Come nasce la Costituzione

MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

29.

RESOCONTO SOMMARIO

dELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sugli Statuti siciliano e sardo

Presidente – Ambrosini – Laconi – Lussu – Nobile – Patricolo – Fuschini – Piccioni – Conti – Zuccarini.

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Piccioni – Perassi – Fuschini – Lussu – Targetti – Laconi – Tosato – Bozzi – Fabbri – Lami Starnuti – La Rocca – Ambrosini – Codacci Pisanelli – Mannironi – Uberti – Cappi – Bordon – Rossi Paolo – Mortati, Relatore – Conti, Relatore – Nobile.

La seduta comincia alle 16.30.

Sugli Statuti siciliano e sardo.

PRESIDENTE prega l’onorevole Ambrosini, prima che sia ripreso l’esame del problema della formazione della seconda Camera, di dare brevemente qualche ragguaglio sui lavori del Comitato incaricato di redigere il progetto per le autonomie regionali.

AMBROSINI comunica che il Comitato ha esaminato nelle due ultime sedute il progetto da lui stesso formulato e quelli degli onorevoli Lami Starnuti, Grieco e Zuccarini, oltre naturalmente gli emendamenti proposti durante la discussione. I lavori del Comitato hanno realizzato notevoli progressi: restano ancora da risolvere alcune questioni, ma è da sperare che si possa presto giungere alla conclusione. Se l’onorevole Grieco, che in seno al Comitato rappresenta una autorevole corrente di pensiero, tornerà a partecipare, dopo una sua temporanea assenza da Roma, alle riunioni, all’inizio della settimana prossima potrà essere presentato al Presidente della Sottocommissione il testo degli articoli votati, con l’indicazione delle varianti che non sono state approvate dalla maggioranza, ma che è doveroso sottoporre all’esame della Sottocommissione, affinché essa possa farsi un’idea completa del lavoro compiuto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE, preso atto delle comunicazioni dell’onorevole Ambrosini, avverte che, in conformità alla decisione adottata nell’ultima seduta plenaria della Commissione, la seconda Sottocommissione è stata investita dell’esame dello Statuto siciliano, il quale – come è noto – dev’essere coordinato con la futura Costituzione dello Stato.

Pensa che tale compito potrebbe essere affidato allo stesso Comitato delle autonomie regionali, al quale per l’occasione potrebbero affiancarsi rappresentanti della prima e della terza Sottocommissione, affinché le deliberazioni del Comitato in merito al grave e delicato problema dell’autonomia siciliana rappresentino il più possibile l’espressione della volontà dell’intera Commissione per la Costituzione.

AMBROSINI ritiene opportuna la proposta del Presidente. Osserva però che il coordinamento tra lo Statuto siciliano e la nuova Costituzione dello Stato potrà effettuarsi soltanto dopo che saranno definite le norme della Costituzione stessa, specie quelle relative al problema delle autonomie regionali, e che nel frattempo lo Statuto va attuato, avendo già efficacia di legge. All’uopo la Commissione prevista dallo Statuto deve elaborare le norme del relativo regolamento, in modo che possa procedersi al più presto all’elezione dell’Assemblea nazionale.

Quanto al coordinamento suaccennato, reputa opportuno che venga fatto contemporaneamente all’esame degli Statuti speciali per la Sardegna, la Valle d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, in guisa che questi quattro Statuti, pur avendo attribuita una fisionomia particolare, vengano inquadrati in una armonica visione d’insieme.

LACONI rileva che l’onorevole Ambrosini ha accennato alla possibilità che il progetto per l’autonomia della Sardegna sia sottoposto all’esame della Costituente insieme a quello per l’autonomia siciliana. Ciò senza dubbio è giusto; ma a tale proposito sorge una difficoltà rappresentata dal fatto che non esiste ancora uno Statuto per la Sardegna, perché la Consulta regionale sarda respinse la proposta fatta a suo tempo di estendere automaticamente lo Statuto della Sicilia alla Sardegna; né uno Statuto per la Sardegna può essere redatto da quella Consulta, che da circa sei mesi non esiste più.

È stata affacciata l’ipotesi che un progetto di Statuto possa essere elaborato dal Gruppo parlamentare sardo. È una proposta che senz’altro merita di essere presa in considerazione, perché i deputati sardi sono persone tra le più qualificate a rappresentare gli interessi dell’Isola. In merito però a tale progetto sorgono due questioni: la prima relativa alla procedura, che dovrà essere diversa da quella seguita per la formulazione dello Statuto siciliano; e la seconda relativa al riconoscimento del Gruppo parlamentare sardo come organo competente a cui affidare la redazione di un progetto di Statuto per l’autonomia della Sardegna. Ritiene, comunque, che tale problema dovrà essere esaminato e risolto in una sede più opportuna, affinché lo Statuto per la Sardegna sia esaminato insieme con quello per la Sicilia, per evitare il sorgere di giuste preoccupazioni presso le popolazioni sarde.

LUSSU non può aderire alla proposta fatta dal Presidente, perché, a suo avviso, il Comitato per le autonomie ha discusso con la massima capacità le diverse questioni sottoposte al suo esame, e l’immissione in esso di altri membri potrebbe far sorgere delle difficoltà nelle discussioni e nell’espletamento dei lavori. È del parere quindi che il Comitato debba continuare il suo lavoro ed esaminare lo Statuto della Sicilia, per poi riferire alla seconda Sottocommissione e in ultima istanza alla Commissione plenaria.

D’altra parte la questione delle autonomie particolari, quali quelle per l’Alto Adige, il Trentino, la Val d’Aosta, la Sicilia e la Sardegna, non può far sorgere grandi difficoltà, all’infuori di quelle che il problema presenta per se stesso. La seconda Sottocommissione, quando abbia concluso i suoi lavori sulle autonomie in generale, dovrà esaminare anche la questione dell’autonomia di quelle regioni e località e presentare in proposito una sua relazione.

Circa la questione particolare dello Statuto per la Sardegna, accennata dall’onorevole Laconi, ricorda che esiste un progetto di Statuto formulato dal partito sardo, che è stato sempre favorevole all’autonomia dell’Isola e che anzi si può dire è stato il primo ad affermarla ventisette anni or sono, contro e durante il fascismo, e che la riafferma nel momento presente con spirito di assoluta lealtà nazionale. Naturalmente non si può pretendere che tutti siano favorevoli a un tale progetto; ma dell’esame di esso dovrebbero essere incaricati gli attuali deputati sardi, che sono gli unici qualificati a rappresentare la volontà delle popolazioni sarde, in quanto da esse eletti a suffragio universale.

Lo stesso criterio dovrebbe essere seguito per l’esame delle questioni relative all’autonomia del Trentino e della Val d’Aosta. Quest’ultima zona ha già un suo Statuto, ma è chiaro che questo dovrà essere coordinato con le disposizioni della nuova Costituzione dello Stato.

NOBILE trova strano che si parli di Statuti speciali per la Sicilia e per la Sardegna, come se già fosse accettato da tutti il principio delle autonomie regionali. Questo problema invece non è stato ancora dibattuto e risolto dalla Sottocommissione. Comunque non possono essere accomunate le italianissime popolazioni della Sardegna e della Sicilia con quelle mistilingui dell’Alto Adige e della Val d’Aosta.

È del parere pertanto che si debba innanzitutto portare a termine l’esame della questione delle autonomie regionali e che soltanto dopo una decisione in proposito potrà essere presa in considerazione l’opportunità o meno di dare uno Statuto speciale alla Sicilia e alla Sardegna.

AMBROSINI ricorda che lo Statuto per la Sicilia è stato emanato con provvedimento legislativo e precisamente col decreto legislativo luogotenenziale 15 maggio 1946, e che quindi ha valore di legge. Dissente perciò decisamente dall’opinione espressa dal precedente oratore, giacché non può esservi dubbio che lo Statuto in questione è già entrato a far parte del diritto positivo italiano. Rileva che l’articolo unico del suddetto decreto legislativo, che approva lo Statuto, dispone che esso dovrà essere sottoposto alla Costituente per essere coordinato con la nuova Carta costituzionale, ma che ciò non esclude che debba per intanto essere attuato, cominciandosi con l’elezione di quell’Assemblea regionale, la quale potrà, con la dovuta autorità e responsabilità, riesaminare le singole norme dello Statuto e proporre essa stessa alla Costituente gli emendamenti che credesse opportuni per il previsto coordinamento con la nuova Costituzione.

Passando a riguardare la questione dal punto di vista politico, richiama i precedenti lontani e vicini, e specialmente gli impegni tassativi assunti di fronte alla popolazione siciliana dai vari governi succedutisi dopo la liberazione di Roma, le sollecitazioni rivolte dal Presidente Parri e poi dal Presidente De Gasperi all’Alto Commissario ed alla Consulta della Sicilia per l’elaborazione di un progetto di Statuto regionale, la presentazione al Governo di tale progetto e la sua approvazione con provvedimento legislativo in seguito all’esame e al voto favorevole della Consulta Nazionale. Rileva che non si può, per ragioni intuitive, tornare indietro, e prega pertanto i colleghi di considerare fin da ora con la dovuta comprensione la situazione e lo stato d’animo particolare della popolazione siciliana.

PATRICOLO fa presente che lo Statuto per la Sicilia non è stato accolto con molto favore dalle popolazioni dell’Isola, perché è stato emanato poco democraticamente, senza adeguati studi preparatori e dopo troppo breve elaborazione. Richiamandosi a quanto è stato proposto dall’onorevole Lussu per la Sardegna, ritiene che sarebbe opportuno interpellare la volontà del popolo siciliano per mezzo dei suoi rappresentanti all’Assemblea Costituente. Ciò anche per aggiornare le disposizioni dello Statuto alle ultime necessità del momento e al pensiero politico del popolo siciliano. In questo campo, come giustamente ha affermato l’onorevole Ambrosini, non è possibile tornare indietro; occorre, anzi, fare qualche passo in avanti, rielaborando e possibilmente in qualche punto emendando quello Statuto.

È anche d’accordo con gli onorevoli Lussu e Ambrosini sulla opportunità di fissare prima i principî generali sulle autonomie regionali per procedere in un secondo momento al coordinamento fra tali principî e le autonomie particolari.

FUSCHINI fa presente, secondo quanto ha già osservato l’onorevole Ambrosini, che la Sottocommissione non è in grado di compiere un’opera di coordinamento dello Statuto per la Sicilia con la nuova Costituzione dello Stato, né può affidare tale incarico ad un Comitato, perché appunto non ancora sono stati stabiliti i principî fondamentali in materia di autonomia regionale che dovranno essere inclusi nella Costituzione.

Dichiara poi di essere alquanto perplesso circa l’opportunità della proposta fatta dal Presidente, di invitare alcuni membri della prima e della terza Sottocommissione a far parte del Comitato di redazione. Il Presidente della Commissione ha trasmesso il testo dello Statuto per la Sicilia al Presidente della Sottocommissione, perché esso appunto ha attinenza con uno dei problemi a questa affidati.

Ritiene quindi che la Sottocommissione debba soprassedere all’esame dello Statuto per la Sicilia fino a quando il Comitato di redazione non avrà ultimato i suoi lavori.

PRESIDENTE ricorda che il progetto per lo Statuto della Sicilia fu elaborato dalla Consulta siciliana e da questa trasmesso al Governo, il quale lo presentò alla Consulta Nazionale, che espresse in merito alcuni determinati pareri. Il Governo ultimamente, con apposito provvedimento legislativo, ha dato vigore di legge allo Statuto per la Sicilia, disponendo che esso debba essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato. Lo Statuto così è stato trasmesso alla Costituente e il Presidente dell’Assemblea lo ha inviato alla Commissione per la Costituzione, che ha deciso di affidare l’incarico di studiare il coordinamento tra lo Statuto stesso e la futura Costituzione dello Stato alla seconda Sottocommissione.

Dopo le osservazioni fatte da alcuni oratori, ritiene che meriti maggiore considerazione la proposta di soprassedere all’opera di coordinamento fino a quando sarà ultimata, da parte del Comitato di redazione, l’elaborazione del progetto sulla autonomia regionale.

Mette quindi ai voti la seguente proposta:

«La seconda Sottocommissione affida al Comitato che sta elaborando il progetto sulla autonomia regionale l’esame dello Statuto siciliano, affinché esso provveda a tempo opportuno ad assolvere il compito di cui la Sottocommissione stessa è stata incaricata».

(È approvata).

LACONI richiama nuovamente la questione dello Statuto della regione sarda.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione non è stata ancora investita ufficialmente della questione accennata dall’onorevole Laconi. Sta quindi ai deputati sardi sollecitare una decisione di merito alla formulazione di un progetto di Statuto per la Sardegna.

LUSSU avverte che in Sardegna l’esigenza autonomistica è stata sempre profondamente sentita, forse più che in Sicilia. Se non ancora è stato presentato uno Statuto per la Sardegna, così come è avvenuto per la Sicilia, ciò è da attribuirsi a molteplici cause che per ora non è il caso di enumerare. Prospetta frattanto l’opportunità di annunciare alla stampa che l’esame dello Statuto per la Sicilia verrà fatto insieme a quello dello Statuto per la Sardegna.

PICCIONI domanda da quale organo dovrà essere preparato lo Statuto sardo.

LUSSU dichiara di aver trasmesso ai componenti il Comitato per le autonomie regionali un progetto di partito in merito alla questione dell’autonomia sarda. Naturalmente è ben lontano dal pensare che tale progetto possa essere accettato integralmente.

Torna ad osservare frattanto che i rappresentanti della Sardegna all’Assemblea Costituente sono quelli che oggi hanno piena potestà di esprimere il pensiero della popolazione sarda sulla questione dell’autonomia dell’Isola.

In ogni modo ripete che, da un punto di vista politico, sarebbe opportuno che in occasione dell’annuncio della discussione del progetto per l’autonomia della Sicilia si desse anche quello dell’esame dello Statuto autonomistico per la Sardegna.

CONTI condivide le osservazioni fatte dall’onorevole Lussu e crede che sarebbe opportuno annunciare che la Sottocommissione, mentre procede all’esame e al coordinamento dello Statuto siciliano, intende anche passare allo studio di un progetto di Costituzione sarda. È opportuno, infatti, che l’iniziativa per la formulazione di tale progetto sia presa dalla stessa Sottocommissione.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione ha avuto una speciale delega per redigere il testo della Costituzione dello Stato, mentre nessuna investitura essa ha avuto per elaborare un progetto di Statuto della Sardegna. Se la Sottocommissione avesse i poteri che l’onorevole Conti intende attribuirle, qualsiasi regione potrebbe chiederle un progetto di Statuto.

ZUCCARINI ritiene che non ci si debba occupare di progetti particolari finché è in elaborazione il progetto per le autonomie regionali. Soltanto quando questo sarà pronto, il Comitato di redazione potrà prendere in esame lo Statuto siciliano e gli altri Statuti eventualmente proposti.

CONTI non può condividere l’opinione del Presidente. Ritiene che la Sottocommissione non abbia bisogno di una speciale investitura per esaminare e risolvere un determinato problema. In ogni modo, la richiesta dell’onorevole Lussu è assai semplice: si tratta soltanto di annunciare alla stampa, per ragioni di opportunità politica, che la Sottocommissione, mentre passa all’esame dello Statuto siciliano, intende anche occuparsi della questione dello Statuto per la Sardegna.

PRESIDENTE avverte che non sono trasmessi comunicati ufficiali alla stampa. Di solito i giornalisti sono informati privatamente delle decisioni prese in seno alla Sottocommissione e tali informazioni, non ufficiali, per ovvie ragioni di opportunità, non possono riferirsi che ai lavori eseguiti dalla Sottocommissione. Ora, se egli dovesse dare qualche informazione sulla seduta odierna, comunicherebbe che si è parlato soltanto del modo in cui esaminare lo Statuto siciliano, ma non potrebbe aggiungere altro perché la Sottocommissione non ha preso altra decisione.

PICCIONI ritiene che non sia opportuna la richiesta di investire la Sottocommissione del problema relativo alla formulazione di un progetto di Statuto per la Sardegna. A suo avviso, occorre attendere che sia elaborato lo Statuto generale delle regioni. Se questo poi non dovesse soddisfare le esigenze di alcune regioni, soltanto allora potrebbe sorgere il problema di dare a queste appositi Statuti. Certi apriorismi in questo campo possono essere pericolosi oltreché dannosi, perché vengono a svalutare il nuovo ordinamento regionale dello Stato. I diversi interessati quindi, prima di esigere Statuti particolari per determinate regioni, farebbero bene ad attendere che sia ultimata l’elaborazione del progetto generale dell’Ente regionale.

LUSSU dichiara che, a suo avviso, anche in comunicazioni non ufficiali alla stampa sarebbe arbitrario parlare soltanto dello esame, da parto della Sottocommissione, dello Statuto per l’autonomia della Sicilia. E ciò perché nell’ordine del giorno, già approvato, dell’onorevole Piccioni, e nell’articolo 2 del progetto del Comitato per le autonomie regionali, si fa riferimento non solo alla Sicilia, ma anche alla Sardegna, alla Val d’Aosta, all’Alto Adige e al Trentino. Pertanto la Sottocommissione, se affronta il problema dall’autonomia siciliana, è tenuta anche ad affrontare quello dell’autonomia sarda. Insiste quindi, per evitare il sorgere di giustificabili risentimenti, che sia data comunicazione che la Sottocommissione passerà anche allo studio, in occasione dell’esame dello Statuto siciliano, dell’autonomia della Sardegna, della Val d’Aosta, dell’Alto Adige e del Trentino.

PRESIDENTE osserva che tutti gli italiani che leggono i giornali presumibilmente sono già informati che la Sottocommissione ha posto sullo stesso piano l’autonomia della Sicilia, della Sardegna, della Val d’Aosta, del Trentino e dell’Alto Adige, in quanto la stampa ha già dato notizia, non solo dell’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, ma anche dei lavori della Sottocommissione. Non crede quindi che, qualora venga comunicato che la Sottocommissione è stata investita dall’Assemblea Costituente dell’esame dello Statuto per l’autonomia siciliana, possa nascere la preoccupazione che essa non voglia occuparsi anche dell’autonomia sarda, qualora le sia posto questo problema in seguito all’iniziativa di qualche interessato.

Dichiara chiusa la discussione su questo argomento.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente seduta si decise di sospendere i lavori, per consentire ai rappresentanti democristiani di partecipare a una riunione del loro Gruppo, indetta per l’esame della dibattuta questione relativa alla formazione della seconda Camera. Invita pertanto i rappresentanti democristiani ad informare la Sottocommissione delle conclusioni a cui sono pervenuti.

PICCIONI dà notizia che il suo Gruppo ha ritenuto che il progetto formulato in seguito ai contatti con alcuni colleghi, particolarmente quelli di parte socialista, non rispondo innanzitutto alla esigenza pratica di una concreta realizzazione, e in secondo luogo alle necessità, già prospettate dallo stesso Gruppo democratico cristiano, visto che pone fra l’altro come una pregiudiziale insuperabile l’elezione a suffragio universale diretto. I rappresentanti democristiani si trovano quindi nella necessità di ribadire i loro punti di vista particolari, ancorché sentano che essi non siano condivisi dalla maggioranza della Sottocommissione. Non si rifiutano, tuttavia, in linea subordinata, di esaminare, salvo ad apportarvi alcuni emendamenti che non ne modifichino la struttura fondamentale, lo schema presentato alla Presidenza dall’onorevole Perassi, in quanto esso, anche se non viene incontro al punto di vista particolare della rappresentanza degli interessi, pone tuttavia il problema in termini di più facile realizzazione e prevede l’elezione di secondo grado, che riveste una notevole importanza ai fini di impedire che la seconda Camera diventi un doppione della prima.

PRESIDENTE osserva che dalle dichiarazioni dell’onorevole Piccioni si può concludere che l’accordo auspicato fra i rappresentanti dei vari gruppi in merito alla questione della formazione della seconda Camera non è stato raggiunto.

V’è frattanto la proposta articolata dall’onorevole Perassi, sulla quale l’onorevole Piccioni ha detto di essere disposto a discutere, e che è così concepita:

«La seconda Sottocommissione, tenuti presenti i principî già adottati per quanto concerne il sistema bicamerale e la formazione della seconda Camera, delibera di procedere alla formulazione delle norme relative alla formazione della seconda Camera sulla base dei criteri seguenti:

1°) la seconda Camera sarà interamente elettiva;

2°) è esclusa l’elezione, anche parziale, dei membri della seconda Camera da parte di distinti collegi elettorali costituiti su base professionale o di categorie;

3°) la seconda Camera sarà composta di 315 membri, di cui 300 eletti dalla regione e 15 dalla Camera dei Deputati (ovvero Assemblea Nazionale);

4°) i seggi attribuiti alle regioni saranno ripartiti in proporzione della rispettiva popolazione, previa assegnazione di 5 seggi a ciascuna regione;

5°) in ciascuna regione i membri della seconda Camera saranno eletti;

  1. a) per un terzo dall’Assemblea regionale, con libera scelta fra cittadini aventi uno dei requisiti di capacità e di esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva che saranno stabiliti dalla legge concernente l’elezione della seconda Camera;
  2. b) per il resto da delegati dei consigli comunali, ciascuno dei quali eleggerà un numero di delegati che sarà determinato in relazione al numero degli elettori iscritti nel comune. Le modalità di applicazione saranno determinate dalla detta legge speciale;

6°) il requisito dell’età sarà stabilito in quello di 35 anni compiuti per tutte le categorie di membri della seconda Camera;

7°) per i membri della seconda Camera di elezione regionale sarà requisito di eleggibilità l’essere nato nella regione od avervi la residenza da almeno 5 anni;

8°) nessuno potrà essere contemporaneamente membro delle due Camere».

PICCIONI propone di votare per divisione l’ordine del giorno dell’onorevole Perassi e di mettere innanzi tutto in votazione la disposizione contrassegnata dal n. 2.

PRESIDENTE accede al desiderio dell’onorevole Piccioni e pone pertanto in votazione la seguente formula contrassegnata dal n. 2 nell’ordine del giorno Perassi: «È esclusa l’elezione, anche parziale, dei membri della seconda Camera da parte di distinti collegi elettorali costituiti su base professionale o di categorie».

PICCIONI dichiara, a nome del suo gruppo, di votare contro. Tiene altresì a far presente che il pensiero del suo Gruppo, in merito al problema della formazione della seconda Camera, è rappresentato dai seguenti punti contenuti nell’ordine del giorno dell’onorevole Mortati:

«Art. 1. – Il potere legislativo è esercitato collettivamente dalla Camera dei Deputati e dal Senato.

«Art. 2. – La formazione e cessazione delle due Camere avvengono contemporaneamente.

«Art. 3. – Il Senato è composto da membri eletti dalle regioni, in numero di 300, per la durata di 5 anni. Il numero dei senatori assegnato ad ogni regione è proporzionale a quello dei cittadini in essa domiciliati. Tuttavia nessuna regione potrà avere un numero di rappresentanti superiore a … né inferiore a …

«Art. 4. – I seggi di senatori assegnati ad ogni regione sono per metà coperti con elezioni a suffragio diretto universale, e per l’altra metà con elezione da effettuarsi nell’ambito di speciali collegi elettorali, formati in base alla appartenenza dei cittadini ad una delle seguenti categorie di attività produttiva:

  1. a) agricoltura e pesca;
  2. b) industria, comprese quelle dei trasporti e bancaria;
  3. c) commercio;
  4. d) scuola e cultura;
  5. e) giustizia;
  6. f) urbanistica, sanità ed igiene;
  7. g) amministrazione pubblica.

«Art. 5. – L’assegnazione del numero dei membri da eleggere dalle singole categorie nell’ambito di ciascuna regione sarà fatta con legge costituzionale da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni, tenendo conto del diverso grado di efficienza di ognuno.

«Art. 6. – I procedimenti elettorali per la nomina dei due gruppi dei senatori saranno determinati da apposita legge.

«Art. 7. – Partecipano alle elezioni per la parte dei senatori da eleggere a suffragio universale tutti i cittadini i quali abbiano compiuto il 25° anno di età. Sono elettori nei collegi speciali i cittadini appartenenti alle singole categorie che abbiano compiuto il 21° anno di età (oppure che abbiano raggiunta la maggiore età).

«Art. 8. – Sono eleggibili alla carica di senatore i cittadini i quali, oltre a possedere i requisiti richiesti per le elezioni alla Camera dei Deputati, abbiano raggiunto l’età di anni 40 e abbiano ricoperto per almeno due anni una delle seguenti cariche:

(Omissis).

«Per l’elezione nei collegi speciali occorre altresì che i candidati appartengano effettivamente alla categoria corrispondente a ciascuno dei collegi stessi».

(Il n. 2 dell’ordine del giorno Perassi è approvato con 17 voti favorevoli e 10 contrari).

PERASSI fa presente che la formula contrassegnata dal n. 3 nel suo ordine del giorno consta di due parti: nella prima si fissa il numero dei senatori da eleggersi nelle regioni; nella seconda è prevista l’elezione di un piccolo numero di essi da parte della Camera dei Deputati o dell’Assemblea Nazionale, cioè da parte delle due Camere riunite. Propone che per il momento sia messa in votazione soltanto la prima parte della formula in esame.

FUSCHINI osserva che, dal momento che per la prima Camera si è preferito, al criterio di un numero fisso, quello di un numero proporzionale alla popolazione, sarebbe consigliabile, anche nei riguardi della seconda Camera, seguire lo stesso criterio, stabilendo però un rapporto diverso fra il numero degli abitanti ed ogni eligendo.

LUSSU rileva che, prima di addivenire alla votazione della formula proposta dall’onorevole Perassi, occorrerebbe che il proponente illustrasse anche le disposizioni contenute nei numeri successivi del suo ordine del giorno, che sono in stretto rapporto con la formula anzidetta.

TARGETTI si associa. Infatti, dal solo contesto del n. 3 non ci si può rendere conto se le regioni debbano essere intese come circoscrizioni elettorali o come corpo elettorale.

LACONI rileva che la formula proposta dall’onorevole Perassi implica già, pur senza dirlo esplicitamente, l’elezione di secondo grado, in quanto parla di eletti dalla regione. Chiede pertanto che la votazione avvenga su una formula più semplice, con la quale si stabilisca se la elezione della seconda Camera debba avvenire sulla base del suffragio universale, difetto e segreto, ovvero mediante elezione di secondo grado.

TOSATO propone, allo scopo di facilitare la discussione, di mettere in votazione soltanto il principio che la seconda Camera sia composta di 300 membri eletti su base regionale. Con tale formula non si pregiudicherebbe la decisione sul suffragio diretto o indiretto.

BOZZI propone di passare senz’altro alla discussione della formula contrassegnata dal n. 5 nell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi, perché essa appunto investe tutta la questione in esame».

PRESIDENTE crede preferibile prendere in considerazione la proposta dell’onorevole Laconi, in vista della sua semplicità, mentre con la formula del n. 5 si dà già per accettata una soluzione e si stabilisce il modo di attuarla.

LUSSU dichiara di votare in favore della elezione di secondo grado, nel desiderio di arrivare ad una conclusione che sia accettata dalla maggioranza della Sottocommissione.

FABBRI fa presente che sarebbe stato favorevole al suffragio diretto qualora i componenti della seconda Camera fossero stati effettivamente i rappresentanti delle forze vive della Nazione.

LAMI STARNUTI dichiara che non sarebbe contrario ad una elezione di secondo grado, se il sistema proposto offrisse determinate garanzie. Poiché nessuno dei sistemi di secondo grado finora escogitati gli sembra offrire le necessarie garanzie, voterà a favore dell’elezione a suffragio diretto.

LA ROCCA voterà per la elezione di primo grado, perché ritiene che con essa si potrà avere la più ampia rappresentanza, compresa quella delle forze vive e delle categorie professionali, e si assicurerà maggiore autorità e prestigio alla seconda Camera.

AMBROSINI è favorevole all’elezione di secondo grado per le ragioni già da lui esposte nella seduta precedente.

CODACCI PISANELLI voterà per la elezione di secondo grado, anche in considerazione dell’opportunità di giungere ad una formazione della seconda Camera diversa da quella della prima, cosa che è prevista in quasi tutte le Costituzioni degli altri Stati.

PRESIDENTE pone in votazione il principio che l’elezione della seconda Camera avvenga con il sistema del suffragio diretto.

(Con 11 favorevoli e 15 contrari, non è approvato).

Fa presente che con la votazione testé avvenuta resta implicitamente approvato il principio che l’elezione della seconda Camera debba avvenire con il sistema del suffragio di secondo grado.

Resta ora da esaminare la proposta dell’onorevole Fuschini, per la quale il numero dei membri della seconda Camera dovrà essere proporzionale alla popolazione secondo un determinato coefficiente.

MANNIRONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Fuschini, purché essa concordi con quanto successivamente è stabilito nell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi circa il numero fisso minimo di componenti di ogni regione in seno alla seconda Camera.

UBERTI fa presente che, esclusa la rappresentanza professionale o di categoria, si corre ora il rischio di compromettere anche la rappresentanza degli enti territoriali, perché sarà difficile, se si vuole dare una rappresentanza ai comuni o alle regioni, applicare con precisione il principio della proporzionalità alla popolazione. Se si pone soltanto questo principio, si corre il pericolo di non avere più una rappresentanza degli enti territoriali. Resterebbe pertanto svuotata di ogni contenuto la votazione testé fatta, con la quale è stata approvata la formazione della seconda Camera con elezioni di secondo grado.

CAPPI richiama l’attenzione sul fatto che, adottando il criterio della proporzionalità fra popolazione e numero dei rappresentanti alla seconda Camera, si verrebbe a scartare la disposizione contenuta nel numero 4 del progetto dell’onorevole Perassi, con la quale si assegna un dato numero fisso di seggi alle regioni, indipendentemente dalla loro popolazione.

TOSATO fa presente che due sono, a suo avviso, le questioni di principio: se ad ogni regione debba essere attribuito un numero fisso di senatori; e se il numero complessivo dei membri della seconda Camera debba essere esplicitamente stabilito nella Costituzione o debba essere determinato in relazione all’entità della popolazione.

FUSCHINI ritiene che si dovrebbe innanzitutto stabilire che il numero dei componenti la seconda Camera sia proporzionale alla popolazione, secondo un dato coefficiente. Una volta accolto tale principio, si potrebbe tuttavia accedere alla proposta dell’onorevole Perassi, per la quale ogni regione dovrebbe avere un numero fisso minimo di senatori e i seggi non compresi in questo numero minimo fisso dovrebbero essere divisi in rapporto alla popolazione. La determinazione del numero complessivo dei senatori sulla base della popolazione non esclude la possibilità di accettare la proposta dell’onorevole Perassi, perché tra le due ipotesi non c’è alcuna contraddizione.

MANNIRONI riterrebbe opportuno concretare in un’unica formula il principio proposto dall’onorevole Fuschini.

CAPPI ripete che, accogliendo la proposta dell’onorevole Fuschini, si renderebbe inefficiente la disposizione contenuta nel n. 4 del progetto dell’onorevole Perassi.

FUSCHINI ritiene che ciò non sia esatto.

PRESIDENTE osserva che la preoccupazione manifestata dall’onorevole Cappi è infondata. Nel pensiero dell’onorevole Fuschini si tratta di adottare una formulazione che non determini un numero fisso di componenti la seconda Camera, ma stabilisca che ad ogni elezione il numero dei membri varierà in rapporto alla popolazione. Dato ciò, pensa che i numeri 4 e 5 dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi possano restare inalterati, perché essi si propongono di suddividere i membri con un determinato sistema, che potrà essere applicato anche se dovesse essere accolto il principio di un numero complessivo di componenti la seconda Camera variabile a seconda della popolazione.

Mette in votazione la proposta Fuschini, che il numero dei membri della seconda Camera debba essere proporzionale alla popolazione secondo un determinato coefficiente.

CAPPI dichiara di votare a favore della proposta, restando inteso che essa non pregiudica l’accettazione del criterio di un numero minimo fisso di seggi da assegnarsi a ciascuna regione.

MANNIRONI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Cappi.

TOSATO dichiara di astenersi dal voto.

(Con 15 voti favorevoli e 9 contrari, la proposta dell’onorevole Fuschini è approvata).

PRESIDENTE fa presente che si tratta ora di determinare il coefficiente di proporzionalità fra la popolazione e gli eligendi.

LAMI STARNUTI dichiara, anche a nome dei rappresentanti del suo Gruppo, che sarebbe opportuno eleggere un membro della seconda Camera per ogni 150.000 abitanti.

LUSSU ritiene che dovrebbe essere messa prima in votazione la disposizione contenuta nel numero 4 dell’ordine del giorno Perassi, relativa all’assegnazione di un numero minimo fisso di seggi per ciascuna regione.

FABBRI domanda se i seggi da attribuirsi di diritto alle varie regioni siano da considerarsi come compresi nel numero di quelli da assegnarsi in ragione della popolazione. Osserva, a questo proposito, che, mentre l’onorevole Cappi ha inteso che i cinque membri da assegnarsi di diritto ad ogni regione, secondo la proposta dell’onorevole Perassi, non debbano essere compresi fra quelli da distribuirsi in rapporto alla popolazione, egli ha creduto perfettamente il contrario. Teme che tale incertezza di interpretazione possa avere influito sulla votazione precedente.

PRESIDENTE chiarisce che, in occasione della votazione già avvenuta, si era dotto che, con la proposta dell’onorevole Fuschini, si mirava ad evitare che la seconda Camera avesse un numero fisso di componenti e non a pregiudicare il modo con cui i componenti, calcolali di volta in volta in base al numero degli abitanti, dovranno essere ridistribuiti fra le varie regioni.

CAPPI osserva che la formula del n. 4 del progetto Perassi è assai chiara. Se le regioni saranno 18, si avranno 90 rappresentanti assegnati alle regioni, ossia 5 rappresentanti per ciascuna regione, qualunque sia il numero dei suoi abitanti. Gli altri rappresentanti, invece, saranno distribuiti in proporzione della popolazione. Propone frattanto che sia eletto un senatore per ogni 200.000 abitanti. Si avrebbe così un totale di 310 membri.

LUSSU rileva che nella tabella allegata al progetto Perassi non si fa parola della Val d’Aosta. Ora, se la proposta dell’onorevole Perassi dovesse essere accolta, la Val d’Aosta, che ha un solo deputato, verrebbe ad avere cinque senatori, cosa che a suo avviso non è ammissibile. Lo stesso inconveniente sorgerebbe per il Molise, se esso dovesse diventare una regione a sé. Desidererebbe in proposito qualche chiarimento dall’onorevole Perassi.

PERASSI dichiara che la tabella annessa al suo progetto ha un valore puramente indicativo, ed è stata compilata con riferimento all’attuale ripartizione regionale e ai dati del censimento del 1936. In essa quindi non si poteva far menzione della Val d’Aosta.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che per la Val d’Aosta sarà probabilmente usata una denominazione particolare, come ad esempio quella di territorio o zona autonoma. Essa quindi non sarà considerata come una regione.

BORDON osserva che il criterio di determinare il numero dei seggi in base alla popolazione non dovrebbe essere stabilito in modo assoluto, e ciò per dare la possibilità anche a regioni con meno di 150.000 abitanti di avere i loro rappresentanti alla seconda Camera.

ROSSI PAOLO non è favorevole ad ammettere un numero fisso di rappresentanti nella seconda Camera, perché vorrebbe evitare l’inconveniente costituito dal fatto che mentre alcune provincie, come quelle di Potenza, Matera e Avellino, avrebbero un senatore per ogni 90-95.000 abitanti, altre, ad esempio quelle di Genova, Torino e Milano, ne avrebbero uno per ogni 180.000 abitanti, ciò che sovvertirebbe completamente il criterio della proporzione.

MANNIRONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi; ma vorrebbe che invece di cinque fossero assegnati sei seggi a ciascuna regione, per ristabilire un certo equilibrio nel criterio della rappresentanza basata sul numero degli abitanti, a vantaggio delle regioni più povere e meno popolale.

MORTATI, Relatore, concorda con l’onorevole Mannironi, facendo osservare all’onorevole Rossi che, con l’adozione del principio di fissare un minimo di seggi per ogni regione, non si verifica già un sovvertimento del criterio della proporzionale, ma si attuano soltanto piccole rettifiche a vantaggio delle ragioni meno popolate. D’altra parte ricorda che tutte le Costituzioni basate su un ordinamento regionale stabiliscono un minimo di seggi per le regioni e qualcuna anche un massimo.

CONTI, Relatore, si associa alle dichiarazioni degli onorevoli Mannironi e Mortati.

PERASSI dichiara che con la sua proposta ha cercato una via di conciliazione tra due tesi contrapposte: quella di fissare per ogni regione un numero di seggi eguale e quella di determinare il numero dei seggi in ragione proporzionale alla popolazione. D’altra parte, visto che nella nuova Costituzione dello Stato sarà adottato il principio dell’ordinamento regionale, si renderà indispensabile che ogni regione abbia un minimo di membri nella seconda Camera. Circa tale numero si potrà discutere; ma un minimo di cinque seggi da assegnarsi a ciascuna regione non gli sembra irragionevole.

TARGETTI è dell’avviso che sia necessario rinviare l’approvazione del principio relativo alla determinazione di un numero minimo di seggi per ciascuna regione a quando sarà stabilita la struttura delle varie regioni. Finché non se ne conosce il numero e la delimitazione dei confini, non si può approvare il principio anzidetto senza correre il rischio di inficiare il criterio proporzionale che già è stato approvato.

Coloro poi che sono particolarmente favorevoli al nuovo ordinamento regionale dovrebbero essere assai guardinghi nell’accogliere il principio in discussione, che potrebbe far nascere opposizioni ancora più forti tra gli avversari dell’ente regione.

PRESIDENTE propone, anche per venti e incontro alle osservazioni dell’onorevole Targetti, di votare per ora soltanto il principio contenuto nella proposta dell’onorevole Pelassi, rinviando la determinazione del numero minimo dei seggi ad un secondo momento. Mette pertanto in votazione la seguente formula:

«Sarà assicurato ad ogni regione, qualunque sia il numero dei suoi abitanti, un numero minimo fisso di rappresentanti in seno alla seconda Camera».

(È approvata).

LAMI STARNUTI domanda se il numero minimo dei seggi per ciascuna regione andrebbe in diminuzione o in aumento dei seggi assegnati alle regioni in relazione alle rispettive popolazioni.

MANNIRONI crede che occorra fare due calcoli: il primo in base alla popolazione, per stabilire il numero complessivo dei rappresentanti, il secondo dopo aver tolto il numero minimo dei seggi spettanti ad ogni ragione, per ripartire tra la popolazione il numero degli altri seggi.

LAMI STARNUTI osserva che, così facendo, sarebbe sottratta, a favore delle piccole regioni, una quota dei seggi spettanti alle grandi.

PRESIDENTE fa presente che nella proposta testé approvata era appunto implicita la conseguenza accennata dall’onorevole Lami Starnuti. Le piccole regioni non potranno avere il loro numero minimo di rappresentanti che detraendolo dal numero totale dei componenti la seconda Camera.

LAMI STARNUTI rileva che, secondo la proposta dell’onorevole Perassi, non si trattava di garantire soltanto un minimo di seggi alle varie regioni, ma di assegnare a ciascuna di esse, oltre a questo minimo, anche un numero di seggi proporzionale alla popolazione.

NOBILE osserva che fissare un minimo di seggi per ogni regione, una volta ammesso il criterio del rapporto con la popolazione, è cosa che oggi riveste un significato, ma che avrà un significato diverso fra qualche anno, dato il continuo incremento della popolazione, Quando sarà aumentato il numero degli abitanti, e con esso quello dei membri della seconda Camera, il numero minimo fisso dei seggi per ciascuna regione acquisterà un valore diverso da quello che ha attualmente. Di qui l’inopportunità di introdurre nella Costituzione una norma di valore mutevole.

LA ROCCA ritiene che occorra precisare che il numero fisso dei rappresentanti per ciascuna regione deve esser compreso in quello che dovrà essere determinato in base alla popolazione.

PRESIDENTE crede che il concetto accennato dall’onorevole La Rocca sia implicito nella formulazione testé approvata. In ogni modo, a maggior chiarezza potrebbe essere messa in votazione una formula aggiuntiva, allo scopo di precisare che il numero minimo dei seggi va inteso nel senso che esso non debba poi essere aumentato del numero dei seggi risultante dal rapporto proporzionale con la popolazione.

LACONI dichiara di essere favorevole al principio di un numero minimo fisso di seggi per ciascuna regione, purché tale numero sia compreso in quello risultante dal rapporto proporzionale con la popolazione.

MORTATI, Relatore, obietta che, così facendo, il principio di assegnare un numero minimo fisso di seggi ad ogni regione sarebbe svuotato quasi di ogni contenuto, perché il vantaggio consisterebbe soltanto nell’attribuire un paio di seggi alla Lucania ed alla Venezia Tridentina, posto sempre che il numero minimo dei seggi resti fissato in cinque. Sarebbe quindi integralmente rispettato il criterio della proporzionale, salvo che per due regioni. Viceversa col sistema suggerito dall’onorevole Parassi sarebbe maggiormente rispettata l’esigenza, già prospettata da qualcuno, di dare maggiore peso e influenza all’ordinamento dell’ente regione.

CAPPI propone la seguente formula:

«Oltre al numero minimo fisso, ciascuna regione avrà diritto ad eleggere un deputato alla seconda Camera ogni duecentomila abitanti».

PRESIDENTE osserva che nella formula proposta dall’onorevole Cappi sarebbe meglio togliere l’indicazione della cifra relativa al numero degli abitanti, che sarà meglio decidere in seguito.

CAPPI accetta di sostituire alle parole: «ogni duecentomila abitanti», le seguenti: «in proporzione alla popolazione».

MANNIRONI concorda con l’onorevole Cappi.

PRESIDENTE ritiene che sarebbe meglio usare l’espressione: «ogni x abitanti»; in tal modo apparirà più chiaramente che ci si riserva di inserire nella formula proposta l’indicazione del numero degli abitanti.

LUSSU è favorevole alla formula proposta, con la riserva però che il numero dei deputati non possa mai essere inferiore a quello dei senatori.

CAPPI è d’accordo con l’onorevole Lussu.

ROSSI PAOLO osserva che l’inconveniente accennato dall’onorevole Lussu si potrà verificare in Lucania, in Umbria, negli Abruzzi, nel Molise, se esso diventerà regione a sé, e nel Trentino.

Ad esempio nella Lucania, oltre i cinque senatori di diritto, se ne potranno avere altri tre: in totale otto, mentre si avranno soltanto cinque deputati, se sarà accolto definitivamente il principio di eleggere un deputato ogni 100.000 abitanti.

CONTI, Relatore, osserva che la questione non ha alcuna importanza relativamente al numero complessivo dei componenti delle due Camere, perché certamente il numero dei membri della seconda Camera non potrà superare quello della prima. Si domanda in ogni modo quali pericoli possano derivare dal fatto che in una regione vi siano 5 deputati ed 8 senatori.

CAPPI è d’accordo con l’onorevole Conti nel ritenere impossibile che il numero dei membri della seconda Camera possa superare quello dei componenti la prima. Ricorda in ogni modo che la Sottocommissione ha preso già una decisione nel senso che la prima Camera debba avere un numero di deputati notevolmente superiore a quello dei senatori.

ROSSI PAOLO dichiara che ciò che lo preoccupa è soltanto che l’inconveniente accennato possa verificarsi nell’ambito della regione.

LUSSU propone, come emendamento, una frase con la quale si dica che nell’ambito della regione il numero dei deputati alla seconda Camera non possa mai essere superiore al numero dei deputati alla prima.

PRESIDENTE osserva che la formula suggerita dall’onorevole Lussu è un’aggiunta. Sarà bene quindi mettere in votazione prima la proposta e poi l’aggiunta.

LACONI suggerisce la seguente formula in contrapposizione a quella dell’onorevole Cappi: «Il principio precedentemente affermato si intende nel senso che, qualora il numero dei deputati della seconda Camera, spettante a qualche regione, fosse inferiore al numero di 5, esso verrebbe aumentato fino a raggiungere tale cifra».

PRESIDENTE osserva che anche nella formula proposta dall’onorevole Laconi sarebbe meglio sostituire all’indicazione del numero dei deputati della seconda Camera, che non è stato ancora fissato, una frase come la seguente: «al numero minimo fissato».

MANNIRONI chiede che la votazione sia fatta sulla proposta dell’onorevole Cappi che esclude quella dell’onorevole Laconi.

NOBILE dichiara di astenersi dal voto, perché i vari conteggi fissati nelle formule proposte non hanno, a suo parere, alcun valore pratico.

PRESIDENTE fa presente che, se nella formula dell’onorevole Cappi sarà inclusa l’aggiunta suggerita dall’onorevole Lussu, coloro che sono favorevoli alla formula anzidetta, probabilmente si asterranno dal voto, perché hanno già dichiarato di non condividere l’opinione espressa dall’onorevole Lussu.

PICCIONI propone di votare per divisione.

LUSSU non è favorevole alla proposta Piccioni, perché egli sarebbe obbligato a votare favorevolmente per la formula dell’onorevole Cappi, che invece respingerebbe se la sua aggiunta non fosse approvata.

CONTI, Relatore, dichiara di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Lussu.

LA ROCCA è contrario alla proposta dell’onorevole Cappi perché è favorevole alla proporzionale pura. In ogni modo, dichiara di accedere, in linea subordinata, alla determinazione di un numero fisso di seggi, affinché possa essere data una rappresentanza certa anche alle regioni meno popolose.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Cappi nel seguente testo definitivo: «Oltre al numero fisso minimo, ciascuna regione avrà diritto ad eleggere un deputato alla seconda Camera ogni x abitanti».

(Con 14 voti favorevoli e 11 contrari, è approvata).

Pone quindi in votazione l’aggiunta proposta dall’onorevole Lussu: «Nell’ambito della regione il numero dei deputati alla seconda Camera non può essere superiore al numero dei deputati alla prima».

(Con 13 voti favorevoli, 13 contrari e un astenuto, non è approvata).

Fa presente che si tratta ora di fissare il quoziente di proporzionalità. A tal fine ricorda che l’onorevole Cappi aveva proposto di eleggere un deputato alla seconda Camera ogni 200.000 abitanti, mentre gli onorevoli Fuschini e Lami Starnuti avevano proposto l’elezione di uno ogni 150.000 abitanti.

CODACCI PISANELLI desidera precisare che il criterio della proporzionalità non è affatto incompatibile con quello del numero fisso stabilito nel progetto dell’onorevole Perassi. Se si ammette che il numero dei membri della seconda Camera debba essere di 315, si può determinare, ogni qual volta si faranno le elezioni, in proporzione alla popolazione della regione, quale dovrà essere il numero dei membri da eleggere.

BORDON è favorevole ad una riduzione del quoziente di proporzionalità, specialmente per ciò che concerne la Val d’Aosta.

CONTI, Relatore, teme che, accettando il quoziente di 150.000 abitanti, la seconda Camera possa risultare troppo numerosa, considerato anche il fatto che si avrà un dato numero fisso di rappresentanti per ogni regione. Per queste ragioni è favorevole al quoziente di 200.000 abitanti.

NOBILE ritiene che il numero minimo fisso di seggi per ogni regione, che non è stato ancora precisato, debba essere in relazione con il quoziente di proporzionalità che ora si vuole determinare. Dato ciò, non vede come si possa precisare il numero degli abitanti, se non si stabilisce anche il numero minimo fisso di seggi.

PRESIDENTE avverte che alcuni commissari gli hanno domandato di rinviare alla prossima riunione la votazione sul quoziente di proporzionalità, al che ritiene di aderire.

La seduta termina alle 19.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Castiglia, Grieco, Leone Giovanni.

Assenti: Bulloni, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Porzio, Vanoni.

GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Rossi Paolo – Mortati, Relatore – Lussu – Grieco – Ambrosini – Perassi – Piccioni – Conti, Relatore.

La seduta comincia alle 16.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nell’ultima seduta fu deliberala una sospensione dei lavori per consentire ad alcuni colleghi di fare un ulteriore tentativo di accordo sulla questione della costituzione della seconda Camera.

ROSSI PAOLO informa che per il momento non si è raggiunto un acconto concreto. Soggiunge che si è discusso intorno ad un progetto che il gruppo socialista ritiene contenga il massimo delle concessioni che esso può fare e non sia quindi modificabile in alcuna sua parte.

Si tratta di un progetto redatto dal professore Luzzatto, alquanto complesso nella sua tecnica e che perciò non è facile illustrare in modo succinto. In base ad esso, dovrebbero essere stabilite cinque categorie di eleggibili, rappresentanti le principali attività del Paese, per ciascuna delle quali andrebbero fissate le percentuali dei seggi. Alle elezioni procederebbero le regioni, convocate in collegi regionali, a suffragio universale, diretto e con rappresentanza proporzionale.

Non nega che questo progetto possa dar luogo a qualche disarmonia nei riguardi della distribuzione dei candidati dei vari partiti nelle singole categorie, ma non ritiene che a tale inconveniente debba attribuirsi eccessiva importanza. Comunque, tiene a confermare che il gruppo socialista vi ha aderito solo a condizione che non venga ritoccato, mentre gli consta che l’onorevole Mortati vagheggia un altro sistema che comporterebbe delle liste separate per le cinque categorie. Orbene, il gruppo stesso non entrerebbe in nessun caso nell’ordine d’idee dell’onorevole Mortati, perché queste frustrerebbero lo scopo di concedere la rappresentanza per categorie chiuse salvando però il principio della proporzionale.

MORTATI, Relatore, precisa che si è cercato di raggiungere l’intesa con la rinuncia da ambedue le parli ad alcune delle esigenze sostenute inizialmente.

La rinuncia da parte del suo gruppo è consistita nell’abbandonare il concetto di collegi speciali, consentendo che le elezioni avvengano su una base indifferenziata con suffragio da decidere se di primo o di secondo grado. Dal canto suo considera accettabile il principio della unicità del collegio, il quale però dovrebbe essere a base democratica, con partecipazione di tutti gli elettori in possesso dei titoli per la elezione della prima Camera, ovvero con una elezione di secondo grado, sempre però su basi democratiche.

Da parte dei colleghi della tendenza opposta si è d’altro canto convenuto sulla opportunità che la ripartizione per categorie ricompaia nei riguardi degli eleggibili, i quali dovrebbero quindi essere qualificati e in possesso di certi requisiti. Restava da vedere se, ai fini di un buon funzionamento della seconda Camera, fosse opportuno trovare dei congegni che assicurassero una partecipazione in misura proporzionale ai vari settori. Anche a questa tesi hanno acceduto i colleghi di parte socialista, nel senso cioè di consentire che i seggi vengano ripartiti in quote predeterminate, corrispondenti al peso da dare a ciascuna categoria produttiva.

L’accordo ci sarebbe altresì sul peso da attribuire ai vari gruppi di eleggibili, in quanto questi sarebbero determinati in base alla struttura sociale dello Stato.

Quanto ai problemi relativi al procedimento di elezione, accennati dall’onorevole Rossi, osserva che occorrerebbe fare una pregiudiziale: se cioè convenga occuparsene in sede di Costituzione, o se non sia preferibile per il momento prendere semplicemente accordi di carattere politico, di cui si potrà tener conto in sede di redazione della legge elettorale. Ricorda che, per quanto riguarda la prima Camera, si è appunto deciso in questo senso.

Ciò posto, fa presente che il dissenso sul progetto esaminato riguarderebbe:

1°) il modo di designazione degli eleggibili. Personalmente ritiene che, se si vuole realizzare questo contatto con le categorie produttive, sia più conseguenziale alle premesse che gli stessi appartenenti alle categorie formino le liste, su cui si eserciterà la scelta di tutto il corpo elettorale;

2°) il metodo da seguire nella elezione, cioè se metodo strettamente proporzionale, oppure no. A suo avviso non dovrebbe esserci alcuna obiezione fondamentale all’accettazione del principio proporzionalistico. Si tratta però di vedere come realizzarlo, perché la ripartizione regionale può renderlo per alcuni collegi praticamente inattuabile. Se, per esempio, in un collegio per una data categoria c’è un solo seggio, evidentemente è da escludere un criterio proporzionalistico e si impone quello maggioritario. Neanche col progetto socialista è possibile superare questa difficoltà. La proporzionalità, a cui accennava l’onorevole Rossi, si dovrebbe dunque esercitare fuori del campo delle singole categorie, nel campo della lista comprensiva di tutte le categorie. Comunque, non è escluso che su questi dettagli, che per il momento dividono le due correnti, possa raggiungersi un accordo.

Conviene che il sistema escogitato è complesso, come lo è la struttura che si vorrebbe realizzare. D’altra parte, non si può adottare da noi il congegno attuale in Irlanda, ove ad un sistema analogo di elezione si è applicato il metodo Hare, perché le condizioni di analfabetismo in cui versa l’Italia rendono impossibile l’applicazione di un metodo per il quale gli elettori debbono personalmente scrivere la lista nella scheda.

ROSSI PAOLO precisa che ci sono due pregiudiziali che condizionano in modo assoluto l’adesione del gruppo socialista ad un qualsiasi progetto: la prima, è che le elezioni avvengano a suffragio indifferenziato e diretto e quindi non attraverso le Assemblee regionali o i Consigli comunali, come forse vorrebbe l’onorevole Mortati; la seconda, è che se una delle due esigenze – rappresentanza precisa delle categorie e rispetto esatto della proporzionale – dovrà essere sacrificata, lo sia la prima, ma in nessun caso la seconda.

PRESIDENTE ha l’impressione che per conciliare due principî che non tollerano contemperamenti, si sia escogitato un sistema talmente complesso, dal punto di vista tecnico, da renderne impossibile l’applicazione. Soprattutto esso gli appare di comprensione talmente difficile, da non poter riscuotere la fiducia delle masse popolari. Ritiene altresì che quei punti che l’onorevole Mortati considera come secondari siano invece fondamentali e che il mancato accordo su di essi dimostri l’esistenza di divergenze sostanziali.

Rilevato che l’onorevole Rossi ha messo in maniera molto precisa l’accento su alcuni punti, considera utile conoscere se l’onorevole Mortati intende difendere con la stessa decisione i suoi punti di vista.

MORTATI, Relatore, premette che gli sembra necessario che siano portati a conoscenza dei colleghi i vari progetti elaborati, perché egli stesso ne ha studiato un altro che crede più semplice in rapporto ai compiti dell’elettore. Non trova fondate le preoccupazioni del Presidente circa la difficoltà in cui si troverebbe l’elettore, il quale invece, con ambedue i sistemi, non dovrà fare altro che quello che fa attualmente con la lista di Stato, e cioè annullare dei contrassegni. Si potrebbero per di più sopprimere le preferenze che complicano sensibilmente le cose.

Il dissenso verte sulle operazioni di scrutinio, che non sono demandate all’elettore, ma al seggio elettorale, e cioè se esse debbano farsi categoria per categoria, o, come propone il professore Luzzatto, complessivamente per tutte le categorie.

PRESIDENTE osserva che la discussione sta uscendo dal terreno di competenza della Sottocommissione, per investire materia inerente alla legge elettorale. Crede che per il momento sarebbe bene circoscrivere gli argomenti su cui un accordo appare possibile per fissare, se non altro, dei punti di partenza.

LUSSU manifesta il suo rincrescimento per il mancato accordo fra gli esponenti dei vari partiti. Confessa che, malgrado l’attenzione prestata agli oratori che lo hanno preceduto, non è riuscito ad afferrare tutti i dettagli della loro esposizione, il che significa che la discussione si svolge più nel campo teorico che in quello politico e pratico. Teme quindi che maggiore difficoltà di comprensione incontreranno coloro che non hanno seguito le varie fasi della discussione. Ne conclude che la via finora seguita non è quella giusta e, dato l’insuccesso dei tentativi finora compiuti, pensa che non si possa continuare a transigere. Si domanda pertanto se non convenga invitare i colleghi della Democrazia Cristiana a riesaminare la loro posizione, rinunziando a quella rappresentanza di interessi che è così difficile applicare nei particolari, e ritornando ad un piano più semplice, cioè alle elezioni proporzionali, con riserva di esaminare ancora se sia o no conveniente il suffragio universale o la elezione di secondo grado. Personalmente trova che le elezioni di secondo grado costituiscono una affermazione essenziale che sta a differenziare la prima dalla seconda Camera.

PRESIDENTE condivide le preoccupazioni dell’onorevole Lussu sulla inopportunità di continuare per la strada finora battuta, nell’intendimento di trovare, mediante reciproche concessioni, un accordo sui vari punti controversi. Ormai la Sottocommissione ha esaminato il problema con la necessaria ampiezza e profondità: è necessario che scelga una via per la quale procedere speditamente.

Non ritiene peraltro meritevole di considerazione il suggerimento, da qualcuno avanzato, di sospendere la discussione su questo argomento e di affrontare la questione delle autonomie regionali, perché, a parte il fatto che non si sa se sia pronto il progetto del Comitato all’uopo nominato, questo accantonamento del problema della seconda Camera darebbe una sensazione di incapacità della Sottocommissione di affrontarlo o risolverlo.

Per queste ragioni prospetta la necessità di dirimere nella seduta odierna le questioni pregiudiziali rimaste in sospeso.

GRIECO informa che presso il Comitato incaricato di redigere il progetto sulla organizzazione regionale sono sorte notevoli divergenze di opinioni, di modo che non si può sperare in una rapida conclusione dei lavori.

Per evitare che si perda un tempo prezioso, propone che la discussione sul problema dell’organizzazione regionale sia portata innanzi alla Sottocommissione.

AMBROSINI crede che le divergenze non siano ancora tali da rendere impossibile un accordo. L’onorevole Grieco però ha fatto osservare – ed anche l’onorevole Uberti ed altri lo avevano già notato – che se il Comitato deve limitarsi a discutere su tali divergenze, tanto varrebbe esaminare la questione della organizzazione regionale in seno alla Sottocommissione, per evitare un duplicato di discussione. In ogni modo si rimette completamente a quello che la Sottocommissione crederà opportuno di fare.

LUSSU rileva che le difficoltà che ostacolano il raggiungimento di una soluzione sul problema della seconda Camera non hanno alcuna attinenza con quelle sorte in seno al Comitato per le autonomie regionali. Ritiene quindi che la sospensione dei lavori della Sottocommissione in merito alla questione della formazione della seconda Camera non sarebbe di alcuna utilità.

Non è perciò favorevole alla proposta dell’onorevole Grieco. L’esame della questione delle autonomie regionali deve continuare, così come è stato concordemente stabilito all’inizio dei lavori, in seno al Comitato speciale che, a suo tempo, presenterà le sue conclusioni. Nel frattempo la Sottocommissione proseguirà la discussione sulla formazione della seconda Camera; e così, con uno sforzo di buona volontà, si potrà arrivare al termine dei lavori.

PERASSI concorda con le osservazioni fatte dal Presidente sulla inopportunità di sospendere la discussione sul problema della seconda Camera, per passare a quello delle autonomie regionali. Ritiene che non farebbe buona impressione presso il pubblico che segue i lavori ed è stato informato sul loro andamento, la notizia che essi siano stati sospesi.

È necessario quindi cercare una soluzione del problema in esame, tenendo presenti i punti sui quali già è stata raggiunta una intesa. Precisamente in relazione a tale obiettivo, prescindendo dalle discussioni avvenute fra i rappresentanti delle varie parti, egli si è proposto lo scopo di concretare alcuni punti che diano atto delle conclusioni su cui l’accordo si può ritenere raggiunto ed altri che suggeriscano qualche via di soluzione transattiva per le questioni sulle quali si manifesta ancora una divergenza di opinione. Si ripromette quindi di presentare nella prossima seduta tale elencazione di punti sotto forma di ordine del giorno, dichiarandosi pronto a fornire tutte le necessarie delucidazioni, sia di carattere generale che di carattere particolare.

PRESIDENTE dubita dell’opportunità di iniziare nella prossima riunione una discussione sull’ordine del giorno dell’onorevole Perassi che comprende alcuni punti già acquisiti, quali, ad esempio, quelli della età, della incompatibilità dei membri della prima Camera ad essere membri della seconda, ed altri.

A suo avviso nella prossima riunione si dovrà procedere senz’altro alla votazione di punti ben precisi e specificati. Sarà forse anche necessario costituire un Comitato di redazione, che dovrà avere appunto l’incarico di redigere in forma precisa le affermazioni positive o negative, alle quali la Sottocommissione sarà giunta.

Le decisioni che dovranno essere prese non potranno riguardare che i cinque punti sui quali si sono anche soffermati l’onorevole Mortali e l’onorevole Rossi. Rileva a questo proposito che su tre punti, e precisamente quelli che considerano se la base elettorale debba essere differenziata o indifferenziata, se la differenziazione debba trasferirsi sulla base della eleggibilità, se il sistema debba essere proporzionale o maggioritario, si era raggiunta una identità di vedute; sul quarto punto, se cioè debba trattarsi di un sistema di elezione diretta o di secondo grado, l’accordo sembrava possibile; e soltanto sull’ultimo, relativo alla determinazione di quote fisse di eligendi, l’accordo non ancora era stato raggiunto.

Nella prossima riunione non si potrà volare che su tali punti. La loro formulazione potrà essere per il momento quella proposta dall’onorevole Perassi.

Sarebbe opportuno che le varie proposte potessero essere approvate all’unanimità o da una notevole maggioranza di componenti la Sottocommissione, affinché le votazioni avessero un valore decisivo. Comunque, fa presente che i componenti la Sottocommissione non sono altro che preparatori di progetti che dovranno essere sottoposti prima alla Commissione plenaria, poi all’Assemblea Costituente. Se la Sottocommissione pretendesse raggiungere la completezza degli scopi a cui i più mirano, sembrerebbe voler togliere ogni attività alla Commissione plenaria e all’Assemblea Costituente. Invita quindi i presenti a non irrigidirsi troppo nello loro opinioni.

PICCIONI fa presente che il gruppo di cui fa parte ha chiesto all’Ufficio di Presidenza che non siano tenute riunioni della Sottocommissione nei prossimi due giorni al fine di consentire un avvicinamento fra i vari gruppi, per concretare un progetto definitivo sulla questione in discussione ed anche per consentire ai rappresentanti del suo partito di partecipare alla riunione che il suo Gruppo terrà nella giornata di domani e nella quale saranno esaminati i problemi costituzionali finora discussi.

CONTI, Relatore, osserva che, nel loro Gruppo, i colleghi democratici cristiani potranno discutere delle tendenze che si sono finora manifestate; ma può darsi che, alla prossima riunione della Sottocommissione, essi abbiano a trovarsi di fronte a punti di vista non ancora esposti.

PICCIONI osserva che, parallelamente alle discussioni in seno al suo Gruppo, dovrebbero continuare a svolgersi le trattative fra i vari Gruppi per cercare una soluzione al problema in esame.

D’altra parte, se domani si dovesse passare alla votazione, ogni trattativa per trovare una base di accordo verrebbe ad essere pregiudicata e così diventerebbe inutile la convocazione del Gruppo.

PRESIDENTE riconosce che ciascun commissario può essere preoccupato per il modo con cui dovrà votare; ritiene però che tale preoccupazione non debba costituire un ostacolo alla prosecuzione dei lavori. Dopo dieci giorni di rallentamenti nei lavori della Sottocommissione, non può essere favorevole a una proposta di rinvio. Naturalmente, se la Sottocommissione lo vuole, sarà costretto ad accogliere tale proposta; ma desidera che resti precisato che la decisione di questo rinvio è stata presa contro il suo avviso.

Pone ai voti la proposta di rinviare la discussione a martedì prossimo.

(È approvata).

La seduta termina alle 17.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bulloni.

Assenti: Einaudi, Finocchiaro Aprile, Vanoni.

GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

27.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Ambrosini – Rossi Paolo – Grieco – Lussu – Nobile – Mortati, Relatore – Presidente – Piccioni.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

AMBROSINI, prima di entrare in merito, ricorda che nella riunione precedente l’onorevole Piccioni ha esposto le ragioni fondamentali che consigliano una rappresentanza degli interessi, facendo altresì alcune considerazioni manifestamente tendenti a trovare una possibilità di intesa tra le diverse opinioni in contrasto. È, quindi, con meraviglia che ha udito successivamente l’onorevole Lussu. affermare che il discorso dell’onorevole Piccioni aveva riportato la questione quasi ad un punto di maggior discordia. A suo avviso invece, specie la seconda parte del discorso anzidetto, mira ad arrivare ad un accordo.

Difatti l’onorevole Piccioni ha fatto ogni possibile sforzo per giungere ad un’intesa, dichiarandosi pronto ad accogliere la proposta di diminuire il quantitativo dei rappresentanti da assegnare alle categorie produttive, e arrivando perfino ad accennare alla possibilità di trasportare il principio della rappresentanza degli interessi dal campo del corpo elettorale differenziato a quello dei requisiti di eleggibilità.

Ad ogni modo egli ritiene che in linea di principio non ci debba essere un profondo contrasto, quando si tenga presente che il sistema della rappresentanza professionale è stato propugnato anche da esponenti del movimento socialista. Crede opportuno richiamare qui un discorso pronunciato il 24 luglio 1919 alla Camera dei Deputati, in sede di discussione del disegno di legge sulla proporzionale, dall’onorevole Cabrini. In quella occasione furono pronunciati, anche da altri deputati, fra i quali Meda, Turati e Tovini, dei discorsi, che potrebbero riuscire anche oggi utili per trovare un punto di intesa, in quanto in essi, parlandosi della proporzionale, si esaminò altresì il problema attualmente discusso dalla Sottocommissione.

Diceva l’onorevole Cabrini: «Parlo non tanto per esprimere opinioni mie personali, che non avrebbero valore di sorta, quanto per inserire nella discussione il pensiero manifestato nei suoi congressi e nelle sue pubblicazioni dalla nostra massima organizzazione proletaria: la Confederazione generale del lavoro.

«Il qual pensiero ritengo debba esser tenuto ben presento dalla Camera, sia perché significa la decisa volontà di esprimere la orientazione politica di una organizzazione sindacale che va rapidamente verso il milione e mezzo di iscritti; sia perché è merito della Confederazione del lavoro di avere con singolare vigoria impostato il problema della revisione del nostro sistema rappresentativo; sia perché il ricordare questo pensiero giova a precisare che, se nella concezione della rappresentanza professionale, come punto di partenza e come punto di arrivo, il movimento che fa capo alla Confederazione si differenzia da quello dei cattolici, i due movimenti si trovano però perfettamente d’accordo nel rifiutarsi a far servire un qualsiasi movimento per la maggior riforma della rappresentanza professionale e per la premessa confederale della Costituente a qualsiasi diversivo che possa danneggiare il movimento proporzionale».

A leggere queste parole vien fatto di pensare che l’onorevole Cabrini si trovava probabilmente in uno stato d’animo simile a quello in cui si trovano attualmente diversi membri della Sottocommissione. L’onorevole Cabrini, proseguendo il suo discorso, citava un passo di un articolo apparso su «Le battaglie sindacali» dell’8 marzo 1919. Per spiegarlo appieno, è utile ricordare che c’era stato allora da parte delle estreme sinistre un movimento in favore della proporzionale, e l’iniziativa era partita da radicali quali gli onorevoli Caetani e Abbiate, e anche dall’onorevole Turati, i quali avevano rispettivamente presentati in proposito dei disegni di legge alla Camera. Riferendosi appunto a tale fatto, l’onorevole Cabrini diceva: «Siamo favorevoli all’iniziativa dell’onorevole Turati, in quanto essa rappresenta per noi il punto di partenza per raggiungere quel sistema elettorale basato sulla circoscrizione professionale, che è il solo modo per sostenere di un robusto contenuto il suffragio universale».

Dopo di che l’onorevole Cabrini aggiungeva: «Reputo doveroso, specialmente dinanzi alle numerose ed inattese manifestazioni che si sono avute durante la discussione a favore della rappresentanza professionale, reputo doveroso di accennare, rapidissimamente, alle ragioni essenziali per le quali il movimento sindacale, che si svolge fiancheggiato dal pensiero socialista, ritiene esso pure indispensabile procedere nel più breve tempo possibile alla rappresentanza delle professioni, ma mediante una organica, integrale organizzazione che basi la rappresentanza professionale – centrale e regionale – sul trasformato regime dell’azienda industriale, commerciale ed agricola; riforma integrale per cui il Parlamento professionale – e i suoi organi regionali – devono stare alla fabbrica, al magazzino, all’impresa agricola, come il tronco, i rami, le foglie di un albero stanno alle poderose radici. (Omissis).

«I colleghi conoscono di quali coefficienti sia formato il movimento che in tutti i Paesi – attraverso svariatissimi aspetti esteriori – punta, spinge verso la revisione del sistema rappresentativo della società borghese – la rappresentanza della popolazione – per sostituirlo e integrarlo con quello della rappresentanza non degli interessi, come taluno dice impropriamente, poiché le classi e le categorie hanno anche dei sentimenti o delle idee, ma delle professioni.

«Regresso apparente verso l’economia medievale, così come ai miopi possono sembrare un ritorno alle forme del comunismo antico le moderne socializzazioni nella proprietà terriera o nella industriale».

Riprendendo quindi a parlare della proporzionale, l’onorevole Cabrini così proseguiva: «Applicata alla popolazione, anziché alle sole professioni, la proporzionale apre o continua a lasciar aperta la porta del Parlamento anche alle forze socialmente improduttive».

Facendo poi la critica della rappresentanza puramente politica, l’onorevole Cabrini osservava: «Le correnti favorevoli alla rappresentanza professionale traggono i loro più forti impulsi precisamente dalla illegittimità e dalla incompetenza di una parte degli eletti della popolazione nel giudicare di ciò che è peculiare interesse o funzione della classe. Quanti conoscono i fattori propulsivi del movimento per la rappresentanza professionale considerano la proporzionale come un avviamento, un incitamento alla rappresentanza delle professioni.

«Evidentemente la vita economica, più vedrà perpetuarsi nel Parlamento la invadente incompetenza del politicantismo e la sovrapposizione di interessi parassitari a quelli delle forze impegnate nella produzione, più troverà nuovi incentivi, a trasformare il regime, o mediante la sostituzione della rappresentanza delle professioni alla rappresentanza della popolazione, o mediante la disciplinata coesistenza delle due rappresentanze, quella coesistenza che Kurt Eisner – il grande socialista assassinato dal militarismo bavarese – aveva segnato con una superba e geniale linea rinnovatrice».

Continuava infine con spirito quasi profetico: «Comunque, io non credo la questione risolubile dalla presente Camera; la quale, per affrontare e risolvere il problema, dovrebbe assurgere ad Assemblea costituente. Ed anche in ciò mi trovo in perfetto accordo con la Confederazione generale del lavoro.

«Darò il mio voto a quell’ordine del giorno che, nella questione della rappresentanza professionale, affermi il principio: ma come un voto di tendenza. Le forze le quali dovranno trasformare il regime rappresentativo sono, o signori, fuori di qui. Ed esse agiranno, o in forma tumultuaria, alla quale potrebbe servire da incentivo un voto di questa Camera, la quale si ostinasse a lasciare immutato il sistema elettorale, quasi a sfida di tutte le forze organizzate del Paese: socialisti, cattolici, combattenti; oppure prescrivendo alla prossima Camera, eletta col sistema proporzionale, il compito di apprestare le norme per la convocazione di quell’Assemblea costituente verso cui la Confederazione del lavoro disciplina ed inalvea i consensi e le simpatie della classe lavoratrice».

Sarebbe superfluo riferire altri passi del discorso dell’onorevole Cabrini, perché quelli citati sono più che sufficienti per dare la nozione piena del pensiero di lui e della Confederazione generale del lavoro in quel periodo della vita nazionale.

Rilevato che i presupposti, da cui partiva l’onorevole Cabrini, per sostenere la trasformazione della rappresentanza politica, non sono in questo secondo dopo-guerra sostanzialmente mutati, afferma che anche oggi si sente la necessità dell’apporto delle rappresentanze specifiche delle varie categorie professionali, specie in relazione alle esigenze della ricostruzione economica del Paese e al suo più organico assetto politico.

Si augura pertanto che la rievocazione del pensiero dell’onorevole Cabrini possa facilitare il superamento del contrasto, e sospingere tutti verso una soluzione di buon compromesso, che dia soddisfazione alle varie tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione durante l’attuale appassionato dibattito.

ROSSI PAOLO tiene innanzitutto a dichiarare che, a suo avviso, il pensiero dello onorevole Cabrini, a cui l’onorevole Ambrosini ha fatto riferimento, in quanto espressione di un sindacalismo soreliano estremo, non coincide più con le attuali esigenze del movimento operaio.

Il partito socialista oggi non è certo contrario alla proporzionale e non sarebbe nemmeno contrario alla rappresentanza sindacale pura proposta dell’onorevole Cabrini. C’è però da osservare che tra la rappresentanza suddetta basata sulle professioni, accennate incompletamente dall’onorevole Cabrini, e la rappresentanza degli interessi di categoria, quale è quella proposta nei progetti sottoposti all’esame della Sottocommissione, c’è una differenza profonda. Non si riesce ad immaginare concretamente nella temperie politica moderna, una seconda Camera che sia composta, in tutto o in parte, per categorie, con un numero fisso di rappresentanti per ogni categoria, e che sia eletta a suffragio diretto, universale, indifferenziato.

Ha sentito parlare di una nuova democrazia organica, la quale dovrebbe trascendere il concetto ottocentesco della democrazia individuale o atomistica. È da ritenere che tale democrazia organica, o corporativa, anziché costituire un superamento del vecchio liberalismo Ottocentesco, costituirebbe un ritorno alle posizioni già superate dallo stesso liberalismo.

Nelle parole dell’onorevole Piccioni ha sentito riecheggiare quella critica sprezzante allo stupide siècle XIX, propria non già dei cattolici novatori, ma di quel notevole gruppo di pensatori reazionari che non hanno dissimulato né la loro antipatia per la rivoluzione del 1789, né i loro rimpianti nostalgici per l’ancien régime.

La rappresentanza degli interessi e delle categorie fu la più antica forma di rappresentanza, e la sostituzione della rappresentanza politica alla rappresentanza corporativa è appunto quel grande passo avanti sulla strada della libertà e della democrazia che è stato compiuto dallo «stupido» secolo decimonono, in mezzo al desolato rammarico dei conservatori.

Frattanto, circa il problema della costituzione di una seconda Camera, si può ricordare che nessuno dei grandi Paesi, dall’U.R.S.S. agli Stati Uniti, dall’Inghilterra alla Francia, possiede una seconda Camera formata in tutto o in parte col sistema corporativo.

Esistono, sì, due Nazioni che hanno un Senato assai simile a quello che nascerebbe dalla proposta dell’onorevole Piccioni, ma sono due tra i Paesi più piccoli e politicamente più arretrati di tutta l’Europa: il Portogallo e l’Irlanda. E quanto al concreto significato politico di un simile Senato, sarà opportuno citare l’interpretazione autentica del titolare della cattedra di diritto pubblico all’Università di Lisbona, Marcelo Gaetano, esegeta ufficioso della Costituzione del suo Paese: «le idee clic dominano la Costituzione portoghese sono autoritarie, anti-parlamentari, nazionaliste, cristiano-sociali e corporative». Se tali sono le idee maestre che devono guidare la Sottocommissione nella risoluzione del problema in esame, si può tranquillamente costituire la seconda Camera in funzione o rappresentanza degli interessi e delle categorie, come nel Portogallo e nell’Irlanda. Altrimenti no.

La verità è che non è possibile rappresentare con la giusta proporzione e senza ingiustizie, capaci di falsare i rapporti politici e di classe, quelle cosiddette forze vive che si vorrebbero porre a fondamento della seconda Camera. Quando anche si potesse raggiungere, in teoria, con sapientissimo dosaggio, l’instabile equilibrio tra gli interessi da rappresentare, si dovrebbe sempre essere contrari a un Senato corporativo, sia esso tale nella sua interezza o a metà, o soltanto per un terzo, come vorrebbe l’onorevole Piccioni, per le seguenti ragioni:

1°) è vero che esistono forze ed interessi della cultura, della tradizione, dell’economia, ma non vi è ragione perché queste forze siano arbitrariamente trasformate in forze politiche e chiamate ad agire in sede politica anziché in quella sede di cultura, di tradizione, di economia che è, e deve essere, la loro sede naturale ed esclusiva;

2°) non è concepibile un’Assemblea che abbia due fonti elettorali diverse. Difficilmente riescono ad intendersi le Assemblee che nascono dalla medesima matrice; c’è da immaginarsi quindi come funzionerebbe una seconda Camera con 200 membri eletti a suffragio universale e 100 membri aristocratici, scelti da categorie oligarchiche. Tutte le Assemblee a composizione mista hanno dato sempre mediocri prove e non sono mai durate troppo a lungo;

3°) fatalmente la rappresentanza delle categorie porta al voto plurimo, di fatto, sia che lo si dica, sia che lo si taccia pudicamente. Si prenda, ad esempio, una regione media in cui vi siano cento professori d’Università, duemila professionisti, diecimila industriali e commercianti, e ottocentomila lavoratori: se verrà fissato un sol posto per le Università, due per le professioni, due per l’industria e commercio, otto per il lavoro manuale e impiegatizio nello sue varie sottospecie, si sarà raggiunto l’optimum praticamente concepibile. Eppure, a questo modo, si verrà a dare un voto ad ogni operaio od impiegato, cinquanta ad ogni industriale o commerciante, cento ad ogni professionista e mille ad ogni professore; ciò che non costituisce né democrazia corporativa, né democrazia organica, né superamento dell’atomismo ottocentesco, ma semplicemente un ritorno, nemmeno mascherato, alle vecchie oligarchie;

 

4°) soltanto se si volesse superare il regionalismo e demandare la nomina dei senatori di categoria, ad un collegio unico nazionale, si potrebbe forse superare, o ridurre le ingiustizie; su cento posti uno potrebbe essere riservato alle Università, due alle professioni, tre agli industriali e così via; la proporzione sarebbe salva se 85 posti toccassero ai prestatori di lavoro. Ma allora tutta l’inutilità di un così complicato sistema salterebbe agli occhi di ognuno. In altri termini: o si crea una rappresentanza di interessi, con carattere preferenziale di certi interessi e di certe categorie rispetto ad altre, e si cade in una ingiustizia non tollerabile; o si raggiunge una rappresentanza veramente equilibrata e giusta, e allora non vale la pena di staccarsi dal suffragio universale che da solo serve benissimo allo scopo.

Si è molto insistito sulla necessità di differenziare la seconda Assemblea dalla prima. Su questo argomento sarà bene fare qualche altra osservazione. Una Nazione ha bisogno di essere governata e tutti ormai sono d’accordo nell’attribuire all’instabilità dei governi parlamentari molta parte delle nostre sciagure. Orbene, se, come si vuole, la seconda Camera dovrà avere poteri identici a quelli della prima, ma con posizione politica differente, l’instabilità del Governo continuerà ed il Paese sarà gettato, da quella stessa Costituzione che dovrebbe preservarlo da ogni sciagura, nell’impotenza e nell’anarchia.

Certamente si può immaginare un Senato scelto da un ristretto corpo elettorale o volto a rappresentare interessi non propriamente politici; ma allora occorre dare ad esso facoltà minori, o diverse, e occorre creare i congegni per cui il conflitto tra le due Camere possa esser risolto senza determinare crisi. Ma se le due Camere debbono essere eguali in dignità, funzioni, poteri, occorre anche che siano eguali come composizione politica; altrimenti i governi non potranno mai reggersi.

Frattanto è doveroso dichiarare che la proposta dell’onorevole Fuschini è quanto di meglio si sia finora trovato per conciliare le opposte esigenze. La qualificazione degli eleggibili, senza differenziare le due Camere politicamente, dà alla seconda quel carattere di maggior ponderazione e di maggiore competenza tecnica, che sono per l’appunto i requisiti che si richiedono al Senato. Per conseguire, appunto, la necessaria differenza di composizione tecnica, e non politica, fra le due Camere, i requisiti richiesti dal progetto dell’onorevole Fuschini potranno essere riesaminati e resi più severi; così potrà essere evitato il pericolo accennato dall’onorevole Piccioni e cioè che possano diventare senatori tutti coloro che hanno i titoli praticamente indispensabili per essere candidati alla prima Camera.

In ogni modo, osserva che il vantaggio sostanziale della bicameralità non risiede nella maggiore preparazione tecnica dei membri della seconda Camera, e tanto meno in una diversa composizione di questa, rispetto alla prima; risiede soltanto nel tempo. Non è l’obbligo del riesame; sono i mesi che passano, le eccitazioni che si spengono, la naturale maturazione dei progetti che costituiscono la vera, la solida, la intrinseca garanzia del sistema bicamerale.

Nel dichiarare che il gruppo socialista è pronto ad accettare la proposta dell’onorevole Fuschini, salvo i perfezionamenti di forma che potranno essere introdotti, fa anche un vivo appello al senso di responsabilità politica e storica di tutti i commissari. Occorre che l’Italia abbia presto una Costituzione, votata a larga maggioranza e capace di raccogliere amplissimi consensi. È questo che ha spinto i socialisti ad accettare alcune proposte ben lontane dalle loro preferenze teoriche.

Eguale sentimento avranno anche i commissari appartenenti agli altri gruppi politici. Ad essi i socialisti chiedono di accettare il progetto di uno dei loro esponenti, non basato su una rappresentanza corporativa, irrealizzabile nei limiti della giustizia, pericolosa e fuori dei tempi.

GRIECO prende la parola perché crede che da parte del suo gruppo, a nome del quale parla, sia necessario fare un’affermazione di principio, specie dopo le chiare, nette dichiarazioni dell’onorevole Piccioni in merito al problema in discussione. A suo avviso l’intervento dell’onorevole Piccioni ha riportato la questione al punto di partenza, mentre sembrava, dopo i discorsi degli onorevoli Lami Starnuti e Lussu, che sarebbe stato possibile giungere presto ad una conclusione.

Dichiara frattanto all’onorevole Conti che egli non è favorevole alla tesi così chiaramente prospettata dall’onorevole Piccioni. Però l’onorevole Conti avrebbe torto se pensasse che gli sforzi per trovare dei punti d’accordo sulle varie questioni non siano degni dei componenti la Sottocommissione. Non può esservi nessun dubbio che in seno alla Sottocommissione si faccia della politica. Si sta lavorando alla Costituzione, cioè ad uno strumento politico fondamentale. Questo strumento non può essere fatto che da uomini politici, con l’aiuto, se necessario, di specialisti e di tecnici, i quali debbono, però, servire gli intendimenti degli uomini politici. Fissato questo criterio, che gli sembra inoppugnabile, occorre formulare il più rapidamente possibile un progetto di Costituzione che venga approvato dalla grande maggioranza dell’Assemblea costituente. Ciò importa e potrà comportare concessioni reciproche. C’è da supporre che ne farà anche l’onorevole Conti, nonostante il suo animo deciso nell’affermare certi suoi principî. Secondo il criterio espresso dall’onorevole Piccioni, un’Assemblea legislativa che sia la rappresentante delle cosiddette forze organiche, e vive – cioè degli interessi materiali e morali catalogati in categorie professionali – sarebbe una espressione moderna della democrazia, di una democrazia «aggiornata», come egli si è espresso. L’onorevole Piccioni si è persino meravigliato che i comunisti, i socialisti, i quali assegnano nelle loro dottrine una parte tanto importante ai fattori economici, rifuggano dall’accedere alla tesi di una rappresentanza organica.

Innanzitutto vorrebbe ricordare all’onorevole Piccioni che non è vero che i comunisti riconducano tutto ai fatti economici. Una simile interpretazione della dottrina comunista appartiene a certa letteratura polemica avversaria che indubbiamente non è molto elevata. I comunisti sanno bene che vi sono numerosi fattori che intervengono nel determinare il moto della storia. Essi reputano che i fatti economici, i quali non sono sempre evidenti o prominenti, sono però quelli che decidono in ultima istanza. In questo senso si può affermare che la storia è stata ed è una storia della lotta delle classi – il che vuole dire che non è solo storia economica, ma anche politica, ideologica, culturale; è storia dell’ascesa, dell’egemonia di certe classi e del declino e della scomparsa di altre.

È precisamente questo modo di vedere i fatti della storia che induce a dissentire dal punto di vista dell’onorevole Piccioni. Questi sembra temere la lotta delle classi, che è il lievito della storia; parla con un colto disprezzo del secolo XVIII, che è il secolo della Rivoluzione francese, della grande vittoria rivoluzionaria della borghesia, da cui sono derivate le elementari libertà politiche moderne, e cerca di attutire i contrasti sociali. In questa ricerca vana, che lo obbliga a ricorrere ad espedienti, l’onorevole Piccioni vede l’attuazione della democrazia. A suo avviso invece la democrazia moderna comporta un’esigenza diversa, cioè, che le masse lavoratrici intervengano come protagoniste della vita politica, e trovino aperte le vie legali, per assurgere a classe dirigente della società nazionale. Per raggiungere questo scopo esse debbono superare i ristretti limiti degli interessi di categoria e salire alla visione degli interessi generali, nazionali. Questo a suo avviso è il contenuto, il senso della democrazia moderna.

L’onorevole Piccioni può vedere che in tutto questo non vi è – né potrebbe esservi – alcun riferimento ad una concezione atomistica. L’atomismo fu un enorme progresso del XVIII secolo, quando occorreva rompere l’involucro feudale della società, spezzare gli ordini medioevali, e liberare la figura del cittadino, del borghese. Ma la borghesia, nel suo prodigioso sviluppo sociale e per sviluppare le forze produttive, ha dovuto dar vita e sviluppo a una nuova classe, che è la netta contradizione dell’atomismo e dell’individualismo. Ora, la storia deve fare i conti con questa classe. È vero che la coscienza di classe dei lavoratori si è formata e si forma più o meno lentamente ed attraverso lotte, spesso durissime, attraverso temporanee sconfitte e conquiste parziali. Ma in questa lotta, la classe dei lavoratori ha superato i limiti della categoria e la concezione strettamente e puramente economica, senza di che non poteva aspirare a diventare classe dirigente, cioè classe politica. Così dalle prime organizzazioni di categoria, isolate, si è arrivati alle Federazioni di categoria e da queste alla Confederazione di tutti i lavoratori. Si è superato il riformismo ed il sindacalismo strettamente corporativo, ai quali ha fatto riferimento l’onorevole Ambrosini, citando alcuni passi di un discorso dell’onorevole Cabrini, sul cui pensiero non è opportuno insistere per fare una critica dei partiti politici di massa. I partiti, infatti, sono l’espressione superiore della coscienza politica delle masse lavoratrici. Non è possibile quindi pensare oggi ad una assemblea legislativa nella quale rappresentanti siano espressione di categoria. Politicamente parlando, sarebbe questo un grande salto indietro.

Inoltre, come accennava ieri l’onorevole Lussu, ciò sarebbe un tentativo di collaborazione di classe forzato. Rileva infine che nessuno, parlando della possibilità di una rappresentanza degli interessi, ha proposto, ad esempio, che la seconda Camera debba essere l’espressione proporzionale delle forze numeriche delle varie categorie. È evidente: perché in tal modo si avrebbe una Camera di rappresentanti dei lavoratori. Allora a cosa può servire una Camera legislativa che non rifletta l’entità delle forze sociali che pretende di rappresentare? E dove sarebbe la democrazia in un’assemblea simile?

Si potrebbe anche discutere, in separata sede, dell’eventualità di creare un Parlamento economico, con compiti consultivi. Ma qui si tratta della seconda Camera legislativa, la quale deve sempre ed in ogni caso rispecchiare in sé il rapporto delle forze politiche esistenti nel corpo che l’ha eletta, perché, se ciò non fosse, la rappresentanza della seconda Camera sarebbe falsata.

In ogni modo, poiché si è tornati a parlare di competenze, di Camere di competenti, sarà bene riconfermare che una Camera legislativa ha sempre in sé le competenze della sua epoca. Se ne fosse priva o largamente deficiente, ciò starebbe a significare un regresso nella società civile, e allora con nessun espediente si potrebbe dare ad un’assemblea ciò che non esiste. Ma per fortuna non si è a questo. È stato già dimostrato che l’Assemblea Costituente ha numerose e solide competenze in ogni ramo, dai professori agli avvocati, dagli industriali ed agrari agli organizzatori sindacali, operai, e così via.

La fissazione di certi titoli individuali per l’eleggibilità alla seconda Camera potrebbe aumentare il numero delle competenze specifiche.

Per queste ragioni, oltre a quelle esposte dall’onorevole Lami Starnuti e dall’onorevole Rossi, dichiara di mantenere il proprio ordine del giorno, nel quale si potrebbe introdurre qualche norma più precisa intesa a rafforzare un carattere regionale della rappresentanza. In ogni modo, se l’onorevole Fuschini mantenesse il suo, si potrebbe vedere di introdurvi qualche modifica, si da raggiungere la formulazione di un testo accetto alla maggioranza dei componenti la Sottocommissione.

LUSSU intende chiarire la posizione a suo tempo assunta dall’onorevole Cabrini, visto che l’onorevole Ambrosini nel suo discorso vi ha fatto un espresso riferimento. Giustamente l’onorevole Rossi ha parlato di Sorci. Ora le idee di Sorci hanno portato alla formazione di due correnti politiche: una prima, che si potrebbe chiamare di estrema sinistra, rimasta più aderente alla dottrina soreliana, sostenne l’organizzazione dei sindacati operai al di fuori del gioco parlamentare, in vista di una vera e propria attività rivoluzionaria; la seconda, interpretata proprio dall’onorevole Cabrini, voleva indirizzare invece la lotta del proletariato verso il Parlamento. Pertanto l’onorevole Ambrosini, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, è stato estremamente imprudente, perché si è ricollegato a una tendenza politica condannata proprio dal gruppo democristiano.

AMBROSINI dichiara che, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, intendeva facilitare un accordo tra due gruppi contrastanti. Il suo intendimento pertanto non è stato ben compreso dall’onorevole Lussu.

NOBILE desidera sapere se, quando si parla di categorie, come avviene nell’ordine del giorno proposto dall’onorevole Mortati, ciò si debba intendere nel senso che, por essere eleggibili, basti appartenere ad esse, oppure che occorra rivestire entro le categorie stesse determinale funzioni.

MORTATI, Relatore, fa presente come sia stato chiesto, da parte dell’onorevole Laconi, che si specificasse qual era la ragione di carattere democratico che induceva ad attribuire un peso predeterminato alla rappresentanza di categorie. Secondo l’onorevole Laconi, tale predeterminazione sarebbe contraria al principio della spontanea scelta degli eligendi e degli spontanei adattamenti della rappresentanza alla volontà della maggioranza. Sta di fatto che è invece un’esigenza democratica la quale induce a far ricorso a una tale predeterminazione, e ciò in base a parecchie ragioni.

Innanzitutto un motivo tecnico, quindi uno più propriamente politico e infine un motivo specifico di giustizia sociale. Dal punto di vista tecnico gli sembra ormai un concetto acquisito l’utilità di una rappresentanza di persone particolarmente competenti, considerata la sempre maggiore estensione dei compiti dello Stato nella sfera tecnico-economica. Ora, ci sono effettivamente queste persone particolarmente competenti nell’attuale Parlamento? L’elezione indifferenziata assicura veramente una rappresentanza di competenze? A una tale domanda non si può rispondere che negativamente, e ciò in base all’esperienza, che mostra una prevalenza di persone, che non sono sempre le più adatte a risolvere quelle questioni tecniche ed economiche, che hanno tanto peso nella legislazione moderna. Onde l’opportunità che la spontanea scelta affidata agli elettori sia limitata dall’intervento del legislatore. La Sottocommissione in una precedente riunione ha negato la facoltà al Governo di emettere provvedimenti d’urgenza: eppure la necessità di tali provvedimenti si è affermata non soltanto nel regime fascista, ma anche nella Francia ultra democratica, anche per questa incapacità del Parlamento a conoscere dei problemi tecnici, che occupano tanta parte nella legislazione odierna. Ma, se si nega al Governo il potere di emettere leggi, si deve tendere a formare un Parlamento il quale sia idoneo a farle, altrimenti, nonostante tutti i divieti, si ritornerà per forza di cose all’inconveniente costituito dall’emanazione dei decreti-legge, che producono gravi conseguenze, perché trasferiscono il potere legislativo nelle mani della burocrazia, sottraendolo ai rappresentanti del popolo. La predeterminazione in quote di una rappresentanza particolarmente qualificata corrisponde, pertanto, all’esigenza di una legislazione improntata a sempre maggiore tecnicismo.

C’è poi un’esigenza politica, che è quella di fare un Parlamento sempre più rappresentativo delle energie viventi nella Nazione. Ora con lo schieramento dei partiti, così come si attua oggi, c’è la possibilità di avere un Parlamento che rappresenti effettivamente tutte le molteplici forze della Nazione? L’esperienza dimostra che ciò non avviene. Il Parlamento indifferenziato non rispecchia interamente la realtà sociale, perché esistono, come tutti sanno, alcune forze assai potenti che vivono e si affermano autonomamente, al di fuori dei partiti.

C’è poi un’altra esigenza, di giustizia sociale, che è la più importante e che dovrebbe essere sentita specialmente dalla parte politica cui appartiene l’onorevole Laconi.

Attribuire, in ogni regione, una quota di rappresentanti ad ogni gruppo socialmente rilevante importa la conseguenza di eccitare coloro che la posseggono in modo meno intenso ad acquistare la coscienza dei propri interessi. In tale guisa si creano le condizioni idonee affinché il gioco politico riesca meglio equilibrato, e sia reso meno facile il prevalere di ceti politicamente più maturi a danno degli interessi di altri più imperfettamente organizzati.

Certo gli accorgimenti di tecnica legislativa non possono conferire efficienza politica a chi difetta dei requisiti necessari. Essi possono tuttavia riuscire utili in quanto creano le condizioni ed offrono gli impulsi a che i più deboli possano gradualmente mettersi in grado di acquistare un peso adeguato alla funzione sociale esercitata.

Agendo in questo modo si procede in una direzione che è caratteristica della democrazia moderna, la quale tende a trasformare in libertà sostanziali quelle puramente formali del vecchio liberalismo.

Nella discussione odierna la visuale si è ampliata, ma non pare che le cose dette portino motivi veramente nuovi contro la tesi sulla quale si controverte.

Si è parlato della rappresentanza di categorie come di un regresso e come un ritorno alla rappresentanza corporativa anteriore alla Rivoluzione francese. Ora, bisogna ricordare che la Rivoluzione francese ebbe a negare la legittimità di corpi od organismi che venissero a rompere l’immediatezza del rapporto fra cittadino e Stato. Ognuno ha nella memoria i divieti che furono posti contro il formarsi di associazioni professionali, e le disposizioni di alcune Costituzioni del periodo rivoluzionario che guardavano con sospetto la formazione dei partiti politici. Ma, poiché non si poteva andare contro la realtà, questi gruppi si formarono molto presto e la struttura sociale si intessé nella trama degli enti particolari, partiti ed associazioni professionali. Di queste forze solo i partiti sono presenti quali elementi di formazione delle assemblee politiche. È opportuno che questa limitazione continui a sussistere? La risposta potrebbe essere affermativa solo a condizione che si accollasse la idoneità dei partiti, così come sono composti e come agiscono attualmente, a riflettere esattamente la realtà sociale. Dalle stesse impostazioni rilevabili nel precedente discorso dell’onorevole Grieco si possono trarre elementi in contrario. I partiti sono portati ad imperniare la lotta politica su astrazioni o addirittura su miti. Uno di questi è per esempio la classe lavoratrice, che non esiste in realtà, esistendo in realtà solo categorie di lavoratori con interessi diversi fra di loro. I lavoratori autonomi in Italia rappresentano più della metà della popolazione lavorativa: possono essi venire inclusi in una stessa massa indifferenziata od avere gli stessi obiettivi d’azione politica?

Sono antiche le accuse di deficienza di concretezza rivolte contro i partiti. Si può ricordare a questo proposito il giudizio negativo su questi dato in un noto lavoro dello Ostrogorski, che proponeva di sostituirli con leghe temporanee, formate sulla base non già di astratti principî, ma di questioni concrete e di specifici interessi.

Poiché nella società odierna esistono gruppi stabilmente formatisi per la tutela di concreti interessi, sembra opportuno utilizzarli anche nel campo politico, mettendoli in condizione di acquistare una sensibilità, e capacità, che consentano loro di considerare le loro esigenze in funzione di quelle aventi carattere generale.

È stato anche osservato che con una rappresentanza organica, si giungerebbe ad esasperare il contrasto fra le varie classi. Appare invece più esatto ritenere che la partecipazione di varie classi ad un consesso, in cui ciascuna sia messa in grado di esprimere le proprie esigenze in confronto a quelle delle altre, giovi a facilitare l’intesa reciproca. Neppure è esatta l’accusa mossa dall’onorevole Lussu, secondo cui il trasporto nel Parlamento degli interessi delle classi in contrasto fra loro sarebbe antidemocratico, impedendo la libera difesa e tutela dei medesimi. Evidentemente la possibilità d’avvicinamento fra i vari interessi, sul piano parlamentare, non esclude l’impiego dei mezzi di difesa consentiti dalla legge, ove un’intesa pacifica non debba raggiungersi…

Non è vero poi che, se sarà formata una seconda Camera sulla base di una rappresentanza organica, e se ossa avrà funzioni pari alla prima, si verrà ad attentare alla sovranità popolare, visto che tale parità, come è stato ripetutamente rilevato, non dovrà condurre ad una supremazia della seconda Camera sulla prima, e visto anche che, in caso di conflitto fra le due Camere, si potrà sempre far ricorso al popolo mediante il referendum e lo scioglimento delle Assemblee.

(La seduta, sospesa alle 18.50, è ripresa alle 19.15).

PRESIDENTE crede che l’ampiezza della discussione sia stata utile sotto molti punti di vista, e soprattutto in quanto, attraverso essa, si è potuto esaminare a fondo il problema della formazione della seconda Camera.

Ciò premesso, rileva che nel corso della discussione si sono definite e irrigidite due posizioni in contrasto, il che costituisce il momento più spiacevole del lungo periodo di lavoro finora trascorso in seno alla Sottocommissione, perché in generale, anche attraverso un certo dissidio di opinioni, si è sempre finito – salvo per pochi casi non troppo importanti – col trovare un contemperamento sul quale si sono riuniti i voti di una notevole maggioranza. Invece, molto probabilmente una votazione affrontata nella odierna seduta darebbe luogo a un risultato di una superiorità assai relativa, il che costituirebbe una base aleatoria per la prosecuzione dei lavori anche in ordine al problema del funzionamento della seconda Camera. Personalmente è dell’avviso che, se non si possono avere delle decisioni di unanimità, sia quanto meno necessario avere delle decisioni in cui si affermi una notevole maggioranza.

Perciò pensa che sia bene accogliere il desiderio espresso da alcuni componenti la Sottocommissione, rappresentanti delle due posizioni contrapposte, di dare ancora un breve respiro alla discussione per cercare di trovare ima base di intesa. Se alcuni membri della Sottocommissione hanno manifestato tale desiderio, è perché forse hanno già intravisto qualche possibilità di avvicinamento e quindi, se non si accedesse a tale desiderio, si potrebbe in seguito sentire il rammarico di non aver acconsentito a questo tentativo.

Se la Sottocommissione è d’accordo, alla ripresa dei lavori si potrebbe senz’altro procedere alla votazione senza più alcun intervento, salvo, eventualmente, le dichiarazioni di voto, purché siano veramente tali e mantenute in un certo limite di tempo. Sarebbe anche opportuno che fin da ora si fissassero i punti sui quali dovrà avvenire la votazione, in modo che ciascuno possa sapere su che cosa dovrà dichiararsi.

Crede che approssimativamente i punti su cui si dovrà votare siano gli stessi sui quali già in precedenza si ritenne che si sarebbe dovuto farlo. Essenzialmente la questione verte attorno alla base elettorale, sé cioè essa debba essere differenziata, o meno, se debba essere totalmente differenziata o solo parzialmente; gli altri punti poi derivano direttamente dalla soluzione che si darà a questo primo quesito.

Il secondo argomento, nell’ipotesi che prevalga la tesi della base elettorale indifferenziata, potrebbe essere quello di trasferire il principio della rappresentanza di interessi sul terreno dei requisiti di eleggibilità. Ove anche questo criterio fosse affermato, si tratterebbe di decidere se la differenziazione debba essere fatta in base a proporzioni fisse, oppure a indicazioni rilasciate alla scelta e alla volontà degli elettori. Un quarto punto sarebbe quello del sistema elettorale: diretto o di secondo grado.

Raccomanda frattanto a chiunque pensi di presentare un ordine del giorno sulle diverse questioni finora discusse di attenersi a questa progressione logica, per facilitarne la votazione.

Pone ai voti la sospensiva.

(È approvata).

PICCIONI domanda se è possibile avere qualche informazione circa i lavori del Comitato incaricato dell’esame delle autonomie regionali, perché questo è l’argomento che andrebbe affrontato subito dopo la votazione della questione della formazione della seconda Camera.

AMBROSINI dà notizia che nella mattinata il Comitato si è riunito ed ha esaminato in primo luogo il criterio di formulazione degli articoli, e specialmente il punto di vista, difeso dall’onorevole Zuccarini, secondo il quale bisognerebbe partire dal comune per arrivare alla regione. Altri erano invece dell’idea che bisognasse prima affermare la vita della regione e disciplinarla, per passare poi ai comuni e agli enti locali. Dopo una discussione di alto interesse, durata circa due ore, si è passati all’esame di alcuni punti specifici; se cioè occorra stabilire un ordinamento uniforme per le regioni, oppure se sia opportuno, con una clausola speciale, lasciare la possibilità che alcune regioni abbiano una posizione giuridica diversa, quindi se non sia opportuno – secondo l’opinione dell’onorevole Grieco a cui egli ha finito por accedere – che siano tassativamente indicate le regioni per le quali si dovrebbe fare un trattamento particolare, in vista della situazione speciale nella quale si trovano. Approvato questo punto di vista, si è esaminata l’opportunità di seguire un articolato preciso per discutere su punti concreti, e il Comitato ha deciso – naturalmente con la sua personale astensione e col voto contrario dell’onorevole Zuccarini per le ragioni di cui sopra – di discutere sullo schema che aveva formulato. Riguardo ai comuni, ha potuto rilevare con soddisfazione che le proposte formulate dall’onorevole Lami Starnuti non differiscono sostanzialmente dal punto di vista del Comitato; difatti l’onorevole Lami Starnuti nelle sue dichiarazioni ha fatto comprendere che soltanto la disposizione fondamentale che riguarda l’autonomia dei comuni dovrebbe essere inserita nella Costituzione, mentre tutte le altre disposizioni che ne disciplinano la struttura e la vita andrebbero trasferite in una legge speciale di carattere costituzionale.

Ha avuto dunque l’impressione che si possa arrivare ad un’intesa generale, visto anche che gli emendamenti dell’onorevole Grieco possono in gran parte accettarsi. Un punto di dissenso potrebbe manifestarsi soltanto in merito all’ammissione o meno della legislazione cosiddetta primaria e ai limiti da attribuirle. Crede tuttavia che anche su questo punto si potrà arrivare ad un accordo, perché sia gli emendamenti dell’onorevole Grieco che quelli dell’onorevole Lami Starnuti concordano nel riconoscere alla regione una facoltà di legislazione secondaria di integrazione.

Ciò premesso, dichiara che il Comitato è a disposizione della Sottocommissione per le direttive che eventualmente voglia impartirgli.

La seduta termina alle 19.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Mannironi.

Assenti: Castiglia, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Targetti.

MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Tosato – Lussu – Di Giovanni – La Rocca – Laconi – Uberti – Fabbri – Nobile – Presidente – Conti, Relatore – Porzio – Lami Starnuti – Bozzi – Piccioni – Russi Paolo.

La seduta comincia alle 17.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

TOSATO ritiene che la discussione finora avvenuta non sia stata del tutto inutile perché, diversamente da quel che può sembrare, un certo avvicinamento si è operato, nel corso di essa, fra le diverse opinioni in contrasto. In un primo momento, infatti, i punti di vista erano del tutto divergenti: da un lato si richiedeva che la seconda Camera fosse rappresentativa soltanto di interessi indifferenziati, genericamente intesi: dall’altro, invece, che essa fosse l’espressione soltanto di interessi differenziati, cioè di categoria. Attraverso la discussione queste due tesi in contrasto si sono notevolmente avvicinate: infatti, coloro che erano favorevoli alla prima ipotesi hanno finito con l’ammettere la necessità di una certa differenziazione, vale a dire che debbano essere richiesti alcuni requisiti specifici di eleggibilità, oltre a quelli genericamente intesi; mentre i fautori della seconda ipotesi hanno mostrato di abbandonare l’idea di una rappresentanza esclusiva degli interessi differenziati di categoria, per accedere all’idea di una rappresentanza parziale – per una metà o per un terzo – di tali interessi.

Pertanto si è arrivati ad ammettere da ambedue le parti che per la elezione dei senatori non siano più sufficienti i requisiti generici di eleggibilità, che si richiedono per l’elezione dei deputati. La conclusione a cui si è arrivati è perfettamente logica, perché, se fossero richiesti soltanto i requisiti generali di eleggibilità per i membri della seconda Camera, questa verrebbe ad essere del tutto eguale alla prima, il che certo, almeno ai più, non sembra opportuno.

Frattanto, trovato questo primo punto di intesa, la questione che sorge, sulla quale possono di nuovo manifestarsi opinioni contrastanti, è quella relativa alla determinazione di questi requisiti specifici di eleggibilità.

A tale proposito si può distinguere innanzi tutto il requisito relativo all’età: mentre per le leggibilità alla prima Camera è stata stabilita l’età di 25 anni, per l’eleggibilità alla seconda si dovrebbe stabilire una età maggiore; sul che quasi tutti sono d’accordo.

In secondo luogo, possono essere distinti i requisiti specifici attinenti alla qualità dell’eleggibile, ossia ai suoi attributi, alle funzioni sociali che egli eventualmente può svolgere. Anche su questo punto si può essere d’accordo, perché è evidente l’opportunità che l’eleggibile alla seconda Camera abbia qualche carattere particolare che lo distingua dalla comune persona che può essere eletta alla Camera dei Deputati.

In ogni modo, per la determinazione dei requisiti specifici di eleggibilità dovrebbero essere adottati due criteri, uno negativo e l’altro positivo: il primo. nel senso di escludere tutti quei requisiti che possono essere indice di un privilegio sociale, come ad esempio il censo o l’appartenenza ad una determinata classe, sul che tutti evidentemente non possono che essere di una stessa opinione; il secondo, per il quale i requisiti specifici dovrebbero stare ad indicare una funzione sociale attiva, un’attività produttiva utile alla società, svolta dall’eleggibile. Anche su quest’ultimo punto non crede che sia troppo difficile trovare un accordo.

Le difficoltà più gravi sorgono invece quando si deve stabilire se tali requisiti debbano essere determinati a titolo puramente individuale, oppure in relazione a date categorie sociali di cui la seconda Camera dovrebbe essere l’espressione. Se si raggiungesse l’intesa su quest’ultimo punto, la questione si sposterebbe nel senso che sarebbe necessario stabilire la proporzione con cui le varie categorie, fissate attraverso i requisiti specifici di eleggibilità, dovrebbero essere rappresentale nella seconda Camera. A suo avviso anche tale difficoltà può essere agevolmente sormontala: si tratta, in fondo, di trovare gli adattamenti necessari per impedire che gli interessi di una data categoria possano cristallizzarsi ai danni degli interessi di un’altra. Il problema potrebbe essere risolto facilmente, specie se si ammettesse il principio che la determinazione degli appartenenti ad una data categoria debba essere stabilita dalla legge, su proposta delle singole regioni. Il tal modo verrebbe concesso un certo margine di discrezionalità nelle decisioni da adottare in questo campo, ciò che impedirebbe il sorgere di ogni pericolo di cristallizzazione delle varie categorie, e quindi ogni possibilità di irrigidimento della fluida realtà sociale, a cui alcuni oratori, con legittimo senso di preoccupazione, hanno fatto espresso riferimento.

Con la soluzione delle questioni intermedie ora accennate, si potrebbe trovare un punto di confluenza fra le varie opinioni in contrasto e, senza eccessive difficoltà, si potrebbe dar vita ad una seconda Camera rispondente alle fondamentali esigenze di un ordinamento democratico e che, nello stesso tempo, non fosse una copia o un doppione dell’altra.

LUSSU osserva come non vi sia una gran differenza tra una seconda Camera quale la vorrebbe l’onorevole Tosato e la Camera delle Corporazioni.

DI GIOVANNI ricorda che a suo tempo, per una riforma del vecchio Senato, furono compiuti degli studi ed una Commissione, composta degli onorevoli Beneduce, Labriola ed Abbiate, formulò un progetto, nel quale si prevedeva un maggior numero di categorie di senatori e nello stesso tempo l’istituzione di un Consiglio superiore del lavoro. In sostanza, se si costituisce una seconda Camera con una rappresentanza, almeno parziale, di interessi di categoria, si viene a riassorbire in essa il Consiglio superiore del lavoro progettato da quella Commissione.

A suo avviso, non v’è dubbio che alcune determinate categorie debbano essere rappresentate nella seconda Camera; ma, accanto a questa rappresentanza organica degli interessi, deve esservi anche una rappresentanza politica. Da ciò assolutamente non si può prescindere. Fissati questi criteri, occorrerà stabilire le modalità per l’elezione dei senatori. In ogni modo, si può essere senza altro favorevoli al principio di richiedere, per l’eleggibilità dei membri della seconda Camera, una età maggiore, da fissarsi ad esempio in anni 40, di quella richiesta per l’elezione dei deputati della prima Camera.

LA ROCCA ritorna sulla sua concezione, secondo cui, posto che si è stabilito di attribuire alle due Camere eguali funzioni politiche e legislative, la seconda deve avere la stessa fonte di potere della prima, ossia la volontà popolare, attraverso il suffragio eguale, diretto e segreto. Con ciò non si vuole creare una seconda Camera che sia un doppione dell’altra: per evitare un simile inconveniente occorrerebbe fissare, per gli eleggibili alla seconda, determinati requisiti diversi da quelli richiesti per essere eletti deputati. Il carattere distintivo tra le due Camere dovrebbe proprio essere dato dal fatto che tutti i cittadini potrebbero essere eletti deputati, mentre non tutti potrebbero essere eletti senatori. Potrebbero, ad esempio, essere considerati eleggibili alla seconda Camera i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno esercitato date mansioni per un certo numero di anni.

Tiene a far presente poi la necessità di risolvere con la maggior rapidità possibile e definitivamente il problema della formazione della seconda Camera perché essa, insieme alla prima, molto probabilmente sarà chiamata ad eleggere il futuro Capo dello Stato. Se nel momento di tale elezione la seconda Camera non fosse stata formata, si dovrebbe far ricorso a una legge speciale, il che sarebbe sommamente deprecabile.

LACONI constata che si è compiuto un notevole sforzo di avvicinamento fra gli esponenti del gruppo di cui egli fa parte e gli altri, specie quando l’onorevole Mortati ha proposto di sostituire ad una rappresentanza determinata in modo indifferenziato una rappresentanza qualificata. Fu appunto per avvicinarsi a tale concetto che il suo gruppo accettò che si stabilissero determinate condizioni per l’eleggibilità alla seconda Camera.

A tale proposito, però, osserva che l’obbiettivo da proporsi non può essere soltanto quello di avviare le cosiddette forze vive alla rappresentanza della seconda Camera, ina anche l’altro di far avvicinare quanto più è possibile alla vita politica le forze che ne sono ancora assenti. Non si può quindi accettare la tesi di dividere il corpo elettorale in determinate categorie, perché in tal caso resterebbe esclusa dalla vita politica una gran parte di cittadini, e ritiene che, mediante la determinazione dei requisiti di eleggibilità e l’adozione del suffragio universale, sia possibile raggiungere i due obiettivi fondamentali di una Costituzione democratica: dare adeguata rappresentanza alle forze vive e far accedere le più vaste masse della popolazione alla vita politica del Paese.

Non vede però in qual modo sia possibile predeterminare la proporzione con cui le diverse forze vive del Paese dovranno essere rappresentate perché lo stesso concetto di forza viva, ossia di vita, ripugna evidentemente a qualsiasi definizione. È meglio che la rappresentanza di tali forze sia determinata dalla libera volontà popolare.

Non sarebbe nemmeno, a suo avviso, consigliabile accordare alle Assemblee regionali la facoltà di stabilire volta per volta la proporzione con cui le forze anzidette dovranno essere rappresentate nella seconda Camera, perché con l’adozione di un simile criterio si arriverebbe indubbiamente al caos.

Egualmente sconsigliabile gli sembra l’idea di stabilire volta per volta con leggi speciali il diverso peso da attribuirsi alle varie categorie, perché tali leggi dovrebbero essere rinnovate di continuo, visto che la vita di ogni regione non può che mutare rapidamente, soprattutto in un periodo, come l’attuale, di intensa attività ricostruttiva. In ogni modo, il fatto stesso di dover integrare con leggi speciali una Costituzione su un punto di così fondamentale importanza, sta a denunciare l’insufficienza del principio della rappresentanza di categoria.

Concludendo, manifesta l’impressione che si stia cercando la soluzione di un problema che non ne ha o meglio che ne ha una sola, assai chiara: quella di non vincolare la volontà popolare, che è l’unica che possa determinare la diversa proporzione con cui dovranno essere rappresentati i vari interessi della Nazione.

UBERTI ritiene, poiché alcune difficoltà si oppongono all’accoglimento della tesi proposta dall’onorevole Tosato, che sia opportuno riprendere in esame il progetto dell’onorevole Ambrosini, nel quale si prevede la rappresentanza degli interessi di categoria, ma in misura ridotta. Fa presente che una base reale per la determinazione delle varie categorie si può trovare nel censimento del 1936, che contiene l’indicazione dell’appartenenza di tutti i censiti ad una determinata categoria.

Queste forze vive esistono: ciò a cui si deve tendere è che i rappresentanti diretti delle singole categorie produttive, imprenditori e lavoratori – naturalmente su base paritetica, per impedire spostamenti di equilibrio – possano entrare a far parte della seconda Camera, sì che non solo i contrasti fra imprenditori e lavoratori, ma anche le questioni intrinseche della produzione possano essere esaminate in tale sede. L’attuale distacco esistente tra l’Assemblea Costituente ed il popolo deriva forse dal fatto che in seno a questa non v’è una rappresentanza diretta, ma solo una rappresentanza occasionale dei vari interessi di categoria.

Il progetto dell’onorevole Ambrosini prevede che la rappresentanza della seconda Camera sia per un terzo di interessi di categoria e per due terzi regionale, ed egli lo trova giusto, perché è necessario che le varie energie locali siano rappresentate in Senato, in modo da far sentire il loro peso nella vita collettiva del Paese.

Spesso nei comuni si sollevano proteste contro lo Stato; ma il giorno in cui i rappresentanti comunali potranno essere ammessi nel Parlamento e potranno così rendersi conto delle reali possibilità dello Stato, molte di tali proteste cadranno nel nulla.

Frattanto, poiché si deve procedere alla costituzione immediata della seconda Camera, ritiene che, in via provvisoria, potrebbero essere utilizzati alcuni enti già esistenti, quali le Camere di commercio, gli organismi sindacali, le organizzazioni agricole, commerciali, industriali e i Consigli provinciali dell’agricoltura. In altri termini, secondo il suo avviso, si dovrebbe ammettere la rappresentanza dei grandi interessi, cioè dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, del lavoro e, eventualmente, della scuola. Solo così si potrebbe avere un primo, efficace esperimento nella rappresentanza delle forze vive del Paese.

Dichiara infine di non condividere l’opinione dell’onorevole Laconi, il quale si è espresso favorevolmente ad una elezione diretta di primo grado: ritiene infatti che con le elezioni di secondo grado si possa meglio addivenire alla formazione di un Senato competente e autorevole.

FABBRI osserva che, a parte il requisito, per i membri della seconda Camera, di un’età superiore a quella richiesta per i membri della prima, sul quale tutti sono d’accordo, per risolvere il problema in esame occorre più che altro stabilire il titolo per l’eleggibilità. A tal fine è necessario determinare quali siano le cosiddette forze vive del Paese, sulla elencazione delle quali non crede che possano sorgere grandi difficoltà. Esse sono le industrie, il commercio, la cultura, la banca, gli enti di assistenza, ecc. Fatta tale elencazione, si dovrà stabilire per ognuna di queste categorie il titolo rappresentativo che potrà conferire il requisito dell’eleggibilità. Sarebbe così risolta la questione se la rappresentanza della seconda Camera debba essere una rappresentanza politica o di interessi, e ciò perché si avrebbero contemporaneamente ambedue queste rappresentanze. Difatti, se si stabilisce, ad esempio, che il titolo per la eleggibilità in rappresentanza dell’industria è costituito dall’aver partecipato alla direzione di una azienda, o dall’aver fatto parte per un certo periodo di tempo della direzione della relativa organizzazione sindacale, colui che in base a tale titolo verrà eletto membro della seconda Camera sarà non solo un rappresentante della categoria dell’industria, ma anche un rappresentante politico, in quanto diventato tale mediante il suffragio dei suoi elettori.

Le difficoltà, a suo avviso, possono sorgere quando si dovrà procedere alla distribuzione delle categorie. A tale proposito osserva che non esiste regione italiana che non abbia un’agricoltura, una industria, un commercio, un’organizzazione bancaria, una Università e degli enti di assistenza. Quindi, ogni regione avrà i suoi rappresentanti per ciascuna categoria, o almeno per le principali.

Fissato il titolo di eleggibilità per ogni categoria e il numero dei senatori che ciascuna regione dovrà eleggere, si potrebbe infine sancire nella Costituzione che spetti alle Assemblee regionali, in occasione di ogni elezione, di stabilire la distribuzioni degli eligendi.

Adottati tali principî, ciascuno che abbia il titolo di eleggibilità per una determinata categoria potrà porre la sua candidatura. Ciascun partito sosterrà i propri candidati, e scomparirà ogni possibilità di conflitto tra il concetto di rappresentanza di interessi e il concetto di rappresentanza politica. Si riprodurrà, in largo modo, la fisionomia politica della prima Camera, ma con questa enorme differenza, che si tratterà di una Camera viva, e perché eletta su una base strettamente democratica, ossia da tutti i cittadini, e perché composta di uomini di provata esperienza, ciascuno nel proprio campo di attività.

Non crede giusto il rilievo dell’onorevole Lussu, secondo cui non vi sarebbe una gran differenza fra una seconda Camera basata, più o meno, su una rappresentanza di categorie e la Camera dei fasci e delle corporazioni. Questa, infatti, si basava su categorie prestabilite di sindacati aventi un certo numero predeterminato di lavoratori e di datori di lavoro, e la nomina dei suoi membri avveniva per decreto; mentre in una seconda Camera del tipo accennato, indipendentemente da ogni criterio paritetico quanto al numero dei datori di lavoro o dei lavoratori, la scelta dei rappresentanti sarebbe fatta liberamente da tutti gli elettori.

NOBILE domanda agli onorevoli Mortati e Tosato se essi, nelle loro proposte, quando parlano di rappresentanti di categorie, intendono riferirsi sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Nobile che nella proposta dell’onorevole Tosato la categoria del lavoro è considerata a parte, mentre nella proposta dell’onorevole Mortati ogni singola categoria comprende tanto i datori di lavoro quanto i lavoratori.

NOBILE rileva che, se tale è la proposta dell’onorevole Mortati, ogni ragione di contrasto non ha più ragione d’essere. Difatti i partiti di destra avranno come candidati i direttori di azienda o gli agrari; i partiti di sinistra gli operai o i contadini.

L’unica cosa da farsi sarebbe di tenere sempre aggiornati i dati statistici relativi agli appartenenti di ogni singola categoria, sì da poter avere una seconda Camera che effettivamente rispecchi in ogni momento gli interessi del Paese.

Se qualche difficoltà si può avere in questo campo, essa più che altro riguarda la scelta del sistema elettorale, circa il quale taluno ha parlato di elezioni di secondo grado. Tiene a dichiarare che non è favorevole a questo sistema, perché per sua esperienza ha potuto constatare che quando le elezioni avvengono in seno ad organismi ristretti si esercitano quasi sempre dello pressioni di carattere personale o si usano altri mezzi assai poco democratici, onde egli è favorevole al sistema del suffragio universale, uguale, diretto e segreto.

CONTI, Relatore, è contrario a una formazione della seconda Camera su base corporativa e quindi alle proposte fatte dagli onorevoli Mortati e Tosato, basate più o meno sulla rappresentanza organica degli interessi, perché l’attività umana non può essere incasellata in determinati schemi e categorie. Questo incasellamento mortifica la vita e va contro la realtà delle cose.

Per la costituzione della seconda Camera, a suo avviso, bisogna più che altro tener presente il futuro ordinamento regionale. Con l’accoglimento delle proposte degli onorevoli Mortati e Tosato, si finirebbe col perdere di vista l’autonomia delle regioni, sulla quale era da credere che la maggioranza dei componenti la Sottocommissione fosse ormai d’accordo. A tale proposito ricorda il concetto espresso in una precedente riunione dall’onorevole Lussu, e cioè che la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza delle regioni e quindi l’anello di congiunzione fra le regioni stesse e lo Stato. La rappresentanza regionale è, perciò, il primo elemento che occorre tener presente per la formazione della seconda Camera. Ora, affinché tale rappresentanza possa veramente esplicare la sua efficacia, occorre procedere all’elezione dei membri della seconda Camera non già col sistema del suffragio diretto, bensì con quello della votazione indiretta o di secondo grado. In altri termini, dovrebbero essere proprio le Assemblee regionali, costituite per la disciplina degli interessi della regione, ad inviare i loro rappresentanti nella seconda Camera. Soltanto così essa potrà essere composta di uomini di provata esperienza e di mature e ben fondate cognizioni.

Ritiene che anche per la cosiddetta rappresentanza degli interessi si dovrebbe far ricorso al criterio regionale.

Analogamente, sempre nell’ambito delle regioni, raccomanda di non dimenticare le organizzazioni operaie e non operaie, le istituzioni generiche, le istituzioni culturali (Università e anche scuole medie), i consigli comunali e le camere di commercio.

In conclusione, è favorevole al progetto Ambrosini, contenente alcune norme il cui concetto ispiratore è assai vicino al pensiero che ha sempre animato la sua condotta politica.

PORZIO osserva che l’odierna discussione, anziché chiarire, ha reso ancor più confuse le idee.

A suo avviso, per agevolare il compito della Sottocommissione, si dovrebbe anzitutto stabilire quale è il corpo elettorale della seconda Camera; in secondo luogo se i candidati debbano avere requisiti speciali. Evidentemente non si può parlare di tali requisiti, se prima non si è stabilito quale debba essere la fonte della seconda Camera.

Ritiene che una rappresentanza basata sulle cosiddette forze vive costituisca una limitazione per il futuro Senato che, a suo parere, dovrebbe avere il prestigio ed il decoro di un’Assemblea coordinatrice: i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero venire dalla regione, dalla provincia, dal comune, e dovrebbero essere eletti da tutto il corpo elettorale del Paese.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Porzio che nella riunione precedente la maggioranza della Commissione ha ritenuto opportuno un più approfondito esame generale del problema in esame. In ogni modo è convinto che, giunti alla fine della presente discussione, si ritornerà a quella successione logica di argomenti accennata dall’onorevole Porzio, col vantaggio però di aver conseguito una maggiore chiarificazione del problema nella seduta odierna.

LAMI STARNUTI ricorda di aver avuto l’impressione, quando in una delle precedenti riunioni l’onorevole Fuschini presentò il suo ordine del giorno, che le proposte da lui fatte potessero diventare la base di un voto che raccogliesse almeno l’adesione della maggioranza della Commissione. Le aggiunte, però, proposte dall’onorevole Tosato agli articoli formulati dall’onorevole Fuschini le hanno, a suo giudizio, profondamente trasformate, sicché l’adesione, che poteva essere concessa ai soli articoli dell’onorevole Fuschini, deve essere invece negata agli stessi articoli, se modificati secondo gli intendimenti dell’onorevole Tosato.

Ora, poiché è necessario addivenire ad un accordo per la risoluzione del problema in esame, prega gli esponenti degli altri gruppi politici di non riportare la questione al punto di partenza con le proposte dell’onorevole Tosato. L’accordo, infatti, diventerebbe impossibile, se la formazione della seconda Camera dovesse basarsi soltanto sulla rappresentanza organica degli interessi e non più su una rappresentanza politica.

Domanda all’onorevole Tosato se il caso limite di una seconda Camera composta interamente di sindaci non possa verificarsi con l’attuazione delle sue proposte. Vede che l’onorevole Tosato fa cenno di diniego. In ogni modo, è da osservare che, per giungere alla conclusione negativa dell’onorevole Tosato, occorrerebbe cambiare il sistema elettorale, nel senso cioè che si dovrebbe fare ricorso non più al sistema della proporzionale, ma a quello maggioritario, il che approfondirebbe il contrasto tra le due parti.

Rivolge pertanto un invito al gruppo democristiano di prendere in considerazione soltanto le proposte dell’onorevole Fuschini, perché ritiene che su di esse si possa arrivare a un voto di maggioranza della Sottocommissione.

BOZZI dichiara che, schematicamente, il suo pensiero può essere così riassunto: abbandonare l’idea di corpi elettorali distinti per categorie professionali e trasferire la rappresentanza delle così dette forze vive alle categorie degli eleggibili. Si tratta cioè di identificare titoli particolari di eleggibilità, per poter dare una rappresentanza a quelle che con espressione che doveva riferirsi, non già alle organizzazioni sindacali o agli ordini professionali, bensì alle attività sociali per sé considerate, sono state chiamate le forze vive della società nazionale.

Osserva che con l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Grieco si mira a creare una seconda Camera che sia una copia fedele della prima. Con ciò si ritorna al punto di partenza della discussione, perché il fine che si propone l’onorevole Grieco è appunto quello che la Sottocommissione ha voluto escludere quando ha approvato l’ordine del giorno relativo alla istituzione di una seconda Camera destinata a rappresentare le forze vive del Paese. Con tale espressione infatti si intendeva creare una seconda Camera che fosse integrativa della prima: un’assemblea che, pur essendo costituita dalla rappresentanza di interessi, intesi in senso largo, cioè economici e culturali, fosse anche un’Assemblea politica, in quanto tali interessi non potevano essere visti che in funzione di interessi generali, ossia politici.

Le divergenze potranno sorgere, come giustamente ha affermato l’onorevole Laconi, quando si tratterà di attribuire alla rappresentanza di queste forze vive questo o quel numero di seggi. Ma ciò è una conseguenza del fatto stesso di aver ammesso che tali forze vive debbano essere rappresentate nel futuro Senato. Se si dice, infatti, che la seconda Camera deve essere fondata su un principio politico diverso da quello su cui è fondata la prima, e che tale principio politico diverso consiste nella rappresentanza delle varie forze vive del Paese, assunte per sé stesse, con rilievo autonomo e di primo piano, evidentemente si ammette che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima e che, per conseguire tale scopo, occorre configurare la rappresentanza di quelle forze vive in modo diverso da quello in cui esse trovano la loro rappresentanza nella Camera dei Deputati. Quindi, la prima cosa da farsi è quella di individuare queste forze, in modo che esse possano avere la loro voce nel Senato. Raggiunto tale risultato, spetterà alla regione l’ulteriore compito di determinare le singole quote da attribuirsi a ciascuna forza viva. Si sa, infatti, che queste forze vive sono diversamente distribuite in ogni regione: in una, ad esempio, può avere maggiore importanza l’attività agricola, in un’altra quella industriale; e saranno le singole Assemblee regionali a stabilire il numero dei seggi che dovrà essere assegnato ad ogni data categoria fissata dalla Costituzione.

È stato osservato dall’onorevole Laconi che tale sistema non sarebbe democratico, in quanto porrebbe alcuni limiti inammissibili alla volontà degli elettori; ma a tale proposito si può affermare che una certa limitazione alla volontà del corpo elettorale esiste sempre, anche quando si tratta di elezioni a suffragio universale per la formazione della Camera dei Deputati, visto che l’elettore è costretto a scegliere i suoi rappresentanti nelle liste dei candidati proposte dai Comitati elettorali.

Quanto poi alla questione se i rappresentanti della seconda Camera debbano essere eletti a suffragio diretto o indiretto, ritiene che sia più opportuno il suffragio diretto, per varie considerazioni. Non si deve dimenticare che è stato stabilito il principio della parità delle funzioni tra le due Camere. Orbene, tale parità sarebbe un’affermazione più teorica che di fatto, se la seconda Camera dovesse trovare la legittimazione del suo potere in una forza democratica diversa da quella che dà vita e prestigio alla prima.

Inoltre, se si fa dipendere l’elezione dei rappresentanti della seconda Camera da alcuni determinati organismi, quali ad esempio i Consigli comunali o provinciali, si assegnano a questi compiti non più amministrativi, ma politici, deformandone il carattere; il che non sembra opportuno.

Infine fa considerare che non è conveniente collegare la seconda Camera con la sorte dei Consigli comunali e provinciali o delle stesse Assemblee regionali, perché i membri di tali organismi possono sempre cessare di appartenervi, in quanto, ad esempio, può venire a mancar loro a un dato momento la fiducia popolare. Questo collegamento creerebbe complicate situazioni per far coincidere le elezioni comunali o provinciali o delle Assemblee regionali con quelle politiche; e accentuerebbe, con grave danno, il carattere politico delle prime. Domanda in quale situazione verrebbero a trovarsi i membri della seconda Camera eletti da un corpo elettorale a cui fosse venuta meno la fiducia del popolo. Anche se si stabilisse in un articolo della Costituzione che un simile fatto non debba avere conseguenze sulla elezione, ormai avvenuta, dei senatori, le ripercussioni non mancherebbero, con evidente danno per il prestigio della seconda Camera.

PICCIONI crede che sia un errore prendere decisioni con eccessiva fretta sul problema in discussione, che senza dubbio ha notevole importanza. Se i lavori della Costituente premono, preme altresì di arrivare a conclusioni ben fondate e meditate, altrimenti potrebbe accadere di dover ritornare sopra decisioni già prese. È chiaro che in seno alla Sottocommissione è sorto qualche contrasto di opinioni sul problema della formazione della seconda Camera: a suo parere, tuttavia, tale contrasto può e deve essere superato senza gravi difficoltà.

Ritiene opportuno frattanto dichiarare, anche a nome degli altri appartenenti al suo gruppo, che egli è completamente d’accordo con quanto hanno affermato gli onorevoli Mortati, Ambrosini, Tosato, Uberti e Fuschini, e cioè che il partito al quale appartiene tende alla attuazione della democrazia in Italia non già come una ripetizione meccanica degli esperimenti della organizzazione democratica dello Stato quale si è avuta nell’800, bensì partendo da premesse diverse, per giungere alla costruzione del nuovo stato democratico su una base organica. Soggiunge che si può ironizzare sul significato delle parole «rappresentanza organica», ma sta di fatto che esse hanno un senso profondamente realistico, aderente all’odierna struttura sociale. In altri termini, il partito a cui egli appartiene non vuole una struttura della nuova democrazia italiana basata su istituti che esprimano soltanto una concezione atomistica ed individualistica della vita, quale era quella del secolo passato, ma vuole una struttura che poggi su nuovi istituti, più aderenti alla realtà sociale della nostra epoca, realtà che appunto si va manifestando organicamente mediante nuove forme di raggruppamenti sociali, ossia attraverso le così dette forze vive, di cui tanto si è parlato nel corso delle recenti discussioni.

Per venire all’argomento in esame, afferma che si può comprendere il punto di vista di coloro che volevano e vorrebbero ancora una sola Camera; ma soggiunge che una volta adottato il sistema bicamerale, se si vuole essere conseguenti bisogna francamente riconoscere che la seconda Camera non può che essere sostanzialmente diversa dalla prima; e ciò non perché essa debba ripetere la sua legittimità da una rappresentanza democratica di misura inferiore rispetto alla prima – il che non è evidentemente opportuno – ma per la sua composizione, la sua struttura, la sua forza di espressione politica. A suo avviso, la seconda Camera ha il compito di collaborare con la prima alla formazione delle leggi e deve ad un tempo svolgere una funzione di controllo sul Governo, ed un concreto risultato in tale senso non sarebbe raggiunto, se essa fosse una copia conforme della prima.

Non nega che la concezione più semplice per risolvere il problema sia quella per la quale i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero essere eletti a suffragio universale diretto, salvo ad avere alcuni requisiti diversi da quelli richiesti per i membri della prima Camera; ma con tale sistema si affiderebbe la scelta dei rappresentanti della seconda Camera a 28 milioni di elettori, sia pure riuniti per regioni, ridotte a circoscrizioni elettorali, e si avrebbe quindi la stessa composizione della prima Camera. Anche elevando il requisito dell’età, per i senatori, da 25 anni così come si richiede per l’elezione a deputato, a 35 o 40, non si influirebbe troppo sulla composizione della seconda Camera, perché nella stessa Camera dei Deputati i membri aventi un’età inferiore ai 35 anni sono assai poco numerosi.

A quanti vorrebbero che fossero eleggibili senatori i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno fatto parte di pubbliche amministrazioni e così via, obietta che si tratta di persone che potrebbero sempre essere elette, indipendentemente dalle cariche ricoperte. Tali indicazioni avrebbero soltanto una conseguenza, quella cioè di determinare la scelta degli eleggibili da parte del corpo elettorale con criterio esclusivamente politico; criterio che non può essere esclusivo per la seconda Camera, così come lo è per la prima, altrimenti le due Camere verrebbero ad essere l’una la copia fedele dell’altra. Non si accontenterebbero in questo modo coloro che pensano che la seconda Camera debba avere una sua funzione particolare, ben distinta da quella che svolge la prima.

Domanda ai commissari socialisti e comunisti, che hanno una visione così diversa dalla sua della struttura della vita sociale, poiché la basano in gran parte sul fattore economico, se veramente essi credano che la vita sociale e politica di un Paese possa essere determinata esclusivamente dalla volontà indifferenziata di 28 milioni di elettori. Una simile concezione sarebbe veramente arretrata rispetto alla evoluzione delle dottrine politiche, perché l’orientamento politico di un Paese non è determinato soltanto dall’espressione della volontà individuale, ma anche da quella di alcuni aggruppamenti o, se si vuole, nuclei di forze che sorgono e si formano per la soddisfazione di fondamentali esigenze sociali.

Perciò accanto all’espressione indifferenziata, atomistica, individualistica della volontà popolare, che trova pure una sua forma di organizzazione attraverso i partiti, deve per necessità di cose realizzarsi l’espressione di altre forze organizzate, che operano nella vita sociale e politica più o meno autonomamente.

Un’altra considerazione deve fare rispetto all’opportunità di costituire una seconda Camera col sistema della rappresentanza organica: anziché costringere queste forze ad operare al di fuori dello Stato o a premere sullo Stato, ad essere in una situazione di continuo contrasto ed eventualmente di fotta con lo Stato, bisogna trovare il modo di immetterle nella organizzazione statale, affinché possano operare in concordia con tutte le altre forze politiche e sociali per un rinnovamento profondo della vita nazionale. Per arrivare ad una conclusione di questo genere – poiché non è possibile redigere una Costituzione che preveda l’ulteriore assestamento, sviluppo e specificazione di queste forze sociali – basterebbe indicare nella Costituzione stessa per grandi linee un modello di rappresentanza di tali forze. Ricorda al riguardo che anche nella composizione della Consulta, istituto certo assai difettoso, era prevista l’assegnazione di alcune aliquote di rappresentanza a queste forze in largo modo individuale. Come esse non hanno costituito una remora, un impedimento allo svolgimento dei compiti di un istituto difettoso come era la Consulta, così esse non poi ranno costituire un ostacolo al libero funzionamento della seconda Camera, specialmente quando – e questa è la risposta migliore all’appunto di un eventuale corporativismo – nessuno chiede di fare una seconda Camera sulla base di una rappresentanza esclusiva di interessi di categorie o di professioni. Ritiene che una quota di tale rappresentanza (la terza parte, ha detto l’onorevole Ambrosini) non possa certo influire nel senso di alterare la fisionomia politica del Paese.

Fa presente inoltre che, per avere una rappresentanza, anche se non esclusiva, di interessi di categoria, il miglior modo è sempre costituito non già dal suffragio universale diretto, ma dalle elezioni di secondo grado. E questo si potrebbe realizzare attraverso le assemblee regionali. A tale proposito, ricordando un appunto ingiustificato mosso al suo partito, dichiara che nessuno più di questo vuol rimanere fedele all’istituto della regione, con tutte le sue attribuzioni, capacità e possibilità di vita e di sviluppo. Esprime però il dubbio che l’assemblea regionale, chiamata a procedere alle elezioni di secondo grado per la seconda Camera, possa essere un corpo troppo ristretto. In ogni modo, la cosa potrà essere considerata a suo tempo, quando ci si troverà di fronte al progetto definitivo dell’Ente regione. Si potrebbe pensare frattanto di integrare l’assemblea regionale con altri elementi elettivi (in tal caso si ritornerebbe all’investitura e alla legittimazione del suffragio universale diretto), quali potrebbero essere i sindacati, i Consigli comunali, od altre formazioni elettive della vita locale. Sono tutte questioni che potranno essere risolte in seguito. L’esigenza, però, cui vorrebbe che si rispondesse e su cui insiste, è appunto quella di un avviamento della nuova democrazia verso una forma di rappresentanza organica della vita del Paese; rappresentanza che non può essere realizzata attraverso una indicazione vasta di requisiti di eleggibilità.

Per concludere, ripete che non si tratta di ricopiare una qualsiasi Costituzione ottocentista, individualistica, perché si mancherebbe ai doveri inerenti all’investitura avuta e all’impegno assunto di fronte al Paese di fare una Costituzione realmente democratica e rispondente alle esigenze della vita sociale moderna. Perciò sarà bene inserire nella nuova Costituzione soltanto il principio che la seconda Camera deve avere parità di diritti con la prima; che deve essere eletta per elezione di secondo grado da corpi delle circoscrizioni elettorali; che in essa debbono avere almeno una parziale rappresentanza le forze vive genericamente indicate nell’ordine del giorno già approvato dalla Sottocommissione.

LUSSU ha l’impressione che, dopo il discorso dell’onorevole Piccioni, si sia fatto un notevole passo indietro per la risoluzione del problema. Dopo che questi ha accennato, con severe parole di condanna, all’ordinamento dello Stato secondo le concezioni individualistiche ed atomistiche del XVIII secolo, e dopo che egli ha presentato un progetto per la composizione della seconda Camera basato sulla rappresentanza degli interessi, si ha ragione di ritenere che si voglia costituire una vera e propria Camera dei pari. Forse l’onorevole Piccioni e i suoi amici sono indotti a questo dalla speranza di creare, per mezzo della Costituzione, quella che per essi è una esigenza morale della vita politica moderna, ossia la collaborazione di classe. È naturale che in dati momenti storici si ricerchi il progresso o la rinascita mediante la collaborazione di classe; occorre però che tale collaborazione sia nella coscienza di tutti i cittadini, affinché possa realmente effettuarsi. Un articolo della Costituzione non potrebbe creare la collaborazione di classe ed è, in proposito, da ricordare che in Italia l’odio di classe non è mai stato così forte come quando il fascismo, con le Corporazioni, decretò la collaborazione fra le varie classi in contrasto.

In ogni modo, per tornare al problema in esame, dichiara di essere favorevole a una elezione di secondo grado che potrebbe avere come conseguenza una certa differenziazione della seconda Camera dalla prima; ma deve chiaramente affermare che non potrebbe accettare una seconda Camera intesa come l’espressione di una volontà reazionaria nei confronti della prima.

In conclusione, per poter addivenire ad un accordo tra le varie tendenze in contrasto, ritiene che la soluzione del problema possa aversi nelle elezioni di secondo grado, visto che non si richiede più in modo esclusivo la rappresentanza degli interessi sociali. Por suo conto però vorrebbe che il numero dei rappresentanti fosse in proporzione diretta al numero degli elettori di ogni data categoria. Se così non fosse, la rappresentanza delle categorie sarebbe davvero un comodo mezzo per far trionfare la reazione. Questo è provato da ciò che succede nella Spagna e nel Portogallo, che appunto hanno una rappresentanza di categoria o sono fra i Paesi più arretrati e reazionari del mondo.

ROSSI PAOLO propone la chiusura della discussione.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Paolo Rossi, con l’intesa che sarà riservato il diritto di parlare a coloro che sono già iscritti.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Di Giovanni, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Cappi.

Assenti: De Michele, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Mannironi, Targetti.

MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Bozzi – Grieco – Laconi – Presidente – Fuschini – Mortati, Relatore – Nobile – Patricolo – Uberti – Conti, Relatore – Einaudi – Ambrosini – La Rocca – Lussu – Perassi – Piccioni – Zuccarini – Tosato – Castiglia – Fabbri.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

BOZZI comunica che la riunione dei presentatori di ordini del giorno ha portato, più che a risultati positivi, a identificare i punti controversi che possono essere così riepilogati:

1°) se il corpo elettorale per la seconda Camera debba essere indistinto, oppure se ci debbano essere corpi elettorali professionali. A questo proposito ha notato che, mentre nella precedente riunione egli era quasi l’unico ad aderire all’idea del corpo elettorale indifferenziato, l’onorevole Mortati ha annunciato una seconda edizione del suo ordine del giorno nella quale aderisce a questo punto di vista. All’idea del corpo elettorale professionale aderiscono invece gli onorevoli Ambrosini e Tosato;

2°) se le elezioni debbano essere dirette o indirette. Per queste ultime erano gli onorevoli Ambrosini, Tosato, Perassi e Conti; le dirette raccoglievano invece l’adesione sua e dell’onorevole Mortati;

3°) quale sia la sede idonea per stabilire la proporzione dei seggi tra le varie regioni; se la Costituzione, come sosteneva l’onorevole Mortati, ovvero una legge speciale, secondo l’avviso dell’onorevole Tosato, a cui egli personalmente aderisce.

GRIECO, non avendo preso parte alle precedenti riunioni, ha esaminato con attenzione gli ordini del giorno presentati, ravvisando in ciascuno di essi qualche idea accettabile. Considera innanzi tutto da accogliere il principio «che il corpo elettorale della seconda Camera sia indistinto e che le elezioni siano dirette. È d’avviso però che siano almeno da indicare alcuni dei requisiti per l’eleggibilità. Uno di questi è senza dubbio quello dell’età, ma ve ne potrebbero essere degli altri, come, per esempio, l’essere stato Consigliere comunale, deputato, sindaco, ecc. In questa maniera si andrebbe incontro alle preoccupazioni per la scelta degli eleggibili, senza dover accedere al criterio delle categorie di interessi, contro il quale egli si è già pronunciato.

Esprime infine il parere che le elezioni dovrebbero aver luogo sulla base regionale e con lo stesso sistema che per la prima Camera. Dato poi che per la prima Camera si è stabilita la proporzione di un deputato per ogni 100 mila abitanti, per la seconda consiglierebbe la nomina di uno ogni 150 mila abitanti.

Conclude presentando il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione decide:

1°) i deputati della seconda Camera sono eletti a suffragio universale, diretto, uguale e segreto;

2°) sono eleggibili a membri della seconda Camera tutti i cittadini che abbiano compiuto il 30° anno di età e che rispondano alle condizioni di eleggibilità indicate dalla legge elettorale;

3°) la votazione ha luogo su base regionale e con lo stesso sistema della prima Camera. I deputati sono eletti in ragione di uno ogni 150.000 abitanti».

LACONI si associa all’ordine giorno Grieco e ritira il suo.

PRESIDENTE, dato il numero degli ordini del giorno, propone di non esaminarli uno per uno, ma di discutere innanzi tutto le tre questioni controverse – ormai specificate – per cercare di risolverle. In relazione alle decisioni che saranno adottate, potrà essere scartata una parte degli ordini del giorno.

Apre pertanto la discussione sul primo argomento: se il corpo elettorale debba essere indistinto, ovvero se vi debbano essere corpi elettorali professionali, nel senso che il corpo elettorale venga suddiviso in un certo numero di sottocollegi, ciascuno dei quali nomini un dato numero di membri della seconda Camera.

FUSCHINI, premesso che presupposto indispensabile per procedere alle elezioni è una base elettorale, esprime il timore che, se si adottasse una base differenziata, la nomina dei componenti la seconda Camera dovrebbe essere rimandata ancora per lungo tempo, a meno di ricorrere ad una disposizione transitoria per la prima elezione. Il principio della rappresentanza delle categorie professionali e degli interessi è stato dal suo gruppo sempre difeso; ma non si è mai esaminata a fondo la sua pratica realizzazione, la quale presuppone che gli interessi siano giuridicamente organizzati. Gli sembra di aver letto in una relazione dell’onorevole Di Vittorio che le organizzazioni sindacali, se in possesso di determinati requisiti, avrebbero potuto essere riconosciute ed avere la facoltà di stipulare contratti collettivi di lavoro aventi valore giuridico, com’era previsto dalla legge 4 aprile 1926. Comunque, è convinto che, prima di arrivare ad una completa organizzazione sindacale, ci vorrà molto tempo. Per questi motivi, allo stato attuale dei fatti, pur accettando dal punto di vista teorico il principio della differenziazione del corpo elettorale, preferisce farvi rinuncia. Conclude caldeggiando per la seconda Camera una base elettorale eguale a quella della parità, posto che è stato accettato il principio della parità tra i due organi legislativi.

MORTATI, Relatore, per quanto abbia presentato un ordine del giorno in contrasto con l’avviso espresso dall’onorevole Fuschini, non può negare che le sue considerazioni siano improntate ad un senso di realismo. Riconosce che in effetti un’organizzazione di queste categorie professionali e sindacali oggi ancora non esiste e prima che possa essere giuridicamente completa, molto tempo dovrà trascorrere. Per questi motivi ritiene opportuno recedere dalla sua primitiva proposta, di un collegio duplice, accedendo al concetto di un collegio unico anche per la seconda Camera. Compie questo avvicinamento alle opposte tendenze nella speranza di accelerare un accordo. Un ulteriore passo avanti pensa che potrebbe essere compiuto nel senso di riconoscere che l’esigenza funzionale della seconda Camera meglio sarebbe realizzata, non solo ammettendo una selezione degli eleggibili, ma anche determinando le quote per ciascun gruppo di essi. Tale principio è stato difeso da uno studioso socialista, il Luzzatto, il quale nel mettere in luce questa esigenza funzionale del Senato, notava che sarebbe stato opportuno giungere fino alla graduazione delle categorie ed alla attribuzione di quote per ognuna di esse. Se la Sottocommissione si mettesse su questa via, crede che si potrebbe giungere ad una rapida intesa.

BOZZI si compiace delle dichiarazioni dell’onorevole Mortati, perché fino al giorno avanti era quasi solo a sostenere la necessità di un collegio elettorale indistinto, che ora vede riconosciuta dai più.

Ritiene che il principio della rappresentanza delle attività produttive non andrebbe abbandonato, ma trasferito dal piano del corpo elettorale a quello delle categorie degli eleggibili, fissando altresì il numero di seggi spettanti a ciascuna di esse. In altri termini, si dovrebbe rinunciare al corpo elettorale plurimo, e identificare le categorie di eleggibili tra i rappresentanti non di determinate categorie, ma di attività sociali; svincolandosi così da ogni collegamento con enti, sindacati o qualsiasi altra istituzione. Resterebbe poi da risolvere la questione se la ripartizione dei seggi debba essere fatta dalla Costituzione, o con legge speciale, ovvero dalle stesse Assemblee regionali periodicamente.

NOBILE fa presente che non ha aderito all’ordine del giorno che ha l’onorevole Laconi come primo firmatario, essendo contrario alla elezione dei senatori da parte dei Consigli comunali. Dal momento che è stata accettata la parità di funzioni delle due Camere, ritiene anche necessaria una parità del corpo elettorale.

LACONI tiene a far notare all’onorevole Mortati che, d’accordo coi colleghi, si è già messo sulla strada di un avvicinamento, avendo acceduto all’ordine del giorno dell’onorevole Grieco che sostiene le elezioni a suffragio universale, diretto e segreto. In tal modo egli e i suoi colleghi hanno inteso appunto avvicinarsi alla tesi dell’onorevole Mortati, nel senso di stabilire una differenziazione non nel corpo elettorale, ma negli eleggibili.

Un accordo invece sarà più difficile sulla determinazione delle categorie di eleggibili c sul numero dei seggi da assegnare a ciascuna. In tale campo non vi sono precedenti ed anche nel vecchio Senato, pur essendo gli eleggibili suddivisi in categorie, non erano stabilite delle proporzioni fisse. Il determinare quote proporzionali per ognuna delle categorie gli sembra un voler fissare dei limiti artificiali alla sovrana volontà popolare, che può essere incanalata verso determinati gruppi di interessi, ma non può essere costretta entro i limiti di quote prefissate. Le difficoltà poi sono anche maggiori dal punto di vista pratico, perché da regione a regione la situazione cambia sensibilmente.

Esprime perciò l’avviso che sia meglio lasciare che la proporzione tra le diverse categorie si determini naturalmente nelle diverse regioni, in quanto gli elettori si orienteranno verso quelle categorie che meglio appariranno qualificate per difendere i loro interessi. Non c’è miglior giudice dello stesso elettore.

PATRICOLO rileva che gli onorevoli Laconi e Mortati hanno evitato di pronunciare la parola «compromesso», ma in realtà si va incontro al peggiore dei compromessi, ad un compromesso dettato esclusivamente da ragioni politiche su una questione che riguarda l’ordinamento giuridico dello Stato.

Quale appartenente ad un gruppo di minoranza, non può far prevalere il suo punto di vista, ma tiene ad affermare che, così facendo, si costituirà una seconda Camera che non solo non risponderà alle esigenze del Paese, ma nella quale neppure si vedranno rappresentate quelle «forze vive» di cui parla l’ordine del giorno più volte ricordato. Col sistema che sembra incontrare il favore della maggioranza si eleggeranno uomini che non rappresenteranno nulla, ma saranno solo dei competenti: tanto varrebbe limitarsi a dire che saranno eletti uomini competenti in determinate branche dell’attività economica, sociale o professionale. Voterà quindi contro l’approvazione di un criterio che non risponde alle esigenze espresse in un ordine del giorno già approvato.

UBERTI non crede che una disposizione transitoria, di cui ha parlato l’onorevole Fuschini, come resa necessaria dal fatto che non sarebbe possibile creare subito una organizzazione giuridica delle categorie, costituirebbe un inconveniente grave. Ritiene infatti che non sia cosa assurda stabilire il principio, salvo poi a trovare una soluzione provvisoria per la prima nomina dei componenti la seconda Camera. Ricorda che in numerose altre occasioni si è proceduto in via transitoria, utilizzando organismi già esistenti.

Ha l’impressione tuttavia che, votando a favore di un collegio unico indifferenziato, si precluda la possibilità di sostenere in seguito la nomina attraverso alle Assemblee regionali, sminuendo così il valore dell’ente regione e privandolo della possibilità di far udire la sua voce attraverso alla seconda Camera. Insiste sull’opportunità di non rinunciare alla rappresentanza degli interessi locali – alla quale finora si è dato tanto peso – di fronte alla difficoltà di individuare le categorie professionali.

Aggiunge che, se si accettasse il criterio del suffragio universale, si farebbe un doppione della prima Camera, mentre sarebbe desiderabile un apporto di forze nuove.

PRESIDENTE osserva che non sarà possibile rinunciare ad una serie di votazioni successive, perché, facendosi un’unica votazione sulle varie questioni, i Commissari, trovandosi nella difficoltà di assumere una determinata posizione, si asterrebbero in gran numero dal voto.

CONTI, Relatore, si richiama ad una considerazione di carattere fondamentale fatta dall’onorevole Lussu, secondo la quale l’elezione da parte delle Assemblee regionali di elementi che si vanno ad inserire nella vita dello Stato significa il collegamento fra le parti e il tutto, e rappresenta quindi una affermazione dell’unità nazionale a cui gli autonomisti aspirano.

Da questa premessa scaturisce la sua contrarietà ad una elezione a suffragio universale diretto. Riconosce che questo ha una sua funzione particolare, ma sostiene che non è necessario farvi sempre ricorso, perché, se si partisse da questo punto di vista, sarebbe da condannare anche l’elezione del Capo dello Stato fatta dall’Assemblea Nazionale, cioè in forma indiretta.

Considerata la funzione di integrazione e di perfezionamento della tecnica legislativa, affidata alla seconda Camera, afferma che non si può prescindere per la formazione di questa da una elezione di secondo grado.

PRESIDENTE invita i commissari a non allargare il campo della discussione, che per il momento dovrebbe mantenersi sul corpo elettorale differenziato o indifferenziato, nell’interno della regione. Si tratta cioè di stabilire se i rappresentanti di regione ripeteranno il loro mandato da tutta la regione o soltanto da determinati gruppi interni della regione.

Ricorda che l’onorevole Mortati, nel suo ordine del giorno, proponeva che una metà della seconda Camera fosse eletta in modo indifferenziato e l’altra metà per gruppi di interessi. Senonché lo stesso onorevole Mortati ha poc’anzi esposto le ragioni per cui ha creduto di modificare questa sua prima impostazione – rinunciando al corpo elettorale professionale – al fine di facilitare l’incontro con altre posizioni manifestatesi in seno alla Sottocommissione.

UBERTI domanda se l’onorevole Mortati abbia rinunciato alla sua proposta soltanto in relazione alla prima elezione della seconda Camera, per le difficoltà di immediata attuazione, o anche per le ulteriori.

PRESIDENTE risponde che l’onorevole Mortati ha assunto questo atteggiamento in sede costituzionale, non per una norma transitoria.

EINAUDI dichiara di essere disposto a votare per il collegio indifferenziato, purché resti inteso che un tale voto non pregiudica la questione del suffragio diretto o indiretto. Fa tale atto di adesione anche perché in precedenza ha votato in favore dell’espressione «forze vive», intendendo con ciò di votare contro la rappresentanza di categorie economiche, le quali per conto suo vanno considerate non come forze vive, ma come forze morte.

Ricorda che la distinzione essenziale tra le corporazioni del periodo fascista e le vere corporazioni, era questa: che le corporazioni fasciste erano una brutta copia delle corporazioni del 1600 e del 1700, mentre invece le vere corporazioni erano quelle del 1200 e del 1300. Le vere corporazioni non erano legiferate e non era specificato chi apparteneva ad una categoria o ad un’altra; esse erano vive, appunto perché ciò non era detto e si aveva larga possibilità di passare dall’una all’altra. Quando poi nel 1600-1700 si è cominciato a disciplinarle, sono morte e con esse è morta anche l’economia del Paese.

AMBROSINI, senza entrare in dettagli storici o di principio, rileva che le espressioni: attività professionali, gruppi di produzione, attività lavorative, ecc., comunque si configurino, corrispondono alla realtà e non possono mai essere riguardate come riferentesi a cose morte, perché la legge non può far morire quello che esiste.

Tornando all’argomento in discussione, dichiara di mantenere il suo punto di vista – che ha concretato in un ordine del giorno – favorevole alla doppia rappresentanza.

Circa le difficoltà di indole pratica prospettate riguardo alla formazione del primo Senato, osserva che potrebbero essere superate agevolmente con una norma transitoria, alla quale del resto in nessun caso si potrà fare a meno di ricorrere, finché l’ente regione non sarà costituito. Ma ritiene che il principio dovrebbe essere ammesso, dando ad esso il dovuto rilievo e non trasportandolo sul piano dei requisiti di eleggibilità, perché in tal modo si svuoterebbe di contenuto. Occorrerebbe dare alle categorie la possibilità di eleggere direttamente i propri rappresentanti; solo così la loro voce avrebbe un peso e sarebbe espressione responsabile della categoria interessata.

LA ROCCA si dichiara contrario alla rappresentanza di categorie di interessi, in quanto presuppone una elencazione tassativa che costituirebbe un intralcio alle loro possibilità di sviluppo. Aggiunge che si correrebbe il pericolo di escludere proprio quelle «forze vive» che si vogliono immettere nella seconda Camera.

A suo parere, la rappresentanza diretta a base indifferenziata conferirebbe alla seconda Camera una maggiore autorità e un maggiore prestigio, dando modo a tutte le forze che vivono nella regione di esprimersi.

Inoltre gli interessati saprebbero volta per volta individuare coloro che dànno affidamento di saper meglio difendere i loro diritti e le loro ragioni.

LUSSU rileva che il problema, da qualche giorno in esame, è di tale importanza da indurre a procedere con la massima cautela, senza lasciarsi influenzare dalla esigenza di giungere presto ad una conclusione. Suffraga il suo avviso l’esempio della Francia, ove proprio questo spinoso argomento ha fatto respingere il primo progetto di Costituzione, frutto del lavoro di parecchi mesi, e gli stessi pericoli si profilano per il secondo, in seguito alla posizione assunta da alcuni eminenti uomini politici.

Venendo a parlare del nuovo atteggiamento assunto dall’onorevole Mortati, si compiace del suo avvicinamento al punto di vista che personalmente ha difeso e dell’abbandono di alcune sue posizioni.

Non ritiene ammissibile che nella seconda Camera possano essere rappresentate in egual misura le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori; il che sarebbe come dire che coloro che hanno un censo maggiore avrebbero diritto ad un maggiore numero di rappresentanti, dato che in Italia, su 18 milioni di cittadini in età da lavorare oltre 15 milioni sono lavoratori e il rimanente datori di lavoro. Dovrebbe invece seguirsi un criterio di proporzionalità, stabilendo una maggioranza e una minoranza.

È favorevole infine all’idea di conciliare le diverse tendenze manifestatesi durante la discussione, trasferendo il problema della rappresentanza sul terreno dei requisiti di eleggibilità. Tali requisiti potrebbero essere costituiti dall’età, dai titoli di studio, dall’aver diretto Camere di lavoro o organizzazioni sindacali, dall’essere stati deputati al Parlamento, dall’essere stati membri dell’Assemblea regionale, ecc.

PERASSI, premesso che condivide l’opinione dell’onorevole Lussu sull’avvedutezza cui bisogna ispirarsi nella discussione in corso, sostiene la necessità di chiarire in maniera inequivocabile che la votazione sul corpo elettorale, indifferenziato o professionale, lascia impregiudicata qualsiasi decisione in merito al suffragio diretto o indiretto. Dovrebbe altresì restare impregiudicato l’esame dei criteri con i quali gli organi procederanno alle elezioni.

Con queste riserve può aderire al concetto di un organo collegiale indistinto.

PICCIONI esprime l’avviso che nella discussione – la cui vitale importanza è stata messa in evidenza – non si sia raggiunto un punto di coagulazione tale da poter stabilire un orientamento per la Sottocommissione. Trova che non vi sarebbe nulla di perduto ad impiegare ancora una o due sedute ad approfondire maggiormente il problema, per chiarire gli eventuali equivoci ed evitare strascichi spiacevoli.

Entrando nel merito, rileva che i vari aspetti del problema sono intimamente connessi ed è impossibile esaminarli separatamente.

Quanto al collegio indifferenziato, osserva che per il momento la sua attuazione concreta appare legata al suffragio diretto, né vede come potrebbe ad esso contrapporsi un suffragio indiretto, quando la Sottocommissione non ha ancora deliberata la composizione dell’Assemblea regionale. D’altra parte, c’è una deliberazione per la quale la seconda Camera dovrebbe essere espressione prevalente delle «forze vive», cioè degli interessi regionali. Ora, se in qualche modo le regioni debbono entrare nella composizione della seconda Camera, si deve preliminarmente sapere che cosa rappresentino, quali poteri abbiano, e come siano composte le Assemblee regionali. Solo quando questi problemi fossero definiti, si potrebbe intravedere concretamente la possibilità di avere un Collegio indifferenziato con suffragio indiretto.

Propone pertanto di sospendere ogni votazione sulla base elettorale, ed affrontare immediatamente l’esame della costituzione dell’ente regione.

LUSSU manifesta la sua contrarietà ad una sospensiva dei lavori rilevando che, per quanto si abbiano ancora idee imprecise sull’autonomia degli enti locali, è evidente che la regione avrà quanto meno un consiglio regionale corrispondente, grosso modo, al consiglio provinciale.

ZUCCARINI condivide l’opinione dello onorevole Piccioni. A suo parere il comitato incaricato della redazione del progetto sulle autonomie regionali dovrebbe affrettare le sue conclusioni, in modo che la Sottocommissione possa risolvere il problema delle autonomie, prima di affrontare quello della composizione della seconda Camera.

Quanto alla rappresentanza di interessi, ritiene che la discussione sia stata utilissima, ma la sua sede più opportuna sarebbe stata quella della composizione della prima Camera, poiché gli interessi, in quanto tali, possono utilmente influire sulla elaborazione della legge, più che sul suo perfezionamento.

Se si volesse veramente dare una rappresentanza alle «forze vive», la questione potrebbe esser posta come base della formazione della prima e non della seconda Camera, che dovrebbe essere l’espressione delle regioni. In via subordinata insisterebbe per il rinvio dell’attuale discussione a quando fosse meglio lineata la struttura dell’organizzazione statale.

TOSATO si associa. Concorda nel ritenere che la discussione non ha ancora raggiunto un punto di-maturità che possa avvicinare ad una soluzione, la quale è resa difficile dalle molte incognite e soprattutto da quella relativa all’ordinamento regionale. Allo state attuale delle cose una votazione non potrebbe avere che un significato negativo, nel senso di escludere la possibilità di elezione da parte di collegi speciali a carattere professionale. Non potrebbe escludere però la possibilità di richiedere determinati requisiti di eleggibilità. È evidente in tal caso che il problema della rappresentanza di interessi sarebbe trasferito da un campo ad un altro, ma la situazione resterebbe immutata, perché i requisiti di eleggibilità importerebbero un riconoscimento, sia pure indiretto, di diverse categorie. Aderisce quindi alla proposta Piccioni.

UBERTI osserva che potrebbe essere utile, agli effetti di una semplificazione del lavoro, affrontare la discussione sull’ente regione direttamente in sede di Sottocommissione.

CASTIGLIA riconosce che ci si trova in un vicolo cieco, e che spingere ulteriormente la discussione approderebbe a ben poco dal punto di vista pratico. L’unica via di uscita crede sia quella suggerita dall’onorevole Piccioni, accogliendo anche la proposta dell’onorevole Uberti di sottoporre direttamente alla Sottocommissione le varie proposte articolate sull’autonomia regionale.

LUSSU prega i colleghi di considerare seriamente se il sistema proposto non intralci i lavori della Sottocommissione. A suo avviso, data la complessità ed il numero delle relazioni presentate sull’autonomia regionale, la Sottocommissione si troverebbe in serio imbarazzo. Sostiene perciò l’opportunità di continuare la discussione in corso, tenendo per acquisita l’esistenza di un ente regione, magari con poteri minimi, e quanto meno di un consiglio regionale, salvo poi a rivedere le eventuali conclusioni alla luce delle decisioni che saranno state prese in materia di autonomie locali.

EINAUDI ritiene che, dopo la discussione sulle regioni, la Sottocommissione si ritroverebbe al punto di partenza, per quel che riguarda la composizione della seconda Camera.

LACONI è dello stesso parere, mentre pensa che si può giungere ad una decisione sul collegio elettorale. Nessuno pone in dubbio la futura esistenza dell’ente regione c dei consigli regionali e comunali: non ha quindi ragion d’essere l’obiezione dell’onorevole Piccioni, che, abbandonando il sistema di un corpo elettorale differenziato, non vi sia altra soluzione che quella di un suffragio diretto, in quanto che non si esclude affatto l’ipotesi di elezioni attraverso le assemblee o i consigli regionali, ovvero attraverso ad un sistema misto.

PRESIDENTE rileva che, mentre da un lato con la proposta di rinvio non si raggiungerebbe lo scopo di smussare corte asperità e di avvicinare i contrastanti punti di vista, dall’altro lato, essendosi impadronita della questione anche la stampa, un rinvio sarebbe interpretato da tutti come una mancanza d’accordo che impedisca di giungere a risultati concreti.

Aggiunge che la soluzione della questione regionale, per quanto urgente, è indipendente da quella in discussione, e non sgombrerà il terreno dai punti controversi. Pertanto un rinvio ritarderebbe ulteriormente la fine dei lavori, per i quali l’Assemblea plenaria ha fissato il termine del 20 ottobre. Del resto, anche l’esame delle autonomie regionali, seppure fosse affrontato risolutamente, non potrebbe sfociare in una conclusione entro un breve periodo di tempo. Tanto meno poi pensa che si possa aderire all’idea di discuterne in sede di Sottocommissione, perché il Comitato di redazione fu nominato appunto in vista delle difficoltà di articolare un progetto.

Neppure vede come si potrebbe aderire alla proposta Piccioni di votare nel suo insieme tutto il problema della formazione della seconda Camera perché, a parte il fatto che si accentuerebbero le differenze di opinioni, verrebbero sicuramente richieste delle votazioni per divisione.

Quanto alla immaturità della questione, nota che essa non è stata avvertita dai presentatori di ordini del giorno che si sono riuniti per tentare un possibile avvicinamento, ché anzi essi hanno posto in rilievo quelli che potevano essere i punti di disaccordo sui quali era necessario venire ad una votazione.

PICCIONI non vede come le ragioni addotte possano consigliare di proseguire nella discussione mantenendo in disparte il problema regionale. Considerare come base per la discussione l’esistenza dei consigli regionali e comunali gli sembra che sia un modo superficiale di esaminare il problema, perché evidentemente il modo come la regione sarà funzionante ha il suo rilievo e senza dubbio può influire direttamente sul problema in esame. Per esempio, troverebbe illogico attribuire, ad un consiglio regionale formato di 50 o 60 membri, la facoltà di nominare da 15 a 20 senatori.

La funzionalità e la competenza dell’ente regionale hanno dunque un peso decisivo, anche in ordine al potere che può essere affidato alle Assemblee regionali circa la nomina dei membri della seconda Camera.

Non crede poi che ci si debba preoccupare della cattiva impressione che potrebbe derivare da un eventuale rinvio, perché la Sottocommissione deve avere soprattutto di mira lo scopo di giungere a conclusioni che possano raccogliere un largo suffragio fra i cittadini.

Per quanto riguarda i punti controversi, avverte che essi non si differenziano gran che da quelli che nell’ultima seduta furono già lumeggiati dallo stesso Presidente. Ma ciò che è più sostanziale è di esaminarli tutti insieme, per votare poi su di uno schema che affronti la questione nella sua integrità. Se invece si dovesse votare su un solo aspetto dei problema, con tulle le riserve che giustamente sono state avanzate dall’onorevole Perassi – ed alle quali aderisce – si finirebbe per non votare nulla di conclusivo, e le questioni che si fossero evitate in una prima votazione risorgerebbero sotto altri aspetti nella successiva.

Conclude esprimendo l’avviso che il problema si debba affrontare più coraggiosamente, cercando una soluzione che sia di soddisfazione almeno per la maggioranza della Sottocommissione e proponendo, sia di esaminare i tre punti controversi nel loro complesso, sia di pregare il Comitato di redazione di intensificare il lavoro relativo all’autonomia regionale, fissando altresì il giorno in cui le conclusioni dovranno essere sottoposte alla Sottocommissione.

PRESIDENTE ripete che se si riunissero i tre punti in un’unica norma, si finirebbe per votare per divisione.

PICCIONI fa presente che, per esempio, egli non potrebbe votare per il collegio indifferenziato, se prima non vedesse salvaguardato il principio della rappresentanza delle «forze vive» della Nazione, che è stato consacrato in un preciso ordine del giorno.

LUSSU è contrario al rinvio, che in nessun caso darebbe dei risultati pratici; preferisce valersi del lavoro proficuo dei presentatori di ordini del giorno, per condurre a termine l’esame della questione, ora che il punctum dolens è stato individuato.

PRESIDENTE non ha niente in contrario alla ripresa della discussione generale se la Sottocommissione avverte il bisogno di ulteriori chiarificazioni.

FABBRI, premesso che tutti i Commissari sembrano d’accordo sul criterio di determinare dei requisiti di idoneità (salvo poi ad avere opinioni discordi sulla loro specificazione), crede che una via di uscita potrebbe trovarsi appunto in una elencazione precisa di detti titoli. In tal modo si avrebbe già un orientamento e la sicurezza che i rappresentanti – chiunque li elegga – sarebbero in possesso della necessaria preparazione ed esperienza di vita vissuta. Né si pregiudicherebbe l’indirizzo politico, stabilendo aprioristicamente chi sarebbe qualificato ad entrare a far parte della seconda Camera.

Quanto alla distribuzione dei seggi tra le varie categorie, ha già detto che dovrebbe essere affidata agli organi regionali, ai quali però sarebbe forse opportuno dare delle direttive per facilitarne il compito. Pensa che la Sottocommissione, seguendo questa linea di condotta, potrebbe evitare di sospendere i lavori.

PRESIDENTE rileva che l’onorevole Fabbri è andato al cuore della questione, perché i requisiti di eleggibilità sono stati presi in considerazione come un succedaneo della suddivisione per categorie del corpo elettorale. È infatti da supporre che, se si decidesse in senso favorevole ad un corpo elettorale differenziato, non sarebbe più necessario prescrivere determinate condizioni di eleggibilità. Si potrebbe, ad esempio, prescindere dal limite di età, in quanto potrebbe esserci un ottimo conduttore di azienda agricola di ventitré anni, che, avendo cominciato a lavorare a tredici anni, avrebbe un’esperienza di dieci anni di attività e potrebbe benissimo rappresentare la categoria.

FABBRI mette in evidenza che ciò non sarebbe mai possibile, ove si stabilisse, per esempio, che il candidato alla nomina debba essere investito di funzioni direttive da almeno dieci anni ed avere un minimo di 40 anni. Ritiene che, se si potesse eliminare la preoccupazione di carattere politico, che è dominante, si farebbe un passo avanti ed aggiunge di essere andato deliberatamente al cuore della questione nel tentativo di facilitare una via conciliativa.

Non dubita che in tutti sia il desiderio di vedere la seconda Camera composta di uomini esperti, riflessivi, capaci di portare un contributo di esperienza e di consapevolezza nella veste di rappresentanti delle attività lavorative. Ove accedesse alla sua idea di convergere tutta l’attenzione sui titoli individuali indispensabili per la candidatura, la Sottocommissione potrebbe, eliminate le perplessità che avevano dato luogo ad una proposta di rinvio, pronunciarsi su dati di fatto più concreti.

PICCIONI aderisce alla proposta Fabbri che consente di avere un quadro più completo del futuro organismo. Prima di votare sul collegio differenziato o indifferenziato, si potrebbero considerare gli altri aspetti del problema e, una volta chiarite le idee, se non sarà possibile un accordo su uno schema complessivo, si potrà votare per divisione.

LACONI fa osservare che il punto dolente non è costituito dai requisiti per l’eleggibilità, ma dalla ripartizione dei seggi tra le varie categorie.

PRESIDENTE dichiara di non avere nulla in contrario a riaprire la discussione generale, pur sottolineando che nessuno dei punti controversi è stato trascurato nelle discussioni precedenti.

NOBILE concorda con l’onorevole Fabbri. Stima infatti miglior partito quello di stabilire prima chi debbano essere gli eletti. Se – per fare un esempio macroscopico – la seconda Camera dovesse essere composta esclusivamente di ingegneri, naturalmente questi dovrebbero essere eletti da un corpo di ingegneri e non da medici od avvocati.

PICCIONI non insiste sulla sua proposta di sospensiva, se si concorda su questo metodo di lavoro. Insiste, tuttavia, sull’esigenza di accelerare le conclusioni sulle autonomie regionali.

AMBROSINI, nella sua qualità di presidente del Comitato, assicura che prenderà accordi con gli altri componenti per imprimere un ritmo ancora più intenso ai lavori.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Rossi Paolo.

Erano assenti: Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Leone Giovanni, Mannironi, Porzio, Targetti.

SABATO 28 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 28 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Lussu – Mortati, Relatore – Ambrosini – Fabbri – Fuschini.

Per la morte dell’onorevole Grandi

Presidente – Piccioni – Lussu – Farini – Conti – Einaudi – Lami Starnuti – Patricolo.

La seduta comincia alle 8.45.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Ambrosini propone la seguente articolazione:

«Art. 1. – 1 seggi della seconda Camera sono distribuiti fra le regioni in ragione della loro popolazione con un numero minimo di … senatori per regione.

«Art. 2. – L’elezione dei senatori è fatta per due terzi sulla base della rappresentanza territoriale e per un terzo delle attività produttive.

«Art. 3. – I due terzi dei senatori attribuiti alle regioni sono eletti da un collegio elettorale regionale composto:

  1. a) dai membri dell’Assemblea regionale; b) dai membri dei Consigli elettivi degli altri enti locali territoriali.

«Art. 4. – Un terzo dei senatori assegnati alle regioni è eletto da Collegi speciali delle varie attività produttive secondo la ripartizione che verrà stabilita da una legge speciale».

Gli onorevoli Laconi, Farini, Ravagnan e La Rocca hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, in ordine al modo di costituzione della seconda Camera, decide: 1°) il numero dei rappresentanti di ogni regione nella seconda Camera è proporzionale alla sua popolazione; 2°) i deputati della seconda Camera sono eletti a suffragio diretto e segreto dai componenti i Consigli comunali di ciascuna regione; 3°) sono eleggibili a membri della seconda Camera tutti i cittadini che abbiano compiuto il trentesimo anno di età o concorrano attivamente alla vita economica, sociale e culturale della regione».

Un’altra articolazione ha proposto l’onorevole Fuschini:

«Art. 1. – (Eguale all’articolo presentato dall’onorevole Ambrosini).

«Art. 2. – Il Senato è composto di 300 membri, nominati dai Collegi elettorali conformemente alla legge elettorale, aventi l’età di 40 anni compiuti e appartenenti ad una delle categorie seguenti: 1°) i membri delle Assemblee regionali e deputati provinciali, i sindaci dei comuni dopo 4 anni di funzione; 2°) i professori di Università o di Istituti superiori; i professori di scuole medie pubbliche e private, e i direttori didattici dopo 10 anni di funzioni; 3°) i funzionari dello Stato dal 1° al 6° grado compreso dopo 3 anni di funzioni; 4°) i Presidenti e i membri dei Consigli direttivi delle Camere di commercio, industria c agricoltura dopo … anni di funzioni; 5°) i membri dei Consigli direttivi dei Consorzi agrari dopo … anni di attività; 6°) i membri dei Consigli direttivi dello Federazioni e dei Sindacati di categoria registrati secondo la legge dopo … anni di funzioni; 7°) i membri dei Consigli direttivi dei Collegi o albi professionali dopo … anni di funzioni.

«Art. 3. – Si può essere candidati nella regione ove si è nati e nella regione nella quale si ha il domicilio.

«Art. 4. – Le elezioni dei senatori avverrà col sistema del suffragio universale diretto, segreto e per regioni in base ad apposita legge elettorale».

Si tratta ora di cercare di raccogliere le varie proposte in pochi gruppi, tenendo conto delle loro affinità. Un primo elemento di distinzione potrebbe ravvisarsi nella base elettorale, in ordine alla quale sono state prospettate tre diverse soluzioni: rappresentanza esclusivamente territoriale; rappresentanza di categorie di interessi; rappresentanza mista, genericamente territoriale e di interessi.

Un secondo elemento di raggruppamento poi potrà essere costituito dal tipo di suffragio, diretto o indiretto (2° grado).

LUSSU ritiene che la prima cosa da esaminare è se si voglia ammettere o meno la rappresentanza di interessi.

PRESIDENTE lascia alla Sottocommissione di decidere se porre in votazione il principio puro e semplice senza riferirsi a nessuno degli ordini del giorno.

Dà notizia di un emendamento dell’onorevole Perassi all’articolo 4 proposto dallo onorevole Ambrosio, così formulato: «Il terzo dei senatori assegnato alle regioni è eletto dall’Assemblea regionale entro le categorie che saranno stabilite da una legge speciale, ecc.».

MORTATI, Relatore, esprime l’avviso che, in merito alla base elettorale, la Sottocommissione si sia già pronunciata. Quando fu approvato il concetto che la seconda Camera dovesse dare completezza di espressione politica a tutte le forze vive della Nazione, non solo secondo l’opinione dei presentatori dell’ordine del giorno, ma anche secondo quella degli oppositori, si intese affermare un maggior contatto con le associazioni o forze della produzione. Il dissenso si è manifestato invece sulla possibilità di dare o meno una rappresentanza a queste organizzazioni di categoria.

Ciò promesso, nota che alcune proposte, come quella dell’onorevole Lussu, che riguarda la graduazione della rappresentanza, e quella dell’onorevole Patricolo, relativa alla nomina di personalità locali di particolare valore, potrebbero per il momento essere accantonate, perché esorbitano dalla questione che si vuole risolvere.

Rileva poi che non si può procedere ad una violazione separata, della base elettorale prima e del modo di elezione dopo, perché questi sono elementi strettamente connessi. Occorre altresì tener conto della situazione transitoria, in quanto molti sarebbero favorevoli alla rappresentanza di interessi, ma si arrestano di fronte alla situazione attuale di carenza di organizzazioni di categorie, riconosciute dalla legge o comunque facili ad identificarsi. La preoccupazione in merito alle difficoltà di una immediata pratica attuazione del progetto apparo legittima, quando si consideri che la seconda Camera potrebbe essere chiamata a funzionare fra breve tempo. L’onorevole Lami Starnuti ha anche manifestato la sua perplessità di fronte alla assenza di progetti sufficientemente dettagliati e che diano un orientamento preciso sull’effettivo funzionamento della rappresentanza proposta. Crede che tutte queste considerazioni dovrebbero consigliare ai vari presentatori di proposte di cercare, con un lavoro più approfondito, di trovare delle formule di compromesso che possano orientare meglio le correnti manifestatesi nella Sottocommissione, precisando anche, nei limiti del possibile, sia gli ordinamenti futuri di questa rappresentanza di categorie, sia le disposizioni transitorie per rendere possibile un tentativo di attuazione immediata.

PRESIDENTE obietta all’onorevole Mortati che può essere sentita la necessità di norme transitorie per una immediata attuazione, ma occorre che sia soprattutto tenuto di vista il carattere permanente della Costituzione. Bisogna quindi che ci siano dei dati, se non accertati, almeno accertabili e precisi per trovare una formulazione che contemperi la provvisorietà con la stabilità.

Nota che, se l’interpretazione dell’onorevole Mortati riguardo ad una decisione precedente fosse valida, la maggior parte della discussione delle ultime riunioni sarebbe stata inutile e si potrebbero scartare diverse formulazioni, semplificando il problema. Ma nessuno si è accorto di una tale inutilità. Già si è trattato dell’interpretazione da dare all’espressione «forze vive», riconoscendo che non si è detto niente di inequivocabile e decisivo.

Invita pertanto a non considerare la questione pregiudicata dalla precedente decisione.

AMBROSINI fa rilevare che, tenendo conto della impossibilità od estrema difficoltà di mettere subito in moto il meccanismo elettorale per la prima elezione della seconda Camera, ha inserito nel suo progetto sulle autonomie regionali una disposizione transitoria, per cui l’elezione dei membri della seconda Camera avrebbe luogo per la prima volta a mezzo dei Consigli Comunali.

Passando ad illustrare il progetto che ha presentato poc’anzi, dichiara di essersi proposto di trovare una via di conciliazione delle vedute diverse. Accennerà ai punti fondamentali. Il primo riguarda il numero dei senatori e la loro distribuzione tra le regioni. Ha già espresso l’avviso che sarebbe utile adottare il criterio della proporzionalità con la popolazione, garantendo però un minimo di seggi ad ogni regione.

Siccome le regioni più popolose hanno un insieme di bisogni maggiore delle più piccole, è naturale e necessario che abbiano un quantitativo di rappresentanza maggiore.

Riguardo alla questione più controversa, della base, eguale o diversa, della rappresentanza per la composizione della nuova Camera, ricorda di avere già esposto i motivi per cui ritiene opportuno che venga adottato un sistema misto sulla base della rappresentanza degli interessi territoriali e della rappresentanza delle attività produttive, delle categorie professionali; alla quale seconda categoria di rappresentanza riserverebbe, per andare incontro al punto di vista degli avversari di questo sistema e per cercare di attenuare le loro apprensioni, soltanto un terzo dei seggi del Senato.

I due terzi dei seggi sarebbero, secondo la sua proposta, assegnati alla rappresentanza territoriale. Questa diversa proporzione potrebbe offrire un punto di incontro fra le due tendenze diverse che si sono manifestate decisamente nel seno della Sottocommissione.

Il desiderio di arrivare ad un accordo non può però spingere alla rinunzia completa, specie quando si tratta di una questione di principio.

Egli è d’avviso che l’attuale struttura della rappresentanza politica basata sull’elezione da parte di un corpo elettorale indifferenziato non arriva a rispecchiare nelle Assemblee legislative tutte le espressioni delle varie forze sociali, e che occorre integrare il sistema attuale, che dà voce soltanto alle ideologie politiche, con l’attribuzione di un quantitativo di rappresentanza alle particolari forze economiche, culturali e lavorativo in generale.

Si rileva in contrario che una tale rappresentanza specifica non è necessaria, in quanto le forze in questione avrebbero già la propria voce ed eserciterebbero appieno il loro peso per mezzo dei partiti.

Ciò può anche ammettersi, ma non basta per colmare la deficienza di rappresentanza specifica alla quale si è accennato.

I partiti, i grandi partiti, si basano sulle ideologie e ne sono i propugnatori. Essi partono da alte vedute di insieme, da un proprio modo di vedere e più ancora di sentire le cose della Nazione e del Mondo, partono cioè da una propria Weltanschauung, che necessariamente li porta a riguardare da quell’alto punto di vista generale le cose particolari, e tendenzialmente a piegare queste al raggiungimento degli scopi supremi segnati nel rispettivo programma di partito. È così che procede avanti la storia.

Ma, oltre alla necessità di alimentare la vita e di indirizzare i movimenti della società e dello Stato sulla scia della grande luce delle ideologie, si appalesa opportuno ed utile sentire la voce dei singoli interessi particolari, non come interessi particolaristici, ma come interessi di grandi categorie, di quelle grandi categorie delle attività produttive e delle varie funzioni sociali, che costituiscono una realtà ed una forza operante nella vita quotidiana, e che per ciò debbono, come tali, essere prese in considerazione anche nel campo politico.

La legislazione può anche arrivare a disconoscerle, ma non per ciò esse cessano di esistere. Ora, se esistono ed operano, è bene che non siano abbandonate a sé stesse, e che non si mettano nella condizione di far valere i loro interessi in modo coperto e magari subdolo attraverso i partiti. È bene cioè che possano direttamente esporre i propri punti di vista, e che all’uopo abbiano una propria rappresentanza in una delle Assemblee legislative.

Questo gioverà non solo ad assicurare alla seconda Camera l’apporto di tecnici che possano prospettare i problemi delle varie branche della produzione e del lavoro, con una competenza specifica superiore a quella che hanno gli uomini politici nella generalità dei casi, ma gioverà anche a stabilire la chiarezza delle situazioni, facendo apertamente assumere ai rappresentanti qualificati delle diverse categorie la precisa responsabilità di quello che sostengono.

Rileva che gli sembra infondato il timore che con l’adozione di questo sistema l’Assemblea si ridurrebbe ad un campo di lotta di particolaristici interessi contrari, che potrebbero finire o col non intendersi e causare così una maggiore confusione, o con l’intendersi e con ciò arrivare a soluzioni ad essi soli favorevoli e contrarie ai consumatori ed all’interesse della Nazione in generale.

Questo pericolo non esiste per varie ragioni: in primo luogo perché i rappresentanti delle categorie sarebbero indotti o, ai fine, costretti, occupandosi nell’Assemblea dei propri rispettivi interessi, a prospettarli da un punto di vista più generale, ad inquadrarli nell’interesse nazionale, e con ciò stesso a smorzarne o ad attenuarne l’ottusità ed il particolarismo.

Il pericolo, in secondo luogo, non c’è, perché l’Assemblea non può, in definitiva, che arrivare ad una decisione improntata a criteri politici.

È la stessa messa in moto del meccanismo dell’Assemblea che trasformerebbe l’impostazione particolaristica data dai rappresentanti delle categorie ai singoli problemi specifici, trasportando questi dal piano angustamente economico a quello più propriamente politico.

Ma c’è una ragione ancora più forte, decisiva che porta a far ritenere insussistente il pericolo da varie parti prospettato, ed è questa: che col progetto presentato, dell’attribuzione di due terzi dei seggi alla rappresentanza territoriale e soltanto di un terzo alla rappresentanza delle categorie in questione, queste sarebbero già in netta minoranza e non potrebbero in conseguenza, anche quando si mantenessero compatte, imporre la loro volontà all’Assemblea.

Deve aggiungersi, in riguardo ad un’altra obiezione che è stata fatta, che una tale rappresentanza non importerebbe affatto un contrapporsi o un diminuire in alcun modo la rappresentanza popolare espressa col sistema di formazione della Camera dei deputati.

L’assegnare una rappresentanza speciale alle varie categorie del corpo sociale, secondo la configurazione suddetta e con gli scopi suaccennati, non significherebbe limitare la sovranità popolare, ma completarla, integrarla, renderla più perfetta e più efficiente.

Continuando ad illustrare il suo progetto, fa rilevare che nell’articolo 3 sia configurato un collegio elettorale regionale di una semplicità lineare, per l’elezione dei due terzi dell’Assemblea non scelti tra i rappresentanti di interessi.

Le categorie di elettori indicate nell’articolo 3 potranno essere magari aumentate; ma ciò che a suo avviso è necessario affermare, anche per avere un nuovo criterio di differenziazione con la prima Camera, è l’opportunità di una elezione di secondo grado, con un collegio elettorale composto delle persone più rappresentative della regione e già investite della fiducia del popolo.

Quando all’altro terzo di cui all’articolo 4, ha ritenuto opportuno che se ne rimandi la ripartizione tra le varie attività produttivo ad una legge speciale; e ciò per evitare i pericoli di una decisione affrettata. Per l’applicazione del principio si dovrà naturalmente arrivare alla formazione degli elenchi degli appartenenti alle categorie. Ciò, per altro, dovrebbe farsi anche se si adottasse il criterio di trasferire il requisito dell’appartenenza alle categorie dagli elettori agli eleggibili

FABBRI sostiene che non sia necessaria una vera e propria iscrizione, perché i requisiti di idoneità personale sono costituiti dalla vita precedente. La Costituzione potrebbe stabilire che per essere eletto occorre aver esercitato una determinata professione, arte o mestiere per un determinato numero di anni. Si tratterebbe soltanto di una constatazione di fatto inerente all’attività svolta e non della iscrizione in un albo.

AMBROSINI ritiene che l’attuazione del principio della rappresentanza organica deve avvenire con l’elezione da parte dei Collegi elettorali di categoria, e non col semplice trasferimento del requisito di appartenenza alla categoria per gli eleggibili. Rileva che chi aspirasse a presentare la sua candidatura, non troverebbe difficoltà a procurarsi tale titolo, a meno che si richiedesse inoltre l’effettivo esercizio per un determinato tempo di una speciale attività produttiva. Comunque, ad un registro delle categorie si dovrebbe arrivare.

FUSCHINI osserva che un registro delle categorie significherebbe un ritorno alla, legislazione corporativa fascista.

AMBROSINI dissente decisamente da questa osservazione. Rileva anzitutto in proposito che il corporativismo non fu inventato dal fascismo. Il fascismo copiò, e malamente, e non attuò affatto il principio, non solo perché volle piegarlo e sfruttarlo a scopi puramente di egemonia di partito e di oligarchie gerarchiche, ma anche perché ne disconobbe lo spirito animatore, sopprimendo il sistema elettivo, che è connaturato con lo stesso principio. Non crede quindi che sia il caso di nutrire le apprensioni che può suscitare quel ricordo.

Per altro, osserva a sua volta che non può disconoscersi la necessità di riguardare e risolvere il problema di un qualche inquadramento degli appartenenti alle categorie, o per lo meno a talune categorie delle branche produttive, non foss’altro per regolare i rapporti di lavoro e stabilire a chi spetti la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro. È l’argomento di cui si sta occupando la terza Sottocommissione.

La verità è che contro il principio della rappresentanza organica agiscono delle prevenzioni alimentate dal ricordo del passato e fors’anche dalla dizione stessa che spesso si usa per indicare tale tipo di rappresentanza. L’espressione di «rappresentanza degli interessi» suscita dell’avversione. Vero è, che è risaputo che la parola «interesse» è adoperata nell’accezione più ampia, tale da comprendere gli interessi culturali, artistici, ecc. Ma la parola resta sempre ostica. Fu forse per questa ragione, e per evitare comunque il riferimento ad «interessi» prestabiliti o ad intenti e programmi conservativi o addirittura reazionari, che uno dei maggiori sostenitori della rappresentanza organica, il De Greef, socialista, usò l’espressione «rappresentanza di funzioni sociali», e che, sulla base appunto delle categorie comprendenti le varie funzioni sociali, elaborò un piano concreto di riforma di tutto il sistema rappresentativo.

Avviandosi alla conclusione, fa presente che molto più modesta è la richiesta di riforma avanzata con l’articolo 4 del suaccennato progetto; essa è limitata soltanto ad un terzo di seggi e di una sola Assemblea. Si augura quindi che venga presa in considerazione per vedere se può arrivarsi ad un punto di incontro fra le opposte tendenze manifestatesi nel seno della Sottocommissione.

Per la morte dell’onorevole Grandi.

PRESIDENTE deve purtroppo comunicare alla Sottocommissione la tristissima notizia, ora ricevuta, della morte dell’onorevole Achille Grandi, Vice Presidente della Camera. Da lungo tempo soffriva di un terribile male e, ciò nonostante, aveva voluto fino all’ultimo conservare i compiti e le responsabilità del suo ufficio, che disimpegnava con piena fiducia delle masse lavoratrici e dei suoi elettori. È, come tutti, profondamente turbato dalla ferale notizia, poiché in tutti è ancor vivo il ricordo di lui e dell’opera sua. Comprende che molti colleghi legati allo scomparso da stretti vincoli di studio e d’affetto, intendano in questo momento recare all’amico scomparso, all’antico compagno di lavoro il tributo della loro solidarietà c devozione.

Propone perciò di sospendere la seduta.

PICCIONI ringrazia il Presidente delle sue parole di sincero compianto per la scomparsa dell’illustre amico. Ringrazia anche gli altri colleghi della manifestazione di solidarietà che intendono dare in questo triste momento. È un gravo lutto, egli pensa, per l’Assemblea Costituente, per il partito, per il Paese e per la classe lavoratrice italiana.

Ricorda che l’onorevole Grandi fu prima di tutto un maestro di vita e un assertore di principî di democrazia, ispirati ad alti concetti di spiritualità e dedicò tutto sé stesso alla elevazione morale e materiale delle classi lavoratrici.

LUSSU si associa all’omaggio reverente reso ad una così grande figura di italiano; una di quelle figure così ricche di vita spirituale, d’intelligenza e di forza di carattere, che sono citate ad esempio perenne da quanti seguono la parola e la vita dei loro capi.

Ricorda che l’onorevole Grandi aveva la fortuna di venire dalla classe operaia e quindi di aver tratto insegnamento non dai libri o da concezioni filosofiche, ma dalle sofferenze stesse del mondo operaio; fortuna, perché è la vita dei lavoratori che determina la civiltà nuova, in contrasto con quella passata che era fondata sul privilegio.

L’onorevole Grandi rappresenta per tutti i partiti una delle più nobili figure che in questo periodo fosco della storia italiana, in mezzo a tante miserie, hanno illuminato la via per procedere verso un avvenire migliore.

FARINI trova difficoltà a parlare per la commozione profonda che lo invade per la scomparsa dell’onorevole Grandi, luminosa figura di combattente della democrazia e capo venerato di masse lavoratrici. Esse perdono in lui un uomo profondamente stimato, che dava alla lotta da loro combattuta uno spirito nuovo, per condurre in questo periodo di ricostruzione il Paese verso una nuova forma di democrazia. Afferma che la perdita dell’onorevole Grandi è una perdita pei tutti i partiti.

CONTI partecipa, a nome del partito repubblicano, all’omaggio reso alla memoria dell’onorevole Grandi. Non può dimenticare questa figura, caratteristica soprattutto per la grande serenità, per una sua propria concezione dei doveri della vita, che fanno onore all’uomo ed anche al partito a cuì apparteneva.

Come uomo di parte, ricorda che da lui furono proferite al Congresso della Democrazia cristiana parole di alta fede repubblicana, le quali indubbiamente influirono sulle decisioni di quel partito in favore della Repubblica. Non erano, le sue, parole di convenienza: erano quelle che poteva pronunciare un uomo che ha sempre seriamente, fortemente lottato per l’elevazione delle classi lavoratrici. Egli sentiva che il movimento operaio non poteva avviarsi verso la sua meta, se non attraverso questa grande conquista.

EINAUDI ha conosciuto l’onorevole Grandi solamente in questi ultimi tempi, ma dalle espressioni alte ed appassionate che lo ha inteso pronunciare ha compreso come l’illustre scomparso appartenesse a quella categoria di grandi organizzatori degli operai che formano il lievito della vera democrazia. Ritiene quindi doveroso il ricordo ed il rimpianto di coloro che, venuti dalla vanga, dall’officina, dal lavoro, hanno dato, come lui, un fattivo contributo alla formazione della nuova Italia.

LAMI STARNUTI si associa a nome dei colleghi di parte socialista alle espressioni di cordoglio in memoria dell’onorevole Grandi. Non ha avuto la fortuna di conoscerlo personalmente; ma di lui ha sentito come, nella lunga vigilia dell’oppressione fascista, fosse uno dei più forti e più tenaci oppositori al regime che opprimeva e disonorava l’Italia.

Crede doveroso ricordarlo ora sotto questo aspetto, mentre manda alla sua memoria un saluto commosso.

PATRICOLO si associa a nome del suo gruppo alle parole di cordoglio dei colleghi per la scomparsa dell’onorevole Grandi, che è stato un assertore degli alti ideali cristiani e dei diritti dei lavoratori.

La seduta termina alle 10.15

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri. Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bulloni, Calamandrei, Cappi, Grieco, Leone, Rossi Paolo.

Assenti: Di Giovanni, Finocchiaro Aprile, Porzio, Targetti, Uberti.

VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Bordon – Farini – Presidente – Conti, Relatore – Lussu – Nobile – Bozzi –Tosato – Zuccarini – Einaudi – Laconi – Lami Starnuti – Mortati, Relatore – Patricolo – Mannironi – La Rocca – Piccioni – Fabbri – Uberti.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

BORDON dichiara che, se fosse stato presente nell’ultima riunione, avrebbe votato l’articolo proposto dall’onorevole Lussu.

FARINI fa analoga dichiarazione nei riguardi dell’ordine del giorno La Rocca-Grieco.

PRESIDENTE, ricordata l’approvazione nella riunione precedente di un ordine del giorno Tosato, ai termini del quale la base elettiva della seconda Camera deve essere comunque regionale, avverte che si deve passare ora all’esame del tema successivo: pratica attuazione del principio della rappresentanza regionale. Fa presente che nel corso della discussione si sono manifestate varie tendenze e precisamente: per una rappresentanza degli interessi regionali; per una rappresentanza tipicamente di categorie, sempre nell’ambito della regione; per una rappresentanza della regione considerata esclusivamente come entità territoriale. V’è altresì un sistema misto, previsto nell’articolazione dell’onorevole Conti, la quale, però, dovrebbe essere modificata per renderla aderente alla decisione presa circa la base regionale della rappresentanza.

CONTI Relatore, è d’accordo e aderisce anche al desiderio di alcuni colleghi di modificare le sue proposte nel senso di stabilire che ogni Assemblea regionale elegge un numero fisso di senatori.

LUSSU, ricordato che alla sua proposta di comporre la seconda Camera con un numero fisso ed eguale di rappresentanti per ogni regione fu mossa l’obiezione che essa tradiva una aspirazione federalistica, si dichiara disposto a scendere su un terreno di compromesso. Accetterebbe infatti la soluzione di determinare – scartando l’ipotesi della rappresentanza di categorie ed enti culturali, che è contraria alle sue idee – un numero di rappresentanti per ogni regione proporzionato alla popolazione.

A tale scopo propone la seguente formula:

«La seconda Camera è composta di un numero di rappresentanti proporzionale al numero degli abitanti (o, se si preferisce, degli elettori) della regione».

NOBILE chiede se la questione del tipo di rappresentanza debba considerarsi pregiudicata dalle decisioni precedenti.

PRESIDENTE precisa che nell’ordine del giorno votato si è usata un’espressione molto larga, in quanto si è parlato di «forze vive». Ora si tratterebbe, appunto, di stabilire che cosa s’intende per «forze vive».

BOZZI osserva che l’onorevole Lussu nel suo ordine del giorno non dice come i senatori dovrebbero essere eletti: se dalle Assemblee regionali oppure no.

LUSSU consiglierebbe una elezione di secondo grado.

PRESIDENTE avverte che la questione sarà presa in esame in un secondo tempo.

Dà notizia di un progetto presentato dall’onorevole Mortati, che prevede all’articolo 5 una forma di rappresentanza duplice. Detto progetto consta dei seguenti 10 articoli:

«Art. 1. – Il potere legislativo è esercitato collettivamente dalla Camera dei Deputali e dal Senato.

Art. 2. – La formazione e cessazione delle due Camere avvengono contemporaneamente.

Art. 3. – Il Senato è composto da membri eletti dalle regioni, in numero di 300, per la durata di 5 anni. Il numero dei senatori assegnato ad ogni regione è proporzionale a quello dei cittadini in essa domiciliati. Tuttavia nessuna regione potrà avere un numero di rappresentanti superiore a… né inferiore a…

Art. 4. – Per ogni senatore sarà eletto un supplente.

Art. 5. – I seggi di senatore assegnati ad ogni Regione sono per metà coperti con elezione a suffragio diretto, universale, e per l’altra metà con elezioni da effettuarsi nell’ambito di speciali collegi elettorali, formati in base alla appartenenza dei cittadini ad una delle seguenti categorie di attività produttive: a) agricoltura e pesca; b) industria, compresa quella dei trasporti e bancaria; c) commercio; d) scuola e cultura; e) giustizia; f) urbanistica, sanità ed igiene; g) amministrazione pubblica.

Art. 6. – I seggi assegnati ad ognuna delle categorie di cui all’ultima parte del precedente articolo, verranno attribuiti in parti uguali da distinti subcollegi formati rispettivamente dagli addetti ad attività di lavoro salariato, oppure di lavoro autonomo direttivo.

Art. 7. – L’assegnazione del numero dei membri da eleggere dalle singole categorie nell’ambito di ciascuna regione sarà fatta con legge costituzionale, da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni, tenendo conto del diverso grado di efficienza di ognuna.

Art. 8. – I procedimenti elettorali per la nomina dei due gruppi di senatori saranno determinati da apposita legge.

Art. 9. – Partecipano alle elezioni per la parte dei senatori da eleggere a suffragio generale tutti i cittadini, i quali abbiano compiuto il 25° anno di età.

Sono elettori nei collegi speciali i cittadini appartenenti alle singole categorie che abbiano compiuto il 21° anno di età (oppure, che abbiano raggiunto la maggiore età).

Art. 10. – Sono eleggibili alla carica di senatore i cittadini, i quali, oltre a possedere i requisiti richiesti per le elezioni alla Camera dei Deputati, abbiano raggiunto l’età di anni 40, e abbiano coperto per almeno due anni una delle seguenti cariche:

  1. a)

Per l’elezione nei collegi speciali occorre altresì che i candidali appartengano effettivamente alla categoria corrispondente a ciascuno dei collegi stessi».

TOSATO ricorda di aver presentato una proposta che differisce in parte da quella dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE fa rilevare che con la proposta Tosato si circoscrivono le elezioni nell’ambito ristretto di determinate categorie, escludendosi una rappresentanza puramente territoriale.

ZUCCARINI parte dal presupposto che il Senato debba avere una funzione integratrice e perfezionatrice nei riguardi della prima Camera, e debba essere espressione di un pensiero più maturo, di una maggiore ponderazione. Trova che porre a base della sua composizione la rappresentanza di interessi, significherebbe restringere la visuale ad un campo particolaristico, anziché generale. Se ciò è inopportuno, è altresì difficile stabilire quali sono questi interessi, e a quali va data la prevalenza. V’è inoltre da aggiungere un’altra considerazione, e cioè che, con questo sistema, non si conferirebbe alla seconda Camera maggiore competenza o capacità. Ogni rappresentante di interesse sarebbe particolarmente competente nel suo campo e l’unione di diverse competenze specifiche darebbe luogo all’incompetenza generale. Un agricoltore, ad esempio, potrà decidere con cognizione di causa su questioni che riguardano l’agricoltura, ma chiedere un parere al riguardo ai rappresentanti di altri interessi equivarrebbe a chiedere il parere di incompetenti.

Per queste ragioni è contrario alla rappresentanza di interessi, come pure alla rappresentanza mista, territoriale e di interessi, che comporterebbe una duplice partecipazione alle stesse elezioni; ed esprime il parere che il sistema migliore sia quello della rappresentanza esclusivamente regionale, che dà modo al cittadino di manifestare la sua volontà una prima volta come individuo politico, attraverso l’elezione della prima Camera, ed una seconda volta come persona interessata ai problemi amministrativi ed economici della sua regione.

EINAUDI non si rende conto di come una elezione lfatta unicamente per regioni possa dare una rappresentanza diversa da quella della prima Camera. A meno che per la prima Camera non si costituisca un collegio nazionale, anch’essa sarà eletta da elettori appartenenti alle singole regioni. Occorre un criterio discriminatore, affinché si possa dire che con la prima elezione non si ha una rappresentanza delle regioni, mentre lo si ha con la seconda.

NOBILE si dichiara contrario al criterio della rappresentanza di categorie. Spingendo al paradosso l’obiezione dell’onorevole Zuccarini, osserva che se, per esempio, i rappresentanti fossero 150 e 150 gli interessi rappresentati, nella trattazione di un qualsiasi argomento ci sarebbero un solo competente e 149 incompetenti. È invece favorevole all’elezione, senza limiti di interessi da rappresentare, da parte dell’Assemblea regionale e alla determinazione di un numero eguale di rappresentanti per ogni regione, così da dare a ciascuna lo stesso peso nelle decisioni.

LACONI condivide l’opinione dell’onorevole Zuccarini. Il sistema della doppia rappresentanza tipicamente regionale e di interessi regionali non considera l’assurdità di una distinzione tra rappresentanti regionali e rappresentanti di interessi regionali. In sostanza si dovrebbero creare come due piccoli Parlamenti che in comune non avrebbero che il fatto di sedere nella stessa aula.

A suo avviso, l’unica rappresentanza concepibile è invece quella genericamente regionale. D’altronde, una seconda Camera così composta potrebbe rimediare alle eventuali sue deficienze attraverso gli apparali tecnici di cui potrebbe circondarsi e mantenendosi in contatto con gli organismi tecnici della regione.

All’obiezione dell’onorevole Einaudi risponde che un criterio distintivo tra le due Camere si avrebbe già nella diversità del mandato: mentre i deputati ricevono un mandato genericamente politico, i senatori avrebbero un preciso mandato di rappresentanza regionale.

Una seconda distinzione si avrebbe poi nel corpo elettorale, poiché la seconda Camera non sarebbe costituita con i criteri larghi della prima, ma con una scelta oculata e selezionata.

Si dichiara infine contrario alla tesi Tosato di una rappresentanza unicamente di interessi regionali, che porrebbe le Assemblee regionali di fronte alla insormontabile difficoltà di determinare una proporzione ed una scala di valori tra i vari interessi.

Ripete, per concludere, che unica soluzione accettabile è quella di costituire la seconda Camera con rappresentanze regionali genericamente intese, rimanendo implicito che esse rispecchiano la situazione regionale sotto tutti i punti di vista, anche sotto quello degli interessi economici.

LAMI STARNUTÌ si dichiara contrario alla rappresentanza degli interessi, soprattutto tenuto conto del fatto che le categorie riescono sempre, anche se non è loro riconosciuta una rappresentanza diretta, a farsi valere attraverso le elezioni politiche.

Difficilissimo ritiene poi lo stabilire la proporzione tra le varie categorie di interessi, e gradirebbe che l’onorevole Mortali, uscendo dal generico, indicasse con un esempio pratico quale potrebbe essere la ripartizione dei seggi fra le categorie in una determinata circoscrizione regionale, presa come circoscrizione tipo.

Concorda con l’onorevole Lusso che il numero dei seggi dovrebbe essere stabilito in proporzione alla popolazione della regione, il che consentirebbe di mantenere esattamente il rapporto proporzionale tra eletti ed elettori. Assegnando a ciascuna regione un numero fisso di seggi, indipendentemente dalla rispettiva popolazione e con la sola differenziazione delle categorie, si creerebbe una fisionomia politica della seconda Camera non corrispondente a quella reale del Paese.

MORTATI, Relatore, si propone di illustrare più dettagliatamente le sue proposte, venendo così incontro al desiderio di alcuni colleghi.

Premette che, in sostanza, i fini politici che si vogliono realizzare con la seconda Camera si possono riassumere nelle seguenti tre proposizioni: 1°) maggior contatto tra l’orientamento generale e gli interessi concreti del Paese, che dovrebbero tutti avere una loro rappresentanza; 2°) realizzazione ad arte di quel necessario equilibrio fra tutte le forze politiche che consenta alle più deboli, a quelle che in sede di elezioni politiche non hanno potuto conseguire, per la natura stessa del suffragio universale, una adeguata affermazione, di organizzarsi e di acquistare coscienza di sé; 3°) maggiore idoneità ad affrontare i compiti affidati al Parlamento che in uno Stato moderno è chiamato a risolvere una quantità di questioni tecniche attraverso l’immissione di elementi particolarmente competenti.

Appunto per raggiungere questi fini egli ha proposto di abbinare al criterio funzionale quello organico, intendendo con quest’ultimo il collegamento della rappresentanza politica con le varie articolazioni, territoriali e di categorie produttive, che formano la struttura sociale della nazione.

Ritiene che la esigenza di una rappresentanza separata di interessi territoriali e di categoria non venga inficiata dalle obiezioni che sono state sollevate. L’onorevole Terracini ha opposto che la rappresentanza degli interessi trovasi già realizzata dai partiti nelle elezioni politiche. Se così fosse, il problema sarebbe già risolto. Ma l’onorevole Einaudi ha giustamente fatto rilevare che questa rappresentanza, se vi è, è casuale. Sebbene il concetto dell’onorevole Einaudi sottintenda uno dei postulati della teoria liberale, secondo il quale le forze sociali in lotta devono trovare da se stesso il loro equilibrio, l’affermazione della casualità di rappresentanza non può non fare riflettore che in una collettività, organizzata secondo criteri politici non puramente liberistici, occorre trovare i correttivi, non per mutare artificiosamente il rapporto di forze, ma por consentire a tutte le forzo politiche di avere assicurata una propria rappresentanza in seno agli organi legislativi. Lo stesso onorevole Einaudi ha ammesso, d’altra parte, la necessità di assicurare comunque la rappresentanza degli interessi culturali. La tendenza degli Stati moderni è non soltanto nel senso di affermare i diritti di libertà di rappresentanza, ma anche in quello di assicurare tali diritti, creando i presupposti necessari affinché sia garantita la partecipazione di tutti i cittadini e di tutte le categorie.

D’altra parte, quando si parla di interessi generali, non si deve dimenticare che l’interesse generale scaturisce dalla confluenza dei vari interessi particolari. I fascisti e i nazisti presumevano di avere dalla divinità la capacità di interpretare l’interesse generale, e quindi di potere esercitare dall’alto un compito equilibratore delle forze politiche. Ma l’interesse generale non è un «a priori»; al contrario, è un «a posteriori» cioè, la risultante dell’accordo fra vari interessi particolari. L’onorevole Terracini ha sostenuto che i partiti trovano nelle loro ideologie il mezzo per operare una sublimazione degli interessi delle varie classi. Ma in qual modo potrebbero fare ciò? Se essi non possono invocare l’intervento divino, non sono suscettibili di operare la sintesi precisa se non ascoltando la voce, allo scopo del coordinamento, del maggior numero di esponenti di interessi frazionari. Più si facilita la partecipazione degli interessi particolari alla cosa pubblica, e meglio si raggiunge l’interesse generale, la cui realizzazione riuscirà perciò più aderente alle situazioni create.

Non crede fondata l’eccezione che questi interessi rimarrebbero sempre interessi particolari, perché si tratta di organizzarli in modo che riescano a superarsi. A suo avviso un tale scopo meglio si otterrebbe facendo intervenire queste forze particolari in un organo che assumesse responsabilità politiche.

Con le proposte formulate si vuole proprio fare della camera di categorie una vera camera politica – si vuole cioè che quegli interessi siano messi in condizione di agire con piena coscienza di sé, e siano chiamati a trovare essi stessi la confluenza del particolare che rappresentano nell’interesse generale.

È noto che spesso quello che i partiti sbandierano quali interessi generali nascondono sotto questa etichetta interessi particolari. Per esempio i siderurgici, gli zuccherieri, i granari, sono titolari di interessi che fanno valere surrettiziamente attraverso l’etichetta del bene della Patria, dell’interesse nazionale. Se invece si costringessero a rivelarsi per quello che sono, ad assumere la loro responsabilità e ad inquadrare le loro esigenze particolari nell’interesse pubblico, si farebbe cosa utile.

Si vuole, in sostanza, ottenere che i portatori delle varie esigenze di categoria portino sì la voce della loro classe, ma siano anche obbligati ad uniformare la loro attività all’interesse generale, costringendoli a rispondere del loro operato di fronte a tutta la Nazione. Gli operai che chiedono un aumento salariale se, invece di agire fuori del campo politico, dovessero far sentire la loro voce direttamente in una Assemblea legislativa, sarebbero impegnati a prender posizione circa le conseguenze politiche della loro richiesta; sarebbero, obbligati a pronunziarsi sulla preferenza verso una politica di inflazione o di deflazione, a dichiarare i criteri circa un’eventuale redistribuzione del reddito, ecc. Così essi farebbero valere i loro interessi particolari in un quadro politico generale. È in questo modo che l’oratore concepisce la rappresentanza degli interessi.

Ciò premesso, osserva che si tratta di trovare i modi di organizzazione del suffragio di cui si parla più idonei ad ottenere la politicizzazione degli interessi di categoria. Taluni hanno pensato alle elezioni di secondo grado; altri, come l’onorevole Tosato, ritengono opportuno che questi interessi possano venire in luce attraverso la determinazione delle categorie degli eleggibili. Quindi l’industria, il commercio, l’agricoltura, ecc., sarebbero rappresentati, non attraverso rappresentanze di gruppi, ma attraverso ad elezioni generali o dirette o di secondo grado.

A chi si è posta la domanda perché egli, dal canto suo, abbia consigliato due specie di rappresentanza regionale, fa presente che certo l’ideale sarebbe una Camera tutta formata di rappresentanti di categorie; ma, limitandosi alla rappresentanza delle attività produttive, si lascerebbero fuori numerose categorie di cittadini non inquadrabili; per esempio, le donne non addette a lavori produttivi, i militari, i ministri del culto, i pensionati, gli studenti. Questi resterebbero esclusi dal suffragio, mentre essendosi premesso che la seconda Camera dovrà uniformarsi, nei limiti del possibile, alla prima per quanto riguarda l’efficacia rappresentativa, occorreva trovare una maniera per ovviare all’inconveniente. Perciò ha proposto che una metà dei seggi sia attribuita dai cittadini in generale, mediante suffragio diretto e universale.

Precisa all’onorevole Einaudi, che ha domandato se e come la seconda Camera si distinguerebbe dalla prima, che i criteri di differenziazione sono molteplici. Un primo riguarda la categoria degli elettori, che dovrebbero avere 25 anni di età; un secondo i requisiti per la eleggibilità (età superiore ai 40 anni e appartenenza a determinate categorie generali di capacità, da determinarsi con apposita elencazione); un terzo il metodo delle elezioni; un quarto la diversa rappresentanza attribuita alle regioni. Al riguardo osserva che, se si respinge la tesi di una rappresentanza paritetica per ogni regione, che è considerata troppo federalista, e si accoglie il criterio della proporzionalità con la popolazione, occorre determinare un limite minimo ed un limite massimo nel peso politico delle varie regioni. Come esempio di ordinamenti, in cui le due Camere elette entrambe a suffragio universale si differenziano per le diverse modalità dei congegni rappresentativi, cita la Svizzera, gli Stati Uniti, la Cecoslovacchia, ecc.

Superate queste obiezioni osserva che rimane la difficoltà pratica di individuare queste categorie. Qui si duole di non poter rispondere all’invito di precisare, rivoltogli dall’onorevole Lami Starnuti, perché purtroppo gli mancano quegli elementi concreti, che invano ha domandato da molto tempo, anche a mezzo di appositi ordini del giorno. È il primo a riconoscere che una riforma, che non si limiti ad un rimaneggiamento dello Statuto Albertino, come alcuni vorrebbero, ma che miri a sostanziali innovazioni nell’ordinamento statale, presuppone un complesso di studi e di ricerche statistiche ed economiche che mancano. C’è questa grave lacuna nel lavoro della Sottocommissione, che risente così di uno scarso contatto con la realtà. Ad ogni modo, riservandosi di fare maggiori precisazioni, esprime la convinzione che il problema, anche se molto arduo, non è di impossibile soluzione. Potrà invece risolversi attraverso la conoscenza di dati di fatto, ed il ricorso ad un criterio di peso politico secondo del resto è stato fatto in altri Stati, compreso lo Stato bolscevico, che per un certo tempo ha avuto una rappresentanza politica sulla base delle categorie.

C’è infine il pericolo della cristallizzazione, segnalato dall’onorevole Einaudi, da cui bisogna premunirsi. A questo scopo propone che l’assegnazione del numero dei membri, che dovrebbe eleggere ciascuna categoria nell’ambito della regione, sia fatta con legge costituzionale da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni. Così si evita che delle forze politiche possano contrastare la nascita e lo sviluppo di nuove categorie produttive.

L’onorevole Einaudi ha anche accennato all’opportunità di ammettere solo una rappresentanza di ceti culturali, escludendo le categorie economiche. Ritiene invece che utilmente anche queste potrebbero far udire la loro voce nelle decisioni che il Parlamento è chiamato a prendere, non solo nel campo tecnico, ma anche in quello politico; e rileva che l’utilità discende dalla possibilità di giungere per tal mezzo ad una integrale rappresentanza dei vari interessi. Quando, per esempio, gli agrari della Puglia o della Calabria avessero assicurato una loro rappresentanza nel Parlamento, sarebbero meglio in grado di far valere le loro specifiche esigenze di fronte agli agrari di Lombardia, i quali potrebbero essere portati dalla loro maggiore efficienza politica a tentare la realizzazione di interessi in contrasto con quelli di altre regioni meno difese. Il fenomeno storicamente è constatato. Per suffragare la sua tesi con un altro esempio, ricorda che il Partito socialista ha affermato e sostenuto la necessità della tutela degli interessi del proletariato, come classe unitaria, in Italia; ma in effetti sono stati gli operai dell’alta Italia, più organizzati, più vicini alla vita politica che hanno esplicato od appoggiato un atteggiamento politico che in taluni casi è tornato a danno degli interessi dei contadini o di altre categorie del Mezzogiorno.

Considera pertanto necessario trovare i congegni atti, se non a neutralizzare, a limitare questo predominio di ceti politicamente più potenti e ad equilibrare meglio le forze politiche e gli interessi delle varie regioni.

PATRICOLO concorda pienamente con l’onorevole Zuccarini sulla opportunità che la seconda Camera sia esclusivamente rappresentante delle regioni come entità territoriali e crede di ravvisare nella doppia rappresentanza politica e di interessi una sommessa nostalgia della Camera corporativa. Aggiunge che, se mai, questa forma di rappresentanza avrebbe potuto essere presa in considerazione agli effetti della composizione della prima Camera, sia perché essa, essendo più numerosa, avrebbe potuto meglio rispondere alle esigenze di una rappresentanza generale di interessi, sia perché, attraverso al suffragio universale, si sarebbe potuta ottenere una vera rappresentanza delle varie categorie di interessi del popolo italiano. Viceversa, una elezione di secondo grado verso la quale sembra che ci si orienti non consentirebbe una rappresentanza aderente alla realtà di questi interessi, intesi nella loro precisa funzione e nella loro vastità. Aggiunge che, partendo dal punto di vista che la seconda Camera debba avere un numero di componenti inferiore a quello della prima Camera, già si restringe la rappresentanza in maniera tale che non si vede come possa rispondere allo scopo. Ma se poi si ammette il 50 per cento di rappresentanza politica ed il 50 per cento di rappresentanza delle categorie, si arriva ad un massimo di 150 deputati rappresentanti degli interessi. Come potrebbe mai un così limitato numero di persone rappresentare adeguatamente gli interessi di tutte le categorie del popolo italiano?

Ciò premesso, osserva che occorre scegliere tra le due forme di rappresentanza: quella politica e quella degli interessi. Se si scegliesse quest’ultima, occorrerebbe ritornare sulle decisioni già prese in tema di composizione della prima Camera, e vagliare l’opportunità di affidarla ad essa.

Richiama anche l’attenzione sul fatto che, predeterminando le categorie che dovrebbero costituire la base della rappresentanza della seconda Camera, si corre il rischio di creare sperequazioni dannose ai fini della tutela degli interessi generali del Paese.

Riprendendo il tema dell’ammissione in Senato di uomini di alto merito, nota che si è esclusa la possibilità di nomina da parte del Capo dello Stato, ma che si potrebbe consentire a ciascuna Assemblea regionale di eleggerne uno. Si ovvierebbe così all’inconveniente di una investitura dall’alto e si avrebbe nello stesso tempo l’apporto di esperienza di uomini che costituiscono un lustro per la Nazione. Propone quindi una norma che suoni così: «Spetta a ciascuna Assemblea regionale la nomina di un senatore, scelto fra cittadini di alto merito della Regione».

MANNIRONI presenta il seguente ordine del giorno:

«Il Senato viene costituito dalle Assemblee regionali, le quali eleggeranno tre rappresentanti della regione ed inoltre un rappresentante per ogni 300 mila abitanti, scegliendoli fra gli esponenti dell’agricoltura, della industria, del commercio, del lavoro e degli studi, nella proporzione fissata dalle singole Assemblee regionali a ogni legislatura».

LA ROCCA manifesta la viva preoccupazione che si possano, volontariamente o no, alterare i risultati del suffragio universale. Pensa che, se non fosse stata accettata la parità della seconda Camera, si sarebbe anche potuto discutere di certe questioni; ma non lo si può più fare dopo che si è affermato che la seconda Camera è sul medesimo piano della prima per quanto riguarda non solo l’attività legislativa, ma anche l’indirizzo politico, potendo anch’essa concedere o rifiutare la fiducia al Governo. A suo avviso, alla base di tutte lo concezioni di cui ha inteso parlare, c’è un criterio antidemocratico nel senso che si vorrebbe che la seconda Camera divenisse un muro nei confronti della prima.

Con una schiacciante esuberanza di argomenti ritiene poi che si potrebbe rispondere alla lunga esposizione teorica dell’onorevole Mortati. Egli ha sostenuto che la seconda Camera dovrebbe servire a garantire un maggior contatto tra gli orientamenti generali e gli interessi concreti; nel che è implicito che tale compito esulerebbe dalla prima Camera che, pur essendo lo specchio, il riflesso della volontà popolare, non sarebbe in grado di assolverlo. Ritiene che a nessuno possa sfuggire come tale tesi comporti una svalutazione della prima Camera.

Un altro fine che il progetto Mortati si propone è quello di dare alla seconda Camera un carattere accentuatamente politico. Ora, questo nuovo contributo politico rappresenterebbe non tanto un elemento di equilibrio di forze politiche, quanto un elemento di contrasto con la prima Camera, tanto più che si tratterebbe di dar voce a degli interessi passando un colpo di spugna sulla volontà popolare. Infatti, questi interessi, non espressi dalla volontà popolare, finirebbero per opporsi e sovrapporsi a quelli che trovano la loro normale tutela nella prima Camera. Senza contare che la prevalenza di certi interessi economici muterebbe la fisonomia politica del Parlamento.

Rileva che nel congegno ideato dall’onorevole Mortati una metà dei rappresentanti sarebbe eletta con elezione a suffragio diretto e universale e l’altra metà sarebbe tratta dalle categorie degli agrari, industriali, professori di Università, e sia pure anche operai e contadini. Ma si tratta di vedere quale predominio di rappresentanza si darà ad alcune categorie rispetto alle altre.

PICCIONI obietta che questo dovrebbe decidersi in un secondo momento.

LA ROCCA nota che per ora su una cosa si è d’accordo: che, cioè, la seconda Camera debba essere l’espressione dell’ente regionale che si vuole creare. Spera che non si desideri invece che divenga il luogo di riunione di rappresentanti di ristrette categorie.

Posto che è altresì acquisito che la seconda Camera dovrebbe rappresentare le forze vive, produttive della Regione, crede che nessuno più delle Assemblee regionali sia in grado di scegliere quegli elementi che dànno maggior affidamento di saper tutelare gli interessi regionali; e che in omaggio ai principî democratici bisognerebbe opporsi nella maniera più assoluta a che si possano gabellare per interessi generali, interessi del tutto particolari ed a che si dia una posizione di privilegio a determinate categorie.

Concludendo, propone che siano le Assemblee generali o i consigli comunali dei centri maggiori della regione a designare o eleggere i rappresentanti, il cui numero andrebbe fissato in misura proporzionale alla popolazione della regione.

EINAUDI ricorda di aver domandato quali criteri autorizzino a considerare la rappresentanza della seconda Camera diversa da quella della prima ed a ritenere l’una espressione vera della regione e l’altra no. Non ritiene validi gli argomenti che sono stati prospettati (diversa età degli elettori, requisiti per l’eleggibilità, metodi di elezione, ecc.) a soddisfazione della sua richiesta. A suo avviso, l’unico elemento veramente discriminatore potrebbe consistere, se non si vuole arrivare a forme di rappresentanza come quella americana e svizzera, nello stabilire per la seconda Camera una rappresentanza non proporzionata alla popolazione. Questa sarebbe una condizione imprescindibile per evitare di creare un doppione.

Quanto alla rappresentanza di interessi, non si rende conto perché si siano fatti risalire i suoi dubbi a presupposti liberistici. Riteneva e ritiene che una rappresentanza di interessi non dovrebbe essere rigida, ma elastica, sì da adattarsi continuamente alle nuove esigenze. Pertanto i requisiti per l’eleggibilità, a parte quello generale dell’età, dovrebbero consistere in titoli elastici; come, ad esempio, il prolungato periodo di effettivo esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

Circa le elezioni di secondo grado, esprime l’avviso che esse hanno un significato soltanto in quanto gli elettori di secondo grado non siano stati eletti a questo scopo, ma siano già investiti di una funzione rappresentativa, come, ad esempio, i membri delle Assemblee regionali e i consiglieri comunali. Così pensa che potrebbe risolversi anche la questione della rappresentanza dei ceti culturali; a proposito della quale ricorda che in Inghilterra un limitato numero di seggi è riservato, nella Camera dei Comuni, ai rappresentanti delle Università, gli elettori dei quali hanno doppio voto: come tali e come elettori dei deputati politici.

Scendendo al campo dottrinale, osserva, a proposito della premessa (dalla quale parte sempre l’onorevole La Rocca nelle sue osservazioni) del rispetto della volontà popolare e della sovranità popolare, che oggi effettivamente non c’è altra formula dalla quale partire; ma si tratta soltanto di una formula e non di una verità scientificamente dimostrabile. Essa appartiene al novero di quei concetti che si chiamano miti, che sono, in sostanza, formule empiriche, accettabili in vista di determinati scopi (per esempio: trovare il migliore governo, stabilire un clima di libertà, evitare qualunque tipo di tirannia) ma che possono anche cambiare. In altri termini, la formula della sovranità popolare non appartiene al novero delle verità scientifiche, indiscutibili, dimostrabili, che risultano dalla evidenza medesima delle cose; è piuttosto un principio di fede, e le verità di fede sono discutibili, non si impongono alla mente, ma solo al cuore e alla immaginazione. Il mito della sovranità popolare, che trae origine dal contratto sociale di J.J. Rousseau, è quindi utile per il raggiungimento di determinate finalità pratiche e non si può prescinderne nella vita politica attuale, ma occorre tener bene presente che non è una verità scientifica.

FABBRI, dopo essersi associato alle considerazioni dell’onorevole Einaudi, conferma la propria opinione che la seconda Camera dovrebbe essere un organo di stabilità permanente nella vita del Paese. Insiste pertanto nella proposta di stabilire in sei anni la durata del mandato, con rinnovamento di un terzo della Assemblea ogni due anni, in modo da conservare la caratteristica di Assemblea rappresentativa sempre in funzione, con i due terzi dei suoi componenti ed un ufficio di Presidenza, e pronta alle esigenze positive del Paese.

A suo avviso, la Carta costituzionale dovrebbe determinare un numero totale dei componenti la seconda Camera, un numero fisso di seggi assegnati a ciascuna regione, i titoli di idoneità alla nomina e il meccanismo di elezione.

Circa le assegnazioni dei seggi a ciascuna regione, pensa che dovrebbe esser fatta seguendo un criterio politico. Si potrebbe, cioè, tenere particolare conto di quelle regioni del Mezzogiorno che si sono sempre considerate oppresse dal Nord, e assegnare loro un numero maggiore di seggi in confronto alle provincie settentrionali.

Le Assemblee regionali in occasione di ciascuna elezione, la prima volta totale, poi parziale, stabilirebbero la ripartizione dei rappresentanti tra le forze vive locali, tenuti sempre presenti i requisiti di idoneità fissati dalla Costituzione. Chiunque fosse in possesso di tutti requisiti potrebbe porre la propria candidatura e le elezioni dovrebbero avvenire per suffragio universale diretto, escluso il sistema della proporzionale, a maggioranza relativa, sempre che si raggiunga un determinato quorum di voti, ed eventualmente assicurando anche una rappresentanza di minoranza.

Come titolo di idoneità si riferirebbe a quello, consigliato dall’onorevole Einaudi, della esperienza compiuta nell’esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

LUSSU intende mantenere il suo ordine del giorno, a meno che non ne venga presentato un altro che esprima in forma migliore lo stesso concetto. Crede anche che esso non necessiti di una lunga illustrazione.

Ha la netta impressione che l’impostazione della questione fatta dagli onorevoli Tosato e Mortati comporti il pericolo di ineguaglianze nell’esercizio di determinati diritti e di patenti ingiustizie.

Quando l’onorevole Lami Starnuti ha chiesto all’onorevole Mortati di esemplificare le sue proposte, quest’ultimo ha opposto che la questione è troppo complessa e che richiede lo studio di elementi che per il momento mancano; ma la verità è che più ci si riflette, più il problema appare insolubile. Non vede come si potrebbero far rientrare in predeterminate categorie di interessi tutti i cittadini che svolgono una certa attività. Per esempio, il lavoratore alla giornata ha bisogno di protezione più di ogni altro, mentre non potrebbe mai essere compreso in una elencazione di categorie. Altrettanto potrebbe dirsi di vari altri casi.

Rileva che all’obiezione dell’onorevole Einaudi, che ha sottolineato come non potrebbe esservi una differenziazione di interessi tra le due Camere, onde la seconda costituirebbe una duplicazione della prima, l’onorevole Mortati ha risposto citando l’esempio degli Stati Uniti e della Svizzera, senza tener conto che sono ambedue esempi di stati federali. Forse più utilmente si potrebbe prospettare l’esempio francese, ove la seconda Camera non è una ripetizione della prima, ma risulta da una composizione ben differente.

Non può fare a meno di apprezzare i concetti dell’onorevole Mortati ed il modo come li ha esposti, ma desidera fargli notare che nell’era attuale tutto è politica; persino alle cooperative, persino alle elezioni amministrative, che si era tanto raccomandato di non confondere con le politiche, si è data un’impostazione politica. È politica anche la filosofia, come ben sanno gli elettori di Benedetto Croce. In questo stato di cose è vano tentare, attraverso ad una sottile e perspicace impostazione, di trovare dei correttivi.

All’emendamento presentato dall’onorevole Patricolo, per consentire ad ogni regione di nominare un senatore tra gli uomini di chiara fama della regione stessa, in linea di massima non avrebbe da opporre alcuna contrarietà; ma non può non fare delle riserve circa la strana situazione alla quale darebbe luogo la contrapposizione degli uomini di maggior valore di ciascuna regione.

Conclude rilevando che bisogna compiere ogni sforzo per creare uno Stato democratico, in cui la maggioranza possa lavorare per l’interesse generale, senza ritorni offensivi di interessi particolaristici; e fa appello agli onorevoli Mortati e Tosato affinché non insistano nello loro proposte che li fanno apparire come sostenitori di una causa ingiusta.

UBERTI richiama ad una più esatta visione della realtà gli onorevoli La Rocca e Lussu, i quali considerano l’idea di una rappresentanza delle forze produttive come una forma meno progressista di quella della sovranità popolare espressa mediante il suffragio universale.

Nella proposta dell’onorevole Mortati trova qualche cosa di veramente nuovo, che fa segnare un passo in avanti nella ricerca dell’espressione vera della volontà popolare. Occorre tener presente che nella società ci sono sempre nuove forze che premono, e confusamente si agitano nel tentativo di trovare più adeguata espressione. Tutti i rapporti di lavoro per mezzo della Confederazione del Lavoro o della Confederazione dell’Industria battono continuamente alle porte del Governo, che è costretto a trattare per risolvere determinati problemi. Ove una rappresentanza integrale di tali forze partecipasse ai lavori del Parlamento, questo non sembrerebbe più, come è sembrato finora, dissociato dalla vita fervida ed effettiva della Nazione. Si potrebbe obiettare che ci sono i sindacati, ma questi non sono nell’organizzazione statale. È pertanto indispensabile che tutte le forze produttive abbiano nel Parlamento una loro rappresentanza, attraverso la quale possano far ascoltare la loro voce, senza dover seguire altre vie.

Confuta quindi l’obiezione dell’onorevole La Rocca, secondo il quale il progetto Mortati avrebbe lo scopo di alterare i risultati del suffragio popolare, sostenendo che, invece, mira a rendere la rappresentanza più aderente alla realtà. Si tratterà di trovare il modo di darle pratica attuazione; ma, a suo avviso, la concezione Mortati è senza dubbio la formula dell’avvenire. Se non sembreranno accettabili le sue proposte, bisognerà che almeno la sua idea sia accolta nella Costituzione. Invita perciò i colleghi ad esaminarla senza prevenzioni, perché ha un contenuto essenziale che finirà per affermarsi; tanto più che l’onorevole Mortati è sceso al compromesso di un sistema misto, rinunciando alla sua idea iniziale di formare una seconda Camera esclusivamente con rappresentanti di categorie. Si è sempre lamentata la scarsa rispondenza fra il Paese e la sua rappresentanza, ed oggi che si dà una rappresentanza alla regione, bisogna che anche il lavoro o la produzione entrino trionfalmente nella vita politica del Paese.

BOZZI propone la. seguente articolazione:

«Art. 1 (come l’Art. 3 del progetto Mortati).

Art. 2. – I Senatori sono scelti con elezione a suffragio diretto, universale da parte dei cittadini domiciliati in ciascuna regione.

«Possono essere eletti cittadini domiciliati nelle regioni e appartenenti alle categorie indicale nell’articolo… (elencazione dell’onorevole Tosato).

«Ciascuna assemblea regionale determina, all’inizio di ogni legislatura, i seggi che debbono spellare ad ogni categoria».

MANNIRONI nota che, nonostante gli aspri contrasti fra le diverse teorie, ci si avvia progressivamente verso una soluzione che potrebbe considerarsi di compromesso.

Un primo accordo si è raggiunto sul concetto fondamentale che la composizione del Senato dev’essere a base regionale, con l’approvazione di un ordine del giorno col quale evidentemente non si intendeva solo fare un’affermazione formale. L’ordine del giorno ha un contenuto sostanziale che ora si tratta di concretare; si tratta, cioè, di vedere come il Senato possa, attraverso alla rappresentanza, divenire veramente l’espressione delle regioni.

Nell’animata discussione odierna ha ravvisato spesso il tentativo di annullare praticamente gli effetti di un’altra risoluzione, pure approvata e consacrata in un ordine del giorno, per la quale il Senato dovrà rappresentare le forze vive della Nazione. Occorre stabilire che cosa si è inteso per «forzo vive», ed egli crede fuori dubbio che non possa trattarsi unicamente di forze politiche. Per conto suo, quando ha votato quell’ordine del giorno, ha inteso riferirsi, e crede che molti colleghi siano dello stesso avviso ad attività, ad energie produttive del settore dell’agricoltura, dell’industria e del commercio.

Non può aderire alla definizione assolutistica dell’onorevole Lussu, che oggi tutto è politica, perché quando, per esempio, il Parlamento dovrà occuparsi dei problemi dell’agricoltura, la politica avrà ben poco a che fare. Quelle energie, dunque, hanno anch’esse un diritto di rappresentanza, non fosse altro che per portare un contributo di esperienza indispensabile al legislatore.

Richiama pertanto l’attenzione dei colleghi sulla sua formulazione, in cui ha tentato di conciliare le opposte tendenze. In essa ha previsto che nel Senato dovrebbero essere rappresentate le regioni con un numero paritetico di rappresentanti, e precisamente tre per ogni regione. La Sottocommissione, se crede, potrà anche elevarli a quattro o cinque. Quando si dicesse, per esempio, che ogni regione ha diritto di eleggerne cinque, si avrebbero già (posto che le regioni sono 16) 80 membri che sarebbero espressione esclusiva delle regioni, dal punto di vista politico, in un totale di circa 300 senatori. Il rimanente sarebbe invece l’espressione delle forze produttive, lasciando la determinazione delle rispettive proporzioni alle Assemblee Regionali. Queste potrebbero tener conto dei vari orientamenti dell’economia regionale, ovviando all’inconveniente della cristallizzazione segnalato dall’onorevole Einaudi.

Ha preferito rapportare alla popolazione il numero dei rappresentanti, per evitare di dare all’organizzazione statale un carattere federativo.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni. Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Bollati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti. Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Grieco, Leone Giovanni.

Assenti: Di Giovanni, Rossi Paolo.

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Leone Giovanni – Patricolo – Lussu – Mortati, Relatore – La Rocca – Vanoni – Piccioni – Ambrosini – Bozzi – Tosato – Porzio – Laconi – Bulloni – Perassi – Nobile – Uberti – Fabbri – Conti, Relatore – Mannironi.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE avverte che la prima questione da risolvere è quella della parità o meno delle funzioni delle due Camere.

LEONE GIOVANNI ricorda di aver presentato nella precedente seduta il seguente ordine del giorno sul quale insiste:

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

Dichiara che in quest’ordine del giorno si sottintende anche la parità delle funzioni tra le due Camere per ciò che concerne l’elezione del Capo dello Stato.

PRESIDENTE, poiché vi potranno essere altri poteri attribuibili alle due Camere, come ad esempio quello di dichiarare la guerra e di concedere amnistie, suggerisce di modificare opportunamente l’espressione usata dall’onorevole Leone.

LEONE GIOVANNI aderisce e formula così il suo ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

GRIECO presenta il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, considerando che alcune delle funzioni del potere legislativo (bilancio, fiducia al Governo, concessione di amnistia, potere di inchiesta) implicano necessariamente l’espressione diretta della volontà popolare attraverso il suffragio universale, diretto, segreto, riconosce che esse devono restare proprie ed esclusive della prima Camera».

PATRICOLO ritiene che, anche per le considerazioni fatte dal Presidente nella precedente seduta, non si possa decidere sulla parità delle funzioni tra le due Camere, se prima non sia stata stabilita la formazione di queste.

LUSSU dichiara di non condividere il parere espresso dall’onorevole Patricolo perché, per poter creare un qualsiasi organo, occorre prima sapere quale funzione esso debba svolgere.

Osserva che la preoccupazione di tutti è che si creino due Camere aventi le stesse potestà, e che sorga il pericolo che la seconda Camera, non eletta come la prima a suffragio diretto e universale, sia in contrasto permanente con l’altra. D’altro canto rileva che le considerazioni espresse ieri dal Presidente danno alcuni orientamenti dei quali non si può non tener conto. Confessa pure di essere rimasto impressionato di quanto l’onorevole Porzio ha detto a tale proposito.

Per non dare l’impressione che si crei un organismo inefficiente e superfluo, ritiene che non si dovrebbe sancire espressamente nella Costituzione che la seconda Camera non avrà gli stessi poteri della prima, ma che l’inferiorità della seconda Camera nei confronti della prima debba risultare implicitamente nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, osserva che non bisogna confondere la questione della parità del Senato alla Camera con quella della sua posizione quale potrà risultare dal suo funzionamento. La parità giuridica, l’intervento a pari condizioni della seconda Camera in tutte le funzioni della prima non significa che debba essere attribuita alla seconda Camera una posizione di eguaglianza effettiva; la disparità sarà conseguente, sarà un’inferiorità di fatto che potrà tradursi in un’inferiorità giuridica quando sarà stabilito il congegno con cui superare un eventuale conflitto tra le due Camere. In altri termini, il principio della parità non dovrebbe implicare quello di una parità assoluta. Frattanto, per fissare alcuni punti ben determinati, presenta il seguente ordine del giorno:

«La Sottocommissione ritiene che la seconda Camera debba essere configurata quale mezzo per l’espressione degli interessi regionali e nello stesso tempo quale organismo di coordinazione degli interessi stessi nella superiore inscindibile unità dello Stato; che la seconda Camera debba trovare la fonte del potere di tutti i suoi membri (all’in-fuori di ogni intervento del Capo dello Stato) in una investitura popolare su una larghissima base di suffragio, con le necessarie differenziazioni di procedimenti elettivi rispetto alla prima Camera; che pertanto debba essere riconosciuto alla seconda Camera medesima un potere di intervento, con parità di posizione giuridica, nelle stesse funzioni attribuite alla prima Camera; che la predestinazione dei congegni diretti a dirimere gli eventuali conflitti fra le due Camere debba essere orientata nel senso di riaffermare nella sua pienezza la sovranità popolare; che alla seconda Camera debba essere confermato il nome, che si collega ad una antichissima tradizione storica, di Senato».

PRESIDENTE rileva che l’ordine del giorno dell’onorevole Mortati si riferisce a troppe questioni che dovrebbero essere esaminate e vagliate separatamente. Esso quindi richiederebbe una troppo lunga discussione e non potrebbe essere posto in votazione che alla fine della discussione stessa.

LUSSU presenta un ordine del giorno così concepito:

«La seconda Camera è la Camera delle regioni. I suoi poteri, tranne quello sul bilancio, sono eguali a quelli della prima Camera».

Per meglio chiarire il criterio che lo ha indotto a presentare il suo ordine del giorno, dichiara che, secondo il suo avviso, la seconda Camera non rappresenta l’esclusività degli interessi regionali, ma la sintesi dei vari interessi legati all’unità della regione. Dicendo poi che i poteri della seconda Camera, tranne quello sul bilancio, sono eguali a quelli della prima, intende affermare che costituzionalmente non vi è alcuna differenza tra le due Camere, ma, in effetti tale differenza sussisterà; così ad esempio per quel che riguarda il voto di fiducia al Governo. Insomma, la seconda Camera avrà formalmente gli stessi poteri della prima, ma in pratica avverrà che il Senato, che avrà un minor numero di membri, guidati da criteri di saggezza e di prudenza, non voterà contro il Governo, specialmente se ad esso la Camera dei Deputati avrà già accordato la sua fiducia.

LA ROCCA dichiara di non condividere il pensiero espresso dall’onorevole Lussu. La questione della parità o meno delle funzioni tra le due Camere deve essere risolta in modo chiaro, senza equivoci. Anche il problema se la seconda Camera debba avere un minor numero di membri non ancora è stato risolto.

Personalmente è contrario a che la seconda Camera abbia le stesse funzioni della prima. In ogni modo, se ciò dovesse essere stabilito nella Costituzione, non si potrebbe poi impedire alla seconda Camera il pieno esercizio delle sue funzioni.

VANONI intende fare una precisazione di carattere tecnico e storico a proposito di un’eventuale differenza tra le due Camere in materia di legge di bilancio.

Nello Statuto Albertino una norma limitava il potere di iniziativa del Senato in questo campo. L’origine storica di questa norma era nel fatto che tutte le leggi di finanza nella storia parlamentare inglese erano state lo strumento attraverso il quale la Camera dei Comuni aveva potuto affermare il proprio intervento nell’attività legislativa prima e nell’attività politica in un secondo tempo. Si capisce allora come nell’evoluzione costituzionale inglese tra la Camera dei Lords, che in sostanza era un consiglio della Corona, e la Camera dei comuni, che era la rappresentanza delle varie categorie economiche e sociali del Paese, si sia potuta avere una diversa posizione di fronte alle leggi finanziarie, anche perché tali leggi costituivano un contratto tra le categorie che pagavano le imposte e la Corona che le domandava. Ma quando nella Costituzione le due Camere vennero a porsi sullo stesso piano, come aventi la stessa funzione legislativa, la differenza tra esse si attenuò e rimase solo una differenziazione (che risale alla Costituzione Belga del 1827, sulla cui falsariga fu redatto lo Statuto Albertino) per cui il potere di iniziativa in materia finanziaria fu riservato alla Camera Bassa. Nei commenti dei nostri più vecchi costituzionalisti allo Statuto Albertino, si trova un certo imbarazzo nello spiegare l’articolo 10 dello Statuto; chi dice che è stato riprodotto senza molta riflessione dallo Statuto belga e chi dice che, essendo la prima Camera l’espressione più diretta e immediata del popolo, riservare tale diritto ad essa risponde a criteri politici. Però si ammetteva che, in fondo, non v’era differenza nei confronti delle leggi finanziarie. E difatti, nella pratica, si è venuta attenuando la differenziazione e l’unica applicazione dell’articolo 10 non può essere considerata lodevole, perché, proprio rispetto alla legge di bilancio, avveniva che il ritardo della discussione da parte della Camera si risolvesse in un esame affrettato del bilancio stesso da parte del Senato.

Se fosse riprodotta la norma anzidetta nella nuova Costituzione, quando a giustificarla, almeno in parvenza, non vi sarebbe più un Senato nominato dall’alto e a vita, si creerebbe una seconda Camera che sarebbe di intralcio al normale svolgimento dei rapporti tra le due Camere. Non crede quindi che, affermando il principio della parità tra le due Camere, debba sussistere alcuna ragione tecnica perché in materia di finanza si faccia una discriminazione tra la competenza dell’una e quella dell’altra Camera. Secondo il processo dell’evoluzione storica, si dovrebbe arrivare ad un’altra conseguenza, cioè a fissare una completa parità di competenza, anche nel settore della finanza, tra le due Camere.

PATRICOLO osserva che, se si ritiene che la seconda Camera debba rappresentare le regioni, si ha una ragione di più per ammettere la parità fra le due Camere, anche in fatto di leggi fiscali e soprattutto di leggi di bilancio. Le regioni, infatti, sono gli organi più interessati a discutere il bilancio dello Stato; soprattutto se ad esse sarà consentito di avere un bilancio autonomo e di provvedere alla tassazione. Nel campo poi del potere politico di controllo, ritiene che potrebbe essere data una parità completa alle due Camere per la funzione legislativa, riservando tuttavia il potere politico (inchiesta, fiducia al Governo, ecc.) alla prima Camera, in quanto più genuina e diretta espressione della volontà popolare.

PRESIDENTE ricorda che sono stati presentati quattro ordini del giorno: il primo dell’onorevole Leone, proposto nella riunione precedente, in cui si afferma la parità di attribuzioni alle due Camere; un secondo dell’onorevole Grieco, in cui talune funzioni del potere legislativo sono considerate come esclusive della prima Camera; un terzo, dell’onorevole Mortati, che allarga la questione ed impegnerebbe a votare non soltanto sul fatto specifico della parità, ma anche su altri punti; un quarto, dell’onorevole Lussu, che a parte la premessa, si avvicina alla formulazione dell’onorevole Grieco.

MORTATI, Relatore, fa presente che intanto ha presentato il suo ordine del giorno in quanto gli sembrava acquisito che la questione della parità dovesse essere considerata in armonia con altre questioni ad essa connesse. Se viceversa si ritiene che si debba preliminarmente votare il principio della parità, è disposto a ritirarlo.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno dell’onorevole Leone, avvertendo che, ove esso sia approvato, dovranno intendersi superati quelli degli onorevoli Grieco e Lussu.

(È approvato con 18 voti favorevoli e 11 contrari).

Avverte che sul problema della formazione della seconda Camera gli onorevoli La Rocca, Grieco ed altri hanno presentato il seguente ordine del giorno:

«La seconda Sottocommissione, considerando che ogni investitura di funzioni rappresentative dall’alto contraddice risolutamente ai più elementari principî di una democrazia, delibera che la seconda Camera abbia origine esclusivamente elettiva».

PICCIONI riconosce che la nomina della seconda Camera debba essere fondata sul suffragio, ma non crede che questo principio fondamentale sarebbe menomato se fosse consentita la nomina da parte del Capo dello Stato di un numero assai ristretto di persone. Intende riferirsi agli ex Presidenti della Repubblica e agli ex Presidenti del Consiglio. E se anche ai più alti magistrati si desse, per tutto il tempo che esercitano la loro funzione, la possibilità di partecipare alla vita del Senato, queste persone potrebbero portare un notevole contributo di cognizioni e di esperienze nelle discussioni della seconda Camera, che non per questo verrebbe a perdere la sua caratteristica fondamentale basata sulla rappresentanza elettiva.

LUSSU avrebbe aderito alla proposta dell’onorevole Piccioni, se fosse stato approvato il suo ordine del giorno; ma dopo l’approvazione della parità delle due Camere, se si immettessero nella seconda le figure più rappresentative del Paese ed i più alti magistrati, si darebbe alla seconda Camera una posizione di superiorità rispetto alla prima. Perciò è contrario alla proposta dell’onorevole Piccioni.

AMBROSINI ricorda che già in altre occasioni ha dichiarato che sarebbe opportuno lasciare al Capo dello Stato la possibilità di nominare una sia pur piccolissima quota di senatori. Né ha niente in contrario a che alcuni alti magistrati, per la durata della loro carica, facciano parte di diritto del Senato.

In ogni modo, se si ammette che almeno la maggior parte dei membri della seconda Camera debba essere eletta dalle assemblee regionali, con un’elezione di secondo grado, non vede un grave inconveniente nel fatto che un’aliquota assai ristretta di senatori possa essere nominata dal Capo dello Stato.

BOZZI dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Piccioni, la quale comporterebbe una contaminazione tra due principî: il principio elettivo e quello della nomina dall’alto. D’altra parte gli alti magistrati come pure gli ex Presidenti della Repubblica o del Consiglio troveranno la loro sistemazione nella composizione dell’Alta Corte di Giustizia costituzionale.

PICCIONI non insiste nella sua proposta.

MORTATI, Relatore, si associa all’ordine del giorno degli onorevoli La Rocca e Grieco.

PRESIDENTE mette in votazione l’ordine del giorno degli onorevoli La Rocca e Grieco.

(È approvato con 22 voti favorevoli e 7 contrari).

LUSSU sul problema della formazione della seconda Camera presenta la seguente proposta di articolo, avvertendo che essa porta la firma anche degli onorevoli Nobile e Patricolo:

«La seconda Camera è la Camera delle regioni».

TOSATO, poiché la Sottocommissione è sul punto di prendere una decisione sul problema della formazione della seconda Camera, ritiene che sia giunto il momento di prendere in considerazione gli articoli da lui proposti nella seduta precedente.

LUSSU, per spiegare la sua proposta, dichiara, secondo quanto ha già esposto in altre occasioni, che a suo avviso la seconda Camera deve soddisfare alle esigenze unitarie della Nazione, al fine di evitare il pericolo che qualche regione, affermando inopportunamente la priorità dei propri interessi, possa danneggiare gli interessi nazionali.

PORZIO non è soddisfatto delle spiegazioni dell’onorevole Lussu. Se ha ben compreso, l’onorevole Lussu desidera che i rappresentanti della seconda Camera provengano soltanto dai componenti le Assemblee regionali.

LUSSU fa presente che la questione accennata dall’onorevole Porzio può essere decisa in un secondo tempo, poiché riguarda il problema delle elezioni dirette o indirette.

VANONI non trova sufficientemente chiarito il pensiero dell’onorevole Lussu.

Quando si dice che la seconda Camera è la Camera delle regioni, o non si dice nulla o si dice troppo, nel senso di affermare che la seconda Camera debba essere l’espressione politica del regionalismo. La questione quindi va posta nettamente. A suo parere la seconda Camera deve essere, sì, di formazione regionale, ma non rappresentare soltanto gli interessi regionali; in altre parole, deve essere un organismo che si muove sul piano nazionale, esprimendo interessi di carattere nazionale. In un certo senso, come non si dice che la prima Camera è la Camera delle circoscrizioni elettorali, così non si potrebbe e non si dovrebbe affermare che la seconda Camera è la Camera delle regioni, anche se si sia accettato il principio che la base elettorale della seconda Camera debba essere regionale.

LEONE GIOVANNI non ritiene necessario definire nella Costituzione la seconda Camera, come del resto non si è cercato di definire la prima. Dovere della Sottocommissione è di stabilire le funzioni, l’organizzazione, il modo di eleggere i componenti del Senato: spetterà poi agli studiosi precisare il carattere costitutivo e definire l’essenza della nuova assemblea.

LACONI, pur condividendo l’opinione che la seconda Camera debba essere costituita sulla base della rappresentanza regionale, osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu è così scarno e sintetico da non esprimere sufficientemente un pensiero su cui sia facile l’accordo.

BULLONI propone la seguente formula: «La seconda Camera è una espressione degli interessi regionali connessi agli interessi nazionali ed è nominata sulla base di circoscrizioni regionali».

PERASSI riconosce che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu è estremamente sintetico. In ogni modo, qualora si tenga conto delle discussioni già avvenute in seno alla Sottocommissione, esso non può avere che il seguente significato: che il reclutamento dei membri del Senato verrà fatto su base regionale, restando allo stato attuale impregiudicate tutte le altre questioni relative al modo ed alle condizioni con cui saranno eletti i senatori.

MORTATI, Relatore, dichiara che quando dette la sua approvazione alla tesi del nuovo ordinamento regionale, era implicito nel suo pensiero che gli interessi della regione avrebbero dovuto trovare la loro espressione nella costituzione di una seconda Camera. Ciò prova che egli pensava alle regioni come ad enti forniti di propria autonomia politica. È poi da tener presente il quesito se occorrerà dare un diverso peso, in materia di rappresentanza, alle varie regioni, ovvero se tale peso dovrà essere eguale per tutte le regioni. Tutto ciò sta a provare che le regioni non possono essere considerate come circoscrizioni o collegi elettorali, ma come enti capaci di avere i loro rappresentanti autonomi.

AMBROSINI domanda se non sia il caso, invece di soffermarsi su una definizione o una affermazione di principio, di passare immediatamente all’esame del sistema di formazione della seconda Camera.

PATRICOLO dichiara di aver sottoscritto la proposta dell’onorevole Lussu perché intendeva di fare atto di adesione a una formulazione di principio e non ad un articolo che avrebbe dovuto trovar posto nella Costituzione. In ogni modo, se la formula proposta dall’onorevole Lussu non ha l’approvazione della Sottocommissione, potrebbe essere adottata quella dell’articolo che, relativamente alla Costituzione del Senato, è contenuta nel progetto dell’onorevole Conti.

TOSATO ritiene che occorra distinguere due questioni: una di sostanza ed una di forma. Occorre innanzi tutto stabilire se si vuole subito prendere una deliberazione sull’oggetto della rappresentanza del Senato, cioè sulla questione di ciò che verrà a rappresentare il Senato. In secondo luogo occorrerà vedere su quale base dovrà essere formata la seconda Camera.

Non gli sembra, a tal proposito, che sia decisiva l’osservazione fatta dall’onorevole Mortati, perché le regioni sotto certi aspetti possono essere considerate come enti territoriali, e sotto altri aspetti come circoscrizioni elettorali.

Propone quindi la formula: «La seconda Camera è eletta su base regionale».

PRESIDENTE osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Lussu, pur non essendo certamente dettato dall’intenzione di insinuare nella Costituzione un principio regionalistico che possa poi svilupparsi oltre il dovuto, è però come un’eco di quelle aspirazioni federalistiche di cui lo stesso onorevole Lussu ha parlato più volte. Quindi la proposta anzidetta potrebbe incontrare un certo favore in alcune parti del Paese, mentre in altre incontrerebbe una recisa disapprovazione. Ritiene quindi più rispondente allo scopo la formula proposta dall’onorevole Tosato.

NOBILE dichiara che si è associato alla proposta dell’onorevole Lussu in considerazione di un concetto già espresso da questo deputato, e cioè che una seconda Camera eletta su base regionale può costituire l’unico mezzo efficace per ostacolare alcune tendenze disgregatrici dell’unità nazionale esistenti attualmente in Italia.

PATRICOLO propone la seguente formula: «La seconda Camera è composta dei rappresentanti eletti in seno alle regioni».

Avverte che tale formulazione costituisce una dichiarazione di principio.

LUSSU dichiara di essere stato sempre favorevole, in via di principio, al federalismo e che quindi in un primo tempo pensò all’attuazione di un ordinamento federale in Italia. Si decise però ad abbandonare tale idea, quando si accorse che essa nel nostro Paese non era sentita, era inattuabile e per conseguenza impolitica. Può dire quindi di aver lavorato con assoluta lealtà in materia di autonomie locali. Comunque, la maggior parte dei membri della Sottocommissione si è mostrata favorevole alla formazione dell’ente regione. Perciò, se si riconosce utile una nuova struttura dello Stato su base regionale, occorre che ciò sia affermato esplicitamente. Frattanto, poiché è un fatto oramai acquisito alla democrazia moderna che l’individuo deve essere subordinato all’interesse generale, è chiaro che anche la regione non può che essere subordinata all’interesse nazionale.

Nel suo articolo certamente ha inteso riferirsi a qualcosa di più vasto che non sia la circoscrizione elettorale, ossia all’ente regione che ormai è ammesso da tutti. Non comprende quindi le ragioni della diffidenza che esso ha suscitato.

BULLONI ritiene che la base elettorale per la elezione della seconda Camera debba poggiare sulla rappresentanza degli interessi regionali. Questo e non altro deve essere il significato della rappresentanza riservata al futuro Senato.

PORZIO fa osservare all’onorevole Lussu che l’affermazione: «La seconda Camera è la Camera delle Regioni è in contrasto con la decisione testé presa in merito alla riconosciuta parità delle funzioni nelle due Camere. Una Camera delle Regioni, infatti, sarebbe una Camera assai limitata nei suoi poteri; essa avrebbe soltanto il compito di risolvere problemi di carattere regionale. E non altro che questo sembra essere il significato dell’articolo proposto dall’onorevole Lussu.

LEONE GIOVANNI ritiene che la formula proposta dall’onorevole Lussu dovrebbe avere il carattere soltanto di un’affermazione di principio e non costituire proprio una norma articolata.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che se la sua formula ha solo un valore di dichiarazione di principio, occorreva proporla nel momento in cui fu iniziata la discussione generale sulla seconda Camera, e non nel momento in cui si è cominciato ad esaminare il modo pratico di formazione della stessa. Per queste ragioni lo prega di specificare il suo intendimento o di ritirare la proposta, aderendo a qualcuna delle altre formulazioni.

LUSSU considera la sua formulazione come una mozione interna e, come tale, intende mantenerla. Precisa che gli interessi particolaristici della regione saranno rappresentati secondo le proposte del progetto Ambrosini dal rappresentante del Consiglio regionale, che dovrebbe avere il diritto di presentarsi al Consiglio dei Ministri per sostenere i suoi punti di vista nell’interesse della regione. Soltanto in questo caso sarà giusto parlare di interessi particolaristici.

UBERTI prega l’onorevole Lussu di non insistere nella proposta, perché dal fatto che essa non fosse accolta potrebbe venire qualche pregiudizio alla costituzione delle regioni. Difatti il suo articolo ha tutto il carattere di un’affermazione solenne. A suo avviso sarebbe preferibile stabilire prima in concreto il modo in cui si deve costituire la seconda Camera. Da tale decisione balzerà evidente che essa sarà la Camera delle Regioni.

FABBRI dichiara che voterà contro la proposta Lussu perché, come eventuale formulazione di articolo nella Costituzione, la ritiene in contraddizione con altre norme e principî già approvati, e, come espressione invece di un principio generale, lo ritiene già compreso nella deliberazione con cui si è stabilito che la seconda Camera dovrà essere espressione delle forze vive della Nazione. Tra queste forze vive della Nazione non v’è dubbio che vi siano anche, e singolarmente, le regioni che la compongono nella sua totalità.

CONTI, Relatore, osserva che nella discussione odierna si sono ripresi tutti i temi già trattati, nel tentativo, da parte di taluni Commissari, di tornare su deliberazioni già prese. Ritiene che si debba desistere da questa linea di condotta, accettando le deliberazioni già approvate, senza recriminazioni e pentimenti.

Dichiara che ha sottoscritto anche lui la proposta Lussu, perché essa ha ridestato in lui la sua antica passione di federalista. Condivide però le preoccupazioni che hanno indotto l’onorevole Lussu a considerarla come per: «uso interno». Darà quindi voto favorevole alla formulazione Lussu, ma insiste perché abbia soltanto il valore di un’affermazione di principio a scopo interno.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Lussu se insiste affinché sia messa in votazione la sua formula, col rischio di quelle conseguenze non desiderabili che sono state accennate da precedenti oratori. Se poi l’onorevole Lussu desidera affermare il concetto che la seconda Camera, qualunque sia il meccanismo della sua formazione, debba avere come propria base elettorale la regione, potrebbe facilmente farlo aggiungendo poche parole a quella formula.

LUSSU insiste affinché questa sia messa in votazione.

PRESIDENTE mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Lussu dichiarando che personalmente voterà contro, perché ravvisa in essa qualche cosa che supera il principio che si vuole per ora affermare e perché ritiene che con il suo eventuale accoglimento il proponente sarebbe autorizzato a richiedere che nella redazione definitiva della Costituzione la seconda Camera prendesse la denominazione di Camera delle Regioni, il che appare inopportuno e contrario alle esigenze politiche del Paese.

MANNIRONI dichiara che voterà contro la formula dell’onorevole Lussu che fra l’altro gli sembra troppo generica.

LEONE GIOVANNI dichiara di astenersi dal voto, perché ritiene che una dichiarazione di principio non abbia ragione di essere in una formulazione articolata.

LACONI voterà contro, perché ne trova il contenuto contrario ai principî di uno Stato unitario.

(Non è approvata).

PRESIDENTE comunica che la Sottocommissione dovrebbe pronunciarsi ora sulle altre quattro formulazioni; una, dell’onorevole Tosato, secondo la quale la Camera è eletta su base regionale; la seconda dell’onorevole Patricolo, la quale, affermando che la seconda Camera è composta di rappresentanti eletti in seno alla regione, crea già un vincolo nella scelta dei candidati, il che consiglierebbe di rinviarne l’esame a quando si dovrà stabilire il sistema dell’elezione; la terza e la quarta, rispettivamente degli onorevoli Bulloni e Laconi, che pure introducono nuovi elementi e costituiscono in parte la ripetizione di alcune posizioni già determinate. Considerato che per il momento l’articolo più rispondente allo scopo di circoscrivere la questione è quello dell’onorevole Tosato, lo pone ai voti ricordandone i precisi termini: «La seconda Camera è eletta su base regionale».

MORTATI, Relatore, dichiara che darà voto favorevole con la riserva che l’ordine del giorno in questione non limiti la discussione successiva e non escluda l’esame del problema delle rappresentanze regionali degli interessi in seno alla seconda Camera.

(È approvato).

La sedata termina alle 10.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Bordon, Castiglia, Di Giovanni, Einaudi, Farini, Finocchiaro Aprile.

MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

indi

DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Nobile – Leone Giovanni – Lussu – Porzio – Perassi – Presidente – Laconi – Targetti – Conti, Relatore  – Grieco – Tosato – La Rocca – Mortati, Relatore – Piccioni – Mannironi – Bozzi – Fabbri –Ambrosini – Ravagnan – Fuschini – Einaudi.

La seduta comincia alle 8.30.

Presidenza del Vicepresidente CONTI

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

NOBILE rileva che, a proposito della composizione e delle funzioni della seconda Camera, qualcuno ha affermato che il Senato deve essere un organo moderatore della prima Camera; altri ha sostenuto che deve servire a perfezionare le leggi; l’onorevole Vanoni vede in essa la difesa suprema dei valori morali della Nazione, quasi una specie di baluardo della libertà; taluno ci vuole la rappresentanza istituzionale delle varie categorie professionali e degli interessi economici; altri quella della cultura, dell’arte e della letteratura; altri ancora intendono farne un corpo di rappresentanti di interessi economici e di organizzazioni sindacali.

La diversità delle opinioni, a suo avviso, sta a significare che il Senato non risponde effettivamente ad alcuna necessità, perché altrimenti dovrebbero risultarne subito evidenti le funzioni. Non desidera ritornare su una discussione già fatta, ma gli sembra che la Sottocommissione si trovi nella stessa condizione di chi voglia costruire un edificio, senza sapere quale uso farne; il che dimostra, in ultima analisi, l’inutilità della costruzione.

Comunque, poiché è stato deciso che una seconda Camera debba esistere, interessa renderla il meno possibile dannosa. Condivide pertanto il parere dell’onorevole Lussu, che cioè il Senato sia costituito con rappresentanza diretta ed esclusiva delle Regioni.

LEONE GIOVANNI ricorda di essersi nella precedente riunione associato all’onorevole Laconi che sosteneva la necessità di dare la precedenza all’esame delle attribuzioni della seconda Camera; ma dissente da lui nel merito, in quanto fermamente ritiene che la seconda Camera debba avere funzioni pari a quelle della prima. È di avviso che su tale questione occorra prendere una decisione definitiva, in quanto che, a seconda delle attribuzioni del Senato, potrà variare l’orientamento delle successive decisioni in merito agli altri problemi concernenti il Senato stesso. Soggiunge che assai più numerose sono le Costituzioni che riconoscono la parità delle funzioni delle due Camere, che non quelle che la negano. Fra le prime è anche la stessa Costituzione russa.

Propone il seguente ordine del giorno.

«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».

Chiarisce che in quest’ordine del giorno non si fa cenno della elezione del Presidente della Repubblica, in quanto tale problema non è ancora stato discusso. In ogni modo, se l’elezione del Capo dello Stato dovesse essere di secondo grado, dovrebbe anche per questa riconoscersi la parità della seconda Camera.

LUSSU ha l’impressione che la proposta dell’onorevole Leone capovolgerebbe l’ordine delle discussioni finora seguito. Comunque se ne potrebbe tener conto, abbinando però i due problemi della parità delle due Camere e della composizione del Senato.

PORZIO crede che l’ordine del giorno Leone possa essere considerato come una mozione d’ordine. Ricorda che quando si cominciò a discutere del Senato, egli avvertì che bisognava procedere con un certo ordine nella discussione; al che appunto mira la proposta dell’onorevole Leone. Ritiene quindi che non possa parlarsi della composizione del Senato e del suo corpo elettorale, se prima non sia stata presa una decisione sulle sue attribuzioni.

Presidenza del Presidente TERRACINI

PERASSI ritiene che nell’ordine del giorno Leone sarebbe opportuno, per quanto concerne la parità del le funzioni del Senato, tenere distinta la parte riguardante il potere legislativo da quella che concerne il controllo sull’opera del Governo.

PRESIDENTE non lo ritiene necessario, in quanto la questione della parità delle funzioni del Senato, in relazione sia al potere legislativo che al controllo sul Governo, potrà formare oggetto di un’unica discussione.

LCGONI propone che la votazione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, che investe una questione di sostanza, sia rinviata al termine della discussione, quando cioè saranno stati risolti tutti i problemi attinenti alla seconda Camera.

TARGETTI ritiene che la proposta dell’onorevole Leone abbia portato la discussione su un tema diverso da quello che doveva formare oggetto della seduta odierna. In ogni modo, poiché il principio della parità delle funzioni del Senato è affermato nel progetto Conti in un articolo susseguente a quello in cui si fissano i criteri relativi alla formazione del Senato stesso, è di avviso che nell’odierna seduta si debba, affrontare quest’ultima questione.

CONTI, Relatore, fa presente che in un articolo del suo progetto, così concepito: «Il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Deputati e dal Senato», si afferma, senza possibilità di equivoci, la perfetta parità delle funzioni delle due Camere. Ritiene quindi che si dovrebbe considerare come presuntiva e quindi implicitamente riconosciuta la parità tra le due Camere. Ma se qualcuno avesse ancora qualche dubbio al riguardo, si potrebbe prendere subito una decisione su tale punto, per potere iniziare poi la discussione sulla composizione del Senato.

LEONE GIOVANNI teme che si stia compiendo un errore di impostazione. Ricorda che quando furono assegnati i temi ai Relatori, fu proprio l’onorevole Mortati ad affermare che era necessario distinguere tra funzioni e organizzazione dei vari poteri dello Stato. Si accettò quindi come cosa implicita che si dovesse prima stabilire la funzione, per passare poi a determinare l’organizzazione di ogni istituto. Il che è ovvio. Se in un trattato o in una legge si può prima parlare dell’organizzazione e poi delle funzioni di un dato ente, ciò è impossibile in una discussione «de jure condendo», nella quale non si può creare un istituto, senza aver prima stabilito come esso debba agire nell’ordinamento dello Stato, quali siano suoi compiti rispetto alle finalità che si vogliono conseguire e quali i suoi rapporti con gli altri organi dello Stato. È necessario quindi esaminare prima la questione della parità delle funzioni tra le due Camere, problema che riveste una notevole importanza perché se, ad esempio, alla seconda Camera dovessero essere assegnate funzioni subordinate, si potrebbe arrivare, nello stabilire la sua composizione, a conclusioni diverse da quelle che scaturirebbero dal concetto della parità con l’altra Camera.

NOBILE si associa alla tesi dell’onorevole Leone.

GRIECO rileva che il problema delle funzioni del Senato è legato inscindibilmente a quello della sua composizione. Difatti, chiunque parlerà sulle funzioni della seconda Camera non potrà fare a meno di riferirsi implicitamente o esplicitamente alla sua composizione; ma la stessa cosa accadrà nel caso inverso, in quanto la seconda Camera si giustifica non solo per le sue funzioni, ma anche per la sua composizione. Teme che se si accedesse alla proposta dell’onorevole Leone, dopo breve tempo si dovrebbe ritornare sulla discussione generale. Dichiara pertanto di essere favorevole alla proposta di riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella precedente seduta.

TOSATO trova che le osservazioni dell’onorevole Grieco hanno una parte di vero, perché non si possono stabilire le funzioni del Senato senza, nello stesso tempo, pensare alla sua costituzione; e la stessa cosa si può dire per il caso inverso. Si tratta quindi di due problemi connessi e interdipendenti, e la questione è solo di stabilire da quale dei due debba avere inizio la discussione.

Giova, frattanto, ricordare che già si è fatta una discussione generale, che ha portato ad una duplice conclusione: si è ravvisata la necessità di una seconda Camera e si è riconosciuto che essa, per non essere eguale alla prima, dovrà rappresentare le forze vive della Nazione.

Considerato quindi che è già ammessa la esistenza di una seconda Camera e in via generale è stato fissato un certo orientamento nei riguardi della sua configurazione, ritiene che, se si trovasse un punto d’accordo fra le diverse opinioni sulla questione delle funzioni del Senato, i lavori della Sottocommissione non solo si svolgerebbero con maggiore celerità, ma porterebbero anche a risultati concreti.

PRESIDENTE comprende il desiderio di arrivare ad una semplificazione della discussione; ricorda però che, sebbene nella precedente riunione si fosse deciso di discutere soltanto il problema relativo alla organizzazione della seconda Camera, di fatto si parlò anche largamente delle sue funzioni e perfino della struttura delle Assemblee regionali. Se anche, dunque, si stabilisse ora, in base alla proposta dell’onorevole Leone, di esaminare per primo il problema delle funzioni della seconda Camera, inevitabilmente si finirebbe poi col fare degli accenni più o meno larghi al problema della sua composizione.

Ritiene perciò che la proposta dell’onorevole Leone possa essere considerata soltanto come un invito ai membri della Sottocommissione di attenersi quanto più possibile all’esame del problema della parità delle funzioni delle due Camere.

MORTATI, Relatore, è d’avviso che, se la mozione dell’onorevole Leone fosse accolta, si semplificherebbe il corso della discussione. Acquisito, infatti, il punto della parità delle funzioni delle due Camere, il campo delle indagini resterebbe più limitato, in quanto si dovrebbe esaminare soltanto il problema della composizione del Senato stesso.

Ritiene infine, quanto al merito, che la questione della parità delle funzioni tra le due Camere sia implicita nell’affermazione che la seconda Camera debba essere la rappresentanza delle forze vive della Nazione.

TOSATO propone di procedere alla votazione sulla questione procedurale, se cioè debba essere posta prima in discussione la parità delle funzioni tra le due Camere, ovvero la composizione del Senato.

PRESIDENTE osserva che, se la proposta dell’onorevole Tosato dovesse essere accolta, occorrerebbe modificare l’ordine del giorno dell’onorevole Leone: «La seconda Sottocommissione ritiene che debba in precedenza discutersi sulla parità delle attribuzioni fra le due Camere».

LEONE GIOVANNI preferisce non modificare il testo della sua proposta e ritiene che per il momento non si possa votare sulla questione se debba oppur no essere iniziato nella seduta odierna l’esame del problema relativo alla parità delle funzioni fra le due Camere.

LACONI dichiara di. essere contrario alla procedura che viene proposta, perché ritiene che le due questioni, della parità delle funzioni fra le due Camere e della composizione del Senato, siano talmente connesse tra loro da non poter essere discusse distintamente. Rileva inoltre che sarebbe assai strano discutere sulle funzioni del Senato quando non ancora sono state discusse e precisate le funzioni della Camera. Anche per questa ragione, quindi, è contrario alla proposta dell’onorevole Leone.

PRESIDENTE ritiene che la questione possa essere risolta assai facilmente aprendo la discussione sull’ordine del giorno dell’onorevole Leone, con l’intesa che gli ordini del giorno che fossero in seguito eventualmente presentati potrebbero essere, a seconda dei casi, fusi con quello dell’onorevole Leone o messi in votazione distintamente da esso.

PORZIO osserva che, per poter giungere ad una precisa articolazione delle proposte, occorre stabilire, mediante votazione, dei punti fermi. Come ha già detto, egli interpreta l’ordine del giorno presentato dall’onorevole Leone come una mozione d’ordine, che a suo avviso deve essere messa in votazione. Occorre precisare innanzi tutto le funzioni del Senato e poi discutere sulla sua composizione.

PICCIONI ritiene che l’ordine del giorno dell’onorevole Leone possa rimanere come un’affermazione dell’esigenza da tutti sentita che la discussione non debba esser circoscritta e limitata alla sola questione della composizione del Senato, ma debba riferirsi anche alle sue funzioni.

MORTATI, Relatore, osserva che l’onorevole Laconi ha espresso qualche dubbio sulle future funzioni della prima Camera. Ora, gli sembra che su tale argomento si abbia già un dato di fatto acquisito, in quanto che si è accettato il regime parlamentare. Se così non fosse, ogni discussione ulteriore sarebbe del tutto inutile.

PRESIDENTE riconosce non esser dubbio che la nuova Costituzione dello Stato si baserà sul regime parlamentare; ma anche in un regime parlamentare rappresentativo possono essere attribuite alla Camera funzioni che non siano esclusivamente quelle di discutere e approvare le leggi e di esercitare un controllo sul Governo. Nel regime parlamentare esistente in Italia prima del 1922, il diritto di dichiarare la guerra e di fare la pace, ad esempio, non competeva alla Camera, come non le competeva la concessione di amnistia, mentre con la nuova Costituzione probabilmente qualcuna di tali facoltà sarà attribuita piuttosto alba prima Camera che non alla seconda.

MANNIRONI afferma innanzi tutto che la seconda Camera dovrà essere posta in grado di partecipare in condizione di parità con la prima alla funzione legislativa e a quella di controllo sul Governo. Se così non fosse non vi sarebbe ragione di costituirla.

Ricorda di aver già detto in altre occasioni che la seconda Camera dovrà essere espressione della vita delle Regioni, costituita con elezioni di secondo grado, attraverso cioè le Assemblee regionali. Gli sembra frattanto che il criterio della rappresentanza su base regionale sia ormai accettato pressoché da tutti. Si tratterà di vedere se le regioni dovranno essere rappresentate paritariamente, oppure se si dovrà ricorrere ad un sistema misto, col quale per una certa parte i senatori saranno eletti in pari numero e per un’altra parte in rapporto alle popolazioni delle singole regioni. Riconosce che il sistema del numero pari per ciascuna regione costituirebbe un atto di giustizia verso le regioni meno popolate e più povere, che così avrebbero lo stesso peso delle altre nella seconda Assemblea; ma si rende conto delle maggiori esigenze delle regioni economicamente più importanti e popolate. Conferma perciò, come già in precedenza ebbe a dichiarare, di essere favorevole al primo sistema, purché sia fatto salvo il principio della parziale pariteticità di rappresentanza fra le vari regioni.

Soggiunge che, affermato il principio della rappresentanza regionale, si dovrà fare in modo che la seconda Camera sia non soltanto una rappresentanza politica del Paese, ma anche una rappresentanza di interessi o di categorie, o, per meglio dire, una rappresentanza di forze produttive, perché altrimenti si verrebbe meno ai più sani principi democratici.

Naturalmente la rappresentanza di tali forze produttive non starebbe a significare una difesa aprioristica di interessi particolari, bensì un prezioso contributo alla risoluzione di determinati problemi, da parte di uomini di provata esperienza e competenza, a tutela, sì, di singolari interessi, ma inquadrati nella considerazione dei superiori interessi del Paese.

Questa forma di rappresentanza del resto esiste in molti Stati democratici; ad esempio in Grecia, in Ungheria, nell’Equatore, in Estonia, in Romania e in Austria. In altri Stati, in cui essa non è prevista, si richiede tuttavia che i senatori appartengano a determinate categorie economiche produttive e culturali. Così avviene nel Belgio, in Brasile, nell’Egitto e nell’Irlanda.

All’onorevole Laconi che ha dimostrato di temere che la seconda Camera, così costituita, possa perdere ogni carattere di omogeneità, obietta che non vede affatto la necessità che la rappresentanza della seconda Camera sia costituita in modo omogeneo come la prima. Se così fosse, si creerebbe un doppione della Camera dei Deputati, ciò che si è deciso di evitare e che appunto è valso come argomento decisivo per contestare la necessità di una seconda Camera.

Gli sembra giusta l’osservazione dell’onore vole Mortati che, per occuparsi della composizione della seconda Camera, si sarebbe anche dovuto risolvere il problema della Costituzione delle Assemblee regionali, visto che la rappresentanza della seconda Camera avrà certamente una base regionale. Al riguardo tiene a dichiarare che in tali Assemblee non dovrà aversi soltanto la rappresentanza politica delle regioni, ma anche quella delle forze produttive e culturali, che a loro volta dovranno essere rappresentate nella seconda Camera.

Afferma poi che sarebbe anche necessario che le Assemblee regionali avessero la facoltà di distribuire i loro membri fra le varie categorie a seconda delle necessità. Ad esempio, nel momento presente le forze produttive più importanti in Sardegna sono l’agricoltura e la pastorizia; quindi in sede di Assemblea regionale sono appunto queste forze che dovranno essere adeguatamente rappresentate. Ché se in avvenire l’attività economica dell’Isola prenda un diverso indirizzo e diventi prevalentemente industriale, l’Assemblea regionale sarda dovrà poter variare conseguentemente la sua composizione.

Si dichiara infine d’accordo con gli onorevoli Zuccarini e Conti, i quali ritengono che una percentuale minima di senatori debba essere nominata dal Capo dello Stato, per riparare eventuali omissioni nella utilizzazione di elementi particolarmente capaci; né crede che la nomina presidenziale possa menomare il principio democratico al quale dovrà ispirarsi la nuova Costituzione.

TOSATO osserva che le questioni in esame sono due: rapporto tra le due Camere e composizione della seconda.

A suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere posta in una posizione di assoluta parità alla prima, sia per quanto riguarda l’esercizio della funzione legislativa, sia per quanto riguarda il potere di controllo sull’azione del Governo. Tra le varie ragioni a favore di una seconda Camera crede che non si debba perderne di vista una fondamentale: cioè, che la seconda Camera si istituisce per attuare un principio che è ormai generale in tutti i moderni ordinamenti costituzionali di equilibrio nella organizzazione dello Stato. Si tratta di dividere gli organi dello Stato e di creare fra di loro dei contrappesi al fine che nessun organo abbia tali poteri da poter promuovere forme più o meno larvate di assolutismo. Come c’è stato un assolutismo monarchico, così si potrebbe avere un assolutismo democratico, se tutti i poteri fossero concentrati in un solo organismo. Di qui la necessità di istituire una seconda Camera che abbia i medesimi poteri della prima.

Sono state mosse alcune obiezioni di ordine teorico generale contro l’istituzione di una seconda Camera, tra cui quello assai noto che la volontà popolare è unica e non può trovare espressione che in una sola Camera. Quindi una seconda Camera verrebbe ad esprimere o la volontà della prima e sarebbe inutile oppure una volontà diversa e sarebbe dannosa, in quanto non rifletterebbe esattamente la volontà del Paese. A suo avviso occorre essere molto cauti nel fare queste affermazioni. Può darsi, infatti, che la seconda Camera abbia torto nei confronti della prima, come può darsi non solo il caso inverso, ma anche il caso che i torti siano egualmente divisi fra le due Assemblee. Comunque, secondo il suo parere, ciò che più importa è che la Camera esprima, sì, in un certo senso la volontà del popolo, ma non la esprima in modo dogmatico: difatti il popolo, per sé stesso, non ha una propria volontà; compie solo un atto di fiducia nei confronti della Camera, la quale appunto deve cercare di interpetrarla sinteticamente nel modo migliore.

È questa una delle ragioni per cui si istituisce la seconda Camera.

Naturalmente occorrerà che anch’essa sia un’assemblea rappresentativa, che rispetti il principio della sovranità popolare, che in definitiva direttamente o indirettamente derivi dal popolo. Così sorge il problema della composizione della seconda Camera.

Nell’ordine del giorno in cui fu decisa l’istituzione di una seconda Camera si affermò che essa doveva essere l’espressione delle forze vive della Nazione. Questa affermazione ha anzitutto un significato negativo, nel senso cioè che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima, perché altrimenti sarebbe veramente inutile. Con l’affermazione anzidetta, infatti, si fa chiaramente allusione a quegli interessi di carattere generale che, nella loro completezza, non trovano adeguata espressione nella prima Camera, la quale rappresenta il popolo nelle sue grandi suddivisioni politiche e, in sostanza, i partiti. Rileva, in proposito, che in fondo gli interessi perseguiti dai partiti sono generalissimi, o per meglio dire generici, perché concernono le grandi direttive della politica dello Stato; ma accanto a tali interessi ne esistono nel Paese altri, anch’essi generali, e quindi politici, che sono però molto più concreti, come, ad esempio, gli interessi dei cittadini intorno all’amministrazione delle cose locali (vita della regione, dei comuni, delle provincie), intorno al lavoro, alla scuola, alla cultura, all’arte, all’agricoltura, al commercio, all’industria, all’artigianato, alla sanità pubblica e così via. Ed è in questo senso che, a suo parere, deve essere costituita la seconda Camera, come organo cioè rappresentativo di questi interessi generali e non soltanto di interessi sindacali. I sindacati perseguono gli interessi economici di una data categoria rispetto ad un’altra; ma, oltre ad essi, ci sono gli altri gruppi di interessi generali ai quali corrispondono altrettanti bisogni reali di carattere generale. La difficoltà sta tutta, come giustamente ha rilevato l’onorevole Mortati, nell’attuare una rappresentanza politica di questi interessi generali.

Nota che l’onorevole Einaudi ha fatto alcune osservazioni molto importanti, specie sulla difficoltà di stabilire un’adeguata proporzione nella rappresentanza di questi interessi, ed ha concluso che ciò importerebbe nell’ordinamento costituzionale una rigidità, una statica del tutto contrastanti col movimento continuo della vita. Ma egli non crede che a questo problema certamente di rilievo non possa trovarsi adeguata soluzione.

Ritiene che, in via generale, i membri della Sottocommissione siano tutti concordi nell’attribuire alla seconda Camera il carattere di una rappresentanza, prevalente se non esclusiva, su base regionale. Al che si può obiettare che così si verrebbe a dare un’attuazione forse assai più ampia di quel che non si pensi al principio federalistico. Ha già avuto occasione di osservare, parlandosi di regionalismo, che, almeno dal punto di vista scientifico, non si concepisce una differenza sostanziale tra l’ordinamento regionale e quello federale. Difatti si ha un ordinamento federale quando un ente, distinto dallo Stato, può emanare, sia pure in minima parte, atti che abbiano forza eguale a quella degli atti emanati dallo Stato. Se a ciò si aggiunge la notevole importanza che assumeranno le regioni, dando vita alla seconda Camera, si deve concludere che effettivamente la seconda Camera ricorda le cosiddette Camere federali.

Anche per questa ragione ritiene che bisogna dare una rappresentanza in Senato a tutti gli interessi ai quali si riconosca la natura di interessi generali e vivi della Nazione. Sottopone pertanto all’esame della Sottocommissione i seguenti articoli formulati sulla base dei principi da lui esposti:

«Art. 1. – Il Senato è composto dai rappresentanti effettivi degli interessi generali attinenti:

1°) agli enti locali territoriali; 2°) alla scuola, alla cultura, all’arte; 3°) al lavoro;

4°) all’industria e al commercio; 5°) all’agricoltura; 6°) all’artigianato; 7°) alla giustizia; 8°) alla sanità pubblica».

«Art. 2. – I senatori sono eletti, per 5 anni, dalle Assemblee regionali, su designazione delle istituzioni e delle associazioni che perseguono gli interessi di cui all’articolo precedente nell’ambito della regione».

Fa presente che ha fissato la durata di 5 anni, intendendo che la seconda Camera debba avere una vita di durata eguale a quella della prima, e seguirne le sorti anche in caso di scioglimento.

Rileva altresì che con una elezione così congegnata si avrebbe modo di stabilire una rappresentanza proporzionata ai vari interessi generali delle singole regioni.

Dà lettura quindi dei successivi articoli:

«Art. 3. – Una legge provvederà alla determinazione delle istituzioni e associazioni legittimate, in ciascuna regione, alla designazione dei senatori. Una legge provvederà pure alla determinazione del procedimento con cui le designazioni avranno luogo».

«Art. 4. – Nessuno potrà essere designato ed eletto senatore se non abbia compiuto 40 anni. I requisiti generali di eleggibilità e le incompatibilità saranno stabiliti dalla legge. Nessuno può essere ad un tempo deputato e senatore».

«Art. 5. – Le Assemblee regionali eleggeranno ciascuna 15 senatori fra quelli designati. Ognuna delle categorie indicate nell’articolo 1 sarà rappresentata almeno da un senatore».

Richiama l’attenzione dei colleghi sul fatto che le categorie, a norma del primo articolo da lui proposto, sarebbero 8 e che le Assemblee regionali dovrebbero nominare almeno un rappresentante per ciascuna categoria. Così resterebbe un margine di notevole discrezionalità a tali assemblee, che consentirebbe loro di eleggere un numero maggiore di rappresentanti per quelle categorie che nelle singole regioni avessero maggiore importanza. Si eviterebbero pertanto gli inconvenienti temuti dall’onorevole Einaudi.

Per consentire infine al nuovo Parlamento di funzionare immediatamente, aggiungerebbe la seguente disposizione transitoria:

«Fino alla emanazione della legge prevista dall’articolo 3, le Assemblee regionali procederanno alla elezione dei senatori, rappresentanti delle categorie indicate nell’articolo 1, prescindendo, dalle designazioni degli enti interessati».

LA ROCCA osserva che l’onorevole Tosato ha sollevato una questione di grande importanza quando ha sostenuto la necessità di porre la seconda Camera sul medesimo piano della prima, partendo dal principio al quale si dichiara nettamente contrario che bisogna di nuovo tornare alla teoria degli equilibri e dei contrappesi. L’onorevole Tosato ha aggiunto che la struttura dello Stato deve basarsi su un altro principio ormai superato: quello della divisione dei poteri; intendendosi con ciò che ogni organo debba avere un suo proprio potere, in modo che l’uno non possa invadere il campo dell’altro.

Senza addentrarsi in una discussione teorica, osserva che tale teoria ha avuto la sua ragione di essere e il suo compito progressivo in altri tempi, quando si trattava di garantire le libertà politiche e i diritti dei cittadini di fronte all’onnipotenza dello Stato. Ma oggi altra è la situazione: la sorgente della sovranità è nel popolo e quindi l’emanazione del potere proviene dallo stesso popolo. Il potere, così considerato, è unico e trova la sua espressione compiuta nella Camera che è il riflesso della volontà popolare.

Ha già detto altre volte che, a suo avviso, il potere dovrebbe essere concentrato nella Camera dei Deputati, la quale poi dovrebbe esprimere dal suo seno gli incaricati di esercitarlo sotto il suo controllo.

Partendo quindi dalla premessa che la Camera è l’organo supremo della Nazione, bisogna procedere con ogni cautela nell’affermare il principio della parità delle due Camere, principio al quale forse si potrebbe accedere, se la seconda Camera fosse integrazione della prima e anch’essa costituita su base essenzialmente elettiva. Ricorda che alcuni Paesi molto avanzati negli ordinamenti democratici non hanno una seconda Camera; in altri, invece, la prima Camera sta a rappresentare gli interessi generali, mentre la seconda, posta sullo stesso piano di diritto, gli interessi reali e concreti di alcuni determinati enti. Il secondo caso si ha negli Stati a carattere plurinazionale; ma l’Italia non si trova in questa situazione e, d’altra parte, sarebbe opportuno giovarsi dell’insegnamento e dell’esperienza del passato, in cui il sistema bicamerale ha dato risultati del tutto negativi e la seconda Camera è diventata troppe volte un centro di reazione e di freno al progresso.

All’onorevole Tosato, che attribuisce alla seconda Camera una funzione di freno e di correttivo alla prima, ricorda che l’espressione della volontà popolare non può essere che una ed è inconcepibile che il popolo possa trovarsi in contrasto con sé stesso. Ciò però potrebbe accadere e la sovranità popolare ne avrebbe grave danno se fosse eletta una seconda Camera per contrastare le decisioni prese dalla prima.

L’onorevole Tosato ha manifestato anche l’avviso che occorrerebbe allargare l’espressione della volontà popolare con la rappresentanza degli interessi di categoria. Deve a tal proposito far rilevare che una simile rappresentanza non sarà già dei lavoratori, bensì di alcune determinate associazioni, come ad esempio quelle degli agricoltori, degli industriali, degli avvocati, degli ingegneri, dei medici e così via.

Ricorda d’aver già in altre occasioni esposto nettamente il suo pensiero circa la necessità di evitare che il futuro ordinamento regionale possa tramutarsi in un ordinamento federalistico. È d’accordo che con la seconda Camera si crei un organo che sia la diretta espressione degli interessi e dei bisogni locali, ma ammonisce di andar molto guardinghi in questo campo, per non correre il pericolo di spezzare l’unità politica ed economica della Nazione.

Circa la questione della parità felle funzioni, osserva che la seconda Camera, in quanto più o meno costituita sulla base della rappresentanza regionale, sostanzialmente sarà l’espressione degli interessi degli enti regionali. Ed è perciò che essa non dovrebbe essere posta su un piano di parità con la prima, che è l’espressione integrale della volontà della Nazione. Soggiunge che, accogliendo la proposta dell’onorevole Tosato, per cui accanto alla rappresentanza su base regionale dovrebbe aversi nella seconda Camera anche la rappresentanza degli interessi di alcune determinate categorie, si potrebbe avere una prevalenza di questi ultimi interessi su quelli di carattere generale, ed allora la seconda Camera tenderebbe a smorzare, ad attenuare, e forse a distruggere l’opera della prima.

Si dichiara perciò nettamente contrario: innanzi tutto al principio che la seconda Camera debba essere posta su un piede di parità con la prima, e in secondo luogo a che la seconda Camera possa essere composta sulla base della rappresentanza degli interessi di alcune determinate associazioni e categorie. In sostanza, secondo il suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere l’espressione democratica degli organi locali, su base elettiva, e dovrebbe avere soltanto poteri consultivi e integrativi,

PERASSI ritiene che la seconda Camera debba avere parità di funzioni con la prima. Per quanto concerne la funzione legislativa, ogni dubbio gli sembra impossibile. Innanzi tutto ricorda che a giustificazione del sistema bicamerale si è riconosciuta la necessità che la legge risulti dalla più ampia valutazione di tutti i possibili interessi da tutelarsi con la legge stessa. Inoltre, dal punto di vista pratico, è indiscutibile che la legge, assoggettata nella sua formazione ad un riesame, riesca sempre migliore, anche se ciò vada a scapito della celerità, la quale non è sempre un vantaggio né per la legge né per il Paese.

Ritiene poi che il riconoscimento della parità delle funzioni non possa dar luogo a dubbi per quanto riguarda il controllo politico effettuato a mezzo delle interrogazioni e delle interpellanze. Qualche perplessità invece teme si possa nutrire nei riguardi del voto di fiducia al Governo. A suo parere, la parità potrebbe teoricamente affermarsi nella Costituzione, senza escludere nell’attuazione pratica del principio la possibilità di ricorrere a qualche adattamento, come è avvenuto in altri Paesi.

Per quanto concerne la formazione del Senato, gli sembra che ormai sia da tutti ammesso il principio che il Senato debba trovare la sua base nelle regioni. Al riguardo dichiara di non condividere il timore da altri nutrito di un mascherato federalismo. Pur avendo aderito ad una soluzione più attenuata del problema delle autonomie locali, non ritiene che una prevalenza della rappresentanza regionale nella formazione del Senato possa offrire dei pericoli per il funzionamento dello Stato nell’esercizio della sua attività legislativa e politica.

Circa la composizione numerica del Senato osserva in linea di principio che non vi è nessuna ragione né logica, né politica perché una Camera debba essere costituita con un solo sistema: possono esservi membri eletti o nominati con un sistema e membri nominati o eletti con un altro. Ritiene eccessivo che ogni Assemblea regionale elegga lo stesso numero di senatori. A suo avviso, ciascuna regione dovrebbe eleggere un certo numero minimo di senatori e per il resto si dovrebbe tener conto della popolazione e della estensione geografica della regione stessa. Si ottiene così la possibilità che del Senato facciano parte, in misura determinata, altri elementi non eletti dalle regioni, e questi potrebbero essere i rappresentanti di enti titolari di particolari interessi economici. Non esclude infine, senza insistere sulle ragioni di opportunità pratica e politica, da altri già lumeggiate, che la nomina di un numero ristrettissimo di senatori possa rientrare nelle facoltà del Capo dello Stato.

Nei riguardi del progetto dell’onorevole Tosato, dichiara che esso non corrisponde esattamente con le sue vedute. A suo parere sarebbe conveniente che le Assemblee regionali avessero facoltà di indicare il numero dei rispettivi senatori.

Quanto alle norme transitorie, osserva che si tratta di un problema di carattere particolare che per ora non è il caso di approfondire. È indubbio, per altro, che non si potrà non tener conto del fatto che le Assemblee regionali non saranno subito costituite; quindi il primo Senato potrà essere eletto dalle regioni con un procedimento che non sarà quello definitivo.

MORTATI, Relatore, invita coloro che sono favorevoli alla nomina di una aliquota di senatori da parte del Capo dello Stato a precisare se tale nomina dovrebbe essere a vita o a tempo determinato.

PERASSI preferirebbe la nomina a tempo determinato; non escludendo quella a vita per un ristrettissimo numero di senatori.

BOZZI è favorevole al principio della parità delle funzioni, sia per quanto attiene al processo formativo delle leggi, sia per l’intervento nelle questioni politiche ed il controllo sul Governo, soprattutto considerando il problema dal punto di vista dell’equilibrio politico.

Essendosi affermato che il Senato deve avere una base politica e rappresentativa, ne consegue che per questa sua struttura esso non contraddice, ma integra e completa la rappresentanza della prima Camera. In sostanza il Senato viene a rappresentare quelle forze sociali, di cui la Camera, per la sua particolare configurazione di rappresentanza di partiti, non può esprimere in modo autonomo la volontà.

Osserva che il problema della composizione del Senato non è facile, e che esso può essere variamente risolto: così la sua struttura da alcuni viene ricollegata alle regioni, quando ancora non si sa come le regioni dovranno essere costituite; da altri invece all’intervento delle associazioni sindacali, quando non si sa ancora quale sarà la legge che regolerà la formazione ed il potere di tali associazioni.

Richiamandosi alle osservazioni degli onorevoli Tosato e Perassi, nota che, se si parla di rappresentanza delle regioni, si deve anche precisare se si intende parlare di queste come enti di diritto pubblico, come soggetti titolari di autonomia ed autarchia. Teme però che in tal modo si possa favorire il sorgere di una struttura federalistica, specialmente se si aderisce alla tesi, prospettata dall’onorevole Lussu e da altri seguita, di dare ad ogni regione una rappresentanza eguale. Si arriverebbe così facilmente alla regione considerata come un ente sovrano, come membro di uno Stato federale, il che è assolutamente da evitare. Ricorda che nell’accogliere il principio dell’ente regione si partì dal presupposto di uno Stato unitario; presupposto che assolutamente non deve essere dimenticato.

Dissente da quanti vorrebbero che il corpo elettorale del Senato non fosse quello stesso della Camera: se si vuole creare un Senato che possa efficacemente esplicare una funzione in condizioni di parità con la Camera, occorre che il corpo elettorale dell’uno sia eguale a quello dell’altra. Un Senato con un corpo elettorale più ristretto di quello della Camera, la quale appunto trae la sua autorità dalla volontà generale dei cittadini, sarebbe un organo privo di prestigio, che, automaticamente, anche se fosse affermato il principio della parità delle funzioni delle due Assemblee, si troverebbe in una situazione di subordinazione rispetto all’altro ramo del Parlamento. Pertanto, contrariamente a quanto è stato proposto dall’onorevole Tosato, suggerisce l’adozione di un sistema orientato verso il suffragio universale, sempre però nell’ambito della regione: in altri termini, dovrebbero essere i cittadini delle regioni e non le Assemblee regionali ad eleggere i membri del Senato, perché, se si ricollega la vita del Senato a quella delle Assemblee regionali, quali specifici corpi elettorali, qualunque mutamento queste eventualmente subissero si ripercuoterebbe sulla vita del Senato.

Occorrerebbe invece determinare nella Carta costituzionale le categorie dei cittadini che potrebbero essere eletti senatori ed allo scopo potrebbero servire come punto di partenza le specificazioni dell’onorevole Tosato, così che la seconda Camera rappresenterebbe quelle forze vive della Nazione, economiche, culturali, artistiche ecc., alle quali spesso si è fatto riferimento.

Bisognerebbe poi procedere all’operazione più difficile, cioè al dosaggio di tali forze, per determinare quanti dovrebbero essere i rappresentanti di una data categoria e quanti quelli di un’altra. Ricorda al riguardo l’acuta osservazione già fatta dall’onorevole Rossi e poi ripresa dall’onorevole Einaudi, che in una norma statutaria non si possono cristallizzare le situazioni, tanto più che si tratta di forze vive e, come tali, in continuo movimento. Si potrebbe pertanto lasciare alle Assemblee regionali la determinazione dei seggi che in ogni regione dovrebbero essere affidati a ciascuna delle categorie previste in via generale dalla Costituzione.

Si avrebbe così una combinazione di tre principi diversi, che potrebbero dare utili risultati: 1°) il principio del suffragio universale, cioè della investitura diretta da parte del popolo, che darebbe autorità e prestigio alla seconda Camera, per cui essa verrebbe a trovarsi senz’altro in una situazione di parità con la prima; 2°) l’indicazione di categorie da considerarsi come forze vive della Nazione; 3°) l’attribuzione alle Assemblee regionali della possibilità di valutare le particolari esigenze e gli specifici aspetti della vita della regione. E naturalmente il sistema dovrebbe trovare la sua concretizzazione in una legge elettorale speciale.

Aggiunge che non è d’accordo con l’onorevole Tosato quando propone che le associazioni sindacali indichino i nomi dei candidati alle Assemblee regionali, perché così si verrebbe a costituire una Camera di rappresentanti di associazioni e di enti in genere, e non già di rappresentanti del popolo.

FABBRI constata che vi sono due punti acquisiti nella discussione: il sistema bicamerale e la costituzione del Senato quale rappresentanza delle forze vive del Paese. Resta ora da risolvere un problema grave e delicato: quello delle modalità per la scelta dei senatori.

L’onorevole Tosato ha proposto un sistema che in sostanza ne rinvia ad una legge speciale la fissazione, mentre a suo avviso la questione va affrontata in sede di Sottocommissione, risolvendo innanzi tutto il problema se occorra procedere con elezione diretta o di secondo grado. Premesso che il Senato non dovrebbe avere minori funzioni della Camera, sia nel campo legislativo che in quello di controllo sull’azione di governo, ritiene che la Carta statutaria dovrebbe fissare il numero dei senatori e determinare la loro ripartizione tra le varie regioni.

Quanto al delicato argomento del voto di fiducia, associandosi all’onorevole Perassi, aggiunge che concepirebbe il Senato come un organo, in un certo senso permanente della vita rappresentativa dello Stato, e non con una durata legata a quella della Camera come propone l’onorevole Tosato. Pensa pertanto ad una durata di sei anni per il mandato dei senatori, con la rinnovazione di un terzo ogni due anni. Si assicurerebbe così la continuità di un organo rappresentativo dello Stato anche in caso di vacanza di altri organi, compreso il Capo dello Stato. D’altra parte il parziale rinnovamento biennale importerebbe un esercizio di attività politica da parte dei cittadini, assai utile per la loro educazione, ed insieme un orientamento sugli indirizzi del corpo elettorale, che non è male verificare con una certa periodicità e frequenza.

Circa il riparto dei senatori tra le varie regioni, egli preferisce considerare le regioni come collegi elettorali più che come organi capaci di avere propri rappresentanti, per allontanare il pericolo di addivenire ad un ordinamento federalistico. Sia i deputati che i senatori a suo avviso debbono essere i rappresentanti della Nazione.

Nei riguardi del criterio da seguire per l’elezione dei senatori, osserva che se si accedesse al sistema maggioritario relativo, potrebbero sussistere fondati motivi per dare la preferenza alla elezione diretta anziché a quella di secondo grado. Se invece si adottasse anche per la seconda Camera la proporzionale, per non avere duplicazioni della fisionomia della prima, bisognerebbe dare la preferenza alla elezione di secondo grado. Inoltre con l’elezione diretta basata sul sistema maggioritario si potrebbe fare a meno di attribuire al Capo dello Stato la prerogativa della nomina di un ristretto numero di senatori, prerogativa che invece sarebbe utile riconoscere se si accedesse al concetto dell’elezione di secondo grado.

CONTI, Relatore, rileva che la discussione si è svolta con scarsa organicità, ed esprime il parere che si possa chiudere la discussione generale.

Desidera poi precisare il netto punto di vista suo e del suo partito in merito ad una questione di principio. È stato più volte sostenuto che, per realizzare la volontà popolare, non ci sia altro modo che quello dell’elezione di una sola Camera. Premesso che i repubblicani storici si considerano e si vantano di essere i bigotti della sovranità popolare, afferma che la pretesa di realizzarla con l’istituzione di una sola Camera viola il principio stesso della sovranità popolare. Una sola Camera si può trasformare facilmente, come è avvenuto in molti Paesi, in una oligarchia pericolosissima, mentre solo con l’istituzione di molteplici enti rappresentativi si può realizzare la sovranità popolare. Per questa ragione i repubblicani sostengono che, accanto alla Camera dei Deputati, debba essere istituita una seconda Camera e che entrambe debbano essere integrate da quelle istituzioni regionali con le quali si può creare una vera democrazia. Essi aspirano in sostanza a che sia data vita a tutte quelle istituzioni che veramente derivino dalla volontà popolare e rappresentino gli interessi immediati delle popolazioni. L’idea che si possa trasferire la volontà popolare soltanto in cinque o seicento individui rasenta l’assurdo, poiché questi non potranno mai rappresentare 45 milioni di italiani.

TOSATO dichiara di aderire in pieno alle affermazioni dell’onorevole Conti.

PORZIO, non essendo intervenuto a procedenti riunioni e sentendo parlare oggi del Senato, desidera esprimere il proprio punto di vista.

Si è votato per il sistema bicamerale, e questo è il punto fermo da cui si deve partire; onde talune osservazioni dell’onorevole La Rocca contro il sistema bicamerale sono ormai superate.

Ricorda di aver preveduto in una precedente riunione che forse si voleva un Senato con poteri e compiti più o meno ristretti; e la discussione su questo punto dovrebbe essere fatta ampiamente, esponendo ciascuno il proprio punto di vista apertamente, senza sottintesi e senza circonlocuzioni di parole.

Quando si è affermato il principio del sistema bicamerale, il fine che si intendeva perseguire era quello di costituire non già un meccanismo, ma un organismo; e come negli organismi naturali le varie facoltà si integrano, si completano, si rafforzano, lo stesso si desiderava che avvenisse per le due Camere, che insieme costituiranno l’Assemblea Nazionale.

Non parlerà di sistemi parlamentari stranieri perché già altra volta ha detto che, se l’Italia ha subito una tremenda disfatta, l’intelletto italiano non è stato sconfitto ed è e sarà capace sempre di legiferare originalmente. Potrebbe forse dire in linea politica all’onorevole La Rocca che, se in Francia fosse stato accolto il sistema unicamerale, certamente non avremmo avuto in Italia la presente adesione pressoché di tutti al sistema bicamerale.

Si sta ora creando una nuova Costituzione. In materia politica la condotta di chi, specialmente come lui, non è iscritto ad alcun partito, può essere erroneamente giudicata e dare adito a qualche equivoco. Tiene perciò a dichiarare che egli è per indole, per vita di lavoro, per anima, un democratico. Nella sua vita politica ha seguito unicamente Giolitti, questo grande piemontese e grande italiano che aveva le lacrime agli occhi se gli si parlava di Torino e diventava pieno di sollecitudini, premure, riconoscimenti, se gli si parlava del Mezzogiorno. Fu Giolitti ad imprimere, tra lotte immani e spesso fra ostili incomprensioni, il moto progressivo democratico al nostro Paese. Il Presidente onorevole Terracini, quando affermava che la Camera, tra le altre sue facoltà, deve anche avere quella di poter dichiarare o negare la guerra, avrà forse pensato che il progetto di legge per la modifica dell’articolo 5 dello Statuto fu presentato da Giolitti e che egli ebbe l’alto onore per incarico di questo uomo eminente di scriverne la relazione. Questa è la sua carta da visita, una volta per tutte.

È d’accordo con l’onorevole Conti. Un maestro diceva che vi era una sorta di teologia politica: la Camera ardimentosa, tumultuante ed impulsiva; il Senato conservatore, severo – l’Assemblea seduta di carducciana memoria – intransigente nel suo rigore. Ma tutto questo non è più. Se la base della rappresentanza nel Senato non sarà più la nomina dall’alto, ma l’elezione attraverso il suffragio universale, ogni prevenzione su un possibile carattere conservatore del Senato sarebbe fuori luogo. Il Senato non potrà essere che la legiferazione meditata, approfondita, riveduta; non potrà essere che il limite ad un potere che sarebbe assoluto e dal quale deriverebbero giudizi, leggi irrevocabili ed irreparabili. È la Corte d’appello. Ciò pare che sia voluto, consapevolmente o inconsapevolmente, da tutti, dal momento che per il deputato si pone come condizione avere soltanto 25 anni di età, mentre per il senatore si pone quella di averne 40; ossia l’età di una riflessione e di una esperienza più matura. Ma sarebbe una contraddizione in termini richiedere tale maggiore maturità intellettuale da chi dovesse compiere funzioni più ristrette e più limitate.

Vi deve dunque essere parità fra le due Camere.

In ogni modo, è comune a tutte le legislazioni il principio secondo il quale la seconda Camera ha una base più ristretta per le elezioni ed è eletta con votazione indiretta. Ricorda un antico progetto di un eminente uomo politico, Antonio Scialoja, secondo il quale la base del Senato elettivo doveva essere costituita dai Consigli provinciali, comunali, professionali, industriali, lavoratori. Nihil sub sole novi, se il progetto di Antonio Scialoja si avvicina molto all’idea espressa dall’onorevole Bozzi.

È del parere poi che il Capo dello Stato debba avere la facoltà di nominare alcuni senatori, specialmente le grandi personalità che onorano la Patria, perché vi sono alcune personalità che rifuggono dalla lotta elettorale, ma il cui valore può dar lume e decoro all’Assemblea.

Termina esortando i componenti la Sottocommissione a pensare che, specialmente nell’ora che si attraversa, il Paese sarebbe profondamente deluso se nella nuova Carta costituzionale vedesse ridotte le facoltà del Senato, che nella tradizionale coscienza del popolo è stato sempre un istituto che ha conferito autorità e prestigio alla Nazione.

AMBROSINI rileva che la Sottocommissione sembra ormai orientata ad assegnare la maggioranza dei seggi della seconda Camera ai rappresentanti delle regioni. Occorre pertanto che sia determinato in modo tassativo il numero dei membri da assegnare alle singole regioni. A tale proposito ritiene che dovrebbe essere assicurato ad ogni regione un minimo di rappresentanza (da due a quattro senatori) mentre il numero degli altri dovrebbe essere fissato in base all’entità della popolazione, perché quanto maggiore è la popolazione e tanto maggiori sono i bisogni, ed è quindi giusto che le regioni più popolose abbiano un maggior numero di rappresentanti.

RAVAGNAN dichiara che, innanzi tutto, è bene partire, per dare un certo ordine alla discussione odierna, da un dato di fatto ormai acquisito, che cioè è stata già decisa l’istituzione di una seconda Camera. In secondo luogo, circa la questione relativa alle funzioni da attribuirsi alla seconda Camera, gli pare si potrebbe essere d’accordo nell’affermare che essa debba essere chiamata a migliorare la elaborazione delle leggi, e così a perfezionare l’opera legislativa della Camera dei Deputati.

Quanto al modo di costituire la seconda Camera, sarà bene risolvere pregiudizialmente il problema se debba essere costituito un corpo elettorale, basandosi sull’elezione da parte dei cittadini, oppure se i membri della seconda Assemblea debbano essere in tutto o in parte nominati dall’alto. Secondo il suo parere, non dovrebbe essere accettato il criterio della nomina dall’alto e ciò per una questione di principio, e cioè che nella coscienza universale moderna il mandato legislativo è concepito come un’emanazione della sovranità popolare.

Altra questione da decidere, ma sulla quale sostanzialmente si è già d’accordo, è quella se il corpo elettorale, chiamato ad eleggere i membri della seconda Camera, debba essere costituito o meno sulla base della regione. In proposito è da domandarsi se tale corpo elettorale debba essere costituito dalla universalità dei cittadini, sempre nell’ambito della regione, oppure da categorie speciali determinate dalla legge; ed egli è personalmente favorevole alla prima delle due ipotesi.

PRESIDENTE, data l’importanza dei problemi in discussione, desidera esprimere il suo parere personale.

Dichiara innanzi tutto di essere contrario alla parità di funzioni della seconda Camera rispetto alla prima, perché, mentre questa è senz’alcun dubbio espressione genuina della sovranità popolare, l’altra sarà comunque costituita espressione di funzioni ed esigenze che con tale sovranità perfettamente non coincidono. L’onorevole Conti, quando ha affermato che la sovranità popolare trova la sua espressione non solo nell’Assemblea Nazionale, ma in qualunque altra Assemblea che sorga nel seno della Nazione, avrebbe dovuto aggiungere: e che si formi senza esclusione di nessun gruppo, sia pure limitato, di cittadini. Condivide l’opinione che quanto più si moltiplicano gli organismi di rappresentanza collettiva e tanto più la democrazia si afferma e la volontà popolare può farsi valere; ma respinge l’idea che questa volontà trovi maggiore espressione in organi periferici, limitati e parziali, anziché nell’Assemblea Nazionale. In questa la sovranità del popolo trova la sua più completa e valida estrinsecazione, mentre ogni altra assemblea locale non può essere che integratrice e subordinata. Se poi le Assemblee regionali dovessero formarsi secondo quanto propone l’onorevole Conti, la loro base elettiva sarebbe senz’altro mutilata, ed uguale pecca avrebbe una seconda Camera che trovasse in esse la sua sorgente; infatti, una rappresentanza di categorie escluderebbe dal quadro immediatamente quasi tutte le donne, in massima parte non partecipi in modo diretto al processo produttivo e pertanto non ineludibili nei particolari collegi elettorali. Semplici massaie, esse non avrebbero diritto al voto, perché non esiste un sindacato delle massaie; e se sotto il fascismo esiste un’associazione delle massaie rurali, di fatto essa era l’organizzazione delle contadine, lavoratrici dei campi.

Si è affermato che, così come la dualità delle due Camere, la parità dei loro poteri sarebbe giustificata dall’esigenza di realizzare un equilibrio interno del sistema parlamentare. Ma perché la necessità di tale equilibrio non si avverte rispetto agli altri poteri dello Stato, come, ad esempio, in quello esecutivo? Si potrebbe affermare che l’equilibrio si raggiunge con la presenza, accanto al Capo del Governo, del Capo dello Stato. Ma questo, se una tale funzione di equilibrio esercita, lo fa non nell’interno dell’esecutivo, ma nei rapporti fra i vari poteri, tanto che è proprio con questa giustificazione che si vuole da taluno elevare oltre l’ammissibile la sua autorità. Parimenti a nessuno verrebbe in mente di chiedere uno sdoppiamento del potere giudiziario allo scopo di equilibrarne il funzionamento. È evidente insomma che, se un equilibrio è necessario nel sistema generale dei poteri, e cioè nei rapporti fra l’uno e l’altro, è illogico rivendicarlo nell’interno di ciascuno di essi.

Passa poi a ricercare quali siano le materie da escludere dalla competenza della seconda Camera. Pensa, ad esempio, che questa non abbia titoli per discutere ed approvare i bilanci. L’esame delle entrate ha costituito storicamente la ragione prima del sorgere dell’Assemblea elettiva, che ha condotto progressivamente all’attuale Camera dei Deputati. Non si comprende come coloro che pensano ad una seconda Camera, formata sulla base della rappresentanza degli interessi, possano volerle poi assegnare il compito di approvazione del bilancio. La imposta è pagata dal cittadino in quanto tale, dal cittadino indifferenziato, e non dal contadino, o dall’industriale, o dal commerciante. Tutti sono tenuti a contribuire alle spese dello Stato, e la prima Camera, eletta col suffragio universale ed eguale, è appunto la Camera di tutti; e lo è essa sola.

Egli sottrarrebbe del pari alla seconda Camera il diritto di interloquire e deliberare in materia di amnistia, perché non vede quale particolare apporto potrebbe arrecare alla valutazione della sua opportunità ed estensione un organo comunque meno pronto della Camera dei deputati ad avvertire il tono e l’orientamento politico del Paese. Si tratta infatti di materia squisitamente politica, perché in genere è la «necessità politica» a suggerire l’amnistia. Ed ancora una volta non può sorprendere il fatto che siano proprio coloro che vogliono dare alla seconda Camera la fisionomia meno politica possibile, quelli che intendono lasciarle invece le facoltà più tipicamente politiche.

Così pure il diritto di inchiesta dovrebbe rimanere attribuito soltanto alla prima Camera, che è l’organo il quale, più direttamente ed immediatamente collegato col Paese, meglio ne riflette le emozioni, i turbamenti, le preoccupazioni, il bisogno di essere illuminato su fatti e circostanze che abbiano colpita la pubblica opinione.

Ritiene infine che alla seconda Camera non possa riconoscersi il potere di accordare o negare la fiducia al Governo. Non è forse il caso per questo di richiamarsi alla tradizione del vecchio Senato italiano, cui era negata tale facoltà, in quanto si potrebbe opporre che ciò era dovuto al fatto di essere esso di nomina regia e che perciò, con una seconda Camera divenuta elettiva, il peso della tradizione verrebbe meno. Indipendentemente da altre ragioni già esposte nel corso della discussione, egli pensa che, riservando ad una sola Camera tale potere, si evita il frequente insorgere di conflitti fra le due Camere ogni qual volta l’una accordi e l’altra neghi la fiducia al Governo. Alla seconda Camera resterebbe però sempre il potere di controllo sul Governo da esercitarsi col diritto d’interrogazione e di interpellanza.

Resta a parlare del diritto di guerra e di pace. Al riguardo, egli pensa che ogni decisione dovrebbe essere presa dalle due Camere insieme riunite, e pertanto che tale diritto spetterebbe così alla prima come alla seconda Camera. Si è obiettato che nell’Assemblea Nazionale le due Camere, se fornite l’una di maggiori e l’altra di minori poteri, male potrebbero sedere e provvedere insieme. Ma l’argomentazione è artificiosa. Ciò che importa non è che le due Camere abbiano poteri differenziati quando seggono ciascuna a sé, nell’esercizio delle distinte funzioni; ma che abbiano eguale potere nei confronti di quelle materie che devono affrontare in sede comune e con unico giudizio.

Così elencate le esclusioni, ritiene che le due Camere debbano stare su piede di parità per quanto riguarda il potere di legiferare. La seconda Camera esaminerà e voterà dunque tutte le leggi dello Stato, perché è nella elaborazione di queste che insorge la necessità da tutti asserita che i vari problemi siano visti non solo da un punto di vista generale, ma da tutti i punti di vista particolari, ed in relazione a tutti gli interessi specifici che si manifestino nell’interno del Paese.

Passando al problema della composizione della seconda Camera, afferma che occorre respingere ogni designazione dall’alto. Non si pone qui un problema di quantità, ma un problema di principio. Ogni designazione dall’alto, sia pure di pochi membri, di un’Assemblea rappresentativa, costituisce in regime democratico una mostruosità, da cui uomini adunati ed intenti ad un’opera razionale devono assolutamente rifuggire. In un sistema democratico ogni autorità deve provenire dai cittadini. L’opinione di quanti pensano che in sostanza la stessa designazione dall’alto potrebbe in certa guisa considerarsi come una elezione di forma indiretta, non è accettabile,

perché la designazione del Capo dello Stato sorge da una elezione di secondo grado; coloro che da lui fossero designati come membri della seconda Camera, trarrebbero la propria investitura da una elezione di terzo grado, e a questo punto parlare ancora di volontà e di scelta popolare sarebbe puro artifizio, perché il tramite tra gli pseudo eletti e la volontà degli elettori di primo grado sarebbe del tutto evanescente. Se è concepibile una elezione di secondo grado, ed è anzi sperimentata presso molti Stati, quella di terzo grado rappresenta una pura esasperazione annichilitrice del sistema.

È stato affermato che comunque sarebbe opportuno consentire al Capo dello Stato di chiamare a far parte della seconda Camera uomini celebri, che per le loro capacità rappresentano una illustrazione del Paese, ma che, in genere, si mantengono estranei alla lotta politica e sono schivi e spesso pavidi del contatto con le folle. Ma appunto per questa ultima ragione tali uomini sono i meno indicati a far parte di un consesso politico, non potendo rendervisi interpreti dei bisogni e delle aspirazioni del popolo, col quale non sanno comunicare ed intendersi. Al riguardo ricorda quanto sia stato modesto il contributo dato alla vita politica del nostro Paese dagli uomini portati, contro voglia, a sedere nelle Assemblee parlamentari. Immessi in Senato, Manzoni, Carducci, Verdi, Marconi raramente ne varcarono le soglie; e Verdi addirittura si vantava di non averlo fatto se non una volta sola per la formalità del giuramento. Chi non è attratto alla lotta politica, la quale in confronto delle maggiori imprese intellettuali può a volte sembrare volgare e umiliante, non vi adirà per il fatto di un’investitura dall’alto. Le nomine riservate al Capo dello Stato si risolverebbero quindi a fornire la seconda Camera meno ancora che di figure, di nomi decorativi; ma né la prima né la seconda Camera necessitano di tale decorazione speciale: o si procacceranno da sé, con le loro opere, rispetto o prestigio, o rimarranno comunque senza stima e senza consenso.

Né gli sembra opportuno riservare alle alte cariche dello Stato l’ingresso di diritto alla seconda Camera. Pensa anzi che si dovrebbe dichiarare l’incompatibilità tra le loro funzioni e l’appartenenza al potere legislativo. A parte quel certo spirito di dipendenza che i funzionari delle pubbliche Amministrazioni conservano sempre nei riguardi del potere esecutivo, sarebbe assai difficile per essi assolvere contemporaneamente e con piena efficienza ambedue gli incarichi. Sorgerebbe poi per essi il problema della durata del mandato, se sia cioè da rinnovarsi ad ogni spirare di legislatura, o continuativo in relazione alla permanenza nell’ufficio; onde l’esigenza di norme che appesantirebbero la Costituzione, togliendole quella semplicità di linee che è necessario assicurarle.

Il problema se i membri della seconda Camera siano i rappresentanti delle regioni territorialmente considerate, oppure di certe determinate categorie nell’ambito regionale o nazionale è cosa certamente di rilievo; ma peso maggiore ha l’altro della elettività della seconda Camera, come base esclusiva della sua formazione. Egli opina, anzi, che una affermazione incisiva del principio dovrebbe essere contenuta in un articolo che precedesse tutta la stesura delle norme costituzionali relative agli organi parlamentari, e che dovrebbe suonare nei seguenti termini: «Il potere legislativo, sulla base delle due Camere, ha una sorgente di carattere elettivo».

Stabilità la base regionale della feconda Camera, resta da decidere se l’elezione ne debba essere di primo o di secondo grado. Personalmente esprime l’opinione che debba essere di secondo grado. La proposta dell’onorevole Fabbri per le elezioni dirette, più democratica all’apparenza, ha in realtà un carattere antipopolare. L’elezione alla seconda Camera con collegio uninominale e sistema maggioritario, darebbe luogo a risultati certamente più di destra, ad un allineamento molto più arretrato di quel che non si verificherebbe nelle elezioni per la prima Camera fatte col sistema proporzionale. Ne sorgerebbe un netto distacco tra le due Camere, tale che non può essere desiderato né favorito da chiunque aspiri alla maggiore armonia tra i due organi.

Quanto alle proposte dell’onorevole Bozzi rileva che esse implicano un collegio unico regionale, ed il sistema maggioritario nella elezione. Non è infatti pensabile che si possa giungere ai risultati desiderati dall’onorevole Bozzi, cioè ad una rappresentanza di categorie con rapporti prefissati, con il sistema proporzionale. Senza collegio unico con sistema maggioritario, potrebbe avvenire infatti che riuscissero eletti fra i candidati delle varie liste, un maggior numero in alcune categorie ed in altre uno minore di quanto non sia previsto nello schema iniziale. Crede quindi che anche il progetto Bozzi, così attraente a primo acchito, non possa resistere ad un esame accurato del suo giuoco interno.

Aggiunge ancora poche parole sulla rivendicata rappresentanza degli interessi. L’onorevole Ambrosini in una riunione precedente ha sostenuto che gli interessi che dovrebbero essere rappresentati in seno alla seconda Camera non dovrebbero riferirsi alle piccole categorie od a gruppi polverizzati, ma a grandi raggruppamenti sociali. Questi raggruppamenti verrebbero a coincidere, per ricorrere ad una terminologia corrente, con le classi. Ora, che cosa rappresentano i partiti, non in senso immediato, ma nella loro genesi e natura, se non appunto le classi, ed i loro interessi generali? E che cosa ne sono le ideologie, se non la sublimazione di questi interessi di classe concepiti nella loro continuità e comprensività? Ma i partiti sono, nell’opinione di tutti, i sostenitori della prima Camera. Secondo questa legittima interpretazione della tesi dell’onorevole Ambrosini e di molti altri membri della Sottocommissione, essi diverrebbero anche momenti essenziali del processo formativo della seconda. In definitiva dunque, la seconda Camera finirebbe per essere quasi un duplicato, salvo alcuni aspetti formali, della prima. Superflua dunque; non necessaria. E questa è stata la tesi iniziale che egli sostenne, quando fu incominciata questa discussione.

Prima di concludere, non può non richiamare l’attenzione della Commissione sul pericolo grave insito in una formazione della seconda Camera a base di rappresentanza di interessi. Se collusioni oscure di gruppi di interessi, spesso all’apparenza nettamente antitetici, a danno della collettività sono già possibili in seno ad un’assemblea eletta con criteri indifferenziati, essi potrebbero divenire la regola in un consesso in cui ognuno di tali gruppi si presentasse nettamente distinto ed individuato. Ricorda che un’alleanza obliqua di tal genere, fra operai ed imprenditori dell’industria pesante, ha valso all’Italia il sorgere ed il giganteggiare del protezionismo doganale, terreno sul quale nazionalismo e fascismo eressero la loro disastrosa dittatura. Ogni struttura costituzionale che facilitasse il ripetersi di un tale disastroso processo deve essere deprecata e combattuta. Non vi è dubbio che una Camera degli interessi vedrebbe la sua opera permanentemente insidiata da questo pericolo; e per eluderlo occorre attenersi ad un criterio che, anziché individuare ed isolare gli interessi, li fonda smorzandone le manifestazioni più caratteristiche.

TOSATO risponde alla domanda postagli dall’onorevole Terracini: perché dovrebbe attuarsi il principiò dell’equilibrio solo nel potere legislativo, e non anche, allora, nel potere esecutivo e in quello giudiziario? La risposta gli sembra molto semplice. Bisogna tener presente che il potere esecutivo e il potere giudiziario (che poi risultano da un complesso numeroso di organi fra i quali l’attività esecutiva e l’attività giurisdizionale sono suddivise) non sono poteri sovrani. Sia l’uno che l’altro, sia pure in misura e sotto aspetti diversi, sono vincolati dalle leggi poste dal potere legislativo. Questo invece si pone nell’organizzazione dello Stato come organo sovrano ed è proprio rispetto all’organo sovrano che si appalesa la necessità di un equilibrio, che si attua appunto attraverso il bicameralismo. Per la stessa ragione che, posto il principio della sovranità popolare, non si vuole che la sovranità stessa sia concentrata in una sola persona fisica, così si ritiene opportuno e necessario che il Parlamento, anziché da una sola, sia composto da due Camere, per evitare appunto eventuali abusi ed attuare quindi l’equilibrio.

FUSCHINI, per evitare discussioni inutili e contraddittorie e rendere così più proficuo il lavoro della Sottocommissione, propone che sia nominato un Sottocomitato composto di un numero ristrettissimo di persone, il quale riesamini e rielabori le varie proposte fatte nel corso della discussione e sottoponga poi alla Sottocommissione un quadro preciso delle questioni fondamentali e possibilmente un progetto articolato.

LUSSU si rende conto delle ragioni che hanno consigliato l’onorevole Fuschini a presentare la sua proposta, ma ha la netta sensazione che, accettandola, si otterrebbero risultati contrari a quelli da lui sperati. Ritiene infatti che il problema riguardante la costituzione del Senato sia stato ormai ampiamente discusso e che si possa così arrivare a delle conclusioni. Viceversa, se si sospendessero le riunioni per consentire al Comitato di presentare le sue proposte, i lavori della Sottocommissione diventerebbero più complessi e durerebbero più a lungo.

EINAUDI osserva che la proposta dell’onorevole Fuschini potrà essere accettata fra qualche tempo, non quindi immediatamente, perché non ancora sono state prese decisioni sulle questioni fondamentali attinenti alla costituzione del Senato.

PRESIDENTE fa presente che ormai le idee, per quel che riguarda il problema in esame, sono abbastanza chiare e la strada da percorrere è evidente.

La discussione generale è chiusa e nella prossima seduta si potrà mettere in votazione anzitutto la questione della parità dei poteri tra le due Camere. Nell’ipotesi che si approvasse una disparità di poteri, si potrà esaminare la questione delle funzioni da attribuire alla seconda Camera. In secondo luogo, occorrerà prendere una decisione sul problema della formazione dei Senato, stabilire cioè se la seconda Camera dovrà avere una base esclusivamente elettiva o se saranno consentite anche le nomine dall’alto e quella di diritto in funzione delle cariche ricoperte. Qualora la risposta, nei riguardi dell’ultimo quesito, fosse affermativa, si potrebbe passare all’elencazione delle cariche e alla fissazione del numero massimo degli eleggibili. Infine occorrerà stabilire il criterio da seguire per l’elezione: se, cioè, essa dovrà essere diretta o indiretta.

FUSCHINI non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, purché possa essere presa in considerazione in un secondo momento.

La seduta termina alle 12.10.

Erano presenti: Ambrosini, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Bocconi, Di Giovanni, Finocchiaro Aprile.

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Fabbri – Nobile – Perassi – Mortati, Relatore – Ambrosini – Einaudi – Zuccarini – Lussu – Laconi – Leone Giovanni – Conti, Relatore – Vanoni.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE informa che sarà prossimamente distribuito il testo delle decisioni finora approvate dalla Sottocommissione, testo che sarà molto utile avere sott’occhio per lo svolgimento delle successive discussioni. Ritiene che, esaurita la questione relativa alla composizione della prima Camera, prima di iniziare la discussione sulla costituzione della seconda, sia opportuno riprendere in esame il problema dei decreti catenaccio. Ricorda che la Sottocommissione nella seduta precedente deliberò che fosse esclusa ogni facoltà del potere esecutivo di emanare provvedimenti di legge sotto qualsiasi forma. C’è da domandarsi se in tale deliberazione fossero compresi anche i decreti anzidetti. Personalmente è del parere che la facoltà di emanare questo genere di provvedimenti non possa essere tolta al potere esecutivo. I decreti-catenaccio infatti hanno valore solo in materia fiscale e non consentirne l’emanazione potrebbe essere un errore, perché spesso in materia fiscale si rende necessaria l’adozione di misure particolarmente tempestive.

FABBRI ricorda che egli aveva già proposto che, in materia di imposizioni fiscali, dazi e variazioni delle imposte di fabbricazione, fossero ammessi i decreti legge. Torna ad insistere su questa proposta.

NOBILE, richiamandosi alle osservazioni fatte in proposito dall’onorevole Einaudi, che ha una particolare esperienza in materia, propone che lo si inviti a formulare precise proposte al riguardo.

PERASSI esprime l’avviso che la questione dei decreti-catenaccio debba essere rimandata a quando si discuterà della competenza del potere esecutivo.

PRESIDENTE ritiene che la maggioranza condivida questo avviso e che il problema debba essere riesaminato con quello generale della competenza del potere esecutivo.

(Così rimane stabilito).

Invita la Sottocommissione ad esaminare il problema della costituzione della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, fa una questione, pregiudiziale. Considerato che il progetto dell’onorevole Conti prevede come base di formazione del Senato le assemblee regionali, gli sembra che non si possa prendere una decisione in merito, senza prima aver definito il carattere di tali assemblee, le loro attribuzioni e la loro costituzione. Attualmente si hanno due progetti in materia, uno dell’onorevole Ambrosini e l’altro dell’onorevole Zuccarini; ma lo speciale Comitato incaricato di esaminarli non ha ancora riferito in proposito. A suo avviso occorrerebbe attendere il risultato di tali lavori prima di intraprendere l’esame della costituzione della seconda Camera.

AMBROSINI informa i colleghi che il Comitato per l’autonomia regionale è in attesa di un terzo progetto, dell’onorevole Lami Starnuti, e d’altra parte data la frequenza delle sedute dell’Assemblea plenaria, della Sottocommissione e dei gruppi parlamentari, subisce purtroppo delle remore nell’esplicazione del suo incarico. In ogni modo è del parere che la Sottocommissione possa frattanto prendere una decisione di massima circa la costituzione del Senato.

 PRESIDENTE chiarisce che per il momento non si tratta già di stabilire il modo in cui le Assemblee regionali dovranno inviare i loro rappresentanti in Senato, bensì di risolvere una questione di principio: se, cioè, le Assemblee regionali, sole o insieme con altri organi, debbano costituire la base per la formazione del Senato. Ritiene quindi che la pregiudiziale dell’onorevole Mortati non possa essere accolta e lo invita ad iniziare, quale Relatore, la discussione sulla composizione del Senato.

MORTATI, Relatore, desidera fare alcune dichiarazioni di carattere personale. Premette di ritenere che il Senato debba essere posto in condizioni di parità con la Camera dei Deputati e che pertanto debba avere una efficienza politica pari a quella della Camera stessa. È anche del parere che per la formazione del Senato debbano essere escluse le elezioni di secondo grado, perché esse annullerebbero l’immediatezza del rapporto rappresentativo tra elettori ed eletti, che è la condizione necessaria per l’efficienza politica di ogni assemblea elettiva.

Sicuro di interpretare il pensiero dei componenti la Sottocommissione, afferma che essi non sono animati dal proposito di fare della seconda Camera un contraltare della prima: tutti, infatti, anche coloro che appartengono a partiti diversi dal suo, vogliono che il Senato sia espressione della volontà popolare e quindi che i suoi membri siano eletti da una massa di cittadini il più possibilmente estesa.

In ogni modo ritiene che per la formazione del Senato dovrebbe esigersi uno schieramento di forze diverso da quello richiesto per la prima Camera. In altre parole gli stessi elettori della prima Camera dovrebbero intervenire alla formazione della seconda, ma in una veste diversa, come rappresentanti, cioè, di interessi.

Ricorda che la rappresentanza politica indifferenziata è sorta dalla Rivoluzione francese, la quale soppresse tutti gli organismi sociali intermedi tra il cittadino e lo Stato, ritenendoli elementi di turbamento. Naturalmente la realtà si è incaricata di ricostituire quegli organismi, indispensabili alla vita sociale, e tra essi i più importanti furono i partiti, che vennero a formarsi in seno alla classe dominante, cioè alla borghesia. L’estendersi del suffragio fece poi venir meno l’unicità della classe politica borghese: nuove classi infatti assunsero un’importanza politica che prima non avevano, essendo escluse, per un pretesto o l’altro, dal suffragio. Generalmente furono gli interessi di classe che fecero sorgere tali nuovi organismi: alcuni però di quegli interessi rimasero esclusi, o per lo meno non furono direttamente rappresentati in quello schieramento di forze che oggi costituisce la base di formazione della prima Camera.

Si domanda se, dal momento che tali gruppi sociali esistono e fanno sentire il loro peso, non sia più opportuno che essi assumano precise responsabilità politiche. Oggi, com’è noto, esistono potentissime organizzazioni che esercitano, per quanto in forma indiretta, una notevole pressione politica, sotto la veste di tutelare, anche con azioni di forza, gli interessi delle classi sociali rappresentate, senza però che esse siano impegnate ad indicare in sede politica il modo in cui gli interessi così fatti valere si inquadrino nell’interesse generale dello Stato. Politicizzare tali organizzazioni significherebbe fare assumere ad essi una diretta responsabilità nell’indirizzo politico del Paese e costringerli ad adeguare a questa la loro attività.

Sono queste appunto, a suo avviso, le forze che dovrebbero concorrere e costituire la nuova seconda Camera. I rappresentanti delle organizzazioni anzidette, chiamati a far parte del Senato, finirebbero con l’avere una visione più ampia dei loro interessi particolari, perché sarebbero costretti ad inquadrarli negli interessi generali dello Stato.

La realtà sociale odierna dimostra l’utilità di una seconda Camera così formata. Oggi, infatti, lo schieramento dei partiti non esaurisce e non rappresenta tutta la realtà sociale. Contro l’obiezione mossa dall’onorevole Nobile, e cioè che nella prima Camera sono già rappresentate tutte le professioni, talché non vi sarebbe bisogno di una loro rappresentanza autonoma, osserva che, se tale obiezione fosse giusta, bisognerebbe anche ammettere che nella Camera sono rappresentate le regioni per il solo fatto che i deputati provengono dalle diverse parti d’Italia. Evidentemente il ragionamento che occorre fare è un altro: nella seconda Camera non si vuole una rappresentanza casuale, fortuita, delle varie regioni o professioni, bensì una rappresentanza istituzionale organica, per la quale i rappresentanti delle diverse categorie sociali e regionali abbiano un loro peso e una loro efficienza politica predeterminata.

All’onorevole Ravagnan, che ha osservato che con il sistema della rappresentanza organica si potrebbe avere una deformazione arbitraria dei risultati delle elezioni, obietta che non è detto che ciò necessariamente abbia a verificarsi.

Riconosce l’esattezza del rilievo dell’onorevole Einaudi, che la rappresentanza organica trova la sua origine storica nelle correnti romantiche sorte in opposizione alla Rivoluzione francese, ed ammette che essa ha avuto alle origini una ispirazione politica conservatrice e che anche di tendenza conservatrice sono state le realizzazioni storiche avutesi nell’epoca moderna specialmente in alcuni Stati, come l’Austria e la Russia, i quali meno degli altri subirono l’influsso della Rivoluzione francese, e adottarono appunto tale sistema di rappresentanza. Comunque afferma che, se per la formazione della seconda Camera si riterrà opportuna la rappresentanza delle categorie, bisognerà impedire che si verifichino situazioni che possano legittimare l’impressione del ricorso ad un espediente di carattere conservatore.

All’obiezione che la predeterminazione del peso da attribuire alle varie categorie professionali da rappresentare nella seconda Camera introdurrebbe un elemento di arbitrio, oppone che un certo grado di artificio e di arbitrarietà si riscontra in tutte le riforme e specialmente in quelle relative ai vari sistemi di rappresentanza. Così quando si spostano i limiti di età per il voto, o si stabilisce di utilizzare in uno piuttosto che in altro modo i resti delle votazioni, si hanno sempre decisioni politiche che in certo senso possono dirsi arbitrarie e che in ogni modo mirano a realizzare determinati scopi politici. Ma in realtà, arbitraria si può dire una riforma sociale solo quando essa sia profondamente contrastante con la coscienza sociale di una data epoca storica.

Richiama l’attenzione sul compito della Costituente, che è quello di determinare una rappresentanza organica che sia un riflesso quanto più è possibile fedele dell’odierna realtà sociale. Bisogna quindi assumere a questo scopo adeguati criteri direttivi. Non ritiene certo consigliabile il criterio del censo che, se fu assunto come base della rappresentanza nell’800, contrasterebbe con le attuali esigenze sociali così profondamente diverse. Né d’altra parte può essere accettato il criterio, seguito in Russia subito dopo la Rivoluzione, di concedere il diritto all’elettorato soltanto alla categoria dei lavoratori manuali, perché sarebbe troppo unilaterale e non rifletterebbe tutta la nostra realtà sociale. Si deve ammettere invece la rappresentanza del lavoro, perché la nostra è civiltà del lavoro e intende affermare il lavoro come fondamentale valore sociale. Si dovrà risolvere il problema delle necessarie differenziazioni nella categoria dei lavoratori; stabilire, cioè, se dare un peso politico maggiore al lavoro qualificato e di direzione, che implica una maggiore responsabilità sociale, rispetto a quello manuale e non qualificato. A chi ritiene che una simile differenziazione sarebbe ingiusta, perché nessun criterio soccorre nella determinazione di questa diversa responsabilità politica, si può obiettare che in tutti gli Stati in cui si è adottato il criterio della rappresentanza del lavoro, è stata sempre operata una graduazione, corrispondente alla valutazione propria delle classi politiche dominanti. Così, per esempio, nell’ordinamento sovietico del 1918 le categorie operaie sono state nettamente differenziate da quelle dei contadini. Gli operai potevano infatti eleggere un deputato ogni 25 mila elettori, mentre i contadini uno ogni 125 mila abitanti; onde i contadini avevano un’influenza politica due volte e mezzo inferiore a quella degli operai.

Concludendo, osserva che le principali obiezioni, rivolte finora al sistema della rappresentanza per categoria, non sono tali da sconsigliarne l’adozione. La grande utilità della partecipazione delle diverse categorie lavoratrici alla formazione della seconda Camera è invece confermata dalla possibilità di contribuire in tal modo alla auspicata pacificazione sociale, perché con la rappresentanza integrale dei loro interessi le categorie stesse saranno sottratte al monopolio di alcuni partiti che non rappresentano le masse, ma solo determinati gruppi sociali, spesso assai ristretti, e porta ad un riavvicinamento sul piano parlamentare dei rispettivi punti di vista.

Un risultato utile che potrà derivare dal sistema sarà di riavvicinare partiti ed associazioni professionali, attuando uno scambio fra di essi, capace di dare all’azione della prima concretezza ed a quella dei secondi consapevolezza degli interessi politici generali.

EINAUDI desidera fare qualche breve considerazione sul vecchio Senato, di cui è uno dei pochi superstiti nella Costituente. Dall’aprile del 1919 al 1922, partecipando assiduamente ai lavori del Senato, ebbe modo di raccogliere alcune impressioni sull’attività svolta dalla Camera alta, che forse potranno essere utili per la risoluzione del problema in discussione.

Accennò altra volta, e desidera tornarvi sopra, alla questione della nomina regia. A tale proposito egli ebbe sempre l’impressione che nessuno dei senatori immaginasse di dovere la sua nomina al Re. Chi li nominava effettivamente era sempre il Presidente del Consiglio e, poiché il Presidente del Consiglio era una emanazione della Camera dei deputati, e la Camera dei deputati a sua volta una emanazione degli elettori, si poteva anche ammettere che i senatori, in ultima analisi, fossero nominati, per quanto assai indirettamente, dagli elettori, sebbene non da quelli viventi in un dato periodo di tempo, bensì da quelli di un’epoca passata. Domanda se tale criterio non sia da tenersi ancora in considerazione, dal momento che il passato esercita sempre un’influenza sul presente: innegabilmente si è figli del passato e non si può rinunciare alle tradizioni. Pensa perciò che non sarebbe un male, né cosa contraria all’interesse comune se nella nuova seconda Camera qualche senatore rappresentasse le tradizioni del passato.

Ricorda di aver parlato una sola volta col re, in occasione della visita che tutti i nuovi senatori erano soliti fare al sovrano per ringraziarlo della nomina. Recatosi al Quirinale, il sovrano, anche egli piemontese, si mise a parlare con lui in dialetto di avvenimenti legati alla stona del Piemonte. Ebbe l’impressione, in un’ora circa di colloquio, che Vittorio Emanuele III fosse non solo un grande numismatico, ma anche un valente storico (cosa che, del resto, era stata detta anche da Francesco Ruffini) e possedesse un senso non comune di penetrazione psicologica intorno agli uomini ed agli avvenimenti politici. Terminata l’udienza, si accorse di essersi dimenticato di ringraziarlo per la sua nomina a senatore. Ha riferito questo episodio per dimostrare che non si dava allora gran peso alla nomina regia.

A proposito dei senatori nominati per censo, avverte che questi non erano tra quelli che partecipavano più attivamente ai lavori del Senato. Inoltre, se in un primo tempo erano ben pochi i senatori nominati per censo, richiedendosi per essi il pagamento dì 3.000 lire annue per imposizioni dirette, in seguito, per effetto del diminuito valore del denaro, essendo cresciuto il numero di coloro che possedevano il necessario requisito, si finì per concedere la nomina di senatore per tale titolo a molte persone che non avevano in realtà un patrimonio vistoso e spesso erano semplici funzionari di grado elevato.

A suo avviso il Senato era affetto da quello che oggi si chiamerebbe un complesso di inferiorità, perché erano diventati sempre più numerosi i senatori provenienti dalle alte cariche dello Stato. L’abitudine di questi senatori all’obbedienza si ripercuoteva sull’attività del Senato, che non fu mai capace di assumere un atteggiamento fortemente autonomo di fronte alle iniziative del Governo. Nella nuova seconda Camera dovrà evitarsi questo inconveniente. Quel complesso di inferiorità era ribadito dal numero illimitato dei senatori, per cui il Governo poteva sempre variare la composizione del Senato a suo favore, facendo assegnamento sul fatto che i sentori di nuova nomina partecipavano più assiduamente alle sedute che non quelli di vecchia data. Per eliminare questo abuso converrà stabilire per l’avvenire che il numero dei componenti la seconda Camera debba essere fisso e non variabile a beneplacito del Capo dello Stato e, per via indiretta, del Presidente del Consiglio.

La degenerazione del principio che riservava alla Camera dei deputati la priorità nell’esame delle leggi di carattere finanziario, estendendosi via via a tutte le altre leggi, venne ancor più a deprimere l’importanza del Senato che, costretto a deliberare spesso frettolosamente su provvedimenti già approvati della Camera, non poté attendere alla sua funzione peculiare, che era quella della revisione accurata, attraverso la critica tecnica, dei disegni di legge, fatta da uomini che avevano una particolare perizia in ogni campo dell’attività statale. I disegni di legge che eccezionalmente furono presentati prima al Senato furono assoggettati ad un approfondito esame in lunghe ed interessanti discussioni, come avvenne ad esempio per la legge sul blocco degli affitti, su cui egli ebbe incarico di riferire, e che provocò una discussione durata oltre un mese.

Altra causa del complesso di inferiorità del Senato derivava dalla sua costituzione di esclusiva nomina regia. Se, a fianco dei senatori di nomina regia, vi fosse stato un certo numero di senatori eletti direttamente dal popolo, costoro, essendo a più diretto contatto con le forze politiche del Paese, avrebbero immesso nell’istituto una maggiore vitalità ed alacrità, suscitando l’emulazione dei senatori di nomina regia.

Circa la composizione della nuova seconda Camera, dissentendo dall’onorevole Mortati, dichiara di ritenere opportuno che, astrazion fatta dal modo di sceglierli, il numero dei rappresentanti professionali sia inferiore di quello dei rappresentanti regionali. Obietta inoltre all’onorevole Mortati che l’attuazione di una rappresentanza professionale prestabilita, da lui propugnata, significherebbe cristallizzare la situazione attuale, rendendo difficile, se non impossibile, in seguito un cambiamento, e consolidando quindi una specie di monopolio a beneficio delle classi che presentemente sono al potere. Il che non crede sia opportuno. Bisogna pensare non soltanto a coloro che vivono nel momento presente, ma anche a coloro che ancora debbono nascere. Ogni monopolio, di qualunque genere sia, è sempre avverso a tutti coloro che hanno idee nuove. È del parere, quindi, che una rappresentanza professionale, quale spontaneamente si ha e certo si avrà ancora nella prima Camera, sia sempre migliore di quella che si potrebbe avere in una seconda Camera a classi prestabilite. Il nuovo Senato, a suo avviso, dovrebbe essere composto prevalentemente di rappresentanti regionali. Il restante minor numero di posti dovrebbe essere, purché l’elezione non avvenga da parte di categorie prestabilite, riservato ai rappresentanti professionali od anche ad altre persone. A questo proposito rileva che nella relazione dell’onorevole Conti si parla di membri dei Consigli accademici, di professori di Università, di rappresentanti delle organizzazioni professionali, nonché di componenti la seconda Camera nominati dal Presidente della Repubblica. Questo criterio di composizione del Senato, riferito ad una minoranza dei suoi membri, 100 su 300, potrebbe essere accettabile e dare buoni frutti. In questa minoranza sarebbe bene dare la preponderanza ai membri delle Accademie, ai professori di Università e ai rappresentanti degli organi professionali che sarebbero l’eco dei cosiddetti interessi morali.

Ritiene pure che sia da riservare in certo numero di posti a sanatori nominati a vita dal Capo dello Stato. Tali Senatori dovrebbero essere scelti in categorie prestabilite e il loro numero dovrebbe essere fisso, per evitare il pericolo delle «infornate». La nomina a vita presenta anch’essa i suoi vantaggi, perché colui che viene così nominato, in quanto si sente al coperto del pericolo di non essere più gradito, finisce quasi sempre con l’assumere un notevole grado di indipendenza morale. Nel vecchio Senato vigeva la regola che i neonominati dovessero dare il loro voto favorevole al Ministero in carica, ossia al Presidente del Consiglio dal cui favore era dipesa la loro nomina a Senatore. Ma quest’obbligo morale durava assai poco, perché era limitato alla durata in carica del Presidente del Consiglio che aveva proposto al re, ossia di fatto nominato i nuovi senatori. Il numero dei futuri senatori nominati a vita dal Presidente della Repubblica dovrebbe essere fissato tra i 10 e i 50; in ogni modo essi dovrebbero essere persone di indiscusso, altissimo valore, risultante da titoli accertabili. Del resto, anche in passato assai pochi furono i senatori nominati per la categoria ventesima, cioè per avere illustrato la Patria con servizi o meriti eminenti.

ZUCCARINI osserva che quella della rappresentanza degli interessi è una vecchia questione, che fu ampiamente dibattuta in Italia dopo l’altra grande guerra. Il problema sorse perché le rappresentanze politiche, dato l’enorme sviluppo delle attribuzioni che lo Stato era venuto assumendo, si dimostravano per la maggior parte impreparate e incompetenti a risolvere particolari problemi economici e finanziari. Il problema della ripartizione dei compiti tra Senato e Camera avrebbe dovuto essere risolto sin da quel tempo; oggi esso è nuovamente all’ordine del giorno, soprattutto in vista del fatto che lo Stato, con la nuova Costituzione, molto probabilmente verrà ad avere funzioni limitate allo svolgimento di compiti di carattere politico e generale, mentre le funzioni di carattere particolare saranno affidate ai nuovi enti regionali. C’è da domandarsi quindi quali funzioni dovranno essere demandate alla nuova seconda Camera: in altri termini, occorrerà decidere se essa dovrà essere l’organo degli interessi economici da contrapporsi alla prima Camera, intesa come organo degli interessi politici, o se dovrà invece essere un istituto degli interessi politici, limitatore dell’invadenza del potere esecutivo e di quello legislativo della Camera dei deputati.

Dichiara senz’altro di essere favorevole alla seconda ipotesi. Nel Senato dovrebbe trovare posto la rappresentanza delle regioni. I rappresentanti della seconda Camera, secondo il suo parere, dovrebbero essere eletti non con elezioni di primo, bensì di secondo grado, attraverso i Comuni o le stesse Assemblee regionali. Le regioni così assolverebbero una funzione prevalentemente amministrativa, sottraendo al centro la risoluzione di un gran numero di problemi aventi un carattere più che politico, economico, e l’amministrazione dello Stato ne verrebbe alleggerita. Nella seconda Camera, pertanto, quasi automaticamente verrebbe a trovare il suo posto la rappresentanza dei cosiddetti interessi «particolari».

Sulla ripartizione degli interessi politici ed economici crede di avere una visione assai più semplice di quella comune. Nel suo progetto ha previsto l’istituzione, nell’interno delle regioni, di particolari organismi delle varie branche dell’attività economica e sociale. Essi avrebbero una funzione consultiva; e dovrebbero anche svolgere speciali servizi, ciascuno nel proprio campo, autonomamente, presso a poco come avviene oggi, ma in modo imperfetto, per le Camere di Commercio. L’Assemblea regionale avrebbe invece facoltà legislativa e deliberativa.

L’Ente regione potrebbe così inviare, con elezione di secondo grado, ottimi rappresentanti alla seconda Camera, la quale acquisterebbe pertanto un’autorità di gran lunga superiore a quella della vecchia Camera alta, perché non sarebbe più costituita sulla base di una rappresentanza assai discutibile, bensì su quella effettiva di organi già costituiti nello Stato.

È necessario inoltre che, per quanto riguarda i loro poteri, le due Camere si equilibrino fra di loro e, pure avendo origini diverse, stiano perfettamente sullo stesso piano, perché in un ordinamento veramente democratico ogni potere deve non sovrapporsi mai ad un altro.

Può accedere all’idea, pure discutibile, esposta dall’onorevole Einaudi che accanto ad una rappresentanza regionale possa esservi, per una parte limitata, anche una rappresentanza di interessi morali. In ogni modo, tiene ad affermare che non crede possibile che il Senato diventi un organo di rappresentanze di interessi, perché è difficile determinare l’importanza diversa che dovrebbe essere attribuita a ciascuno di essi. La rappresentanza degli interessi si ha già nella prima Camera: non si esplica in un modo perfetto, perché a deliberare su determinate questioni è chiamata una maggioranza che non è a conoscenza delle questioni e che quindi non è in grado di giudicarne obiettivamente; ma voler riparare a questo inconveniente con un’Assemblea in cui fossero rappresentate in modo organico tutte le categorie degli interessi, vorrebbe dire peggiorare la situazione, perché il numero di coloro che sarebbero competenti in un ramo di attività e incompetenti per tutto il resto aumenterebbe.

A suo parere, il problema deve esser risolto separando le due funzioni: limitando, cioè, i compiti dell’amministrazione dello Stato e demandando la risoluzione dei problemi di carattere particolare alle regioni. In ogni modo, si dovrà tener presente che con tutta probabilità in futuro si avranno formazioni politiche assai più complesse di quelle odierne, perché i partiti come oggi sono costituiti non avranno più forse quella importanza che godono oggi e prevarranno i sindacati, limitando il campo di azione delle organizzazioni di partito. Gli interessi particolari organizzati nei sindacati sono destinati fatalmente a conquistare posizioni di monopolio, a tentare cioè la conquista di condizioni particolarmente favorevoli di privilegio. Allora si potrebbe avere una seconda Camera che cercasse in ogni modo di far prevalere gli interessi particolari su quelli nazionali rappresentati nella prima, sovrapponendosi a questa. Perciò occorre che siano bene delineati i poteri della seconda Camera: essa potrà essere anche un organo ristretto purché sia di qualità, se così si vuol dire, superiore. Dovrebbero pertanto essere fissati alcuni requisiti necessari per poter fare parte del Senato; per esempio: avere già esercitato funzioni amministrative o politiche, aver ricoperto la carica di consigliere comunale, deputato regionale o magari di deputato alla Camera. Ciò servirebbe ad eliminare elementi più scadenti. In tal modo, la seconda Camera acquisterebbe quel prestigio e quella autorità senza di cui non potrebbe svolgere i compiti che le saranno affidati. Termina associandosi alle considerazioni fatte dall’onorevole Einaudi nella seconda parte del suo discorso.

AMBROSINI osserva che la discussione è stata riportata sul campo dei supremi principî. Ha già in una precedente riunione esposto chiaramente il suo pensiero. Si limiterà quindi a fare qualche osservazione in merito al problema in esame.

Gli sembra innanzitutto che possa sorgere un grave equivoco dalla contrapposizione, che da alcuni viene fatta, tra rappresentanza politica e rappresentanze degli interessi. A tal proposito sarà bene precisare che, quando si parla di rappresentanza degli interessi, non è soltanto implicito il concetto di rappresentanza degli interessi morali e materiali, ma anche quello di rappresentanza politica; perché non è vero che vi sia una contrapposizione tra le due espressioni. In sostanza, la rappresentanza degli interessi è una rappresentanza generale e politica, pur essendo diversa, quanto all’origine e al modo di attuazione, da quella sorta con la Rivoluzione francese e comunemente detta rappresentanza nazionale.

Difatti, nella rappresentanza nazionale i problemi sono considerati dal punto di vista ideologico, politico e prospettati in sintesi; nella rappresentanza degli interessi invece ogni questione viene esaminata inizialmente da un punto di vista più preciso, particolaristico, analitico, per poi naturalmente passare alla sintesi.

Se pertanto si arrivasse a considerare la rappresentanza degli interessi secondo il punto di vista sopra accennato, vale a dire come rappresentanza di funzioni sociali, di attività lavorative e quindi di interessi esprimenti effettivamente le forze vive della società, forse ogni equivoco verrebbe subitamente a cessare.

Né è a pensare, come osservava l’onorevole Zuccarini, che un tal genere di rappresentanza possa essere contrapposto a quello della prima Camera, visto che non si tratta di contrapposizione, bensì di integrazione di rappresentanza. E non è neppur da temere che, con una predeterminazione delle categorie, si immobilizzerebbe e si cristallizzerebbe, come è stato detto, la realtà sociale, perché nulla vieta che tale predeterminazione e la conseguente ripartizione dei seggi fra le varie categorie possano essere mutate in seguito. Nessuno può pensare che la decisione che oggi si prendesse in proposito dovrebbe vincolare in avvenire il legislatore, specie per quanto si riferisce alle modalità di applicazione del principio.

Il sistema della rappresentanza delle categorie della produzione, della cultura e delle attività lavorative in genere non contrasta col principio della rappresentanza popolare della prima Camera, ma lo integra. Per altro va rilevato che non tutti i seggi della seconda Camera andrebbero assegnati ai rappresentanti delle categorie di cui si discute, ma solo una parte; cosicché non è a temere che tali rappresentanti potrebbero trovarsi in condizione d’imporre la loro volontà. Né si dimentichi che una piccola aliquota di membri della seconda Camera dovrebbe essere nominata dal Capo dello Stato, oltre che per le ragioni già esposte da lui e dall’onorevole Einaudi, anche per non correre il rischio di non avere come rappresentanti né al Senato né alla Camera alcuni uomini di eminente ingegno ma alieni dalle lotte politiche.

È appunto questa forma di composizione mista della seconda Camera che impedirebbe il sorgere degli inconvenienti accennati dallo onorevole Zuccarini.

(La riunione, sospesa alle 10.20, è ripresa alle 10.50).

LUSSU ricorda che nella discussione svoltasi quando si trattò di decidere se adottare o no il sistema bicamerale, egli dichiarò che considerava la seconda Camera come un’Assemblea che rappresentasse esclusivamente le regioni e ciò in relazione alla riforma dell’ordinamento dello Stato, basata sulla creazione degli enti regionali.

Personalmente dichiara di ritenere l’autonomia regionale una necessità imprescindibile per il Paese. Soltanto con un ordinamento autonomo regionale sarà possibile abbattere il prepotere della burocrazia centralizzata e richiamare le energie della periferia ad una maggiore partecipazione alla vita dello Stato. L’Ente regionale costituirà uno dei mezzi più idonei per dare al Mezzogiorno, che finora è rimasto quasi assente dalla vita italiana, un maggior senso di responsabilità e di iniziativa.

Non si nasconde però il pericolo che l’Ente regione possa, non già disgregare (il che gli sembra impossibile, malgrado qualche esempio in contrario) ma sminuire quella unità nazionale che è l’essenza della nostra rinascita. Ritiene quindi che la seconda Camera, concepita come espressione dell’Ente regione, sia veramente necessaria come integrazione dell’autonomia regionale, come superamento del particolare per giungere al generale, allo unitario.

Quindi il problema della composizione della seconda Camera è quello dell’istituzione dell’Ente regione sono strettamente legati fra loro.

Raccogliendo e sviluppando il concetto dell’onorevole Ambrosini, conferma che la prima Camera è la rappresentanza politica di tutti gli interessi e soggiunge che se a queste forze vive, rappresentanti tutti gli interessi, saranno aggiunte altre forze vive, rappresentanti gli interessi della regione, si avranno due Assemblee perfettamente esprimenti il superiore interesse nazionale.

Ciò che lo preoccupa è però il proposito nutrito da alcuni di costituire una seconda Camera da contrapporsi come freno al potere sovrano della prima. Qualcuno va forse col pensiero al Senato francese e, senza averne forse coscienza, è animato da propositi conservatori. Ricorda che il Senato in Francia è sorto in seguito ad un compromesso tra repubblicani e monarchici, per contrapporre alla prima Camera, che poteva avere un’influenza prevalentemente repubblicana e indirizzi troppo democratici, una seconda in cui gli interessi conservatori fossero in un certo senso garantiti.

La tendenza a fare del Senato un organo conservatore potrebbe anche accentuarsi, se fosse accolto il principio della rappresentanza organica istituzionale, accennata dall’onorevole Mortati. Ora, in nessuno dei moderni Stati democratici esiste una seconda Camera basata sulla rappresentanza istituzionale delle categorie; non in America, non in Inghilterra, non in Francia e nemmeno in Russia, per quanto la Russia sia uno stato fortemente autoritario, ove i problemi sociali sono infinitamente più accentuati che in qualsiasi altra democrazia. La Russia è il paese in cui più che in ogni altro avrebbe potuto affermarsi la concezione di un’Assemblea intesa come espressione degli interessi delle grandi categorie (metallurgici, meccanici, agrari, ecc.), e invece anche in Russia questo sistema è stato scartato. Qualche cosa di analogo si è avuto soltanto in paesi fascisti (Spagna e Portogallo) e nelle più arretrate democrazie balcaniche. Ciò vuol dire che nella rappresentanza per categorie c’è qualche cosa di non buono, che giustifica il timore che in un organo così costituito possano essere favorite e rafforzate le correnti conservatrici.

Ricorda che l’Olivetti ha scritto un libro interessante sulle autonomie regionali, in cui si auspica un’organizzazione interna delle autonomie, secondo una concezione che potrebbe costituire un ponte di passaggio tra il suo punto di vista personale e quello dell’onorevole Mortati relativamente alla Costituzione del Senato. Ma ciò che gli preme di affermare è che occorre assolutamente evitare una formazione del Senato fondata su criteri arbitrari.

Riconosce il rispetto che la civiltà deve all’alta cultura: ma come uomo politico non può ammettere che il Rettore di un’Università solo per questo titolo debba avere il diritto di sedere nella seconda Camera. Parimenti non concepisce il diritto di un sindacato ad avere la sua rappresentanza nella seconda Camera: esso avrà i suoi rappresentanti nella Camera dei deputati e saranno uomini politici, anche perché non si può immaginare che i rappresentanti di un sindacato alla seconda Camera si possano spogliare della loro veste politica per rivestire soltanto quella di rappresentanti tecnici. Non si può, insomma, non sentire un profondo disagio di fronte all’idea di adottare per la seconda Camera una rappresentanza per categorie, sistema complesso, pesante e, ciò che è più grave, arbitrario, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Mortati. Costituisce appunto un caso di arbitrarietà la norma della vecchia Costituzione russa, ormai superata, per cui gli operai avevano un rappresentante per ogni venticinquemila elettori, mentre i contadini ne avevano uno ogni centoventicinquemila. Il popolo russo, che per settecento anni aveva avuto soltanto dittatori, rovesciato un regime odioso, spezzate le vecchie forme dell’organizzazione politica e sociale, per salvare il paese dall’anarchia e dal caos e attuare il suo programma (che d’altronde è quello che ha portato la Russia alla vittoria), era costretto a valersi di alcuni sistemi arbitrari; ma questi non possono trovare applicazione in un Paese come il nostro, in cui sono stati sempre vivi il culto della libertà e un profondo senso democratico.

LACONI osserva che la discussione odierna risente del fatto che non è stata decisa inizialmente la funzione delle due Camere ed in special modo quella del Senato. Se la seconda Camera non deve esercitare una funzione di freno, di correttivo, non può rimanerle che una funzione integrativa delle funzioni esercitate dalla prima. Ciò implica che la seconda Camera non potrà trovarsi nello stesso piano della prima, ed infatti in tutte le Costituzioni democratiche essa ha sempre poteri più o meno subordinati a quelli attribuiti all’altra. Ciò non significa che si voglia fare del Senato un organo inutile e soltanto decorativo: esso dovrà avere le sue precise funzioni anche se in un certo senso limitate (l’esame dei bilanci dovrebbe essere affidato alla prima Camera, come storicamente è sempre stato ed è in tutti i Paesi democratici e nella stessa Inghilterra), dovrà intervenire in materia di legislazione ordinaria con cautele previste dalle principali Costituzioni democratiche moderne, e deliberare anche sull’operato del Governo entro quei limiti che potranno essere in seguito determinati.

Affinché la seconda Camera possa esercitare funzioni così importanti, anche se in un certo senso limitate rispetto a quelle della prima, si rende quanto mai necessario che essa sia costituita su base soltanto elettiva. Dissentendo da quanto ha osservato al riguardo l’onorevole Einaudi, afferma che non si può avere una buona Assemblea, se essa non è composta in modo omogeneo, cioè con rappresentanti tutti eletti e specificatamente qualificati a farne parte. Non si può quindi ammettere che nella seconda Camera siano per una metà od un terzo rappresentati gli interessi economici e per la restante parte quelli regionali, e per di più che possa esservi un certo numero di membri nominati dal Capo dello Stato.

La domanda che si pone è se si vuole avere nella seconda Camera una rappresentanza degli interessi economici e morali, che hanno indubbiamente una parte rilevante nella vita della nazione, oppure si vuol dare una rappresentanza agli interessi particolari, territorialmente raffigurati. La prima soluzione gli sembra inutile, in quanto esiste una prima Camera: difatti nella vita di un Paese democratico non si può tener conto degli interessi economici e morali se non da un punto di vista squisitamente politico. Sono appunto i partiti rappresentati nella prima Camera ad esprimere le esigenze della Nazione sul piano politico. Quanto agli interessi non ancora delineati e che ancora si trovano, per così dire, allo stato bruto e iniziale, è da escludere per essi ogni diritto ad essere rappresentati.

Non ritiene sia ora il caso di parlare nella soluzione prospettata dall’onorevole Mortati di una rappresentanza cioè delle categorie nell’ambito delle regioni. Pensa che sia opportuno rinviare l’esame della questione a quando si discuterà sull’ordinamento da darsi alle regioni stesse: si vedrà allora in base a quali criteri dovranno essere costituite le Assemblee regionali. Nella seduta odierna invece sarà bene deliberare soltanto sui seguenti due punti: se la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza diretta ed immediata degli interessi economici o di tutti gli interessi delle regioni. Alla prima soluzione ostano difficoltà insormontabili di ordine pratico, poiché sarebbe in verità assai arduo determinare una rappresentanza proporzionale degli interessi, data la schiacciante prevalenza, ad esempio, delle categorie agricole contadine su quelle industriali o padronali. D’altra parte sarebbe anche assai arduo e nello stesso tempo assurdo, ricorrere a soluzioni estreme nel senso opposto. Ad ogni modo, adottare la rappresentanza proporzionale o paritetica delle diverse categorie, equivarrebbe ad adottare il sistema del voto plurimo, che non può essere preso in considerazione perché assolutamente antidemocratico. Crede inutile riferirsi all’esempio della Russia, perché la situazione politica dell’Unione Sovietica, nell’attuale periodo storico, non può compararsi in alcun modo con la nostra.

Gli sembra esatta l’affermazione dell’onorevole Lussu che la creazione della seconda Camera su base regionale eviterà il pericolo insito in ogni Costituzione regionalistica dello Stato. Questo pericolo esiste e sarà tanto più grave quanto più ampi saranno i poteri deliberativi attribuiti alle Assemblee regionali. Quando manca la possibilità di accedere ad un’Assemblea più vasta o soltanto di farsi sentire in qualche modo e sentire anche la voce degli altri, è istintivo il chiudersi in una visione particolaristica o, peggio ancora, separatistica dei propri interessi e delle proprie esigenze. È quanto appunto ha veduto accadere nella Consulta regionale sarda. Ritiene quindi che la costituzione di una seconda Camera su base regionale possa essere una garanzia dell’unità dello Stato italiano.

Conclude dichiarandosi favorevole ad una seconda Camera che rappresenti in maniera uniforme gli interessi della regione, con esclusione di membri designati da parte del Capo dello Stato, e che sia quindi emanazione diretta del popolo, non già degli interessi economici già sufficientemente rappresentati nella Camera dei deputati.

LEONE GIOVANNI è d’accordo con l’onorevole Laconi sulla pregiudiziale che sarebbe stato più opportuno stabilire prima l’ambito dei poteri della seconda Camera e poi decidere sulla sua composizione. Dissente invece da lui sulla sostanza, in quanto ritiene che la seconda Camera debba avere poteri eguali alla prima. Osserva per altro che quando l’onorevole Laconi sosteneva che la seconda Camera doveva essere integrativa della prima e aggiungeva che essa doveva rappresentare gli stessi interessi economici e morali rappresentati nella Camera dei deputati, poneva, senza avvedersene, le premesse della parità tra l’una e l’altra Assemblea.

A suo avviso, è di fondamentale importanza il principio della parità tra Senato e Camera, ed occorrerà su questo prendere una chiara decisione nel senso appunto che la seconda Camera nella funzione legislativa, nel controllo sull’azione governativa e nelle elezioni del Capo dello Stato deve avere situazione eguale a quella della prima.

CONTI, Relatore, osserva che la prima Camera è composta quasi esclusivamente da rappresentanti di partiti. In essa v’è un conflitto permanente di ideologie, di interessi, di punti di vista, i più diversi fra loro. Si può dire anzi che nella prima Camera i partiti rappresentano non solo le ideologie, ma anche le opinioni e i principî popolari che animano la loro azione. In ogni modo, se si affermasse che nella prima Camera sia rappresentato tutto il popolo nella sua effettiva realtà, si direbbe cosa forse azzardata o per lo meno non esatta.

Mette in rilievo il fatto che l’opera del legislatore oggi è diventata assai difficile proprio per questo scontro di ideologie fra i diversi partiti nell’Assemblea legislativa.

Ha sentito dire che la seconda Camera dovrebbe avere una funzione integrativa della prima. Non sa se con tale espressione si voglia intendere che la seconda Camera dovrebbe avere il compito di migliorare l’opera svolta dalla prima: a suo avviso questa e non altra dovrebbe essere la funzione della seconda Camera.

Essa dovrebbe essere costituita quasi esclusivamente su base regionale; il che non toglie che altre forze vi potrebbero accedere, secondo quanto egli stesso ha proposto nel suo progetto. E, poiché ogni legge è sempre il frutto di un concorso di interessi e di opinioni, quanto maggiore sarà il numero di coloro che contribuiranno alla formazione delle leggi, tanto migliori queste potranno essere.

Dichiara che se fossero messe in votazione la proposta dell’onorevole Mortati per una rappresentanza d’interessi materiali e morali e quella dell’onorevole Lussu per una rappresentanza esclusivamente ragionale, voterebbe per la seconda, perché la prima non lo persuade, in quanto la cosiddetta rappresentanza organica o degli interessi, a suo avviso, non rappresenta nulla; è un’illusione, una finzione.

Qualcuno ha messo in dubbio l’opportunità che nella seconda Camera la rappresentanza su base regionale sia completata dall’intervento di uomini di indiscussa autorità e cultura. Osserva che è facile fare dell’ironia al riguardo, ma la verità è che è sempre assai utile in un’Assemblea parlamentare la presenza di uomini particolarmente preparati alla trattazione di determinati problemi spesso di grandissima importanza. I professori di Università portano di solito nelle Assemblee un alto contributo di pensiero e di esperienza, ciò che è dimostrato dal particolare interesse con cui sono ascoltati anche in queste riunioni della Sottocommissione. Il contributo degli uomini di cultura alla risoluzione di vari problemi non deve essere trascurato nei consessi che si propongono di fare buone leggi, e non di trasformarsi in comizi, come talvolta è purtroppo accaduto per le sedute plenarie della Costituente. Del pari è desiderabile che in questi consessi non manchino i rappresentanti di altre categorie, ad esempio quelli della classe lavoratrice e dei sindacati, i quali potranno evitare decisioni avventate o errate su problemi particolari attinenti al lavoro, sui quali essi hanno una specifica competenza. Nell’opera legislativa tutti possono e debbono concorrere a seconda della propria capacità, esperienza e cultura. Queste le ragioni per cui ritiene che, nella composizione della seconda Camera, alla rappresentanza regionale debba essere associata anche quella di date categorie, non però cooperativizzate, come vorrebbe l’onorevole Mortati, perché ciò implicherebbe il ritorno al sistema dei cittadini incasellati nelle organizzazioni secondo i principî del corporativismo.

Quanto alla parità delle funzioni della Camera e del Senato essa, a suo avviso, deve essere senz’altro riconosciuta, perché la seconda Camera, se non avesse la possibilità di affermare le proprie decisioni nei confronti della prima, non avrebbe ragione di essere. Insiste quindi sull’opportunità di costituire la seconda Camera, come nel suo progetto, con una rappresentanza regionale, integrata da una rappresentanza di altre forze sociali e del mondo della cultura.

Su un punto solo pensa possa esservi qualche dubbio: se sia opportuno riservare al Presidente della Repubblica la nomina di qualche senatore, a vita o a tempo. Egli lo ritiene utile, per un limitato numero di posti da riservarsi a uomini di chiara fama, che in genere si mantengono estranei alle competizioni politiche, ma che potrebbero apportare all’opera legislativa il contributo della loro cultura ed esperienza. Ricorda al riguardo Augusto Murri che non fu mai nominato senatore e che pure avrebbe onorato della sua presenza il Senato, come uno dei più alti rappresentanti della scienza e del pensiero.

VANONI, poiché da alcuni oratori, discutendosi il problema delle funzioni della seconda Camera, si è detto che una qualsiasi composizione della seconda Camera che non fosse fondata su una forma di suffragio diretto, verrebbe a dare ad essa un carattere conservatore, osserva che questo è un equivoco da chiarire, perché, impostando in questo modo il problema, si sorvola sull’attuale situazione politica e sociale italiana. Oggi il Paese sta tirando le somme di una rivoluzione politica e sociale che si è venuta compiendo nell’ultima generazione, e nello stesso tempo sta preparando le basi di un ulteriore progresso sociale. Quando si cercasse di costituire una seconda Camera, che avesse tra l’altro la possibilità di assicurare una certa stabilità all’attività legislativa, non si farebbe un’opera di conservazione o ricostituzione di determinate strutture sociali, che ormai sono da considerarsi superate, ma si farebbe un’opera di conservazione di determinati valori politici, che sono stati conquistati a tanto duro prezzo e che quindi non bisogna perdere. Oggi si è conquistata la Repubblica e si spera di conquistare un ordinamento costituzionale di libertà, e questo che è stato conquistato bisogna conservarlo. Se domani la seconda Camera, tra i suoi diversi compiti, tra i quali quello di perfezionare la nostra legislazione, acquistasse attraverso una sua struttura la possibilità di conservare, contro qualsiasi oscillazione possibile di maggioranze nella prima Camera, questi valori fondamentali, egli sarebbe favorevole a tale struttura e con perfetta tranquillità di coscienza si dichiarerebbe conservatore.

Se si desse alla seconda Camera l’identica composizione della prima, evidentemente non ci sarebbe più una garanzia di difesa contro le possibili oscillazioni della prima. Sostanzialmente per queste ragioni crede che l’onorevole Conti, nella sua passione di uomo che vuol difendere quello che ha contribuito a conquistare la Repubblica e la libertà abbia redatto il suo progetto di costituzione della seconda Camera. E con la stessa passione i suoi amici di parte stanno cercando di chiarificare il problema della costituzione della seconda Camera, per far sì che essa possa difendere quei supremi valori politici e spirituali che si sono conquistati e che non bisogna perdere mai più.

La seduta termina alle 12.30.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Liberti, Vanoni, Zuccarini.

Erano assenti: Calamandrei, Finocchiaro Aprile.