Come nasce la Costituzione

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GIOVEDÌ 30 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

87.

RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 30 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Consigli ausiliari e Consiglio economico (Seguito della discussione)

Presidente – Nobile – Grieco – Ruini – Tosato – Lussu – Fabbri – Perassi – Mortati – Laconi – Bozzi – Einaudi.

La seduta comincia alle 17.30.

Seguito della discussione sui Consigli ausiliari e sul Consiglio economico.

 

PRESIDENTE riassume le proposte dell’onorevole Mortati sui Consigli ausiliari e sul Consiglio economico, che hanno servito finora per base della discussione, ed esprime l’opinione che, poiché finora gli argomenti sono stati trattati congiuntamente, sia opportuno formulare al riguardo un solo articolo, in quanto anche nelle conclusioni non ritiene si possa scindere un problema dall’altro. Fa poi presente che le proposte degli onorevoli Fabbri e Nobile ammettono la costituzione di Consigli ausiliari, mentre quella dell’onorevole Bulloni si limita ad ammettere la costituzione di un Consiglio economico, ma tutte e tre queste proposte divergono sensibilmente da quella dell’onorevole Mortati.

NOBILE, dato che non si può disporre del tempo necessario per approfondire l’argomento, ritiene sia opportuno di non scendere a disposizioni particolari che potrebbero limitare eccessivamente la libertà del futuro legislatore; perciò egli, nella sua proposta, pur ammettendo l’esistenza di tali Consigli, rinvia alla legge la determinazione della loro composizione e delle loro funzioni. Oltre all’emendamento presentato, crede anche necessario stabilire un coordinamento dell’attività di questi Consigli.

Rilevata poi l’importanza del Consiglio economico, le cui funzioni tendono a svilupparsi sempre di più, ricorda come anche in Inghilterra – secondo una proposta di Churchill – sia stato presentato uno schema di sub-parlamento economico i cui componenti dovrebbero essere nominati dai capi partito (in proporzione delle forze che i partiti stessi hanno nella Camera dei Comuni) tra esperti, rappresentanti delle trades-unions e dei sindacati industriali, e membri della Camera dei Pari. Funzione di quest’organo dovrebbe essere quella di collaborare col Parlamento e dare un semplice parere consultivo. Anche per il Consiglio economico riterrebbe perciò più opportuno limitarsi ad affermare in un articolo della Costituzione che esso verrà costituito, rimandando ad una legge speciale la determinazione dei particolari.

GRIECO si è già dichiarato favorevole ad includere nella Costituzione un articolo concernente la creazione di un Consiglio economico ed accetta perciò la prima parte della proposta dell’onorevole Bulloni. Non ritiene invece opportuno che si parli di questioni arbitrali, come fa l’onorevole Bulloni nella seconda parte della sua proposta, sia perché vi è personalmente contrario per le ragioni ieri dette dal Presidente, sia perché non crede corretto che la questione dell’arbitrato, la quale ha notevole importanza, debba entrare per inciso nella Costituzione attraverso la creazione di questi Consigli.

RUINI conviene nella inopportunità di introdurre l’istituto dell’arbitrato nella Costituzione ed in una forma così indiretta: tutt’al più si potrebbe chiedere l’intervento di questo nuovo organo per la risoluzione di questioni di lavoro, ma non sotto l’aspetto arbitrale vero e proprio.

Circa l’istituzione del Consiglio economico nazionale, pur non inserendo particolari norme per la sua composizione, riterrebbe opportuno stabilire nella Costituzione che in tale Consiglio debbano aver voce le rappresentanze delle varie categorie produttive ed anche i consumatori, data la situazione di economia non controllata che durerà ancora per molto tempo, la quale permette di risolvere i conflitti tra datori di lavoro e lavoratori rivalendosi sul consumatore. Ricordati i precedenti storici di detto Consiglio supremo economico, fa presente come, senza scendere a specificazioni sulle sue attribuzioni, sia consigliabile adottare una espressione più elastica, che non limiti troppo la portata della disposizione; anzi – tenendo presenti le norme di altre Costituzioni e le tendenze che si vanno manifestando – riterrebbe opportuno di ampliarla, stabilendo che il Consiglio economico sarà organo ordinario di consulenza dello Stato o della Repubblica. In una siffatta formula resta insita la possibilità per il Parlamento di rivolgersi al Consiglio per averne giudizi e pareri.

Circa i Consigli presso i singoli dicasteri, dichiara di non essere d’accordo su quanto suggerisce l’onorevole Nobile nella sua proposta, secondo la quale essi funzionerebbero come organi superiori tecnici. Sarebbe molto lieto se fosse possibile abbattere la barriera che separa le varie Amministrazioni dalla vita; e ritiene che questo fine potrebbe raggiungersi se, in seno a vari Ministeri, si potesse istituire un piccolo Consiglio non soltanto tecnico ma anche economico, composto dei rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori delle attività interessate in quella determinata branca; Consiglio il quale consentirebbe una collaborazione più efficace e permetterebbe alla vita di penetrare nelle varie Amministrazioni. Rileva che in tal modo si avrebbe una compenetrazione dal di dentro e sarebbe possibile una collaborazione diretta con le forze vive del Paese. Aggiunge che tale concezione è assolutamente diversa da quella del sistema corporativo, giacché il corporativismo creava enormi organismi i quali non riuscivano a funzionare; in questo caso, invece, si tratterebbe di stabilire che gli amministratori avessero vicino a sé degli esperti con i quali consigliarsi. Crede che in tal modo si aprirebbe uno spiraglio ad una riforma che potrebbe riuscire utilissima, poiché ritiene che solo per questa via di vera ed efficace collaborazione si può salvare l’Amministrazione.

Concludendo, dichiara di ritenere opportuno sostituire nella proposta dell’onorevole Bulloni, alle parole: «Il Consiglio economico esprimerà il proprio parere…», una frase come la seguente: «Il Consiglio economico è l’organo di consulenza della Repubblica in materia economica»; e poi considerare l’istituzione ed il funzionamento presso le singole Amministrazioni o gruppi di amministrazioni di un più ristretto Consiglio speciale per i vari rami di attività attinenti a quelle Amministrazioni, al fine di cercare di attivare la collaborazione delle forze vive del Paese. Fa presente che tutto ciò non toccherebbe minimamente la funzione degli altri organismi, che trovano il loro fondamento sull’attività amministrativa dello Stato, quali la Corte dei conti e il Consiglio di Stato, perché il compito di questo nuovo Consiglio sarebbe quello di dare un giudizio limitatamente alla opportunità economica di un determinato progetto.

GRIECO conviene in alcune delle considerazioni fatte dall’onorevole Ruini, circa i Consigli tecnici economici, ma dubita che tale argomento costituisca materia costituzionale. Sarebbe perciò contrario ad una loro inserzione nella nuova Carta, tanto più che il problema dovrebbe esser visto in tutti i suoi aspetti e non in quelli soltanto considerati ora dall’onorevole Ruini. Quanto al Consiglio economico, pensa che l’onorevole Bulloni si sia, nella sua proposta, inspirato alla Costituzione francese, la quale in un titolo di un solo articolo «Del Consiglio economico» dispone appunto che il Consiglio economico, il cui statuto sarà regolato dalla legge, esamina e dà pareri sui progetti e sulle proposte di legge di sua competenza (che si può supporre sarà la materia economica); e che questi progetti sono sottoposti all’Assemblea Nazionale prima che essa deliberi. E soggiunge che il Consiglio economico può essere consultato dal Consiglio dei Ministri; ma deve essere consultato obbligatoriamente sull’elaborazione di un piano economico nazionale avente per oggetto l’impiego degli uomini e l’utilizzazione razionale delle risorse nazionali.

Ripete di essere favorevole, salvo qualche correzione di forma, alla prima parte della proposta dell’onorevole Bulloni, che risponde al significato che si vuole abbia il Consiglio economico, lasciando alla legge di stabilire la formazione di esso e la sfera della sua competenza.

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Bulloni, nella prima parte, considera la collaborazione del Consiglio economico col Parlamento e, nel periodo successivo, prevede quella col Governo. Prospetta l’opportunità di usare una frase riassuntiva, dicendo che il Consiglio economico è l’organo di consulenza economica del Parlamento e del Governo. Ritiene poi che nella Costituzione si potrebbe predisporre un capitolo, da collocarsi dopo la trattazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, dedicato al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti e al Consiglio economico, i quali organi, pur non rientrando nella materia specifica dei tre poteri, sono tuttavia organi costituzionali.

TOSATO obietta che un organo, anche se formalmente costituzionale, non è tale se non ha attribuzioni e poteri costituzionali. A proposito dei Consigli ausiliari e specialmente del Consiglio economico, pensa che sia necessario risolvere un quesito: se si dà a questi organi soltanto una funzione ausiliaria, ovvero se si dà loro anche una competenza propria e diretta, per cui determinati atti dello Stato non possono porsi in essere senza la loro partecipazione: poiché in questo secondo caso si inseriscono nell’organizzazione costituzionale.

RUINI rileva innanzi tutto che, dicendo soltanto che il Consiglio economico «dà pareri sui progetti di legge», si verrebbe ad escludere l’esame dei piani economici: pensa perciò che per comprendere tutto riassuntivamente, si potrebbe adottare una formula più elastica anche di quella accennata dal Presidente e dire che il Consiglio economico è organo di consulenza della Repubblica o dello Stato. Osserva poi che non si tratta di classificare o meno tra gli organi costituzionali questi istituti ausiliari, perché veri organi costituzionali sono solo il Governo, il Senato e la Camera. Senza dare quindi a quegli istituti un rilievo costituzionale vero e proprio, essi potrebbero praticamente essere collocati nella Costituzione dopo la parte riguardante il Governo – il quale va considerato anche come amministrazione – laddove si dice come devono essere organizzati i pubblici uffici.

PRESIDENTE ritiene si debba dare rilevanza costituzionale soltanto al Consiglio economico che, ricollegato ad un’attività non ancora ben definita, si può pensare come il preannunzio di un metodico intervento dello Stato nel processo economico, il quale si manifesta con iniziative che vanno sempre collegate l’una all’altra attraverso un organo. Governo e Parlamento saranno liberi di creare tale organo, quando si avvertirà l’esigenza di questo nuovo strumento; ed allora sarà il caso di considerarlo con maggiore ponderatezza e con maggiore ampiezza di possibilità di quanto non si possa fare ora.

LUSSU dichiara di essere arrivato alle stesse conclusioni alle quali è giunto il Presidente. Rileva che l’importanza dei Consigli ausiliari è secondaria in confronto di quella del Consiglio economico, concepito in una forma del tutto moderna, con il quale lo Stato interviene per coordinare e dirigere un’attività generale così importante. Ritiene perciò indispensabile fissare nella Costituzione il concetto del solo Consiglio economico, che risponde alle esigenze del lavoro e della produzione nazionale, e dire con una formulazione concisa che «il Consiglio economico, il cui ordinamento sarà stabilito dalla legge, è organo consultivo in materia economica del Parlamento e del Governo». Ricorda che anche la Costituzione francese considera l’elaborazione di un piano economico, adoperando però una formulazione più ampia.

MORTATI rileva che la Costituzione francese dice pure che il parere di questo Consiglio è in certi casi obbligatorio.

LUSSU non vorrebbe che questo concetto della obbligatorietà fosse fissato nella Costituzione: ritiene sufficiente inserire il concetto del nuovo istituto, lasciando ad esso la più ampia libertà di sviluppo per l’avvenire.

FABBRI circa i Consigli ausiliari, propenderebbe a non farne menzione nella Costituzione, ritenendo questo più un inconveniente che un pregio, dato che non si precisano né il modo di loro formazione né le loro attribuzioni fondamentali.

Quanto al Consiglio economico, vorrebbe che nella proposta dell’onorevole Bulloni si chiarisse che è una facoltà e non un obbligo quello di sottoporre leggi e regolamenti a questo Consiglio; perché egli sarebbe contrario ad assegnargli una funzione costituzionale anche in una forma indiretta. Per quanto riguarda gli elementi costitutivi, senza che si tentino inutili divagazioni, pensa che si tratti di un organo di natura corporativa, in cui dovrà trovar posto una rappresentanza di datori di lavoro e di lavoratori; e rileva a questo proposito le affinità delle funzioni stabilite per questo Consiglio nella proposta dell’onorevole Mortati con quelle contenute nell’articolo 165 nella Costituzione di Weimar.

Conclude affermando che, se non si volesse pregiudicare in questo momento quella che potrà essere l’attività del futuro legislatore a seconda degli sviluppi dell’economia moderna, non si dovrebbe ora dare un riconoscimento specifico al Consiglio economico, senza che si sappia come nasca e come funzioni. Né gli sembra siano da mettere neanche lontanamente sullo stesso piano del Consiglio economico il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, organi che hanno indubbiamente funzioni di carattere costituzionale.

PERASSI è d’accordo che si debba rinviare alla legge il problema della istituzione dei Consigli ausiliari che ritiene non rientrino nella materia costituzionale. Quanto al Consiglio economico, pensa che una disposizione che lo riguardi, inserita nella Costituzione, dovrebbe avere soltanto il significato di impegnare il futuro legislatore alla creazione di questo organo: crede che non convengano maggiori precisazioni (a somiglianza di quanto fa la Costituzione francese) e che sia sufficiente l’affermazione che il Consiglio economico sarà un organo di carattere consultivo generale, il cui ordinamento sarà stabilito dalla legge.

NOBILE rileva ancora una volta l’opportunità di far menzione nella Costituzione anche dei Consigli ausiliari e tecnici i quali, oggi che lo Stato esercita tante funzioni di carattere tecnico ed anche industriale, dovrebbero assumere un’importanza ben maggiore di quella che hanno i Consigli attualmente esistenti, i quali andrebbero riformati, perché non rispondono più alle moderne esigenze. Di quei Consigli dovrebbero essere chiamati a far parte non solo i rappresentanti delle industrie, ma gli esperti, in modo che veramente riuscissero di aiuto allo Stato. Crede anzi che il vantaggio che da tali istituti si potrebbe ricavare sarebbe maggiore, se alle funzioni puramente consultive ora ad essi affidate si volessero aggiungere, in determinati casi, funzioni deliberative.

PRESIDENTE rilegge l’emendamento presentato dall’onorevole Nobile nella precedente seduta:

«Presso le singole Amministrazioni centrali o gruppi di esse, funzioneranno come organi superiori tecnici, dei Consigli, i cui compiti, composizione e ordinamento saranno determinati dalla legge.

«I Consigli suddetti, su richiesta del Parlamento, daranno parere su disegni o proposte di legge».

Poiché tali Consigli ausiliari di fatto già esistono, si pone, se mai, il problema della loro riorganizzazione, che potrà essere affrontato dal Parlamento senza la necessità di inserire nella Costituzione una disposizione al riguardo. Tale necessità è più sentita invece per quanto riflette il Consiglio economico; ed avverte che anche per questo l’onorevole Nobile ha presentato una proposta di emendamento del seguente tenore:

«A collaborare col Governo e col Parlamento per tutte le questioni di carattere economico, sarà istituito un Consiglio economico con funzioni consultive. Il suo ordinamento, composizione e nomina saranno fissati dalla legge».

Fa notare come questa proposta si avvicini moltissimo alla prima parte della proposta dell’onorevole Bulloni.

Aggiunge che presenta anch’egli una formulazione la quale si allontana, ancor più di quella dell’onorevole Bulloni, dalla formula originaria dell’onorevole Mortati, e ne dà lettura:

«Un Consiglio economico il cui ordinamento sarà stabilito dalla legge, funzionerà sia per la consulenza in materia economica del Parlamento e del Governo, sia per quegli altri compiti che gli vengano legislativamente attribuiti».

NOBILE ritira la sua proposta.

MORTATI, circa i Consigli ausiliari – ai quali si è negata una rilevanza costituzionale – ritiene che si dovrebbe prima risolvere il quesito sulla opportunità di chiamare a concorrere, accanto agli organi amministrativi, organi di natura elettiva. Se tale principio si dovesse ammettere, esso avrebbe senza dubbio carattere costituzionale.

Anche per il Consiglio economico – che non vorrebbe fosse un organo burocratico – crede sarebbe opportuno affermare il principio della elettività dei suoi membri, perché anche questa è materia di Costituzione e tale da vincolare il futuro legislatore. Riguardo alle sue funzioni, oltre la facoltà di dare pareri, di cui qualcuno si potrebbe pensare vincolante, non ritiene sarebbe opportuno escludere a priori il principio di conferirgli il potere di iniziativa per progetti di legge. Dichiara inoltre che sarebbe importante sapere se questo Consiglio economico debba assorbire o meno un eventuale Consiglio del lavoro, perché in caso affermativo – per il quale egli propende – sorgerebbe l’altro problema della sua competenza in materia di rapporti di lavoro, al quale si riconnette il principio dell’arbitrato. Desidererebbe che la Commissione esprimesse il suo parere al riguardo.

PRESIDENTE ritiene che sui primi tre quesiti posti dall’onorevole Mortati (elettività dei membri dei Consigli ausiliari ed economico – potere d’iniziativa – arbitrato) la Commissione potrebbe decidere.

Egli personalmente è favorevole ad inserire nella Costituzione il principio della elettività dei membri, almeno in parte, del Consiglio economico ed anche dei Consigli ausiliari, qualora si fosse d’accordo di inserirne l’indicazione nella Costituzione. Si dichiara però contrario ad attribuire un diritto di iniziativa legislativa sia al Consiglio economico che a quelli ausiliari, come è contrario ad affidare al Consiglio economico il compito dell’arbitrato. Quanto al quarto quesito, relativo al Consiglio del lavoro, ritiene che sarebbe difficile pronunziarsi, perché questo Consiglio del lavoro, costituito con disposizione legislativa, potrebbe con una nuova legge vedersi tolti tutti o parte dei suoi compiti che potrebbero essere trasferiti ad altri organi.

Nota però che, secondo la sua proposta, resterebbe sempre aperta la via al trasferimento di funzioni al Consiglio economico, in quanto in essa è detto che il Consiglio economico funzionerà anche «per quegli altri compiti che gli vengano legislativamente attribuiti».

FABBRI non è personalmente contrario al principio elettivo nella forma più larga di applicazione, ma in questo caso, considerata l’importanza dell’organo che riflette l’economia dell’intero Paese e dato che non si conoscono gli elettori, né quale sistema di elezione sarà applicato, non crede si possa inserire tale Consiglio nella Costituzione. A suo avviso, tanto varrebbe allora consentire che i membri di questo Consiglio siano nominati dal Parlamento, dagli organi professionali, dalle associazioni sindacali, ecc., quantunque anche questo sistema non dia grande affidamento, perché non si conosce il peso delle aziende che rientrano in talune categorie che designano i rappresentanti. Esprime perciò i suoi dubbi circa questa designazione elettiva, che sarà facile inserire nella Costituzione, ma che in pratica potrà condurre ad una situazione del tutto caotica.

PRESIDENTE fa notare che una indicazione approssimativa sul sistema di elezione di questi Consigli è inclusa nella proposta dell’onorevole Mortati e che nessuno ha mai pensato ad una elezione e suffragio universale.

LACONI osserva che nessuno potrebbe negare la propria adesione al principio dell’elettività, ma ritiene che si potranno verificare anche qui le stesse difficoltà pratiche che si prospettarono quando si discusse sul sistema di elezione della seconda Camera sulla base delle categorie di interessi: basterebbe cioè un’alterazione della proporzione fra le varie parti, perché fosse tradito il principio della elettività e della democraticità dell’organo e consentito qualsiasi arbitrio: senza dire che si costituirebbe qualche cosa di monco, se contemporaneamente si sottraesse alla competenza della Costituzione la parte che riguarda la composizione di questo nuovo organo e la proporzione tra le varie categorie. E perciò d’opinione che non se ne debba parlare nella Costituzione.

MORTATI osserva che all’inconveniente lamentato dall’onorevole Laconi non si ovvia non dicendo niente nella Costituzione, perché in tal caso l’arbitrio del legislatore sarebbe ancora più largo.

PRESIDENTE pone in votazione i seguenti principî:

che si debba inserire nel testo della Costituzione una norma relativa ai Consigli ausiliari e tecnici;

(Non è approvato).

che si debba inserire nel testo della Costituzione una norma relativa al Consiglio economico;

(È approvato).

che in questa disposizione dovrà essere contenuta l’indicazione relativa al modo elettivo di formazione del Consiglio economico.

BOZZI dichiara di astenersi.

(Non è approvato).

PRESIDENTE pone in votazione i principî:

che si debba inserire nel testo della Costituzione una norma secondo la quale il Consiglio economico abbia diritto di iniziativa legislativa;

(Non è approvato).

che il Consiglio economico debba avere costituzionalmente la facoltà di esercitare l’arbitrato nelle controversie di lavoro;

(Non è approvato).

che si debba inserire nella Costituzione una norma secondo la quale al Consiglio economico siano affidati i compiti propri del Consiglio del lavoro.

(Non è approvato).

Dovrebbe porre in votazione la proposta dell’onorevole Lussu.

LUSSU dichiara di ritirarla.

PRESIDENTE dà allora lettura e pone in votazione la formula da lui proposta:

«Un Consiglio economico, il cui ordinamento sarà stabilito dalla legge, funzionerà sia per la consulenza in materia economica del Parlamento e del Governo, sia per quegli altri compiti che gli vengano legislativamente attribuiti».

(È approvato).

EINAUDI, premessa la sua piena adesione alla proposta di soppressione degli Ordini cavallereschi, da lui auspicata fin da trent’anni fa, ricorda come l’articolo 78 dello Statuto albertino contiene un paragrafo in cui è detto che le dotazioni di questi Ordini non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla relativa istituzione. Fa presente che questa disposizione ha salvato l’Ordine Mauriziano come istituto ospitaliero. Rammenta l’importanza delle proprietà immobiliari dell’Ordine in Piemonte e come con i redditi di quelle, conservate attraverso i secoli per l’esistenza di quella disposizione vincolante, esso provveda al mantenimento di numerose opere ospitaliere. Ricorda pure che una tale disposizione riproduce, senza saperlo, la norma di un vecchio statuto della Regina Elisabetta d’Inghilterra, in forza della quale gli istituti delle Università di Oxford e di Cambridge non potevano vendere i loro beni immobiliari. Propone pertanto che nelle disposizioni transitorie della Carta costituzionale si inserisca un articolo il quale dica semplicemente che l’Ordine Mauriziano è mantenuto come organo autonomo ospitaliero, e che le dotazioni delle quali presentemente gode non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalle proprie istituzioni e che il suo ordinamento è regolato dalla legge. Dichiara che, conservando all’istituto soltanto la funzione ospitaliera di assistenza e beneficenza, non solo si farà cosa molto grata ai piemontesi, ma si darà loro modo di continuare, con lasciti e doni, ad accrescere ancora il patrimonio di questa istituzione tanto cara al loro cuore.

RUINI ritiene che quando si disporrà sulla questione della Consulta Araldica e sulla abolizione dei titoli nobiliari e cavallereschi, si potrà aggiungere una norma la quale specifichi che l’Ordine Mauriziano rimane unicamente con funzione ospitaliera: in tal modo pensa che la norma possa giustificarsi. Propone però che si tolga l’aggettivo «autonomo»: si dica cioè che l’Ordine Mauriziano è mantenuto come ente ospitaliero, riassumendo anche la parte centrale della proposta dell’onorevole Einaudi.

LACONI osserva che lo scioglimento degli Ordini cavallereschi, così come altre disposizioni della Costituzione, importeranno conseguenze finanziarie e amministrative. Non ritiene perciò che si possa introdurre nella Costituzione una norma limitata ad un Ordine particolare: è la legge che provvederà a regolare l’amministrazione di tutti i patrimoni degli Ordini cavallereschi e quindi anche quello dell’Ordine Mauriziano.

PRESIDENTE osserva che tra gli Ordini cavallereschi soltanto quello Mauriziano ha un patrimonio. Non crede molto valida l’osservazione dell’onorevole Laconi: appunto per evitare che con una disposizione di carattere generale venga disperso il patrimonio di un ente ospitaliero, si può ritenere in questa sede di dare una garanzia immediata inserendo una disposizione particolare non nella Costituzione vera e propria, ma nelle disposizioni transitorie.

NOBILE rileva che le preoccupazioni espresse dall’onorevole Laconi potranno essere superate con la considerazione che una norma del genere presa per l’Ordine Mauriziano non comporta la sua estensione a tutti gli altri Ordini cavallereschi, perché essi non hanno un patrimonio. Sarebbe, a suo parere, ingiusto che non si facesse nulla per tutelare il patrimonio di un ente così antico e così benemerito.

LUSSU voterà contro la proposta dell’onorevole Einaudi, perché ritiene che non sia il caso di introdurre nella Costituzione una norma la quale fissi il nome e le funzioni di un istituto. Non vede neanche la ragione per cui dovrebbe essere conservato il ricordo del nome di quest’Ordine.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Einaudi, la cui esatta formulazione è rinviata al Comitato di coordinamento, di inserire come norma transitoria nella Costituzione un articolo del seguente tenore:

«L’Ordine Mauriziano è conservato come ente ospitaliero e le dotazioni delle quali presentemente gode non possono essere impiegate in altro uso fuori che in quello prefisso dalle proprie istituzioni. Il suo ordinamento è regolato dalla legge».

(È approvato).

PRESIDENTE ricorda che nella precedente seduta era stata lasciata in sospeso la questione relativa alla nomina del Presidente dei Presidenti di Sezione e dei Consiglieri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, per le quali cariche il progetto degli onorevoli Bozzi e Ambrosini prevede la nomina con decreto del Presidente della Repubblica fra cittadini appartenenti a categorie determinate dalla legge, su proposta delle Presidenze dei due rami del Parlamento, sentite rispettivamente l’Adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti.

NOBILE ricorda di aver presentato a questo proposito un emendamento che ritira, proponendosi di ripresentarlo alla Commissione plenaria. Spiega che aveva presentato quella proposta per il timore che la nomina alle alte cariche divenisse arbitraria e che perciò si potessero ledere le legittime aspettative dei funzionari i quali si vedevano preclusa la possibilità di accedere ai gradi superiori: comprende però essere opportuno che alla direzione suprema di questi istituti si proceda per via elettiva.

BOZZI fa presente che, attualmente, tanto il Consiglio di Stato che la Corte dei conti reclutano i loro funzionari in parte per concorso e in parte per scelta diretta tra determinate categorie di alti funzionari, studiosi di diritto e persone di chiara competenza. Ricorda che la proposta da lui presentata insieme all’onorevole Ambrosini stabilisce che queste nomine devono essere fatte «fra cittadini appartenenti a categorie determinate dalla legge»; il che vuol significare che la legge determinerà anche la quota di tali nomine per coloro che entrano mediante concorso. In tal modo il principio prospettato dall’onorevole Nobile resta salvaguardato.

RUINI osserva che presentemente il Governo può formalmente nominare alle alte cariche dei due istituti chiunque esso vuole, eccetto una aliquota riservata ai referendari entrati per concorso. Non crede inopportuno stabilire delle norme a questo fine, perché bisogna decidersi: o si accetta la formula latissima proposta dall’onorevole Mortati, secondo la quale la legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dell’istituto e dei suoi componenti di fronte al Governo; o si entra in specificazioni, secondo la proposta degli onorevoli Bozzi e Ambrosini. In quest’ultimo caso però ritiene che si debba esplicitamente prevedere anche la garanzia della inamovibilità. Ricorda pure che per la Corte dei conti esiste già una norma secondo la quale i Magistrati di essa non possono essere rimossi se non col parere favorevole di una Commissione costituita dalla Presidenza delle due Camere. Non ha niente in contrario a che a questa garanzia si unisca la designazione dei corpi legislativi e il parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato o delle Sezioni riunite della Corte dei conti per procedere alla nomina delle più alte cariche da parte del Presidente della Repubblica.

EINAUDI si associa all’onorevole Ruini per ciò che riguarda l’inamovibilità, condizione che ritiene necessaria per i Magistrati che hanno funzioni elevate. Quanto al metodo di elezione, vorrebbe fosse chiarito se si tratta di un parere da chiedere alla Presidenza delle due Camere o di una vera e propria elezione da parte loro: forse si potrebbe integrare il Consiglio di Presidenza delle due Camere con la Presidenza delle Commissioni giudiziarie dei due rami del Parlamento.

RUINI osserva che nel progetto degli onorevoli Bozzi e Ambrosini si dice: «su proposta delle Presidenze dei due rami del Parlamento»; ma, trattandosi di assicurare l’indipendenza dei due istituti, la proposta per la nomina dei magistrati dovrebbe seguire la via più logica, provenire cioè dal seno stesso dei due istituti: le Presidenze dei due rami del Parlamento delibererebbero sulle proposte stesse.

LACONI osserva che il Consiglio di Stato, oltre ad essere organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo, esercita altre funzioni che sono di carattere giurisdizionale, cioè, in sostanza, un controllo sulla attività amministrativa del Governo; anzi – come rilevava l’onorevole Bozzi – mano mano che si va avanti nel tempo e nell’attuazione di determinate riforme nella struttura sociale ed economica del Paese, dovrà sempre più aumentare quella sfera di discrezionalità che deve essere affidata al Governo per la sua attività amministrativa. Per la stessa ragione il Consiglio di Stato vedrà crescere sempre più le sue competenze e prenderà sempre maggiore importanza il sindacato sull’opera del Governo. Soggiunge che a nessuno può sfuggire che il carattere di questo sindacato non è soltanto tecnico, ma è anche politico; onde tale istituto non si può concepire come organo puramente tecnico di magistrati che seguono la loro carriera, ma come organo profondamente sensibile alle esigenze del Paese e della sua evoluzione politica, a meno che non si aderisca al concetto di fare entrare il Parlamento nella designazione delle più alte cariche o si accetti la proposta dell’onorevole Ruini di includere fra le altre garanzie quella della inamovibilità. In aderenza a questa intima natura dell’ente, per dare ad esso un aspetto appropriato alle funzioni che è chiamato a svolgere di sindacato sull’attività del Governo, in modo che possa esercitarle con autorità e competenza, ritiene che la proposta degli onorevoli Bozzi e Ambrosini debba essere modificata nel senso che non la semplice designazione, ma la elezione debba provenire, non dalle Presidenze delle due Camere, ma dal Parlamento, in modo da farne una vera e propria emanazione di questo. Il Consiglio di Stato deve, a suo giudizio, rispondere infatti a due esigenze ed avere perciò non soltanto la competenza tecnica per giudicare la rispondenza di un atto del Governo alla legge, ma anche una investitura politica, in quanto continua il sindacato politico che il Parlamento ha iniziato. Per queste ragioni ritiene che la proposta degli onorevoli Bozzi e Ambrosini debba essere modificata nel senso che il Presidente, i Presidenti di Sezioni ed i Consiglieri di Stato e della Corte dei conti, nonché i Procuratori generali di quest’ultima, debbano essere nominati con decreto del Presidente della Repubblica fra cittadini appartenenti a determinate categorie soltanto su designazione delle due Camere. Propone quindi la soppressione delle parole: «sentite rispettivamente l’Adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti».

MORTATI ritiene che, fissando nella Costituzione soltanto che «la legge determina le condizioni necessarie per assicurare l’indipendenza degli istituti e dei suoi componenti di fronte al Governo», si compirebbe opera più proficua, evitando di scendere ad una regolamentazione minuziosa. Dichiara che non è esatto tutto quanto ha accennato l’onorevole Laconi: la Corte dei conti in maniera speciale, esercita un controllo di legittimità, non ha ingerenza sul merito del provvedimento e non ha competenza ad esprimere un apprezzamento di carattere politico.

NOBILE fa presente che egli era andato ancora più in là di quanto ha detto l’onorevole Laconi, perché nel suo emendamento aveva proposto che le nomine di cui si tratta fossero addirittura di competenza della Camera, partendo però dal timore di un possibile arbitrario delle Presidenze delle due Camere. Ad ogni modo ritiene che la proposta migliore sia quella dell’onorevole Mortati, di rinviare alla legge.

BOZZI ricorda la lunga discussione avvenuta su questa questione in seno alla seconda Sezione della Sottocommissione e come si finì per decidere di non parlarne nella Costituzione e di rinviare alla legge. Esaminando la funzione di questi istituti sotto l’aspetto del controllo che esercitano sull’attività del Governo, ritiene che in realtà si tratta di una funzione di controllo unitario, e che la visione prospettata dall’onorevole Laconi – per tanti rispetti apprezzabile – sia un po’ troppo unilaterale. Aderisce alla proposta dell’onorevole Mortati, di fare nella Costituzione un brevissimo accenno alla garanzia della indipendenza di tali istituti.

RUINI obietta all’onorevole Laconi che se questi organi di controllo sull’attività del Governo sono costituiti su basi mutevoli a seconda del succedersi di determinati partiti al Governo, come avviene se sono costituiti soltanto su designazione del Parlamento, si viene a distruggere l’amministrazione stessa di cui essi sono i consulenti, perché i criteri del buon andamento dell’amministrazione non coincidono col puro indirizzo politico. Ricorda che è stato approvato il concetto che tutti i funzionari debbano essere indipendenti da ogni partito: se ora si stabilisce che questi magistrati debbono essere eletti dal Parlamento, questa indipendenza di fatto non ci sarà più. La proposta dell’onorevole Bozzi non comporta una ingerenza politica nelle nomine, perché richiede soltanto l’assenso di un determinato organo: ritiene però che si debba preferire la formula dell’onorevole Mortati, aggiungendo l’accenno alla inamovibilità.

FABBRI si dichiara d’accordo nel rinviare la questione alla legge, purché siano specificate le esigenze dell’indipendenza e della inamovibilità, che sono essenziali per dare la caratteristica di magistrati ai membri dei due istituti.

PRESIDENTE osserva che nel concetto di indipendenza è compreso anche quello di inamovibilità. Se eventualmente si volesse aggiungere qualche cosa di più, ritiene personalmente che bisognerebbe aggiungere qualche richiamo a quanto hanno detto gli onorevoli Laconi e Bozzi, che tuttavia è difficile riassumere in poche parole. Nella difficoltà di questa indicazione, ritiene sufficiente parlare di indipendenza.

Rilegge la formula dell’onorevole Mortati:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza degli istituti e dei loro componenti di fronte al Governo».

LUSSU domanda se non sia pleonastico dire «di fronte al Governo».

PRESIDENTE rileva che tale specificazione è opportuna, affinché risulti chiaro che è il Governo che è controllato e non il Parlamento: con questa indicazione si stabiliscono anche certi limiti alle norme che dovranno esser redatte.

Pone ai voti la formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

Comunica, che, a proposito della questione riguardante il controllo esercitato dalla Corte dei conti sulle Amministrazioni dipendenti dallo Stato, questione che ha già formato oggetto di una deliberazione da parte della Sottocommissione, l’onorevole Nobile aveva presentato un emendamento del seguente tenore:

«Le norme per il controllo finanziario sulle Amministrazioni autonome dipendenti dallo Stato saranno oggetto di particolari statuti di tali enti».

NOBILE chiarisce che il suo emendamento ha avuto origine dal fatto di avere egli creduto che, con la formula approvata, si intendesse estendere il controllo della Corte dei conti anche a quelle Amministrazioni le quali, pur essendo dipendenti dallo Stato, sono autonome ed hanno un carattere prevalentemente industriale, come ad esempio le Ferrovie dello Stato: aveva perciò ritenuto che per queste Amministrazioni il controllo finanziario dovesse essere stabilito in statuti particolari di queste stesse Amministrazioni, perché, se lo Stato esercita una attività industriale, si devono seguire anche nei suoi confronti metodi industriali, e quindi le Amministrazioni delle sue aziende debbono essere distinte dal resto dell’Amministrazione anche per ciò che si riferisce al controllo.

MORTATI osserva che le aziende a cui allude l’onorevole Nobile, come ad esempio le Ferrovie dello Stato, sono aziende statali autonome che hanno un proprio ordinamento; ma esse sono comprese nel bilancio dello Stato, sono incorporate nell’Amministrazione dello Stato ed in ogni modo collegate con l’Amministrazione centrale e quindi subiscono il controllo della Corte dei conti, sia pure in una forma particolare. Aggiunge che appunto perciò presso le Ferrovie, come presso altri enti, vi sono uffici distaccati della Corte dei conti.

RUINI ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Nobile sia rimossa se si considera che in realtà vi è un pullulare di enti parastatali i quali sfuggono a qualunque controllo da parte dello Stato. D’altra parte rileva che l’aver detto, come nella formula approvata, che la Corte dei conti esercita il controllo anche sugli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria nei limiti stabiliti dalla legge, consentirà certamente una forma di controllo che non sarà molto pesante; perché dicendo «nei limiti stabiliti dalla legge» si dà la possibilità di esercitare questo controllo in una forma che potrà essere anche attenuata.

BOZZI osserva che, con la formula approvata, la legge potrà disporre che questo controllo sia esercitato in una maniera particolare: che vi sarà cioè un controllo decentrato e ridotto.

PRESIDENTE è d’avviso che non si possa pensare che certe Amministrazioni, pur essendo autonome, sfuggano a qualunque controllo, in quanto esso è ricollegato all’interesse pubblico: che del resto, anche ammessa la richiesta dell’onorevole Nobile, non è escluso che gli statuti particolari di tali enti possano prevedere un controllo della Corte dei conti. Occorrerebbe dire nettamente che per le Amministrazioni autonome dipendenti dallo Stato deve realizzarsi un controllo diverso da quello della Corte dei conti.

NOBILE non insiste nella sua proposta di emendamento.

PRESIDENTE dichiara che con ciò la Sottocommissione ha esaurito i temi deferiti al suo esame.

RUINI rileva che – secondo le norme seguite in altri Paesi durante la elaborazione della Costituzione – può darsi che questa Sottocommissione si debba ancora riunire per esaminare qualche questione che si risollevi in Assemblea costituente e che si ritenga debba esserle rinviata per una nuova decisione.

Ad ogni modo – sicuro di interpretare i sentimenti di tutta la Commissione plenaria – coglie l’occasione per rivolgere un elogio ed un plauso all’opera svolta da questa Sottocommissione, la quale ha affrontato problemi di così vasta portata, come ad esempio quello sulle autonomie regionali, che avrebbero richiesto un ben più lungo periodo di tempo per la loro soluzione. Deve riconoscere che il lavoro della Sottocommissione è stato adempiuto con grande coscienziosità e nel periodo di tempo strettamente necessario; e che questo risultato si è potuto raggiungere anche per l’opera svolta dal Presidente Terracini, al quale rivolge l’espressione del suo compiacimento più vivo, perché ha dimostrato quelle particolari attitudini che certamente saranno da lui spiegate anche in sede più alta.

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione, e gli onorevoli: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Froggio, Fuschini, Piccioni, Porzio, Uberti, Zuccarini.

MARTEDÌ 28 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

86.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 28 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Consigli ausiliari e Consiglio economico (Discussione)

Presidente – Einaudi – Nobile – Fabbri – Bulloni – Laconi – Tosato – Bozzi – La Rocca – Ravagnan – Mannironi – Perassi – Mortati.

La seduta comincia alle 17.50.

Discussione sui Consigli ausiliari e sul Consiglio economico.

 

PRESIDENTE legge e pone in discussione l’articolo 1 nel testo redatto dall’onorevole Mortati, riguardante i Consigli ausiliari e l’articolo riguardante il Consiglio economico nazionale:

«Sono costituiti presso le amministrazioni centrali o gruppi di esse Consigli ausiliari composti di rappresentanti eletti dal Parlamento, dalle associazioni sindacali, dagli ordini professionali o anche da altri enti, secondo le determinazioni che saranno fatte dalla legge.

«Tali Consigli, o separatamente, o per gruppi, o riuniti in Consiglio Generale, collaborano con il Parlamento, dando i pareri che siano ad essi richiesti su disegni o proposte di legge, o predisponendo progetti legislativi, su richiesta del Parlamento o del Governo, o di propria iniziativa. Questi ultimi, anche ove il Governo non consenta in essi, sono sottoposti alla stessa procedura delle iniziative legislative dei membri del Parlamento.

«Ciascuna Camera può disporre che sui progetti che siano corredati dalla relazione di un Consiglio non si proceda all’esame preventivo delle Commissioni di cui all’articolo 27.

«Il Parlamento può conferire per tempo limitato ai Consigli il potere di predisporre regolamenti esecutivi di singole leggi, i quali diverranno efficaci quando siano firmati e promulgati dal Capo dello Stato, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

«I Consigli sono altresì organi ordinari di consulenza del Governo».

«I Consigli ausiliari collegati con servizi di carattere economico, insieme riuniti, formano il Consiglio economico nazionale.

«Esso, oltre alle funzioni previste dal precedente articolo, può essere autorizzato a compiere inchieste ed altresì venire incaricato, su richiesta delle parti interessate, di funzionare come organo arbitrale nelle controversie di carattere economico.

«Sono sottoposti alla ratifica del Consiglio economico, con le modalità che saranno stabilite dalla legge, i contratti collettivi di lavoro, in quanto essi siano suscettibili di ripercuotersi, attraverso aumenti dei prezzi, su tutta l’economia nazionale.

«È obbligatoria l’audizione del parere del Consiglio economico per tutti i progetti diretti a disciplinare in modo unitario l’attività produttiva del Paese».

EINAUDI domanda in primo luogo come saranno regolati i rapporti tra questi Consigli ausiliari che si vogliono costituire ed i vari Consigli già esistenti, sorti in seguito a determinate esigenze che si sono manifestate; Consigli che hanno ciascuno una storia, una propria funzione, una propria fisonomia, che in gran parte sono composti di tecnici, e che in qualche caso – ad esempio per la Commissione centrale delle imposte – esercitano anche una funzione giurisdizionale. Ritiene che non sia facile effettuare questo agganciamento o questa trasformazione, specialmente per quelli che esercitano funzioni giurisdizionali.

In secondo luogo teme che possano nascere conflitti di competenza, per il fatto che un parere preventivo di questi Consigli, prevalentemente sostanziale e tecnico, non si sa se verrebbe a far cadere la necessità del parere preventivo del Consiglio di Stato, di natura essenzialmente giuridica.

Richiama inoltre l’attenzione sul comma in cui si dice che ciascuna Camera può disporre che sui progetti che siano corredati dalla relazione di uno di questi Consigli non si proceda all’esame preventivo delle Commissioni di cui all’articolo 27, poiché non crede che si possa prescindere dalla procedura normale per l’esame dei disegni di legge.

Rileva, infine, che non vi è ragione di chiamare «ausiliari» i Consigli previsti nel primo articolo: direbbe soltanto «Consigli», poiché si tratta di organi che danno pareri.

NOBILE è perplesso, perché teme che questi Consigli ausiliari possano a poco a poco sostituire le Commissioni delle Camere. È convinto della utilità di questi Consigli come organi consultivi, ma non crede si possa concedere ad essi, alla leggera, così importanti facoltà, quale l’iniziativa di progetti legislativi e la formazione di regolamenti esecutivi di singole leggi.

PRESIDENTE manifesta la sua impressione che, con questo articolo, si inficino troppo gravemente i poteri e l’autorità del Parlamento, e che non si tratti più di organi consultivi, ma di nuovi strumenti che si inseriscano nella struttura generale dello Stato ed ai quali si affidino compiti riservati ad altri organi. Infatti, è detto che questi Consigli collaborano col Parlamento – e si deve intendere una collaborazione su un piede di eguaglianza –; predispongono progetti legislativi di propria iniziativa, a somiglianza dell’iniziativa parlamentare; e sottraggono alla normale procedura parlamentare i progetti corredati di una loro relazione.

Pur accettando, anche per il modo di loro formazione, il criterio della costituzione di questi organismi, non ritiene che essi debbano invadere il campo riservato al Parlamento, la cui autorità in materia legislativa deve restare assolutamente intangibile.

FABBRI pensa che, con i due articoli proposti – uno sui Consigli ausiliari, l’altro sul Consiglio economico – si pretenda di colmare quella che alcuni ritengono una lacuna della Carta costituzionale, risolvendo con essi i due gravi problemi dell’ordinamento sindacale che sbocca nel contratto collettivo di lavoro e dell’ordinamento corporativo. Rileva la impreparazione dell’Assemblea all’esame intrinseco di tali problemi, e la inopportunità di creare vere e proprie fonti normative di diritto, poiché, se i contratti collettivi di lavoro sono sottoposti al Consiglio economico «in quanto siano suscettibili di ripercuotersi, attraverso aumenti di prezzi, su tutta l’economia nazionale», tali contratti finiscono per diventare legge per tutti. Osserva che, se pur si domanda il crisma del Consiglio economico per l’approvazione di questi contratti collettivi quando, in seguito ad un accordo tra le parti su un aumento dei prezzi, portano ad un danno rilevante per la popolazione, non si vede tuttavia come si potrebbe inficiare il contratto attraverso il mancato crisma, perché, per lo meno tra le parti contraenti, esso potrà sempre esser valido.

Ritiene in sostanza che la materia di tali Consigli possa essere affidata al futuro svolgimento legislativo, e che in ogni caso non si possano risolvere così alla leggera, con due soli articoli, questioni tanto importanti: tutto al più, tali articoli dovrebbero essere formulati in modo generico, senza stabilire principî che esautorassero completamente il Parlamento usurpandone le funzioni.

BULLONI si dichiara contrario all’articolo riguardante i Consigli ausiliari, sia perché rappresenta indubbiamente una menomazione dell’autorità del Parlamento, sia perché, creando organi su organi, si rendono più facili i contrasti. È favorevole invece al Consiglio economico, chiamato a dar parere su determinati casi e materie; ed approva il concetto che le parti possano demandargli in via amichevole la risoluzione delle controversie di lavoro.

LACONI osserva che questi Consigli ausiliari non sono concepiti come organi consultivi, ma come fonti di norme che, avendo la loro base nella struttura delle diverse organizzazioni, hanno determinati poteri. Non si tratta, dunque, in realtà di semplici Consigli tecnici, ma di organi rappresentativi di interessi, ed è facile immaginare il funzionamento di un organo costituito in tal modo: Sindacati e Parlamento eleggeranno persone in base a criteri politici o a particolari interessi di categoria, e le decisioni saranno soltanto determinate dal numero dei rappresentanti che ciascuna parte potrà avere in seno a detti Consigli; cosa che nell’articolo non è affatto prevista.

Esamina poi le diverse disposizioni del primo articolo, ed al terzo comma rileva che il procedimento normale stabilito dalla Costituzione per la formazione delle leggi non può essere in alcun modo scavalcato o violato da Consigli dei quali, tra l’altro, s’ignora ancora la composizione che è rinviata ad una legge.

Per quanto riguarda il potere conferito a questi Consigli, di predisporre regolamenti esecutivi di singole leggi, ritiene che la procedura stabilita non sia accettabile: non si tratta, infatti, di un lavoro puramente formale, eseguito da parte di tecnici in seguito a mandato, ma piuttosto di una delega di poteri; perché, una volta eseguito il mandato, il Parlamento non è più chiamato a dare un giudizio sulla sua esecuzione, ed i regolamenti divengono efficaci con la sola firma del Capo dello Stato, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Ritiene perciò che l’articolo concernente i Consigli ausiliari possa essere ridotto soltanto all’ultimo comma, in cui è detto che tali Consigli sono organi ordinari di consulenza del Governo.

Per quanto poi attiene al Consiglio economico, osserva che la disposizione secondo la quale sono sottoposti alla sua ratifica i contratti collettivi di lavoro in quanto essi siano suscettibili di ripercuotersi, attraverso aumenti di prezzi, su tutta l’economia nazionale, non ha sicuro fondamento, in quanto non si vede come possa effettuarsi questa valutazione della ripercussione dei contratti collettivi su tutta l’economia nazionale. D’altra parte, connessa ai compiti che dovrebbe esercitare il Consiglio economico, egli vede tutta una concezione di carattere corporativistico che rappresenta il punto politico della questione e che ritiene debba essere completamente scartata.

TOSATO si dichiara favorevole, in linea di massima, alla proposta dell’onorevole Mortati, in quanto ha il merito di cercare di risolvere sistematicamente il problema della consulenza tecnica su determinate questioni, nei confronti del Governo ed eventualmente del Parlamento.

Rileva intanto – a chiarimento dei quesiti posti dall’onorevole Einaudi – che la proposta dell’onorevole Mortati introduce nella Costituzione un principio nuovo: quello di un rinnovamento e di un inquadramento più sistematico dei vari organi consultivi, che oggi sono costituiti in modo eterogeneo, con una compartecipazione di efficacia molto dubbia di tecnici e di Consiglieri di Stato, per la pretesa connessione tra questioni tecniche e questioni giuridiche. Rileva pure che la nomina dei membri di tali Consigli è oggi affidata esclusivamente al Governo, senza alcuna garanzia che essi possano veramente esprimere la viva voce del Paese per indirizzare l’attività dello Stato al di fuori della normale vita burocratica; ed inoltre che i vari Consigli tecnici – che possono essere ottimi singolarmente presi – mancano di un legame tra loro, ciò che è fonte di inevitabili contrasti.

Non ritiene poi giustificate le obiezioni sollevate circa una menomazione del potere sovrano del Parlamento, ed esaminando analiticamente i singoli punti dell’articolo, osserva al Presidente che la «collaborazione» di tali Consigli non significa che essi siano posti sullo stesso piano del Parlamento, ma soltanto che con i loro pareri partecipano in qualche modo al procedimento per la formazione della volontà dello Stato che deve bensì portare a decisioni politiche, ma tecnicamente maturate, in tutti i rami delle sue attività oggi così estese. Tale collaborazione, a suo giudizio, si può esercitare con una consulenza meramente facoltativa, la cui precisazione è affidata ad una legge che potrà, per certi casi, stabilirla anche obbligatoriamente, senza che con ciò il parere debba essere vincolante. Circa la obiezione sulla potestà di iniziativa concessa ai Consigli ausiliari, rileva che, se essa è ammessa per i Consigli regionali, non è possibile negarla ad organi i quali rappresentano il substrato motore di tutta l’attività dello Stato e che seguono da vicino i problemi che sorgono ogni giorno. Se si vuole che questi organi siano veramente efficienti, debbono avere un’attività propria, essere liberi di prospettare le varie esigenze che si presentano, essere indipendenti nel campo specifico di loro competenza tecnica, perché solo così potranno veramente giovare allo Stato. Non vede in ciò alcuna ragione di timore e nulla di contrastante con la Costituzione che si sta elaborando.

Osserva poi che il terzo comma, secondo il quale ciascuna Camera può disporre che sui progetti corredati della relazione di un Consiglio non si proceda all’esame preventivo delle Commissioni di cui all’articolo 27, significa che le Camere hanno la facoltà, non l’obbligo, di seguire questa procedura; la quale del resto è già stata prevista in altro caso, in quanto è stata già votata una norma secondo la quale si può – qualora la Camera lo decida – passare direttamente un progetto all’esame dell’Assemblea.

Venendo ad esaminare l’inciso che riguarda il potere di questi Consigli di predisporre regolamenti esecutivi, si chiede se, trattandosi di una legge su materia squisitamente tecnica, sia preferibile che il regolamento esecutivo venga preparato dalla burocrazia o da un Consiglio padrone della materia, dal momento che qui non si tratta di risolvere problemi politici. Nota che del resto è un potere rimesso alla piena discrezionalità del Parlamento, e che solleverebbe l’esecutivo da un’attività la quale diventa di giorno in giorno più importante e grave.

Non comprende come la proposta dell’onorevole Mortati possa aver sollevato tante preoccupazioni e conclude affermando che essa rappresenta un tentativo di modernizzare la macchina dello Stato, la quale è purtroppo uscita dalla Costituzione in esame con una impalcatura ed un aspetto un po’ antiquati rispetto alle esigenze moderne.

BOZZI, rilevata la collaborazione attiva e intensa che questi Consigli dovrebbero esercitare col Parlamento fino al punto di sostituire, in alcuni casi, gli organi normali di funzionamento del Parlamento stesso, osserva che questi nuovi organismi, come sono stati proposti dall’onorevole Mortati, costituiscono delle rappresentanze di interessi e di categorie, e che, pur collaborando in un campo che si dice essere tecnico, valuteranno in modo politico questi interessi tecnici, in quanto non vi è una linea di demarcazione netta fra tecnica e politica, tenuto conto soprattutto della facoltà di iniziativa in materie che si dicono tecniche. Se questo si vuole, si deve dirlo chiaramente.

Si dichiara poi contrario alla struttura d’insieme dell’articolazione proposta, anche perché teme che tali Consigli avranno una visione unilaterale dei vari problemi, ed andrebbero, se mai, raggruppati per poter avere da essi una valutazione complessiva ed armonica degli interessi generali del Paese. Ritiene però che qualche cosa di questo articolo debba rimanere e che si debba, perciò, restringerne la formulazione a ciò che risponde alla esigenza di raccordare la vita delle pubbliche Amministrazioni, che oggi si muove in una cerchia chiusa, a quelle che sono state chiamate le forze vive del Paese; in modo che questi Consigli, non più concepiti attraverso la rigida disciplina di collaborazione proposta, possano far sentire ai ministri che sono a capo delle varie amministrazioni la voce di particolari interessi che poi l’organo politico tradurrà in proposte di legge. Limiterebbe, perciò, la formulazione dell’articolo al primo comma, opportunamente adattato, nel senso di ammettere questi Consigli tecnici come organi di consulenza del ministro e come organi di raccordo fra le pubbliche amministrazioni ed il Paese.

EINAUDI si associa all’onorevole Bozzi, nel ritenere che questi corpi ausiliari si dovrebbero limitare a dare consigli intorno a quei problemi che veramente interessano la generalità del Paese. Si domanda poi che cosa potrebbero fare i rappresentanti eletti dal Parlamento, dalle associazioni sindacali e dagli organi professionali in Consigli, come ad esempio quelli delle miniere, quello di statistica o nella Commissione censuaria centrale, dove si tratteranno problemi che devono essere affrontati soltanto da tecnici della materia. Non approva, perciò, schemi rigidi di nomine fatte da enti diversi, le quali non condurrebbero al fine che ci si propone con la istituzione di questi Consigli ausiliari, e lascerebbe aperta la via all’Amministrazione di poter scegliere i vari membri che li comporranno nel modo che più si confà alle loro funzioni prettamente tecniche.

NOBILE non ha dubbi sul carattere dei Consigli ausiliari proposti dall’onorevole Mortati, che è quello di rappresentanza di interessi economici. Egli è d’opinione che oggi, affinché il Governo possa ben funzionare, vi sia bisogno di Consigli di carattere tecnico nel senso più lato. Rileva perciò la necessità di una legge speciale che riordini tutti i Consigli ora esistenti, li integri, ove occorra, e coordini le loro attività in un piano generale combinato tra i vari organi tecnici dei diversi Ministeri, in modo da avere buone leggi senza inutile sperpero di denaro.

Presenta la seguente proposta:

«Presso le singole Amministrazioni centrali o gruppi di esse, funzioneranno come organi superiori tecnici, dei Consigli, i cui compiti, composizione e ordinamento saranno determinati dalla legge.

«I Consigli suddetti, su richiesta del Parlamento, daranno parere su disegni o proposte di legge».

BULLONI fa la seguente proposta:

«Un Consiglio economico, il cui Statuto sarà stabilito dalla legge, esprimerà il proprio parere sui progetti di legge o sui regolamenti che gli saranno sottoposti dal Parlamento prima della deliberazione. Sarà organo ordinario di consulenza del Governo in materia economica.

«Funzionerà su richiesta delle parti, quale organo arbitrale nelle controversie del lavoro».

LA ROCCA sarebbe d’accordo con le proposte degli onorevoli Nobile e Bulloni, salvo, per quest’ultima, nella parte che riguarda l’arbitrato nelle controversie di lavoro. Ritiene si debba escludere in modo chiaro la creazione di Consigli ausiliari, dei quali non si conosce ancora esattamente la composizione e che praticamente diventano un altro organo legislativo. Vorrebbe invece che si addivenisse alla creazione di un organo con carattere di consulenza tecnica, per aiutare chi di ragione a risolvere problemi di interesse nazionale; a somiglianza di quello adottato in Francia, che dà pareri di consulenza, i quali possono essere accolti o respinti, senza alcun impegno da parte del Governo e del Parlamento.

RAVAGNAN ricorda che, quando si parlò della creazione di una seconda Camera rappresentativa degli interessi, egli espresse parere contrario, in quanto è d’opinione che una Camera siffatta non avrà sempre presente l’interesse generale della Nazione; e teme che ad un identico risultato si giungerebbe se si approvasse la proposta dell’onorevole Mortati. Non è però contrario al principio che si possa sentire, su determinate materie di particolare carattere tecnico, il parere di competenti o di interessati che potrà servire ad illuminare il legislatore. Ritiene che siano da respingere le disposizioni riguardanti l’eventualità di un procedimento all’infuori delle normali Commissioni della Camera e il potere dei Consigli di predisporre regolamenti esecutivi. Conclude, aderendo alle proposte degli onorevoli Nobile e Bulloni, ma crede si debba sopprimere in quest’ultima il comma riguardante l’arbitrato nelle controversie del lavoro.

FABBRI desidererebbe che vi fosse un concetto unico di ausiliarietà alla base di ambedue i tipi di Consigli previsti e che non vi fosse alcuna menomazione della competenza del Parlamento, nemmeno nella forma di una richiesta del Parlamento stesso o di una delega a questi Consigli, perché ciò implicherebbe una piena irresponsabilità per il Governo. Non aderisce al concetto della completa incompetenza del Parlamento nel campo economico e della necessità, quindi, di affidare in tali materie ad un Consiglio, il quale sarà forse più incompetente del Parlamento, e ciò specialmente per il modo arbitrario o problematico della sua formazione. Ritiene però che questi Consigli superiori tecnici od economici potrebbero essere utilizzati nelle controversie di categoria come organi arbitratori, nel caso che le legittime rappresentanze delle categorie stesse credessero di deferire loro la composizione delle vertenze. Propone la seguente formulazione:

«I Consigli superiori, tecnici od economici, esistenti presso le Amministrazioni centrali dello Stato, possono, nei casi e nelle forme indicati dalla legge, funzionare quali organi arbitratori di controversie collettive, la composizione delle quali venga loro deferita dalla rappresentanza delle categorie sindacali interessate».

MANNIRONI è favorevole, in linea di massima, alle proposte dell’onorevole Mortati. Ricorda che nelle Costituzioni di altri Stati sono previste forme diverse di Consigli o come rappresentanti di interessi di categorie, o come organi puramente tecnici, sempre con funzione consultiva, sia per il Governo che per il Parlamento. Rileva la inconsistenza delle preoccupazioni affacciate circa la menomazione dell’autorità e del prestigio del Parlamento, perché si tratta in genere di una facoltà di servirsi di questi Consigli quando lo si ritenga opportuno. Afferma che l’unico caso previsto di obbligatorietà di consulenza del Consiglio economico (quando si tratti di progetti diretti a disciplinare in modo unitario l’attività produttiva del Paese) non menoma egualmente l’autorità del Parlamento, poiché si tratta di parere consultivo e non vincolante. Dato ciò, ritiene che si potrebbe al più sintetizzare meglio l’articolo proposto dall’onorevole Mortati, mantenendo, peraltro, integre nei Consigli tutte le funzioni che egli ha voluto loro attribuire.

PERASSI ritiene, in primo luogo, che non sia opportuno, né desiderabile che questi Consigli superiori tecnici siano tutti formati con lo stesso criterio; egualmente non ritiene conveniente attribuire una iniziativa diretta a questi Consigli, quantunque in realtà non presenti nulla di grave il fatto che un ministro possa conferire ad essi un tale potere nella elaborazione di progetti che potrà poi fare propri. È inoltre d’avviso che non sia opportuna, o che sia per lo meno inutile, la disposizione contenuta nel terzo comma dell’articolo, poiché anche nell’ipotesi di progetti elaborati dai Consigli, che vengono direttamente portati alla Camera, sarà praticamente difficile che si possa prescindere dal procedimento normale. Si dichiara contrario al potere regolamentare eventualmente conferito dal Parlamento a tali Consigli, ammessa l’ipotesi che si possa entrare nel merito; poiché vi sono aspetti di un regolamento i quali probabilmente possono sfuggire alla competenza di un Consiglio Superiore, che può essere invece un ottimo elaboratore di regolamenti dal punto di vista tecnico: crede perciò opportuno che il regolamento esecutivo di una legge non debba essere sottratto alla procedura ordinaria. Conclude esprimendo l’avviso che si possa mettere nella Costituzione qualche formula generica relativa al Consiglio economico nazionale, in analogia a quanto è stato ammesso in altre Costituzioni, lasciando però alla legge di disciplinare quali ne saranno le funzioni e la composizione.

PRESIDENTE, circa la composizione dei Consigli ausiliari, osserva che nella proposta dell’onorevole Mortati vi è una mescolanza assolutamente inaccettabile di due elementi nettamente eterogenei: rappresentanti del Parlamento e rappresentanti di associazioni sindacali, di organi professionali, e di altri enti che saranno determinati dalla legge. Scartata l’idea che era sorta in lui, di un organo che potrebbe avere funzioni ispettive nell’Amministrazione pubblica, perché sarebbe fonte di perturbazioni e di mescolanza di fattori politici, crede si potrebbe pensare ad un Comitato tecnico, il quale dovrebbe però essere costituito su base completamente avulsa dal Parlamento, composto cioè di rappresentanti scelti tra coloro che adempiono funzioni amministrative in quel determinato ramo di attività che caratterizza un Ministero: siffatti organi sarebbero Comitati di consulenza non del Governo ma del Ministero, coadiutori del ministro. Chiede poi all’onorevole Mortati se, parlandosi di progetti corredati dalla relazione di un Consiglio, per i quali si può disporre che non si proceda all’esame preventivo delle Commissioni, si tratta di progetti elaborati dal Consiglio stesso o di progetti del Governo.

MORTATI dichiara che si tratta di progetti del Governo, accompagnati da una relazione dei Consigli ausiliari.

PRESIDENTE accetta la chiarificazione, per quanto essa non valga ai fini di esonerare tali progetti dalla procedura normale. Non ritiene poi opportuna la composizione proposta per il Consiglio economico, considerato quasi un coacervo dei vari Consigli tecnici: esso dovrebbe, a suo parere, avere un suo particolare modo di costituzione, perché deve rappresentare qualche cosa di più di un puro strumento tecnico, essendo, si può dire, il cervello economico della Nazione. Concludendo, si dichiara favorevole alla proposta dell’onorevole Bulloni, eccettuata la parte che riguarda l’arbitrato nelle controversie del lavoro, poiché in tale tema non è possibile pensare ad un organo precostituito: l’arbitro, a suo giudizio, deve essere scelto di volta in volta dalle parti.

EINAUDI, circa il Consiglio economico, conviene con il Presidente che i giudizi arbitrali non possano essere affidati ad organi precostituiti, in quanto l’arbitro deve riscuotere la fiducia delle due parti, affinché la sua decisione sia rispettata. Ricorda due soli esempi di arbitri precostituiti: quelli dell’Australia e della Nuova Zelanda, dove però tale funzione è affidata alla Magistratura, considerata assolutamente imparziale, per cui riscuote la fiducia delle parti: afferma che i risultati sono stati buoni, tanto che si è formata una giurisprudenza sulle sue decisioni, la quale serve ormai di orientamento. Osserva poi che il terzo comma, il quale dispone che sono sottoposte alla ratifica del Consiglio economico i contratti collettivi del lavoro «in quanto siano suscettibili di ripercuotersi, attraverso aumenti di prezzi, su tutta l’economia nazionale», non ha significato, poiché non esiste un contratto collettivo che non sia suscettibile di ripercuotersi sulla economia nazionale. Se invece si intendesse, attraverso questa forma un po’ oscura, stabilire la norma che tutti i contratti collettivi debbano avere la ratifica del Consiglio economico, non sarebbe favorevole ad una tale disposizione, in quanto si conferirebbero poteri larghissimi a questo nuovo Parlamento che si verrebbe a creare e che non si sa ancora bene di quali persone debba essere composto.

MORTATI riconosce la giustezza di molte delle osservazioni fatte, ma rileva che i due articoli da lui elaborati non dovevano servire a risolvere i problemi ora affrontati, bensì e soltanto di avviamento alla discussione di essi, che avrebbe dovuto essere lunga e approfondita in relazione all’importanza dei temi. Non ritiene però che le sue proposte – le quali fanno parte di una elaborazione di pensiero, sia dottrinale che di politica legislativa, patrimonio di tutta la civiltà economica moderna da circa mezzo secolo in qua – siano aberranti e debbano essere respinte a priori, ma che meritino invece una certa considerazione, anche se la loro formulazione possa essere talvolta difettosa; come il rinvio fatto alla legge per quanto riguarda la composizione dei Consigli ausiliari, punto fondamentale sul quale sarebbe stata opportuna un’intesa, che a suo giudizio è possibile. Circa il modo di inserzione di questi Consigli in quelli esistenti, nota che taluni di quest’ultimi non sono toccati dalle disposizioni in esame: ad esempio, i Consigli censuari ed in genere quelli che hanno funzioni giurisdizionali. Così crede non avrebbe ragione di essere un Consiglio ausiliario tecnico e giuridico, al quale aveva pur pensato, da costituirsi presso il Ministero della giustizia, con una base tecnica più larga di quella del Consiglio di Stato, dal momento che è stata attribuita a quest’ultimo tale consulenza. Quanto ai Consigli tecnici di studio, come quelli di statistica e quello delle miniere, potrebbero essere non esclusi da questa regolamentazione, poiché si tratta in sostanza di avvicinare la burocrazia al Paese. Rileva che il Presidente ha detto che dovrebbe trattarsi di una consulenza interna dei singoli Ministeri; ma nulla toglie che questa consulenza abbia compiti più vasti.

A suo parere poi non si menoma il prestigio e la dignità del Parlamento parlando di una collaborazione che è facoltativa; come non ritiene si debba negare ai Consigli, composti di elementi eletti da gruppi ben qualificati e rappresentanti, attraverso i gruppi, ben più di centomila persone, l’iniziativa della presentazione di un progetto di legge, per il quale si è in altra parte ammessa una iniziativa di sole 100.000 persone non qualificate.

Non comprende pure come la disposizione, la quale permette di prescindere dalla procedura delle Commissioni parlamentari, sia stata ritenuta aberrante, mentre invece rappresenta un tentativo di deflazionare ed abbreviare il procedimento legislativo: nota, del resto, che il ricorrervi è lasciato all’arbitrio esclusivo del Parlamento. Osserva inoltre, per quanto riguarda i regolamenti, che il termine «predisporre» vuol significare «preparare», nel senso di sottrarne la redazione materiale ad un corpo che può essere meno qualificato; mentre è il Consiglio dei Ministri che assume le responsabilità politiche ed eventualmente giuridiche di tale regolamentazione. Quindi, non vede in questa consulenza, in questa iniziativa ed in questo intervento dei Consigli ausiliari nulla che possa preoccupare e molto meno ledere la dignità del Parlamento.

Un più lungo esame richiederebbe, a suo parere, il Consiglio economico, a cominciare dal modo di sua formazione: se cioè esso debba essere formato, come è proposto, da una specie di sintesi dei vari elementi dei Consigli ausiliari o debba essere costituito in modo separato. Ritiene che una risposta a tale quesito sia condizionata ad un esame più approfondito sul modo di composizione dei Consigli ausiliari. Si tratta anche di accordarsi sulle funzioni particolari del Consiglio economico, ma ritiene intanto fondamentale il suo intervento nei rapporti di lavoro: accenna alla tendenza di sottrarre questi rapporti a qualsiasi regolamentazione, ma ritiene che invece si debba sempre tentare una composizione arbitrale. All’onorevole Fabbri, che parlava di un presupposto di organizzazione, risponde che nel progetto vi è il presupposto di questa disciplina che non è sogno o reminiscenza di un regime passato, ma inizio di consacrazione costituzionale da parte della nuova Carta.

Non intende affatto, con ciò, dichiararsi certo della bontà della sua proposta e comprende le accuse e le obiezioni fatte. Ricorda però che in Francia i contratti collettivi di lavoro sono sottoposti all’approvazione di un organo burocratico qual è il Ministro del lavoro.

PRESIDENTE osserva che la Francia è stata sempre più indietro dell’Italia in fatto di legislazione sociale.

MORTATI ritiene che il problema centrale sia appunto quello di vedere se lo Stato debba prescindere da qualsiasi tentativo di regolamentazione dei conflitti di forze sociali in cui è in giuoco tutta l’economia del Paese. Egli non vede ancora chiaramente il modo di realizzare tale regolamentazione, ma ritiene che sì debba tentarla, e la proposta da lui presentata ha appunto valore di avviamento ad una discussione più approfondita al riguardo.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Froggio, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Di Giovanni, Porzio, Zuccarini.

LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

85.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Calamandrei – Bozzi – Uberti – Fuschini – Mortati – Nobile – Tosato – Fabbri – La Rocca – Einaudi – Perassi – Conti.

La seduta comincia alle 18.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE fa presente che nella riunione odierna dovrà essere esaminato il progetto sul Consiglio di Stato e sulla Corte dei conti presentato dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini. Avverte che la seconda Sezione della Sottocommissione, che ha avuto l’incarico di redigere il progetto della Costituzione per la parte riguardante il potere giudiziario, ha già stabilito le norme relative alla attività giurisdizionale del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. La Sottocommissione, quindi, dovrà esaminare l’attività dei due organi anzidetti che non riguarda il campo giurisdizionale.

CALAMANDREI ricorda che nella seconda Sezione era stato proposto di trasformare le attuali Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti in Sezioni specializzate della giurisdizione ordinaria, i cui componenti avrebbero dovuto essere reclutati, per farli diventare magistrati, tra i funzionari aventi quella preparazione amministrativa o contabile che attualmente hanno i consiglieri dei due istituti anzidetti. Tale proposta fu respinta e fu deciso di mantenere le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti e del Consiglio di Stato come organi speciali di giurisdizione. Unica innovazione quella per la quale è stato ammesso che contro tutte le sentenze di tali giurisdizioni speciali è possibile ricorrere presso la Corte di cassazione, il che attualmente era consentito soltanto in alcuni casi.

PRESIDENTE mette in discussione l’articolo 1 del progetto presentato dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini:

«Il Consiglio di Stato è l’organo supremo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo.

«Esso dà parere su richiesta del Governo o del Parlamento nei casi previsti dalla legge sugli atti della Pubblica amministrazione, sulle norme giuridiche da emanarsi dal potere esecutivo nonché sui disegni di legge di iniziativa governativa.

«Il Governo può commettere al Consiglio di Stato la formulazione di progetti di legge e di regolamenti.

«Spetta, inoltre, al Consiglio di Stato la decisione dei ricorsi proposti contro gli atti illegittimi della Pubblica amministrazione nei termini fissati dalla legge».

BOZZI avverte che presso la seconda Sezione della Sottocommissione fu anche trattata la questione se la Costituzione dovesse, oppur no, contenere qualche norma circa il modo di composizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. A tale proposito egli fece una proposta, che è riprodotta nel progetto in esame, ma che la seconda Sezione non accolse, stabilendo che il modo di composizione dei due istituti anzidetti dovesse essere rimesso alla legge. Si discusse a lungo se tale legge dovesse essere oppure no una legge costituzionale e infine si decise che dovesse essere una legge ordinaria.

Circa le funzioni del Consiglio di Stato, si può affermare che esse hanno un carattere unitario, perché tale istituto, sia come organo consultivo che come organo giurisdizionale, esercita sempre una funzione di controllo, per quanto espressa, nei due casi, in modo diverso. Lo stesso si può dire per la Corte dei conti.

Fa presente che egli e l’onorevole Ambrosini credono necessario che nella Costituzione si abbia una delineazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, in cui siano chiaramente individuati la natura e i compiti di questi due fondamentali organi dello Stato.

Nel primo comma dell’articolo in esame si stabilisce che il Consiglio di Stato è «l’organo supremo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo». È sembrato opportuno di usare l’aggettivo «supremo», perché presso varie amministrazioni si hanno altri organi consultivi, con funzioni particolari e subordinate.

Nel secondo comma si ammette la possibilità che il Consiglio dì Stato sia chiamato a dare il suo parere su richiesta del Parlamento. Ciò costituisce una innovazione, perché attualmente il Consiglio di Stato dà pareri soltanto su richiesta del Governo. Si è pensato, ai fini di un perfezionamento delle leggi – che è un’esigenza quanto mai sentita – che il Parlamento possa valersi della speciale competenza del Consiglio di Stato, quando esso lo ritenga opportuno. Inutile dire che la richiesta del parere del Consiglio di Stato da parte del Parlamento riguarderà soltanto l’aspetto tecnico legislativo e non mai il contenuto politico di un dato provvedimento.

Nel terzo comma si prevede anche la possibilità che il Governo commetta al Consiglio di Stato la formulazione di progetti di legge e di regolamenti.

Nel quarto ed ultimo comma è stata riportata, con una formulazione diversa, la deliberazione già approvata dalla seconda Sezione della Sottocommissione riguardante la competenza del Consiglio di Stato a decidere sui ricorsi proposti contro gli alti illegittimi della Pubblica amministrazione. Resta da decidere se la disposizione contenuta in questo comma debba essere trasferita nella parte della Costituzione relativa al potere giudiziario o essere mantenuta fra le norme riguardanti direttamente il Consiglio di Stato.

UBERTI è contrario a che il Parlamento possa commettere al Consiglio di Stato la formulazione di progetti di legge e di regolamenti perché, così stabilendo, si attribuirebbe ad un organo avente funzioni consultive compiti di carattere legislativo. Naturalmente nulla potrà impedire al Parlamento di richiedere al Consiglio di Stato un parere su un dato provvedimento o la formulazione di un progetto di legge, ma non è opportuno parlarne nella Costituzione: una norma in tal senso potrebbe, infatti, sembrare originata da una sfiducia nel Parlamento nella sua qualità di organo legiferante.

BOZZI assicura che, secondo il suo intendimento e quello dell’onorevole Ambrosini, la disposizione dell’articolo in esame, a cui si è dichiarato contrario l’onorevole Uberti, non è stata dettata da un senso di sfiducia nel Parlamento. Intanto, la richiesta del parere del Consiglio di Stato da parte del Parlamento è facoltativa e il Parlamento non è affatto obbligato a seguire il parere espresso dal Consiglio di Stato, una volta che l’abbia richiesto. Ed è anche facoltativa la richiesta del Governo al Consiglio di Stato di formulare progetti di legge o di regolamento. Nell’uno e nell’altro caso, infine, si tratta sempre di una attività consultiva limitata a un campo strettamente giuridico-amministrativo. A suo avviso, quindi, le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Uberti non hanno ragione d’essere.

FUSCHINI propone che nell’articolo in esame siano soppressi il secondo e il terzo comma, perché ritiene necessario, per affermare l’autorità del Consiglio di Stato, che nella Costituzione siano inserite soltanto le disposizioni contenute nel primo e nell’ultimo comma dell’articolo anzidetto.

PRESIDENTE osserva che è necessario parlare del Consiglio di Stato nella Costituzione, in quanto questo è uno degli organi costituzionali d’importanza rilevante. È di accordo, però, con l’onorevole Fuschini nel ritenere che l’articolo in esame debba essere formulato in modo più conciso, come si conviene a una norma costituzionale. A suo avviso, il primo comma dovrebbe essere così redatto:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo e del Parlamento».

A tale comma dovrebbe seguire l’ultimo, contenuto nell’articolo presentato dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini, in cui si stabilisce la competenza del Consiglio di Stato a decidere sui ricorsi proposti contro gli atti illegittimi della Pubblica amministrazione.

MORTATI rileva, circa l’ultimo comma dell’articolo in esame, che riguarda la competenza giurisdizionale del Consiglio di Stato su cui si è già pronunciata la seconda Sezione, che è impreciso parlare di «atti illegittimi», e che pertanto bisognerebbe trovare una espressione più appropriata.

Si domanda poi se sia il caso di inserire nella Costituzione una norma che stabilisca la facoltà del Governo di valersi della consulenza giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato. Una simile disposizione non gli sembra di rilevanza costituzionale. Si dovrebbe fare parola nella Costituzione della richiesta del parere del Consiglio di Stato da parte del Governo, se tale richiesta dovesse essere obbligatoria; consacrare invece in una norma costituzionale la facoltà del Governo di richiedere pareri al Consiglio di Stato non gli sembra necessario. Si tratta, a suo avviso, di una materia che potrebbe essere riservata alla legge.

Ritiene eccessive le preoccupazioni manifestate dall’onorevole Uberti circa la facoltà del Governo di commettere al Consiglio di Stato la formulazione dei progetti di legge e dei regolamenti, secondo quanto dispone il terzo comma dell’articolo in esame, e ciò perché una tale facoltà riguarda solo un momento della formazione della legge. Ma anche in questo caso è da domandare se sia necessario includere una disposizione di questo genere nella Costituzione.

A suo avviso, il problema della consulenza giuridico-amministrativa del Consiglio di Stato rientra in quello più vasto di una consulenza tecnica che dovrebbe essere data, ai fini di un migliore coordinamento di ogni disegno di legge con il complesso della legislazione vigente, da un apposito organo da costituirsi, che potrebbe assumere il nome di Consiglio ausiliario giuridico. Una proposta di articolo in tal senso, da aggiungersi alla parte della Costituzione riguardante il potere legislativo, è già stata fatta da lui, ma egli non vi insiste, perché ha intenzione di trasformarla in raccomandazione al futuro legislatore. Ad ogni modo, prescindendo dalla questione anzidetta, dichiara di non comprendere la ragione per la quale il Consiglio di Stato non potrebbe sussistere senza un esplicito riconoscimento della sua esistenza nella Costituzione. Non ritiene, infatti, necessario che tutti gli organi amministrativi dello Stato trovino nella Costituzione la loro origine. Tali organi possono benissimo trovare la ragione della loro esistenza nella legge ordinaria, quando ciò non sia impedito espressamente da una norma della Costituzione. Le osservazioni fatte in proposito dal Presidente gli sembrano quindi infondate.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Mortati che, usando l’espressione: «Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo», non si stabilirebbe la competenza esclusiva del Consiglio di Stato stesso in materia di consulenza giuridico-amministrativa.

NOBILE si domanda se sia necessario non solo menzionare nella Costituzione il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, ma anche specificare con tanta precisione il loro modo di composizione, secondo quanto è stato proposto con gli articoli in esame dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini. A suo avviso, non si dovrebbe fare parola nella Costituzione del modo di composizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, perché in avvenire potrebbe sorgere la necessità di un cambiamento e allora si dovrebbe modificare la Costituzione.

Se poi si ritenesse opportuno menzionare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti nella Costituzione, ciò dovrebbe essere fatto in un solo articolo del seguente tenore:

«Sono organi ausiliari dello Stato il Consiglio di Stato, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa, e la Corte dei conti, come organo di controllo di legalità degli atti del Governo. Una legge specificherà i loro compiti e la loro composizione».

CALAMANDREI desidera sapere la ragione per la quale gli onorevoli Bozzi e Ambrosini hanno ritenuto opportuno di menzionare nella Costituzione il Consiglio di Stato come organo di consulenza giuridico-amministrativa e non altri organi consultivi quali, ad esempio, il Consiglio Superiore dell’istruzione pubblica, il Consiglio Superiore delle belle arti e quello dei lavori pubblici.

BOZZI dichiara che gli organi consultivi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Calamandrei sono menzionati in un altro articolo proposto dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE ritiene assolutamente necessario che nella Costituzione siano espressamente menzionati il Consiglio di Stato e la Corte dei conti e specificate le loro funzioni, per impedire che tali organi possano in qualche modo assumere o assorbire compiti che ad essi naturalmente non competono.

TOSATO è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati di non fare alcun accenno nella Costituzione alla funzione consultiva del Consiglio di Stato. Ritiene, infatti, che nella Costituzione debbano essere soltanto ricordati gli organi aventi funzioni costituzionali. Il Consiglio di Stato attualmente non ha funzioni simili. Potrebbe comprendere una norma riguardante il Consiglio di Stato, qualora si stabilisse l’obbligo di richiedere il suo parere almeno sui progetti di legge di iniziativa governativa, prima che essi siano sottoposti all’approvazione delle due Camere. In tal caso il parere del Consiglio di Stato assumerebbe un valore costituzionale, in quanto rappresenterebbe una determinata fase del procedimento di formazione delle leggi. Ma, allo stato attuale, le funzioni del Consiglio di Stato non hanno tale rilevanza costituzionale, essendo di carattere puramente consultivo in materia amministrativa. D’altra parte, le proposte degli onorevoli Bozzi e Ambrosini non mirano a dare un carattere costituzionale alle funzioni del Consiglio di Stato.

Indubbiamente è un’esigenza da tutti sentita quella di procedere con una certa omogeneità nella formulazione delle leggi. È da dubitare, però, che il Consiglio di Stato, così come esso attualmente è costituito, possa sodisfare a una simile esigenza. Si dovrebbe, a suo avviso, per ottenere una migliore formulazione delle leggi con criteri unitari, costituire un apposito Consiglio legislativo da inquadrare negli uffici della Presidenza del Consiglio. La soluzione di questo problema è però ancora prematura e non è il caso di pregiudicarla con decisioni affrettate. Anche in considerazione di ciò, è bene che il Consiglio di Stato continui a svolgere le sue funzioni attuali.

BOZZI fa presente all’onorevole Tosato che nel progetto della Costituzione non sempre sono state introdotte soltanto norme su materie di carattere costituzionale. Certamente non si può sostenere che il Consiglio di Stato sia un organo costituzionale nel senso tecnico della parola; tuttavia bisogna riconoscere che i rapporti prospettati nell’articolo in esame fra il Consiglio di Stato da una parte e, dall’altra, il Governo e il Parlamento hanno indubbiamente una rilevanza costituzionale. Osserva poi che si potrà sempre far fronte alle esigenze di una più estesa consulenza giuridico-amministrativa sugli atti del Governo con la formulazione da lui proposta insieme all’onorevole Ambrosini, se ciò dovesse rendersi necessario.

FABBRI propone di sostituire all’articolo in esame un altro così concepito:

«Il Consiglio di Stato è costituito a garanzia dei cittadini per l’attuazione della giustizia negli atti della Pubblica amministrazione.

«Le leggi regolano i casi, le forme e i termini per la richiesta di pareri, vincolanti o no, al Consiglio di Stato da parte del Governo e per la presentazione dei ricorsi contro atti dell’amministrazione da parte dei cittadini».

In tale formulazione si avrebbe una definizione riassuntiva delle due funzioni del Consiglio di Stato, quella consultiva e quella giurisdizionale. Non è del parere che alla parola «atti» debba essere aggiunta la parola «illegittimi», perché con ciò si escluderebbe il controllo di merito.

BOZZI trova troppo analitico il testo dell’articolo presentato dall’onorevole Fabbri, che sostanzialmente, del resto, riproduce la enunciazione proposta da lui e dall’onorevole Ambrosini, e pertanto, anche a nome di questo, dichiara di essere favorevole alla formulazione suggerita dal Presidente.

LA ROCCA ritiene che debba essere fissata nella Costituzione la competenza del Consiglio di Stato, in modo da impedire che quest’organo possa in avvenire assumere più estese attribuzioni. È pertanto favorevole a che nella Costituzione si faccia menzione del Consiglio di Stato con una formulazione il più possibilmente breve e precisa.

MORTATI dichiara che la sua proposta di non fare alcun accenno nella Costituzione alla funzione consultiva del Consiglio di Stato non sta a significare che egli intende abolire tale funzione.

EINAUDI è contrario alla proposta dell’onorevole Mortati e favorevole a quella del Presidente, perché ritiene che il problema dell’attribuzione ad altri organismi della funzione di dar pareri sulla formazione delle leggi non sia ancora abbastanza approfondita. In considerazione di ciò, è dell’avviso che nella Costituzione si debba far menzione della funzione consultiva del Consiglio di Stato.

La riorganizzazione del Consiglio di Stato all’epoca di Napoleone ebbe lo scopo di attribuire ad un unico Corpo il compito di dar pareri, non soltanto su questioni riguardanti la Pubblica amministrazione, ma anche sulla formazione delle leggi. Oggi che si prospetta l’opportunità di creare un altro Consiglio a cui affidare la mansione di esprimere pareri sulla formazione delle leggi, non si vorrebbe fare alcun accenno nella Costituzione alla funzione consultiva del Consiglio di Stato. Se un simile criterio dovesse essere accolto, si verrebbe indubbiamente a pregiudicare ciò che l’esperienza potrebbe suggerire di fare nell’avvenire.

Ricorda che il Consiglio di Stato fu creato solo per dare pareri: la funzione giurisdizionale gli fu attribuita in un secondo momento, dopo un celebre discorso di Silvio Spaventa.

Ritiene infine che con la formula proposta dal Presidente non si pregiudichi la possibilità della creazione di altri organismi che dovessero venire ad assumere la competenza del Consiglio di Stato.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta degli onorevoli Mortati e Tosato, secondo la quale nella Costituzione non si dovrebbe fare parola della funzione consultiva del Consiglio di Stato.

(Non è approvata).

Avverte che è ora in discussione la sua proposta per la quale l’articolo concernente la funzione consultiva del Consiglio di Stato dovrebbe essere così concepita:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo e del Parlamento».

Con l’accoglimento della proposta anzidetta, sarebbero esclusi dalla formulazione dell’articolo il secondo e il terzo comma dell’articolo proposto dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini. Quanto al quarto comma ritiene inutile metterlo in votazione, perché la disposizione in esso contenuta è già stata approvata dalla seconda Sezione della Sottocommissione. Metterà in votazione la formula da lui proposta prima di quella suggerita dall’onorevole Fabbri, perché è assai più concisa.

FABBRI sarebbe disposto a ritirare la sua proposta, se dalla formulazione suggerita dal Presidente questi volesse togliere le parole «e del Parlamento». La Presidenza di ciascuna delle Camere potrà sempre richiedere, se lo riterrà opportuno, il parere del Consiglio di Stato su di un dato provvedimento, ma sarebbe fuori luogo esigere un atto solenne, quale una deliberazione del Parlamento, affinché questo potesse richiedere il parere del Consiglio di Stato. D’altra parte, ciò costituirebbe una implicita svalutazione dell’autorità e del prestigio delle Assemblee legislative.

PRESIDENTE ritiene che anche il Parlamento, oltre che il Governo, possa rivolgersi al Consiglio di Stato per la richiesta di un parere. Non si dimentichi, poi, che si tratterebbe di una facoltà, non già di un obbligo, e che il parere espresso dal Consiglio di Stato non sarebbe vincolante.

Ad ogni modo metterà ai voti per divisione la formula da lui proposta.

TOSATO è contrario alla formula proposta dal Presidente, perché è troppo generica.

FABBRI si dichiara pure contrario alla formula del Presidente, perché con essa si mette in luce soltanto la funzione consultiva del Consiglio di Stato, mentre con l’articolo da lui proposto si stabilisce contemporaneamente che i compiti del Consiglio di Stato sono di natura giurisdizionale e consultiva.

PRESIDENTE mette ai voti la formula:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo».

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione il seguito della formula da lui proposta: «e del Parlamento».

PERASSI osserva che, usando il termine «Parlamento», si può far sorgere il dubbio che la richiesta di un parere al Consiglio di Stato da parte delle Assemblee legislative debba essere deliberata da ambedue le Camere congiuntamente.

BOZZI ritiene ovvio che per la richiesta di un parere al Consiglio di Stato da parte del Parlamento basti una deliberazione di una delle due Camere.

PRESIDENTE osserva che, per la richiesta di un parere al Consiglio di Stato da parte del Parlamento, non dovrebbe essere necessaria una deliberazione in forma solenne del Parlamento stesso: potrebbe bastare a tal fine una richiesta delle Commissioni legislative della Camera.

NOBILE voterà contro la proposta di aggiungere alla formula testé approvata le parole «e del Parlamento», perché a suo avviso ciò potrebbe essere interpretato nel senso che il Parlamento sia quasi obbligato a richiedere il parere del Consiglio di Stato.

FUSCHINI è contrario alla proposta in discussione, perché ritiene che essa diminuirebbe la libertà d’azione del Parlamento.

CONTI si associa alle ragioni esposte dall’onorevole Fuschini.

PRESIDENTE crede che sia più opportuno, in considerazione dell’osservazione fatta dall’onorevole Perassi, usare l’espressione «delle Camere», anziché quella «del Parlamento». Mette pertanto in votazione la proposta di aggiungere alla formula testé approvata le parole: «e delle Camere».

(Non è approvata).

Avverte che, in seguito all’esito della votazione, l’articolo concernente la funzione consultiva del Consiglio di Stato, approvato dalla Sottocommissione, resta così concepito:

«Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo».

Mette in discussione l’articolo 2, relativo alla Corte dei conti, del progetto presentato dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legalità sugli atti del Governo, nonché, anche in via successiva, su quelli di gestione del bilancio dello Stato e degli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria.

«Il Parlamento può richiedere che il Presidente della Corte dei conti intervenga alle sedute per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato».

NOBILE è contrario a che l’articolo in discussione sia incluso nella Costituzione, perché esso contiene disposizioni troppo particolareggiate. Per il caso in esame basta il rinvio alla legge.

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Mortati propone di sostituire all’articolo in esame un altro così concepito:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, nonché quello preventivo e successivo sull’amministrazione finanziaria dello Stato e degli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria con propri contributi, secondo le norme stabilite da apposita legge.

«Essa riferisce direttamente al Parlamento sui risultati del riscontro effettuato.

«Comunicazione delle relazioni è data al Primo Ministro. Questi può giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della coordinazione dell’azione dei vari Ministeri e della vigilanza nel loro funzionamento.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dell’istituto e dei suoi componenti di fronte al Governo».

MORTATI dichiara che la rilevanza costituzionale della Corte dei conti sorge dal fatto che, secondo quanto è stato sempre inteso dal 1862 sino ad oggi, l’istituto della Corte dei conti è un organo ausiliario del Parlamento nella importante funzione del controllo finanziario. Difatti, una delle funzioni fondamentali del Parlamento è quella del controllo sulla gestione finanziaria dello Stato. La Corte dei conti corrisponde con il Parlamento in due momenti: nel momento in cui invia alle Assemblee legislative il rendiconto e la relazione sul rendiconto generale della spesa, a chiusura del bilancio consuntivo; e nel momento in cui trasmette alle Assemblee legislative stesse i decreti registrati con riserva. Questi rapporti con il Parlamento pongono la rilevanza costituzionale della Corte dei conti.

Tale rilevanza, a suo avviso, deve essere senz’altro affermata nella Costituzione, perché una delle più gravi iatture nel momento presente è data dalla mancanza di ogni controllo efficace sulle spese pubbliche. Il Parlamento, vista l’enormità delle spese che lo Stato oggi è costretto a sopportare, non è sempre in grado di effettuare quel controllo. Si può obiettare che neanche la Corte dei conti ha eseguito sempre soddisfacentemente il controllo sulle spese pubbliche; ma questa, a suo avviso, non è una ragione per negare l’importanza del controllo sulle spese pubbliche, anzi costituisce una ragione di più per rendere maggiormente efficace tale controllo e rafforzare il potere della Corte dei conti.

Nell’articolo da lui proposto è previsto sia il controllo preventivo sugli atti del Governo che importino una spesa, sia il controllo nella gestione finanziaria vera e propria. Quanto al controllo preventivo, è da osservare che esso è esercitato mediante una serie di interventi della Corte dei conti, quanto mai utili ai fini della tutela della legalità. Tale controllo non si risolve soltanto in atti annullati o dichiarati illegittimi, ma anche in una mancata emanazione di provvedimenti contrari alle disposizioni di legge. In altri termini, la Corte dei conti, mediante i suoi contatti con le diverse amministrazioni dello Stato, fa preventivamente sapere che certi provvedimenti non possono essere adottati, perché contrari alla legge. È così che molti provvedimenti illegittimi non vengono adottati da parte delle varie amministrazioni. Il controllo preventivo sugli atti del Governo riguarda anche l’uniformità di interpretazione di norme che, pur avendo un unico oggetto, si riferiscono a varie amministrazioni. L’intervento preventivo della Corte dei conti giova così a conferire unità di esecuzione a disposizioni di legge, che altrimenti potrebbero essere applicate con criteri diversi dalle singole amministrazioni. È da osservare soltanto che in tale campo il controllo preventivo della Corte dei conti dovrebbe essere reso assai più efficace.

Ritiene che sia anche opportuno sancire l’esigenza del controllo preventivo sull’amministrazione di enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria con propri contributi, secondo le norme stabilite da apposite leggi.

È bene inoltre stabilire nella Costituzione che la Corte dei conti riferisce direttamente al Parlamento sui risultati del riscontro effettuato: per mezzo, infatti, della relazione inviata dalla Corte dei conti al Parlamento, viene a crearsi un contatto diretto tra questa e il Parlamento stesso, e in tal modo si può evitare ogni intromissione del Governo, che è l’organo controllato.

È poi dell’avviso che nella Costituzione si debba fare parola del fatto che il Primo Ministro può giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della coordinazione dell’azione dei vari Ministeri e della vigilanza nel loro funzionamento, in relazione a quella speciale posizione di superiorità che si è voluto conferire al Presidente del Consiglio.

L’ultimo comma dell’articolo da lui proposto stabilisce che la legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza della Corte dei conti e dei suoi componenti di fronte al Governo. Una tale disposizione si rende necessaria per impedire che il Governo possa interferire nell’azione che la Corte dei conti è chiamata a svolgere come organo di controllo. Con il rinvio alla legge in tale campo si mira poi a non gravare la Costituzione di disposizioni troppo particolari.

Non è favorevole al secondo comma dell’articolo 2 proposto dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini, con il quale si dispone che il Parlamento può richiedere che il Presidente della Corte dei conti intervenga alle sedute per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato. Ciò sarebbe contrario al principio per il quale non si ammette l’intervento di estranei al Parlamento. A suo avviso, nulla può impedire che una Commissione parlamentare inviti il Presidente della Corte dei conti a riferire: tale facoltà però non dovrebbe essere sancita in un’apposita norma costituzionale.

Sarebbe opportuno anche non accogliere l’articolo 3 proposto dagli onorevoli Bozzi è Ambrosini, relativo ai decreti registrati con riserva, perché la materia di quest’articolo potrebbe formare oggetto di regolamentazione legislativa, e ciò tanto più in quanto si tratterebbe di confermare disposizioni già esistenti.

EINAUDI si associa alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Mortati. La Corte dei conti è un istituto che merita di essere menzionato nella Costituzione. Nei regimi precedenti all’epoca parlamentare era la Corte dei conti che aveva il compito di controllare le spese pubbliche ed essa lo assolveva con la più grande severità. Basti ricordare a tale proposito che in Piemonte la Corte dei conti si sottometteva alla volontà del Sovrano circa la richiesta di spese soltanto dopo il terzo comandamento: in tal caso però essa dichiarava di interinare il decreto relativo a determinate spese soltanto perché le era stato ordinato di interinarlo. Questa funzione storica della Corte dei conti non è scemata di importanza nell’epoca moderna con il regime parlamentare. La Corte dei conti ha costituito e costituisce ancora il terrore di tutti coloro che si propongono di locupletarsi ai danni della pubblica finanza. È pertanto necessario affermare nella maniera più chiara e precisa la funzione che la Corte dei conti è chiamata a svolgere e ciò perché, una volta che le spese sono state avviate, riesce impossibile al Parlamento di impedirle. Occorre anche affermare nella Costituzione che il Presidente e i consiglieri della Corte dei conti debbono essere indipendenti dal potere esecutivo. Gli onorevoli Bozzi e Ambrosini hanno proposto che tali alti funzionari siano nominati dal Presidente della Repubblica, su proposta delle Presidenze dei due rami del Parlamento. Al riguardo non intende fare una proposta precisa: si limita soltanto a dichiarare che il Parlamento dovrebbe intervenire indirettamente nella nomina del Presidente e dei consiglieri della Corte dei conti. Osserva che non di rado la carica di consigliere della Corte dei conti è conferita come premio ai funzionari anziani dei Ministeri finanziari. Tale sistema può anche presentare qualche vantaggio, se le persone così nominate hanno effettivamente la dovuta competenza; ma non vi si dovrebbe ricorrere, come spesso accade, per allontanare qualche direttore generale da un Ministero e promuovere al suo posto un altro.

Dubita poi se sia opportuno stabilire la possibilità di fare intervenire il Presidente della Corte dei conti alle sedute del Parlamento per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato. A tale riguardo osserva che potrebbe essere ripristinato l’istituto del Commissario, che un tempo aveva l’incarico di riferire al Parlamento su determinate branche della Pubblica amministrazione in sede di discussione del bilancio. Non ritiene infine opportuno stabilire nella Costituzione che il Primo Ministro possa giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della coordinazione dell’azione dei vari Ministeri e della vigilanza nel loro funzionamento; ciò per non aggiungere un altro compito ai quelli già gravi ed importanti che l’istituto in questione è chiamato ad assolvere.

PERASSI è perfettamente d’accordo con l’onorevole Mortati sulla necessità di menzionare nella Costituzione la Corte dei conti, perché la sua funzione di controllo si ricollega, come giustamente è stato osservato dall’onorevole Mortati stesso, con quella specifica del Parlamento.

Desidera fare una sola osservazione relativamente alla disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, secondo cui il controllo preventivo e successivo della Corte dei conti dovrebbe esercitarsi anche sull’amministrazione finanziaria degli enti alla gestione dei quali lo Stato concorre in via ordinaria con propri contributi. Dubita dell’opportunità di inserire una tale disposizione nella Costituzione, perché il controllo di molti enti alla cui gestione lo Stato concorre con propri contributi avviene per mezzo di speciali Collegi, nei quali la Corte dei conti è rappresentata da un suo funzionario. Si tratta cioè di un controllo indiretto da parte dell’istituto in questione. Sarà meglio quindi che la legge ordinaria stabilisca volta per volta quali enti debbano essere sottoposti al controllo diretto e quali altri al controllo indiretto della Corte dei conti.

NOBILE riconosce che le osservazioni degli onorevoli Mortati ed Einaudi sono quanto mai importanti e vi si associa.

PRESIDENTE è favorevole al controllo preventivo di legalità sugli atti finanziari del Governo, ma vorrebbe escludere da tale controllo gli atti del Governo che non comportino spese, non vedendone la ragione. Ciò considerato, propone il seguente emendamento all’articolo presentato dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legalità su tutti gli atti del Governo che comportino spese».

È anche contrario alla proposta degli onorevoli Bozzi e Ambrosini, secondo la quale il Parlamento potrebbe richiedere che il Presidente della Corte dei conti intervenga alle sedute per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato, e ciò innanzi tutto perché la Corte dei conti presenta al Parlamento una relazione che può sempre sodisfare a tutte le esigenze, e in secondo luogo perché, stando alla realtà dei fatti, l’esame del rendiconto generale dello Stato da parte del Parlamento avviene in maniera sommaria: sarebbe inutile quindi un intervento del Presidente della Corte dei conti per dare delucidazioni, di cui il Parlamento praticamente non si varrebbe.

È d’accordo con l’onorevole Einaudi circa la necessità di stabilire un intervento diretto della Camera nella nomina del Presidente e dei consiglieri della Corte dei conti.

È contrario infine alla proposta dell’onorevole Mortati, secondo la quale il Primo Ministro potrebbe giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della coordinazione dell’azione dei vari Ministeri e della vigilanza nel loro funzionamento, e ciò anche in relazione all’emendamento da lui presentato, perché la Corte dei conti, a suo avviso, se deve controllare gli atti finanziari delle varie amministrazioni, non dovrebbe mai intervenire in quelli dei diversi Ministeri, che non comportassero spese.

EINAUDI dichiara che un’osservazione fatta dal Presidente deve esser messa in debito rilievo, cioè quella concernente il carattere formale che ormai ha assunto il controllo delle pubbliche spese da parte del Parlamento. È necessario che il Parlamento riprenda ad esercitare tale controllo con l’oculatezza e l’efficacia di un tempo. Le Commissioni della Camera e del Senato dovrebbero tornare a controllare le spese di ogni singolo Ministero e non limitarsi ad un esame superficiale del bilancio statale. Ciò un tempo veniva fatto con grande rigorosità. Qualche volta in quest’opera di controllo si esagerava o per ragioni elettorali o per inimicizie personali; ma ciò non toglie che il rigore fosse giusto. Sarà bene ricordare a tale proposito quanto avviene negli Stati Uniti in cui non solo i Segretari di Stato, ma anche gli stessi funzionari sono quotidianamente chiamati per dare giustificazione del loro operato davanti alle Commissioni del Congresso. Negli Stati Uniti d’America si è molto cauti in materia di spese, perché si sa di essere chiamati a rendere ragione di esse davanti al Congresso.

Desidera poi osservare che non è necessario né opportuno che in tutti i casi il controllo della Corte dei conti sia esercitato nella stessa maniera. Occorre infatti che sia esercitato compatibilmente con le esigenze di ogni data amministrazione. Ad esempio, l’amministrazione ferroviaria deve far marciare ogni giorno regolarmente i treni e può essere quindi costretta a procedere ad alcune spese immediate per assicurare la regolarità del servizio. In tal caso non è possibile fare ricorso al sistema di controllo usato normalmente dalla Corte dei conti, perché risulterebbe di intralcio al funzionamento delle ferrovie. Ciò valga come esempio, perché già la Corte dei conti esercita il controllo sulle ferrovie dello Stato in maniera diversa da quella con cui l’esercita sulle altre amministrazioni dello Stato. Quello che interessa è che l’articolo della Costituzione, relativo alla Corte dei conti, sia redatto in modo da non impedire l’uso di diversi sistemi di controllo a seconda delle esigenze particolari delle varie amministrazioni dello Stato.

Così anche gli sembra troppo rigida la disposizione proposta dall’onorevole Mortati, secondo la quale la Corte dei conti dovrebbe esercitare il controllo preventivo e successivo sull’amministrazione finanziaria degli enti alla cui gestione lo Stato concorra con propri contributi, perché può accadere che il concorso dello Stato alla gestione di tali enti sia per una minima parte del loro bilancio. In tal caso sottoporre tutta la gestione di quegli enti al controllo della Corte dei conti potrebbe portare a seri inconvenienti nel loro funzionamento.

Egualmente troppo rigida e restrittiva è la proposta fatta dal Presidente, per la quale il controllo preventivo di legalità da parte della Corte dei conti non dovrebbe aver luogo per gli atti del Governo che non comportino spese: vi possono essere infatti atti che siano causa di spesa non già direttamente, ma indirettamente. Se si volesse accogliere la proposta del Presidente, bisognerebbe trovare un’altra formula più adeguata ai diversi casi.

BOZZI è contrario alla proposta di emendamento fatta dal Presidente per le considerazioni già esposte dall’onorevole Einaudi. In ogni modo, rileva che non è facile distinguere un atto che non comporti spese da un altro che le comporti. È poi anche contrario all’emendamento proposto dal Presidente, perché il controllo preventivo, che l’onorevole Mortati ha definito di legittimità e che sarebbe meglio denominare di legalità, sugli atti del Governo da parte della Corte dei conti è una delle garanzie fondamentali dello Stato di diritto: con esso infatti si esercita un giudizio sulla conformità o meno dell’atto del Governo alla legge.

È stato osservato che l’eventuale intervento presso il Parlamento del Presidente della Corte dei conti per riferire sul rendiconto generale dello Stato, secondo quanto egli ha proposto insieme all’onorevole Ambrosini, sarebbe contrario al divieto fatto agli estranei di partecipare alle sedute del Parlamento stesso. La deroga a tale principio, a suo avviso, può essere giustificata se si tenga presente che la Corte dei conti è sostanzialmente un organo paraparlamentare. Comunque, non crede che la proposta in questione possa risolversi in una menomazione dell’autonomia del Parlamento: con essa si voleva soltanto affermare che, data la posizione della Corte dei conti, il Presidente di essa potesse essere invitato dal Parlamento ad intervenire alle sedute per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato.

Non è favorevole poi al penultimo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Mortati, secondo cui il Primo Ministro potrebbe giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della vigilanza su l’azione svolta dei vari Ministeri. Può essere che tale vigilanza sia necessaria, ma non crede che ciò costituisca una materia di carattere costituzionale. Tuttavia, osserva che un’attività del Primo Ministro nel senso indicato dalla proposta dell’onorevole Mortati, può aversi di riflesso dall’attività stessa che la Corte dei conti è chiamata a svolgere.

L’osservazione fatta dall’onorevole Perassi circa l’opportunità di non inserire nella Costituzione la norma proposta dall’onorevole Mortati, secondo cui dovrebbe essere ammesso anche il controllo preventivo e successivo sull’amministrazione finanziaria degli enti alla cui gestione lo Stato concorra con propri contributi, conferma a suo avviso la necessità della norma proposta. È noto infatti che oggi è in atto un decentramento amministrativo che certo non è da approvarsi, per cui si istituiscono sezioni staccate della Corte dei conti, presso, ad esempio, gli uffici regionali del Ministero dei lavori pubblici. Ciò è un male, perché fa perdere alla Corte dei conti quella visione generale che è indispensabile affinché essa possa espletare efficacemente la sua funzione di controllo.

Quanto all’articolo 3, che riguarda i decreti registrati con riserva, dichiara, anche a nome dell’onorevole Ambrosini, di essere disposto a ritirarlo.

MORTATI è contrario alla proposta di emendamento fatta dal Presidente: se essa dovesse essere accolta, si introdurrebbe una grave modificazione nei compiti affidati alla Corte dei conti, che dal 1862 sino ad oggi ha sempre svolto in modo encomiabile la sua attività. Forse il Presidente con la sua proposta mira ad evitare il sorgere di un eventuale contrasto tra la Corte dei conti e il Governo; ma in tal caso è da osservare che può soccorrere il rimedio della registrazione con riserva. Tale procedimento, infatti, non comporta l’arresto dell’attività amministrativa, perché l’atto registrato con riserva dalla Corte dei conti segue egualmente il suo corso. Non vi sono quindi ragioni plausibili per giustificare la proposta di emendamento fatta dal Presidente.

FABBRI è contrario all’istituzione dei molteplici enti alla cui gestione lo Stato concorre con i propri contributi. D’altra parte, poiché tali enti esistono e non sarebbe possibile sopprimerli, non ritiene opportuno che per essi si debba prescrivere il controllo della Corte dei conti, perché ciò ne intralcerebbe gravemente il funzionamento, secondo quanto giustamente hanno osservato gli onorevoli Perassi ed Einaudi.

FUSCHINI è favorevole all’articolo proposto dall’onorevole Mortati con le modificazioni suggerite dagli onorevoli Perassi ed Einaudi.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente parte dell’articolo proposto dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legalità sugli atti del Governo».

Osserva che la formulazione di cui ha dato lettura è eguale a quella presentata dall’onorevole Mortati, salvo per il termine usato in quest’ultima di «legittimità».

(È approvata).

Avverte che ora metterà in votazione la sua proposta di emendamento. Essa può essere giustificata dal fatto che, ammettendo il controllo preventivo della Corte dei conti anche sugli atti del Governo che non comportino spese, si accorderebbe alla Corte dei conti stessa un enorme potere di carattere politico, che potrebbe essere causa di gravi intralci nello svolgimento dell’attività del Governo. A suo avviso, tale inconveniente non sarebbe attenuato dal procedimento delle registrazioni con riserva, come vorrebbe l’onorevole Mortati. Sono queste le ragioni che lo hanno indotto a presentare la sua proposta di emendamento.

Mette pertanto in votazione la seguente formula che, nel caso in cui fosse accolta, dovrebbe essere aggiunta a quella testé approvata: «che comportino spese».

(Non è approvata).

Mette ora in votazione la seguente parte dell’articolo proposto dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini: «nonché anche in via successiva, su quelli di gestione del bilancio dello Stato».

(È approvato).

Avverte che ora è da mettere in votazione la seguente parte dell’articolo proposto dagli onorevoli Bozzi e Ambrosini: «e degli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria», e fa presente che tale formulazione è pressoché identica a quella suggerita dall’onorevole Mortati riguardo alla questione in esame.

NOBILE è contrario alla formulazione in esame, non ritenendo opportuno prescrivere il controllo della Corte dei conti sulla gestione degli enti sovvenzionati dallo Stato, perché ciò significherebbe intralciarne l’attività.

MORTATI propone che alla fine della formulazione di cui testé ha dato lettura il Presidente siano aggiunte le seguenti parole: «nei limiti stabiliti dalla legge».

PERASSI è contrario alla formulazione in esame.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente formulazione: «e degli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria nei limiti stabiliti dalla legge», dichiarando di votare contro di essa.

(È approvata).

NOBILE presenta la seguente proposta:

«Le norme per il controllo finanziario nelle amministrazioni autonome dipendenti dallo Stato saranno oggetto di particolari statuti di tali enti».

Dichiara che la sua proposta si riferisce agli enti industriali dello Stato, quale, ad esempio, il Poligrafico dello Stato.

MORTATI osserva che il controllo della Corte dei conti esiste già di fatto sugli enti a cui ha accennato l’onorevole Nobile.

NOBILE fa presente che se si ammette la facoltà dello Stato di esercitare anche attività industriali, si deve dare ad esso la possibilità di esercitarle effettivamente, senza intralci di carattere burocratico.

PRESIDENTE rileva che con la proposta dell’onorevole Nobile non si esclude la possibilità del controllo da parte della Corte dei conti sulle amministrazioni autonome dipendenti dallo Stato, visto che tali enti, secondo la proposta dell’onorevole Nobile stesso, potrebbero stabilire nei loro statuti di far ricorso al controllo della Corte dei conti.

Mette in votazione la seguente formula contenuta nell’articolo proposto dall’onorevole Mortati:

«Essa riferisce direttamente al Parlamento sui risultati del riscontro effettuato».

(È approvata).

MORTATI non insiste nella sua proposta relativa all’obbligo di comunicare le relazioni al Primo Ministro e alla possibilità del Primo Ministro stesso di giovarsi dell’opera della Corte dei conti al fine della coordinazione dell’azione dei vari Ministeri e della vigilanza del loro funzionamento.

BOZZI ritira, anche a nome dell’onorevole Ambrosini, la proposta per la quale il Parlamento potrebbe richiedere che il Presidente della Corte dei conti intervenisse alle sedute per riferire in sede di approvazione del rendiconto generale dello Stato.

PRESIDENTE avverte che è ora in discussione la proposta dell’onorevole Mortati relativa all’indipendenza della Corte dei conti. A tale proposito osserva che potrebbe essere adottata la seguente formulazione:

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dell’istituto».

La mette in votazione.

(È approvata).

BOZZI dichiara, anche a nome dell’onorevole Ambrosini, di ritirare la sua proposta relativa ai decreti registrati con riserva.

PRESIDENTE avverte che, secondo le deliberazioni testé approvate, l’articolo relativo alla Corte dei conti resta così formulato:

«La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legalità sugli atti del Governo nonché, anche in via successiva, su quelli di gestione del bilancio dello Stato e degli enti alla cui gestione lo Stato concorre in via ordinaria, nei limiti stabiliti dalla legge.

«Essa riferisce direttamente al Parlamento sui risultati del riscontro effettuato.

«La legge determina le condizioni necessarie ad assicurare l’indipendenza dell’istituto».

NOBILE propone il seguente emendamento:

«La composizione, la nomina e gli organici del personale direttivo della Corte dei conti sono di competenza della Camera dei Deputati».

PRESIDENTE avverte che nella prossima riunione si discuterà il modo di nomina del personale direttivo della Corte dei conti e che in quella occasione sarà presa in esame la proposta di emendamento fatta dall’onorevole Nobile.

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Froggio, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti e Zuccarini.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Di Giovanni, Leone Giovanni, Piccioni e Porzio.

 

LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI LUNEDÌ 27 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Avvocatura dello Stato e Corti d’assise (Discussione)

Ambrosini – Farini – Cappi – Targetti – Presidente – Mannironi – Bozzi – Bulloni.

La seduta comincia alle 16.

Discussione sull’Avvocatura generale dello Stato e sulle Corti d’assise.

AMBROSINI propone un articolo sulla Avvocatura generale dello Stato, così formulato:

«L’Avvocatura dello Stato provvede alla consulenza legale e alla difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti indicati dalla legge anche davanti alla Corte costituzionale.

«Agli avvocati e procuratori dello Stato competono garanzie adeguate per assicurarne l’indipendenza nell’esercizio della loro funzione».

FARINI non pensa che l’articolo possa essere preso in esame dalla Sezione, in quanto l’Avvocatura dello Stato non è uno organo del potere giudiziario, bensì uno speciale organo di cui lo Stato si serve per la sua difesa, in confronto di terzi, in caso di controversie di carattere giudiziario. Non crede che dell’istituto si debba far cenno nella Carta costituzionale; tutt’al più si potrebbe semplicemente dire che all’Avvocatura generale sarà affidata la difesa in giudizio degli interessi dello Stato.

CAPPI, concordando con le osservazioni dell’onorevole Farini, propone di aggiungere un’appendice all’ultimo articolo riguardante la Corte costituzionale, così formulato:

«Avanti alla Corte costituzionale la rappresentanza dello Stato è affidata all’Avvocatura generale».

TARGETTI è contrario a che la Sezione si occupi della questione della Avvocatura dello Stato, in quanto tale istituto non ha nulla a che vedere con il potere giudiziario, che costituisce l’oggetto del suo mandato.

PRESIDENTE crede necessario che la Sezione approvi un articolo sull’Avvocatura dello Stato, affidando poi al Comitato di redazione il compito di trovargli adeguato posto nella Costituzione. Si avrà così nozione dell’esistenza dell’istituto che provvede alla difesa dello Stato avanti a tutte le giurisdizioni e quindi anche avanti alla Corte Suprema costituzionale.

Pone pertanto in votazione la pregiudiziale che si debba inserire nella Carta costituzionale un articolo riguardante l’Avvocatura dello Stato.

(È approvata).

Avverte che l’articolo proposto dall’onorevole Ambrosini sarà trasmesso al Comitato di redazione.

Ricorda che la Sezione deve deliberare sulla questione della Corte di assise, di cui già si trattò in una precedente seduta.

TARGETTI, anche a nome degli onorevoli Bocconi, Ravagnan, Farini, Laconi, presenta la seguente proposta di articolo:

«Il popolo partecipa direttamente alla amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise e con la nomina delle magistrature minori elettive che la legge potrà costituire».

Chiarisce che tale proposta tende sia a fissare una norma in merito ai giurati, sia a realizzare un’antica aspirazione di tutti i partiti democratici circa l’elettività dei giudici. Pur riconoscendo che l’innovazione potrebbe sembrare ardita e dar luogo a preoccupazioni forse maggiori di quelle che non comportino altre riforme che sono state progettate, ritiene che non si debba chiudere la strada alla possibilità di creare delle magistrature elettive, sia pur limitandola alle minori, senza che per far ciò occorra rivedere la Costituzione.

FARINI rileva che la proposta ha soprattutto valore come indirizzo e aspirazione per il futuro.

AMBROSINI, senza rinnegare alcun principio democratico, pensa che il problema della creazione di magistrature elettive non sia attuale e che non si debba quindi pregiudicare l’avvenire della legislazione. Accogliere infatti nella Costituzione una norma come quella proposta significherebbe in realtà sospingere il legislatore a procedere in breve tempo alla sua attuazione. A suo avviso, se nel futuro tale esigenza sarà particolarmente sentita, spetterà al legislatore di tenerla presente e di provvedere in conseguenza; ma non ritiene che ciò sia necessario in sede di formazione della Costituzione.

MANNIRONI fa presente che, se in teoria la norma offre una certa attrattiva, per passare alla sua pratica applicazione si incontrerebbero indubbiamente non lievi difficoltà.

BOZZI chiede all’onorevole Targetti il significato esatto del termine «direttamente».

TARGETTI chiarisce che, mentre nelle nomine dei magistrati il popolo non ha ingerenza alcuna, i giurati provengono dal popolo. Dichiara tuttavia di essere disposto a sopprimere tale termine.

PRESIDENTE avverte che l’articolo sarà posto in votazione per divisione, cominciando dalla prima parte:

«Il popolo partecipa all’amministrazione della giustizia mediante l’istituto della giuria nei processi di Corte d’assise».

CAPPI è contrario a questa disposizione, a meno che non sia limitata ai processi avanti la Corte d’assise in materia politica.

MANNIRONI si associa alla dichiarazione dell’onorevole Cappi e, dato che non era presente nella seduta nella quale fu discusso l’argomento, dichiara di essere contrario all’istituzione della giuria popolare e favorevole ad una forma di integrazione popolare del giudice ordinario, soltanto al fine di consentire il giudizio di secondo grado anche per i reati giudicati dalla Corte d’assise.

BULLONI dichiara di essere favorevole all’istituzione della giuria popolare, perché ritiene che l’istituto valga a garantire il giudice togato nella più assoluta indipendenza delle sue funzioni, sottraendo alla sua competenza i reati che abbiano sfondo politico, quali i reati contro personalità dello Stato e i reati che più appassionano la pubblica opinione.

FARINI dichiara, anche a nome dei suoi colleghi di partito, di non poter aderire all’emendamento limitativo proposto dall’onorevole Cappi.

PRESIDENTE pone in votazione il principio limitativo proposto dall’onorevole Cappi.

(Non è approvato).

Pone in votazione la prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Targetti.

(È approvata).

Dà lettura della seconda parte:

«…e con la nomina delle magistrature minori elettive che la legge potrà costituire.».

BULLONI, condividendo pienamente in via teorica l’aspirazione dell’onorevole Targetti all’elezione delle magistrature minori da parte del popolo, fa le sue riserve sull’applicazione pratica del nuovo istituto, soprattutto in considerazione delle particolari condizioni attuali del nostro Paese. Osserva inoltre che, se si introducesse il principio dell’elezione per le magistrature minori, analogo sistema dovrebbe essere adottato anche per tutte le altre.

PRESIDENTE pone ai voti la seconda parte della proposta Targetti.

(Non è approvata).

Comunica che con l’approvazione di quest’ultimo articolo è terminato l’esame delle materie assegnate alla seconda Sezione, che ha quindi esaurito i suoi lavori.

La seduta termina alle 17.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Farini, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Assenti: Calamandrei, Castiglia, Di Giovanni, Laconi, Leone Giovanni, Porzio.

VENERDÌ 24 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

84.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 24 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Lami Starnuti – Ambrosini – Lussu – Nobile – Conti – Piccioni – Fuschini – Laconi – Targetti – Tosato – Grieco.

La seduta comincia alle 18.10.

Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE comunica che sull’argomento dell’elezione dei senatori l’onorevole Perassi ha presentato la seguente nuova formula:

«I senatori sono eletti per un terzo dal Consiglio regionale e per il resto da delegati comunali eletti a suffragio universale.

«La legge elettorale determina il numero dei delegati da eleggersi in ciascun Comune, fra gli elettori del Comune, in proporzione al numero degli abitanti, in modo che ciascun Comune elegga almeno un delegato».

Apre la discussione su questa proposta e su quelle già presentate sulla stessa materia, nella seduta precedente, delle quali ricorda il tenore:

Proposta Fuschini: «I senatori sono eletti per la metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 10 mila abitanti e per l’altra metà dai consiglieri dei Comuni inferiori a 10 mila abitanti».

Proposta del Comitato: «I senatori sono eletti per un terzo dal Consiglio regionale e per due terzi da delegati eletti a suffragio universale (Perassi)».

Proposta Ambrosini: «I senatori sono eletti per un terzo dal membri delle Assemblee regionali, per un terzo dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a 30 mila abitanti e per il rimanente terzo dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 30 mila abitanti».

Proposta Tosato, Piccioni, Fuschini: «La quota fissa dei senatori assegnati ad ogni Regione è eletta dalle rispettive Assemblee regionali. La rimanente quota, nella proporzione di un senatore per ogni 200 mila abitanti, è eletta dai consiglieri comunali della Regione divisi in tre gruppi: dei Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti; con popolazione superiore a 5 mila abitanti e inferiore a 30 mila; con popolazione superiore ai 30 mila abitanti. Ciascuno dei tre gruppi elegge un numero di senatori proporzionale alla popolazione».

Proposta Rossi, Targetti: «I deputati alla seconda Camera sono eletti, Regione per Regione, da un collegio composto da tutti i consiglieri regionali e da un numero doppio di delegati, all’uopo nominati a suffragio universale».

Proposta Targetti, Rossi: «La seconda Camera è eletta per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi con suffragio universale, diretto e segreto».

Proposta Nobile: «L’elezione dei membri della seconda Camera ha luogo a suffragio universale, diretto e segreto da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato l’ennesimo (n = un numero compreso fra 22 e 26 anni) anno di età».

Proposta Laconi: «La seconda Camera è eletta da collegi regionali a suffragio universale indiretto, secondo le modalità stabilite dalla legge. (Formula francese)».

PERASSI, ad illustrare brevemente la sua nuova proposta, ricorda che la formula elaborata dal Comitato si limitava ad affermare che i senatori sono eletti per un terzo dai Consigli regionali e per il rimanente da delegati eletti a suffragio universale. Con ciò si intendeva rinviare tutto il problema della elezione dei delegati alla legge elettorale, uniformandosi al criterio, già adottato per la Camera dei Deputati, di rinviare alla stessa sede la disciplina particolare, dopo aver stabilito costituzionalmente il principio che essa è eletta a suffragio universale.

La discussione svoltasi nella seduta precedente ha messo a fuoco il problema della utilizzazione dei consiglieri comunali ai fini della elezione di secondo grado; questione che già aveva ponderato anche il Comitato, giungendo alla conclusione che fosse opportuno abbandonare una tale soluzione. Evidentemente i fautori di un siffatto sistema si ispiravano al principio che la seconda Camera dovesse avere una base elettorale diversa dalla prima, con una partecipazione degli elementi attivi della Regione ed in particolare dei Comuni. Considerato che il ricorso ai consiglieri comunali si è rivelato un mezzo inidoneo per attuare questo presupposto e tale da dar luogo a notevoli inconvenienti, personalmente ha pensato che fosse possibile raggiungere lo stesso scopo con un altro sistema: facondo sì che ogni Comune eleggesse direttamente, a suffragio universale, i propri delegati (quelli che sogliono defluirsi «grandi elettori»), introducendo peraltro nella Carta costituzionale una indicazione concreta, per non lasciare un’assoluta libertà alla legge elettorale. A ciò mira appunto il capoverso della sua proposta, il quale consente una rappresentanza proporzionale a tutti i Comuni, nel senso che, a prescindere dai più piccoli, che avranno un solo delegato, gli altri che superano un certo numero di abitanti, eleggeranno un delegato per ogni X (per esempio, 500) abitanti. Alla legge elettorale è lasciato il compito di sviluppare tali criteri stabilendo se i delegati eletti in ciascun Comune dovranno raggrupparsi, ai fini dell’elezione dei senatori, in un unico collegio regionale o in più collegi; come dovranno in concreto avvenire le elezioni, sia di primo che di secondo grado, ecc.

Concludendo, esprime l’avviso, ed anche l’augurio, che la sua formula possa conciliare i diversi punti di vista e facilitare una soluzione che raccolga il favore della maggioranza della Sottocommissione.

LAMI STARNUTI si duole di non esser potuto intervenire alle riunioni precedenti e espone quindi succintamente il suo punto di vista, dichiarandosi contrario a tutte le proposte, meno che a quella dell’onorevole Laconi. Ha già avuto occasione di far presente, in sede di Comitato, che avrebbe aderito alla formula dell’elezione dei senatori da parte di delegati eletti a suffragio universale, a condizione che l’intiera seconda Camera fosse eletta in tal guisa, esprimendo quindi le sue riserve per il mantenimento di una quota di senatori la cui elezione sarebbe demandata alle Assemblee regionali. È peraltro nettamente contrario a tutte le altre proposte – ove si eccettui quella degli onorevoli Rossi e Targetti, che si avvicina di più alla formula Laconi – ivi compresa quella presentata ultimamente dall’onorevole Perassi, la quale, a suo avviso, è tale da sopprimere intieramente il sistema proporzionale.

Passando ad analizzarla, rileva che in Italia prevalgono i piccoli Comuni – quelli cioè che nominerebbero un solo delegato – e ciò naturalmente non consentirebbe l’applicazione della proporzionale nei riguardi della nomina di almeno la metà del collegio dei grandi elettori. Del resto, la proporzionale non potrebbe giocare o giocherebbe imperfettamente, anche se i piccoli Comuni nominassero due o tre delegati ciascuno.

Lo stesso errore d’impostazione, a suo giudizio, viene ripetuto, in proporzioni diverse e su un piano diverso, nelle proposte degli onorevoli Fuschini, Ambrosini e Tosato. È evidente che quando si affida l’elezione dei senatori – come fa l’onorevole Fuschini – per metà ai membri delle Assemblee regionali unitamente ai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 10 mila abitanti, e per l’altra metà ai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a 10 mila abitanti, si arriva alla conseguenza che la seconda Camera è nominata per tre quarti da consiglieri comunali eletti col sistema maggioritario (con tale sistema, infatti, vengono eletti i consiglieri comunali dei Comuni inferiori ai 30 mila abitanti).

Ritiene che, se si vuole una seconda Camera che sia veramente espressione della volontà popolare, si debbano abbandonare i sistemi compositi e ricorrere o al suffragio universale diretto, ovvero alla nomina di tutti i senatori da parte di un collegio di grandi elettori scelti col sistema della rappresentanza proporzionale.

PERASSI replica all’onorevole Lami Starnuti che non è esatto che col suo sistema non possa applicarsi la proporzionale, in quanto è rimessa alla legge elettorale la determinazione del rapporto fra i delegati e la popolazione. Essa potrà stabilire un coefficiente basso (ad esempio un delegato ogni 500 abitanti), in modo da far crescere il numero dei delegati per rendere possibile il gioco della rappresentanza proporzionale.

AMBROSINI fa rilevare all’onorevole Lami Starnuti, che ha parlato di un errore d’impostazione nella proposta sua e in quelle degli onorevoli Fuschini e Tosato, che non può considerarsi un errore d’impostazione quello che è un diverso criterio d’impostazione. Peraltro tale criterio è conforme alla deliberazione della Sottocommissione, la quale ritenne che ai fini della composizione della seconda Camera si dovesse tener conto non tanto della popolazione indifferenziatamente considerata, quanto della rappresentanza dei Comuni e delle Regioni.

Aggiunge che, qualora si dovesse adottare il criterio al quale ha accennato il suo contraddittore, si snaturerebbe completamente il carattere della seconda Camera, quale fu concepita dalla Sottocommissione.

Ciò premesso, afferma che resterà fedele al suo criterio d’impostazione, che risponde all’esigenza di dar vita ad una seconda Camera che abbia una fisionomia diversa dalla prima.

LUSSU, senza affrontare la critica dei vari sistemi, che ha occupato gran parte della riunione precedente, esprime l’avviso che le due proposte che meritano maggior considerazione siano quelle degli onorevoli Laconi e Perassi.

Premesso che in sede di Comitato si manifestò un accordo unanime sulla formula dell’onorevole Perassi, fa rilevare che la nuova dizione presentata dallo stesso rappresenta un miglioramento della primitiva proposta. Personalmente la trova particolarmente felice, in quanto mette in evidenza l’ente Comune, base dell’organizzazione sociale, facendolo partecipare all’elezione della seconda Camera, attraverso delegati scelti appositamente (quindi non eletti con criteri amministrativi) a suffragio diretto. È altresì convinto ch’essa consenta un rigoroso rispetto della proporzionale, che sarà cura della legge elettorale di garantire.

NOBILE dichiara che fra le varie proposte ve ne sono tre – quelle degli onorevoli Fuschini, Ambrosini e Tosato – che, a suo avviso, vanno senz’altro accantonate, in quanto non risolvono il problema che personalmente ha prospettato. Infatti, qualora il Presidente della Repubblica sciogliesse le due Camere, si troverebbe costretto a sciogliere contemporaneamente i Consigli comunali, per non fare eleggere la nuova seconda Camera dallo stesso organo che l’ha eletta la prima volta.

Degli altri progetti, data la sua avversione alla seconda Camera, preferisce quello proposto dall’onorevole Laconi perché, in ultima analisi, dà la stessa base elettorale alle due Camere, posto che – come ha rilevato l’onorevole Einaudi – una elezione di secondo grado così concepita non darebbe alla seconda Camera una propria fisionomia diversa dalla prima; i grandi elettori voterebbero conformemente al volere degli elettori di primo grado, i quali in sostanza sarebbero essi a determinarne la composizione.

Se il progetto Laconi non fosse approvato, insisterebbe per l’approvazione di quello che personalmente ha presentato, il quale, se non altro, offre il vantaggio della semplicità (il corpo elettorale è unico). Nel caso che su di esso si venisse ad una votazione, occorrerebbe precisare il limite di età per l’elettorato attivo – che egli non ha precisato – e a tal proposito fa presente che, dal diciannovesimo anno in poi, il numero dei cittadini per ogni classe è di circa 700 mila. Pertanto ogni anno di aumento del limite d’età significa la eliminazione di 700 mila elettori.

Subordinatamente voterebbe la seconda proposta Targetti-Rossi, la quale, prevedendo l’elezione di due terzi dei senatori con suffragio universale, diretto, darebbe lo stesso carattere della prima Camera ad una buona parte della seconda.

Infine, qualora anche questa formula fosse respinta, darebbe il suo voto a quella proposta dal Comitato o all’ultima formula Perassi, sulla quale però si riserva di fare alcune osservazioni.

CONTI si dichiara dolente nel dover constatare che i colleghi del gruppo democratico-cristiano insistono per una sistemazione della Camera dei Senatori che appare in contrasto con le stesse loro idee politiche, rifiutando di accettare la proposta Perassi, che dovrebbe invece essere accolta con entusiasmo. Mentre il campanile comunale figura in tutte le copertine degli opuscoli ed in tutti i manifesti di propaganda democratica-cristiana ed il Comune viene presentato agli italiani come un grande simbolo di glorie passate e una grande promessa per l’avvenire del Paese, nella circostanza attuale i democristiani sembrano voler rinnegare il loro punto di vista.

Personalmente muove dal principio che nella composizione dei corpi rappresentativi si debba sempre procedere alla ricerca di fonti diverse della rappresentanza; ricorrendo alla stessa fonte si avrà la riproduzione uniforme di una stessa espressione. È appunto partendo da questa premessa che il suo gruppo, sostenitore appassionato della sovranità popolare e del suffragio universale, ha dichiarato fin dal primo momento che per l’elezione della seconda Camera si imponeva un suffragio di secondo grado, ed afferma ora che è opportuno non far perno sui consiglieri comunali che sono già investiti di una funzione ben diversa da questa che sarebbero pure chiamati ad adempiere.

Ritiene che la seconda Camera debba trarre origine da elementi che non siano presi in ingranaggi politici che hanno già funzionato per la formazione di altri corpi rappresentativi – epperciò ha sempre seguito con simpatia le proposte miranti alla formazione di un corpo elettorale differenziato – e fa rilevare che il sistema consigliato dall’onorevole Perassi mette in campo una forza enormemente importante nella vita del nuovo stato democratico: il Comune con la sua popolazione. Si tratta di una forza diversa da quella che ha concorso alla formazione del Consiglio comunale perché, mentre in quest’ultimo caso si ha di mira la soddisfazione di certe esigenze e di certi interessi comunali di carattere amministrativo, in quello in esame si tratta di ricercare gli uomini che sappiano rispecchiare la volontà degli elettori, le loro tendenze ed inclinazioni, i loro programmi ideali, ai fini della composizione di un corpo investito di funzioni legislative.

Soprattutto è convinto che il progetto Perassi permetterebbe di avere una seconda Camera essenzialmente diversa dalla prima, e perciò insiste per la sua approvazione. Soggiunge che, qualora questo non fosse approvato, voterebbe la proposta Laconi, ma in nessun caso appoggerebbe quella dell’onorevole Fuschini o quella dell’onorevole Tosato. Così facendo, si mantiene altresì coerente ad un principio appreso dall’onorevole Einaudi, il quale in un suo scritto celebra la molteplicità delle rappresentanze e degli organi consultivi e vede in essa il realizzarsi della democrazia.

PICCIONI si sente costretto a riprendere la parola sull’argomento, perché avverte la necessità, per il suo gruppo, di una chiarificazione ulteriore.

Premette che voterà l’ordine del giorno dell’onorevole Tosato, al quale ha aderito, mentre non ritiene soddisfacente, dal punto di vista del suo partito, la seconda proposta presentata dall’onorevole Perassi. Il ragionamento che lo conduce a questa conclusione è molto semplice, ed è increscioso che l’onorevole Conti non veda nella impostazione data al problema dal suo gruppo il più genuino omaggio alla forza sociale e rappresentativa del Comune nella struttura politica italiana. Il gruppo democratico cristiano parte dal concetto, già ribadito altre volte, che l’applicazione del suffragio universale diretto non caratterizzi sufficientemente la funzione della seconda Camera nei rispetti della prima; perciò si è fatto sostenitore di un sistema di elezione di secondo grado. Ritiene altresì, per le considerazioni esposte reiteratamente dall’onorevole Einaudi, che il sistema della nomina di grandi elettori costituisca soltanto dal punto di vista strettamente formale una elezione di secondo grado, mentre in realtà è un meccanismo che automaticamente riprodurrebbe gli stessi inconvenienti del suffragio universale diretto. I grandi elettori non servirebbero che da tramite provvisorio per esprimere quella volontà che sarebbe più chiaramente espressa dal suffragio universale diretto.

Crede, quindi, che per poter costituire la seconda Camera su una base di legittimazione diversa dal suffragio universale con cui si è nominata la prima, si debba ricorrere ad un corpo di elettori che abbiano già qualifiche specifiche proprie, che costituiscano già una rappresentanza vera e propria di interessi pubblici. Poiché la Sottocommissione ha scartato la rappresentanza di categorie e la rappresentanza di interessi, il suo gruppo, dopo averla tenacemente sostenuta, si vede oggi costretto a fermare la sua attenzione sui consiglieri comunali.

In Italia vi sono 131 mila consiglieri comunali – tra piccoli, medi e grandi Comuni – che hanno una specificazione diversa degli elettori a suffragio universale diretto, perché sono stati scelti dal popolo di ciascun Comune per gestire ed amministrare il Comune stesso.

Ad essi è affidata una funzione di amministrazione della cosa pubblica, sia pure nell’ambito del Comune, e ciò li rende i più qualificali per procedere all’elezione dei membri di una Camera legislativa, che ha anche essa, sia pure in una proporzione diversa ed in un ambiente molto più vasto, una funzione che presuppone una competenza di carattere amministrativo. Indubbiamente il sistema proposto non consente quella aritmetica e rigida applicazione della proporzionale che è possibile solo col suffragio diretto; consente tuttavia quella equa proporzionalità alla quale già la Sottocommissione si è richiamata in una precedente deliberazione. Questo scopo viene raggiunto con la distinzione dei Comuni in tre categorie – a seconda della popolazione – ciascuna delle quali elegge un numero di senatori proporzionale alla popolazione che rappresenta.

Resta l’obiezione sollevata dall’onorevole Laconi che, nell’ambito di ciascun gruppo, il peso elettorale di un elettore (consigliere comunale), appartenente ad un Comune di un certo numero di abitanti, sarebbe diverso da quello di un altro elettore di un Comune con un maggior numero di abitanti. In altri termini, il voto di un consigliere comunale di un Comune di cinquecento abitanti peserebbe meno del voto di un consigliere che rappresenta un Comune di cinquemila abitanti. A questa obiezione può rispondersi che non si viene, tuttavia, meno al concetto di una equa proporzionalità e questo inconveniente è di lieve momento, né deve turbare minimamente coloro che riconoscono l’utilità di affidare la funzione in parola ai consiglieri comunali, come agli elementi più idonei.

A ciò va aggiunto che col progetto Tosato si raggiunge un triplice scopo: 1°) utilizzazione di un corpo elettorale già esistente; 2°) valorizzazione del carattere rappresentativo e della funzionalità del Consiglio comunale; 3°) elezione fatta da elementi che sono in grado di compiere la migliore valutazione, appunto in quanto, non scelti, applicando un metodo matematicamente proporzionale.

Passando ad un’analisi critica dell’ultima proposta dell’onorevole Perassi, nota che uno dei suoi primi inconvenienti è quello di dover rinnovare le elezioni in tutti i Comuni d’Italia, per procedere alla nomina dei delegati, il che non è una cosa semplice. In secondo luogo trova giusta l’obiezione, già fatta, che quel sistema non permette di rispettare la rappresentanza. Supponendo, infatti, che per ogni mille abitanti si debba eleggere un delegato, è evidente, poiché le elezioni avvengono Comune per Comune, che la proporzionale non può essere applicata nei Comuni di mille abitanti né in quelli di due o tremila.

Altro inconveniente è rappresentato dal fatto che si darebbe una rappresentanza enorme ai grandi Comuni urbani; se un Comune di tremila abitanti avesse tre delegati, un Comune di un milione e ottocentomila abitanti, come Roma, ne dovrebbe avere milleottocento. Si avrebbe così, nel Lazio, una sproporzione schiacciante tra i delegati di Roma e quelli degli altri Comuni della Regione.

Voterà, quindi, soltanto la proposta dell’onorevole Tosato, in quanto, oltre a mantenere ferma una deliberazione precedente della Sottocommissione, dà alla seconda Camera una base realmente rappresentativa degli interessi locali.

PERASSI, confutando le considerazioni dell’onorevole Piccioni, il quale ha presentato la proposta Tosato come un tentativo di realizzare il principio di equa proporzionalità approvato dalla Sottocommissione, esamina in concreto come risulterebbe costituito il collegio dei consiglieri comunali del terzo gruppo (Comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti) nel Piemonte. In questa Regione la popolazione dei Comuni al di sopra dei 30.000 abitanti è complessivamente di 969.400 abitanti; la popolazione di Torino è di 629.000; la differenza tra le due cifre è 340.400. Si avrà dunque un complesso di Comuni, al di fuori di Torino, con una popolazione di 340.400 abitanti, di fronte al capoluogo della Regione che da solo ne conta 629.000. Facendo la percentuale si ha che della popolazione complessiva del terzo gruppo di Comuni, Torino da sola ne ha il 65 per cento e gli altri Comuni il 35 per cento. Ora in Piemonte i Comuni (eccettuato Torino) con popolazione superiore ai 30.000 abitanti sono 8 e, posto che ciascuno di essi abbia un numero di 40 consiglieri, avrebbero complessivamente 320 consiglieri comunali, contro gli 80 di Torino; il che significa che Torino, pur avendo il 65 per cento della popolazione del terzo gruppo di Comuni, avrebbe il 20 per cento degli elettori di secondo grado e, quindi, dei voti e gli altri Comuni, mentre formano complessivamente solo il 35 per cento della popolazione, concorrerebbero invece all’elezione con 1’80 per cento degli elettori, ossia dei voti.

Ciò dimostra che non si può parlare, nei confronti del sistema Tosato, di un’equa proporzionalità.

PICCIONI risponde che negli altri due gruppi di Comuni non vi sarebbe una sproporzione simile.

PERASSI ritiene che la sproporzione risulterebbe forse maggiore, se si esaminasse il primo gruppo (Comuni inferiori a 5000 abitanti), perché in Piemonte i piccoli Comuni sono numerosissimi ed ognuno di essi avrebbe 15 voti.

Quanto alla critica mossa dall’onorevole Piccioni al suo sistema, ripete che non è vero che questo non consenta l’applicazione della proporzionale nei piccoli Comuni, perché basta fissare una percentuale bassa di abitanti per ogni delegato per raggiungere questo scopo; come non è vero che implichi l’inconveniente di una sperequazione fra il peso elettorale dei grandi Comuni e dei piccoli, in favore dei primi, perché a ciò può ovviarsi rispettando rigidamente la proporzione tra la popolazione e il numero dei delegati da eleggere.

PRESIDENTE, premesso che, se si accetta un principio di proporzionalità, non si può evitare che i più dominino i meno, e che nella maggior parte delle Regioni i grandi centri urbani esercitino un’influenza prevalente nei riguardi di quella dei centri minori, osserva che la proposta Tosato-Piccioni-Fuschini presenta un ulteriore difetto, oltre a quelli già segnalati: il raggruppamento dei Comuni in categorie.

Tutti i raggruppamenti danno vita a profonde diseguaglianze nell’interno delle singole categorie, a meno di arrivare ad una serie molto numerosa di categorie, il che non è possibile nella fattispecie. Ora, se da un lato è apprezzabile lo sforzo di riunire i Comuni in tre sole categorie, non si può disconoscere che ciò non permette il rispetto di quei principî di equità che si vorrebbero vedere rispettati. Inoltre le tre categorie sono costituite in funzione di un unico elemento comune (la popolazione), senza tener conto delle particolari caratteristiche ambientali, della situazione geografica, delle risorse locali, ecc. Ad esempio, nel Piemonte vi sono innumerevoli Comuni con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti, ma gli uni sono in montagna, gli altri in pianura, alcuni a carattere agricolo, altri a carattere industriale, alcuni ad una estremità della Regione, altri dal lato opposto. Quando questo collegio elettorale dovrà riunirsi, non avrà niente di unitario, niente che lo leghi e dia alla sua espressione elettiva un carattere veramente rappresentativo: questi uomini che si raccolgono insieme a votare si sentiranno estranei gli uni agli altri e la stessa campagna elettorale per la presentazione dei candidati alla seconda Camera dovrà svolgersi in un modo che esce fuori dall’ordinario. I Comuni adiacenti possono avere qualche cosa che li accomuna (il modo di lavorare, la tradizione, la posizione politica, ecc.), ma quelli lontani per lo più si ignorano reciprocamente.

Passando all’esame della proposta Perassi, fa rilevare all’onorevole Conti – che se ne è fatto sostenitore – che, quando si è discusso della seconda Camera, la si è sempre considerata come un organismo nel quale dovevano confluire gli elementi vitali dell’ente Regione, tanto che se ne è parlato come della Camera delle Regioni, proprio per accentuare questa sua caratteristica. Per altro, nessuno ha mai parlato di una Camera dei Comuni e trova strano che oggi ci si riferisca ad essa come ad un organo rappresentativo dei Comuni. In sede di discussione sulla formazione delle Assemblee regionali, poteva sostenersi la necessità che esse riflettessero i Comuni, perché questi rappresentano l’elemento fondamentale della Regione; ma nei confronti di un organo nazionale è la rappresentanza delle Regioni quella che deve interessare. In ogni sistema composito, il principio da seguire è questo: che gli organi minori si riflettano nei mediani e i mediani nei maggiori. Personalmente, quindi, ritiene che le Regioni debbano costituirsi nel loro interno dando il necessario valore ai Comuni, ma che nella creazione della seconda Camera si possa prescindere dall’entità comunale.

È altresì d’accordo su un’altra obiezione che è stata sollevata nei riguardi della proposta Perassi, che, cioè, essa non permetterebbe l’applicazione della proporzionale. Infatti in Italia i partiti sono numerosissimi e vi sono almeno quattro o cinque strutture politiche che corrispondono alla natura del nostro Paese; viceversa nei Comuni minori, non soltanto nei piccolissimi, sarebbe aperta la strada unicamente ad un paio di partiti, di modo che gran parte della popolazione resterebbe priva di rappresentanza in questo collegio di secondo grado.

Premesse queste dichiarazioni, ritiene che, avendo ciascuno illustrato ampiamente il proprio punto di vista, si potrebbe senz’altro passare ai voti, ponendo anzitutto a partito la proposta dell’onorevole Nobile, perché è la più radicale, in quanto pone il problema se la seconda Camera debba essere costituita con un sistema diverso da quello della prima, oppur no.

PICCIONI, partendo dalla considerazione che vi è già un testo approvato dalla Sottocommissione, con una riserva relativa alla utilizzazione dei consiglieri comunali nel collegio di secondo grado, sostiene che la votazione dovrebbe avvenire sulla proposta Tosato, che suggerisce un congegno per superare la riserva già formulata, rispettando il criterio di equa proporzionalità nella rappresentanza.

PRESIDENTE fa presente che, nel suggerire di dar la precedenza nella votazione alla proposta Nobile, si basava sul presupposto che esistesse già un testo da cui partire (quello votato in una precedente riunione, per il quale un terzo dei senatori per ogni Regione avrebbe dovuto essere eletto dal Consiglio regionale e gli altri due terzi dai consiglieri comunali della Regione) e che le varie proposte in esame potessero considerarsi degli emendamenti. In questo caso, la formula Nobile avrebbe dovuto avere la precedenza come la più lontana dal testo.

NOBILE propone di porre ai voti il seguente quesito:

«Ritiene la Sottocommissione che, dopo le varie osservazioni fatte, si debba mantenere il criterio che nell’elezione della seconda Camera intervengano i consiglieri comunali?». L’esito della votazione potrebbe consentire di accantonare una parte delle proposte.

PICCIONI concorda.

FUSCHINI considera inopportuno tornare su una deliberazione già approvata, anche per il fatto che si creerebbe un precedente pericoloso.

PRESIDENTE pone ai voti il quesito formulato dall’onorevole Nobile, e, dato l’esito incerto della votazione per alzata di mano, procede all’appello nominale.

Rispondono sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, De Michele, Einaudi, Fabbri, Fuschini, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato e Uberti.

Rispondono no: Bocconi, Conti, Farini, Finocchiaro Aprile, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.

(Con 13 voti contro 14, la risposta al quesito risulta negativa).

PRESIDENTE rileva che il risultato della votazione consente di accantonare i progetti Fuschini, Ambrosini e Tosato-Piccioni-Fuschini, e possono, quindi, mettersi ai voti le rimanenti proposte, dando la precedenza a quella dell’onorevole Nobile.

FUSCHINI oppone che la formula dell’onorevole Nobile non può essere posta in votazione, in quanto urta contro il deliberato della Sottocommissione che la seconda Camera debba essere eletta a suffragio indiretto.

PRESIDENTE riconosce fondata l’obiezione ed invita l’onorevole Nobile a ritirare la sua proposta, avvertendolo che potrà – se crede – ripresentarla quando la questione verrà in discussione nella Commissione plenaria.

NOBILE aderisce.

PRESIDENTE invita allora la Sottocommissione a pronunciarsi sulla formula Laconi:

«La seconda Camera è eletta da collegi regionali a suffragio universale indiretto, secondo le modalità stabilite dalla legge».

PICCIONI dichiara, anche a nome del suo gruppo, che si asterrà da tutte le votazioni successive, riservandosi di riproporre il problema di fronte alla Commissione plenaria.

LUSSU preferirebbe che venisse data la precedenza nella votazione alla proposta Perassi, in quanto egli potrebbe aderire alla formula Laconi solo in via subordinata.

PRESIDENTE obietta che il criterio più logico è quello di passare dalle proposte più ampie a quelle più specificate. La proposta Laconi ha appunto il carattere delle prime, in quanto si limita ad affermare il principio della elezione indiretta, rinviando la precisazione delle modalità alla legge.

PERASSI osserva che la proposta dell’onorevole Laconi urta contro la stessa pregiudiziale che ha consigliato di accantonare la formula Nobile. Ricorda, infatti, che nella seduta della Sottocommissione del 16 ottobre fu approvata una deliberazione, in base alla quale si sarebbe dovuto seguire per la elezione di un terzo di senatori un sistema diverso da quello seguito per l’elezione degli altri due terzi. La proposta Laconi non può conciliarsi con siffatta deliberazione.

PRESIDENTE non crede valida l’obiezione dell’onorevole Perassi, che praticamente finirebbe per precludere ogni possibilità di votazione, in quanto anche nei confronti della proposta dello stesso onorevole Perassi potrebbe sollevarsi l’eccezione che, con una deliberazione precedente, si è stabilito di far nominare i due terzi della seconda Camera dai consiglieri comunali. Aggiunge che, con la votazione testé svoltasi, si è già inficiato un principio per cui, in realtà, si è cambiata la fisionomia generale del sistema.

LACONI concorda col Presidente, esprimendo l’avviso che non dovrebbero essere nuovamente poste in discussione soltanto le deliberazioni adottate nei riguardi delle due posizioni sulle quali si erano maggiormente irrigiditi i gruppi politici nella Sottocommissione: la rappresentanza delle forze vive e il suffragio universale diretto o indiretto. Sotto questo profilo è giustificato l’accantonamento della proposta Nobile, ma non vi sarebbe ragione per non votare la sua.

PERASSI ha sollevato l’obiezione unicamente per ragioni di coerenza, ma non intende insistervi.

PRESIDENTE mette ai voti la formula Laconi.

PERASSI voterà contro questa formula, in quanto ritiene opportuno mantenere fermo il principio che un terzo dei senatori sia eletto dalle Assemblee regionali.

LUSSU dichiara di astenersi dal voto per il motivo già esposto.

(Con 12 voti favorevoli, 2 contrari e 14 astensioni, è approvata).

TARGETTI dichiara che, ove fosse stato presente alla votazione nominale precedentemente fatta, avrebbe votato negativamente.

PERASSI osserva che l’approvazione della formula Laconi, in quanto questa afferma unicamente il concetto che l’elezione della seconda Camera deve essere fatta da collegi regionali a suffragio indiretto, non esclude che possa votarsi come comma aggiuntivo il capoverso della sua proposta:

«La legge elettorale determina il numero dei delegati da eleggersi in ciascun Comune, fra gli elettori del Comune, in proporzione al numero degli abitanti in modo che ciascun Comune elegga almeno un delegato».

LACONI ritiene accettabile il suggerimento all’onorevole Perassi.

TOSATO crede la cosa impossibile, perché, a suo giudizio, l’onorevole Laconi, con la espressione: «è eletta da collegi regionali a suffragio, ecc.», ha voluto significare che il collegio per l’elezione dei delegati è regionale.

PRESIDENTE pone in evidenza che il capoverso dell’onorevole Perassi non fa che indicare alcune modalità per la formazione di questo collegio regionale di secondo grado, laddove la proposta Laconi mantiene il silenzio sull’argomento.

LACONI ripete che non ha nessuna contrarietà ad accettare l’emendamento aggiuntivo Perassi, in cui si accenna all’organizzazione tecnica del sistema di elezione indiretta.

LAMI STARNUTI afferma che, pur concordando in linea di principio, non può accettare la proposta Perassi nel testo attuale, perché la formulazione è talmente generica che potrebbe rendere possibili le elezioni dei delegati col sistema maggioritario anziché col proporzionale. Aderirebbe ad una formula del genere, a condizione che fosse redatta in termini così precisi da non esporre al pericolo accennato. Suggerisce perciò all’onorevole Perassi di ritirare la sua proposta e di ripresentarla, perfezionata, in sede di discussione nella Commissione plenaria come emendamento alla formula Laconi.

PRESIDENTE è del parere che nulla osti alla presa in considerazione della proposta Perassi, ma che sia preferibile rinviare le modalità di applicazione alla legge, per non impegnare fin d’ora il legislatore futuro ad una posizione che potrebbe creare complicazioni di carattere tecnico.

PERASSI domanda all’onorevole Laconi se, con la formula testé approvata, ha inteso riferirsi ad un unico collegio per ogni Regione, ovvero ha inteso deferire anche questo problema alla legge elettorale.

LACONI risponde che la sua proposta tende all’istituzione di un unico collegio di secondo grado in ogni Regione.

PICCIONI dichiara, anche a nome del suo gruppo, che si asterrà dal partecipare ad una eventuale votazione della formula Perassi.

GRIECO fa analoga dichiarazione, condividendo le preoccupazioni dell’onorevole Lami Starnuti. Soggiunge che la disposizione, se fosse precisata come questi ha suggerito, potrebbe costituire un ottimo corollario della formula Laconi.

PRESIDENTE invita l’onorevole Perassi ad accettare il suggerimento dell’onorevole Lami Starnuti di ritirare il suo emendamento, per ripresentarlo, dopo averlo perfezionato, direttamente alla Commissione plenaria.

PERASSI accede all’invito.

La seduta termina alle 20.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti.

Erano assenti: Bordon, Castiglia, Di Giovanni, Leone Giovanni, Porzio, Vanoni, Zuccarini.

 

VENERDÌ 24 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 24 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Corte costituzionale (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Ravagnan – Cappi – Farini – Bulloni – Laconi – Ambrosini – Targetti – Bozzi.

La seduta comincia alle 16.

Seguito, della discussione sulla Corte costituzionale.

 

PRESIDENTE dà lettura degli articoli approvati nella precedente riunione e rivisti dal Comitato di redazione.

Art. 1. – «La Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi.

«Risolve, inoltre, i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e giudica sulla responsabilità penale (e civile?) del Presidente della Repubblica e dei ministri».

Ricorda che era rimasta in sospeso la questione se la Corte costituzionale debba giudicare anche sulla responsabilità civile, oltre che penale, del Presidente della Repubblica e dei ministri.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che la questione debba essere lasciata in sospeso per la necessaria coordinazione con le disposizioni che saranno prese circa il potere esecutivo.

PRESIDENTE è d’accordo.

(Così rimane stabilito).

Art. 2. – «La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e professori universitari, per un quarto di cittadini, aventi almeno 40 anni, eleggibili a uffici politici».

LEONE GIOVANNI, Relatore, crede che il limite di età di 40 anni debba estendersi a tutti i componenti della Corte. Preciserebbe anche, per quanto riguarda i professori universitari, che debbono essere ordinari. Formulerebbe, quindi, l’articolo nel seguente modo:

«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e professori ordinari universitari, per un quarto di cittadini eleggibili a uffici politici: tutti aventi l’età di almeno 40 anni».

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo 2 nel testo indicato dall’onorevole Leone.

(È approvato).

Art. 3. – «I giudici della Corte costituzionale sono eletti dall’Assemblea Nazionale».

(È approvato).

Art. 4. – «La Corte elegge tra i suoi componenti il Presidente.

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni e sono rieleggibili. Durante le funzioni di giudice i magistrati sono collocati fuori ruolo e gli avvocati non possono esercitare la professione.

«Sono ineleggibili i membri del Governo, delle Camere e dei Consigli regionali in carica al momento delle elezioni.

«Per i membri della Corte costituzionale non vigono limiti di età».

Contrariamente a quanto ha detto nella precedente riunione, tiene a precisare che per quanto riguarda gli avvocati, il divieto di continuare ad esercitare la professione, piuttosto che per i componenti della Corte costituzionale, dovrebbe essere introdotto per i membri del Consiglio superiore della magistratura.

RAVAGNAN, invece delle parole: «durante le funzioni di giudice», proporrebbe, per ragioni di chiarezza, di dire: «durante le funzioni della Corte».

CAPPI direbbe: «durante la loro appartenenza alla Corte».

FARINI all’ultimo comma, per non ingenerare dubbi, alla parola «giudici» sostituirebbe «membri».

PRESIDENTE ritiene che l’articolo 4 potrebbe essere così formulato:

«La Corte elegge fra i suoi componenti il Presidente.

«Il Presidente e i giudici durano in carica sette anni e sono rieleggibili. Durante la loro appartenenza alla Corte, i magistrati sono collocati fuori ruolo e gli avvocati non possono esercitare la professione.

«Sono ineleggibili i membri del Governo, delle Camere e dei Consigli regionali in carica al momento delle elezioni.

«Per i membri della Corte Costituzionale non vigono limiti di età».

Lo mette ai voti in questa forma.

(È approvato).

CAPPI, prima di esaminare l’articolo 5, crede opportuno che nel verbale si faccia menzione che nel progetto Calamandrei era prevista l’istituzione dell’ufficio del Pubblico Ministero, presso la Suprema Corte, sia quale tramite attraverso cui il cittadino avrebbe potuto proporre il ricorso di incostituzionalità, sia per ragioni di euritmia, non potendosi ammettere un giudice che si trovi davanti ad una sola parte. Il Comitato, invece, ha ritenuto che la funzione del Pubblico Ministero presso la Corte sia superflua e che il giudice assuma sempre una posizione di centro fra le parti, in quanto la parte che impugna sarà assistita dal suo patrono e il Governo, che avrà interesse a difendere la costituzionalità della legge, sarà rappresentato dall’Avvocatura dello Stato.

BULLONI non crede concepibile una impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale senza un organo, come il Pubblico Ministero, che difenda le ragioni della legge che, fino a prova contraria, si presume conforme alla Costituzione.

Quindi, non tanto per ragioni di euritmia, quanto per motivi attinenti alla funzionalità del Collegio giudicante, ritiene che presso la Corte Suprema debba essere istituito il Pubblico Ministero.

LACONI trova fondata l’osservazione dell’onorevole Bulloni, sebbene a suo giudizio il Pubblico Ministero, più che il potere esecutivo, rappresenti le ragioni del potere legislativo.

CAPPI non è persuaso delle ragioni addotte dall’onorevole Bulloni. Non può immaginare infatti un Pubblico Ministero che difenda una presunzione di legalità, anche quando potrebbe essere convinto che una legge è incostituzionale.

PRESIDENTE osserva che la Corte costituzionale non deve essere concepita come un organo giurisdizionale ordinario, ma come un organo superiore che giudica, senza che le parti agiscano nel modo ordinario, senza, cioè, la procedura comunemente seguita davanti a tutte le giurisdizioni.

AMBROSINI fa presente che l’onorevole Calamandrei, nel proporre l’istituzione del Pubblico Ministero presso la Corte costituzionale, si riferiva alla nozione storica dell’istituto e alla necessità che nello svolgimento della controversia avanti alla Corte non vi sia una sola parte, quella cioè del ricorrente, ma anche la parte resistente, il Pubblico Ministero. Osserva che non occorre l’istituzione del Pubblico Ministero presso la Corte per l’esplicazione della funzione suaccennata, giacché le ragioni della parte resistente, e cioè dello Stato ed eventualmente delle Regioni, possono bene essere sostenute dall’organo che normalmente ha questo compito, cioè dal l’Avvocatura dello Stato, alla quale istituzionalmente è attribuita la consulenza legale e la difesa in giudizio dello Stato e degli altri enti previsti dalla legge.

Ritiene in conseguenza che non sia necessaria l’istituzione del Pubblico Ministero, e che si renda d’altra parte opportuno fare un richiamo espresso all’Avvocatura, dello Stato.

PRESIDENTE si associa alle considerazioni dell’onorevole Ambrosini, soprattutto per l’opportunità di non creare una complicata organizzazione di funzionari, quale sarebbe necessaria per il funzionamento del Pubblico Ministero presso l’Alta Corte.

LEONE GIOVANNI, Relatore, si rende conto dell’esigenza prospettata dall’onorevole Bulloni, nel senso che la presenza di due parti serve senza dubbio a delineare meglio le questioni. Non occorrendo però un organo che abbia una particolare investitura, che sia cioè la voce del potere esecutivo, o di quello legislativo, ritiene che potrebbe essere utilizzato l’istituto dell’Avvocatura dello Stato, stabilendo – in sede di Sottocommissione – che tale istituzione partecipi al giudizio di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale. In questo modo, crede che possano essere soddisfatte tutte le esigenze.

BULLONI non vede come possa concepirsi un organo giurisdizionale senza un organo requirente. Gli sembra che siano la natura e la stessa funzione dell’organo giurisdizionale che impongano la presenza dell’organo requirente, il quale non può essere sostituito dall’Avvocatura dello Stato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa notare che attualmente al Consiglio di Stato funziona come Pubblico Ministero l’Avvocatura dello Stato. Nei riguardi della Corte costituzionale pensa che potrebbe adottarsi la procedura in uso presso il Consiglio di Stato, nel senso che l’Avvocatura dello Stato dovrebbe intervenire sia contro che a favore della impugnativa.

TARGETTI concorda con gli onorevoli Ambrosini e Leone, anche perché, come ha detto il Presidente, la Corte costituzionale non ha carattere di organo prettamente giudiziario. Dato però che quest’organo è investito anche della competenza a giudicare i ministri e il Capo dello Stato, domanda se in questi casi sia concepibile un giudizio senza il rappresentante dell’accusa.

AMBROSINI riconosce la fondatezza dell’osservazione, ma osserva che la Camera dei Deputati, nell’accusare, designa anche la persona che deve sostenere l’accusa.

LEONE GIOVANNI, Relatore, osserva che nella legge processuale prevista dall’ultimo articolo si potrà tener conto della esigenza che nei giudizi concernenti il Presidente della Repubblica ed i ministri vi sia un rappresentante della Camera dei Deputati.

PRESIDENTE avverte che rimarrà consacrato a verbale che la eventualità prospettata dall’onorevole Targetti dovrà essere considerata dal futuro legislatore. Circa il Pubblico Ministero, ritiene che la maggioranza sia favorevole al principio che tale organo non debba essere istituito presso la Corte costituzionale.

Art. 5. – «La incostituzionalità di una legge può essere (entro due anni dall’entrata in vigore? in ogni tempo?) dedotta in giudizio in via incidentale dalle parti o dal Pubblico Ministero, ovvero rilevata d’ufficio.

«Il giudice, se non ritenga di respingere l’eccezione, perché manifestamente infondata o non pertinente alla causa, sospende il giudizio e fissa alla parte interessata un termine per adire la Corte per la decisione. (Rimette gli atti alla Corte per la decisione)».

Osserva che, circa il primo comma, bisogna decidere se l’eccezione debba essere dedotta in giudizio entro due anni dall’entrata in vigore della legge, o possa esser dedotta in qualsiasi tempo.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non stabilirebbe alcun termine per l’impugnazione in via incidentale. Premesso che per quella in via principale sarà stabilito un termine, decorso il quale la legge non potrà più essere impugnata, potendo darsi che, quando sorga un conflitto tra l’interesse attuale del cittadino ed una legge non costituzionale, non sia più possibile l’impugnazione, riterrebbe opportuno lasciare al cittadino la possibilità di dedurre l’incostituzionalità della legge solo per il giudizio che a lui interessa e con effetti limitati al caso concreto.

CAPPI ritiene che si tratti di bilanciare fra di loro da un lato l’esigenza del cittadino, che ha interesse ad impugnare di incostituzionalità la legge anche dopo dieci o quindici anni, e dall’altro lato quella della certezza del diritto. Inoltre una legge, quando è stata in vigore per un certo numero di anni, ha creato una quantità di situazioni di diritto, per cui il dichiararla incostituzionale porterebbe senza dubbio a gravi sconvolgimenti.

D’altra parte gli sembra eccessivo stabilire che una spada di Damocle debba pendere su una legge, senza alcuna limitazione di tempo. È, quindi, favorevole al termine di due anni.

AMBROSINI sopprimerebbe l’espressione «in via incidentale», perché teme possa ingenerare qualche dubbio. Tale soppressione, a suo avviso, nulla toglie alla sostanza dell’articolo in discussione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, obietta che sopprimendo l’inciso «in via incidentale» potrebbe credersi che il giudizio abbia come unico oggetto di dichiarare incostituzionale una legge.

PRESIDENTE crede che si potrebbe sopprimere l’espressione: «in via incidentale», sostituendo però alle parole: «dedotta in giudizio» le altre: «dedotta nel giudizio».

LEONE GIOVANNI, Relatore, è d’accordo.

BULLONI pensa che il ricorso di incostituzionalità in via incidentale debba essere esperibile in ogni tempo. A suo avviso, l’interesse che un cittadino può avere anche dopo 15 anni, di far dichiarare incostituzionale una legge, non deve essere sacrificato per il rispetto della situazione che la legge stessa ha in precedenza creato nei confronti di altri cittadini.

CAPPI rileva che, sotto tale profilo, dovrebbe considerarsi iniquo anche l’istituto della prescrizione, perché un diritto, anche dopo cento anni, dovrebbe avere sempre valore. Come ha detto, si tratta di scegliere quale delle due esigenze debba avere maggior peso.

PRESIDENTE mette ai voti il principio che l’incostituzionalità della legge possa essere dedotta in giudizio in ogni tempo.

(Non è approvato).

Ritiene allora che debba intendersi approvato che dovrà essere fatta valere nel termine di due anni.

LEONE GIOVANNI, Relatore, si riserva di risollevare la questione nella Commissione.

RAVAGNAN, per rendere la dizione più alla portata di tutti, invece delle parole: «ovvero rilevata d’ufficio», direbbe: «ovvero rilevata d’ufficio dal magistrato».

BOZZI direbbe: «rilevata dal giudice».

CAPPI, sul secondo comma, osserva che, siccome l’eccezione di incostituzionalità sollevata in giudizio riveste anche il carattere di un interesse pubblico, invece di lasciare all’arbitrio della parte di adire o meno la Corte sarebbe più logico rimettere gli atti alla Corte per la decisione.

BOZZI invece della parola «impugnazione» metterebbe «eccezione».

PRESIDENTE mette ai voti l’espressione: «fissa alla parte interessata un termine per adire alla Corte».

(Non è approvata).

Osserva che si intende allora approvata la dizione: «rimette gli atti alla Corte per la decisione».

Mette ai voti l’articolo 5 così formulato:

«La incostituzionalità di una legge può essere, entro due anni dall’entrata in vigore, dedotta nel corso di ogni giudizio dalle parti o dal Pubblico Ministero, ovvero rilevata dal giudice.

«Se il giudice non ritenga di respingere l’eccezione, perché manifestamente infondata, o non pertinente alla causa, sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte per la decisione».

(È approvata).

Art. 6. – «Entro lo stesso termine, chiunque (ovvero: chiunque abbia interesse; ovvero cento cittadini) può impugnare una legge avanti la Corte per incostituzionalità».

LEONE GIOVANNI, Relatore, richiama l’attenzione sull’ultimo comma dell’articolo 8 del suo progetto, così formulato:

«Una domanda rigettata non può essere riproposta neppure da un altro soggetto, tranne, in questo ultimo caso, che per diverso motivo di nullità».

Con questa formula tendeva a costituire una remora, affinché, una volta promosso un giudizio di incostituzionalità, non fosse più possibile riproporlo. Aggiungerebbe, quindi, all’articolo in discussione, come secondo comma, il seguente:

«Una impugnazione di incostituzionalità rigettata non può più essere proposta da altro soggetto».

PRESIDENTE è d’accordo.

BULLONI, mentre era per la massima ampiezza circa il termine dell’eccezione in via incidentale, per l’impugnazione in via principale desidererebbe che il termine fosse il più ristretto possibile, vale a dire di due o tre mesi.

PRESIDENTE ritiene che anche in questo caso si debba stabilire lo stesso termine di due anni.

CAPPI, in via transattiva, propone di stabilire un anno, anche per dare modo ai cittadini di rendersi conto della legge attraverso la stampa.

TARGETTI, senza formulare una proposta precisa, ritiene che la Sezione si dovrebbe ispirare al concetto di impedire in tutti i modi un eventuale ostruzionismo a cui si andrebbe incontro, ammettendo in chiunque la possibilità di sollevare l’eccezione di incostituzionalità, nel senso che tutte le leggi potrebbero essere impugnate.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene giusta la preoccupazione di impedire azioni infondate, ma fa notare che, ponendo un termine ristretto, quando l’interesse fosse attuale si potrebbe non avere più il tempo per impugnare la legge. D’altra parte, se si fissa un termine, dato che l’interesse potrebbe sorgere in avvenire, dovrebbe essere dato a chiunque di impugnare una legge, anche non avendo un interesse attuale.

BULLONI stabilirebbe una sanzione civile per chi impugni infondatamente una legge.

LACONI crede che, se si vuole evitare che tutte le leggi possano essere impugnate, non debba essere ammessa indiscriminatamente l’impugnativa.

BOZZI opina che l’inconveniente che chiunque possa impugnare la legge, anche senza fondamento, possa essere ovviato anche con accorgimenti di carattere processuale, mediante cioè un giudizio di delibazione preventiva, come avviene attualmente per le sentenze impugnate davanti alla Corte di cassazione penale. Un simile giudizio di delibazione pensa che a maggior ragione si possa instaurare nei riguardi della Corte costituzionale, vale a dire che, senza aprire il giudizio, una commissione dovrebbe preventivamente esaminare le domande di impugnazione per determinare se sia il caso o meno di sottoporle al giudizio della Corte.

PRESIDENTE è d’accordo, salvo naturalmente il diritto di ricorrere alla stessa Corte, contro il giudizio di delibazione.

Avverte che sarà consacrato a verbale che la Sezione ritiene che il legislatore dovrà provvedere a che si abbia un esame preliminare delle domande di dichiarazione di incostituzionalità fatto dalla stessa Corte.

CAPPI proporrebbe di dire:

«Chiunque abbia un interesse, anche non attuale (ovvero 500, oppure 1000 cittadini) può, entro lo stesso termine, impugnare una legge davanti alla Corte per incostituzionalità».

BULLONI, come al cittadino è stato riconosciuto il diritto di iniziativa legislativa, così pensa dovrebbe essere riconosciuto a chiunque il diritto di impugnare una legge, entro un brevissimo tempo, davanti alla Corte costituzionale.

TARGETTI chiede che vengano messe in votazione separatamente le diverse proposte.

PRESIDENTE pone in votazione il principio che chiunque possa impugnare una legge di incostituzionalità.

(È approvato).

Pone quindi ai voti il principio che l’impugnativa debba essere proposta entro tre mesi.

(Non è approvato).

Pone in votazione il termine di un anno.

(È approvato).

Pone infine in votazione la formula:

«Una domanda di incostituzionalità respinta non può essere più riproposta».

(È approvata).

Avverte che l’articolo 6 rimane così formulato:

«Chiunque, entro il termine di un anno, può impugnare una legge avanti la Corte per incostituzionalità. Una domanda di incostituzionalità respinta non può essere più riproposta».

Comunica che per l’articolo 7 sono state proposte le due seguenti dizioni:

1°) «Qualora la dichiarazione sia stata pronunciata in via incidentale ha efficacia vincolante per il caso singolo nella prosecuzione del giudizio rimasto sospeso».

2°) «In ogni caso, quando si presenti in un nuovo giudizio la questione dell’applicazione di una legge che sia stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema, il giudice può rifiutarsi di applicarla senza bisogno di sospendere il giudizio».

Personalmente preferisce la prima dizione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, chiarisce che nel primo caso l’effetto della dichiarazione di incostituzionalità, in via incidentale, si riferisce al caso concreto. Nel secondo caso, che è conforme al progetto Calamandrei, gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità si estendono anche ai casi nei quali si ripresenti la medesima questione.

CAPPI pone in evidenza che ogni questione sarebbe superata, approvando l’articolo 7-bis, da lui proposto e così formulato:

«Pronunziata l’incostituzionalità di una legge, questa cessa di aver vigore. Il Parlamento potrà promuovere o l’abrogazione normale della legge o la revisione della Costituzione».

AMBROSINI sarebbe favorevole a limitare l’efficacia della dichiarazione al caso deciso, perché una diversa soluzione, qual è quella proposta nell’articolo 7-bis dall’onorevole Cappi, verrebbe a violare uno dei principî fondamentali di tutto l’ordinamento giuridico moderno, cioè quello della divisione dei poteri.

BOZZI, in relazione all’articolo 7-bis, non comprende quale abrogazione o revisione debba fare il Parlamento se, una volta pronunciata l’incostituzionalità di una legge, questa cessa di avere vigore. Dichiarata nulla una legge, gli sembra che i poteri del Parlamento, in ordine ad essa, siano esauriti.

PRESIDENTE crede che, formalmente, sia sempre necessaria l’abrogazione da parte del potere legislativo.

BOZZI riterrebbe più giusto stabilire che la Corte costituzionale farebbe una indicazione al Parlamento nel senso di rendergli noto che una determinala legge è incostituzionale. Il Parlamento allora avrà il dovere giuridico e politico di abrogare la legge o modificare la Costituzione. In tal modo, da un lato si salverebbe il principio della divisione dei poteri, e nello stesso tempo si darebbe l’efficacia che merita alla pronuncia della Corte.

CAPPI ritiene di aver contemplato nella sua proposta ambedue le possibilità. Di fronte ad una pronuncia di incostituzionalità di una legge, il Parlamento ha davanti a sé due vie: o conformarsi alla decisione, oppure far rivivere, in un certo senso, la legge, mettendo in moto il meccanismo di revisione della Costituzione.

BOZZI rileva che in tal caso sarà necessario modificare la forma dell’articolo.

LEONE GIOVANNI, Relatore, senza dilungarsi in discussioni, ricorda che le Costituzioni estere segnalano a tale proposito varie possibilità. Innanzi tutto vi è la possibilità che la Corte costituzionale emani una pronuncia semplicemente indicativa di incostituzionalità al Parlamento, il quale, in base a questa decisione segnalativa, può abrogare la legge o modificarla. La decisione di incostituzionalità, in questa ipotesi, non opera fin dal momento della pronuncia, e la legge continua ad avere vigore.

Vi è poi la soluzione opposta, per cui la dichiarazione di incostituzionalità opera l’annullamento della legge, o dal momento della pronuncia della sentenza della Corte (o della sua pubblicazione in qualche bollettino), ovvero, con effetto retroattivo, dal momento in cui l’incostituzionalità è stata messa in evidenza. Nell’articolo 8 del suo progetto era appunto prevista questa ultima forma.

In sede di Comitato ha ritenuto di accettare una via intermedia, cioè la formula dell’articolo 7-bis proposto dall’onorevole Cappi, secondo la quale la dichiarazione in via principale della incostituzionalità comporta che la legge da quel momento non abbia più vigore, cioè non sia più vincolante per i cittadini, ma non possa importare un’abrogazione vera e propria dal punto di vista formale. Il Parlamento, di fronte alla pronuncia della Corte, ha due possibilità: abrogazione della legge, nel senso di toglierle anche il residuo crisma formale, ovvero adire le vie per la revisione della Costituzione.

AMBROSINI è d’accordo che, più che alla forma, si debba guardare alla sostanza. Gli sembra infatti contradittorio il sistema in base al quale una legge, pur avendo perso ogni valore in quanto non è più vincolante per i cittadini, conserva però il suo crisma di legge. La situazione diverrebbe ancora più contrastante coi principî generalmente ricevuti nel diritto costituzionale, quando si mettesse il legislatore di fronte all’obbligo o di abrogare la legge, o di promuovere la revisione della Costituzione, giacché così si imporrebbe un obbligo positivo troppo grave all’organo ordinario che rappresenta il popolo ed esercita una delle funzioni sovrane, ed anzi la preminente funzione sovrana dello Stato. Ad ogni modo, anche a mettersi su questa via, sarebbe meglio adottare un sistema più semplice e coerente, superando qualsiasi pregiudiziale teorica relativa al principio della divisione dei poteri, e dando alla pronuncia della Corte costituzionale la portata logica di dichiarare addirittura la nullità di quella legge che ritenesse contraria alla Costituzione. Altrimenti sarebbe più opportuno limitare l’efficacia della sentenza della Corte al caso deciso.

CAPPI osserva che anche in questo caso potrebbe esservi la possibilità di una difformità di giudizi.

AMBROSINI risponde che questo inconveniente si verifica anche per i pronunciati della Corte di cassazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, si richiama all’articolo 140 della Costituzione austriaca del 1920, per cui la sentenza con la quale la Corte annulla per incostituzionalità una legge, o una parte della legge, obbliga il Cancelliere federale alla pubblicazione immediata dell’annullamento che entra in vigore dal giorno stesso della pubblicazione.

AMBROSINI, riguardo alla Costituzione austriaca che spesso è stata richiamata anche in altre occasioni, osserva che essa era improntata a principî e per qualche punto a preoccupazioni teoriche. Accenna a taluni istituti di essa, ed in particolare rileva la portata di quella parte della Costituzione che considerava la funzione giudiziaria come avente lo stesso carattere sostanziale della funzione amministrativa.

LEONE GIOVANNI, Relatore, rileva che, se si limita la funzione della Corte ad una segnalazione di incostituzionalità, possono anche passare degli anni prima che il Parlamento adotti una qualsiasi decisione nei riguardi della legge. Durante il tempo intercorrente fra il deliberato della Corte costituzionale ed il riesame da parte del Parlamento, la legge continuerà ad avere la sua efficacia, con conseguenti nuove lesioni della Costituzione. Per questo motivo si dovrebbe sentire la necessità che la sentenza della Corte costituzionale per lo meno sospenda l’efficacia della legge. Una tale soluzione non potrebbe ferire la sovranità del Parlamento, che rimarrebbe così libero di adottare la decisione che riterrà più opportuna.

PRESIDENTE dà lettura del seguente lesto dell’articolo 7, presentato dall’onorevole Bozzi:

«La pronuncia di incostituzionalità è comunicata dalla Corte al Parlamento, il quale o abroga la legge o procede alla revisione costituzionale di essa. Sino al momento della deliberazione del Parlamento l’efficacia della legge è sospesa».

CAPPI aderisce alla proposta dell’onorevole Bozzi, ritirando il suo articolo 7-bis.

LEONE GIOVANNI, Relatore, concorda con la proposta dell’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE pone ai voti il testo proposto dall’onorevole Bozzi.

(È approvato).

Art. 8. – «La decisione della Suprema Corte che dichiara l’incostituzionalità di una legge è comunicata d’ufficio al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Presidente delle due Camere, affinché sia considerata l’opportunità di procedere in via legislativa alla sua abrogazione o modificazione, ovvero alla modificazione della norma costituzionale contro la quale la legge è in conflitto».

Fa presente che questo articolo in relazione all’approvazione dell’articolo 7 nel testo proposto dall’onorevole Bozzi, deve intendersi superato, e pertanto ne propone la soppressione.

(È approvata).

Art. 9, (che diventerà art. 8). – «Una legge di valore costituzionale disciplinerà la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato.

«La medesima legge fisserà le norme sul funzionamento della Corte costituzionale e le altre leggi procedurali».

BULLONI domanda perché si debba rimandare ad un’altra legge costituzionale la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, quasi che gli attuali componenti della Costituente non siano in grado di provvedervi. Trattandosi di questioni che si verificano rarissimamente, sopprimerebbe il primo comma.

PRESIDENTE osserva che, sopprimendo la prima parte, la seconda rimarrebbe così formulata:

«Una legge di valore costituzionale fisserà le norme sul funzionamento della Corte costituzionale e le altre norme procedurali».

CAPPI proporrebbe che fosse una legge ordinaria.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo nella seguente formula:

«La legge fisserà le norme sul funzionamento della Corte costituzionale e le altre norme procedurali».

(È approvato).

TARGETTI dichiara che, se fosse stato presente alla riunione nella quale fu decisa la composizione della Corte suprema, in relazione al concetto che ha della funzione di questo organo, avrebbe limitato al massimo ad un terzo il numero dei magistrati. Chiede inoltre che questa sua proposta venga inoltrata al Comitato di redazione, per esser compresa fra le «osservazioni» che saranno indicate nel testo del progetto.

La seduta termina alle 17.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Targetti, Ravagnan e Uberti.

Assenti: Calamandrei, Castiglia, Di Giovanni, Mannironi e Porzio.

 

GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

83.

RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Einaudi – Lussu – Targetti – Fuschini – Rossi Paolo – Ambrosini – Piccioni – Nobile – Fabbri – Zuccarini – Mannironi – Laconi – Cappi.

La seduta comincia alle 18.15.

Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE ricorda che, a proposito di elezione dei membri della seconda Camera, sono state presentate due proposte, una dall’onorevole Fuschini, l’altra dall’onorevole Perassi (questa a nome del Comitato), le quali rappresentano una modificazione del testo che fu a suo tempo approvato dalla Sottocommissione. L’onorevole Fuschini ha già illustrato la sua proposta. Invita l’onorevole Perassi a dar ragione della propria.

PERASSI dichiara che, nel formulare l’emendamento il quale stabilisce che i due terzi dei senatori siano eletti da delegati a loro volta eletti a suffragio universale, il Comitato è partito dalla deliberazione adottata dalla Sottocommissione nella seduta del 15 ottobre. Questa deliberazione stabiliva che l’elezione dei senatori di ciascuna Regione dovrebbe effettuarsi col sistema del suffragio di secondo grado; e nella seduta successiva fu precisata nel senso che l’elezione dei membri della seconda Camera dovrebbe farsi per un terzo dall’Assemblea regionale, e per i restanti due terzi dai consiglieri comunali. Ora, il Comitato, studiando il modo di attuare quella deliberazione, aveva preso in considerazione una proposta, già accennata dall’onorevole Cappi, di attribuire ai consiglieri comunali un voto plurimo in rapporto al numero degli elettori del Comune a cui appartengono (per esempio, uno ogni cento elettori quelli dei Comuni da centomila a cinquecentomila abitanti; uno ogni trecento elettori quelli dei Comuni superiori a cinquecentomila abitanti, ecc.); ma, dopo avere attentamente ponderato questo sistema, è giunto alla conclusione che non è conveniente applicarlo per varie ragioni; anzitutto, perché i consiglieri dei Comuni non sono tutti eletti nello stesso modo; poi, perché il sistema del voto plurimo si presta a molte obiezioni; inoltre, perché i consiglieri comunali, venendo chiamati ad essere gli elettori per la formazione della seconda Camera, assumerebbero una funzione che esula dal loro proprio compito; ed infine, perché essi potrebbero essere chiamati ad eleggere la seconda Camera quando già sono in carica da molto tempo e l’orientamento dell’opinione pubblica che essi rappresentano può essere mutato.

Pertanto, dopo matura discussione, la maggioranza del Comitato, con dichiarazione di riserve da parte degli onorevoli La Rocca e Mortati, ha creduto di dover proporre la formula in esame, nella quale è applicato il principio, che era stato fissato dalla Sottocommissione, dell’elezione di secondo grado, ma si abbandona il sistema dell’elezione affidata ai consiglieri comunali.

A proposito dell’elezione di secondo grado, che è stata nella seduta precedente criticata dall’onorevole Einaudi come un sistema che in pratica si riduce ad una farsa, ritiene che l’onorevole Einaudi abbia tenuta presente particolarmente l’elezione a doppio grado del Presidente degli Stati Uniti d’America, ma fa osservare che per il sistema proposto dal Comitato per l’elezione dei membri della seconda Camera quella critica non sembra ugualmente fondata. Infatti, nel caso del Presidente americano l’operazione compiuta dai grandi elettori è quasi meccanica, perché la loro scelta è limitata ad una persona già designata dai partiti; invece qui si tratta di elezione non di una, ma di sei, otto o dieci persone (il numero sarà diverso a seconda dei vari collegi), e il sistema delle liste preparate dai partiti non esclude una libertà di scelta da parte dei grandi elettori; libertà che dipenderà dalla legge elettorale, la quale potrà ammettere le preferenze e le cancellazioni.

Passando a parlare del controprogetto presentato dall’onorevole Fuschini, il quale propone che i senatori siano eletti per metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a trentamila abitanti, e per l’altra metà dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, si limita, per il momento, a considerare particolarmente la seconda parte di questo progetto, secondo il quale i consiglieri dei Comuni minori formerebbero un Collegio unico elettorale nel quale ciascun consigliere avrebbe un voto. Osserva che questo sistema incontra ancora quelle stesse obiezioni in base alle quali la Sottocommissione aveva escluso che ai consiglieri comunali si assegnasse un voto soltanto, ed aveva prospettato il rimedio rappresentato dal voto plurimo.

A dimostrazione delle incongruenze che risulterebbero dal sistema proposto dall’onorevole Fuschini, prospetta, con dati statistici, le conseguenze che si avrebbero con l’applicazione di tale sistema, per esempio, in Piemonte. In questa Regione, i Comuni con meno di tremila abitanti costituiscono il 50 per cento della popolazione della intera Regione, i Comuni dai tremila ai diecimila abitanti il 32 per cento, e i Comuni dai diecimila ai trentamila abitanti il 18 per cento. Se si confrontano queste percentuali con quelle dei voti, dato che ogni consigliere comunale avrebbe un voto, si vede che il complesso dei voti dei consiglieri dei Comuni del primo gruppo rappresenta il 75 per cento, quello dei consiglieri dei Comuni del secondo gruppo il 21 per cento, e quello dei consiglieri dei Comuni del terzo gruppo il 5 per cento. Risultati opposti, ma rivelanti una sproporzione non meno eccessiva tra popolazione e voti, si hanno esaminando i dati offerti dalla Sicilia, dove invece i piccoli Comuni sono molto meno numerosi che in Piemonte. Qui le percentuali della popolazione dei tre gruppi di Comuni sono rispettivamente di 5, 35 e 60 per cento, mentre le percentuali dei voti sono di 15, 49 e 36.

Ritiene, pertanto, che la proposta dell’onorevole Fuschini, per quella parte almeno che si riferisce all’elezione di metà dei senatori da parte dei consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, non possa essere accolta. Aggiunge che analoghe obiezioni si possono fare alla parte della proposta Fuschini, secondo la quale nell’elezione dell’altra metà dei senatori dovrebbero concorrere con i membri dell’Assemblea regionale i consiglieri dei Comuni aventi più di trentamila abitanti.

Conclude, affermando che il sistema proposto dal Comitato è tale da incontrare minori difficoltà, e facendo presente che la stessa formula è stata adottata recentemente dalla Francia per la nomina dei membri del Consiglio della Repubblica.

PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Targetti e Rossi hanno presentato due proposte, di cui la seconda rappresenta una subordinata.

Dà lettura della prima:

«La seconda Camera è eletta per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi con suffragio universale diretto e segreto».

Vi è anche una proposta presentata dall’onorevole Nobile del seguente tenore:

«L’elezione dei membri della seconda Camera ha luogo a suffragio universale diretto e segreto, da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato il … (un numero compreso tra ventidue e ventisei) anno di età».

EINAUDI dichiara che le osservazioni da lui fatte nella seduta precedente sul sistema dei voti delegati valgono anche nel caso che si tratti di elezione, non di una sola persona, come nel caso del Presidente americano, ma di un gruppo di persone come nel caso dei senatori di ogni Regione. Anche qui i grandi elettori rappresenteranno i vari gruppi politici, ciascuno dei quali presenterà una sua lista, e quei grandi elettori non saranno che degli strumenti locali per esprimere quel voto che esprimerebbero con la loro scheda gli elettori diretti. Il risultato sarebbe identico, e tanto varrebbe eleggere direttamente i senatori con suffragio universale, diversificando però gli elettori del Senato da quelli della Camera non per classi e qualificazione, ma per un più elevato limite di età, come ha proposto l’onorevole Nobile.

Ritiene, pertanto, che si potrebbe lasciare che un terzo dei senatori fossero nominati dai consiglieri regionali, e che per gli altri due terzi potrebbe essere accolto il sistema del suffragio universale da parte di tutti gli elettori, con una diversificazione, rispetto agli elettori della prima Camera, per quanto riguarda l’età.

LUSSU conferma le osservazioni fatte nella seduta precedente, e si dichiara ancor più convinto che gli espedienti nuovamente proposti dal Comitato non fanno che aumentare le difficoltà già riscontrate.

Ritiene, poi, che l’impraticità e l’irrazionalità del controprogetto dell’onorevole Fuschini sia stata definitivamente dimostrata dall’onorevole Perassi, e che in ogni caso questo presenti gli stessi inconvenienti già riscontrati in altri sistemi.

Quanto al progetto degli onorevoli Targetti e Rossi, osserva che esso presenta l’inconveniente dell’adozione di un duplice sistema di elezione: una parte della seconda Camera sarebbe eletta dai Consigli regionali, cioè a suffragio indiretto, e l’altra a suffragio universale e diretto. II contrasto dei due sistemi provocherebbe un contrasto nel seno della seconda Camera, di cui la parte eletta a suffragio universale si riterrebbe investita più democraticamente, e l’altra parte si sentirebbe in condizioni di inferiorità, perché eletta con un sistema imperfetto. Ritiene, quindi, che questo sistema sia anche meno razionale di quello dell’onorevole Perassi.

TARGETTI rileva che le critiche dell’onorevole Perassi al progetto dell’onorevole Fuschini e quelle dell’onorevole Einaudi al progetto dell’onorevole Perassi gli giovano alla difesa e all’illustrazione del sistema proposto da lui e dall’onorevole Rossi.

L’onorevole Lussu ha criticato questo sistema, dicendo che con esso si formerebbe un Senato composto di due parti elette in due maniere troppo diverse l’una dall’altra. Ne avrebbe dovuto dedurre che è preferibile un sistema unico di elezione; ma non ha osato proporre l’elezione a suffragio universale diretto per tutti i membri della seconda Camera, perché questa ipotesi era stata già scartata dalla maggioranza della Sottocommissione. Ora, egli e l’onorevole Rossi hanno proposto il loro sistema, proprio perché hanno ritenuto che non presenti gli inconvenienti degli altri.

Con l’elezione indiretta non si evita l’inconveniente pratico della chiamata alle urne di tutto il corpo elettorale, perché questo dovrà eleggere gli elettori dei componenti la seconda Camera; e allora meglio è che il corpo elettorale sia chiamato per la elezione diretta. È stato obiettato che, con l’elezione diretta, la seconda Camera diventa un duplicato della prima; ma questo è inevitabile, dal momento che si è scartato il principio di una seconda Camera rappresentante d’interessi e categorie speciali: e da altra parte, anche di una seconda Camera eletta in tal modo non si può dire che sarebbe inutile, perché servirebbe a rivedere le deliberazioni della prima ed a suggerirne delle altre. Infine, per creare una differenza di composizione tra le due Camere, basterà stabilire che i componenti della seconda debbano essere scelti in determinate categorie.

Conclude, avvertendo che la proposta sua e dell’onorevole Rossi si inspira alle legislazioni del Belgio e della Repubblica greca, ove l’elezione della seconda Camera avviene con sistema misto.

FUSCHINI rileva che, dall’esame delle statistiche come le ha presentate l’onorevole Perassi, risulta evidente che vi sono delle Regioni in cui i piccoli Comuni hanno la prevalenza, ed altre invece dove i piccoli Comuni rappresentano una parte minima. Non meno evidente è il fatto che, se si fosse mantenuto il sistema dei due terzi dei membri del Senato eletti dai Consigli comunali e del terzo eletto dalle Assemblee regionali, ne sarebbe derivata una prevalenza eccessiva degli abitanti dei piccoli Comuni, cioè delle popolazioni rurali. Perciò egli, preoccupandosi della necessità che il Senato non si allontani troppo dalla configurazione della Camera dei Deputati, ha cercato nel suo progetto di equilibrare la situazione politica delle due Camere, attribuendo la nomina di una metà dei membri del Senato alle Assemblee regionali e ai consiglieri dei Comuni al di sopra dei trentamila abitanti, che hanno un carattere più urbanistico. A questi si potrebbero eventualmente aggiungere i 582 Comuni tra i diecimila e i trentamila abitanti, e così una popolazione di ventidue milioni di abitanti eleggerebbe la metà dei senatori, mentre l’altra metà sarebbe eletta dai consiglieri dei Comuni minori, rappresentanti una popolazione di venti milioni di abitanti.

Dichiara di aver tenuto presente nel suo progetto il criterio politico della distinzione della popolazione in città e borghi, in modo che non sia danneggiata né la volontà degli uni, né quella delle altre. Non ritiene, d’altronde, buon sistema quello dei progetti che adottano per metà l’elezione di secondo grado e per metà quella diretta. Bisogna avere il coraggio di applicare per intero o l’un sistema o l’altro.

LUSSU ricorda che una delle ragioni che hanno indotto a modificare il sistema che era stato approvato è che quando si sciolgono le due Camere, la prima viene eletta a suffragio universale o rispecchia la volontà attuale della massa elettorale, mentre la seconda, nominata attraverso i Consigli comunali, rispecchierebbe una volontà ormai sorpassata; il che avrebbe dovuto indurre allo scioglimento dei Consigli comunali contemporaneamente a quello delle due Camere.

Domanda se è possibile affrontare ora un problema così vasto.

FUSCHINI risponde che, dal punto di vista elettorale, la tesi ricordata dall’onorevole Lussu è eccessiva, perché i Consigli comunali, durando in carica quattro anni, conservano la loro efficienza rappresentativa. Le espressioni mutevoli dell’opinione pubblica saranno riflesse nella prima Camera; e, d’altra parte, i consiglieri comunali non potranno sfuggire ad un cambiamento dell’orientamento politico e le amministrazioni comunali si scioglieranno da sé o saranno sciolte con provvedimento prefettizio.

ROSSI PAOLO insiste sull’efficacia delle critiche mosse dall’onorevole Perassi al progetto dell’onorevole Fuschini, nel quale l’inconveniente della prevalenza degli elettori dei piccoli Comuni rurali potrebbe essere eliminata solo portando il sistema alle estreme conseguenze, cioè dando ad ogni consigliere comunale un numero di voti eguale a quello degli elettori del suo Comune diviso per il numero dei consiglieri. Ma questo metodo sarebbe troppo complesso.

Rileva, quindi, che anche il progetto dell’onorevole Perassi è fortemente colpito dalle critiche dell’onorevole Lussu, circa la diversa origine dei due gruppi di senatori che verrebbero a comporre la seconda Camera eletta da due diversi collegi: uno eletto a suffragio ristrettissimo qual è quello delle Assemblee regionali, e l’altro a suffragio universale, sia pure indiretto. Le difficoltà maggiori, a suo avviso, nascerebbero dall’impossibilità di rispettare la proporzionale in tutti i Comuni, poiché già sarebbe difficile attuare esattamente il sistema proporzionale tra i vari partiti nelle Regioni minori.

Tutte le critiche mosse agli altri progetti potrebbero essere superate col sistema da lui proposto, e contenuto nel seguente emendamento sostitutivo:

«I deputati alla seconda Camera sono eletti Regione per Regione da un Collegio composto da tutti i consiglieri regionali e da un numero doppio di delegati all’uopo nominati a suffragio universale».

Questo progetto rende più facile l’applicazione della proporzionale, ed elimina il grave inconveniente politico che potrebbe sorgere da una diversa composizione del Senato.

AMBROSINI ricorda che la Sottocommissione, nel procedere alla discussione del problema in esame, era partita da due principî fondamentali: che la seconda Camera dovesse esser composta in modo diverso dalla prima e che per la composizione di essa si adottasse un criterio misto. Perciò fu approvato il sistema che deferiva alle Assemblee regionali l’elezione di un terzo dei membri del Senato, ed attribuiva l’elezione degli altri due terzi ai consiglieri comunali di tutti i Comuni: sistema che egli ritiene non possa essere completamente scardinato. Dichiara perciò di essere favorevole al principio già approvato dalla Sottocommissione, e che è sostanzialmente mantenuto dal progetto dell’onorevole Fuschini, al quale apporterebbe solo una modificazione là dove propone che metà dei membri siano eletti dalle Assemblee regionali e dai Consigli comunali dei Comuni superiori ai 30.000 abitanti. Ritiene, infatti, che con questa proposta si ferisca uno dei principî già approvati dalla Sottocommissione, che cioè il Senato deve avere il carattere di rappresentanza delle Regioni come tali: se i membri dell’Assemblea regionale dovessero votare insieme ai consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, essi sarebbero sicuramente sommersi e la Regione, come tale, non avrebbe una propria rappresentanza. Perciò ritiene opportuno che l’elezione di un terzo della rappresentanza del Senato sia lasciata alle Assemblee regionali, e che quella degli altri due terzi sia affidata ai consiglieri dei Comuni, anche se in tal modo si va incontro all’inconveniente prospettato dall’onorevole Perassi della sproporzione dei rappresentanti in rapporto alla popolazione. Ricorda che, per distinguere le due Camere, si volle appunto che nella seconda la rappresentanza non fosse data agli individui come tali, ma a coloro che esprimessero le esigenze particolari delle varie zone e rappresentassero i raggruppamenti territoriali variamente composti.

Comunque, per andare incontro alle osservazioni fatte così dall’onorevole Perassi come dall’onorevole Fuschini, propone in linea subordinata che alla rappresentanza delle Assemblee regionali sia lasciata l’elezione di un terzo dei senatori, e che l’elezione degli altri due terzi sia attribuita per un terzo ai Comuni con popolazione fino ai 30.000 abitanti, e per l’altro terzo ai Comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti.

PICCIONI aderisce sostanzialmente al progetto dell’onorevole Fuschini, perché non ritiene persuasive le osservazioni fatte contro di esso.

L’obiezione principale, che il Senato risulterebbe composto in prevalenza da esponenti delle forze amministrative, è superata dal sistema proposto dall’onorevole Fuschini, perché la metà dei senatori eletti dalle Assemblee regionali, con l’aggregazione di tutti i consiglieri dei Comuni superiori ai 30.000 o ai 20.000 abitanti, rappresentano l’espressione della volontà degli amministratori dei centri urbani più importanti in unione ai membri delle Assemblee regionali.

L’altra metà viene eletta dai consiglieri comunali dei Comuni più chiaramente rurali. Niente di male che questa rappresentanza sia effettivamente in proporzione adeguata con l’altra ed abbia questa origine e questa investitura; senza aggiungere che, in definitiva, poiché i piccoli Comuni non avranno elementi qualificati per costituire una loro rappresentanza diretta in seno al Senato, questa rappresentanza degli interessi dei centri maggiori urbani si rifletterà necessariamente anche sui 150 senatori eletti dai Comuni più piccoli.

Si è obiettato, in base ai rilievi statistici presentati dall’onorevole Perassi, che i collegi elettorali chiamati nell’ambito regionale a eleggere 150 senatori urbani sono più ristretti numericamente rispetto ai collegi rurali che nominano gli altri 150 senatori.

PERASSI precisa di aver detto soltanto che vi è una prevalenza dei piccoli Comuni sui maggiori.

PICCIONI osserva che la prevalenza esiste in quanto esiste un maggior numero di consiglieri dei piccoli Comuni, e quindi un maggior numero di elettori comunali in un Collegio rispetto all’altro. Ma anche se si avesse una prevalenzadi questo genere, bisognerebbe pur mettere in conto la qualità più specificata del Collegio urbano rispetto a quello rurale, la qual cosa evidentemente si riflette nella scelta dei senatori stessi, cioè in un giudizio che gli elettori fanno in un Collegio rispetto agli elettori di un altro Collegio, e quindi in un giudizio più consapevole dal punto di vista politico.

Se il Collegio regionale, coll’aggregazione dei consiglieri dei maggiori Comuni, viene a essere, per esempio, di 130 persone che devono eleggere 8 senatori, il Collegio dei Comuni rurali viene ad essere di 180 consiglieri che devono eleggere 8 senatori. Questo porta alla conseguenza che il Collegio dei 130 elettori del primo caso ha una maggiore consapevolezza e quindi non influisce sul risultato dell’opinione elettorale.

Non trova quale altra obiezione si possa muovere al progetto dell’onorevole Fuschini, se non quella ricordata dall’onorevole Lussu relativa allo scioglimento delle due Camere. Ma, se si tratta di uno scioglimento normale per termine della legislatura, l’obiezione non ha valore, poiché le Amministrazioni comunali decadono ogni 4 anni e il Parlamento ogni 5. Se si tratta, invece, di scioglimento eccezionale, va tenuto presente che lo studio dei provvedimenti deve partire dalla regola e non dalle eccezioni. Né, comunque, l’inconveniente prospettato dall’onorevole Lussu sarebbe eccessivo.

Rilevate le insufficienze delle altre proposte, si dichiara favorevole alla proposta Fuschini, pur riconoscendo che essa dovrà essere riveduta in qualche dettaglio per armonizzarla alle condizioni reali del Paese e delle singole Regioni.

Fa presente però l’opportunità di prospettare alla Commissione le due principali soluzioni del problema in esame, non essendo a suo avviso possibile raggiungere l’unanimità dei consensi su una sola delle proposte.

PERASSI intende esaminare, alla luce dei dati statistici, la nuova proposta dell’onorevole Fuschini di dividere, agli effetti dell’elezione, i senatori di ciascuna Regione in due gruppi uguali, di cui uno eletto dai membri dell’Assemblea regionale con l’aggregazione dei consiglieri comunali dei Comuni con più di diecimila abitanti. Prende come esempio il Lazio.

FUSCHINI obietta che il Lazio non può valere come esempio, perché in questa Regione vi è una città di grande popolazione come Roma.

PERASSI avverte che si potrebbe, con lo stesso risultato, prendere come base della sua argomentazione qualunque altra Regione italiana.

Prendendo l’esempio del Lazio, si avrebbero le seguenti cifre: membri dell’Assemblea regionale, suppongasi, 100; consiglieri comunali dei Comuni con popolazione da 10.000 ai 30.000 abitanti, 780; consiglieri comunali dei Comuni da 30.000 a 100.000 abitanti, 240; consiglieri comunali di Roma, 80. In totale 1200 elettori. In questo Collegio gli 80 consiglieri comunali di Roma, che rappresentano una popolazione di più di un milione, avrebbero 80 voti contro 1020 voti spettanti ai consiglieri degli altri 24 Comuni, la cui popolazione complessiva è di molto inferiore a quella del solo Comune di Roma.

Quindi, quella obiezione che egli faceva prima in generale, vale anche per quanto concerne il Collegio composto dall’Assemblea regionale allargata nel senso proposto dall’onorevole Fuschini. Ricorda che questa obiezione si era resa subito evidente alla Sottocommissione, tanto che si era escluso che ogni consigliere comunale avesse un voto e si era pensato al voto plurimo, secondo la proposta fatta dall’onorevole Cappi, la quale, esaminata in sede di comitato di redazione, ha mostrato di recare in sé gravi inconvenienti.

NOBILE ritiene che il progetto dell’onorevole Fuschini rappresenti un peggioramento rispetto ad un altro già scartato dal Comitato, il quale mirava a fare in modo che ogni consigliere avesse col suo voto un peso proporzionale alla popolazione del Comune da lui rappresentato e inversamente proporzionale al numero dei consiglieri del Consiglio comunale.

Rileva inoltre che non è affatto vero che il progetto dell’onorevole Fuschini avrebbe per conseguenza che il peso dei Comuni rurali prevarrebbe su quello dei Comuni urbani. È vero proprio il contrario. Infatti, contro 113.000 consiglieri dei Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, si avrebbero 23.000 consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti. Si avrebbero così due corpi elettorali, l’uno composto dei membri dell’Assemblea regionale e dei 23.000 consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, e l’altro composto dei 113.000 consiglieri dei Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti. Ora, calcolando che i consiglieri regionali siano in cifra tonda 2.000, si avrebbero da una parte 25.000 persone e dall’altra 113.000, e ognuno di questi due gruppi eleggerebbe metà dei senatori, il che significherebbe che ciascun voto del primo gruppo varrebbe quattro volte un voto del secondo gruppo. La sproporzione è quindi evidentemente a sfavore del gruppo rappresentato dai consiglieri comunali dei piccoli Comuni, poiché la prevalenza è dalla parte dei Comuni urbani. E il fatto stesso che, applicando il sistema Fuschini, si arriva a conclusioni diverse da quelle volute dimostra che esso non ha una base razionale.

Osservato che il progetto dell’onorevole Perassi rappresenta un passo avanti verso la soluzione del problema, perché ammette l’elezione di delegati a suffragio universale per la nomina di due terzi dei membri della seconda Camera, rileva la validità dell’obiezione dell’onorevole Einaudi che, se si deve convocare il corpo elettorale per eleggere i delegati all’elezione dei membri della seconda Camera, tanto vale che l’elezione della seconda Camera avvenga direttamente a suffragio universale.

Dichiara di non vedere quale vantaggio si ottenga con le doppie elezioni, le quali non potranno che portare al sacrificio graduale dei piccoli partiti. Comunque, considera come un progresso il sistema proposto dall’onorevole Perassi, rispetto al quale un altro piccolo progresso è rappresentato dalla proposta dell’onorevole Rossi. Ma se si volesse fare un ulteriore passo avanti, si dovrebbe adottare il sistema che egli ha proposto, secondo il quale tutti i deputali della seconda Camera vengono eletti a suffragio universale diretto. Facendo così un’unica elezione, si eliminerebbe anche l’inconveniente rappresentato dalla necessità di ricorrere a disposizioni transitorie per la prima applicazione della Costituzione.

Conclude, ricordando che l’onorevole Einaudi ha obiettato giustamente che, se i senatori fossero eletti a suffragio universale, si avrebbe un duplicato della prima Camera. Egli stesso però ha suggerito la via per risolvere l’obiezione attraverso la differenziazione del corpo elettorale. Ecco perché, interpretando il suggerimento dell’onorevole Einaudi, egli ha proposto che tutta la seconda Camera sia eletta da un solo corpo elettorale a suffragio universale e diretto, elevando l’età degli elettori. Se questa sua proposta non fosse approvata, egli accederebbe alla proposta dell’onorevole Perassi, pregando il proponente di volerla modificare nel senso di eliminare la doppia elezione.

FABBRI non è affatto convinto della inapplicabilità del sistema precedentemente deliberato dalla Sottocommissione, il quale aveva il vantaggio di essere abbastanza semplice, tanto che su di esso si era determinata una certa communis opinio. L’esigenza di una più perfetta proporzionalità era già stata superata almeno in due punti, attribuendo un numero costante di senatori ad ogni Regione indipendentemente dalla popolazione, e stabilendo che i due terzi dei senatori fossero eletti dai Consigli comunali. Per conto suo aveva tenuto presente il fatto che i Consigli comunali non erano eletti in modo uniforme in tutto lo Stato, ma che vi erano dei Consigli comunali eletti col sistema maggioritario e dei Consigli comunali eletti con la proporzionale. Partiva però dal concetto che un consigliere comunale in carica, prescindendo dal modo col quale era stato eletto, rappresentava egualmente una quota della popolazione.

Osserva che le difficoltà pratiche che si verificherebbero nell’attribuzione del voto ai consiglieri comunali, si possono risolvere trasportandole al momento in cui dovrà essere fatta la rilevazione e l’elaborazione dei dati statistici. Per esempio, il voto del consigliere comunale di Roma potrà essere moltiplicalo per 2.000 in base a tabelle statistiche ufficiali, ed invece potrà essere preso come unitario il voto del consigliere comunale di Zagarolo. Questo potrà essere stabilito in modo uniforme e matematico in una tabella contenente anche l’indicazione della popolazione di ciascun Comune e il numero dei consiglieri comunali.

Tale sistema comporta che, prima di annunziare la nomina dei senatori, l’ufficio statistico dovrà fare un’elaborazione alquanto complessa dei dati; ma in compenso si otterrà sempre l’applicazione del concetto, già affermato dalla Sottocommissione, che il peso di ciascun voto dei consiglieri comunali debba essere in relazione alla popolazione.

Dichiara di non fare delle sue osservazioni una proposta formale. Se la Sottocommissione ritiene di trovare una strada migliore di quella da lui indicata – cosa di cui dubita, tenendo conto delle obiezioni sollevate dalle varie proposte – egli vi aderirà. Certo è che il permanere sulla via che era stata precedentemente adottata permetterebbe di chiamare realmente di secondo grado queste elezioni, e soprattutto lascerebbe sussistere il fatto che le elezioni di secondo grado sarebbero sempre fatte da rappresentanti politici della popolazione, ma non eletti per questa finalità, perché se si fanno elezioni appositamente per questa finalità lo scopo del secondo grado va quasi integralmente perduto.

PRESIDENTE comunica che è stata proposta la chiusura della discussione e la mette ai voti, avvertendo che si intende riservata la parola a coloro che si sono già iscritti a parlare.

(È approvata).

ZUCCARINI osserva che dalle decisioni che saranno prese circa il modo di formazione della seconda Camera dipenderà la vitalità o meno della Camera stessa. Occorre pertanto esaminare il più attentamente possibile le soluzioni che sono state prospettate.

Dichiara di concordare con coloro i quali ritengono che la seconda Camera debba rappresentare qualche cosa di diverso dalla prima, anche se le origini dovessero essere le stesse per l’una e per l’altra, cioè il suffragio universale. Personalmente è del parere che alle elezioni della seconda Camera, piuttosto che i cittadini indifferenziati, debbano concorrere enti che rappresentino la realtà concreta della vita sociale. Approva quindi l’idea di far nascere la seconda Camera dalle rappresentanze comunali e regionali.

Non comprende invece la logica del progetto presentato dall’onorevole Fuschini, il quale, unendo i componenti delle Assemblee regionali con i consiglieri dei Comuni superiori ai 30.000 abitanti, fa perdere alle Assemblee regionali gran parte della loro importanza. Ritiene pertanto più pratico il sistema che attribuiva un terzo dei membri della seconda Camera all’elezione delle Assemblee regionali, e gli altri due terzi dell’elezione dei consiglieri comunali.

Se le elezioni avvenissero in modo che un terzo dei senatori fosse nominato dalle Assemblee regionali, un terzo dai consiglieri dei grandi centri urbani, un terzo dai consiglieri dei Comuni rurali, il sistema potrebbe essere utilmente applicato senza creare gravi sproporzioni. È vero che, dal punto di vista della vita e degli interessi pratici, i centri urbani rappresentano qualche cosa di più della parte rurale dell’Italia, mentre queste due parti avrebbero lo stesso peso nelle elezioni della seconda Camera; ma è anche vero che nella seconda Camera i problemi vanno guardati, non dal lato politico, ma dal lato economico e dell’interesse collettivo, dal momento che essa deve avere una funzione equilibratrice.

Questo sistema non contrasterebbe con la preoccupazione di rappresentare proporzionalmente nella seconda Camera le divisioni politiche. Dato che i consiglieri comunali sono eletti a suffragio universale, diretto e segreto, essi rappresentano la divisione politica delle varie parti d’Italia, seppure in modo diverso. Ritiene pertanto che il sistema della rappresentanza delle Regioni e dei Comuni non sia da scartare, e che convenga solo di cercarne l’attuazione più semplice, senza preoccuparsi troppo del peso specifico delle varie masse elettorali.

Ritiene che vi debba essere anche una categoria di eligendi per la seconda Camera, categoria che non può essere così definita come si era stabilito in un primo tempo. Egli aveva suggerito che gli eligendi dovessero essere scelti non nelle categorie economiche, ma tra gli uomini che abbiano già occupato delle cariche rappresentative in seguito ad elezione.

Conclude, rilevando la necessità di rivedere la ripartizione tra Comuni, grandi e piccoli, per stabilire se vi sia sproporzione di rappresentanza. È del parere che il numero di coloro che partecipano alla elezione non ha alcuna importanza, ma che è invece un grave difetto attribuire ai 70 od 80 deputati della Regione gli stessi diritti di mille o tremila consiglieri comunali. In tal modo il peso dell’Assemblea regionale nell’elezione della seconda Camera perde ogni valore.

PICCIONI risponde alle osservazioni dell’onorevole Perassi citando l’esempio del Lazio. A questa Regione, secondo il progetto dell’onorevole Fuschini, sarebbero attribuiti 18 senatori, di cui 9 dovrebbero essere eletti dai consiglieri regionali e dai consiglieri dei Comuni superiori a trentamila abitanti, che sono 1200, e altri 9 dovrebbero essere eletti dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, che sono 5000. Ciò significa che l’elemento della popolazione è rispettato, in quanto i senatori sono assegnati in proporzione della popolazione della Regione. Se poi una categoria od un’altra interviene per la nomina di un numero maggiore o minore di consiglieri, ciò significa semplicemente che, anziché fare il calcolo difficile del voto plurimo, si dà un voto che pesa di più: mentre per l’elezione di nove senatori su 1200 consiglieri il quoziente può essere teoricamente stabilito in 133 voti, per l’elezione degli altri nove senatori dei Comuni rurali, dove si hanno cinquemila consiglieri, si avrà un quoziente di 555 voti. In altri termini, gli elettori rurali avranno una capacità elettiva di voti ridotta ad un quarto rispetto alla capacità elettiva degli elettori dei Comuni urbani; fatto, questo, che non porta alcuna disarmonia nel sistema, anzi evita quella moltiplicazione di voti che si voleva attribuire a ciascun elettore secondo le varie categorie di Comuni. E non ne deriva neppure un danno alla Regione, perché il numero dei senatori che la Regione deve avere rimarrà sempre quello.

Fa presente che i Comuni potrebbero anche essere divisi in tre categorie: Comuni fino a tremila abitanti, Comuni fino a 30.000 abitanti e Comuni da trentamila abitanti in su. Ragguagliando queste distinzioni per stabilire quanti senatori spettino alla popolazione di ciascuna delle accennate categorie, i senatori sarebbero eletti dai consiglieri comunali di ciascuna categoria con un sistema più semplice e coerente.

MANNIRONI dichiara che era sua intenzione esporre gli stessi concetti che ha espresso l’onorevole Piccioni; ossia, se è vero che i grossi Comuni sono chiamati a eleggere dei senatori in numero molto inferiore a quelli dei piccoli Comuni, tuttavia si tratta di un voto che pesa di più in quanto risponde a un numero maggiore di elettori.

PERASSI osserva che questa questione è fuori posto.

PICCIONI replica che la questione è sorta proprio in seguito alle osservazioni dell’onorevole Perassi, il quale ha riferito che il Comitato si è trovato di fronte alla difficoltà del voto plurimo; alle quali osservazioni si è risposto dimostrando che col voto plurimo non si verifica altro che una moltiplicazione dei voti, e quindi si raggiungono gli stessi risultati senza intaccare in nulla il principio.

PRESIDENTE precisa che nessuno ha posto la questione di una sperequazione tra Regione e Regione, perché per ogni Regione si fa un calcolo proporzionale alla popolazione. La sperequazione si verifica invece nel peso proporzionale che hanno i voti degli uni e quelli degli altri elettori nell’interno di una stessa Regione, e bisognerebbe dimostrare che ogni voto plurimo è sufficiente a sanare tale squilibrio. Ma ciò non è dimostrato dalle cifre citate nel corso della discussione, le quali anzi stanno ad indicare che la sperequazione è assai maggiore di quel che non appaia dalle affermazioni dell’onorevole Piccioni, facendo dubitare fortemente della praticità del sistema.

MANNIRONI intende dimostrare con le cifre riguardanti la Sicilia che la sperequazione esiste, ma non in forma così preoccupante come può apparire dalle dichiarazioni dello onorevole Perassi.

In Sicilia i Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti hanno una popolazione complessiva di circa un milione e 296 mila, con 4595 consiglieri; i Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti hanno una popolazione complessiva di un milione e 740 mila, con 2610 consiglieri. Vi è quindi una differenza di circa duemila consiglieri tra i due gruppi di Comuni. Ora, questi gruppi di Comuni di diversa entità numerica eleggerebbero lo stesso numero di senatori perché, posto che la Sicilia abbia diritto a trenta senatori, quindici sarebbero eletti dai 4595 consiglieri del primo gruppo e quindici dai 2610 del secondo. Senonché questo secondo gruppo rappresenta una massa maggiore di popolazione, e quindi il loro peso giuoca perché, pur essendo meno numerosi rispetto alla popolazione, eleggono lo stesso numero di senatori eletti dai consiglieri dell’altro gruppo.

PERASSI osserva che la sperequazione non è da considerarsi fra i due collegi per quanto concerne il numero dei senatori eletti da ciascuno di essi, ma si ha nell’ambito di ciascun Collegio, nel quale, dandosi ad ogni consigliere comunale un voto, i consiglieri dei Comuni minori hanno un peso sproporzionato rispetto a quello dei Comuni maggiori.

MANNIRONI chiarisce di aver voluto dimostrare che una sperequazione esiste, ma che essa viene sanata dalla necessità di adottare una soluzione meno difettosa delle altre. Richiamandosi al principio espresso dall’onorevole Ambrosini, che si deve tener conto non solo della popolazione come entità numerica, ma anche come entità territoriale, osserva che il Senato, il quale è stato chiamato la Camera delle Regioni, può essere chiamato Camera delle Regioni e dei Comuni.

LACONI si rende conto dei motivi che hanno indotto l’onorevole Fuschini a presentare il suo progetto, ma osserva che l’applicazione del sistema da lui proposto porterebbe sempre più lontano da una reale attuazione della democrazia, cioè dalla creazione di una rappresentanza rispondente al reale schieramento delle forze politiche. Ricorda che, quando fu votata la composizione della seconda Camera, si affermò che questa doveva essere eletta dai consiglieri di tutti i Comuni compresi nella Regione, secondo un sistema che garantisse una equa proporzione tra tutte le forze.

CAPPI osserva che questo sistema è stato già trovato.

LACONI replica che il sistema non è stato trovato perché, quando si accettasse il criterio che nel corpo di una Regione vi sia una parte della popolazione – quella dei centri rurali – la quale ha particolari interessi e dispone di un voto che ha un peso maggiore di quello dell’altra parte della popolazione, è il caso di domandarsi quali conseguenze possa avere questo fatto nel complesso politico sociale della Nazione. Queste conseguenze si proietterebbero su tutta la struttura democratica del Paese, perché si verrebbe ad attribuire un peso maggiore a determinate categorie di popolazione, che non sempre sono quelle più progredite e sviluppate dal punto di vista culturale e che possono recare un apporto maggiore allo sviluppo democratico del Paese. D’altra parte, le incongruenze a cui si giungerebbe attraverso un sistema misto di elezioni sono tali da far pensare che si debba trovare una soluzione diversa del problema in esame, la quale rispecchi la reale situazione italiana e possa riscuotere l’approvazione della maggior parte dei partiti.

Dichiara che egli e i suoi colleghi di partito sono disposti ad accettare una soluzione che tenga conto delle varie esigenze manifestatesi, e soprattutto dell’esigenza di diversificare quanto più possibile la seconda Camera dalla prima, in modo da farne un organo di riflessione, che rispecchi, però, lo schieramento politico e la composizione del Paese. Per questo ritiene che la miglior soluzione sia quella adottata dalla Costituzione francese, la quale prevede una seconda Camera integralmente eletta a suffragio universale indiretto, e cioè attraverso grandi elettori.

PRESIDENTE fa presente che tutti i sistemi finora proposti partono dall’erronea supposizione che la struttura sociale del nostro Paese sia uniforme. Ora, ciò non è, e per esempio, l’onorevole Mannironi ha parlato della Sicilia, dove i Comuni superiori ai 30.000 abitanti sono aggregati rurali, mentre in Piemonte i Comuni che superano i 10.000 abitanti sono aggregati cittadini. Nello stabilire quindi queste varie categorie di Comuni, o bisogna accettare il criterio assurdo di fare una speciale classificazione per ogni Regione, oppure fare delle categorie uniformi per tutte le Regioni che risponderebbero alla situazione di una Regione, ma non a quelli di un’altra a struttura sociale del tutto diversa.

Rileva l’importanza di questo problema che, derivando dalla divisione del Paese in tre parti – Italia settentrionale, centrale e meridionale – caratterizzate dalla diversa struttura sociale, viene a pesare su tutte le soluzioni del problema in esame.

MANNIRONI dichiara di aver portato l’esempio della Sicilia soltanto perché era quello che gli sembrava più evidente.

PRESIDENTE osserva che, prendendo l’esempio della Lucania, si sarebbe riscontrata la stessa situazione.

Comunica quindi che gli onorevoli Tosato, Piccioni e Fuschini hanno presentato la seguente proposta:

«La quota fissa dei senatori assegnati ad ogni Regione è eletta dalle rispettive Assemblee regionali. La rimanente quota, nella proporzione di un senatore per ogni 200 mila abitanti, è eletta dai consiglieri comunali della Regione divisi in tre gruppi: dei Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti; con popolazione superiore a 5 mila abitanti ed inferiore a 30 mila abitanti; con popolazione superiore a 30 mila abitanti. Ciascuno dei tre gruppi elegge un numero di senatori proporzionale alla popolazione».

Nei riguardi di questo nuovo progetto osserva che il sistema proporzionale non può essere applicato quando il numero degli eletti è troppo piccolo. È evidente che, se in una Regione sono da eleggere trenta deputati alla seconda Camera, sottratti i primi cinque che sono eletti dai Consigli regionali, ne rimangono troppo pochi perché essi possano essere eletti con la proporzionale. D’altra parte, siccome i senatori saranno assai meno di trenta, in media, per ogni Regione, il sistema proporzionale non potrà arrecare nessun giovamento.

Fa quindi presente che, tra i vari progetti presentati, soltanto quello dell’onorevole Nobile propone il sistema dell’elezione diretta senza alcuna contaminazione. Esso infatti propone che le elezioni dei membri della seconda Camera abbiano luogo a suffragio universale, diretto e segreto, da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato il 26° anno di età.

PICCIONI pensa che, data l’ora tarda, non si possa addivenire ad una votazione. Ritiene comunque che, poiché nelle votazioni precedenti era rimasto in sospeso soltanto il problema dell’applicazione concreta del sistema con l’intervento dei Consigli comunali, e poiché qualche progetto ritiene di averlo adeguatamente risolto, bisognerebbe cominciare dal mettere in votazione questo modo di risoluzione del problema rimasto in sospeso rispetto al sistema previsto e già approvato dalla Commissione. Successivamente, qualora l’esito della prima votazione fosse sfavorevole, si esaminerebbero gli altri progetti.

PRESIDENTE ricorda di avere egli stesso fatto presente che, per alcune questioni, la decisione della Sottocommissione era legata da precedenti votazioni; ma non crede che la Sottocommissione debba più ritenersi legata al progetto cui si riferisce l’onorevole Piccioni. Infatti, al piccolo Comitato incaricato di ristudiare il sistema era stato detto di esaminare l’applicazione della decisione presa dalla Sottocommissione al fine di trovare una soluzione e, ove questa non fosse stata trovata, di cercarne altre. In forza di questo mandato il Comitato ha proposto una soluzione diversa dalle decisioni che erano state prese antecedentemente.

PICCIONI obietta che il Comitato di redazione non aveva veste per decidere, ma soltanto di esaminare il problema dal punto di vista tecnico. Se il Comitato non è riuscito a risolvere il problema, può darsi che lo risolva la Sottocommissione. Ritiene che la proposta degli onorevoli Tosato e Fuschini, alla quale egli ha aderito, possa acquistare maggior peso se sarà messa a confronto con altre proposte, che è presumibile che non potranno ottenere la maggioranza dei voti. Comunque, data l’ora tarda, propone che la riunione venga sospesa.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinvio del seguito della discussione.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Bocconi, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Di Giovanni, Lami Starnuti, Porzio.

 

GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

(SECONDA SEZIONE)

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDI

DEL DEPUTATO AMBROSINI

INDICE

Corte di garanzia costituzionale (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Laconi – Calamandrei, Relatore – Cappi – Mannironi – Ambrosini – Targetti – Bulloni – Farini – Bozzi – Uberti.

La seduta comincia alle 16.

Seguito della discussione sulla Corte di garanzia costituzionale.

 

PRESIDENTE comunica che il Comitato incaricato della formulazione degli articoli ha presentato le sue proposte. Dà lettura dell’articolo 1:

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi, degli atti amministrativi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Ha, inoltre, competenza a conoscere dell’azione di responsabilità penale e civile contro il Presidente della Repubblica e i ministri».

Avverte che la frase: «degli atti amministrativi», aggiunta su proposta dell’onorevole Leone, non ha trovato consenziente l’onorevole Ambrosini, il quale ha espresso il timore che possa creare una certa confusione tra la competenza della Corte costituzionale e quella del Consiglio di Stato.

LEONE GIOVANNI, Relatore, spiega che, d’accordo con l’onorevole Calamandrei, ha sostenuto che l’impugnazione degli atti amministrativi per incostituzionalità sarebbe una impugnazione in ultima istanza, potendosi gli atti amministrativi sempre impugnare per le vie ordinarie. Quando si presentasse un problema di conformità dell’atto ai diritti consacrati nella Carta costituzionale, si ammetterebbe un ultimo grado di impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale.

LACONI chiede quale compito sarebbe riservato allora al Consiglio di Stato.

CALAMANDREI, Relatore, aggiunge che la proposta risponde anche ad un voto della Commissione di studio per il sindacato sugli atti amministrativi e rientra in un ordine di idee che fu sostenuto dall’Australia durante la discussione dei trattati di pace. L’Australia propose che si inserisse in tutti i trattati di pace una clausola – che può essere presa in considerazione come preannuncio di future istituzioni – che prevedesse la creazione di una Corte Suprema internazionale dei diritti umani; una Corte alla quale ogni cittadino degli Stati contraenti potrebbe ricorrere nel caso che i diritti fondamentali costituzionali fossero stati disconosciuti da atti di autorità di questi Stati.

Quest’idea è stata confutata dall’onorevole Ambrosini, il quale ha ritenuto che in questo modo si farebbe una confusione con la tutela data, in generale, agli organi della giustizia amministrativa contro atti amministrativi illegali.

Come esempio, fa l’ipotesi di un cittadino al quale venga negata, ingiustamente, l’autorizzazione a pubblicare un giornale, e di cui non siano accolti i ricorsi al Prefetto e al Consiglio di Stato. In questo caso l’atto amministrativo ha violato un diritto garantito dalla Costituzione, onde si può ricorrere alla Corte costituzionale.

LACONI osserva che il fatto stesso che il Relatore debba ricorrere ad un esempio per chiarire la disposizione dimostra che questa non è chiara.

Sarebbe più semplice dire che al Consiglio di Stato compete il giudizio di legittimità, ma che il giudizio è riservato alla Corte costituzionale quando si assume violata la Costituzione.

CAPPI, poiché non si tratta di distinguere l’impugnazione di legittimità da quella di incostituzionalità, ma di creare un’ultima istanza a cui ricorrere dopo sperimentate le altre, propone che l’articolo sia così modificato:

«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Giudica pure della costituzionalità degli atti amministrativi, dopo sperimentato il ricorso alle autorità ordinarie. Ha, inoltre, ecc.».

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa considerare che, dovendosi questo primo articolo rendere il più possibile solenne, la proposta dell’onorevole Cappi troverebbe sede più opportuna in articoli successivi.

LACONI rileva che ogni atto amministrativo trae origine da una determinata legge, legge che deve essere emanata nel quadro della Costituzione. Quindi, mettere il singolo atto amministrativo in relazione diretta con la Costituzione gli sembra un non senso.

Il sindacato sugli atti amministrativi è sempre di competenza del Consiglio di Stato o degli organi della giustizia amministrativa. Sarà invece competente la Corte costituzionale a giudicare se la legge, in base alla quale è stato posto in essere l’atto amministrativo, è nel quadro della Costituzione.

MANNIRONI ricorda che in precedenti disposizioni fu stabilito che, contro il giudicato di tutte le giurisdizioni, è ammesso il ricorso in Cassazione. Col ricorso alla Corte costituzionale si stabilirebbe un quarto grado di giurisdizione.

PRESIDENTE, poiché la discussione svoltasi pone in questione l’inciso «degli atti amministrativi», lo mette ai voti.

AMBROSINI dichiara che voterà contro, perché con questa aggiunta si verrebbe ad interferire su tutto il sistema adottato, non solo riguardo alla giurisdizione ordinaria, ma anche riguardo agli organi speciali della giustizia amministrativa: fa notare che la Sottocommissione ha proposto di estendere, avverso le decisioni di questi ultimi, la facoltà di ricorrere fino in Cassazione da parte degli interessati.

TARGETTI dichiara di associarsi a quanto ha detto l’onorevole Ambrosini, riservandosi di presentare in altra sede una forma di speciale ricorso a tutela dei diritti fondamentali.

(Non è approvato).

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo, senza l’inciso che è stato respinto.

(È approvata).

Sulla seconda parte dell’articolo ricorda che fu discusso se fosse il caso di affermare la responsabilità penale del Presidente della Repubblica e si concluse affermativamente.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che sia opportuno porre in parentesi la responsabilità civile.

In regime monarchico la responsabilità penale del monarca era esclusa, ma in regime repubblicano, quindi democratico, deve essere affermata la responsabilità del Capo dello Stato.

Preferirebbe però che l’organo chiamato a dichiararla fosse non il Tribunale ordinario, bensì il più alto organo giurisdizionale.

LACONI chiede chi promuoverebbe l’azione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, risponde che si dovrà stabilire se debba esservi un Pubblico Ministero.

AMBROSINI osserva che per i ministri occorre distinguere tra reati comuni e reati che non possono essere commessi che nell’esercizio del loro ufficio.

LEONE GIOVANNI, Relatore, pensa che di queste responsabilità debba giudicare la Corte. Se poi la prima Sezione adottasse il principio della irresponsabilità del Presidente, o stabilisse una responsabilità condizionata, la questione potrebbe essere riesaminata in altra sede.

AMBROSINI osserva che bisogna indicare tassativamente i casi di responsabilità del Presidente della Repubblica.

LACONI propone che si voti per divisione.

PRESIDENTE consente e pone ai voti la frase: «e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato».

(È approvata).

Mette ai voti l’ultima parte:

«Giudica sulla responsabilità penale (e civile) del Presidente della Repubblica e dei ministri».

Avverte che si vota con la riserva che in sede di coordinamento sarà stabilito quale debba essere la procedura.

BULLONI dichiara di votare a favore, riferendosi solo alla responsabilità penale.

(È approvata).

AMBROSINI pensa che debba restare inteso che la competenza normale della Corte costituzionale è quella che riguarda il sindacato sulle leggi. Le altre funzioni alle quali si è fatto cenno sono di indole così eccezionale che presumibilmente non impegneranno l’attività della Corte che in casi rarissimi. Questo va tenuto presente quando si tratterà di determinare il numero dei componenti della Corte.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 2:

«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e professori universitari, per un quarto di cittadini eleggibili politici aventi almeno 40 anni».

Propone di aggiungere dopo la parola «avvocati» la frase: «che cessano l’esercizio professionale».

Spiega che con questa aggiunta vuole evitare che si possa trar profitto dall’alta funzione esercitata per accrescere la propria clientela.

MANNIRONI ammette l’incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e la funzione di giudice nel periodo in cui questa funzione è esercitata, ma ritiene eccessivo stabilire che l’avvocato non possa riprendere l’esercizio della professione alla cessazione della funzione di giudice.

PRESIDENTE ritiene necessario troncare alla radice ogni illecito profitto.

LACONI è d’accordo col Presidente. Si tratta di funzione talmente alta che non ritiene conveniente far rientrare chi l’ha ricoperta nella vita professionale comune.

LEONE GIOVANNI, Relatore, è invece d’accordo con l’onorevole Mannironi. Stabilire che un professionista, assurto a quell’alta carica, divenga incapace, non gli sembra logico. La stessa incapacità non è considerata per il Capo dello Stato, né per i ministri; nemmeno per quello della giustizia.

D’altra parte va anche tenuto presente il problema economico. È stata respinta la proposta di assegnare a vita ai giudici della Corte costituzionale uno stipendio, e non si può pretendere che, alla fine dei sette anni, un professionista di rilievo torni a casa senza stipendio e con la proibizione di esercitare la professione.

AMBROSINI non crede che questa incapacità possa essere stabilita. Sarebbe d’altra parte una incongruenza stabilire l’incapacità all’esercizio della professione per i membri della Corte e non estenderla a coloro che ricoprono altre più elevate cariche dello Stato. Osserva, inoltre, che si tratterà di poche persone illustri non solo dal punto di vista intellettuale, ma anche della correttezza personale, e che colpirle in partenza con questa incapacità sarebbe veramente eccessivo.

FARINI non ritiene indispensabile porre questo inciso nell’articolo 2; ne rinvierebbe l’esame a quando sarà discusso l’articolo 4.

PRESIDENTE ritira la sua proposta, riservandosi di ripresentarla in sede opportuna.

BULLONI chiede che risulti dal verbale che con la parola «magistrati» si comprendono non solo i magistrati ordinari, ma anche i componenti del Consiglio di Stato.

CALAMANDREI, Relatore, osserva che è già stato compiuto ogni sforzo per scegliere fra i più autorevoli magistrati i componenti del Consiglio Supremo della Magistratura. Per la Corte costituzionale, invece, che riveste un carattere anche più elevato, ha l’impressione che con i criteri adottati, anziché aumentati, siano stati diminuiti i requisiti per il reclutamento dei componenti, e possa risultarne una scelta meno squisita.

AMBROSINI aderisce al concetto svolto dall’onorevole Calamandrei e lo invita a concretarlo in una proposta.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda i la sua proposta, in cui si parla di consiglieri di Cassazione o equiparati. Essa fu approvata soltanto per la parte concernente il criterio quantitativo delle percentuali.

Si tratta di un istituto nuovissimo, di grande importanza, del quale ogni caratteristica può costituire un pericolo o essere una conquista democratica. Ne faranno parte magistrati: ma questi saranno scelti in ogni grado o solo nei gradi più alti? E i professori universitari saranno scelti fra quelli appena saliti sulla cattedra o fra i più insigni? Per gli avvocati basterà il titolo o si richiederà una lunga esperienza?

LACONI teme che il prevedere tanti dettagli diminuisca la solennità dell’istituto. Le Camere chiamate a dargli vita sceglieranno uomini che, non soltanto per i titoli acquisiti, ma per il prestigio nazionale e per la competenza universalmente riconosciuta, siano degni di ricoprire così alta carica.

Ponendo tante clausole si restringerebbe talmente la cerchia, che la libertà di scelta dell’Assemblea ne apparrebbe eccessivamente limitata.

Per quanto poi riguarda la Magistratura, ricorda che fu stabilito che in essa si avranno differenze non già di gradi, bensì di funzioni, mentre qui, tornando al criterio dei gradi, si farebbe un passo indietro.

AMBROSINI ritiene con l’onorevole Calamandrei che, se si sono richiesti tanti requisiti per i membri del Consiglio Superiore della Magistratura, a fortiori debbano esser richiesti per i membri della Corte Costituzionale, che è un organo a quello superiore.

LEONE GIOVANNI, Relatore, alle parole: «per metà di magistrati» aggiungerebbe: «con funzioni non inferiori a Consigliere di Cassazione o equiparate».

LACONI afferma che questo criterio può valere per la scelta dei magistrati in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, ma non può essere determinante per i membri della Corte costituzionale. Nella scelta si deve solo tener conto del prestigio personale e della cultura del giudice, non del grado che riveste.

CAPPI ritiene opportuno togliere qualunque specificazione di termine (anzianità dell’insegnamento, o dell’esercizio della professione forense) limitando la scelta, per i professori universitari, a quelli di materie giuridiche ed intendendo esteso il limite di età di 40 anni a tutte le categorie.

LEONE GIOVANNI, Relatore, insiste sulla sua proposta richiedendo un minimum di anzianità nella carica o nella professione.

BULLONI, per gli avvocati, preferirebbe che l’anzianità richiesta fosse quella di iscrizione all’Albo della Cassazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Cappi, di togliere dall’articolo ogni riferimento alla durata dell’esercizio professionale.

(È approvata).

Pone ai voti l’articolo 2 così formulato:

«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di professori universitari di materie giuridiche e di avvocati e per un quarto di cittadini eleggibili politici, tutti aventi almeno 40 anni».

(È approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, non ritiene questa formulazione adeguata allo scopo, e dichiara formalmente che si riserva di ripresentare la questione in sede di Commissione plenaria.

(Poiché l’onorevole Conti è costretto ad assentarsi, la Sezione invita ad assumere la presidenza l’onorevole Ambrosini).

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 3:

«I giudici della Corte costituzionale sono eletti dall’Assemblea, col sistema di votazione previsto per l’elezione del Presidente della Repubblica».

LEONE GIOVANNI, Relatore, rileva che l’articolo prevede lo stesso sistema adottato per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non si sa però ancora se questa elezione sarà fatta dall’Assemblea Nazionale o dal popolo col suffragio universale diretto. Propone, quindi, di rinviare ogni decisione alla legge speciale che disciplinerà la materia.

LACONI obietta che una cosa è eleggere una sola persona e un’altra eleggerne molte, come nel caso dei giudici della Corte costituzionale, per cui ritiene che, per questi ultimi, si dovrebbe adottare un criterio di proporzionalità.

PRESIDENTE propone che il metodo di elezione sia rinviato ad una successiva legge costituzionale.

(Così rimane stabilito).

Aggiungerebbe, nella prima parte, dopo «Assemblea» l’aggettivo «Nazionale», e pone ai voti la prima parte dell’articolo così formulata: «I giudici della Corte costituzionale sono eletti dall’Assemblea Nazionale».

(È approvata).

Pone in discussione l’articolo 4:

«La Corte elegge nel suo seno il Presidente. Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili. I giudici, avvocati e magistrati, non potranno esercitare le loro funzioni durante l’esercizio del loro ufficio presso la Corte. Le altre incompatibilità saranno previste dalla legge. Per i giudici della Corte costituzionale non vigono limiti di età».

TARGETTI fa rilevare che la Corte risulterebbe composta di un numero pari di membri, il che può presentare degli inconvenienti in caso di votazioni.

PRESIDENTE risponde che la difficoltà sorgerebbe solo qualora i voti si dividessero perfettamente per metà, il che è difficile.

MANNIRONI, per snellire l’articolo, propone di sopprimere l’ultimo comma che stabilisce che non vigano limiti di età.

LEONE GIOVANNI, Relatore, preferirebbe che si approvasse il testo proposto, demandando al Comitato di redazione di trovare la migliore forma di espressione.

Per il primo comma propone la seguente modificazione:

«La Corte elegge il Presidente fra i suoi componenti».

PRESIDENTE pone ai voti il primo comma così emendato.

(È approvato).

Pone ai voti il secondo comma:

«Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili.

(È approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, richiamandosi alla questione della incompatibilità, fa considerare che esiste anche un problema di ineleggibilità. Nella sua formulazione aveva elencato alcune categorie di ineleggibili: il Capo dello Stato, i ministri e i Sottosegretari di Stato, i deputati, i senatori, i deputati regionali, i Capi del potere esecutivo regionale e provinciale e, infine, coloro che abbiano ricoperta una o più di queste cariche da non oltre 4 anni.

La sua proposta moveva dal concetto che la Corte deve essere espressa dal potere politico, cioè dall’Assemblea Nazionale; ma non deve essere in funzione dell’Assemblea Nazionale, né esserne una emanazione politica.

Occorre quindi, determinando non solo le categorie degli eleggibili, ma anche quelle degli ineleggibili, far sì che la Corte sia formata da elementi insensibili, al massimo, al fluttuare della vita politica. Vorrebbe, quindi, dichiarare ineleggibili quanti rivestano cariche politiche ed anche porre dei limiti per coloro che nel passato le hanno rivestite.

Ricorda che le altre Costituzioni che disciplinano la Corte costituzionale si diffondono largamente su questo istituto. Col rinviare alla legislazione futura tante decisioni, per timore di fare una Costituzione troppo particolareggiata, si finirà col rendere tardivi l’applicazione e il funzionamento di questo istituto.

LACONI si dichiara di parere contrario, e ritiene sufficiente dire che colui il quale è chiamato a far parte della Corte deve automaticamente decadere da qualunque altra funzione, perché non si possono considerare gli uomini incasellati in due categorie, così che da una parte siano coloro che militano nella politica e dall’altra coloro che non vi militano.

PRESIDENTE osserva che l’esclusione di coloro i quali hanno prima ricoperto delle cariche politiche porterebbe spesso alla esclusione degli elementi migliori.

TARGETTI, contrariamente a quanto ha sostenuto l’onorevole Leone, pensa esser necessario che nella Corte sia in larga misura l’elemento politico, perché i casi che deferiti al suo giudizio saranno in esigua minoranza casi tecnici, ma dovranno in gran parte essere risolti con l’interpretazione di norme politiche della Costituzione. Il giudice della Corte dovrà rinunziare a fare della politica militante, ma non potrà rinunziare alla sua esperienza politica e, soprattutto, alle sue convinzioni politiche. Dichiarare ineleggibile chi è stato deputato, significherebbe, come ha già detto il Presidente, precludere la via agli elementi più idonei.

MANNIRONI si dichiara sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Leone, ma, anziché stabilire la ineleggibilità, vorrebbe sancire l’incompatibilità fra il mandato politico e l’appartenenza alla Corte per tutto il tempo della legislatura, nel senso che un deputato non possa essere eletto a far parte dell’Alta Corte, quand’anche rinunzi al mandato politico, per la durata della legislatura.

BOZZI ritiene che la questione sollevata dall’onorevole Targetti investa la fisionomia della Corte. Chi pensa che in questo tribunale debba prevalentemente partecipare l’elemento tecnico della giurisdizione propende per una prevalente partecipazione di tecnici, mentre chi pensa che le funzioni della Corte siano prevalentemente politiche auspica una più larga partecipazione di elementi politici. Ma è già stato deciso che la Corte debba essere mista, cioè composta di elementi tecnici e politici.

È, a suo avviso, molto interessante il problema sollevato dall’onorevole Leone. I membri della Corte durano in carica 7 anni e i deputati, normalmente, 5 anni. Quindi, se alla Corte potessero essere eletti dei deputati durante il corso della legislatura, potrebbe avvenire che alcuni di coloro che hanno preso parte alla formazione di leggi sottoposte a controllo costituzionale venissero a far parte del tribunale che è chiamato a giudicare della loro costituzionalità, ciò che non sarebbe ammissibile. Di qui la necessità che il potere giudicante sia tenuto distinto dal legislativo.

PRESIDENTE trova convincenti le considerazioni dell’onorevole Bozzi per quanto riguarda i deputati in carica, ma non per gli ex deputati.

LEONE GIOVANNI, Relatore, solo in considerazione dell’orientamento della Commissione, dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE crede opportuno rilevare che la Corte costituzionale deve essere riguardata come un organo giurisdizionale e non di natura politica. Che possa essere composto di uomini che hanno partecipato alla vita politica è criterio giustissimo; ma ciò non può snaturare il carattere di quest’organo supremo, la cui funzione è di esame giuridico sulla costituzionalità delle leggi; giudizio che deve basarsi sui criteri normali di interpretazione della legge.

Nota che le osservazioni dell’onorevole Targetti potrebbero invece indurre nell’equivoco, e che è per ciò necessario riaffermare il principio che la funzione della Corte ha carattere giurisdizionale e non politico.

TARGETTI spiega che non ha inteso dire che questo organo debba esercitare un’azione politica; ha detto invece che una gran parte dei casi che potranno essere sottoposti al suo giudizio saranno casi di incostituzionalità in relazione al significato politico della Carta costituzionale. Dovrà quindi emettere spesso giudizi di contenuto squisitamente politico.

Perciò, se la Corte fosse costituita solo di elementi tecnici, probabilmente potrebbe, nei suoi giudicati, incorrere in errori che la presenza di uomini politici eviterebbe.

PRESIDENTE esprime il suo disaccordo. Ricorda sentenze della Suprema Corte di cassazione in cui sono stati affrontati e risolti problemi di natura politica con criteri squisitamente giuridici.

Qualsiasi magistrato sarebbe in grado di esprimere un giudizio sui problemi, anche i più ardui, che potessero presentarsi. L’aver deciso la instaurazione di una Corte costituzionale non mira che a dare un prestigio maggiore all’esercizio della funzione, ma non importa il cambiamento della sua natura; ragione per cui i componenti la Corte dovranno giudicare seguendo lo stesso metodo dei magistrati.

Per abbreviare la discussione, sottopone alla Commissione il principio pregiudizionale che tutti i casi di incompatibilità e di ineleggibilità devono essere previsti dalla Costituzione. Lo mette ai voti.

(È approvato).

LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che occorre considerare i casi di ineleggibilità del Presidente della Repubblica, dei ministri e Sottosegretari di Stato.

BOZZI ricorda che, per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, già un articolo dice che la qualità di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. Quindi può essere scartata la relativa formulazione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che si stabilisca che sono ineleggibili anche i ministri e Sottosegretari di Stato in carica al momento dell’elezione.

CALAMANDREI, Relatore, dichiara di essere stato favorevole all’inclusione nella Costituzione di una norma che stabilisca le incompatibilità, senza tuttavia ritenere che sia il caso di formulare una elencazione casistica. Basterebbe dire che qualunque ufficio di carattere politico e amministrativo è incompatibile con la carica di componente la Corte costituzionale.

LACONI è contrario a tutte queste incompatibilità, ritenendo che la decadenza dalle cariche, già prevista in altro articolo, sia sufficiente a garantire da ogni pericolo.

PRESIDENTE avverte che si tratta di stabilire se i ministri e i Sottosegretari siano ineleggibili.

MANNIRONI chiede se non sarebbe sufficiente stabilire la ineleggibilità dei componenti dell’Assemblea Nazionale.

LEONE GIOVANNI, Relatore, non lo ritiene sufficiente, in quanto un ministro o un Sottosegretario potrebbero anche non far parte dell’Assemblea Nazionale.

BOZZI è favorevole a che si dichiari questo caso di ineleggibilità, per quanto ritenga assurdo pensare che l’Assemblea possa eleggere a membri della Corte un ministro o un Sottosegretario in carica.

CAPPI crede si debba dichiarare solo l’ineleggibilità dei membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale in carica al momento della elezione.

UBERTI chiede che siano aggiunti anche i Presidenti delle Assemblee regionali, perché potrebbero sorgere conflitti tra leggi regionali e leggi statali.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che la votazione avvenga per divisione sulle singole categorie. La sua proposta si limita ai membri del Governo, ai membri dell’Assemblea Nazionale e ai membri delle Assemblee regionali.

BULLONI non crede che la formula proposta eviti il pericolo che vi siano giudici della Corte costituzionale chiamati a giudicare della costituzionalità o meno di leggi da essi stessi votate.

PRESIDENTE invita la Commissione a votare sulla formula proposta dall’onorevole Cappi:

«Membri del Governo e dell’Assemblea in carica al momento dell’elezione».

BULLONI ripete che potranno essere eletti giudici della Corte degli ex membri di una Camera che abbiano preso parte alla formazione della legge da giudicare.

PRESIDENTE ritiene che, se verranno in discussione leggi alla cui formazione hanno partecipato, essi si asterranno.

BULLONI si dichiara sodisfatto, purché risulti dal verbale la dichiarazione del Presidente, cioè che varrà per essi obbligo di astensione.

PRESIDENTE mette ai voti per divisione la proposta Cappi:

«Sono ineleggibili i membri del Governo in carica al momento dell’elezione».

(È approvato).

«I membri dell’Assemblea Nazionale in carica al momento dell’elezione».

(È approvato).

FARINI chiede che sia consacrato a verbale che il gruppo cui egli appartiene ha votato contro.

CAPPI dichiara di essersi astenuto.

PRESIDENTE, passando alle altre categorie, pone ai voti:

«I Presidenti delle Assemblee regionali».

(È approvato).

«I membri delle Assemblee regionali».

(È approvato).

Avverte che per tutte le categorie, in armonia a quanto risulta implicitamente dalla discussione, vale l’aggiunta: «in carica al momento delle elezioni». Pertanto la formula completa risulta la seguente:

«Sono ineleggibili i membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale, i Presidenti e i membri delle Assemblee regionali in carica al momento delle elezioni».

LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto riguarda il problema dell’incompatibilità, ricorda che fu già votata l’incompatibilità per i magistrati di esercitare, durante la carica, le funzioni giudiziarie e l’incompatibilità per gli avvocati di esercitare, durante la carica, la professione, e che qui vi era la proposta dell’onorevole Conti della cessazione definitiva dall’esercizio professionale. Per i professori universitari non fu stabilita l’incompatibilità con l’insegnamento e fu deciso di trovare una formula adatta che evitasse di far apparire questo criterio come un particolare privilegio.

La formulazione da lui proposta sarebbe: «Il collocamento fuori ruolo dei magistrati eletti giudici dell’Alta Corte, l’incompatibilità dell’esercizio delle professioni legali, le altre incompatibilità, nonché il trattamento economico, sono determinati dalla legge».

BULLONI aderisce alla proposta dell’onorevole Leone.

CAPPI trova pericoloso questo rinvio delle incompatibilità alla legge. Del resto, come è stata stabilita l’incompatibilità per i magistrati, gli avvocati, ecc., potrebbe essere stabilita anche per i membri delle Assemblee Nazionali. Un giudice dell’Alta Corte potrebbe essere eletto deputato.

PRESIDENTE crede che la questione possa essere esaminata in altra sede.

LEONE GIOVANNI, Relatore, propone di perfezionare la sua formula dicendo: «le altre incompatibilità relative ad incarichi politici».

BULLONI ritiene che quanto forma oggetto della preoccupazione dell’onorevole Cappi potrebbe trovare collocamento opportuno nella legge elettorale.

MANNIRONI esprime il parere che dall’insieme dell’espressione già approvata derivi anche quella incompatibilità di cui si preoccupa l’onorevole Cappi, perché quando si dice che non può essere nominato membro dell’Alta Corte un deputato, è logico che non possa essere nominato deputato un membro dell’Alta Corte.

BOZZI riconosce la necessità di precisare se si intenda stabilire una ragione di ineleggibilità o di incompatibilità. È stato votato il principio che non può essere eletto giudice dell’Alta Corte chi è deputato. Con ciò è stata ammessa una ragione di incompatibilità, perché, in altre parole, si dice che non si può essere contemporaneamente giudici dell’Alta Corte e deputati. È ovvio che se la qualità di giudice preesiste, si determina quella ragione di incompatibilità per chi dovesse essere eletto deputato. Le leggi vanno interpretate anche nel loro spirito, nella loro economia; non occorre che tutto sia espressamente detto.

PRESIDENTE aggiunge che, siccome in ogni caso sarebbe la legge elettorale che dovrebbe occuparsi di questa questione, non occorra decidere in proposito.

Sulla proposta dell’onorevole Leone, che si riferisce all’incompatibilità dell’esercizio delle professioni legali e al trattamento economico dei componenti la Corte, osserva che, forse, non è necessario fare di questo secondo argomento un’espressa menzione.

LEONE GIOVANNI, Relatore, afferma di averne fatta menzione, perché in Italia v’è la triste prassi che quanto più alta è la funzione, tanto più essa deve essere onoraria.

CAPPI ripete che rinviare le altre incompatibilità alla legge gli sembra pericoloso. Una legge potrebbe stabilire che gli appartenenti ai partiti politici si trovano in questa situazione di incompatibilità.

LEONE GIOVANNI, Relatore, ritira la parte della sua proposta che riguarda le altre incompatibilità.

PRESIDENTE crede che non dovrebbe precludersi la possibilità di stabilire altre incompatibilità; sono state esaminate solo quelle emerse nella discussione; ma potrebbero in seguito presentarsene delle altre.

LACONI propone di rinviare la questione.

PRESIDENTE, concludendo la discussione, dichiara che circa l’articolo 4 restano approvate queste disposizioni:

«La Corte elegge il Presidente tra i suoi componenti. Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili.

«Per i giudici della Corte non vigono limiti di età.

«Sono ineleggibili i membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale, i Presidenti e i membri delle Assemblee regionali in carica al momento dell’elezione».

La seduta termina alle 17.50.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Porzio.

MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

82.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Grieco – Mortati, Relatore – Uberti – Nobile – Perassi – Zuccarini – Bozzi – Fabbri – Ambrosini – Einaudi – Fuschini – Cappi – Lussu.

La seduta comincia alle 18.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE ricorda che resta da esaminare l’ultimo articolo del progetto dell’onorevole Mortati, che considera l’applicazione dell’istituto del referendum nel più ristretto ambito territoriale delle Regioni e dei Comuni.

Lo pone in discussione:

«Art. 7. – Gli Statuti regionali potranno disporre, per la formazione delle leggi regionali, l’impiego del referendum, in conformità ai principî posti per tale materia dalla Costituzione.

«Potrà altresì essere affidata al referendum l’approvazione di singoli provvedimenti. Sono in ogni caso sottoposte al voto degli elettori le deliberazioni relative all’assunzione diretta dei pubblici servizi, o alla contrazione di prestiti, non destinati alla conversione di debiti precedenti, in misura superiore a lire …, o all’erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente per oltre cinque anni, in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie».

GRIECO domanda la ragione della parola «altresì» contenuta all’inizio del secondo comma, della quale non vede la necessità se sotto la dizione: «leggi regionali», contenuta nel primo comma, sono già comprese le materie di cui parla il comma secondo.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, mentre il primo comma si riferisce alle vere e proprie «leggi regionali», il secondo riguarda anche atti amministrativi e provvedimenti singoli che non abbiano forma di leggi.

PRESIDENTE osserva che dicendosi: «gli Statuti regionali potranno disporre l’impiego del referendum, ecc.», si vuol significare che si tratta di una facoltà; mentre egli ritiene che l’istituto del referendum, per la sua importanza, debba essere posto come obbligatorio in modo uniforme, con disposizione fondamentale di ogni Statuto regionale; tanto più se si pensi che in qualche Regione, il cui governo potrà cadere nelle mani della parte più reazionaria, si potrebbe evitare a bella posta di includerlo nello Statuto e quindi di farvi ricorso, non permettendo così alle masse popolari di far sentire le loro voci.

MORTATI, Relatore, condivide l’opinione del Presidente ed accetta che sia introdotta una modificazione intesa a stabilire l’obbligo di prevedere e regolare negli Statuti regionali l’istituto del referendum. In luogo di «potranno disporre», si potrebbe dire «disporranno».

UBERTI è d’avviso che debba essere ammessa l’iniziativa popolare nel caso che gli Statuti regionali non stabilissero il referendum.

NOBILE propone che in luogo di dire: «in conformità ai principî posti per tale materia dalla Costituzione», si dica: «con disposizioni analoghe a quelle già stabilite per il referendum nazionale».

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formulazione:

«Gli Statuti regionali regoleranno l’esercizio dei diritti di iniziativa e di referendum in armonia ai principî posti negli articoli precedenti».

(È approvata).

Pone in discussione il secondo comma del testo proposto dell’onorevole Mortati.

NOBILE ritiene occorra specificare che il popolo ha diritto di chiedere in ogni caso il referendum, stabilire cioè anche in questa materia l’iniziativa popolare; altrimenti, lasciando l’iniziativa all’ente Regione, potrebbe essere escluso il ricorso al referendum per qualche provvedimento non compreso nella specificazione proposta. Egualmente si potrebbe, a suo giudizio, richiedere l’iniziativa popolare per annullare un provvedimento emanato in base alla legge comunale e regionale.

PRESIDENTE ricorda che, trattandosi negli articoli precedenti di referendum nazionale, il diritto di iniziativa è stato riconosciuto ai cittadini elettori e ad enti diversi dallo Stato, e ritiene che analogamente dovrà farsi per il referendum regionale, perché la Regione non potrà farsi essa stessa promotrice di referendum in confronto delle proprie leggi. Ricorda pure che il referendum abrogativo è stato ammesso anche per le leggi regionali e ritiene che, se mai, si potrebbe pensare di estenderlo anche ai regolamenti.

UBERTI osserva che la questione va impostata diversamente a seconda che si tratti dello Stato, o della Regione, o dei Comuni.

PRESIDENTE rileva che allora bisognerebbe togliere dal comma già approvato l’inciso: «in armonia coi principî posti negli articoli precedenti».

PERASSI ritiene che tale inciso debba essere inteso nel senso che lo Statuto regionale possa anche andare oltre: che, ad esempio, per certi provvedimenti possa stabilire il referendum obbligatorio quando per lo Stato è previsto solo come facoltativo; e lo stesso dicasi per i Comuni.

ZUCCARINI trova inutile far menzione di questa facoltà – per le Regioni e per lo Stato – di indire un referendum, poiché ciò è pacifico come un diritto riconosciuto.

UBERTI ritiene che lo Statuto regionale possa anche stabilire – e ciò si potrebbe espressamente specificare – di fare un referendum anche su iniziativa dei Consigli degli enti interessati. Nessuno ostacolo dovrebbe esservi a tale possibilità, anche perché le stesse Assemblee regionali potrebbero essere interessate a sentire sopra un problema di grande importanza il parere della popolazione. Ad ogni modo, dovrebbe essere ben chiaro che gli enti possono, quando vogliano, sottoporre alla decisione della volontà popolare la soluzione di importanti questioni.

Ricorda che attualmente il referendum è previsto con valore deliberativo per la municipalizzazione dei pubblici servizi; egualmente decisivo potrebbe essere il referendum che i Consigli comunali o regionali intendessero indire sopra una determinata questione. In sostanza, il referendum non è che l’esercizio della democrazia diretta.

PRESIDENTE crede che questi casi dovrebbero essere previsti, perché tutto il sistema che si sta creando non è basato sulla democrazia diretta.

UBERTI, ai provvedimenti previsti dall’onorevole Mortati, riguardanti prestiti, erogazioni di spese, ecc., per i quali la volontà popolare si esprime attraverso un referendum deliberativo, ritiene che si potrebbero aggiungere: «tutti quegli altri provvedimenti che l’ente ritenesse di sottoporre al popolo».

BOZZI ritiene indubbio che le Regioni e i Comuni possano indire un referendum, se ad esso si dà valore di consultazione e di parere non impegnativo. Altra cosa sarebbe se al referendum si intendesse dare valore deliberativo, in quanto con ciò si verrebbe a sostituire l’espressione della volontà popolare a quella degli organi che per legge sono chiamati ad esprimere la volontà giuridica, eludendo così il modo normale di formazione di questa volontà. Se il parere degli elettori dovesse essere vincolante, occorrerebbe dichiararlo esplicitamente, perché ove è attribuzione di competenza che disciplini il modo in cui la volontà si deve manifestare, non si vede come si possa mettere da parte la legge e sentire direttamente il popolo.

MORTATI, Relatore, osserva che è previsto in questo articolo l’obbligo degli Statuti regionali di stabilire il referendum per quei casi per cui è fissato il referendum nazionale. Si domanda ora se il Comune o la Regione possano indire un referendum all’infuori di questi casi, ed egli ritiene che la questione possa essere risolta affidandola alla autonomia degli Statuti, in quanto il referendum non incida in qualche norma di carattere costituzionale. Entro questi limiti non crede vi sia bisogno di farne espressa menzione nella Costituzione.

Un referendum preventivo, a scopo consultivo, si potrà sempre fare, poiché esso non incide sulla formazione di una legge o sui provvedimenti da prendere; ma non è possibile che lo Statuto regionale affidi al popolo una decisione che spetta ad altri organi, perché dovrebbe, per farlo, derogare alle norme che sono state fissate nella Costituzione per gli Statuti regionali.

FABBRI propone la seguente formulazione:

«Gli Statuti regionali prevederanno l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum, anche per singoli provvedimenti amministrativi, in armonia delle norme vigenti per le leggi nazionali. Le Regioni ed i Comuni saranno in ogni caso tenuti a sottoporre agli elettori le deliberazioni, ecc.».

PRESIDENTE nota che questa formula raggruppa le disposizioni contenute nel comma già votato e in quello ora in esame.

MORTATI, Relatore, non crede opportuna l’iniziativa popolare per l’emanazione di singoli provvedimenti, perché – presa da persone irresponsabili – potrebbe essere non abbastanza meditata.

FABBRI osserva che la formula da lui proposta prevede l’iniziativa popolare non per tutti i provvedimenti, ma per quelli che sono disciplinati dallo Statuto regionale.

MORTATI, Relatore, pensa che l’iniziativa debba presupporre una conoscenza ed una valutazione del complesso delle esigenze amministrative, ciò che il popolo non può fare: bisognerebbe dire che il provvedimento è stato già previsto dall’amministrazione; ma ciò non è detto nella proposta dell’onorevole Fabbri.

FABBRI risponde che si tratta della stessa iniziativa ammessa per proporre un disegno di legge: il vincolo si deve intendere nel senso che l’organo regionale è obbligato a prendere in considerazione la richiesta di referendum.

MORTATI, Relatore, ritiene che, dopo questo chiarimento, si possa accogliere la proposta dell’onorevole Fabbri.

UBERTI, anche per chiarire questa questione, insiste sulla opportunità di aggiungere che l’approvazione di singoli provvedimenti potrà essere affidata al referendum, su iniziativa dei Consigli comunali e degli Enti regionali.

PERASSI osserva che gli Statuti regionali avranno una certa libertà per quanto riguarda il referendum, rispetto agli atti amministrativi dei Comuni, e di questa libertà potranno usare in due diversi modi: o stabilendo che un certo provvedimento debba essere sottoposto a referendum, oppure limitandosi a dire che certi provvedimenti saranno sottoposti a referendum se o quando lo richieda una certa aliquota di cittadini.

PRESIDENTE nota che, nella formulazione dell’onorevole Mortati, segue una elencazione di casi in cui è ritenuto obbligatorio il referendum. Ritiene che non si possano far rilievi circa il ricorso al referendum per le deliberazioni relative all’assunzione diretta di pubblici servizi; ma che qualche dubbio possa invece sorgere circa il referendum obbligatorio per la contrazione di prestiti non destinati alla conversione di debiti precedenti.

MORTATI, Relatore, spiega che si tratta di impegni i quali possono incidere gravemente sulla economia di una Regione e che è quindi opportuno sentire il parere delle popolazioni interessate, le quali sono poi quelle che dovranno soddisfare a tali impegni.

PRESIDENTE osserva che, in fatto di prestiti, il giudizio dei cittadini può avere un valore relativo, poiché essi sono portati a ritenere una eventualità fortunata quella di fare comunque affluire danaro nelle casse pubbliche, senza rendersi conto o preoccuparsi troppo delle conseguenze che da questi prestiti possono derivare: ritiene invece una garanzia maggiore il giudizio elaborato dalle amministrazioni regionali e comunali.

MORTATI, Relatore, chiarisce che una valutazione da parte degli organi amministrativi esisterà sempre e che il referendum rappresenta una successiva garanzia, che non elimina quella preventiva deliberazione. Pensa anzi che la deliberazione di un prestito dovrebbe essere accompagnata anche da un accenno alla sua destinazione.

Ad ogni modo questo ulteriore vaglio affidato al popolo, stimolando il senso civico dell’elettore, potrebbe costituire una remora per nuove spese ed un avviamento a quella educazione politica che si tende a raggiungere attraverso queste forme di democrazia diretta.

AMBROSINI ritiene che si debbano inserire nella Costituzione le disposizioni in esame, in quanto ricorda che in sede di Comitato di redazione per le autonomie locali questa specificazione si volle stabilire per porre un qualche ostacolo alla finanza cosiddetta allegra degli enti pubblici in genere e perché fu respinto il principio del controllo sul merito.

Concorda perciò nelle considerazioni dell’onorevole Mortati ed aggiunge che, essendo alla proposta di un prestito accompagnata una dichiarazione sul modo di pagamento, le stesse popolazioni eserciteranno un controllo che potrà riuscire efficace.

NOBILE ritiene che sarebbe forse meglio non parlare di questo nella Costituzione, poiché il giudizio della volontà popolare potrebbe essere previsto solo per quanto riguarda le condizioni a cui un prestito viene contratto: per il resto esiste già un controllo sulle spese.

FABBRI, per dare lo stesso carattere di rilevanza alle disposizioni di questa parte dell’articolo, ritiene si potrebbe togliere la doppia alternativa e dire: «le deliberazioni relative alla assunzione diretta dei pubblici servizi e alla contrazione di prestiti non destinati alla conversazione di debiti precedenti o alla erogazione di spese, ecc.».

Infatti, la rata di restituzione del prestito non differisce da una qualsiasi erogazione di spesa, e quindi l’impegno sul bilancio dell’ente per oltre cinque anni in quella certa misura potrebbe valere sia per la contrazione del prestito che per l’erogazione di altre spese.

UBERTI osserva che vi può essere una diversità di destinazione, in quanto il prestito può essere destinato ad una spesa o ad un investimento anche a carattere redditizio. A questo proposito ritiene troppo vincolante l’obbligatorietà del referendum in fatto di erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente «in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie», perché mette i Comuni in condizione di non poter far ricorso al prestito anche quando ne hanno una esigenza particolare e quando esso rappresenta una semplice commutazione di beni, come ad esempio un investimento in immobili. È d’avviso che bisognerebbe fissare una aliquota maggiore ed arrivare almeno fino al doppio delle entrate annuali ordinarie.

MORTATI, Relatore, tenendo conto delle osservazioni dell’onorevole Uberti, dopo le parole: «non destinati alla conversione di debiti precedenti», propone di aggiungere le altre: «e ad investimenti».

EINAUDI osserva che oggi qualsiasi investimento sarà certamente improduttivo.

UBERTI non insiste nella sua proposta circa gli investimenti.

PRESIDENTE richiama l’attenzione sull’altra proposta dell’onorevole Uberti, secondo la quale l’obbligo del referendum sarebbe previsto per le deliberazioni relative all’erogazioni di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente «in misura superiore al doppio delle entrate ordinarie annuali», in luogo del decimo di tali entrate stabilito nella proposta dell’onorevole Mortati.

EINAUDI osserva che, se lo Stato dovesse attenersi alla stessa misura, potrebbe contrarre un prestito di 800 miliardi: una cifra alquanto esagerata.

FUSCHINI non crede che il grave problema dei controlli sulla Regione si possa risolvere con un referendum, ed osserva che tutta la casistica di cui si sta discutendo riguarda problemi non sufficientemente maturati. Ritiene perciò che una legge potrà più ponderatamente studiare i diversi casi ed affrontarne meglio la soluzione. Propone quindi che l’articolo in esame termini con l’affermazione che gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti legislativi, senza aggiungere alcuna specificazione.

UBERTI ricorda che le specificazioni inserite in questo articolo trovano la loro ragione nel fatto che il referendum fu considerato come un sostitutivo del controllo di merito. Occorreva impedire che un Consiglio comunale potesse impegnare le entrate per un periodo superiore al suo mandato. Anche facendo un rinvio alla legge, ritiene tuttavia necessario farne un accenno nella Costituzione e propone la seguente formula:

«La legge fisserà i limiti di spesa e di prestito che non potranno essere deliberati senza ricorso al referendum».

PRESIDENTE osserva che coloro i quali redigeranno la legge sulle amministrazioni regionali e comunali avvertiranno i diversi problemi come li ha prospettati l’onorevole Uberti e cercheranno di risolverli. Rileva inoltre che, secondo la proposta dell’onorevole Fuschini, è il principio stesso del referendum come controllo sulle spese che deve essere ulteriormente esaminato e approfondito.

FABBRI vorrebbe fossero posti dei limiti alle autonomie regionali nella stessa Carta costituzionale, poiché, sebbene egli abbia auspicato più volte una legge comunale e regionale al fine di ottenere una certa uniformità di regolamentazione in questo campo, quel suo concetto di uniformità per tutte le Regioni non è stato votato.

MORTATI, Relatore, è contrario alla proposta dell’onorevole Fuschini, perché, una volta ritenuta di importanza costituzionale la materia del controllo, questi limiti generali circa l’attività finanziaria dei Comuni – concepiti appunto in funzione di controllo sull’amministrazione regionale – meritano di essere inseriti nella Carta costituzionale.

PERASSI chiarisce i termini della questione, rilevando che in base dell’articolo 8 del testo predisposto dal Comitato di redazione sulle autonomie locali, le forme ed i limiti dell’autonomia finanziaria delle Regioni sono stabiliti da leggi costituzionali; mentre in base all’articolo 15 l’autonomia finanziaria del Comune può essere limitata da una legge ordinaria dello Stato.

FABBRI insiste perché si chiarisca quale legge regolerà i limiti dell’autonomia delle Regioni, essendosi affermato che la legge ordinaria rimane completamente estranea ai provvedimenti amministrativi degli enti autonomi.

PRESIDENTE ritiene che, per quanto riguarda le Regioni, il problema dei limiti alla loro autonomia finanziaria si presenti alquanto delicato e ricorda l’articolo 8, il quale determina che tale autonomia va considerata «nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali per coordinarla con le finanze dello Stato e dei Comuni»: crede sarebbe opportuno chiarire la questione.

FUSCHINI rileva che già nell’articolo 8 vi sono i limiti che s’intende porre all’autonomia finanziaria della Regione, in quanto si fa riferimento a leggi costituzionali.

Non ritiene quindi necessario aggiungere altro nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini, secondo la quale l’ultima parte dell’articolo 7 sul referendum dovrebbe chiudersi con la formula:

«Gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

(Con 11 voti favorevoli ed 8 contrari, è approvata).

Fa notare che l’articolo 7 resta pertanto così formulato:

«Gli Statuti regionali regoleranno l’esercizio dei diritti di iniziativa e di referendum in armonia ai principî posti negli articoli precedenti.

«Gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

MORTATI, Relatore, circa la questione del referendum abrogativo di leggi tributarie, presenta – secondo l’incarico ricevuto – questa nuova formulazione:

«Non è consentito il ricorso al referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

Fa presente che l’onorevole Einaudi avrebbe desiderato che quei limiti fossero stati formulati in altro modo, poiché voleva che fosse vietata la richiesta di abrogazione di leggi le quali apportassero aumento di entrate, se contemporaneamente non si fosse proposta una diminuzione di spesa e viceversa; ma, poiché il referendum abrogativo ha un contenuto negativo e non può – a meno di sconvolgere tutto il sistema già adottato – essere accompagnato da una proposta positiva, non si poté accogliere la proposta dell’onorevole Einaudi, ritenendosi più opportuno attenersi ad una formulazione più generale come quella presentata.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Mortati:

«Non è consentito il ricorso a referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

(È approvata).

Fa presente che in base ai principî ieri approvati sul referendum abrogativo ed alla proposta testé votata, la formulazione riguardante tale istituto resta così determinata:

«Si procede analogamente quando il referendum sia rivolto alla abrogazione di una legge o di un decreto legislativo in vigore.

«Non è consentito il ricorso al referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

PERASSI ricorda che è stata approvata una proposta dell’onorevole Fabbri circa un determinato quorum per la validità del referendum. In conseguenza di ciò, vorrebbe che rimanesse chiarito che, se nella votazione popolare il prescritto quorum non è raggiunto, l’iniziativa del referendum non ha ulteriore seguito, cioè la votazione popolare dell’oggetto, per il quale era stato domandato il referendum, non è rinnovata.

(La Commissione concorda).

PRESIDENTE dichiara con ciò esaurito il tema del referendum.

Avverte che si riprende ora in esame il sistema di elezione della seconda Camera e che su tale argomento il Comitato di redazione fu incaricato di redigere una nuova proposta.

PERASSI legge la proposta seguente sostitutiva del terzo comma dell’articolo 3 del testo precedentemente adottato:

«I Senatori sono eletti per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi da delegati eletti a suffragio universale».

EINAUDI è contrario a questa proposta, perché il sistema di elezione di doppio grado, lungi dall’essere quel toccasana che dai teorici si riteneva e che forse nei primi tempi della Costituzione americana – quando la mancanza di mezzi rapidi di comunicazione impediva un preventivo accordo tra i delegati – ha funzionato, si è in pratica dimostrato un’illusione, se non una farsa, perché i delegati sono divenuti solo dei fantocci che portano dei voti. Tanto varrebbe dire che i Senatori sono nominati dagli elettori a suffragio universale diretto, senza passare per la trafila dei delegati i quali poi, anche per una combinazione casuale di cifre, possono non rappresentare la volontà della maggioranza degli elettori. A questa elezione di delegati riterrebbe perciò preferibile il sistema del suffragio diretto (ed in tal caso rileva che si potrebbero differenziare gli elettori della seconda Camera, elevando ad esempio la loro età a 25 anni); ma è d’avviso che il sistema delle elezioni per mezzo dei Consigli comunali che era stato precedentemente stabilito sia il migliore, perché offre almeno il vantaggio che quei Consigli sono nominati non per eleggere i Senatori, ma per provvedere all’amministrazione dei Comuni, e quindi sono composti di notabili, i quali danno un certo affidamento di serietà e di saggezza.

FUSCHINI propone il seguente emendamento:

«Art. 3. – I senatori sono eletti per metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 30 mila abitanti e per l’altra metà dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori ai 30 mila abitanti».

CAPPI ricorda di avere egli proposto il sistema di elezione di due terzi di senatori da parte dei Consigli comunali, ma, convinto della impossibilità di adeguare il peso del voto di questi consiglieri al numero della popolazione da loro rappresentata, ritiene che occorra cercare un correttivo. La proposta dell’onorevole Fuschini, se non presentasse le stesse difficoltà della sua, sarebbe accettabile; altrimenti si potrebbe stabilire che metà dei senatori fossero eletti dalle Assemblee regionali e metà a suffragio universale dagli elettori dell’intera Regione. Questo rappresenta già un criterio discriminativo, in quanto i collegi elettorali per la prima Camera sono meno ampi dei collegi regionali; e tale criterio, unito all’altro accennato dall’onorevole Einaudi, di elevare il limite di età degli elettori della seconda Camera, risponde alla esigenza di evitare che la seconda Camera riesca un duplicato della prima.

LUSSU ricorda che al precedente malcostrutto sistema di elezione si era arrivati per la mancata possibilità di un accordo sulla soppressione della seconda Camera e sulle elezioni di essa a suffragio universale, che avrebbero portato alla creazione di due Camere identiche; e che si fu indotti a rivedere quel sistema per il gravissimo inconveniente che derivava dal fatto che, se si scioglieva la seconda Camera, era necessario sciogliere anche le Assemblee regionali e i Consigli comunali da cui essa prendeva vita. Ritiene perciò che il progetto dell’onorevole Fuschini non sia accettabile, perché contrario a tutto l’esame critico svolto finora dalla Sottocommissione e dal Comitato. Né il progetto dell’onorevole Cappi è migliore. Resta perciò il sistema proposto dal Comitato di redazione. Questo si presta a qualche critica, di cui si è fatto interprete l’onorevole Einaudi; ma nessun istituto democratico è perfetto, e come l’onorevole Einaudi ha ritenuto fantocci i delegati elettori della seconda Camera (perché in fatto sono i primi elettori quelli che nominano i Senatori), si potrebbe argomentare che ciò egualmente avviene se si affida la nomina dei Senatori ai Consigli comunali e regionali. Afferma che alla base di tutto è il partito politico, caratteristica del secolo XX, che è lo strumento tecnico perfezionato dell’organizzazione politica moderna e che inevitabilmente influenza del suo pensiero tutti gli elettori, sia di primo che di secondo grado. Dal momento quindi che non si può sopprimere la seconda Camera, né procedere alle elezioni dei senatori col suffragio universale, il sistema proposto dal Comitato, ultima conclusione di una laboriosa fatica, è il meno criticabile, anche perché permette la elezione dei delegati senza che venga turbata la regolarità dell’amministrazione comunale e dei Consigli regionali.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Di Giovanni, Lami Starnuti, Porzio, Rossi Paolo.

MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947 (seconda sezione)

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI

INDICE

Suprema Corte costituzionale (Seguito della discussione)

Calamandrei, Relatore – Bozzi – Cappi – Bulloni – Leone Giovanni, Relatore – Ambrosini – Laconi – Presidente – Uberti.

La seduta comincia alle 15.45.

Seguito della discussione sulla Suprema Corte costituzionale.

 

CALAMANDREI, Relatore, ritiene che, prima di esaminare il problema di chi sia legittimato ad agire davanti alla Suprema Corte costituzionale, sia necessario risolvere la questione dell’istituzione dei due sistemi dell’impugnazione in via incidentale e in via principale.

Osserva in proposito che, ammettendo l’impugnativa in via incidentale, anche con la norma proposta dall’onorevole Cappi che il giudice sospende il giudizio per trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, sarà soprattutto la parte interessata nella causa civile o penale ad essere legittimata a porre la richiesta di incostituzionalità, ma anche il Pubblico Ministero, in quanto accusatore nella causa penale e nella civile, sarà interessato a sollevare la questione.

Per quanto riguarda l’impugnazione in via principale è d’avviso che essa non possa mai essere promossa da un organo del potere esecutivo, poiché, se quest’organo partecipa al Governo, dovrà necessariamente essere favorevole a quelle leggi delle quali potrebbe essere impugnata la costituzionalità. A suo avviso quindi la legittimazione potrebbe essere data invece alla minoranza del Parlamento rimasta soccombente nella votazione su determinate leggi da essa ritenute incostituzionali. Questa minoranza, dietro richiesta di almeno cinquanta componenti le due Camere e tramite un determinato organo – che potrebbe essere formato da una Commissione nominata dalla minoranza del Parlamento, dato che non è stata accettata la sua proposta di creare il Procuratore generale commissario della giustizia – potrà ricorrere alla Suprema Corte costituzionale per la decisione sulla costituzionalità delle leggi.

Ricorda inoltre che vi è da risolvere l’altra questione se si debba o meno accettare l’azione popolare, ossia la legittimazione di ogni elettore e di ogni cittadino come tale, a portare davanti alla Suprema Corte l’impugnazione di incostituzionalità in via principale.

BOZZI fa osservare che quando la questione di incostituzionalità sorge come fenomeno incidentale nel corso di un giudizio, si deve avere un impulso di ufficio, per cui il giudice sospenda la causa e rinvii alla Corte costituzionale. Per quanto riguarda invece la legittimazione nel giudizio diretto di impugnativa per incostituzionalità, è del parere che legittimato dovrebbe essere qualsiasi cittadino (azione popolare): ogni cittadino, come tale, dovrebbe poter richiedere la dichiarazione di incostituzionalità, anche ove la legge non leda direttamente un suo particolare diritto subiettivo, divenendo parte in una questione di interesse generale. Rileva, tuttavia, che in tal caso vi è l’inconveniente che l’impugnativa potrebbe essere fatta, ad esempio, da uno squilibrato, ciò che porrebbe in condizione di discredito la Corte costituzionale, che deve invece essere un organo solenne. Un correttivo potrebbe trovarsi nella proposta, formulata dall’onorevole Calamandrei, di affidare l’impugnativa alla minoranza parlamentare; ma potrebbe anche riconoscersi questo diritto al popolo, affermando che un determinato numero di persone possa iniziare l’azione davanti alla Corte costituzionale, come è stato fatto per il referendum a proposito dell’iniziativa legislativa.

CAPPI ricorda che sull’argomento, in una precedente seduta, ha proposto due articoli molto schematici, i quali ammettevano l’impugnativa tanto in via incidentale quanto in via principale, rinviando, per le modalità, ad una legge processuale.

Fra le modalità egli contemplerebbe anche la legittimazione dell’impugnativa; nel caso che si volesse fissare nella Costituzione questa legittimazione, lascerebbe a chiunque la facoltà di impugnativa, adottando un criterio molto largo e liberale. A questo proposito, non vede gli inconvenienti prospettati dall’onorevole Bozzi; tuttavia, volendosi adottare un criterio quantitativo, limiterebbe il numero a non più di un centinaio di persone.

Richiamandosi al primo dei due articoli da lui proposti, rileva che la formulazione prevedeva il caso che il giudice nella impugnativa incidentale, qualora non la respingesse, perché manifestatamente infondata, sospendesse il giudizio per rinviare gli atti alla Corte costituzionale, la quale dovrebbe decidere con deliberazione valevole erga omnes.

BULLONI chiede all’onorevole Calamandrei come si possa superare il pericolo di impugnative defatigatorie, specie in materia penale, in relazione all’impugnativa incidentale di incostituzionalità della legge.

CALAMANDREI, Relatore, risponde che il pericolo può essere superato con la formula proposta dall’onorevole Cappi, alla quale aderisce, nel senso che il giudice abbia facoltà, caso per caso, di valutare l’eccezione; se la riterrà un pretesto dilatorio, la respingerà senz’altro come completamente infondata, mentre in caso contrario sospenderà il giudizio rinviando la decisione alla Corte costituzionale.

Ricorda che nel suo progetto è distinta, nei riguardi della estensione della efficacia della decisione, l’impugnativa in via incidentale da quella in via principale; la prima, anche quando perviene alla Corte costituzionale, dà luogo ad una decisione con efficacia limitata al caso singolo ed è adottata dalla competente sezione della Corte costituzionale; la seconda dà luogo ad una decisione della Corte a sezioni unite, e questa decisione ha carattere generale ed astratto. Non sarebbe contrario ad unificare, negli effetti e nella competenza, queste due impugnative, conferendo alla Corte costituzionale il potere di decidere sui ricorsi con deliberazione avente efficacia erga omnes. Ma si presenta il problema dell’efficacia della decisione nei confronti degli organi legislativi, cioè se si debba ammettere che la dichiarazione di annullamento di una legge sia operativa nei confronti degli organi legislativi; il che conferirebbe alla Corte costituzionale un vero e proprio potere legislativo. Ad evitarlo, aveva proposto che, in seguito alla pronuncia della Corte costituzionale, gli organi legislativi dovessero immediatamente promuovere la procedura per la modificazione della legge. Il problema però è sempre grave nei confronti dell’autorità giudiziaria; quando la Corte costituzionale ha emesso una decisione generale e astratta di incostituzionalità di una legge, preannunziando quindi lo svolgimento della procedura di modificazione da parte degli organi legislativi (procedura che può anche tardare degli anni a causa di crisi parlamentari, mutamenti di Governi, ecc.), cosa dovranno fare i giudici durante questo intervallo? La Magistratura si troverebbe di fronte ad una legge dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema, ma che sarebbe tuttavia legge in quanto non ancora modificata dagli organi legislativi. Pone questo problema di particolare importanza, al quale dovrà darsi una soluzione.

CAPPI ritiene che quando la Suprema Corte abbia sancita l’incostituzionalità della legge, gli effetti di questa debbano essere sospesi. Pur riconoscendo che in tal modo – come ha rilevato l’onorevole Calamandrei – si attribuirebbe ad un organo estraneo un potere legislativo, osserva che ciò è inevitabile, perché nella Costituzione che si sta elaborando è detto in modo inequivocabile che la dichiarazione di incostituzionalità della legge spetta ad un determinato organo, e che il giudice non può applicare la legge in attesa delle decisioni di questo.

LEONE GIOVANNI, Relatore, pensa che il problema posto dall’onorevole Calamandrei possa essere esaminato in un secondo momento, e che prima si debba risolvere la questione della legittimazione ad agire.

Ricorda in proposito che il suo progetto riguardava tre casi di incostituzionalità, ossia di leggi emanate dal Parlamento, di leggi regionali e di atti amministrativi. A suo avviso, per il primo caso si dovranno stabilire le norme secondo le quali sarà possibile richiedere la dichiarazione di incostituzionalità di una legge nazionale; per il secondo, quello di una legge regionale che sia in conflitto con la Costituzione, l’incostituzionalità potrà essere rilevata sia dal Governo, sia dalle Assemblee legislative, sia dalle Assemblee Regionali che ravvisino in quella legge un danno per le Regioni che rappresentano; per il terzo caso, se l’atto amministrativo promanerà dal Governo centrale, l’incostituzionalità potrà essere fatta rilevare dal singolo cittadino o da un ente amministrativo; se promanerà da un ente regionale l’impugnazione potrà aversi da parte del Governo o di cittadini singoli.

Osserva che altro problema da risolvere è quello se si debba riconoscere un’azione popolare indiscriminata o la possibilità per un qualsiasi cittadino o gruppo di cittadini, più o meno numerosi, di far valere l’incostituzionalità della legge. Si potrebbe riconoscere tale diritto solamente al cittadino che faccia valere nella richiesta di incostituzionalità un interesse privatistico al fine di impedire che l’azione possa essere promossa arbitrariamente. Ad ogni modo, una remora all’impugnazione potrebbe essere posta con un limite di tempo entro cui si potesse esercitare l’azione in via principale per incostituzionalità, e stabilendo che la sentenza della Suprema Corte costituisca giudicato, vietando pertanto che contro la stessa legge e per lo stesso motivo sia fatta rilevare l’incostituzionalità.

AMBROSINI, sui punti esaminati dall’onorevole Leone, osserva che riguardo all’atto amministrativo non vi è nessuna innovazione da fare, in quanto esso è già impugnabile per incostituzionalità secondo il nostro diritto positivo.

Circa le leggi regionali rileva che il diritto di impugnativa è stato già affidato nel progetto della seconda Sottocommissione al Governo, che, dopo aver ricevuto i disegni di legge approvati dall’Assemblea regionale, ha la facoltà di rinviarli alla stessa con le osservazioni del caso e di impugnarli successivamente per motivi di legittimità o di merito, rispettivamente avanti alla Corte costituzionale e al Parlamento. Manifesta i suoi dubbi sull’ammissione pura e semplice dell’azione popolare, che darebbe a qualsiasi ed anche ad un solo cittadino la possibilità di mettere in moto un procedimento così importante quale è quello del giudizio sull’incostituzionalità delle leggi. Altri dubbi espone sull’opportunità o meno di concedere il diritto di impugnativa alla minoranza di ciascuna delle Camere, che non sia riuscita a far prevalere la propria opinione nell’avversare un disegno di legge approvato poi dalla maggioranza.

In connessione con questo argomento richiama le disposizioni del progetto relative al referendum sulle leggi, osservando come questo istituto integri quello della invalidazione delle leggi, e come possa dimostrarsi più adeguato alle esigenze dell’interesse politico generale, quando la controversia si appoggi su motivi per la cui valutazione debba ricorrersi a criteri prevalentemente politici.

Passando ad occuparsi del congegno concreto di invalidazione delle leggi, richiama il sistema degli Stati Uniti, ed osserva che potrebbe, almeno in parte, essere adottato per quanto si riferisce al diritto di chiunque vi abbia interesse a ricorrere, adducendo l’incostituzionabilità di una legge, avanti al magistrato ordinario, attribuendo a questo il compito di pronunciarsi in merito. Dopo il giudizio di primo grado l’interessato potrebbe ricorrere in appello. Avverso la sentenza pronunciata in secondo grado, sempre che si tratti della costituzionalità o meno di una legge, sarebbe ammissibile il ricorso non, come d’ordinario, avanti alla Corte di cassazione, ma avanti alla Corte costituzionale, cioè avanti all’organo creato appositamente per tale scopo; ma che si avrebbe una differenziazione rispetto al sistema americano, che non era che un unico organo supremo giurisdizionale.

Riconosce che tutto il procedimento sarebbe naturalmente semplificato, se il giudice investito della controversia dovesse, conformemente al progetto dell’onorevole Calamandrei, rimandare gli atti per la decisione alla Corte costituzionale. Ritiene che sarebbe preferibile il primo sistema; osserva comunque che, nell’un caso e nell’altro, la sentenza della Corte costituzionale dovrebbe essere comunicata al Governo e al Parlamento.

Dichiara infine di essere contrario ad inserire nella Costituzione limiti di tempo per l’esperimento dell’eccezione di incostituzionalità di una legge.

CAPPI dà lettura dei due articoli da lui proposti nella precedente seduta, parzialmente modificati:

«1. – L’impugnativa di incostituzionalità di una legge statale o regionale è ammessa in via principale da qualunque elettore entro un anno dalla sua promulgazione. In caso di impugnativa incidentale, il giudice, qualora non la respinga per una manifesta infondatezza o per irrilevanza, sospende il giudizio e trasmette gli atti alla Corte costituzionale, la quale decide con valore assoluto».

«2. – Una legge dichiarata incostituzionale rimane sospesa. Il Governo dovrà, con procedura d’urgenza, proporne alle Camere l’abrogazione o la modifica. In caso di rigetto della proposta, il Governo dovrà promuovere la revisione della Costituzione».

AMBROSINI, pur trovando molto ingegnoso il sistema proposto dall’onorevole Cappi, ritiene che con esso si imporrebbero obblighi eccessivi sia al Governo che al Parlamento, mentre tali organi, in quanto costituzionali e quindi indipendenti nella loro attività, non possono essere sottoposti ad obbligo alcuno.

LEONE GIOVANNI, Relatore, per mozione d’ordine, dichiara di ritenere che prima di porre in votazione i due articoli proposti dall’onorevole Cappi, dovrebbero essere discussi e votati quelli proposti nel suo progetto e in quello dell’onorevole Calamandrei; soprattutto in considerazione che le proposte dell’onorevole Cappi non rappresentano degli emendamenti, bensì articoli sostitutivi.

LACONI fa osservare che gli articoli dell’onorevole Cappi riguardano il problema dell’impugnativa in via principale e in via incidentale, non previsto nelle due relazioni. Dato il dissenso esistente tra i commissari sulla questione, è d’avviso che esso debba essere risolto in precedenza.

PRESIDENTE, per l’ordine dei lavori, ritiene che si debba riprendere l’esame dei vari quesiti posti nella riunione precedente dall’onorevole Calamandrei.

Ricordando che è già stato adottato il principio del sistema della Costituzione rigida, fa presente che il secondo punto da stabilire è se il controllo sulla costituzionalità delle leggi debba istituirsi in via incidentale, o in via principale, o in ambedue i casi.

Pone quindi in votazione il principio che il controllo debba istituirsi in via incidentale.

UBERTI dichiara che voterà per la terza ipotesi.

(È approvato).

PRESIDENTE avverte che si passa all’esame del principio dell’istituzione del controllo in via principale.

AMBROSINI osserva che, se il magistrato non ha facoltà di decisione, dovrà rinviare gli atti alla Suprema Corte; ma se la Corte non avrà il potere di annullare la legge, di necessità bisognerà limitare la procedura ad un solo caso.

LACONI è contrario all’impugnazione in via principale, in quanto, in sostanza, rimarrebbe solamente la soluzione proposta dall’onorevole Calamandrei della minoranza parlamentare; ma, a suo avviso, non è ammissibile frazionare un organo come il Parlamento e ammettere che una minoranza di esso, non meglio qualificata, possa adire la Magistratura. Non ritiene neppure ammissibile l’azione popolare, la quale porterebbe ad un enorme carico di lavoro, senza avere in effetti sostanza alcuna.

CALAMANDREI, Relatore, fa osservare che, ove fosse esclusa l’impugnazione in via principale, l’incostituzionalità di una legge potrebbe essere sollevata solo quando sorgesse l’occasione del caso concreto a cui la legge dovrebbe essere applicata.

Ma se si stabilisce che, trascorso un determinato periodo di tempo, la legge non può più essere impugnata, potrà accadere che si emani una legge macroscopicamente incostituzionale, ma che non vi sia occasione di applicarla in un giudizio concreto, se non dopo trascorso quel limite di tempo; si verrebbe così a determinare l’impossibilità di impugnarla. Per tale considerazione ritiene che l’impugnazione in via principale dovrebbe essere ammessa.

UBERTI è d’avviso che l’impugnazione in via principale costituisca la prima ragione d’essere della Suprema Corte costituzionale e che, non ammettendola, si verrebbe a togliere lo strumento principale per la garanzia della costituzionalità delle leggi.

AMBROSINI ritiene che l’impugnativa potrebbe essere ridotta ad un solo caso, stabilendo che chiunque ritenga di essere leso in un suo diritto dalla legge, presunta contraria alla Costituzione, potrà sollevare la questione di incostituzionalità davanti al magistrato ordinario.

PRESIDENTE, al fine di giungere ad un accordo sulla questione in esame, propone che i relatori e altri membri della Sezione si riuniscano per concordare un testo di articoli da sottoporre all’esame dei colleghi nella prossima seduta.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 18.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Porzio.