Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

82.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 22 GENNAIO 1947

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Grieco – Mortati, Relatore – Uberti – Nobile – Perassi – Zuccarini – Bozzi – Fabbri – Ambrosini – Einaudi – Fuschini – Cappi – Lussu.

La seduta comincia alle 18.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

 

PRESIDENTE ricorda che resta da esaminare l’ultimo articolo del progetto dell’onorevole Mortati, che considera l’applicazione dell’istituto del referendum nel più ristretto ambito territoriale delle Regioni e dei Comuni.

Lo pone in discussione:

«Art. 7. – Gli Statuti regionali potranno disporre, per la formazione delle leggi regionali, l’impiego del referendum, in conformità ai principî posti per tale materia dalla Costituzione.

«Potrà altresì essere affidata al referendum l’approvazione di singoli provvedimenti. Sono in ogni caso sottoposte al voto degli elettori le deliberazioni relative all’assunzione diretta dei pubblici servizi, o alla contrazione di prestiti, non destinati alla conversione di debiti precedenti, in misura superiore a lire …, o all’erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente per oltre cinque anni, in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie».

GRIECO domanda la ragione della parola «altresì» contenuta all’inizio del secondo comma, della quale non vede la necessità se sotto la dizione: «leggi regionali», contenuta nel primo comma, sono già comprese le materie di cui parla il comma secondo.

MORTATI, Relatore, chiarisce che, mentre il primo comma si riferisce alle vere e proprie «leggi regionali», il secondo riguarda anche atti amministrativi e provvedimenti singoli che non abbiano forma di leggi.

PRESIDENTE osserva che dicendosi: «gli Statuti regionali potranno disporre l’impiego del referendum, ecc.», si vuol significare che si tratta di una facoltà; mentre egli ritiene che l’istituto del referendum, per la sua importanza, debba essere posto come obbligatorio in modo uniforme, con disposizione fondamentale di ogni Statuto regionale; tanto più se si pensi che in qualche Regione, il cui governo potrà cadere nelle mani della parte più reazionaria, si potrebbe evitare a bella posta di includerlo nello Statuto e quindi di farvi ricorso, non permettendo così alle masse popolari di far sentire le loro voci.

MORTATI, Relatore, condivide l’opinione del Presidente ed accetta che sia introdotta una modificazione intesa a stabilire l’obbligo di prevedere e regolare negli Statuti regionali l’istituto del referendum. In luogo di «potranno disporre», si potrebbe dire «disporranno».

UBERTI è d’avviso che debba essere ammessa l’iniziativa popolare nel caso che gli Statuti regionali non stabilissero il referendum.

NOBILE propone che in luogo di dire: «in conformità ai principî posti per tale materia dalla Costituzione», si dica: «con disposizioni analoghe a quelle già stabilite per il referendum nazionale».

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formulazione:

«Gli Statuti regionali regoleranno l’esercizio dei diritti di iniziativa e di referendum in armonia ai principî posti negli articoli precedenti».

(È approvata).

Pone in discussione il secondo comma del testo proposto dell’onorevole Mortati.

NOBILE ritiene occorra specificare che il popolo ha diritto di chiedere in ogni caso il referendum, stabilire cioè anche in questa materia l’iniziativa popolare; altrimenti, lasciando l’iniziativa all’ente Regione, potrebbe essere escluso il ricorso al referendum per qualche provvedimento non compreso nella specificazione proposta. Egualmente si potrebbe, a suo giudizio, richiedere l’iniziativa popolare per annullare un provvedimento emanato in base alla legge comunale e regionale.

PRESIDENTE ricorda che, trattandosi negli articoli precedenti di referendum nazionale, il diritto di iniziativa è stato riconosciuto ai cittadini elettori e ad enti diversi dallo Stato, e ritiene che analogamente dovrà farsi per il referendum regionale, perché la Regione non potrà farsi essa stessa promotrice di referendum in confronto delle proprie leggi. Ricorda pure che il referendum abrogativo è stato ammesso anche per le leggi regionali e ritiene che, se mai, si potrebbe pensare di estenderlo anche ai regolamenti.

UBERTI osserva che la questione va impostata diversamente a seconda che si tratti dello Stato, o della Regione, o dei Comuni.

PRESIDENTE rileva che allora bisognerebbe togliere dal comma già approvato l’inciso: «in armonia coi principî posti negli articoli precedenti».

PERASSI ritiene che tale inciso debba essere inteso nel senso che lo Statuto regionale possa anche andare oltre: che, ad esempio, per certi provvedimenti possa stabilire il referendum obbligatorio quando per lo Stato è previsto solo come facoltativo; e lo stesso dicasi per i Comuni.

ZUCCARINI trova inutile far menzione di questa facoltà – per le Regioni e per lo Stato – di indire un referendum, poiché ciò è pacifico come un diritto riconosciuto.

UBERTI ritiene che lo Statuto regionale possa anche stabilire – e ciò si potrebbe espressamente specificare – di fare un referendum anche su iniziativa dei Consigli degli enti interessati. Nessuno ostacolo dovrebbe esservi a tale possibilità, anche perché le stesse Assemblee regionali potrebbero essere interessate a sentire sopra un problema di grande importanza il parere della popolazione. Ad ogni modo, dovrebbe essere ben chiaro che gli enti possono, quando vogliano, sottoporre alla decisione della volontà popolare la soluzione di importanti questioni.

Ricorda che attualmente il referendum è previsto con valore deliberativo per la municipalizzazione dei pubblici servizi; egualmente decisivo potrebbe essere il referendum che i Consigli comunali o regionali intendessero indire sopra una determinata questione. In sostanza, il referendum non è che l’esercizio della democrazia diretta.

PRESIDENTE crede che questi casi dovrebbero essere previsti, perché tutto il sistema che si sta creando non è basato sulla democrazia diretta.

UBERTI, ai provvedimenti previsti dall’onorevole Mortati, riguardanti prestiti, erogazioni di spese, ecc., per i quali la volontà popolare si esprime attraverso un referendum deliberativo, ritiene che si potrebbero aggiungere: «tutti quegli altri provvedimenti che l’ente ritenesse di sottoporre al popolo».

BOZZI ritiene indubbio che le Regioni e i Comuni possano indire un referendum, se ad esso si dà valore di consultazione e di parere non impegnativo. Altra cosa sarebbe se al referendum si intendesse dare valore deliberativo, in quanto con ciò si verrebbe a sostituire l’espressione della volontà popolare a quella degli organi che per legge sono chiamati ad esprimere la volontà giuridica, eludendo così il modo normale di formazione di questa volontà. Se il parere degli elettori dovesse essere vincolante, occorrerebbe dichiararlo esplicitamente, perché ove è attribuzione di competenza che disciplini il modo in cui la volontà si deve manifestare, non si vede come si possa mettere da parte la legge e sentire direttamente il popolo.

MORTATI, Relatore, osserva che è previsto in questo articolo l’obbligo degli Statuti regionali di stabilire il referendum per quei casi per cui è fissato il referendum nazionale. Si domanda ora se il Comune o la Regione possano indire un referendum all’infuori di questi casi, ed egli ritiene che la questione possa essere risolta affidandola alla autonomia degli Statuti, in quanto il referendum non incida in qualche norma di carattere costituzionale. Entro questi limiti non crede vi sia bisogno di farne espressa menzione nella Costituzione.

Un referendum preventivo, a scopo consultivo, si potrà sempre fare, poiché esso non incide sulla formazione di una legge o sui provvedimenti da prendere; ma non è possibile che lo Statuto regionale affidi al popolo una decisione che spetta ad altri organi, perché dovrebbe, per farlo, derogare alle norme che sono state fissate nella Costituzione per gli Statuti regionali.

FABBRI propone la seguente formulazione:

«Gli Statuti regionali prevederanno l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare e di referendum, anche per singoli provvedimenti amministrativi, in armonia delle norme vigenti per le leggi nazionali. Le Regioni ed i Comuni saranno in ogni caso tenuti a sottoporre agli elettori le deliberazioni, ecc.».

PRESIDENTE nota che questa formula raggruppa le disposizioni contenute nel comma già votato e in quello ora in esame.

MORTATI, Relatore, non crede opportuna l’iniziativa popolare per l’emanazione di singoli provvedimenti, perché – presa da persone irresponsabili – potrebbe essere non abbastanza meditata.

FABBRI osserva che la formula da lui proposta prevede l’iniziativa popolare non per tutti i provvedimenti, ma per quelli che sono disciplinati dallo Statuto regionale.

MORTATI, Relatore, pensa che l’iniziativa debba presupporre una conoscenza ed una valutazione del complesso delle esigenze amministrative, ciò che il popolo non può fare: bisognerebbe dire che il provvedimento è stato già previsto dall’amministrazione; ma ciò non è detto nella proposta dell’onorevole Fabbri.

FABBRI risponde che si tratta della stessa iniziativa ammessa per proporre un disegno di legge: il vincolo si deve intendere nel senso che l’organo regionale è obbligato a prendere in considerazione la richiesta di referendum.

MORTATI, Relatore, ritiene che, dopo questo chiarimento, si possa accogliere la proposta dell’onorevole Fabbri.

UBERTI, anche per chiarire questa questione, insiste sulla opportunità di aggiungere che l’approvazione di singoli provvedimenti potrà essere affidata al referendum, su iniziativa dei Consigli comunali e degli Enti regionali.

PERASSI osserva che gli Statuti regionali avranno una certa libertà per quanto riguarda il referendum, rispetto agli atti amministrativi dei Comuni, e di questa libertà potranno usare in due diversi modi: o stabilendo che un certo provvedimento debba essere sottoposto a referendum, oppure limitandosi a dire che certi provvedimenti saranno sottoposti a referendum se o quando lo richieda una certa aliquota di cittadini.

PRESIDENTE nota che, nella formulazione dell’onorevole Mortati, segue una elencazione di casi in cui è ritenuto obbligatorio il referendum. Ritiene che non si possano far rilievi circa il ricorso al referendum per le deliberazioni relative all’assunzione diretta di pubblici servizi; ma che qualche dubbio possa invece sorgere circa il referendum obbligatorio per la contrazione di prestiti non destinati alla conversione di debiti precedenti.

MORTATI, Relatore, spiega che si tratta di impegni i quali possono incidere gravemente sulla economia di una Regione e che è quindi opportuno sentire il parere delle popolazioni interessate, le quali sono poi quelle che dovranno soddisfare a tali impegni.

PRESIDENTE osserva che, in fatto di prestiti, il giudizio dei cittadini può avere un valore relativo, poiché essi sono portati a ritenere una eventualità fortunata quella di fare comunque affluire danaro nelle casse pubbliche, senza rendersi conto o preoccuparsi troppo delle conseguenze che da questi prestiti possono derivare: ritiene invece una garanzia maggiore il giudizio elaborato dalle amministrazioni regionali e comunali.

MORTATI, Relatore, chiarisce che una valutazione da parte degli organi amministrativi esisterà sempre e che il referendum rappresenta una successiva garanzia, che non elimina quella preventiva deliberazione. Pensa anzi che la deliberazione di un prestito dovrebbe essere accompagnata anche da un accenno alla sua destinazione.

Ad ogni modo questo ulteriore vaglio affidato al popolo, stimolando il senso civico dell’elettore, potrebbe costituire una remora per nuove spese ed un avviamento a quella educazione politica che si tende a raggiungere attraverso queste forme di democrazia diretta.

AMBROSINI ritiene che si debbano inserire nella Costituzione le disposizioni in esame, in quanto ricorda che in sede di Comitato di redazione per le autonomie locali questa specificazione si volle stabilire per porre un qualche ostacolo alla finanza cosiddetta allegra degli enti pubblici in genere e perché fu respinto il principio del controllo sul merito.

Concorda perciò nelle considerazioni dell’onorevole Mortati ed aggiunge che, essendo alla proposta di un prestito accompagnata una dichiarazione sul modo di pagamento, le stesse popolazioni eserciteranno un controllo che potrà riuscire efficace.

NOBILE ritiene che sarebbe forse meglio non parlare di questo nella Costituzione, poiché il giudizio della volontà popolare potrebbe essere previsto solo per quanto riguarda le condizioni a cui un prestito viene contratto: per il resto esiste già un controllo sulle spese.

FABBRI, per dare lo stesso carattere di rilevanza alle disposizioni di questa parte dell’articolo, ritiene si potrebbe togliere la doppia alternativa e dire: «le deliberazioni relative alla assunzione diretta dei pubblici servizi e alla contrazione di prestiti non destinati alla conversazione di debiti precedenti o alla erogazione di spese, ecc.».

Infatti, la rata di restituzione del prestito non differisce da una qualsiasi erogazione di spesa, e quindi l’impegno sul bilancio dell’ente per oltre cinque anni in quella certa misura potrebbe valere sia per la contrazione del prestito che per l’erogazione di altre spese.

UBERTI osserva che vi può essere una diversità di destinazione, in quanto il prestito può essere destinato ad una spesa o ad un investimento anche a carattere redditizio. A questo proposito ritiene troppo vincolante l’obbligatorietà del referendum in fatto di erogazione di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente «in misura superiore al decimo delle entrate annuali ordinarie», perché mette i Comuni in condizione di non poter far ricorso al prestito anche quando ne hanno una esigenza particolare e quando esso rappresenta una semplice commutazione di beni, come ad esempio un investimento in immobili. È d’avviso che bisognerebbe fissare una aliquota maggiore ed arrivare almeno fino al doppio delle entrate annuali ordinarie.

MORTATI, Relatore, tenendo conto delle osservazioni dell’onorevole Uberti, dopo le parole: «non destinati alla conversione di debiti precedenti», propone di aggiungere le altre: «e ad investimenti».

EINAUDI osserva che oggi qualsiasi investimento sarà certamente improduttivo.

UBERTI non insiste nella sua proposta circa gli investimenti.

PRESIDENTE richiama l’attenzione sull’altra proposta dell’onorevole Uberti, secondo la quale l’obbligo del referendum sarebbe previsto per le deliberazioni relative all’erogazioni di spese tali da impegnare il bilancio dell’ente «in misura superiore al doppio delle entrate ordinarie annuali», in luogo del decimo di tali entrate stabilito nella proposta dell’onorevole Mortati.

EINAUDI osserva che, se lo Stato dovesse attenersi alla stessa misura, potrebbe contrarre un prestito di 800 miliardi: una cifra alquanto esagerata.

FUSCHINI non crede che il grave problema dei controlli sulla Regione si possa risolvere con un referendum, ed osserva che tutta la casistica di cui si sta discutendo riguarda problemi non sufficientemente maturati. Ritiene perciò che una legge potrà più ponderatamente studiare i diversi casi ed affrontarne meglio la soluzione. Propone quindi che l’articolo in esame termini con l’affermazione che gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti legislativi, senza aggiungere alcuna specificazione.

UBERTI ricorda che le specificazioni inserite in questo articolo trovano la loro ragione nel fatto che il referendum fu considerato come un sostitutivo del controllo di merito. Occorreva impedire che un Consiglio comunale potesse impegnare le entrate per un periodo superiore al suo mandato. Anche facendo un rinvio alla legge, ritiene tuttavia necessario farne un accenno nella Costituzione e propone la seguente formula:

«La legge fisserà i limiti di spesa e di prestito che non potranno essere deliberati senza ricorso al referendum».

PRESIDENTE osserva che coloro i quali redigeranno la legge sulle amministrazioni regionali e comunali avvertiranno i diversi problemi come li ha prospettati l’onorevole Uberti e cercheranno di risolverli. Rileva inoltre che, secondo la proposta dell’onorevole Fuschini, è il principio stesso del referendum come controllo sulle spese che deve essere ulteriormente esaminato e approfondito.

FABBRI vorrebbe fossero posti dei limiti alle autonomie regionali nella stessa Carta costituzionale, poiché, sebbene egli abbia auspicato più volte una legge comunale e regionale al fine di ottenere una certa uniformità di regolamentazione in questo campo, quel suo concetto di uniformità per tutte le Regioni non è stato votato.

MORTATI, Relatore, è contrario alla proposta dell’onorevole Fuschini, perché, una volta ritenuta di importanza costituzionale la materia del controllo, questi limiti generali circa l’attività finanziaria dei Comuni – concepiti appunto in funzione di controllo sull’amministrazione regionale – meritano di essere inseriti nella Carta costituzionale.

PERASSI chiarisce i termini della questione, rilevando che in base dell’articolo 8 del testo predisposto dal Comitato di redazione sulle autonomie locali, le forme ed i limiti dell’autonomia finanziaria delle Regioni sono stabiliti da leggi costituzionali; mentre in base all’articolo 15 l’autonomia finanziaria del Comune può essere limitata da una legge ordinaria dello Stato.

FABBRI insiste perché si chiarisca quale legge regolerà i limiti dell’autonomia delle Regioni, essendosi affermato che la legge ordinaria rimane completamente estranea ai provvedimenti amministrativi degli enti autonomi.

PRESIDENTE ritiene che, per quanto riguarda le Regioni, il problema dei limiti alla loro autonomia finanziaria si presenti alquanto delicato e ricorda l’articolo 8, il quale determina che tale autonomia va considerata «nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi costituzionali per coordinarla con le finanze dello Stato e dei Comuni»: crede sarebbe opportuno chiarire la questione.

FUSCHINI rileva che già nell’articolo 8 vi sono i limiti che s’intende porre all’autonomia finanziaria della Regione, in quanto si fa riferimento a leggi costituzionali.

Non ritiene quindi necessario aggiungere altro nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Fuschini, secondo la quale l’ultima parte dell’articolo 7 sul referendum dovrebbe chiudersi con la formula:

«Gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

(Con 11 voti favorevoli ed 8 contrari, è approvata).

Fa notare che l’articolo 7 resta pertanto così formulato:

«Gli Statuti regionali regoleranno l’esercizio dei diritti di iniziativa e di referendum in armonia ai principî posti negli articoli precedenti.

«Gli Statuti regionali regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti amministrativi».

MORTATI, Relatore, circa la questione del referendum abrogativo di leggi tributarie, presenta – secondo l’incarico ricevuto – questa nuova formulazione:

«Non è consentito il ricorso al referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

Fa presente che l’onorevole Einaudi avrebbe desiderato che quei limiti fossero stati formulati in altro modo, poiché voleva che fosse vietata la richiesta di abrogazione di leggi le quali apportassero aumento di entrate, se contemporaneamente non si fosse proposta una diminuzione di spesa e viceversa; ma, poiché il referendum abrogativo ha un contenuto negativo e non può – a meno di sconvolgere tutto il sistema già adottato – essere accompagnato da una proposta positiva, non si poté accogliere la proposta dell’onorevole Einaudi, ritenendosi più opportuno attenersi ad una formulazione più generale come quella presentata.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Mortati:

«Non è consentito il ricorso a referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

(È approvata).

Fa presente che in base ai principî ieri approvati sul referendum abrogativo ed alla proposta testé votata, la formulazione riguardante tale istituto resta così determinata:

«Si procede analogamente quando il referendum sia rivolto alla abrogazione di una legge o di un decreto legislativo in vigore.

«Non è consentito il ricorso al referendum diretto all’abrogazione di leggi tributarie o di quelle non contenenti norme giuridiche».

PERASSI ricorda che è stata approvata una proposta dell’onorevole Fabbri circa un determinato quorum per la validità del referendum. In conseguenza di ciò, vorrebbe che rimanesse chiarito che, se nella votazione popolare il prescritto quorum non è raggiunto, l’iniziativa del referendum non ha ulteriore seguito, cioè la votazione popolare dell’oggetto, per il quale era stato domandato il referendum, non è rinnovata.

(La Commissione concorda).

PRESIDENTE dichiara con ciò esaurito il tema del referendum.

Avverte che si riprende ora in esame il sistema di elezione della seconda Camera e che su tale argomento il Comitato di redazione fu incaricato di redigere una nuova proposta.

PERASSI legge la proposta seguente sostitutiva del terzo comma dell’articolo 3 del testo precedentemente adottato:

«I Senatori sono eletti per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi da delegati eletti a suffragio universale».

EINAUDI è contrario a questa proposta, perché il sistema di elezione di doppio grado, lungi dall’essere quel toccasana che dai teorici si riteneva e che forse nei primi tempi della Costituzione americana – quando la mancanza di mezzi rapidi di comunicazione impediva un preventivo accordo tra i delegati – ha funzionato, si è in pratica dimostrato un’illusione, se non una farsa, perché i delegati sono divenuti solo dei fantocci che portano dei voti. Tanto varrebbe dire che i Senatori sono nominati dagli elettori a suffragio universale diretto, senza passare per la trafila dei delegati i quali poi, anche per una combinazione casuale di cifre, possono non rappresentare la volontà della maggioranza degli elettori. A questa elezione di delegati riterrebbe perciò preferibile il sistema del suffragio diretto (ed in tal caso rileva che si potrebbero differenziare gli elettori della seconda Camera, elevando ad esempio la loro età a 25 anni); ma è d’avviso che il sistema delle elezioni per mezzo dei Consigli comunali che era stato precedentemente stabilito sia il migliore, perché offre almeno il vantaggio che quei Consigli sono nominati non per eleggere i Senatori, ma per provvedere all’amministrazione dei Comuni, e quindi sono composti di notabili, i quali danno un certo affidamento di serietà e di saggezza.

FUSCHINI propone il seguente emendamento:

«Art. 3. – I senatori sono eletti per metà dai membri delle Assemblee regionali e dai consiglieri comunali dei Comuni superiori a 30 mila abitanti e per l’altra metà dai consiglieri comunali dei Comuni inferiori ai 30 mila abitanti».

CAPPI ricorda di avere egli proposto il sistema di elezione di due terzi di senatori da parte dei Consigli comunali, ma, convinto della impossibilità di adeguare il peso del voto di questi consiglieri al numero della popolazione da loro rappresentata, ritiene che occorra cercare un correttivo. La proposta dell’onorevole Fuschini, se non presentasse le stesse difficoltà della sua, sarebbe accettabile; altrimenti si potrebbe stabilire che metà dei senatori fossero eletti dalle Assemblee regionali e metà a suffragio universale dagli elettori dell’intera Regione. Questo rappresenta già un criterio discriminativo, in quanto i collegi elettorali per la prima Camera sono meno ampi dei collegi regionali; e tale criterio, unito all’altro accennato dall’onorevole Einaudi, di elevare il limite di età degli elettori della seconda Camera, risponde alla esigenza di evitare che la seconda Camera riesca un duplicato della prima.

LUSSU ricorda che al precedente malcostrutto sistema di elezione si era arrivati per la mancata possibilità di un accordo sulla soppressione della seconda Camera e sulle elezioni di essa a suffragio universale, che avrebbero portato alla creazione di due Camere identiche; e che si fu indotti a rivedere quel sistema per il gravissimo inconveniente che derivava dal fatto che, se si scioglieva la seconda Camera, era necessario sciogliere anche le Assemblee regionali e i Consigli comunali da cui essa prendeva vita. Ritiene perciò che il progetto dell’onorevole Fuschini non sia accettabile, perché contrario a tutto l’esame critico svolto finora dalla Sottocommissione e dal Comitato. Né il progetto dell’onorevole Cappi è migliore. Resta perciò il sistema proposto dal Comitato di redazione. Questo si presta a qualche critica, di cui si è fatto interprete l’onorevole Einaudi; ma nessun istituto democratico è perfetto, e come l’onorevole Einaudi ha ritenuto fantocci i delegati elettori della seconda Camera (perché in fatto sono i primi elettori quelli che nominano i Senatori), si potrebbe argomentare che ciò egualmente avviene se si affida la nomina dei Senatori ai Consigli comunali e regionali. Afferma che alla base di tutto è il partito politico, caratteristica del secolo XX, che è lo strumento tecnico perfezionato dell’organizzazione politica moderna e che inevitabilmente influenza del suo pensiero tutti gli elettori, sia di primo che di secondo grado. Dal momento quindi che non si può sopprimere la seconda Camera, né procedere alle elezioni dei senatori col suffragio universale, il sistema proposto dal Comitato, ultima conclusione di una laboriosa fatica, è il meno criticabile, anche perché permette la elezione dei delegati senza che venga turbata la regolarità dell’amministrazione comunale e dei Consigli regionali.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bordon, Cannizzo, Castiglia, Codacci Pisanelli, Di Giovanni, Lami Starnuti, Porzio, Rossi Paolo.