Come nasce la Costituzione

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SABATO 26 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

38.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 26 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Nobile – Mortati, Relatore – Cappi – Bozzi – Perassi – Laconi – Fabbri – Mannironi – La Rocca – Presidente – Patricolo – Zuccarini – Vanoni.

La seduta comincia alle 8.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

NOBILE crede che sarebbe opportuno ritornare sulla decisione presa di fissare un termine fisso di quattro mesi per l’approvazione, da parte di una delle due Camere, dei disegni di legge ad essa trasmessi dall’altra.

La questione, a suo avviso, non riguarda soltanto il caso di un disegno di legge trasmesso da una Camera all’altra, ma anche il tempo che occorre prescrivere per l’approvazione di un disegno di legge presentato dal Governo.

Se si prende in esame, ad esempio, la XXII Legislatura, che va dall’ottobre 1904 al febbraio 1909, si può constatare che nel corso di essa furono approvali 833 disegni di legge, con una media di 16 disegni di legge al mese. Nella legislatura fascista del 1939-40 furono, invece, approvati 1209 disegni di legge, con una media di 60 disegni di legge al mese, cioè due al giorno. Da qui si vede come rapidamente sia andato crescendo il numero dei disegni di legge approvati, la qual cosa si spiega con l’accresciuta attività dello Stato. Se ne ha la conferma anche oggi: infatti nel mese ultimo decorso sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale circa 60 decreti legislativi.

Questi dati stanno a provare che il termine di 4 mesi, stabilito nella riunione precedente per l’approvazione da parte di una delle due Camere dei disegni di legge ad essa trasmessi dall’altra, è eccessiva e non corrisponde alla necessità di abbreviare la procedura legislativa. Perciò, se non si vuole creare un’aperta discordanza tra una norma della Costituzione e la realtà, conviene stabilire un termine di tempo inferiore ai quattro mesi.

MORTATI, Relatore, rileva che il problema sollevato dall’onorevole Nobile si riferisce ai rapporti fra le due Assemblee legislative ed il Governo e non alla possibilità di un conflitto fra i due rami del Parlamento col conseguente eventuale ostruzionismo da parte di una delle due Camere nei confronti dell’altra. Ora, in regime parlamentare, si presume che un’Assemblea legislativa, nella sua maggioranza, costituisca la base stessa della politica governativa, onde il Governo, se vuole affrettare la discussione di un provvedimento, ha sempre i mezzi per raggiungere tale scopo, disponendo appunto della volontà della maggioranza.

Ma la disposizione approvata nella riunione precedente non aveva altro scopo che quello di armonizzare i rapporti fra le due Camere nello svolgimento della attività legislativa. Occorre evitare, infatti, che una delle due Camere possa non procedere alla discussione di un disegno di legge ad essa trasmesso dall’altra. A tale fine la disposizione anzidetta dovrebbe essere completata da un’altra, per la quale un disegno di legge, trasmesso da una delle due Camere all’altra e non discusso entro il termine di 4 mesi, dovrebbe senz’altro considerarsi approvato.

CAPPI osserva che, nel prevedere un diverso atteggiamento della seconda Camera nei confronti dell’altra, si è ancora, forse, involontariamente dominati dalla visione di quello che era il vecchio Senato. Occorre invece tener presente che la seconda Camera avrà una base politica, se non eguale, almeno non del tutto differente da quella della prima; e si può fare affidamento sulla sua sensibilità politica. Non è detto che essa dovrà fare una continua opera di ostruzionismo dell’attività svolta dalla prima Camera.

Ciò considerato, il termine massimo di quattro mesi, stabilito per le decisioni del Senato in merito ai provvedimenti ad esso trasmessi dalla prima Camera, gli sembra perfettamente adeguato alle esigenze di un normale svolgimento dei lavori legislativi. Un termine breve, invece, con la conseguente necessità di doversi pronunziare rapidamente su tutti indistintamente i disegni di legge, potrebbe indurre il Senato a non approvare quelli sui quali non avesse la possibilità di compiere la necessaria approfondita discussione.

BOZZI osserva che un’eventuale inazione di una delle due Camere dovrebbe essere interpretata come una manifestazione di volontà negativa. Se poi si tiene presente che il termine per l’approvazione di un dato disegno di legge è prorogabile a richiesta, il fatto di non aver neppure domandato tale proroga starebbe ad indicare manifestamente una volontà di disapprovazione. E pertanto, poiché per il perfezionamento di una norma giuridica occorre il concorso della volontà di ambedue le Camere, l’ipotesi accennata dall’onorevole Mortati si riferisce al caso di conflitto tra i due rami del Parlamento, materia su cui la Sottocommissione ancora non si è pronunciala.

MORTATI, Relatore, fa presente che, se dovesse essere accolta l’interpretazione data dall’onorevole Bozzi all’inazione di una delle due Camere, sarebbe meglio non includere nella Costituzione alcuna disposizione specifica al riguardo.

Dichiara ad ogni modo che la sua proposta mirava a stabilire una sanzione come conseguenza dell’omissione di un dovere di ufficio.

PERASSI rileva che la questione in esame è assai delicata. L’onorevole Mortati ha parlato di sanzione. Si può osservare anzitutto che ogni sanzione – come è noto – deve essere proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa. Nel caso in discussione, poi, la sanzione non colpirebbe chi è venuto meno al suo dovere di ufficio, ma piuttosto i destinatari delle norme che assumerebbero valore giuridico nonostante che la legge non sia stata approvata da una delle Camere.

MORTATI, Relatore, dichiara di aver parlato di sanzione in senso improprio, nel senso cioè, non di punizione, ma di effetto giuridico.

LACONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, purché essa sia interpretata, non come una sanzione, ma come un modo di premunirsi contro l’eventuale inazione di una delle due Camere nei confronti di un determinato provvedimento legislativo approvato dell’altra.

FABBRI osserva che nel caso in esame non sarebbe opportuno stabilire un’applicazione automatica del vecchio adagio che chi tace acconsente. La inazione di una delle due Camere non può essere che una chiara manifestazione di volontà di natura politica, per cui l’ipotesi rientra in quella di un conflitto tra le due Camere. Quando la Sottocommissione sarà chiamata a pronunciarsi sulla materia dei conflitti fra i due rami del Parlamento, si potrà vedere se una votazione di una delle due Camere con un dato «quorum», e con un’eventuale sanzione del Capo dello Stato, possa sanare il conflitto accennato dall’onorevole Mortati.

MANNIRONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, la quale del resto ha già avuto pratica applicazione in altri Stati.

LA ROCCA osserva che la discussione sul problema in esame ha reso ormai evidenti gli inconvenienti del sistema bicamerale con parità di funzioni fra i due rami del Parlamento. In ogni modo, allo stato dei fatti, ritiene che, di fronte all’inazione di una delle due Camere, si debba porre la Camera dissidente nella condizione di dover esprimere il suo parere, anche se l’origine della sua inazione dipenda da ragioni di carattere politico.

Si potrebbe adottare il sistema previsto in alcune Costituzioni, secondo cui un provvedimento già approvato da una delle due Camere e respinto dall’altra, ripresentato alla Camera che già l’aveva approvato e approvato nuovamente da questa, con una data maggioranza, diventa senz’altro legge.

PRESIDENTE rileva che i casi di ostruzionismo in seno ad una delle due Camere possono manifestarsi col fatto che la Presidenza, ricevuto un progetto, non lo iscriva all’ordine del giorno, o che la approvazione di un progetto iscritto all’ordine del giorno sia rinviata sine die. Nell’uno e nell’altro caso tuttavia si potrà sempre avere un certo numero di deputati interessati all’approvazione del provvedimento, che faranno tutto il possibile per provocarne la discussione.

NOBILE è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati. In ogni modo, nell’ipotesi che una delle due Camere non si pronunci entro un dato termine su un disegno di legge approvato dall’altra Camera, si potrebbe stabilire che tale disegno debba entrare subito in vigore, salvo obbligo di ratifica, per espressa volontà del Capo dello Stato, da parte della Camera rimasta inattiva.

FABBRI osserva che la materia in esame è di natura essenzialmente politica. Il decorso del tempo, quindi, può avere una grande influenza nel mutamento di quelle condizioni che ad un dato momento possono aver indotto una Camera ad approvare un disegno di legge e l’altra a non pronunciarsi su di esso. Se questo non fosse vero, non si avrebbe nella storia parlamentare il precedente di numerosi disegni di legge che, pur essendo stati approvati da uno dei due rami del Parlamento, sono poi decaduti perché l’altro non li ha presi in esame. Il caso accennato dall’onorevole Mortati rientra in quello degli eventuali conflitti fra le due Camere, questione sulla quale la Sottocommissione ancora non si è pronunciata e che dovrà essere esaminata a suo tempo. Indubbiamente per il problema sollevato sarà bene trovare una soluzione, che però non dovrà essere mai quella di un perfezionamento automatico della legge, basato sul criterio che la non manifestazione di volontà possa essere interpretata come approvazione di un provvedimento. Tale soluzione sarebbe apertamente contraria alla prassi parlamentare e anche a quella indispensabile prudenza che i membri della Sottocommissione debbono avere nel fissare nuovi principî nella Costituzione.

LACONI dichiara che, proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Fabbri sulla importanza politica della questione, occorre premunirsi contro un’eventuale inazione di uno dei due rami del Parlamento.

Ora, a suo avviso, si potrà parlare di conflitto fra le due Camere soltanto nel caso in cui la mancata pronuncia da parte di una di esse debba essere interpretata come rigetto di un disegno di legge. In tal caso la questione dovrà essere presa in esame quando la Sottocommissione sarà chiamata a discutere sul modo di dirimere i conflitti fra i due rami del Parlamento. Se invece la mancata pronuncia da parte di una delle due Camere dovesse essere interpretata come un’implicita approvazione di un disegno di legge, cosa che a suo avviso dovrebbe senz’altro essere ammessa, allora ogni questione verrebbe superata.

Per queste ragioni ritiene che la Sottocommissione dovrebbe pronunciarsi nel senso indicato dall’onorevole Mortati.

PERASSI domanda all’onorevole Laconi se ritenga opportuno che un provvedimento approvato dal Senato e sul quale la Camera dei Deputati non si sia pronunciata entro il termine prescritto, diventi senz’altro legge.

LACONI risponde affermativamente.

MORTATI, Relatore, propone di rinviare ogni decisione in merito al problema in discussione a quando la Sottocommissione esaminerà tutta la materia relativa ai rapporti fra le due Camere.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospensiva fatta dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che occorre esaminare il caso relativo al rigetto di un disegno di legge. A tale proposito ci si può domandare entro quanto tempo potrà essere ripresentato un progetto che sia stato respinto. A suo avviso una proposta di legge che non sia stata approvata non potrebbe essere ripresentata prima che sia trascorso un anno dalla data del rigetto. Propone quindi la seguente formula: «Le proposte rigettate da una delle due Camere non possono essere ripresentate prima che sia trascorso un anno dalla data del rigetto».

PRESIDENTE non ritiene opportuno includere nella Costituzione una disposizione come quella indicata dall’onorevole Mortati.

BOZZI condivide la proposta che sia prescritto un termine di un anno per la ripresentazione di un disegno di legge. Propone però di aggiungere ad una disposizione in tal senso le parole seguenti: «salvo che il disegno di legge non sia ripresentato da un numero x di deputati». Il numero potrebbe essere stabilito in seguito.

FABBRI osserva che sarebbe meglio stabilire che un progetto di legge non possa essere ripresentato che nella legislatura successiva.

PATRICOLO propone di includere fra le parole «essere ripresentato» e le altre «prima che sia», le seguenti: «durante la stessa legislatura».

ZUCCARINI fa presente l’opportunità di menzionare non soltanto i disegni ma anche le proposte di legge.

PRESIDENTE avverte che la formula proposta dall’onorevole Mortati, secondo le aggiunte suggerite dagli onorevoli Patricolo e Zuccarini, risulterebbe così concepita: «I progetti e le proposte rigettati da una delle due Camere non possono essere ripresentati durante la stessa legislatura prima che sia trascorso un anno dalla data del rigetto».

Mette in votazione questa formula.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, fa presente che si debbono ora esaminare questioni assai importanti, le quali, pure avendo un aspetto tecnico, possono tuttavia avere notevoli riflessi politici.

Una prima questione riguarda la mole del lavoro parlamentare che è andata sempre più accrescendosi con l’estendersi ed il tecnicizzarsi dei compiti dello Stato. Come si potrebbe attenuare tale inconveniente? Qui si presenta il problema di ammettere, oppure no, la possibilità di una delega legislativa, con determinate garanzie ed entro certi limiti. A tale proposito sorge anche la questione relativa all’istituzione di Commissioni legislative intese, non solo come organi di studio, ma anche come veri e propri organi legiferanti in luogo dell’Assemblea plenaria.

VANONI fa presente che l’Assemblea plenaria per le materie strettamente tecniche non è la sede più adatta per la discussione ed elaborazione di buone leggi. Infatti la discussione in Assemblea plenaria si risolve generalmente in una presa di posizione da parte degli oratori, che assai difficilmente viene modificata da osservazioni contrastanti. Invece nell’ambiente più ristretto di una Commissione non v’è bisogno di prendere posizioni di principio e la discussione si svolge con maggiori possibilità di adattamenti tra le diverse opinioni in contrasto, per cui quasi sempre si riesce ad elaborare provvedimenti più studiati e approfonditi.

Si farebbe, pertanto, un notevole passo avanti nella tecnica legislativa, stabilendo che soltanto i grandi problemi, quelli che abbiano una notevole importanza politica e che richiedano impostazioni di principio, dovrebbero essere discussi in Assemblea plenaria, mentre tutte le altre questioni di carattere tecnico dovrebbero essere affidate all’esame delle Commissioni. Si eviterebbe così il pericolo del parlamentarismo, che consiste nella lentezza dell’opera legislativa e che induce inevitabilmente anche il più democratico dei Governi a premere sulle Assemblee per avere deleghe legislative.

Non crede di poter presentare una proposta precisa in materia alla questione in esame, ma confida che coloro che più di lui hanno pratica parlamentare e sono approfonditi nello studio del diritto costituzionale possano tener conto dell’opportunità di far ricorso all’opera delle Commissioni legislative per un più rapido svolgimento del lavoro parlamentare o per una migliore elaborazione dei testi legislativi.

CAPPI aderisce in via di principio alle osservazioni fatte dall’onorevole Vanoni, ma vorrebbe che la decisione di rinviare l’approvazione dei provvedimenti di legge alle Commissioni legislative fosse presa dall’Assemblea plenaria con una maggioranza qualificata.

NOBILE trova assai opportuna la proposta dell’onorevole Cappi, perché è soltanto l’Assemblea che può decidere quali siano i disegni di legge da riservare al proprio esame e quali si possano invece deferire all’esame delle Commissioni.

PERASSI osserva che la questione relativa all’istituzione ed ai poteri delle Commissioni è assai importante e merita di essere attentamente studiata. Il punto più delicato è quello di stabilire se il voto definitivo sui provvedimenti di legge rinviati all’esame delle Commissioni debba essere dato dalle Commissioni stesse oppure dall’Assemblea plenaria. Ammesso il principio che l’esistenza di una legge dipenda dal voto delle due Camere, può sembrare inopportuno sostituire a tale voto quello delle Commissioni; le due esigenze potrebbero essere conciliate, stabilendo che sui provvedimenti rinviati all’esame delle Commissioni il voto debba essere dato dall’Assemblea plenaria, senza però che questa debba discuterli.

PATRICOLO condivide il punto di vista espresso dall’onorevole Parassi. In ogni modo osserva che, con la creazione delle future Assemblee regionali, una notevole mole di lavoro legislativo sarà sottratta alle due Camere, onde non vi sarebbe motivo di preoccuparsi eccessivamente di un’eventuale discussione in Assemblea plenaria dei disegni di legge esaminati in precedenza dalle Commissioni.

NOBILE osserva che se l’Assemblea plenaria dovrà approvare, sia pure senza discussione, i disegni di legge già esaminati dalle Commissioni, una certa lentezza nel lavoro legislativo si avrà sempre a causa delle dichiarazioni di voto.

PERASSI fa presente all’onorevole Nobile che in Assemblea plenaria si dovrebbe procedere soltanto alla votazione, e pertanto dovrebbe essere stabilito il divieto di fare dichiarazioni di voto.

VANONI ritiene che, con le proposte degli onorevoli Cappi e Perassi, non dovrebbero sorgere preoccupazioni di un eventuale esautoramento del Parlamento, perché questo esaminerebbe due volte i disegni di legge: prima in Assemblea plenaria per decidere se un dato disegno debba essere, oppure no, rinviato all’esame delle Commissioni; poi, sempre in Assemblea plenaria, in occasione della votazione dei disegni di legge esaminati dalle Commissioni stesse. Con ciò sarebbe salvaguardata la libertà di decisione del Parlamento.

Fa poi osservare all’onorevole Patricolo che, molto probabilmente, con la istituzione delle Assemblee regionali non diminuirà la mole del lavoro del Parlamento. Anzi, l’esistenza di nuovi organismi legiferanti farà forse aumentare l’attività del Parlamento nazionale, perché questo indubbiamente sarà costretto a riesaminare o a modificare, nel superiore interesse generale, le norme legislative approvate dalle Assemblee regionali.

MORTATI, Relatore, fa presente che occorre risolvere prima il problema da un punto di vista tecnico. Si potrebbe, infatti, stabilire che certe materie spettano alla competenza dell’Assemblea plenaria, altre invece a quella delle Commissioni; oppure si potrebbe fissare il principio che nulla per competenza spetta alle Commissioni, ma che l’Assemblea plenaria può delegare di volta in volta l’esame di disegni di legge alle Commissioni od in via definitiva, cioè attribuendo ad esse il potere di approvazione, od in via di delegazione parziale, cioè riservando all’Assemblea plenaria stessa la votazione finale.

Il problema però deve essere esaminato anche dal punto di vista politico: si deve, cioè, stabilire se sia utile trasferire il potere ordinario del Parlamento ad altri organi, quali in ultima analisi sarebbero le Commissioni.

Riconosce che occorre preoccuparsi della buona redazione tecnica dei disegni di legge, tanto più che il lavoro parlamentare nei tempi moderni si è andato sempre più specializzando. Ma si domanda se con l’istituzione delle Commissioni non si cada nell’inconveniente di un’eccessiva specializzazione. In sostanza, quando si rimprovera alla burocrazia di legiferare male, ci si riferisce non solo ad eventuali deficienze di capacità e di preparazione della burocrazia stessa, ma anche al fatto di una visione troppo specializzata e quindi troppo ristretta dei vari problemi esaminati; si avverte che manca quel coordinamento che potrebbe essere compiuto da un organo di più complessa e varia competenza, capace di considerare le singole questioni da un punto di vista non solo particolare, ma anche generale. L’istituzione delle Commissioni potrebbe far sorgere l’inconveniente accennato, con gravi conseguenze da un punto di vista politico, perché una valutazione tutta particolare dei vari interessi verrebbe a sostituirsi a quella di carattere generale.

Un altro pericolo infine può aversi. Le Commissioni, in quanto organi più ristretti, possono essere soggette più facilmente a pressioni dall’esterno, alle quali meglio si sottrae un’Assemblea parlamentare, perché composta di un numero assai più grande di membri.

In ogni modo, non sarebbe male che la discussione generale dei provvedimenti da rinviare alle Commissioni avvenisse nella Assemblea plenaria. Le Commissioni dovrebbero semplicemente esaminare i singoli articoli e, compiuto tale esame, i disegni di legge dovrebbero ritornare in Assemblea plenaria per essere messi in votazione.

MANNIRONI è del parere che la proposta dell’onorevole Perassi possa essere approvata, a condizione però che essa sia abbinata a quella formulata dall’onorevole Cappi.

LACONI osserva che, se si adotterà il sistema delle Commissioni, sarà necessario stabilire la pubblicità delle sedute di queste.

NOBILE è favorevole alla proposta che il rinvio dei disegni di legge alle Commissioni debba essere deciso dall’Assemblea plenaria. Non è d’accordo, invece, nell’altra proposta che l’Assemblea plenaria debba approvare i disegni di legge rinviati alle Commissioni, perché ciò richiederebbe troppo tempo. Le Commissioni, a suo avviso, dovrebbero avere il potere anche di votare i disegni di legge sottoposti al loro esame. Per questo trova giusta la proposta fatta dall’onorevole Laconi, di dare pubblicità alle sedute delle Commissioni.

PRESIDENTE si associa personalmente alla proposta dell’onorevole Laconi.

FABBRI è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi, purché i disegni di legge, prima di essere rinviati all’esame delle Commissioni, siano discussi da un punto di vista generale in Assemblea plenaria. È contrario invece alla proposta dell’onorevole Cappi di delegare alle Commissioni l’approvazione definitiva dei provvedimenti a loro rinviati, perché ciò rappresenterebbe un completo esautoramento del Parlamento.

PATRICOLO domanda se non sia il caso, in riferimento alle osservazioni fatte dall’onorevole Mortati sulla mancanza di una visione politica generale da parte di Commissioni troppo specializzate, di aderire alla proposta, formulata dall’onorevole Conti nella sua relazione, di devolvere l’esame preventivo dei disegni di legge presentati alla Camera a una Commissione permanente legislativa all’uopo costituita.

VANONI osserva che la questione in esame è troppo importante per poter esser risolta senz’altro nella riunione odierna, e propone di invitare l’onorevole Perassi a formulare in proposito un’articolazione precisa da discutersi nella prossima riunione della Sottocommissione.

PERASSI osserva che sarebbe meglio affidare il compilo di redigere una proposta precisa per la risoluzione della questione finora discussa allo speciale Comitato che prossimamente dovrà riunirsi per l’esame di altri speciali problemi.

PRESIDENTE ritiene che sia meglio soprassedere ad ogni decisione in merito alla questione finora discussa.

La seduta termina alle 11.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortali, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Targetti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Leone Giovanni, Lussu, Terracini.

Assenti: Calamandrei, Di Giovanni, Einaudi, Fuschini, Grieco, Porzio, Ravagnan, Rossi, Tosato, Uberti.

VENERDÌ 25 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

37.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 25 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati, Relatore – Targetti – Laconi – Fuschini – Fabbri – Ravagnan – Perassi – Calamandrei – Bozzi – Vanoni – Nobile – Zuccarini – Patricolo – CAPPI – BULLONI – La Rocca – Piccioni.

La seduta comincia alle 17.20.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE fa presente ai colleghi l’opportunità di nominare un Comitato con il compito di provvedere alla formulazione in articoli dei principî che la Sottocommissione ha approvato nelle ultime riunioni. Propone che a far parte di questo Comitato siano chiamati gli onorevoli Bozzi, Conti, Grieco, Mortati e Perassi.

(Così rimane stabilito).

MORTATI, Relatore, prospetta alla Sottocommissione l’opportunità di inserire nella Costituzione una norma analoga a quella stabilita nell’articolo 55 dello Statuto Albertino, per cui «ogni proposta di legge deve essere dapprima esaminata dalle giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatori». Ritiene che tale concetto potrebbe esprimersi in una formula come la seguente: «Ogni proposta di legge sarà preventivamente esaminata dalle Commissioni permanenti di ciascuna Camera, secondo le norme da essa dettate».

Osserva che con tale disposizione, che ha lo scopo di vincolare le Camere, limitando il loro potere regolamentare, si sancisce l’esame preliminare delle proposte di legge da parte di Commissioni permanenti, il cui sistema ha dato risultati migliori di ogni altro, anche di quello degli Uffici sorteggiati, permettendo uno studio più approfondito delle varie proposte di legge.

Aggiunge di non aver nulla in contrario a completare l’espressione «Commissioni permanenti» con la parola «elettive», come taluno desidererebbe, al fine di assicurare a ciascuna Commissione una rappresentanza di tutte le forze politiche, comprese quelle della minoranza.

TARGETTI ritiene che il concetto ispiratore della norma proposta dall’onorevole Mortati debba incontrare il consenso di tutti, perché tende a far funzionare più utilmente ed efficacemente il Parlamento; ma crede che non sia il caso di includerla nella Costituzione, rientrando, a suo avviso, in quella materia prettamente regolamentare che dovrebbe essere lasciata alla decisione di ciascuna Camera.

MORTATI, Relatore, osserva che non esistono norme che debbano considerarsi a priori materia regolamentare; ed aggiunge che dipende dall’apprezzamento della Sottocommissione includerle o meno nella Costituzione.

LACONI domanda come sia possibile fare riferimento a Commissioni, quando non si è precedentemente precisato in che cosa esse consistano.

MORTATI, Relatore, fa notare che quando si parla di «Commissioni permanenti» si fa riferimento ad un concetto acquisito nel diritto costituzionale.

FUSCHINI ritiene che la materia dei sistemi per l’approvazione delle leggi abbia avuto una tale elaborazione storica da escludere che si possa far luogo a nuove soluzioni. Riconosce che il sistema delle Commissioni permanenti è stato quello che ha dato i migliori risultati, ma osserva che in tanto si è giunti a questa conclusione, in quanto lo Statuto Albertino, limitandosi a parlare di «giunte», consentiva una notevole libertà, la quale ha permesso di fare molti esperimenti in materia. Ritiene quindi che non convenga ora elaborare una norma troppo restrittiva, onde sia .possibile alle Camere, nella loro discrezionalità sovrana, di darsi il regolamento che riterranno migliori. A suo parere, la formula proposta dall’onorevole Mortati è troppo limitativa, escludendo tra l’altro il sistema delle Commissioni speciali, che pure è sempre esistito nelle consuetudini parlamentari ed ha dato buoni risultati.

FABBRI non comprende perché non si dovrebbe includere nella Costituzione la disposizione contenuta nello Statuto Albertino, che non ha dato luogo ad inconvenienti ed ha anzi determinato una prassi soddisfacente.

RAVAGNAN riconosce la giustezza del ragionamento dell’onorevole Fabbri, ma dichiara di non vedere l’opportunità di includere nella Costituzione una formula vaga e generica.

MORTATI, Relatore, osserva che, piuttosto che usare una formula imprecisa, la quale non specifica il sistema prescelto per l’esame preliminare delle leggi – come fa lo Statuto Albertino che, tra l’altro, ha tradotto in «giunte» la parola francese bureaux per comprendere in essa tutte le Commissioni, gli Uffici, le Commissioni speciali ecc. – sarebbe conveniente adottare una norma di puro e semplice rinvio ai regolamenti delle rispettive Assemblee, come quella da lui già proposta.

PERASSI è d’accordo con l’onorevole Mortati sull’opportunità di affermare il concetto di un esame preliminare delle proposte di legge attraverso Commissioni, senza però specificarne alcun carattere, sia di elettività che di durata, per non escludere l’eventualità della nomina di Commissioni speciali. Osserva che in tal modo si lascerebbe libertà di iniziativa alle assemblee legislative.

MORTATI, Relatore, osserva che il primo problema, sul quale la Sottocommissione deve esprimere il proprio parere, è quello sull’opportunità di stabilire che, per ogni proposta di legge, si abbia un esame preventivo da parte di un organo interno della Camera. Ove questo sia risolto in senso affermativo si dovrà passare al secondo: se la composizione di questi organi debba essere fissata nella Costituzione o lasciata al Regolamento.

LACONI pensa che non si debba trascurare di esaminare l’opportunità di assicurare, in qualsiasi tipo di Commissione, una rappresentanza proporzionale di tutte le forze politiche che compongono l’Assemblea. Suggerisce quindi che alla parola «Commissioni» si facciano seguire le altre «proporzionalmente elette».

FUSCHINI osserva che l’attuale sistema elettorale potrebbe anche mutare.

LACONI fa presente che la questione riguarda non tanto il sistema elettorale – poiché essa sussisterebbe anche se al sistema proporzionale se ne sostituisse un altro – quanto il fatto di assicurare a tutti i gruppi politici una rappresentanza proporzionale in seno alle Commissioni.

FUSCHINI rileva che, stabilendo nella Costituzione una norma circa la elettività di queste Commissioni, non sarà più possibile – come si è ritenuto opportuno fare in casi eccezionali – affidare al Presidente, che ha tra l’altro il compito di tutelare le minoranze, la scelta dei membri delle Commissioni stesse.

CALAMANDREI osserva che la considerazione dell’onorevole Laconi – il quale, parlando di composizione proporzionale, fa un esplicito riferimento ai vari gruppi politici esistenti nella Camera – pone in evidenza una manchevolezza nell’impostazione delle discussioni che hanno luogo in questa sede: quella cioè di non aver posto il problema dei partiti. La situazione odierna, ben diversa da quella di un secolo fa, rende necessario un formale riconoscimento di questa realtà politica, cioè della funzione precostituzionale o paracostituzionale assunta dai partiti in tutte le democrazie moderne. Si domanda perché non si affronti coraggiosamente la situazione in sede costituzionale, dando ai partiti un esplicito riconoscimento.

MORTATI, Relatore, chiarisce che su questo problema, che già è stato posto, si dovrà tornare in un secondo momento ed aggiunge che forse della questione si occuperà la prima Sottocommissione.

TARGETTI riconosce che il Parlamento, così come ha funzionato fino all’avvento del fascismo, ha ormai fatto il suo tempo; e ritiene che la funzione parlamentare sia ora matura per essere trasportata dall’Assemblea plenaria alle Commissioni. Dichiara perciò che, se la Sottocommissione entrasse nell’ordine di idee di considerare uh diverso funzionamento del Parlamento, cadrebbe l’osservazione fatta da lui precedentemente circa l’opportunità di rinviare la disciplina di tale problema in sede di regolamento interno delle Assemblee.

PERASSI obietta che un provvedimento di questo genere avrebbe molti punti di contatto con la legge del 1939, che istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni.

MORTATI, Relatore, fa rilevare che si tratta di due questioni diverse: il problema in discussione riguarda lo studio preliminare dei progetti che saranno poi esaminati dalle Camere, mentre quello accennato dall’onorevole Targetti si riferisce al procedimento della formazione delle leggi, cioè alla cosiddetta «deflazione legislativa», per la quale l’esame e l’approvazione dei progetti di legge è fatto dalle Commissioni e non dalla Camera in seduta plenaria.

TARGETTI precisa che le Commissioni dovrebbero avere soltanto il compito di elaborazione e non di approvazione delle leggi.

PRESIDENTE informa la Sottocommissione che l’onorevole Mortati ha presentalo due formulazioni, da servire come orientamento della discussione, così concepite:

1°) «Ogni proposta di legge sarà preventivamente esaminala dalla competente Commissione eletta in modo proporzionale da ciascuna Camera, secondo le norme del regolamento interno».

2°) «Ogni proposta di legge sarà preventivamente esaminata dalla Commissione di ciascuna Camera, competente secondo lo norme del regolamento interno».

Inoltre comunica che dagli onorevoli Bozzi e Zuccarini è stata proposta la seguente dizione:

«Nessuna proposta di legge può essere messa in discussione so non sia stata preventivamente esaminata da Commissioni permanenti formate con la rappresentanza proporzionale delle varie correnti politiche, ovvero da Commissioni speciali nominate dal Presidente della Camera e formate con gli stessi criteri di rappresentanza».

FABBRI propone il mantenimento della norma contenuta nello Statuto Albertino con la sola sostituzione della parola «giunto» con l’altra «Commissioni».

PRESIDENTE, nella formula proposta dagli onorevoli Bozzi e Zuccarini, sostituirebbe all’espressione «delle varie correnti politiche» l’altra «dei vari gruppi politici».

BOZZI, anche a nome dell’onorevole Zuccarini, aderisce al suggerimento del Presidente.

VANONI dichiara che l’unico principio che, a suo parere, merita di essere affermato nella Costituzione è quello che stabilisce che l’esame dei progetti di legge da parte dell’Assemblea plenaria deve essere preceduto da uno studio da compiersi da un organo più ristretto, che oggi si chiama Commissione. Ritiene pericolosa l’affermazione nella Carta costituzionale di norme più dettagliate. Così, ad esempio, il principio che le Commissioni devono essere nominate col sistema proporzionale costituisce senza dubbio una bella affermazione di carattere generale, che però potrebbe rivelarsi inapplicabile all’atto pratico. Poiché ogni norma costituzionale crea dei vincoli alla futura attività legislativa ed al funzionamento dei vari organi costituzionali o del Parlamento, occorre evitare che questi vincoli siano tali da non permetterne il funzionamento; ché altrimenti, anziché un ordine, si avrebbe un disordine costituzionale.

PRESIDENTE informa la Sottocommissione che l’onorevole Perassi ha presentato una formula così concepita:

«Ogni proposta di legge deve essere preventivamente esaminata da una Commissione di ciascuna Camera secondo le norme del regolamento».

Pone ai voti anzitutto la proposta pregiudiziale che sia opportuno prevedere nella Costituzione l’istituzione di Commissioni aventi il compito di esaminare preventivamente le proposte di legge.

(È approvata).

Mette quindi in votazione la formula più generica, che è quella proposta dall’onorevole Perassi, della quale ha testé dato lettura, avvertendo che, in caso di approvazione di questa, si dovrà passare alla votazione di quella proposta dagli onorevoli Bozzi e Zuccarini che assorbono le due, suggerite come orientamento dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

NOBILE ritiene che, per evitare l’inconveniente citato dall’onorevole Vanoni come esempio, sia necessario aggiungere in fine alla formula proposta dagli onorevoli Bozzi e Zuccarini, una frase come la seguente: «secondo le modalità che saranno fissate dal regolamento».

PERASSI prospetta l’opportunità di sopprimere la parola «permanenti», contenuta nella proposta degli onorevoli Bozzi e Zuccarini.

ZUCCARINI accetta, anche a nome dell’onorevole Bozzi, tanto la proposta dell’onorevole Nobile, quanto quella dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dagli onorevoli Bozzi e Zuccarini, la quale, con gli emendamenti accettati dai proponenti, rimane così formulata:

«Nessuna proposta di legge può essere messa in discussione, se non sia stata preventivamente esaminata da Commissioni formate con la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi politici, ovvero da Commissioni speciali nominate dal Presidente della Camera e formate con gli stessi criteri di rappresentanza, secondo le modalità che saranno fissate dal regolamento».

(Con 10 voti favorevoli e 10 contrari non è approvata).

MORTATI, Relatore, sottopone all’esame della Sottocommissione la norma contenuta nel capoverso dell’articolo 55 dello Statuto Albertino: «Le discussioni si faranno articolo per articolo».

FABBRI ritiene che non si debba rinunciare a questa disposizione che costituisce una notevole garanzia per la formazione della legge.

LACONI non ritiene inutile la disposizione; ma pensa che non sia il caso di includerla nella Costituzione.

FABBRI obietta che, se non si stabilirà questo principio nella Carta costituzionale, difficilmente una minoranza riuscirà ad ottenere che la discussione di un progetto si faccia articolo per articolo. Aggiunge che non è sufficiente che la Camera approvi il concetto informatore di una legge, ma è necessario che esamini il progetto stesso articolo per articolo; in tal modo si eviterà il pericolo che nel corpo di un articolo sia inclusa una disposizione poco opportuna.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Fabbri sull’opportunità di inserire questo principio nella Costituzione.

LACONI insiste nel ritenere che tale norma costituisca materia regolamentare.

PRESIDENTE pone ai voti il principio che le discussioni dei progetti di legge si debbono fare articolo per articolo.

(È approvato).

MORTATI, Relatore, dato il risultato della votazione, ritiene che la Sottocommissione sarà anche favorevole alla disposizione contenuta nel primo periodo dell’articolo 63 dello Statuto Albertino:

«Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione e per squittinio segreto».

PRESIDENTE pone ai voti l’inserimento nella Costituzione della norma indicata dall’onorevole Mortati, con la sostituzione della parola «squittinio», con l’altra «scrutinio».

(È approvata).

MORTATI, Relatore, aggiunge che sarà opportuno tener presente in questa disposizione anche le altre forme di votazione non considerate nello Statuto Albertino come, ad esempio, quella per appello nominale.

(Così rimane stabilito).

Prospetta poi alla Sottocommissione l’opportunità di inserire nella Costituzione una norma che fissi il limite di tempo entro il quale deve pronunciarsi la Camera che esamina il provvedimento per ultima. Propone la seguente dizione:

«Le proposte di legge discusse ed approvate da una Camera sono trasmesse all’altra Camera, che dovrà pronunciarsi su di esse entro 6 mesi dal ricevimento. Tale termine potrà essere variato per accordo fra le due Camere».

Fa presente che rimane insoluta l’ipotesi che il termine decorra senza che la seconda Camera abbia esaminato il progetto.

BOZZI sopprimerebbe le parole «discusse» e fisserebbe il termine in 4 mesi.

FABBRI ritiene in primo luogo che si debba fissare l’obbligo da parte della Camera di deliberare, senza fare ostruzionismo, sui progetti di legge che le sono trasmessi dall’altra Camera; e secondariamente sia necessario stabilire il termine entro il quale una Camera dovrà deliberare su tali progetti.

BOZZI ritiene troppo vaga l’espressione «dovrà pronunciarsi».

MORTATI, Relatore, spiega che «pronunciarsi» ha, a suo avviso, il significato di «approvare o respingere»; in una parola «deliberare».

BOZZI preferirebbe che si dicesse «deliberare».

NOBILE è invece favorevole ad una maggiore specificazione: direbbe «approvare o respingere».

FUSCHINI osserva che si può deliberare anche né affermativamente né negativamente.

FABBRI fa presente che una deliberazione che non ha una portata positiva, pur non essendo esplicitamente negativa, costituisce, a suo parere, una manifestazione di dissenso, ed è quindi sostanzialmente negativa.

PERASSI dichiara che l’essenziale è che si arrivi ad un voto della Camera, il quale può essere di approvazione pura e semplice, di approvazione con emendamenti, di rigetto. Propone si dica «dovrà esprimere il voto».

LACONI prospetta l’opportunità di usare una formula chiara per indicare qual è l’obbligo della Camera che riceve il progetto di legge.

BOZZI concorda con l’onorevole Laconi. Ritiene che si potrebbe aderire alla proposta Perassi e stabilire che la Camera deve esprimere il proprio voto.

NOBILE ritiene che si debba indicare con assoluta chiarezza quale specie di deliberazione la Camera deve prendere, perché una formulazione generica potrebbe dar luogo ad una manovra ostruzionistica.

PATRICOLO ritiene che la maggiore chiarezza si raggiunga dicendo «approvare o respingere».

CAPPI osserva che la formula suggerita dall’onorevole Patricolo non considera il caso dell’approvazione con emendamenti. Proporrebbe la formula: «pronunciarsi nel merito della proposta», che abbraccia tutti i casi ed esclude la deliberazione di sospensiva.

PRESIDENTE è favorevole al concetto formulato dall’onorevole Perassi.

NOBILE completerebbe la dizione suggerita dall’onorevole Patricolo dicendo: «dovrà approvare con eventuali emendamenti o respingere».

VANONI, poiché trova inutile servirsi di un giro di parole per indicare un concetto che si può esprimere con un solo vocabolo, propone di usare l’espressione «pronunciarsi», la quale comprende tutte le possibili ipotesi. Fa poi osservare che risulterà dal verbale che a tale parola si intende attribuire il significato di «dare una deliberazione concreta».

BULLONI propone si dica «esprimerà il suo voto».

PERASSI aggiungerebbe, alla parola «voto», l’altra «definitivo».

LA ROCCA direbbe: «deciderà col suo voto».

VANONI propone di demandare la scelta dell’espressione più opportuna al Comitato di coordinamento.

FABBRI dubita dell’opportunità di lasciare al Comitato la scelta della formulazione. Ritiene che nella Costituzione ci si debba limitare a stabilire l’obbligo da parte della Camera, che esaminerà il progetto di leggo per ultima, di «deliberare in merito» entro un determinato periodo di tempo. Aggiunge che, se tale deliberazione non sarà conforme a quella presa dalla prima Camera, sorgerà un conflitto fra le due Camere che bisognerà poi disciplinare; ma, per il momento, gli sembra che non sia il caso – ed il farlo sarebbe anche tecnicamente difficile – porre dei vincoli alla pronuncia di una delle Camere.

LACONI concorda con l’onorevole Vanoni sull’opportunità di incaricare il Comitato di trovare una dizione più soddisfacente.

PRESIDENTE direbbe «approvare, emendare o respingere».

LACONI osserva che l’ipotesi dell’emendamento non costituisce un caso a sé, ma rientra in quello dell’approvazione.

PICCIONI è d’avviso di dire «approvare o respingere», essendo implicito nell’approvazione il diritto di emendare.

MORTATI, Relatore, concorda con l’onorevole Piccioni.

PRESIDENTE osserva che le dizioni che riscuotono i maggiori consensi sono quelle di dire «pronunciarsi» o «approvare o respingere», e pone in votazione il concetto contenuto in queste parole, con l’intesa che della formulazione esatta sarà dato incarico al Comitato di coordinamento.

(Con questa intesa, è approvato).

Pone in discussione la questione del termine, che l’onorevole Mortati ha proposto di fissare in sei mesi e l’onorevole Bozzi in quattro.

NOBILE limiterebbe il termino ad un mese, dal momento che, come propone l’onorevole Mortati, esso potrà essere variato per accordo fra le due Camere.

MORTATI, Relatore, ritiene eccessivamente ristretto il termine proposto dall’onorevole Nobile.

PERASSI concorda con l’onorevole Mortati, in considerazione anche del fatto che il ricorso all’accordo fra le due Camere è evidentemente un meccanismo eccezionale.

VANONI pensa che il termine di sei mesi possa costituire una base di accordo, per quanto dubiti che anch’esso sia troppo breve. A proposito della lentezza con la quale si svolgono i lavori parlamentari, cita il recente esempio della Consulta – il cui compito era semplicemente quello di dare un parere e non di approvare i provvedimenti sottoposti al suo esame – la quale difficilmente riuscì ad assolvere il suo compito nel termine accordatole di un mese, malgrado che molte delle sue Commissioni si riunissero frequentemente.

Fa presente inoltre che se si arriverà alla sanzione, ove la Camera che esaminerà per ultima il provvedimento non l’approvi entro il termine fissato, di intendere egualmente approvato il provvedimento, si potrà verificare il caso che detta Camera, nel corso di una rapida seduta, respinga il progetto per il solo fatto di non aver avuto il tempo materiale di discuterlo.

BULLONI concorda, con l’onorevole Valloni, nel concetto che non si deve fissare un termine iugulatorio, ma di sufficiente ampiezza, il quale garantisca il regolare processo di formazione della legge; e rileva l’incongruenza che si verificherebbe se si pretendesse dalla seconda Camera un rapido esame di un provvedimento, quando la prima Camera avesse impiegato parecchi mesi od anche un anno nella relativa discussione.

NOBILE rileva che la maggior parte dei provvedimenti legislativi – ad eccezione di pochissimi che richiedono una lunga elaborazione ed un’ampia discussione – potrebbero essere approvati dalle Camere entro breve tempo. Ritiene che l’acceleramento e lo snellimento dei lavori delle due Camere porterà di conseguenza una riduzione nel numero dei decreti legge, perché il Governo non avrà più ragione di servirsi in larga misura di tale mezzo di urgenza. Ripete quindi di essere favorevole a stabilire nella Costituzione un breve termine.

LACONI crede che l’esempio citato dall’onorevole Vanoni non sia molto probante. Ritiene al contrario che, avviati i lavori parlamentari, la trasmissione dei progetti di legge dall’una all’altra Camera si svolgerà gradatamente e quindi il loro esame non richiederà – salvo il caso di provvedimenti di notevole importanza – un periodo di tempo eccessivamente lungo. Propone perciò la seguente formula: «entro il termine di due mesi, escludendo dal computo il periodo di vacanza parlamentare».

PATRICOLO, per evitare il pericolo che si possa strozzare in seno alla seconda Camera la discussione di progetti di legge che invece sono stati discussi molto a lungo dalla prima Camera, propone a che si fissi un termine piuttosto largo, che consenta un esame relativamente ampio del provvedimento, o che si stabilisca un periodo di tempo proporzionale a quello impiegato dalla prima Camera.

NOBILE insiste per il termine di un mese. In via subordinata, dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Patricolo, nel senso di proporzionare il tempo che la seconda Camera ha a disposizione per l’esame di un progetto di legge a quello impiegato dalla prima nell’esame del medesimo provvedimento.

PRESIDENTE pensa che in tal caso si potrebbe stabilire che il termine sarà concordato tra le due Camere, in relazione alla ampiezza della discussione svoltasi in seno alla prima.

VANONI distingue il problema di discutere e approvare celermente provvedimenti che interessano il Governo (problema che può essere risolto attraverso la richiesta della procedura d’urgenza da farsi successivamente all’una e all’altra Camera), dall’altro della determinazione del limite di tempo entro il quale la Camera, che per ultima esamina il provvedimento, dovrà deliberare sul medesimo, e che, come ha osservato giustamente l’onorevole Bulloni, non dove essere iugulatorio.

FABBRI suggerisce il termine di sei mesi, lasciando alle Camere la facoltà di ridurre, nei casi d’urgenza, tale termine a tre o quattro mesi.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta dell’onorevole Bozzi, come quella che concilia le varie opinioni e per cui il termine accordato alla Camera, che per ultima esaminerà il progetto di legge, sia fissato in quattro mesi.

(È approvata).

La seduta termina alle 19.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Targetti, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Leone Giovanni, Lussu, Rossi Paolo, Terracini.

Assenti: Di Giovanni, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Grieco, Porzio, Tosato.

GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

36.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Fabbri – Mortati, Relatore – Uberti – Einaudi – Laconi – Bozzi – Targetti – Fuschini – Patricolo – Vanoni – Porzio – Nobile – Mannironi – Lussu – Uberti – La Rocca.

La seduta comincia alle 17.45.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione precedente è stata decisa l’estensione alla seconda Camera di alcune norme, già approvate per la prima, relative alla verifica dei poteri, al giuramento, alle immunità parlamentari, all’indennità, alla convocazione, al regolamento interno e alla pubblicità delle sedute, e propone di fare altrettanto per il potere d’inchiesta. Mette ai voti questa proposta.

(È approvata).

Fa quindi presente che occorre sancire l’incompatibilità per un membro di una delle due Camere con l’appartenenza all’altra.

PERASSI propone la formula: «Nessuno può essere al tempo stesso membro delle due Camere».

FABBRI chiede se un membro di una Camera può essere candidato per l’altra e se, in caso di elezione contemporanea, è ammessa la facoltà d’opzione.

PRESIDENTE risponde affermativamente, precisando che nella formula suggerita si ipotizza un caso di incompatibilità e non di ineleggibilità.

Mette ai voti la proposta Perassi.

(È approvata).

Apre la discussione sulla opportunità o meno di inserire nella Costituzione norme sulla validità delle sedute (quorum) e sulla maggioranza da richiedersi per le deliberazioni.

PERASSI ricorda che, per quanto riguarda il quorum necessario affinché l’Assemblea possa validamente riunirsi, la regola è che debba essere presente la maggioranza dei membri, ma nella prassi parlamentare si è finito per presumere il numero legale, a meno che non sia fatta constatare la sua mancanza.

Per la validità delle deliberazioni la tradizione è nel senso che occorra la maggioranza assoluta dei voti.

MORTATI, Relatore, circa il quorum per la validità delle riunioni avverte che esiste una corrente la quale – richiamandosi anche a norme di altre Costituzioni – considera eccessiva la maggioranza assoluta e propende per quella di un terzo. Del resto, seguendo l’esempio della Costituzione di Weimar, si potrebbe rinviare la disciplina della materia al Regolamento.

UBERTI si associa.

FABBRI obietta che in varie disposizioni già concordate si è prevista una maggioranza qualificata, dal che discende la necessità di formulare nella Costituzione le disposizioni generali sulla maggioranza. Al Regolamento potranno essere rimesse le modalità per la verifica della validità delle riunioni e delle deliberazioni.

EINAUDI concorda con l’onorevole Fabbri. Ritiene importante consacrare nella Costituzione i principî che governano la materia, anche agli effetti della tutela delle minoranze, e per impedire che di sorpresa possano approvarsi leggi importanti con un modesto numero di presenti.

PERASSI propone la formulazione:

«Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono valide se la maggioranza assoluta dei loro membri non è presente».

LACONI propone di riferirsi solo alle deliberazioni, dicendo:

«Non possono essere adottate deliberazioni se non è presente, ecc.».

BOZZI preferisce questa dizione, che elimina la menzione delle sedute e si riferisce soltanto alle deliberazioni, escludendo perciò che sia necessaria in ogni caso la verifica preliminare del numero legale.

TARGETTI è contrario alla distinzione fra la validità della seduta e quella delle votazioni. Ritiene che il numero legale debba essere prescritto in ambedue i casi.

FUSCHINI non crede sia il caso di modificare la regola consacrata dall’uso, secondo la quale la presenza del numero legale è presunta, salvo che se ne chieda la verifica da parte di un certo numero di deputati e l’Assemblea sia per procedere a qualche votazione per alzata e seduta o per divisione.

FABBRI propone la seguente formulazione, che si riferisce al momento della deliberazione e non tiene conto, agli effetti del computo, degli astenuti:

«Per la validità delle deliberazioni di ogni Camera è richiesta la presenza di almeno la metà dei suoi componenti, e le deliberazioni sono prese a maggioranza dei votanti».

MORTATI, Relatore, riallacciandosi a quanto ha ricordato l’onorevole Fuschini, rileva che in realtà la prassi aveva finito per derogare allo Statuto Albertino appunto in quanto era eccessivo il quorum che esso richiedeva. Propone quindi la seguente dizione:

«Il quorum è fissato dal Regolamento delle Camere. Le deliberazioni delle Camere sono prese alla maggioranza relativa dei voti, salvo che sia prescritta nella Costituzione una maggioranza speciale».

FABBRI considera inopportuna ogni norma che tenda a subordinare la validità delle sedute alla costante presenza della maggioranza dei deputati, anche in vista del fatto che uno stesso argomento potrebbe essere discusso in più tornate.

PRESIDENTE esprime l’avviso che il quorum debba essere precisato nella Costituzione.

EINAUDI osserva che, rinviata – come propone l’onorevole Mortati – la determinazione del quorum al Regolamento, potrebbe avvenire che le due Camere, in sede regolamentare, adottassero due criteri diversi in una materia tanto importante per i suoi riflessi sulla tutela delle minoranze.

PATRICOLO propone di mettere ai voti la questione pregiudiziale se il quorum debba essere stabilito dalla Costituzione o dal Regolamento.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di introdurre nella Costituzione disposizioni in materia di validità delle sedute e delle deliberazioni.

(È approvata).

Pone quindi in votazione la proposta Fabbri:

«Per la validità delle deliberazioni di ogni Camera è richiesta la presenza di almeno la metà dei suoi componenti. Le deliberazioni sono prese a maggioranza dei votanti».

(È approvata).

Apre la discussione sul problema dell’iniziativa legislativa.

MORTATI, Relatore, premette che potrebbe prendersi in considerazione l’eventualità di formulare una norma in merito all’ordine del giorno – che nella prassi parlamentare viene concordato tra la Presidenza della Camera e il Governo – esprimendo il suo personale avviso che sia preferibile rinviare la materia alla sede regolamentare.

Sull’iniziativa legislativa prospetta i due quesiti che subito si presentano: a chi spetta; e se deve subire qualche limitazione. Quanto al primo, crede che tutti possano concordare sull’opportunità di concederla ad ambedue le Camere e propone la seguente formula:

«L’iniziativa delle leggi spetta al Governo ed ai singoli membri di ciascuna Camera».

Quanto al secondo, segnala l’eventuale limite di riservare l’iniziativa in materia finanziaria alla sola prima Camera.

FABBRI rileva che, essendo stata approvata l’eguaglianza dei poteri fra le due Camere, non si può parlare più di un qualsiasi limite, anche in materia finanziaria, alla piena libertà d’iniziativa della seconda Camera.

EINAUDI precisa che, storicamente, non si può parlare di potere d’iniziativa in materia finanziaria riservato alla prima Camera, ma solo di priorità, da parte della stessa, nell’esame delle leggi finanziarie. La norma trae origine dal fatto che il principe era costretto a chiedere ai contribuenti le somme occorrenti all’erario, e per essi ai loro rappresentanti nella Camera bassa. Oggi la situazione è completamente cambiata e non può sussistere perplessità di fronte ad una seconda Camera, anch’essa a base elettiva e composta di rappresentanti delle regioni.

Soggiunge che il dubbio potrebbe nascere su un altro aspetto del problema e, cioè, sulla opportunità di limitare al Governo l’iniziativa in materia di bilancio, negandola ai membri delle due Camere. L’esperienza ha dimostrato, infatti, che è pericoloso riconoscere alle Camere tale iniziativa, perché, mentre una volta erano esse che resistevano alle proposte di spesa da parte del Governo, negli ultimi tempi spesso è avvenuto che proprio i deputati, per rendersi popolari, hanno proposto spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle.

Così stando le cose, si prospettano due soluzioni: o negare ai deputati delle due Camere il diritto di fare proposte di spesa, ovvero obbligarli ad accompagnarle con la proposta correlativa di entrata a copertura della spesa, così che la proposta abbia un’impronta di serietà.

MORTATI, Relatore, avverte che, avendo già previsto l’ipotesi, ha predisposto il seguente articolo:

«I progetti i quali importino oneri finanziari non potranno essere presi in esame ove non siano accompagnati dalla proposta relativa ai mezzi necessari per coprire la spesa corrispondente».

Per quanto riguarda il problema della parità di iniziativa fra le due Camere, in relazione alle leggi di bilancio, pur riconoscendo l’origine storica della priorità dell’esame della prima Camera, rileva che in alcune Costituzioni si è mantenuta una diversità di trattamento che, d’altra parte, può avere la sua giustificazione nella diversa composizione delle due Camere. Comunque, è favorevole a che la parità tra le due Camere, che è stata decisa, sia assoluta e senza eccezioni di sorta.

LACONI conviene sulla fondatezza delle osservazioni dell’onorevole Einaudi, ma non vede come si possa praticamente attuare il principio che egli propone e che il Relatore ha concretato in una formula. Teme che allora ogni proposta di spesa dovrebbe trasformarsi in un complesso piano finanziario. Crede piuttosto che le preoccupazioni manifestate potrebbero consigliare di limitare l’iniziativa in materia finanziaria alla sola prima Camera, tanto più che la seconda, per la sua stessa composizione a base regionale, si farebbe più spesso iniziatrice di proposte di spesa.

VANONI ricorda che una discussione in termini analoghi si è già svolta quando si è trattato di decidere sulla parità dei poteri delle due Camere e, in quella occasione, egli espose gli stessi argomenti portati dall’onorevole Einaudi nel dibattito odierno, per dimostrare l’inesistenza di ragioni storiche a suffragio della tesi contraria alla piena iniziativa della seconda Camera.

Per quanto riguarda l’esigenza che ogni richiesta di nuova spesa comporti l’obbligo di proporre anche i mezzi per fronteggiarla, fa presente che identica norma è già contenuta nella nostra legge sulla contabilità di Stato.

Aggiunge che la Commissione di tecnici, che presso il Ministero della Costituente ha studiato i problemi in esame, in una delle poche proposte che ha fatto in materia finanziaria ha sottolineato l’opportunità che nella Costituzione si sancisca l’obbligo in parola, sia per il Governo che per il Parlamento, come garanzia della tendenza al pareggio del bilancio.

Esprime l’avviso che non sussista difficoltà per la pratica attuazione del principio che non si debbano fare spese che per il momento la finanza nazionale non può sopportare. Ed è bene che, anche dal punto di vista giuridico, il principio sia presente sempre alla mente di coloro che propongono delle spese nuove: il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agita nel Paese e che avanza proposte che comportino maggiori oneri finanziari.

Per queste ragioni ritiene che si debbano concedere alle due Camere eguali poteri d’iniziativa anche in materia finanziaria, ma che la facoltà di proporre nuove spese, tanto per il Governo che per il Parlamento, sia rigidamente condizionata alla proposta relativa ai mezzi con cui fronteggiarle.

FABBRI è favorevole a che si faccia eguale trattamento alle due Camere anche in questa materia e segnala l’opportunità di porre un divieto alle proposte di spesa avanzate durante la discussione dei bilanci, divieto recentemente inserito anche nella Costituzione francese.

PRESIDENTE dà lettura di una formula concordata tra gli onorevoli Mortati e Vanoni, alla quale ha dato la sua adesione anche l’onorevole Einaudi:

«Le leggi le quali importino maggiori oneri finanziari devono provvedere ai mezzi necessari per fronteggiarli».

PATRICOLO si rende conto della preoccupazione dei colleghi che proposte di legge fatte a scopo demagogico possano importare aggravio al bilancio dello Stato. D’altra parte, come convinto assertore della divisione di poteri, afferma che il rappresentante del popolo non deve essere un amministratore. Egli porta nell’Assemblea la voce dei suoi rappresentati e  ne prospetta la necessità, ma spetta all’amministrazione statale di risolvere i problemi finanziari.

EINAUDI replica che quella che si vuole garantire con una norma costituzionale è la serietà non di una domanda generica, ma di una concreta proposta di spesa.

PATRICOLO trova che, se si parte dal presupposto che il Parlamento sia un istituto competente e cosciente, non si può dubitare che le sue proposte rispecchino una necessità effettiva del Paese. Al potere esecutivo incomberà l’obbligo di trovare i mezzi per soddisfarla.

VANONI rileva un errore di impostazione nelle considerazioni dell’onorevole Patricolo.

Il Parlamento può esprimere il desiderio di determinate spese, ma se, nel momento in cui lo manifesta, esso non inquadra il problema delle spese in quello delle entrate, la sua richiesta si risolve unicamente in una pressione politica, che potrà portare a negare la fiducia al Governo in quanto non sappia trovare i mezzi per sopperire alle necessità del popolo. Viceversa, se esso avanza una proposta concreta, legislativa, di spesa per cui lo Stato sarà costretto ad affrontarla, è necessario che, nel momento stesso in cui propone la spesa, si renda conto della possibilità di fronteggiarla.

In sostanza, bisogna distinguere la critica politica di un’attività di Governo che non sappia risolvere un determinato problema (critica che può portare alla caduta del Governo), dall’iniziativa di chi propone concretamente una determinata spesa, e deve quindi proporre anche la maniera di coprirla.

PATRICOLO insiste nel rilevare che il potere legislativo non ha competenza in materia amministrativa.

VANONI replica che il bilancio è approvato dal Parlamento e non si può supporre che questo sia incompetente, e non possa prevedere come trovare i necessari mezzi finanziari. Aggiunge che nella pratica la cosa non è difficile; si tratterà di prevedere, nella stessa legge che propone la spesa, una variazione ai capitoli del bilancio, o un aumento delle imposte.

PERASSI segnala l’inapplicabilità di un simile procedimento di fronte ad una calamità improvvisa, rilevando che, per esempio, nel caso di scoppio di una guerra, non si potrebbe pretendere che siano già predisposti i mezzi per finanziarla.

PORZIO concorda con l’onorevole Vanoni che occorre evitare che dei deputati avanzino delle proposte determinando fermenti e solleticando appetiti a puro scopo demagogico.

LACONI ripete che la preoccupazione appare legittima, ma il congegno non sembra attuabile. Non può il Parlamento, per il fatto che avanza una proposta di spesa, invadere il terreno della politica finanziaria generale, che è di competenza del Governo. Insiste sull’opportunità di riservare l’iniziativa in questo campo alla prima Camera.

NOBILE, premesso che ben raramente i deputati hanno fatto uso del loro diritto di iniziativa in materia finanziaria, dichiara di condividere le preoccupazioni dell’onorevole Einaudi e. propone di limitare l’iniziativa in parola al Governo ed alla prima Camera, escludendone la seconda per la sua diversa origine elettorale.

FUSCHINI rileva che il voler escludere da tale diritto di iniziativa i membri della seconda Camera è contrario alla deliberazione già presa nella parità delle attribuzioni tra le due Camere. Si potrà tutt’al più discutere se attribuire una certa precedenza in questo campo alla prima Camera.

Ritiene d’altra parte superfluo stabilire che la proposta di spesa debba essere accompagnata da quella dell’entrata correlativa, in quanto l’iniziativa parlamentare non si esaurisce nella presentazione di un progetto, ma si sviluppa in una presa in considerazione da parte dell’Assemblea, la quale si esprimerà attraverso la sua maggioranza. Tutto questo dà una garanzia di serietà, per cui possono essere accantonati i timori degli onorevoli Vanoni e Einaudi.

EINAUDI fa rilevare all’onorevole Parassi che in casi supremi – come quello dello scoppio di una guerra – secondo la prassi, le Camere dànno al Governo l’autorizzazione ad aumentare il livello massimo delle anticipazioni al Tesoro da parte dell’Istituto di emissione.

All’argomentazione dell’onorevole Fuschini oppone che può essere utile fissare nella Costituzione un criterio, tra gli altri, al quale subordinare la presa in considerazione da parte di una Camera della proposta di un suo deputato. Soggiunge infine che oggi può dirsi – sebbene questa non sia una ragione per non occuparsene nella Costituzione – che l’occasione di leggi di iniziativa parlamentare sia venuta quasi del tutto a mancare, in quanto il Governo è emanazione del Parlamento. Pertanto la disposizione proposta ha un contenuto morale, ma una scarsa importanza pratica.

MANNIRONI esprime l’avviso che il diritto di iniziativa debba essere riconosciuto in maniera eguale alla prima e alla seconda Camera, sia come conseguenza logica del principio della parità, sia anche in applicazione del principio per cui la seconda Camera è l’espressione della vita delle regioni. Non può infatti negarsi alle regioni la possibilità di far valere le loro pretese, attraverso la seconda Camera, in sede nazionale, nonostante sia per esse prevista l’istituzione di un fondo di solidarietà o di compensazione.

LUSSU, premesso che indubbiamente l’iniziativa parlamentare serve a mettere in evidenza un deputato o un gruppo di deputati a scopo propagandistico, ma intralcia l’opera del Governo e gli crea fastidi, sostiene l’opportunità che tale iniziativa venga estremamente ridotta nei confronti di ambedue le Camere.

Quanto alla seconda Camera, poi, essendo essa espressione di maggior tecnicismo e saggezza, dovrebbe darne esempio rinunciando incondizionatamente ad una tale facoltà ed a fortiori per quel che riguarda la materia finanziaria.

BOZZI, richiamandosi alla lettera dell’articolo 43 della legge sulla contabilità di Stato, propone la seguente formula: «Nelle proposte di nuove e maggiori spese e nelle leggi che le approvano devono essere indicati i mezzi per far fronte alle spese stesse».

UBERTI non condivide la contrarietà dell’onorevole Lussu nei riguardi dell’iniziativa parlamentare, nella quale, anzi, vede la possibilità di un apporto legislativo serio ed utile, in quanto le eventuali proposte puramente demagogiche finiranno per cadere. A conforto del suo punto di vista ricorda il progetto sulla proprietà commerciale formulato dal senatore Polacco nel 1921, progetto che può essere forse considerato come il miglior documento della specie.

PERASSI non può convenire nell’idea di fare un trattamento diverso alla seconda Camera nei confronti della prima, sia in materia d’iniziativa in genere, sia, più specificamente, per l’iniziativa in materia di bilancio. E altresì perplesso di fronte alla proposta degli onorevoli Mortati e Vanoni, in quanto inserire una norma come quella da essi proposta in una Costituzione rigida significherebbe invalidare ogni legge che non rispondesse alla esigenza di prevedere, accanto alla spesa, il mezzo per fronteggiarla. Ritiene la disposizione talmente grave che nessun Governo potrebbe uniformarvisi.

MORTATI, Relatore, dichiara, anche a nome dell’onorevole Vanoni, di rinunciare alla sua proposta, aderendo a quella dell’onorevole Bozzi che ritiene più accettabile, poiché parla unicamente di «indicazione dei mezzi».

PERASSI teme che anche le conseguenze della formula Bozzi possano essere gravi.

EINAUDI non crede sia difficile per un Governo ottemperare ad una tale norma.

PRESIDENTE pone ai voti il primo articolo proposto dall’onorevole Mortati, che ha suscitato minori contrasti:

«L’iniziativa delle leggi spetta al Governo e ai singoli membri di ciascuna Camera».

TARGETTI dichiara di votare contro, essendo contrario alla parità delle due Camere.

LACONI fa analoga dichiarazione, aggiungendo che al principio della parità potrebbe, quanto meno, farsi eccezione in una materia così delicata. Tanto maggiore è poi la sua contrarietà, in quanto la seconda Camera deriva da una elezione di secondo grado.

(È approvato).

Pone ai voti la formula Bozzi, alla quale hanno aderito gli onorevoli Mortati e Vanoni:

«Nelle proposte di nuove e maggiori spese e nelle leggi che le approvano devono essere indicati i mezzi per far fronte allo spese stesse».

(È approvata).

Informa che, esaurita la trattazione della iniziativa legislativa, si deve esaminare il diritto di iniziativa popolare. Prima di aprire la discussione sull’argomento ricorda di avere nel suo progetto proposto le seguenti norme:

«Tutti i cittadini hanno diritto di petizione e di iniziativa.

«Per una legge di iniziativa popolare si richiede la presentazione della proposta da parte di 25 mila cittadini nel pieno godimento dei diritti civili.

«Proposte di legge e petizioni sono portate all’esame di Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato per la formulazione di progetti legislativi».

Invita a limitare per il momento l’same alla sola iniziativa popolare, tralasciando il diritto di petizione.

MORTATI, Relatore, propone la formula:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto articolato da parte di un decimo (o di un ventesimo) degli elettori».

Per la determinazione della percentuale si rimette alle decisioni della Sottocommissione.

LUSSU dichiara di non approvare l’istituto, che considera non rispondente ad alcuna sostanziale esigenza democratica. Osserva che le due Camere, grazie alla loro composizione, e le Assemblee regionali, di probabile costituzione, dànno ogni garanzia che i cittadini possano esprimere legalmente la loro volontà. Aggiunge che l’iniziativa popolare è raramente applicata nei Paesi più democratici, ove piuttosto si ricorre al referendum, con cui si sottopone al voto popolare una legge già approvata dal Governo.

MORTATI, Relatore, riconosce che effettivamente la questione è molto dibattuta e taluni sostengono che l’intervento diretto popolare costituisca un perturbamento e rappresenti una deviazione della linea direttiva politica approvata dalla maggioranza ed espressa dal Governo. Personalmente, invece, ritiene che l’istituto sia opportuno allo scopo di frenare e limitare l’arbitrio della maggioranza.

Non è detto che la maggioranza sia espressione sempre della volontà popolare, ed è quindi opportuno concedere al popolo un mezzo concreto per esprimere efficacemente un proprio orientamento, anche in difformità con l’orientamento governativo. Giova rilevare al riguardo che le elezioni si svolgono una volta ogni cinque anni; e si presume che lo schieramento che ne risulta rifletta, durante tutto questo periodo, la volontà espressa nel primo momento. Tuttavia non si tratta di una presunzione juris et de jure, che non possa essere assoggettata a riprova, ed è utile e democratico consentire questa possibilità di controllare il grado di rispondenza tra la politica del Governo e gli orientamenti popolari.

Trova piuttosto che la percentuale utile per la presentazione della proposta consigliata dall’onorevole Conti (25 mila abitanti) è troppo modesta, e fa presente che occorrerà anche prevedere le conseguenze dell’istituto, se, cioè, una volta che il Parlamento respinga la proposta, questa venga a cadere o si possa provocare su di essa un referendum.

LA ROCCA è favorevole a che venga sancito nella Costituzione il diritto d’iniziativa popolare che, oltre ad essere quant’altri mai democratico, ha una funzione di pungolo e di eccitamento all’azione del Governo.

EINAUDI concorda con l’onorevole Lussu sull’inopportunità dell’iniziativa popolare, alla quale preferisce il referendum. Non vede infatti il fondamento della prima, perché, se la corrente che si vale del diritto d’iniziativa è talmente larga da riuscire a far approvare la sua proposta, troverà sempre chi, in una delle due Camere o nel Governo stesso, si faccia iniziatore del progetto. Più utile è l’istituto del referendum, che si fonda sul fatto che non si può essere sempre sicuri che i disegni di legge approvati dal Parlamento rappresentino veramente la espressione della volontà popolare; rappresentano la volontà di un ceto politico, ma questa non sempre coincide con quella del popolo. Ricorda che l’esperienza maggiore al riguardo è stata fatta dalla Svizzera, ove molti appelli fatti attraverso all’iniziativa popolare sono caduti nel nulla, mentre molte leggi sottoposte a referendum sono state respinte.

MORTATI, Relatore, rileva che valgono per l’iniziativa popolare gli stessi argomenti che si prospettano per il diritto di petizione. Negli Stati moderni vi sono molti altri mezzi attraverso i quali una corrente di opinione pubblica può trovare la sua espressione, onde potrebbe anche farsi a meno dei due istituti. Tuttavia non trova che questo sia un motivo sufficiente per escludere a priori anche questa possibilità di far arrivare al Parlamento la voce dei cittadini.

BOZZI aderisce al punto di vista dell’onorevole Mortati, ma si domanda se sia il caso di considerare l’istituto, qualora si stabilisca che l’iniziativa legislativa spetta anche alle regioni.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di introdurre nella Costituzione l’affermazione del diritto di iniziativa popolare.

(È approvata).

Invita i Commissari ad esprimere il loro parere circa il numero di cittadini necessario affinché il diritto di iniziativa possa esercitarsi. A suo avviso non dovrebbe richiedersi un numero di proponenti superiore ai 100 mila.

TARGETTI osserva che, se i cittadini sono in numero rilevante, avranno il modo di far agire un partito nel senso voluto.

MORTATI, Relatore, fa presente che, agli effetti della determinazione del numero di cittadini utile per la presentazione di una proposta di legge, occorre pensare alle conseguenze che si vogliono far discendere dall’istituto. Se si ammette che la non accettazione di una proposta da parte del Parlamento possa provocare un referendum, il numero di presentatori deve essere cospicuo.

PERASSI ricorda che in Svizzera si esige la proposta firmata da 30 mila elettori. Se si facesse la proporzione, si arriverebbe per l’Italia a circa 300 mila.

Conviene con l’onorevole Mortati che bisogna preliminarmente decidere in merito alle conseguenze: se, cioè, si vuol consentire il referendum in caso che la proposta sia respinta dalle Camere, oppure no.

PRESIDENTE rileva che, agli effetti della determinazione del numero, bisogna tenere presente che il diritto di iniziativa potrà essere riconosciuto anche nell’ambito regionale.

Pone ai voti il principio che, qualora venga negato il corso alla proposta di iniziativa, si debba sulla stessa promuovere un referendum.

(Non è approvato).

Premesso che il numero va riferito al diritto di iniziativa esercitato nell’ambito nazionale, pone ai voti la sua proposta di fissarlo in 50 mila proponenti.

(Non è approvata).

EINAUDI propone un minimo di 100 mila cittadini.

PRESIDENTE lo pone ai voti.

(Non è approvato).

Mette in votazione l’aliquota di 300 mila cittadini, in armonia alle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi sull’analogo istituto svizzero.

(È approvata).

Informa che, a seguito delle deliberazioni prese, la formula approvata è la seguente:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto articolato da parte di 300.000 elettori».

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Targetti, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Terracini.

Assenti: Bastiglia, De Michele, Di Giovanni, Rossi Paolo.

MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

35.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Mortati, Relatore – Fabbri – Bozzi – Einaudi – Perassi – Lussu – Fuschini – Tosato – Laconi – Leone Giovanni – Porzio – Nobile –Piccioni – La Rocca – Zuccarini – Lami Starnuti.

La seduta comincia alle 17.40.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE annuncia che l’onorevole Terracini, a causa di un lieve infortunio, non potrà presiedere la riunione della Sottocommissione. Anche a nome di tutti i colleghi gli invia i più cordiali auguri di una rapida e completa guarigione.

Mette in discussione la questione della parità dei diritti fra i membri della seconda e quelli della prima Camera.

MORTATI, Relatore, osserva che esiste una serie di questioni comuni relative alle due Camere e che potrebbero essere risolte relativamente alla seconda Camera nello stesso modo in cui lo sono state rispetto alla prima. Si tratta quindi di estendere al futuro Senato i principî di alcune disposizioni che la Sottocommissione ha già deciso di adottare per la Camera dei Deputati. Tali principî riguardano il giuramento, le indennità, l’insindacabilità delle opinioni, le immunità, la pubblicità delle sedute, la verifica dei poteri, il diritto di emanare il proprio regolamento, la esclusione del mandato imperativo e la costituzione dell’Ufficio di Presidenza.

FABBRI, poiché la seconda Camera si rinnoverà per metà ogni tre anni, crede occorra stabilire per essa la rinnovazione ogni tre anni anche dell’Ufficio di Presidenza.

BOZZI osserva che la questione accennata dall’onorevole Fabbri è di materia regolamentare e deve quindi esser riservata al Regolamento della seconda Camera.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di estendere alla seconda Camera i principî indicati dall’onorevole Mortati, che la Sottocommissione ha già stabilito di adottare per la Camera dei Deputati.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, per quanto riguarda il funzionamento della seconda Camera, osserva che occorrerebbe adottare due distinte norme: una relativa al tempo, e l’altra ai modi dell’esercizio delle funzioni delle due Camere. Propone pertanto la seguente prima formula: «Le riunioni delle due Camere si iniziano e terminano contemporaneamente».

EINAUDI osserva che la formula proposta dall’onorevole Mortati non può essere accettata per ciò che si riferisce alla fine delle riunioni delle due Camere, perché se, ad esempio, la prima Camera si aggiorna dopo aver approvato il bilancio dello Stato, può avvenire che la seconda non abbia più il tempo sufficiente per esaminarlo entro il 30 giugno.

MORTATI, Relatore, fa presente che, secondo la vecchia formulazione, potrebbe essere ripristinata la parola «sessione», la quale, come è noto, può avere due significati e, nel senso di durata dei lavori di un’assemblea, potrebbe essere adottata.

FABBRI ricorda che, con una deliberazione già presa dalla Sottocommissione, si sono abolite le sessioni per ciò che si riferisce alla decadenza dei progetti di legge. Se le sessioni dovessero essere riammesse nel senso indicato dall’onorevole Mortati, ciò dovrebbe essere chiaramente stabilito.

PERASSI ricorda che, secondo il principio del sistema bicamerale, le due Camere debbono funzionare contemporaneamente, non nel senso che una debba essere riunita quando è riunita l’altra, ma nel senso che entrambe debbano svolgere i propri lavori entro certi termini di tempo. Perciò anche in passato, dopo la chiusura della sessione, non poteva aver luogo una riunione di una delle due Camere: non si può ammettere, infatti, che una Camera possa riunirsi quando l’altra, essendo stata sciolta, abbia cessato di esistere.

LUSSU osserva che in tal modo un principio che ha indotto alcuni membri della Sottocommissione a votare favorevolmente per il Senato come una Camera che non muoia mai, verrebbe a cadere.

MORTATI, Relatore, ricorda che, con una deliberazione già presa dalla Sottocommissione, è stato approvato il criterio che la prima Camera possa autoconvocarsi in via straordinaria su richiesta di un sesto dei deputati o su iniziativa del Presidente. Sorge così il problema se la convocazione straordinaria della prima Camera debba provocare la convocazione della seconda. A suo avviso, sarebbe opportuno prendere una deliberazione in tal senso, ai fini del coordinamento dei lavori fra le due Camere. Può darsi il caso infatti che la prima Camera, autoconvocandosi, non possa compiere un lavoro definitivo se manca la convocazione della seconda.

PERASSI fa osservare all’onorevole Mortati che, secondo le vecchie disposizioni, non esisteva alcun obbligo di convocazione per il Senato in caso di autoconvocazione della Camera dei Deputati.

FUSCHINI rileva che la convocazione straordinaria della prima Camera, già ammessa dalla Sottocommissione, può derivare, ad esempio, dalla necessità di richiamare l’attenzione del Governo su una data questione, indipendentemente dalla discussione di determinati disegni di legge. Si tratterebbe, in tal caso, di una questione essenzialmente politica che potrebbe risolversi anche in una crisi governativa. Ed allora v’è da domandarsi se sia necessario il voto di ambedue le assemblee, o basti quello di una sola. A suo avviso, nel caso anzidetto, bisognerebbe ammettere che una delle due Camere, autoconvocandosi, possa in qualche modo spingere l’altra a riunirsi, per far sì che questa possa prendere una sua decisione sulla stessa questione.

PERASSI osserva che, per il caso prospettato dall’onorevole Fuschini, potrebbe essere esteso alla seconda Camera il principio della norma già approvata dalla Sottocommissione, per la quale la prima Camera può convocarsi in via straordinaria su richiesta di un sesto dei deputati o ad iniziativa del Presidente.

FUSCHINI non ritiene che l’accoglimento della proposta dell’onorevole Perassi possa risolvere la questione, specialmente nel caso di un conflitto fra le due Camere. L’autoconvocazione resterebbe infatti facoltativa e pertanto, se una delle due Camere si è autoconvocata, l’altra in contrapposizione potrebbe anche non riunirsi. In tal caso, a suo avviso, dovrebbe intervenire il Capo dello Stato.

MORTATI, Relatore, fa presente all’onorevole Fuschini che quando la Sottocommissione approvò il principio dell’autoconvocazione della prima Camera, si fece astrazione dal potere di intervento del Capo dello Stato, perché si volle stabilire, rispetto al fatto della convocazione, la completa autonomia della prima Camera nei confronti della volontà del Capo dello Stato. Questi non avrebbe che un potere moderatore, che potrebbe anche non influire su tale autonomia.

In ogni modo per far sì che quando una Camera si autoconvochi l’altra sia vincolata a farlo, sarebbe opportuno estendere innanzi tutto alla futura seconda Camera le disposizioni già approvate per la prima in materia di autoconvocazione e integrarle con un’altra così concepita:

«Quando un sesto dei componenti di ciascuna assemblea o il Presidente di una di essa formuli richiesta motivata di convocazione straordinaria, il Presidente della Repubblica ha l’obbligo di convocare le due Camere entro due settimane dal giorno in cui la richiesta è avvenuta.

«In caso di omissione, la convocazione avverrà nello stesso termine per iniziativa dei rispettivi Presidenti».

PERASSI domanda se sia veramente necessario fare intervenire il Capo dello Stato. Osserva inoltre che, se si ammette l’obbligo per una delle due Camere di riunirsi nello stesso giorno in cui si è autoconvocata l’altra, la Camera che dovesse adempiere quest’obbligo non avrebbe nulla da mettere al suo ordine del giorno e si troverebbe quindi nell’impossibilità pratica di espletare un qualsiasi lavoro.

FABBRI dichiara di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati. A suo avviso basterebbe estendere alla seconda Camera il principio della autoconvocazione già riconosciuto per la prima.

BOZZI è contrario a stabilire il collegamento automatico tra la convocazione straordinaria di una Camera e quella dell’altra e crede che basterebbe, sia per il caso di una proposta di legge, sia per il caso di una questione politica, estendere alla seconda Camera le disposizioni già stabilite per l’autoconvocazione della prima.

TOSATO è favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati, anche in considerazione del fatto che un eventuale obbligo di convocazione di una delle due Camere, quando l’altra sia autoconvocata, può costituire un incentivo all’abuso delle convocazioni straordinarie.

FABBRI dichiara che l’argomento addotto dall’onorevole Tosato, per giustificare l’obbligo di convocazione di una delle due Camere quando l’altra si sia autoconvocata, lo persuade proprio del contrario, perché ci si astiene quasi sempre dal prendere una iniziativa quando si ha timore che essa non sia seguita dagli altri. Se si vuole veramente evitare l’abuso delle convocazioni straordinarie, non si deve stabilire un collegamento automatico tra la convocazione straordinaria di una Camera e quella dell’altra.

LACONI ritiene che, se una delle due Camere si autoconvochi su istanza di un sesto dei suoi membri, l’altra Camera debba anche riunirsi; e, per assicurare che ciò avvenga, suggerisce di stabilire l’obbligo della convocazione quando una Camera, essendosi autoconvocata, richieda, con una votazione di almeno un terzo dei suoi componenti, la convocazione dell’altra.

LEONE GIOVANNI concorda nel ritenere che la questione in esame debba essere risolta restando nell’ambito del principio dell’autoconvocazione e quindi facendo ricorso all’intervento del Presidente della Repubblica soltanto in casi estremi; ma crede che il problema dovrà essere affrontato e risolto quando si tratterà dei rapporti fra le due Camere. In ogni modo, dichiara di essere favorevole al principio a cui si ispira la proposta fatta dall’onorevole Mortati.

FUSCHINI condivide anch’egli il parere che l’intervento del Capo dello Stato debba aversi soltanto in casi estremi. Rileva inoltre che l’autoconvocazione di una delle due Camere può avvenire anche in opposizione al Governo; onde, se fosse lasciata soltanto al Capo dello Stato l’iniziativa di convocare l’altra Camera, potrebbe aversi l’inconveniente di prolungare la situazione di disagio politico di un Governo che rimanesse al potere pur non godendo più la fiducia della maggioranza parlamentare.

A suo avviso, per risolvere la questione, si dovrebbe adottare una soluzione intermedia, nel senso di stabilire che, quando una delle Camere si sia autoconvocata, essa possa, con una deliberazione di maggioranza, richiedere al Presidente della Repubblica l’immediata con vocazione dell’altra.

MORTATI, Relatore, fa presente che con l’istituto dell’autoconvocazione si è mirato ad assicurare una tutela delle minoranze, che era opportuno stabilire, data la formazione delle odierne assemblee, basate quasi sempre sulla rappresentanza di grandi partiti. Ammesso questo principio, sorge il problema in discussione. A suo avviso, per evitare conflitti tra le due Camere, sarebbe necessario stabilire che l’autoconvocazione dell’una debba importare la convocazione dell’altra.

PORZIO osserva che i lavori della Sottocommissione avrebbero dovuto procedere diversamente. Quando, ad esempio, si venne a parlare della nuova forma dello Stato, si sarebbe dovuto fissare anche le funzioni e i poteri del Presidente della Repubblica. Lo stesso criterio doveva essere seguito quando si discusse il problema della prima Camera. Frattanto, poiché finora nello svolgimento dei lavori della Sottocommissione è stato adottato un criterio opposto, spesso si è verificato l’inconveniente di aver stabilito prima le funzioni e poi gli organi chiamati a compierle. Il che non è certo logico. Così nell’odierna discussione si è parlato di intervento del Capo dello Stato e di rapporti fra le due Camere, quando nulla ancora è stato deciso intorno alle prerogative del Presidente della Repubblica e al collegamento delle funzioni e dei poteri delle due Assemblee.

In ogni modo, quanto alla questione in esame, è da tener presente che l’autoconvocazione è un procedimento straordinario, che presuppone uno stato d’eccezione determinato da qualche avvenimento di rilievo, non potendosi presumere che 70 o 80 deputati vi facciano ricorso per futili motivi. E appunto perché si tratta di motivi di una grande importanza, una volta che per essi si è autoconvocata una Camera, non si può pensare che l’altra non debba anche convocarsi. Si dichiara pertanto favorevole, in via di principio, alla proposta dell’onorevole Mortati.

NOBILE osserva che non si è stabilito ancora quali rapporti debbano intercorrere tra le due Camere. Ora, come possono i membri dell’una fissare l’ordine del giorno dell’altra? Perché in realtà a questo si arriverebbe, obbligando una delle due Camere a riunirsi quando l’altra si è autoconvocata. Indubbiamente possono verificarsi casi di emergenza in cui sia necessario che ambedue le Camere si riuniscano. Ma in tale evenienza non si potrebbe, forse, convocare l’Assemblea nazionale costituita dalle due Camere riunite insieme? La richiesta di tale convocazione potrebbe avvenire da parte di una minoranza, che dovrebbe però essere superiore ad un sesto dei deputati dell’una e dell’altra Camera. Rileva, in ogni modo, che un’eventuale discussione su tale proposta gli sembra prematura, perché anzitutto sarebbe necessario fissare i rapporti fra la prima e la seconda Camera nonché i poteri dell’Assemblea nazionale risultante dalle due Camere insieme riunite.

PICCIONI ritiene che sarebbe meglio rinviare la soluzione del problema in esame a quando si dovranno discutere quelli dei rapporti fra le due Camere e dei poteri del Capo dello Stato.

LA ROCCA non crede che la questione sia così ardua come forse può sembrare. Quando una minoranza cospicua di una delle Camere chiederà la convocazione straordinaria dell’Assemblea, il Presidente della Camera che si è autoconvocata comunicherà al Presidente dell’altra l’ordine del giorno della discussione; e allora, se nell’altra Camera una minoranza chiederà la convocazione, anche l’altra Camera sarà convocata.

PERASSI rileva che, secondo il concetto espresso dall’onorevole La Rocca, basterebbe estendere alla seconda Camera l’applicazione della norma, già approvata per la prima, sulla possibilità di autoconvocazione. Ma con ciò non si risolve la questione di una eventuale mancanza di convocazione da parte di una delle due Camere quando l’altra abbia già deciso di autoconvocarsi.

ZUCCARINI pensa che si potrebbe senz’altro affermare che la richiesta da parte della maggioranza di una delle due Camere debba comportare la convocazione dell’altra. Ma occorre estendere anzitutto alla seconda Camera le norme già approvate per la convocazione ordinaria della prima.

Propone pertanto la seguente formula:

«Quando una Camera si sia convocata a tenore del precedente articolo, l’altra Camera ha l’obbligo di convocarsi, se ciò sia richiesto dal voto della maggioranza della prima».

PRESIDENTE ricorda che per la prima Camera, relativamente alla questione del termine fisso per la convocazione, fu approvata la seguente disposizione:

«La Camera si riunisce di pieno diritto senza uopo di convocazione, il primo giorno non festivo del mese di marzo e di ottobre di ogni anno».

Mette in votazione la proposta di adottare la stessa disposizione per la convocazione della seconda Camera.

(È approvata).

Richiama la deliberazione presa per la convocazione straordinaria della prima Camera:

«È approvato il criterio che la Camera possa essere convocata in via straordinaria su richiesta di un sesto dei deputati. La possibilità di convocazione straordinaria è concessa anche all’iniziativa del Presidente».

LACONI ricorda di aver votato contro questa disposizione, perché gli sembrava troppo esiguo il numero dei deputati richiesto per la domanda di convocazione straordinaria della Assemblea. Per la stessa ragione è contrario alla proposta di adottare una simile disposizione per la convocazione straordinaria della seconda Camera.

PRESIDENTE mette in votazione la disposizione anzidetta, lasciando però in sospeso la determinazione del numero dei membri necessario per poter chiedere la convocazione straordinaria della seconda Camera. Tale numero potrà essere fissato in seguito.

(È approvata).

Mette in votazione la proposta testé fatta dall’onorevole Zuccarini.

BOZZI dichiara che voterà contro questa proposta, perché con essa si dà luogo ad una ingerenza di una Camera sull’altra; il che non gli sembra opportuno.

FABBRI voterà contro la proposta dell’onorevole Zuccarini, ritenendola contraria ai principî fondamentali del diritto costituzionale.

NOBILE si asterrà dal voto, perché ritiene che alla discussione odierna avrebbe dovuto farsi precedere quella sulla definizione dei rapporti fra le due Camere.

PICCIONI voterà a favore della proposta Zuccarini, per la considerazione che, una volta ammesso il principio dell’autoconvocazione di una delle due Camere, occorre necessariamente assicurare alla Camera che si è autoconvocata una conclusione ai suoi lavori, ciò che potrebbe non aversi senza l’intervento dell’altra Camera.

LUSSU voterà contro, perché, se può consentire a che l’autoconvocazione della prima Camera debba provocare la convocazione della seconda, non potrebbe assolutamente ammettere il caso inverso.

EINAUDI voterà contro, sia perché avrebbe votato contro il principio dell’autoconvocazione della Camera dei Deputati, se fosse stato presente alla riunione in cui fu adottato, sia perché la proposta dell’onorevole Zuccarini, a suo avviso, inficia il principio della eguaglianza dei poteri tra le due Camere.

MORTATI, Relatore, voterà a favore, perché la norma proposta dall’onorevole Zuccarini è una naturale conseguenza di quella precedentemente approvata sul diritto di autoconvocazione.

LAMI STARNUTI dichiara di astenersi.

(Con 13 voti favorevoli, 8 contrari e 2 astenuti, è approvata).

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, De Michele, Terracini.

Assenti: Di Giovanni, Patricolo, Rossi Paolo, Targetti.

MARTEDÌ 22 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

34.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 22 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Perassi – Cappi – Lussu – Laconi – Einaudi – Fuschini – Mortati, Relatore – Nobile – Uberti – Mannironi – La Rocca – Conti, Relatore – Lami Starnuti – Tosato – Piccioni – Porzio – Vanoni – Fabbri – Leone Giovanni – Ambrosini.

La seduta comincia alle 16.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE fa presente che la Sottocommissione deve pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata dall’onorevole Lussu alla fine della precedente seduta, circa la proposta dell’onorevole Perassi di demandare l’elezione di 15 membri della seconda Camera alla Camera dei Deputati od all’Assemblea nazionale. L’onorevole Lussu ha osservato che tale proposta urta contro il principio, già accolto dalla Sottocommissione, che l’elezione della seconda Camera debba avvenire soltanto su base regionale, mentre la prima Camera e l’Assemblea nazionale rappresentano collegi a base nazionale, ed ha affermato l’impossibilità di procedere alla votazione di una tale proposta, a meno che, dichiarata nulla la decisione già presa circa l’elezione della seconda Camera, tale elezione venga ora impostata su una nuova base.

PERASSI osserva che il principio per cui la seconda Camera deve essere eletta su basi regionali, votato quando in seno alla Sottocommissione si dibattevano altri problemi di grande importanza, non deve essere, a suo parere, interpretato in modo così rigoroso come vorrebbe l’onorevole Lussu. Ritiene che l’elezione di un piccolo numero di membri della seconda Camera da parte di un organo collegiale, come è la Camera dei Deputati o l’Assemblea nazionale, non possa vulnerare il concetto, già accolto dalla Sottocommissione, di dare rilievo nella formazione della seconda Camera al carattere regionale.

CAPPI rileva che, se la scelta dei 15 membri fosse demandata per cooptazione alla stessa seconda Camera, la quale è eletta su basi regionali, il principio ricordato dall’onorevole Lussu non verrebbe vulnerato.

PRESIDENTE rileva che l’osservazione dell’onorevole Cappi è prematura, in quanto la proposta in discussione in questo momento è quella dell’onorevole Perassi. Quell’osservazione potrebbe avere un fondamento qualora la Sottocommissione si orientasse in senso favorevole alla cooptazione.

LUSSU insiste sulla pregiudiziale da lui prospettata, in quanto ritiene che l’accoglimento della proposta dell’onorevole Perassi, che renderebbe necessaria una revisione molto profonda e dettagliata di tutta la questione, capovolgerebbe uno dei principî fondamentali su cui si è basata la struttura della seconda Camera.

LACONI si associa alle osservazioni dell’onorevole Lussu, ed aggiunge di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi, non solo perché essa è contraria alla deliberazione già votata dalla Sottocommissione, secondo la quale la seconda Camera deve essere costituita su basi regionali, ma anche perché avrebbe dovuto essere presentata quando si discuteva della composizione o delle basi da dare alla seconda Camera.

PERASSI fa presente che il sistema da lui proposto è stato accolto da molte Costituzioni. Cita ad esempio quella recentissima francese, che prevede l’elezione di 50 consiglieri della Repubblica da parte della prima Camera; ed aggiunge che tale numero era nel progetto iniziale di 42 membri, e fu portato a 50 durante la discussione, su proposta di un deputato il quale fece osservare che, con un numero più elevato di membri, sarebbe stato possibile ammettere nell’Assemblea una rappresentanza dei francesi residenti nel Marocco.

Chiarisce che l’accoglimento della sua proposta potrebbe dare – a somiglianza di quanto è stato deciso in Francia – la possibilità al Parlamento nazionale di chiamare nel suo seno qualche esponente degli italiani all’estero, che devono essere considerati, anche sotto questo aspetto, alla stessa stregua di quelli abitanti in Patria. Fa presente che in tal modo sarebbe anche possibile risolvere il vecchio problema della rappresentanza degli italiani all’estero, a proposito del quale erano stati già compiuti studi concreti, che però non avevano potuto trovare pratica attuazione per la evidente difficoltà, anche di ordine internazionale, di organizzare elezioni politiche fra italiani in territorio straniero.

LACONI osserva anzitutto all’onorevole Perassi che non è il caso di mettere sullo stesso piano la seconda Camera francese e la seconda Camera italiana, perché hanno una fisionomia diversa. Rileva poi che dal momento che gli italiani all’estero sono nella massima parte già eleggibili, sarebbe interessante – se mai – farli intervenire come elettori della seconda Camera. Ritiene infine sproporzionata una rappresentanza in seno alla seconda Camera di 15 italiani nati e residenti all’estero, i quali sono in certo modo fuori del corpo vivo della Nazione.

PERASSI fa presente che gli italiani nati e residenti all’estero non sono eleggibili.

LUSSU, a parte il fatto che non è possibile paragonare l’emigrazione francese (costituita di ceti dirigenti, i quali hanno grande importanza nella vita coloniale francese) con quella italiana (che è esclusivamente di lavoratori), osserva che sarà sempre possibile includere tale rappresentanza in seno alla prima Camera, facendo iscrivere degli italiani residenti all’estero nelle liste dei vari partiti.

Fa poi presente un altro lato della questione, e cioè che l’emigrazione deve esser difesa con azione costante di Governo, con la politica del lavoro, con la politica diplomatica, e non consacrando nella Costituzione il principio della sua rappresentanza in seno al Parlamento. Di più: una affermazione di questo genere darebbe la possibilità di trovar posto nel Parlamento a rappresentanti di zone facenti parte, un tempo, del territorio dello Stato italiano, i quali potrebbero far sorgere, attraverso una violenta azione politica, contrasti tali da rendere meno facile l’opera del Ministero degli esteri, specialmente in questo periodo, che potrà durare oltre un quarto di secolo, estremamente delicato dal punto di vista internazionale, in cui ci si deve guardare dall’esasperare o dal guastare la sapiente e paziente opera che il Governo sta compiendo per il rinnovamento e la riconquista delle posizioni perdute.

EINAUDI dichiara di votare a favore della proposta dell’onorevole Perassi, in quanto ritiene che, accanto al sistema fondamentale di elezione a base regionale, possa trovar posto in misura infinitamente minore un sistema diverso.

L’unico elemento di carattere regionale che si è ammesso nel sistema di elezione della seconda Camera è, a suo parere, quello che stabilisce un numero fisso minimo di membri per ogni regione, il quale tende ad impedire che le regioni più grandi sopraffacciano quelle più piccole. Ora, la cooptazione di un ristretto numero di rappresentanti da parte della stessa seconda Camera non può far variare in modo sensibile quell’unico elemento di regionalità; in ogni caso tale elemento, anziché attenuato, ne risulterà accentuato, in quanto che nel Senato avranno un peso maggiore – rispetto a quello che loro spetterebbe in rapporto alla popolazione – le regioni meno popolose, le quali, nella cooptazione dei 15 membri, potranno influire più di quanto non avrebbero potuto se si fossero seguiti altri sistemi.

PRESIDENTE avverte che, anzitutto, si deve decidere sulla proposta pregiudiziale dell’onorevole Lussu, secondo la quale la formula dell’onorevole Perassi non può essere presa in considerazione, perché contraria alla decisione già presa dalla Sottocommissione, che pone le regioni a base della struttura della seconda Camera. Mette quindi ai voti la pregiudiziale Lussu.

(Con 12 voti favorevoli e 12 contrari, non è approvata).

Pone ai voti la proposta Perassi, secondo cui una parte dei membri della seconda Camera dovrebbe essere nominata dalla prima Camera o dall’Assemblea nazionale.

(Con 12 favorevoli e 12 contrari, non è approvata).

FUSCHINI ritiene, in via pregiudiziale, che non si possa prendere alcuna decisione in merito al sistema elettorale da adottare per la nomina dei membri della seconda Camera, se prima non si decide su quello per l’elezione dei deputati alla prima Camera, che la Sottocommissione ha lasciato in sospeso.

PRESIDENTE fa presente che sembrò opportuno rinviare la questione per avere la possibilità di esaminare contemporaneamente i modi di elezione della prima e della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, ricorda che il problema era quello di stabilire quali principî fondamentali si sarebbero dovuti inserire nella Costituzione. Ritiene che anche per il Senato si presenti ora lo stesso quesito.

PRESIDENTE ricorda che – parlandosi del sistema elettorale da adottare per la prima Camera – la discussione era sorta e la sospensiva fu decisa in relazione alla proposta di includere nella Costituzione il concetto che la votazione dovesse essere fatta col sistema proporzionale. Osserva in proposito che il fatto che la proposta dell’onorevole Mortati indichi come sistema elettorale quello maggioritario fa ritenere che anch’egli sia del parere che questa indicazione debba essere inclusa nella Costituzione.

MORTATI, Relatore, prospetta l’opportunità – trattandosi, nel caso del Senato, di un’elezione di secondo grado – di attendere la determinazione del sistema elettorale delle Assemblee regionali. Ritiene poi che si possa affidare l’esame di questo problema nella sua integrità ad un piccolo Comitato.

NOBILE pensa, invece, che si possa decidere sul sistema elettorale per ambedue lo Camere, indipendentemente dal sistema che si riterrà opportuno adottare per lo Assemblea regionali.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Mortati di rinviare ogni decisione sulla inclusione o meno nel testo costituzionale di ulteriori specificazioni circa il sistema elettorale da adottare per la prima e per la seconda Camera, fino a quando non sarà affrontato e risolto il problema della formazione delle Assemblee regionali.

(È approvata).

MORTATI, Relatore, domanda se si ritenga che l’iniziativa delle leggi elettorali spetti all’Assemblea Costituente o al Governo. A suo parere, spetterebbe all’Assemblea, in quanto si tratta di legge complementare della Costituzione.

PRESIDENTE ritiene che il progetto di legge elettorale debba essere elaborato dal Governo e trasmesso all’Assemblea Costituente per il relativo esame. Ad ogni modo, è del parere che, se mai, potrebbe l’Assemblea Costituente rivendicare nei confronti del Governo tale facoltà, ma non la Sottocommissione. Non crede, comunque, sia il caso di soffermarsi ora su questo problema.

MORTATI, Relatore, quanto alla durata della seconda Camera – problema che ancora non è stato esaminato – sarebbe favorevole alla contemporaneità dell’inizio e della fine della prima e della seconda Camera; ma, poiché dubita che col sistema elettorale a doppio grado possano sorgere gravi inconvenienti, nel senso che i consigli comunali o regionali potrebbero effettuare queste elezioni quando stanno per terminare il loro mandato, il che comprometterebbe notevolmente il carattere rappresentativo della seconda Camera, suggerisce come correttivo la rinnovazione periodica frequente dei deputati alla seconda Camera. Propone quindi la seguente formulazione:

«I membri della seconda Camera durano in carica 6 anni (salvo i casi di scioglimento della Camera stessa) e sono rinnovabili ogni due anni per un terzo. La rinnovazione avrà luogo per sorteggio per ciascuna regione e per ognuno dei due gruppi di membri di ogni regione».

FUSCHINI osserva che la rinnovazione periodica di una parte della seconda Camera dovrebbe rispondere allo scopo di assicurare alla rappresentanza legislativa del Paese una evoluzione graduale che accompagni quella politica della Nazione. Quindi, tralasciando di considerare i casi eccezionali in cui eventualmente si imponga la necessità dello scioglimento totale della seconda Camera, pensa che le date del rinnovamento parziale dovrebbero essere armonizzate con quelle delle elezioni politiche e delle elezioni amministrative, in modo da non dover procedere alle tre elezioni (amministrative e politiche per la prima e la seconda Camera) in un breve spazio di tempo, ad esempio nello stesso anno.

Riconosce l’opportunità – essendosi stabiliti quattro anni di durata per i consigli comunali e cinque per la Camera dei deputati – di stabilire una durata di 6 anni per la seconda Camera, ma rileva che la rinnovazione di questa per un terzo ogni due anni determinerebbe una situazione complessa, nella quale potrebbe verificarsi la coincidenza delle tre elezioni nel medesimo anno.

È pertanto d’avviso che la rinnovazione debba avvenire ogni tre anni per metà del numero dei componenti la seconda Camera.

EINAUDI pensa che una rinnovazione biennale determinerebbe una evoluzione continua di deputati della seconda Camera, che potrebbe compromettere quel carattere di stabilità che le è proprio e che le consente di acquistare la pratica legislativa necessaria alla revisione tecnica dei provvedimenti approvati dalla prima Camera.

Gradirebbe poi avere chiarimenti in merito allo scioglimento completo della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, non si nasconde che lo scioglimento totale dell’Assemblea, che dovrebbe verificarsi soltanto in casi eccezionali, rappresenta sotto molti aspetti un’anomalia, se riferita ad un’Assemblea la cui principale caratteristica deve essere quella della continuità. Ad ogni modo, si tratta di vedere in quali condizioni possa essere disposto lo scioglimento generale, sempre che la Sottocommissione entri nell’ordine di idee di prendere in considerazione questa ipotesi.

UBERTI si dichiara contrario ad una rinnovazione parziale della seconda Camera affidata esclusivamente all’estrazione a sorte, dalla quale potrebbe risultare alterato quell’equilibrio politico che si vuole mantenere anche a questa Assemblea; ed aggiunge che in tal modo si verrebbero a scardinare le basi teoriche e pratiche su cui poggia il sistema elettorale proporzionale.

Prepone la seguente formula: «Il Senato sarà rinnovato entro sei mesi dalla rinnovazione dei consigli regionali e dei consigli comunali».

NOBILE è contrario alla rinnovazione parziale della seconda Camera, perché con l’estrazione a sorte dei membri da dichiarare decaduti si ammetterebbe implicitamente l’accettazione del sistema del collegio uninominale.

MANNIRONI, pur essendo d’accordo sui concetti contenuti nella proposta dell’onorevole Mortati, riterrebbe opportuno rinviare la discussione a quando la Sottocommissione avrà deciso la durata dell’Assemblea regionale.

LA ROCCA è contrario sia alla proposta del rinnovamento parziale della seconda Camera – che ritiene non corrisponda allo scopo che i proponenti intendono raggiungere, quello cioè di far sì che la composizione della seconda Camera aderisca sempre alla volontà del corpo elettorale – sia all’altra di accordare alla seconda Camera una durata maggiore di quella della prima, perché assemblee che sono sullo stesso piano ed hanno le medesime funzioni ed i medesimi poteri, devono avere la medesima durata.

CONTI, Relatore, osserva incidentalmente che, a suo parere, per ciò che riguarda le elezioni dei consigli comunali, lo spazio di tempo intercorrente tra un’elezione e l’altra non dovrebbe essere uniforme per tutti i comuni, ma di durata maggiore per i grandi centri e molto più ridotta per i piccoli paesi, nei quali più facilmente si potrà sentire la necessità di mutamenti molto più rapidi nei consigli comunali.

Dichiara poi di considerare la seconda Camera in modo molto diverso dalla prima. A suo parere la seconda Camera non è un corpo politico, ma essenzialmente un organismo di perfezionamento legislativo, atto ad integrare l’opera della prima Camera.

In essa la lotta dei partiti non deve avere ragion d’essere. Ritiene perciò che le obiezioni sollevate in proposito non abbiano un’importanza fondamentale.

Concludendo, invita i colleghi a considerare che la Costituzione deve guardare lontano nel tempo e non tener presenti soltanto le esigenze delle prossime elezioni.

LCGONI, premesso che egli (ed il gruppo di cui fa parte) ha aderito alla tesi della diversità dei poteri, a quella favorevole al suffragio universale ed a quella concernente una diversa durata delle due Camere, dichiara che non interverrà in questa parte della discussione, essendo contrario alla elezione di secondo grado, al cui sistema sono collegati la durata in carica dei membri della seconda Camera ed il loro rinnovamento parziale.

NOBILE insiste nel suo punto di vista. Fa presente che non è possibile procedere alla discussione, se non si è deciso prima sul sistema di elezione; ritiene, infatti, che il sorteggio dei membri della seconda Camera da sostituire possa effettuarsi soltanto se si adotterà il collegio uninominale.

MORTATI, Relatore, fa presente che il sorteggio si effettuerà per regione; se, ad esempio, ad una regione sono assegnati 20 seggi, in quel collegio si farà l’elezione per 10.

LAMI STARNUTI dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Mortati, per coerenza sia al voto contrario da lui dato al sistema di elezione di secondo grado ed alla attribuzione a due corpi elettorali della nomina dei membri della seconda Camera, sia alla riserva di ripresentare la questione in Assemblea plenaria.

Il problema della durata delle assemblee elettive, importante e delicato, ha, a suo parere, due esigenze: quella di dare all’ente una congrua durata, affinché possa realizzare un determinato programma, e quella di non estendere troppo tale durata, al fine di consentirgli di rispecchiare le varie tendenze dell’opinione pubblica. Fa presente che lo stabilire dei termini troppo brevi può presentare il pericolo del susseguirsi di crisi, cosa che si verificava spesso in seno ai consigli comunali, quando era in vigore la legge amministrativa precedente a quella del 1915, che ammetteva appunto la loro rinnovazione parziale.

Segnala poi un altro inconveniente, e cioè che il medesimo corpo elettorale proceda alla nomina totale della seconda Camera e poi alla sua rinnovazione parziale, cosa questa che si verificherebbe se, fermo restando il principio della durata di quattro anni dei consigli regionali e comunali, si fissasse per il rinnovo parziale o totale della seconda Camera un limite di tempo piuttosto basso. Concorda perciò con l’onorevole Mannironi sulla opportunità di risolvere questo problema quando si sarà stabilita la durata dell’Assemblea regionale.

È d’accordo anche con l’onorevole Uberti nel riconoscere che, continuando su questa strada, si finirà con l’uccidere il sistema della proporzionale attraverso provvedimenti parziali. La Sottocommissione è libera di farlo, ma sarebbe opportuno che il problema fosse esaminato e risolto direttamente.

Concludendo, dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Mortati, che avrebbe l’effetto appunto di sostituire al sistema proporzionale quello maggioritario.

LUSSU dichiara anzitutto di essere favorevole ad una durata della seconda Camera identica a quella della prima, perché essa deve rispecchiare, come la prima, la volontà del popolo.

È poi favorevole ad un rinnovamento integrale della seconda Camera, contemporanea o quasi all’elezione della prima.

NOBILE alle considerazioni già fatte aggiunge l’altra dell’opportunità, per non falsare la proporzione delle forze dei vari partiti rappresentati nella seconda Camera, di effettuare il sorteggio per gruppi politici; ma soggiunge che, anche in tal modo, si avrebbero degli inconvenienti, perché, ad esempio, un gruppo di indipendenti potrebbe essere danneggiato. Torna quindi ad insistere nel suo concetto che non si può parlare di sistema di sorteggio dei singoli membri, se non si ammette il collegio uninominale.

UBERTI, illustrando il suo ordine del giorno, al quale si è associato l’onorevole Cappi, spiega che, data la difficoltà di stabilire una determinata durata del Senato in rapporto alla formazione delle Assemblee regionali, alle quali la seconda Camera è legata, ha ritenuto miglior partito mettere direttamente in relazione la rinnovazione del Senato con quella delle sue fonti elettorali, stabilendo che essa avrà luogo entro sei mesi dalla rinnovazione dei consigli regionali e comunali.

MORTATI, Relatore, domanda all’onorevole Uberti quale soluzione suggerisca nel caso di scioglimento prima della scadenza.

UBERTI risponde che in tal caso le Assemblee regionali o i consigli comunali potranno, tenendo conto delle ragioni che hanno determinato lo scioglimento delle due Camere, eleggere la medesima rappresentanza o, eventualmente, modificarla.

PRESIDENTE osserva che è opportuno considerare, prima del caso di scioglimento, quello della scadenza regolare.

MORTATI, Relatore, rileva che, secondo la storia parlamentare italiana, raramente la Camera dei deputati è durata l’intera legislatura; cosicché il caso di scioglimento, più che l’eccezione, costituisce la regola.

EINAUDI, a proposito della proposta dell’onorevole Uberti, osserva che il presupposto da cui essa parte, che cioè in tutte le regioni i consigli regionali e comunali siano eletti alla medesima data ed abbiano la stessa durata, potrebbe non sussistere perché, se l’autonomia regionale avrà un significato, le regioni, legiferando liberamente, potranno stabilire date e durate diverse, a meno che non si intenda obbligare le regioni a seguire una regola unica.

TOSATO si associa a quanto ha osservato l’onorevole Lussu, anche per la considerazione che il principio della parità fra le due Camere esige eguale durata della loro vita e rinnovamento contemporaneo.

MORTATI, Relatore, pur riconoscendo l’esattezza di quanto ha osservato l’onorevole Tosato, rileva che, data la diversità dei corpi elettorali della prima e della seconda Camera, l’esigenza della parità di nomina e di scioglimento potrebbe non trovare quella giustificazione che ha quando il corpo elettorale è il medesimo. Fa presente che la sua proposta mirava ad attenuare una eventuale disparità nella composizione del collegio che elegge la seconda Camera, rispetto allo schieramento politico del collegio che elegge la prima Camera. Del resto, l’insufficienza del sistema prescelto giustifica, a suo parere, l’ulteriore insufficienza delle norme di cui ora si discute.

PRESIDENTE ritiene che non si debba correggere una incongruenza creandone delle altre. Fa presente che le norme concernenti la seconda Camera sono il risultato di una serie di votazioni, spesso contrastanti, che hanno dato luogo a strane conclusioni: si tratta ora di stabilire fra tali principî contrastanti quale abbia maggior valore. A suo parere, il principio più importante è quello politico della parità di poteri della prima e della seconda Camera; e ritiene che da questo dato di fatto debbano discendere le conclusioni della Sottocommissione.

Ritiene valida la tesi sostenuta dall’onorevole Lussu, e cioè che i deputati della prima e della seconda Camera debbano avere un mandato che si pone egualmente nel tempo e che il rinnovamento debba avvenire per intero per ambedue le Camere in tempi coincidenti.

Quanto all’ultima osservazione fatta dall’onorevole Einaudi, manifesta la sua opinione personale che in genere tutte le regioni dovranno uniformarsi a delle regole generali; altrimenti non sarebbe possibile completare tutta la rimanente struttura dello Stato.

Concludendo, ritiene che la Sottocommissione debba anzitutto decidere circa la durata della seconda Camera e se la sua rinnovazione debba essere totale o parziale, pronunciandosi sugli ordini del giorno degli onorevoli Uberti e Mannironi.

EINAUDI ritiene pregiudiziale il problema se debba coincidere la data di rinnovamento di tutte le Assemblee rappresentative, centrali e locali, secondo un principio di uniformità della loro durata e quindi della loro scadenza, oppure se debba accedersi al concetto di una diversità di durata e di scadenza.

Per parte sua, non vede la necessità della uniformità e trova anzi più opportuno il criterio della diversità, per evitare che in un solo ristretto periodo di tempo debbano rinnovarsi le Assemblee regionali, i consigli comunali, la Camera dei deputati e, pochi mesi dopo, la seconda Camera. Osserva che, dovendosi risolvere contemporaneamente problemi politici generali e problemi amministrativi locali, si eviterebbe in tal modo il pericolo di vedere questi ultimi soffocati ed assorbiti dai primi.

PICCIONI prospetta l’opportunità di far coincidere il rinnovamento della seconda Camera non con quello della Camera dei deputati, ma con quello degli organi rappresentativi locali. Osserva in proposito che le elezioni amministrative dovranno avere una determinata scadenza ed effettuarsi nel giro di poche settimane, e non di mesi come sta verificandosi ora. In altri termini, le elezioni amministrative dovranno avvenire alla data fissata dal Governo centrale, il che non ferisce, a suo avviso, il principio dell’autonomia regionale e comunale.

Conclude chiedendo che si voti anzitutto sul rinnovamento totale o parziale della seconda Camera, e quindi sull’opportunità che le elezioni della seconda Camera avvengano non oltre sei mesi dal rinnovamento delle amministrazioni locali.

MONTATI, Relatore, ritira la sua proposta, pur ritenendo di ben difficile applicazione pratica la coincidenza alla quale ha accennato l’onorevole Piccioni, anche per la difficoltà di far durare le amministrazioni comunali quanto durerà la seconda Camera.

LUSSU prega l’onorevole Mannironi di ritirare la sua proposta di rinvio, dato che il problema, dopo tanta discussione, appare sufficientemente illustrato.

MANNIRONI non insiste nella proposta di rinvio.

EINAUDI rileva l’impossibilità di una eguale durata per i due rami del Parlamento, considerato che da un lato è già deciso che la Camera dei deputati si rinnovi ogni cinque anni, e dall’altro che le amministrazioni comunali, con le cui elezioni si vuol far coincidere il rinnovamento della seconda Camera, vengono rielette ogni quattro anni.

MORTATI, Relatore, concorda con l’onorevole Einaudi.

PORZIO non può non rilevare la situazione confusa che deriverebbe dallo scadere contemporaneo della prima e della seconda Camera, nonché delle Assemblee regionali e dei consigli comunali.

Domanda poi che cosa avverrebbe della seconda Camera nell’ipotesi che il Capo dello Stato decretasse l’anticipato scioglimento della Camera dei Deputati. Osserva, a questo proposito, che se si parte dal presupposto ideologico che unica è la fonte della sovranità, procedendosi alla elezione di una nuova Camera dei deputati prima del termine della legislatura, si dovrebbe arrivare alla conseguenza della rielezione anche della seconda Camera, la quale tuttavia non dovrebbe risultare dissimile dalla precedente, se invariato resta il collegio che la elegge, formato dalle Assemblee regionali e dai consigli comunali.

Conclude affermando la necessità di seguire un concetto di logica conclusiva: stabilire cioè la durata di ciascuna delle due Camere, indipendentemente, per quanto riguarda la seconda Camera, dalle elezioni dei consigli comunali e delle Assemblee regionali.

VANONI pone il quesito se, sciolta la prima Camera, si debba automaticamente considerare sciolta anche la seconda, oppur no; e domanda che la Sottocommissione sancisca esplicitamente uno dei due principî, tenendo presente che la questione potrebbe anche esser risolta stabilendo il concetto che la seconda Camera non possa mai essere sciolta prima del termine assegnatole.

Fa presente poi un altro problema importante: quello di stabilire se le due Camere debbano avere una durata costituzionalmente autonoma, oppure la medesima durata: in disaccordo con le osservazioni dell’onorevole Lussu, ritiene che la seconda Camera debba avere una durata diversa da quella della prima, così da rappresentare un anello di congiunzione fra una legislatura e l’altra, dando continuità alla vita legislativa del Paese.

Riguardo poi alle osservazioni dell’onorevole Uberti, rileva che è opportuno non legare la vita della seconda Camera alle elezioni amministrative, ché altrimenti si correrebbe il rischio di trasformare queste ultime in elezioni prettamente politiche, dando alla lotta elettorale amministrativa un carattere completamente diverso da quello che deve avere.

UBERTI, rispondendo alle osservazioni degli onorevoli Porzio e Vanoni, rileva che, indipendentemente dal momento in cui le elezioni di secondo grado dei membri della seconda Camera avranno luogo, per il fatto stesso che la seconda Camera viene eletta dai consigli comunali e regionali, le elezioni amministrative assumono notevole importanza. Del resto, praticamente, fin d’ora le elezioni amministrative hanno assunto carattere politico.

Ritiene, contrariamente all’onorevole Porzio, che lo scioglimento della seconda Camera non comporti necessariamente la ripetizione delle elezioni amministrative; i consigli comunali e regionali in carica in quel determinalo momento potranno benissimo provvedere alle nuove elezioni.

Conclude riaffermando il principio della opportunità di legare le elezioni della seconda Camera con quelle amministrative, in modo da avere nella seconda Camera un riflesso più vivo e più aderente alla realtà delle necessità e dei bisogni del corpo elettorale, e quindi della Nazione, in un determinato momento

(La seduta, sospesa alle 18.45, è ripresa alle 18.55).

PRESIDENTE ritiene che le due questioni, le quali a suo parere possono trovare una soluzione indipendentemente dagli altri problemi, sono le seguenti: le due Camere hanno uguale durata? La seconda Camera deve essere rinnovata in parte o totalmente?

MORTATI, Relatore, dichiara di ritirare la formula precedentemente proposta e di sostituirla con la seguente: «La seconda Camera dura 6 anni».

PRESIDENTE osserva che chi è favorevole a tale proposta è implicitamente contrario al concetto della parità di durata delle due Camere.

CAPPI si domanda se non sia preferibile porre in votazione il concetto generale, cioè se le due Camere debbano avere o meno eguale durata, salvo poi a specificare in seguito tale durata.

PRESIDENTE rileva che, a suo parere, il concetto sostenuto dall’onorevole Cappi – a differenza della proposta dell’onorevole Mortati – mette in luce l’aspetto politico del problema.

MORTATI, Relatore, ritiene che una valutazione politica sussista sempre nel fissare una determinata durata anziché un’altra. Del resto, una volta ammessa una diversa composizione del corpo elettorale delle due Camere, il problema della durata perde notevole importanza.

LUSSU rileva che la proposta dell’onorevole Cappi ha un contenuto tecnico, mentre quella dell’onorevole Mortati ne ha uno di carattere politico.

PRESIDENTE dà alle due proposte una valutazione completamente diversa da quella data dall’onorevole Lussu.

CONTI, Relatore, dichiara di fare sua la proposta di rinnovabilità delle due Camere che l’onorevole Mortati ha poco fa ritirato. Ritiene che la seconda Camera non abbia quella funzione conservatrice e politica che molti le attribuiscono, ma debba costituire il perno della continuità legislativa. In considerazione di tali concetti, insiste nella sua proposta che la seconda Camera duri sei anni e debba essere rinnovata per metà ogni tre.

LACONI dubita della giustezza dell’osservazione dell’onorevole Mortati, secondo la quale la disparità dei corpi elettorali giustificherebbe in qualche modo la disparità della durata dei due corpi legislativi. Ritiene all’opposto che, affermata la parità dei poteri delle due Camere, debba da ciò dedursi anche l’eguaglianza della durata, poiché sarebbe inconcepibile concedere una maggiore durata ad un corpo legislativo al quale si è riconosciuta, è vero, parità di poteri con l’altra Camera, ma contemporaneamente una base elettorale inferiore. Si dichiara quindi favorevole al concetto che dalla parità di poteri discenda anche l’eguaglianza della durata dei due corpi legislativi.

PICCIONI rileva che, se si accogliesse la proposta di far durare sei anni la seconda Camera, si verificherebbe l’anomalia che, ad intervalli, una «legislatura» amministrativa – della durata di 4 anni – non avrebbe la funzione di eleggere la seconda Camera. Per evitare tale fatto, che non ritiene conveniente anche dal punto di vista politico, pensa che bisognerebbe coordinare la durata della seconda Camera con quella della prima e con quella dei consigli regionali e comunali.

EINAUDI ritiene che l’anomalia segnalata dall’onorevole Piccioni abbia anche il suo lato favorevole, in quanto servirebbe a ribadire il principio che compito principale dei consiglieri regionali e comunali è quello di disimpegnare le loro funzioni in seno alle amministrazioni locali di cui fanno parte, e non quello di eleggere i membri della seconda Camera, che deve considerarsi secondario. In tal modo risulterebbe chiaramente che i consiglieri regionali e comunali sono nominati come tali, ed esercitano la funzione elettiva loro attribuita, nei riguardi dei membri del Senato, a seconda che, durante l’esercizio del loro mandato, abbiano o meno luogo le elezioni di questo.

PICCIONI non vede la ragione per la quale alcuni consiglieri regionali e comunali, oltre alla loro specifica funzione di amministratori di enti locali, abbiano anche il compito di eleggere i membri della seconda Camera, mentre altri – per un puro meccanismo di tempo, che non ha alcuna giustificazione logica – non debbano averlo. Aggiunge che, se si dovesse accettare il periodo di sei anni di durata, bisognerebbe necessariamente prevedere il rinnovamento parziale della seconda Camera, perché ritiene che il termine di sei anni, eccessivamente lungo per un’Assemblea composta dello stesse persone, cristallizzi troppo la situazione politica, la quale è invece molo fluida. Ricorda in proposito che al termine della legislatura 1913-1919, la Camera non rappresentava più la situazione politica del Paese.

PRESIDENTE ritiene che debba essere innanzitutto posta in votazione la proposta Mortati-Conti, che prevede in sei anni la durata della seconda Camera, e successivamente la questione della sua rinnovazione parziale, e, ove questa debba aversi, ogni quanto tempo, e in quale proporzione.

FABBRI osserva che non in tal modo deve procedersi alla votazione, perché coloro che propongono la durata di sei anni condizionano la loro proposta al fatto del rinnovamento parziale. Poiché il concetto è unico, non vede la ragione di procedere a due separate votazioni.

Precisa, comunque, che voterà in favore della proposta Mortati-Conti, perché si avvicina più delle altre al suo punto di vista, al concetto cioè di una seconda Camera che duri in carica sei anni, rinnovabile ogni due anni per un terzo. Egli, infatti, considera la seconda Camera un organo di stabilità legislativa e di durata permanente, indipendentemente da ogni coincidenza con altre elezioni.

Ritiene d’altra parte che tutto il problema dei rapporti tra i due rami del Parlamento possa essere risolto riconoscendo al primo la facoltà di non accettare eventualmente i deliberati del secondo, ma consentendo a quest’ultimo di permanere anche nei periodi di vacanza della Camera dei deputati, sia tale vacanza dovuta alla normale scadenza o ad un anticipato scioglimento.

PRESIDENTE osserva che l’originaria proposta fatta dall’onorevole Conti considerava i due concetti della durata e del rinnovamento separatamente in due distinti capoversi.

CONTI, Relatore, precisa che il primo concetto è in stretta funzione dell’altro.

LEONE GIOVANNI suggerisce di porre in votazione la proposta della durata di sei anni, con l’intesa che, se questa semplice formulazione venisse respinta, essa verrà di nuovo votata insieme alla condizione del rinnovamento.

LUSSU concorda col Presidente circa l’opportunità di porre in votazione in primo luogo la durata della seconda Camera. A questo proposito ritiene che si dovrebbe votare innanzi tutto l’ordine del giorno Cappi, che mira a stabilire un’identica durata delle due Assemblea legislative. Se si approvasse questa proposizione, verrebbero a cadere, a suo avviso, tutte le altre difficoltà di far coincidere o meno le elezioni della seconda Camera con altre elezioni, in quanto i due rami del Parlamento seguirebbero una medesima sorte.

LA ROCCA concorda con l’onorevole Lussu nel ritenere l’identità di durata delle due Assemblee legislative come punto centrale e pregiudiziale della discussione.

PICCIONI non ha nulla in contrario a che la seconda Camera abbia la stessa durata della prima, purché vi sia un coordinamento con le elezioni delle amministrazioni locali. Non vede però tale possibilità, se si mantiene il termine di cinque anni per le elezioni alla prima Camera e quello di quattro anni per le elezioni nelle amministrazioni locali.

LEONE GIOVANNI dichiara di votare favorevolmente alla durata di sei anni, ma solo in funzione del rinnovamento periodico.

CAPPI, anche a nome dell’onorevole Uberti, dichiara che, se sarà posta in votazione la questione se la seconda Camera debba avere una durata eguale alla prima, egli voterà per una durata diversa, intendendo con ciò affermare il concetto che tale durata debba comunque essere inferiore a quella della prima Camera.

PRESIDENTE rileva che nell’ordine delle votazioni la precedenza, per ovvie ragioni, dovrà essere data alle questioni di principio della parità di durata delle due Camere e del rinnovamento parziale o totale della seconda Camera, senza stabilire periodi di durata, i quali dovranno decidersi in un secondo tempo. Aggiunge che, votando per la parità di durata tra le due Camere, la Sottocommissione non prende alcun impegno in merito alla durata stessa; né deve considerarsi vincolata dal fatto che è stato già precedentemente fissato un termine di cinque anni per la prima Camera. Ricorda a questo proposito che, al principio dei lavori, si venne nella determinazione che si sarebbe sempre potuto tornare sopra le decisioni adottate.

LUSSU ritiene che la dichiarazione degli onorevoli Uberti e Cappi complichi ancor più il problema. D’altra parte crede che non vi debbano essere complicazioni in merito alla durata della legislatura delle due Camere, perché ritiene che le elezioni per la seconda Camera debbano necessariamente seguire a brevissima distanza (al massimo due mesi) quelle della prima Camera. Ciò anche in relazione al fatto, di cui si dichiara certo, che nel caso di ritardo nelle elezioni regionali dovranno anche prorogarsi quelle per la prima Camera. In tal modo si potrà esser certi che la seconda Camera non avrà mai una durata maggiore di quella della prima.

Ritiene poi che il problema relativo alla rinnovazione debba essere trattato in un secondo momento.

PORZIO è d’avviso che i concetti contenuti nelle proposte degli onorevoli Mortali e Conti siano molto vicini l’uno all’altro, ed è del parere che si debba votare la questione se la seconda Camera debba avere una durata di sei anni con rinnovazione periodica ogni tre anni.

CONTI, Relatore, non avrebbe alcuna difficoltà, pur mantenendo la sua primitiva proposta, a ridurre il termine a quattro anni.

AMBROSINI si associa alla dichiarazione dell’onorevole Porzio ed afferma che l’originaria proposta dell’onorevole Conti e quella dell’onorevole Mortali sono le più semplici e, soprattutto, inscindibili. Inoltre non vede alcuna difficoltà di carattere procedurale in merito ad un’unica contemporanea votazione sulla durata e sulla rinnovazione totale o parziale della seconda Camera.

PRESIDENTE rileva il preciso significalo politico – sfuggito forse a qualche membro della Sottocommissione – della dichiarazione dell’onorevole Cappi, il quale, negando alla seconda Camera una durata maggiore di quella della prima, ha voluto anche negare un carattere di preminenza della seconda Camera rispetto alla prima; ed in questo senso non ha creato una confusione, ma ha contribuito a chiarire un aspetto della questione.

Osserva poi che l’onorevole Conti non insiste affatto sul termine di sei anni, che ridurrebbe anche a quattro, perché la questione di principio è per lui quella del l’innovamento parziale, che non è affatto legata alla durata di sei anni.

PERASSI propone una formula del seguente tenore:

«I membri della seconda Camera sono eletti per la durata di quattro anni e si rinnovano per metà ogni due anni».

Questa formula concorda con quanto ha recentemente proposto l’onorevole Conti.

EINAUDI ritiene che sia possibile superare il dubbio sollevato dall’onorevole Nobile, che cioè il principio della proporzionale possa esser falsato a causa del sorteggio per il rinnovamento parziale, per mezzo di un provvedimento transitorio, da adottarsi per il primo rinnovamento, perché in seguito essendo il corpo elettorale chiamato ogni volta ad eleggere 150 nuovi membri, potrà agire la proporzionale.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Einaudi che il risultato del primo sorteggio è destinato a ripercuotersi in permanenza sulla composizione della seconda Camera.

PERASSI, illustrando il suo ordine del giorno, dichiara di non vedere la logica connessione – affermata da alcuni colleghi – tra il principio della parità fra le due Camere e quello che la seconda non debba avere durata superiore alla prima, e di non ritenere che costituisca una diminuzione per la prima Camera il fatto che si stabilisca una maggiore durata per la seconda. Aggiunge di aver proposto il termine di quattro anni appunto per superare questa obiezione.

Quanto al concetto del rinnovamento parziale, osserva che per la sua applicazione pratica occorrerà superare l’obiezione fatta dall’onorevole Nobile. Fa presente che la Costituzione francese la ha superata tenendo presente non il criterio di scelta dei membri da rinnovare, ma quello dei dipartimenti in cui le elezioni dovranno aver luogo.

EINAUDI fa presente che si potrebbe stabilire, per la prima volta, che la metà dei membri la quale ha riportato più voti si consideri eletta per quattro anni e l’altra metà per due anni.

PICCIONI si dichiara favorevole alla proposta Conti, perché ritiene che la maggior durata complessiva della seconda Camera non alteri il rapporto esistente tra le duo Camere, né possa influenzare il prestigio politico della prima.

LA ROCCA dichiara di esser contrario alla proposta dell’onorevole Conti per le ragioni precedentemente esposte. Fa presente inoltre che, con l’accoglimento di tale proposta, la seconda Camera diverrebbe l’organo sovrano della vita nazionale, perché sarebbe una Camera permanente, rinnovata ogni tre anni per la metà.

MANNIRONI domanda se, votando favorevolmente alla proposta Conti, si resta poi impegnati a votare per la continuità dell’organo, oppure si è liberi di sostenere che la seconda Camera debba essere completamente rinnovata alla scadenza dei sei anni.

PRESIDENTE spiega che, evidentemente, votando la proposta Conti, si vota implicitamente per la continuità della seconda Camera, che si esprime appunto nel rinnovamento parziale.

MANNIRONI, dopo i chiarimenti avuti dal Presidente, dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Conti.

PRESIDENTE rileva che la continuità che discende dal rinnovamento parziale dà alla seconda Camera non una durata maggiore della prima, ma l’eternità della vita rispetto ad un’Assemblea destinata a morire di tempo in tempo.

Osserva inoltre che, approvando la proposta dell’onorevole Conti, si assicura ai membri della seconda Camera una durata in carica superiore a quella dei deputati alla prima Camera, perché, ad eccezione della prima rinnovazione, per la quale metà dei membri della seconda Camera rimarrà in carica soltanto tre anni, successivamente tutti i componenti rimarranno in carica sei anni. Dichiara perciò di esser contrario alla proposta dell’onorevole Conti.

Pone ai voti la formula proposta dall’onorevole Conti, che stabilisce in sei anni la durata in carica dei membri della seconda Camera e la rinnovazione, ogni tre anni, della metà di essi.

(Con 16 voti favorevoli e 13 contrari, è approvata).

La seduta termina alle 20.15.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon, Rossi Paolo.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Patricolo, Targetti.

SABATO 19 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

33.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 19 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Ravagnan – Conti, Relatore – Bozzi – Ambrosini – Einaudi – Fabbri – Nobile – Lussu – La Rocca – Cappi – Mortati, Relatore – Vanoni – Fuschini – Bulloni – Perassi – Rossi Paolo – Tosato – Mannironi – Zuccarini.

La seduta comincia alle 8.50.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE informa che si riprende l’esame delle categorie di eleggibili a membri della seconda Camera, iniziato nella seduta precedente. La dodicesima, nella elencazione suggerita dall’onorevole Mortati, è la seguente: «Magistrati di grado di appello o superiore». Gli onorevoli Bozzi e Bulloni hanno fatto una proposta analoga, ma in termini più precisi: «Magistrati dell’ordine giudiziario, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, di grado non inferiore al VI».

RAVAGNAN, premesso che dalle sue parole esula qualsiasi sentimento men che riguardoso verso la magistratura, dichiara di essere contrario all’inclusione di tale categoria, in quanto già esiste la possibilità che magistrati arrivino alla seconda Camera quali dirigenti della rispettiva organizzazione sindacale.

CONTI, Relatore, esprime l’avviso – malgrado la sua contrarietà per il sistema in discussione – che i magistrati debbano rimanere fuori delle organizzazioni sindacali. Essi potranno avere associazioni proprie per la difesa di interessi specifici della categoria, ma non entrare in organizzazioni che li assimilino ad altre categorie che perseguano finalità classiste.

BOZZI concorda, aggiungendo per altro che se si escludesse la categoria dei magistrati dalla seconda Camera si perderebbe l’apporto veramente prezioso di persone eminenti che, per la loro competenza ed il loro senso di indipendenza, sono le più indicate per quella valutazione serena e obiettiva che è necessaria ad una saggia legiferazione. Le stesse ragioni che hanno consigliato di includere i professori, prescindendo dall’inquadramento in organizzazioni sindacali, suffragano l’inclusione dei magistrati.

AMBROSINI fa presente l’opportunità di includere fra gli eleggibili alla seconda Camera i magistrati come tali, a prescindere dalla loro appartenenza a categorie organizzate, e ciò per l’abito mentale di indipendenza, serenità ed equilibrio, oltre che per la preparazione tecnica e l’apporto di prim’ordine che i magistrati possono dare alla formazione della legge.

EINAUDI si associa ed esprime solo la sua perplessità rispetto al grado da cui si dovrebbe partire. Posto che la caratteristica della magistratura, da tutti riconosciuta, è appunto l’indipendenza, teme che, consentendo ad un magistrato di grado non elevato – giudice, o referendario del Consiglio di Stato o della Corte dei conti – di divenire membro della seconda Camera, l’avanzamento nella carriera possa subire qualche influenza politica.

FABBRI non trova rilevante l’obiezione dell’onorevole Ravagnan, anche per il fatto che la categoria a cui si è riferito è limitata ai membri direttivi delle associazioni sindacali, e non ai componenti. Quindi anche se – contro il giusto punto di vista dell’onorevole Conti – esistesse un’associazione sindacale di magistrati, solo i dirigenti (che generalmente sono scelti proprio tra funzionari di grado non elevato) sarebbero qualificati per entrare nella seconda Camera.

NOBILE osserva che i colleghi che hanno preso la parola sono tutti partiti dal presupposto della maggiore indipendenza dei magistrati, dimenticando che, per il fatto stesso della inclusione in liste di partiti, tale indipendenza viene a cessare.

BOZZI replica che si può conservare la propria indipendenza nell’espletamento del mandato, pur essendo inclusi in liste politiche. Propone di votare il principio, rimandando la precisazione del grado.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Fabbri che, se mai, sono proprio le sue considerazioni che potrebbero far accedere all’opinione dell’onorevole Ravagnan. Ritiene infatti che si potrebbero trovare elementi idonei a ricoprire la carica di membro della seconda Camera, non solo fra i gradi più elevati, ma eventualmente anche negli inferiori, poiché la selezione è riferita non alla capacità professionale, ma a doti di carattere più ampio.

FABBRI replica che in simili casi potrà soccorrere la categoria dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali citata dall’onorevole Ravagnan; in mancanza, potrà costituire requisito di eleggibilità il grado elevato.

RAVAGNAN fa presente che sostiene la sua tesi anche per una questione di principio: che, cioè, i rappresentanti di un potere (giudiziario) non possano entrare a far parte di un altro (legislativo).

PRESIDENTE, accedendo alla proposta dell’onorevole Bozzi, pone ai voti il principio che la qualifica di magistrato – salvo a determinare in seguito il grado – possa costituire titolo per l’elezione alla seconda Camera.

(È approvato).

Dà lettura della successiva categoria, proposta dall’onorevole Mortati: «funzionari dello Stato o degli enti pubblici dal grado I fino al grado IV», alla quale corrisponde quella degli onorevoli Bozzi e Bulloni: «funzionari dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni di grado non inferiore al IV della gerarchia statale o ad esso equiparati».

NOBILE domanda se si intendano compresi anche i generali e gli ammiragli.

PRESIDENTE risponde affermativamente, facendo rilevare che non è precisato che si tratti di «funzionari civili».

Pone in votazione la formula Bozzi-Bulloni.

RAVAGNAN dichiara che voterà contro per i motivi già esposti.

(È approvata).

PRESIDENTE dà lettura della proposta dell’onorevole Lussu di includere «i capi della resistenza e della guerra di liberazione compresi fra i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali e i comandanti partigiani di formazioni non inferiori alla divisione».

LUSSU riconosce che la formulazione può non essere felice, ma per quel che riguarda la sostanza, la sua proposta non è suggerita tanto da ragioni sentimentali, quanto dalla considerazione politica che la consacrazione del principio nella Costituzione serva a riaffermare la grande volontà di rinnovamento democratico del Paese. Si tratta di persone che, oltre ad essere stati eroi ed esempi di vita civica, hanno dato un eccezionale esempio di capacità organizzativa, essendo riusciti, attraverso ad infinite difficoltà, a costituire reparti armati e ad organizzare la vita amministrativa dei comuni. Ritiene che questa categoria debba essere posta in testa alla elencazione, anche per la certezza che ciò può concorrere a far diminuire al di là delle frontiere la diffidenza verso la nostra democrazia, ancora tacciata di fascismo e di monarchismo.

LA ROCCA è d’accordo nell’avviso che coloro che si sono consacrati alla causa della liberazione e della redenzione del Paese debbano essere considerati quant’altri mai meritevoli di entrare nella seconda Camera e che dar loro una precedenza sugli altri costituisca un’affermazione politica utile.

CAPPI è pienamente d’accordo con i colleghi, salvo per quanto riguarda la collocazione della categoria al primo posto, che gli pare accentuerebbe una dolorosa scissione che ha disunito e travagliato l’Italia.

CONTI, Relatore, pur riaffermando l’avversione del partito repubblicano alla politica dei Comitati di liberazione nazionale, riconosce che, per l’eroismo dimostrato e per la lodevolissima intenzione di agire nell’interesse della libertà, e spesso anche della Repubblica, i componenti del Comitato di liberazione nazionale meritino la qualifica di eleggibili alla seconda Camera, da consacrarsi, se non nel testo della Costituzione, almeno nelle disposizioni transitorie.

LUSSU precisa la sua intenzione di riferirsi ai Comitati di liberazione nazionale dell’Alta Italia, escludendo quelli sorti dopo la liberazione.

FABBRI si dichiara favorevole ad una formulazione che includa sia i combattenti regolari che gli irregolari, purché decorati al valore nella guerra di liberazione, evitando qualsiasi altra distinzione pericolosa.

BOZZI conviene con l’onorevole Conti che il principio, essendo legato ad una situazione di contingenza, dovrebbe entrare nel complesso di disposizioni transitorie e non essere cristallizzato nella Carta costituzionale.

MORTATI, Relatore, è contrario alla proposta Lussu perché, anche se a questi valorosi organizzatori e combattenti deve andare tutta la gratitudine del Paese, ciò non può costituire titolo sufficiente per far parte di un corpo politico.

VANONI accetta in linea di massima i criteri dell’onorevole Lussu, ma si preoccupa della distinzione che si pone tra Nord e Sud. Non si può, infatti, dimenticare che anche nel Meridione si sono avuti episodi di grande valore, primo tra tutti la insurrezione di Napoli. Ritiene pertanto che occorrerà studiare una precisa formula che tenga conto di questa esigenza.

Concorda sulla opportunità di inserire la norma tra le disposizioni transitorie, senza con questo voler sottovalutare i meriti della categoria.

PRESIDENTE è contrario alla formulazione «combattenti regolari e irregolari», suggerita dall’onorevole Fabbri, sia perché ritiene che i capi delle formazioni regolari possano rientrare nella categoria dei funzionari dello Stato, sia perché quella formulazione implicherebbe disconoscimento dei titoli dei capi politici, che nel campo civile hanno dato indiscusse prove di capacità organizzativa, prima della liberazione, e nel periodo immediatamente successivo.

Ritiene inoltre che sia necessario inserire la norma nel corpo della Carta costituzionale, in quanto la categoria dei benemeriti della guerra di liberazione non si esaurirà evidentemente con la prima elezione della seconda Camera, ma dovrà essere tenuta presente anche in alcune delle successive. In seguito la norma cadrà in perenzione. Circa il rilievo dell’onorevole Cappi, osserva che non si tratta di accentuare divisioni, ma di assumere ancora una volta una precisa posizione, avallata dalla solennità della Carta costituzionale, nel giudizio di condanna verso movimenti che tanto male hanno fatto al Paese.

FABBRI spiega che, se è vero che, da un punto di vista strettamente giuridico, i capi delle formazioni regolari possono considerarsi inclusi nella categoria dei funzionari dello Stato, lo stesso substrato politico che consiglia la collocazione della categoria al primo posto può indurre a non porre l’accento su una differenziazione tra formazioni regolari e irregolari.

CONTI, Relatore, si dichiara convinto dagli argomenti del Presidente sulla opportunità di dare il primo posto nella elencazione alla categoria in esame.

LUSSU non dà peso eccessivo alla obiezione dell’onorevole Vanoni che si ponga una distinzione tra Nord e Sud; né aderisce al punto di vista dell’onorevole Fabbri, osservando che l’esercito regolare ha un preciso dovere da compiere ed il fatto che lo abbia compiuto, anche se egregiamente, non rappresenta un titolo di merito eccezionale. Ricorda che lo stesso criterio ha guidato il Consiglio dei Ministri nella scelta dei membri della Consulta.

NOBILE obietta che il ragionamento dell’onorevole Lussu si attaglia ai fatti di guerra normali, ma non alla guerra di liberazione, che aveva piuttosto il carattere di una lotta civile. In questo caso l’atteggiamento dei militari che combattevano, mentre al di là delle linee le loro famiglie erano esposte a tutte le rappresaglie, assume un rilievo politico che è utile sottolineare. Aderisce pertanto alla proposta dell’onorevole Fabbri.

PRESIDENTE propone la formula: «I capi delle formazioni regolari e partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione, i Presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali e i membri del Comitato di liberazione nazionale dell’Italia settentrionale».

AMBROSINI non approva il riferimento all’Italia settentrionale.

EINAUDI osserva che occorre chiarire fino a qual momento la carica di Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale può costituire requisito di eleggibilità.

PRESIDENTE riconosce l’opportunità di precisare: «fino al momento della liberazione».

RAVAGNAN trova eccessivamente restrittiva la limitazione al solo periodo clandestino, che trascura tutta l’attività svolta subito dopo la liberazione.

FUSCHINI rileva che la formula proposta escluderebbe i principali attori della resistenza dell’Italia meridionale e soprattutto di Napoli.

FABBRI pone in evidenza che, anche per non trascurare la gloriosa epopea napoletana, ha preferito porre l’accento sulle decorazioni al valore. Aggiunge che, dal punto di vista dell’importanza numerica dei reparti, il comando di divisione partigiana rappresenta un criterio pressoché inafferrabile.

LUSSU ricorda – a giustificare la sua contrarietà alla proposta Fabbri – che personalmente per la resistenza di Roma non ha fatto alcuna proposta di ricompensa e gli consta che anche per Napoli sono limitatissime le pratiche per decorazioni al valore.

PRESIDENTE teme che il criterio di dar peso alle decorazioni – che sono a discrezione della sensibilità dei comandanti – possa provocare delle sperequazioni. D’altra parte, di fronte alla difficoltà di identificare i capi della resistenza napoletana che si è manifestata come una forma tipica di insurrezione spontanea, priva di un qualsiasi centro dirigente, propone, accedendo in parte alla proposta dell’onorevole Fabbri, di votare per divisione la seguente formula: «I capi delle formazioni regolari e partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione; i decorati al valore nel corso della stessa guerra e i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali fino al momento della liberazione».

Pone ai voti la prima parte di tale formula e precisamente: «I capi delle formazioni regolari e partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione».

(È approvata).

Mette ai voti la seconda parte: «i decorati al valore nel corso della stessa guerra».

(È approvata).

Pone in votazione l’ultima parte: «e i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali fino al momento della liberazione».

(È approvata).

Mette infine ai voti la proposta che la categoria così determinata sia collocata in testa all’elencazione.

(È approvata).

Dà notizia di una successiva proposta dell’onorevole Mannironi: «Si propone che tra gli eleggibili alla seconda Camera siano inclusi anche i membri elettivi dei consigli di amministrazione delle istituzioni di assistenza e beneficenza, che abbiano ricoperto tale carica per almeno 3 anni».

VANONI è d’accordo nella sostanza – trattandosi di persone benemerite – ma rileva che non esistono membri elettivi delle istituzioni di assistenza e beneficenza, in quanto le designazioni avvengono da parte dei Consigli comunali.

FABBRI propone che il periodo di permanenza nella carica sia portato a cinque anni.

BULLONI vorrebbe che in questa categoria fossero compresi i presidenti degli istituti ospitalieri.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Fabbri. Ritiene che gli istituti ospitalieri possano intendersi compresi tra gli istituti di assistenza e beneficenza e non sia necessario nominarli espressamente. Comunque, il verbale di questa seduta potrà servire per l’esatta interpretazione della norma.

Piuttosto, data la eccessiva estensione della categoria – poiché forse non v’è comune in Italia che non abbia un sia pur modesto istituto del genere – ravvisa l’opportunità di introdurre qualche elemento restrittivo, o riferito alle persone (limitandosi, per esempio, ai presidenti dei Consigli di amministrazione) o agli istituti (tenendo presente la loro importanza).

VANONI, per facilitare l’interpretazione nel senso accennato dal Presidente, suggerisce di togliere le parole «dei Consigli», perché gli istituti ospitalieri non hanno Consigli di amministrazione.

PRESIDENTE pone ai voti la seguente formulazione: «I presidenti delle Amministrazioni di istituzioni di assistenza e beneficenza che abbiano ricoperto tale carica per almeno cinque anni».

(È approvata).

FABBRI ricorda di avere accennato nella precedente seduta alla opportunità di introdurre anche la categoria dei direttori di quotidiani d’importanza nazionale o di importanti riviste politiche, che abbiano ricoperto la carica per un periodo di almeno dieci anni.

PRESIDENTE obietta che si tratta di persone organizzate sindacalmente e che non hanno un titolo subordinato ad un riconoscimento, ma spesso soltanto un’ampia disponibilità finanziaria. D’altra parte occorrerebbe fare una classificazione dei giornali a seconda dell’importanza.

CONTI, Relatore, concorda, aggiungendo che, ove si accogliesse la proposta, si introdurrebbe un criterio esclusivamente politico in una elencazione di categorie economiche e sociali.

FABBRI non insiste.

PERASSI fa presente che l’ordine di approvazione delle varie categorie non dovrebbe considerarsi definito, e perciò alcuni spostamenti sarebbero necessari. Per esempio i sindaci e consiglieri comunali dovrebbero seguire i membri delle Assemblee regionali. Rileva inoltre che non sono stati ancora determinati i motivi di ineleggibilità e incompatibilità.

MORTATI, Relatore, ricorda a questo proposito che è stata approvata, nei riguardi della prima Camera, una disposizione alla quale potrebbe farsi riferimento.

TOSATO prospetta l’opportunità di prevedere l’incompatibilità per i membri delle Assemblee regionali, in vista della notevole ed impegnativa attività che essi dovranno spiegare in queste ultime.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole Mortati e lo prega di preparare per la prossima seduta una elencazione completa dei casi di incompatibilità e di ineleggibilità prevedibili.

PERASSI ricorda che è ancora in sospeso la determinazione del numero minimo fisso di rappresentanti per ogni regione e del coefficiente per la quota spettante in proporzione alla popolazione.

MORTATI, Relatore, ritiene che una decisione al riguardo sarebbe intempestiva, laddove ancora non si conosce l’effettiva configurazione delle regioni. Per esempio, l’esistenza di più regioni di proporzioni modeste potrebbe consigliare un abbassamento del minimo fisso. È altresì del parere che dovrebbe darsi incarico ad un tecnico di fare i calcoli dei correlativi spostamenti dei due elementi.

PRESIDENTE conviene per quanto riguarda la quota minima, pur ritenendo che la composizione delle regioni non possa subire modifiche notevoli. Crede anche che la materia richiederà una norma transitoria, perché l’accuratezza delle indagini che occorrerà espletare non consentirà una rapida ultimazione del lavoro.

Ha invece qualche perplessità sulla convenienza di rinviare anche la precisazione del quoziente di proporzionalità, dal momento che si è assicurata ad ogni regione una rappresentanza sufficiente.

MORTATI, Relatore, obietta che non si può determinare un elemento e lasciare indeterminato l’altro, perché il numero complessivo dei membri della seconda Camera sarà dato dalla somma dei due fattori e si è già stabilito che dovrà mantenersi inferiore a quello dei deputati alla prima Camera.

PERASSI, a puro titolo indicativo, comunica che, adottando la quota minima di 5 e la proporzione di un rappresentante ogni 200 mila abitanti, si avrebbero 85 membri per il minimo fisso e 203 per la quota rapportata alla popolazione (totale 288); facendo invece il calcolo sulla base del numero fisso 4 e di un rappresentante ogni 150 mila abitanti si avrebbero 68 rappresentanti per il primo gruppo e 269 per il secondo (totale 337).

PRESIDENTE osserva che le definitive decisioni in merito alla consistenza delle regioni potranno portare spostamenti minimi, tali da non alterare in nessun caso l’equilibrio di forze tra le due Camere. Crede pertanto che potrebbe stabilirsi il quoziente di proporzionalità.

FUSCHINI insiste sull’opportunità di studiare insieme i due elementi, ad evitare squilibri, rilevando altresì che l’eventuale aumento dell’entità numerica della seconda Camera potrebbe anche consigliare di tornare sulle decisioni prese al riguardo nei confronti della prima Camera.

PRESIDENTE si rimette al parere della Sottocommissione, pur esprimendo l’avviso che la quota fissa di 5 e il quoziente di un rappresentante ogni 200 mila abitanti possa rappresentare la base per una decisione di massima, in quanto gli spostamenti in relazione al numero delle regioni non potrebbero alterare profondamente il risultato.

FABBRI considera utile decidere preliminarmente in merito all’altra proposta Perassi, relativa al modesto contingente di membri eletti dalla prima Camera o dalla Assemblea nazionale. Infatti questa eventuale terza fonte di elezione giuoca agli effetti della determinazione del numero complessivo dei membri della seconda Camera.

PRESIDENTE invita l’onorevole Perassi ad illustrare la sua proposta.

PERASSI, premesso che non vede alcuna obiezione pregiudiziale alla possibilità che un gruppo di deputati alla seconda Camera venga eletto da un terzo corpo, in quanto si è esclusa soltanto la nomina da parte del Capo dello Stato, fa presente che il sistema può essere consigliato dalle stesse ragioni di opportunità che potevano giustificare l’elezione da parte del Capo dello Stato. Ma anche un’altra considerazione viene a suffragare la sua tesi: quella che, dati i criteri adottati e data soprattutto la disposizione che richiede come requisito per l’eleggibilità l’essere domiciliati nella regione, un italiano che viva all’estero non avrebbe la possibilità di essere eletto. Il congegno proposto potrebbe quindi rappresentare il mezzo per far entrare nella seconda Camera personalità rappresentative degli italiani all’estero.

ROSSI PAOLO avverte che bisognerebbe precisare: «fuori delle categorie indicate».

PERASSI è d’accordo, salvi, naturalmente, i requisiti generici.

BOZZI dichiara di essere favorevole in linea di principio alla proposta Parassi, senza però rendersi conto delle ragioni per cui la scelta dovrebbe essere affidata alla Camera dei Deputati o all’Assemblea nazionale e non piuttosto esclusivamente alla seconda Camera. Non ritiene opportuna questa derivazione integrativa della seconda Camera da un altro organo con cui collabora con piena parità di funzioni. Propone pertanto la seguente formula: «Il Senato sceglie dopo la convalida dei suoi membri, 15 senatori, anche fuori delle categorie indicate dall’articolo precedente».

CAPPI si associa.

TOSATO riconosce che la proposta Bozzi risponde ad una effettiva esigenza, perché la seconda Camera potrebbe avvertire qualche lacuna nella propria composizione. Tuttavia non arriverebbe al sistema della cooptazione, che comporterebbe il ritorno alla elezione di terzo grado, che si è voluto escludere. Per conciliare le due tesi, crede si potrebbe stabilire che la seconda Camera faccia la designazione e l’elezione avvenga da parte della prima.

NOBILE dichiara di essere contrario al principio e di preferire se mai la proposta Perassi.

EINAUDI esprime l’avviso che la cooptazione sia uno dei migliori metodi di elezione. Nasce infatti nell’organo che deve procedervi il desiderio di fare la migliore scelta possibile per arricchirsi di uomini meritevoli, rimasti fuori. Ricorda che le Repubbliche di Venezia e di Genova hanno derivato la loro forza e si sono mantenute in vita per quasi un millennio in virtù di questo sistema, che oggi ancora funziona egregiamente nelle Università.

LUSSU non esclude che si possa tornare sulle decisioni già prese, ove sia assolutamente indispensabile; ma tiene a ricordare che si è precedentemente approvato un ordine del giorno, secondo il quale la seconda Camera deve essere eletta su base regionale. Ora, è evidente che, così stando le cose, non si potrebbe attribuire ad un altro organismo la facoltà di nominare deputati alla seconda Camera senza annullare la deliberazione già approvata. Né va dimenticato il turbamento che si arrecherebbe all’andamento delle elezioni.

Trova pure che la preoccupazione che possano essere esclusi elementi notevoli dei nuclei italiani all’estero è apprezzabile, ma non sufficiente a giustificare la proposta, perché costoro potranno sempre essere eletti dai consigli delle regioni in cui sono nati ed in cui avranno conservato le radici naturali.

MORTATI, Relatore, richiama l’attenzione sulla opportunità di considerare il problema dal punto di vista delle sue conseguenze politiche. Se si attribuisse alla prima Camera questo diritto di elezione integrativa, evidentemente essa farebbe una scelta politica. È da stabilire se tale elezione debba essere fatta col sistema proporzionale o col maggioritario, ma comunque la maggioranza influirebbe per farla cadere su persone di un suo partito o di tendenza politica vicina, col risultato di spostare la composizione della seconda Camera e di avvicinare il suo colore politico a quello della prima Camera. Ma tutto ciò, anche se potesse rappresentare un fine apprezzabile, è certamente in contrasto col criterio di accentuare l’indipendenza della seconda Camera rispetto alla prima; il che potrebbe consigliare di non operare questi spostamenti di maggioranza.

A ciò va aggiunta la fondata argomentazione dell’onorevole Lussu che, una volta ammesso un criterio regionale, bisogna preoccuparsi che la proporzione di forze fra le regioni resti inalterata.

Trae lo spunto da queste considerazioni per osservare incidentalmente che, ove si voglia mantenere sempre l’equilibrio fra le varie regioni, oltre a respingere la proposta Perassi, occorre introdurre nel meccanismo della seconda Camera una disposizione relativa alla supplenza, o ad altro sistema per coprire, senza indugi, le eventuali vacanze che si verificassero.

FABBRI accede alla proposta Perassi, in favore della quale ritiene che militi principalmente l’argomento che, in sostanza, si tratta di colmare delle lacune, conferendo la dignità di membri della seconda Camera ad uomini rappresentativi che, per ragioni contingenti, o perché estranei alla lotta dei partiti, o perché risiedano all’estero, rimarrebbero esclusi dalle elezioni.

D’altronde, per l’esiguità del numero (che potrebbe anche ridursi ad una dozzina) avrebbe ben scarso rilievo l’obiezione dell’onorevole Mortati, dello spostamento nell’equilibrio delle forze politiche delle regioni.

Premesso che tutti i membri della seconda Camera derivano la loro nomina da una elezione di secondo grado, nota che per ragioni di euritmia l’organo più adatto per l’investitura dovrebbe essere la prima Camera, che trae origine dal suffragio diretto. Tuttavia, riconoscendo il peso degli argomenti dell’onorevole Einaudi, suggerisce di attribuire la nomina all’Assemblea nazionale, cioè alle due Camere riunite, senza preoccuparsi dell’ingerenza dell’una nella composizione dell’altra.

Infine, per garantire la rappresentanza delle minoranze, consiglia di ricorrere al noto sistema di votare col criterio maggioritario soltanto per i tre quarti dei seggi da ricoprire.

MANNIRONI non ritiene che gli argomenti dell’onorevole Fabbri siano tali da demolire le obiezioni degli onorevoli Mortati e Lussu. Giova tener presente che nella creazione della seconda Camera si è partiti dal presupposto che essa debba essere l’espressione genuina delle forze della regione ed a questo fine si è escogitato un meccanismo che garantisce a tutte le regioni, anche se piccole e poco popolate, una adeguata rappresentanza. Ora questo equilibrio non va turbato, né va complicato e reso più difficilmente comprensibile agli elettori un sistema che è già abbastanza complesso. Ché, se si dovesse arrivare ad una elezione di terzo grado, verrebbe sempre più a perdersi la genuinità dell’espressione popolare.

FUSCHINI pone in evidenza che per la seconda Camera si è escogitato un sistema di elezione di secondo grado e dello stesso tipo sarebbe anche la elezione da parte della Camera dei Deputati. Propone quindi che, per non turbare la base regionale, si faccia corrispondere il numero dei senatori da eleggersi in questa guisa a quello delle regioni, in modo che se ne possa nominare uno per ogni regione, oppure – se non se ne vuole aumentare il numero – uno per ogni gruppo di regioni. Così sarebbe salva l’euritmia e non si verrebbe a turbare il sistema elettorale, né si contrasterebbe al criterio regionale.

RAVAGNAN dichiara di essere contrario alla proposta Perassi, nella quale ravvisa una forma larvata di designazione dall’alto. Circa l’osservazione dell’onorevole Fabbri, che si tratterebbe di colmare la lacuna di persone che si vogliono mantenere lontane dalla politica, rileva che, ove queste venissero designate, per coerenza dovrebbero subito declinare l’incarico. D’altra parte, la nomina sarebbe preceduta da una discussione, in cui si delineerebbero una maggioranza e una minoranza, col risultato che il prestigio di uomini eminenti sarebbe discusso e svalutato. Comunque, essendo contrario in linea di principio alla elezione di secondo grado, non può essere favorevole al sistema proposto.

ROSSI PAOLO è contrario, anche per il fatto che potrebbero essere ammessi nella seconda Camera candidati battuti nelle elezioni; il che sarebbe in contrasto col principio del suffragio universale.

AMBROSINI osserva che non vi sarebbe contrasto col principio del suffragio universale. La sorte delle elezioni può essere non favorevole ad uomini pur degnissimi; né è pericoloso che questi siano ripresi in considerazione dalla Camera. D’altronde il numero limitato di senatori da eleggersi da parte della Camera esclude ogni turbamento della composizione politica della seconda Camera.

ZUCCARINI si associa all’onorevole Mortati e ribadisce che il carattere di rappresentanza regionale non deve essere turbato in alcun modo.

PRESIDENTE aderisce a tutte le considerazioni dell’onorevole Mortati. Quanto alle persone che non partecipano non solo alla lotta politica ma neanche alla vita collettiva, e che non sentono il bisogno di interessarsi né di beneficenza e assistenza, né della vita comunale, né dei problemi del lavoro, non vede a qual titolo esse potrebbero far pesare il loro pensiero o la loro volontà in una decisione di carattere politico.

A suo avviso, l’unica considerazione degna di rilievo è quella dell’onorevole Perassi: tuttavia il problema degli italiani all’estero va considerato da un altro punto di vista; bisogna, cioè, che lo Stato italiano sia messo in condizione di proteggerli ed aiutarli nel miglior modo; si deve creare una conoscenza della loro vita e dei loro problemi ed, allo scopo, si potrebbe, ad esempio, creare presso il Ministero degli esteri un organo – del genere di quei Consigli superiori che spesso fiancheggiano l’Amministrazione statale – eletto dalle stesse colonie italiane all’estero e che assumesse la rappresentanza dei loro interessi. A parte ciò, non v’è motivo perché persone che si sono legate agli interessi concreti di altri Paesi conservino il diritto di influire sulla vita pubblica italiana dalla quale si sono estraniate.

In nessun caso poi ammetterebbe il diritto di cooptazione che, se può rendersi utile in condizioni particolari (ad esempio nel periodo della vita clandestina dei partiti: durante il fascismo vi si ricorreva, nell’impossibilità di rivolgersi a basi elettive, per rinnovare gli organi direttivi dei partiti stessi), non ha alcuna ragion d’essere in periodi normali, quando è possibile rivolgersi largamente a tutte le sorgenti di scelta e di designazione. All’onorevole Einaudi osserva che questo sistema può essere giusto per le Università o altri corpi scientifici, in quanto consente la scelta dei migliori elementi, ma non per un’Assemblea politica, ove lo stimolo sarebbe per la scelta non degli uomini più capaci, ma di quelli di determinate correnti politiche. Quindi la cooptazione agirebbe in senso deleterio.

D’altra parte occorre non dimenticare che, al fine di far accogliere con un certo entusiasmo dal popolo italiano il risultato dei lavori per la Costituzione, le norme che regolano i varî istituti debbono anzitutto rispondere alla esigenza della semplicità.

LUSSU insiste affinché non sia messa ai voti una proposta che annulla il risultato di una votazione precedente.

ZUCCARINI osserva che la proposta Perassi potrebbe essere accettata, ove all’elezione di un ristretto numero di deputati alla seconda Camera fosse dato il valore e il significato politico della rappresentanza di una regione ideale, costituita dagli italiani che si trovano separali dalla madre Patria. Gli italiani all’estero ammontano a parecchi milioni e potrebbe essere utile ricollegarli più strettamente alla vita della Nazione; e vi sono poi gli italiani della Venezia Giulia.

PRESIDENTE, sull’ultimo accenno dell’onorevole Zuccarini, fa presente anzitutto che con ogni probabilità sarà posto come primo requisito per gli eligendi la cittadinanza italiana; e in secondo luogo che occorre tener presenti le ripercussioni internazionali che certi atti potrebbero avere.

A parte ciò, trova che l’obiezione dell’onorevole Lussu va presa in considerazione e si deve in via preliminare decidere se la proposta Perassi prescinda dalla osservanza specifica di una deliberazione già adottata.

EINAUDI ritiene che l’obiezione dell’onorevole Lussu non sia decisiva nel caso di elezione fatta dalla seconda Camera, in quanto la forma di nomina proposta si riporta ad un organo già eletto su base regionale: quindi l’equilibrio tra le vario regioni nel suo complesso non verrebbe turbato.

Quanto all’importante osservazione del Presidente, circa eventuali riflessi di carattere internazionale, osserva che la Costituzione non potrà certo menzionare gli italiani irredenti; spetterà tuttavia al corpo elettorale di far cadere la scelta su quegli italiani che manterranno rapporti intellettuali ed economici con la madre Patria.

La seduta termina alle 11.15.

Erario presenti: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Vanoni, Zuccarini.

In congedo: Bordon.

Assenti: Calamandrei, Castiglia, De Michele, Di Giovanni, Farini, Grieco, Laconi, Leone Giovanni, Patricolo, Piccioni, Porzio, Targetti, Uberti.

VENERDÌ 18 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

32.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 18 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Rossi Paolo – Vanoni – Ambrosini – Einaudi – Mortati, Relatore – Cappi – Bulloni – Fuschini – Laconi – Fabbri – Conti, Relatore – Lussu – Uberti – Mannironi – Nobile – Piccioni – Perassi – Ravagnan – Bozzi.

La seduta comincia alle 16.15.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nella riunione precedente la Sottocommissione affidò l’incarico a un comitato composto dagli onorevoli Mortati, Perassi e Rossi Paolo di redigere un testo contenente l’indicazione delle varie categorie, tra i cui appartenenti dovranno essere scelti gli eligendi alla seconda Camera. Prega l’onorevole Rossi di voler riferire in proposito.

ROSSI PAOLO dichiara che è stato raggiunto un accordo di massima sul seguente testo:

Salve le incompatibilità stabilite dalla legge per l’esercizio cumulativo delle funzioni, sono eleggibili alla seconda Camera i cittadini italiani che rivestano, o abbiano rivestito, una delle seguenti cariche:

1°) componenti, per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni, dei consigli direttivi di organizzazioni sindacali, aventi carattere nazionale, regionale o provinciale;

2°) membri dei consigli di gestione, per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni, di aziende con oltre 100 dipendenti;

3°) membri dei consigli direttivi di società cooperative di produzione con oltre 100 soci;

4°) membri, per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni, dei consigli di relativi delle Camere di commercio e industria;

5°) Ministri, Sottosegretari di Stato, Ambasciatori, Deputati al Parlamento e alla Costituente;

6°) sindaci e consiglieri, per un periodo non inferiore a 3 anni, di comuni aventi più di 10.000 abitanti;

7°) presidenti delle Assemblee regionali, Presidenti dei Consigli, delle Deputazioni provinciali, Deputati alle Assemblee regionali, questi ultimi quando abbiano esercitato il mandato per almeno 3 anni;

8°) membri dei Consigli superiori consultivi;

9°) membri dei Consigli direttivi degli Ordini professionali;

10°) professori di ruolo delle Università e degli istituti equiparati;

11°) membri delle Accademie e società scientifiche e letterarie, riconosciute dalla legge».

Fa rilevare che al n. 5, là dove si parla di Deputati al Parlamento e alla Costituente, forse sarebbero da aggiungere anche i membri della Consulta nazionale; che sul n. 6 è stata anche prospettata l’opportunità di considerare eleggibili i sindaci di tutti i comuni o i sindaci di comuni aventi più di 5.000 abitanti; che al n. 8 i Consigli superiori consultivi, quali ad esempio il Consiglio superiore forense, quello dei lavori pubblici, della sanità e così via, non sono stati specificati perché potrà darsi il caso che siano creati altri organismi del genere, da tener presenti per analogia secondo la prassi seguita per le categorie del vecchio Statuto; che al n. 11, là dove si parla di Accademie e società scientifiche e letterarie, occorrerà badare al fatto che di queste società alcune sono molto serie e autorevoli, come l’Istituto lombardo di scienze e lettere e la Società di storia patria, mentre altre sono prive di autorità e consistenza: bisognerà quindi fare una distinzione.

È stato anche osservato da qualche collega che può darsi il caso di un professionista di non comune valore o di un grande artista che non abbiano avuto tempo o desiderio di diventare membri dei Consigli degli Ordini professionali, o anche di un grande uomo di affari non appartenente a Consigli direttivi delle Camere di commercio e industria: costoro, appunto perché non hanno mai rivestito la qualità di membri dei consigli anzidetti, non potrebbero essere eleggibili; inconveniente a cui si potrebbe riparare includendo un’altra categoria per tutti coloro che abbiano reso nella scienza, nell’arte, nelle professioni, nell’industria e nel commercio servizi eminenti al Paese. Si tratterebbe però di una categoria assai indeterminata che potrebbe far sorgere inconvenienti spiacevoli. Poiché con ogni probabilità la seconda Camera sarà un organo spiccatamente politico, potrebbe aversi una valutazione politica, e quindi non obiettiva, del valore di questi uomini. Chi, come l’onorevole Mortati, è favorevole all’adozione di tale categoria, forse è ancora dominato dal ricordo del vecchio Senato, nel quale venivano nominati dei membri in riconoscimento dell’attività prestata a vantaggio del Paese, mentre ciò non sarà più con un Senato elettivo. D’altra parte le grandi personalità quasi sempre appartengono ai vari consigli, accademie, società scientifiche e culturali previste.

Un’altra osservazione è stata fatta dall’onorevole Calamandrei, circa l’opportunità d’includere una speciale categoria per gli appartenenti al Comitato nazionale di liberazione e per i comandanti di grandi unità partigiane. Tale categoria, però, a suo avviso, non dovrebbe essere inserita nella Costituzione, ma dovrebbe essere prevista in una disposizione transitoria, perché il grande episodio della recente guerra di liberazione è augurabile che non debba ripetersi nel corso della nostra storia avvenire. Un’altra disposizione transitoria infine sarebbe opportuno adottare per i deputati della XXVIII e XXIX legislatura, che, in quanto eletti con metodi non democratici, non dovrebbero avere la qualità di eleggibili.

VANONI osserva che nelle categorie indicate dall’onorevole Rossi non si fa parola dei funzionari dello Stato. Un generale, così, o un ammiraglio o un alto magistrato o un prefetto non potrebbero diventare membri della seconda Camera. Ciò non gli sembra giusto perché, in genere si tratta di funzionari che possono portare nello svolgimento dei lavori della seconda Camera un notevole contributo di cognizioni tecniche.

ROSSI PAOLO risponde che si potrebbe aggiungere un’altra categoria per i funzionari dello Stato oltre un certo grado.

AMBROSINI ritiene che, per i professionisti, il requisito di eleggibilità dovrebbe consistere soltanto nell’appartenenza alla categoria e non già nel fatto di essere membri dei Consigli direttivi, così da non impedire l’accesso alla seconda Camera a tutti quei professionisti che non facciano parte dei Consigli anzidetti.

EINAUDI si associa, da un punto di vista generale, all’osservazione dell’onorevole Ambrosini, ma crede che per gli esercenti le libere professioni occorrerebbe fissare qualche altro requisito di eleggibilità che non sia quello costituito dall’appartenenza ai consigli direttivi.

MORTATI, Relatore, rileva che l’esigenza prospettata dall’onorevole Einaudi riveste senza dubbio un carattere di particolare gravità. Difatti non si può richiedere per i professionisti la sola condizione di appartenenza alla loro categoria, altrimenti tutti i professionisti diventerebbero eleggibili, come ad esempio è disposto dalla Costituzione belga. Affinché il significato della determinazione delle categorie non venga meno, occorre in qualche modo qualificare gli appartenenti alle categorie stesse e, se non si vuole porre come condizione di eleggibilità per gli esercenti le libere professioni l’appartenenza ai Consigli direttivi, sarà necessario trovare altro criterio. Ma allora sorgono diverse difficoltà. Non è infatti facilmente valutabile l’attività svolta da certi professionisti, come ad esempio quella di un direttore di aziende; e allora si dovrebbe ricorrere al criterio del censo, che non risponde alle vedute sociali odierne.

CAPPI ritiene che come condizione di eleggibilità per i professionisti si potrebbe richiedere l’esercizio effettivo della professione per almeno un certo periodo di tempo dal conseguimento della laurea.

BULLONI propone, sul concetto espresso dall’onorevole Cappi, la seguente formula: «Membri di collegi o albi professionali dopo 15 anni di effettivo esercizio della professione».

FUSCHINI osserva che nelle categorie elencate nel progetto del Comitato non si fa parola dei dirigenti di aziende. Anche costoro dovrebbero essere compresi fra gli eleggibili, perché si tratta quasi sempre di persone fornite di preziose cognizioni tecniche e che svolgono attività assai importanti.

CAPPI ritiene che il concetto accennato dall’onorevole Fuschini potrebbe essere espresso in una formula così concepita: «sono eleggibili i membri dei consigli di amministrazione di società industriali o commerciali aventi un capitale di x lire».

FUSCHINI osserva che occorrerebbe tener presenti anche le società non anonime.

PRESIDENTE rileva che non occorrerebbe andare oltre una certa linea nella determinazione delle categorie, altrimenti, muovendo dal campo delle competenze, si arriverebbe a quello di una vera e propria divisione di classi, ciò che non sarebbe giusto. È necessario che la seconda Camera diventi l’organo rappresentativo di tutti i cittadini e non di determinati gruppi sociali.

LACONI condivide pienamente l’osservazione del Presidente e ritiene necessario allargare quanto più possibile l’ambito delle condizioni di eleggibilità per dare modo a persone che svolgano le più svariate funzioni sociali di accedere alla seconda Camera. Così, per la sesta categoria prevista nel progetto letto dall’onorevole Rossi, dovrebbero essere eleggibili soltanto i sindaci e i consiglieri di comuni aventi più di 10.000 abitanti, mentre ci si può domandare perché non debbano essere eleggibili anche i membri di un Consiglio comunale di una cittadina avente un minor numero di abitanti. Non si può presupporre in termini assoluti che un sindaco di un paese con più di 10.000 abitanti abbia maggiore capacità e competenza di un sindaco di un paese meno popolato. Si tratta quindi di condizioni di eleggibilità fissate con un criterio empirico, per non dire arbitrario, che a suo avviso dovrebbe assolutamente essere abbandonato.

FABBRI osserva che nel progetto di cui ha dato testé lettura l’onorevole Rossi sono state omesse tanto la categoria dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni quanto quella dei pubblicisti. Occorrerà riparare a tale omissione, perché chi ha passato gran parte della sua vita nelle amministrazioni pubbliche o a dirigere un grande quotidiano ha senza dubbio adeguate cognizioni tecniche e politiche per poter essere eletto alla seconda Camera.

Vorrebbe poi sapere se con la parola «dirigenti» ci si intenda riferire anche ai consiglieri delegati, e ciò perché, come è noto, le due cariche possono essere affidate tanto a persone diverse quanto a una sola. Nel primo caso il consigliere delegato non avrebbe titolo per essere eletto, il che, a suo avviso, non sarebbe giusto né opportuno.

CONTI, Relatore, ritiene che si stia procedendo su una strada sbagliata per giungere alla risoluzione del problema in esame, e si corra il pericolo di riprodurre la composizione del vecchio Senato, forse perché si ha ancora, senza volerlo, l’abito mentale di tener presente lo schema dello Statuto albertino. Occorre quindi tornare al concetto fondamentale che, sin dall’inizio del dibattito sul problema relativo alla formazione di una seconda Camera, aveva guidato i lavori della Sottocommissione, e cioè che la seconda Camera dovesse essere un organo non nominato dall’alto, avente una funzione di perfezionamento delle leggi elaborate dalla prima. Se si vuole accedere alle proposte riferite dall’onorevole Rossi, si deve eliminare ogni riferimento al criterio della dirigenza ed allargare quanto più possibile l’ambito delle condizioni di eleggibilità, includendo due imponenti forze sociali, contadini od operai, che sono rimaste escluse. Meglio, però, sarebbe rifarsi a un concetto più largo ed elastico per procedere alla formazione della seconda Camera: tener presenti solo alcuni enti o istituzioni, quali ad esempio le università, le accademie, la magistratura, e soprattutto i sindacati e lo confederazioni, cioè quei raggruppamenti di forze costituitisi per la tutela dei vitali interessi del Paese, escludendo ogni altra formazione che potrebbe portare a una cristallizzazione della realtà sociale.

BULLONI ritiene che con l’accoglimento della sua proposta non si stabilirebbe un criterio classista, com’è stato obiettato dal Presidente. La sua richiesta di considerare eleggibili i professionisti con 15 anni almeno di esercizio effettivo della professione è dettata soltanto dalla preoccupazione di inviare alla seconda Camera persone fornite di adeguata coltura e competenza, senza di che è impossibile avere buone leggi. Quanto poi agli appartenenti alle classi lavoratrici, se arrivano a distinguersi e a qualificarsi, essi possono essere eletti secondo quanto è previsto nello stesso progetto letto dall’onorevole Rossi.

MORTATI, Relatore, osserva che per la determinazione delle varie categorie degli eleggibili è necessario far ricorso a un criterio unitario, per non smarrirsi in una casistica che non porterebbe ad alcuna conclusione; criterio che potrebbe essere quello della capacità desunta o dall’appartenenza a determinati corpi rappresentativi delle singole professioni e attività, o dal solo esercizio di tali professioni e attività, o da benemerenze acquisite indipendentemente dal fatto di essere iscritti negli albi professionali o dall’aver esercitato un’attività professionale. Ritiene che il terzo criterio debba essere scartato per le gravi difficoltà inerenti alla determinazione delle benemerenze. Restano quindi gli altri due. Per il secondo, v’è da obiettare che l’esercizio puro e semplice di un’attività non può essere assunto come criterio di eleggibilità, perché allora bisognerebbe riferirsi a tutte le attività e la determinazione della categoria non avrebbe la funzione praticamente utile di selezionare le attitudini e le competenze. Viceversa il criterio relativo all’appartenenza a un dato consiglio professionale, sindacale, oppure a una amministrazione pubblica, può essere assai utile, in quanto con esso sarà sempre possibile selezionare non solo la capacità professionale, ma anche l’attitudine a interessarsi di problemi di politica legislativa.

Condivide l’opinione dell’onorevole Laconi che sia opportuno allargare l’eleggibilità dei sindaci e dei consiglieri comunali; ma non porrebbe una differenziazione fra comuni più popolati e comuni che lo siano meno; richiederebbe piuttosto per i sindaci e i consiglieri di questi ultimi una maggiore anzianità di carica.

Osserva infine che la seconda e la terza categoria del progetto non si conformano allo stesso criterio che ispira le altre. Non si comprende, ad esempio, perché gli operai che facciano parte dei consigli di gestione (che fra l’altro non sono stati ancora riconosciuti ufficialmente e quindi non si sa se potranno essere indicati nella Costituzione) abbiano titolo per essere eletti alla seconda Camera e non lo abbiano invece i presidenti di azienda.

LACONI fa osservare che anche i presidenti di azienda sono membri dei consigli di gestione.

MORTATI, Relatore, obietta che, se si procede con l’ordine di idee espresso dall’onorevole Laconi, si viene ad adottare nella determinazione della condizione di eleggibilità il criterio del solo esercizio della professione o attività, criterio che allora, per le esigenze di univocità anzidette, bisognerebbe estendere anche alle altre categorie. Lo stesso si può dire per i membri dei consigli direttivi delle società cooperative. Perché considerare eleggibili tali membri e non quelli dei consigli direttivi di società gestite da singoli? A suo parere, quindi, la seconda e la terza categoria nel progetto dovrebbero essere o ampliate, o soppresse.

EINAUDI ritiene innanzitutto che la seconda e la terza categoria del progetto dovrebbero essere fuse in una sola, perché non è possibile distinguere le imprese cooperative da tutte le altre, secondo un’opinione che fu espressa anche da Maffeo Pantaleoni in un saggio famoso che non ancora ha suscitato obiezioni teoriche di un certo rilievo. Le differenze esistenti tra un’impresa normale e un’impresa cooperativa sono infatti di ordine politico, sociale o se si vuole sentimentale, non di ordine economico, nel senso, cioè, che a capo delle imprese cooperative si trovano persone che sacrificano se stesse per il bene dei soci; ma questa caratteristica, che non è quella delle imprese cosiddette capitalistiche, non può formare il substrato di una legge o di una norma costituzionale. Questa categoria unificata dovrebbe poi essere allargata in modo da riferirsi ad un maggior numero di eleggibili, comprendendovi i dirigenti o membri di consigli di amministrazione, di gestione o di controllo di imprese di qualsiasi genere, non escluse quelle cooperative.

In ogni modo, non vede perché debbano essere incluse soltanto le cooperative di produzione, che hanno dato il minor contributo all’affermazione del movimento cooperativistico: bisognerebbe tener presenti anche le cooperative di consumo e quelle bancarie.

Osserva pure, come da qualcuno già è stato rilevato, che la categoria n. 6 è troppo ristretta. Se veramente si vuole estendere l’eleggibilità ai contadini e agli operai, secondo quanto ha auspicalo l’onorevole Conti, occorre accordarla ai sindaci di tutti i comuni. Tuttal’più per i comuni meno popolali gli eleggibili potrebbero essere, invece dei consiglieri, gli assessori.

Un’altra categoria di cui non si fa parola nel progetto è quella dei magistrati, il che non è giusto, perché i magistrati hanno più di molti altri attitudine all’elaborazione delle leggi.

A proposito, poi, della categoria n. 10, osserva che si sono menzionati soltanto professori di università, mentre sarebbe opportuno allargarla anche ai professori di liceo che siano tali da un certo numero di anni, che si potrebbe stabilire in sette.

Circa i membri di accademie, propone che la qualifica di eleggibile sia riconosciuta agli appartenenti alle istituzioni culturali e scientifiche equiparate alla Accademia delle scienze di Torino, così come era previsto nello Statuto albertino.

LUSSU dichiara di non essere favorevole a che i rappresentanti della seconda Camera siano scelti tra i membri dei consigli direttivi delle organizzazioni sindacali o delle società cooperative o delle camere di commercio e così via. Indubbiamente i compilatori dei progetto, di cui l’onorevole Rossi ha dato lettura, fissando come condizione di eleggibilità l’esercizio di una funzione direttiva, si son prefissi lo scopo di inviare alla seconda Camera cittadini assai qualificati per provata esperienza e cognizioni tecniche. Ma allo stesso risultato si giungerebbe senza porre tanti limiti ed obblighi agli elettori nella loro scelta.

L’onorevole Einaudi ha auspicato che siano eleggibili anche i professori di scuole medie: a suo avviso la categoria degli insegnanti dovrebbe essere allargata sino ad includervi i maestri elementari.

Non condivide il pensiero espresso dall’onorevole Rossi nei confronti dei rappresentanti del Comitato di liberazione nazionale e dei partigiani. Lo Statuto della Repubblica italiana, nata da una sanguinosa guerra di liberazione, che è la più grande pagina della storia d’Italia dopo quella del Risorgimento, dovrebbe, a suo avviso, menzionare al primo posto gli appartenenti al Comitato nazionale di liberazione e i partigiani, che sono indubbiamente i più puri rappresentanti dell’odierna democrazia in Italia. L’alto riconoscimento che in questo modo si verrebbe a dare a questi benemeriti cittadini potrebbe servire di esempio alle generazioni avvenire.

Dichiara poi che, pur non essendo stato mai troppo favorevole alla burocrazia, non crede che sia opportuno escludere i funzionari dello Stato dal novero degli eligendi, perché fra gli impiegali delle pubbliche amministrazioni vi sono uomini di provata competenza e cultura, degni in tutto di rappresentare il Paese nella seconda Camera.

Osserva infine che la qualifica di eleggibilità dovrebbe essere accordata ai sindaci di tutti i comuni e non soltanto a quelli dei comuni aventi più di 10.000 abitanti.

FUSCHINI ritiene ingiusto escludere dalle categorie degli eleggibili i funzionari dello Stato, che possono portare un grande contributo di esperienza e di cognizioni tecniche nelle discussioni della seconda Camera; e propone di fissare l’eleggibilità di tutti i funzionari dal primo al sesto grado, come già egli aveva proposto, o almeno fino al quinto, se ciò potrà sembrare più opportuno.

Sarebbe anche necessario estendere l’eleggibilità ai sindaci e ai consiglieri di tutti i comuni. Tutt’al più per quelli aventi non più di 2.000 abitanti si potrebbe aderire alla proposta fatta dall’onorevole Einaudi, di limitarla ai soli sindaci e assessori, escludendone i consiglieri. Ma per tutti gli altri sarebbe una grave ingiustizia politica non accordare la qualifica di eleggibile ai sindaci e ai consiglieri comunali dei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti.

Nella categoria degli insegnanti dovrebbero anche essere inclusi i professori delle scuole medie pubbliche e private, nonché i direttori didattici dopo un decennio di esercizio della loro attività.

ROSSI PAOLO rileva che la soluzione migliore del problema in esame era, a suo avviso, quella di eleggere a suffragio universale i rappresentanti della seconda Camera. Questa è stata respinta; ma ora si tenta di tornarvi attraverso l’estensione dell’eleggibilità a un numero sempre maggiore di persone. Se si dovesse continuare su questa strada, tanto varrebbe ammettere apertamente il suffragio universale per la formazione della seconda Camera.

All’inconveniente giustamente rilevato dagli onorevoli Einaudi e Mortati, che la seconda e la terza categoria non rispondono a un criterio univoco e, inoltre, non comprendono i capi delle industrie, si potrebbe ovviare sopprimendo la terza categoria e modificando la dizione relativa alla seconda, nel senso di considerare eleggibili i «membri dei consigli di gestione e dei consigli di amministrazione di aziende con altre 100 soci o dipendenti». In tal modo fra queste aziende sarebbero comprese anche le cooperative a cui si fa riferimento nella terza categoria, che sarebbe soppressa.

Trova giuste anche le obiezioni mosse relativamente alla categoria dei sindaci e consiglieri comunali. Per estendere la qualifica di eleggibile anche agli amministratori dei comuni meno popolali propone di formulare il n. 6 nei seguenti termini:

«Sindaci e consiglieri, per un periodo non inferiore a 3 anni, di comuni con più di 10.000 abitanti; sindaci e assessori per un periodo non inferiore a 5 anni, di comuni con più di 2.000 abitanti».

Non ha difficoltà a fissare un’apposita categoria per i magistrati e i funzionari della pubblica amministrazione dal primo fino al sesto grado. In tale categoria, però, dovrebbero anche essere compresi i funzionari dei futuri enti regionali.

Trova eccessiva infine la proposta di estendere l’eleggibilità ai professori delle scuole medie e ai maestri elementari. Seguendo questo criterio non potrebbero essere esclusi, ad esempio, i medici condotti, i segretari comunali e così via. Tutte queste persone del resto, se vogliono percorrere una carriera politica, possono farsi eleggere deputati alla prima Camera e possono anche giungere alla seconda attraverso le cariche di membri dell’Ordine professionale o di consiglieri comunali nei loro comuni di residenza.

UBERTI rileva che con le varie proposte finora fatte si tende ad allargare eccessivamente le categorie in esame, estendendo, ad esempio, l’eleggibilità a tutti i consiglieri comunali, mentre sarebbe opportuno limitarla ai soli sindaci ed assessori.

LACONI osserva che nel progetto sono previsti tre grandi aggruppamenti: persone che hanno rivestito funzioni di ordine economico nazionale, persone che hanno rivestito cariche pubblico-amministrative, persone che hanno particolari titoli culturali. Il primo aggruppamento comprende le prime quattro categorie; il secondo le successive tre, e il terzo le ultime quattro.

Circa il primo gruppo, rileva che in sostanza si intende fare affidamento, non già su uomini che abbiano svolto determinate attività economiche partecipando alle cariche direttive di dati organismi, ma su coloro che abbiano rivolto la loro attività economica a fini sociali. Per questo sono state considerate anche le cooperative, circa le quali l’onorevole Einaudi ha mosso qualche obiezione, ma che non potevano non essere incluse come categoria speciale proprio per il carattere politico-sociale che le contraddistingue, anche se da un punto di vista di pura scienza economica non possono essere distinte dalle altre imprese.

Quanto al secondo gruppo, ritiene che le relative categorie dovrebbero essere maggiormente allargate, soprattutto conferendo la qualifica di eleggibile ai sindaci e ai consiglieri di tutti i comuni e non soltanto a quelli dei comuni aventi un dato numero di abitanti. Non ritiene giusto limitare l’eleggibilità agli assessori, perché le giunte comunali sono espressione della maggioranza dei consigli, e con questa limitazione si creerebbe un privilegio pei la maggioranza. Né dovrebbe essere stabilita – in questo gruppo – una speciale categoria per i funzionari di Stato, secondo quanto è stato proposto da qualcuno, perché in fondo essi sono dei lavoratori che possono diventare eleggibili partecipando come membri ai Consigli direttivi dei loro sindacati, allo stesso titolo, cioè, dei contadini e degli operai.

Circa le categorie del terzo gruppo, afferma che esse sono state selezionate con criteri adeguati alle necessità del caso. Non si poteva fare di meglio. In questo gruppo si dovrebbe comprendere la categoria dei partigiani e dei membri del Comitato di liberazione nazionale; uomini che si sono battuti per la libertà della Patria e che indubbiamente debbono essere valorizzati, anche se la valutazione della loro generosa, encomiabile attività possa forse risultare assai difficoltosa.

MANNIRONI osserva, per quanto riguarda le società cooperative, che dovrebbero considerarsi eleggibili anche i membri dei consigli direttivi dei consorzi di cooperative. Dovrebbero anche essere tenuti presenti gli amministratori delle società di pubblica assistenza e beneficenza, come, ad esempio, i membri dei consigli di amministrazione degli ospedali e delle congregazioni 5 di carità.

NOBILE dichiara di essere stato sempre contrario alla distinzione per categorie, per cui, quando sarà messo in votazione il progetto in esame, si asterrà dal votare. Tuttavia ritiene che ciò non debba impedirgli di collaborare all’esame delle proposte formulate.

Osserva, così, che alcune esclusioni gli sembrano ingiustificate. Perché, ad esempio, non considerare eleggibile un consigliere di Stato e considerare tale, invece, un professore di università? Un consigliere di Stato ha di solito una preparazione culturale assai più vasta di quella di un professore universitario, che è quasi sempre competente in una sola determinata materia.

Egualmente, perché non dovrebbero essere eleggibili i professori di scuole medie od anche i capitani di lungo corso? In altri termini, si dovrebbe seguire il criterio di accrescere quanto più sia possibile il numero delle categorie, e non già di restringerlo. Dichiara infine di condividere le osservazioni fatte dall’onorevole Einaudi in merito alle cooperative. In ogni caso, sarebbe meglio parlare di cooperative di lavoro anziché di cooperative di produzione.

VANONI, rispondendo all’onorevole Laconi circa l’ammissione della categoria dei pubblici funzionari, osserva che il criterio generale in base al quale sono state formulate le categorie è quello di individuare determinate persone che abbiano – sia per attività svolta, sia per le qualifiche che rivestono – una certa esperienza nel campo amministrativo o che comunque, appartenendo a determinati complessi anche scientifici, si ritiene siano sufficientemente qualificati per essere eletti alla seconda Camera. Ma i pubblici funzionari, per il loro stato giuridico, sono in parte eliminati dalla possibilità di assumere certe determinate qualifiche. Quanto alla categoria dei professori universitari, osserva che la scelta si basa sul fatto che nell’ambiente universitario si trovano persone di particolare esperienza in materie giuridiche, economiche e sociali. Ritiene comunque che il criterio suggerito di considerare eleggibili sino al grado sesto i funzionari delle pubbliche amministrazioni risponda perfettamente alla esigenza di avere elementi di particolare esperienza in problemi amministrativi.

BULLONI chiede se i funzionari dello Stato, eletti alla seconda Camera, cesserebbero temporaneamente dalle loro funzioni.

FUSCHINI fa osservare che vige una legge, in proposito, che potrebbe essere riveduta ed aggiornata.

CONTI, Relatore, dichiara che la formazione della seconda Camera, verso la quale ormai ci si avvia, non risponde alle sue personali vedute. Per tale ragione si riserva di risollevare la questione in sede di Commissione plenaria e di presentare, se sarà il caso, una relazione di minoranza.

PRESIDENTE desidera fare alcune osservazioni di carattere personale. Innanzitutto si dichiara favorevole ad allargare il più che è possibile il campo della scelta degli eligendi alla seconda Camera, pur essendo convinto che, così facondo, si creerà un assai strano sistema elettorale, per cui il corpo elettorale attivo sarà immensamente più ristretto di quello passivo. Ritiene però che questo sia l’unico modo di porre un correttivo al progetto in esame.

PICCIONI rileva che l’inconveniente accennato dal Presidente si verifica sempre nelle elezioni di secondo grado.

PRESIDENTE ritiene che, pur essendo giusta l’obiezione dell’onorevole Piccioni, l’inconveniente costituisca egualmente una anomalia.

Osserva quindi che uno solo dovrebbe essere il criterio per stabilire la caratteristica dei candidati alla seconda Camera, e cioè che gli eligendi siano già stati sottoposti ad una scelta precedente, in modo che si tratti di persone che abbiano in un certo senso subito il giudizio delle masse. Tutti gli altri criteri, a suo avviso, dovrebbero essere respinti ed è per questo che, durante le votazioni, voterà favorevolmente solo per quelle categorie che rispondano al criterio da lui accennato.

Aggiunge che occorrerebbe togliere dall’attuale articolazione alcune categorie già previste nel vecchio Statuto, come ad esempio quelle relative ai Ministri, ai Sottosegretari di Stato, agli Ambasciatori, e ai Deputati al Parlamento, perché gli appartenenti a queste categorie rientrano in quella di coloro che hanno già subito una prima scelta del corpo elettorale, in quanto in genere si arriva alle cariche anzidette dopo essere stati consiglieri provinciali o comunali o anche dopo aver rivestito, se si tratta di professionisti, cariche direttive in seno alle organizzazioni professionali.

Dopo tali osservazioni ritiene che si possa passare all’esame delle singolo proposte formulate dal Comitato.

MORTATI, Relatore, si richiama alla discussione svoltasi nella seduta precedente, durante la quale si sono avute alcune votazioni, a suo avviso, non del tutto razionali, per cui, a un determinato momento, può darsi che dei membri della Sottocommissione non si siano resi perfettamente conto di ciò che dovevano votare. Per evitare il ripetersi di tale inconveniente, sarebbe opportuno fissare in precedenza i criteri generali che dovranno informare l’esame delle singole proposte del Comitato e metterli in votazione prima di discutere punto per punto sulle diverse categorie elencate.

PRESIDENTE osserva che con la proposta dell’onorevole Mortati si potrebbe correre il rischio di riaprire la discussione generale sulla questione in esame. In ogni modo, è anche da rilevare che parecchi oratori nei loro stessi discorsi hanno accennato di volta in volta a criteri diversi relativamente alla determinazione delle varie categorie. Ciò sta a provare che molti colleghi non hanno la preoccupazione pregiudiziale manifestata dall’onorevole Mortati.

FABBRI dichiara di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Mortati. Votare dei criteri generali astratti significherebbe prestabilire vincoli o impedimenti alla libertà di apportare modificazioni alle singole proposte formulate nel progetto del Comitato.

MORTATI, Relatore, non insiste nella sua proposta.

PICCIONI ritiene che si dovrebbe procedere a una votazione preliminare del progetto in esame, prima di votare su ogni categoria. Ciò per accertare se la Sottocommissione sia pronta ad accogliere l’elencazione delle varie categorie predisposte dal Comitato. In seguito, quando si procederà all’esame delle singole categorie, si potrà decidere se ognuna di esse dovrà avere una maggiore ampiezza o eventualmente subire qualche restrizione.

FABBRI osserva che non è possibile votare il progetto nel suo complesso, perché sarà necessario aggiungere ad esso altre categorie.

PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Piccioni è contraria alla procedura parlamentare. Non si può infatti approvare pregiudizialmente un testo legislativo a cui si ha intenzione di apportare modificazioni. Secondo la procedura parlamentare, si vota il complesso di una legge solo dopo la discussione generale e dopo quella sui singoli articoli e l’approvazione, uno ad uno, di questi.

MORTATI, Relatore, propone di votare preliminarmente un ordine del giorno così concepito:

«La seconda Sottocommissione ritiene che le categorie degli eleggibili alla seconda Camera debbano corrispondere ai seguenti criteri:

1°) capacità risultanti da scelte effettuate nei consigli degli ordini professionali;

2°) capacità risultanti dall’esercizio di uffici elettivi politico-amministrativi;

3°) capacità risultanti da cariche ricoperte nei pubblici impieghi».

PRESIDENTE non crederebbe, personalmente, opportuno procedere ad una votazione sull’ordine del giorno proposto dall’onorevole Mortati, perché tale votazione non rientrerebbe nelle consuetudini parlamentari. Comunque lo mette in votazione.

(Non è approvato).

(La riunione, sospesa alle 18.35, è ripresa alle 19.05)

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PRESIDENTE avverte che da parte dell’onorevole Mortati è stata presentata la seguente elencazione di categorie:

1°) Ministri e Sottosegretari di Stato;

2°) Deputati al Parlamento;

3°) sindaci e consiglieri di comuni con più di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di quattro anni;

4°) sindaci e consiglieri di comuni con meno di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di otto anni;

5°) membri delle Assemblee regionali e dei Consigli provinciali, per almeno tre anni;

6°) membri elettivi dei Consigli superiori presso le Amministrazioni centrali;

7°) membri elettivi dei consigli direttivi degli Ordini professionali, dopo almeno cinque anni di funzioni;

8°) membri elettivi dei consigli direttivi delle Camere di commercio, industria ed agricoltura, dopo almeno cinque anni di funzioni;

9°) membri elettivi dei consigli direttivi di organizzazioni sindacali aventi carattere nazionale, regionale e provinciale, dopo almeno cinque anni di funzioni;

10°) membri dei consigli di gestione o dei consigli di amministrazione di aziende, anche cooperative, con cento o più dipendenti, o cento o più soci;

11°) professori ordinari di Università o equiparati;

12°) Magistrati di grado di appello o superiore;

13°) funzionari dello Stato o degli enti pubblici dal grado I al grado IV.

Avverte che questa elencazione di categorie può considerarsi come una vera e propria proposta di emendamento del progetto degli onorevoli Rossi, Mortati e Perassi.

MORTATI, Relatore, dichiara che il progetto a cui ha fatto riferimento il Presidente è stato redatto soltanto dall’onorevole Rossi e che quindi può considerarsi come una proposta dell’onorevole Rossi stesso.

PERASSI fa presente che sostanzialmente non si può parlare di un progetto del Comitato, bensì di un progetto formulato dall’onorevole Rossi, secondo quanto è già stato osservato dall’onorevole Mortati. Dichiara inoltre che, partecipando ai lavori del Comitato, egli già aveva fatto qualche riserva in merito al progetto anzidetto. Del resto, egli aveva sostenuto in una seduta precedente che soltanto per un terzo del numero complessivo dei futuri rappresentanti alla seconda Camera fosse opportuna un’elencazione di categorie. La discussione odierna, anziché convincerlo di aderire al parere della maggioranza, lo induce piuttosto a restare fedele ai punti di vista espressi nella formulazione già da lui proposta. Per conseguenza dichiara che si asterrà dal votare.

MORTATI, Relatore, fa presente che nel suo progetto, per un’omissione involontaria, non si fa parola dei membri delle Accademie scientifiche e culturali. Tale categoria, del resto, era anche indicata nel progetto dell’onorevole Rossi.

PRESIDENTE avverte che gli onorevoli Bozzi e Bulloni hanno presentato la proposta di aggiungere le seguenti categorie: 1°) magistrati dell’ordine giudiziario, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, di grado non inferiore al VI; 2°) funzionari dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, di grado non inferiore al IV della gerarchia statale o ad esso equiparati.

In questa proposta si fa anche notare che l’inserzione delle suddette categorie è condizionata all’accettazione del principio che, durante il mandato, i funzionari cessino da ogni attività di servizio.

Pone quindi in discussione il disposto del n. 1 del progetto dell’onorevole Rossi, relativo ai «componenti, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, dei consigli direttivi di organizzazioni sindacali aventi carattere nazionale, regionale e provinciale», facendo presente che l’onorevole Mortati al n. 9 della sua elencazione propone che tali membri siano elettivi e abbiano fatto parte dei consigli anzidetti per un periodò almeno di 5 anni.

VANONI domanda se con l’espressione di «consigli direttivi di organizzazioni sindacali aventi carattere nazionale, regionale e provinciale» ci si intenda riferire al solo consiglio direttivo centrale, oppure ai consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali. In altri termini, esistendo un’organizzazione sindacale nazionale avente propri organi regionali e provinciali, c’è da domandarsi se l’appartenenza ai consigli direttivi regionali e provinciali costituisca titolo o pur no ad essere compresi tra il numero degli eligendi alla seconda Camera. L’espressione proposta dall’onorevole Rossi, a suo parere, può dar luogo a qualche dubbio di interpretazione.

PRESIDENTE osserva che potrebbe essere usata la seguente formulazione: «componenti dei consigli direttivi nazionali, regionali e provinciali di organizzazioni sindacali».

ROSSI PAOLO dichiara di accettare l’aggiunta della parola «elettivi» proposta dall’onorevole Mortati.

RAVAGNAN osserva che, invece della parola «elettivi», sarebbe meglio usare la parola «eletti».

PRESIDENTE condivide il punto di vista espresso dall’onorevole Ravagnan.

CONTI, Relatore, dichiara che voterà contro, per le considerazioni già da lui esposte.

LUSSU dichiara che la sua partecipazione alla votazione su questo come sui seguenti punti del progetto in esame è soltanto dettata dalla volontà di collaborare alla soluzione del problema in discussione, poiché egli resta fedele al principio che la scelta dei candidati alla seconda Camera debba essere libera.

PRESIDENTE mette intanto in votazione la seguente parte del n. 1, quale risulta dagli emendamenti proposti: «membri eletti dei consigli direttivi nazionali regionali e provinciali di organizzazioni sindacali».

(È approvata).

Fa presente che resta ora da fissare il termine minimo di permanenza dei membri nei suddetti consigli, che per l’onorevole Rossi dovrebbe essere di 3 anni, mentre per onorevole Mortati dovrebbe essere di 5.

EINAUDI chiede se con le parole «per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni» ci si intenda riferire a un periodo consecutivo e se comunque sia condizione di eleggibilità l’appartenenza ai consigli direttivi al tempo delle elezioni.

UBERTI domanda se debba intendersi computato anche il periodo di attività sindacale prefascista.

PRESIDENTE osserva che evidentemente non è necessario un periodo consecutivo di appartenenza ai consigli direttivi, come pure non è necessario che il candidato occupi la carica sindacale al tempo delle elezioni e che naturalmente si terrà conto anche dell’attività sindacale prefascista, visto che il sindacalismo non è nato nel 1926.

Mette in votazione, quindi, la seguente formula con il termine di 3 anni proposto dall’onorevole Rossi: «che abbiano ricoperto la carica per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni».

(È approvata).

Fa presente che la formula approvata, relativamente alla categoria di cui al n. 1 del progetto dell’onorevole Rossi, nel suo complesso è la seguente: «membri eletti dei consigli direttivi nazionali regionali e provinciali di organizzazioni sindacali, che abbiano ricoperto la carica per un periodo complessivo non inferiore a tre anni».

Avverte che è ora in discussione la seguente formula proposta al n. 2 dell’onorevole Rossi: «membri dei consigli di gestione, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, di aziende con oltre cento dipendenti».

Nel progetto invece dell’onorevole Mortati, al n. 10, si propone un’altra formula così concepita: «membri dei consigli di gestione o dei consigli di amministrazione di aziende, anche cooperative, con 100 o più dipendenti, o 100 o più soci».

EINAUDI non comprende perché debbano essere escluse le imprese non costituite in società, e quindi senza consigli di amministrazione.

FABBRI propone l’aggiunta delle seguenti parole «nonché i dirigenti tecnici e amministrativi». Fa presente che con l’accoglimento del suo emendamento aggiuntivo sarebbero compresi anche gli imprenditori di aziende non sociali.

PICCIONI osserva che la formula proposta dall’onorevole Mortati è più completa.

Infatti non è possibile considerare a sé il consiglio di gestione. Esso collabora con il consiglio di amministrazione: quindi non può fare oggetto di una categoria a parte, in quanto non può esservi un consiglio di gestione, se non v’è un consiglio di amministrazione.

PRESIDENTE rileva che la differenza tra i due organismi consiste nel fatto che, mentre il consiglio di gestione ha la sua origine nel seno stesso del processo di lavoro, cioè nell’interno della azienda, il consiglio di amministrazione trova la sua origine in elementi esterni, ossia negli azionisti.

EINAUDI non condivide l’osservazione fatta dal Presidente, in quanto la funzione degli azionisti che eleggono il consiglio di amministrazione ha lo stesso significato di quella delle maestranze che eleggono i loro rappresentanti in seno al consiglio di gestione. Si tratta sempre di scegliere i dirigenti. La scelta potrà avvenire in modo diverso, ma è sempre una funzione interna aziendale.

PICCIONI rileva, a sostegno della formulazione proposta dall’onorevole Mortati, che l’elenco testé approvato relativo ai consigli direttivi di organizzazioni sindacali è comprensivo dei rappresentanti tanto dei lavoratori quanto dei datori di lavoro. Non vede perché non debba essere usato lo stesso criterio per il punto in questione.

PRESIDENTE fa presente che i consigli di gestione sono costituiti pariteticamente di rappresentanti tanto dei lavoratori, quanto dei datori di lavoro. L’argomentazione, quindi, dell’onorevole Piccioni non regge. Se fossero ammessi infatti nella categoria in esame anche i membri dei consigli di amministrazione, si avrebbe un duplicato di rappresentanza.

UBERTI osserva che i consigli di gestione non sono stati ancora legalmente costituiti.

PRESIDENTE risponde all’onorevole Uberti che il Governo e i partiti politici si sono già chiaramente espressi circa l’istituzione dei consigli di gestione. Comunque, accettando la formula proposta dall’onorevole Rossi, non si viene a pregiudicare la possibilità di approvare con una successiva votazione l’inclusione, tra le categorie proposte, di quella dei membri dei consigli di amministrazione.

MORTATI, Relatore, dichiara, anche a nome dei rappresentanti del suo gruppo, che il suo voto favorevole alla proposta di includere tra le categorie degli eligendi i membri dei consigli di gestione dovrà intendersi in senso contrario, se non sarà successivamente approvata la sua proposta di considerare eleggibili anche i membri dei consigli di amministrazione.

FABBRI si associa alla riserva formulata dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE, per evitare ogni motivo di dissenso, mette prima in votazione la proposta relativa all’inclusione, fra le categorie degli eligendi, dei membri dei consigli di amministrazione.

(È approvata).

Mette quindi in votazione la proposta di considerare eleggibili i membri dei consigli di gestione.

(È approvata).

Ricorda che è stato proposto di fondere insieme i numeri 2 e 3 del progetto dell’onorevole Rossi, in modo da raggruppare in una sola formulazione le aziende e le cooperative, e, quanto alle cooperative, è stato proposto di considerare non solo quelle di produzione, ma anche le altre.

Mette pertanto in votazione la seguente formula: «aziende e cooperative di produzione, di lavoro, di consumo e di credito con 100 o più dipendenti, o 100 o più soci».

(È approvata).

Fa presente che, per ragioni di armonia con quanto è stato testé approvato per i membri dei consigli direttivi delle organizzazioni sindacali, anche per i membri dei consigli di gestione e dei consigli di amministrazione di aziende e cooperative dovrà porsi la specificazione di essere eletti.

Resta ora da approvare il termine minimo di appartenenza dei membri ai suddetti consigli, fissato dall’onorevole Rossi in un periodo complessivo non inferiore a 3 anni.

Lo mette in votazione.

(È approvato).

Mette in votazione la proposta dell’onorevole Fabbri relativa all’aggiunta delle seguenti parole: «nonché i dirigenti tecnici e amministrativi delle aziende».

(È approvata).

Fa presente che la formulazione complessiva delle proposte testé approvate è la seguente:

«Membri eletti, per un periodo complessivo non inferiore a 3 anni, dei consigli di gestione e dei consigli di amministrazione di aziende e cooperative di produzione, lavoro, consumo e credito con 100 o più dipendenti, o 100 o più soci, nonché dirigenti tecnici e amministrativi di aziende».

Avverte che ora è in discussione la seguente formula proposta al n. 4 dall’onorevole Rossi:

«Membri, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, dei consigli direttivi delle Camere di commercio e industria». Relativamente a tale categoria l’onorevole Mortati propone al n. 8 un’altra formula così concepita: «membri elettivi dei consigli direttivi delle Camere di commercio, industria e agricoltura, dopo almeno 5 anni di funzioni».

EINAUDI ritiene che sia più opportuno, relativamente alla categoria in esame, accettare il termine di 5 anni proposto dall’onorevole Mortati.

PRESIDENTE fa presente che nella formula proposta dall’onorevole Mortati si parla di membri elettivi e dei consigli direttivi anche delle Camere di agricoltura. Tenendo presente le suddette indicazioni e ponendo prima in votazione il periodo di appartenenza ai consigli direttivi in questione fissato in 3 anni, la formulazione del n. 4 del progetto dell’onorevole Rossi potrebbe essere la seguente:

«Membri eletti, per un periodo complessivo non inferiore a tre anni, dei consigli direttivi delle Camere di commercio, industria e agricoltura».

Mette in votazione la formula di cui ha dato lettura.

(È approvata).

Deve ora mettere in votazione il numero 5 del progetto dell’onorevole Rossi relativo alla categoria dei Ministri, Sottosegretari di Stato, Ambasciatori, Deputati al Parlamento e alla Costituente.

ROSSI PAOLO dichiara di rinunciare alle categorie dei Ministri, Sottosegretari di Stato e Ambasciatori e di limitare quindi la sua proposta ai soli Deputati al Parlamento e alla Costituente.

LUSSU dichiara di essere favorevole alla primitiva formula proposta dall’onorevole Rossi.

PRESIDENTE osserva che la categoria degli Ambasciatori potrebbe rientrare in quella dei funzionari di cui si fa menzione al n. 13 del progetto dell’onorevole Mortati. Potrebbe quindi per ora non essere considerata.

UBERTI domanda se con la parola «Parlamento» ci si intenda riferire soltanto alla prima Camera.

PRESIDENTE trova giusta l’osservazione dell’onorevole Uberti e suggerisce di usare le parole «Camera dei Deputati». La formulazione del n. 5 del progetto dell’onorevole Rossi potrebbe essere la seguente:

«Ministri, Sottosegretari di Stato, Deputati alla Camera dei Deputati e all’Assemblea Costituente».

La mette in votazione.

(È approvata).

BOZZI propone di aggiungere le seguenti parole «i Presidenti della Repubblica».

PRESIDENTE mette in votazione la proposta dell’onorevole Bozzi.

(È approvata).

EINAUDI fa presente l’opportunità di includere nello categorie di cui al n. 5 anche i senatori non dichiarati decaduti.

MORTATI, Relatore, osserva che una disposizione relativa ai senatori non decaduti dovrebbe trovar posto in norme transitorie, non già nella Costituzione, essendo stato soppresso il Senato.

PRESIDENTE fa presente che per il momento occorre soltanto decidere sul merito della proposta fatta dall’onorevole Einaudi. La questione accennata dall’onorevole Mortati potrà essere decisa in seguito. Mette pertanto in votazione la seguente formula: «Senatori appartenenti al disciolto Senato, non dichiarati decaduti».

(È approvata).

Fa presente che la formulazione complessiva delle proposte testé approvate è la seguente:

«Ministri, Sottosegretari di Stato, Deputati alla Camera dei Deputati e all’Assemblea Costituente, Presidenti della Repubblica e Senatori appartenenti al disciolto Senato non dichiarati decaduti».

Avverte che ora è in discussione la seguente formula proposta al n. 6 dall’onorevole Rossi:

«Sindaci e consiglieri, per un periodo non inferiore a tre anni, dei comuni aventi più di 10.000 abitanti».

A tale proposito l’onorevole Mortati, ai n. 3 e 4 del suo progetto, propone un’altra formula così concepita:

«Sindaci e consiglieri di comuni con più di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di quattro anni.

«Sindaci e consiglieri di comuni con meno di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di otto anni».

Fa presente inoltre che l’onorevole Uberti ha proposto la seguente altra formulazione: «Sindaci e assessori dei comuni, che abbiano coperto almeno per un quadriennio tale carica».

FUSCHINI si associa alla proposta dell’onorevole Mortati.

LUSSU chiede che la votazione avvenga per divisione, perché egli non è favorevole all’inclusione degli assessori.

PRESIDENTE mette in votazione l’inclusione dei sindaci di tutti i comuni.

(È approvata).

Circa la durata in carica dei sindaci, mette in votazione la proposta dell’onorevole Uberti che prevede un periodo di almeno un quadriennio.

(È approvata).

Circa la questione se debbano essere inclusi anche gli assessori, mette in votazione la proposta dell’onorevole Uberti di considerare eleggibili gli assessori di tutti i comuni che abbiano ricoperto tale carica per almeno un quadriennio.

(È approvata).

Sulla questione dell’inclusione dei consiglieri comunali, mette in votazione la proposta dell’onorevole Mortati.

(È approvata).

Fa presente che la formulazione complessiva delle proposte testé approvate è la seguente:

«Sindaci c assessori dei comuni, che abbiano coperto almeno por un quadriennio tale carica, consiglieri di comuni con più di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di quattro anni, e consiglieri di comuni con meno di 10.000 abitanti, per un periodo non minore di otto anni».

Avverto che ora è in discussione la seguente formula proposta al n. 7 dall’onorevole Rossi:

«Presidenti delle assemblee regionali, presidenti dei consigli e delle deputazioni provinciali, deputati alle assemblee regionali, questi ultimi quando abbiano esercitato il mandato per almeno tre anni».

A tale proposito l’onorevole Mortati, al n. 5 del suo progetto, propone un’altra formula così concepita:

«Membri delle assemblee regionali e dei consigli provinciali, per almeno tre anni».

ROSSI PAOLO dichiara di accettare la formulazione proposta dall’onorevole Mortati.

LUSSU osserva che, con il futuro ordinamento regionale, potrà accadere di non avere più una divisione in provincie. Se quindi dovesse essere accolta o l’una o l’altra formula proposta, bisognerebbe in seguito modificare il testo della formula approvata, nel senso di coordinarlo alle disposizioni relative al nuovo ordinamento regionale.

PRESIDENTE mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Mortati.

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione la seguente formula proposta al n. 8 dall’onorevole Rossi:

«Membri dei Consigli superiori consultivi».

A tale proposito l’onorevole Mortati propone, al n. 6 del suo progetto, un’altra formula così concepita:

«Membri elettivi dei Consigli superiori presso le amministrazioni centrali».

EINAUDI propone di sopprimere la parola «consultivi».

BOZZI desidera sapere se a proposito dei Consigli superiori si debba fare riferimento all’elettività o soltanto al corpo al quale si appartiene. Secondo il suo avviso, ci si dovrebbe riferire soltanto all’appartenenza ai Consigli anzidetti, in quanto alcuni membri di tali Consigli possono non essere elettivi.

MORTATI, Relatore, dichiara che la ragione della sua proposta è in relazione al futuro svolgimento legislativo, in quanto a suo avviso tutti i membri dei Consigli superiori dovrebbero diventare elettivi. In ogni modo dichiara di rinunciare alla parola «elettivi».

LACONI fa sua la proposta dell’onorevole Mortati, avvertendo che invece della parola «elettivi» sarebbe meglio usare la parola «eletti».

PRESIDENTE mette in votazione la seguente formula proposta dall’onorevole Mortati con la modificazione suggerita dall’onorevole Laconi: «membri eletti dei Consigli superiori presso le amministrazioni centrali».

(È approvata).

Avverte che ora è in discussione la seguente formula proposta al n. 9 dall’onorevole Rossi:

«Membri dei consigli direttivi degli Ordini professionali».

A tale proposito l’onorevole Mortati, al n. 7 del suo progetto, propone un’altra formula così concepita:

«Membri eletti dei consigli direttivi degli Ordini professionali, dopo almeno cinque anni di funzioni».

Mette in votazione innanzitutto la questione di principio relativa all’elettività dei membri dei consigli anzidetti.

(È approvata).

Mette in votazione il termine di 3 anni relativamente alle funzioni di membro dei consigli direttivi anzidetti, in armonia a quanto è stato già approvato relativamente alle precedenti categorie.

(È approvato).

Avverte che la formulazione complessiva delle proposte testé approvate è la seguente:

«Membri eletti dei consigli direttivi degli Ordini professionali dopo almeno tre anni di funzioni».

È ora in discussione la seguente formula proposta al n. 10 dall’onorevole Rossi:

«Professori di ruolo delle Università e istituti equiparati».

A tal proposito l’onorevole Mortati, al n. 11 del suo progetto, propone un’altra formula così concepita:

«Professori ordinari di Università o equiparati».

LACONI propone la seguente formulazione:

«Membri eletti dei consigli accademici delle Università o istituti equiparati».

MORTATI, Relatore, domanda all’onorevole Laconi che cosa egli intenda per consigli accademici.

LAGONI dichiara di riferirsi ai consigli di Facoltà.

MORTATI, Relatore, osserva che i membri dei consigli di Facoltà non sono eletti.

LUSSU fa presente che la proposta dell’onorevole Laconi si ispira al criterio che è stato già accolto per le precedenti categorie.

EINAUDI dichiara che per i professori di Università il criterio dell’elezione è implicito, in quanto o sono stati chiamati della Facoltà – e questa è una forma di elezione – o pure sono stati eletti per concorso.

PRESIDENTE mette in votazione la seguente formula: «professori ordinari di Università o di istituti equiparati».

(È approvata).

È ora in discussione la seguente formula proposta al n. 11 dall’onorevole Rossi:

«Membri delle Accademie e società scientifiche e letterarie riconosciute dalla legge».

EINAUDI propone per la categoria dei membri delle Accademie la seguente formula:

«Membri dell’Accademia nazionale dei Lincei e delle Accademie e società scientifiche e storiche a questa equiparate».

PRESIDENTE mette in votazione la formulazione proposta dall’onorevole Einaudi.

(È approvata).

La seduta termina alle 20.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Farini, Grieco, Leone Giovanni, Patricolo, Porzio, Targetti.

GIOVEDÌ 17 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

31.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 17 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Per una pubblicazione giornalistica

Lussu – Conti – Laconi – Rossi Paolo – Targetti – Presidente – La Rocca – Piccioni.

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Uberti – Lussu – Ambrosini – Presidente – Mortati, Relatore – Vanoni – Nobile – Piccioni – Laconi – Fuschini – Patricolo – Perassi – Codacci Pisanelli – Targetti – Calamandrei – Einaudi – Porzio – Lami Starnuti – Tosato – Bozzi – Ravagnan – Mannironi.

La seduta comincia alle 16.35.

Per una pubblicazione giornalistica.

LUSSU eleva la più viva protesta contro il comportamento della stampa dei partiti socialista e comunista, la quale ha dato notizia, alludendo a quanto la Sottocommissione aveva deciso nell’ultima riunione, del trionfo di una tesi di destra o reazionaria. Osserva che, superata la fase iniziale dei lavori, la Sottocommissione ha affrontato più con criteri tecnici che con criteri politico-sociali i problemi che le si presentavano; e ciò ha fatto sì che spesso, su una determinata questione, si sia avuto un assoluto frammischiamento tra la destra e la sinistra.

Rivendica la sua intera e piena indipendenza di giudizio, non solo, ma anche il diritto di indirizzare, sotto il profilo politico, il suo atteggiamento, sempre ispirato dalla propria coscienza e dalla propria esperienza politica. In tal modo intende contribuire al buon andamento dei lavori della Sottocommissione.

Del resto – per ciò che riguarda l’elezione alla seconda Camera – ricorda che anche i rappresentanti del partito comunista avevano ammesso in un primo tempo – ed hanno presentato in proposito un ordine del giorno – che l’elezione di secondo grado fosse compatibile con la loro posizione politica.

Conclude deplorando queste forme di sfruttamento a scopo elettoralistico di posizioni e problemi che devono essere affrontati con serenità scientifica e non costituire materia di pubblico comizio.

CONTI si associa pienamente alla protesta dell’onorevole Lussu, perché ritiene che non si debbano trasformare in materia da comizio le discussioni che hanno luogo in seno alla Sottocommissione, e che è incompatibile con la funzione di deputato fare sui giornali, circa l’operato della Sottocommissione, apprezzamenti che certamente sono stati formulati da colleghi presenti alla riunione.

LACONI premette che, a suo parere, la stampa del suo partito non merita rimproveri così accesi come quelli che le sono stati testé rivolti ed osserva che ogni giornale di partito giudica secondo il proprio punto di vista politico le deliberazioni della Sottocommissione, di cui ha notizia attraverso indiscrezioni provenienti da fonti diverse.

Quanto al comportamento del proprio gruppo circa il problema dell’elezione alla seconda Camera, osserva che l’ordine del giorno, cui ha fatto allusione l’onorevole Lussu, fu presentato quando si riteneva che non vi fosse restrizione alcuna alla eleggibilità, e mirava appunto a porre qualche limitazione all’elettorato attivo, al fine di distinguere la prima dalla seconda Camera; ma, avendo poi il suo gruppo acceduto alla proposta di ammettere determinate condizioni alla eleggibilità, fu ritirato, intendendosi tutelare il carattere democratico e popolare della seconda Camera attraverso il suffragio universale. Perciò ritiene non esservi stata contraddizione fra le due posizioni assunte, le quali si studiavano – sia la prima che la seconda – di tutelare nel modo più sicuro il carattere democratico della seconda Camera.

Concludendo, dichiara di ritenere non democratica la soluzione alla quale si è giunti, cioè non rispondente alle esigenze popolari ed alle necessità del mondo moderno. Questo è stato osservato dalla stampa del suo partito, la quale, a suo parere, si è servita di un linguaggio assai meno aspro di quello usato dagli oratori che lo hanno preceduto.

ROSSI PAOLO non trova opportune le parole pronunciate dall’onorevole Conti, dai cui rimproveri si sente immune.

Riconosce che non è possibile fare, in seno alla Sottocommissione, una netta distinzione fra destra e sinistra; ritiene però che sarebbe assolutamente antidemocratico pretendere che la stampa – sia indipendente che di partito – non esprima liberamente il proprio giudizio sui lavori della Sottocommissione.

TARGETTI dichiara di essere stato lui a riferire ai giornalisti quanto è stato deciso nella passata seduta; ma osserva che il titolo apposto ad una notizia o il commento in un determinato senso fatto dai giornali sui lavori della Sottocommissione non sono, a suo modo di vedere, materia per una questione che possa essere sollevata in questa sede.

PRESIDENTE, richiamandosi alla consuetudine parlamentare, secondo la quale, in casi del genere, ci si limita a brevi dichiarazioni all’inizio dei lavori, invita i colleghi a non ampliare la discussione.

LA ROCCA si associa all’onorevole Rossi.

PICCIONI dichiara di ritenere poco simpatico e parlamentare – ed egli si è sempre astenuto dal farlo – il sistema di comunicare alla stampa, per trarne interpretazioni assolutamente unilaterali ed arbitrarie, indiscrezioni su problemi che si discutono, prima ancora che siano risolti nella loro integrità, perché altro è mettere in rilievo alcuni aspetti unilaterali e parziali di un problema complesso – come quello dell’elezione della seconda Camera – ed altro è esporre il risultato di un lungo lavoro che la Sottocommissione ha compiuto per risolvere il problema nella sua integrità.

Non vede la necessità di informare la stampa, seduta per seduta, di quanto si discute, prima che le varie risoluzioni siano votate; e osserva che, se ci si astenesse dal farlo, si eviterebbero interpretazioni soggettive su vari aspetti dei singoli problemi.

Rispettoso dei diritti della stampa libera, non solleva eccezioni in ordine alle interpretazioni che la stampa di partito può dare; ma dichiara nel modo più reciso di non riconoscere ad alcun partito una particolare investitura per qualificare e definire ciò che è democratico e ciò che è antidemocratico. Conclude affermando che la Sottocommissione sta appunto lavorando per realizzare le forme più moderne ed autentiche di democrazia, le quali devono corrispondere agli interessi ed ai desideri del popolo italiano.

LA ROCCA dà lettura del comunicato apparso sul giornale L’Unità, concernente i lavori della Sottocommissione, e domanda agli onorevoli Lussu e Conti se tali informazioni possano dirsi tendenziose o arbitrarie o possano considerarsi come deprecabili manovre.

PRESIDENTE ritiene che la citazione testé fatta dall’onorevole La Rocca costituisca la risposta più opportuna a quanto è stato osservato in proposito. Rileva poi che il principio più elementare che regge la libertà di stampa in un Paese moderno è che colui il quale scrive un articolo e lo firma, ne assume la responsabilità ed ha pieno diritto di farlo; naturalmente la parte contraria potrà controbattere la sua tesi con un altro articolo.

CONTI precisa che egli non intendeva riferirsi alla stampa comunista, ma a quella socialista.

PRESIDENTE prende atto della dichiarazione dell’onorevole Conti e dichiara chiuso l’incidente.

Seguito della discussione sull’ordinamento costituzionale dello Stato.

UBERTI domanda se la raccolta dei dati relativi alle regioni – in merito alla quale la Sottocommissione ha preso una deliberazione – si stia effettuando.

LUSSU informa la Sottocommissione che parte dei dati di carattere fiscale, estremamente interessanti, gli è stata consegnata dall’onorevole Ambrosini.

AMBROSINI fa presente all’onorevole Uberti (il quale del resto dovrebbe esserne al corrente, poiché collabora ai lavori del Comitato di redazione del progetto sulle autonomie locali) che è stata fatta richiesta alla Presidenza della Commissione plenaria di continuare questa raccolta di dati.

UBERTI dichiara di aver formulato la sua domanda in quanto gli risultava che si incontravano difficoltà nella ricerca di questi dati. Dopo i chiarimenti dell’onorevole Ambrosini si dichiara soddisfatto.

PRESIDENTE ricorda, a proposito del problema dell’elettorato passivo per la seconda Camera, i punti principali contenuti nelle proposte e negli ordini del giorno presentati nel corso delle ultime sedute, e cioè quello del limite di età, quello che si riferisce al luogo di nascita o di residenza o di svolgimento dell’attività principale o quello riguardante le categorie, le attività professionali o produttive nello quali devono rientrare gli eligendi.

Fa presente che, per quanto riguarda il requisito dell’età, l’onorevole Laconi ha proposto il limite di 30 anni, l’onorevole Perassi quello di 35, l’onorevole Fuschini quello di 40.

Pone ai voti la prima proposta, cioè che gli eligendi alla seconda Camera debbano avere il requisito di almeno 30 anni di età.

(Non è approvata).

Mette in votazione la proposta che fissa a 35 anni tale limite di età.

(È approvata).

Quanto al problema del legame degli eligendi con la regione nella quale si presentano candidati, sono state avanzate tre proposte. A suo avviso, non sarebbe sufficiente il solo requisito della nascita.

MORTATI, Relatore, ritiene che si potrebbe tener presente anche il requisito del domicilio.

VANONI ritiene indispensabile che si faccia riferimento alla nascita ed alla residenza, perché molte persone possono essere costrette, per motivi inerenti alla loro professione, a trasferire il loro domicilio in un’altra regione, pur continuando a risiedere nella città natale.

NOBILE darebbe importanza, più che alla nascita – che può essere puramente casuale – al requisito della residenza e a quello dello svolgimento dell’attività principale.

PICCIONI è favorevole ai requisiti della nascita e del domicilio; escluderebbe invece la residenza, perché può verificarsi il caso di persona la quale, dopo aver risieduto per 5 anni in una regione, si trasferisca altrove sciogliendosi da qualsiasi vincolo con la regione stessa. Ricorda che anche per la elezione alla Costituente si faceva riferimento al domicilio e non alla residenza.

LACONI ritiene condizione essenziale, per rappresentare una regione, quella dell’attività che si svolge nell’ambito della regione stessa, alla quale si potrebbe unire un altro requisito: o quello della nascita o quello del domicilio.

FUSCHINI fa presente che non è facile dimostrare qual è l’attività normale.

PATRICOLO è favorevole al principio contenuto nella formula dell’onorevole Perassi; eleverebbe però la durata della residenza da 5 a 10 anni, per avere una maggiore garanzia di attaccamento alla regione da parte dell’eligendo.

LUSSU è del parere che non si debbano adottare criteri eccessivamente esclusivisti, che potrebbero dar luogo a difficoltà. Ritiene che sia sufficiente richiedere la nascita o la residenza abituale.

PRESIDENTE pone ai voti la condizione che l’eligendo debba essere nato nella regione, salvo a decidere poi se un’altra condizione, alternativa, debba essere posta.

(È approvata).

PERASSI, circa l’altra condizione alternativa, insiste nella sua proposta, sia perché ritiene che il requisito della residenza possa indicare meglio di quello del domicilio l’attaccamento alla regione, sia perché il limite di 5 anni rappresenta una via intermedia fra le varie proposte.

NOBILE concorda con l’onorevole Perassi.

FUSCHINI, a parte il fatto che, secondo la nuova legge elettorale, non si può essere elettori se non dove si ha il domicilio, rileva che il requisito della residenza abituale potrà aprire l’adito a numerose eccezioni in occasione della verifica dei poteri, perché sarà più difficile dare la prova della residenza che non quella del domicilio, che investe anche sotto il profilo giuridico tutta l’attività dell’individuo.

CODACCI PISANELLI fa presente un altro aspetto del problema e cioè che alcune carriere comportano l’obbligo della residenza in determinati luoghi, e quindi, accettando tale requisito, si finirebbe con l’escludere dalla eleggibilità persone che invece meriterebbero di esservi ammesse.

PATRICOLO prospetta le difficoltà che si incontrerebbero nel provare l’esistenza del domicilio, e aggiunge che gli uffici rilasciano un certificato di residenza, ma non quello di domicilio.

CODACCI PISANELLI osserva che per dare la prova del domicilio non occorre un certificato, ma basta dimostrare che quello è il luogo in cui – come dice il Codice – una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi.

CALAMANDREI aggiunge che nella legislazione civile e processuale civile vi sono numerosissime norme che fanno riferimento al domicilio, il quale è un concetto giuridico preciso ed elementare.

PERASSI osserva che ora non si discute della elementarità del concetto di domicilio, bensì della difficoltà di provarlo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Perassi di considerare requisito di eleggibilità quello della residenza nella regione da almeno 5 anni.

(Non è approvata).

Mette quindi ai voti il requisito del domicilio, da considerare alternativamente a quello della nascita, senza alcun limite di tempo.

(È approvato).

Apre ora la discussione sul terzo punto relativo ai requisiti – da richiedere agli eligendi – di capacità e di esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva. Richiama l’attenzione dei colleghi, oltre che sui problemi principali, ai quali hanno accennato i vari ordini del giorno presentati, anche su altre questioni che aspettano una soluzione, quali quella se l’indicazione delle categorie debba essere contenuta nella Costituzione o rimandata ad una legge speciale, se la distribuzione degli eligendi fra le singole categorie debba essere determinata dalla legge o possa esser lasciata alla libera volontà degli elettori o dei gruppi presentatori, ecc.

TARGETTI fa presente l’inopportunità di porre determinate condizioni per l’eleggibilità dei membri alla seconda Camera, una volta approvato il sistema della elezione di secondo grado. Osserva in proposito che quando la massa elettorale è libera di scegliere gli eligendi, può essere opportuno dare qualche indicazione con la precostituzione di categorie; mentre, una volta ristretto il corpo elettorale, una limitazione nelle categorie degli eleggibili può ritenersi superflua.

Fa poi presente un inconveniente pratico, e cioè che se nella formazione delle categorie si adotterà un criterio estensivo, queste perderanno molta parte del loro significato, perché l’elettore sceglierà il candidato, indipendentemente dalle categorie, secondo il partito che predilige; se si userà un criterio restrittivo, si finirà col fare un’elezione aristocratica ed antidemocratica.

Ritiene poi – nel caso che si dovesse accedere alla proposta Perassi – poco felice l’espressione «attività produttiva», che è, a suo parere, troppo vaga. Conclude proponendo di rinunziare ad ogni limitazione nella eleggibilità dei membri della seconda Camera.

MORTATI, Relatore, dichiara di dissentire dall’onorevole Targetti sul concetto della incompatibilità fra corpo elettorale ristretto e determinazione di categorie. Osserva a tale proposito che non si può parlare di incongruenza logica – perché non è raro il caso che anche in un collegio ristretto la scelta cada su persone specificamente qualificate – né di carattere aristocratico o antidemocratico, se le categorie si determinano in modo tale che chiunque possa accedervi.

Non gli sembra soddisfacente la formula proposta dall’onorevole Perassi, la quale mirava evidentemente a trovare un addentellato più o meno stretto tra gli eligendi e quelle forze vive, cui si riferiva un criterio ispiratore che può oggi considerarsi superato: non soddisfacente soprattutto per una considerazione formale, e cioè perché ritiene che tali requisiti debbano essere stabiliti nella Costituzione e non in una legge speciale. Osserva in secondo luogo che in tale formula è troppo genericamente indicato il rapporto fra il requisito di capacità e l’appartenenza ad una attività produttiva. Ritiene però

che anche con una maggiore specificazione non si raggiungerebbe lo scopo voluto, e che sarebbe necessario collegare più intimamente queste categorie di eleggibili con i vari rami dell’attività produttiva, fissando quote (da attribuire alle varie categorie, sentite le Assemblee regionali) o che siano in proporzione all’importanza di queste categorie in ogni regione e rivedibili ogni 5 anni per adeguarle agli eventuali spostamenti di proporzione fra le varie categorie.

Dà lettura di un articolo che ha formulato tenendo presenti i concetti testé esposti:

«Le Assemblee regionali procederanno alla nomina dei membri della seconda Camera, ad essa affidata a norma del precedente articolo, in base a quote proporzionali (nella misura che sarà fissata, in relazione alla composizione sociale di ogni regione, e previa consultazione degli organi rappresentativi di ciascuna, con apposita legge, da sottomettere a revisiono ogni 5 anni), fra cittadini appartenenti ad una delle seguenti categorie di attività: 1°) agricoltura, caccia e pesca; 2°) industria e artigianato; 3°) commercio, trasporti e banche; 4°) professioni liberali.

«Sono eleggibili coloro che esercitino effettivamente l’attività corrispondente alla categoria per la quale sono eletti, e che inoltre abbiano ricoperto o coprano una delle cariche appresso elencate: a) membri dei consigli direttivi delle camere di commercio, industria ed agricoltura, dopo almeno 5 anni di effettivo funzioni; b) membri dei consigli direttivi di consorzi agrari, dopo almeno 5 anni di funzioni elettive; c) membri di consigli direttivi di associazioni di categoria registrate aventi almeno mille iscritti, dopo cinque anni di funzioni effettive; d) membri dei consigli direttivi di collegi o albi professionali, dopo almeno cinque anni di effettive funzioni.

«Ogni membro dell’Assemblea regionale può votare per un numero di candidati non superiore ai 4/5 dei seggi assegnati complessivamente al collegio.

«Sono eleggibili anche i membri delle assemblee in quanto abbiano i requisiti richiesti».

PERASSI rileva anzitutto che nel suo schema la questione dei requisiti si pone soltanto per il terzo degli eleggibili di competenza dell’Assemblea regionale. Osserva poi di avere volutamente usato una dizione alquanto generica, anche in considerazione del fatto che il numero di membri che ogni Assemblea regionale è chiamato ad eleggere può oscillare sensibilmente da regione a regione, per arrivare anche ad un livello molto basso nelle piccole regioni. Del resto è disposto a rinunciare alla formula «attività produttiva» ove se ne trovi una migliore.

Quanto alla parola «esperienza», gli sembra che essa corrisponda, almeno in parte, al concetto contenuto nella proposta dell’onorevole Mortati; tale parola, a suo parere, significherebbe che deve trattarsi di persona che ha già qualche importanza nella categoria di cui si tratta.

Riconosce poi che, da un punto di vista teorico, sarebbe desiderabile che questi requisiti fossero rigidamente stabiliti nella Costituzione, ma segnala gli inconvenienti a cui tale rigidità di elencazione potrebbe dar luogo. Soggiunge che a questo inconveniente si potrebbe rimediare consentendo – come in Belgio – di modificare le categorie stabilite nella Costituzione con una legge speciale.

EINAUDI dichiara di essere contrario ad un articolo nel quale si consideri requisito di eleggibilità il fatto di svolgere una «attività produttiva», che ritiene espressione priva di significato. È invece favorevole a che si faccia un elenco di qualifiche che possano essere richieste agli eleggibili, ma senza attribuire ad esse un significato di produttività, giacché, a suo parere, non esiste scientificamente una distinzione fra individui produttori ed individui non produttori.

FUSCHINI ritiene che la proposta dell’onorevole Perassi non risponda, nel suo complesso, alla esigenza, riconosciuta in seno alla Sottocommissione, di avere una maggiore selezione nell’elezione della seconda Camera.

Concorda anzitutto con quanto in una precedente seduta osservò l’onorevole Einaudi nel ritenere inopportuna la frase «attività produttiva», anche per la sua eccessiva genericità.

Quando ai requisiti di eleggibilità, ritiene che debbano essere i medesimi per tutti gli eligendi, sia per il terzo da eleggere dalle assemblee regionali, che per i due terzi da nominare dai consigli comunali, perché, a suo parere, non è possibile che un’Assemblea, la quale deve avere la sua unità di formazione, sia composta di elementi aventi requisiti diversi a seconda del modo di elezione.

Ritiene poi, per ciò che si riferisce alle categorie, che si possa trovare una frase comprensiva – come aveva sommariamente proposto nel suo ordine del giorno – che non ne escluda alcune.

Desidera anche esprimere un suo punto di vista personale circa la quotizzazione delle categorie, a cui ritorna, in un certo senso, l’ordine del giorno Mortati. Tale quotizzazione può far sì, a suo parere, soltanto per il terzo che viene nominato dalle assemblee regionali con una forma di votazione che, data la ristrettezza di tali assemblee, non crea imbarazzi di organizzazione. Una volta ammesso questo principio, riserverebbe la decisione sulla proporzionalità alle assemblee regionali stesse, le quali, conoscendo le esigenze locali, potrebbero graduare le proporzioni meglio di quanto non possa fare una legge di carattere generale.

PORZIO è del parere che non si possano, senza ledere i principî della tecnica giuridica, non includere in una Costituzione le condizioni di eleggibilità alla seconda Camera, condizioni che, come ha sostenuto l’onorevole Fuschini, devono essere eguali per tutti e non variare col variare del corpo elettorale.

È d’accordo con l’onorevole Einaudi nel ritenere troppo vaga e imprecisa la locuzione «forze produttive».

LACONI, riferendosi all’affermazione dell’onorevole Targetti circa la interdipendenza tra l’accettazione delle condizioni di eleggibilità e la votazione a suffragio universale, fa presente che l’astensione del suo gruppo dalla votazione, che ha avuto luogo nella passata seduta, deve essere interpretata come affermazione di un punto di vista diverso, che il gruppo stesso si ripromette di sostenere in sede di Commissione plenaria.

Prospetta l’opportunità di lasciare aperta la questione delle condizioni di eleggibilità (limitandosi ora la Sottocommissione a decidere se tali norme debbano essere comprese nella Costituzione o in una legge particolare) che potrà essere risolta successivamente in sede di articolazione. Pensa che la Sottocommissione dovrebbe limitarsi a fissare i criteri generali, che potrebbero sintetizzarsi nelle attività di carattere economico, sociale e culturale, affidando il lavoro particolare ad un Comitato ristretto.

Dichiara infine che il suo gruppo è contrario alle quote ed alle proporzioni fra le varie quote.

MORTATI, Relatore, dichiara di non aver considerato i requisiti degli eligendi da parte dei consiglieri comunali, perché riteneva che la discussione fosse limitata a quelli degli eligendi da parte delle Assemblee regionali. Dà lettura di una sua proposta concernente i requisiti dei membri della seconda Camera da eleggérsi da parte dei consiglieri comunali:

«L’elezione dei membri della seconda Camera da parte dei consiglieri comunali sarà effettuata su liste liberamente formate fra cittadini i quali abbiano coperto o coprano una delle cariche di cui al precedente articolo, oppure una delle altre seguenti: a) membri del Governo; b) membri del Parlamento con almeno una legislatura; c) membri di Assemblee regionali dopo almeno 5 anni di funzioni; d) sindaci di comuni con almeno 30 mila abitanti o capi di comunità dopo almeno 5 anni di funzioni; e) funzionari dello Stato o di enti pubblici locali, dei primi quattro gradi gerarchici o gradi equiparati; f) professori di ruolo di istituti superiori che abbiano ricoperto per almeno un biennio la carica di rettore, preside o direttore; g) membri dell’Accademia dei Lincei o del Consiglio superiore dello ricerche; h) membri dei consigli superiori delle pubbliche amministrazioni dopo almeno 5 anni di funzioni; i) presidi di istituti di istruzione media dopo almeno 10 anni di funzioni.

«Sono eleggibili anche i consiglieri elettori i quali siano in possesso dei requisiti richiesti.

«Ogni consigliere potrà votare per non più dei quattro quinti dei seggi da coprire».

Rispondendo all’onorevole Perassi, insiste sull’opportunità di inserire nella Costituzione l’indicazione delle categorie; né riterrebbe accettabile, al fine di non complicare il sistema delle fonti, la soluzione suggerita dall’onorevole Perassi di mutare le categorie, elencate nella Costituzione, per mezzo di una legge speciale.

Per quanto riguarda le quote per le elezioni da parte delle Assemblee regionali, è del parere che la loro determinazione debba esser fatta dalla legge, tenute presenti le situazioni particolari di ogni regione.

LA ROCCA osserva che, dal momento che la Sottocommissione ha ritenuto nella sua maggioranza di restringere il corpo elettorale della seconda Camera, non sarebbe più il caso di limitare le condizioni di eleggibilità.

A suo parere, un corpo elettorale già selezionato, quale quello posto alla base della seconda Camera, è sufficiente ad assicurare una diversità di composizione a questa Assemblea, i cui membri già si differenziano da quelli della prima Camera per il fatto di avere un limite minimo di età più elevato, e di essere legati alla vita della regione che li elegge. Restringere ancora il numero degli eleggibili, stabilendo che non possano essere membri della seconda Camera se non quelli che appartengono a determinate categorie, significa, a suo parere, porre delle condizioni di privilegio.

Ritiene infine che non si debba parlare di suddivisione delle quote, il che farebbe sorgere confusioni.

LAMI STARNUTI ricorda di essersi già dichiarato favorevole alla determinazione dei requisiti personali di eleggibilità in quanto, nel suo concetto, vedeva l’elezione della seconda Camera fatta non con votazione di secondo grado, ma a suffragio universale e diretto; e pensa – come ha osservato l’onorevole Targetti – che con un corpo elettorale di secondo grado possa diventare superflua la determinazione dei requisiti di eleggibilità, in quanto la garanzia di selezione data dal corpo elettorale ristretto può benissimo sostituire il precetto di legge sui requisiti di eleggibilità.

Richiama l’attenzione dei colleghi sul congegno della formula Mortati, la quale ripresenta in modo indiretto una proposta che la Sottocommissione aveva respinto qualche giorno prima. Fa presente che tale formula subordina l’elezione a membro della seconda Camera ad una prima elezione interna a carattere di categoria; in altro parole, se una persona non è stata eletta nel consiglio direttivo della propria categoria (le proposta Mortati ne indica quattro gruppi) non potrà essere eleggibile alla seconda Camera.

Si dichiara perciò contrario alla proposta dell’onorevole Mortati e disposto ad accedere, in via subordinata – salvo la riserva di riprendere tale questione in seno alla Commissione plenaria – alla proposta, opportunamente modificata, dell’onorevole Perassi.

Fa infine le sue riserve anche su altre norme proposte nell’articolazione dell’onorevole Mortati, e sulle quali la Sottocommissione non ha ancora portato la sua attenzione.

PERASSI, a parte il fatto che la sua proposta non è stata formulata per essere testualmente riprodotta nella Costituzione, ma ha soltanto lo scopo di delineare dei criteri di massima, dichiara che non ha nulla in contrario a che alla frase «attività produttiva» se ne sostituisca un’altra, come la seguente: «attività economica, sociale e culturale».

NOBILE è contrario alla proposta dell’onorevole Perassi, fra l’altro anche per le osservazioni fatte dall’onorevole Einaudi.

LUSSU osserva che è necessario giungere ad un compromesso, specialmente fra i maggiori partiti, per poter compilare una Costituzione rispondente alle esigenze generali del Paese. È appunto in omaggio a tale concetto che il gruppo della Democrazia Cristiana dovrebbe rinunciare definitivamente alla questione del collegio elettorale rappresentato per categorie, mentre i gruppi socialista e comunista dovrebbero rinunciare alla votazione a scrutinio universale e diretto ed accettare quella di secondo grado.

Dichiara poi di ritenere indispensabile anche per le Assemblee regionali la fissazione di un sistema che garantisca un’equa proporzionalità nei confronti dell’entità numerica del corpo elettorale, per assicurare la tutela delle minoranze.

Ritiene infine che la Costituzione debba indicare, nelle grandi linee, le categorie, la cui determinazione non può essere rinviata alla legge elettorale. Concludendo, afferma che se si potesse pervenire, per ciò che attiene alle categorie, ad una libera espressione, tale soluzione potrebbe essere accettabile da tutti.

TOSATO ritiene che, per giungere ad una conclusione sollecita, la Sottocommissione si debba pronunciare su quattro questioni di principio.

La prima è se i deputali alla seconda Camera debbano avere determinati requisiti speciali di eleggibilità; ed egli ritiene che tutti siano d’accordo nel non voler fare della seconda Camera un doppione della prima. Alla prima selezione che ha luogo attraverso l’elezione di secondo grado, ritiene sia opportuno unire l’altra della richiesta di determinali requisiti di eleggibilità.

La seconda questione è se tali requisiti si debbano esigere non soltanto dagli eletti dall’Assemblea regionale, ma anche da quelli eletti dal corpo dei consiglieri comunali, ed egli manifesta il parere che debbano essere richiesti per tutti.

Sulla terza questione – se cioè i requisiti per i membri da eleggersi da parte dei due collegi elettorali debbano essere identici – ritiene che, dal momento che si sono costituiti due collegi elettorali distinti, si debbano richiedere requisiti diversi; altrimenti non vi sarebbe alcuna giustificazione alla diversità dei collegi.

Nei riguardi dell’ultima questione, sulla opportunità di inserire i requisiti di eleggibilità nella Costituzione o in una legge speciale, ritiene che si debba rispondere in senso affermativo alla prima soluzione.

BOZZI ritiene anzitutto che i requisiti di eleggibilità debbano essere determinati dalla Sottocommissione, la quale si potrebbe limitare per ora a questa affermazione di principio, salvo a rimandare l’esame dei connotati specifici delle varie categorie ad un più ristretto Comitato.

È poi del parere che i requisiti di eleggibilità siano necessari tanto per i membri eletti dall’Assemblea regionale, quanto per quelli nominati dal corpo costituito dai consiglieri comunali, e che, per evitare che l’antitesi fra i due corpi elettorali divenga ancor più profonda, non debbano richiedersi agli appartenenti al primo gruppo requisiti di eleggibilità diversi da quelli che si esigono dai componenti del secondo gruppo.

Ritiene anche che tali requisiti debbano essere compresi nella Costituzione, perché essi costituiscono un elemento essenziale che attiene alla definizione giuridica della seconda Camera e stanno a sottolineare quel diverso principio politico che giustifica l’esistenza di una seconda Camera, rispetto alla prima eletta a suffragio universale.

È stato in un primo tempo favorevole al sistema delle quote, oggi proposto dall’onorevole Mortati, perché lo vedeva impostato su un meccanismo di formazione del Senato che partiva da un collegio unico e a suffragio diretto e universale; ma, una volta ristretto il corpo elettorale, gli sembra che porre queste ulteriori distinzioni, prima di categorie – che approva – e poi di quote predeterminate e fisse nell’ambito della categoria, faccia sì che i membri della seconda Camera vengano eletti da un troppo ristretto numero di persone ed abbiano un suffragio limitatissimo, con grande pericolo per il loro prestigio e per la funzione che devono svolgere.

Osserva inoltre che l’Assemblea regionale dovrebbe, a suo parere, esprimere la propria opinione per stabilire quali devono essere queste quote nel momento in cui compie l’elezione e non cristallizzare tale volontà in una legge compilata in precedenza, così come ha proposto l’onorevole Mortati.

Concludendo, riconosce l’opportunità di fermare nella Costituzione il principio delle categorie da estendere a tutti i membri della seconda Camera, abbandonando l’idea della quotizzazione per il terzo affidato all’elezione delle Assemblee regionali.

RAVAGNAN, alle argomentazioni dell’onorevole Lami Starnuti circa la proposta Mortati, aggiunge la considerazione che, se si accogliesse tale proposta, che circoscrive così strettamente gli eleggibili alla seconda Camera, si finirebbe con l’avere una specie di designazione dall’alto, sì che il collegio elettorale, già ristretto e costituito in via indiretta, non potrebbe fare la sua scelta che fra poche migliaia di eleggibili. Si domanda come ad una Camera eletta in siffatto modo possa riconoscersi la parità legislativa rispetto alla prima.

Conclude, quindi, prospettando l’opportunità che la Sottocommissione approvi una determinazione di categorie la più ampia possibile, a meno che non si voglia dare alla seconda Camera un potere limitato rispetto a quello della prima.

MORTATI, Relatore, fa presente innanzi tutto che il concetto della differenziazione degli eleggibili non è una tesi esclusiva della Democrazia cristiana; ricorda infatti che alcuni progetti i quali considerano la quotizzazione non hanno avuto origine nel suo gruppo.

Rispondendo poi all’onorevole Bozzi, dichiara non esser esatto che l’avere spostato la formazione del corpo elettorale abbia fatto venir meno l’esigenza della distinzione in quote. Osserva in proposito di aver suggerito che fosse una legge dello Stato a stabilire le quote, per evitare che ad un certo momento la maggioranza le proporzionasse in modo non corrispondente all’equità.

Quanto alla preoccupazione manifestata dall’onorevole Lami Starnuti e da altri colleghi circa l’eccessiva ristrettezza delle categorie, osserva che esse sono state specificate nel suo progetto soltanto a titolo indicativo.

Conclude facendo presente alla Sottocommissione l’opportunità di considerare in un primo momento soltanto la tesi di carattere generale, l’ammissibilità, cioè, o meno di queste categorie.

EINAUDI è d’accordo con l’onorevole Bozzi sia nel concetto di escludere le quote dal terzo dei candidali da eleggersi dall’Assemblea regionale, sia in quello di non porre alcuna differenziazione fra le condizioni di eleggibilità del terzo e dei due terzi.

È poi contrario, per le ragioni già accennate, alla formula dell’onorevole Perassi.

Ritiene estremamente grave l’osservazione dell’onorevole Lami Starnuti, il quale ha fatto presente che con la formula proposta dall’onorevole Mortati si subordina l’elezione a membro della seconda Camera ad un’altra elezione a carattere di categoria, la quale costituisce una pericolosa limitazione del campo degli eleggibili. Fa presente tanto la necessità che i requisiti di eleggibilità siano i più larghi possibili, quanto l’altra di dare alla seconda Camera gli stessi poteri della prima, al fine di concederle la possibilità di fornire un contributo di esperienza che riesca utile alla Nazione.

Quanto alla proposta dell’onorevole Mortati, di cui è stata data lettura, osserva che le liste di eleggibili non dovrebbero essere formate soltanto dai dirigenti di categorie di attività, ma da tutti i componenti tali categorie. Così pure non ritiene opportuna la distinzione che tale proposta fa tra rettori e professori universitari.

MORTATI, Relatore, spiega di aver considerato nella sua proposta coloro che, per il posto che occupano, danno garanzia di aver acquistato una buona esperienza amministrativa.

EINAUDI aggiunge poi che, a suo parere, oltre all’Accademia dei Lincei ed al Consiglio superiore delle ricerche, tutti i gloriosi istituti culturali e scientifici italiani dovrebbero essere chiamati a fornire gli eleggibili.

Conclude riaffermando la necessità che le categorie degli eleggibili siano le più ampie possibili, per eliminare il pericolo che soltanto coloro che ricoprono le cariche più elevate possano esservi compresi.

TARGETTI dichiara che, pur essendo, in linea di massima, contrario alle categorie, il suo gruppo non si oppone a che queste vengano stabilite, intendendo con ciò portare un contributo fattivo ai lavori della Sottocommissione, così come auspicava l’onorevole Lussu.

Quanto all’opportunità di considerare dette categorie nella Carta costituzionale, riconosce che questa sarebbe, dal punto di vista giuridico, la soluzione migliore; ma deve rilevare che non è priva di difficoltà.

Si augura che l’accordo possa frattanto raggiungersi sui principî da porre a base delle categorie.

MANNIRONI fa presente come il concetto manifestato dagli onorevoli Laconi, Lussu e Targetti – i quali si preoccupano di stabilire una definizione generica, per non ridurre troppo le categorie e dare alla maggior parte dei cittadini la possibilità di partecipare alle elezioni – debba essere contemperato con quello messo in rilievo dall’onorevole Einaudi, il quale, richiamandosi ad un principio di sana democrazia, ha fatto presente la necessità di eleggere elementi capaci di dare un utile contributo all’opera legislativa. Ritiene che la Conciliazione di queste due tendenze sia rappresentata dalla formula dell’onorevole Mortali, il quale è disposto ad elencare le categorie in modo larghissimo, sì che tutti possano esser messi in condizione di essere eletti.

PRESIDENTE, poiché da vari Commissari si domanda la chiusura della discussione, la mette ai voti.

(È approvata).

Fa presente che i quattro problemi, cui ha accennato l’onorevole Tosato, richiedono una maggiore specificazione, perché le questioni sollevate sono numerose, prima fra queste per importanza quella dell’onorevole Mortati che, nell’articolo relativo all’elezione di un terzo dei membri della seconda Camera, vorrebbe fosse stabilito che le Assemblee regionali procedessero alla nomina in base a quote proporzionali.

MORTATI, Relatore, osserva che, a suo parere, la questione pregiudiziale è quella se debbano esservi categorie di eleggibili differenziate per i due gruppi di eligendi.

PRESIDENTE ritiene che le questioni più importanti sulle quali la Sottocommissione deve decidere siano lo seguenti:

1°) se fra i requisiti di eleggibilità si debba richiedere l’appartenenza a determinate categorie da definirsi ulteriormente;

2°) in caso affermativo, se tali categorie debbano stabilirsi per tutti gli eligendi;

3°) se tali requisiti debbano essere i medesimi, sia per il primo che per il secondo gruppo di eligendi;

4°) se, per definire queste categorie, si richieda una formula generica (come quella proposta dall’onorevole Perassi) o sia necessaria una elencazione specifica (come quella suggerita dall’onorevole Mortati);

5°) se tale definizione – qualunque essa sia – debba essere inserita nella Carta costituzionale od in una legge speciale;

6°) se – una volta stabilita l’esistenza dei requisiti con le accennate specificazioni – tali requisiti debbano corrispondere a delle quote; e se tali quote debbano aver valore soltanto per il primo gruppo di eligendi od anche per il secondo;

7°) se queste quote debbano essere stabilite nella Costituzione o essere rimesse alla legge particolare; oppure se siano le Assemblee regionali a decidere, in rapporto alla situazione delle rispettive regioni, come devono essere distribuite le quote tra le singole categorie.

Mette ai voti il primo quesito testé enunciato.

LACONI dichiara di votare in senso favorevole alle condizioni di eleggibilità, per coerenza alla posizione assunta riguardo all’elezione diretta a suffragio universale.

(È approvato).

PRESIDENTE pone in votazione il secondo quesito.

LACONI dichiara di astenersi dalla votazione coerentemente al voto negativo precedentemente dato.

(È approvato).

PRESIDENTE mette ai voti il terzo quesito.

(È approvato).

Nei riguardi del quarto e quinto quesito, fa presente che, se la votazione risulterà favorevole all’inserzione nel testo della Costituzione di una elencazione specifica delle categorie, si dovrà provvedere poi a questa specificazione; se al contrario risulterà favorevole al rinvio di tale elencazione alla legge speciale, si potrà provvedere in un momento successivo a tale formulazione.

Pone ai voti il seguente quesito, che abbraccia la quarta ce la quinta questione precedentemente ricordate: se cioè l’elencazione specifica delle categorie debba essere inserita nel testo della Costituzione.

(Con 16 voli favorevoli e 12 contrari è approvato).

PICCIONI propone che l’incarico di redigere l’elencazione delle categorie venga demandato ad un Comitato.

PRESIDENTE, accogliendo il suggerimento dell’onorevole Piccioni, propone che tre membri della Sottocommissione siano invitati a costituire tale Comitato, e suggerisce i nomi dei colleghi Mortati, Perassi e Rossi Paolo.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Einaudi, Fabbri, Farini, Finocchiaro Aprile, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.

Assenti: Castiglia, Di Giovanni, Grieco, Leone Giovanni.

MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

30.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Bozzi – Perassi – Targetti – Fabbri – Fuschini – Cappi – Laconi – Patricolo – Lussu – Piccioni – Nobile – Mannironi – Zuccarini – Mortati, Relatore – Bordon.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE dà lettura del quinto punto dell’ordine del giorno Perassi, di cui si deve riprendere la discussione:

«5) In ciascuna Regione, i membri della seconda Camera saranno eletti:

  1. a) per un terzo dall’Assemblea regionale, con libera scelta fra cittadini aventi uno dei requisiti di capacità e di esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva che saranno stabiliti dalla legge concernente la elezione della seconda Camera;
  2. b) per il resto, da delegati dei consigli comunali, ciascuno dei quali eleggerà un numero di delegati che sarà determinato in relazione al numero degli elettori iscritti nel Comune. Le modalità di applicazione saranno determinate dalla detta legge speciale».

Precisa che da questa formula emergono tre elementi: 1°) ammissione di due diverse basi elettorali; 2°) riconoscimento di requisiti di eleggibilità che assorbono il criterio della rappresentanza delle attività produttive; 3°) elezioni di terzo grado per i due terzi dei componenti della seconda Camera di cui alla lettera b).

BOZZI dubita che questo sistema misto di elezione sia in perfetta armonia con le decisioni adottate nella riunione precedente.

Si dichiara contrario ad ogni forma di elezione di terzo grado e a dare vita a corpi elettorali diversi, sia quantitativamente che qualitativamente (Assemblee regionali e Consigli comunali). A parte, infatti, la notevole differenza numerica nella composizione, non può non rilevarsi una differenza qualitativa, essendo le prime organi politici, e i secondi organi essenzialmente amministrativi.

Anche prescindendo da queste considerazioni, non vede quale ragione possa consigliare una contrapposizione e forse addirittura un antagonismo, nocivo alla vita della Nazione, fra Assemblee regionali e Consigli comunali. Per altro le Assemblee regionali verrebbero sopraffatte dai Consigli comunali e a loro volta i Consigli comunali dei maggiori centri urbani da quelli dei numerosissimi comuni minori, posto che il numero dei consiglieri comunali non è strettamente proporzionato alla popolazione locale.

Aggiunge che, investendo i Consigli comunali della funzione politica di eleggere i deputati alla seconda Camera, si trasformerebbe la fisionomia delle elezioni comunali da amministrative in politiche, con tutte le conseguenze che ne possono derivare, tra cui quella dell’accaparramento del favore dei consiglieri comunali da parte dei candidati alla seconda Camera.

Pur convenendo che, una volta scelta la via delle elezioni di secondo grado, occorra far perno sulle Assemblee regionali, rileva che l’attribuire in via esclusiva ad esse l’elezione dei deputati alla seconda Camera, se può essere in armonia con la natura politica e col funzionamento di quest’ultima, presenta il notevole inconveniente di una eccessiva ristrettezza del corpo elettorale; inconveniente ancor più rilevante, dopo l’approvazione del principio della parità dei poteri fra i due rami del Parlamento.

Occorrerebbe, quindi, immettere, a fianco delle Assemblee regionali, nuove forze nel corpo elettorale, per renderlo più vasto ed eterogeneo, e queste potrebbero essere costituite appunto da rappresentanti delle associazioni professionali.

All’uopo ritiene necessaria una tassativa elencazione delle categorie degli eleggibili con specificazione di requisiti, ancorati – giusta la segnalazione dell’onorevole Fabbri – a determinate condizioni che garantiscano il sicuro possesso di capacità tecniche; eleggibili che dovrebbero poi essere eletti con sistema schiettamente democratico.

PERASSI replica alle critiche dell’onorevole Bozzi, che non trova decisive. Circa l’obiezione relativa alla divisione in due gruppi degli elettori, fa presente che il criterio è apparso anche in altri ordini del giorno ed è del resto largamente usato in molti Paesi.

Per quanto riguarda la quota eletta dall’Assemblea regionale, nota che si tratta di un numero ristretto ed il congegno mira ad assicurare la presenza nella seconda Camera di elementi provati nelle varie attività produttive.

Relativamente alla lettera b), ricorda che l’idea di utilizzare i consiglieri comunali è stata già ventilata, ma urta contro l’obiezione che i consigli comunali sono di varia composizione numerica, e il numero dei consiglieri non è proporzionale a quello della popolazione. Così, ad esempio, nel Lazio contro gli 80 consiglieri del comune di Roma (che pure ha oltre la metà della popolazione della regione) ve ne sono circa 4-5 mila degli altri comuni. Perciò ha pensato ai consiglieri comunali unicamente come ad elettori di delegati.

Anche la critica che così i consigli comunali verrebbero in un certo senso snaturati e trascinati nella lotta politica ha scarso rilievo, perché, a parte l’esempio di vari Stati, in realtà anche nelle elezioni comunali la politica non è del tutto estranea.

Comunque, sempre per il desiderio di trovare una via di conciliazione, propone la seguente formula:

«a) per il resto, da delegati eletti in ciascun comune a suffragio universale, in numero proporzionato al numero degli elettori iscritti».

TARGETTI, essendo nota la contrarietà, sua e del suo gruppo, alle elezioni di secondo grado, ritiene superfluo precisare il pensiero nei riguardi di un terzo grado. Quanto alla nuova proposta dell’onorevole Perassi, osserva che, se si deve convocare il corpo elettorale per nominare dei delegati, tanto vale fargli eleggere addirittura i deputati alla seconda Camera.

FABBRI espone il suo punto di vista che debba essere la Costituzione – e non la legge elettorale – a contenere un’indicazione specifica dei titoli che qualificano gli eligendi, stabilendo altresì l’obbligatorietà per ogni regione di nominare almeno un rappresentante per ciascuna categoria, in modo da avere nella seconda Camera, coerentemente con l’ordine del giorno più volta ricordato, un’effettiva rappresentanza delle forze vive.

FUSCHINI premette che tratterà soltanto dei modi come l’elezione di secondo grado può avvenire.

A suo avviso il problema può avere tre diverse soluzioni: 1°) un collegio unico, nel quale siano elettori insieme i membri dell’Assemblea regionale ed i consiglieri comunali; 2°) un corpo elettorale distinto in due collegi: Assemblee regionali e consigli dei comuni con oltre 30.000 abitanti (quindi con identica derivazione di elezione: suffragio universale e rappresentanza proporzionale); 3°) un corpo elettorale distinto in tre collegi, e precisamente: una quota di rappresentanti eletta dalle Assemblee regionali, una seconda dai comuni superiori ai 30.000 abitanti, una terza dai comuni minori.

Personalmente ritiene che la prima e l’ultima soluzione siano le migliori, in quanto prescindono dal valore che possono avere i vari consigli comunali in rapporto alla rappresentanza della popolazione e, non ammettendo il voto plurimo, avvantaggiano da un punto di vista morale i consiglieri dei piccoli comuni, in vista del fatto che hanno identica qualifica e, sotto un certo aspetto, identica responsabilità amministrativa. Comunque, sottopone ai colleghi le tre possibili formazioni del corpo elettorale di secondo grado, poiché non ne vede altre possibili.

BOZZI propone la seguente formulazione: «I membri della seconda Camera sono scelti dall’Assemblea regionale e dai rappresentanti delle associazioni sindacali e degli ordini professionali (eletti democraticamente) esistenti nella regione. La scelta può cadere fra cittadini (domiciliati nella regione) aventi uno dei requisiti di capacità ed esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva, indicati nelle categorie previste dall’articolo x».

CAPPI, premesso che parla a titolo personale, fa presente di aver già concretato in una formula scritta il punto di vista dell’onorevole Fuschini, cui egli accede. La proposta, che si ispira al criterio di escludere l’elezione di terzo grado e di attuare un rapporto non rigorosamente aritmetico, ma attenuato col criterio della proporzionalità consigliato dall’onorevole Perassi, è del seguente tenore:

«In ciascuna regione i membri della seconda Camera saranno eletti:

  1. a) per metà da un collegio elettorale composto dai membri dell’Assemblea regionale e dai consiglieri dei comuni capoluoghi di provincia o con popolazione superiore ai 30.000 abitanti; con libera scelta fra cittadini aventi uno dei requisiti di capacità e di esperienza, fra i diversi rami dell’attività produttiva, che saranno stabiliti dalla legge concernente l’elezione della seconda Camera;
  2. b) per metà da un collegio composto dai consiglieri degli altri comuni i quali avranno un voto ogni 5.000 o frazione di 5.000 elettori dei singoli comuni.»

FABBRI propone la seguente decisione:

  1. a) La Carta costituzionale stabilisce l’elenco delle forze vive e, per ciascuna categoria, i titoli che qualificano gli eligendi a rappresentarla;
  2. b) l’elezione viene fatta previo reparto, da parte dell’Assemblea regionale, del numero degli eligendi fra le varie categorie, e con l’obbligo di assegnare almeno un rappresentante per ciascuna categoria;
  3. c) gli eligendi qualificati possono presentare la loro candidatura per la rappresentanza di una determinata categoria;
  4. d) La Carta costituzionale determina altresì le modalità delle elezioni.»

LACONI, dopo aver manifestato la sua delusione per il fatto che i colleghi della democrazia cristiana non hanno presentato – come si aveva motivo di supporre – un vero e proprio progetto che modificasse quello dell’onorevole Perassi, soggiunge che il suo gruppo ha votato in favore del suffragio diretto, non tanto per una questione di principio, quanto per ragioni eminentemente pratiche. Le difficoltà inerenti all’elezione di secondo grado, che sono state già affacciate, giustificano l’impressione che si dia vita ad un congegno di cui non si conosce altro che un elemento negativo: cioè, che altera la proporzione delle forze vive della regione. Non si sa dove esso conduca e forse domani si potrebbe avere una seconda Camera stranamente composta di quote di categorie e che, per i suoi raggruppamenti costituiti in proporzioni diverse da quelle della prima, non rispecchiasse la fisionomia politica del Paese.

Pone in evidenza che, ammettendo due corpi elettorali distinti (Assemblee regionali e consigli comunali), si va incontro alla difficoltà prospettata dall’onorevole Bozzi, che le Assemblee regionali verrebbero di fatto schiacciate dai rappresentanti dei consigli comunali.

D’altra parte, le argomentazioni dell’onorevole Fuschini hanno mostrato un’altra difficoltà, che, cioè, il corpo elettorale non risulterebbe omogeneo, in quanto si hanno consigli comunali eletti col sistema maggioritario e altri eletti col sistema proporzionale.

Passando ad esaminare le due soluzioni Perassi, rileva che con la prima (elezione di terzo grado) si correrebbe il pericolo di soffocare le minoranze, mentre con la seconda appare più manifesta – come ha sottolineato l’onorevole Targetti – l’inutilità delle elezioni di secondo grado. Trova altresì rilevante l’obiezione dell’onorevole Bozzi che si possa dare un carattere politico ad elezioni che ne dovrebbero avere esclusivamente uno amministrativo.

Comunque, poiché ormai la via è tracciata da una votazione, ritiene necessario compiere ogni sforzo per trovare la soluzione più semplice e suggerisce di escludere l’elezione di terzo grado e di ricorrere ai consiglieri comunali, usando tutte le precauzioni accennate dall’onorevole Fuschini, per rispettare quanto più possibile la volontà popolare e la proporzione secondo la quale le forze sono distribuite nel Paese.

PATRICOLO propone la seguente formulazione:

«I membri della seconda Camera vengono eletti in seno alle Regioni col seguente criterio:

  1. a) cinque membri, quale minimo rappresentativo di ciascuna regione, sono eletti dalle Assemblee regionali tra i membri delle stesse Assemblee regionali;
  2. b) la rimanenza viene eletta dall’Assemblea regionale con libera scelta tra i cittadini aventi i requisiti di capacità ed esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva, che saranno stabiliti dalla legge elettorale per la seconda Camera».

LUSSU è del parere che occorra facilitare lo sforzo dell’onorevole Perassi di trovare una soluzione, posto che l’elezione di secondo grado non è più discutibile.

Delle critiche dell’onorevole Bozzi ritiene che una sola possa reggere: quella relativa all’accettazione di un’elezione di terzo grado. Tuttavia può citarsi il precedente del Senato francese durante la terza Repubblica, che ha funzionato abbastanza bene. Parimenti la seconda soluzione Perassi, criticata dall’onorevole Targetti, trova conforto nell’esempio delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

È, peraltro, del parere che si possa accettare la prima formula Perassi, modificandola nel senso di escludere la nomina di delegati da parte dei consigli comunali e lasciando che questi ultimi eleggano direttamente i loro rappresentanti alla seconda Camera, rispettando il criterio proporzionale.

Concorda con l’onorevole Fabbri nel ritenere che la Costituzione, e non la legge elettorale, debba predeterminare le attività produttive fra cui scegliere i rappresentanti alla seconda Camera.

Trova altresì logico e razionale che le Assemblee regionali nominino soltanto un terzo dei componenti della seconda Camera e, cioè, gli elementi più rappresentativi delle attività produttive.

PICCIONI concorda in parte con l’onorevole Lussu.

Posto in evidenza che il compito di determinare i requisiti di eleggibilità è di natura nettamente politica, sostiene che non può tale compito essere demandato alla Commissione tecnica che dovrà preparare il progetto di legge elettorale, ma spetti all’Assemblea Costituente, la quale dovrà fissare quei requisiti nella Carta costituzionale. Nota che, secondo il progetto Perassi, quei requisiti dovrebbero essere richiesti esclusivamente, o comunque in maniera più marcata, per il terzo dei rappresentanti da eleggere dalle Assemblee regionali; mentre un elenco di titoli, seppure meno rigido del primo, dovrebbe essere previsto anche per gli altri due terzi.

Approva la divisione in due quote e rileva che, demandando la nomina di un terzo dei rappresentanti alle Assemblee regionali, si garantisce una rappresentanza più diretta alle regioni ed un collegamento più stretto tra gli organi regionali e la seconda Camera, anche per il fatto che la rappresentanza così costituita avrebbe una competenza più economica e sociale che politica.

Per la nomina degli altri due terzi concorderebbe col progetto Perassi, se non presentasse una deficienza inammissibile: che, cioè, non garantisce la rappresentanza della minoranza. Se, mantenendo fermo il congegno, si trovasse il modo di soddisfare questa esigenza, non avrebbe nulla da obiettare.

Replica all’onorevole Laconi che non è esatto che l’elezione di secondo grado costituisca un errore, tanto è vero che è stata adottata da molte Nazioni e recentemente anche dalla Francia, come risultato di lunghi studi. Indubbiamente tale sistema presuppone un primo grado di legittima investitura a suffragio popolare, ed è per questa ragione, ed anche per il fatto che ripresenta sotto altra forma un problema già lungamente discusso, che non può accettare la formulazione proposta dell’onorevole Bozzi.

Frattanto, per realizzare in modo democratico le elezioni di secondo grado, crede che non si possa ricorrere che ai Consigli regionali e comunali, in quanto essi derivano la loro investitura dal suffragio universale; a meno di ricorrere ad una designazione a suffragio universale degli elettori dei membri della seconda Camera, il che rappresenterebbe un nuovo sforzo da chiedere ai cittadini, laddove i segni di una certa stanchezza elettorale appaiono già evidenti.

Non crede debba darsi soverchio peso alla politicizzazione dei consigli comunali: essi, bene o male, sono chiamati a vivere la vita del Paese, la quale oggi è tale che è estremamente difficile determinare dove finisce lo amministrativo e comincia il politico. Anzi il conferire a tutti i Consigli comunali questa facoltà notevole di partecipare alle elezioni della seconda Camera può contribuire a dare un interesse maggiore alla vita comunale e certamente un prestigio maggiore alle Amministrazioni comunali.

Utilizzare esclusivamente le Assemblee regionali gli sembra eccessivo. Infatti, ottanta o cento deputati regionali dovrebbero eleggere un numero di rappresentanti che in certi casi può raggiungere i quaranta. Non possono rendersi le Assemblee regionali depositarie del grande potere di eleggere la seconda Camera, disponendo di metà del potere legislativo. Perciò non ritiene accettabile l’ordine del giorno Patricolo.

Conclude prospettando varie possibili soluzioni: a) introdurre nel progetto Perassi un congegno che garantisca la rappresentanza delle minoranze; b) ripiegare sulle tesi Fuschini o Cappi; c) dividere i comuni in varie categorie, a seconda della popolazione, assegnando ai singoli consigli comunali un peso proporzionato.

Rimangono in ogni cago dei problemi di tecnica elettorale, come potrebbe essere quello del voto plurimo da riconoscersi ai consiglieri comunali in rapporto alla popolazione del comune, che non è da scartarsi a priori. Propone pertanto che la Sottocommissione non si addentri in questo esame, ma, affermato il principio del suffragio di secondo grado e l’elezione di un terzo dei rappresentanti da parte delle Assemblee regionali e degli altri due terzi da parte dei consigli comunali, demandi alla Commissione che formulerà la legge elettorale l’elaborazione di norme tecniche dettagliate, che tengano conto della necessità di assicurare una proporzione tra gli elettori di secondo grado e le masse elettorali di ciascun comune.

PATRICOLO, riaffermate le sue convinzioni autonomiste, osserva che, una volta ammesso il principio delle elezioni di secondo grado, la soluzione più semplice è quella di costituire in corpo elettorale i deputali delle Assemblee regionali, con la sola limitazione di eleggerei membri della seconda Camera scegliendoli fra categorie predeterminate. In tal modo si eliminerebbe anche la preoccupazione che le Assemblee regionali, per essere elette a suffragio universale, non rappresentassero in maniera adeguata tutte le forze vive della regione. Poco male poi se il corpo elettorale è ristretto, dato che si tratta pur sempre di assemblee rappresentative elette a suffragio universale.

Non può d’altra parte aderire alla proposta dell’onorevole Bozzi, la quale, conferendo il voto a determinate categorie di cittadini, viene a ferire il principio del suffragio universale e ad infirmare così uno dei fondamentali canoni della democrazia.

NOBILE trova che la proposta dell’onorevole Patricolo è la più razionale, come quella che consente di risolvere nella maniera più semplice e democratica una situazione che viene sempre più complicata dalle varie proposte. Si limita a considerare che, per realizzare la desiderata proporzione, si dovrebbero dividere i comuni in varie categorie, di cui la prima dovrebbe comprendere – se non si vuol fare una elencazione interminabile – quelli fino a 10.000 abitanti; il che significherebbe attribuire lo stesso potere elettorale ad un comune di 10.000 abitanti ed a uno di 200.

FUSCHINI dà lettura della seguente proposta:

«I membri della seconda Camera saranno eletti per la quota di … dall’Assemblea regionale unitamente ai consiglieri comunali dei comuni con popolazione da 30.000 abitanti in su; per l’altra quota di … dai consiglieri dei comuni che hanno una popolazione inferiore ai 30.000 abitanti.

«I modi e le forme di tale elezione sono stabilite da apposita legge».

MANNIRONI ricorda di avere inizialmente espresso il parere che i membri della seconda Camera dovessero essere eletti dalle Assemblee regionali; tuttavia, impressionato dall’obiezione che si darebbe una potestà troppo ampia ad un corpo ristretto, accede al criterio che i due terzi vengano eletti dai consigli comunali con accorgimenti che potranno essere studiati.

Riferendosi poi ad un suo ordine del giorno, presentato tempo addietro, in cui proponeva che i seggi fossero ripartiti fra i rappresentanti delle varie attività produttive secondo una proporzione fissata dalle Assemblee regionali ad ogni legislatura, prega lo onorevole Perassi di considerare la possibilità di adattare il suo schema a tale criterio, per adeguare, volta per volta, la rappresentanza alla mutevolezza della configurazione economica delle regioni.

Considerata l’eccessiva genericità della affermazione che la scelta deve cadere su cittadini aventi requisiti di capacità e di esperienza, suggerisce una forma di garanzia della effettiva rappresentanza di interessi, consistente nella richiesta di un nulla-osta alla Camera di Commercio, quale organo rappresentante ufficialmente le attività produttive.

TARGETTI, dopo aver notato che le difficoltà incontrate testimoniano della poca praticità delle elezioni di secondo grado, consiglia – per affrettare una conclusione – di chiudere la discussione, dando incarico ai vari presentatori degli ordini del giorno di riunirsi e concordare un progetto articolalo da sottoporre alla Sottocommissione.

ZUCCARINI suggerisce un nuovo sistema, che risponde alle esigenze di mantenere la rappresentanza proporzionale e di avere un corpo elettorale più selezionato, senza aumentare il numero delle elezioni: «All’atto della elezione dei membri dell’Assemblea regionale viene scelto anche con lo stesso sistema un numero di cittadini in relazione alla popolazione, destinato, in unione ai membri del l’Assemblea, ad eleggere i componenti della seconda Camera».

Avverte che a quest’ordine del giorno aderisce anche l’onorevole Bozzi.

PRESIDENTE dichiara chiusa la discussione generale. Non ritenendo opportuno accedere alla proposta dell’onorevole Targetti, per l’esperienza negativa che si è fatta al riguardo, crede si possa prendere in considerazione la proposta Piccioni, di stabilire alcuni principî che potranno essere sviluppati dagli organi tecnici in sede di redazione della legge elettorale. All’uopo propone di procedere ad alcune votazioni sui punti controversi che possono essere così precisati:

1°) se debba esistere un solo corpo elettorale o più di uno. Nell’ipotesi che si decidesse per l’unico, occorrerebbe determinarne la composizione: se eterogenea (con membri dell’Assemblee regionali, dei consigli comunali, dei comitati direttivi di determinate associazioni professionali, ecc.) od omogenea. Ove si decidesse, invece, per più collegi, se ne dovrebbe precisare il numero e la composizione;

2°) ammessa l’esistenza di più corpi elettorali, quali quote di eligendi alla seconda Camera attribuire a ciascuno di essi;

3°) determinare i requisiti di eleggibilità, o semplicemente accennandoli, come fa l’onorevole Perassi, ovvero precisandoli, come propongono l’onorevole Fabbri ed altri;

4°) se, oltre alla elencazione delle categorie di eligendi, si debbano stabilire le quote di partecipazione per ciascuna di esse. Qui si potrà esaminare la proposta Fabbri, di garantire almeno un rappresentante per regione ad ogni categoria;

5°) se la definizione delle categorie e delle eventuali quote debba essere fatta dalla Costituzione o rimessa alle Assemblee regionali che vi provvederanno di volta in volta tenendo presente la reale situazione della regione.

Nell’impossibilità di procedere alla votazione dei singoli ordini del giorno, ciascuno dei quali contiene commisti vari elementi controversi, crede che la cosa migliore sia votare i cinque suaccennati punti nella loro forma schematica.

PATRICOLO chiede che sia posta ai voti anche la lettera a) del suo ordine del giorno che prevede una nuova ipotesi, cioè, che il minimo di rappresentanti assegnato a ciascuna regione sia eletto dalle Assemblee regionali tra i membri delle stesse.

(La seduta, sospesa alle 18.20, è ripresa alle 18.40).

PRESIDENTE pone ai voti il principio che la seconda Camera sia eletta da un unico corpo elettorale.

LACONI, considerato che i sistemi proposti per l’elezione della seconda Camera sono artificiosi ed arbitrari e turbano il principio della proporzionale, che è a base della elezione della prima Camera; in vista altresì della parità di poteri tra le due Camere, dichiara che il suo gruppo si asterrà dalle varie votazioni.

TARGETTI dichiara che il gruppo socialista si asterrà dalle votazioni, in quanto riguardano modalità di esecuzione di principî da esso combattuti.

PICCIONI dichiara che voterà contro il collegio unico per le considerazioni precedentemente svolte.

(Non è approvato).

PRESIDENTE constata che, in seguito all’esito della votazione, s’intende che l’elezione della seconda Camera dovrà avvenire da parte di più corpi elettorali. Ricorda che a questo criterio si ispirano le tre proposte Perassi, Fuschini e Cappi e che le ultime due differiscono fra di loro solo per un piccolo particolare riguardante i comuni capoluoghi di provincia.

FUSCHINI aderisce alla lettera a) della formulazione proposta dall’onorevole Cappi, ritirando la prima parte della sua.

PRESIDENTE propone di prendere in considerazione per il momento solo il primo collegio, che, secondo l’onorevole Perassi dovrebbe essere costituito dall’Assemblea regionale, secondo l’onorevole Cappi dall’Assemblea regionale e dai consigli dei comuni capoluoghi di provincie, o con popolazione superiore ai 30.000 abitanti.

CAPPI limitatamente al primo collegio dichiara, anche a nome del suo gruppo, di aderire alla proposta Perassi.

LUSSU ritiene opportuno precisare che, anche per la quota da eleggersi da parte dell’Assemblea regionale, debba essere rispettalo il criterio proporzionale, per impedire che nella votazione in seno all’Assemblea stessa lo minoranze possano essere sopraffatte dalla maggioranza.

PERASSI precisa che a questo potrà provvedere la legge elettorale.

PRESIDENTE mette in votazione la proposta che uno dei collegi elettorali per la seconda Camera sia costituito dall’Assemblea regionale.

(È approvata).

Quanto al secondo collegio, informa che, secondo una prima proposta Perassi, dovrebbe essere costituito da delegati dei consigli comunali. Come ha già rilevato, si tratterebbe di una elezione di terzo grado.

PICCIONI, richiamandosi alle dichiarazioni già fatte, conferma di essere contrario a questa proposta.

PERASSI ritira questa parte del suo ordine del giorno.

PRESIDENTE pone ai voti la seconda proposta Perassi, secondo la quale la scelta della parte restante dei membri della seconda Camera è fatta attraverso ad una elezione a suffragio universale diretto di elettori di secondo grado.

PICCIONI dichiara di votare contro, perché, per le ragioni già espresse, ritiene più opportuno far capo ai consiglieri comunali.

(Non è approvata).

PRESIDENTE ricorda i termini delle proposte Cappi e Fuschini relativamente alla nomina della restante parte dei componenti la seconda Camera. Secondo il primo, l’elezione dovrebbe avvenire da parte di un collegio composto dai consiglieri dei comuni, i quali consiglieri disporrebbero di un voto ogni 5.000 o frazione di 5.000 elettori; secondo l’onorevole Fuschini, il collegio dovrebbe essere costituito da tutti i consiglieri comunali indistintamente: escluso il voto plurimo ogni consigliere peserebbe nella votazione per un solo voto.

FUSCHINI spiega che è contrario ad una distinzione dei consiglieri in categorie ragguagliate alla popolazione, perché essi, eletti a suffragio universale, divengono depositari della fiducia del popolo e, sotto questo profilo, assumono tutti la stessa responsabilità amministrativa e politica.

LUSSU trova che questo criterio comporta una sproporzione notevolissima. Occorrerebbe, quanto meno, completare la formula nel senso di precisare che il collegio è composto dai consiglieri comunali rappresentanti proporzionalmente le forze politiche.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Fuschini come la più semplice.

PICCIONI dichiara che volerà contro, perché ritiene che non si possano concepire tutti i comuni, grandi e piccoli, come enti rappresentativi sullo stesso piano dal punto di vista del loro disciplinamento, della loro funzionalità e del loro inquadramento nella struttura amministrativa dello Stato.

(Non è approvata).

PRESIDENTE invita l’onorevole Cappi ad illustrare brevemente la formula da lui proposta.

CAPPI chiarisce che si è ispirato a quel criterio di proporzionalità e di equità politica cui accennava l’onorevole Lussu, non ritenendo giusto che un comune di 1.000 abitanti abbia 15 voti ed uno di oltre un milione di abitanti ne abbia solamente 80.

Perciò ha proposto che tutti i consiglieri votino, ma quelli dei comuni fino a 5.000 elettori abbiano un voto ciascuno, quelli dei comuni da 5 a 10.000 elettori 2, e così via, aumentando di una unità ogni 5.000 elettori il peso del voto (voto plurimo). Per fare un esempio pratico, posto che a Roma vi sono all’incirca un milione di elettori, i consiglieri comunali avrebbero 200 voti ciascuno.

PRESIDENTE rileva che il sistema porta ad una moltiplicazione artificiosa, sia pure solo formale, della massa degli elettori.

NOBILE fa presente che la proporzione si sposterebbe in favore dei maggiori centri urbani, più di quello che possa sembrare a prima vista, perché non solo aumenta il peso del voto di ogni consigliere in rapporto al totale degli elettori, ma è maggiore altresì il numero dei consiglieri.

PICCIONI propone che, fissata la distinzione in due diversi collegi elettorali e la struttura del primo, ci si limiti, quanto al secondo, ad affermare che esso è costituito dai consiglieri comunali, i quali eleggono una quota di deputati alla seconda Camera, rispettando un criterio di equa proporzionalità con la massa degli elettori. Il meccanismo relativo potrà essere studiato con maggiore ponderazione o addirittura rimesso alla Commissione della legge elettorale.

CAPPI aderisce, purché si tratti di un criterio di «equa» proporzionalità e non meccanicistica, aritmetica.

MORTATI, Relatore, esprime l’avviso che la materia sia costituzionale e non possa essere rimandata alla legge elettorale.

FABBRI è contrario al termine «equa».

PRESIDENTE osserva che taluni desiderano sia rispettata la precisa proporzionalità, mentre altri vorrebbero che subisse un certo contemperamento.

Soggiunge che per ora è utile approvare soltanto il principio, salvo a decidere successivamente la sua elaborazione o il rinvio alla legge elettorale. Pone pertanto ai voti la seguente formulazione: «Il secondo collegio è costituito dai consiglieri di tutti i comuni compresi nella regione, secondo un sistema che garantisca un’equa proporzionalità nei confronti dell’entità numerica del corpo elettorale di primo grado di ciascun comune».

(È approvato).

Rimanendo da determinare le quote di seggi spettanti a ciascun collegio, ricorda che tra le altre proposte v’è anche quella contenuta nella lettera a) dell’ordine del giorno Patricolo, per cui un numero di rappresentanti, corrispondente al minimo fisso assicurato ad ogni regione, verrebbe eletto dall’Assemblea regionale fra i membri della stessa.

PERASSI ritiene che per il momento l’esame dell’ordine del giorno Patricolo si dovrebbe limitare all’opportunità o meno di stabilire che la quota la cui elezione spetta alle Assemblee regionali è costituita dal minimo fisso.

ZUCCARINI richiama l’attenzione sul suo ordine del giorno, che potrebbe costituire un punto di incontro tra le tesi opposte.

PATRICOLO invita a prendere in considerazione la proposta Zuccarini, che forse potrebbe far recedere alcuni Commissari da un atteggiamento di improduttiva astensione.

PRESIDENTE avverte che la proposta Zuccarini è stata eliminata dall’esito delle votazioni fatte. In essa infatti si prevedeva l’esistenza di un solo corpo elettorale – seppure formato dai rappresentanti dell’Assemblea regionale e da delegati degli elettori di primo grado – mentre la sottocommissione ha ora deliberato che i corpi elettorali debbano essere due e li ha pure qualificati.

Quanto alla lettera a) dell’ordine del giorno Patricolo, rileva che potrebbe essere discussa in sede di esame dell’elettorato passivo. Infatti, qualora fosse approvata, bisognerebbe stabilire come requisito di eleggibilità l’appartenenza all’Assemblea regionale. Prega pertanto il proponente ad aderire a questo rinvio.

PATRICOLO aderisce.

PRESIDENTE circa la ripartizione dei seggi tra i due collegi, ricorda che si hanno due proposte: quella dell’onorevole Perassi (un terzo e du terzi) e quella dell’onorevole Cappi (metà e metà).

CAPPI dichiara di rinunciare alla sua proposta e di aderire a quella dell’onorevole Perassi.

PRESIDENTE pone ai voti la suddivisione nelle due seguenti quote: un terzo dei deputali alla seconda Camera viene eletto dal collegio costituito dall’Assemblea regionale, e gli altri due terzi dal collegio dei consiglieri comunali.

(È approvata).

Constata che, a seguito delle varie votazioni, può ritenersi approvata la seguente formula:

«La seconda Sottocommissione delibera che l’elezione dei membri della seconda Camera avvenga da parte di più corpi elettorali, e precisamente:

  1. a) dell’Assemblea regionale, per un terzo degli eligendi;
  2. b) dei consiglieri di tutti i Comuni compresi nella regione, secondo un sistema che garantisca un’equa proporzionalità nei confronti dell’entità numerica del corpo elettorale di primo grado di ciascun comune, per i restanti due terzi».

BORDON, nella sua qualità di rappresentante della Val d’Aosta, chiede che il deputato alla seconda Camera spettante alla Val d’Aosta venga eletto a sistema maggioritario dai membri del consiglio regionale e dei consigli comunali della Valle.

PRESIDENTE assicura l’onorevole Bordon che della sua richiesta sarà preso atto a verbale, e che le decisioni in merito saranno adottate allorché verrà in discussione presso la seconda Sottocommissione il progetto sulle autonomie regionali che considererà, in modo particolare, la Val d’Aosta.

La seduta termina alle 20.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Conti, De Michele, Fabbri, Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Leone Giovanni.

Assenti: Bulloni, Castiglia, Codacci Pisanelli, Di Giovanni, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Grieco, Vanoni.

MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

SECONDA SOTTOCOMMISSIONE

29.

RESOCONTO SOMMARIO

dELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI

INDICE

Sugli Statuti siciliano e sardo

Presidente – Ambrosini – Laconi – Lussu – Nobile – Patricolo – Fuschini – Piccioni – Conti – Zuccarini.

Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)

Presidente – Piccioni – Perassi – Fuschini – Lussu – Targetti – Laconi – Tosato – Bozzi – Fabbri – Lami Starnuti – La Rocca – Ambrosini – Codacci Pisanelli – Mannironi – Uberti – Cappi – Bordon – Rossi Paolo – Mortati, Relatore – Conti, Relatore – Nobile.

La seduta comincia alle 16.30.

Sugli Statuti siciliano e sardo.

PRESIDENTE prega l’onorevole Ambrosini, prima che sia ripreso l’esame del problema della formazione della seconda Camera, di dare brevemente qualche ragguaglio sui lavori del Comitato incaricato di redigere il progetto per le autonomie regionali.

AMBROSINI comunica che il Comitato ha esaminato nelle due ultime sedute il progetto da lui stesso formulato e quelli degli onorevoli Lami Starnuti, Grieco e Zuccarini, oltre naturalmente gli emendamenti proposti durante la discussione. I lavori del Comitato hanno realizzato notevoli progressi: restano ancora da risolvere alcune questioni, ma è da sperare che si possa presto giungere alla conclusione. Se l’onorevole Grieco, che in seno al Comitato rappresenta una autorevole corrente di pensiero, tornerà a partecipare, dopo una sua temporanea assenza da Roma, alle riunioni, all’inizio della settimana prossima potrà essere presentato al Presidente della Sottocommissione il testo degli articoli votati, con l’indicazione delle varianti che non sono state approvate dalla maggioranza, ma che è doveroso sottoporre all’esame della Sottocommissione, affinché essa possa farsi un’idea completa del lavoro compiuto dal Comitato di redazione.

PRESIDENTE, preso atto delle comunicazioni dell’onorevole Ambrosini, avverte che, in conformità alla decisione adottata nell’ultima seduta plenaria della Commissione, la seconda Sottocommissione è stata investita dell’esame dello Statuto siciliano, il quale – come è noto – dev’essere coordinato con la futura Costituzione dello Stato.

Pensa che tale compito potrebbe essere affidato allo stesso Comitato delle autonomie regionali, al quale per l’occasione potrebbero affiancarsi rappresentanti della prima e della terza Sottocommissione, affinché le deliberazioni del Comitato in merito al grave e delicato problema dell’autonomia siciliana rappresentino il più possibile l’espressione della volontà dell’intera Commissione per la Costituzione.

AMBROSINI ritiene opportuna la proposta del Presidente. Osserva però che il coordinamento tra lo Statuto siciliano e la nuova Costituzione dello Stato potrà effettuarsi soltanto dopo che saranno definite le norme della Costituzione stessa, specie quelle relative al problema delle autonomie regionali, e che nel frattempo lo Statuto va attuato, avendo già efficacia di legge. All’uopo la Commissione prevista dallo Statuto deve elaborare le norme del relativo regolamento, in modo che possa procedersi al più presto all’elezione dell’Assemblea nazionale.

Quanto al coordinamento suaccennato, reputa opportuno che venga fatto contemporaneamente all’esame degli Statuti speciali per la Sardegna, la Valle d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige, in guisa che questi quattro Statuti, pur avendo attribuita una fisionomia particolare, vengano inquadrati in una armonica visione d’insieme.

LACONI rileva che l’onorevole Ambrosini ha accennato alla possibilità che il progetto per l’autonomia della Sardegna sia sottoposto all’esame della Costituente insieme a quello per l’autonomia siciliana. Ciò senza dubbio è giusto; ma a tale proposito sorge una difficoltà rappresentata dal fatto che non esiste ancora uno Statuto per la Sardegna, perché la Consulta regionale sarda respinse la proposta fatta a suo tempo di estendere automaticamente lo Statuto della Sicilia alla Sardegna; né uno Statuto per la Sardegna può essere redatto da quella Consulta, che da circa sei mesi non esiste più.

È stata affacciata l’ipotesi che un progetto di Statuto possa essere elaborato dal Gruppo parlamentare sardo. È una proposta che senz’altro merita di essere presa in considerazione, perché i deputati sardi sono persone tra le più qualificate a rappresentare gli interessi dell’Isola. In merito però a tale progetto sorgono due questioni: la prima relativa alla procedura, che dovrà essere diversa da quella seguita per la formulazione dello Statuto siciliano; e la seconda relativa al riconoscimento del Gruppo parlamentare sardo come organo competente a cui affidare la redazione di un progetto di Statuto per l’autonomia della Sardegna. Ritiene, comunque, che tale problema dovrà essere esaminato e risolto in una sede più opportuna, affinché lo Statuto per la Sardegna sia esaminato insieme con quello per la Sicilia, per evitare il sorgere di giuste preoccupazioni presso le popolazioni sarde.

LUSSU non può aderire alla proposta fatta dal Presidente, perché, a suo avviso, il Comitato per le autonomie ha discusso con la massima capacità le diverse questioni sottoposte al suo esame, e l’immissione in esso di altri membri potrebbe far sorgere delle difficoltà nelle discussioni e nell’espletamento dei lavori. È del parere quindi che il Comitato debba continuare il suo lavoro ed esaminare lo Statuto della Sicilia, per poi riferire alla seconda Sottocommissione e in ultima istanza alla Commissione plenaria.

D’altra parte la questione delle autonomie particolari, quali quelle per l’Alto Adige, il Trentino, la Val d’Aosta, la Sicilia e la Sardegna, non può far sorgere grandi difficoltà, all’infuori di quelle che il problema presenta per se stesso. La seconda Sottocommissione, quando abbia concluso i suoi lavori sulle autonomie in generale, dovrà esaminare anche la questione dell’autonomia di quelle regioni e località e presentare in proposito una sua relazione.

Circa la questione particolare dello Statuto per la Sardegna, accennata dall’onorevole Laconi, ricorda che esiste un progetto di Statuto formulato dal partito sardo, che è stato sempre favorevole all’autonomia dell’Isola e che anzi si può dire è stato il primo ad affermarla ventisette anni or sono, contro e durante il fascismo, e che la riafferma nel momento presente con spirito di assoluta lealtà nazionale. Naturalmente non si può pretendere che tutti siano favorevoli a un tale progetto; ma dell’esame di esso dovrebbero essere incaricati gli attuali deputati sardi, che sono gli unici qualificati a rappresentare la volontà delle popolazioni sarde, in quanto da esse eletti a suffragio universale.

Lo stesso criterio dovrebbe essere seguito per l’esame delle questioni relative all’autonomia del Trentino e della Val d’Aosta. Quest’ultima zona ha già un suo Statuto, ma è chiaro che questo dovrà essere coordinato con le disposizioni della nuova Costituzione dello Stato.

NOBILE trova strano che si parli di Statuti speciali per la Sicilia e per la Sardegna, come se già fosse accettato da tutti il principio delle autonomie regionali. Questo problema invece non è stato ancora dibattuto e risolto dalla Sottocommissione. Comunque non possono essere accomunate le italianissime popolazioni della Sardegna e della Sicilia con quelle mistilingui dell’Alto Adige e della Val d’Aosta.

È del parere pertanto che si debba innanzitutto portare a termine l’esame della questione delle autonomie regionali e che soltanto dopo una decisione in proposito potrà essere presa in considerazione l’opportunità o meno di dare uno Statuto speciale alla Sicilia e alla Sardegna.

AMBROSINI ricorda che lo Statuto per la Sicilia è stato emanato con provvedimento legislativo e precisamente col decreto legislativo luogotenenziale 15 maggio 1946, e che quindi ha valore di legge. Dissente perciò decisamente dall’opinione espressa dal precedente oratore, giacché non può esservi dubbio che lo Statuto in questione è già entrato a far parte del diritto positivo italiano. Rileva che l’articolo unico del suddetto decreto legislativo, che approva lo Statuto, dispone che esso dovrà essere sottoposto alla Costituente per essere coordinato con la nuova Carta costituzionale, ma che ciò non esclude che debba per intanto essere attuato, cominciandosi con l’elezione di quell’Assemblea regionale, la quale potrà, con la dovuta autorità e responsabilità, riesaminare le singole norme dello Statuto e proporre essa stessa alla Costituente gli emendamenti che credesse opportuni per il previsto coordinamento con la nuova Costituzione.

Passando a riguardare la questione dal punto di vista politico, richiama i precedenti lontani e vicini, e specialmente gli impegni tassativi assunti di fronte alla popolazione siciliana dai vari governi succedutisi dopo la liberazione di Roma, le sollecitazioni rivolte dal Presidente Parri e poi dal Presidente De Gasperi all’Alto Commissario ed alla Consulta della Sicilia per l’elaborazione di un progetto di Statuto regionale, la presentazione al Governo di tale progetto e la sua approvazione con provvedimento legislativo in seguito all’esame e al voto favorevole della Consulta Nazionale. Rileva che non si può, per ragioni intuitive, tornare indietro, e prega pertanto i colleghi di considerare fin da ora con la dovuta comprensione la situazione e lo stato d’animo particolare della popolazione siciliana.

PATRICOLO fa presente che lo Statuto per la Sicilia non è stato accolto con molto favore dalle popolazioni dell’Isola, perché è stato emanato poco democraticamente, senza adeguati studi preparatori e dopo troppo breve elaborazione. Richiamandosi a quanto è stato proposto dall’onorevole Lussu per la Sardegna, ritiene che sarebbe opportuno interpellare la volontà del popolo siciliano per mezzo dei suoi rappresentanti all’Assemblea Costituente. Ciò anche per aggiornare le disposizioni dello Statuto alle ultime necessità del momento e al pensiero politico del popolo siciliano. In questo campo, come giustamente ha affermato l’onorevole Ambrosini, non è possibile tornare indietro; occorre, anzi, fare qualche passo in avanti, rielaborando e possibilmente in qualche punto emendando quello Statuto.

È anche d’accordo con gli onorevoli Lussu e Ambrosini sulla opportunità di fissare prima i principî generali sulle autonomie regionali per procedere in un secondo momento al coordinamento fra tali principî e le autonomie particolari.

FUSCHINI fa presente, secondo quanto ha già osservato l’onorevole Ambrosini, che la Sottocommissione non è in grado di compiere un’opera di coordinamento dello Statuto per la Sicilia con la nuova Costituzione dello Stato, né può affidare tale incarico ad un Comitato, perché appunto non ancora sono stati stabiliti i principî fondamentali in materia di autonomia regionale che dovranno essere inclusi nella Costituzione.

Dichiara poi di essere alquanto perplesso circa l’opportunità della proposta fatta dal Presidente, di invitare alcuni membri della prima e della terza Sottocommissione a far parte del Comitato di redazione. Il Presidente della Commissione ha trasmesso il testo dello Statuto per la Sicilia al Presidente della Sottocommissione, perché esso appunto ha attinenza con uno dei problemi a questa affidati.

Ritiene quindi che la Sottocommissione debba soprassedere all’esame dello Statuto per la Sicilia fino a quando il Comitato di redazione non avrà ultimato i suoi lavori.

PRESIDENTE ricorda che il progetto per lo Statuto della Sicilia fu elaborato dalla Consulta siciliana e da questa trasmesso al Governo, il quale lo presentò alla Consulta Nazionale, che espresse in merito alcuni determinati pareri. Il Governo ultimamente, con apposito provvedimento legislativo, ha dato vigore di legge allo Statuto per la Sicilia, disponendo che esso debba essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato. Lo Statuto così è stato trasmesso alla Costituente e il Presidente dell’Assemblea lo ha inviato alla Commissione per la Costituzione, che ha deciso di affidare l’incarico di studiare il coordinamento tra lo Statuto stesso e la futura Costituzione dello Stato alla seconda Sottocommissione.

Dopo le osservazioni fatte da alcuni oratori, ritiene che meriti maggiore considerazione la proposta di soprassedere all’opera di coordinamento fino a quando sarà ultimata, da parte del Comitato di redazione, l’elaborazione del progetto sulla autonomia regionale.

Mette quindi ai voti la seguente proposta:

«La seconda Sottocommissione affida al Comitato che sta elaborando il progetto sulla autonomia regionale l’esame dello Statuto siciliano, affinché esso provveda a tempo opportuno ad assolvere il compito di cui la Sottocommissione stessa è stata incaricata».

(È approvata).

LACONI richiama nuovamente la questione dello Statuto della regione sarda.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione non è stata ancora investita ufficialmente della questione accennata dall’onorevole Laconi. Sta quindi ai deputati sardi sollecitare una decisione di merito alla formulazione di un progetto di Statuto per la Sardegna.

LUSSU avverte che in Sardegna l’esigenza autonomistica è stata sempre profondamente sentita, forse più che in Sicilia. Se non ancora è stato presentato uno Statuto per la Sardegna, così come è avvenuto per la Sicilia, ciò è da attribuirsi a molteplici cause che per ora non è il caso di enumerare. Prospetta frattanto l’opportunità di annunciare alla stampa che l’esame dello Statuto per la Sicilia verrà fatto insieme a quello dello Statuto per la Sardegna.

PICCIONI domanda da quale organo dovrà essere preparato lo Statuto sardo.

LUSSU dichiara di aver trasmesso ai componenti il Comitato per le autonomie regionali un progetto di partito in merito alla questione dell’autonomia sarda. Naturalmente è ben lontano dal pensare che tale progetto possa essere accettato integralmente.

Torna ad osservare frattanto che i rappresentanti della Sardegna all’Assemblea Costituente sono quelli che oggi hanno piena potestà di esprimere il pensiero della popolazione sarda sulla questione dell’autonomia dell’Isola.

In ogni modo ripete che, da un punto di vista politico, sarebbe opportuno che in occasione dell’annuncio della discussione del progetto per l’autonomia della Sicilia si desse anche quello dell’esame dello Statuto autonomistico per la Sardegna.

CONTI condivide le osservazioni fatte dall’onorevole Lussu e crede che sarebbe opportuno annunciare che la Sottocommissione, mentre procede all’esame e al coordinamento dello Statuto siciliano, intende anche passare allo studio di un progetto di Costituzione sarda. È opportuno, infatti, che l’iniziativa per la formulazione di tale progetto sia presa dalla stessa Sottocommissione.

PRESIDENTE osserva che la Sottocommissione ha avuto una speciale delega per redigere il testo della Costituzione dello Stato, mentre nessuna investitura essa ha avuto per elaborare un progetto di Statuto della Sardegna. Se la Sottocommissione avesse i poteri che l’onorevole Conti intende attribuirle, qualsiasi regione potrebbe chiederle un progetto di Statuto.

ZUCCARINI ritiene che non ci si debba occupare di progetti particolari finché è in elaborazione il progetto per le autonomie regionali. Soltanto quando questo sarà pronto, il Comitato di redazione potrà prendere in esame lo Statuto siciliano e gli altri Statuti eventualmente proposti.

CONTI non può condividere l’opinione del Presidente. Ritiene che la Sottocommissione non abbia bisogno di una speciale investitura per esaminare e risolvere un determinato problema. In ogni modo, la richiesta dell’onorevole Lussu è assai semplice: si tratta soltanto di annunciare alla stampa, per ragioni di opportunità politica, che la Sottocommissione, mentre passa all’esame dello Statuto siciliano, intende anche occuparsi della questione dello Statuto per la Sardegna.

PRESIDENTE avverte che non sono trasmessi comunicati ufficiali alla stampa. Di solito i giornalisti sono informati privatamente delle decisioni prese in seno alla Sottocommissione e tali informazioni, non ufficiali, per ovvie ragioni di opportunità, non possono riferirsi che ai lavori eseguiti dalla Sottocommissione. Ora, se egli dovesse dare qualche informazione sulla seduta odierna, comunicherebbe che si è parlato soltanto del modo in cui esaminare lo Statuto siciliano, ma non potrebbe aggiungere altro perché la Sottocommissione non ha preso altra decisione.

PICCIONI ritiene che non sia opportuna la richiesta di investire la Sottocommissione del problema relativo alla formulazione di un progetto di Statuto per la Sardegna. A suo avviso, occorre attendere che sia elaborato lo Statuto generale delle regioni. Se questo poi non dovesse soddisfare le esigenze di alcune regioni, soltanto allora potrebbe sorgere il problema di dare a queste appositi Statuti. Certi apriorismi in questo campo possono essere pericolosi oltreché dannosi, perché vengono a svalutare il nuovo ordinamento regionale dello Stato. I diversi interessati quindi, prima di esigere Statuti particolari per determinate regioni, farebbero bene ad attendere che sia ultimata l’elaborazione del progetto generale dell’Ente regionale.

LUSSU dichiara che, a suo avviso, anche in comunicazioni non ufficiali alla stampa sarebbe arbitrario parlare soltanto dello esame, da parto della Sottocommissione, dello Statuto per l’autonomia della Sicilia. E ciò perché nell’ordine del giorno, già approvato, dell’onorevole Piccioni, e nell’articolo 2 del progetto del Comitato per le autonomie regionali, si fa riferimento non solo alla Sicilia, ma anche alla Sardegna, alla Val d’Aosta, all’Alto Adige e al Trentino. Pertanto la Sottocommissione, se affronta il problema dall’autonomia siciliana, è tenuta anche ad affrontare quello dell’autonomia sarda. Insiste quindi, per evitare il sorgere di giustificabili risentimenti, che sia data comunicazione che la Sottocommissione passerà anche allo studio, in occasione dell’esame dello Statuto siciliano, dell’autonomia della Sardegna, della Val d’Aosta, dell’Alto Adige e del Trentino.

PRESIDENTE osserva che tutti gli italiani che leggono i giornali presumibilmente sono già informati che la Sottocommissione ha posto sullo stesso piano l’autonomia della Sicilia, della Sardegna, della Val d’Aosta, del Trentino e dell’Alto Adige, in quanto la stampa ha già dato notizia, non solo dell’ordine del giorno dell’onorevole Piccioni, ma anche dei lavori della Sottocommissione. Non crede quindi che, qualora venga comunicato che la Sottocommissione è stata investita dall’Assemblea Costituente dell’esame dello Statuto per l’autonomia siciliana, possa nascere la preoccupazione che essa non voglia occuparsi anche dell’autonomia sarda, qualora le sia posto questo problema in seguito all’iniziativa di qualche interessato.

Dichiara chiusa la discussione su questo argomento.

Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.

PRESIDENTE ricorda che nella precedente seduta si decise di sospendere i lavori, per consentire ai rappresentanti democristiani di partecipare a una riunione del loro Gruppo, indetta per l’esame della dibattuta questione relativa alla formazione della seconda Camera. Invita pertanto i rappresentanti democristiani ad informare la Sottocommissione delle conclusioni a cui sono pervenuti.

PICCIONI dà notizia che il suo Gruppo ha ritenuto che il progetto formulato in seguito ai contatti con alcuni colleghi, particolarmente quelli di parte socialista, non rispondo innanzitutto alla esigenza pratica di una concreta realizzazione, e in secondo luogo alle necessità, già prospettate dallo stesso Gruppo democratico cristiano, visto che pone fra l’altro come una pregiudiziale insuperabile l’elezione a suffragio universale diretto. I rappresentanti democristiani si trovano quindi nella necessità di ribadire i loro punti di vista particolari, ancorché sentano che essi non siano condivisi dalla maggioranza della Sottocommissione. Non si rifiutano, tuttavia, in linea subordinata, di esaminare, salvo ad apportarvi alcuni emendamenti che non ne modifichino la struttura fondamentale, lo schema presentato alla Presidenza dall’onorevole Perassi, in quanto esso, anche se non viene incontro al punto di vista particolare della rappresentanza degli interessi, pone tuttavia il problema in termini di più facile realizzazione e prevede l’elezione di secondo grado, che riveste una notevole importanza ai fini di impedire che la seconda Camera diventi un doppione della prima.

PRESIDENTE osserva che dalle dichiarazioni dell’onorevole Piccioni si può concludere che l’accordo auspicato fra i rappresentanti dei vari gruppi in merito alla questione della formazione della seconda Camera non è stato raggiunto.

V’è frattanto la proposta articolata dall’onorevole Perassi, sulla quale l’onorevole Piccioni ha detto di essere disposto a discutere, e che è così concepita:

«La seconda Sottocommissione, tenuti presenti i principî già adottati per quanto concerne il sistema bicamerale e la formazione della seconda Camera, delibera di procedere alla formulazione delle norme relative alla formazione della seconda Camera sulla base dei criteri seguenti:

1°) la seconda Camera sarà interamente elettiva;

2°) è esclusa l’elezione, anche parziale, dei membri della seconda Camera da parte di distinti collegi elettorali costituiti su base professionale o di categorie;

3°) la seconda Camera sarà composta di 315 membri, di cui 300 eletti dalla regione e 15 dalla Camera dei Deputati (ovvero Assemblea Nazionale);

4°) i seggi attribuiti alle regioni saranno ripartiti in proporzione della rispettiva popolazione, previa assegnazione di 5 seggi a ciascuna regione;

5°) in ciascuna regione i membri della seconda Camera saranno eletti;

  1. a) per un terzo dall’Assemblea regionale, con libera scelta fra cittadini aventi uno dei requisiti di capacità e di esperienza nei diversi rami dell’attività produttiva che saranno stabiliti dalla legge concernente l’elezione della seconda Camera;
  2. b) per il resto da delegati dei consigli comunali, ciascuno dei quali eleggerà un numero di delegati che sarà determinato in relazione al numero degli elettori iscritti nel comune. Le modalità di applicazione saranno determinate dalla detta legge speciale;

6°) il requisito dell’età sarà stabilito in quello di 35 anni compiuti per tutte le categorie di membri della seconda Camera;

7°) per i membri della seconda Camera di elezione regionale sarà requisito di eleggibilità l’essere nato nella regione od avervi la residenza da almeno 5 anni;

8°) nessuno potrà essere contemporaneamente membro delle due Camere».

PICCIONI propone di votare per divisione l’ordine del giorno dell’onorevole Perassi e di mettere innanzi tutto in votazione la disposizione contrassegnata dal n. 2.

PRESIDENTE accede al desiderio dell’onorevole Piccioni e pone pertanto in votazione la seguente formula contrassegnata dal n. 2 nell’ordine del giorno Perassi: «È esclusa l’elezione, anche parziale, dei membri della seconda Camera da parte di distinti collegi elettorali costituiti su base professionale o di categorie».

PICCIONI dichiara, a nome del suo gruppo, di votare contro. Tiene altresì a far presente che il pensiero del suo Gruppo, in merito al problema della formazione della seconda Camera, è rappresentato dai seguenti punti contenuti nell’ordine del giorno dell’onorevole Mortati:

«Art. 1. – Il potere legislativo è esercitato collettivamente dalla Camera dei Deputati e dal Senato.

«Art. 2. – La formazione e cessazione delle due Camere avvengono contemporaneamente.

«Art. 3. – Il Senato è composto da membri eletti dalle regioni, in numero di 300, per la durata di 5 anni. Il numero dei senatori assegnato ad ogni regione è proporzionale a quello dei cittadini in essa domiciliati. Tuttavia nessuna regione potrà avere un numero di rappresentanti superiore a … né inferiore a …

«Art. 4. – I seggi di senatori assegnati ad ogni regione sono per metà coperti con elezioni a suffragio diretto universale, e per l’altra metà con elezione da effettuarsi nell’ambito di speciali collegi elettorali, formati in base alla appartenenza dei cittadini ad una delle seguenti categorie di attività produttiva:

  1. a) agricoltura e pesca;
  2. b) industria, comprese quelle dei trasporti e bancaria;
  3. c) commercio;
  4. d) scuola e cultura;
  5. e) giustizia;
  6. f) urbanistica, sanità ed igiene;
  7. g) amministrazione pubblica.

«Art. 5. – L’assegnazione del numero dei membri da eleggere dalle singole categorie nell’ambito di ciascuna regione sarà fatta con legge costituzionale da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni, tenendo conto del diverso grado di efficienza di ognuno.

«Art. 6. – I procedimenti elettorali per la nomina dei due gruppi dei senatori saranno determinati da apposita legge.

«Art. 7. – Partecipano alle elezioni per la parte dei senatori da eleggere a suffragio universale tutti i cittadini i quali abbiano compiuto il 25° anno di età. Sono elettori nei collegi speciali i cittadini appartenenti alle singole categorie che abbiano compiuto il 21° anno di età (oppure che abbiano raggiunta la maggiore età).

«Art. 8. – Sono eleggibili alla carica di senatore i cittadini i quali, oltre a possedere i requisiti richiesti per le elezioni alla Camera dei Deputati, abbiano raggiunto l’età di anni 40 e abbiano ricoperto per almeno due anni una delle seguenti cariche:

(Omissis).

«Per l’elezione nei collegi speciali occorre altresì che i candidati appartengano effettivamente alla categoria corrispondente a ciascuno dei collegi stessi».

(Il n. 2 dell’ordine del giorno Perassi è approvato con 17 voti favorevoli e 10 contrari).

PERASSI fa presente che la formula contrassegnata dal n. 3 nel suo ordine del giorno consta di due parti: nella prima si fissa il numero dei senatori da eleggersi nelle regioni; nella seconda è prevista l’elezione di un piccolo numero di essi da parte della Camera dei Deputati o dell’Assemblea Nazionale, cioè da parte delle due Camere riunite. Propone che per il momento sia messa in votazione soltanto la prima parte della formula in esame.

FUSCHINI osserva che, dal momento che per la prima Camera si è preferito, al criterio di un numero fisso, quello di un numero proporzionale alla popolazione, sarebbe consigliabile, anche nei riguardi della seconda Camera, seguire lo stesso criterio, stabilendo però un rapporto diverso fra il numero degli abitanti ed ogni eligendo.

LUSSU rileva che, prima di addivenire alla votazione della formula proposta dall’onorevole Perassi, occorrerebbe che il proponente illustrasse anche le disposizioni contenute nei numeri successivi del suo ordine del giorno, che sono in stretto rapporto con la formula anzidetta.

TARGETTI si associa. Infatti, dal solo contesto del n. 3 non ci si può rendere conto se le regioni debbano essere intese come circoscrizioni elettorali o come corpo elettorale.

LACONI rileva che la formula proposta dall’onorevole Perassi implica già, pur senza dirlo esplicitamente, l’elezione di secondo grado, in quanto parla di eletti dalla regione. Chiede pertanto che la votazione avvenga su una formula più semplice, con la quale si stabilisca se la elezione della seconda Camera debba avvenire sulla base del suffragio universale, difetto e segreto, ovvero mediante elezione di secondo grado.

TOSATO propone, allo scopo di facilitare la discussione, di mettere in votazione soltanto il principio che la seconda Camera sia composta di 300 membri eletti su base regionale. Con tale formula non si pregiudicherebbe la decisione sul suffragio diretto o indiretto.

BOZZI propone di passare senz’altro alla discussione della formula contrassegnata dal n. 5 nell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi, perché essa appunto investe tutta la questione in esame».

PRESIDENTE crede preferibile prendere in considerazione la proposta dell’onorevole Laconi, in vista della sua semplicità, mentre con la formula del n. 5 si dà già per accettata una soluzione e si stabilisce il modo di attuarla.

LUSSU dichiara di votare in favore della elezione di secondo grado, nel desiderio di arrivare ad una conclusione che sia accettata dalla maggioranza della Sottocommissione.

FABBRI fa presente che sarebbe stato favorevole al suffragio diretto qualora i componenti della seconda Camera fossero stati effettivamente i rappresentanti delle forze vive della Nazione.

LAMI STARNUTI dichiara che non sarebbe contrario ad una elezione di secondo grado, se il sistema proposto offrisse determinate garanzie. Poiché nessuno dei sistemi di secondo grado finora escogitati gli sembra offrire le necessarie garanzie, voterà a favore dell’elezione a suffragio diretto.

LA ROCCA voterà per la elezione di primo grado, perché ritiene che con essa si potrà avere la più ampia rappresentanza, compresa quella delle forze vive e delle categorie professionali, e si assicurerà maggiore autorità e prestigio alla seconda Camera.

AMBROSINI è favorevole all’elezione di secondo grado per le ragioni già da lui esposte nella seduta precedente.

CODACCI PISANELLI voterà per la elezione di secondo grado, anche in considerazione dell’opportunità di giungere ad una formazione della seconda Camera diversa da quella della prima, cosa che è prevista in quasi tutte le Costituzioni degli altri Stati.

PRESIDENTE pone in votazione il principio che l’elezione della seconda Camera avvenga con il sistema del suffragio diretto.

(Con 11 favorevoli e 15 contrari, non è approvato).

Fa presente che con la votazione testé avvenuta resta implicitamente approvato il principio che l’elezione della seconda Camera debba avvenire con il sistema del suffragio di secondo grado.

Resta ora da esaminare la proposta dell’onorevole Fuschini, per la quale il numero dei membri della seconda Camera dovrà essere proporzionale alla popolazione secondo un determinato coefficiente.

MANNIRONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Fuschini, purché essa concordi con quanto successivamente è stabilito nell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi circa il numero fisso minimo di componenti di ogni regione in seno alla seconda Camera.

UBERTI fa presente che, esclusa la rappresentanza professionale o di categoria, si corre ora il rischio di compromettere anche la rappresentanza degli enti territoriali, perché sarà difficile, se si vuole dare una rappresentanza ai comuni o alle regioni, applicare con precisione il principio della proporzionalità alla popolazione. Se si pone soltanto questo principio, si corre il pericolo di non avere più una rappresentanza degli enti territoriali. Resterebbe pertanto svuotata di ogni contenuto la votazione testé fatta, con la quale è stata approvata la formazione della seconda Camera con elezioni di secondo grado.

CAPPI richiama l’attenzione sul fatto che, adottando il criterio della proporzionalità fra popolazione e numero dei rappresentanti alla seconda Camera, si verrebbe a scartare la disposizione contenuta nel numero 4 del progetto dell’onorevole Perassi, con la quale si assegna un dato numero fisso di seggi alle regioni, indipendentemente dalla loro popolazione.

TOSATO fa presente che due sono, a suo avviso, le questioni di principio: se ad ogni regione debba essere attribuito un numero fisso di senatori; e se il numero complessivo dei membri della seconda Camera debba essere esplicitamente stabilito nella Costituzione o debba essere determinato in relazione all’entità della popolazione.

FUSCHINI ritiene che si dovrebbe innanzitutto stabilire che il numero dei componenti la seconda Camera sia proporzionale alla popolazione, secondo un dato coefficiente. Una volta accolto tale principio, si potrebbe tuttavia accedere alla proposta dell’onorevole Perassi, per la quale ogni regione dovrebbe avere un numero fisso minimo di senatori e i seggi non compresi in questo numero minimo fisso dovrebbero essere divisi in rapporto alla popolazione. La determinazione del numero complessivo dei senatori sulla base della popolazione non esclude la possibilità di accettare la proposta dell’onorevole Perassi, perché tra le due ipotesi non c’è alcuna contraddizione.

MANNIRONI riterrebbe opportuno concretare in un’unica formula il principio proposto dall’onorevole Fuschini.

CAPPI ripete che, accogliendo la proposta dell’onorevole Fuschini, si renderebbe inefficiente la disposizione contenuta nel n. 4 del progetto dell’onorevole Perassi.

FUSCHINI ritiene che ciò non sia esatto.

PRESIDENTE osserva che la preoccupazione manifestata dall’onorevole Cappi è infondata. Nel pensiero dell’onorevole Fuschini si tratta di adottare una formulazione che non determini un numero fisso di componenti la seconda Camera, ma stabilisca che ad ogni elezione il numero dei membri varierà in rapporto alla popolazione. Dato ciò, pensa che i numeri 4 e 5 dell’ordine del giorno dell’onorevole Perassi possano restare inalterati, perché essi si propongono di suddividere i membri con un determinato sistema, che potrà essere applicato anche se dovesse essere accolto il principio di un numero complessivo di componenti la seconda Camera variabile a seconda della popolazione.

Mette in votazione la proposta Fuschini, che il numero dei membri della seconda Camera debba essere proporzionale alla popolazione secondo un determinato coefficiente.

CAPPI dichiara di votare a favore della proposta, restando inteso che essa non pregiudica l’accettazione del criterio di un numero minimo fisso di seggi da assegnarsi a ciascuna regione.

MANNIRONI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Cappi.

TOSATO dichiara di astenersi dal voto.

(Con 15 voti favorevoli e 9 contrari, la proposta dell’onorevole Fuschini è approvata).

PRESIDENTE fa presente che si tratta ora di determinare il coefficiente di proporzionalità fra la popolazione e gli eligendi.

LAMI STARNUTI dichiara, anche a nome dei rappresentanti del suo Gruppo, che sarebbe opportuno eleggere un membro della seconda Camera per ogni 150.000 abitanti.

LUSSU ritiene che dovrebbe essere messa prima in votazione la disposizione contenuta nel numero 4 dell’ordine del giorno Perassi, relativa all’assegnazione di un numero minimo fisso di seggi per ciascuna regione.

FABBRI domanda se i seggi da attribuirsi di diritto alle varie regioni siano da considerarsi come compresi nel numero di quelli da assegnarsi in ragione della popolazione. Osserva, a questo proposito, che, mentre l’onorevole Cappi ha inteso che i cinque membri da assegnarsi di diritto ad ogni regione, secondo la proposta dell’onorevole Perassi, non debbano essere compresi fra quelli da distribuirsi in rapporto alla popolazione, egli ha creduto perfettamente il contrario. Teme che tale incertezza di interpretazione possa avere influito sulla votazione precedente.

PRESIDENTE chiarisce che, in occasione della votazione già avvenuta, si era dotto che, con la proposta dell’onorevole Fuschini, si mirava ad evitare che la seconda Camera avesse un numero fisso di componenti e non a pregiudicare il modo con cui i componenti, calcolali di volta in volta in base al numero degli abitanti, dovranno essere ridistribuiti fra le varie regioni.

CAPPI osserva che la formula del n. 4 del progetto Perassi è assai chiara. Se le regioni saranno 18, si avranno 90 rappresentanti assegnati alle regioni, ossia 5 rappresentanti per ciascuna regione, qualunque sia il numero dei suoi abitanti. Gli altri rappresentanti, invece, saranno distribuiti in proporzione della popolazione. Propone frattanto che sia eletto un senatore per ogni 200.000 abitanti. Si avrebbe così un totale di 310 membri.

LUSSU rileva che nella tabella allegata al progetto Perassi non si fa parola della Val d’Aosta. Ora, se la proposta dell’onorevole Perassi dovesse essere accolta, la Val d’Aosta, che ha un solo deputato, verrebbe ad avere cinque senatori, cosa che a suo avviso non è ammissibile. Lo stesso inconveniente sorgerebbe per il Molise, se esso dovesse diventare una regione a sé. Desidererebbe in proposito qualche chiarimento dall’onorevole Perassi.

PERASSI dichiara che la tabella annessa al suo progetto ha un valore puramente indicativo, ed è stata compilata con riferimento all’attuale ripartizione regionale e ai dati del censimento del 1936. In essa quindi non si poteva far menzione della Val d’Aosta.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lussu che per la Val d’Aosta sarà probabilmente usata una denominazione particolare, come ad esempio quella di territorio o zona autonoma. Essa quindi non sarà considerata come una regione.

BORDON osserva che il criterio di determinare il numero dei seggi in base alla popolazione non dovrebbe essere stabilito in modo assoluto, e ciò per dare la possibilità anche a regioni con meno di 150.000 abitanti di avere i loro rappresentanti alla seconda Camera.

ROSSI PAOLO non è favorevole ad ammettere un numero fisso di rappresentanti nella seconda Camera, perché vorrebbe evitare l’inconveniente costituito dal fatto che mentre alcune provincie, come quelle di Potenza, Matera e Avellino, avrebbero un senatore per ogni 90-95.000 abitanti, altre, ad esempio quelle di Genova, Torino e Milano, ne avrebbero uno per ogni 180.000 abitanti, ciò che sovvertirebbe completamente il criterio della proporzione.

MANNIRONI è favorevole alla proposta dell’onorevole Perassi; ma vorrebbe che invece di cinque fossero assegnati sei seggi a ciascuna regione, per ristabilire un certo equilibrio nel criterio della rappresentanza basata sul numero degli abitanti, a vantaggio delle regioni più povere e meno popolale.

MORTATI, Relatore, concorda con l’onorevole Mannironi, facendo osservare all’onorevole Rossi che, con l’adozione del principio di fissare un minimo di seggi per ogni regione, non si verifica già un sovvertimento del criterio della proporzionale, ma si attuano soltanto piccole rettifiche a vantaggio delle ragioni meno popolate. D’altra parte ricorda che tutte le Costituzioni basate su un ordinamento regionale stabiliscono un minimo di seggi per le regioni e qualcuna anche un massimo.

CONTI, Relatore, si associa alle dichiarazioni degli onorevoli Mannironi e Mortati.

PERASSI dichiara che con la sua proposta ha cercato una via di conciliazione tra due tesi contrapposte: quella di fissare per ogni regione un numero di seggi eguale e quella di determinare il numero dei seggi in ragione proporzionale alla popolazione. D’altra parte, visto che nella nuova Costituzione dello Stato sarà adottato il principio dell’ordinamento regionale, si renderà indispensabile che ogni regione abbia un minimo di membri nella seconda Camera. Circa tale numero si potrà discutere; ma un minimo di cinque seggi da assegnarsi a ciascuna regione non gli sembra irragionevole.

TARGETTI è dell’avviso che sia necessario rinviare l’approvazione del principio relativo alla determinazione di un numero minimo di seggi per ciascuna regione a quando sarà stabilita la struttura delle varie regioni. Finché non se ne conosce il numero e la delimitazione dei confini, non si può approvare il principio anzidetto senza correre il rischio di inficiare il criterio proporzionale che già è stato approvato.

Coloro poi che sono particolarmente favorevoli al nuovo ordinamento regionale dovrebbero essere assai guardinghi nell’accogliere il principio in discussione, che potrebbe far nascere opposizioni ancora più forti tra gli avversari dell’ente regione.

PRESIDENTE propone, anche per venti e incontro alle osservazioni dell’onorevole Targetti, di votare per ora soltanto il principio contenuto nella proposta dell’onorevole Pelassi, rinviando la determinazione del numero minimo dei seggi ad un secondo momento. Mette pertanto in votazione la seguente formula:

«Sarà assicurato ad ogni regione, qualunque sia il numero dei suoi abitanti, un numero minimo fisso di rappresentanti in seno alla seconda Camera».

(È approvata).

LAMI STARNUTI domanda se il numero minimo dei seggi per ciascuna regione andrebbe in diminuzione o in aumento dei seggi assegnati alle regioni in relazione alle rispettive popolazioni.

MANNIRONI crede che occorra fare due calcoli: il primo in base alla popolazione, per stabilire il numero complessivo dei rappresentanti, il secondo dopo aver tolto il numero minimo dei seggi spettanti ad ogni ragione, per ripartire tra la popolazione il numero degli altri seggi.

LAMI STARNUTI osserva che, così facendo, sarebbe sottratta, a favore delle piccole regioni, una quota dei seggi spettanti alle grandi.

PRESIDENTE fa presente che nella proposta testé approvata era appunto implicita la conseguenza accennata dall’onorevole Lami Starnuti. Le piccole regioni non potranno avere il loro numero minimo di rappresentanti che detraendolo dal numero totale dei componenti la seconda Camera.

LAMI STARNUTI rileva che, secondo la proposta dell’onorevole Perassi, non si trattava di garantire soltanto un minimo di seggi alle varie regioni, ma di assegnare a ciascuna di esse, oltre a questo minimo, anche un numero di seggi proporzionale alla popolazione.

NOBILE osserva che fissare un minimo di seggi per ogni regione, una volta ammesso il criterio del rapporto con la popolazione, è cosa che oggi riveste un significato, ma che avrà un significato diverso fra qualche anno, dato il continuo incremento della popolazione, Quando sarà aumentato il numero degli abitanti, e con esso quello dei membri della seconda Camera, il numero minimo fisso dei seggi per ciascuna regione acquisterà un valore diverso da quello che ha attualmente. Di qui l’inopportunità di introdurre nella Costituzione una norma di valore mutevole.

LA ROCCA ritiene che occorra precisare che il numero fisso dei rappresentanti per ciascuna regione deve esser compreso in quello che dovrà essere determinato in base alla popolazione.

PRESIDENTE crede che il concetto accennato dall’onorevole La Rocca sia implicito nella formulazione testé approvata. In ogni modo, a maggior chiarezza potrebbe essere messa in votazione una formula aggiuntiva, allo scopo di precisare che il numero minimo dei seggi va inteso nel senso che esso non debba poi essere aumentato del numero dei seggi risultante dal rapporto proporzionale con la popolazione.

LACONI dichiara di essere favorevole al principio di un numero minimo fisso di seggi per ciascuna regione, purché tale numero sia compreso in quello risultante dal rapporto proporzionale con la popolazione.

MORTATI, Relatore, obietta che, così facendo, il principio di assegnare un numero minimo fisso di seggi ad ogni regione sarebbe svuotato quasi di ogni contenuto, perché il vantaggio consisterebbe soltanto nell’attribuire un paio di seggi alla Lucania ed alla Venezia Tridentina, posto sempre che il numero minimo dei seggi resti fissato in cinque. Sarebbe quindi integralmente rispettato il criterio della proporzionale, salvo che per due regioni. Viceversa col sistema suggerito dall’onorevole Parassi sarebbe maggiormente rispettata l’esigenza, già prospettata da qualcuno, di dare maggiore peso e influenza all’ordinamento dell’ente regione.

CAPPI propone la seguente formula:

«Oltre al numero minimo fisso, ciascuna regione avrà diritto ad eleggere un deputato alla seconda Camera ogni duecentomila abitanti».

PRESIDENTE osserva che nella formula proposta dall’onorevole Cappi sarebbe meglio togliere l’indicazione della cifra relativa al numero degli abitanti, che sarà meglio decidere in seguito.

CAPPI accetta di sostituire alle parole: «ogni duecentomila abitanti», le seguenti: «in proporzione alla popolazione».

MANNIRONI concorda con l’onorevole Cappi.

PRESIDENTE ritiene che sarebbe meglio usare l’espressione: «ogni x abitanti»; in tal modo apparirà più chiaramente che ci si riserva di inserire nella formula proposta l’indicazione del numero degli abitanti.

LUSSU è favorevole alla formula proposta, con la riserva però che il numero dei deputati non possa mai essere inferiore a quello dei senatori.

CAPPI è d’accordo con l’onorevole Lussu.

ROSSI PAOLO osserva che l’inconveniente accennato dall’onorevole Lussu si potrà verificare in Lucania, in Umbria, negli Abruzzi, nel Molise, se esso diventerà regione a sé, e nel Trentino.

Ad esempio nella Lucania, oltre i cinque senatori di diritto, se ne potranno avere altri tre: in totale otto, mentre si avranno soltanto cinque deputati, se sarà accolto definitivamente il principio di eleggere un deputato ogni 100.000 abitanti.

CONTI, Relatore, osserva che la questione non ha alcuna importanza relativamente al numero complessivo dei componenti delle due Camere, perché certamente il numero dei membri della seconda Camera non potrà superare quello della prima. Si domanda in ogni modo quali pericoli possano derivare dal fatto che in una regione vi siano 5 deputati ed 8 senatori.

CAPPI è d’accordo con l’onorevole Conti nel ritenere impossibile che il numero dei membri della seconda Camera possa superare quello dei componenti la prima. Ricorda in ogni modo che la Sottocommissione ha preso già una decisione nel senso che la prima Camera debba avere un numero di deputati notevolmente superiore a quello dei senatori.

ROSSI PAOLO dichiara che ciò che lo preoccupa è soltanto che l’inconveniente accennato possa verificarsi nell’ambito della regione.

LUSSU propone, come emendamento, una frase con la quale si dica che nell’ambito della regione il numero dei deputati alla seconda Camera non possa mai essere superiore al numero dei deputati alla prima.

PRESIDENTE osserva che la formula suggerita dall’onorevole Lussu è un’aggiunta. Sarà bene quindi mettere in votazione prima la proposta e poi l’aggiunta.

LACONI suggerisce la seguente formula in contrapposizione a quella dell’onorevole Cappi: «Il principio precedentemente affermato si intende nel senso che, qualora il numero dei deputati della seconda Camera, spettante a qualche regione, fosse inferiore al numero di 5, esso verrebbe aumentato fino a raggiungere tale cifra».

PRESIDENTE osserva che anche nella formula proposta dall’onorevole Laconi sarebbe meglio sostituire all’indicazione del numero dei deputati della seconda Camera, che non è stato ancora fissato, una frase come la seguente: «al numero minimo fissato».

MANNIRONI chiede che la votazione sia fatta sulla proposta dell’onorevole Cappi che esclude quella dell’onorevole Laconi.

NOBILE dichiara di astenersi dal voto, perché i vari conteggi fissati nelle formule proposte non hanno, a suo parere, alcun valore pratico.

PRESIDENTE fa presente che, se nella formula dell’onorevole Cappi sarà inclusa l’aggiunta suggerita dall’onorevole Lussu, coloro che sono favorevoli alla formula anzidetta, probabilmente si asterranno dal voto, perché hanno già dichiarato di non condividere l’opinione espressa dall’onorevole Lussu.

PICCIONI propone di votare per divisione.

LUSSU non è favorevole alla proposta Piccioni, perché egli sarebbe obbligato a votare favorevolmente per la formula dell’onorevole Cappi, che invece respingerebbe se la sua aggiunta non fosse approvata.

CONTI, Relatore, dichiara di non essere favorevole alla proposta dell’onorevole Lussu.

LA ROCCA è contrario alla proposta dell’onorevole Cappi perché è favorevole alla proporzionale pura. In ogni modo, dichiara di accedere, in linea subordinata, alla determinazione di un numero fisso di seggi, affinché possa essere data una rappresentanza certa anche alle regioni meno popolose.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Cappi nel seguente testo definitivo: «Oltre al numero fisso minimo, ciascuna regione avrà diritto ad eleggere un deputato alla seconda Camera ogni x abitanti».

(Con 14 voti favorevoli e 11 contrari, è approvata).

Pone quindi in votazione l’aggiunta proposta dall’onorevole Lussu: «Nell’ambito della regione il numero dei deputati alla seconda Camera non può essere superiore al numero dei deputati alla prima».

(Con 13 voti favorevoli, 13 contrari e un astenuto, non è approvata).

Fa presente che si tratta ora di fissare il quoziente di proporzionalità. A tal fine ricorda che l’onorevole Cappi aveva proposto di eleggere un deputato alla seconda Camera ogni 200.000 abitanti, mentre gli onorevoli Fuschini e Lami Starnuti avevano proposto l’elezione di uno ogni 150.000 abitanti.

CODACCI PISANELLI desidera precisare che il criterio della proporzionalità non è affatto incompatibile con quello del numero fisso stabilito nel progetto dell’onorevole Perassi. Se si ammette che il numero dei membri della seconda Camera debba essere di 315, si può determinare, ogni qual volta si faranno le elezioni, in proporzione alla popolazione della regione, quale dovrà essere il numero dei membri da eleggere.

BORDON è favorevole ad una riduzione del quoziente di proporzionalità, specialmente per ciò che concerne la Val d’Aosta.

CONTI, Relatore, teme che, accettando il quoziente di 150.000 abitanti, la seconda Camera possa risultare troppo numerosa, considerato anche il fatto che si avrà un dato numero fisso di rappresentanti per ogni regione. Per queste ragioni è favorevole al quoziente di 200.000 abitanti.

NOBILE ritiene che il numero minimo fisso di seggi per ogni regione, che non è stato ancora precisato, debba essere in relazione con il quoziente di proporzionalità che ora si vuole determinare. Dato ciò, non vede come si possa precisare il numero degli abitanti, se non si stabilisce anche il numero minimo fisso di seggi.

PRESIDENTE avverte che alcuni commissari gli hanno domandato di rinviare alla prossima riunione la votazione sul quoziente di proporzionalità, al che ritiene di aderire.

La seduta termina alle 19.40.

Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Calamandrei, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Fabbri, Farini, Fuschini, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mannironi, Mortati, Nobile, Patricolo, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Tosato, Uberti, Zuccarini.

In congedo: Castiglia, Grieco, Leone Giovanni.

Assenti: Bulloni, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Finocchiaro Aprile, Porzio, Vanoni.