ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
SECONDA SOTTOCOMMISSIONE
27.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Organizzazione costituzionale dello Stato (Seguito della discussione)
Ambrosini – Rossi Paolo – Grieco – Lussu – Nobile – Mortati, Relatore – Presidente – Piccioni.
La seduta comincia alle 17.15.
Seguito della discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato.
AMBROSINI, prima di entrare in merito, ricorda che nella riunione precedente l’onorevole Piccioni ha esposto le ragioni fondamentali che consigliano una rappresentanza degli interessi, facendo altresì alcune considerazioni manifestamente tendenti a trovare una possibilità di intesa tra le diverse opinioni in contrasto. È, quindi, con meraviglia che ha udito successivamente l’onorevole Lussu. affermare che il discorso dell’onorevole Piccioni aveva riportato la questione quasi ad un punto di maggior discordia. A suo avviso invece, specie la seconda parte del discorso anzidetto, mira ad arrivare ad un accordo.
Difatti l’onorevole Piccioni ha fatto ogni possibile sforzo per giungere ad un’intesa, dichiarandosi pronto ad accogliere la proposta di diminuire il quantitativo dei rappresentanti da assegnare alle categorie produttive, e arrivando perfino ad accennare alla possibilità di trasportare il principio della rappresentanza degli interessi dal campo del corpo elettorale differenziato a quello dei requisiti di eleggibilità.
Ad ogni modo egli ritiene che in linea di principio non ci debba essere un profondo contrasto, quando si tenga presente che il sistema della rappresentanza professionale è stato propugnato anche da esponenti del movimento socialista. Crede opportuno richiamare qui un discorso pronunciato il 24 luglio 1919 alla Camera dei Deputati, in sede di discussione del disegno di legge sulla proporzionale, dall’onorevole Cabrini. In quella occasione furono pronunciati, anche da altri deputati, fra i quali Meda, Turati e Tovini, dei discorsi, che potrebbero riuscire anche oggi utili per trovare un punto di intesa, in quanto in essi, parlandosi della proporzionale, si esaminò altresì il problema attualmente discusso dalla Sottocommissione.
Diceva l’onorevole Cabrini: «Parlo non tanto per esprimere opinioni mie personali, che non avrebbero valore di sorta, quanto per inserire nella discussione il pensiero manifestato nei suoi congressi e nelle sue pubblicazioni dalla nostra massima organizzazione proletaria: la Confederazione generale del lavoro.
«Il qual pensiero ritengo debba esser tenuto ben presento dalla Camera, sia perché significa la decisa volontà di esprimere la orientazione politica di una organizzazione sindacale che va rapidamente verso il milione e mezzo di iscritti; sia perché è merito della Confederazione del lavoro di avere con singolare vigoria impostato il problema della revisione del nostro sistema rappresentativo; sia perché il ricordare questo pensiero giova a precisare che, se nella concezione della rappresentanza professionale, come punto di partenza e come punto di arrivo, il movimento che fa capo alla Confederazione si differenzia da quello dei cattolici, i due movimenti si trovano però perfettamente d’accordo nel rifiutarsi a far servire un qualsiasi movimento per la maggior riforma della rappresentanza professionale e per la premessa confederale della Costituente a qualsiasi diversivo che possa danneggiare il movimento proporzionale».
A leggere queste parole vien fatto di pensare che l’onorevole Cabrini si trovava probabilmente in uno stato d’animo simile a quello in cui si trovano attualmente diversi membri della Sottocommissione. L’onorevole Cabrini, proseguendo il suo discorso, citava un passo di un articolo apparso su «Le battaglie sindacali» dell’8 marzo 1919. Per spiegarlo appieno, è utile ricordare che c’era stato allora da parte delle estreme sinistre un movimento in favore della proporzionale, e l’iniziativa era partita da radicali quali gli onorevoli Caetani e Abbiate, e anche dall’onorevole Turati, i quali avevano rispettivamente presentati in proposito dei disegni di legge alla Camera. Riferendosi appunto a tale fatto, l’onorevole Cabrini diceva: «Siamo favorevoli all’iniziativa dell’onorevole Turati, in quanto essa rappresenta per noi il punto di partenza per raggiungere quel sistema elettorale basato sulla circoscrizione professionale, che è il solo modo per sostenere di un robusto contenuto il suffragio universale».
Dopo di che l’onorevole Cabrini aggiungeva: «Reputo doveroso, specialmente dinanzi alle numerose ed inattese manifestazioni che si sono avute durante la discussione a favore della rappresentanza professionale, reputo doveroso di accennare, rapidissimamente, alle ragioni essenziali per le quali il movimento sindacale, che si svolge fiancheggiato dal pensiero socialista, ritiene esso pure indispensabile procedere nel più breve tempo possibile alla rappresentanza delle professioni, ma mediante una organica, integrale organizzazione che basi la rappresentanza professionale – centrale e regionale – sul trasformato regime dell’azienda industriale, commerciale ed agricola; riforma integrale per cui il Parlamento professionale – e i suoi organi regionali – devono stare alla fabbrica, al magazzino, all’impresa agricola, come il tronco, i rami, le foglie di un albero stanno alle poderose radici. (Omissis).
«I colleghi conoscono di quali coefficienti sia formato il movimento che in tutti i Paesi – attraverso svariatissimi aspetti esteriori – punta, spinge verso la revisione del sistema rappresentativo della società borghese – la rappresentanza della popolazione – per sostituirlo e integrarlo con quello della rappresentanza non degli interessi, come taluno dice impropriamente, poiché le classi e le categorie hanno anche dei sentimenti o delle idee, ma delle professioni.
«Regresso apparente verso l’economia medievale, così come ai miopi possono sembrare un ritorno alle forme del comunismo antico le moderne socializzazioni nella proprietà terriera o nella industriale».
Riprendendo quindi a parlare della proporzionale, l’onorevole Cabrini così proseguiva: «Applicata alla popolazione, anziché alle sole professioni, la proporzionale apre o continua a lasciar aperta la porta del Parlamento anche alle forze socialmente improduttive».
Facendo poi la critica della rappresentanza puramente politica, l’onorevole Cabrini osservava: «Le correnti favorevoli alla rappresentanza professionale traggono i loro più forti impulsi precisamente dalla illegittimità e dalla incompetenza di una parte degli eletti della popolazione nel giudicare di ciò che è peculiare interesse o funzione della classe. Quanti conoscono i fattori propulsivi del movimento per la rappresentanza professionale considerano la proporzionale come un avviamento, un incitamento alla rappresentanza delle professioni.
«Evidentemente la vita economica, più vedrà perpetuarsi nel Parlamento la invadente incompetenza del politicantismo e la sovrapposizione di interessi parassitari a quelli delle forze impegnate nella produzione, più troverà nuovi incentivi, a trasformare il regime, o mediante la sostituzione della rappresentanza delle professioni alla rappresentanza della popolazione, o mediante la disciplinata coesistenza delle due rappresentanze, quella coesistenza che Kurt Eisner – il grande socialista assassinato dal militarismo bavarese – aveva segnato con una superba e geniale linea rinnovatrice».
Continuava infine con spirito quasi profetico: «Comunque, io non credo la questione risolubile dalla presente Camera; la quale, per affrontare e risolvere il problema, dovrebbe assurgere ad Assemblea costituente. Ed anche in ciò mi trovo in perfetto accordo con la Confederazione generale del lavoro.
«Darò il mio voto a quell’ordine del giorno che, nella questione della rappresentanza professionale, affermi il principio: ma come un voto di tendenza. Le forze le quali dovranno trasformare il regime rappresentativo sono, o signori, fuori di qui. Ed esse agiranno, o in forma tumultuaria, alla quale potrebbe servire da incentivo un voto di questa Camera, la quale si ostinasse a lasciare immutato il sistema elettorale, quasi a sfida di tutte le forze organizzate del Paese: socialisti, cattolici, combattenti; oppure prescrivendo alla prossima Camera, eletta col sistema proporzionale, il compito di apprestare le norme per la convocazione di quell’Assemblea costituente verso cui la Confederazione del lavoro disciplina ed inalvea i consensi e le simpatie della classe lavoratrice».
Sarebbe superfluo riferire altri passi del discorso dell’onorevole Cabrini, perché quelli citati sono più che sufficienti per dare la nozione piena del pensiero di lui e della Confederazione generale del lavoro in quel periodo della vita nazionale.
Rilevato che i presupposti, da cui partiva l’onorevole Cabrini, per sostenere la trasformazione della rappresentanza politica, non sono in questo secondo dopo-guerra sostanzialmente mutati, afferma che anche oggi si sente la necessità dell’apporto delle rappresentanze specifiche delle varie categorie professionali, specie in relazione alle esigenze della ricostruzione economica del Paese e al suo più organico assetto politico.
Si augura pertanto che la rievocazione del pensiero dell’onorevole Cabrini possa facilitare il superamento del contrasto, e sospingere tutti verso una soluzione di buon compromesso, che dia soddisfazione alle varie tendenze manifestatesi in seno alla Sottocommissione durante l’attuale appassionato dibattito.
ROSSI PAOLO tiene innanzitutto a dichiarare che, a suo avviso, il pensiero dello onorevole Cabrini, a cui l’onorevole Ambrosini ha fatto riferimento, in quanto espressione di un sindacalismo soreliano estremo, non coincide più con le attuali esigenze del movimento operaio.
Il partito socialista oggi non è certo contrario alla proporzionale e non sarebbe nemmeno contrario alla rappresentanza sindacale pura proposta dell’onorevole Cabrini. C’è però da osservare che tra la rappresentanza suddetta basata sulle professioni, accennate incompletamente dall’onorevole Cabrini, e la rappresentanza degli interessi di categoria, quale è quella proposta nei progetti sottoposti all’esame della Sottocommissione, c’è una differenza profonda. Non si riesce ad immaginare concretamente nella temperie politica moderna, una seconda Camera che sia composta, in tutto o in parte, per categorie, con un numero fisso di rappresentanti per ogni categoria, e che sia eletta a suffragio diretto, universale, indifferenziato.
Ha sentito parlare di una nuova democrazia organica, la quale dovrebbe trascendere il concetto ottocentesco della democrazia individuale o atomistica. È da ritenere che tale democrazia organica, o corporativa, anziché costituire un superamento del vecchio liberalismo Ottocentesco, costituirebbe un ritorno alle posizioni già superate dallo stesso liberalismo.
Nelle parole dell’onorevole Piccioni ha sentito riecheggiare quella critica sprezzante allo stupide siècle XIX, propria non già dei cattolici novatori, ma di quel notevole gruppo di pensatori reazionari che non hanno dissimulato né la loro antipatia per la rivoluzione del 1789, né i loro rimpianti nostalgici per l’ancien régime.
La rappresentanza degli interessi e delle categorie fu la più antica forma di rappresentanza, e la sostituzione della rappresentanza politica alla rappresentanza corporativa è appunto quel grande passo avanti sulla strada della libertà e della democrazia che è stato compiuto dallo «stupido» secolo decimonono, in mezzo al desolato rammarico dei conservatori.
Frattanto, circa il problema della costituzione di una seconda Camera, si può ricordare che nessuno dei grandi Paesi, dall’U.R.S.S. agli Stati Uniti, dall’Inghilterra alla Francia, possiede una seconda Camera formata in tutto o in parte col sistema corporativo.
Esistono, sì, due Nazioni che hanno un Senato assai simile a quello che nascerebbe dalla proposta dell’onorevole Piccioni, ma sono due tra i Paesi più piccoli e politicamente più arretrati di tutta l’Europa: il Portogallo e l’Irlanda. E quanto al concreto significato politico di un simile Senato, sarà opportuno citare l’interpretazione autentica del titolare della cattedra di diritto pubblico all’Università di Lisbona, Marcelo Gaetano, esegeta ufficioso della Costituzione del suo Paese: «le idee clic dominano la Costituzione portoghese sono autoritarie, anti-parlamentari, nazionaliste, cristiano-sociali e corporative». Se tali sono le idee maestre che devono guidare la Sottocommissione nella risoluzione del problema in esame, si può tranquillamente costituire la seconda Camera in funzione o rappresentanza degli interessi e delle categorie, come nel Portogallo e nell’Irlanda. Altrimenti no.
La verità è che non è possibile rappresentare con la giusta proporzione e senza ingiustizie, capaci di falsare i rapporti politici e di classe, quelle cosiddette forze vive che si vorrebbero porre a fondamento della seconda Camera. Quando anche si potesse raggiungere, in teoria, con sapientissimo dosaggio, l’instabile equilibrio tra gli interessi da rappresentare, si dovrebbe sempre essere contrari a un Senato corporativo, sia esso tale nella sua interezza o a metà, o soltanto per un terzo, come vorrebbe l’onorevole Piccioni, per le seguenti ragioni:
1°) è vero che esistono forze ed interessi della cultura, della tradizione, dell’economia, ma non vi è ragione perché queste forze siano arbitrariamente trasformate in forze politiche e chiamate ad agire in sede politica anziché in quella sede di cultura, di tradizione, di economia che è, e deve essere, la loro sede naturale ed esclusiva;
2°) non è concepibile un’Assemblea che abbia due fonti elettorali diverse. Difficilmente riescono ad intendersi le Assemblee che nascono dalla medesima matrice; c’è da immaginarsi quindi come funzionerebbe una seconda Camera con 200 membri eletti a suffragio universale e 100 membri aristocratici, scelti da categorie oligarchiche. Tutte le Assemblee a composizione mista hanno dato sempre mediocri prove e non sono mai durate troppo a lungo;
3°) fatalmente la rappresentanza delle categorie porta al voto plurimo, di fatto, sia che lo si dica, sia che lo si taccia pudicamente. Si prenda, ad esempio, una regione media in cui vi siano cento professori d’Università, duemila professionisti, diecimila industriali e commercianti, e ottocentomila lavoratori: se verrà fissato un sol posto per le Università, due per le professioni, due per l’industria e commercio, otto per il lavoro manuale e impiegatizio nello sue varie sottospecie, si sarà raggiunto l’optimum praticamente concepibile. Eppure, a questo modo, si verrà a dare un voto ad ogni operaio od impiegato, cinquanta ad ogni industriale o commerciante, cento ad ogni professionista e mille ad ogni professore; ciò che non costituisce né democrazia corporativa, né democrazia organica, né superamento dell’atomismo ottocentesco, ma semplicemente un ritorno, nemmeno mascherato, alle vecchie oligarchie;
4°) soltanto se si volesse superare il regionalismo e demandare la nomina dei senatori di categoria, ad un collegio unico nazionale, si potrebbe forse superare, o ridurre le ingiustizie; su cento posti uno potrebbe essere riservato alle Università, due alle professioni, tre agli industriali e così via; la proporzione sarebbe salva se 85 posti toccassero ai prestatori di lavoro. Ma allora tutta l’inutilità di un così complicato sistema salterebbe agli occhi di ognuno. In altri termini: o si crea una rappresentanza di interessi, con carattere preferenziale di certi interessi e di certe categorie rispetto ad altre, e si cade in una ingiustizia non tollerabile; o si raggiunge una rappresentanza veramente equilibrata e giusta, e allora non vale la pena di staccarsi dal suffragio universale che da solo serve benissimo allo scopo.
Si è molto insistito sulla necessità di differenziare la seconda Assemblea dalla prima. Su questo argomento sarà bene fare qualche altra osservazione. Una Nazione ha bisogno di essere governata e tutti ormai sono d’accordo nell’attribuire all’instabilità dei governi parlamentari molta parte delle nostre sciagure. Orbene, se, come si vuole, la seconda Camera dovrà avere poteri identici a quelli della prima, ma con posizione politica differente, l’instabilità del Governo continuerà ed il Paese sarà gettato, da quella stessa Costituzione che dovrebbe preservarlo da ogni sciagura, nell’impotenza e nell’anarchia.
Certamente si può immaginare un Senato scelto da un ristretto corpo elettorale o volto a rappresentare interessi non propriamente politici; ma allora occorre dare ad esso facoltà minori, o diverse, e occorre creare i congegni per cui il conflitto tra le due Camere possa esser risolto senza determinare crisi. Ma se le due Camere debbono essere eguali in dignità, funzioni, poteri, occorre anche che siano eguali come composizione politica; altrimenti i governi non potranno mai reggersi.
Frattanto è doveroso dichiarare che la proposta dell’onorevole Fuschini è quanto di meglio si sia finora trovato per conciliare le opposte esigenze. La qualificazione degli eleggibili, senza differenziare le due Camere politicamente, dà alla seconda quel carattere di maggior ponderazione e di maggiore competenza tecnica, che sono per l’appunto i requisiti che si richiedono al Senato. Per conseguire, appunto, la necessaria differenza di composizione tecnica, e non politica, fra le due Camere, i requisiti richiesti dal progetto dell’onorevole Fuschini potranno essere riesaminati e resi più severi; così potrà essere evitato il pericolo accennato dall’onorevole Piccioni e cioè che possano diventare senatori tutti coloro che hanno i titoli praticamente indispensabili per essere candidati alla prima Camera.
In ogni modo, osserva che il vantaggio sostanziale della bicameralità non risiede nella maggiore preparazione tecnica dei membri della seconda Camera, e tanto meno in una diversa composizione di questa, rispetto alla prima; risiede soltanto nel tempo. Non è l’obbligo del riesame; sono i mesi che passano, le eccitazioni che si spengono, la naturale maturazione dei progetti che costituiscono la vera, la solida, la intrinseca garanzia del sistema bicamerale.
Nel dichiarare che il gruppo socialista è pronto ad accettare la proposta dell’onorevole Fuschini, salvo i perfezionamenti di forma che potranno essere introdotti, fa anche un vivo appello al senso di responsabilità politica e storica di tutti i commissari. Occorre che l’Italia abbia presto una Costituzione, votata a larga maggioranza e capace di raccogliere amplissimi consensi. È questo che ha spinto i socialisti ad accettare alcune proposte ben lontane dalle loro preferenze teoriche.
Eguale sentimento avranno anche i commissari appartenenti agli altri gruppi politici. Ad essi i socialisti chiedono di accettare il progetto di uno dei loro esponenti, non basato su una rappresentanza corporativa, irrealizzabile nei limiti della giustizia, pericolosa e fuori dei tempi.
GRIECO prende la parola perché crede che da parte del suo gruppo, a nome del quale parla, sia necessario fare un’affermazione di principio, specie dopo le chiare, nette dichiarazioni dell’onorevole Piccioni in merito al problema in discussione. A suo avviso l’intervento dell’onorevole Piccioni ha riportato la questione al punto di partenza, mentre sembrava, dopo i discorsi degli onorevoli Lami Starnuti e Lussu, che sarebbe stato possibile giungere presto ad una conclusione.
Dichiara frattanto all’onorevole Conti che egli non è favorevole alla tesi così chiaramente prospettata dall’onorevole Piccioni. Però l’onorevole Conti avrebbe torto se pensasse che gli sforzi per trovare dei punti d’accordo sulle varie questioni non siano degni dei componenti la Sottocommissione. Non può esservi nessun dubbio che in seno alla Sottocommissione si faccia della politica. Si sta lavorando alla Costituzione, cioè ad uno strumento politico fondamentale. Questo strumento non può essere fatto che da uomini politici, con l’aiuto, se necessario, di specialisti e di tecnici, i quali debbono, però, servire gli intendimenti degli uomini politici. Fissato questo criterio, che gli sembra inoppugnabile, occorre formulare il più rapidamente possibile un progetto di Costituzione che venga approvato dalla grande maggioranza dell’Assemblea costituente. Ciò importa e potrà comportare concessioni reciproche. C’è da supporre che ne farà anche l’onorevole Conti, nonostante il suo animo deciso nell’affermare certi suoi principî. Secondo il criterio espresso dall’onorevole Piccioni, un’Assemblea legislativa che sia la rappresentante delle cosiddette forze organiche, e vive – cioè degli interessi materiali e morali catalogati in categorie professionali – sarebbe una espressione moderna della democrazia, di una democrazia «aggiornata», come egli si è espresso. L’onorevole Piccioni si è persino meravigliato che i comunisti, i socialisti, i quali assegnano nelle loro dottrine una parte tanto importante ai fattori economici, rifuggano dall’accedere alla tesi di una rappresentanza organica.
Innanzitutto vorrebbe ricordare all’onorevole Piccioni che non è vero che i comunisti riconducano tutto ai fatti economici. Una simile interpretazione della dottrina comunista appartiene a certa letteratura polemica avversaria che indubbiamente non è molto elevata. I comunisti sanno bene che vi sono numerosi fattori che intervengono nel determinare il moto della storia. Essi reputano che i fatti economici, i quali non sono sempre evidenti o prominenti, sono però quelli che decidono in ultima istanza. In questo senso si può affermare che la storia è stata ed è una storia della lotta delle classi – il che vuole dire che non è solo storia economica, ma anche politica, ideologica, culturale; è storia dell’ascesa, dell’egemonia di certe classi e del declino e della scomparsa di altre.
È precisamente questo modo di vedere i fatti della storia che induce a dissentire dal punto di vista dell’onorevole Piccioni. Questi sembra temere la lotta delle classi, che è il lievito della storia; parla con un colto disprezzo del secolo XVIII, che è il secolo della Rivoluzione francese, della grande vittoria rivoluzionaria della borghesia, da cui sono derivate le elementari libertà politiche moderne, e cerca di attutire i contrasti sociali. In questa ricerca vana, che lo obbliga a ricorrere ad espedienti, l’onorevole Piccioni vede l’attuazione della democrazia. A suo avviso invece la democrazia moderna comporta un’esigenza diversa, cioè, che le masse lavoratrici intervengano come protagoniste della vita politica, e trovino aperte le vie legali, per assurgere a classe dirigente della società nazionale. Per raggiungere questo scopo esse debbono superare i ristretti limiti degli interessi di categoria e salire alla visione degli interessi generali, nazionali. Questo a suo avviso è il contenuto, il senso della democrazia moderna.
L’onorevole Piccioni può vedere che in tutto questo non vi è – né potrebbe esservi – alcun riferimento ad una concezione atomistica. L’atomismo fu un enorme progresso del XVIII secolo, quando occorreva rompere l’involucro feudale della società, spezzare gli ordini medioevali, e liberare la figura del cittadino, del borghese. Ma la borghesia, nel suo prodigioso sviluppo sociale e per sviluppare le forze produttive, ha dovuto dar vita e sviluppo a una nuova classe, che è la netta contradizione dell’atomismo e dell’individualismo. Ora, la storia deve fare i conti con questa classe. È vero che la coscienza di classe dei lavoratori si è formata e si forma più o meno lentamente ed attraverso lotte, spesso durissime, attraverso temporanee sconfitte e conquiste parziali. Ma in questa lotta, la classe dei lavoratori ha superato i limiti della categoria e la concezione strettamente e puramente economica, senza di che non poteva aspirare a diventare classe dirigente, cioè classe politica. Così dalle prime organizzazioni di categoria, isolate, si è arrivati alle Federazioni di categoria e da queste alla Confederazione di tutti i lavoratori. Si è superato il riformismo ed il sindacalismo strettamente corporativo, ai quali ha fatto riferimento l’onorevole Ambrosini, citando alcuni passi di un discorso dell’onorevole Cabrini, sul cui pensiero non è opportuno insistere per fare una critica dei partiti politici di massa. I partiti, infatti, sono l’espressione superiore della coscienza politica delle masse lavoratrici. Non è possibile quindi pensare oggi ad una assemblea legislativa nella quale rappresentanti siano espressione di categoria. Politicamente parlando, sarebbe questo un grande salto indietro.
Inoltre, come accennava ieri l’onorevole Lussu, ciò sarebbe un tentativo di collaborazione di classe forzato. Rileva infine che nessuno, parlando della possibilità di una rappresentanza degli interessi, ha proposto, ad esempio, che la seconda Camera debba essere l’espressione proporzionale delle forze numeriche delle varie categorie. È evidente: perché in tal modo si avrebbe una Camera di rappresentanti dei lavoratori. Allora a cosa può servire una Camera legislativa che non rifletta l’entità delle forze sociali che pretende di rappresentare? E dove sarebbe la democrazia in un’assemblea simile?
Si potrebbe anche discutere, in separata sede, dell’eventualità di creare un Parlamento economico, con compiti consultivi. Ma qui si tratta della seconda Camera legislativa, la quale deve sempre ed in ogni caso rispecchiare in sé il rapporto delle forze politiche esistenti nel corpo che l’ha eletta, perché, se ciò non fosse, la rappresentanza della seconda Camera sarebbe falsata.
In ogni modo, poiché si è tornati a parlare di competenze, di Camere di competenti, sarà bene riconfermare che una Camera legislativa ha sempre in sé le competenze della sua epoca. Se ne fosse priva o largamente deficiente, ciò starebbe a significare un regresso nella società civile, e allora con nessun espediente si potrebbe dare ad un’assemblea ciò che non esiste. Ma per fortuna non si è a questo. È stato già dimostrato che l’Assemblea Costituente ha numerose e solide competenze in ogni ramo, dai professori agli avvocati, dagli industriali ed agrari agli organizzatori sindacali, operai, e così via.
La fissazione di certi titoli individuali per l’eleggibilità alla seconda Camera potrebbe aumentare il numero delle competenze specifiche.
Per queste ragioni, oltre a quelle esposte dall’onorevole Lami Starnuti e dall’onorevole Rossi, dichiara di mantenere il proprio ordine del giorno, nel quale si potrebbe introdurre qualche norma più precisa intesa a rafforzare un carattere regionale della rappresentanza. In ogni modo, se l’onorevole Fuschini mantenesse il suo, si potrebbe vedere di introdurvi qualche modifica, si da raggiungere la formulazione di un testo accetto alla maggioranza dei componenti la Sottocommissione.
LUSSU intende chiarire la posizione a suo tempo assunta dall’onorevole Cabrini, visto che l’onorevole Ambrosini nel suo discorso vi ha fatto un espresso riferimento. Giustamente l’onorevole Rossi ha parlato di Sorci. Ora le idee di Sorci hanno portato alla formazione di due correnti politiche: una prima, che si potrebbe chiamare di estrema sinistra, rimasta più aderente alla dottrina soreliana, sostenne l’organizzazione dei sindacati operai al di fuori del gioco parlamentare, in vista di una vera e propria attività rivoluzionaria; la seconda, interpretata proprio dall’onorevole Cabrini, voleva indirizzare invece la lotta del proletariato verso il Parlamento. Pertanto l’onorevole Ambrosini, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, è stato estremamente imprudente, perché si è ricollegato a una tendenza politica condannata proprio dal gruppo democristiano.
AMBROSINI dichiara che, riferendosi al pensiero dell’onorevole Cabrini, intendeva facilitare un accordo tra due gruppi contrastanti. Il suo intendimento pertanto non è stato ben compreso dall’onorevole Lussu.
NOBILE desidera sapere se, quando si parla di categorie, come avviene nell’ordine del giorno proposto dall’onorevole Mortati, ciò si debba intendere nel senso che, por essere eleggibili, basti appartenere ad esse, oppure che occorra rivestire entro le categorie stesse determinale funzioni.
MORTATI, Relatore, fa presente come sia stato chiesto, da parte dell’onorevole Laconi, che si specificasse qual era la ragione di carattere democratico che induceva ad attribuire un peso predeterminato alla rappresentanza di categorie. Secondo l’onorevole Laconi, tale predeterminazione sarebbe contraria al principio della spontanea scelta degli eligendi e degli spontanei adattamenti della rappresentanza alla volontà della maggioranza. Sta di fatto che è invece un’esigenza democratica la quale induce a far ricorso a una tale predeterminazione, e ciò in base a parecchie ragioni.
Innanzitutto un motivo tecnico, quindi uno più propriamente politico e infine un motivo specifico di giustizia sociale. Dal punto di vista tecnico gli sembra ormai un concetto acquisito l’utilità di una rappresentanza di persone particolarmente competenti, considerata la sempre maggiore estensione dei compiti dello Stato nella sfera tecnico-economica. Ora, ci sono effettivamente queste persone particolarmente competenti nell’attuale Parlamento? L’elezione indifferenziata assicura veramente una rappresentanza di competenze? A una tale domanda non si può rispondere che negativamente, e ciò in base all’esperienza, che mostra una prevalenza di persone, che non sono sempre le più adatte a risolvere quelle questioni tecniche ed economiche, che hanno tanto peso nella legislazione moderna. Onde l’opportunità che la spontanea scelta affidata agli elettori sia limitata dall’intervento del legislatore. La Sottocommissione in una precedente riunione ha negato la facoltà al Governo di emettere provvedimenti d’urgenza: eppure la necessità di tali provvedimenti si è affermata non soltanto nel regime fascista, ma anche nella Francia ultra democratica, anche per questa incapacità del Parlamento a conoscere dei problemi tecnici, che occupano tanta parte nella legislazione odierna. Ma, se si nega al Governo il potere di emettere leggi, si deve tendere a formare un Parlamento il quale sia idoneo a farle, altrimenti, nonostante tutti i divieti, si ritornerà per forza di cose all’inconveniente costituito dall’emanazione dei decreti-legge, che producono gravi conseguenze, perché trasferiscono il potere legislativo nelle mani della burocrazia, sottraendolo ai rappresentanti del popolo. La predeterminazione in quote di una rappresentanza particolarmente qualificata corrisponde, pertanto, all’esigenza di una legislazione improntata a sempre maggiore tecnicismo.
C’è poi un’esigenza politica, che è quella di fare un Parlamento sempre più rappresentativo delle energie viventi nella Nazione. Ora con lo schieramento dei partiti, così come si attua oggi, c’è la possibilità di avere un Parlamento che rappresenti effettivamente tutte le molteplici forze della Nazione? L’esperienza dimostra che ciò non avviene. Il Parlamento indifferenziato non rispecchia interamente la realtà sociale, perché esistono, come tutti sanno, alcune forze assai potenti che vivono e si affermano autonomamente, al di fuori dei partiti.
C’è poi un’altra esigenza, di giustizia sociale, che è la più importante e che dovrebbe essere sentita specialmente dalla parte politica cui appartiene l’onorevole Laconi.
Attribuire, in ogni regione, una quota di rappresentanti ad ogni gruppo socialmente rilevante importa la conseguenza di eccitare coloro che la posseggono in modo meno intenso ad acquistare la coscienza dei propri interessi. In tale guisa si creano le condizioni idonee affinché il gioco politico riesca meglio equilibrato, e sia reso meno facile il prevalere di ceti politicamente più maturi a danno degli interessi di altri più imperfettamente organizzati.
Certo gli accorgimenti di tecnica legislativa non possono conferire efficienza politica a chi difetta dei requisiti necessari. Essi possono tuttavia riuscire utili in quanto creano le condizioni ed offrono gli impulsi a che i più deboli possano gradualmente mettersi in grado di acquistare un peso adeguato alla funzione sociale esercitata.
Agendo in questo modo si procede in una direzione che è caratteristica della democrazia moderna, la quale tende a trasformare in libertà sostanziali quelle puramente formali del vecchio liberalismo.
Nella discussione odierna la visuale si è ampliata, ma non pare che le cose dette portino motivi veramente nuovi contro la tesi sulla quale si controverte.
Si è parlato della rappresentanza di categorie come di un regresso e come un ritorno alla rappresentanza corporativa anteriore alla Rivoluzione francese. Ora, bisogna ricordare che la Rivoluzione francese ebbe a negare la legittimità di corpi od organismi che venissero a rompere l’immediatezza del rapporto fra cittadino e Stato. Ognuno ha nella memoria i divieti che furono posti contro il formarsi di associazioni professionali, e le disposizioni di alcune Costituzioni del periodo rivoluzionario che guardavano con sospetto la formazione dei partiti politici. Ma, poiché non si poteva andare contro la realtà, questi gruppi si formarono molto presto e la struttura sociale si intessé nella trama degli enti particolari, partiti ed associazioni professionali. Di queste forze solo i partiti sono presenti quali elementi di formazione delle assemblee politiche. È opportuno che questa limitazione continui a sussistere? La risposta potrebbe essere affermativa solo a condizione che si accollasse la idoneità dei partiti, così come sono composti e come agiscono attualmente, a riflettere esattamente la realtà sociale. Dalle stesse impostazioni rilevabili nel precedente discorso dell’onorevole Grieco si possono trarre elementi in contrario. I partiti sono portati ad imperniare la lotta politica su astrazioni o addirittura su miti. Uno di questi è per esempio la classe lavoratrice, che non esiste in realtà, esistendo in realtà solo categorie di lavoratori con interessi diversi fra di loro. I lavoratori autonomi in Italia rappresentano più della metà della popolazione lavorativa: possono essi venire inclusi in una stessa massa indifferenziata od avere gli stessi obiettivi d’azione politica?
Sono antiche le accuse di deficienza di concretezza rivolte contro i partiti. Si può ricordare a questo proposito il giudizio negativo su questi dato in un noto lavoro dello Ostrogorski, che proponeva di sostituirli con leghe temporanee, formate sulla base non già di astratti principî, ma di questioni concrete e di specifici interessi.
Poiché nella società odierna esistono gruppi stabilmente formatisi per la tutela di concreti interessi, sembra opportuno utilizzarli anche nel campo politico, mettendoli in condizione di acquistare una sensibilità, e capacità, che consentano loro di considerare le loro esigenze in funzione di quelle aventi carattere generale.
È stato anche osservato che con una rappresentanza organica, si giungerebbe ad esasperare il contrasto fra le varie classi. Appare invece più esatto ritenere che la partecipazione di varie classi ad un consesso, in cui ciascuna sia messa in grado di esprimere le proprie esigenze in confronto a quelle delle altre, giovi a facilitare l’intesa reciproca. Neppure è esatta l’accusa mossa dall’onorevole Lussu, secondo cui il trasporto nel Parlamento degli interessi delle classi in contrasto fra loro sarebbe antidemocratico, impedendo la libera difesa e tutela dei medesimi. Evidentemente la possibilità d’avvicinamento fra i vari interessi, sul piano parlamentare, non esclude l’impiego dei mezzi di difesa consentiti dalla legge, ove un’intesa pacifica non debba raggiungersi…
Non è vero poi che, se sarà formata una seconda Camera sulla base di una rappresentanza organica, e se ossa avrà funzioni pari alla prima, si verrà ad attentare alla sovranità popolare, visto che tale parità, come è stato ripetutamente rilevato, non dovrà condurre ad una supremazia della seconda Camera sulla prima, e visto anche che, in caso di conflitto fra le due Camere, si potrà sempre far ricorso al popolo mediante il referendum e lo scioglimento delle Assemblee.
(La seduta, sospesa alle 18.50, è ripresa alle 19.15).
PRESIDENTE crede che l’ampiezza della discussione sia stata utile sotto molti punti di vista, e soprattutto in quanto, attraverso essa, si è potuto esaminare a fondo il problema della formazione della seconda Camera.
Ciò premesso, rileva che nel corso della discussione si sono definite e irrigidite due posizioni in contrasto, il che costituisce il momento più spiacevole del lungo periodo di lavoro finora trascorso in seno alla Sottocommissione, perché in generale, anche attraverso un certo dissidio di opinioni, si è sempre finito – salvo per pochi casi non troppo importanti – col trovare un contemperamento sul quale si sono riuniti i voti di una notevole maggioranza. Invece, molto probabilmente una votazione affrontata nella odierna seduta darebbe luogo a un risultato di una superiorità assai relativa, il che costituirebbe una base aleatoria per la prosecuzione dei lavori anche in ordine al problema del funzionamento della seconda Camera. Personalmente è dell’avviso che, se non si possono avere delle decisioni di unanimità, sia quanto meno necessario avere delle decisioni in cui si affermi una notevole maggioranza.
Perciò pensa che sia bene accogliere il desiderio espresso da alcuni componenti la Sottocommissione, rappresentanti delle due posizioni contrapposte, di dare ancora un breve respiro alla discussione per cercare di trovare ima base di intesa. Se alcuni membri della Sottocommissione hanno manifestato tale desiderio, è perché forse hanno già intravisto qualche possibilità di avvicinamento e quindi, se non si accedesse a tale desiderio, si potrebbe in seguito sentire il rammarico di non aver acconsentito a questo tentativo.
Se la Sottocommissione è d’accordo, alla ripresa dei lavori si potrebbe senz’altro procedere alla votazione senza più alcun intervento, salvo, eventualmente, le dichiarazioni di voto, purché siano veramente tali e mantenute in un certo limite di tempo. Sarebbe anche opportuno che fin da ora si fissassero i punti sui quali dovrà avvenire la votazione, in modo che ciascuno possa sapere su che cosa dovrà dichiararsi.
Crede che approssimativamente i punti su cui si dovrà votare siano gli stessi sui quali già in precedenza si ritenne che si sarebbe dovuto farlo. Essenzialmente la questione verte attorno alla base elettorale, sé cioè essa debba essere differenziata, o meno, se debba essere totalmente differenziata o solo parzialmente; gli altri punti poi derivano direttamente dalla soluzione che si darà a questo primo quesito.
Il secondo argomento, nell’ipotesi che prevalga la tesi della base elettorale indifferenziata, potrebbe essere quello di trasferire il principio della rappresentanza di interessi sul terreno dei requisiti di eleggibilità. Ove anche questo criterio fosse affermato, si tratterebbe di decidere se la differenziazione debba essere fatta in base a proporzioni fisse, oppure a indicazioni rilasciate alla scelta e alla volontà degli elettori. Un quarto punto sarebbe quello del sistema elettorale: diretto o di secondo grado.
Raccomanda frattanto a chiunque pensi di presentare un ordine del giorno sulle diverse questioni finora discusse di attenersi a questa progressione logica, per facilitarne la votazione.
Pone ai voti la sospensiva.
(È approvata).
PICCIONI domanda se è possibile avere qualche informazione circa i lavori del Comitato incaricato dell’esame delle autonomie regionali, perché questo è l’argomento che andrebbe affrontato subito dopo la votazione della questione della formazione della seconda Camera.
AMBROSINI dà notizia che nella mattinata il Comitato si è riunito ed ha esaminato in primo luogo il criterio di formulazione degli articoli, e specialmente il punto di vista, difeso dall’onorevole Zuccarini, secondo il quale bisognerebbe partire dal comune per arrivare alla regione. Altri erano invece dell’idea che bisognasse prima affermare la vita della regione e disciplinarla, per passare poi ai comuni e agli enti locali. Dopo una discussione di alto interesse, durata circa due ore, si è passati all’esame di alcuni punti specifici; se cioè occorra stabilire un ordinamento uniforme per le regioni, oppure se sia opportuno, con una clausola speciale, lasciare la possibilità che alcune regioni abbiano una posizione giuridica diversa, quindi se non sia opportuno – secondo l’opinione dell’onorevole Grieco a cui egli ha finito por accedere – che siano tassativamente indicate le regioni per le quali si dovrebbe fare un trattamento particolare, in vista della situazione speciale nella quale si trovano. Approvato questo punto di vista, si è esaminata l’opportunità di seguire un articolato preciso per discutere su punti concreti, e il Comitato ha deciso – naturalmente con la sua personale astensione e col voto contrario dell’onorevole Zuccarini per le ragioni di cui sopra – di discutere sullo schema che aveva formulato. Riguardo ai comuni, ha potuto rilevare con soddisfazione che le proposte formulate dall’onorevole Lami Starnuti non differiscono sostanzialmente dal punto di vista del Comitato; difatti l’onorevole Lami Starnuti nelle sue dichiarazioni ha fatto comprendere che soltanto la disposizione fondamentale che riguarda l’autonomia dei comuni dovrebbe essere inserita nella Costituzione, mentre tutte le altre disposizioni che ne disciplinano la struttura e la vita andrebbero trasferite in una legge speciale di carattere costituzionale.
Ha avuto dunque l’impressione che si possa arrivare ad un’intesa generale, visto anche che gli emendamenti dell’onorevole Grieco possono in gran parte accettarsi. Un punto di dissenso potrebbe manifestarsi soltanto in merito all’ammissione o meno della legislazione cosiddetta primaria e ai limiti da attribuirle. Crede tuttavia che anche su questo punto si potrà arrivare ad un accordo, perché sia gli emendamenti dell’onorevole Grieco che quelli dell’onorevole Lami Starnuti concordano nel riconoscere alla regione una facoltà di legislazione secondaria di integrazione.
Ciò premesso, dichiara che il Comitato è a disposizione della Sottocommissione per le direttive che eventualmente voglia impartirgli.
La seduta termina alle 19.40.
Erano presenti: Ambrosini, Bocconi, Bordon, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Di Giovanni, Einaudi, Fabbri, Farini, Fuschini, Grieco, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone, Lussu, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Porzio, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Uberti, Vanoni, Zuccarini.
In congedo: Bulloni, Calamandrei, Mannironi.
Assenti: Castiglia, Finocchiaro Aprile, Patricolo, Targetti.