ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
(SECONDA SEZIONE)
22.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 23 GENNAIO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CONTI
INDI
DEL DEPUTATO AMBROSINI
INDICE
Corte di garanzia costituzionale (Seguito della discussione)
Presidente – Leone Giovanni, Relatore – Laconi – Calamandrei, Relatore – Cappi – Mannironi – Ambrosini – Targetti – Bulloni – Farini – Bozzi – Uberti.
La seduta comincia alle 16.
Seguito della discussione sulla Corte di garanzia costituzionale.
PRESIDENTE comunica che il Comitato incaricato della formulazione degli articoli ha presentato le sue proposte. Dà lettura dell’articolo 1:
«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi, degli atti amministrativi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Ha, inoltre, competenza a conoscere dell’azione di responsabilità penale e civile contro il Presidente della Repubblica e i ministri».
Avverte che la frase: «degli atti amministrativi», aggiunta su proposta dell’onorevole Leone, non ha trovato consenziente l’onorevole Ambrosini, il quale ha espresso il timore che possa creare una certa confusione tra la competenza della Corte costituzionale e quella del Consiglio di Stato.
LEONE GIOVANNI, Relatore, spiega che, d’accordo con l’onorevole Calamandrei, ha sostenuto che l’impugnazione degli atti amministrativi per incostituzionalità sarebbe una impugnazione in ultima istanza, potendosi gli atti amministrativi sempre impugnare per le vie ordinarie. Quando si presentasse un problema di conformità dell’atto ai diritti consacrati nella Carta costituzionale, si ammetterebbe un ultimo grado di impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale.
LACONI chiede quale compito sarebbe riservato allora al Consiglio di Stato.
CALAMANDREI, Relatore, aggiunge che la proposta risponde anche ad un voto della Commissione di studio per il sindacato sugli atti amministrativi e rientra in un ordine di idee che fu sostenuto dall’Australia durante la discussione dei trattati di pace. L’Australia propose che si inserisse in tutti i trattati di pace una clausola – che può essere presa in considerazione come preannuncio di future istituzioni – che prevedesse la creazione di una Corte Suprema internazionale dei diritti umani; una Corte alla quale ogni cittadino degli Stati contraenti potrebbe ricorrere nel caso che i diritti fondamentali costituzionali fossero stati disconosciuti da atti di autorità di questi Stati.
Quest’idea è stata confutata dall’onorevole Ambrosini, il quale ha ritenuto che in questo modo si farebbe una confusione con la tutela data, in generale, agli organi della giustizia amministrativa contro atti amministrativi illegali.
Come esempio, fa l’ipotesi di un cittadino al quale venga negata, ingiustamente, l’autorizzazione a pubblicare un giornale, e di cui non siano accolti i ricorsi al Prefetto e al Consiglio di Stato. In questo caso l’atto amministrativo ha violato un diritto garantito dalla Costituzione, onde si può ricorrere alla Corte costituzionale.
LACONI osserva che il fatto stesso che il Relatore debba ricorrere ad un esempio per chiarire la disposizione dimostra che questa non è chiara.
Sarebbe più semplice dire che al Consiglio di Stato compete il giudizio di legittimità, ma che il giudizio è riservato alla Corte costituzionale quando si assume violata la Costituzione.
CAPPI, poiché non si tratta di distinguere l’impugnazione di legittimità da quella di incostituzionalità, ma di creare un’ultima istanza a cui ricorrere dopo sperimentate le altre, propone che l’articolo sia così modificato:
«La Corte costituzionale giudica della costituzionalità delle leggi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Giudica pure della costituzionalità degli atti amministrativi, dopo sperimentato il ricorso alle autorità ordinarie. Ha, inoltre, ecc.».
LEONE GIOVANNI, Relatore, fa considerare che, dovendosi questo primo articolo rendere il più possibile solenne, la proposta dell’onorevole Cappi troverebbe sede più opportuna in articoli successivi.
LACONI rileva che ogni atto amministrativo trae origine da una determinata legge, legge che deve essere emanata nel quadro della Costituzione. Quindi, mettere il singolo atto amministrativo in relazione diretta con la Costituzione gli sembra un non senso.
Il sindacato sugli atti amministrativi è sempre di competenza del Consiglio di Stato o degli organi della giustizia amministrativa. Sarà invece competente la Corte costituzionale a giudicare se la legge, in base alla quale è stato posto in essere l’atto amministrativo, è nel quadro della Costituzione.
MANNIRONI ricorda che in precedenti disposizioni fu stabilito che, contro il giudicato di tutte le giurisdizioni, è ammesso il ricorso in Cassazione. Col ricorso alla Corte costituzionale si stabilirebbe un quarto grado di giurisdizione.
PRESIDENTE, poiché la discussione svoltasi pone in questione l’inciso «degli atti amministrativi», lo mette ai voti.
AMBROSINI dichiara che voterà contro, perché con questa aggiunta si verrebbe ad interferire su tutto il sistema adottato, non solo riguardo alla giurisdizione ordinaria, ma anche riguardo agli organi speciali della giustizia amministrativa: fa notare che la Sottocommissione ha proposto di estendere, avverso le decisioni di questi ultimi, la facoltà di ricorrere fino in Cassazione da parte degli interessati.
TARGETTI dichiara di associarsi a quanto ha detto l’onorevole Ambrosini, riservandosi di presentare in altra sede una forma di speciale ricorso a tutela dei diritti fondamentali.
(Non è approvato).
PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo, senza l’inciso che è stato respinto.
(È approvata).
Sulla seconda parte dell’articolo ricorda che fu discusso se fosse il caso di affermare la responsabilità penale del Presidente della Repubblica e si concluse affermativamente.
LEONE GIOVANNI, Relatore, ritiene che sia opportuno porre in parentesi la responsabilità civile.
In regime monarchico la responsabilità penale del monarca era esclusa, ma in regime repubblicano, quindi democratico, deve essere affermata la responsabilità del Capo dello Stato.
Preferirebbe però che l’organo chiamato a dichiararla fosse non il Tribunale ordinario, bensì il più alto organo giurisdizionale.
LACONI chiede chi promuoverebbe l’azione.
LEONE GIOVANNI, Relatore, risponde che si dovrà stabilire se debba esservi un Pubblico Ministero.
AMBROSINI osserva che per i ministri occorre distinguere tra reati comuni e reati che non possono essere commessi che nell’esercizio del loro ufficio.
LEONE GIOVANNI, Relatore, pensa che di queste responsabilità debba giudicare la Corte. Se poi la prima Sezione adottasse il principio della irresponsabilità del Presidente, o stabilisse una responsabilità condizionata, la questione potrebbe essere riesaminata in altra sede.
AMBROSINI osserva che bisogna indicare tassativamente i casi di responsabilità del Presidente della Repubblica.
LACONI propone che si voti per divisione.
PRESIDENTE consente e pone ai voti la frase: «e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato».
(È approvata).
Mette ai voti l’ultima parte:
«Giudica sulla responsabilità penale (e civile) del Presidente della Repubblica e dei ministri».
Avverte che si vota con la riserva che in sede di coordinamento sarà stabilito quale debba essere la procedura.
BULLONI dichiara di votare a favore, riferendosi solo alla responsabilità penale.
(È approvata).
AMBROSINI pensa che debba restare inteso che la competenza normale della Corte costituzionale è quella che riguarda il sindacato sulle leggi. Le altre funzioni alle quali si è fatto cenno sono di indole così eccezionale che presumibilmente non impegneranno l’attività della Corte che in casi rarissimi. Questo va tenuto presente quando si tratterà di determinare il numero dei componenti della Corte.
PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 2:
«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di avvocati e professori universitari, per un quarto di cittadini eleggibili politici aventi almeno 40 anni».
Propone di aggiungere dopo la parola «avvocati» la frase: «che cessano l’esercizio professionale».
Spiega che con questa aggiunta vuole evitare che si possa trar profitto dall’alta funzione esercitata per accrescere la propria clientela.
MANNIRONI ammette l’incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e la funzione di giudice nel periodo in cui questa funzione è esercitata, ma ritiene eccessivo stabilire che l’avvocato non possa riprendere l’esercizio della professione alla cessazione della funzione di giudice.
PRESIDENTE ritiene necessario troncare alla radice ogni illecito profitto.
LACONI è d’accordo col Presidente. Si tratta di funzione talmente alta che non ritiene conveniente far rientrare chi l’ha ricoperta nella vita professionale comune.
LEONE GIOVANNI, Relatore, è invece d’accordo con l’onorevole Mannironi. Stabilire che un professionista, assurto a quell’alta carica, divenga incapace, non gli sembra logico. La stessa incapacità non è considerata per il Capo dello Stato, né per i ministri; nemmeno per quello della giustizia.
D’altra parte va anche tenuto presente il problema economico. È stata respinta la proposta di assegnare a vita ai giudici della Corte costituzionale uno stipendio, e non si può pretendere che, alla fine dei sette anni, un professionista di rilievo torni a casa senza stipendio e con la proibizione di esercitare la professione.
AMBROSINI non crede che questa incapacità possa essere stabilita. Sarebbe d’altra parte una incongruenza stabilire l’incapacità all’esercizio della professione per i membri della Corte e non estenderla a coloro che ricoprono altre più elevate cariche dello Stato. Osserva, inoltre, che si tratterà di poche persone illustri non solo dal punto di vista intellettuale, ma anche della correttezza personale, e che colpirle in partenza con questa incapacità sarebbe veramente eccessivo.
FARINI non ritiene indispensabile porre questo inciso nell’articolo 2; ne rinvierebbe l’esame a quando sarà discusso l’articolo 4.
PRESIDENTE ritira la sua proposta, riservandosi di ripresentarla in sede opportuna.
BULLONI chiede che risulti dal verbale che con la parola «magistrati» si comprendono non solo i magistrati ordinari, ma anche i componenti del Consiglio di Stato.
CALAMANDREI, Relatore, osserva che è già stato compiuto ogni sforzo per scegliere fra i più autorevoli magistrati i componenti del Consiglio Supremo della Magistratura. Per la Corte costituzionale, invece, che riveste un carattere anche più elevato, ha l’impressione che con i criteri adottati, anziché aumentati, siano stati diminuiti i requisiti per il reclutamento dei componenti, e possa risultarne una scelta meno squisita.
AMBROSINI aderisce al concetto svolto dall’onorevole Calamandrei e lo invita a concretarlo in una proposta.
LEONE GIOVANNI, Relatore, ricorda i la sua proposta, in cui si parla di consiglieri di Cassazione o equiparati. Essa fu approvata soltanto per la parte concernente il criterio quantitativo delle percentuali.
Si tratta di un istituto nuovissimo, di grande importanza, del quale ogni caratteristica può costituire un pericolo o essere una conquista democratica. Ne faranno parte magistrati: ma questi saranno scelti in ogni grado o solo nei gradi più alti? E i professori universitari saranno scelti fra quelli appena saliti sulla cattedra o fra i più insigni? Per gli avvocati basterà il titolo o si richiederà una lunga esperienza?
LACONI teme che il prevedere tanti dettagli diminuisca la solennità dell’istituto. Le Camere chiamate a dargli vita sceglieranno uomini che, non soltanto per i titoli acquisiti, ma per il prestigio nazionale e per la competenza universalmente riconosciuta, siano degni di ricoprire così alta carica.
Ponendo tante clausole si restringerebbe talmente la cerchia, che la libertà di scelta dell’Assemblea ne apparrebbe eccessivamente limitata.
Per quanto poi riguarda la Magistratura, ricorda che fu stabilito che in essa si avranno differenze non già di gradi, bensì di funzioni, mentre qui, tornando al criterio dei gradi, si farebbe un passo indietro.
AMBROSINI ritiene con l’onorevole Calamandrei che, se si sono richiesti tanti requisiti per i membri del Consiglio Superiore della Magistratura, a fortiori debbano esser richiesti per i membri della Corte Costituzionale, che è un organo a quello superiore.
LEONE GIOVANNI, Relatore, alle parole: «per metà di magistrati» aggiungerebbe: «con funzioni non inferiori a Consigliere di Cassazione o equiparate».
LACONI afferma che questo criterio può valere per la scelta dei magistrati in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, ma non può essere determinante per i membri della Corte costituzionale. Nella scelta si deve solo tener conto del prestigio personale e della cultura del giudice, non del grado che riveste.
CAPPI ritiene opportuno togliere qualunque specificazione di termine (anzianità dell’insegnamento, o dell’esercizio della professione forense) limitando la scelta, per i professori universitari, a quelli di materie giuridiche ed intendendo esteso il limite di età di 40 anni a tutte le categorie.
LEONE GIOVANNI, Relatore, insiste sulla sua proposta richiedendo un minimum di anzianità nella carica o nella professione.
BULLONI, per gli avvocati, preferirebbe che l’anzianità richiesta fosse quella di iscrizione all’Albo della Cassazione.
PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Cappi, di togliere dall’articolo ogni riferimento alla durata dell’esercizio professionale.
(È approvata).
Pone ai voti l’articolo 2 così formulato:
«La Corte è composta per metà di magistrati, per un quarto di professori universitari di materie giuridiche e di avvocati e per un quarto di cittadini eleggibili politici, tutti aventi almeno 40 anni».
(È approvato).
LEONE GIOVANNI, Relatore, non ritiene questa formulazione adeguata allo scopo, e dichiara formalmente che si riserva di ripresentare la questione in sede di Commissione plenaria.
(Poiché l’onorevole Conti è costretto ad assentarsi, la Sezione invita ad assumere la presidenza l’onorevole Ambrosini).
PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 3:
«I giudici della Corte costituzionale sono eletti dall’Assemblea, col sistema di votazione previsto per l’elezione del Presidente della Repubblica».
LEONE GIOVANNI, Relatore, rileva che l’articolo prevede lo stesso sistema adottato per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non si sa però ancora se questa elezione sarà fatta dall’Assemblea Nazionale o dal popolo col suffragio universale diretto. Propone, quindi, di rinviare ogni decisione alla legge speciale che disciplinerà la materia.
LACONI obietta che una cosa è eleggere una sola persona e un’altra eleggerne molte, come nel caso dei giudici della Corte costituzionale, per cui ritiene che, per questi ultimi, si dovrebbe adottare un criterio di proporzionalità.
PRESIDENTE propone che il metodo di elezione sia rinviato ad una successiva legge costituzionale.
(Così rimane stabilito).
Aggiungerebbe, nella prima parte, dopo «Assemblea» l’aggettivo «Nazionale», e pone ai voti la prima parte dell’articolo così formulata: «I giudici della Corte costituzionale sono eletti dall’Assemblea Nazionale».
(È approvata).
Pone in discussione l’articolo 4:
«La Corte elegge nel suo seno il Presidente. Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili. I giudici, avvocati e magistrati, non potranno esercitare le loro funzioni durante l’esercizio del loro ufficio presso la Corte. Le altre incompatibilità saranno previste dalla legge. Per i giudici della Corte costituzionale non vigono limiti di età».
TARGETTI fa rilevare che la Corte risulterebbe composta di un numero pari di membri, il che può presentare degli inconvenienti in caso di votazioni.
PRESIDENTE risponde che la difficoltà sorgerebbe solo qualora i voti si dividessero perfettamente per metà, il che è difficile.
MANNIRONI, per snellire l’articolo, propone di sopprimere l’ultimo comma che stabilisce che non vigano limiti di età.
LEONE GIOVANNI, Relatore, preferirebbe che si approvasse il testo proposto, demandando al Comitato di redazione di trovare la migliore forma di espressione.
Per il primo comma propone la seguente modificazione:
«La Corte elegge il Presidente fra i suoi componenti».
PRESIDENTE pone ai voti il primo comma così emendato.
(È approvato).
Pone ai voti il secondo comma:
«Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili.
(È approvato).
LEONE GIOVANNI, Relatore, richiamandosi alla questione della incompatibilità, fa considerare che esiste anche un problema di ineleggibilità. Nella sua formulazione aveva elencato alcune categorie di ineleggibili: il Capo dello Stato, i ministri e i Sottosegretari di Stato, i deputati, i senatori, i deputati regionali, i Capi del potere esecutivo regionale e provinciale e, infine, coloro che abbiano ricoperta una o più di queste cariche da non oltre 4 anni.
La sua proposta moveva dal concetto che la Corte deve essere espressa dal potere politico, cioè dall’Assemblea Nazionale; ma non deve essere in funzione dell’Assemblea Nazionale, né esserne una emanazione politica.
Occorre quindi, determinando non solo le categorie degli eleggibili, ma anche quelle degli ineleggibili, far sì che la Corte sia formata da elementi insensibili, al massimo, al fluttuare della vita politica. Vorrebbe, quindi, dichiarare ineleggibili quanti rivestano cariche politiche ed anche porre dei limiti per coloro che nel passato le hanno rivestite.
Ricorda che le altre Costituzioni che disciplinano la Corte costituzionale si diffondono largamente su questo istituto. Col rinviare alla legislazione futura tante decisioni, per timore di fare una Costituzione troppo particolareggiata, si finirà col rendere tardivi l’applicazione e il funzionamento di questo istituto.
LACONI si dichiara di parere contrario, e ritiene sufficiente dire che colui il quale è chiamato a far parte della Corte deve automaticamente decadere da qualunque altra funzione, perché non si possono considerare gli uomini incasellati in due categorie, così che da una parte siano coloro che militano nella politica e dall’altra coloro che non vi militano.
PRESIDENTE osserva che l’esclusione di coloro i quali hanno prima ricoperto delle cariche politiche porterebbe spesso alla esclusione degli elementi migliori.
TARGETTI, contrariamente a quanto ha sostenuto l’onorevole Leone, pensa esser necessario che nella Corte sia in larga misura l’elemento politico, perché i casi che deferiti al suo giudizio saranno in esigua minoranza casi tecnici, ma dovranno in gran parte essere risolti con l’interpretazione di norme politiche della Costituzione. Il giudice della Corte dovrà rinunziare a fare della politica militante, ma non potrà rinunziare alla sua esperienza politica e, soprattutto, alle sue convinzioni politiche. Dichiarare ineleggibile chi è stato deputato, significherebbe, come ha già detto il Presidente, precludere la via agli elementi più idonei.
MANNIRONI si dichiara sostanzialmente d’accordo con l’onorevole Leone, ma, anziché stabilire la ineleggibilità, vorrebbe sancire l’incompatibilità fra il mandato politico e l’appartenenza alla Corte per tutto il tempo della legislatura, nel senso che un deputato non possa essere eletto a far parte dell’Alta Corte, quand’anche rinunzi al mandato politico, per la durata della legislatura.
BOZZI ritiene che la questione sollevata dall’onorevole Targetti investa la fisionomia della Corte. Chi pensa che in questo tribunale debba prevalentemente partecipare l’elemento tecnico della giurisdizione propende per una prevalente partecipazione di tecnici, mentre chi pensa che le funzioni della Corte siano prevalentemente politiche auspica una più larga partecipazione di elementi politici. Ma è già stato deciso che la Corte debba essere mista, cioè composta di elementi tecnici e politici.
È, a suo avviso, molto interessante il problema sollevato dall’onorevole Leone. I membri della Corte durano in carica 7 anni e i deputati, normalmente, 5 anni. Quindi, se alla Corte potessero essere eletti dei deputati durante il corso della legislatura, potrebbe avvenire che alcuni di coloro che hanno preso parte alla formazione di leggi sottoposte a controllo costituzionale venissero a far parte del tribunale che è chiamato a giudicare della loro costituzionalità, ciò che non sarebbe ammissibile. Di qui la necessità che il potere giudicante sia tenuto distinto dal legislativo.
PRESIDENTE trova convincenti le considerazioni dell’onorevole Bozzi per quanto riguarda i deputati in carica, ma non per gli ex deputati.
LEONE GIOVANNI, Relatore, solo in considerazione dell’orientamento della Commissione, dichiara di ritirare la sua proposta.
PRESIDENTE crede opportuno rilevare che la Corte costituzionale deve essere riguardata come un organo giurisdizionale e non di natura politica. Che possa essere composto di uomini che hanno partecipato alla vita politica è criterio giustissimo; ma ciò non può snaturare il carattere di quest’organo supremo, la cui funzione è di esame giuridico sulla costituzionalità delle leggi; giudizio che deve basarsi sui criteri normali di interpretazione della legge.
Nota che le osservazioni dell’onorevole Targetti potrebbero invece indurre nell’equivoco, e che è per ciò necessario riaffermare il principio che la funzione della Corte ha carattere giurisdizionale e non politico.
TARGETTI spiega che non ha inteso dire che questo organo debba esercitare un’azione politica; ha detto invece che una gran parte dei casi che potranno essere sottoposti al suo giudizio saranno casi di incostituzionalità in relazione al significato politico della Carta costituzionale. Dovrà quindi emettere spesso giudizi di contenuto squisitamente politico.
Perciò, se la Corte fosse costituita solo di elementi tecnici, probabilmente potrebbe, nei suoi giudicati, incorrere in errori che la presenza di uomini politici eviterebbe.
PRESIDENTE esprime il suo disaccordo. Ricorda sentenze della Suprema Corte di cassazione in cui sono stati affrontati e risolti problemi di natura politica con criteri squisitamente giuridici.
Qualsiasi magistrato sarebbe in grado di esprimere un giudizio sui problemi, anche i più ardui, che potessero presentarsi. L’aver deciso la instaurazione di una Corte costituzionale non mira che a dare un prestigio maggiore all’esercizio della funzione, ma non importa il cambiamento della sua natura; ragione per cui i componenti la Corte dovranno giudicare seguendo lo stesso metodo dei magistrati.
Per abbreviare la discussione, sottopone alla Commissione il principio pregiudizionale che tutti i casi di incompatibilità e di ineleggibilità devono essere previsti dalla Costituzione. Lo mette ai voti.
(È approvato).
LEONE GIOVANNI, Relatore, fa rilevare che occorre considerare i casi di ineleggibilità del Presidente della Repubblica, dei ministri e Sottosegretari di Stato.
BOZZI ricorda che, per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, già un articolo dice che la qualità di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. Quindi può essere scartata la relativa formulazione.
LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che si stabilisca che sono ineleggibili anche i ministri e Sottosegretari di Stato in carica al momento dell’elezione.
CALAMANDREI, Relatore, dichiara di essere stato favorevole all’inclusione nella Costituzione di una norma che stabilisca le incompatibilità, senza tuttavia ritenere che sia il caso di formulare una elencazione casistica. Basterebbe dire che qualunque ufficio di carattere politico e amministrativo è incompatibile con la carica di componente la Corte costituzionale.
LACONI è contrario a tutte queste incompatibilità, ritenendo che la decadenza dalle cariche, già prevista in altro articolo, sia sufficiente a garantire da ogni pericolo.
PRESIDENTE avverte che si tratta di stabilire se i ministri e i Sottosegretari siano ineleggibili.
MANNIRONI chiede se non sarebbe sufficiente stabilire la ineleggibilità dei componenti dell’Assemblea Nazionale.
LEONE GIOVANNI, Relatore, non lo ritiene sufficiente, in quanto un ministro o un Sottosegretario potrebbero anche non far parte dell’Assemblea Nazionale.
BOZZI è favorevole a che si dichiari questo caso di ineleggibilità, per quanto ritenga assurdo pensare che l’Assemblea possa eleggere a membri della Corte un ministro o un Sottosegretario in carica.
CAPPI crede si debba dichiarare solo l’ineleggibilità dei membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale in carica al momento della elezione.
UBERTI chiede che siano aggiunti anche i Presidenti delle Assemblee regionali, perché potrebbero sorgere conflitti tra leggi regionali e leggi statali.
LEONE GIOVANNI, Relatore, propone che la votazione avvenga per divisione sulle singole categorie. La sua proposta si limita ai membri del Governo, ai membri dell’Assemblea Nazionale e ai membri delle Assemblee regionali.
BULLONI non crede che la formula proposta eviti il pericolo che vi siano giudici della Corte costituzionale chiamati a giudicare della costituzionalità o meno di leggi da essi stessi votate.
PRESIDENTE invita la Commissione a votare sulla formula proposta dall’onorevole Cappi:
«Membri del Governo e dell’Assemblea in carica al momento dell’elezione».
BULLONI ripete che potranno essere eletti giudici della Corte degli ex membri di una Camera che abbiano preso parte alla formazione della legge da giudicare.
PRESIDENTE ritiene che, se verranno in discussione leggi alla cui formazione hanno partecipato, essi si asterranno.
BULLONI si dichiara sodisfatto, purché risulti dal verbale la dichiarazione del Presidente, cioè che varrà per essi obbligo di astensione.
PRESIDENTE mette ai voti per divisione la proposta Cappi:
«Sono ineleggibili i membri del Governo in carica al momento dell’elezione».
(È approvato).
«I membri dell’Assemblea Nazionale in carica al momento dell’elezione».
(È approvato).
FARINI chiede che sia consacrato a verbale che il gruppo cui egli appartiene ha votato contro.
CAPPI dichiara di essersi astenuto.
PRESIDENTE, passando alle altre categorie, pone ai voti:
«I Presidenti delle Assemblee regionali».
(È approvato).
«I membri delle Assemblee regionali».
(È approvato).
Avverte che per tutte le categorie, in armonia a quanto risulta implicitamente dalla discussione, vale l’aggiunta: «in carica al momento delle elezioni». Pertanto la formula completa risulta la seguente:
«Sono ineleggibili i membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale, i Presidenti e i membri delle Assemblee regionali in carica al momento delle elezioni».
LEONE GIOVANNI, Relatore, per quanto riguarda il problema dell’incompatibilità, ricorda che fu già votata l’incompatibilità per i magistrati di esercitare, durante la carica, le funzioni giudiziarie e l’incompatibilità per gli avvocati di esercitare, durante la carica, la professione, e che qui vi era la proposta dell’onorevole Conti della cessazione definitiva dall’esercizio professionale. Per i professori universitari non fu stabilita l’incompatibilità con l’insegnamento e fu deciso di trovare una formula adatta che evitasse di far apparire questo criterio come un particolare privilegio.
La formulazione da lui proposta sarebbe: «Il collocamento fuori ruolo dei magistrati eletti giudici dell’Alta Corte, l’incompatibilità dell’esercizio delle professioni legali, le altre incompatibilità, nonché il trattamento economico, sono determinati dalla legge».
BULLONI aderisce alla proposta dell’onorevole Leone.
CAPPI trova pericoloso questo rinvio delle incompatibilità alla legge. Del resto, come è stata stabilita l’incompatibilità per i magistrati, gli avvocati, ecc., potrebbe essere stabilita anche per i membri delle Assemblee Nazionali. Un giudice dell’Alta Corte potrebbe essere eletto deputato.
PRESIDENTE crede che la questione possa essere esaminata in altra sede.
LEONE GIOVANNI, Relatore, propone di perfezionare la sua formula dicendo: «le altre incompatibilità relative ad incarichi politici».
BULLONI ritiene che quanto forma oggetto della preoccupazione dell’onorevole Cappi potrebbe trovare collocamento opportuno nella legge elettorale.
MANNIRONI esprime il parere che dall’insieme dell’espressione già approvata derivi anche quella incompatibilità di cui si preoccupa l’onorevole Cappi, perché quando si dice che non può essere nominato membro dell’Alta Corte un deputato, è logico che non possa essere nominato deputato un membro dell’Alta Corte.
BOZZI riconosce la necessità di precisare se si intenda stabilire una ragione di ineleggibilità o di incompatibilità. È stato votato il principio che non può essere eletto giudice dell’Alta Corte chi è deputato. Con ciò è stata ammessa una ragione di incompatibilità, perché, in altre parole, si dice che non si può essere contemporaneamente giudici dell’Alta Corte e deputati. È ovvio che se la qualità di giudice preesiste, si determina quella ragione di incompatibilità per chi dovesse essere eletto deputato. Le leggi vanno interpretate anche nel loro spirito, nella loro economia; non occorre che tutto sia espressamente detto.
PRESIDENTE aggiunge che, siccome in ogni caso sarebbe la legge elettorale che dovrebbe occuparsi di questa questione, non occorra decidere in proposito.
Sulla proposta dell’onorevole Leone, che si riferisce all’incompatibilità dell’esercizio delle professioni legali e al trattamento economico dei componenti la Corte, osserva che, forse, non è necessario fare di questo secondo argomento un’espressa menzione.
LEONE GIOVANNI, Relatore, afferma di averne fatta menzione, perché in Italia v’è la triste prassi che quanto più alta è la funzione, tanto più essa deve essere onoraria.
CAPPI ripete che rinviare le altre incompatibilità alla legge gli sembra pericoloso. Una legge potrebbe stabilire che gli appartenenti ai partiti politici si trovano in questa situazione di incompatibilità.
LEONE GIOVANNI, Relatore, ritira la parte della sua proposta che riguarda le altre incompatibilità.
PRESIDENTE crede che non dovrebbe precludersi la possibilità di stabilire altre incompatibilità; sono state esaminate solo quelle emerse nella discussione; ma potrebbero in seguito presentarsene delle altre.
LACONI propone di rinviare la questione.
PRESIDENTE, concludendo la discussione, dichiara che circa l’articolo 4 restano approvate queste disposizioni:
«La Corte elegge il Presidente tra i suoi componenti. Il Presidente e i giudici durano in carica 7 anni e sono rieleggibili.
«Per i giudici della Corte non vigono limiti di età.
«Sono ineleggibili i membri del Governo e dell’Assemblea Nazionale, i Presidenti e i membri delle Assemblee regionali in carica al momento dell’elezione».
La seduta termina alle 17.50.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, Farini, Laconi, Leone Giovanni, Mannironi, Ravagnan, Targetti, Uberti.
Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Porzio.