, che non ci garantisce dalla minaccia degli accaparratori e degli speculatori, che non ci garantisce di assicurare il pane al popolo che soffre di più nel nostro Paese, che non ci garantisce che le armi che può avere a disposizione siano sempre usate contro i faziosi che potrebbero mettere in pericolo la Repubblica e le istituzioni democratiche, Governo quindi che va rovesciato se vogliamo liberarci da un incubo pauroso! (Rumori al centro).

Le ragioni della nostra opposizione sono diverse. Ad alcune ho già accennato. Cercherò, concludendo, di completare queste ragioni. La prima è che non vogliamo che questo Governo serva da trampolino alle forze della reazione monarchica (Commenti a destra), alla reazione neo-fascista ed a quelle forze che il Governo dovrebbe mettere a tacere ogni qual volta tentassero, e tentano già, di minacciare le nostre libertà.

Poi perché non riconosciamo nel metodo seguito dal Presidente del Consiglio un metodo democratico. (Rumori al centro Applausi a sinistra).

In cinque mesi sono state fatte due crisi. Nella prima l’onorevole De Gasperi non si è curato neppure di mettere al corrente il Capo dello Stato e i suoi colleghi. Nella seconda fa un discorso radio che è la condizione per gettare dalla porta di servizio i Ministri che hanno collaborato con lui, mentre sarebbe stata possibile un’intesa se quei dubbi di coscienza fossero stati espressi nella sede opportuna. Il metodo usato dal Presidente del Consiglio – malgrado riconosca la sua fede democratica – assomiglia a quella tale politica presidenziale che congedava i Ministri per telegramma o per radio! (Commenti Interruzioni).

Una voce al centro. Come in Ungheria! (Rumori a sinistra).

CERRETI. Comunque, se democrazia significa lealtà, il Presidente del Consiglio non ha mai in questi tempi utilizzato questa arma per consolidare la Repubblica.

E poi per un’altra ragione, noi saremo all’opposizione: per il nostro amore dell’unità. (Commenti al centro).

Certo, non l’unità con coloro che portarono il Paese alla catastrofe (Applausi a sinistra), non l’unità con coloro che ci portarono il tedesco in casa (Applausi a sinistra), ma l’unità con le forze sane rappresentative del popolo, mentre questo Governo è fattore di divisione e di inquietudine. Non abbiamo garanzie tali che ci permettano di ritenere che sarà consolidata l’unità del fronte democratico, fronte al quale non può essere estranea la Democrazia cristiana, perché noi la consideriamo un partito democratico…

Una voce al centro. Grazie!

CERRETI. …malgrado certi argomenti di una certa fazione che è legata, corpo ed anima, alle forze reazionarie (Commenti). Da questa tribuna facciamo appello a tutti i lavoratori democristiani, ai loro dirigenti ed ai deputati democratici cristiani perché siano con noi (Commenti Interruzioni a destra e al centro) per costituire un vero Governo rappresentativo che dia fiducia al Paese, che consolidi le nostre libertà (Interruzioni al centro e a destra) e che ci permetta di sormontare la difficilissima situazione attuale, la mano nella mano, nell’interesse della Patria. (Vivissimi applausi a sinistra Commenti Molte congratulazioni).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io non starò a ricordare che, se c’è un uomo che nel suo Dicastero ha portato uno spirito di parte estremamente acceso, quest’uomo è stato l’onorevole Cerreti. (Approvazioni a destra).

Non risponderò all’onorevole Cerreti della mia fede repubblicana, perché, almeno da quella parte, di questa fede mi è stato ripetute volte dato atto. Mi limiterò a ricordare quella pretesa scorrettezza che sarebbe stata compiuta dal Ministro dell’interno contro l’Alto Commissario per l’alimentazione.

L’onorevole Cerreti ha ricordato che una circolare, in data 12 aprile, autorizzava gli Enti comunali a vendere generi razionati. Con quella circolare, se l’onorevole Cerreti avrà la bontà di leggerla, in previsione di una disposizione di legge in corso, si autorizzavano, quando la disposizione di legge sarebbe stata approvata, gli Enti comunali a procedere alla vendita di generi razionati. Questa disposizione non fu mai emanata e quella circolare del Ministro dell’interno, pertanto, fatta in previsione di una legge, non aveva, né poteva avere nessun valore legale. Nel mese di maggio, quando il Governo era già in crisi, l’onorevole Cerreti ha convocato a Roma i dirigenti degli Enti comunali ed ha comunicato loro che una grande vittoria del partito comunista era stata ottenuta. (Interruzioni a sinistra).

Una voce al centro. Questo sì che è doppio giuoco! (Proteste a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Io non comprendo la ragione delle proteste, fatte senza sapere cosa io intendo dire. Poteva essere anche una vittoria del partito comunista, se tale veniva definita.

L’onorevole Cerreti comunicava che era suo proposito di consentire agli Enti comunali la vendita dei generi razionati e dava disposizioni perché facessero premura sui prefetti, affinché, in attesa che le nuove disposizioni legali consacrassero questo suo ordine, fin da quel momento fosse consentita la vendita dei generi razionati. Di questa comunicazione data dall’onorevole Cerreti i presidenti delle SEPRAL, che sono i prefetti, diedero comunicazione al Ministro dell’interno, il quale aveva il dovere di richiamare i prefetti all’osservanza della legge. E ciò il Ministro dell’interno fece precisamente col telegramma 29 maggio, in cui si diceva che nella materia nulla era innovato, e fino a quando una disposizione legale non avesse sancito la facoltà degli Enti comunali di vendere generi razionati, non era lecito farlo. (Applausi al centro Interruzioni Proteste a sinistra).

Non entro nel merito della cosa e soprattutto sulla funzione specifica istituzionale degli Enti comunali, che è quella di essere elementi di concorrenza coi commercianti liberi, e questa concorrenza si può fare soltanto sui generi che non sono razionati o contingentati. (Approvazioni al centro Proteste a sinistra).

Uni voce a sinistra. Affamatori! In questo modo affamate l’Italia (Rumori e proteste al centro Scambio di apostrofi).

LEONE FRANCESCO. Lei ha ceduto ai grandi commercianti!

PRESIDENTE. Onorevole Leone, non interrompa. Prosegua, onorevole Scelba.

SCELBA, Ministro dell’interno. In materia si possono manifestare tutte le opinioni, ed anch’io posso avere un mio parere in merito alla sostanza della questione. Ma non si trattava di decidere la sostanza della cosa, come non si tratta di deciderla questa sera. Si trattava soltanto di fare osservare la legge. Ora, se richiamare i prefetti all’osservanza della legge (Commenti a sinistra) significa commettere una scorrettezza, di questa scorrettezza assumo tutta intera la responsabilità. Se indurre le autorità comunali a violare la legge significa una scorrettezza, questa scorrettezza, maggiormente grave in periodo di crisi, è stata commessa dall’Alto Commissario Cerreti. (Applausi al centro Rumori a sinistra Scambio di apostrofi).

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Io vorrei continuare il dibattito sugli Enti comunali di consumo, che ha grande importanza, anche perché è ovvio che non c’è bisogno di una legge per aiutare organismi che il Governo vuole sostenere nell’interesse del Paese (Interruzioni Commenti a destra) e se una legge c’era e c’è, si tratta di interpretarla a favore del popolo e non a favore dei capitalisti. (Proteste al centro).

Del resto io ho parlato in questo caso di una certa scorrettezza e facevo riferimento al fatto semplice che si doveva almeno discutere con me queste disposizioni. Un maggiorenne poteva abbassarsi fino ad un minorenne per una volta almeno.

SCELBA, Ministro dell’interno. Ma gli ordini da lei dati non sono stati discussi col Ministro dell’interno! (Interruzioni Commenti).

CERRETI. Secondo me, resta il fatto che l’onorevole Scelba non ha creduto bene di rispondere alla seconda questione e pertanto chiedo al Presidente la costituzione di una Commissione di inchiesta per indagare sui fatti da me portati a conoscenza. (Commenti Rumori).

Una voce al centro. Ma quali fatti? Precisi!

PRESIDENTE. Prego i colleghi di fare silenzio.

SCELBA. Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Cerreti nel suo discorso ha accennato al fatto che, per intervento del Ministro dell’interno e con semplice fonogramma, sarebbe stata sospesa dall’autorità giudiziaria una azione penale contro responsabili di evasioni alla disciplina dei consumi.

Ora, io mi domando se è possibile in Italia – e sarebbe veramente ed estremamente grave per la magistratura – che basti un semplice fonogramma del Ministro dell’interno per sospendere un giudizio penale.

Una voce a sinistra. Ma questo fonogramma c’è o non c’è? (Rumori Vivi commenti al centro).

Una voce al centro. Non volete la risposta!

SCELBA, Ministro dell’interno. La cosa è talmente enorme, dico, che appare assolutamente incredibile. Comunque, io prego l’onorevole Cerreti di voler precisare il fatto, i nomi, il testo del fonogramma e l’autorità alla quale era diretto. Quando avrà fatto questo, io risponderò dettagliatamente alla sua richiesta. (Vivi applausi al centro Rumori a sinistra Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Domando all’onorevole Cerreti, che ha fatto cenno di una sua proposta di inchiesta, che cosa abbia inteso di chiedere, un’inchiesta personale o una inchiesta parlamentare?

CERRETI. Io chiedo che sia costituita una Commissione parlamentare, alla quale sottoporrò i documenti. (Rumori al centro Scambio di apostrofi).

Voci. Subito! Subito!

CERRETI. Insisto per la nomina di una Commissione parlamentare di inchiesta, la quale potrebbe anche estendere… (Rumori Scambio di apostrofi).

PRESIDENTE. Prego l’Assemblea di volersi calmare: qui si tratta di precisare con chiarezza quali sono i termini della questione di cui dobbiamo occuparci. Ha parlato il Ministro Scelba; egli ha dato dei chiarimenti che non sono sembrati sufficienti: da tutte le parti si chiede chiarezza; cerchiamo dunque di chiarire. (Applausi al centro). Continui, onorevole Cerreti.

CERRETI. Insisto per la nomina di una Commissione parlamentare di inchiesta per esaminare se le interferenze di cui ho accusato il Ministro dell’interno… (Rumori Interruzioni).

Una voce. Ma quali?

PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, la prego di precisare, perché in questo modo non è possibile pervenire ad una decisione. Prego gli onorevoli colleghi di far silenzio.

CERRETI. …per impedire che denunzie fossero fatte, o che quelle già fatte andassero avanti… (Rumori vivissimi Scambio di apostrofi fra il centro e l’estrema sinistra).

Una voce al centro. Non deve rimandare; deve parlare questa sera. (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Se l’Assemblea farà silenzio, sarà possibile avviarsi alla conclusione.

Per il Regolamento della Camera e per le consuetudini parlamentari, quando si tratta di un caso come quello attuale, il deputato che ha elevato accuse a carico di un Ministro deve procedere secondo le regole, cioè presentando una proposta per l’inchiesta sui fatti che egli ha denunziato.

Perciò è evidente che, dopo tutto quello che si è detto qui dentro, non vi è altra via che questa: di chiudere l’incidente e invitare l’onorevole Cerreti a procedere secondo il Regolamento. (Commenti al centro).

Onorevole Cerreti, ella si riserva di procedere in questo senso?

CERRETI. Sì.

PRESIDENTE. L’onorevole Cerreti si riserva di procedere secondo le norme indicate. (Proteste al centro).

Voci. Subito!

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Nessun Ministro, che ha il senso della responsabilità, onorevoli colleghi, potrebbe rimanere al proprio posto neanche per cinque minuti soltanto, se lasciasse all’arbitrio di un deputato il promuovere o meno un’inchiesta su una accusa formulata pubblicamente in piena Assemblea.

L’onorevole Cerreti ha dichiarato che egli si riserva di agire secondo la procedura indicata dal Presidente. Questo sarà il diritto dell’onorevole Cerreti; ma c’è un diritto dell’accusato, che sono io, e questo diritto mi fa pretendere che, indipendentemente da quello che l’onorevole Cerreti sarà per fare, egli dichiari e precisi davanti all’Assemblea i fatti che genericamente ha comunicato. Io ho il diritto di sapere dall’onorevole Cerreti – proceda egli o non proceda poi nelle forme del Regolamento – che precisi i fatti genericamente indicati. Se egli questo non facesse, non può che assumere la piena responsabilità dell’accusa senza fondamento, cioè a dire di una calunnia lanciata contro un Ministro in carica. È per questo che prego l’onorevole Cerreti di volermi mettere in condizione di rispondere tempestivamente, immediatamente, se possibile. Se mi occorrono atti risponderò domani; ma io desidero che l’onorevole Cerreti (ed è suo dovere, è sua lealtà di deputato e di gentiluomo) precisi i fatti affinché io possa essere messo in grado di rispondere, indipendentemente dalla Commissione d’inchiesta, se i fatti siano veri o sono falsi. Se sorgerà controversia, ciò potrà essere oggetto di Commissione d’inchiesta; ma non possiamo annacquare nella Commissione d’inchiesta un’accusa non specifica o senza elementi probatori e di fatto.

Io torno ad insistere: l’onorevole Cerreti precisi i fatti perché io possa rispondere da questa tribuna. (Vivi applausi al centro e a destra Commenti).

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Io prego il Presidente dell’Assemblea di nominare cinque colleghi per esaminare i fatti e decidere poi sulla procedura. (Rumori al centro Interruzioni).

Una voce al centro. Sono i metodi di Finocchiaro Aprile.

CERRETI. Io sono – e bisogna scusarmi – un deputato novellino e non conosco perfettamente il Regolamento. Quindi mi rimetto al Presidente nel determinare la procedura da seguire.

PRESIDENTE. Onorevole Cerreti, le ho già detto quello che è possibile fare. Lei può proporre una proposta di legge. (Rumori Interruzioni al centro). Facciano silenzio!

D’altra parte, lei è di fronte ad una precisa domanda dell’onorevole Scelba, alla quale io la prego di dare risposta. Potremmo chiudere l’incidente così, senza bisogno di Commissione d’inchiesta. (Commenti Interruzioni).

CERRETI. Domani sul processo verbale preciserò i fatti. (Vive proteste Vivissimi rumori al centro Commenti).

PRESIDENTE. Io credo, onorevole Cerreti, che lei possa esporre i fatti con precisione. Se poi avrà bisogno di documentazioni o altro, lei potrà domani aggiungere quello che crederà. Oggi voglia rispondere alla domanda dell’onorevole Scelba precisando i fatti.

Una voce al centro. Non lo può! (Rumori).

PRESIDENTE. Facciano silenzio. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cerreti.

CERRETI. Al mio discorso non ho nulla da aggiungere. Sono a disposizione della Presidenza, come ho detto, e ritengo non decoroso neppure per il Paese… (Vivissime proteste al centro Apostrofi dal centro all’indirizzo dell’onorevole Cerreti Commenti).

PRESIDENTE. Io credo che se continuiamo nel dialogo fra le parti, non arriveremo ad una conclusione.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare.

Una voce al centro. Cosa c’entra? (Rumori).

PRESIDENTE. Tutti hanno diritto di parlare. Parli pure, onorevole Bellavista.

BELLAVISTA. Mi rivolgo direttamente all’onorevole Cerreti. (Interruzioni a sinistra). Penso di essere un membro dell’Assemblea, e prego i miei feroci molossi di ascoltare quello che dico e poi criticare. Mi rivolgo direttamente all’onorevole Cerreti perché sono stato uno di quegli «insolenti» che hanno ascoltato con attenzione viva e con interesse il suo lungo discorso; ed ho anche apprezzato nel giusto valore, a parte i lenocinî di forma, i riconoscimenti obiettivi che degli ex colleghi di Governo l’onorevole Cerreti ha fatto. Se mi rivolgo a lui dunque in questo momento è con buona disposizione; per ricordare a me stesso ed a lui medesimo quello che è un primo principio di procedura in questioni di questo genere. Un fatto che rivesta i caratteri di illecito, quale che sia, deve essere delimitato e precisato nei suoi contorni; l’accusa ha da essere precisa; è quello che l’Assemblea – convinta della buona intenzione dell’onorevole Cerreti – aspetta da lui, perché in caso contrario un grave dubbio potrebbe sorgere. Egli ci ha dato questa sensazione quando nel suo intervento si è dimostrato esperto conoscitore della letteratura scandinava e delle fiabe di Andersen, ma potrebbe sembrare all’Assemblea che abbia anche letto Beaumarchais (Figaro, «la calunnia») ed il «Tartufo» di Molière. (Approvazioni al centro e a destra Rumori, commenti a sinistra).

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Tengo a precisare che sono giunto soltanto incidentalmente su una questione concreta che può toccare il metodo di direzione di un dicastero da parte di un collega o di un altro. Ma sono spinto, all’infuori delle ragioni politiche, a precisare che il fatto, o i fatti a cui ho accennato, esistono: che del fatto fondamentale ho qui il documento.

Una voce al centro. Lo legga.

CERRETI. Accetto la giusta osservazione del collega Bellavista e dico: come Alto Commissario per l’alimentazione, io ho dovuto, negli ultimi tempi, procedere ad un’inchiesta rigorosa sulla situazione alimentare a Padova.

Non vi dico quali e quante sono state le pressioni su di me esercitate perché l’inchiesta non andasse avanti. L’inchiesta è andata avanti. Sono stati scoperti dei fatti gravi, che partono da Grosseto, giungono a Padova, tornano a Savona, in Valle d’Aosta, fino a Roma, ad un centro organizzatore.

Ho dovuto onestamente io, che ho fatto tra i primi arrestare un uomo vicino al partito di cui faccio parte, perché era stato disonesto, ho dovuto vincere tutte le resistenze ed anche le suscettibilità, in seguito ad una sfacciata presa di posizione del vice direttore della Sepral di Padova, il quale, pur essendo un disonesto, aveva avuto la sfacciataggine di minacciare di querelare un giornale accusatore. In quel momento non ho avuto esitazione. Esitavo per ragioni politiche, perché non ritenevo fosse necessario acutizzare la tensione fra i vari settori dell’Assemblea.

Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denunzia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di avere presentata la denunzia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Con sua dichiarazione esplicita, presentandosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un fonogramma del Ministro, col quale si chiedeva di sospendere l’inchiesta, in attesa di ulteriori disposizioni. Ero io il solo a doverle dare.

Il firmatario fece presente al Prefetto che l’inchiesta era stata ultimata e che aveva presentato rapporto giudiziario al signor Procuratore della Repubblica di Padova. Ho il documento autentico. (Applausi a sinistra Interruzioni, rumori al centro).

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. L’onorevole Cerreti, nel suo discorso ha esplicitamente dichiarato che il Ministro dell’interno sarebbe intervenuto con un fonogramma presso l’autorità giudiziaria per ottenere la sospensione d’un provvedimento.

Una voce a sinistra. No, no!

Una voce al centro. Sì, sì!

CHIEFFI. È la vostra scuola del doppio giuoco! (Rumori a sinistra).

SCELBA, Ministro dell’interno. Almeno avevo compreso così, tanto è vero che ho risposto dichiarando che mi sembrava la cosa talmente enorme che l’autorità giudiziaria potesse sospendere un giudizio, una istruttoria, su semplice fonogramma del Ministro dell’interno. Ora l’onorevole Cerreti precisa i contorni della sua accusa e li precisa dicendo che un capitano dei carabinieri da lui inviato a compiere un’ispezione a Padova, avrebbe avuto comunicazione da parte del Prefetto di un fonogramma che il Ministro dell’interno avrebbe inviato al Prefetto per sospendere l’inchiesta in attesa di ulteriori istruzioni. Se ho capito bene, sono questi i termini della sua accusa. È bene, onorevoli colleghi, che precisiamo, poiché debbo rispondere a fatti concreti e specifici ed anche perché, dovendomi accertare presso i miei uffici della veridicità dei fatti (Interruzioni a sinistra), devo avere esatta conoscenza dei fatti stessi per poter essere in grado di rispondere con precisione altrettanto uguale a quella dell’onorevole Cerreti. Onorevoli colleghi, io rispondo subito e se è necessario completerò domani, se esiste un fonogramma del Ministro dell’interno.

Posso fin da questo momento dichiarare all’onorevole Cerreti che il fonogramma nei termini in cui egli accenna, cioè come riferimento ad un preciso reato, non esiste.

È troppo seria questa Assemblea e ci siamo capitati già una volta (Applausi al centro e a destra) perché si possa ad ogni costituzione di Governo lanciare accuse. (Rumori a sinistra).

Ad ogni modo posso dichiarare fin d’ora che questo fonogramma nei termini in cui ha accennato l’onorevole Cerreti non esiste (Rumori all’estrema sinistra Commenti). Prego l’onorevole Cerreti di volermi comunicare la data del fonogramma diretto dal Ministro dell’interno al Prefetto di Padova. (Rumori a sinistra Applausi al centro e a destra).

Voci a destra ed al centro. La data, la data!

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo anche formalmente all’onorevole Cerreti di voler depositare alla Presidenza la copia del fonogramma incriminato. (Rumori a sinistra).

Ho il diritto di pretendere questo, perché, ripeto, un fonogramma ha una data ed ha un numero di protocollo, ed il Ministro ha il diritto prima di esprimere definitivamente il proprio pensiero di avere questi dati per accertare se questo fonogramma esiste agli atti e dichiarare pubblicamente se esiste o non esiste, perché non basta che l’onorevole Cerreti, su dichiarazione di un capitano dei carabinieri e su un rapporto di questi, dichiari che esiste questo documento, perché il documento come tale esista in realtà. Ma poiché l’onorevole Cerreti ha dichiarato di aver fatto la fotografia di tutti i documenti incriminati, egli è in grado immediatamente (Rumori a sinistra) ed io posso pretendere questo da lui, di consegnare le copie fotografiche di questi documenti, e se non potrà farlo questa sera, potrà farlo anche domani. Io mi riservo di rispondere domani stesso. (Rumori a sinistra Applausi al centro).

TOGLIATTI. Perché domani?

Una voce al centro. Quando si è a mal partito si ricorre ai metodi di Finocchiaro Aprile! (Rumori).

SCELBA, Ministro dell’interno. Io ho diritto di parlare perché sono l’accusato e non intendo di essere accusato in questa maniera. Se l’onorevole Togliatti crede di potere avere la memoria di Pico della Mirandola, e di poter rispondere di tutti i fonogrammi inviati dal suo Ministero, io non sono né l’onorevole Togliatti, né Pico della Mirandola e, per rispondere documentatamente, ho diritto… (Interruzioni a sinistra).

Una voce al centro. Il vostro è il vento della calunnia! Vi sentite deboli.

SCELBA, Ministro dell’interno. …ho diritto, torno a ripeterlo, di pretendere che l’onorevole Cerreti precisi. (Interruzioni, rumori a sinistra). Come si rispetta la libertà di parlare degli imputati!

PRESIDENTE. È chiaro che così non si può andare avanti! Prego l’Assemblea di tornare nella sua tranquillità perché dobbiamo conchiudere con una decisione. La decisione può venire da parte dell’Assemblea o da parte degli interessati: la Presidenza non può prendere nessuna iniziativa per conchiudere questo dibattito. La prima cosa da fare è di consentire di parlare a chi ne faccia domanda, senza essere interrotto. Abbiamo udito il discorso dell’onorevole Cerreti; abbiamo udito l’onorevole Scelba e la sua spiegazione; abbiamo udito ancora l’onorevole Cerreti; è stata chiesta una precisazione di fatto e l’onorevole Cerreti si è apprestato a fornirla. Egli dice di possedere dei documenti. L’onorevole Scelba ha replicato chiedendo che i documenti siano prodotti alla Presidenza. Questo lo stato delle cose. Siamo quindi nella condizione di dover chiarire una situazione e di dover emettere, al momento opportuno, un giudizio, pronunciando iuxta alligata et probata.

A proposito dell’inchiesta parlamentare che si è domandata, l’articolo 135 del Regolamento dice: «Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra proposta di iniziativa parlamentare». Gli articoli 133 e 134 stabiliscono i modi e le forme di una tale proposta. Questa è la strada sulla quale ci possiamo mettere se l’onorevole Cerreti insiste nella richiesta che ha fatto di una inchiesta parlamentare sui fatti che sono stati precisati e che possono essere precisati ulteriormente.

Vi è un altro modo di procedere. Noi siamo stati di fronte a una situazione analoga, in occasione delle accuse – se così possiamo dire – dell’onorevole Finocchiaro Aprile, le quali hanno dato luogo alla nomina di una Commissione di undici colleghi, che hanno preso visione di documenti, hanno interrogato persone ed hanno pronunziato un giudizio.

Siamo di fronte, dunque, alla possibilità di una inchiesta di questo genere, ma ho detto prima che la Presidenza non può prendere nessuna iniziativa, la quale deve venire dall’Assemblea. Né ritengo che ci si possa avvalere dell’articolo 80-bis, perché ci troviamo di fronte ad un Ministro. Non resta quindi alla Presidenza che pregare i colleghi di procedere in un modo calmo, decoroso, degno dell’Assemblea, per cercare una soluzione.

A questo fine vorrei rivolgere l’invito all’onorevole Cerreti di mettere in condizione l’Assemblea di avviarsi a una conclusione con il deposito di quegli atti che egli possiede, naturalmente sotto la sua responsabilità.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Cerreti.

CERRETI. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare. Ho fatto un discorso politico; avevo fatto delle allusioni, nemmeno troppo dirette. Si è voluto, per acrimonia, portarmi a spiegare certi fatti, ed ho precisato. Che cosa si vuole da me? Se il Ministro dell’interno ritiene di voler essere messo a conoscenza del documento, che ho nelle mie mani, non ha che da aderire alla richiesta di nominare una Commissione di inchiesta. (Rumori al centro).

La questione si ridurrebbe ad un favore personale da fare all’onorevole Scelba. Non avrei nessuno scrupolo; ma la cosa ha preso un’ampiezza smisurata, che va al di fuori della mia stessa intenzione, ragione per cui non posso consegnargli questo documento.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro dell’interno. Io chiedo all’onorevole Cerreti semplicemente una cosa, e cioè di risolvere tempestivamente questa questione. Se poi l’Assemblea vorrà procedere alla nomina di una Commissione di inchiesta, questo è un altro affare. Ma io chiedo di essere messo in condizione di poter rispondere immediatamente all’onorevole Cerreti, chiedendo a lui che mi precisi pubblicamente, di fronte all’Assemblea – dal momento che possiede il documento – che mi precisi soltanto questo: la data del fonogramma.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. (Segni di viva attenzione). L’onorevole Cerreti era Alto Commissario presso la Presidenza del Consiglio, quindi mio diretto collaboratore. Permetta che io esprima il mio grande stupore che di un addebito così grave contro il Ministro dell’interno non mi abbia mai fatto il minimo cenno, e mi pare che il tempo ci sia stato, come c’è stato il tempo di fare fotografie e di documentarsi.

Mi pare che era nella logica e nel dovere dei rapporti di solidarietà ministeriale riferire la cosa al Presidente del Consiglio, il quale oggi sarebbe in grado di stabilire le responsabilità altrui e di assumere anche le proprie.

In secondo luogo, mi pare di dover constatare che già l’onorevole Cerreti, nella sua dichiarazione ulteriore, ha attenuato e modificato la sua accusa che, nel primo momento, come l’avevamo compresa qui, era molto più grave.

In terzo luogo, mi pare che, di fronte ad un’accusa lanciata comunque genericamente e non ancora precisata, non possiamo parlare di inchiesta o di responsabilità: fino a prova contraria l’onorevole Cerreti faceva parte di un Ministero da me presieduto nella supposizione che fossimo gente onesta, e quindi la presunzione è che noi non avevamo, né abbiamo commesso scorrettezze. Bisogna dimostrare il contrario e l’onere della prova incombe all’accusatore.

Noi non possiamo lasciar sorgere il dubbio, col nostro contegno, che questa accusa possa avere un manifesto fondamento.

Io non lo credo, perché conosco personalmente il Ministro dell’interno quale uomo di onore. (Commenti a sinistra).

Si tratta dell’onore di una persona e non della crisi di un Governo: avete cento maniere per provocare una crisi di Governo! (Applausi al centro).

Io non credo e non posso credere, fino a prova contraria, che il Ministro dell’interno abbia mancato alla correttezza e, in genere, al suo dovere.

Se l’onorevole Cerreti, il quale evidentemente ha avuto quelle informazioni per la carica che rivestiva e quindi in un momento di corresponsabilità ministeriale (Applausi al centro), se l’onorevole Cerreti vuol fare cosa utile al Paese e direi anche di riguardo all’onestà delle persone, egli ha il dovere, se non vuol farlo direttamente con il Ministro Scelba, di portare a me, i documenti. (Applausi al centro e a destra Vivissimi rumori a sinistra Scambio di apostrofi fra la sinistra e il centro).

BETTIOL. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BETTIOL. Siccome si tratta di fatti che sarebbero accaduti a Padova e siccome io sono Consigliere comunale di Padova (Commenti a sinistra), posso dire una parola in materia, perché del problema si discusse proprio l’altro giorno in sede di seduta del Consiglio comunale di Padova.

In tale seduta, tutti i partiti indistintamente hanno riconosciuto che convenisse sollecitare un’inchiesta sui fatti stessi. (Applausi a sinistra Commenti). Senonché, essendo del fatto già investita l’autorità giudiziaria, tutti indistintamente, comunisti, socialisti e democristiani, si misero d’accordo per attenderne il responso.

Ché se il fatto cui accennava ora l’onorevole Cerreti fosse vero, con i mezzi a disposizione che hanno certe centrali di partito (Interruzioni a sinistra), i compagni sarebbero stati tempestivamente informati dell’accusa e avrebbero gridato allo scandalo.

Ora l’onorevole Cerreti, in un primo momento, ha parlato di intervento dell’autorità amministrativa – prefetto – presso l’autorità giudiziaria, mentre poi si è rimangiato questa sua calunnia ed ha attenuato le sue affermazioni. (Proteste a sinistra).

Questo si chiama cambiare completamente le carte in tavola; questo significa, in parole povere, confessare già a priori di non avere le idee chiare e di non possedere prove in relazione ai fatti attribuiti al Ministro. Questo significa calunniare e diffamare senza avere in mano le prove che i fatti sussistano. (Rumori Interruzioni a sinistra). L’onorevole Cerreti non ha, infatti, addotto alcuna prova per individuare il fatto da lui denunciato e non è invero individuabile, dal punto di vista giuridico, il fatto attribuito al Ministro Scelba.

Con questi metodi non si può procedere, perché non sono assolutamente metodi democratici, in quanto la democrazia non è soltanto rispettosa delle fondamentali regole del vivere morale, ma anche delle fondamentali regole del vivere giuridico. E qui non sono state portate prove nei confronti dell’onorevole Scelba; qui si è voluto fare soltanto una insinuazione. Noi siamo pronti a subire inchieste, purché i fatti, in questa sede, siano specificati, individuati, perché non è assolutamente possibile lasciar permanere una pura e semplice insinuazione. (Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevole Bettiol, concluda.

BETTIOL. Se l’onorevole Cerreti vuole l’inchiesta, la chieda pure a termini di Regolamento, ma ha il dovere sacrosanto, se è un gentiluomo, di specificare qui, in questa sede, la sua accusa. (Applausi al centro Commenti a sinistra).

MAZZONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAZZONI. Ho una pretesa un po’ orgogliosa; quella di dare suggerimenti, a questa ora, in un’Assemblea che è evidentemente ridotta in condizioni di esasperazione da un sistema di lavoro che l’altra sera io ho battezzato la negazione della fisiologia. Si è urlato, ma, credete, che le tradizioni della Camera, che le forze fisiche degli uomini non possono a lungo resistere ad un sistema come questo. Credo di poter interpretare il pensiero di tutti i colleghi, senza distinzione di partito, facendo appello al decoro – che io devo ritenere interessi tutti, da una parte e dall’altra della Camera – al decoro di questa Assemblea, la quale, malgrado le nostre violenze, noi amiamo, perché è l’unico baluardo della nostra speranza. (Approvazioni).

Orbene, io capisco che se continuiamo con questo sistema – io ho domandato la parola abusivamente, e chiedo scusa alla cortesia del Presidente – stiamo qui fino a mezzanotte, fino a domani mattina. Non se ne esce. Qui bisogna trovare una soluzione, e la soluzione c’è.

C’è un episodio che è tipico. Quelli che hanno la fortuna sciagurata di essere vecchi, sanno che un giorno un deputato sciocco, il marchese Centurione, camminando nei corridoi della Camera con una grande busta gialla sotto il braccio, spargeva la voce di avere dei documenti che dimostravano che Giolitti era un venduto allo straniero. Giovanni Giolitti, con quella sua flemma che tutti ricordiamo, si alzò dal suo banco e disse: «Signori della Camera, un deputato va dicendo che io sono un venduto allo straniero; va spargendo un’accusa infame. Io non ammetto che su questo terreno si perda neanche un minuto di tempo: o c’è un calunniato o un calunniatore; uno dei due deve uscire da questa Camera. (Approvazioni al centro). Propongo che seduta stante sia nominata una Commissione (Applausi a sinistra) la quale in termini brevissimi dica chi è l’uomo che deve vergognarsi di entrare qui dentro».

Il vecchio, grande, nostro amico, Emanuele Modigliani si alzò e disse: «Appoggio».

In cinque minuti il Presidente della Camera nominò la Commissione, della quale adesso non ricordo più chi fossero i membri; se tra questi ci fossero Turati, Modigliani od altri. In due ore la Commissione tornò alla Camera e riferì all’assemblea che lo sciocco calunniatore non aveva nella busta che dei pezzi di carta. Un applauso, e da quel giorno il marchese Centurione ebbe il buon senso di non entrare più qui dentro.

Ora io dico: l’incidente sul quale non mi voglio soffermare, scaturito oggi in questa Assemblea, non interessa la posizione degli uomini chiamati in causa, e non interessa la partecipazione al Governo del Ministro Scelba. Qui ci sono due gentiluomini, due uomini di questa Assemblea. Uno accusa e l’altro è accusato. Chiedo al Ministro Scelba di non sentirsi umiliato – perché non ci si umilia mai nel cercare la verità! – nel riprendere la proposta che fece Giolitti e domandare che una Commissione di deputati… (Applausi a sinistra) indaghi e riferisca rapidamente. Se accettate questa soluzione, ne usciremo. Altrimenti, amici miei, stiamo qui tutta la notte. (Applausi a sinistra).

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi duole per il precedente storico ricordato dall’onorevole Mazzoni, ma richiamo l’attenzione dell’Assemblea sulla completa mancanza di analogia dei due casi. Qui si tratta di responsabilità ministeriale, quindi di una cosa di cui è responsabile il Ministero in pieno, e soprattutto il suo Presidente (Interruzioni a sinistra); quindi di un atto avvenuto nell’amministrazione, attraverso un Ministro e per intervento di un Ministro. Qui l’accusatore era anche membro dello stesso Ministero. A parte l’osservazione che io ho fatto, che mi pareva logico e doveroso per l’onorevole Cerreti, se avesse avuto sospetti o prove, di darne notizia al Capo del Ministero, io ho constatato: 1°) che si tratta di responsabilità ministeriale e che primo responsabile di questo è il Consiglio dei Ministri e che il Consiglio dei Ministri deve avere il rapporto (Commenti a sinistra); 2°) che non intendo escludere qualsiasi inchiesta o qualsiasi Commissione. Non lo potrei fare, ma non desidero di farlo. Soltanto c’è una graduatoria che è necessaria. L’accusa è venuta dall’onorevole Cerreti, che ha precisato fino ad un certo punto. Le prove non le ha presentate. Egli ha il dovere di precisare l’accusa in modo che al più presto, magari domattina, il Ministro accusato sia in grado di rispondere (Proteste a sinistra) e solo quando questa risposta apparisse all’Assemblea insufficiente, allora vi sarebbe ragione di domandare l’inchiesta (Applausi al centro e a destra Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Desidero che l’Assemblea ascolti la lettura del testo stenografico delle parole pronunziate dall’onorevole Cerreti. L’onorevole Cerreti ha detto:

«Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».

Queste sono le parole dell’onorevole Cerreti.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. L’onorevole Presidente del Consiglio è padronissimo di provocare tutte le crisi extra-parlamentari che vuole e di iniziare una pratica che trasformi questo presunto regime parlamentare in un regime presidenziale, ma non può imporre a noi una procedura nuova, a suo uso e consumo. (Interruzioni, rumori al centro Commenti).

Bisogna, onorevole Presidente, riportare la questione nei suoi termini. L’onorevole Cerreti che ha ammonito l’Assemblea e il Paese sul pericolo che le elezioni politiche si svolgano sotto la dittatura democristiana… (Proteste al centro).

PRESIDENTE. Onorevole La Rocca, stia all’argomento.

LA ROCCA. …a conferma di questo timore, allegava un fatto in modo generico. L’onorevole Presidente ha invitato l’onorevole Cerreti a precisare il fatto, e da parte democristiana, non so con quale buon gusto, si è levato un gran rumore intorno a cose che il Ministro dell’Interno sa essere vere. (Interruzioni al centro).

L’onorevole Presidente ha invitato l’onorevole Cerreti a uscire dal vago, perché la precisazione aprisse la via all’attuazione della richiesta mossa dallo stesso onorevole Cerreti. È inutile qui rimettersi ai regolamenti, che accettiamo. L’onorevole Presidente del Consiglio ha parlato di una sorta di responsabilità ministeriale, di solidarietà ministeriale. Si è invocata una Commissione di inchiesta. Noi, nella questione in esame, siamo per la procedura più rapida. L’onorevole Mazzoni ha evocato il ricordo di un’epoca alla quale dovremmo ricollegarci: di uomini che, appena toccati, avevano la sensibilità di levarsi in piedi e chiedere che immediatamente si accertasse se nella Camera vi erano dei galantuomini o dei colpevoli, dei calunniati o dei calunniatori. Il Ministro dell’interno si è rimesso anche al senso di cavalleria dell’onorevole Cerreti. (Rumori al centro Interruzioni Scambio di apostrofi).

L’onorevole Ministro dell’interno ha invitato l’onorevole Cerreti a uniformarsi alla buona norma parlamentare di non lanciare così genericamente un’accusa, ma di precisarla. Ha tirato l’onorevole Cerreti per i capelli (Commenti) e l’onorevole Cerreti ha precisato. Mi stupisco come si osi indugiare un istante nel nominare una Commissione, immediatamente, che accerti questi fatti. (Rumori, commenti al centro e a destra).

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Prego i colleghi di prendere posto. Faccio appello alla serietà dell’Assemblea per giungere rapidamente ad una conclusione. (Applausi). Penso che non vi sia bisogno di approvazioni e non vorrei avere disapprovazioni. È un’ora e tre quarti che dura questo dibattito spiacevole per tutti e in particolare per i membri della Presidenza, i quali hanno delle responsabilità di fronte al Paese. Mi pare che il problema sia molto semplice. L’onorevole Cerreti ha pronunciato, durante il suo discorso, le frasi che l’onorevole Vicepresidente Conti ha rilette poco fa e che io leggo di nuovo:

«Aggiungo che un altro elemento di preoccupazione seria, preoccupazione del modo come oggi è diretto il Ministero dell’interno, è che non si riesce più a mandare avanti le denunce documentate, presentate al Procuratore generale. Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».

Questa è la dichiarazione fatta dall’onorevole Cerreti, da cui ha preso origine il dibattito. Io ero presente e cercherò di riassumerlo in forma del tutto imparziale. L’onorevole Scelba ha chiesto delle precisazioni.

L’onorevole Cerreti inizialmente aveva detto di essere pronto a depositare alla Presidenza i documenti, prima che la questione si allargasse. Successivamente, l’onorevole Scelba ha dato spiegazioni su una parte soltanto delle affermazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Questi ha chiesto spiegazioni anche sull’altra parte di cui ho dato ora lettura. E qui è cominciato come un giuoco, col quale ciascuno mirava a conoscere prima il colpo che avrebbe vibrato l’avversario. Ma io penso che non vi debbono essere avversari; né da una parte, né dall’altra. C’è da precisare, ed i mezzi per precisare sono molto semplici.

Vi sono tre forme per uscire da questa situazione, cosa che ha detto già l’onorevole Conti molto saggiamente, ma che, nella concitazione del dibattito, pochi hanno potuto sentire.

La prima è quella prevista dall’articolo 80-bis, che però si riferisce ai deputati. L’onorevole Scelba è deputato, sebbene anche Ministro, ed egli può scegliere questa via o non sceglierla. C’è stata un’accusa. L’accusato dice: «indagate; chiedo io stesso che si indaghi». In questo caso non c’è da procedere a votazione. La Presidenza è investita immediatamente del dovere di nominare una Commissione, che indaghi.

C’è una seconda strada, quando l’accusa si riferisce a fatto compiuto da Ministro nell’esercizio delle sue funzioni; è la vera responsabilità ministeriale. L’onorevole Conti ha già detto: coloro i quali ritengono che si debba così procedere, depositino una proposta di legge di iniziativa parlamentare; sarà messo all’ordine del giorno immediatamente e l’Assemblea, accettandolo o respingendolo, evidentemente esprimerà il suo giudizio sulla concretezza o meno delle accuse presentate.

Vi è la terza via – l’abbiamo già battuta: qualcuno propone che si nomini una Commissione. L’onorevole Natoli lo ha fatto, quando si è trattato delle accuse lanciate dall’onorevole Finocchiaro Aprile. Ed è in base alla proposta precisa dell’onorevole Natoli, che non era né accusato, né accusatore, ma preoccupato dell’onore e della dignità dell’Assemblea, che questa, unanime, ha creata la Commissione. Ma, fino a quando non c’è un deputato, il quale faccia questa proposta, è evidente che la Presidenza non può procedere alla nomina di alcuna Commissione.

Sono queste le tre vie aperte.

Se ce n’è una quarta, venga proposta e l’Assemblea la valuterà e deciderà.

LA ROCCA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA ROCCA. Vorrei dire che, in fondo, con la mia dichiarazione non ho fatto altro che chiedere la nomina di una Commissione che indaghi e riferisca sui fatti denunziati dall’onorevole Cerreti.

PRESIDENTE. Faccia allora la sua proposta per iscritto e la depositi al banco della Presidenza.

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GRONCHI. Avevamo pregato l’onorevole Bettiol, che non è riuscito a farsi sentire, di precisare il nostro pensiero in ordine a questo increscioso incidente. E il nostro pensiero è il seguente: poiché non può essere applicato l’articolo 80-bis, visto che si tratterebbe di atti compiuti da un Ministro, e poiché la responsabilità di questi atti si estenderebbe all’intera attività ministeriale, a noi pare che questo sia il caso specifico che aveva indotto l’onorevole Cerreti, vorrei dire di istinto, poiché si è auto-definito deputato novellino, a chiedere l’inchiesta parlamentare. Sta a lui di fare la proposta di inchiesta parlamentare che domani mattina sarà discussa e si avrà così modo, secondo gli articoli 135 e 136, di indagare in lungo e in largo, in alto e in basso, per fare quella piena luce che noi per i primi completamente desideriamo (Applausi al centro Commenti).

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Signor Presidente, ho l’impressione che tanto l’onorevole De Gasperi poco fa, quanto l’onorevole Gronchi in questo momento, siano caduti in un equivoco singolare. Non mi stupisce da parte dell’onorevole De Gasperi, in quanto la continuità della sua presenza a capo dei diversi Ministeri gli dà modo forse di confondere l’uno con l’altro. Sta di fatto che il Ministero, in cui l’onorevole Scelba ha compiuto gli atti che hanno dato luogo a quei rilievi che l’onorevole Cerreti ha testé portato nell’Assemblea, non è lo stesso Ministero che in questo momento siede in carica. Non può quindi parlarsi di accuse rivolte a un Ministro nell’esercizio delle sue funzioni… (Interruzioni a destra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per favore, lascino parlare.

LACONI. Onorevoli colleghi, parlerò molto cortesemente; vi chiedo uguale cortesia nell’ascoltarmi.

Non si tratta, dicevo, di accuse rivolte ad un Ministro nell’esercizio delle sue funzioni, bensì a un deputato di quest’Assemblea per quello che avrebbe commesso all’atto in cui era Ministro di un Governo decaduto. Che poi questo deputato sia attualmente Ministro, è cosa che non ci riguarda; starà eventualmente al deputato che si trova in questa particolare condizione valutare le opportunità che gli si possono presentare, ma indubbiamente l’accusa non si riferisce al Ministro in quanto tale.

Cadono quindi, innanzi tutto, le eccezioni sollevate dall’onorevole Presidente del Consiglio. Sarebbe procedura singolarissima se per delle accuse rivolte a un ex Ministro ci si dovesse rivolgere al decaduto Presidente di quel Governo decaduto.

L’onorevole De Gasperi, in questo momento, rispetto a quel Governo è un ex Presidente del Consiglio, e come tale non può ricevere accuse, né ha facoltà, né autorità di fare inchieste e quindi in questa veste resta completamente fuori causa. Rimane soltanto, come lucidamente ha esposto il Presidente, la possibilità di una inchiesta parlamentare, non di un’inchiesta amministrativa, e per proporre un’inchiesta parlamentare chiunque di noi in questo momento è qualificato.

Vero è che in questo momento, per il fatto che sono protagonisti nella questione, l’attenzione dell’Assemblea si concentra da un lato sull’onorevole Scelba e dall’altro sull’onorevole Cerreti, ma nessuno di noi è fuori causa in questo caso. Comunque, se anche noi volessimo concentrare l’attenzione sull’onorevole Scelba e sull’onorevole Cerreti, a me pare evidente che in questo caso l’onorevole Scelba soltanto dovrebbe provocare l’inchiesta. (Interruzioni Proteste al centro).

Soltanto l’onorevole Scelba ha una ragione morale per chiedere un’inchiesta.

L’onorevole Cerreti ha misurato la propria accusa, nel corso del suo discorso, a seconda degli elementi che voleva fornire all’Assemblea. Mosso dai rumori di una parte di questa Assemblea, precisa queste accuse e porta dei documenti (Interruzioni al centro)…

Una voce. Non è vero!

LACONI. …o, almeno, ha dichiarato dei fatti circostanziati e facilmente verificabili.

Vi è contestazione sugli elementi forniti dall’onorevole Cerreti? L’onorevole Scelba chieda l’inchiesta, ma è strana cosa che si chieda ad un deputato di precisare dei fatti e di portare delle date e dei documenti di cui egli avrebbe dovuto aver conoscenza all’atto in cui era Alto Commissario, ma di cui non può più avere conoscenza (Interruzioni Commenti al centro).

Questa precisazione di fatti può esser fatta o non fatta dall’onorevole Cerreti, a sua discrezione, ma non si può dire che egli vi sia tenuto quando ha fatto accuse di tale ampiezza e le ha confermate e specificate. Non si può dire che egli sia tenuto a precisare i fatti dettagliatamente. Non a lui quindi si può chiedere che provochi l’inchiesta. Egli ha detto che si riserva per domani di presentare la domanda di inchiesta, ma questo non esenta affatto l’onorevole Scelba, del cui caso morale in questo momento si tratta (Commenti al centro), dal chiedere egli stesso immediatamente una inchiesta, la più opportuna per tutelare…

PRESIDENTE. Onorevole Laconi, alle dieci di sera non si può fare un discorso così lungo. Prego lei, che è oratore così conciso, di concludere.

LACONI. Concludo soltanto col dire che io ritengo che la cosa per oggi sia definita. C’è un miglior modo di chiudere la questione ed è che l’onorevole Scelba si alzi in piedi e dica: chiedo un’inchiesta parlamentare. (Rumori al centro Applausi a sinistra).

DOSSETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su quale argomento intende parlare?

DOSSETTI. Io chiedo di parlare dello stesso argomento di cui ha trattato l’onorevole Laconi, e cioè sulla questione da lei, onorevole Presidente, proposta all’Assemblea, per quanto riguarda la decisione relativa alle varie possibili procedure che possono essere accolte. Nella questione in esame a me pareva che l’attenzione dell’Assemblea non si fosse sufficientemente concentrata sul lato regolamentare, e vorrei richiamare modestamente l’Assemblea a quest’esame, facendo una precisazione di carattere procedurale.

PRESIDENTE. Onorevole Dossetti, prima di darle facoltà di parlare, comunico all’Assemblea che l’onorevole Benedetti ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, decide la nomina di una Commissione di indagine che, nel più breve termine, ne accerti il fondamento. Delega al Presidente la nomina della Commissione».

Onorevole Dossetti, ha facoltà di parlare.

DOSSETTI. Vorrei esaminare brevemente la questione per individuare l’oggetto centrale del problema da sottoporre. (Interruzioni Commenti a sinistra).

SCOCCIMARRO. Non ne abbiamo bisogno!

DOSSETTI. L’onorevole Presidente ci ha riletto le dichiarazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Se l’onorevole Presidente avesse la bontà di rileggere anche la successiva edizione di queste dichiarazioni, vedremmo che presentano, indubbiamente, notevoli differenze rispetto alle dichiarazioni iniziali. È stato pertanto chiesto da più parti, soprattutto da questo settore, che venisse precisato il fatto di cui l’onorevole Cerreti si faceva accusatore.

Onorevoli colleghi, il verbo «precisare» è improprio: stabiliamo che qui non si tratta di precisare, o come alcuni impropriamente hanno detto, di addurre delle prove in questa sede, ma si tratta semplicemente di individuare il fatto. Nessuna ricerca e nessuna indagine può essere effettuata in ordine ad un fatto che non è stato ancora individuato. Non dobbiamo sapere quale è nei suoi elementi precisi e tanto meno nei suoi elementi accidentali, ma dobbiamo sapere qual è il caso che è proposto all’indagine, dobbiamo sapere come si chiama il luogo, dov’è avvenuto il fatto, in quale data. (Interruzioni a sinistra). Di fronte a questa situazione nego che fin’ora si sia individuato il fatto.

Tanto è vero che, se dovessi stare alle dichiarazioni dell’onorevole Cerreti, dovrei vedermi balzar fuori tutta una serie di figure di reati molto differenziate l’una dall’altra: in una prima dichiarazione l’onorevole Cerreti ha parlato di impedimento frapposto ad una denuncia già presentata dall’Alto Commissariato; in una dichiarazione successiva ha parlato di un fonogramma di cui ha letto soltanto alcune parole senza dirne la data ed il contenuto…

CERRETI. Questo è un giuoco di azzeccagarbugli! (Rumori al centro e a destra).

DOSSETTI. Nego che il fatto proposto sia stato sufficientemente individuato.

Detto questo, a me pare che l’unica possibilità alla quale ci si può attenere è quella che lo stesso onorevole Cerreti aveva scelta in una delle sue molteplici e variopinte dichiarazioni, cioè quella di chiedere egli stesso una Commissione di inchiesta per individuare il fatto di cui vuole spiegazione. (Applausi al centro Proteste a sinistra).

PRESIDENTE. Bisogna impedire che attorno al testo autentico delle dichiarazioni – per fortuna abbiamo gli stenogrammi – si possano, per mancanza di memoria, fare citazioni avventate. Lasciamo, quindi, la strada delle induzioni. Ho già dato lettura della prima parte delle dichiarazioni dell’onorevole Cerreti. E di queste dichiarazioni rileggo in questo momento ciò che si riferisce ad una attività del Ministro dell’interno: «Intervengono sempre dei prefetti che le trattengono, che le ritirano, quando non intervengono dei fonogrammi di cui ho io la copia, a mezzo dei quali si chiede che tale denuncia firmata dall’Alto Commissario non abbia luogo, o allorquando, con altro documento, si impedisce, o si vorrebbe impedire, che un comandante dei carabinieri proceda a una denuncia per un reato annonario vergognoso».

In un secondo momento, l’onorevole Cerreti, invitato a precisare, ha detto quanto segue: «…e dico: come Alto Commissario per l’alimentazione, io ho dovuto, negli ultimi tempi, procedere ad una inchiesta rigorosa sulla situazione alimentare a Padova.

«Non vi dico quali e quante sono state le pressioni su di me esercitate perché l’inchiesta non andasse avanti. L’inchiesta è andata avanti. Sono stati scoperti dei fatti gravi, che partono da Grosseto, giungono a Padova, tornano a Savona, in Valle d’Aosta, fino a Roma, ad un centro organizzatore.

«Ho dovuto onestamente io, che ho fatto tra i primi arrestare un uomo vicino al partito di cui faccio parte, perché era stato disonesto, ho dovuto vincere tutte le resistenze ed anche le suscettibilità, in seguito ad una sfacciata presa di posizione del vice direttore della Sepral di Padova, il quale, pur essendo un disonesto, aveva avuto la sfacciataggine di minacciare di querelare un giornale accusatore. In quel momento non ho avuto esitazione. Esitavo per ragioni politiche, perché non ritenevo fosse necessario acutizzare la tensione fra vari settori dell’Assemblea.

«Ho mandato un ispettore, un capitano dei carabinieri, per fare la denunzia, prendendo la precauzione, forse dovuta alla mia attività clandestina, di fotografare tutti i documenti, in modo che non ci fossero dubbi, e pregandolo di non prendere contatto con la Prefettura di Padova, prima di avere presentata la denunzia al Procuratore. Fortunatamente non prese contatto. Con sua dichiarazione esplicita, presentandosi alla Prefettura, il signor Prefetto di Padova gli comunicava un telegramma del Ministro, col quale si chiedeva di sospendere l’inchiesta, in attesa di ulteriori disposizioni. Ero io il solo a doverle dare».

Queste sono le dichiarazioni fatte dall’onorevole Cerreti. Vorrei che fossero state bene ascoltate.

In sostanza, l’onorevole Cerreti ha mosso accusa al Ministro dell’interno di avere, con un fonogramma, di cui egli avrebbe copia, chiesto che la denuncia firmata dall’Alto Commissario non avesse luogo ecc. ecc. Ciò precisato, quali sono i termini precisi della questione? Se si debba procedere alla nomina di una Commissione di inchiesta, e quale sarà la materia delle indagini.

In questo momento possiamo soltanto esaminare la questione della procedura.

Vi sono tre alternative, l’ho già detto: su una l’unico a decidere può essere l’onorevole Scelba, ed è inutile che altri pensino di mettersi al posto suo. Per la seconda, qualunque deputato di questa Assemblea può farsi iniziatore di un progetto di legge per una inchiesta parlamentare.

L’onorevole Cerreti inizialmente aveva parlato di inchiesta parlamentare: nella sua inesperienza di questa Assemblea – che è del resto di noi tutti – può aver pronunziato una parola che, praticamente, non rispondeva alla sua intenzione. Ma ora egli sa cosa voglia dire inchiesta parlamentare e può decidere se si attiene a questa procedura. E come ho detto poco fa che solo l’onorevole Scelba può valersi del primo mezzo, dirò che anche l’onorevole Cerreti potrà valersi di questa seconda procedura.

Vi è il terzo mezzo: cioè la proposta per la costituzione di una Commissione di inchiesta del tipo che abbiamo avuto nei mesi scorsi. (Interruzione dell’onorevole Dossetti). Onorevole Dossetti, lei voterà contro se è avverso alla proposta; ma se l’Assemblea l’accetterà, essa prevarrà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. La responsabilità è senza dubbio ministeriale, perché si tratta di responsabilità assunta come Ministro: questo per rispondere a chi ha obiettato che non può trattarsi di responsabilità ministeriale.

La responsabilità è, senza dubbio, ministeriale, perché è assunta direttamente o indirettamente da chi agisce come Ministro. Non c’è dubbio.

Secondo: credete voi che sia possibile fare un’inchiesta parlamentare in presenza del Ministro, allo stesso posto, circa l’attività da lui stesso svolta durante un altro Ministero?

Vi dico, quindi, che è materia di inchiesta parlamentare, come è previsto dalla legge.

Io sono disposto ad accettare la inchiesta parlamentare, per mio conto; ma vi propongo di fare ragionevolmente un tentativo di chiarire lo stato della questione in confronto dell’onorevole Scelba, attraverso il Presidente dell’Assemblea.

Vorrei pregare l’onorevole Cerreti di consegnare al Presidente dell’Assemblea il documento e il Presidente di dare notizia all’onorevole Scelba dei dettagli di questo documento, perché l’onorevole Scelba anche domani possa rispondere all’Assemblea, e allora l’Assemblea potrà decidere e deliberare con coscienza se si debba fare una inchiesta parlamentare, o meno. (Applausi al centro e a destra).

PRESIDENTE. Siamo sempre al punto iniziale. L’onorevole De Gasperi ha presentato alcune considerazioni ed ha fatto una proposta: sarebbe quella quarta proposta alla quale accennavo.

L’Assemblea può accettarla, o respingerla.

BENEDETTINI. Vi è la pregiudiziale del fonogramma!

PRESIDENTE. Non vi sono pregiudiziali.

BENEDETTINI. Noi dobbiamo giudicare.

PRESIDENTE. Lei giudicherà se la Commissione, essendo formata, lei ne farà parte; se no darà il suo giudizio soltanto quando la Commissione presenterà all’Assemblea le sue conclusioni. Solo in questo momento ogni singolo deputato avrà poteri per giudicare.

È stato invocato dall’onorevole Mazzoni un precedente, che potrebbe essere tenuto in considerazione. In questo precedente troviamo riunite due cose: da una parte la Commissione di inchiesta, dall’altra il deposito dei documenti alla Presidenza. D’altronde è evidente che il primo atto concreto di ogni procedura sarebbe il deposito degli atti alla Presidenza, la quale li consegnerebbe a sua volta alla Commissione di inchiesta. Io non so se possiamo trovare una soluzione che non abbia precedenti, ad esempio quella che è stata prospettata un’ora fa, dallo stesso onorevole Scelba quando proponeva di rinviare a domani.

In questo momento, qualcuno del Gruppo dell’onorevole Cerreti, o l’onorevole Cerreti stesso – non ho ben compreso – ha formulato appunto la richiesta che la discussione venga rinviata a domani. Ora, io chiedo: non potremmo in uno col rinvio a domani, prendere la decisione di formare una piccola commissione (Commenti), la quale, insieme con il Presidente dell’Assemblea, riceva i documenti dell’onorevole Cerreti e domani – richiamo appunto il precedente invocato dall’onorevole Mazzoni – faccia all’Assemblea una proposta concreta, avendo preso visione del fondamento o meno dell’accusa che è stata mossa?

Io faccio semplicemente la proposta: non insisto perché sia accettata. (Commenti).

MARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINA. Vorrei fare una proposta semplificativa. Questa ristretta commissione potrebbe sveltire le cose in questo senso: recarsi domani mattina stessa al Ministero dell’interno, presente il Ministro, e fare ricerca immediata di questo fonogramma incriminato. Esso infatti non può non essere stato da qualche parte archiviato, se esiste. Se invece non esiste, noi avremo in tal modo il vantaggio di saperlo subito dalla stessa commissione e sapremo così se dobbiamo o non dobbiamo procedere.

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Si metta ai voti la proposta del Presidente del Consiglio. Mi pare sia la cosa migliore. (Commenti).

FRESA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRESA. L’onorevole Cerreti comunichi il testo del fonogramma, con data e numero di protocollo. (Commenti).

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Io ho presentato un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ne ho dato lettura, onorevole Benedetti.

BENEDETTI. Chiedo scusa all’Assemblea della mia estrema ingenuità. Ho assistito, con grande attenzione, a questa discussione e ad un certo momento mi è parso che tutti fossero d’accordo nel volere che l’incidente fosse chiarito nel modo più completo.

È interesse dell’accusato; è interesse dell’accusatore; ed è interesse di tutti noi, che dobbiamo rispondere delle nostre azioni e del modo come esplichiamo il nostro mandato al Paese. Mi è parso, quindi, che, quando il Presidente ha enunciato il suo proposito di mettere in votazione la prima proposta che gli sarebbe stata presentata delle tre che egli considera come idonee a risolvere l’incidente; mi è parso – e faccio ammenda della mia grande ingenuità – che io, presentando il mio ordine del giorno, venissi incontro al desiderio di tutti quanti, dell’accusato, dell’accusatore; e soprattutto che sodisfacessi una esigenza dell’opinione pubblica.

Vedo che nel momento attuale non si è più dello stesso parere. Non me ne rendo conto, e perciò domando al Presidente se la posizione come io l’avevo capita inizialmente è esatta, oppure se è modificata. Se la posizione è esatta, pregherei di mettere in votazione il mio ordine del giorno, che corrisponde perfettamente al Regolamento. (Interruzioni).

Se il Presidente me lo consente, mi permetterei di fare ancora una osservazione. Io che appartengo ad una minoranza, e direi anzi meglio che esprimo soltanto il mio pensiero, vorrei richiamare l’attenzione su un altro punto fondamentale che deve servire di guida a tutti i nostri lavori: ed è che l’osservanza del Regolamento è una garanzia per tutti noi. Se mi sono sbagliato, ritiro il mio ordine del giorno; se per caso sono nel vero, lascio alla sua discrezione di metterlo in votazione.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non so se sia opportuno sospendere per pochi minuti la seduta, senza che i deputati escano dall’Aula, per poter fra di loro mettersi di accordo sul da farsi.

Voci. No! no!

PRESIDENTE. Sta bene; ma poiché mi pareva che si fossero già incominciati i conversari particolari da banco a banco, pensavo fosse opportuna una breve sospensione.

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Devo dichiarare che al punto in cui le cose sono state spinte in questo momento, ritengo che la sola via d’uscita possibile è quella di accettare l’ordine del giorno Benedetti, per un’indagine ampia e sufficiente. Accetto perciò l’ordine del giorno Benedetti.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Se non mi inganno, l’ordine del giorno Benedetti invoca una Commissione generica da nominarsi dal Presidente.

Ora, questa è una proposta la quale sbocca nella nomina di una Commissione straordinaria, che non è prevista dal Regolamento; Commissione straordinaria, di cui abbiamo visto come sia difficile stabilire l’oggetto dell’esame e la procedura dell’indagine in un caso recente. (Commenti a sinistra). È evidente che questa non è una procedura che si possa immaginare così rapida come nel caso Centurione. Si tratta di un’indagine sopra la responsabilità ministeriale. Voi ricordate come l’altra volta, nella discussione iniziale, prima della nomina della Commissione proposta dall’onorevole Natoli, si sia dibattuta molto la questione, perché si distingueva nettamente fra quella che era la responsabilità solidale ministeriale – per la quale è previsto un metodo – e quella che poteva essere l’accusa privata, la compatibilità o l’incompatibilità di un deputato. Si è fatta una netta distinzione. In realtà poi avete visto come per la Commissione degli Undici sia stato difficile rimanere su tale terreno.

Ora, è inutile che ci imbarchiamo di nuovo in una identica impresa. Noi daremmo un cattivo esempio e trascineremmo le cose in un marasma, proprio in un momento in cui siamo qui a difenderci sulle comunicazioni del Governo da una opposizione che mi pare abbastanza armata e non ha bisogno di armi straordinarie. Quindi non faremmo che complicare una situazione abbastanza tesa.

Io vi propongo di nuovo di accettare quel suggerimento che avevo dato, che mi pare onesto. (Commenti a sinistra). Io propongo che questa sera l’onorevole Cerreti consegni al Presidente i documenti. (Proteste e rumori a sinistra).

BENEDETTINI. Ai voti la proposta del Presidente!

PRESIDENTE. Onorevole Benedettini!

BENEDETTINI. Richiamavo la necessità di mettere ai voti la proposta del Presidente per appello nominale.

PRESIDENTE. L’ha già detto una volta.

SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCELBA, Ministro per l’interno. L’onorevole Dossetti molto opportunamente ha richiamato l’Assemblea sullo svolgimento dei fatti. Ora, l’ultima affermazione dell’onorevole Cerreti si riferiva all’intervento del Ministro dell’interno presso il Prefetto con un fonogramma di cui ha letto il testo. Io ho domandato all’onorevole Cerreti di voler precisare il testo e la data del fonogramma, riservandomi di rispondere immediatamente se questo fonogramma era o non era partito. Perché, onorevoli colleghi, mi sembra che la questione si sia drammatizzata nella sostanza della cosa, in quanto il fonogramma di per sé non implica, anche se fosse esistente, (Commenti a sinistra), cosa che io ho dichiarato di escludere, non implica una responsabilità del Ministro (Rumori a sinistra Commenti). Il fonogramma, che sarebbe stato indirizzato dal Ministro dell’interno al prefetto, invitava, secondo quel testo, il prefetto a sospendere un’inchiesta; e quindi sarebbe stata un’inchiesta di carattere amministrativo evidentemente disposta dal Ministero, in attesa di ulteriori istruzioni da parte del Ministero. Io voglio accertare i termini di questo fonogramma. Ma questo fonogramma l’onorevole Cerreti lo aveva messo in riferimento non ad una inchiesta amministrativa, ma ad un intervento del Ministro attraverso il Prefetto sull’autorità giudiziaria.

Chiederò io stesso la commissione d’inchiesta, non per scagionare me, ma per accertare la responsabilità eventuale del mio accusatore. Ma ho detto che non si può accettare una commissione d’inchiesta senza un’accusa precisa. (Approvazioni al centro Proteste e rumori a sinistra). E ho dichiarato, per evitare alla Assemblea molta perdita di tempo, che avrei risposto domani mattina stessa sull’esistenza di questo documento. (Rumori a sinistra Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se si continua così mi costringono a togliere la seduta. Facciano silenzio su tutti i banchi.

SCELBA, Ministro dell’interno. In base ad un principio fondamentale del nostro diritto l’onere della prova spetta all’accusatore. Io avrei dunque il diritto di pretendere dall’onorevole Cerreti che depositasse la prova della sua accusa. Ma poiché egli ha fatto chiaro e preciso riferimento all’esistenza di un documento di cui possiede la copia, io non riesco a comprendere perché non debba l’onorevole Cerreti precisare la data per accertarne resistenza (Interruzioni a sinistra).

Una voce. Troppo comodo!

SCELBA, Ministro dell’interno. E sono pronto a dichiarare domani se il fonogramma esiste o non esiste, e quale rapporto questo fonogramma abbia in riferimento all’oggetto concreto e alla materia a cui il fonogramma stesso si riferisce.

Quindi mi permetto di fare al Presidente una modesta proposta. Non mi oppongo ad una qualsiasi commissione di inchiesta, anzi la chiederò io stesso. Credo soltanto giusto che l’onorevole Cerreti sia invitato a precisare la data del fonogramma, e perciò avevo fatto appello alla sua lealtà e non alla sua cavalleria, perché la lealtà è un dovere di tutti, perché depositasse presso la Presidenza dell’Assemblea la copia del fonogramma, in modo da mettere il Ministro in condizione di accertarne resistenza.

Se volete rinviare questa materia, prendendo il tempo perché siano dati all’Assemblea tutti i chiarimenti necessari in ordine a questo fonogramma, mi pare che ciò sia la cosa più opportuna. (Approvazioni Commenti).

PRESIDENTE. Adesso dobbiamo veramente concludere. Ognuno deve assumere la propria responsabilità. Prendano posto, onorevoli colleghi.

L’onorevole Cerreti ha formulato una accusa di carattere preciso: ha accusato il Ministro dell’interno di aver inviato un fonogramma con il quale si chiedeva che una denunzia fatta dall’Alto Commissario fosse sospesa. L’accusa è precisa e concreta nei suoi elementi ed è stata spiegata in tutta quella lunga dichiarazione della quale ho dato lettura; ognuno di noi sa in questo momento che il fonogramma, se esiste, è stato trasmesso al Prefetto di Padova affinché sospendesse l’inchiesta allora in corso, in relazione a certi fatti che ancora ignoriamo nei particolari. Afferma l’onorevole Cerreti che l’unico che aveva il diritto di dare disposizioni di questo genere era lui stesso. L’accusa è chiara e definita. Da questo punto di vista io ritengo che le precisazioni che erano state chieste insistentemente all’onorevole Cerreti sono state fornite. La Commissione di inchiesta, o la Presidenza, o la Commissione parlamentare, dovranno dunque accertare se è stato spedito dal Ministro dell’interno un fonogramma al Prefetto di Padova col quale si chiedeva che si sospendesse una inchiesta su fatti circa i quali il Commissario dell’alimentazione aveva già fatto le proprie indagini, giungendo alla conclusione di presentare una denuncia al Procuratore della Repubblica per mezzo di un capitano dei carabinieri mandato a tale scopo a Padova. Questa è l’unica incombenza che si può affidare alla Commissione d’inchiesta, o alla Commissione parlamentare o a qualunque altro strumento l’Assemblea ritenga di dover forgiare, questa è la base sulla quale penso che si debba concludere la questione. (Commenti Interruzioni). Qui vi sono molti avvocati: mi sanno essi dire se all’inizio di un procedimento si dispone già di tutti gli elementi di giudizio che si acquisiranno invece solo nel corso del procedimento stesso? (Commenti).

BENEDETTINI. Onorevole Presidente, faccia mettere ai voti la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio.

PRESIDENTE. Sarà presa in considerazione.

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, mi consenta di esprimere l’opinione di una parte dell’Assemblea, la quale ha assistito come spettatrice a questa istruttiva disputa tra vecchi amici, i quali, evidentemente, sono oggi di cattivo umore.

Noi abbiamo ricevuto delle strane impressioni, che è bene i due contendenti conoscano. Noi abbiamo ricevuto prima l’impressione che tutti volessero fare la luce più ampia. Poi abbiamo visto che qualcuno vuole una luce ed altri un’altra luce. La luce non è che una sola: ed è la luce che possa scaturire da un’inchiesta parlamentare, che noi oggi chiediamo; perché vediamo che la discussione trascende le persone dei nostri onorevoli colleghi Cerreti e Scelba. Noi ne stiamo parlando come d’un fatto personale, come se essi si accapigliassero per gli occhi d’una bella donna, il che potrebbe, in certo modo, giustificare questa scenata di gelosia. Noi vediamo che, se da una parte c’è l’invito ad esibire un certo documento, dall’altra c’è una certa predisposizione a non presentarlo; e questo non perché il documento non esista, ma perché non si vuole presentarlo in un determinato momento e a determinate persone.

D’altra parte, signor Presidente, al di sopra della onorabilità di questi nostri due colleghi, ai quali va ugualmente la nostra stima, c’è la dignità dell’Assemblea. Sono esattamente tre ore che si discute intorno a questo episodio, che mi sembra lamentevole. Per la quale ragione io la prego – e prego di scusarmi se non seguo le precise forme parlamentari, perché anch’io sono deputato novellino – di accogliere, a nome del nostro Gruppo, la domanda di un’inchiesta parlamentare sull’incidente, a parte quanto ne possano pensare gli interessati; perché l’Assemblea ne è direttamente investita e vuol sapere esattamente se l’onorevole Cerreti ha il documento autentico e se l’onorevole Scelba si è regolato o no bene nel fare quanto egli si dice che abbia fatto. Insomma chiediamo che la questione esca dai limiti di due persone e di due partiti ed interessi una volta tanto tutta l’Assemblea. E non ho altro da dire, signor Presidente. (Approvazioni Commenti).

GRONCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

GRONCHI. Coerentemente a quanto avevamo dichiarato quando invitavamo l’onorevole Cerreti a chiedere l’inchiesta parlamentare, siamo d’accordo con la proposta dell’onorevole Giannini.

PIGNATARI. Chiedo di parlare per una mozione d’ordine.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIGNATARI. Ritengo che l’Assemblea possa rinviare a domani ogni decisione. (Rumori a sinistra).

GIANNINI. No.

PRESIDENTE. Mi pare che questa proposta incontri la disapprovazione generale.

PIGNATARI. In sostanza l’onorevole Scelba nella mattinata di domani, senza meno, vuole rispondere e l’Assemblea potrà esprimere il proprio giudizio. (Commenti).

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Aderisco a quello che poco fa diceva l’onorevole Dossetti: parliamo di inchiesta ed ancora non sappiamo quale è l’accusa. (Commenti).

PRESIDENTE. Ma si parla di inchiesta parlamentare.

CAROLEO. L’accusa consisterebbe in questo: che in un determinato momento il Ministro dell’interno avrebbe telegrafato o inviato un fonogramma ad un suo prefetto, per sospendere una certa inchiesta, in attesa di disposizioni. Pare che la competenza, per quello che afferma l’onorevole Cerreti, spettasse soltanto a lui. E qui ci troviamo di fronte ad una questione di competenza, di cui forse l’Assemblea in questo momento non sarebbe in grado di precisare i termini. Comunque, dato che si contesta al Governo perfino il potere d’intervenire (Interruzioni a sinistra Commenti), anche per il necessario controllo, negli atti dei dipendenti funzionari, credo che l’onorevole Scelba abbia diritto di vedere chiaro su questa questione. (Rumori Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, si renda conto ognuno che in queste condizioni non possiamo andare avanti. Facciano silenzio se vogliono che la seduta continui e si arrivi ad una conclusione.

SCOCCIMARRO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SCOCCIMARRO. Propongo la chiusura della discussione.

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Propongo che si voti sulla proposta dell’onorevole Giannini.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, abbiamo tre proposte concrete: la prima del Presidente del Consiglio; la seconda dell’onorevole Benedetti; la terza dell’onorevole Giannini. La proposta del Presidente del Consiglio è questa: che si depositino al banco della Presidenza i documenti (Commenti). La Presidenza ne prenda visione, e comunichi al Ministro dell’interno il loro contenuto, in modo che esso possa domattina dinanzi all’Assemblea confermare o smentire la validità dei documenti stessi.

Vi è poi la proposta dell’onorevole Benedetti che vuol porre in essere un meccanismo simile a quella che noi chiamammo Commissione degli Undici.

Vi è infine la proposta dell’onorevole Giannini, accettata dall’onorevole Gronchi e dall’onorevole Valiani, che si proceda alla nomina di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla base della proposta di legge che l’Assemblea discuterà ed approverà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho fatto prima un appello al mio antico collaboratore onorevole Cerreti, di dare occasione di risolvere in tutta equità e tutta calma la questione, mettendo a disposizione del Presidente dell’Assemblea il documento, e dando possibilità al Ministro dell’interno di rispondere entro domattina. Con ciò non si preclude qualsiasi possibilità, anche quella della inchiesta parlamentare, perché penso anch’io che se un’inchiesta va fatta, questa inchiesta debba essere quella parlamentare, per l’argomento di cui si tratta e per le responsabilità di chi è in causa.

Quindi se il mio suggerimento non è stato accolto, lo faccio di nuovo. Credo che sarebbe un ricorrere ad una procedura di slealtà, portare le cose in lungo, nel momento in cui altre discussioni ed altri dibattiti saranno vivi. Non si sottrae nulla al giudizio dell’Assemblea, perché domani potrà riprendere la discussione. Comunque, se questo suggerimento non viene accolto non ho nessuna difficoltà che si presenti la proposta di legga per l’inchiesta parlamentare.

PRESIDENTE. Data la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio, che si è rivolto personalmente all’onorevole Cerreti, sono tenuto a chiedere all’onorevole Cerreti se ha qualcosa da rispondere ed in quale senso.

CERRETI. Non ho nulla da aggiungere.

PRESIDENTE. Allora, abbiamo tre proposte, il cui ordine di importanza ritengo sia il seguente: quella dell’onorevole Giannini, quella dell’onorevole Benedetti, quella dell’onorevole Presidente del Consiglio. Io cerco, onorevoli colleghi, di tracciare la via e vorrei che ciascuno in questo momento non si facesse prevalere da impulsi soggettivi. Procederemo, quindi, dalla proposta più importante alla meno importante. La precedenza spetta, dunque, alla proposta dell’onorevole Giannini, poi vi è quella dell’onorevole Benedetti.

FUSCHINI. Non è proponibile la proposta dell’onorevole Benedetti. È contro il Regolamento.

PRESIDENTE. Onorevole Fuschini, per sua tranquillità, poiché so che lei è molto rispettoso di tutti gli insegnamenti che ci hanno tramandati i nostri predecessori, le leggerò alcune righe che si riferiscono ad un precedente pressoché analogo.

«Durante la discussione sulle comunicazioni del Governo, il deputato Centurione, prendendo la parola (23 novembre 1918) per fatto personale espone che in seguito ad indagini da lui fatte personalmente ha potuto procurarsi la prova delle mene disfattiste e anarchiche di alcuni uomini politici, senatori e deputati, del partito giolittiano e del partito socialista ufficiale, e dichiara che egli tiene i documenti raccolti a disposizione della Camera. Il deputato Sciorati propone che il Presidente nomini un Comitato d’inchiesta per l’esame delle accuse mosse dal deputato Centurione; il Vicepresidente Alessio, che presiede la seduta, avverte che la proposta Sciorati deve seguire la procedura regolamentare prescritta per le proposte d’iniziativa parlamentare. Si osserva peraltro da più parti della Camera (deputati Modigliani, Monti-Guarnieri, Falcioni, Vinai, Giolitti ed Orlando, Presidente del Consiglio), che la questione va chiarita immediatamente, poiché essa tocca la dignità ed il decoro dell’Assemblea, e che l’onore sta al disopra di qualsiasi regolamento; che ad ogni modo non si tratta qui di procedere ad una vera e propria inchiesta parlamentare, per cui il regolamento detta norme di cautela, ma bensì soltanto alla nomina di un Giurì d’onore che con deliberazione sommaria dovrà vedere se nelle accuse fatte vi sia qualche consistenza. Si aggiunge che in ogni modo, di fronte ad una Assemblea che chiede unanime l’accertamento immediato di un fatto, non v’è nessun regolamento che possa prevalere; che infine la facoltà che si vuole attribuire al Presidente di nominare una Commissione per l’accertamento della consistenza dei fatti denunciati, tocca puramente e semplicemente l’onore della Assemblea e dei suoi componenti, e che quindi la proposta fatta può senza altro accogliersi. Il Vicepresidente Alessio dichiara che egli lascia giudice la Camera sulla proposta fatta dal deputato Modigliani ed altri, ma desidera che questa sia formulata per iscritto.

«Viene quindi approvata per alzata e seduta, all’unanimità, la proposta concordata tra i deputati Modigliani e Pietravalle con cui «si delega al Presidente la nomina di una Commissione di sette membri che riferisca nel minor tempo possibile sulle accuse del deputato Centurione, informando ad ogni modo, entro questa sera, dell’esito del primo esame dei documenti che l’onorevole Centurione ha affermato di possedere e che debbono essere consegnati subito alla Presidenza».

«Vengono chiamati a far parte della Commissione i deputati Leonardo Bianchi (sostituito nella stessa seduta, perché assente, dal deputato Baccelli), Ivanoe Bonomi, Daneo, Di Scalea, Pistoja, Stoppato e Turati; ed il deputato Centurione, dietro invito dello stesso Presidente, si reca al banco della Presidenza e consegna al Presidente un plico.

«In fine di seduta il Presidente della Commissione, Pistoja, legge il verbale da essa redatto in cui si conclude col dichiarare ad unanimità che dall’esame dei documenti prodotti dal deputato Centurione nessun elemento le è finora offerto per pronunciarsi sul fondamento dell’accusa formulata. Nella seduta del 24 novembre il deputato Pistoja legge la relazione conclusiva della Commissione in cui si esprime unanime il giudizio che dai documenti esaminati non risulta alcun fondamento delle accuse espresse dall’onorevole Centurione».

Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad una situazione analoga, salvo che l’onorevole Scelba sta al banco del Governo. Ma quei nostri antichi predecessori, di fronte ad una questione di questo genere…

FUSCHINI. Ma qui si tratta di un atto di Governo!

PRESIDENTE. Io ho fatto il richiamo per dimostrare che anche la terza proposta Benedetti aveva diritto di essere presentata.

Si tratta, ora, di procedere alla votazione, onorevoli colleghi, dalla proposta più radicale alla proposta più lieve. D’altra parte, ciascuno di noi ha già, nel suo intimo, deciso come voterà, e l’ordine di votazione poco conta.

Vi è la proposta degli onorevoli Giannini, Gronchi e Valiani.

BELLAVISTA. Chiedo di parlare. (Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BELLAVISTA. Io penso che la proposta dell’onorevole Presidente del Consiglio non escluda e non sia contraddittoria affatto con le altre, ma è pregiudiziale alle altre due e deve essere quindi posta in votazione per prima. (Applausi a destra e al centro Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Bellavista, mi pare che non vi siano questioni pregiudiziali qui. È evidente che l’eventuale approvazione delle proposte che chiamerò Giannini, Gronchi, Valiani, significa che gli onorevoli Giannini, Gronchi, Valiani presenteranno la proposta di inchiesta parlamentare nelle forme stabilite dal regolamento. (Commenti).

BENEDETTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTINI. Io ritengo che la proposta dell’onorevole Giannini possa non escludere quella del Presidente del Consiglio, il quale chiede che siano depositati questa sera stessa i documenti. (Applausi al centro e a destra Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. La proposta del Presidente del Consiglio non si limita a richiedere che sia depositato un documento alla Presidenza, perché – io aggiungo – qualunque proposta sia approvata, mi pare pacifico che i documenti debbano essere depositati nelle mani della Presidenza dell’Assemblea. (Approvazioni).

Onorevole Benedettini, il Presidente del Consiglio proponeva qualche cosa di più. Lei si limita invece a questa pregiudiziale, ma essa è pacifica ed implicita in tutte le proposte ed io credo che tutti i membri dell’Assemblea abbiamo sufficiente fiducia nella Presidenza per stare sicuri che i documenti depositati nelle sue mani vi resteranno sino a che l’organo investito dell’indagine non possa ritirarli…

VIGORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VIGORELLI. Domando che si voti anzitutto la proposta del Presidente del Consiglio, in quanto essa non è esclusiva delle altre due. Se ho bene inteso, infatti, il Presidente del Consiglio propone che siano depositati i documenti nelle mani del Presidente dell’Assemblea, il quale ne darà visione al Ministro dell’interno, il quale riferirà all’Assemblea. (Rumori a sinistra).

PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Fuschini ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La Camera invita l’onorevole Cerreti a depositare presso la Presidenza dell’Assemblea i documenti da lui indicati nelle sue dichiarazioni, restando stabilito che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, esaminatili, e sentito il Ministro onorevole Scelba, riferirà domattina all’Assemblea per le sue decisioni». (Approvazioni Rumori a sinistra Commenti).

Desidero sapere se questa proposta dell’onorevole Fuschini è sostitutiva di quella fatta dal Presidente del Consiglio e da altri colleghi.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Io non ho obiezioni da fare perché accetto la proposta dell’onorevole Fuschini, mantenendo parimenti l’adesione alla proposta dell’inchiesta, nel caso che questa risulti indispensabile.

BENEDETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI. Io trovo che stasera non brucia la casa. E perciò la proposta dell’onorevole Fuschini, che in sostanza sposta a domattina la discussione di merito, mi pare sia perfettamente accettabile. Pertanto, se il ritiro della mia proposta è consentito dal Regolamento – e io lo domando in quanto alla mia proposta altri hanno aderito e quindi potrebbero farla propria – io aderisco alla proposta dell’onorevole Fuschini, ritirando la mia.

PRESIDENTE. Onorevole Benedetti, io le sono grato di questo suo, come dire, passo semplificatore, ma una proposta simile alla sua era stata presentata dall’onorevole La Rocca per iscritto. Non l’avevo mai citata perché mi pareva inutile parlare di due cose uguali.

TOGLIATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TOGLIATTI. Le tre proposte che sono davanti all’Assemblea non sono alternative, non si pongono sullo stesso piano. Vi è una proposta di inchiesta parlamentare e una proposta di Commissione d’indagine. Queste due proposte vanno sullo stesso binario, ma sono, per così dire, l’una di maggiore, l’altra di minore intensità. Possono essere accettate o l’una o l’altra.

L’altra proposta che viene fatta è che l’onorevole Cerreti consegni i documenti che egli afferma di avere in sue mani, per un esame preliminare.

Prima di tutto, io credo che sia un errore attribuire alla Presidenza dell’Assemblea una funzione simile, perché la Presidenza dell’Assemblea deve essere al di sopra della questione. (Commenti al centro).

Una voce a destra. Appunto, perché è al di sopra!

TOGLIATTI. In secondo luogo, questa proposta può essere accolta soltanto se l’onorevole Cerreti l’accetta, ma l’onorevole Cerreti può respingerla. (Proteste a destra e al centro).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lascino parlare!

TOGLIATTI. L’onorevole Cerreti ha il diritto di chiedere all’Assemblea di non dare i documenti se non ad una Commissione giudicatrice. (Commenti e interruzioni al centro).

Se voi volete che l’onorevole Cerreti accetti questa proposta, allora voi dovrete dare le funzioni di organismo giudicante alla Presidenza. (Proteste al centro e a destra).

Finché la questione non si pone in questi termini, l’onorevole Cerreti ha il diritto di rifiutare (Proteste al centro e a destra). E siccome l’onorevole Cerreti ha già dichiarato due volte che i documenti, in queste condizioni, non li dà, è inutile insistere in questa proposta. (Applausi a sinistra Commenti al centro e a destra).

VALIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALIANI. Io prego l’onorevole Presidente del Consiglio, che in linea subordinata ha già accettato la proposta dell’onorevole Giannini, di sciogliere senza altro la sua riserva, visto che la sua proposta di una composizione immediata attraverso la Presidenza dell’Assemblea non incontra l’unanimità; mentre mi pare che sia interesse dell’Assemblea e di tutta la democrazia italiana (Commenti) che venga fuori di qui una risoluzione di larga maggioranza. Prego quindi l’onorevole Presidente del Consiglio di sciogliere la sua riserva e di accettare la proposta Giannini ed altri in modo definitivo, sicché si possa passare a votare la proposta stessa. (Commenti).

Voci. Prima i documenti!

GIANNINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANNINI. Signor Presidente, la mia domanda di inchiesta parlamentare comprendeva e sottintendeva – come ella benissimo ha spiegato interpretando il mio pensiero – l’immediata consegna dei documenti che avrebbero dovuto fare oggetto dell’inchiesta parlamentare. Ora, io mantengo la mia richiesta essendo essa fatta allo scopo di tutelare l’onore generale dell’Assemblea, in quanto io non mi sento qualificato a tutelare quello dell’onorevole Scelba e dell’onorevole Cerreti, bensì quello generale dell’Assemblea, a cui ho l’onore di appartenere.

La domanda di inchiesta parlamentare era fatta con questa idea, che venissero immediatamente consegnati i documenti di accusa. Ma poiché adesso sento che questi documenti l’onorevole Cerreti non li consegnerà… (Rumori a sinistra).

Voci. Si, si!

GIANNINI. C’è una differenza tra la consegna fatta prima e la consegna fatta dopo. La consegna s’intendeva fatta nelle mani del Presidente dell’Assemblea che io – mi dispiace di non essere per una sola volta d’accordo con l’onorevole Togliatti – ritengo perfettamente idoneo a tutelare l’onore e la dignità dell’Assemblea, in quanto egli è stato eletto con questo compito specifico. Quindi mantengo la mia proposta di inchiesta parlamentare sull’incidente (non credo di poterlo chiamare diversamente) Scelba-Cerreti, purché s’intenda che immediatamente, questa sera stessa, i documenti che fanno parte dell’accusa siano consegnati nelle mani del Presidente dell’Assemblea. (Rumori a sinistra Approvazioni Commenti).

PRESIDENTE. Le posso precisare che l’onorevole Cerreti ha fatto sapere che se l’Assemblea vota di formare una Commissione o vota la sua proposta egli depositerà immediatamente i documenti.

L’onorevole Cerreti – e l’onorevole Togliatti aveva spiegato il suo pensiero – intende di non consegnare i documenti ove si dovesse passare attraverso la procedura pregiudiziale, insita nella proposta degli onorevoli Fuschini e De Gasperi. Ma nel caso da lei proposto, immediatamente i documenti sarebbero stati depositati alla Presidenza.

CERRETI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CERRETI. Io preciso che la risposta che ho fatto pervenire al Presidente è derivata da questo fatto: una decisione dell’Assemblea medesima che chiedesse che io consegnassi i documenti priva me del mezzo di difesa ed è illegittima (Commenti Rumori), mentre se si nomina una Commissione d’inchiesta, come ho chiesto all’inizio, io consegno immediatamente i documenti (Commenti al centro). Quindi accetto la proposta dell’onorevole Giannini nella speranza che non la ritiri, come ha fatto l’onorevole Benedetti, la cui proposta avevo già accettata.

FUSCHINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FUSCHINI. Vorrei far presente agli onorevoli colleghi questo: perché si possa proporre una proposta di legge per un’inchiesta parlamentare bisogna, prima di ogni altra cosa, stabilirne l’oggetto. (Interruzioni a sinistra).

La mia proposta ha lo scopo informatore di cui deve essere investita la Presidenza: perché non è mai avvenuto alla Camera che si sia fatta una denuncia con carattere personale o ministeriale, di cui si sia affermato di avere i documenti, e che i documenti non siano stati offerti immediatamente alla Presidenza perché la Presidenza li rimettesse poi a quell’organo che l’Assemblea decidesse di nominare. La Presidenza non ha il compito di giudicare, ma semplicemente l’incarico di riferire all’Assemblea sul contenuto puro e semplice di questi documenti, salvo poi all’Assemblea di prendere le decisioni che crederà opportuno. (Rumori a sinistra Approvazioni al centro e a destra Scambio di apostrofi Commenti).

PRESIDENTE. In questo momento si tratta di stabilire l’ordine di precedenza nella votazione delle varie proposte.

Pongo in votazione la proposta di dare la precedenza all’ordine del giorno Fuschini.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Poiché l’esito è incerto procediamo alla votazione per divisione.

(È approvata).

Pongo in votazione l’ordine del giorno Fuschini, di cui do nuovamente lettura:

«La Camera invita l’onorevole Cerreti a depositare presso la Presidenza dell’Assemblea i documenti da lui indicati nelle sue dichiarazioni, restando stabilito che l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, esaminatili, e sentito il Ministro onorevole Scelba, riferirà domattina all’Assemblea per le sue decisioni».

(È approvato).

Il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo è rinviato a domani alle 16.

Domani si terrà seduta anche alle 10, per il seguito della discussione sul progetto di Costituzione.

Interrogazioni con richiesta d’urgenza.

PRESSINOTTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRESSINOTTI. Vorrei chiedere all’onorevole Ministro dell’interno quando intenda rispondere alle interrogazioni presentate con carattere di urgenza sui fatti di Cremona.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Ministro dell’interno quando intenda rispondere.

SCELBA, Ministro dell’interno. Risponderò all’inizio della seduta pomeridiana di domani.

Interrogazioni ed interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e di una interpellanza pervenute alla Presidenza.

SCHIRATTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non creda doveroso e urgente provvedere alla sistemazione giuridica e morale degli insegnanti delle scuole pubbliche, che – per non essere inscritti al partito nazionale fascista – furono esclusi da ogni possibile inizio e avanzamento di carriera.

«Macrelli».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere la reale entità degli incidenti avvenuti a Cremona l’8 giugno in occasione del Congresso provinciale del partito liberal-democratico dell’Uomo Qualunque.

«Cappi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere le ragioni che hanno determinato il grave provvedimento adottato in data 9 giugno a carico del questore di Cremona e la pubblicità data per radio al provvedimento stesso ancora prima che giungesse ufficialmente a destinazione.

«E per chiedere, inoltre, che con la stessa pubblicità venga ricondotto alle sue vere, modestissime proporzioni, l’episodio verificatosi domenica scorsa a Cremona, sul quale la stampa – male informata dall’Ansa e da altre fonti tendenziose di informazione – la radio italiana e straniera hanno inscenato una montatura, il cui risultato non può essere altro che quello di invelenire la lotta politica e provocare nuovi incidenti.

«Bernamonti».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere:

1°) come mai il Risorgimento liberale in data odierna (12 giugno 1947) in una corrispondenza da Palermo dal titolo: «Lo scandalo di Sciacca» e dal sottotitolo: «L’inesplicabile atteggiamento di un deputato comunista», dopo aver messo in rilievo presunti rapporti dell’interrogante con funzionari di polizia della provincia di Agrigento, ha potuto affermare quanto segue:

«A meglio illuminare il morboso clima di speculazione politica che ha gravitato intorno all’episodio di Sciacca vale la pena ricordare l’inesplicabile atteggiamento d’un teste molto importante, l’onorevole Giuseppe Montalbano, citato a comparire innanzi alla Sezione istruttoria e non ancora comparso, probabilmente per sottrarsi ad un confronto pericoloso con qualche ufficiale di polizia giudiziaria».

«La verità è che l’interrogante è stato citato due volte a comparire dinanzi alla Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo e tutte e due le volte si è presentato all’ora stabilita (ore 9) alla Sezione istruttoria; ha trovato l’ufficio col solo cancelliere, ha atteso più di un’ora invano l’arrivo di qualche consigliere istruttore e poi ha dovuto andar via, d’intesa col cancelliere che sarebbe stato citato per altro giorno;

2°) quali provvedimenti intenda proporre contro i consiglieri della Sezione istruttoria presso la Corte di appello di Palermo, colpevoli sia di recarsi molto tardi in ufficio, sia di fornire alla stampa notizie arbitrarie e tendenziose su un processo ancora in corso di istruzione;

3°) per quale ragione l’istruttoria per l’assassinio del ragionier Miraglia sia ancora affidata al consigliere Merenda, che, alcuni mesi fa, firmò l’ordinanza di scarcerazione degli imputati Curreri, Di Stefano e Rossi, senza motivare l’ordinanza, come ne aveva l’obbligo;

4°) quali disposizioni intenda dare affinché la deposizione dell’interrogante possa essere raccolta veramente ed al più presto dal magistrato inquirente;

5°) se è vero che siano stati sottratti dei verbali dal processo Miraglia e, nell’affermativa, quali provvedimenti siano stati presi contro i responsabili;

6°) se è vero che la polizia abbia estorto mediante sevizie la confessione dell’imputato Marciante e quali provvedimenti intenda disporre perché sia fatta piena luce al riguardo.

«Montalbano».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti concreti sono stati presi in dipendenza dei gravi fatti di Cremona.

«Selvaggi».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere le ragioni – eventualmente anche legislative – che hanno sinora impedito la decisione sulla domanda di pensione, presentata ancora il 20 dicembre 1945, dalla signora Peresson Petronilla di Arta (Udine) madre di tre bambini e vedova di Radina Luigi di Osvaldo, prigioniero civile dei nazi-fascisti e morto di fame e di stenti nel campo di concentramento di Flossemberg (Germania) il 26 marzo 1945. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Piemonte».

«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se non ritenga opportuno modificare la legislazione vigente relativa al collocamento nella riserva degli ufficiali superiori in servizio permanente effettivo, che non abbiano ritenuto di prestare il prescritto giuramento e che si trovano in situazione economica peggiore di quegli altri ufficiali che furono collocati nella riserva per essersi compromessi con la Repubblica di Salò. Infatti, con la legge 16 giugno 1945 veniva data facoltà agli ufficiali superiori in servizio permanente effettivo di chiedere il collocamento nella riserva con diritto a fruire di un trattamento economico speciale.

«La stessa legge disponeva pure l’eliminazione d’autorità dall’esercito degli ufficiali superiori compromessi con la pseudo repubblica e il loro collocamento nella riserva con lo stesso trattamento economico speciale previsto per gli ufficiali non compromessi collocati nella riserva a domanda.

«Gli ufficiali superiori che avevano fatto domanda e che non erano compromessi con la pseudo repubblica, nel mese di gennaio 1947 sono stati collocati in licenza straordinaria con assegni, in attesa del collocamento nella riserva secondo la legge suddetta.

«Al principio del 1947, in occasione del giuramento alla Repubblica italiana del personale militare, è stato disposto che gli ufficiali in servizio di qualunque grado, che non intendessero prestare il giuramento, dovessero venire collocati in licenza straordinaria con assegni, in attesa del collocamento nella riserva col trattamento ordinario. Gli ufficiali superiori che avevano fatta domanda di collocamento nella riserva in base alla legge 16 giugno 1945 e domanda di licenza straordinaria in attesa del collocamento nella riserva, in tale occasione non sono stati interpellati in merito al giuramento.

«Recentemente è stato disposto che gli ufficiali superiori in attesa del collocamento nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, prestino giuramento alla Repubblica italiana. In caso di rifiuto, valgono per loro le stesse disposizioni previste per gli ufficiali in servizio, in attesa di un provvedimento di Stato.

«Pertanto si chiede:

se è ammissibile che chi ha chiesto di essere collocato nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, e in precedenza alle disposizioni sul giuramento, debba subire la coercizione del giuramento per non perdere il trattamento economico previsto da tale legge;

se è ammissibile che gli ufficiali che vengono eliminati d’autorità, perché compromessi con la pseudo repubblica, debbano avere un trattamento economico di favore, che verrebbe negato non solo a chi ritiene col proprio unico giuramento di essere tuttora legato alla Patria, ma anche a chi ha chiesto, in base alla stessa legge che concede il trattamento di favore agli ufficiali compromessi, di essere collocato nella riserva, forse proprio per non dover fare nuovi giuramenti;

se è ammissibile che non sia precisato in termini inequivocabili il provvedimento di Stato contro coloro che, avendo fatto domanda di essere collocati nella riserva, in base alla legge 16 giugno 1945, non intendono prestare giuramento. (L’interrogante chiede la risposta scritta).

«Badini Confalonieri».

«I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dei lavori pubblici, delle finanze, del tesoro e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per sapere come intendano affrontare e risolvere il gravissimo problema che si è posto in conseguenza del recente terremoto, che sconvolse una parte della costiera ionica calabrese, col suo retroterra, arrecando danni non lievi, in modo particolare a ben 16 paesi, tra i quali Isca sul Ionio, che ebbe danneggiato gravissimamente o distrutto il 35 per cento dell’intero agglomerato urbano e si trova attualmente con ben 350 famiglie (in complesso 1870 persone, circa la metà della popolazione) senza tetto e prive di tutto.

«Giacché, dopo i primi soccorsi, nulla di concreto si è fatto fino ad oggi; giacché, appunto per questo, un grave malumore serpeggia tra gli abitanti dei paesi terremotati, i quali insistentemente chiedono che si provveda in tempo utile, affinché tutte le famiglie colpite dal disastro – in tutto 1244 per complessive 5342 persone – riabbiano un tetto; giacché infine si temono anche gravi conseguenze per la salute pubblica per le condizioni antigieniche in cui si è costretti a vivere, gli interroganti chiedono che la presente interpellanza sia discussa con carattere di urgenza.

«Silipo, Gullo Fausto, Musolino, Bei Adele».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

Così pure l’interpellanza sarà iscritta all’ordine del giorno, qualora il Ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La seduta termina alle 23.55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Alle ore 16:

Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 12 GIUGNO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

CXLVII.

SEDUTA ANTIMERIDIANA DI GIOVEDÌ 12 GIUGNO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

indi

DEL VICEPRESIDENTE PECORARI

INDICE

Congedo:

Presidente                                                                                                        

Progetto di Costituzione della Repubblica italiana (Seguito della discussione):

Presidente                                                                                                          

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione                                      

Abozzi                                                                                                               

Morelli Renato                                                                                               

Rubilli                                                                                                              

Persico                                                                                                             

Lussu                                                                                                                

Arata                                                                                                               

Gullo Rocco                                                                                                    

De Caro Raffaele                                                                                            

Castiglia                                                                                                          

La Malfa                                                                                                          

Martino Gaetano                                                                                            

Badini Confalonieri                                                                                        

Varvaro                                                                                                           

Nobile                                                                                                               

Piccioni                                                                                                             

Targetti                                                                                                           

Caroleo                                                                                                           

Condorelli                                                                                                      

Laconi                                                                                                              

Nitti                                                                                                                  

Lami Starnuti                                                                                                  

Fabbri                                                                                                               

Porzio                                                                                                               

Votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

Risultato della votazione segreta:

Presidente                                                                                                        

La seduta comincia alle 10.

LACONI, ff. Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta antimeridiana.

(È approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato De Vita.

(È concesso).

Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

Come è noto, dobbiamo affrontare la votazione dei numerosi ordini del giorno che sono stati presentati in relazione al Titolo V: «Le Regioni e i Comuni». È la prima volta che, nel corso della discussione sul progetto di Costituzione, ci troviamo di fronte ad una votazione di questo genere, la quale deve essere risolta come questione di principio, da cui deriveranno conseguenze varie, a seconda dell’ordine del giorno che sarà accettato.

Gli ordini del giorno possono essere considerati in gruppi distinti.

Gli ordini del giorno che, movendo da considerazioni molto diverse, propongono la soppressione dell’intero Titolo rimettendo alla prossima Assemblea legislativa l’esame della struttura amministrativa dello Stato sulla base regionale, sono quelli presentati dagli onorevoli Abozzi, Nitti e Rubilli.

Gli ordini del giorno degli onorevoli Nobile e Nobili Tito Oro propongono di inserire nella Costituzione un articolo che affermi la modificazione strutturale del nostro Stato, con l’accettazione del nuovo Ente regionale. Mentre però l’onorevole Nobili Tito Oro propone di conservare l’articolo 106 del progetto, come garanzia dell’osservanza di tale indirizzo, l’onorevole Nobile propone genericamente di formulare un articolo che rinvii l’ordinamento regionale ad una legge costituzionale da discutersi ed approvarsi dal futuro Parlamento.

Gli ordini del giorno degli onorevoli Grieco e Bozzi propongono di inserire nella Costituzione i principî relativi all’ente Regione rinviando alla legge ogni altra determinazione.

L’onorevole Russo Perez propone, in sostanza, la Regione facoltativa. Infatti, mentre riconosce le autonomie della Sicilia, della Sardegna, del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta, propone che le norme del Titolo V si applichino a quei gruppi di territorio del nostro Paese che ne facciano esplicitamente richiesta in questo senso.

Vi sono, poi, gli ordini del giorno degli onorevoli Zuccarini, Lami Starnuti, Conti, Piccioni, Cassiani, Caccuri ed altri i quali accettano, nel loro complesso, le disposizioni del Titolo V, e propongono che, riconosciuta in via di principio la necessità dell’istituzione della Regione, si passi all’esame degli articoli del progetto.

Ritengo che noi dobbiamo procedere adesso alle conclusioni della lunga discussione generale sul Titolo V ponendo per primi in votazione gli ordini del giorno i quali propongono la soppressione del Titolo. Da questo punto di vista, ritengo che l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Abozzi sia il più radicale, in quanto con esso non solo si esclude la necessità e l’utilità della costituzione dell’ente Regione, ma si propone che l’Assemblea deliberi di affermare che la Repubblica attuerà un largo decentramento a base provinciale. L’onorevole Abozzi, in sostanza, contrappone nettamente la Provincia alla Regione ed esclude, per oggi e per l’avvenire, la possibilità della istituzione dell’ente Regione.

Gli ordini del giorno Nitti e Rubilli non sono così radicali. L’onorevole Nitti propone di rinviare alla futura Camera legislativa l’esame del problema dell’autonomia regionale e cioè lascia aperto l’adito, come possibilità, ad accoglimento dell’ente Regione da parte della futura Camera. Analogo rinvio propone l’onorevole Rubilli.

Per questo, ritengo che l’ordine del giorno Abozzi debba avere la precedenza, a meno che i presentatori degli ordini del giorno di questo primo gruppo non ritengano di poter unificare le loro posizioni in modo che si risolva con unica votazione la questione pregiudiziale: se la Costituzione debba mantenere o escludere la creazione dell’ente Regione.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo riferire brevemente sopra i lavori del Comitato dei diciotto portati a termine nelle quarantott’ore che gli erano state concesse per poter giungere a qualche accordo. Debbo ricordare i precedenti, che stamane il Comitato ha riassunti per cercare di avviarli ad una concorde soluzione.

Messa ai voti in seno alla seconda Sottocommissione, la proposta di istituire l’ente Regione ebbe l’unanimità meno il solo voto dell’onorevole Nobile. L’unanimità vi fu da parte dei rappresentanti di tutti i partiti: dei democristiani, dei repubblicani e degli azionisti, che erano i più accesi nell’idea della Regione, ma anche dei comunisti, socialisti, liberali, demolaburisti, qualunquisti e di tutti gli altri Gruppi. Il voto avvenne sopra un ordine del giorno Piccioni, che, naturalmente, vincola oggi quelle che devono essere le conclusioni del Comitato.

Incominciata la discussione in merito, si delineò un dissenso che fece capo a due correnti, a due binari principali, riguardante principalmente le funzioni legislative da attribuire alla Regione: una corrente sosteneva che la Regione dovesse avere in certe materie una facoltà legislativa esclusiva, diretta, propria, sia pure nei limiti dei principî generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Un’altra sosteneva che lo Stato dovesse rimanere sempre sovrano nello stabilire le norme legislative; e che alla Regione potesse spettare soltanto una funzione secondaria di integrazione ed applicazione per adattare le norme generali ed i principî delle leggi dello Stato ai bisogni ed alle condizioni locali. Si sono seguiti questi due binari nella discussione in seno alla Commissione dei settantacinque e la prima tendenza vinse per due voti. Si disse allora: la questione sarà portata nuovamente davanti alla Assemblea Costituente, che sceglierà tra le due soluzioni.

La questione però non è così semplice. Vi sono state delle complicazioni che il Comitato ha dovuto prendere in esame. La prima complicazione – sopra cui sembra delinearsi l’unanimità dell’Assemblea – è di conservare l’ente Provincia. Questo concetto, di cui era tenace sostenitore l’onorevole Targetti, ha guadagnato il consenso generale, ed è ormai accettato da tutte le tendenze. Tale orientamento fa sorgere altri problemi; bisogna evitare che si formi una terza pesantissima ruota o gradino burocratico. Saranno questioni da esaminare a suo tempo. Resta intanto fermo che l’ente Provincia rimane.

Sono poi rifermentati i temi che dividevano le due posizioni fondamentali. Riferirò rapidamente a questo riguardo. Vi sono tre articoli da tener presenti: gli articoli 109, 110, 111 del progetto; dove sono delineati tre tipi di legislazione: l’esclusiva, la concorrente, l’integrativa. Le tre designazioni sono più o meno esatte, come terminologia giuridica. Ciò che importa è la sostanza.

Che cosa sarebbe la competenza esclusiva? In una zona, sia pur ristretta, di determinate materie, lo Stato non potrebbe legiferare. Lo potrebbe soltanto la Regione, ma con ciò la sua potestà legislativa non sarebbe illimitata; avrebbe – oltre il limite delle materie – quello di non essere in contrasto con la Costituzione, con l’ordinamento giuridico generale dello Stato, coi trattati internazionali, nonché con gli interessi dello Stato e con quelli di altre Regioni. Questo il contenuto dell’articolo 109.

I democratici cristiani, i repubblicani, e gli altri più spinti autonomisti si sono dichiarati, nelle ultime adunanze del Comitato, disposti a rinunciare alla legislazione esclusiva, purché si conservassero le altre due forme: quelle cioè della legislazione concorrente e di quella integrativa, cercando di farne una sola, in modo di andare al di là della pura integrazione, che appariva a qualcuno essere poco più di un regolamento. Così si è presentata la questione in seno al Comitato.

Per quanto riguarda la legislazione concorrente (come ha detto anche il collega Ambrosini) non si può intenderla in un senso meramente letterale. Vuol dire che in date materie la Regione può legiferare come vuole, salvo che la legge dello Stato intervenga per stabilire principîe criteri generali, per stabilire una certa uniformità tra le legislazioni regionali. Quanto al terzo tipo, quello della legislazione integrativa, la Regione avrebbe una potestà che, pur chiamandosi legislativa, sarebbe soltanto di dettar norme di integrazione e di applicazione delle norme più generali stabilite dalla legge dello Stato. Con ciò si potrebbero dalla Regione, sempre in determinate materie, adottare norme, non contra legem, ma praeter legem; e cadrebbe fra l’altro, per quelle materie, la facoltà di regolamentazione dello Stato.

Le correnti autonomiste più accentuate non si sono, neppure in via d’accordo, potute accontentare di questo tipo di legislazione integrativa, che – han dichiarato – non sarebbe che una semplice potestà regolamentare, a cui il nome di legislazione servirebbe da pennacchio. Si sono bensì dichiarate pronte ad accettare una formula intermedia fra la legislazione concorrente e l’integrativa, ed in certo modo comprensiva di ambedue, nel senso che la Regione avrebbe potestà legislativa, in date materie, entro i limiti dei principî, delle direttive, stabilite dalle leggi dello Stato. Notevole passo: in quanto caduta la legislazione esclusiva, allo Stato resterebbe la legislazione primaria in ogni campo; e la Regione non avrebbe che facoltà secondaria di legiferare (o regolamentare che si sia) nei limiti stabiliti dallo Stato stesso.

Questa formula non è stata accettata dai meno favorevoli all’autonomia: i comunisti e i socialisti, i quali hanno bensì riconosciuto che in tal modo verrebbe ridotta la facoltà legislativa della Regione; ma in certe materie lo Stato non potrebbe che stabilire limiti (i quali sarebbero in sostanza limiti a se stesso); e la Regione avrebbe diritto a che quei limiti non fossero varcati. Formula ambigua, han detto i comunisti e socialisti; se si vuol dire che la Regione può dettar norme di adattamento alle situazioni locali, entro l’ambito delle norme che lo Stato crederà opportuno di fissare, va bene; e va bene che lo Stato si atterrà di solito ai criteri generali; ma non può farsi una barriera e lasciare, ad esempio, alla Corte costituzionale di decidere se lo Stato aveva o no diritto di porre quei limiti. Lo Stato deve essere il solo giudice, in qualsiasi caso, dell’opportunità di una sua autolimitazione.

Ecco il punto che ha impedito di giungere ad un accordo; per quanto, come vedete, le due posizioni si siano avvicinate.

Debbo, per completezza di riferimento, far noto che democratici cristiani e repubblicani, mancato l’accordo, si sono riservati di riprendere libertà di atteggiamento, nell’ulteriore discussione.

Debbo altresì aggiungere che i liberali, nell’ultima adunanza di Comitato, hanno esplicitamente dichiarato che non avrebbero acceduto ad alcuna formula di eventuale accordo, ed avrebbero votato l’ordine del giorno per il rinvio completo della questione all’esame della futura Assemblea legislativa.

Aggiungo infine che, personalmente, sono favorevole alla formula su cui avevo ottenuto l’assenso dei democristiani e dei repubblicani, in quanto essa non è ambigua, ma soltanto elastica; ed è con la concreta sperimentazione dei limiti legislativi fra Stato e Regione che si potrà, a mio avviso, dar solida base all’ente regionale.

Veniamo ora agli ordini del giorno che, con la sua consueta lucidità, il nostro Presidente ci ha riassunti. Qual è al riguardo l’atteggiamento del Comitato? È evidente che non può non essere conseguente a quello assunto a suo tempo ad unanimità dalla Commissione. Se pertanto la Commissione ha deciso l’istituzione dell’ente Regione, non può evidentemente il Comitato proporvi di approvare degli ordini del giorno che rinviano o addirittura rigettano l’istituzione della Regione.

Degli ordini del giorno, il primo che dovrà esser messo in votazione è quello a firma dell’onorevole Abozzi. Esso è una vera proposta negativa, ed una reiezione, perché dice: la Regione non è necessaria; è necessaria la Provincia; e non si deve mutare l’assetto attuale.

V’è poi l’ordine del giorno dell’onorevole Rubilli, il quale afferma anche esso che la Regione non è necessaria, ma tende a lasciare impregiudicata la questione, commettendone la soluzione alla futura Assemblea legislativa normale.

Abbiamo poi l’ordine del giorno dell’onorevole Nitti, il quale si basa sull’incertezza della discussione e propone esso pure il rinvio: ma si presenta in certo modo con un grado di attenuazione rispetto ai precedenti.

Si ha ancora l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Nobile, il quale propone il rinvio per affrettare i lavori della Costituente; è dunque un rinvio ancora più attenuato.

Continuando su di una scala sottile di attenuazioni, l’ordine del giorno Nobili Oro afferma la necessità del decentramento e delle autonomie in una forma generale, ma rinvia.

Sopra questi ordini del giorno il Comitato non può dire altro che contrastano con le decisioni originarie della Commissione.

Vi sono poi due ordini del giorno: Grieco-Laconi e Bozzi, che hanno qualche affinità tra loro; in quanto stabiliscono alcuni principî, rinviando tutta la determinazione dei particolari a leggi future. La proposta Grieco-Laconi ammette la Provincia, stabilisce che la legislazione deve essere soltanto integrativa e che la determinazione delle funzioni amministrative non deve essere fatta dalla Costituzione, ma da apposite leggi. L’ordine del giorno Bozzi, in complesso, accetta questo ordine di idee, aggiunge soltanto la formula «nei limiti dei principî generali e direttivi fissati dallo Stato», che è un passo avanti sopra quella che era la semplice integrazione legislativa, e sembra avvicinarsi alla soluzione accettata dai democristiani e dai repubblicani; ma accentua il rinvio; sollevando con ciò le riserve di tali Gruppi.

Ho cercato di essere molto esatto. Il Comitato, in coerenza a quello che si è stabilito fin da principio, non può ammettere reiezioni o rinvii massicci. Pel resto vi lascia liberi di decidere come credete.

Vi sono poi altri ordini del giorno, che si riferiscono a motivi particolari: quello Cassiani che richiama la questione del Mezzogiorno. Il Comitato non si oppone ad una affermazione in tal senso; che comunque non tocca il tema specifico della Regione. Vi è poi l’ordine del giorno Caccuri, che vuol evitare lo sminuzzamento delle regioni. Ma questo sarà un punto concreto che si dovrà trattare più in là.

V’è un ordine del giorno Russo Perez che, come ha detto benissimo il Presidente, rappresenta l’istituzione di una Regione facoltativa. Il Comitato non può accettarlo, perché questa è una proposta che è stata a suo tempo portata in seno alla Commissione e respinta.

Vengono poi gli ordini del giorno che accolgono in pieno il concetto della Regione e passano alla discussione degli articoli: Zuccarini, Piccioni, Conti, Lami Starnuti. Qui abbiamo un’accentuazione diversa, un colorito più o meno vivo. E risorge in via generale un dissenso perché i comunisti ed altri dichiarano di desiderare che nell’ordine del giorno siano stabiliti alcuni principî direttivi e non un rinvio puro e semplice agli articoli.

Io vi ho riferito qual è la posizione del Comitato: non accettare gli ordini del giorno di reiezione e di rinvio puro e semplice; per gli altri, non essendoci l’accordo, ciascuno si regolerà come crede.

PRESIDENTE. Gli ordini del giorno che ritengo debbano essere in un primo tempo posti in votazione sono i seguenti:

«L’Assemblea, convinta che l’istituzione dell’ente Regione non risponde alle attuali necessità politiche, economiche e sociali della Nazione,

che l’ente Provincia – aggruppamento di interessi locali unitari e naturali – deve essere allargato e potenziato,

delibera di affermare in un articolo di Costituzione che la Repubblica attuerà un largo decentramento a base provinciale.

«Abozzi».

«L’Assemblea Costituente, considerato che l’istituzione dell’ente Regione non risponde ad alcuna necessità che si sia realmente manifestata, e non può seriamente ritenersi in alcun modo richiesta o reclamata dal popolo italiano;

che i giusti ed opportuni criteri di decentramento potranno essere attuati indipendentemente dalla creazione di enti regionali;

che ad ogni modo, per ora almeno, una grande riforma come quella che si prospetta per le Regioni non appare, anche secondo il progetto, ben ponderata nelle sue non lievi conseguenze dal punto di vista politico, amministrativo e specialmente finanziario, sicché non sembra possibile, di fronte alle enormi difficoltà del periodo che si attraversa, lanciarsi con leggerezza incontro ad incognite preoccupanti è pericolose;

delibera, anche senza affermazioni vaghe e generiche, le quali potrebbero rappresentare inopportuni ed affrettati vincoli, che sia rinviato senz’altro alla Camera legislativa l’esame di pratici, concreti e completi progetti di legge, sia pure di carattere costituzionale, per un oculato decentramento, che giunga, se possibile, anche ad una riforma regionale, ed intanto sia stralciato dalla Costituzione in esame l’intero Titolo V, relativo alle Regioni e ai Comuni.

«Rubilli».

«L’Assemblea Costituente, tenendo conto della incertezza emersa dalla discussione dinanzi al problema dell’autonomia regionale, riconoscendone la gravità e l’importanza, delibera di rinviarne l’esame alla futura Camera legislativa.

«Nitti».

Onorevole Abozzi, mantiene il suo ordine del giorno?

ABOZZI. Lo mantengo.

PRESIDENTE. Chiedo se vi siano osservazioni in merito allo svolgimento di questa parte dei nostri lavori.

MORELLI RENATO. Chiedo di parlare per fare una proposta.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORELLI RENATO. Vorrei fare una proposta per quanto riguarda gli ordini del giorno Nitti e Rubilli.

Mi pare che questi due ordini del giorno mettano a punto una questione che per la prima volta viene all’esame dell’Assemblea. Vi è stata finora un’ampia discussione di tutto il problema nei suoi vari aspetti, discussione alla quale hanno partecipato moltissimi parlamentari, tra gli altri statisti, economisti, giuristi; ma oggi noi ci troviamo a dover decidere il problema preliminare, e cioè se l’autonomia regionale debba essere in questo momento deliberata, oppure se si possa rinviarne la deliberazione ad altro tempo. Questa impostazione è contemplata chiaramente dagli ordini del giorno Nitti e Rubilli: ora io vorrei proporre che questi due ordini del giorno fossero fusi in un solo, e ne rivolgo preghiera agli autori, affinché l’Assemblea venga posta senza equivoco di fronte alla possibilità di rinviare ogni decisione circa la istituzione delle Regioni al futuro Parlamento.

A questo proposito brevemente vorrei esporre il mio punto di vista per quanto riguarda la opportunità del rinvio. Me ne dà occasione la relazione dell’onorevole Ruini, il quale ha accennato alla votazione che c’è stata sulla questione preliminare e ha ricordato che tutti i partiti si sono trovati d’accordo. Noi liberali non vogliamo oggi smentire questo atteggiamento. In realtà i liberali sono stati d’accordo sulla esistenza del problema ed hanno votato nella Commissione per il principio generale dell’autonomia, ma questo principio è stato poi consacrato in tutto un sistema di norme, e queste norme, così come sono andate cristallizzandosi nel progetto, presentano dei pericoli, che sono stati illustrati dall’onorevole Einaudi, pericoli che rendono perplessi di fronte alla gravità e all’importanza di una riforma che può risolversi in un danno per la unità.

Quindi, in linea generale, noi non neghiamo l’esistenza di un problema dell’autonomia: soltanto ci domandiamo se possa essere risolto nell’attuale momento. In realtà è il primo problema veramente grave che affronti l’Assemblea Costituente, perché è un problema di fisionomia e di struttura del nuovo Stato italiano e si può dire che la stessa logica delle cose ha portato all’esame di questo Titolo del progetto, prima degli altri Titoli, sebbene fosse stato collocato alla fine.

Ora, io mi domando, come meridionale e come italiano, se questo sia il momento più opportuno per decidere dell’autonomia regionale. Come meridionale me lo domando in quanto il mio animo è preoccupato da una decisione che potrebbe danneggiare gravemente gli interessi del Mezzogiorno.

Nel Mezzogiorno d’Italia la necessità di un’autonomia regionale non è nella coscienza pubblica… (Interruzioni Commenti a sinistra).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, possiamo considerare come dichiarazione di voto questa dell’onorevole Morelli.

MORELLI RENATO. In realtà io anticipo una dichiarazione di voto, e per questo considero soltanto alcuni aspetti del problema: quelli riguardanti la decisione sulla opportunità del rinvio, che è la questione sottoposta in questo momento all’esame dell’Assemblea.

Ebbene, mi pare che non sia il caso di decidere della Regione perché – parlo da meridionale – nel Mezzogiorno d’Italia la necessità di un’autonomia regionale non è profondamente sentita e se qualche cosa notiamo, in proposito, è un sentimento di ribellione per le ingiustizie dei governi del passato, di reazione al centralismo eccessivo del regime fascista, e d’altra parte una certa resistenza (che dobbiamo serenamente constatare) in alcuni piccoli gruppi retrivi che vorrebbero estraniarsi dalla vita dello Stato nel momento in cui vi è la probabilità di riforme dell’ordinamento economico e sociale.

Per quanto riguarda la ribellione alle ingiustizie, io trovo che il Mezzogiorno d’Italia non avrà nulla da guadagnare dalle autonomie, perché vi sono problemi gravissimi che bisognerà risolvere, se si vorrà creare un insieme di condizioni tali da rendere possibile una vita civile, problemi gravissimi che sarà possibile risolvere soltanto come problemi nazionali, non come problemi regionali. Occorrerà, tra l’altro, attuare un vasto programma di lavori pubblici, che comprenda l’apertura di strade, la costruzione di ponti, di acquedotti, di scuole: starei per dire che bisognerebbe introdurre nella Costituzione un apposito articolo che assicurasse a tutta l’Italia un intervento dello Stato per creare il minimo di condizioni necessarie per lo svolgimento della vita civile. Vi sono nel Mezzogiorno, ad esempio nella regione alla quale io appartengo, paesi nei quali mancano le cinte ai cimiteri.

L’autonomia regionale non sarà di ostacolo alla impostazione di questo complesso problema meridionale, oggi aggravato dalle gravi distruzioni della guerra, come di un problema nazionale?

Il Mezzogiorno d’Italia ha inoltre sofferto per l’eccessivo centralismo del regime fascista, ma si potrà ovviare alle conseguenze di questo centralismo eliminando per l’avvenire quei vincoli e quelle bardature. Vi sono infine le tendenze retrive di alcuni i quali temono che un eventuale nuovo soffio di vita possa facilmente arrivare dal centro alla periferia, e a tali tendenze occorre naturalmente opporsi.

A parte tutto ciò, che vi sia una coscienza regionale non si può dire, perché tutte le segnalazioni, tutte le raccomandazioni, tutti i voti (ed è da tenere presente tra l’altro che l’unica inchiesta svolta in proposito, quella della Commissione del Ministero della Costituente, fu molto limitata, e, tra l’altro, che dei 5 mila questionari all’uopo trasmessi in tutta Italia, appena 1621 ne tornarono)… (Interruzione) …tutte le segnalazioni, tutte le raccomandazioni, tutti i voti dimostrano la tendenza di alcuni raggruppamenti di Provincie, più spesso di Comuni, a cercare una loro libertà di azione. Ma non si tratta della richiesta di autonomia da parte di singole ben definite regioni.

Come italiano non mi pare sia questo il momento più opportuno per attuare una così radicale riforma dell’ordinamento dello Stato: oggi sono più che mai necessarie per noi l’unità legislativa e l’autorità. Ecco perché mi auguro che gli ordini del giorno Nitti e Rubilli siano fusi, in modo da porre chiaramente all’Assemblea il quesito del rinvio. E se la votazione avverrà per scrutinio segreto ciascuno di noi, nel risolverlo, sarà posto di fronte al giudizio non del proprio partito, o del corpo elettorale, ma della propria coscienza di italiano.

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione dell’ordine del giorno Abozzi.

Gli onorevoli Castiglia e Cannizzo propongono di sostituire, nella prima parte di questo ordine del giorno, alle parole: «dell’ente Regione» le altre: «dell’ordinamento regionale» e di aggiungere in fine, dopo le parole: «a base provinciale», le altre: «ferma restando l’autonomia regionale già attuata in Sicilia».

Onorevole Abozzi, accetta questi emendamenti?

ABOZZI. Ho sempre sostenuto che l’autonomia siciliana poteva essere una prova per decidere sull’opportunità di creare o meno la Regione. Aderisco agli emendamenti proposti.

PRESIDENTE. Allora, l’ordine del giorno Abozzi resta così formulato:

«L’Assemblea, convinta che l’istituzione dell’ordinamento regionale non risponde alle attuali necessità politiche, economiche e sociali della Nazione,

che l’ente Provincia – aggruppamento di interessi locali unitari e naturali – deve essere allargato e potenziato,

delibera di affermare in un articolo di Costituzione che la Repubblica attuerà un largo decentramento a base provinciale, ferma restando l’autonomia regionale già attuata in Sicilia».

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Prima che si ponga in votazione il mio ordine del giorno, sostanzialmente uguale a quello dell’onorevole Nitti, mi permetterò di domandare la parola per dichiarazione di voto.

Ma adesso desidero solo fare un’osservazione, sottoponendola a lei, onorevole Presidente.

A me pare che si debba votare prima sull’ordine del giorno Nitti e mio, perché l’ordine del giorno Abozzi fa delle affermazioni e porta a delle decisioni, mentre il nostro è di rinvio. Voglia valutare lei, onorevole Presidente, se sia esatto o meno quello che dico. Ripeto, il nostro ordine del giorno è di rinvio senza che sia pregiudicata alcuna questione, e senza che sia fatta affermazione di sorta. È evidente quindi che la votazione del nostro ordine del giorno dovrebbe precedere quella dell’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi.

PRESIDENTE. Prima di risolvere il quesito proposto dall’onorevole Rubilli, darò la parola agli onorevoli deputati che la chiederanno, pregandoli di dire ciò che pensano sulla questione, che non mi sembra di soluzione facile. Infatti, se ci fermiamo ai «considerando», ritengo che l’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi debba avere la precedenza; se si considera, invece, la parte relativa alle conclusioni, l’ordine del giorno Rubilli e quello dell’onorevole Nitti possono avere essi la precedenza. Ma, evidentemente, non possiamo disarticolare così i documenti: dobbiamo vederli nel loro complesso, e allora dobbiamo riconoscere che ciascuno ha qualcosa che fa legittimare la precedenza, ma anche qualcosa che ne farebbe subordinare la votazione.

PERSICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PERSICO. L’ordine del giorno Abozzi seppellisce per sempre la Regione e lascia solo la Provincia, che è l’ente autarchico attualmente esistente, dando ad essa nuove facoltà ed attribuzioni e creando una larga autonomia provinciale. È un concetto preciso il quale toglie per sempre la possibilità che in Italia si formi un ente Regione.

Gli ordini del giorno dell’onorevole Nitti e dell’onorevole Rubilli non escludono che in avvenire la Regione possa essere creata.

Nell’Assemblea vi è molta incertezza nella materia in esame. Ho voluto fare un conto: 31 oratori hanno parlato a favore della Regione, 21 contro. (Commenti).

PRESIDENTE. Onorevole Persico, non anticipi il risultato della votazione. (Si ride).

PERSICO. Ho voluto rilevare la incertezza che vi è nell’Assemblea. (Commenti).

PRESIDENTE. È certo che l’argomento è molto interessante e preoccupa tutti.

PERSICO. In conclusione ritengo che gli ordini del giorno Nitti e Rubilli siano veramente pregiudiziali, in quanto rinviano alla futura Camera legislativa l’ordinamento regionale proposto dalla Commissione; mentre l’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi non parla di Regione e propone un nuovo ordinamento, del quale si potrebbe discutere soltanto qualora fosse già stato approvato l’ordine del giorno Rubilli. Quindi ritengo che prima debbano votarsi gli ordini del giorno Rubilli e Nitti e poi quello Abozzi.

LUSSU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUSSU. Io penso, modestamente, che abbia ragione il collega onorevole Rubilli quando propone che sia votato innanzitutto il suo ordine del giorno abbinato con quello dell’onorevole Nitti e non già quello dell’onorevole Abozzi.

Infatti, l’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi entra già nel merito della questione che abbiamo proposto e discusso. Gli ordini del giorno, invece, presentati dall’onorevole Rubilli e dall’onorevole Nitti rinviano senz’altro la discussione al futuro Parlamento senza entrare in merito.

Ma io ho preso la parola anche per un’altra questione: nella eventualità che la proposta dell’onorevole collega Rubilli sia respinta e si voti sull’ordine del giorno Abozzi, io pregherei i colleghi onorevoli Castiglia e Cannizzo, che hanno proposto alcune modifiche, di ritirarle. Essi infatti, accennando all’autonomia regionale già attuata in Sicilia, dimenticano che la Sardegna è abbinata indissolubilmente alla Sicilia; dimenticano che la Val d’Aosta, con provvedimenti legislativi normali, ha già avuta un’autonomia, che non può non essere mantenuta, e dimenticano che impegni internazionali obbligano il nostro Paese a tener conto della situazione particolare dell’Alto Adige-Trentino.

ARATA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ARATA. Per quanto riguarda la questione della precedenza della votazione, penso anche io che questa precedenza spetti all’ordine del giorno Nitti-Rubilli.

Per quanto riguarda in concreto l’ordine del giorno Abozzi, appunto perché sono favorevole completamente allo spirito che informa quest’ordine del giorno, appunto perché penso che l’ordinamento futuro amministrativo dovrà basarsi in modo essenziale sulla Provincia, ritengo che la Costituente dovrà affrontare in pieno questo problema e regolare l’istituzione dell’ente autarchico provinciale, e pertanto in relazione alla domanda dell’onorevole Abozzi di rinviare al Parlamento la regolamentazione dell’autonomia provinciale, voterò contro.

GULLO ROCCO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GULLO ROCCO. Anch’io sono dell’opinione che debba avere la precedenza l’ordine del giorno Rubilli, ma non sento il bisogno di spiegarne ancora le ragioni perché ognuno di noi si è formata un’opinione al riguardo e può questa opinione esprimerla col proprio voto. Devo aggiungere la mia preghiera all’esortazione fatta dall’onorevole Lussu ai colleghi Castiglia e Cannizzo circa l’aggiunta all’ordine del giorno Abozzi, sempre nel caso che l’ordine del giorno Abozzi abbia la precedenza. Ed aggiungo che mentre sono – e siamo molti siciliani – d’accordo con lo spirito che ha dettato questa aggiunta proposta dagli onorevoli Castiglia e Cannizzo all’ordine del giorno Abozzi, teniamo però a sottolineare che in questo momento non ci sembra opportuno affrontare questa questione così incidentalmente e, oso dire, superficialmente, anche perché si potrebbero determinare delle confusioni, in quanto quelli che voteranno contro l’ordine del giorno Abozzi potranno apparire votanti anche contro questo inciso Castiglia-Cannizzo. Così anch’io, come deputato siciliano, unisco la mia preghiera all’esortazione Lussu che si ritiri questa aggiunta all’ordine del giorno Abozzi che potrebbe creare delle incertezze.

DE CARO RAFFAELE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DE CARO RAFFAELE. In risposta all’invito fatto dall’onorevole Presidente di esprimere un’opinione circa la precedenza dell’ordine del giorno da votare, mi permetto osservare che l’ordine del giorno Abozzi dovrebbe avere la precedenza qualora però si votasse per divisione, nel senso cioè che si volasse la prima parte, che è negativa dell’ordinamento regionale, e non si votasse la seconda parte per le ovvie ragioni prospettate dall’onorevole Gullo Rocco. Se si vota per divisione, esprimo l’opinione che debba votarsi in precedenza l’ordine del giorno Abozzi che è definitivo. Se non si vota per divisione, mi permetto esprimere l’opinione che si debbano votare prima gli ordini del giorno Nitti e Rubilli.

PRESIDENTE. Di fronte all’opinione espressa dai colleghi che hanno parlato, ritengo si possa aderire alla proposta di votare in precedenza l’ordine del giorno Rubilli, al quale l’onorevole Nitti dà la propria adesione, e che diventa quindi un ordine del giorno Rubilli-Nitti.

Desidero però far rilevare la ragione per la quale ritenevo di dare la precedenza all’ordine del giorno Abozzi. In realtà il rinvio proposto dagli onorevoli Nitti e Rubilli ad una Assemblea ancora da eleggere, che può tenere o non tener conto di questo desiderio espresso dalla Costituente, è più che altro una reiezione.

Ritengo che l’onorevole Abozzi concordi in questa valutazione.

ABOZZI. Concordo.

PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Castiglia se mantiene gli emendamenti anche per l’ordine del giorno Rubilli-Nitti.

CASTIGLIA. Il fatto che noi chiediamo l’inserzione della stessa dizione anche nell’ordine del giorno degli onorevoli Nitti e Rubilli dimostra che non possiamo accedere alla richiesta formulata dall’onorevole Lussu e dagli altri colleghi.

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Non credo che si possa accettare la formula aggiuntiva proposta, non per respingerla, ma perché ritengo che sia superflua.

PRESIDENTE. Dato ciò, la proposta degli onorevoli Castiglia e Cannizzo sarà posta in votazione dopo votato l’ordine del giorno Rubilli-Nitti del quale do nuovamente lettura:

«L’Assemblea Costituente, considerato che l’istituzione dell’ente Regione non risponde ad alcuna necessità che si sia realmente manifestata, e non può seriamente ritenersi in alcun modo richiesta o reclamata dal popolo italiano;

che i giusti ed opportuni criteri di decentramento potranno essere attuati indipendentemente dalla creazione di enti regionali;

che ad ogni modo, per ora almeno, una grande riforma come quella che si prospetta per le Regioni non appare, anche secondo il progetto, ben ponderata nelle sue non lievi conseguenze dal punto di vista politico, amministrativo e specialmente finanziario, sicché non sembra possibile, di fronte alle enormi difficoltà del periodo che si attraversa, lanciarsi. con leggerezza incontro ad incognite preoccupanti e pericolose;

delibera, anche senza affermazioni vaghe e generiche, le quali potrebbero rappresentare inopportuni ed affrettati vincoli, che sia rinviato senz’altro alla Camera legislativa l’esame di pratici, concreti e completi progetti di legge, sia pure di carattere costituzionale, per un oculato decentramento, che giunga, se possibile, anche ad una riforma regionale, ed intanto sia stralciato dalla Costituzione in esame l’intero Titolo V, relativo alle Regioni e ai Comuni».

LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LA MALFA. Debbo dichiarare all’Assemblea che mi trovo in estremo imbarazzo circa la questione posta dall’ordine del giorno Rubilli. Qui è stata discussa la questione dell’autonomia siciliana ed è stata discussa come questione concreta, come questione politica immediata, non come questione accademica. Ora io non entro nella sostanza del dibattito che oggi si agita e non entro nemmeno nella sostanza delle preoccupazioni dell’onorevole Rubilli e dell’onorevole Nitti.

Debbo dire però che queste preoccupazioni, considerate dal punto di vista della responsabilità dell’Assemblea e non del Governo, sorgevano allora, e dovevano sorgere allora, cioè in occasione delle elezioni e della applicazione dello statuto della Regione siciliana. Era quello il momento in cui effettivamente l’Assemblea prendeva una responsabilità immediata di ordine politico e direi costituzionale nella questione delle elezioni, e quindi delle autonomie.

Qualunque fosse il punto di vista dei vari raggruppamenti in merito a tale questione, voi conoscete il punto di vista mio e del partito cui appartengo. Ricordo che in quella occasione, in cui si discuteva di un fatto sostanziale – delle elezioni e quindi della applicazione dell’autonomia – il Partito liberale votò a favore delle elezioni e quindi delle autonomie; il partito qualunquista, in polemica con me, attribuendomi velleità di rinvio elettorale, votò per l’autonomia. Mi pare che un collega degli onorevoli Castiglia e Cannizzo, l’onorevole Russo Perez, sia stato anche un po’ caustico nei miei riguardi, attribuendomi una sicilianità a mezza strada. Quindi, alcuni Gruppi hanno assunto responsabilità politica concreta sul problema dell’autonomia regionale. Credo che la Sicilia sia una grande regione d’Italia e che quindi il problema del trattamento autonomistico della Sicilia impegni l’Assemblea in un certo orientamento di carattere regionalistico.

E dico di più: come ho detto allora, non si può paragonare la posizione della Sicilia a quella della Val d’Aosta. Lì si tratta di zone di confine in cui possono influire, sull’adozione o meno di un principio autonomistico, delle ragioni particolari relative alla posizione di quella Regione, mentre la Sicilia fa parte integrante dell’unità d’Italia: quindi, la soluzione del problema autonomistico in Sicilia ha un carattere politico ed investe la responsabilità politica dell’Assemblea. E questa responsabilità investe due Gruppi importanti: il liberale e il qualunquista; e devo dire che riguarda anche i colleghi dell’estrema sinistra, perché anche essi hanno assunto una responsabilità di ordine politico sul problema autonomistico.

TOGLIATTI. Non ci contraddiremo.

LA MALFA. E allora, di fronte a questa situazione, è mio dovere dichiarare che queste responsabilità si devono prendere al momento opportuno. Allora, potevano sembrare delle speculazioni elettoralistiche quelle fatte da alcuni che posero il problema all’Assemblea, ma oggi prendere una posizione, rispetto all’ente Regione, come quella che vedo prendere, dai Gruppi liberale e qualunquista, mi pare una speculazione anche maggiore, se volete. (Applausi al centro).

PRESIDENTE. Mi sembra che la questione possa essere immediatamente chiarita in questo senso: intanto non dimentichiamo che per l’autonomia siciliana (onorevole Lussu, parlo solo per quella siciliana) vi è già una legge, ed è quindi qualcosa che sta a sé e che non viene intaccata dalle decisioni che si prendessero in questo momento. Aggiungo che l’autonomia della Sicilia, a parer mio – e posso anche sbagliarmi – non pone una questione di Regione o non Regione. In linea di ipotesi, che la Sicilia invece di costituire una sola Regione ne costituisca due, il problema dell’autonomia siciliana resta il problema dell’autonomia siciliana e non ci propone il problema della struttura regionalistica dello Stato. (Commenti al centro).

Io non credo di dire cose tanto strane; tanto è vero che l’autonomia della Sicilia è stata decisa prima che si eleggesse l’Assemblea Costituente e che si incominciasse la discussione del problema della Regione (Commenti).

A me sembra che in questo momento si stiano facendo delle questioni di interpretazione giuridica. Non è una questione politica che io faccio. Da un punto di vista giuridico è evidente che il problema dell’autonomia siciliana non è toccato dalla decisione che si prende in relazione al problema della struttura regionale dello Stato, e credo che l’onorevole Rubilli, quando con poche parole ha risposto alla questione che gli è stata posta, in realtà ha pensato a questo.

MARTINO GAETANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARTINO GAETANO. Poiché l’onorevole Morelli Renato ha fatto testé una dichiarazione che è potuta sembrare all’onorevole La Malfa, e può sembrare anche ad altri, fatta a nome di tutto il Gruppo dei deputati liberali, desidero fare una brevissima dichiarazione, anche a nome dei colleghi Bellavista, Bonino, Galioto: noi voteremo contro l’ordine del giorno Rubilli, contro l’ordine del giorno Nitti e contro l’ordine del giorno Abozzi. Noi pensiamo che il rinvio alla futura Camera legislativa altro non rappresenti che un espediente procedurale per poter ottenere il rigetto dell’ordinamento regionalistico, così come è stato preparato dalla Commissione dei settantacinque. (Applausi al centro). E pertanto noi non sappiamo fare nessuna distinzione tra la proposta dell’onorevole Rubilli e quella dell’onorevole Abozzi. Noi siamo fra coloro che vogliono l’autonomia della Sicilia; ma abbiamo voluto questa autonomia perché siamo convinti regionalisti e non già per mero egoismo isolano.

Noi non avremmo niente in contrario a prestarci generosamente per un esperimento in corpore vili, come desidera l’onorevole Abozzi, ma siamo, prima che siciliani, italiani, e vogliamo che, se l’autonomia è un bene, essa sia un bene per tutta l’Italia. (Applausi al centro Interruzioni e commenti all’estrema sinistra). Dicevo, non per ragioni di mero egoismo isolano, ma perché fermamente crediamo che un effettivo autogoverno locale sarà fondamento di democrazia, sarà strumento efficiente di libertà, sarà cemento e garanzia di quella unità della Patria che non è minacciata dall’ordinamento regionale dello Stato, mentre è stata ed è compromessa per l’eccessiva centralizzazione dell’ordinamento attuale. (Commenti).

Può darsi che gli articoli di questo Titolo meritino di essere emendati o corretti; può darsi che, così come è stato congegnato questo ordinamento regionale, a parere della maggioranza dell’Assemblea, esso non corrisponda alle effettive esigenze del Paese; ma dobbiamo noi per questo rinunciare al principio? Dobbiamo noi ritenere che questa non sia la sede adatta per l’esame di un problema così squisitamente costituzionale? Dobbiamo noi per questo rinunciare al nostro compito di costituenti? Dobbiamo noi per questo tradire la nostra fede? No, onorevoli colleghi. Per queste ragioni noi voteremo contro, come ho detto, gli ordini del giorno proposti. (Applausi al centro).

BADINI CONFALONIERI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BADINI CONFALONIERI. Desidero semplicemente dichiarare a chi, dall’alto del suo pulpito, crede di poter accennare all’incoerenza di altri Gruppi, che, votando a favore dell’ordine del giorno Rubilli, non si abroga alcuna legge esistente: le leggi attualmente esistenti permarranno.

Nessuna incoerenza dunque da parte del Gruppo liberale: ognuno faccia il suo esame di coscienza, pensi alla propria coerenza o incoerenza, e non faccia ricorso a motivi di speculazione elettoralistica. (Applausi al centro e a destra).

VARVARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VARVARO. Circa l’affermazione che l’ordine del giorno Rubilli, se votato, non abrogherebbe la legge sullo statuto siciliano, io faccio molte riserve, ricordando all’Assemblea che lo statuto siciliano, allo stato attuale, risulta approvato con un decreto legge, e che esso è preceduto e seguito da due riserve: l’una venne dalla Commissione nominata dalla Consulta nazionale, l’altra è una riserva di registrazione.

Ora, se oggi fosse rinviato sine die, come avverrebbe se fosse votato l’ordine del giorno Rubilli, tutto il Titolo quinto, la legge dell’autonomia siciliana rimarrebbe avulsa dalla Costituzione dello Stato, non avrebbe la ratifica.

A prescindere quindi dal fatto che io sono favorevole all’ordinamento regionale dello Stato italiano, voterò contro anche per questa considerazione.

NOBILE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE Ne ha facoltà.

NOBILE. L’ordine del giorno da me presentato differisce da quello dell’onorevole Nitti soltanto per la considerazione che io avevo fatta sull’opportunità che l’Assemblea affrettasse i propri lavori; ma, poiché non mi pare che questo argomento abbia fatto molta presa sui colleghi, non ho ragione di insistervi e mi associo pertanto all’ordine del giorno presentato dall’onorevole Nitti.

PICCIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PICCIONI. Faccio una breve dichiarazione di voto che concerne tanto l’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi, quanto quello degli onorevoli Nitti e Rubilli. Io e il mio Gruppo voteremo contro l’uno e contro l’altro ordine del giorno, in quanto, se il primo contiene un’affermazione recisa di soppressione dell’ordinamento regionale, il secondo, in forma più velata e più politica, contiene la stessa precisa affermazione.

Nei confronti dell’ordine del giorno degli onorevoli Rubilli e Nitti, senza ripetere le argomentazioni e le motivazioni ampiamente svolte per sostenere la necessità, l’utilità, l’inderogabilità dell’ordinamento regionale, così come lo abbiamo visto e previsto in seno anche alla Commissione dei 75, sta l’argomento, per me sostanziale, che riguarda anche la dignità e la funzionalità di questa Assemblea, in quanto si tratta veramente di un argomento di natura squisitamente costituzionale. Ora, rinunciare a questa prerogativa dell’Assemblea costituente, a questo suo impegno e a questo suo dovere, significa diminuire il senso della responsabilità, perlomeno, che noi tutti abbiamo assunto di fronte agli elettori che ci hanno qui inviati.

Aggiungo che l’ordinamento regionale, così come è previsto nel progetto, salvo le opportune rettifiche e modificazioni a seguito delle deliberazioni dell’Assemblea Costituente, costituisce una delle vertebre fondamentali del progetto di Costituzione; caduta la quale, si tratterebbe di rivedere radicalmente tutta la struttura dello Stato così come è delineata dal progetto stesso.

Infine rilevo che la questione sollevata dall’onorevole La Malfa e da altri, per quanto si riferisce all’autonomia siciliana, non è una questione marginale o una questione che possa in qualche modo distaccarsi da quello che sarà il contenuto definitivo del progetto di Costituzione, perché nell’ordinamento autonomistico siciliano è previsto espressamente che esso deve essere coordinato con i principî fondamentali della Carta costituzionale dello Stato.

Ora, credo che non ci sia nessuno in mezzo a noi che possa negare che, qualora, in una maniera o in un’altra, la Carta costituzionale non dovesse far parola, non dovesse realizzare in un modo o in un altro l’ordinamento regionale, la questione dell’autonomia siciliana si prospetterebbe in un modo estremamente imbarazzante dal punto di vista costituzionale. (Commenti Rumori a sinistra Applausi al centro).

Comunque; onorevoli colleghi, sia ben chiaro che io non intendo richiamarmi a questo argomento per forzare in qualche modo i consensi che possono venire dalle varie parti della Camera, perché sono troppo convinto, e con me il mio Gruppo, della bontà, dell’utilità, della necessità, per il rinnovamento democratico dello Stato, dell’inserzione nella nuova Carta costituzionale dell’ordinamento regionale così come è previsto dal progetto.

Per questi motivi dichiaro di votare contro l’uno e l’altro ordine del giorno di cui si tratta.

TARGETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TARGETTI. L’ordine del giorno dell’onorevole Abozzi è come l’esaltazione, la glorificazione della Provincia: Per questo io dovrei essere portato a considerarlo con un sentimento di simpatia, di vero favore, perché – come ha avuto la compiacenza di ricordare l’onorevole Ruini – sono stato l’unico difensore della Provincia, quando questa non aveva che avversari decisi e che sembravano irriducibili. (Commenti a sinistra). Più esattamente, proprio solo no, giacché altri tre o quattro colleghi, ma non più, appartenenti a Gruppi diversi, si sono mostrati del mio parere.

Oggi dobbiamo constatare, con grande soddisfazione, che mentre allora non si trovavano altri difensori, oggi non è possibile trovare altro che difensori della Provincia, più o meno improvvisati.

Ma ciò nonostante io mi dichiaro contrario – e credo di interpretare anche il pensiero del mio Gruppo – all’ordine del giorno Abozzi, il quale nega la Regione, seppellisce la Regione (Interruzioni Commenti).

Io voto anche contro gli ordini del giorno Rubilli e Nitti. (Applausi al centro). Non applaudite troppo, perché se no mi fate più male che bene per quanto sto per dire. (Si ride). Non possiamo essere favorevoli agli ordini del giorno Nitti e Rubilli in quanto questi ordini del giorno rappresentano anche essi – diciamo la verità! – un seppellimento dell’ente Regione. Ed a questo noi non accediamo.

C’è anche una considerazione che mi sembra procedurale, che dimostra come il vero significato e la vera portata di questi ordini del giorno siano definitivi nei riguardi dell’esclusione della Regione. Infatti quando la nostra Carta costituzionale sia chiamata a indicare in quale modo (Interruzioni) …in quale modo si ripartisce il territorio della Repubblica, una volta approvati gli ordini del giorno dell’onorevole Rubilli e dell’onorevole Nitti, dovremmo dire: Il territorio della Repubblica si divide in Comuni e Provincie. Se questo non vieta all’Assemblea di domani di ritornare sull’argomento, modificando la Costituzione, procedendo ad una revisione della Costituzione, questo oggi significa negare l’opportunità dell’ordinamento regionale. (Commenti).

Ora, il nostro partito, anche per le sue tradizioni, non ha mai negato l’utilità della istituzione di questo ente che, se non altro, sarà sempre uno strumento prezioso di quel decentramento amministrativo che per noi ha costituito sempre un caposaldo. (Applausi).

RUBILLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RUBILLI. Domando solo pochi minuti di tolleranza e di attenzione, perché mi pare utile, anzi indispensabile, per un bisogno di sincerità, da ogni parte, nella votazione, qualche chiarimento. E dico indispensabile anche perché, trovandomi in regolare congedo per ragioni di salute e non prevedendo la tumultuosa decadenza di quaranta o cinquanta oratori in pochi minuti, non mi è stata data possibilità – per ragioni indipendenti dalla mia intenzione – di svolgere e di chiarire il mio ordine del giorno. Non intendo farlo ora e non posso farlo, ma desidero dare qualche elemento che possa orientare tutti quanti, in un senso o in un altro, in ordine alla votazione.

Ho dichiarato poco fa che senza respingere l’emendamento che si voleva proporre, per quanto riguarda la Sicilia ed anche la Sardegna, lo ritenevo inutile, perché, come ebbi a spiegare anche nel mio discorso nella discussione generale, ormai le autonomie regionali concesse, o meglio strappate, non potevano, almeno per ragioni di opportunità, essere revocate; le vicende belliche e l’inconsulto per quanto limitato movimento separatista imposero una soluzione transattiva di autonomia. Anche per la Sardegna, che come la Sicilia è una grande isola, si potrà usare lo stesso trattamento, se sul serio sarà dimostrato con referendum o in altro modo che la Sardegna lo desidera. E per le altre autonomie a Regioni settentrionali, la conclusione non può essere che la stessa, se permangono quelle stesse esigenze di carattere internazionale che, nell’interesse delle popolazioni locali, erano state determinate.

Al riguardo non credo che possa aver valore l’osservazione che è stata fatta da parte dell’onorevole Piccioni, perché se è detto nello statuto siciliano che lo statuto medesimo deve essere coordinato con le norme che saranno stabilite nella Costituzione a proposito della Regione, bisogna pur notare che altro è coordinazione, ed altro è subordinazione.

Naturalmente la coordinazione sarebbe indispensabile, se stabilissimo un titolo sulla Regione nella Carta costituzionale, con le cui norme generali dovrebbero uniformarsi quelle relative alle autonomie di già concesse, ma se si stralcia il Titolo quinto e viene rimessa alla Camera legislativa ogni risoluzione sulla materia che esso contempla, la coordinazione vien meno e non ha ragione di essere.

Per questi motivi ho dichiarato che mi sembrava superfluo ed inutile aggiungere un emendamento in ordine alle autonomie concesse.

Dichiaro anche che devo mantenere in pieno il mio ordine del giorno, il quale non costituisce un semplice espediente, né può esprimere il desiderio di un rinvio sine die per non far parlare più della questione che è stata posta dalla Commissione e sia pure imperfettamente accolta nel progetto della Carta costituzionale. Sono il primo a dire che si dovrà giungere ad una soluzione, ma soltanto desidero che a ciò si addivenga come l’argomento richiede per la sua importanza e per le conseguenze che potrà produrre; quindi con una più oculata valutazione e con più concreti progetti che possano meglio fare intendere se la riforma debba o meno essere approvata.

Questo è il concetto del mio ordine del giorno, e sulla sua opportunità ed utilità mi sono confermato maggiormente attraverso lo svolgimento della discussione generale, che son lieto di constatare ampia ed importante, perché in fondo ha affermato una sola idea, quella delle autonomie locali e del decentramento, su cui non può dirsi che vi sia dissenso di sorta.

Anzi ad evitare equivoci voglio anche ripetere che quanto è stato detto e ripetutamente affermato al riguardo trova il mio pieno consenso. Io accetto tutte le autonomie, accetto tutti quanti i decentramenti: ne riconosco il bisogno, ne vedo la necessità. Ma con questo non si conclude nulla in ordine alla votazione cui stiamo per procedere. Il quesito è diverso, e cioè vedere se decentramenti si possano anche a larga base ottenere con gli enti che ora esistono, senza ricorrere ad un’affrettata e pericolosa creazione di enti ragionali. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Non interrompano, onorevoli colleghi.

RUBILLI. Non comprendo perché vogliate limitare la possibilità di discutere su tale questione. Ci sono state dichiarazioni di voto che sono durate per un’ora circa, in argomenti meno importanti, e dovete pur considerare che ragioni eccezionali ed indipendenti dalla mia volontà m’impedirono di chiarire il mio pensiero col discorso che mi ero proposto di pronunziare qui come svolgimento del mio ordine del giorno.

Debbo pure ricordare che le autonomie locali ed i decentramenti non rappresentano questioni nuove, ma hanno fatto parte del programma di vari Governi, sebbene poi non attuati, ma non per questo si è mai pensato che ad attuarli fosse indispensabile un ente regionale.

Anche don Luigi Sturzo, più di 40 anni fa, a capo dell’Associazione dei Comuni italiani, invocava l’applicazione immediata di tutte le autonomie e di tutti i decentramenti. (Interruzioni).

Ora siccome 40 anni fa non si pensava neppure lontanamente alle autonomie regionali coi relativi parlamenti vuol dire che Luigi Sturzo intendeva, come me, che l’autonomia si può attuare anche senza l’istituzione dell’ente Regione. (Interruzioni).

È aumentato in me il desiderio di mantenere fermo il mio ordine del giorno quando ho notato non solamente una incertezza ed una perplessità nella discussione generale, come ha rilevato nel suo ordine del giorno l’onorevole Nitti, ma anche una identica e forse maggiore perplessità nella stessa Commissione. Ho visto infatti che due fra i più autorevoli componenti della Commissione, prima tra i settantacinque ed oggi tra i diciotto, l’onorevole Bozzi e l’onorevole Grassi… (Interruzione dell’onorevole Grassi).

Giorni fa c’era il tuo nome, caro Grassi, nello stesso ordine del giorno firmato dall’onorevole Bozzi.

Ho visto, dicevo, che essi hanno fatto proposte che in sostanza sono identiche alle mie, e si risolvono in un rinvio alla Camera legislativa. Poi ho visto che l’onorevole Grieco, comunista, pure dei settantacinque ed ora dei diciotto, altro ordine del giorno ha presentato che in fondo collima col mio. E l’altro giorno dagli stessi componenti della Commissione si chiese ed ottenne un termine di 48 ore per trovare qualche formula intermedia che poi si sarebbe ridotta ad un dignitoso rinvio.

Non siamo ingenui, e perciò da questi segni più che eloquenti comprendiamo che l’incertezza della discussione e la consapevolezza di difficoltà invincibili viene confermata dal contegno della Commissione e dagli ordini del giorno che i componenti della Commissione hanno presentati.

La mia preoccupazione poi è specialmente di carattere finanziario. (Interruzioni).

PRESIDENTE. Onorevole Rubilli, non può parlare di questa materia.

RUBILLI. E sia pure, ma credo, per concludere, che, data l’importanza della riforma, date le gravi conseguenze con gli oneri non lievi che ne possono derivare, sia nostro imprescindibile dovere d’informare le nostre decisioni non a mire o a interessi dì partiti. Occorre invece tener presente soltanto l’Italia nelle sue vere e legittime esigenze.

CAROLEO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAROLEO. Sono sorpreso dalla presentazione dell’ordine del giorno Rubilli. Noi siamo chiamati a dettare la Costituzione dello Stato, a crearne gli organi strutturali e ci limitiamo attraverso questa proposta a dire che non possiamo interessarcene, perché siamo incerti. (Rumori). Lo rilevava bene al principio di questa discussione il nostro Presidente, che era in dubbio se dare proprio la precedenza a questo ordine del giorno.

Noi dobbiamo creare, come diceva l’onorevole Ambrosini, la parte più importante della Carta costituzionale; ed è strano che di fronte a quello che è stato definito il problema ed il quesito fondamentale proposto all’Assemblea Costituente… (Rumori), questa finisca col rinunziare al suo mandato.

Però io debbo dissentire parzialmente da coloro che pongono sullo stesso piano l’ordine del giorno Rubilli e l’ordine del giorno Abozzi.

PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, ormai la questione è chiarita, è risolta; parliamo dell’ordine del giorno Rubilli.

CAROLEO. Ed allora non ho altro da aggiungere.

CONDORELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CONDORELLI. Onorevoli colleghi, non posso tacere la mia profonda delusione di italiano e di meridionale di fronte a questo progetto concordato, che se è indubbiamente lodevole da un punto di vista giuridico-formale, si può dire, con sicurezza, che non ha approfondito e risolto le gravi questioni politiche e finanziarie che l’assetto regionale poneva in discussione.

Il problema è stato risolto in modo palesemente contrario agli interessi del Mezzogiorno, che erano presi principalmente di mira dai sostenitori dell’autonomia, perché l’autonomia sorse per la prima volta, nei tempi recenti, proprio come rimedio verso una situazione di abbandono, di negligenza apparente, per lo meno, da parte del potere centrale, verso le regioni del Mezzogiorno. Ed il mancato arricchimento o impoverimento del Mezzogiorno fu considerato come effetto del centralismo.

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, non riapra la discussione.

CONDORELLI. L’autonomia fu usata come antidoto a questo centralismo, che era stato individuato come la causa dei danni del Mezzogiorno. Ora questo progetto di autonomia, se divenisse legge, inchioderebbe il Mezzogiorno alle posizioni attuali. Basta considerare, onorevoli colleghi, quali sono i compiti che si attribuiscono alla Regione e quali sono invece gli interessi della Regione. I compiti sono tra gli altri l’agricoltura…

PRESIDENTE. Li conosciamo.

CONDORELLI. Debbo dire che si inchioderebbe il Mezzogiorno alle posizioni attuali, perché avremmo una parte delle imposte che si pagano nel Mezzogiorno d’Italia che andrebbero a beneficio del Nord. (Rumori). Ora, che cosa avviene? Che le imposte che si pagano nel Nord sono forse la metà di quelle che pagano i meridionali. (Commenti).

Dunque i nostri capitali continuerebbero ad emigrare e noi non avremmo i mezzi di fare quella politica di lavori pubblici che abbiamo necessità di fare. La questione mi preoccupa perciò immensamente. (Rumori).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei richiamare tutti a un senso di maggiore tolleranza. (Applausi).

Avverto che l’onorevole Rubilli mi prega di far presente che non ha nulla in contrario ad accettare la proposta degli onorevoli Cannizzo e Castiglia di aggiungere nell’ordine del giorno il richiamo all’autonomia della Sicilia.

Onorevole Condorelli, continui pure.

CONDORELLI. Concludo dicendo che non vi è nessuna contradizione tra la perplessità che dimostro di fronte a questo progetto di autonomia e la mia convinzione favorevole all’assetto autonomo che è stato dato alla Sicilia, perché la Sicilia fruisce, per ragioni naturali sue, di una situazione economica profondamente diversa da quella di altri paesi, ed ha una bilancia commerciale favorevole.

Da un punto di vista nazionale non sono neanche contrario all’autonomia, ma trovo che il problema non è stato sufficientemente approfondito dalla Commissione dei settantacinque. Bisogna riflettere. Si è detto che la Regione è la sola entità locale e naturale, mentre la Provincia sarebbe qualche cosa di fittizio. Io penso che si possa dire anche il contrario perché, come ci ha insegnato Mazzini, l’elemento fondamentale della vita italiana è stata la civitas e poi il Comune e, conseguentemente, il territorio che vive sotto l’influenza del grande comune che è la Provincia. Voglio aggiungere che quei compartimenti stagni di cui ho sentito parlare mi hanno immensamente preoccupato: come funzionerebbero questi compartimenti stagni? (Rumori).

PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, la prego di concludere.

CONPORELLI. La mia dichiarazione di voto è di piena adesione all’ordine del giorno Rubilli, purché sia inserito l’emendamento relativo all’autonomia della Sicilia.

LACONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LACONI. Il Gruppo comunista non voterà nessuno degli ordini del giorno che contengono il rinvio o la reiezione del progetto di ordinamento regionale.

Non voteremo gli ordini del giorno che contengono il rinvio, perché in numerose pubbliche manifestazioni, fin dal periodo elettorale, noi abbiamo affermato che il problema delle Regioni va esaminato e risolto nella Carta costituzionale.

Non voteremo a favore della reiezione perché nelle stesse occasioni abbiamo anche affermato che l’Italia ha necessità di un largo decentramento sulla base regionale e che l’esigenza autonomistica manifestatasi in questo periodo è sentita in una certa misura dal popolo italiano.

Abbiamo assunto alcune posizioni, che manterremo integralmente. Abbiamo preso posizione netta e precisa in favore delle autonomie speciali da conferirsi a talune Regioni, come la Sardegna, la Sicilia e le Regioni di confine: questa posizione è pienamente confermata.

Per quanto riguarda il resto d’Italia, siamo contrari alle soluzioni estremistiche: riteniamo utile, per il progresso democratico del nostro Paese, che si realizzi un profondo decentramento amministrativo, intanto con l’affermazione dell’autonomia dei Comuni e con una riaffermazione dell’esistenza della Provincia e con l’allargamento delle sue competenze, ed infine anche con la costituzione di un ente regionale che non abbia i propri poteri ed il proprio campo di competenza unicamente limitato al settore amministrativo, ma abbia anche una qualche facoltà di integrare le leggi dello Stato e di dettarne le norme di attuazione per renderle aderenti alle necessità regionali.

Ponendoci su queste posizioni, riaffermandole attraverso gli ordini del giorno che avremo occasione di presentare nel corso della discussione ed attraverso l’adesione che daremo ad altri ordini del giorno, intendiamo rispondere a due preoccupazioni.

La nostra preoccupazione fondamentale è di preservare intatta e solida l’unità dello Stato. Quando ci si parla di dare alle Regioni una potestà legislativa esclusiva o concorrente con quella dello Stato che pregiudichi i poteri dello Stato e limiti questi poteri, non siamo d’accordo. Noi pensiamo che l’autonomia delle Regioni debba essere contenuta entro l’unità politica del Paese. Ma è indubbio che, particolarmente in quest’ultimo periodo, guardando intorno a noi e vedendo l’avviamento che va prendendo la situazione italiana, ci si è prospettata la necessità o l’eventualità di accedere a soluzioni diverse, di prendere in considerazione un rafforzamento degli enti locali che giunga anche a dare alla Regione un volto autonomo. Ed è in questo senso che abbiamo acceduto alle soluzioni intermedie che poco fa prospettavo, ed alle quali noi daremo il nostro voto.

Forse questo stupirà qualcuno. Poco fa, un collega richiamava il discorso dell’onorevole Gullo, ma, uomini come siamo, aderenti alle situazioni, e sempre intenti a guardare la evoluzione delle cose, noi non abbiamo potuto non tener conto del fatto che in questo recente periodo l’avviamento delle cose italiane non è tale da non dare delle preoccupazioni a chiunque sia interessato alla difesa dal regime democratico e desideroso di stabilire nel Paese dei solidi baluardi, contro qualunque tentativo volto a violare la libertà ed i principî essenziali della democrazia. (Applausi a sinistra).

Ed è per questa ragione, soprattutto per questa ragione, che accediamo a questa soluzione intermedia: ordinamento regionale contenuto in limiti che non pregiudichino l’unità politica del Paese ma capace, ove si renda necessario, nel corso degli eventi, di fare delle Regioni dei solidi presidi della libertà e della democrazia. (Applausi a sinistra).

NITTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NITTI. Avevo presentato un semplice e breve ordine del giorno che, senza pregiudicare nulla, rinviava alla Camera che ci seguirà la decisione di tutta questa materia.

Credo molto imprudente compromettere, con voti inopportuni, e non sufficientemente meditati nelle conseguenze, la situazione. Avversario tenace di ogni cosa che possa minimamente rompere l’unità spirituale di Italia, io considero la formazione delle autonomie regionali, che tendono ad allargarsi nei loro poteri, con competenze legislative che non competono loro, non opportuna e dannosa. Sono fieramente contrario ad ogni cosa che comprometta l’unità d’Italia, convinto che noi torneremo ai tristi tempi del ’400 (Commenti al centro) con la dissoluzione integrale d’Italia se si continua su questa via.

Prima di ingaggiare l’avvenire val meglio attendere. Aspettate ancora: vediamo, dove vi sono già autonomie delle Regioni, quali saranno i risultati. Non compromettiamo la questione delle Regioni; aspettiamo i primi risultati. Noi staremo ancora qui alcuni mesi – io credo certamente fino al 31 dicembre – e la Camera che ci seguirà non verrà prima dell’estate dell’anno nuovo. Avremo tempo di vedere come andranno le cose, avremo tempo, non direi di fare degli esperimenti – gli esperimenti si fanno in corpore vili – ma di vedere quali inconvenienti si manifesteranno nei primi tempi. Vedremo che cosà sarà la realtà finanziaria, quali pericoli correrà lo Stato cui tutte le Regioni chiederanno qualche cosa.

Vi saranno disordine, confusione e sperpero.

Questa è la verità tremenda a cui non sfuggirete.

Io sento dire, e qualcuno vi ha accennato, con una frase che mi ha offeso, che le Regioni ci sono imposte dallo straniero. E come questa stoltezza? E perché? Questa materia non entra nel Trattato di pace, non v’entra per niente. Nulla ci è imposto dallo straniero: né per la Sicilia, né per la Sardegna, né per l’Alto Adige, né per la Valle d’Aosta.

Noi siamo liberi di fare ciò che vogliamo. L’Italia non è finita, l’Italia si deve rinnovare e non deve umiliarsi, né invigliacchire. Che cosa sono queste parole e queste sconce umiliazioni non necessarie? Noi vogliamo liberamente e dobbiamo liberamente discutere e decidere, tenendo conto della realtà dei nostri interessi.

Il mio ordine del giorno non compromette nulla. E dall’altra parte evita ipoteche dannose sull’avvenire.

Perché pretendete prendere una non necessaria ipoteca? Perché vogliamo compromettere l’avvenire?

Io non credo (e sono leale anche in questo) che ciò che si è fatto fìnora abbia in nessun modo compromesso il problema delle Regioni.

Per quanto riguarda la Sicilia, io sono convinto che la Sicilia debba essere tenuta, come la Sardegna, in speciale considerazione. Ma le ragioni delle due isole non sono pregiudicate dal mio ordine del giorno in nessuna guisa.

Io dichiaro, con eguale lealtà, che per alcune altre autonomie, per quanto limitate possano essere, non consentirò mai: come per esempio per quella della Val d’Aosta, che mi ha umiliato perché è dannosa e praticamente insostenibile.

BORDON. Voi confondete, perché non la conoscete.

NITTI. La conosco perfettamente in tutti i suoi dettagli. Vi sono autonomie che in limiti ragionevoli riconosceremo ed altre che non riconosceremo; ma siamo liberi nelle nostre decisioni. Non bisogna compromettere leggermente l’avvenire e l’unità della Patria. Lasciamo che l’ordinamento attuale sia seguito da ordinamenti che si formeranno spontaneamente in relazione alle necessità: se vi saranno unioni di Provincie, per scopi determinati, si potranno fare e vi potranno essere anche larghi consorzi. Chi ci impedisce di fare tutto questo? E perché volete compromettere l’ordinamento dello Stato quando non avete la sicurezza materiale e morale? (Commenti Interruzioni al centro).

Debbo infine dichiarare che il mio ordine del giorno è stato unito, per ragioni di affinità, a quello dell’onorevole Rubilli; ma l’onorevole Rubilli ha, con le sue motivazioni, tolto parte del significato al mio ordine del giorno. Dichiaro quindi che, anche solo – perché è indifferente essere soli in una assemblea politica se si crede di aver ragione – voterò l’ordine del giorno Abozzi o un ordine del giorno qualsiasi che abbia lo stesso significato.

In quanto all’onorevole Rubilli, poiché egli ha voluto dare alcune spiegazioni che non collimano interamente col mio pensiero, io dichiaro che non ho nulla in contrario a che l’ordine del giorno suo sia votato, con le aggiunte per quanto riguarda la Sicilia, che io ritengo superflue. In questo caso io mi asterrò, avendo espresso nettamente e chiaramente la mia opinione.

LAMI STARNUTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAMI STARNUTI. Dichiaro che il Gruppo socialista dei lavoratori italiani voterà contro gli ordini del giorno degli onorevoli Abozzi, Rubilli e Nitti. A parte ogni considerazione diversa, la approvazione di questi ordini del giorno non conferirebbe, a nostro giudizio, prestigio all’Assemblea Costituente.

È dal 1861 che in Italia si discute la riforma amministrativa. Ad ottanta anni di distanza, siamo ancora nella situazione precisa in cui la questione sorse per iniziativa dell’onorevole Minghetti. Noi pensiamo che il problema debba ora essere risoluto. In seno alla Commissione per la Costituzione io ho dissentito dai limiti, secondo me eccessivi, dati alla Regione dall’onorevole Ambrosini. Ma sono stato per il regionalismo: un regionalismo moderato che costituisse un decentramento a carattere autarchico e non soltanto burocratico, convinto che questo decentramento rappresenti una necessità di vita e di sviluppo, di democrazia e di libertà per il popolo italiano.

Per queste ragioni voteremo contro tutti gli ordini del giorno che rinviassero la risoluzione del problema. (Applausi al centro).

FABBRI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABBRI. Sono perfettamente d’accordo con il collega onorevole Piccioni che il sistema regionale, quale è contenuto nel progetto di Costituzione, a parte i consensi e i dissensi sui quali non mi soffermo in alcun modo, è veramente una vertebra fondamentale, come egli l’ha chiamata, della Costituzione.

Trovo però che, se la Regione non è stata ferita a morte, ha certo ricevuto un grosso pallino nell’ala dalla deliberazione che è in pectore, nel sentimento cioè di questa Assemblea, quale è affiorato dalla discussione, di mantenere la Provincia. L’aggiunta dell’ente autarchico Provincia all’ente autarchico Regione complica infatti straordinariamente le cose e, in sostanza, rivoluziona tutto quello che era il contenuto del progetto di Costituzione. (Commenti).

Può darsi che dipenda da mio difetto di comprensione, ma io non capirò mai l’ente autarchico, ad esempio, della Provincia di Campobasso, accanto all’ente autarchico della Regione del Molise, e con una certa difficoltà riuscirò a comprendere l’ente autarchico della Provincia di Roma, accanto all’ente autarchico della Regione del Lazio. Ritengo pertanto che sia una materia che vada riveduta ab imis.

Nella riunione quindi della Commissione eletta dalla Presidenza nella quale si doveva procedere a una delibazione relativa alla proposta di proroga dei termini dei lavori dell’Assemblea, io mi sono trovato quasi solo a ritenere che fosse assolutamente impossibile fare un lavoro degno e che avesse un serio contenuto in ordine ai problemi che si affacciano, entro il termine dell’otto settembre, quale ho visto irreducibilmente sostenere dai cosiddetti esponenti dei partiti di massa.

Ora, io non ho mai saputo risolvere su due piedi le questioni quando gli elementi da mantenere e coordinare sono in patente contradizione. Siccome pertanto io ritengo che la proposta dell’onorevole Rubilli non impedisca l’esistenza di autonomie regionali che, volere o no, già sono state istituite in Sicilia e altrove, ma ritengo che propugni semplicemente un differimento per un esame più maturo della grave questione da parte di organi che abbiano il tempo e la possibilità di svolgerlo con quella calma e dignità che mi paiono necessarie per un compito di tanta elevatezza, io voterò per il differimento e quindi, in sostanza, a favore dell’ordine del giorno Rubilli, avvicinandomi in questo ai maggiori esponenti del partito liberale.

PORZIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PORZIO. Desidero semplicemente esprimere una mia profonda meraviglia. Mi sembra di non trovarmi più nell’Aula parlamentare, ma di trovarmi sulla via di Damasco. Vedo conversioni improvvise, inaspettate. Sono miracoli. Sono i miracoli della Democrazia cristiana? Ed io, come cristiano, non me ne dolgo. (Ilarità). Però, signori, osservo che non è così che si può discutere con così incalzante fretta una delle colonne fondamentali della nostra Costituzione, come è stata definita.

Ci vuole della pacatezza. E francamente, discutere dopo le parole dell’onorevole Piccioni, il quale quasi quasi ci faceva sapere che noi eravamo vincolati perché già altra volta era stato approvato un progetto o una legge riguardante l’autonomia di altre Regioni, significa togliere a noi qualsiasi libertà, volerci porre di fronte al fatto compiuto, inderogabile, che, viceversa, non è compiuto e non è inderogabile, altrimenti non si giustificherebbe tanta discussione. Restituiamo alle cose il loro vero valore ed il loro volto.

Non intendo fare una discussione di merito. Non ho la fortuna di aver dietro le mie spalle un Gruppo forte, valido, battagliero: sono solo (Commenti). E chi è solo è forte, dice Ibsen. La mia è dichiarazione di voto: niente altro. E la ragione per la quale io voto l’ordine del giorno Nitti, o l’ordine del giorno Rubilli, è questa. Se fossi convinto della utilità di questo nuovo istituto e di tale riforma, credo che in quest’Aula nessuno potrebbe esserne un sostenitore più accanito di me. Perché? Perché io vengo da una città grande, sventurata e bella come Desdemona, e come Desdemona soffocata dalla gelosia. (Commenti). Però, questa città, signori, è stata la culla, la forza operante dell’unità italiana; l’idea è antica, risale nei secoli, arriva a Dante, discende a noi; ma il primo moto di azione voi lo dovete ricercare tra quelli del 1799: un’accolita di sognatori, cattivi politici, ma anime illuminate, accese di lirismo, che rappresentano il moto iniziale, operoso dell’unità italiana, l’azione di collegamento con le genti colte d’Italia.

Niente dunque che possa compromettere l’unità italiana. Vi sono questioni che non si barattano; questioni che bisogna seriamente e profondamente affrontare. Ecco: or ora, è ancor vivo, caldo – ci sono qui degli amici che lo possono attestare, appartenenti ai vari Gruppi della Camera – è attuale l’appello rivoltomi da enti, da istituti della mia, della nostra grande città. Condizioni economiche disperate. E noi non abbiamo neppure esaminato le possibilità, l’autosufficienza della nostra Regione, gravata da oneri insopportabili, costretta a fronteggiare indeclinabili esigenze. Ed è così che volete difendere gli interessi e il divenire del Mezzogiorno d’Italia? Noi abbiamo disoccupazione grave, industrie rovinate, ospedali nei quali gli ammalati languono: e non possono essere sorretti; abbiamo attività che sono state stremate, abbiamo una città che, come ieri fu ricordato, dette il primo impulso alla rivolta, si levò, senza armi, senza preparazione, contro i tedeschi, e li scacciò traendo dal valore delle madri, dall’indignazione per gli atroci soprusi la forza eroica, che aspetta riconoscimenti e giustizia. Tutto è stato dimenticato. Ha ragione Heine: come corrono i morti! Chi li ricorda più? (Approvazioni).

Ebbene, dopo tanti patimenti, volete darci ancora l’umiliazione di dover ricorrere al fondo di carità, alla congrega di carità nazionale, dopo che noi abbiamo dato tutto all’Italia! Vivere tra egoismi che si esasperano; tra gelosie e rivalità che si ridestano.

Signori, parlate di decentramento. Poco fa l’onorevole Laconi parlava, ma io non l’ho ben capito, perché è accomodante l’onorevole Laconi. Egli ha una particolare fortuna, fra le tante: quella di avere una voce dolce. Ed è, onorevoli colleghi, insinuante, suasivo. Ma non ho ben capito: è pro? È contro? È di quelli folgorati dalla luce di Damasco? Perché ricordo in Commissione l’onorevole Laconi: ho avuto qualche volta l’onore di essere d’accordo con lui. Si parlava di decentramento, allora.

E che c’entra? Una cosa è la Regione, e un’altra cosa è il decentramento! Perdonate, voglio fare la voce dolce anch’io. (Commenti a sinistra).

VERONI. Non interrompete: è un grandissimo oratore!

PORZIO. All’amico Veroni grazie, ma io non sono nulla. Sono però uno spirito dritto e libero!

Ora, signori, io volevo dire: parlate di decentramento. Poco fa l’amico Lami Starnuti diceva: di decentramento se ne parla. Ma leggete il progetto Minghetti, abbiate la bontà! (Commenti). Leggetelo, e vedrete che è tanto lontano quel progetto da quello che diciamo! E poi leggete il progetto Giolitti del 1893, leggete il discorso del 1898. Ivi tutto: tutta l’elencazione del decentramento; riforma necessaria ed utile: decentramento sì, le Regioni no.

Perdonate: un’ultima osservazione e ho finito. È un’osservazione che forse non è stata fatta (Rumori a sinistra). Avete fretta di votare, lo so. E sono arrivato all’ultimo.

Poche parole ancora, le quali saranno sempre gentili malgrado l’impazienza di taluni. (Applausi).

Guardate: parlo di Napoli. Non la voglio ricordare più: la grande capitale! Ora, signori, Napoli è la capitale della Campania. Ma ecco Benevento che rimette in luce le armi dell’antico glorioso ducato e vuole essere Regione; Campobasso che rievoca le memorie romane, l’antico Sannio, e vuol essere Regione; vedo Salerno che inalbera il vessillo delle glorie della Repubblica di Amalfi: tutte le Provincie insomma, vogliono diventare Regioni e mal tollerano di aggregarsi ad altre. Che significa ciò? Significa che la Provincia è nell’anima del Paese (Applausi a destra) e risponde ai concreti bisogni, alle legittime attese, al radicato costume (Approvazioni).

Ma se le Regioni, poi, devono servire unicamente come strumento elettorale, allora servitevene. (Commenti al centro Applausi Congratulazioni).

PRESIDENTE. Se ho ben compreso, l’onorevole Nitti ha dichiarato di non dare più la propria adesione all’ordine del giorno Rubilli, e pertanto si voterà, adesso, sull’ordine del giorno Rubilli, cui ha aderito l’onorevole Cuomo, e che comprende il comma aggiuntivo proposto dagli onorevoli Castiglia e Cannizzo.

Questa è la prima constatazione da fare. È così onorevole Nitti?

NITTI. È così.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione l’ordine del giorno Rubilli, così formulato:

«L’Assemblea Costituente,

considerato che l’istituzione dell’ente Regione non risponde ad alcuna necessità che si sia realmente manifestata, e non può seriamente ritenersi in alcun modo richiesta o reclamata dal popolo italiano;

che i giusti ed opportuni criteri di decentramento potranno essere attuati indipendentemente dalla creazione di enti regionali;

che ad ogni modo, per ora almeno, una grande riforma come quella che si prospetta per le Regioni non appare, anche secondo il progetto, ben ponderata nelle sue non lievi conseguenze dal punto di vista politico, amministrativo e specialmente finanziario, sicché non sembra possibile, di fronte alle enormi difficoltà del periodo che si attraversa, lanciarsi con leggerezza incontro ad incognite preoccupanti e pericolose;

delibera, anche senza affermazioni vaghe e generiche, le quali potrebbero rappresentare inopportuni ed affrettati vincoli, che sia rinviato senz’altro alla Camera legislativa l’esame di pratici, concreti e completi progetti di legge, sia pure di carattere costituzionale, per un oculato decentramento, che giunga, se possibile, anche ad una riforma regionale, ed intanto sia stralciato dalla Costituzione in esame l’intero Titolo V, relativo alle Regioni e ai Comuni, ferma restando l’autonomia regionale già attuata in Sicilia».

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Su questo ordine del giorno è stata chiesta la votazione a scrutinio segreto dagli onorevoli Cifaldi, Rubilli, Morelli Renato, Lucifero, Persico, Cortese, Candela, Nitti, Colitto, Bergamini, Labriola, Corbino, Ayroldi, Badini Confalonieri, Fusco, Abozzi, Bencivenga, Rodi, De Falco, De Caro Raffaele, Bocconi, Reale Vito, Condorelli, Colonna.

Si proceda alla votazione.

(Segue la votazione).

Presidenza del Vicepresidente PECORARI

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione a scrutinio segreto.

Invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.

(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).

Risultato della votazione segreta.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti                        472

Votanti             471

Astenuti           1

Maggioranza    236

Voti favorevoli 147

Voti contrari     324

(L’Assemblea non approva Applausi).

Hanno preso parte alla votazione:

Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Allegato – Amadei – Ambrosini – Amendola – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arata – Arcaini – Arcangeli – Assennato – Ayroldi – Azzi.

Bacciconi – Badini Confalonieri – Baldassari – Balduzzi – Baracco – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bastianetto – Bazoli – Bei Adele – Bellato – Bellavista – Bellusci – Belotti – Bencivenga – Benedetti – Bennani – Benvenuti – Bergamini – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bianchini Laura – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Bolognesi – Bonino – Bonomelli – Bonomi Ivanoe – Bonomi Paolo – Bordon – Borsellino – Bosco Lucarelli – Bosi – Bovetti – Bozzi – Braschi – Bruni – Brusasca – Bubbio – Bucci – Bulloni Pietro – Buonocore – Burato.

Cacciatore – Caccuri – Caiati – Cairo – Calamandrei – Caldera – Camangi – Campisi – Camposarcuno – Candela – Canepa – Cannizzo – Caporali – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Cappugi – Caprani – Capua – Carbonari – Carboni – Carignani – Carmagnola – Caroleo – Caronia – Carpano Maglioli – Cartia – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Castiglia – Cavallari – Cavalli – Cavallotti – Cevolotto – Chatrian – Chiaramello – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cifaldi – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Coccia – Codacci Pisanelli – Codignola – Colitto – Colombi Arturo – Colombo Emilio – Colonna di Paliano – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Conti – Coppi Alessandro – Corbi – Corbino – Corsanego – Corsi – Corsini – Cortese – Costa – Costantini – Cotellessa – Cremaschi Carlo – Cuomo.

Damiani – D’Amico Diego – D’Amico Michele – D’Aragona – De Caro Gerardo – De Caro Raffaele – De Falco – De Filpo – De Gasperi – Del Curio – Della Seta – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Martino – De Mercurio – De Michele Luigi – De Michelis Paolo – De Palma – De Unterrichter Maria – De Vita – Di Fausto – Di Giovanni – Di Gloria – Dominedò – D’Onofrio – Dossetti – Dugoni.

Ermini.

Fabbri – Fabriani – Facchinetti – Faccio – Fanfani – Fantoni – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Federici Maria – Ferrarese – Ferrari Giacomo – Ferrario Celestino – Ferreri – Fietta – Filippini – Fiore – Fiorentino – Fioritto – Firrao – Fogagnolo – Foresi – Franceschini – Froggio – Fuschini – Fusco.

Gabrieli – Galati – Galioto – Gallico Spano Nadia – Garlato – Gasparotto – Gatta – Gavina – Germano – Gervasi – Geuna – Ghidetti – Ghislandi – Giacchero – Giolitti – Giordani – Giua – Gonella – Gorreri – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Guidi Cingolani Angela – Gullo Fausto – Gullo Rocco.

Imperiale – Iotti Leonilde.

Jacini – Jacometti – Jervolino.

Labriola – Laconi – Lagravinese Pasquale – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Pira – Lazzati – Leone Francesco – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lombardi Carlo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lucifero – Luisetti – Lupis – Lussu.

Macrelli – Maffi – Maffìoli – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Enrico – Martino Gaetano – Marzarotto – Massini – Massola – Mastino Gesumino – Mastino Pietro – Mastrojanni – Mattarella – Mattei Teresa – Matteotti Carlo – Mazzei – Mazzoni – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merighi – Merlin Angelina – Merlin Umberto – Mezzadra – Miccolis – Micheli – Minella Angiola – Minio – Molè – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Monticelli – Montini – Morandi – Moranino – Morelli Luigi – Morelli Renato – Moro – Mortati – Moscatelli – Motolese – Murgia – Musolino – Musotto.

Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Negro – Nenni – Nicotra Maria – Nobile Umberto – Nobili Tito Oro – Noce Teresa – Notarianni – Numeroso.

Orlando Camillo – Orlando Vittorio Emanuele.

Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Pallastrelli – Paolucci – Paratore – Paris – Parri – Pastore Giulio – Pastore Raffaele – Pat – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellegrini – Penna Ottavia – Pera – Perassi – Perrone Capano – Persico – Pertini Sandro – Perugi – Pesenti – Petrilli – Piccioni – Piemonte – Pignatari – Pignedoli – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Ponti – Porzio – Pratolongo – Pressinotti – Preti – Preziosi – Priolo – Proia – Puoti.

Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.

Raimondi – Reale Eugenio – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Ricci Giuseppe – Riccio Stefano – Rivera – Rodi – Rodinò Mario – Rodinò Ugo – Rognoni – Romano – Romita – Roselli – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Rossi Paolo – Roveda – Rubilli – Ruggeri Luigi – Ruini – Rumor.

Saccenti – Salerno – Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Saragat – Sardiello – Scalfaro – Scarpa – Scelba – Schiavetti – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Scotti Francesco – Secchia – Segala – Segni – Selvaggi – Sereni – Sforza – Sicignano – Silipo – Spano – Spataro – Stampacchia – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.

Taddia – Targetti – Taviani – Tega – Terranova – Tessitori – Titomanlio Vittoria – Togliatti – Togni – Tomba – Tonello – Tonetti – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Tremelloni – Treves – Trimarchi – Tripepi – Tumminelli – Tupini – Turco.

Uberti.

Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Viale – Vicentini – Vigna – Vigo – Vilardi – Villabruna – Villani – Vischioni – Volpe.

Zaccagnini – Zanardi – Zappetti – Zerbi – Zotta – Zuccarini.

Astenuto:

Nitti.

Sono in congedo:

Bernardi.

Carratelli.

Ghidini.

Lombardo Ivan Matteo.

Mariani Enrico.

Pellizzari.

Rapelli – Russo Perez.

Vinciguerra.

 

Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

 

PRESIDENTE. Comunico che è stato presentato il seguente ordine del giorno:

«L’Assemblea Costituente riconosce la necessità:

  1. a) che sia effettuato un ampio decentramento amministrativo democratico dello Stato, anche a mezzo dell’ente Regione;
  2. b) che la Regione debba essere dotata di potestà normativa nei limiti della attuazione e della integrazione delle direttive e dei principî fissati dalle leggi della Repubblica;
  3. c) che siano attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, adottate mediante leggi costituzionali, alle Regioni indicate nel secondo comma dell’articolo 108 del Progetto

e delibera

che nella Carta costituzionale debba trovare sede l’affermazione della esistenza della Regione, accanto ai Comuni ed alle Provincie, con l’indicazione dei poteri e degli organi del nuovo ente e di quanto altro sia necessario alla sua essenziale definizione costituzionale.

«Bonomi Ivanoe, Bozzi, Togliatti, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, Molè».

Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

La seduta termina alle 13.10.