ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
83.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)
Presidente – Perassi – Einaudi – Lussu – Targetti – Fuschini – Rossi Paolo – Ambrosini – Piccioni – Nobile – Fabbri – Zuccarini – Mannironi – Laconi – Cappi.
La seduta comincia alle 18.15.
Seguito della discussione sulla organizzazione costituzionale dello Stato.
PRESIDENTE ricorda che, a proposito di elezione dei membri della seconda Camera, sono state presentate due proposte, una dall’onorevole Fuschini, l’altra dall’onorevole Perassi (questa a nome del Comitato), le quali rappresentano una modificazione del testo che fu a suo tempo approvato dalla Sottocommissione. L’onorevole Fuschini ha già illustrato la sua proposta. Invita l’onorevole Perassi a dar ragione della propria.
PERASSI dichiara che, nel formulare l’emendamento il quale stabilisce che i due terzi dei senatori siano eletti da delegati a loro volta eletti a suffragio universale, il Comitato è partito dalla deliberazione adottata dalla Sottocommissione nella seduta del 15 ottobre. Questa deliberazione stabiliva che l’elezione dei senatori di ciascuna Regione dovrebbe effettuarsi col sistema del suffragio di secondo grado; e nella seduta successiva fu precisata nel senso che l’elezione dei membri della seconda Camera dovrebbe farsi per un terzo dall’Assemblea regionale, e per i restanti due terzi dai consiglieri comunali. Ora, il Comitato, studiando il modo di attuare quella deliberazione, aveva preso in considerazione una proposta, già accennata dall’onorevole Cappi, di attribuire ai consiglieri comunali un voto plurimo in rapporto al numero degli elettori del Comune a cui appartengono (per esempio, uno ogni cento elettori quelli dei Comuni da centomila a cinquecentomila abitanti; uno ogni trecento elettori quelli dei Comuni superiori a cinquecentomila abitanti, ecc.); ma, dopo avere attentamente ponderato questo sistema, è giunto alla conclusione che non è conveniente applicarlo per varie ragioni; anzitutto, perché i consiglieri dei Comuni non sono tutti eletti nello stesso modo; poi, perché il sistema del voto plurimo si presta a molte obiezioni; inoltre, perché i consiglieri comunali, venendo chiamati ad essere gli elettori per la formazione della seconda Camera, assumerebbero una funzione che esula dal loro proprio compito; ed infine, perché essi potrebbero essere chiamati ad eleggere la seconda Camera quando già sono in carica da molto tempo e l’orientamento dell’opinione pubblica che essi rappresentano può essere mutato.
Pertanto, dopo matura discussione, la maggioranza del Comitato, con dichiarazione di riserve da parte degli onorevoli La Rocca e Mortati, ha creduto di dover proporre la formula in esame, nella quale è applicato il principio, che era stato fissato dalla Sottocommissione, dell’elezione di secondo grado, ma si abbandona il sistema dell’elezione affidata ai consiglieri comunali.
A proposito dell’elezione di secondo grado, che è stata nella seduta precedente criticata dall’onorevole Einaudi come un sistema che in pratica si riduce ad una farsa, ritiene che l’onorevole Einaudi abbia tenuta presente particolarmente l’elezione a doppio grado del Presidente degli Stati Uniti d’America, ma fa osservare che per il sistema proposto dal Comitato per l’elezione dei membri della seconda Camera quella critica non sembra ugualmente fondata. Infatti, nel caso del Presidente americano l’operazione compiuta dai grandi elettori è quasi meccanica, perché la loro scelta è limitata ad una persona già designata dai partiti; invece qui si tratta di elezione non di una, ma di sei, otto o dieci persone (il numero sarà diverso a seconda dei vari collegi), e il sistema delle liste preparate dai partiti non esclude una libertà di scelta da parte dei grandi elettori; libertà che dipenderà dalla legge elettorale, la quale potrà ammettere le preferenze e le cancellazioni.
Passando a parlare del controprogetto presentato dall’onorevole Fuschini, il quale propone che i senatori siano eletti per metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a trentamila abitanti, e per l’altra metà dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, si limita, per il momento, a considerare particolarmente la seconda parte di questo progetto, secondo il quale i consiglieri dei Comuni minori formerebbero un Collegio unico elettorale nel quale ciascun consigliere avrebbe un voto. Osserva che questo sistema incontra ancora quelle stesse obiezioni in base alle quali la Sottocommissione aveva escluso che ai consiglieri comunali si assegnasse un voto soltanto, ed aveva prospettato il rimedio rappresentato dal voto plurimo.
A dimostrazione delle incongruenze che risulterebbero dal sistema proposto dall’onorevole Fuschini, prospetta, con dati statistici, le conseguenze che si avrebbero con l’applicazione di tale sistema, per esempio, in Piemonte. In questa Regione, i Comuni con meno di tremila abitanti costituiscono il 50 per cento della popolazione della intera Regione, i Comuni dai tremila ai diecimila abitanti il 32 per cento, e i Comuni dai diecimila ai trentamila abitanti il 18 per cento. Se si confrontano queste percentuali con quelle dei voti, dato che ogni consigliere comunale avrebbe un voto, si vede che il complesso dei voti dei consiglieri dei Comuni del primo gruppo rappresenta il 75 per cento, quello dei consiglieri dei Comuni del secondo gruppo il 21 per cento, e quello dei consiglieri dei Comuni del terzo gruppo il 5 per cento. Risultati opposti, ma rivelanti una sproporzione non meno eccessiva tra popolazione e voti, si hanno esaminando i dati offerti dalla Sicilia, dove invece i piccoli Comuni sono molto meno numerosi che in Piemonte. Qui le percentuali della popolazione dei tre gruppi di Comuni sono rispettivamente di 5, 35 e 60 per cento, mentre le percentuali dei voti sono di 15, 49 e 36.
Ritiene, pertanto, che la proposta dell’onorevole Fuschini, per quella parte almeno che si riferisce all’elezione di metà dei senatori da parte dei consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, non possa essere accolta. Aggiunge che analoghe obiezioni si possono fare alla parte della proposta Fuschini, secondo la quale nell’elezione dell’altra metà dei senatori dovrebbero concorrere con i membri dell’Assemblea regionale i consiglieri dei Comuni aventi più di trentamila abitanti.
Conclude, affermando che il sistema proposto dal Comitato è tale da incontrare minori difficoltà, e facendo presente che la stessa formula è stata adottata recentemente dalla Francia per la nomina dei membri del Consiglio della Repubblica.
PRESIDENTE comunica che gli onorevoli Targetti e Rossi hanno presentato due proposte, di cui la seconda rappresenta una subordinata.
Dà lettura della prima:
«La seconda Camera è eletta per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi con suffragio universale diretto e segreto».
Vi è anche una proposta presentata dall’onorevole Nobile del seguente tenore:
«L’elezione dei membri della seconda Camera ha luogo a suffragio universale diretto e segreto, da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato il … (un numero compreso tra ventidue e ventisei) anno di età».
EINAUDI dichiara che le osservazioni da lui fatte nella seduta precedente sul sistema dei voti delegati valgono anche nel caso che si tratti di elezione, non di una sola persona, come nel caso del Presidente americano, ma di un gruppo di persone come nel caso dei senatori di ogni Regione. Anche qui i grandi elettori rappresenteranno i vari gruppi politici, ciascuno dei quali presenterà una sua lista, e quei grandi elettori non saranno che degli strumenti locali per esprimere quel voto che esprimerebbero con la loro scheda gli elettori diretti. Il risultato sarebbe identico, e tanto varrebbe eleggere direttamente i senatori con suffragio universale, diversificando però gli elettori del Senato da quelli della Camera non per classi e qualificazione, ma per un più elevato limite di età, come ha proposto l’onorevole Nobile.
Ritiene, pertanto, che si potrebbe lasciare che un terzo dei senatori fossero nominati dai consiglieri regionali, e che per gli altri due terzi potrebbe essere accolto il sistema del suffragio universale da parte di tutti gli elettori, con una diversificazione, rispetto agli elettori della prima Camera, per quanto riguarda l’età.
LUSSU conferma le osservazioni fatte nella seduta precedente, e si dichiara ancor più convinto che gli espedienti nuovamente proposti dal Comitato non fanno che aumentare le difficoltà già riscontrate.
Ritiene, poi, che l’impraticità e l’irrazionalità del controprogetto dell’onorevole Fuschini sia stata definitivamente dimostrata dall’onorevole Perassi, e che in ogni caso questo presenti gli stessi inconvenienti già riscontrati in altri sistemi.
Quanto al progetto degli onorevoli Targetti e Rossi, osserva che esso presenta l’inconveniente dell’adozione di un duplice sistema di elezione: una parte della seconda Camera sarebbe eletta dai Consigli regionali, cioè a suffragio indiretto, e l’altra a suffragio universale e diretto. II contrasto dei due sistemi provocherebbe un contrasto nel seno della seconda Camera, di cui la parte eletta a suffragio universale si riterrebbe investita più democraticamente, e l’altra parte si sentirebbe in condizioni di inferiorità, perché eletta con un sistema imperfetto. Ritiene, quindi, che questo sistema sia anche meno razionale di quello dell’onorevole Perassi.
TARGETTI rileva che le critiche dell’onorevole Perassi al progetto dell’onorevole Fuschini e quelle dell’onorevole Einaudi al progetto dell’onorevole Perassi gli giovano alla difesa e all’illustrazione del sistema proposto da lui e dall’onorevole Rossi.
L’onorevole Lussu ha criticato questo sistema, dicendo che con esso si formerebbe un Senato composto di due parti elette in due maniere troppo diverse l’una dall’altra. Ne avrebbe dovuto dedurre che è preferibile un sistema unico di elezione; ma non ha osato proporre l’elezione a suffragio universale diretto per tutti i membri della seconda Camera, perché questa ipotesi era stata già scartata dalla maggioranza della Sottocommissione. Ora, egli e l’onorevole Rossi hanno proposto il loro sistema, proprio perché hanno ritenuto che non presenti gli inconvenienti degli altri.
Con l’elezione indiretta non si evita l’inconveniente pratico della chiamata alle urne di tutto il corpo elettorale, perché questo dovrà eleggere gli elettori dei componenti la seconda Camera; e allora meglio è che il corpo elettorale sia chiamato per la elezione diretta. È stato obiettato che, con l’elezione diretta, la seconda Camera diventa un duplicato della prima; ma questo è inevitabile, dal momento che si è scartato il principio di una seconda Camera rappresentante d’interessi e categorie speciali: e da altra parte, anche di una seconda Camera eletta in tal modo non si può dire che sarebbe inutile, perché servirebbe a rivedere le deliberazioni della prima ed a suggerirne delle altre. Infine, per creare una differenza di composizione tra le due Camere, basterà stabilire che i componenti della seconda debbano essere scelti in determinate categorie.
Conclude, avvertendo che la proposta sua e dell’onorevole Rossi si inspira alle legislazioni del Belgio e della Repubblica greca, ove l’elezione della seconda Camera avviene con sistema misto.
FUSCHINI rileva che, dall’esame delle statistiche come le ha presentate l’onorevole Perassi, risulta evidente che vi sono delle Regioni in cui i piccoli Comuni hanno la prevalenza, ed altre invece dove i piccoli Comuni rappresentano una parte minima. Non meno evidente è il fatto che, se si fosse mantenuto il sistema dei due terzi dei membri del Senato eletti dai Consigli comunali e del terzo eletto dalle Assemblee regionali, ne sarebbe derivata una prevalenza eccessiva degli abitanti dei piccoli Comuni, cioè delle popolazioni rurali. Perciò egli, preoccupandosi della necessità che il Senato non si allontani troppo dalla configurazione della Camera dei Deputati, ha cercato nel suo progetto di equilibrare la situazione politica delle due Camere, attribuendo la nomina di una metà dei membri del Senato alle Assemblee regionali e ai consiglieri dei Comuni al di sopra dei trentamila abitanti, che hanno un carattere più urbanistico. A questi si potrebbero eventualmente aggiungere i 582 Comuni tra i diecimila e i trentamila abitanti, e così una popolazione di ventidue milioni di abitanti eleggerebbe la metà dei senatori, mentre l’altra metà sarebbe eletta dai consiglieri dei Comuni minori, rappresentanti una popolazione di venti milioni di abitanti.
Dichiara di aver tenuto presente nel suo progetto il criterio politico della distinzione della popolazione in città e borghi, in modo che non sia danneggiata né la volontà degli uni, né quella delle altre. Non ritiene, d’altronde, buon sistema quello dei progetti che adottano per metà l’elezione di secondo grado e per metà quella diretta. Bisogna avere il coraggio di applicare per intero o l’un sistema o l’altro.
LUSSU ricorda che una delle ragioni che hanno indotto a modificare il sistema che era stato approvato è che quando si sciolgono le due Camere, la prima viene eletta a suffragio universale o rispecchia la volontà attuale della massa elettorale, mentre la seconda, nominata attraverso i Consigli comunali, rispecchierebbe una volontà ormai sorpassata; il che avrebbe dovuto indurre allo scioglimento dei Consigli comunali contemporaneamente a quello delle due Camere.
Domanda se è possibile affrontare ora un problema così vasto.
FUSCHINI risponde che, dal punto di vista elettorale, la tesi ricordata dall’onorevole Lussu è eccessiva, perché i Consigli comunali, durando in carica quattro anni, conservano la loro efficienza rappresentativa. Le espressioni mutevoli dell’opinione pubblica saranno riflesse nella prima Camera; e, d’altra parte, i consiglieri comunali non potranno sfuggire ad un cambiamento dell’orientamento politico e le amministrazioni comunali si scioglieranno da sé o saranno sciolte con provvedimento prefettizio.
ROSSI PAOLO insiste sull’efficacia delle critiche mosse dall’onorevole Perassi al progetto dell’onorevole Fuschini, nel quale l’inconveniente della prevalenza degli elettori dei piccoli Comuni rurali potrebbe essere eliminata solo portando il sistema alle estreme conseguenze, cioè dando ad ogni consigliere comunale un numero di voti eguale a quello degli elettori del suo Comune diviso per il numero dei consiglieri. Ma questo metodo sarebbe troppo complesso.
Rileva, quindi, che anche il progetto dell’onorevole Perassi è fortemente colpito dalle critiche dell’onorevole Lussu, circa la diversa origine dei due gruppi di senatori che verrebbero a comporre la seconda Camera eletta da due diversi collegi: uno eletto a suffragio ristrettissimo qual è quello delle Assemblee regionali, e l’altro a suffragio universale, sia pure indiretto. Le difficoltà maggiori, a suo avviso, nascerebbero dall’impossibilità di rispettare la proporzionale in tutti i Comuni, poiché già sarebbe difficile attuare esattamente il sistema proporzionale tra i vari partiti nelle Regioni minori.
Tutte le critiche mosse agli altri progetti potrebbero essere superate col sistema da lui proposto, e contenuto nel seguente emendamento sostitutivo:
«I deputati alla seconda Camera sono eletti Regione per Regione da un Collegio composto da tutti i consiglieri regionali e da un numero doppio di delegati all’uopo nominati a suffragio universale».
Questo progetto rende più facile l’applicazione della proporzionale, ed elimina il grave inconveniente politico che potrebbe sorgere da una diversa composizione del Senato.
AMBROSINI ricorda che la Sottocommissione, nel procedere alla discussione del problema in esame, era partita da due principî fondamentali: che la seconda Camera dovesse esser composta in modo diverso dalla prima e che per la composizione di essa si adottasse un criterio misto. Perciò fu approvato il sistema che deferiva alle Assemblee regionali l’elezione di un terzo dei membri del Senato, ed attribuiva l’elezione degli altri due terzi ai consiglieri comunali di tutti i Comuni: sistema che egli ritiene non possa essere completamente scardinato. Dichiara perciò di essere favorevole al principio già approvato dalla Sottocommissione, e che è sostanzialmente mantenuto dal progetto dell’onorevole Fuschini, al quale apporterebbe solo una modificazione là dove propone che metà dei membri siano eletti dalle Assemblee regionali e dai Consigli comunali dei Comuni superiori ai 30.000 abitanti. Ritiene, infatti, che con questa proposta si ferisca uno dei principî già approvati dalla Sottocommissione, che cioè il Senato deve avere il carattere di rappresentanza delle Regioni come tali: se i membri dell’Assemblea regionale dovessero votare insieme ai consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, essi sarebbero sicuramente sommersi e la Regione, come tale, non avrebbe una propria rappresentanza. Perciò ritiene opportuno che l’elezione di un terzo della rappresentanza del Senato sia lasciata alle Assemblee regionali, e che quella degli altri due terzi sia affidata ai consiglieri dei Comuni, anche se in tal modo si va incontro all’inconveniente prospettato dall’onorevole Perassi della sproporzione dei rappresentanti in rapporto alla popolazione. Ricorda che, per distinguere le due Camere, si volle appunto che nella seconda la rappresentanza non fosse data agli individui come tali, ma a coloro che esprimessero le esigenze particolari delle varie zone e rappresentassero i raggruppamenti territoriali variamente composti.
Comunque, per andare incontro alle osservazioni fatte così dall’onorevole Perassi come dall’onorevole Fuschini, propone in linea subordinata che alla rappresentanza delle Assemblee regionali sia lasciata l’elezione di un terzo dei senatori, e che l’elezione degli altri due terzi sia attribuita per un terzo ai Comuni con popolazione fino ai 30.000 abitanti, e per l’altro terzo ai Comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti.
PICCIONI aderisce sostanzialmente al progetto dell’onorevole Fuschini, perché non ritiene persuasive le osservazioni fatte contro di esso.
L’obiezione principale, che il Senato risulterebbe composto in prevalenza da esponenti delle forze amministrative, è superata dal sistema proposto dall’onorevole Fuschini, perché la metà dei senatori eletti dalle Assemblee regionali, con l’aggregazione di tutti i consiglieri dei Comuni superiori ai 30.000 o ai 20.000 abitanti, rappresentano l’espressione della volontà degli amministratori dei centri urbani più importanti in unione ai membri delle Assemblee regionali.
L’altra metà viene eletta dai consiglieri comunali dei Comuni più chiaramente rurali. Niente di male che questa rappresentanza sia effettivamente in proporzione adeguata con l’altra ed abbia questa origine e questa investitura; senza aggiungere che, in definitiva, poiché i piccoli Comuni non avranno elementi qualificati per costituire una loro rappresentanza diretta in seno al Senato, questa rappresentanza degli interessi dei centri maggiori urbani si rifletterà necessariamente anche sui 150 senatori eletti dai Comuni più piccoli.
Si è obiettato, in base ai rilievi statistici presentati dall’onorevole Perassi, che i collegi elettorali chiamati nell’ambito regionale a eleggere 150 senatori urbani sono più ristretti numericamente rispetto ai collegi rurali che nominano gli altri 150 senatori.
PERASSI precisa di aver detto soltanto che vi è una prevalenza dei piccoli Comuni sui maggiori.
PICCIONI osserva che la prevalenza esiste in quanto esiste un maggior numero di consiglieri dei piccoli Comuni, e quindi un maggior numero di elettori comunali in un Collegio rispetto all’altro. Ma anche se si avesse una prevalenza–di questo genere, bisognerebbe pur mettere in conto la qualità più specificata del Collegio urbano rispetto a quello rurale, la qual cosa evidentemente si riflette nella scelta dei senatori stessi, cioè in un giudizio che gli elettori fanno in un Collegio rispetto agli elettori di un altro Collegio, e quindi in un giudizio più consapevole dal punto di vista politico.
Se il Collegio regionale, coll’aggregazione dei consiglieri dei maggiori Comuni, viene a essere, per esempio, di 130 persone che devono eleggere 8 senatori, il Collegio dei Comuni rurali viene ad essere di 180 consiglieri che devono eleggere 8 senatori. Questo porta alla conseguenza che il Collegio dei 130 elettori del primo caso ha una maggiore consapevolezza e quindi non influisce sul risultato dell’opinione elettorale.
Non trova quale altra obiezione si possa muovere al progetto dell’onorevole Fuschini, se non quella ricordata dall’onorevole Lussu relativa allo scioglimento delle due Camere. Ma, se si tratta di uno scioglimento normale per termine della legislatura, l’obiezione non ha valore, poiché le Amministrazioni comunali decadono ogni 4 anni e il Parlamento ogni 5. Se si tratta, invece, di scioglimento eccezionale, va tenuto presente che lo studio dei provvedimenti deve partire dalla regola e non dalle eccezioni. Né, comunque, l’inconveniente prospettato dall’onorevole Lussu sarebbe eccessivo.
Rilevate le insufficienze delle altre proposte, si dichiara favorevole alla proposta Fuschini, pur riconoscendo che essa dovrà essere riveduta in qualche dettaglio per armonizzarla alle condizioni reali del Paese e delle singole Regioni.
Fa presente però l’opportunità di prospettare alla Commissione le due principali soluzioni del problema in esame, non essendo a suo avviso possibile raggiungere l’unanimità dei consensi su una sola delle proposte.
PERASSI intende esaminare, alla luce dei dati statistici, la nuova proposta dell’onorevole Fuschini di dividere, agli effetti dell’elezione, i senatori di ciascuna Regione in due gruppi uguali, di cui uno eletto dai membri dell’Assemblea regionale con l’aggregazione dei consiglieri comunali dei Comuni con più di diecimila abitanti. Prende come esempio il Lazio.
FUSCHINI obietta che il Lazio non può valere come esempio, perché in questa Regione vi è una città di grande popolazione come Roma.
PERASSI avverte che si potrebbe, con lo stesso risultato, prendere come base della sua argomentazione qualunque altra Regione italiana.
Prendendo l’esempio del Lazio, si avrebbero le seguenti cifre: membri dell’Assemblea regionale, suppongasi, 100; consiglieri comunali dei Comuni con popolazione da 10.000 ai 30.000 abitanti, 780; consiglieri comunali dei Comuni da 30.000 a 100.000 abitanti, 240; consiglieri comunali di Roma, 80. In totale 1200 elettori. In questo Collegio gli 80 consiglieri comunali di Roma, che rappresentano una popolazione di più di un milione, avrebbero 80 voti contro 1020 voti spettanti ai consiglieri degli altri 24 Comuni, la cui popolazione complessiva è di molto inferiore a quella del solo Comune di Roma.
Quindi, quella obiezione che egli faceva prima in generale, vale anche per quanto concerne il Collegio composto dall’Assemblea regionale allargata nel senso proposto dall’onorevole Fuschini. Ricorda che questa obiezione si era resa subito evidente alla Sottocommissione, tanto che si era escluso che ogni consigliere comunale avesse un voto e si era pensato al voto plurimo, secondo la proposta fatta dall’onorevole Cappi, la quale, esaminata in sede di comitato di redazione, ha mostrato di recare in sé gravi inconvenienti.
NOBILE ritiene che il progetto dell’onorevole Fuschini rappresenti un peggioramento rispetto ad un altro già scartato dal Comitato, il quale mirava a fare in modo che ogni consigliere avesse col suo voto un peso proporzionale alla popolazione del Comune da lui rappresentato e inversamente proporzionale al numero dei consiglieri del Consiglio comunale.
Rileva inoltre che non è affatto vero che il progetto dell’onorevole Fuschini avrebbe per conseguenza che il peso dei Comuni rurali prevarrebbe su quello dei Comuni urbani. È vero proprio il contrario. Infatti, contro 113.000 consiglieri dei Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, si avrebbero 23.000 consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti. Si avrebbero così due corpi elettorali, l’uno composto dei membri dell’Assemblea regionale e dei 23.000 consiglieri dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, e l’altro composto dei 113.000 consiglieri dei Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti. Ora, calcolando che i consiglieri regionali siano in cifra tonda 2.000, si avrebbero da una parte 25.000 persone e dall’altra 113.000, e ognuno di questi due gruppi eleggerebbe metà dei senatori, il che significherebbe che ciascun voto del primo gruppo varrebbe quattro volte un voto del secondo gruppo. La sproporzione è quindi evidentemente a sfavore del gruppo rappresentato dai consiglieri comunali dei piccoli Comuni, poiché la prevalenza è dalla parte dei Comuni urbani. E il fatto stesso che, applicando il sistema Fuschini, si arriva a conclusioni diverse da quelle volute dimostra che esso non ha una base razionale.
Osservato che il progetto dell’onorevole Perassi rappresenta un passo avanti verso la soluzione del problema, perché ammette l’elezione di delegati a suffragio universale per la nomina di due terzi dei membri della seconda Camera, rileva la validità dell’obiezione dell’onorevole Einaudi che, se si deve convocare il corpo elettorale per eleggere i delegati all’elezione dei membri della seconda Camera, tanto vale che l’elezione della seconda Camera avvenga direttamente a suffragio universale.
Dichiara di non vedere quale vantaggio si ottenga con le doppie elezioni, le quali non potranno che portare al sacrificio graduale dei piccoli partiti. Comunque, considera come un progresso il sistema proposto dall’onorevole Perassi, rispetto al quale un altro piccolo progresso è rappresentato dalla proposta dell’onorevole Rossi. Ma se si volesse fare un ulteriore passo avanti, si dovrebbe adottare il sistema che egli ha proposto, secondo il quale tutti i deputali della seconda Camera vengono eletti a suffragio universale diretto. Facendo così un’unica elezione, si eliminerebbe anche l’inconveniente rappresentato dalla necessità di ricorrere a disposizioni transitorie per la prima applicazione della Costituzione.
Conclude, ricordando che l’onorevole Einaudi ha obiettato giustamente che, se i senatori fossero eletti a suffragio universale, si avrebbe un duplicato della prima Camera. Egli stesso però ha suggerito la via per risolvere l’obiezione attraverso la differenziazione del corpo elettorale. Ecco perché, interpretando il suggerimento dell’onorevole Einaudi, egli ha proposto che tutta la seconda Camera sia eletta da un solo corpo elettorale a suffragio universale e diretto, elevando l’età degli elettori. Se questa sua proposta non fosse approvata, egli accederebbe alla proposta dell’onorevole Perassi, pregando il proponente di volerla modificare nel senso di eliminare la doppia elezione.
FABBRI non è affatto convinto della inapplicabilità del sistema precedentemente deliberato dalla Sottocommissione, il quale aveva il vantaggio di essere abbastanza semplice, tanto che su di esso si era determinata una certa communis opinio. L’esigenza di una più perfetta proporzionalità era già stata superata almeno in due punti, attribuendo un numero costante di senatori ad ogni Regione indipendentemente dalla popolazione, e stabilendo che i due terzi dei senatori fossero eletti dai Consigli comunali. Per conto suo aveva tenuto presente il fatto che i Consigli comunali non erano eletti in modo uniforme in tutto lo Stato, ma che vi erano dei Consigli comunali eletti col sistema maggioritario e dei Consigli comunali eletti con la proporzionale. Partiva però dal concetto che un consigliere comunale in carica, prescindendo dal modo col quale era stato eletto, rappresentava egualmente una quota della popolazione.
Osserva che le difficoltà pratiche che si verificherebbero nell’attribuzione del voto ai consiglieri comunali, si possono risolvere trasportandole al momento in cui dovrà essere fatta la rilevazione e l’elaborazione dei dati statistici. Per esempio, il voto del consigliere comunale di Roma potrà essere moltiplicalo per 2.000 in base a tabelle statistiche ufficiali, ed invece potrà essere preso come unitario il voto del consigliere comunale di Zagarolo. Questo potrà essere stabilito in modo uniforme e matematico in una tabella contenente anche l’indicazione della popolazione di ciascun Comune e il numero dei consiglieri comunali.
Tale sistema comporta che, prima di annunziare la nomina dei senatori, l’ufficio statistico dovrà fare un’elaborazione alquanto complessa dei dati; ma in compenso si otterrà sempre l’applicazione del concetto, già affermato dalla Sottocommissione, che il peso di ciascun voto dei consiglieri comunali debba essere in relazione alla popolazione.
Dichiara di non fare delle sue osservazioni una proposta formale. Se la Sottocommissione ritiene di trovare una strada migliore di quella da lui indicata – cosa di cui dubita, tenendo conto delle obiezioni sollevate dalle varie proposte – egli vi aderirà. Certo è che il permanere sulla via che era stata precedentemente adottata permetterebbe di chiamare realmente di secondo grado queste elezioni, e soprattutto lascerebbe sussistere il fatto che le elezioni di secondo grado sarebbero sempre fatte da rappresentanti politici della popolazione, ma non eletti per questa finalità, perché se si fanno elezioni appositamente per questa finalità lo scopo del secondo grado va quasi integralmente perduto.
PRESIDENTE comunica che è stata proposta la chiusura della discussione e la mette ai voti, avvertendo che si intende riservata la parola a coloro che si sono già iscritti a parlare.
(È approvata).
ZUCCARINI osserva che dalle decisioni che saranno prese circa il modo di formazione della seconda Camera dipenderà la vitalità o meno della Camera stessa. Occorre pertanto esaminare il più attentamente possibile le soluzioni che sono state prospettate.
Dichiara di concordare con coloro i quali ritengono che la seconda Camera debba rappresentare qualche cosa di diverso dalla prima, anche se le origini dovessero essere le stesse per l’una e per l’altra, cioè il suffragio universale. Personalmente è del parere che alle elezioni della seconda Camera, piuttosto che i cittadini indifferenziati, debbano concorrere enti che rappresentino la realtà concreta della vita sociale. Approva quindi l’idea di far nascere la seconda Camera dalle rappresentanze comunali e regionali.
Non comprende invece la logica del progetto presentato dall’onorevole Fuschini, il quale, unendo i componenti delle Assemblee regionali con i consiglieri dei Comuni superiori ai 30.000 abitanti, fa perdere alle Assemblee regionali gran parte della loro importanza. Ritiene pertanto più pratico il sistema che attribuiva un terzo dei membri della seconda Camera all’elezione delle Assemblee regionali, e gli altri due terzi dell’elezione dei consiglieri comunali.
Se le elezioni avvenissero in modo che un terzo dei senatori fosse nominato dalle Assemblee regionali, un terzo dai consiglieri dei grandi centri urbani, un terzo dai consiglieri dei Comuni rurali, il sistema potrebbe essere utilmente applicato senza creare gravi sproporzioni. È vero che, dal punto di vista della vita e degli interessi pratici, i centri urbani rappresentano qualche cosa di più della parte rurale dell’Italia, mentre queste due parti avrebbero lo stesso peso nelle elezioni della seconda Camera; ma è anche vero che nella seconda Camera i problemi vanno guardati, non dal lato politico, ma dal lato economico e dell’interesse collettivo, dal momento che essa deve avere una funzione equilibratrice.
Questo sistema non contrasterebbe con la preoccupazione di rappresentare proporzionalmente nella seconda Camera le divisioni politiche. Dato che i consiglieri comunali sono eletti a suffragio universale, diretto e segreto, essi rappresentano la divisione politica delle varie parti d’Italia, seppure in modo diverso. Ritiene pertanto che il sistema della rappresentanza delle Regioni e dei Comuni non sia da scartare, e che convenga solo di cercarne l’attuazione più semplice, senza preoccuparsi troppo del peso specifico delle varie masse elettorali.
Ritiene che vi debba essere anche una categoria di eligendi per la seconda Camera, categoria che non può essere così definita come si era stabilito in un primo tempo. Egli aveva suggerito che gli eligendi dovessero essere scelti non nelle categorie economiche, ma tra gli uomini che abbiano già occupato delle cariche rappresentative in seguito ad elezione.
Conclude, rilevando la necessità di rivedere la ripartizione tra Comuni, grandi e piccoli, per stabilire se vi sia sproporzione di rappresentanza. È del parere che il numero di coloro che partecipano alla elezione non ha alcuna importanza, ma che è invece un grave difetto attribuire ai 70 od 80 deputati della Regione gli stessi diritti di mille o tremila consiglieri comunali. In tal modo il peso dell’Assemblea regionale nell’elezione della seconda Camera perde ogni valore.
PICCIONI risponde alle osservazioni dell’onorevole Perassi citando l’esempio del Lazio. A questa Regione, secondo il progetto dell’onorevole Fuschini, sarebbero attribuiti 18 senatori, di cui 9 dovrebbero essere eletti dai consiglieri regionali e dai consiglieri dei Comuni superiori a trentamila abitanti, che sono 1200, e altri 9 dovrebbero essere eletti dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori a trentamila abitanti, che sono 5000. Ciò significa che l’elemento della popolazione è rispettato, in quanto i senatori sono assegnati in proporzione della popolazione della Regione. Se poi una categoria od un’altra interviene per la nomina di un numero maggiore o minore di consiglieri, ciò significa semplicemente che, anziché fare il calcolo difficile del voto plurimo, si dà un voto che pesa di più: mentre per l’elezione di nove senatori su 1200 consiglieri il quoziente può essere teoricamente stabilito in 133 voti, per l’elezione degli altri nove senatori dei Comuni rurali, dove si hanno cinquemila consiglieri, si avrà un quoziente di 555 voti. In altri termini, gli elettori rurali avranno una capacità elettiva di voti ridotta ad un quarto rispetto alla capacità elettiva degli elettori dei Comuni urbani; fatto, questo, che non porta alcuna disarmonia nel sistema, anzi evita quella moltiplicazione di voti che si voleva attribuire a ciascun elettore secondo le varie categorie di Comuni. E non ne deriva neppure un danno alla Regione, perché il numero dei senatori che la Regione deve avere rimarrà sempre quello.
Fa presente che i Comuni potrebbero anche essere divisi in tre categorie: Comuni fino a tremila abitanti, Comuni fino a 30.000 abitanti e Comuni da trentamila abitanti in su. Ragguagliando queste distinzioni per stabilire quanti senatori spettino alla popolazione di ciascuna delle accennate categorie, i senatori sarebbero eletti dai consiglieri comunali di ciascuna categoria con un sistema più semplice e coerente.
MANNIRONI dichiara che era sua intenzione esporre gli stessi concetti che ha espresso l’onorevole Piccioni; ossia, se è vero che i grossi Comuni sono chiamati a eleggere dei senatori in numero molto inferiore a quelli dei piccoli Comuni, tuttavia si tratta di un voto che pesa di più in quanto risponde a un numero maggiore di elettori.
PERASSI osserva che questa questione è fuori posto.
PICCIONI replica che la questione è sorta proprio in seguito alle osservazioni dell’onorevole Perassi, il quale ha riferito che il Comitato si è trovato di fronte alla difficoltà del voto plurimo; alle quali osservazioni si è risposto dimostrando che col voto plurimo non si verifica altro che una moltiplicazione dei voti, e quindi si raggiungono gli stessi risultati senza intaccare in nulla il principio.
PRESIDENTE precisa che nessuno ha posto la questione di una sperequazione tra Regione e Regione, perché per ogni Regione si fa un calcolo proporzionale alla popolazione. La sperequazione si verifica invece nel peso proporzionale che hanno i voti degli uni e quelli degli altri elettori nell’interno di una stessa Regione, e bisognerebbe dimostrare che ogni voto plurimo è sufficiente a sanare tale squilibrio. Ma ciò non è dimostrato dalle cifre citate nel corso della discussione, le quali anzi stanno ad indicare che la sperequazione è assai maggiore di quel che non appaia dalle affermazioni dell’onorevole Piccioni, facendo dubitare fortemente della praticità del sistema.
MANNIRONI intende dimostrare con le cifre riguardanti la Sicilia che la sperequazione esiste, ma non in forma così preoccupante come può apparire dalle dichiarazioni dello onorevole Perassi.
In Sicilia i Comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti hanno una popolazione complessiva di circa un milione e 296 mila, con 4595 consiglieri; i Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti hanno una popolazione complessiva di un milione e 740 mila, con 2610 consiglieri. Vi è quindi una differenza di circa duemila consiglieri tra i due gruppi di Comuni. Ora, questi gruppi di Comuni di diversa entità numerica eleggerebbero lo stesso numero di senatori perché, posto che la Sicilia abbia diritto a trenta senatori, quindici sarebbero eletti dai 4595 consiglieri del primo gruppo e quindici dai 2610 del secondo. Senonché questo secondo gruppo rappresenta una massa maggiore di popolazione, e quindi il loro peso giuoca perché, pur essendo meno numerosi rispetto alla popolazione, eleggono lo stesso numero di senatori eletti dai consiglieri dell’altro gruppo.
PERASSI osserva che la sperequazione non è da considerarsi fra i due collegi per quanto concerne il numero dei senatori eletti da ciascuno di essi, ma si ha nell’ambito di ciascun Collegio, nel quale, dandosi ad ogni consigliere comunale un voto, i consiglieri dei Comuni minori hanno un peso sproporzionato rispetto a quello dei Comuni maggiori.
MANNIRONI chiarisce di aver voluto dimostrare che una sperequazione esiste, ma che essa viene sanata dalla necessità di adottare una soluzione meno difettosa delle altre. Richiamandosi al principio espresso dall’onorevole Ambrosini, che si deve tener conto non solo della popolazione come entità numerica, ma anche come entità territoriale, osserva che il Senato, il quale è stato chiamato la Camera delle Regioni, può essere chiamato Camera delle Regioni e dei Comuni.
LACONI si rende conto dei motivi che hanno indotto l’onorevole Fuschini a presentare il suo progetto, ma osserva che l’applicazione del sistema da lui proposto porterebbe sempre più lontano da una reale attuazione della democrazia, cioè dalla creazione di una rappresentanza rispondente al reale schieramento delle forze politiche. Ricorda che, quando fu votata la composizione della seconda Camera, si affermò che questa doveva essere eletta dai consiglieri di tutti i Comuni compresi nella Regione, secondo un sistema che garantisse una equa proporzione tra tutte le forze.
CAPPI osserva che questo sistema è stato già trovato.
LACONI replica che il sistema non è stato trovato perché, quando si accettasse il criterio che nel corpo di una Regione vi sia una parte della popolazione – quella dei centri rurali – la quale ha particolari interessi e dispone di un voto che ha un peso maggiore di quello dell’altra parte della popolazione, è il caso di domandarsi quali conseguenze possa avere questo fatto nel complesso politico sociale della Nazione. Queste conseguenze si proietterebbero su tutta la struttura democratica del Paese, perché si verrebbe ad attribuire un peso maggiore a determinate categorie di popolazione, che non sempre sono quelle più progredite e sviluppate dal punto di vista culturale e che possono recare un apporto maggiore allo sviluppo democratico del Paese. D’altra parte, le incongruenze a cui si giungerebbe attraverso un sistema misto di elezioni sono tali da far pensare che si debba trovare una soluzione diversa del problema in esame, la quale rispecchi la reale situazione italiana e possa riscuotere l’approvazione della maggior parte dei partiti.
Dichiara che egli e i suoi colleghi di partito sono disposti ad accettare una soluzione che tenga conto delle varie esigenze manifestatesi, e soprattutto dell’esigenza di diversificare quanto più possibile la seconda Camera dalla prima, in modo da farne un organo di riflessione, che rispecchi, però, lo schieramento politico e la composizione del Paese. Per questo ritiene che la miglior soluzione sia quella adottata dalla Costituzione francese, la quale prevede una seconda Camera integralmente eletta a suffragio universale indiretto, e cioè attraverso grandi elettori.
PRESIDENTE fa presente che tutti i sistemi finora proposti partono dall’erronea supposizione che la struttura sociale del nostro Paese sia uniforme. Ora, ciò non è, e per esempio, l’onorevole Mannironi ha parlato della Sicilia, dove i Comuni superiori ai 30.000 abitanti sono aggregati rurali, mentre in Piemonte i Comuni che superano i 10.000 abitanti sono aggregati cittadini. Nello stabilire quindi queste varie categorie di Comuni, o bisogna accettare il criterio assurdo di fare una speciale classificazione per ogni Regione, oppure fare delle categorie uniformi per tutte le Regioni che risponderebbero alla situazione di una Regione, ma non a quelli di un’altra a struttura sociale del tutto diversa.
Rileva l’importanza di questo problema che, derivando dalla divisione del Paese in tre parti – Italia settentrionale, centrale e meridionale – caratterizzate dalla diversa struttura sociale, viene a pesare su tutte le soluzioni del problema in esame.
MANNIRONI dichiara di aver portato l’esempio della Sicilia soltanto perché era quello che gli sembrava più evidente.
PRESIDENTE osserva che, prendendo l’esempio della Lucania, si sarebbe riscontrata la stessa situazione.
Comunica quindi che gli onorevoli Tosato, Piccioni e Fuschini hanno presentato la seguente proposta:
«La quota fissa dei senatori assegnati ad ogni Regione è eletta dalle rispettive Assemblee regionali. La rimanente quota, nella proporzione di un senatore per ogni 200 mila abitanti, è eletta dai consiglieri comunali della Regione divisi in tre gruppi: dei Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti; con popolazione superiore a 5 mila abitanti ed inferiore a 30 mila abitanti; con popolazione superiore a 30 mila abitanti. Ciascuno dei tre gruppi elegge un numero di senatori proporzionale alla popolazione».
Nei riguardi di questo nuovo progetto osserva che il sistema proporzionale non può essere applicato quando il numero degli eletti è troppo piccolo. È evidente che, se in una Regione sono da eleggere trenta deputati alla seconda Camera, sottratti i primi cinque che sono eletti dai Consigli regionali, ne rimangono troppo pochi perché essi possano essere eletti con la proporzionale. D’altra parte, siccome i senatori saranno assai meno di trenta, in media, per ogni Regione, il sistema proporzionale non potrà arrecare nessun giovamento.
Fa quindi presente che, tra i vari progetti presentati, soltanto quello dell’onorevole Nobile propone il sistema dell’elezione diretta senza alcuna contaminazione. Esso infatti propone che le elezioni dei membri della seconda Camera abbiano luogo a suffragio universale, diretto e segreto, da parte di tutti i cittadini aventi diritto al voto che abbiano superato il 26° anno di età.
PICCIONI pensa che, data l’ora tarda, non si possa addivenire ad una votazione. Ritiene comunque che, poiché nelle votazioni precedenti era rimasto in sospeso soltanto il problema dell’applicazione concreta del sistema con l’intervento dei Consigli comunali, e poiché qualche progetto ritiene di averlo adeguatamente risolto, bisognerebbe cominciare dal mettere in votazione questo modo di risoluzione del problema rimasto in sospeso rispetto al sistema previsto e già approvato dalla Commissione. Successivamente, qualora l’esito della prima votazione fosse sfavorevole, si esaminerebbero gli altri progetti.
PRESIDENTE ricorda di avere egli stesso fatto presente che, per alcune questioni, la decisione della Sottocommissione era legata da precedenti votazioni; ma non crede che la Sottocommissione debba più ritenersi legata al progetto cui si riferisce l’onorevole Piccioni. Infatti, al piccolo Comitato incaricato di ristudiare il sistema era stato detto di esaminare l’applicazione della decisione presa dalla Sottocommissione al fine di trovare una soluzione e, ove questa non fosse stata trovata, di cercarne altre. In forza di questo mandato il Comitato ha proposto una soluzione diversa dalle decisioni che erano state prese antecedentemente.
PICCIONI obietta che il Comitato di redazione non aveva veste per decidere, ma soltanto di esaminare il problema dal punto di vista tecnico. Se il Comitato non è riuscito a risolvere il problema, può darsi che lo risolva la Sottocommissione. Ritiene che la proposta degli onorevoli Tosato e Fuschini, alla quale egli ha aderito, possa acquistare maggior peso se sarà messa a confronto con altre proposte, che è presumibile che non potranno ottenere la maggioranza dei voti. Comunque, data l’ora tarda, propone che la riunione venga sospesa.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinvio del seguito della discussione.
(È approvata).
La seduta termina alle 20.
Erano presenti: Ambrosini, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.
Erano assenti: Bocconi, Bordon, Calamandrei, Cannizzo, Castiglia, Di Giovanni, Lami Starnuti, Porzio.