ASSEMBLEA COSTITUENTE
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SEDUTA DI MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Congedo:
Presidente
Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:
Presidente
Comunicazione del Presidente:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Grassi, Ministro di grazia e giustizia
Mancini
Lucifero
Pertini
Calosso
Salerno
Persico
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Faralli
Cartia
Cevolotto
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
Silipo
Lami Starnuti
Pressinotti
Pella, Ministro delle finanze
Morini
Villabruna
Crispo
Interrogazione con richiesta d’urgenza (Svolgimento):
Presidente
Mastino Edoardo Angelo, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani
Paolucci
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Rodi
Miccolis
Recca
Pastore Raffaele
Fabbri
Tumminelli
Castiglia
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Sansone
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
DE VITA, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Vischioni.
(È concesso).
Domande di autorizzazione a procedere in giudizio.
PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso le seguenti domande di autorizzazione a procedere in giudizio:
contro il deputato Covelli, per il reato di cui all’articolo 290 del Codice penale;
contro il deputato Ayroldi Carissimo per il reato di cui all’articolo 594 del Codice penale. Saranno inviate alla Commissione competente.
Comunicazione del Presidente.
PRESIDENTE. Comunico che si è costituito il Gruppo parlamentare dell’Unione nazionale composto dagli onorevoli Cannizzo, Cartiglia, Cicerone, Coppa, Corsini, De Falco, Fresa, Marina, Patricolo, Patrissi, Penna Ottavia, Puoti, Russo Perez e Selvaggi.
Il gruppo ha eletto Presidente l’onorevole Patrissi, Vicepresidente l’onorevole Cannizzo e Segretario l’onorevole Coppa.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
Poiché le due seguenti interrogazioni trattano materia analoga, saranno svolte congiuntamente:
Mancini, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere se, come e quando intende risolvere la dolorosa situazione della Corte di appello delle Calabrie, nella quale mancano tre presidenti di sezione, tredici consiglieri; per cui il primo presidente è costretto a presiedere le udienze penali; le udienze civili sono rinviate sine die; e ben 150 processi penali giacciono nella cancelleria della sezione istruttoria in attesa di essere definiti»;
Lucifero, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere per quali ragioni, malgrado le ripetute segnalazioni e sollecitazioni, non si è provveduto a fornire la Corte di appello ed il Tribunale di Catanzaro dei magistrati indispensabili al loro funzionamento». Ha facoltà di rispondere l’onorevole Ministro di grazia e giustizia.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. L’onorevole Mancini, con cortesia di cui devo rendergli grazie, si sarebbe accontentato di una risposta scritta; ma, dal momento che l’onorevole Lucifero ha presentato una interrogazione che tratta la stessa materia, io prego l’onorevole Mancini di prendere atto della risposta che datò tanto all’una che all’altra interrogazione.
Non c’è dubbio che deficienze di magistrati, specialmente per quanto riguarda la Corte d’appello di Catanzaro, si sono verificate in questi ultimi tempi.
Debbo dire all’Assemblea che, né per colpa mia né per colpa dei miei predecessori, ma per una situazione determinatasi in seguito alla guerra, si è verificata una deficienza in questo campo, cosicché nei cinquemila magistrati che compongono la pianta organica della Magistratura italiana si è avuta una vacanza di 800 posti, che sono stati in parte colmati con 350 uditori giudiziari nominati in seguito all’ultimo concorso. È stato bandito anche un concorso successivo, in maniera che si ha la certezza che nel 1948 la pianta organica della Magistratura sarà rimessa nel suo normale equilibrio.
Questo è un periodo difficile, non solamente per la copertura delle preture, che rappresentano la Magistratura popolare più larga e più pratica, ma anche per i tribunali e per le Corti di appello. C’è qualche situazione particolare, come quella di Catanzaro, però, che più salta agli occhi. Debbo dire che le difficoltà molte volte dipendono anche dalla disagiata residenza, per cui è difficile poter trovare magistrati che intendano accettare talune residenze, per la difficoltà soprattutto che deriva dagli alloggi. A queste difficoltà dovremo appunto cercare di ovviare con quelle provvidenze che sono allo studio e che saranno attuate.
La situazione di Catanzaro è una tra le più gravi, così come gli onorevoli Mancini e Lucifero hanno prospettato.
In seguito alle lagnanze ed alle richieste della Procura generale al Ministero, oltre alle provvidenze di ordine generale che cerchiamo di attuare per rendere possibile la promozione dei magistrati e in modo da avere la possibilità del passaggio dei giudici a consiglieri – provvidenze che, d’accordo col Tesoro, speriamo di attuare – posso assicurare la Camera e gli onorevoli interroganti che nel frattempo si è cercato di fare il possibile per raggiungere e completare la pianta organica di Catanzaro.
Difatti, alla Corte d’appello, su cinque presidenti di Sezione, adesso nell’organizzazione possiamo dire di averne messi quattro, quindi mancherebbe soltanto uno.
Circa i consiglieri, che effettivamente erano soltanto undici quando gli interroganti hanno presentato le loro richieste, ne sono stati aggiunti altri sette, in modo che oggi la deficienza sarebbe soltanto di due.
Se considerate che in tutte le Corti d’appello esistono queste deficienze, potrete rilevare come alla Corte di appello di Catanzaro tale deficienza sarebbe soltanto di due magistrati. Quindi mi pare che abbiamo quasi raggiunto l’organizzazione necessaria.
Per quanto si riferisce alla Procura generale, c’era un solo sostituto. Adesso un sostituto è stato applicato con provvedimento in corso e il Procuratore generale ha provveduto applicando tre pretori, in modo che l’organizzazione è stata messa a posto.
Circa il lavoro della Sezione istruttoria, è da osservare che esso non può non risentire della lamentata deficienza di personale. Ma è anche da ricordare che, con provvedimento in data 5 ottobre 1945, si è aumentato il lavoro della Sezione, chiamata ad occuparsi dell’esame di tutti i provvedimenti di competenza della Corte di assise. In quella occasione non si curò di provvedere per un aumento del personale, sicché nelle sedi nelle quali esiste un notevole numero di cause di competenza di Assise, il lavoro si svolge con molta fatica e molta difficoltà. Questa è una questione che riguarda tutte le Corti d’appello, per cui, anche da questo punto di vista, ci stiamo sforzando di trovare il modo per completare gli organici attraverso un aumento dei posti di ruolo.
Circa il Tribunale, la pianta organica porta undici giudici e questa è al completo. Mancava il Primo Presidente; ma è stato provveduto con decreto in corso, destinandovi un Consigliere della Corte di appello di Venezia.
Inutile che dica che, data la situazione della Magistratura, che tutti vogliamo indipendente, non è possibile muovere un magistrato da una sede ad un’altra. Queste richieste dobbiamo farle attraverso telegramma, per vedere se ci sono dei magistrati che desiderano essere trasferiti in una determinata sede; ma le difficoltà sono enormi, dato il desiderio dei magistrati di non muoversi, perché il trasferimento rappresenta un aggravio finanziario considerevole.
In ogni modo, abbiamo ottenuto, in questo momento, anche il trasferimento del Primo Presidente, dimodoché credo di aver fatto tutto il possibile per superare queste difficoltà contingenti.
PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MANCINI. Io sono personalmente grato al Ministro di grazia e giustizia per quello che ha detto nella risposta alla mia interrogazione. Gli sono grato per le buone intenzioni che ha dimostrato di avere per l’avvenire e gli sono grato ancora per i provvedimenti che ha già attuato.
Devo però, mio malgrado, rettificare qualche cifra.
La Corte di Appello di Catanzaro, come ha detto lo stesso Ministro, si trova in una situazione particolare, cioè in una situazione diversa dalle altre Corti di Appello: tale da non poter funzionare.
Per la pianta stabile vi dovrebbero essere ventuno consiglieri, non diciotto. Or fa un mese ve n’erano soltanto 8; mancavano inoltre due Presidenti di Sezione, dei cinque in organico.
Quei consiglieri di cui parla l’onorevole Guardasigilli, non sono consiglieri effettivi, sono aggiunti giudiziari, cui è stata affidata la funzione di consiglieri.
Ora, ho detto al Ministro anche a voce, che non è possibile cominciare la carriera dall’alto e far diventare consiglieri quelli che raggiungeranno, forse che sì, forse che no, tale posto all’apice della carriera.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevole Mancini, questa era una situazione provvisoria, alla quale si è già provveduto.
MANCINI. Il Primo Presidente della Corte di Appello di Catanzaro è costretto a presiedere le udienze penali perché, se egli non le presiedesse, le udienze penali non si potrebbero tenere. Centinaia di processi di Corte d’assise si trovano in sezione istruttoria in attesa di definizione e nelle Corti d’assise si mandano come Presidenti semplici consiglieri, mentre, come consiglieri relatori, come suol dirsi, si mandano aggiunti giudiziari.
Ora, a me pare che, se un avvocato avesse vaghezza di eccepire l’incostituzionalità del collegio, ne avrebbe tutto il diritto. Io noto pertanto, onorevole Ministro, che, se la Calabria è purtroppo per tante e tante ben note trascuranze in condizioni di sfavore, non Il dovrebbe essere almeno per quanto concerne l’amministrazione della giustizia. E colgo l’occasione per far notare all’onorevole Guardasigilli che l’amministrazione della giustizia ha in Calabria gloriosissime tradizioni. Abbiamo avuto colà ed abbiamo magistrati i quali hanno vissuto in Calabria, nei tribunali della Calabria hanno svolto la loro carriera e sono giunti ai più alti gradi. Ora ad una situazione così grave si potrebbe rimediare, offrendo ai giudici del luogo la sede di Catanzaro. Ma che dirvi se l’onorevole Ministro ha detto: è una situazione particolare, è una situazione grave. Ora si provveda dunque, onorevole Ministro. (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Lucifero ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
LUCIFERO. Signor Presidente, se le interrogazioni avessero soltanto il fine di permettere di ascoltare quelle che sono le intenzioni di un Ministro, o di far sapere ai propri elettori che ci si è occupati di un determinato problema, io potrei dichiararmi sodisfatto, specialmente per la prima parte, perché so quanto sia grande la buona volontà che l’onorevole Ministro Grassi pone nell’espletamento del suo non facile compito.
Ma la questione è che, quando io sento ripetere certe frasi, non posso non preoccuparmi enormemente. Ha detto, infatti, l’onorevole Ministro: siamo in un periodo di transizione, la situazione è provvisoria. Orbene, è questo proprio che mi preoccupa: non c’è nulla in Italia che sia così duraturo come le situazioni provvisorie; ed io temo che anche questa situazione sia una di quelle situazioni provvisorie che sono, di fatto, definitivamente provvisorie.
Il Ministro ha detto che ha provveduto ad inviare degli altri applicati alla Corte d’appello di Catanzaro e a mandarvi anche dei presidenti di sezione. Ora, è appunto questo che mi lascia perplesso, perché io non vorrei che con questo egli avesse consolidato una situazione, giacché è evidente che uno degli inconvenienti di non funzionalità della Corte si verifica proprio e soltanto là dove la Corte funziona.
Qui si arriva all’assurdo che degli aggiunti di tribunale debbano, in sede di appello, rivedere le sentenze che sono state estese dal loro presidente. I tribunali sono senza presidente. Il tribunale di Crotone, ad esempio, è presieduto dal pretore, il quale naturalmente lo presiede con la tecnica e con la mentalità del pretore, che è ben diversa da quella del magistrato collegiale.
Io richiamo, quindi, l’attenzione dell’onorevole Ministro su questa situazione, che riveste indiscutibilmente un carattere di particolare gravità. Io spero ad ogni modo che tutto quanto egli ha detto di fare sulla carta debba un bel giorno avvenire nella realtà.
Io avverto però l’onorevole Ministro che un bel giorno si sentirà dire che, data quella situazione particolare – come lui l’ha chiamata – della Corte d’appello di Catanzaro, sarebbe opportuno staccare dalla competenza della Corte di appello di Catanzaro alcuni tribunali, per aggregarli ad una Sezione staccata della Corte di appello di Catanzaro, che si trova a Reggio Calabria. Si ricordi l’onorevole Ministro Guardasigilli che la situazione dell’organizzazione della giustizia in Calabria è quanto di più inorganico possa esistere, e che questa permanenza dell’inorganicità provvisoria potrebbe servire domani di pretesto per cercare di scompaginare completamente l’organizzazione dell’amministrazione.
Quindi, vi è un doppio problema, sul quale io richiamo l’attenzione del Guardasigilli: quello di rimettere in ordine il funzionamento della giustizia in Calabria, e quello di badare che questo difetto di funzionamento, che perdura da tanto tempo, non possa domani servire per perfezionare la disorganizzazione della giustizia nella circoscrizione calabrese.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Forse la mia risposta non è stata sufficientemente chiara su questo punto, ma io volevo assicurare i due onorevoli interroganti che ho fatto di tutto per mettere le cose a posto, nei limiti del possibile.
LUCIFERO. Siamo d’accordo; ma abbiamo paura proprio di questi limiti.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Non si tratta di una situazione provvisoria. Dicevo che, nell’attuale situazione, data la deficienza generale dell’organico, si è fatto tutto il possibile per mettere a posto la Corte d’appello e il tribunale di Catanzaro. Quelli che abbiamo applicato adesso, per raggiungere il massimo della pianta organica, sono magistrati che hanno una specie di retribuzione giornaliera per la disagiata residenza e le difficoltà in cui si trovano: credo che abbiano mille lire al giorno. Noi l’abbiamo fatto appositamente per rendere possibile a questi magistrati di raggiungere la sede di Catanzaro e di espletare le loro funzioni.
E dico all’onorevole Mancini che è inutile che io ricordi a lui che sono un meridionale e che desidero, quindi, che questa Corte di appello funzioni bene; ma io penso che lo avesse desiderato anche il mio predecessore, che è proprio della Provincia, della circoscrizione della Corte di appello di Catanzaro. E se a lui non è riuscito possibile, mi pare che ciò non possa essere attribuito a cattiva volontà da parte del Ministro. Io ho creduto di superare anche gli sforzi che il mio predecessore ha fatto, e spero con questo ultimo provvedimento di poter mettere la Corte di appello e il tribunale di Catanzaro in grado di poter funzionare degnamente, come tutte le Corti di appello e i tribunali d’Italia.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Pertini, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se corrisponde alla verità la notizia data da un quotidiano di Roma e secondo la quale agenti di custodia delle carceri di Poggioreale (Napoli) avrebbero brutalmente seviziato e percosso detenuti, causando la morte di uno di essi; 2°) nel caso che detta notizia sia vera, quali provvedimenti intenda prendere, perché finalmente venga posto termine a questi atti disumani, veri reati, che se, come è ovvio, potevano impunemente essere consumati sotto il fascismo, sarebbe inconcepibile si continuasse a tollerarli anche nel nuovo regime democratico, il quale deve sentire, fra l’altro, l’altissimo compito di far rispettare la persona umana».
Sullo stesso argomento sono state presentate le seguenti interrogazioni:
Calosso, al Ministro di grazia e giustizia «per sapere se risponde a verità la notizia data dal giornale l’Umanità sui fatti delle carceri di Poggioreale; e quali provvedimenti di ordine generale intenda prendere per difendere il cittadino dagli arbitrii della polizia»;
Salerno, Leone Giovanni, Riccio Stefano, al Ministro di grazia e giustizia, «perché dia chiari riferimenti su quanto la stampa vien pubblicando circa sevizie e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti a detenuti nel carcere di Poggioreale di Napoli, e per sapere se, in vista di siffatti avvenimenti, non creda di impartire istruzioni intese a rafforzare il potere di controllo sulle carceri da parte dell’autorità giudiziaria e di organi ausiliari e di ripristinare il diritto di accesso dei membri del Parlamento negli Istituti di pena»;
Persico, al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere: a) quali risultati positivi abbia dato l’inchiesta su quanto è accaduto nel carcere giudiziario di Poggioreale di Napoli e quali provvedimenti siano stati presi al riguardo. Ciò anche in relazione alle pubblicazioni fatte sul giornale L’Umanità e sul n. 32 del 10 agosto della rivista L’Europeo; b) se si sia indagato sulla sussistenza dei gravi fatti denunciati dal giornale Avanti! del 7 agosto, come avvenuti nel carcere giudiziario di «Regina Coeli» di Roma».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io intendo rispondere a tutti gli onorevoli interroganti sulla questione che si imposta su un unico fatto, ma che può essere anche questione di ordine generale.
Prima che nella seconda quindicina del luglio scorso alcuni giornali di Napoli e della capitale – come L’Umanità – si occupassero dei fatti di Poggioreale (Napoli), erano pervenute al nostro Ministero voci e scritti anonimi che denunciavano irregolarità in quelle carceri giudiziarie, circa maltrattamenti che sarebbero stati inferti a detenuti.
In base a tali notizie, il Ministero, oltre alle normali visite che sono stabilite dal regio decreto 18 giugno 1931 (ossia una ispezione del giudice di sorveglianza ogni due mesi e del Procuratore della Repubblica ogni mese), dispose visite d’ispezione da parte dei nostri ispettori della Direzione generale degli istituti penitenziari.
In seguito a queste ispezioni venne ritenuto opportuno procedere ad una severa inchiesta, che venne affidata al Procuratore della Repubblica di Napoli.
Ai fatti che vennero appurati dall’inchiesta, venne data larga pubblicità dai giornali, che se ne impossessarono e che diedero le notizie a voi tutti note.
Infatti, dall’inchiesta – svoltasi col massimo rigore – è risultato che manchevolezze c’erano e gravi. Esse non rivestivano quel carattere di generalità che la stampa attribuiva loro, perché la maggior parte del personale adempie ai suoi compiti, a Napoli come altrove, con correttezza, senso di umanità e spirito di sacrificio. Ma bisogna anche tener presente che è difficile evitare inconvenienti nel funzionamento degli istituti di pena, quando in un carcere come quello di Poggioreale, della capienza di 1.500 detenuti, si trovavano allora e si trovano tuttora quasi 4000 persone.
Questa difficoltà di governo e di funzionamento di istituti, che sono rigurgitanti di detenuti rispetto alla capienza dell’edificio, può dar luogo, ed anche giustificare fino a un certo punto, alcune posizioni e alcune situazioni di inconvenienza che si sono verificate.
Però non è mai ammissibile che a detenuti vengano inferte percosse e si usino maltrattamenti; tanto peggio, poi, se da questi possono derivare direttamente od indirettamente conseguenze letali.
Dall’inchiesta risultò che un detenuto sarebbe deceduto a seguito di maltrattamenti subiti. Su questo punto gravissimo non mi pare che io in questo momento debba dare notizie più dettagliate, perché mi si impone ancora il riserbo, dato che non è chiusa l’istruttoria penale presso l’autorità giudiziaria di Napoli.
È rimasto però accertato che, a prescindere dal fatto più grave, anche a parecchi detenuti, che erano stati costretti nelle celle di punizione, ed ivi inviati per motivi irrilevanti, erano state inflitte bastonature e percosse ad opera degli agenti di custodia addetti a dette celle, i quali si facevano coadiuvare nell’azione da un detenuto molto nerboruto. Secondo gli accertamenti che furono poi compiuti, trattasi, è vero, di episodi isolati rispetto alla massa dei 4000 detenuti che si trovano a Poggioreale, ma ad ogni modo non si possono che deplorare vivamente da parte del Governo e da parte dell’Assemblea. Perciò, appena io ebbi conoscenza dei risultati dell’inchiesta e prima ancora della segnalazione della stampa, provvidi ad inviare sul posto il Direttore generale per gli istituti di prevenzione e pena, per adottare i provvedimenti necessari, lasciando all’autorità giudiziaria il procedimento penale e, quindi, quello disciplinare, connesso col primo, contro i cinque agenti di custodia addetti alle celle di punizioni, autori delle violenze e contro il detenuto che vi concorse. Disposi l’immediato trasferimento di detti agenti ad altri istituti carcerari con la cessazione della loro funzione.
Sia per tali fatti, sia per altre deficienze, emerse dall’inchiesta, rispetto a quello che è il governo generale dei detenuti e vigilanza dei servizi, provvidi ad allontanare dallo stabilimento il maresciallo comandante degli agenti e a trasferire il Direttore Bonomi ad altro istituto. L’inchiesta affidata all’autorità giudiziaria non è ancora chiusa. Con la nuova Direzione e con le disposizioni adottate posso assicurare gli interroganti e l’Assemblea che le condizioni dei detenuti a Poggioreale sono divenute normali, malgrado il continuo affollamento di quell’istituto.
Intanto, mi preme assicurare che episodi come quelli verificatisi a Poggioreale sono del tutto eccezionali e che il corpo degli agenti attende con senso di disciplina e comprensione, al pari dei funzionari amministrativi, dei medici e dei cappellani che hanno il governo dell’istituto carcerario, al delicato compito sociale ed umano che è ad essi affidato.
Ho già detto come si svolge il controllo delle carceri.
Il Ministero oltre i provvedimenti già esistenti nell’ordinamento carcerario ha allo studio proposte per intensificare il servizio di sorveglianza, aumentando il numero degli ispettori, che sono oggi pochissimi rispetto al numero di circa 290 istituti penitenziari che oggi abbiamo, e per rendere più frequenti le visite dei giudici sorveglianti.
Aggiungo all’onorevole Calosso, che lo domandava, che per l’articolo 56 del Regolamento penitenziario, i membri del Parlamento hanno diritto di visitare gli stabilimenti carcerari senza bisogno di alcun permesso di un magistrato o del Ministero.
Queste sono le condizioni dei fatti e dei provvedimenti presi in seguito agli incidenti che nel luglio scorso si verificarono nelle carceri di Poggioreale di Napoli.
Colgo l’occasione, malgrado si tratti di una semplice interrogazione, per dire all’Assemblea che mi preoccupo e il mio Ministero si preoccupa di rendere più umano il trattamento per i detenuti, sia dal punto di vista alimentare (ho disposto un miglioramento delle tabelle alimentari e attendo dal Tesoro la cifra necessaria per poterlo mettere in attuazione) sia dal punto di vista igienico.
Si cerca, nelle trasformazioni carcerarie, di adottare tutte le provvidenze atte a rendere più igienica la vita dei detenuti.
Dove facciamo nuove istallazioni cerchiamo di mettere bagni e acqua corrente, in modo da rendere più umana la vita di quei disgraziati che vi sono ricoverati.
Inoltre si cerca anche di far qualcosa dal punto di vista spirituale e per l’elevazione dei detenuti, con conferenze e con l’ausilio, ove possibile, della radio.
Ma soprattutto nel lavoro, io credo che dobbiamo trovare la spinta per la loro rieducazione.
Torno da un Congresso tenutosi a San Remo sulla difesa sociale, in cui sono intervenuti rappresentanti delle diverse Nazioni e a cui hanno partecipato molti studiosi di criminologia. Vengo da questo ambiente e porto con me, profondamente, il senso di umanità col quale dobbiamo cercare di rendere quanto meno penosa possibile l’esistenza dei detenuti durante il periodo di segregazione, cercando con il lavoro di educare questa gente e di redimerla per la vita sociale.
PRESIDENTE. L’onorevole Pertini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERTINI. Io non posso dichiararmi sodisfatto della risposta datami dal Ministro Guardasigilli. Il Ministro Guardasigilli ha detto che i giornali che hanno riportato le notizie degli avvenimenti di Poggioreale hanno esagerato. Non mi pare che abbiano esagerato. Anzi, signor Ministro, vorrei dire che lei ha aggiunto qualche cosa di più grave che invece non è stato riferito dai giornali il 22 luglio. Ho qui il Momento Sera che parla di un morto fra i detenuti di Poggioreale per le percosse delle guardie carcerarie. Parla di un altro detenuto che è stato trovato fra due materassi in istato quasi di soffocamento, e parla di altri detenuti percossi. È quello che lei ha detto qui, rispondendo alla nostra interrogazione. Questo vuol dire che i giornali, riportando le notizie degli avvenimenti, non hanno esagerato.
Il Procuratore della Repubblica, subito dopo il fatto avvenuto a Poggioreale, ha tenuto una conferenza stampa. Con una certa leggerezza, oserei dire, il magistrato ha detto che gli episodi avvenuti sono sporadici e non rivestono alcun carattere di gravità. Ma c’era un morto! Ma cosa voleva, che si ammazzassero tutti i detenuti di Poggioreale perché i fatti rivestissero una certa gravità? Lei stesso ha detto: dato il numero di detenuti, il fatto non riveste una certa gravità. Per me è già grave che ci sia stato un morto e che la morte sia stata causata da percosse inferte dalle guardie carcerarie! Per me basta questo. Ma, comunque, onorevole Ministro, non è vero che gli episodi di Poggioreale siano sporadici, perché chissà che cosa succede tra le mura delle carceri d’Italia. Noi non lo sappiamo. Noi sappiamo qualche cosa quando, per qualche caso eccezionale, la notizia vien fuori, e vien fuori attraverso quei disgraziati che riescono a far pervenire quelle lettere che lei ha ricevuto. Ma dall’ergastolo di Santo Stefano, dall’ergastolo di Porto Longone lei non sente nessuna notizia, perché laggiù la sorveglianza è tale che chi tenta far pervenire notizie fuori, vien tolto di mezzo. E parlo per esperienza personale. Sarebbe bene che il posto di Ministro della giustizia fosse occupato da uomini politici che, fra le altre esperienze, avessero anche una esperienza di carattere carcerario. Sarebbe bene che fosse gente che avesse fatto qualche anno in carcere e che avesse questa esperienza. In carcere, onorevole Ministro, si fa questo: si percuote un detenuto; sotto le percosse il detenuto muore, ed allora tutti si preoccupano e si preoccupano non soltanto gli agenti di custodia che hanno percosso il detenuto, ma anche il direttore, il medico, il cappellano e tutti coloro che fanno parte del personale di custodia. Ed allora fanno questo: denudano il detenuto, lo legano all’inferriata e lo fanno trovare così appeso. Viene il medico e fa il referto di morte per suicidio. Questa fu la fine di Bresci. Bresci è stato percosso a morte, poi hanno appeso il cadavere all’inferriata della sua cella di Santo Stefano, dove io sono stato un anno e mezzo. Comunque, dopo questi episodi di Poggioreale non è vero che non si siano verificati altri episodi, onorevole Ministro. Si sono verificati episodi simili nel carcere di Procida. Due detenuti hanno tentato di evadere e nel tentativo di evasione vennero ripresi. Un detenuto si è ferito gravemente ed è lasciato morire. Non deve stupire questo, perché appena le guardie carcerarie riescono a mettere le mani addosso ai detenuti che hanno tentato di fuggire, questi difficilmente si salvano dalla loro ira.
Vi è stata una protesta di tutti i detenuti di Procida, che hanno fatto l’ammutinamento, rifiutando il cibo. Quando nelle carceri si fanno questi ammutinamenti, vuol dire che qualche cosa di serio è avvenuto.
Vi sono stati poi gli episodi denunciati dalla Voce Repubblicana, avvenuti a «Regina Coeli». Risulta che sono stati ricoverati nell’infermeria dei tubercolosi, e non sono stati curati. Parecchi di questi tubercolosi sono morti perché presi dall’emottisi. Chi è stato nel Sanatorio di Pianosa sa che cosa significa questo. Se uno non viene portato immediatamente al pronto soccorso, l’emottisi continua e si ha la morte. Hanno ritardato a portare i detenuti al pronto soccorso, hanno ritardato a chiamare il medico; e due o tre detenuti sono morti. Potrei citare altri episodi: la catena sarebbe molto lunga. Certo è che gli episodi di Poggioreale non sono i soli. Che cosa ha detto lei, onorevole Ministro? Mi pare che abbia detto che sono stati presi provvedimenti e i responsabili sono stati messi sotto processo; anche Vincenzo Abate, cioè il detenuto che percuoteva, col consenso delle guardie carcerarie. Comunque, voglio aggiungere questo e sono sicuro di non sbagliarmi: probabilmente le guardie carcerarie saranno assolte in istruttoria. Questo è sempre accaduto. Poiché noi abbiamo fatto la dolorosa esperienza del carcere, valiamoci di questa esperienza.
Al carcere di Pianosa un giorno sono intervenuto a favore di un detenuto comune, percosso da dodici guardie carcerarie, detenuto che sanguinante era ormai caduto a terra svenuto. Dietro il mio intervento, finalmente le guardie carcerarie smisero di percuotere il detenuto. Io protestai, e il direttore voleva mettere le cose a tacere, data la connivenza che c’è fra il direttore e le guardie carcerarie.
Dopo aver insistito, venne il giudice di sorveglianza, il quale cercò anch’egli di mettere le cose a tacere. Tra le altre cose, perché io desistessi dalla mia tenacia di voler denunciare la guardia, mi disse: «Caro Pertini, il detenuto che è stato percosso è un delinquente!». Non m’interessa! Anche se io sapessi che questo uomo domani, incontrandomi, volesse usare la sua violenza contro di me, sento il dovere di difenderlo. È un «figlio di mamma» anche lui, come si dice nell’Italia meridionale; e deve essere rispettato. (Applausi). Sentito questo, il giudice di sorveglianza ha detto: «Vedremo». È venuto allora il Procuratore del Re di Livorno, il quale, dopo avermi ascoltato, decise di denunciare le guardie. Le guardie sono state denunciate; poi, in istruttoria, sono state tutte assolte. Sono stati invece denunciati il detenuto ed il sottoscritto. Io mi sono preso, oltre la condanna del tribunale speciale, alri 9 mesi per avere difeso questo detenuto percosso da dodici guardie carcerarie. Tutto questo è una farsa, una burletta; e sappiamo che si verifica in tutte le carceri d’Italia.
Il Ministro ha detto di aver adottato il provvedimento di trasferimento di quelle guardie carcerarie. Ritiene il Ministro di avere risolto il problema col trasferimento. Quelle guardie andranno a fare in altre carceri quello che hanno fatto nelle carceri di Poggioreale.
Una voce. Sospesi dal servizio.
PERTINI. Sospesi dal servizio, perché sono sotto giudizio. C’è un abuso di ufficio. Bisogna che questa gente sappia che, quando c’è abuso di ufficio, non si salvano con l’omertà o la connivenza; bisogna colpirli dal lato economico ed allontanarli dall’ufficio.
Il caso di Vincenzo Abate non è isolato.
Coloro che cercano di suscitare tali atti di violenza in questi detenuti, che dovrebbero essere rieducati, sono veramente dei miserabili.
Questi disgraziati nel gergo carcerario vengono chiamati «mozzi». Ce ne sono nelle carceri di Santo Stefano ed in quelle di Portolongone. Costoro ricevono dalle guardie, in compenso della loro violenza, qualche pagnotta o qualche sigaretta. Soltanto per questo quei detenuti, abbrutiti dall’ambiente, fisicamente e moralmente, finiscono per scendere così in basso, da servirsi della loro forza fisica, che mettono a disposizione delle guardie percuotendo i loro compagni di carcere. Questo avviene in tutte le carceri. Per lo meno in quelle nelle quali io sono stato condotto, ho sempre sentito queste lagnanze da parte dei compagni di pena. Il Ministro ha detto di avere ordinato delle ispezioni.
Ora, ci sono ispezioni ordinarie, quelle del giudice di sorveglianza, ed ispezioni straordinarie, fatte per ordine del Ministro dagli ispettori generali.
Sapete come avvengono queste ispezioni? Il Ministro mi ha detto, dopo la mia protesta fatta altra volta, di essersi recato subito a Regina Coeli. Prendo atto di questo. Ma il Ministro chi ha interrogato? Egli ha interrogato il direttore, il capo guardia, forse anche il cappellano. Naturalmente costoro avranno detto che tutto andava bene. Non è costoro che bisogna interrogare; bisogna interrogare i detenuti, non in presenza del capo guardia o del direttore; perché, se il detenuto ha qualcosa da dire, in presenza di quella gente non la dice. Le ispezioni vanno fatte in altro modo. Il Ministro dovrebbe farle fare da persone, come noi, che sanno dove andare e cosa devono chiedere: cioè andare alle celle di punizione, per vedere come ci si sta e per quali ragioni ci si trova dentro. Si senta pure, per un atto di cortesia o per riguardo, il direttore delle carceri o il comandante delle guardie ed il cappellano; ma bisogna sentire sovrattutto i detenuti e non mettere a verbale altro che quanto è stato detto dai detenuti. Se le ispezioni fossero eseguite in questo modo, si verrebbero a scoprire fatti simili a quelli accaduti a Poggioreale. Lei ha parlato di quella che sarebbe una riforma di carattere carcerario. Il fascismo fece qualcosa del genere.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
PERTINI. Io ho letto qualcosa sulla riforma carceraria fatta sotto il Ministro Rocco, quando Direttore generale delle carceri era Novelli. Ebbene c’è la relazione di Novelli che va letta con grande attenzione. Leggendola si resta stupiti: le guardie carcerarie dovrebbero essere chiamate non più guardie carcerarie, ma precettori ed istitutori, in quanto le carceri vanno considerate come posti di rieducazione fisica e morale. È la teoria, di cui forse ci parlerà l’amico Persico, della scuola positivista. La relazione di Novelli diceva che la galera non era un posto di pena e che la pena non andava considerata come fine a se stessa, ma le carceri erano dei posti di rieducazione. Sotto il fascismo abbiamo avuto l’episodio famoso di Perugia, in cui Gastone Sozzi è stato ucciso così, con i clisteri di tintura di iodio e Rocco Pugliese venne soppresso all’ergastolo di Santo Stefano, quando io ero lì, al letto di forza. Vi sono tanti altri di questi episodi, i quali dimostrano che questa riforma non è stata applicata. Ma io non mi stupisco che una tale riforma il fascismo non abbia realizzata; mi meraviglierei, se mai, del contrario. Il fascismo era un movimento di violenza e non poteva logicamente evitare che si compissero atti di violenza, soprattutto quando questi erano consumati in danno di detenuti politici. C’era un’omertà, la quale arrivava fino alle ultime guardie carcerarie. Ma io mi stupisco che questo avvenga nella nostra Repubblica, in pieno regime democratico.
Noi questo non dobbiamo permettere nel modo più assoluto e dobbiamo far sì che la riforma si compia soprattutto in questo senso e che non resti lettera morta sulla carta. Bisogna che lei, onorevole Ministro, e tutto il Governo, cerchi di trasfondere in chi è preposto alla sorveglianza delle carceri il rispetto della persona umana, di qualsiasi detenuto. Su questo voglio insistere: alle guardie carcerarie non deve interessare il reato di cui il detenuto si è reso colpevole; questo reato ha interessato il giudice. Il detenuto, dal momento che gli è stata inflitta una condanna e che si trova in carcere, non deve rispondere che alla propria coscienza e a Dio, se vi crede, non alle guardie carcerarie. Esse devono vederlo semplicemente come un uomo e come tale va rispettato. Questo vale non soltanto per quanto avviene nella carceri, ma per tutto quanto accade nella vita civile del popolo italiano. Oggi la persona umana non è rispettata. Questo lo si deve al fascismo, che ha fatto della violenza una norma di vita del popolo italiano; lo si deve anche alla guerra che, come tutte le guerre – e noi lo sappiamo e per questo le combattiamo con tanta tenacia – ridesta gli istinti primordiali e la bestia trionfa sull’uomo. Appunto per questo, se noi vogliamo veramente rinnovare il costume morale e politico del popolo italiano, dobbiamo far di tutto perché la persona umana debba essere rispettata. Questo concetto deve stare alla base della Repubblica e della democrazia e questo concetto deve esser tutelato dalla legge. (Vivi applausi).
PRESIDENTE. Osservo che questi argomenti di grandissima importanza meritano una discussione a fondo. Ripeto quanto ebbi occasione di dire in un’altra seduta: si facciano interpellanze e si svolgano ampiamente questi temi.
PERTINI. Noi non abbiamo fatto che modeste richieste.
PRESIDENTE. Credo che molti abbiano l’impressione che noi ci occupiamo così, en passant, di cose tanto importanti.
L’onorevole Calosso ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CALOSSO. Mi manterrò nei limiti dell’interrogazione e dirò poche parole.
Per quanto concerne la prima parte della mia interrogazione l’onorevole Guardasigilli ha risposto perfettamente; ma non alla seconda, che era in fondo quella che mi interessava di più.
Non era tanto Poggioreale; io domandavo quali provvedimenti di ordine generale intendesse prendere. Ora, come ha suggerito anche l’onorevole Pertini, dato che abbiamo una tradizione secolare di polizia ed anche possiamo dire, attraverso il fascismo, di viltà nelle nostre ossa, questo è un problema importante.
Da quando sono tornato in Italia, una sola volta, per caso, sono stato in polizia, e mentre ero lì, alla porta, quelli che interrogavano, stavano bastonando due persone. Si tratta, a mio avviso, non tanto di interessarsi di Poggioreale – che è importante egualmente – ma di stabilire che cosa si vuol fare. Ora, dato che colui che è punito deve essere redento (questo è il concetto a cui ubbidiamo), si dovrebbe dare allo stesso carcerato una rappresentanza democratica (Interruzioni a destra), poiché bisogna concepire il carcerato non come un individuò totalmente fuori del mondo, ma come una persona che ha i suoi diritti, meno quelli che il giudice gli ha tolto.
Quindi, penso che dei Consigli di gestione consultivi o qualcosa di simile potrebbero essere applicati ai carcerati. (Commenti). E questi Consigli di gestione consultivi dovrebbero essere ancorati non certo al potere esecutivo, ma alla Camera per esempio, che ha tanti uomini, come l’onorevole Pertini, che conoscono in pratica che cosa è il carcere. Oppure, si potrebbero ancorare alla Confederazione del lavoro, poiché sono i lavoratori in genere che danno alle carceri il maggior numero dei loro clienti; si potrebbero ancorare all’Azione cattolica, la quale, innegabilmente, ha una missione. (Commenti). In questo modo si avrebbe una vera e propria garanzia.
Questo servirebbe poi alla polizia, perché la polizia deve potere agire con forza ed energia, in ogni caso in cui è necessario. Non dobbiamo esautorare la polizia, perché questo sarebbe il metodo peggiore.
Credo che la democrazia repubblicana potrebbe risolvere questo problema.
PRESIDENTE. L’onorevole Salerno ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SALERNO. Non metto in dubbio che l’onorevole Guardasigilli abbia fatto tutto quanto era possibile per venire a capo delle responsabilità riguardanti i fatti, innegabilmente gravi, verificatisi nel carcere di Poggioreale. E non metto in dubbio che abbia, con opportunità, disposto l’invio di un inquirente, che l’inchiesta sia stata condotta con zelo, e che siano stati sottoposti a procedimento penale gli autori di questi fatti, ma la mia interrogazione, per la verità, vorrebbe contenersi entro confini pratici, ed infatti essa tende a sapere se non sia il caso di apprestare le provvidenze necessarie per rendere meno frequenti fatti così gravi come quelli lamentati. Il Ministro di grazia e giustizia ha lasciato comprendere che si tratta di fatti sporadici e isolati. A me pare che siano sporadici e isolati, soltanto perché sporadicamente giungono a nostra conoscenza; ma ce ne sono molti che sfuggono probabilmente alla notorietà e si verificano tuttavia, onde bisogna riconoscere che non sono né rari né infrequenti, tanto più che io collego a fatti come questi – consistenti in sevizie e maltrattamenti – quelli riguardanti il disservizio delle carceri, come si è verificato per il carcere di Sant’Efremo a Napoli, dal quale recentemente nove pericolosissimi delinquenti sono evasi, dopo essersi colluttati con alcuni agenti carcerari. E ricordo che poco tempo fa anche l’onorevole Pertini lamentava in quest’Aula altri fatti della stessa gravità degli attuali, avvenuti nel carcere di Regina Coeli. Bisogna, pertanto, concludere che fatti gravi del genere si verificano con una certa frequenza.
Per quanto riguarda le provvidenze da adottare, è innegabile che il problema, per essere ampiamente trattato ci farebbe straripare, sicché andremmo certamente molto lontano ed entreremmo in argomenti vasti come oceani; però io credo che per il momento si possa pur dire qualche cosa di concreto.
Io sono certamente dell’opinione dell’onorevole Pertini, che cioè sarebbe molto bello trasfondere in ogni agente di custodia il sentimento del massimo rispetto della personabilità del detenuto. Questa è una espressione magnifica e sarebbe bellissimo che gli agenti di custodia fossero addirittura dei filantropi, fossero degli educatori. Ma se questa nobilissima aspirazione non può essere sempre realizzata, c’è però qualche organo che può e deve controllare il personale di custodia e vigilare sull’esecuzione delle condanne. Se non è sempre possibile suscitare nell’agente di custodia, con tutta la sua buona volontà, una coscienza filantropica ed educatrice, credo però che si debba potenziare la legge in virtù della quale l’autorità giudiziaria ha una funzione di controllo sul funzionamento delle carceri. È bene che questo controllo sia rafforzato da disposizioni interne e non si riduca a delle visite formali, pari a certe visite di filantropismo che talune dame fanno per le corsie degli ospedali, lasciandosi dietro la scia del loro profumo ed un sorriso fugace. È opportuno che siano visite aventi un carattere concreto, tali da mettere in evidenza la volontà di esercitare un controllo reale ed efficace.
È doveroso che, accanto alle inferriate delle prigioni, siano anche disposti dei cristalli trasparenti, in modo che si veda e si sappia come viene esercitata questa triste funzione demandata allo Stato, la funzione di punire e di emendare punendo. Si sappia però come essa viene compiuta, appunto per le gravi responsabilità e gli eventuali abusi che questa funzione può comportare.
Non intendo segnalare una deficienza della Magistratura, intendiamoci bene: e men che mai di quella napoletana. Intendo rilevare la necessità di rafforzare il potere di controllo con disposizioni magari interne, e ciò in omaggio alla Magistratura e non certo a detrazione di essa.
Sono poi contento, e ne ringrazio il Ministro, di aver sentito riconfermare dalla sua autorità una cosa che anch’io sapevo da tempo, ma che è stato bene ripetere in quest’Aula: che cioè il potere legislativo, e precisamente i suoi rappresentanti, hanno libertà di accesso nelle carceri e facoltà di controllo in questa triste funzione demandata allo Stato, la funzione di punire e di far soffrire.
Noi abbiamo detto a proposito della Costituzione, ed io ho sostenuto, che il potere legislativo e il potere giudiziario devono agire in utile contiguità. Credo che le disposizioni da me invocate non saranno inutili, né sarà inutile che i rappresentanti del popolo concorrano in quest’opera di vigilanza e di alta moralità. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERSICO. Io ringrazio l’onorevole Guardasigilli di aver confermato con la sua precisa e severa risposta quello che i colleghi Pertini, Calosso, Salerno ed io avevamo affermato, in base a quanto risultava dalle inchieste molto esatte e molto accurate dei giornali l’Umanità, l’Europeo, l’Avanti ed altri, che hanno preso a cuore questa dolorosa questione.
Mi auguro che l’inchiesta compiuta darà i suoi risultati pratici, e spero che non avvenga quanto diceva poco fa, con esperta previggenza, l’amico Pertini, cioè che il processo contro i responsabili vada a finire in una bolla di sapone, come troppo spesso sono finiti simili processi.
Io ricordo un celebre processo della mia prima professione, quello dei così detti complici di Accinito, che finì con l’assoluzione di tutti gli imputati, fra i quali era il Direttore generale delle carceri.
Ma poiché il Ministro Guardasigilli ha voluto elevare il tono della sua risposta, mi si consenta molto brevemente e rapidamente di fare qualche accenno al regime carcerario italiano e alla auspicata riforma penitenziaria.
Il Guardasigilli, il 20 settembre di questo anno, rispondendo ad una mia interrogazione sul famoso caso del cosiddetto «pazzo in licenza», disse che già il suo predecessore aveva nominato una Commissione di studio per la riforma carceraria.
Non si tratta di formare un nuovo codice, si tratta di umanizzare il regime carcerario, di correggere quel Regolamento del 18 giugno 1931, che non è un capolavoro. È vero che il Guardasigilli Rocco, firmando la relazione estesa dal Direttore generale Novelli – che era un magistrato di grande valore – disse che quel regolamento sarebbe servito di modello a tutte le Nazioni civili, perché rappresentava veramente una delle più alte realizzazioni del regime. Tutto quello che faceva il regime, del resto, era eccezionale. Veramente il regolamento sarebbe stato abbastanza buono, ma bisogna vedere come in pratica si è applicato. In sostanza, è rimasto sulla carta. Nelle celle esiste un estratto del regolamento, che sta appeso ad un chiodo e si può leggere anche per passare il tempo, come ho fatto io, imparandolo quasi a memoria; ma ora occorre che la Commissione nominata risolva la questione rapidamente.
Ha detto il Guardasigilli che egli è stato al recente Congresso internazionale per lo studio della difesa sociale, tenuto a S. Remo; purtroppo a quel convegno non ho potuto partecipare, ma condivido le idee che vi sono state affermate. Oggi non si può più parlare di pena-castigo, di pena-espiazione della colpa o del male: questo concetto è superato. Oggi l’origine della delinquenza si deve ricercare in altre cause, nelle tare ereditarie, nelle insorgenze morbose, nelle condizioni ambientali e di famiglia, ecc.: non è più il delitto in sé che deve essere studiato, ma deve essere presa in considerazione la personalità del delinquente per adattarvi le sanzioni. È quindi tutto un nuovo criterio, al quale dobbiamo informare la nostra opera; è tutta una nuova organizzazione che si deve attuare, quella della difesa sociale. Il concetto della pena, del dolore, del castigo, che i penalisti classici ancora vorrebbero sostenere, per noi positivisti è invece completamente superato.
Ben diceva il professor Saporito, direttore del manicomio giudiziario di Aversa, in una lettera scrittami in questi giorni, che non vi dovranno essere più «penitenziari», ma «ospedali di criminalità». Bisognerà naturalmente incominciare con il rieducare gli stessi agenti di custodia. Non basta, infatti, che costoro siano efficienti, robusti, che abbiano la necessaria prestanza fisica, il necessario vigore: essi dovranno possedere al massimo le doti spirituali e morali, indispensabili per esercitare efficacemente il loro ufficio delicatissimo.
Anche dal punto di vista igienico, i luoghi di segregazione dovranno essere ben diversi da quelli attuali: non più quell’immondo «bugliolo» con le sue mefitiche esalazioni, non più quegli indecorosi giacigli popolati di insetti. Bisogna che la vita carceraria sia in primo luogo normale, quand’anche la si volesse ancora considerare sotto l’aspetto del castigo, secondo le vedute della scuola retribuzionistica.
Perché poi il carcerato deve diventare un numero, perché egli deve perdere il proprio nome? E perché poi deve vestire quella strana divisa a scacchi, o a righe? Saranno piccolezze, ma hanno pure il loro valore e il loro significato, soprattutto ove si pensi che noi dobbiamo tendere essenzialmente a ricuperare e a restituire redenti al consorzio sociale questi sventurati.
L’onorevole Guardasigilli ha detto poco anzi una cosa giustissima: vi è una medicina, quella del lavoro. Orbene, io ho ricevuto proprio oggi un giornale di Venezia che reca una corrispondenza da Padova, nella quale si narra come in quel reclusorio si faccia il pane, si costruiscano biciclette, si fabbrichino mobili e si esercitino molti utili mestieri. Onorevole Ministro, questa è la strada buona! Lei che ha tanto cuore, tanta bontà d’animo, esamini personalmente il problema, assista da vicino i lavori della Commissione che il suo predecessore ha costituito e che lei ha tanto opportunamente mantenuto, ne affretti la conclusione, ed il nuovo regolamento carcerario costituirà un titolo d’onore per la Repubblica e per la democrazia. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Faralli, al Ministro dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intende adottare contro coloro che, abusando delle proprie funzioni, si sono resi responsabili dell’arresto di un valoroso comandante partigiano capitano della polizia ausiliaria di Genova. Poiché il fatto ha generato un grave malessere d’ordine morale e civico, l’interrogante invoca una rigorosa inchiesta per chiarire le penombre che gli organi del Governo proiettano da qualche tempo sul movimento partigiano e sulle persone dei suoi eroici esponenti».
L’onorevole. Sottosegretario per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. L’arresto di un capitano in attività di servizio della polizia ausiliaria, quale è quello dell’ex comandante partigiano Michele Campanella, cui si riferisce l’interrogazione, è davvero gravissimo. Dall’inchiesta, che al riguardo è stata subito iniziata, è risultato però che il giudice istruttore del tribunale di Alessandria, indagando in ordine a gravi rapine compiute nel 1946 in quella provincia, ebbe a ricercare, quale uno dei responsabili, certo Gino, che si diceva parimenti comandante partigiano.
Ora, il Campanella, quando appunto combatteva coi partigiani, aveva assunto il medesimo pseudonimo del ricercato; e di qui il mandato di cattura; in seguito al quale lo stesso Campanella fu accompagnato ad Alessandria da un ufficiale superiore del suo Corpo e subì trentadue confronti. Venne meno in tal modo, data la non identificazione col ricercato, ogni sospetto su di lui, così che egli riprese immediatamente servizio.
Da parte sua l’amministrazione provvedeva a tutelarne come meglio poteva il prestigio e a tutelare insieme il prestigio del Corpo. Intanto veniva iniziata l’inchiesta cui ho accennato e che ha dato le riferite risultanze; malgrado le quali, seri provvedimenti disciplinari sono stati subito presi, ad affermare una volta ancora la necessità per gli organi di polizia di osservare in ogni occasione le norme della più rigorosa cautela.
Ciò detto, mi consenta, però, l’onorevole interrogante, di protestare per l’ingiurioso sospetto che egli sembra voler gettare sul comportamento del Governo verso il movimento partigiano, ed i suoi esponenti, contraddetto dai fatti e più dalla risaputa coscienza che il Governo ha di tutti i valori morali, primo fra questi l’amore per il proprio Paese.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
FARALLI. Mi consenta l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno di non essere completamente sodisfatto della risposta che egli ha dato a proposito dell’arresto del partigiano Gino; non perché io contesti al compagno di cospirazione, onorevole Marezza, la buona fede in quello che egli ha detto; sta di fatto, però, che di «Gini» nel movimento partigiano – e qui siamo molti partigiani in questo settore della Camera – ve ne erano a centinaia nelle nostre formazioni. Sta di fatto pure che il prefetto di Genova, che il questore di Genova si erano opposti all’arresto o al fermo del comandante Campanella; si erano opposti, adducendo fra l’altro che il Campanella, in due anni da che era comandante di una compagnia di polizia ausiliaria, non si era mai allontanato da Genova. Prescindendo, quindi, anche dalle capacità morali, dalla probità, dall’onestà del Campanella, vi erano dei dati inequivocabili su cui non poteva esservi dubbio.
Gli è, onorevole Sottosegretario per l’interno, che nel desiderio di colpire Gino non si pensava di arrestare il supposto capo di una banda di ladri, ma si voleva umiliare il partigiano, perché Gino aveva comandato la brigata «Severino», una delle più gloriose brigate garibaldine che avevano concorso alla liberazione di Genova. Ed è bene – giacché siamo in argomento – che ce lo ricordiamo noi partigiani e che lo ricordiamo un po’ anche ai signori colleghi della Camera, e qualche volta ai signori del Governo, come Genova sia stata una delle grandi città italiane che si è liberata da sola, senza gli inglesi e senza gli americani; s’è liberata da tedeschi e fascisti soltanto con le sue forze partigiane e con la forza indomita del suo popolo. (Applausi a sinistra).
Gino era un po’ il vessillifero dei partigiani genovesi; Gino aveva organizzato la polizia ausiliaria in perfetta disciplina; a Gino rispondevano tutti i militi della sua compagnia; Gino aveva portato un afflato di fraternità partigiana anche nelle compagnie di polizia. Gino, insomma, era il partigiano che aveva saputo dimostrare che, come in montagna si faceva la guerra per liberare la patria dai tedeschi e dai fascisti, così, nell’interno della vita civile, della vita pacifica del Paese, si poteva assolvere con perfetta consapevolezza il proprio dovere di soldati e di funzionari nel nome e per l’avvenire della nuova Italia.
Ebbene, quando il prefetto ed il questore fecero sapere al Procuratore della Repubblica di Alessandria che quel Gino che egli aveva richiesto non poteva essere il Gino che egli ricercava, il Procuratore della Repubblica, forse forte di un rapporto dell’Arma dei carabinieri, volle egualmente tradurre ad Alessandria il comandante Campanella. E non solo lo fece tradurre, ma, malgrado le testimonianze del prefetto e del questore, lo fece sottoporre ad un confronto con trentadue delinquenti arrestati che si trovavano nelle carceri di Alessandria. Lo ha detto lei, onorevole Sottosegretario!
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Non delinquenti, ma arrestati.
FARALLI. Comunque, trentadue individui arrestati perché supposti facenti parte di una banda di grassatori. Evidentemente, onorevole Sottosegretario, l’intenzione era quella di offuscare il movimento partigiano, di proiettare su di esso un’ombra con l’arresto di uno dei suoi elementi migliori quale facente parte di una associazione a delinquere. Era questa l’intenzione, se non palese nascosta tanto che tutto il popolo genovese si dichiarò pronto a battersi se da parte dell’Autorità giudiziaria non fosse stato rimesso in libertà il comandante Gino e non gli fosse stato restituito, assieme alla libertà, il riconoscimento di quella indiscutibile probità nota a tutti, autorità e popolo, a Genova e ad Alessandria!
Il Sottosegretario si rammarica che io abbia nella mia interrogazione, appalesato il dubbio sulla intenzione delle autorità governative di volere scalfire il movimento partigiano. Mi consenta l’onorevole Marazza, che è stato anche lui partigiano, mi consenta l’onorevole Marazza che conosce tutti i sacrifici che hanno fatto i partigiani: quando avvengono episodi di questo genere, evidentemente da qualche parte ci deve essere le volontà di adombrare la probità, l’onestà, la forza morale e civile del movimento partigiano!
Io avrei desiderato che il Governo avesse preso qualche provvedimento contro i responsabili di un sopruso di questa natura e non si fosse limitato a dire che è stata fatta una inchiesta e che il comandante Gino è stato rilasciato. Io avrei desiderato e con me lo avrebbero desiderato tutti i partigiani d’Italia, che il Governo avesse precisato che, quando si commettono errori come questo, non si è più degni di essere procuratori della Repubblica né comandanti di carabinieri, se comandante è quello che ha fatto il rapporto contro il capitano Campanella. E ricordi l’Assemblea, ricordi il Governo che il Gino che si ricercava è stato arrestato alcuni giorni fa assieme ai componenti della banda di grassatori. La questura di Genova ha dovuto emanare un comunicato, pubblicato dalla stampa, nel quale è detto che l’arrestato è un delinquente comune e non è partigiano!
Intanto, signori, contro i partigiani si era tentato di gettare un’ombra di discredito che avvelenava l’ambiente di tutti i volontari della libertà e anche un po’ il popolo italiano! Non sono perciò, sodisfatto, onorevole Marazza, della risposta che ella mi ha dato, perché avrei voluto che si fossero presi provvedimenti contro i responsabili di questi errori, perché sono errori che si ripetono troppo sovente, perché contro il movimento partigiano si è troppo infierito disconoscendo i suoi meriti e i suoi eroismi. Il movimento partigiano – si voglia o non si voglia – è una forza morale ed una forza civica: il movimento partigiano è oggi una forza che nessuno può contestare, perché deriva dal sacrificio, perché è quella forza che ha liberato l’Italia dal fascismo e dai tedeschi e che ha ridato un nuovo volto al nostro Paese e l’onore alla nostra bandiera.
PRESIDENTE. Onorevole Faralli, la prego, venga alla conclusione.
FARALLI. Ho finito onorevole Presidente. Del movimento partigiano se ne parla poco, si parla poco – troppo poco – di questo movimento a cui tutti dovremmo inchinarci perché è il movimento che ha ridonato all’Italia il suo onore, alla nostra bandiera il significato di fraterna solidarietà tra gli italiani. (Applausi a sinistra).
Onorevole Marazza, vecchio compagno di cospirazione, lo sa, è bene che lo sappiano tutti i signori del Governo, è bene che lo sappiano tutti gli onorevoli colleghi: il movimento partigiano non si scalfisce licenziando, come si sta facendo continuamente, i partigiani dalla polizia, non si scalfisce licenziando i partigiani dai posti cui erano stati chiamati dai comitati di liberazione; il movimento partigiano non si diminuisce se si allontana qualche esponente dai posti di responsabilità; il movimento partigiano, dicevo, è una forza viva di civismo e di lavoro.
Il movimento partigiano egregi amici è una fiamma che non si spegne. Il movimento partigiano caro Presidente è una fiamma alla quale tutte le notti migliaia e migliaia di morti e di eroi porta il tributo del proprio amore. Caro Marazza, onorevoli signori del Governo, il movimento partigiano è la fiamma che guida e guiderà il popolo italiano verso le sue lotte, verso le sue vittorie, per l’avvenire del nostro Paese. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Cartia, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per conoscere quali provvedimenti intendano adottare rispettivamente nei confronti degli organi di polizia di Vittoria e del pretore di Vittoria, in relazione al loro passivo od ostruzionistico comportamento di fronte alla esplicita ed insistente richiesta dei dirigenti la Sezione del Partito socialista lavoratori italiani di Vittoria, diretta a conseguire la immediata reintegra nel possesso del locale della Sezione, dal quale sono stati spogliati con violenza e nottetempo dal barone Antonio Paternò di Vittoria, che ciò facendo ha commesso reato. Sta di fatto che il barone Paternò, locante del vano adibito a sede della Sezione del P.S.L.I, in Vittoria, pretendeva il rilascio del locale entro fine luglio e, anziché rivolgersi all’autorità giudiziaria, con la tradizionale mentalità baronale siciliana, provvide con suoi uomini (i non tramontati armigeri feudali) all’occupazione violenta dei locali. I dirigenti della Sezione del P.S.L.I., rispettosi della legalità democratica, desistendo dal primo impulso di farsi ragione direttamente, si sono rivolti alle autorità provinciali e locali, sollecitando l’immediato intervento della pubblica sicurezza per la reintegrazione del possesso delittuosamente violato, salvi in seguito gli apprezzamenti giudiziari di merito, e la pubblica sicurezza si è limitata a svolgere una inutile pratica burocratica, senza intervenire nei confronti del barone violatore della legge. Il pretore dal suo canto, investito del caso con regolare ricorso, mentre in un primo tempo, di fronte alla clamorosa notorietà del fatto delittuoso, disponeva la reintegrazione infra le ventiquattro ore nel possesso, successivamente e senza disporre nemmeno notifica, accettando un motivo di peregrina formalità inerente al contratto di locazione, e se mai discutibile in sede di merito, disponeva la sospensiva del precedente giusto ed opportuno provvedimento, in base al quale intanto, essendo trascorso invano il termine in esso fissato, gli iscritti alla Sezione procedevano alla diretta immissione in possesso. I fatti vanno apprezzati politicamente in relazione all’ambiente, perché la conclusione sostanziale che se ne trae è che in Sicilia ai baroni riesce sempre possibile usare prepotenze e violenze senza che contro di esse vi siano tempestivi ed opportuni interventi delle autorità, per quelle rapide riparazioni di giustizia, che sono essenziali alla fiducia nella democrazia».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Rispondo all’interrogazione dell’onorevole Cartia il quale ha consumato una intera pagina per farci sapere un fatto che è un piccolo episodio della vita locale.
Dalle informazioni e dal rapporto ricevuto si tratta di questo: che un tal barone Paternò di Vittoria dette in locazione per tre mesi un vano terraneo di un fabbricato della città di Vittoria all’avvocato Foti a titolo personale, ma con la destinazione a sede del Partito socialista dei lavoratori italiani, sezione locale, con l’impegno che alla scadenza avrebbe restituito questo locale che serviva al Paternò per deposito di derrate agricole.
Alla scadenza dei tre mesi il Paternò richiese il locale; non avendolo il Foti rilasciato, il Paternò, arbitrariamente, senza ricorrere all’autorità giudiziaria, con quella forma che l’onorevole interrogante dice di audacia baronale siciliana, prese il possesso, introducendo le carrubbe dei suoi fondi. Ne è seguito un procedimento civile ed un procedimento penale. Non è esatto che nessuno si sia occupato del Paternò, perché gli furono imposte le dimissioni dalla carica di conciliatore che aveva nel comune di Vittoria, e queste dimissioni furono richieste dall’autorità giudiziaria e furono accettate con decreto 20 settembre dal Primo Presidente della Corte di appello di Catania appunto per questo fatto arbitrario, perché non si doveva fare uso di violenza nell’esercizio delle proprie funzioni. Si è poi svolto nei suoi confronti anche un procedimento penale e dai telegrammi che ho ricevuto risulta che il giudizio sarà celebrato il 5 dicembre. Quindi non è esatto che alla violenza di questo signore siano state sorde le autorità locali, le quali, invece, hanno preso provvedimenti adeguati al suo atto di sopruso.
Per quanto riguarda la causa civile, noi ci rimettiamo all’autorità giudiziaria. C’è una causa civile di merito, una causa possessoria; il Pretore immise già in possesso la sezione del Partito socialisti dei lavoratori italiani e per quanto riguarda e l’azione possessoria e l’azione di merito, l’autorità giudiziaria deciderà, e su questo punto credo che l’interrogante potrà attendere con fiducia l’azione della giustizia, la quale nel Mezzogiorno, in Sicilia come in ogni parte d’Italia, cerca di adempiere pienamente il proprio dovere nei confronti di tutti i cittadini senza farsi influenzare né da caste né da autorità.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Nulla ho da aggiungere a quanto è stato dichiarato dall’onorevole Ministro della giustizia.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CARTIA. Mi dichiaro parzialmente sodisfatto. Nei confronti del Ministro dell’interno la mia interrogazione cade, e devo dare atto anche che il Prefetto, sollecitato da me, intervenne prontamente e premurosamente. Ma qui c’è qualche cosa di più. Non è un problema di merito nell’amministrazione della giustizia: è un problema politico, e non è un piccolo episodio. In Sicilia ancora la nostra vita è fatta di piccoli episodi simili. Tutto quello che dice il Ministro va bene, ma i provvedimenti sono stati presi successivamente alla mia interrogazione. Io pregherei il Ministro di controllare le date. Si sono mosse le autorità, ma dopo l’interrogazione, ed in Sicilia non c’è un deputato per ogni paese che faccia una interrogazione per ogni episodio del genere per far funzionare le autorità. È una vecchia mentalità degli organi del Governo, sia pure per tradizione storica, di usar riguardi ai baroni. Questo barone di cui si discute non si rivolse all’autorità giudiziaria, ma pensò di farsi ragione da sé con uomini suoi e ricorrendo alla forza privata. È questo che non vuole entrare in testa a questi signori, che cioè l’autorità giudiziaria è fatta appunto per evitare l’esercizio della forza privata. Questo barone invadendo il locale, e facendosi giustizia da sé provoca una sezione di lavoratori socialisti senza tener conto di eventuali reazioni. Noi potevamo legittimamente rioccuparlo, quel locale, ma io ho detto: diamo noi una lezione democratica: rivolgiamoci all’autorità giudiziaria. La prefettura con piena comprensione ha agito dietro mio intervento. L’autorità giudiziaria agì in un primo tempo e ripiegò subito dopo revocando il provvedimento che l’opportunità e la legge imponevano. D’altra parte, il pretore, sul quale il Ministro non mi ha detto nulla, è imparentato con famiglie che non sono certo simpatizzanti verso quelli che hanno idee semplicemente evoluzionistiche ed è intimo del giudice conciliatore, che è quello stesso signore che ha commesso reato ricorrendo alla violenza.
Questo domando al Ministro che è anche un giurista: vero è che i locali della sezione sono stati locati ad personam all’avvocato Foti, ma per destinarli a sezione del Partito socialista lavoratori italiani. Il possesso è quindi, del rappresentante la sezione. Il pretore revocò il provvedimento di reimmissione in possesso del Segretario del Partito socialista lavoratori italiani per ragioni cavillose apprezzabili in sede di merito e lasciò nel possesso abusivo l’arbitrario occupante potendo determinare disordine pubblico, perché i lavoratori della sezione volevano rioccuparla con azione diretta.
Il pretore si mostra sensibile alle pressioni del colpevole, che, come ho detto, è anche il conciliatore. Ora domando: perché aspettare che ci sia un deputato che faccia una interrogazione e cerchi di muovere il Governo per riparare quello che può essere un piccolo episodio ma che, riportato alla mentalità siciliana, rivela un sistema? Ecco perché domandavo quali provvedimenti si intendono prendere. Il conciliatore è stato invitato a dimettersi, mentre invece doveva essere destituito. Per il pretore non è stato preso nessun provvedimento; ed io segnalo al Ministro di grazia e giustizia l’opportunità che quanto meno detto magistrato, imparentato a Vittoria e che ha mostrato incertezze di condotta apprezzabili come una sua debolezza ad influenze ambientali, sia destinato altrove.
Ripeto: sono parzialmente sodisfatto, ma attendo un provvedimento che restituisca ai cittadini di Vittoria la convinzione che quando i magistrati mostrano in una sede delle debolezze, possono anche cambiare aria. Sarebbe un provvedimento a difesa e tutela della democrazia, di cui in Sicilia c’è particolare bisogno. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Avverto che l’onorevole Ministro dei trasporti, non potendo essere presente, ha pregato di rinviare le seguenti interrogazioni:
Sansone e Caso, al Ministro dei trasporti, «per conoscere per quali valide ragioni non debba effettuarsi la domenica il servizio dell’autolinea Napoli-Piedimonte d’Alife; il che costringe la popolazione di quella zona a servirsi di autolinee private che effettuano il servizio in concorrenza con la linea sovvenzionata»;
Cevolotto, Cianca, Lussu, al Ministro dei trasporti, «per conoscere in base a quali ragioni è stata concessa la carta gratuita di libera circolazione di prima classe sulla intera rete ferroviaria dello Stato al signor Giovanni Host Venturi, ex Ministro del regime fascista»;
Morini e Sampietro, al Ministro dei trasporti, «per sapere se si ha l’esatta sensazione della gravissima situazione cui si è ridotta la classe dei ferrovieri, trattenendo, sul mensile di ottobre, tutte le anticipazioni fatte nei mesi precedenti; e per chiedere che venga immediatamente corrisposta una nuova anticipazione – proporzionalmente minore al complesso di quelle rimborsate – da restituire ratealmente in quattro-cinque mesi».
CEVOLOTTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CEVOLOTTO. Sono molto sorpreso. Il signor Ministro tecnico dei trasporti crede di potere all’ultimo momento avvertire che non sarà presente, e di poter rinviare l’interrogazione. Il signor Ministro dei trasporti dovrebbe essere a disposizione dell’Assemblea. Agendo così, egli manca di riguardo non a me – il che non avrebbe nessuna importanza, né mi degnerei di rilevarlo – ma manca di riguardo all’Assemblea. Per questo, io protesto.
PRESIDENTE. La sua protesta sarà comunicata al Ministro dei trasporti.
A richiesta degli interroganti, sono rinviate le seguenti interrogazioni:
Varvaro, ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, «per sapere: 1°) se è a loro conoscenza che da quattro anni la popolazione di Montelepre è posta in blocco fuori legge dalle autorità di polizia preposte alla lotta contro il banditismo, le quali si comportano – e talvolta lo dichiarano senza infingimenti – come se tutti i seimila abitanti di quella cittadina fossero dei banditi o dei loro complici; senza tener conto del fatto che la stragrande maggioranza è costituita da galantuomini e onesti agricoltori e che di essa fanno parte uomini che onorano i pubblici impieghi, la Magistratura e la scienza. Che nel corso delle indagini e dei rastrellamenti indiscriminati vengono commessi soprusi di ogni genere, senza alcun rispetto per la libertà, per il domicilio, per la proprietà e per la vita stessa dei cittadini; 2°) se questo avviene per ordini del Ministero dell’interno e in quale misura è voluto, permesso o tollerato dalla Magistratura; 3°) se e quali provvedimenti intendano adottare perché a Montelepre si ripristino la legalità e il rispetto della legge; 4°) se non intendano provvedere all’accertamento imparziale e severo dello stato di cose denunziato, dandone mandato a funzionari non suscettibili di influenze di ufficio, solleciti soltanto della ricerca della verità e ispirati dal sentimento del dovere».
Lopardi, ai Ministri dell’interno, delle finanze e dell’agricoltura e foreste, «per conoscere se siano a cognizione delle furiose grandinate e conseguenti piene che hanno devastato nel mese di settembre ed in alcuni territori ripetutamente in giorni diversi le già fiorenti campagne di Lanciano (frazione Sant’Onofrio), Atessa, Casalbordino, Vasto, Ortona a Mare, Villalfonsina, Fossacesia, Rocca San Giovanni, il dorsale collinoso di Chieti, San Giovanni Teatino, Torrevecchia Teatina, Pizzoferrato, Pennapiedimonte, Tollo, Canosa Sannita, Poggiofiorito, Orecchio e di numerose altre località della provincia di Teramo, distruggendo il raccolto totalmente per migliaia di ettari ed arrecando danni per centinaia e centinaia di milioni, con la conseguente miseria di quelle laboriose popolazioni; e quali provvedimenti intendano adottare per almeno attenuare la loro iattura, avvalendosi dei decreti-legge 28 settembre 1930 e 30 marzo 1933, o adottando – di urgenza, come è suggerito dalla gravità eccezionale del caso – speciali ed adeguati provvedimenti».
Segue l’interrogazione dell’onorevole Silipo al Ministro del tesoro, «per sapere se non ritenga opportuno recedere dalla decisione di non accogliere la legittima richiesta dei segretari degli istituti medi, i quali da tempo hanno chiesto il passaggio dal gruppo C, in cui ingiustamente si trovano, al gruppo B, e ciò per porre fine ad una condizione di inferiorità ingiustificabile. L’interrogante fa notare che il Ministro della pubblica istruzione, interrogato, ha riconosciuto giusta l’aspirazione della categoria ed ha dichiarato che aveva predisposto uno schema di provvedimento inteso a migliorarne la carriera, nel quale era incluso l’inquadramento del personale, di cui si parla, nel gruppo B, ma che il Ministro del tesoro non aveva dato il proprio assenso».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In effetti il Ministero della pubblica istruzione ha a suo tempo inoltrato al Ministero del tesoro uno schema di provvedimento inteso, fra l’altro, a sostituire le attuali tabelle di classificazione che, per il personale delle scuole medie classiche, prevedono uno sviluppo di carriera dal grado 12° al grado 11° del gruppo C, con nuove tabelle intese a consentire al personale medesimo la carriera dal grado 11° al grado 8° del gruppo B; e cioè l’elevazione di gruppo e di tre gradi dell’ordinamento gerarchico. Il Ministero del tesoro non ha potuto assecondare l’iniziativa per le seguenti ragioni: l’inquadramento del personale statale in un determinato gruppo è in relazione al titolo di studio, titolo che è stabilito in rapporto alle mansioni attribuite ai vari gruppi, e la proposta elevazione di gruppo e di gradi non risulta giustificata, in relazione ai compiti affidati ai segretari degli istituti di istruzione media classica, che consigliarono a suo tempo di inquadrare il personale, di cui trattasi, nel gruppo C.
Infatti, per i segretari degli istituti di istruzione media classica l’allegato 1 del decreto legislativo 11 novembre 1923, n. 2395, prescrive il diploma di scuola media inferiore, mentre per i segretari degli istituti di istruzione media tecnica l’articolo 6 del decreto 16 ottobre 1934, n. 1840, prescrive il diploma di scuola media superiore.
Inoltre, è da rilevarsi che, in corrispondenza della diversità dei titoli richiesti per le due distinte categorie di segretari, diverse sono pure le funzioni attribuite a ciascuna di esse. Ai segretari degli istituti di istruzione media classica sono attribuiti compiti e responsabilità di minore impegno rispetto a quelli dei segretari degli istituti di istruzione media tecnica, i quali istituti, come è noto, ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 giugno 1931, n. 889, sul riordinamento dell’istruzione media tecnica, godono di autonomia amministrativa.
Sta di fatto che i segretari degli istituti di istruzione media classica svolgono, sotto la vigilanza del preside, un’attività meramente esecutiva; ad esempio scritturazione delle pagelle, dei registri scolastici, ecc.; mentre i segretari degli istituti di istruzione media tecnica, oltre ad assolvere i compiti comuni a tutti i segretari, curano la gestione di tutti i beni finanziari e patrimoniali, che costituiscono le dotazioni degli istituti, le quali, specialmente per gli istituti agrari e per quelli industriali, che risultano dotati di azienda e di officina, raggiungono diversi milioni. La accennata diversità dei compiti attribuiti ai segretari dei due tipi di istituti è confermata dalle norme che regolano l’assegnazione dei segretari. Invero, per l’articolo 11 della legge 1° luglio 1940, n. 899, perché ad una scuola media classica possa essere assegnato un segretario di ruolo è richiesta la presenza di una popolazione scolastica non inferiore ai 150 alunni, mentre, per l’articolo 42 della citata legge n. 889 del 1931, gli istituti e le scuole di istruzione media tecnica, dotati di azienda e di officina, devono avere sempre un segretario di ruolo, qualunque sia l’entità della popolazione scolastica.
La iniziativa del Ministero della pubblica istruzione è apparsa inoltre in contrasto con le direttive, di cui alle circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 16 maggio 1945 e 6 agosto 1946, che fanno divieto alle amministrazioni di proporre modifiche agli ordinamenti del dipendente personale, per non pregiudicare, mediante parziali modifiche, l’attuazione della riforma dell’amministrazione statale, né può considerarsi in armonia con l’avviso espresso il 17 settembre 1947 dalla prima Commissione permanente dell’Assemblea Costituente per l’esame dei disegni di legge, la quale, in sostanza, ha affermato che la legislazione concernente la pubblica istruzione è una materia complessa, che è inopportuno venga modificata senza una approfondita discussione parlamentare.
L’iniziativa non si limita, fra l’altro, a migliorare la carriera ed il trattamento economico dei segretari, perché è diretta anche ad istituire il ruolo degli applicati di segreteria ed a ridurre il numero degli alunni necessari per l’assunzione di un secondo impiegato di segreteria. La proposta quindi, ove accolta, importerebbe circa lire cento milioni annui di maggiore spesa, il che risulta in contrasto con i voti formulati dalle Commissioni permanenti dell’Assemblea Costituente per l’esame dei disegni di legge, affinché le spese dello Stato siano contenute il più possibile ed il Governo traduca in termini concreti, senza deroghe di sorta, la politica di risanamento finanziario.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SILIPO. Non sono affatto sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario al tesoro.
Anzitutto debbo dichiarare che la valutazione della funzione dei segretari, fatta dall’onorevole Sottosegretario, è in contrasto con quello che ha dichiarato pubblicamente il Ministro della pubblica istruzione, il quale, rispondendo ad una mia interrogazione in proposito, ha detto testualmente queste parole: «in considerazione delle condizioni dei segretari di scuola media, che sono ben note a questo Ministero, il quale, per rispondere alle giuste aspirazioni della categoria (sono dunque riconosciute giuste queste aspirazioni, onorevole Sottosegretario), ma più ancora in considerazione dell’importanza e della delicatezza delle funzioni affidate ai segretari…». Mi sembra che il Ministro della pubblica istruzione, il quale ha così valutato l’opera dei segretari delle scuole medie, sia più competente del Ministero del tesoro a dare un giudizio in merito. Perciò io non posso accettare, anzi rigetto in maniera categorica, le osservazioni fatte dall’onorevole Sottosegretario. D’altra parte, se il Ministero della pubblica istruzione riconosce legittime le richieste e se ritiene che la funzione dei segretari abbia carattere di estrema delicatezza, perché dobbiamo attendere la riforma di tutto l’apparato burocratico dello Stato per venire incontro ai legittimi desiderata della categoria? Onorevole Sottosegretario, non ritengo affatto opportuno che si debba perder tempo e si debba rinviare sine die un problema che può essere risolto, ed anche relativamente presto. Non riesco a capire. I casi sono due: o si ritiene che i segretari delle scuole medie chiedono una cosa giusta, e, se chiedono una cosa giusta, è chiaro che debbono essere accontentati senza attendere il poi, o che la loro richiesta non sia giusta, ed allora non va accolta. Ma, ripeto, in questo caso è bene che il Ministro del tesoro si metta d’accordo col collega della pubblica istruzione nella valutazione delle funzioni dei segretari degli istituti medi. C’è poi la solita ristrettezza di bilancio; mi perdoni, onorevole Sottosegretario, ma si tratta di così poco, perché sono così pochi i segretari, i quali dovrebbero essere sistemati nella categoria a cui hanno diritto di appartenere, che non è certo la somma occorrente per questa sistemazione che possa creare perturbamenti d’importanza nel bilancio dello Stato italiano.
Perciò insisto di nuovo nel chiedere di voler riesaminare, con l’oculatezza e l’obiettività necessarie, il caso. Non si dimentichi che c’è un grande malumore: se io mi rendo interprete dei sentimenti dei segretari delle scuole medie, è perché essi si sono rivolti a me, da tutte le parti d’Italia. Tengo ad aggiungere anzi che in un loro recente congresso ebbero le assicurazioni sulla revisione della loro condizione. Ed allora perché non si deve dar prova di spirito di comprensione e dimostrare che lo Stato italiano rende giustizia a chi la chiede? Perché non far cessare uno stato di. cose che discredita tutti?
Il Ministro della pubblica istruzione riconosce giuste le aspirazioni dei segretari delle scuole medie a tipo classico. Che si vuole di più per effettuare il passaggio di gruppo? E non si tratta soltanto di passaggio di gruppo, ma anche di elevazione di grado. Nella categoria di gruppo C, in cui si trovano oggi, essi non raggiungono che il grado XI, mentre altri della stessa categoria e con gli stessi titoli arrivano anche al grado VIII!
Sembra giusto ed umano tutto ciò? Io la prego, onorevole Sottosegretario, di rendersi interprete del mio pensiero presso l’onorevole Ministro del tesoro e riprendere in considerazione l’opportunità di sostituire le attuali tabelle di classificazione delle scuole medie con tabelle più eque e cioè: passaggio dal gruppo C al gruppo B ed elevazione di tre gradi nell’ordinamento gerarchico. (Approvazioni a sinistra).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Silipo, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se non ritenga opportuno estendere ai contadini dell’Italia meridionale l’amnistia già concessa a quelli del Centro-Nord per i fatti avvenuti in occasione dell’occupazione e della concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Confesso di non aver compreso con chiarezza a quale genere di amnistia si riferisca l’onorevole interrogante, perché egli domanda di estendere alle provincie meridionali l’amnistia già concessa a quelle del Centro-Nord per i fatti avvenuti in occasione dell’occupazione e della concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate.
Che io sappia, noi abbiamo avuto un decreto presidenziale 25 giugno 1947, n. 513 (che fu emesso dall’attuale Gabinetto, ma che era già stato deliberato dal Gabinetto precedente, di cui faceva parte, mi pare, l’onorevole Silipo come Sottosegretario) in cui venne concessa l’amnistia per i reati commessi in relazione alle vertenze agrarie ed in applicazione di quelle vertenze che furono regolate col cosiddetto lodo De Gasperi. Un primo progetto fu fatto con la estensione anche per i reati che si fossero verificati per l’occupazione delle terre non coltivate o insufficientemente coltivate, ma questa parte non fu compresa nel decreto e quindi il decreto stesso di amnistia si limitò soltanto ai fatti delittuosi commessi in occasione delle vertenze mezzadrili, che furono poi esaurite col lodo De Gasperi.
Quindi, se fosse così, non sarebbe questione di estendere una amnistia che non c’è. In altri termini, il decreto presidenziale del 25 giugno 1947, per deliberazione espressa da quel Consiglio dei Ministri, escluse la estensione di questo tipo di reato in relazione a queste determinate circostanze. Ed allora, non si tratta di estendere una cosa che non esiste.
Credo che l’interrogante sia caduto in un equivoco. Siccome non esiste l’amnistia, non c’è possibilità di estenderla. D’altra parte, se l’amnistia esistesse, non ci sarebbe bisogno di interrogare il Ministro della giustizia per farla estendere, ma l’autorità giudiziaria avrebbe il compito di applicarla.
PRESIDENTE. L’onorevole Silipo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SILIPO. Chiedo scusa all’onorevole Ministro di grazia e giustizia, se non sono stato chiaro nell’espressione, io non sono un avvocato. Ma vorrei sapere per quale motivo, mentre per i mezzadri dell’Italia settentrionale si sentì il bisogno di concedere l’amnistia, per i contadini di Calabria questo bisogno non è stato sentito. Onorevole Ministro, da noi le cose vanno molto male. Capisco molto bene che da noi non c’è quella preparazione politica che c’è nel Nord; comprendo molto bene che potrebbe essere questo un argomento di speculazione per intimidire le nostre masse contadine che, in preda alla superstizione e all’analfabetismo, potrebbero restare depresse ancora una volta. Non voglio fare apprezzamenti, che mi spingerebbero alla seguente conclusione: non si è estesa l’amnistia ai braccianti agricoli dell’Italia meridionale per esercitare un’azione intimidatrice su di una massa che preme e chiede che le sia riconosciuto il diritto al lavoro, che siano applicate in pieno – e secondo lo spirito informatore – i decreti sulla concessione delle terre incolte o insufficientemente coltivate. Non si è estesa l’amnistia per compiacere gli agrari affamatori e sabotatori della ripresa dell’economia nazionale, costringendo gente, che ha fame di terra, ad andare da un paese ad un altro per le pratiche di processi mastodontici, destinati a cadere per l’inconsistenza del presunto reato.
Così non sarà, perché non ci sarà azione tanto intimidatrice da potere, ancora una volta, far curvare la schiena ad un popolo che s’è svegliato, che ha acquistato piena coscienza dei suoi doveri e dei suoi diritti.
Non voglio – ripeto – fare apprezzamenti. Io, soltanto, ai suoi dubbi, onorevole Ministro, pongo questa domanda: perché, mentre per i mezzadri dell’Italia settentrionale e centrale si sentì il bisogno di concedere un’amnistia, per i contadini dell’Italia meridionale questo bisogno non è stato sentito? Che cosa c’è di diverso tra gli uni e gli altri? Vuole dare una risposta, onorevole Ministro, a questa mia domanda?
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ringrazio l’onorevole interrogante di avere preso atto che la interrogazione si riferisce ad una eventuale nuova amnistia da concedersi, dato che l’attuale amnistia non comprende affatto la possibilità di estensione per i reati compiuti in occasione di occupazione arbitraria di terre incolte, perché il problema dell’amnistia fu limitato esclusivamente a quei reati che si riferiscono alle vertenze mezzadrili. Ora il fatto che non esiste questa amnistia non è una colpa che si può addossare a me o all’attuale Gabinetto perché questa amnistia fu deliberata dal Gabinetto precedente. Io non ho fatto che attuare le pubblicazioni della legge in quanto essa era già passata alla Corte dei conti.
SILIPO. C’era un decreto Gullo per l’amnistia, che è stato presentato al Consiglio dei Ministri e che poi fu soggetto a modifiche.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. È proprio questo.
SILIPO. E queste modifiche furono fatte dal Gabinetto del quale lei fa parte, onorevole Ministro.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Può darsi che il Ministro proponente avesse esteso l’amnistia per altri reati, ma è anche vero che al Consiglio dei Ministri, di cui faceva parte anche il Ministro Gullo, fu deciso in quella maniera.
Questo risulta dagli atti, è cioè che questa proposta iniziale fu modificata dal Consiglio dei Ministri, ma con l’intervento del Ministro proponente, cosicché in questi limiti fu firmato il provvedimento e fu da me soltanto successivamente registrato.
Ormai la questione è chiusa: il provvedimento di amnistia è quello che è. Se lei domandasse a me di fare altri provvedimenti di amnistia, io le risponderò che questi provvedimenti non dipendono soltanto da un Ministro ma dall’intero Governo e dal Capo dello Stato. Inoltre penso che il Governo non possa estendere il provvedimento, specialmente ora che l’Assemblea Costituente ha disposto speciali norme per quanto riguarda l’indulto e l’amnistia.
SILIPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SILIPO. Mi attendevo questo fin de non recevoir, ma volevo ancora nutrire la illusione che il «no» non sarebbe stato così categorico. Forse sono stato troppo ingenuo ad attendermi dall’attuale Governo un provvedimento simile, perché la verità è questa: lei, il Governo attuale e, per quanto riguarda l’applicazione di una legge e di una amnistia, la magistratura italiana, oggi, sono troppo occupati nel proteggere, nel difendere, nell’assolvere la delinquenza fascista e neofascista per rendere giustizia ai lavoratori. (Rumori al centro e a destra). Sì, soltanto questo voglio dire io: si è troppo occupati a proteggere, a difendere ed assolvere i suddetti messeri, per trovare il tempo di rendere giustizia, quella «vera», a chi la chiede. Per conto mio, non chiedevo l’amnistia come atto di clemenza – gli autentici lavoratori non ne hanno bisogno – ma come atto di giustizia, ed è quello che è stato loro negato, qui, oggi (Approvazioni a sinistra – Commenti al centro e a destra).
PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni dell’onorevole Lami Starnuti:
ai Ministri di grazia e giustizia e dell’interno, «per sapere quali provvedimenti intendano prendere per impedire che si continui, senza alcun ritegno, a mezzo di agenzie e di giornali, una illecita attività diretta a violare il decreto legislativo luogotenenziale 12 ottobre 1945, n. 669, il quale vorrebbe impedire che nelle sublocazioni di immobili e nelle cessioni di affitto si compiano le peggiori speculazioni ai danni di chi cerca una casa»;
al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro di grazia e giustizia, «per conoscere gli intendimenti del Governo circa il blocco degli affitti».
Segue una interrogazione dell’onorevole Pressinotti al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per sapere se rispondano a verità le notizie apparse sulla stampa circa un imminente sblocco degli affitti; e se, nella eventualità che sia in preparazione un provvedimento del genere, non ritenga opportuno presenti le condizioni in cui verrebbero a trovarsi tante categorie di cittadini e in particolare quelli a reddito fisso (statali, pensionali, ecc.) e i lavoratori in genere».
Queste interrogazioni, trattando lo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente. L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Effettivamente, si tratta di interrogazioni connesse, per quanto distinte.
Per quanto riguarda la prima interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti, non c’è’ dubbio che le attività delle agenzie e dei giornali miranti a facilitare la ricerca di alloggi, in se stessa, è un’attività utile, specialmente nelle grandi città.
Se però nell’esplicazione di tale attività si viola la norma dell’ultimo comma dell’articolo 19 del decreto legislativo 12 ottobre 1945, riguardante il divieto di indennità di buona uscita, del rilievo di mobili, ecc., le agenzie e i dirigenti dei giornali commettono un concorso nel delitto punito e previsto dalla legge.
Tuttavia, la pubblicazione in se stessa, se può costituire un concorso nell’evento, occorre sempre che l’evento avvenga. D’altra parte, è difficile precisare, dal punto di vista giuridico, l’esattezza di questo concorso e se realmente si verifichi con la semplice pubblicazione.
Comunque, la questione dovrebbe essere esaminata dall’autorità giudiziaria competente.
Quello che è certo è che le autorità giudiziarie competenti, per quanto mi consta, non sono state mai investite di questo problema, ed è difficile che ne siano investite, dal momento che si tratta di un rapporto quasi occulto fra persone conniventi nell’atto, le quali hanno tutte le ragioni di non far sapere ciò che è accaduto.
Ad ogni modo, non si può che richiamare l’attenzione dell’autorità giudiziaria, perché, trattandosi di reato perseguibile di ufficio, si intensifichino le investigazioni; d’altra parte, richiamerò anche l’attenzione del Ministero dell’interno affinché cerchi di denunziare all’autorità giudiziaria agenzie e giornali che cerchino di collaborare in questa forma di reato che, specie in questo momento, rende assai più grave ed insolubile il problema di trovare una casa.
Per quanto riflette il richiamo dell’onorevole Lami Starnuti al problema degli affitti, siccome questo riguarda l’interrogazione dell’onorevole Lami Starnuti e di altri colleghi, io non posso, almeno per il momento, che dire questo: siccome, con il 31 dicembre prossimo, vengono a scadere i provvedimenti già predisposti dai precedenti Gabinetti, occorrerà nuovamente provvedere al riguardo. La maniera però con cui sarà provveduto è tuttora allo studio ed io non posso quindi darvene oggi alcun preannuncio, in primo luogo perché ancora, come ho detto, non v’è nulla di preparato; in secondo luogo, perché, quando anche vi fosse già un provvedimento predisposto, non potrei parimenti farvene cenno, giacché ogni decisione può essere soltanto presa dal Consiglio dei Ministri che è l’organo deliberante.
Posso comunque assicurare, che cercheremo di conciliare nel migliore modo possibile le esigenze della vita di coloro che si trovano nelle case e le esigenze della proprietà edilizia, soprattutto anzi dello sviluppo edilizio, dal punto di vista di un sempre maggior incremento di costruzioni ed anche per risvegliare un settore che è certamente il più importante e il più efficace per dar lavoro ai disoccupati.
PRESIDENTE. L’onorevole Lami Starnuti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
LAMI STARNUTI. Ringrazio l’onorevole Guardasigilli della sua risposta alle mie interrogazioni. Riconosco esatto quanto egli ha detto rispetto alla prima di esse. È certo che l’attività da me denunziata e che l’onorevole Guardasigilli ha riconosciuto sussistere, non è ancora reato: tanto vero che io l’ho qualificata soltanto illecita e non delittuosa; ma poiché trattasi di un’attività di preparazione ad un reato, penso che l’autorità di pubblica sicurezza avrebbe il dovere di intervenire.
Per questa ragione io avevo diretto la interrogazione, oltre che all’onorevole Ministro Guardasigilli, anche all’onorevole Ministro dell’interno: volevo appunto richiamare l’attenzione di questo su tale attività da parte di privati, di agenzie e di giornali, intesa ad eludere e a violare il decreto legislativo del 1946.
È certo che quasi sempre, questi delitti, che si consumano con l’imporre l’onere del rilievo dei mobili o il pagamento di grosse buonuscite, rimangono occulti e non vengono a conoscenza né dell’autorità giudiziaria né dell’autorità di pubblica sicurezza.
Ma, dal momento che la preparazione a questi delitti avviene pubblicamente, l’autorità di conseguenza ha il diritto e il dovere di intervenire prima che il delitto sia perfezionato e consumato. Le agenzie che si occupano di affari rappresentano certo di regola un’attività utile è non si può vietarle; ma dipendendo esse dalla discrezionalità della pubblica sicurezza, questa ha modo, volendo, di intervenire per imporre loro la rinunzia a quegli affari che non sono leciti, che sono anzi preparazione a un reato.
Penso del pari che l’autorità di pubblica sicurezza potrebbe intervenire anche presso le amministrazioni dei giornali per richiamarle alla moralità ed all’onestà dei loro avvisi pubblici. Quando io leggo, in giornali rispettabilissimi di Milano e di Roma, che un determinato inquilino è disposto a cedere il suo appartamento dietro rilievo del mobilio a prezzi ingentissimi, mi vien fatto di domandare: ma l’autorità politica, non legge, come leggiamo noi, gli avvisi economici dei giornali? E se li legge, perché non interviene a fare opera doverosa di prevenzione?
L’onorevole Guardasigilli ha dato assicurazioni che questa speciale attività illecita da me denunciata sarà d’ora in poi seguita…
PERSICO. E perseguita!
LAMI STARNUTI. Seguita per perseguirla! Ed io mi affido alla sua promessa.
La mia seconda interrogazione riguarda un argomento molto più ampio e molto più vasto. Io mi proponevo, presentando l’interrogazione, non soltanto di richiamare l’attenzione del Ministro e del Governo su questo ponderoso argomento, ma di ricevere qualche notizia circa gli intendimenti del Governo per la risoluzione del problema. L’onorevole Guardasigilli mi dice che gli studi non sono ancora compiuti, che il Consiglio dei Ministri non si è ancora occupato dell’argomento; e a me non resta che prendere atto delle sue dichiarazioni.
Ma io avevo letto nella stampa la sostanza di un provvedimento legislativo che pareva quasi pronto; e allora io ho presentato la mia interrogazione. Mi pareva altresì rispondente a un’alta esigenza politica che l’Assemblea Costituente conoscesse in tempo utile il programma del Governo in materia.
Io non desidero, e credo che con me non lo desiderino gli altri colleghi dell’Assemblea, che un provvedimento circa gli affitti sia maturato esclusivamente nell’ambito del Governo, e che l’Assemblea Costituente si trovi il 31 dicembre prossimo davanti ad un provvedimento legislativo preso dal Governo, con i poteri di urgenza, senza nemmeno sentire la Commissione legislativa della nostra Assemblea. È una materia quella degli affitti che interessa così profondamente e così largamente la popolazione italiana, che non può essere sottratta per intiero alla legittima rappresentanza della Nazione. Non soltanto il Governo deve contribuire alla risoluzione del problema, ma vi deve contribuire anche l’Assemblea attraverso i suoi organi, con i suoi propositi e con le sue idee. In verità, noi non potremmo essere favorevoli ad un immediato sblocco degli affitti, definitivo e totale.
L’onorevole Guardasigilli, amabilmente capovolgendo l’interrogazione, ha detto che ascolterà volentieri i consigli, le proposte, i propositi nostri; di modo che diventiamo un po’ noi gli interrogati. Se l’onorevole Presidente consente, e io non abuserò della sua condiscendenza, dirò pochissime cose, e brevissimamente, sulla materia.
L’onorevole Guardasigilli non ha bisogno che io richiami i precedenti legislativi: me li può insegnare e li trova certamente nel suo ufficio legislativo.
La crisi degli alloggi, il problema degli affitti, il problema del blocco e dello sblocco non è la prima volta che si presenta al Paese. Anche nell’altra guerra si presentò in maniera più o meno cruda, ma con esigenze quasi uguali alle attuali. L’altra volta impiegammo 10 anni a ritornare alla libertà degli affitti. Soltanto nel 1928, con decreto del 3 giugno, si dettarono le ultime disposizioni restrittive e si stabilì che la libertà nella negoziazione delle case avesse luogo dopo il 30 giugno del 1930. Dal 1919 al 1930 noi avemmo uno sblocco graduato, lento, durante il quale si tenne conto delle esigenze molteplici di tutta la nostra popolazione.
Perfino il governo fascista non ebbe il coraggio – assunto il potere – di dichiarare subito la completa libertà degli affitti. Il fascismo era stato sussidiato anche dai proprietari delle case e nel suo fardello portava anche la promessa della libera contrattazione; pure, appena legiferò in materia, e lo fece immediatamente con decreto 7 gennaio 1923, circondò la dichiarata libertà degli affitti di tante cautele, che in fatto la libertà non vi fu. Il decreto del 7 gennaio 1923 creò commissioni arbitrali, per risolvere le controversie fra inquilini e proprietari di case e per determinare l’equa pigione.
Ciò nonostante, quella limitata libertà diede luogo a gravi abusi, per cui locali di abitazioni rimanevano vuoti in seguito alle pretese esorbitanti di affitto richieste dai proprietari mentre molti rimanevano senza casa e senza tetto. E gli abusi e le pretese furono così gravi che il governo fascista si trovò costretto nel febbraio 1924 a restringere ancora la libertà delle contrattazioni, e a dare ai prefetti la facoltà di requisire quei locali che restavano vuoti per le esorbitanti pretese dei padroni di case.
Veda l’onorevole Guardasigilli e veda il Governo come una affrettata liberazione delle proprietà immobiliari da ogni vincolo potrebbe essere fonte di danni e di inconvenienti per tutti i cittadini.
Io comprendo la situazione delle proprietà edilizie. Certamente, i proprietari di case si trovano in una condizione disgraziata vedendo andar perduti tutti, o quasi, i loro redditi; ma penso che, a differenza di altri investimenti di ricchezza, la casa ha potuto conservare per intiero il suo valore capitale che nel volgere di brevi anni, man mano che questa bardatura necessaria verrà alleggerita e soppressa, darà di nuovo il suo reddito naturale. Riconosco che questa prospettiva non basta ad allietare chi ha bisogno oggi, e non domani, del suo reddito; ma nelle condizioni politiche ed economiche in cui si trova il Paese lo sblocco degli affitti sarebbe pericoloso e pernicioso. Noi dobbiamo tenere presenti le condizioni in cui si trovano migliaia di famiglie con reddito modesto, pensionati, impiegati, operai, piccoli professionisti, insegnanti. A tutta questa gente, i cui redditi non sono sufficienti per le esigenze più elementari della vita il Governo ha il dovere di conservare almeno la tranquilla sicurezza di una abitazione e di un tetto.
PRESIDENTE. L’onorevole Pressinotti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PRESSINOTTI. Io non mi posso dichiarare né sodisfatto, né insoddisfatto in quanto ho presentato una interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e feci la richiesta di una risposta urgente.
Me la si promise nella giornata di lunedì di questa settimana, poi si rimandò a quest’oggi pomeriggio, e vedo che l’interrogato non è presente.
PRESIDENTE. Ma è presente il Ministro di giustizia.
Veda, onorevole Pressinotti, perché sappia come vanno le cose: risponde il Governo per bocca dell’organo competente, anche se il deputato fa una interrogazione ad un Ministro di sua scelta.
PRESSINOTTI. Vorrei far presente che è un argomento di troppa importanza; è un argomento di carattere economico-sociale; è un argomento che deve essere dibattuto in quest’Assemblea; è un argomento che deve essere dibattuto e dall’Assemblea e dalle Commissioni specifiche; è un argomento che interessa milioni e milioni di italiani; è un problema sul quale noi dobbiamo discutere e sul quale il Governo deve dire la sua opinione; non acuire le apprensioni di tanti cittadini italiani che vedono approssimarsi la scadenza del blocco sugli affitti con terrore. Perciò mi permetta, signor Presidente, di mantenere la mia interrogazione e di attendere la risposta dal Presidente del Consiglio o almeno da parte dell’onorevole Sottosegretario di Stato Andreotti.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Io ho fatto brevissime dichiarazioni a nome anche del Presidente del Consiglio esponendo alla Camera la situazione reale dei fatti. Il Governo ancora non ha predisposto un testo da presentare all’Assemblea, ma certamente, prima di varare qualunque provvedimento definitivo, (poiché è un provvedimento che dovrebbe entrare in vigore prima del 31 dicembre e, quindi, dovrebbe essere pubblicato molto tempo prima) non mancherà di presentarlo alle Commissioni dell’Assemblea Costituente in tempo perché venga esaminato. Questo è l’impegno che il Governo prende. Quindi niente di improvvisato, niente che possa precipitare una situazione che tutti quanti riconoscono e che il Governo non può non riconoscere, di una tale ampiezza quale l’onorevole Lami Starnuti l’ha indicata. Con questi chiarimenti possiamo essere tutti sodisfatti nel senso che le mie dichiarazioni non potevano essere precise nel contenuto, perché io stesso non so quando il Governo predisporrà il provvedimento. Comunque esso verrà preparato in tempo perché le Commissioni possano esprimere il loro parere.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione delle onorevoli Merlin Angelina, Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Montagnana Rita, al Ministro dell’interno, «per avere spiegazioni sull’incidente avvenuto in occasione delle recenti dimostrazioni popolari, a Lecce, durante le quali gli agenti di polizia percossero una donna al punto da cagionarle il parto prematuro».
Non essendo presente nessuna delle interroganti si intende che vi abbiano rinunziato.
Segue l’interrogazione dell’onorevole Morini, al Ministro delle finanze, «per conoscere se non si ritiene urgente ed indispensabile – in rapporto e riferimento al decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177 – emanare disposizioni le quali: a) permettano anche ai comuni interessati il controllo sui cinematografi, contemplato nell’articolo 62 del testo unico 30 dicembre 1933, n. 3276; b) modifichino radicalmente l’attuale procedura di versamento dei contributi ai comuni; procedura che attualmente rende utilizzabili i proventi spettacoli solo a distanza di anni».
L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.
PELLA, Ministro delle finanze. Per quanto riguarda la richiesta dell’onorevole interrogante che il controllo sulla riscossione dei diritti erariali sia affidato ai comuni, occorre tener presente che i diritti erariali sugli spettacoli cinematografici benché devoluti ai comuni dal decreto-legislativo 29 marzo 1947, n. 177, conservano sempre la natura di tributo erariale e come tali devono restare assoggettati ai normali organi di controllo dello Stato. Occorre aggiungere che nell’opera di vigilanza gli agenti della Società italiana autori ed editori, a cui è affidato l’accertamento e la riscossione dei diritti erariali, sono affiancati dai funzionari dell’amministrazione finanziaria, dal personale ispettivo per la polizia tributaria investigativa, dagli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa del corpo della guardia di finanza, dall’arma dei carabinieri, dai funzionari e agenti di pubblica sicurezza, per cui l’onorevole interrogante vorrà riconoscere che si sia giustamente perplessi in ordine alla proposta di aggiungere altri organi preposti a questo controllo.
Per quanto riflette la procedura di pagamento del tributo, il ritardo giustamente lamentato, finora verificatosi nella liquidazione delle quote di compartecipazione spettanti per gli anni 1944-45 e 1946, è dipeso dalle contingenze di guerra che non hanno permesso alla Società italiana autori ed editori di poter completare e trasmettere in tempo debito al Ministero delle finanze i relativi rendiconti. Detta società ha assicurato, a seguito delle sollecitazioni fatte in queste ultime settimane, che il riparto delle percentuali spettanti nel periodo 1944-46 e primo trimestre 1947 è stato ultimato, cosicché, siccome sono stati già ottenuti i fondi dal Ministero del tesoro, sarà subito provveduto all’emissione dell’ordine di accreditamento a favore delle Intendenze le quali provvederanno al pagamento. Per quanto riflette il periodo successivo a quello sopra indicato, la Società degli autori sta predisponendo la liquidazione dei diritti spettanti ai singoli comuni; e appena la Direzione generale delle tasse sarà in possesso dei prospetti di riparto e dei relativi conti, provvederà alla erogazione delle somme. L’inevitabile ritardo dovuto alle accennate difficoltà di raccogliere gli elementi relativi alla riscossione del periodo bellico e alla complessità delle liquidazioni da ripartire tra circa 7000 comuni, ha indotto l’amministrazione ad esaminare la possibilità di affidare per l’avvenire, per maggior speditezza, anche il servizio di pagamento alla stessa Società degli autori con disposizione che sarà introdotta nelle modifiche da apportare alla legislazione sulla finanza locale. Assicuro l’onorevole interrogante che proprio in questi giorni si sta studiando il provvedimento legislativo che dovrebbe dar corpo a questa proposta di modifica.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MORINI. La risposta del Ministro delle finanze non è completamente sodisfacente per me e nemmeno, certamente, per i comuni che sono i maggiori interessati nella questione da me sollevata. La legge del marzo 1947 ha il lodevole intento di fornire ai comuni – soprattutto ai comuni deficitari – i mezzi per far fronte ai loro bisogni. Lodevole intenzione, a cui mi pare non risponda il modo di attuazione.
I due punti a cui io accennavo nella mia interrogazione e a cui ha risposto l’onorevole Pella sono: controllo degli incassi dei cinematografi, e modo di versamento delle percentuali spettanti ai comuni sugli incassi dei cinematografi stessi.
Sulla prima parte, la risposta del Ministro è stata completamente negativa. Non è la parte più importante; ma all’osservazione del Ministro, tendente a dimostrare che vi è già un tale cerchio di controlli per cui non è più necessario il controllo dei comuni, mi permetto di osservare semplicemente questa circostanza: questi controlli sono stati costituiti quando nelle riscossioni e nella divisione delle percentuali i comuni non avevano nessun interesse; e appunto in rapporto a queste ripartizioni di percentuali di incasso è stato costituito il sistema di controlli ancora vigente. Oggi i comuni sono i maggiori interessati nella ripartizione, perché la percentuale a favore dei comuni è altissima. Non c’è nessuna ragione perché i comuni non abbiano il diritto di vedere cosa succede, se si dà questo diritto alla Società degli autori che ha una percentuale molto minore. Ad ogni modo, la questione sostanziale non è tanto quella dei controlli quanto quella del tempo entro il quale queste percentuali devono arrivare. E su questo punto la risposta del Ministro è in parte sodisfacente. Ma noi attendiamo sempre i fatti; perché, purtroppo, parecchie volte abbiamo avuto promesse, ma successivamente non sono venute le disposizioni. È pacifico che i comuni – lo ha riconosciuto il Ministro Pella – non ricevono queste somme, di modo che l’inconveniente gravissimo in cui incespica la finanza comunale è questo, che si mette in bilancio un determinato incasso, e non si sa poi se si potrà usarlo, perché queste somme arrivano in ritardo. Infatti, abbiamo avuto conferma dalle dichiarazioni del Ministro che ai comuni italiani non sono arrivati gli incassi del 1944-45; e non sono ancora arrivati gli incassi del 1° trimestre del 1947, quelli cioè stabiliti dalla legge del 1947 stessa. Ora, tutto questo costituisce un sistema attraverso cui il bilancio comunale si trova sempre in una situazione fluida di incertezza, perché non sa di quali introiti si potrà disporre.
Il Ministro Pella ha detto che è allo studio un sistema più snello. Mi permetto di raccomandare che – se non sarà possibile arrivare ai versamenti diretti degli introiti – si cerchi, per evitare l’enorme perdita di tempo attraverso i vari passaggi, altro sistema, in virtù del quale, in attesa del calcolo preciso delle somme spettanti ai comuni, si versino acconti, per esempio i nove decimi dell’ammontare definitivo, salvo conguaglio; in modo da dare ai comuni una sicurezza di bilancio, di cui essi oggi non possono godere.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Villabruna, al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere se, di fronte alla palese e riconosciuta imperfezione delle disposizioni di legge vigenti in tema di procedimenti a carico di ex fascisti imputati di collaborazionismo, alla quale imperfezione è dovuto il costante susseguirsi di decisioni giudiziarie disformi e contradittorie, le quali commuovono sfavorevolmente l’opinione pubblica e pregiudicano il prestigio della giustizia, non ravvisi la necessità urgente di un provvedimento legislativo, che, eliminando e correggendo le deviazioni e le anomalie delle vigenti norme di legge, limiti l’intervento della giustizia punitiva ai soli casi di delinquenza comune occasionati da motivi politici».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia c giustizia. L’onorevole interrogante si riferisce a decisioni difformi e contradittorie, che si sarebbero prese nell’applicazione della legge a carico di ex fascisti, imputati di collaborazionismo, e ritiene che tali incertezze siano conseguenza della imperfezione della legge vigente.
Mi permetto osservare all’onorevole interrogante, che è esimio penalista del foro torinese, che le incertezze si sono avute non tanto nell’applicazione della legge del 27 luglio 1944, n. 159, contenente sanzioni contro il fascismo, ma soprattutto nell’applicazione del decreto presidenziale 22 giugno 1946, col quale venne concessa amnistia per molte figure di reati, comprese in quella legge.
Ora, è difficile stabilire quanta parte di tali incertezze sia dovuta alla formulazione non estremamente precisa – dobbiamo riconoscerlo tutti – del decreto di amnistia e quanta alle uniformi e costanti vedute del giudice, chiamato ad applicare la legge.
Certo, una costanza ed uniformità nelle decisioni giudiziarie, tanto nel campo civile come in quello penale, si raggiunge dopo un certo periodo, in cui gli stessi fatti vengono al giudizio di giudici e si incanalano secondo le decisioni dell’organo supremo dell’autorità giudiziaria.
Per questi reati, i quali non erano tipici del nostro Codice, ma di eccezione, non era facile trovare un’applicazione sempre costante ed uniforme; tanto più che poi, come l’onorevole interrogante deve ben comprendere, si adattano a situazioni di tempo e di ambiente, che modificano sostanzialmente anche la portata di questi reati di collaborazione ad un determinato regime, di una determinata situazione politica ormai superata e che non trovano più corrispondenza nei tempi successivi. Tutte queste incertezze, secondo me, derivano da questi fatti. Anzitutto dal fatto di una legge emanata unicamente nel 1944, in un determinato clima ed in vista di una determinata situazione, per certi reati che non sono più continuati, ma finiti nel tempo, e che trova, in tempo successivo, degli ambienti e delle situazioni completamente diversi. Ma soprattutto penso che è derivata dall’applicazione della legge e del decreto presidenziale sull’amnistia, il quale, avendo già estinti i reati, salvo gli elementi ostativi, ha determinato su questa situazione degli elementi ostativi, la discrepanza della giurisprudenza, e non soltanto di quella periferica, cioè delle Corti di assise, ma anche degli organi centrali. Cosa si può fare per rimediare a questa situazione? Ritiene ella possibile intervenire e modificare i provvedimenti dell’amnistia? Non credo che nessuno di noi lo possa pensare, in quanto la legge è ormai superata nel tempo ed i reati da essa contemplati sono tutti elencati e, del resto, restano ormai poche persone da giudicare in base a quella legge.
Io penso che ci si trova dinanzi ad una situazione di eccezione, che noi possiamo benissimo superare, in quanto si tratta dell’eredità di una guerra e di un regime ormai superato. Noi dobbiamo cercare di rinnovare la società italiana, ma bisogna provvedervi con altri sistemi e ritornare alla normale giurisdizione.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
VILLABRUNA. Riconosco che le spiegazioni dell’onorevole Guardasigilli sono abili ed accomodanti. Però avrei preferito una risposta più esplicita e più rassicurante.
Qui non c’è di mezzo una questione politica, siamo perfettamente d’accordo; c’è però di mezzo una questione grave e preoccupante, che riguarda né più né meno che la serietà e la dignità della giustizia. Nessuno di noi può fingere d’ignorare quanto sta accadendo in sede giudiziaria, per quanto riguarda la repressione dei delitti cosiddetti fascisti. V’è una serie sistematica di fatti, che mi permetto di definire per lo meno sconcertanti,
V’è prima di tutto il fenomeno che riguarda la posizione degli alti gerarchi. Chi non conosce come realmente stiano le cose, può supporre che per gli alti gerarchi vi sia un Dio ignoto che li protegga. La realtà non è questa, onorevole Guardasigilli: è la legge stessa che offre agli alti gerarchi la tavola della salvezza, mentre riserva la tempesta delle condanne alle figure minori.
V’è poi lo sconcio – mi si consenta di definirlo così –, dei seviziatori. Siamo perfettamente d’accordo: il decreto di amnistia è quello che è e non possiamo modificarlo; ma è certo che noi oggi ci troviamo di fronte a certe interpretazioni di quel decreto che, mi si consenta di dirlo, costituiscono un’offesa alla nostra sensibilità ed al nostro senso di umanità.
Basterà che io ricordi l’ultima decisione della Suprema Corte: è una cosa, onorevoli colleghi, che mette addosso addirittura i brividi. È detto in questa sentenza che «secondo l’espressione letterale e lo spirito informativo dell’articolo 3 del decreto 22 giugno 1946, n. 4, a costituire le sevizie particolarmente efferate non è sufficiente un atto di crudeltà, insita nel semplice concetto di sevizia, né basta che la crudeltà sia soltanto inumana o quasi propria delle fiere, cioè efferata, ma occorre che raggiunga e sorpassi ogni limite di sopportabilità e sia considerata un episodio di vera barbarie. Nel caso che oltre schiaffi, pugni e nerbate, negli atti si parli – (chiedo venia, ma spero che non ci siano delle onorevoli colleghe presenti) – di compressione dei testicoli e di applicazione alla testa del paziente di un cerchio gradualmente restringibile, senza escludere che simili atti possano costituire sevizie particolarmente efferate quando per la loro durata e intensità abbiano superato ogni limite di sopportabilità, ciò non può affermarsi quando le stesse parti offese non abbiano precisato per quanto tempo siano state prolungate (Commenti) le compressioni dei testicoli e le applicazioni del cerchio alla testa». (Commenti).
Una voce a sinistra. Così facevano i fascisti alla Casa dello studente.
VILLABRUNA. Altro fenomeno sconcertante, onorevole Guardasigilli, è l’indecoroso andirivieni dei processi da una sede all’altra, dovuto ad un perenne dissidio fra le Corti d’assise locali, che quasi invariabilmente condannano, e la Corte di Cassazione, che quasi invariabilmente assolve. Tutto questo avviene con grave scapito della giustizia e, mi si consenta anche di aggiungere, con ingente sacrificio per l’Erario.
Ora, l’opinione pubblica ha il senso direi quasi istintivo della giustizia, e di fronte a queste deformazioni della giustizia ha ragione di domandarsi: perché tutto questo avviene? Ed allora, l’opinione pubblica, la quale non conosce la vera fonte di questi squilibri, è istintivamente indotta a ritenere che questo avvenga o per inettitudine dei giudici o, peggio, per spirito settario dei giudici.
È una leggenda; ma è una leggenda la quale sminuisce, scredita il prestigio della funzione giudiziaria. E fatto ancor più doloroso è che giornali e uomini politici troppo spesso raccolgono e ribadiscono questa censura che, torno ai ripetere, getta un’ombra di discredito sull’opera dei magistrati, siano essi magistrati togati o magistrati popolari.
Ora, onorevole Ministro di grazia e giustizia, io mi permetto di affermare che questi squilibri, che queste deformazioni della giustizia non derivano tanto dalla colpa degli uomini quanto dal difetto organico delle leggi. Non discuto il decreto di amnistia. Purtroppo esso esiste e non lo possiamo cancellare. Ma io parlo della legge base, della legge originaria, sulla quale richiamo tutta l’attenzione dell’onorevole Guardasigilli. È una legge semplicemente inconcepibile, perché non soltanto ha violato il principio fondamentale della irretroattività della legge penale, ma è partita da un presupposto, che mi permetto di definire per lo meno azzardato. È partita dal presupposto che soltanto il Governo che si trovava al di là della linea gotica potesse impartire degli ordini legittimi.
Ora, sapete, onorevole Guardasigilli, qual è la conseguenza di questo presupposto? Quando si tratta di giudicare alti gerarchi, che hanno promulgato bandi scellerati, essi hanno buon giuoco per dimostrare che tali bandi, anche se illegittimi, in definitiva non rappresentavano altro che la estrinsecazione del potere di cui erano investiti in relazione alla carica che occupavano. Ed allora chi è che rimane nella pania? Quei disgraziati modesti funzionari che, per ragione del loro ufficio, hanno dovuto dare esecuzione a questi bandi. Per costoro non v’è possibilità di salvezza, perché non possono invocare a loro difesa il principio fondamentale consacrato dal nostro Codice penale, all’articolo 51; e cioè il fatto che come pubblici ufficiali essi erano tenuti ad osservare l’ordine impartito, anche se l’ordine era illegittimo, dato che non esisteva una legge che consentisse ad essi di sindacare la illegittimità dell’ordine stesso.
Ora tutto questo non può continuare. Senonché, quando lo squilibrio deriva da un difetto organico della legge, se non si sopprime la legge, non si sopprimono gli inconvenienti che ne derivano.
Io concludo allora col dire: sopprimiamo una simile legge, facciamo rientrare la funzione punitiva nell’alveo del Codice penale ordinario. Io penso che sarebbe un atto di coscienza e di maturità politica quello di riconoscere che se quella legge era comprensibile in un primo momento, ora, di fronte ai risultati che si sono ottenuti e che non sono stati quelli a cui aspiravamo, quella legge non deve sopravvivere, ma merita di essere cancellata.
Se non volete arrivare fino a questo punto, se il passo vi sembra troppo azzardato, onorevole Ministro, non credete voi di proporre per lo meno una modifica, una correzione del decreto di amnistia, così da cancellare per lo meno le assurdità maggiori, le discrepanze più appariscenti? Io non voglio darvi dei suggerimenti; tutt’al più potrei invitarvi a leggere il mirabile studio del professore Santoro, pubblicato in uno degli ultimi fascicoli della rivista Massimario penale; troverete in quello studio proposte concrete di modifica del decreto di amnistia, tali da cancellare quelle discrepanze che maggiormente offendono non soltanto il senso giuridico, ma il senso di giustizia e di umanità.
Io mi sono permesso di porre la questione, e non dubito che voi la approfondirete. Sono lieto di aver proposto il quesito, perché (non l’ho fatto certamente per tenerezze filo-fasciste) v’è un’ansia in fondo al mio cuore, ed è un’ansia che si è fatta ancora più acuta in questi giorni, durante i quali noi ci affatichiamo per dare un nuovo volto e una nuova anima all’amministrazione della giustizia.
Ora, una giustizia, veramente degna di noi, non può essere che una giustizia che sia giusta ed eguale per tutti. (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Barbareschi, Faralli e Pertini al Ministro di grazia e giustizia, «per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei confronti del procuratore generale della Repubblica di Napoli, il quale, durante la discussione del processo Basile, conclusosi in modo tanto offensivo per la giustizia, ha dichiarato che le leggi eccezionali per le sanzioni contro i fascisti sono una mostruosità ed ha insinuato che la Magistratura del Nord nel giudicare i fascisti ha subito interferenze estranee ed ha perciò compiuto non opera di giustizia, bensì di vendetta; affermazioni queste che non sono assolutamente compatibili con la qualità di magistrato e che suonano aperta sconfessione delle leggi dello Stato da parte di chi dovrebbe sentire solo il dovere di applicarle».
L’onorevole Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di rispondere.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Rispondo agli onorevoli interroganti, i quali vorrebbero sapere quali provvedimenti abbia preso il Ministro di grazia e giustizia nei confronti del procuratore generale della Repubblica di Napoli, a proposito di alcune dichiarazioni che egli avrebbe fatto in occasione della discussione del processo Basile.
Occorre che sia molto limitato nella risposta, per il mio dovere di Ministro di grazia e giustizia nei confronti di un magistrato. Devo dire che ho letto per conto mio la requisitoria pronunziata dal sostituto procuratore generale, dottor Siravo, che mi si dice – e risulta dai fascicoli presso la nostra Direzione generale del personale – è uno dei buoni, degli ottimi magistrati della Curia napoletana.
Una voce a sinistra. È un fascista!
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ripeto, ho voluto leggere questa requisitoria, che mi è stata mandata, per vedere i punti che potevano essere eventualmente richiamati da parte dell’Amministrazione della giustizia.
Ora, devo assicurare gli onorevoli interroganti che, per quanto riguarda questa prima parte – ossia la dichiarazione che le leggi eccezionali siano mostruose – devo escluderla completamente, perché nessuna parola che possa interpretarsi come definizione di tal genere delle leggi eccezionali è stata pronunciata da questo magistrato.
Da questo punto di vista, la discussione che ha fatto l’onorevole Villabruna ha dimostrato che effettivamente queste leggi, quanto meno, presentano delle difficoltà di interpretazione, essendo leggi imperfette ed improvvisate in un particolare momento di esigenze politiche, e non leggi che vengono da una tradizione.
Come prima ho resistito alle richieste dell’onorevole Villabruna, così devo dire qui, che effettivamente queste leggi hanno presentato e presentano delle difficoltà, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Villabruna, e i colleghi non hanno contestato questa asserzione. Quindi, se il giudice avesse detto questo, in fondo non avrebbe detto una cosa contraria ad una obiettiva situazione di fatto.
Una voce a sinistra. Lo ha detto! (Commenti).
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Tuttavia, escludo in modo assoluto che una espressione di questo genere sia venuta da parte del Siravo, che rappresentava la pubblica accusa nel processo Basile: nessun apprezzamento di questo genere è stato espresso nei confronti delle leggi contro il fascismo.
Invece, c’è la seconda parte dell’interrogazione, nella quale si asserisce che il predetto magistrato avrebbe insinuato che la Magistratura del Nord, nel giudicare i fascisti, ha subito interferenze estranee ed ha perciò compiuto non opera di giustizia, ma di vendetta. Effettivamente su questo punto ci sono state delle espressioni, che credo siano state rilevate da parte della stampa; ma bisogna leggerla integralmente questa arringa, questa difesa fatta dal procuratore generale. Egli ha stabilito dei criteri di introduzione della causa, in cui ha stabilito delle posizioni di clima, di ambiente, e, in tale situazione, ha dichiarato quanto né più né meno emergeva dai verbali dei precedenti processi.
C’era stata già infatti una prima sentenza della Corte speciale di Milano del 1945, un secondo giudizio a Pavia, poi un altro ancora a Roma; la causa fu poi nuovamente rinviata a Venezia, poi per suspicione a Napoli. Ora, in questi diversi processi – o, per meglio dire, nei verbali relativi a tutti questi diversi processi – si accenna a violenze che sarebbero state commesse da parte del pubblico. Né ciò deve troppo meravigliarci, se teniamo presente l’eccezionale atmosfera arroventata del momento.
Questo dunque si è limitato a dichiarare il procuratore generale della Repubblica di Napoli: fece bene o fece male? Questo io non posso dirlo; io mi colloco al di sopra della questione. Desidero però farvi presente che, a prescindere dai magistrati togati e che facevano parte di quella giuria, vi erano cinque eletti della giuria popolare, i quali erano stati eletti dal Comitato di liberazione, con i sistemi che tali Comitati adottavano, e pertanto di essa facevano parte cittadini scelti fra tutti i partiti: v’era infatti un liberale, un socialista e un democristiano.
Il giudice Siravo, dunque, concluse la sua arringa con le seguenti parole: «Signori della Corte! Io non so come saranno accolte queste mie richieste: sappiate comunque che esse sono il frutto della mia coscienza».
FARALLI. Di fascista! È un fascista! (Commenti – Proteste al centro).
LEONE GIOVANNI. È il più indipendente magistrato di Napoli: lei non lo conosce.
FARALLI. È un volgarissimo fascista: ha chiesto l’assoluzione di Basile!
LEONE GIOVANNI. Siravo è un indipendente. Lei non lo conosce.
FARALLI. Lo conosciamo per quello che ha fatto! Lo conosciamo per l’assoluzione di Basile! Io mi offendo come genovese! Basile è un assassino!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ha la parola l’onorevole Ministro di grazia e giustizia: lo lascino proseguire.
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. Ho voluto esporre obiettivamente all’Assemblea quanto mi risulta dagli atti. Dagli atti risultano queste affermazioni; non v’è dunque alcun apprezzamento da parte del giudice Siravo intorno alle leggi contro il fascismo, ma soltanto un apprezzamento di quello che poté essere stato l’ambiente delle altre città, dove si svolsero gli altri processi.
Ha fatto bene? Ha fatto male? Io adesso mi pongo al di fuori della situazione.
Certo è che egli concluse la sua arringa dicendo: «Questo è frutto di meditata coscienza, del quale assumo piena responsabilità».
Aggiungo che, come Ministro, io mi sono preoccupato di quello che fu il movimento della pubblica opinione rispetto ad un fatto di una certa gravità – ed io non posso non confessarlo, perché di fronte ad una Corte di assise che condanna a morte e una che assolve, sono rimasto anch’io perplesso e preoccupato. Telegrafai al procuratore generale per sentire se non fosse il caso di far ricorso in Cassazione. Mi fu risposto da parte di tutta la Magistratura napoletana che il Siravo era un uomo che aveva esposto la situazione secondo la sua coscienza, secondo il suo dovere di magistrato, e che la Corte di assise speciale di Napoli, composta in quella maniera che ho detto, aveva ritenuto suo dovere di assolvere il Basile.
FARALLI. Tre contro due!
GRASSI, Ministro di grazia e giustizia. La Corte non aveva altro da fare. Voi sapete i provvedimenti che il Governo prese in quella situazione; voi sapete anche che Genova e la procura generale di Genova hanno ripreso e riaperto il processo contro il Basile, per fatti non tenuti presenti nelle sentenze precedenti, e che daranno luogo ad un processo che verrà celebrato: e vedremo a quali risultati porterà.
Quindi, in questo momento la Magistratura, sia pure attraverso quelle che possono essere le sue deficienze e le sue esagerazioni, procede avanti. Teniamo fede ancora alla giustizia italiana: è il solo criterio sul quale noi ci possiamo fondare, perché qualunque altro criterio, qualunque altro intervento, o di Governo o di Assemblee o di piazza, in quella che è l’amministrazione della giustizia, costituirebbe la forma più deleteria per un regime democratico quale è quello che noi vogliamo instaurare in Italia. (Approvazioni al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Pertini, firmatario dell’interrogazione, ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PERTINI. Cercherò di essere breve.
L’esasperazione manifestata dall’amico Faralli non può essere compresa da voi, perché non avete vissuta la tragedia della Liguria, onorevole Crispo e signori del Governo. Il caso Basile non poteva non avere ripercussioni anche in questa Assemblea; esso ha turbato, infatti, l’opinione pubblica un po’ in tutta l’Italia, ma specialmente in tutta la Liguria, perché il caso Basile è un caso che tutti ricordiamo e che ci ferisce nella nostra carne. Io non posso non ricordare in questo momento che un mio fratello, onorevole Ministro, è andato a morire in un campo di concentramento della Germania per opera del Basile. Il Basile è stato un collaborazionista, che ha fatto fare dei rastrellamenti; era uno strumento cosciente nelle mani dei nazisti, che allora dominavano in Liguria.
Tutto questo noi non lo possiamo dimenticare; ed ecco quindi l’esasperazione dell’amico Faralli. E noi certo siamo ancora turbati e preoccupati delle decisioni prese dalla Magistratura. Abbiamo avuto questa sensazione (e non soltanto noi; vi ha accennato, non per il caso Basile, ma per altri casi, il collega Villabruna – e se c’è un uomo che nel suo passato ha sempre dimostrato di rispettare la funzione della Magistratura, è precisamente il Villabruna nella sua professione di avvocato – eppure anche lui ha detto questo: che quando si tratta di pezzi grossi dell’ex regime fascista, si cerca di sottrarli a quella che dovrebbe essere la loro giusta condanna).
Per il Basile, che cosa si è fatto? Debbo ricordare, e ne assumo piena responsabilità – credo che ogni uomo debba avere sempre il coraggio delle sue parole e delle sue azioni – che se si fosse eseguito l’ordine che noi demmo allora – e l’amico Marazza forse non l’ha dimenticato – quando facevamo parte del Comitato di liberazione Alta Italia, questo caso Basile non esisterebbe, non se ne parlerebbe più. L’ordine non è stato eseguito, e la colpa è stata dei nostri, che non l’hanno voluto eseguire tempestivamente e hanno lasciato che il Basile cadesse nelle mani degli alleati, i quali, naturalmente, l’hanno sottratto alla giusta condanna. Comunque sia, questa è la sensazione dolorosa che noi abbiamo avuto: il Basile viene condannato a Pavia, poi lo si manda alla Corte di assise di Venezia, e quindi, per interventi di non sappiamo quale parte, ma che è facile supporre, viene tolto dalla Corte di assise di Venezia, e viene mandato in quel di Napoli.
Qui allora abbiamo avuto l’esatta sensazione che in tutti i modi si volesse sottrarre questo criminale di guerra alla giusta condanna, al plotone di esecuzione, perché quello meritava il Basile!
E veniamo al caso specifico di cui fa oggetto la mia interrogazione.
Si dice: il Siravo è un funzionario che merita tutta la nostra stima.
La vostra stima! Bene, onorevoli colleghi: io fui avvicinato dall’amico Crispo. Ci divide la fede politica, ma ci unisce una amicizia sincera. E Crispo mi ha detto: badi, a me risulta che Siravo non avrebbe detto quello che lei ha denunciato.
E allora, Onorevole Crispo, deve prendere atto che sono rimasto un po’ preoccupato. Se il Siravo non l’avesse detto, non lo avrei denunciato. E allora, onorevole Crispo, sono andato alla sua bella Napoli, che anch’io amo molto e di cui sono anche deputato. Lì ho assunto informazioni proprio da coloro che avevano assistito al processo. Anch’io, amico Crispo, sono stato avvocato venti anni fa, prima di andare in galera! E lo sappiamo benissimo come talvolta vengono fatti i verbali di udienza, non è vero, amico Villabruna? Sono verbali, dove come in tutti i verbali, si modifica qualche frase.
Certo è questo: che il Siravo, a detta di tutti coloro che hanno assistito al processo, disse quelle parole.
E non si dimentichi: non dobbiamo calunniare la stampa dicendo che fa insinuazioni a cuor leggero! Tutta la stampa che riprodusse il processo Basile, e quindi non solo la requisitoria del procuratore generale Siravo (io mi trovavo a Genova, perché sono direttore del giornale Il Lavoro), tutta la stampa – dicevo – riprodusse le parole da me denunciate nella interrogazione che oggi si discute. E l’Ansa diede proprio quella versione, amico Crispo! È uno strano caso: mi dica come si può spiegare, onorevole Crispo, che tutte le persone che hanno assistito al processo mi hanno riferito questo: disse che la giustizia in Alta Italia, e anche nel caso Basile, aveva ceduto a pressioni esterne; stroncò le precedenti sentenze dicendo che il Basile «non era collaborazionista e, se lo fosse stato, forse avrebbe avuto ragione, se si pensi come i liberatori sono stati ingrati verso il popolo italiano». Queste sono le sue parole, messe proprio fra virgolette. In ultimo osservò la non giuridicità e l’inopportunità delle leggi sui delitti fascisti e concluse dicendo, che il Basile, oggi imputato, poteva essere domani portato sugli scudi!
Ora, questa non è espressione del pensiero di un magistrato! Questa è l’espressione della coscienza dell’uomo politico, che ha il sopravvento!
Ora, io non nego che il giudice possa anche interessarsi di politica, ma deve interessarsene quando non esercita il magistero della giustizia. Quando esercita la sua funzione di giudice, egli deve dimenticare di essere un uomo politico!
E vi è di più. Dobbiamo chiederci: è veramente il Siravo la persona che ci ha descritto l’onorevole Ministro? E, con alcune interruzioni, di questa persona ci hanno parlato anche alcuni colleghi di quella parte (Indica il centro), dicendo che è un uomo corretto. Ebbene, io mi auguro che non ce ne siano altri di questi magistrati!
E subito voglio fare una parentesi, per chiuderla immediatamente, onorevole Crispo. Io non metto tutti in un fascio i magistrati d’Italia. Anche nella sua Napoli, vi sono stati magistrati che sotto il fascismo non si sono lasciati influenzare dal regime. E specialmente ricordo la 15a sezione, presieduta da quel galantuomo che è Ricciulli. Anch’io l’ho esperimentato.
Sa che io ho avuto una quantità di processi. Sono andato sotto processo come confinato, e venni assolto dal Ricciulli, che, nonostante le pressioni che erano state fatte dal Capo del Governo di allora, giudicò secondo la sua coscienza di giudice, secondo la sua coscienza di galantuomo, e mi mandò assolto.
Questo per dire che io non intendo mettere tutti i magistrati d’Italia nello stesso fascio e dire che è tutta gente che si fa influenzare dalla politica. Me ne guardo bene, ma certamente, se si esaminano i precedenti del Siravo, dobbiamo pensare che giusta è la nostra interpretazione, nel senso che il Siravo ha una coscienza politica, cioè si lascia influenzare dal suo sentimento politico e ha una mentalità che è una mentalità fascista. Tanto è vero che mentre egli non trova nessuna difficoltà a proporre l’applicazione di quella sciagurata amnistia di cui tu hai parlato, Villabruna, nei confronti del Basile, quando si tratta di coloro che hanno beneficiato per i fatti di Caulonia, il Siravo, senza altro, afferma che questa amnistia applicata nei confronti dei partigiani di Caulonia è stata veramente una cosa ignominiosa. Perché per Basile, che è un criminale di guerra dice: è giusto applicare l’amnistia; per i partigiani di Caulonia dice: applicarla in questo caso è un atto di ingiustizia, di ignominia?
Ma v’è di più; vi è stato un processo fatto nei confronti di alcuni nostri avversari.
Ebbene, nel marzo 1946, egli che cosa ha detto? Ha fatto di queste affermazioni: se l’è presa col Governo da cui dipendeva, dicendo che esso si basava sulla finzione di una esarchia.
È una opinione di carattere politico che l’uomo esprimeva; ma è un’opinione che mette in luce il suo vero animo, che è un animo che combatteva l’esarchia, il Governo, che come funzionario aveva il sacrosanto dovere di rispettare, anche se nell’intimo poteva non approvare.
Ma v’è di più: non mancavano in quel processo accenni ai partiti, che, a suo dire, non esitavano, pur avendo responsabilità di Governo, ad accostamenti che sembrano in contrasto col sentimento nazionale.
Questo l’ha detto nella sua requisitoria del marzo 1946, onorevole Crispo.
E concludo: che in realtà in quest’uomo l’animo politico ha il sopravvento su quella che è la coscienza del giudice.
È qui tutta la ragione della nostra interrogazione.
Voi, onorevole Ministro, dite: «come possiamo noi intervenire»? Ah, no! Voi non potete intervenire nelle sentenze che vengono emanate dai giudici; voi non potete intervenire nei deliberati di un dato tribunale, ma sul contegno di un procuratore generale voi avete non solo la possibilità, ma il dovere di intervenire, perché egli è sempre un funzionario, che deve attenersi alla legge, osservare la legge che è stata emanata dal potere legislativo.
Ecco la ragione di questa nostra interrogazione, perché, se per caso noi lasciassimo, come sotto il fascismo, che la Magistratura venga inquinata dalla passione politica, essa non farebbe più opera di giustizia, ma farebbe opera di vendetta, compirebbe atti di favoritismo ed allora mancherebbe una delle garanzie più sicure, perché veramente le libertà democratiche possano consolidarsi in Italia. (Applausi a sinistra).
CRISPO. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà, purché si tratti veramente di fatto personale.
CRISPO. Io ringrazio innanzitutto l’onorevole Pertini, per essersi più volte rivolto a me.
È vero che io, dopo avere avuto notizia dell’interrogazione dell’onorevole Pertini, lo avvicinai, e gli dissi che mi risultava che le parole attribuite al procuratore generale Siravo non erano state pronunciate, e ciò mi risultava, soprattutto, dal testo stenografico della requisitoria che io avrei posto a disposizione dell’onorevole Pertini. Pertini mi disse: io sarò lieto di avere questo documento, perché se quello che mi dice risponde a verità, io mi affretterò a ritirare l’interrogazione. Io ebbi, difatti, questo testo stenografico. L’onorevole Pertini, invece di richiedermelo, ha creduto di assumere notizie per proprio conto, ed oggi riferisce quello che ha raccolto a Napoli. Ma fra le affermazioni del testo stenografico e quello che può essere stato il commento della stampa, non sempre indipendente, o di voci più o meno interessate, io non saprei preferire questa ultima fonte. Ancora oggi dico a Pertini che il testo stenografico è a sua disposizione.
PERTINI. Ho quello che hanno detto gli avvocati che sono stati all’udienza…
CRISPO. Avvocati di tutte le parti?
PERTINI. Di tutte le parti.. il Roma e il Risorgimento hanno dato il resoconto della requisitoria del Siravo come l’abbiamo appreso dall’Ansa. È l’Ansa che ha dato questo resoconto. Lo chieda ai giornalisti della tribuna stampa.
CRISPO. Ho voluto spiegare le ragioni del mio amichevole intervento, credendo così di compiere il mio dovere.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Villabruna al Ministro delle finanze, «per sapere se, tenuto conto: a) che gravi errori ed ingiustificate sperequazioni si lamentano in ordine agli accertamenti compiuti dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’applicazione dell’imposta generale sull’entrata a carico dei negozi di vendita al dettaglio, dei pubblici esercizi, degli artigiani, dei professionisti ed agenti di cambio, degli spedizionieri ed agenti di viaggio, degli esercenti trasporti di persone con mezzi di trasporti da piazza e da noleggio; errori e sperequazioni dovuti ai criteri di verifica e di accertamento sbrigativi e puramente congetturali che sono adottati nei confronti di alcuni singoli contribuenti, e i cui risultati vengono arbitrariamente estesi agli appartenenti alla medesima categoria, senza la necessaria identificazione della effettiva importanza di ogni singola attività; b) che la Commissione provinciale istituita col decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469, non offre, per la sua composizione, seria garanzia di un esatto ed imparziale giudizio: circostanza tanto più deprecabile ove si tenga conto del carattere definitivo attribuito alle decisioni di detta Commissione, ed alla comminatoria di sanzioni pecuniarie irrevocabili a carico dei contribuenti, anche quando l’applicazione di tali sanzioni in concreto sia del tutto ingiustificabile; c) che il sovra lamentato metodo di accertamento e di tassazione non soltanto determina un grave stato di disagio e di malcontento nei riguardi delle categorie colpite, ma è destinato a risolversi in un ulteriore aumento dei prezzi a danno dei consumatori, non ravvisi la necessità urgente di apportare alle vigenti disposizioni opportuni ritocchi e modifiche, diretti ad assicurare un più razionale ed equo sistema di accertamento, che si ritiene di poter proporre come segue: 1°) comunicazione obbligatoria al contribuente del referto della polizia tributaria, o di altro organo inquirente, in modo di consentire al contribuente stesso un effettivo e tempestivo esercizio del suo diritto di difesa; 2°) formulazione degli accertamenti da effettuarsi in collaborazione tra gli Uffici delle imposte dirette e gli Uffici del registro, con il concorso di Commissioni qualificate appartenenti alle singole categorie interessate; 3°) istituzione di un nuovo organo giurisdizionale di primo grado, rappresentato da una Commissione presieduta da un magistrato in servizio od a riposo, e composta di membri designati dalle varie categorie: attribuendo alla Commissione provinciale funzioni giurisdizionali di secondo grado; 4°) esenzione da qualunque sopratassa e pena pecuniaria nei casi di concordato concluso avanti la Commissione di primo grado.
L’onorevole Ministro delle finanze ha facoltà di rispondere.
PELLA, Ministro delle finanze. Sono grato all’onorevole interrogante per l’occasione che offre all’amministrazione finanziaria di precisare – o meglio ancora – di aggiornare il proprio punto di vista in ordine all’argomento, che forma oggetto dell’interrogazione. L’applicazione del decreto legislativo 27 dicembre 1946, rispetto alle categorie interessate, ha fatto sorgere una larvata accusa d’un aggravio fiscale, che ex novo si sarebbe riversato sopra queste categorie di negozianti, di venditori al dettaglio, di pubblici esercizi, artigiani, professionisti e via dicendo. Occorre ricordare che la legge istitutiva dell’imposta generale sull’entrata assoggetta al tributo tutti i corrispettivi di atti economici derivanti da vendite al minuto, da prestazioni di servizi di qualsiasi genere, oltre che, naturalmente, i corrispettivi di tutte le vendite all’ingrosso e delle vendite da parte delle imprese industriali. Nei confronti di queste categorie subito si sentì l’opportunità di aderire al desiderio espresso che l’imposta non venisse riscossa al momento d’ogni singolo atto economico, ma venisse riscossa con una formula di abbonamento. E per un certo periodo di tempo, fino a tutto il 1946, effettivamente si adottò una formula di abbonamento, in cui la determinazione degli incassi complessivi ebbe luogo in funzione dell’imponibile di ricchezza mobile di categoria B. Senonché, l’esperienza ha dimostrato come e quanto questo criterio fosse a danno dell’amministrazione finanziaria, e, quindi, della giustizia fiscale: in quanto l’imponibile di categoria B, è la derivazione a sua volta di un ipotetico giro di affari non sempre determinabile con esattezza e, in ogni caso, di parecchio arretrato rispetto all’atto a cui l’imposta sull’entrata si deve attribuire. Pertanto si è sentita la necessità, con il decreto 27 dicembre 1946: 1°) di mantenere ferma la formula di abbonamento, che rappresenta una concessione fatta dall’amministrazione finanziaria a queste categorie interessate; 2°) di determinare, con criterio originario e non derivato, la cifra di incasso dei singoli contribuenti.
Quindi, siamo sempre nel campo delle facilitazioni concesse al mondo dei contribuenti; ed il decreto 27 dicembre 1946 non costituisce affatto un maggiore aggravio rispetto alla legge organica dell’imposta. Che fosse necessario questo cambiamento di procedura, lo dimostrano alcuni esempi molto eloquenti, onorevole interrogante. Nel distretto di Milano, ad esempio, vi sono stati concordati effettuati sulla base di dieci volte le cifre dichiarate; e le cifre dichiarate erano all’incirca quelle che nel passato derivavano dalla capitalizzazione degli imponibili di ricchezza mobile. Quindi, se spontaneamente il mondo dei contribuenti, con l’applicazione del nuovo decreto, ritiene di concordare cifre dieci volte quelle che derivavano dall’applicazione del vecchio procedimento, evidentemente vi era una larghissima porta di evasione fiscale che l’amministrazione finanziaria aveva il dovere di chiudere. Ritengo modestamente che le lamentele derivanti dalle categorie interessate, per una consueta forma di deviazione psicologica, anziché essere inerenti alla struttura del nuovo procedimento, siano il riflesso del giusto maggiore aggravio, che deriva dall’applicazione del nuovo procedimento.
Ora, l’amministrazione finanziaria non ha nessuna intenzione di usare particolare rigore nell’accertamento di questi giri di affari; vorrei dire che le istruzioni date sono proprio nel senso di una notevole benevolenza.
La procedura di accertamento, però, si esaurisce nell’orbita dell’attività degli uffici locali e degli ispettorati compartimentali.
Il Ministero non ha potestà di intervento in materia di valutazione. Esso ha comunicato il suo desiderio di un criterio di moderazione, che confermo ancora oggi.
L’onorevole interrogante suggerisce alcune modifiche al decreto 27 dicembre 1946. Non ho difficoltà ad aderire sostanzialmente a tutte e quattro i suggerimenti.
Per quanto riguarda la comunicazione obbligatoria al contribuente del referto della polizia tributaria, vorrei osservare all’onorevole interrogante che già, per la legge del 1936, che regola il funzionamento delle commissioni tributarie, e certamente applicabile nel caso specifico, il contribuente ha diritto di avere conoscenza di tutti gli elementi e documenti che costituiscono il fascicolo su cui la Commissione dovrà giudicare; e per esperienza personale posso confermare che nella prassi è da considerare come elemento da comunicare al contribuente il referto della polizia tributaria.
Per quanto riguarda la proposta collaborazione fra uffici delle imposte dirette ed uffici del Registro, non ho che da esprimere il desiderio che questi scambi di informazioni siano sempre più intensificati e che i due uffici non si ignorino. Mi perdoni l’onorevole interrogante se formulo questo augurio soprattutto nell’interesse dell’amministrazione finanziaria.
Per quanto riguarda l’istituzione di un nuovo organo giurisdizionale, ho avuto occasione di assicurare l’onorevole interrogante, in via breve, che è allo studio un provvedimento il quale stabilisce un doppio ordine di giurisdizione, in sede di contenzioso: anziché una sola Commissione di primo grado, vi sarà anche una Commissione di appello, di secondo grado, per le questioni di estimazione, ferma restando la possibilità di ricorso per i motivi di legittimità, che sono a disposizione dei contribuenti per la generalità dei tributi erariali.
In ordine al quarto suggerimento, esenzione da qualunque sopratassa e pena pecuniaria nei casi di concordati conclusi davanti alle commissioni di primo grado, posso assicurare che il provvedimento accennato consentirà – risolvendo così un dubbio di interpretazione in ordine al decreto 27 dicembre 1946 – a che i concordati siano fatti sino a quando la Commissione di primo grado non avrà giudicato il ricorso. Ritengo di essere venuto incontro ai desideri dell’onorevole interrogante.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
VILLABRUNA. Debbo dichiararmi sodisfatto delle comunicazioni dell’onorevole Ministro.
In sostanza, la maggior parte delle richieste delle classi interessate è stata accolta, e di ciò ringrazio l’onorevole Ministro.
Ora rivolgo soltanto due sommesse preghiere. Prima di tutto desidero essere assicurato che nelle Commissioni giudicatrici sarà data equa rappresentanza alle categorie interessate.
La seconda preghiera, e questa forse può rappresentare un eccesso di prudenza, è che l’onorevole Ministro vigili, affinché i funzionari incaricati degli accertamenti rispettino davvero il criterio di moderazione suggerito dall’onorevole Ministro, in modo da poter contemperare gli interessi dell’Erario con i legittimi diritti ed interessi dei contribuenti.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazione all’ordine del giorno.
Svolgimento di interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE; Sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di urgenza:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere quando sarà portata all’esame del Consiglio dei Ministri l’annosa pratica del riconoscimento del «Gruppo patrioti della Maiella», già sollecitato dall’interrogante con altra interrogazione e che non può essere ulteriormente procrastinato, anche per evitare che il vivo fermento che regna tra i superstiti di quella eroica formazione per tale inspiegabile ritardo si tramuti in gravi e pericolose agitazioni.
«Paolucci».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, sui motivi per cui non è stato ancora provveduto al riconoscimento della Brigata Patrioti della Maiella, che ha scritto, con grave sacrificio di sangue, una magnifica pagina di eroismo durante la guerra di liberazione.
«Spataro».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci ai partigiani intende rispondere subito. Ne ha facoltà.
MARTINO EDOARDO ANGELO, Sottosegretario di Stato per l’assistenza ai reduci e ai partigiani. Rispondo all’interrogante, dicendo che le sue preoccupazioni furono e sono quelle del Governo, e che il ritardo che egli denuncia non è poi eccessivamente inspiegabile, in quanto il provvedimento riguarda non solo la «Maiella», ma altre formazioni similari, come: «Patrioti apuani» «Tigre», la «Formazione Pippo» ed altre; non avendo il legislatore mai provveduto a disciplinare questa materia, occorreva un provvedimento unico che la disciplinasse, il che ha comportato da parte dei Ministri competenti una lunga serie di rilevanze. L’onorevole interrogante sa, per avermene parlato, al Viminale e nel «corridoio dei passi perduti», che il Governo si era premurato di risolvere il problema, e di risolverlo nel modo più sollecito, tanto che furono tenute al Viminale riunioni, che si sono protratte anche nel corso della notte. Il provvedimento che forma oggetto dell’interrogazione sarà comunque presentato presto al Consiglio dei Ministri. Non ho avuto modo di constatare, essendo rientrato stamattina, se sia stato iscritto all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri di domani, ma è presumibile lo sia stato, se le mie informazioni sono esatte. Non ho altro da aggiungere. Il provvedimento verrà portato a conoscenza dell’interrogante appena il Consiglio dei Ministri lo avrà discusso ed approvato.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PAOLUCCI. Non posso che ritenermi sodisfatto, anche perché l’assicurazione concreta, data testé dall’onorevole Sottosegretario, sono certo che non subirà la sorte di analoghe promesse di altri, organi.
PRESIDENTE. Sono pervenute alla Presidenza le seguenti altre interrogazioni con richiesta di urgenza:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere se il Governo sia informato di quanto avrebbe dichiarato alla Commissione senatoriale per gli affari esteri americana il deputato John Davis Lodge, a proposito della situazione politica italiana.
«Più precisamente l’interrogante chiede di conoscere se risulti al Governo che i comunisti tenterebbero un colpo di Stato in Italia e se siano state prese le opportune misure preventive atte ad assicurare al Paese quella tranquillità così frequentemente turbata in questi giorni e a troncare tentativi diretti ad imporre con la violenza alla maggioranza ideologie professate da una minoranza, o ad asservire a potenze straniere la Patria italiana.
«Castiglia».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere se è informato delle devastazioni avvenute in provincia di Foggia alle sedi del Partito dell’Uomo qualunque in San Severo, Manfredonia, Ascoli Satriano, Candela, San Paolo Civitate, e quali provvedimenti ha inteso di attuare per colpire i colpevoli ed evitare che simili vandalici ed incivili atti abbiano a ripetersi, e prima che giustificate reazioni diano luogo a più incresciosi incidenti.
«Miccolis, Rodi».
«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti delittuosi di San Severo, Manfredonia, Ascoli Satriano, Candela e specialmente di Cerignola, in provincia di Foggia e di Corato, in provincia di Bari; e per sapere se i colpevoli siano stati individuati ed assicurati alla giustizia e quali misure preventive s’intendano adottare onde evitare che detti fatti incresciosi ed allarmanti si ripetano in avvenire.
«Recca».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere contro i devastatori delle sedi qualunquista di Corato (Bari), nonché quali misure intenda prendere per prevenire gli atti di violenza estremista che vengono perpetrati anche nella pacifica, laboriosa e democratica terra di Puglie.
«Rodi, La Gravinese Nicola, Miccolis».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, sui motivi della condotta del Governo e sugli intendimenti per quanto concerne l’ordine pubblico, con particolare riferimento alla provincia di Milano, dove, i recenti gravi fatti di sangue, le azioni punitive dello squadrismo rosso e la violenza di masse aizzate dalla stampa di estrema sinistra, legittimano il sospetto di una vasta organizzazione terroristica per scatenare la guerra civile.
«Tumminelli».
«Al Ministro dell’interno, per sapere le cause che hanno determinato la grave situazione esistente attualmente in Puglia.
«Pastore Raffaele».
«Al Ministro dell’interno, sull’entità e sulle caratteristiche dei vari episodi di intimidazione, danneggiamento, saccheggio, avvenuti il 14 novembre corrente a Bologna, il successivo giorno 15 a Perugia, il giorno 16 a Venezia, in pregiudizio della consistenza delle sedi locali dell’Unione monarchica italiana e della libertà di riunione dei consociati di questo sodalizio.
«L’interrogante chiede altresì di conoscere quale attività di repressione di questi delitti e di denunzia dei responsabili all’autorità giudiziaria sia stata svolta dai servizi di pubblica sicurezza a Bologna, Perugia e Venezia.
«Fabbri».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno intende rispondere subito a queste interrogazioni. Ne ha facoltà.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. I fatti ai quali si riferiscono nel loro complesso le molte interrogazioni che sono state testé lette, purtroppo possono sintetizzarsi in quattro morti. I due morti di Cerignola e i due morti di Corato, oltre ai molti, moltissimi feriti di questi due centri e degli altri centri, che in questi giorni hanno fatto parlare le cronache per incidenti analoghi. Io credo che non sia inutile questo richiamo all’inizio di questa discussione, perché io mi auguro che dal pensiero che noi rivolgiamo pietosamente a queste vittime, possa derivare alla discussione che noi stiamo per iniziare, quel senso di consapevolezza e di responsabilità che è sempre doveroso, ma che è doveroso soprattutto quando si parla di vite umane.
È stato fatto qui un lungo elenco di incidenti, simili nelle cause e negli effetti. Credo di dover iniziare questa mia risposta, accennando ai due più gravi di essi, che ho già nominati: quelli di Cerignola e quelli di Corato: Cerignola il giorno 15, Corato ieri.
A Cerignola la sera del 14 vi erano state delle riunioni di carattere politico sindacale, tenute alla Camera dei lavoro; vi erano stati dei discorsi vivaci, diremo così, colà pronunciati; vi era insomma della eccitazione. Le ragioni erano molte, l’occasione era soprattutto la protesta per gli avvenimenti di Milano e di Marsala. Fatto sta che la sera stessa del giorno 14 si era avuto il tentativo di invasione della sede della Democrazia cristiana, tentativo che è stato sventato. Il mattino successivo, invece, si sono, da parte di una numerosa folla di dimostranti, eretti dei posti di blocco, intesi – come al solito – ad impedire l’affluenza e l’uscita dei cittadini dalla città. A Cerignola si era anche impedita la partenza dei treni.
Il vicequestore Brienza – che doveva poco dopo riportare gravi ferite in uno scontro con la folla – preoccupato del carattere minaccioso che questa dimostrazione andava assumendo (bisogna pensare che i dimostranti erano alcune migliaia e che essi non nascondevano i propri propositi, in quanto erano in gran parte muniti di bastoni, di picconi e di altre armi del genere, ed ostentavano anche dei bidoni di benzina, coi quali, in effetti, vennero poi praticati parecchi incendi), il vicequestore Brienza, dicevo, raccolse i pochi uomini a sua disposizione per sorvegliare la situazione. Senonché, la folla, improvvisamente, come per un piano prestabilito, si divise in parecchi gruppi ed ognuno di questi gruppi si diresse verso la sede di uno dei partiti avversari, dandovi senz’altro l’assalto.
Furono così assalite e devastate le sedi della Democrazia cristiana, del Partito della democrazia del lavoro, della Federazione universitaria cattolici italiani, dell’Associazione universitaria, della cooperativa «Don Minzoni», l’Ufficio del lavoro e la sede dell’U.P.S.E.A.
Inutili furono i tentativi della forza pubblica per impedire queste devastazioni, le quali furono complete, in quanto i dimostranti trasportarono sulla piazza tutto quanto trovarono in questi ambienti e vi appiccarono il fuoco.
Dopo questo primo episodio, la massa eccitata si è diretta verso l’Associazione agraria e verso il palazzo Cirillo; Cirillo è un agricoltore del luogo.
Il vicequestore Brienza segui la folla; ma non poté impedire che anche l’Associazione agraria venisse devastata e che l’arredamento della stessa venisse bruciato, come già era stato fatto per le sedi degli altri enti. Si preoccupava, però, della possibile devastazione del palazzo Cirillo, al pianterreno dei quale aveva sede la filiale locale del Banco di Roma.
Concentrate le proprie forze in quella direzione, il Brienza in un primo tempo riuscì ad evitarne la devastazione; senonché la presenza di queste poche forze di polizia eccitò in modo gravissimo la massa dei dimostranti, la quale si lanciò – è la parola – contro di esse per reclamarne il ritiro.
Naturalmente, non la intese in questo modo il vicequestore Brienza, che continuò nell’opera di protezione. Ma ad un certo punto la violenza della folla fu tale che questi pochi elementi dalla polizia vennero sopraffatti, vennero divisi e alcuni di essi si trovarono a dover lottare da soli contro la massa inferocita. Naturalmente da parte della polizia si stimò di doversi difendere, si posero in atto tutte le difese. Ma purtroppo, dato il modo con cui l’attacco era avvenuto, quelli che avrebbero dovuto essere i mezzi incruenti di questa difesa, e precisamente le bombe di gas lacrimogeno di cui erano muniti, non poterono essere impiegate.
Furono sparati molti colpi cui non venne in un primo tempo risposto. Ma, proprio nel momento in cui più grave era il pericolo che questi agenti della pubblica sicurezza stavano correndo, proprio in quel momento, dalle finestre site al piano terreno del palazzo occupato dalla sezione comunista e prospicienti la piazza Matteotti, che era la piazza nella quale avveniva il conflitto, partirono molti colpi di arma da fuoco contro alcuni agenti, e parecchi di costoro caddero feriti.
È spiegabile allora, a questo punto, come da parte degli altri agenti sorgesse incontenibile una reazione e come tale reazione dovesse manifestarsi con gli stessi mezzi con cui si era manifestato l’attacco. Anche alcuni di questi agenti di polizia, quelli che nelle azioni precedenti non erano stati disarmati dalla folla – perché alcuni di essi erano stati disarmati – per disimpegnarsi e riparare nella caserma dei carabinieri verso la quale erano diretti, dovettero far fuoco.
Questo ripiegamento è stato quanto mai tragico, perché la massa dei dimostranti lo segui, perché continuavano ad essere sparati dei colpi di arma da fuoco in direzione di questi agenti, di modo che costoro non poterono ritenersi salvi se non nel momento in cui poterono entrare nella caserma dei carabinieri. Nel frattempo, così liberati da questo modesto presidio della pubblica sicurezza, la folla, tra la quale, ripeto, molti erano armati anche di armi da fuoco, si diresse verso le locali carceri, vi diede l’assalto e riuscì a liberare 32 detenuti.
Rimasta poi libera di saccheggiare il palazzo Cirillo, sito, se non isbaglio, sulla piazza Matteotti, lo investì da tutti i lati e in tutti i modi, lo invase, buttò dalle finestre tutti i mobili sulla piazza, si impadronì di tutti i quadri, delle argenterie, delle stoviglie, insomma, in una parola, senza farne l’inventario, si impadronì di tutto quanto trovò, non esclusi i generi alimentari, come grano ed olio, e non esclusi nemmeno un’automobile ed una bicicletta.
Diede quindi fuoco a questo palazzo di cui aveva sventrato una parte, nell’ipotesi forse che questa celasse un nascondiglio di valori, e di tutto impadronitasi, diede fuoco al palazzo, che minacciò di essere completamente distrutto.
Intanto però arrivavano delle forze più numerose di polizia, e il saccheggio dello stabile, che pure era durato alcune ore, ebbe fine. Poté anche essere spento l’incendio e salvato così il palazzo dalla completa distruzione. Dico completa, ma forse la parola non è esatta, in quanto oltre ad essere stato devastato nel modo che ho detto, nel palazzo furono distrutti e incendiati anche tutti gli infissi, furono spezzate le condutture; insomma, nulla fu trascurato di una opera vandalica che, a mio ricordo, non ha precedenti.
Purtroppo, nel conflitto al quale ho accennato, oltre al vicequestore Brienza che, come ho detto, fu tanto gravemente ferito da far temere in un primo tempo della sua vita, vi furono sei tra guardie e carabinieri più o meno gravemente feriti da armi da fuoco. Tra i dimostranti risultarono uccisi, pure per ferite da armi da fuoco, due, e altri cinque risultarono feriti, da armi da fuoco e per contusioni varie. Sono in corso, naturalmente, le indagini per l’identificazione dei numerosissimi partecipanti ai conflitti; molti di costoro sono già stati identificati e ricercati, ma nessuno di essi ha ancora potuto essere arrestato, in quanto resisi latitanti.
L’altro degli episodi che in questi giorni hanno veramente turbato il nostro Paese, è quello di Corato.
A Corato, ieri mattina, alcuni agenti di pubblica sicurezza in perlustrazione, avendo scoperto degli individui che avevano costituito dei posti di blocco e li stavano presidiando, riuscivano ad arrestarne tre. Immediatamente intorno a loro si formava una folla numerosissima, che reclamava violentemente il rilascio degli arrestati. Gli agenti riuscirono a riparare, con gli arrestati, nella vicina caserma dei carabinieri. Quivi, però, non tardarono ad essere assediati, e mentre si svolgevano dei colloqui con alcune delle autorità locali, nella fiducia di poter calmare la folla, contro la caserma, venivano lanciate parecchie bombe a mano, alcune delle quali esplodevano nel cortile, e, soprattutto, venivano sparati innumerevoli colpi di arma da fuoco.
Ad un certo momento, la sparatoria parve tanto pericolosa e parve tanto prossimo il successo degli aggressori – anche perché questi, con della benzina che avevano portato con sé, stavano dando fuoco alla porta della caserma – che, naturalmente, gli agenti ed i carabinieri dovettero pensare a difendersi, e, rispondendo ai colpi che erano loro diretti, spararono a loro volta. Purtroppo anche qui vi furono due vittime e alcuni feriti.
Questi, ho detto, gli episodi più gravi.
Ma, attorno a questi episodi, altri ne sono avvenuti nella provincia di Foggia. A Lucera, dimostrazioni conclusesi con la distruzione delle sedi del Partito dell’Uomo qualunque e del Partito monarchico, sempre secondo il solito sistema della devastazione e dell’incendio. A Lucera, però, potevano già essere arrestate come responsabili 20 persone, le quali naturalmente vennero già tutte denunciate all’autorità giudiziaria.
A Sansevero, devastazioni avvennero il giorno 14. Un migliaio di dimostranti devastò la sede della Democrazia cristiana.
Ad Ascoli Satriano furono devastate le sedi del Partito liberale, della Democrazia cristiana e dell’Associazione degli agricoltori.
A Manfredonia furono devastate le sedi del Partito dell’Uomo Qualunque, del Partito liberale e della Democrazia cristiana.
A Candela vennero devastate le sedi dell’uomo qualunque e della Democrazia cristiana.
A Torre Maggiore, le sedi dell’Uomo qualunque e della Democrazia cristiana.
A San Paolo Civitate, elementi che si erano raccolti in quel paese «autocarrati», provenendo da un paese vicino, devastavano la sede dell’Uomo qualunque, ne incendiavano i mobili, come sempre, nonché tentavano la devastazione della sede della Democrazia cristiana.
A Monte Sant’Angelo, il mattino del 17 altri dimostranti – diciamo così – dopo aver costretto i proprietari del luogo a sospendere il raccolto delle ulive ed a chiudere i frantoi, costituivano posti di blocco ed ivi si ponevano di guardia. Devo aggiungere che l’intervento della polizia, appena questo poté aver luogo, consentì di rimuovere tutti questi posti di blocco e di ristabilire l’ordine. Dico questa parola, in quanto le ultime comunicazioni informano, fortunatamente, che in tutti questi centri è ritornata la calma.
Nella provincia di Bari, abbiamo avuto ad Andria episodi altrettanto gravi di violenze. Li abbiamo avuti nella stessa Bari, dove però potevano essere contenuti e limitati alla distruzione di alcuni giornali ed a tentativi di invasione di sedi di partiti, che tuttavia non ebbero luogo.
A Barletta gli avvenimenti furono indubbiamente più gravi. Colà venne imposta la chiusura dei negozi, colà vennero devastate anche alcune abitazioni private, colà venne anche operalo qualche sequestro di persone, peraltro subito rilasciate.
A Bitonto, episodi del genere. Ivi venne impedita la partenza dei treni (ferrotramvie) delle linee Bari-Barletta e Bitonto-Bari, nonché gli autoservizi del posto.
Io non so se in queste elencazioni che ho fatto sono comprese tutte le località che sono state indicate nelle molte interrogazioni.
Posso però dire che, se alcune di queste località sono state da me dimenticate, in realtà i fatti che sono avvenuti si assomigliano moltissimo e possono in un certo senso dirsi uguali.
A Lecce era in atto uno sciopero di lavoratori agricoli e di tabacchini. Anche qui e nella Provincia di Lecce, come Poggiardo ed altri centri, sono state compiute delle violenze; vennero invase delle sedi dei soliti partiti; vennero bloccate le strade. Anche qui però le forze della polizia, appena poterono intervenire con i loro mezzi necessari e sufficienti, riuscirono a ristabilire l’ordine e anche qui, secondo le notizie ultime ricevute, la calma pare ritornata, anche per i fatti di Bologna e di Perugia.
Se non erro è stata presentata, dall’onorevole Fabbri una interrogazione.
A Bologna e a Perugia le cose si sono svolte diversamente. Veramente anche a Bologna venne tentata la devastazione di sedi di alcuni partiti; anche a Bologna venne fatta esplodere una bomba. Le conseguenze però, almeno per quello che risulta a noi, sono di importanza relativamente limitata. Più significativo invece è l’episodio di Perugia, dove in seguito all’esplosione di una bomba nella prossimità del Partito comunista, venne immediatamente ordinato un concentramento di forze, che si dice essersi realizzato con una rapidità ed un ordine veramente ammirevoli, che permisero che i disordini fossero praticamente impediti nella quasi totalità, per quello, almeno, che risulta a noi e sempre dando a questa mia espressione un valore relativo, data la gravità dei fatti che si sono in questi giorni verificati in tutta Italia.
Domandano gli interroganti quali sono le misure che il Governo ha preso e quali intende prendere per impedire, per prevenire fatti del genere, per colpire e punire gli autori dei fatti avvenuti.
SCALFARO. E i mandanti.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. È ormai diventata purtroppo per me un ritornello questa risposta; ma, purtroppo, non si può pensare che queste mie risposte, che si succedono da qualche tempo, da un giorno all’altro, per quelle che sono le possibilità del Governo in questa materia, da un giorno all’altro non possono ovviamente molto cambiare.
Però io, a questo proposito, devo ancora rinnovare la formale assicurazione che non un uomo, a disposizione del Governo per la tutela dell’ordine, viene risparmiato. Tutti vengono impiegati, e si ha ragione di credere che vengono impiegati nel modo più utile ed efficace. Purtroppo non è stato possibile, in tutti gli avvenimenti che abbiamo descritto, prevenire, impedire e reprimere tutti questi atti di violenza, soprattutto nei centri minori. Io devo però dichiarare che, se questo deve considerarsi una lezione, la lezione ha indubbiamente servito. Io voglio credere che fatti del genere non abbiano a ripetersi, ma voglio anche assicurarvi che, se fatti del genere dovessero ripetersi, indubbiamente non si ripeteranno con eguale facilità. Avevo detto l’altro giorno che non credo che indiscriminatamente le forze dell’ordine debbano far uso delle armi. Ho detto l’altro giorno che l’uso delle armi, che può portare a conseguenze di tanta gravità, deve essere riservato a fatti proporzionati. Devo però anche aggiungere oggi che per fatto proporzionato io non intendo, e non può essere da nessuno inteso, un episodio a sé stante. Quando molti episodi, come quelli che noi abbiamo questa sera descritto, si ripetono in tante località con metodi che tradiscono un unico divisamento, un unico piano, un unico concetto, allora gli episodi singoli non devono essere più singolarmente valutati, allora è una difesa contro il metodo che deve essere posta in atto. Io credo di potervi assicurare che le autorità che hanno la responsabilità dell’ordine pubblico in Italia, in questo grave momento, sapranno cavarne dall’esperienza le dovute deduzioni. Naturalmente è nei voti del Governo, ed è soprattutto nella sua convinzione, che il senso di responsabilità di coloro che dirigono le folle abbia il sopravvento, ed il Governo si augura che soprattutto per merito loro, episodi del genere non abbiano a ripetersi e lutti di tanta gravità non abbiano ad essere ulteriormente pianti.
Vi è un’ultima interrogazione, quella dell’onorevole Castiglia. L’onorevole Castiglia sembra ricavare dal complesso di violenze che ho descritto l’impressione che noi si sia alla vigilia di avvenimenti più gravi e, riferendosi ad alcune dichiarazioni che sarebbero state fatte alla Commissione senatoriale per gli affari esteri americana da un deputato, Sir John Lodge, a proposito della situazione politica italiana, chiede anzitutto al Governo se esso ne sia informato, e se non gli risulti che i comunisti italiani stiano per tentare un colpo di Stato in Italia; e vuole essere assicurato circa le misure preventive che sono state prese.
Devo dire subito che il Governo, a proposito di queste dichiarazioni, nulla sa di più di quanto non sia stato pubblicato dai giornali. Nessuna comunicazione ufficiale, quindi nessuna possibilità di commenti.
Quanto poi alla domanda se risulti al Governo che i comunisti tenterebbero un colpo di Stato in Italia, io devo francamente dire con non gli risulta. (Si ride). Se gli risultasse, evidentemente si comporterebbe con minore tranquillità e minore pacatezza: prenderebbe delle misure. In genere, sono cose di cui non si dà il preavviso; però, a furia di sentirle dire da una parte e dall’altra…
MINIO. …c’è pericolo che diventino vere.
CASTIGLIA. Ne prendiamo atto.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Il Governo tiene conto che in tutti i paesi d’Italia si trovano armi, più o meno in notevole quantità, nascoste evidentemente per conservarle per un determinato impiego in un determinato momento; non credo por conservarle in un museo, come mi viene suggerito. Tiene anche conto delle dichiarazioni, indubbiamente molto autorevoli, che vengono fatte più col tono di una squilla di battaglia che non con quello di un canto di pace. Non che il Governo pensi ad un colpo di Stato o che pensi che un colpo di Stato possa venire da una parte piuttosto che dall’altra, ma il Governo ha naturalmente la responsabilità dell’ordine pubblico. L’ordine pubblico sarebbe particolarmente minacciato da episodi del genere. Posso assicurare l’onorevole interrogante, e chi ha ascoltato lo svolgimento dell’interrogazione che il Governo, per parte sua, tiene gli occhi aperti e le orecchie tese a tutto ciò che può turbare l’ordine pubblico. Si augura che niente avvenga, crede che niente avverrà; perché crede fermamente che, al di sopra di ogni ideologia, in tutti gli italiani prevalga lo spirito di Patria, l’amore del proprio Paese.
Ma un’ultima volta io devo aggiungere, ed aggiungo, che se così non fosse, che se questa fiducia dovesse apparire tradita, nessuno dubiti: che il Governo ha tanto in mano da poter fronteggiare qualsiasi situazione. Sappiano tutti quanti che il Governo non ha paura: non v’è guerra di nervi che possa in nessun modo influire su quella che è la sua determinatezza. Il Governo è composto di uomini che hanno dedicato, dedicano ed intendono dedicare con anima libera e pura tutti se stessi alla salvezza del Paese. Credo che nessuno possa accusarlo di un interesse meno che generale. (Interruzioni a sinistra).
Il Governo può sbagliare. Nessuno presume l’infallibilità. Sbaglierà, ma comunque i suoi propositi sono questi; ed ai suoi propositi, posso assicurarvi, il Governo patriotticamente non mancherà. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Rodi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
RODI. Prendo atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Marazza. Per quanto riguarda la mia Regione, la Puglia, devo dire che quella popolazione è pacifica e laboriosa ed è profondamente seccata dalle continue sobillazioni. Io ho parlato con operai e contadini, i quali hanno soltanto un desiderio, quello di vivere in pace e di lavorare.
Una voce a sinistra. Non hanno lavoro.
MICCOLIS. Siete voi che non date modo di lavorare!
RODI. È necessario che nelle nostre fabbriche e nelle nostre campagne non girino più gli agitatori, perché essi, volendo fare scioperare operai e contadini, tradiscono la volontà di quegli stessi operai e contadini, che di scioperi e disordini non vogliono saperne.
Desidero raccomandare al Governo di fermare la sua attenzione non tanto sulle folle quanto sui mandanti, che sono facilmente identificabili, anche perché da alcuni giornali le violenze della folla vengono esaltate e chiamate giuste indignazioni popolari e vengono riferite con intenti apologetici. Io credo che sia facile identificare il mandante, perché nessuna violenza può essere oggetto di apologia. Quando oggi si parla di indignazione popolare, si tratta di una falsificazione degli agitatori. Questa falsificazione il Governo la vede, la sente, la osserva. Credo che suo compito principale, sia quello di identificare ufficialmente questi mandanti…
PASTORE RAFFAELE. Mandati dal Governo.
RODI. …e punire l’apologia della violenza, che si fa tutti i giorni. Le vostre diatribe, colleghi della sinistra, sono diventate ridicole. Voi parlate e scrivete di indignazione popolare contro il fascismo, mentre il fascismo lo state facendo voi. (Interruzioni a sinistra). Con chi ve la prendete? Se il fascismo è violenza, voi siete fascisti.
Una voce a destra. Hanno superato il fascismo.
RODI. Quando un agente di pubblica sicurezza o un carabiniere ha compiuto il proprio dovere arrestando qualcuno che abbia violato la legge, è assurdo che una folla istigata debba assalire le questure o le caserme dei carabinieri per impedire che la giustizia abbia il suo corso, per far rilasciare chi ha commesso un reato.
PASTORE RAFFAELE. Come Basile e De Vecchi!
RODI. Se il detenuto è stato ingiustamente arrestato, la giustizia avrà egualmente il suo corso. Ma se voi aggredite le caserme e le questure, solo per questo vi mettete dalla parte del torto; perché non è lecito che le forze di un partito agiscano nei confronti degli organi di Stato con tale violenza e con tale fascismo. (Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Minio).
Già l’onorevole Sottosegretario ha fatto cenno ad un piano preordinato e che il piano vi sia è evidente, perché specialmente in alcuni centri delle Puglie, che sono assolutamente pacifici, si sono fatti degli scioperi e sono avvenuti disordini ad opera di pochissimi elementi. La popolazione, la vera popolazione ha preferito rinchiudersi in casa per non partecipare ai disordini e per tutelare la propria persona. Quindi, evidentemente, questo piano si sviluppa in contrasto con la volontà delle popolazioni, che sono pacifiche; e prego il Governo di voler volgere il suo sguardo specialmente al Mezzogiorno, che oggi sta dando prova di maggior saldezza e serenità. Se noi oggi potessimo essere liberati di quei pochi e violenti agitatori, il Mezzogiorno continuerebbe a dar prova di questa saldezza di questa serenità…
MINIO. Vorreste di nuovo Mussolini!
RODI. Qui Mussolini non c’entra! Il Mezzogiorno è laborioso ed onesto e voi non avete nessun diritto di turbarlo. (Interruzioni all’estrema sinistra). Noi vi faremo vedere cosa vuol dire il rispetto allo Stato ed alle tradizioni. Non dovete venire a contaminare le nostre case, perché le nostre tradizioni sono salde ed oneste! (Rumori all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Minio).
Colgo l’occasione per deplorare le devastazioni alle sedi dell’Uomo Qualunque, che fin dalla nascita ha dimostrato di saper vivere democraticamente. Queste devastazioni e questi assalti sono ingiustificati e sono soltanto il frutto di una bestiale violenza. Perciò l’Uomo Qualunque fa appello a tutte le forze sane e corrette del Paese per formare un fronte unico contro queste violenze, che minacciano l’indipendenza e la libertà della Patria. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Miccolis ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MICCOLIS. Io devo rilevare che l’onorevole Sottosegretario ha detto: «un lungo elenco di incidenti simili nelle cause e negli effetti». Mi pare dunque che vi sia un piano preordinato. Dinanzi a questo piano preordinato credo che i rimedi adottati siano insufficienti, e mi rimetto a quello che ha detto l’onorevole Rodi sul fatto che effettivamente noi nel Mezzogiorno abbiamo degli attivisti e della gente la quale dà fastidio ai lavoratori, attivisti che si possono contare sulla punta delle dita. Ogni volta che accade qualcosa, si conosce il responsabile, e non si va mai ad arrestarlo. Non occorre che si arrivi all’uso delle armi, onorevole Sottosegretario. (Interruzioni all’estrema sinistra). Fin dal luglio del passato anno fu distrutta la nostra sede di San Severo. Io da quei banchi ho avuto assicurazione che sarebbero stati puniti i responsabili e che sarebbe stata riaperta la sede. La sede non si è potuta riaprire ed i responsabili non furono puniti: il processo è ancora fra la polvere degli scaffali e degli archivi della Procura della Repubblica.
Manfredonia: questa è la seconda volta, nel giro di quindici giorni, che la sede di Manfredonia è assalita, occupata e distrutta. A Cerignola v’è un’oasi rossa: noi non abbiamo il permesso forse neppure di transitare, perché quella è la roccaforte ed il feudo dell’onorevole Di Vittorio.
Ad Ascoli Satriano è la seconda volta che è stata distrutta la sede e a Candela hanno asportato finanche i pavimenti. A San Paolo Civitade, onorevole Sottosegretario, venti persone, individuabilissime, sono partite per andare a distruggere la sede di quella località. Lucera è la seconda volta che è assalita. Da Torremaggiore sono partiti quelli che sono andati a distruggere la sede di San Paolo Civitade.
Ora, così stando le cose, io devo confessare che gli uomini qualunque delle Puglie domandano se nella carenza dell’autorità dello Stato non debbano provvedere loro a difendere i loro beni, ed io domando se, nella carenza dell’autorità dello Stato, i danni non debbano essere a carico dello Stato, perché è naturale che quando lo Stato non è in condizione di difendere i singoli cittadini o regolarmente costituiti in partiti, lo Stato sia responsabile anche dei danni. E questo l’ho detto già un’altra volta.
Ora, noi osserviamo che a Cerignola v’è anche un processo per omicidi e violenze; ma questo processo non ha avuto mai fine. Mi pare che vi sono anche dei mandati di cattura, che non sono stati eseguiti. Lo stesso a San Severo. Onorevole Sottosegretario, come si fa a dare assicurazioni formali che sarà restituito l’ordine e la disciplina? Sono tutte promesse. Io ho dimostrato che queste promesse ormai hanno fallito già parecchie volte.
PRESIDENTE. L’onorevole Recca ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
RECCA. Onorevoli colleghi, io voglio soltanto rilevare che ciò che ha detto il collega Miccolis è vero, ma è pur vero che (aver compagni a duol, scema la pena) non sono state soltanto le sedi dell’Uomo Qualunque ad essere devastate, ma anche quelle della Democrazia cristiana, ed in maggior numero; giacché in certi centri del foggiano vi sono solo nostre sedi e non quelle dell’Uomo Qualunque. Ma, certi gravi particolari sono sfuggiti all’onorevole Sottosegretario, certi particolari di rilievo che indubbiamente sono a conoscenza della questura: infatti si sappia, onorevoli colleghi, che a Cerignola, dopo la devastazione delle nostre sedi e di altre sedi di partito, dopo la devastazione della casa Cirillo, i vani resi, così barbaramente, liberi, sono stati occupati da alcune famiglie di dimostranti che vi hanno installato i loro letti. Ecco quindi che si voleva mettere in pratica il famoso detto: «Scendi tu, perché voglio salire io». Ma i nuovi possessori sono stati poi cacciati dalle sedi in parola per opera della forza pubblica.
Noi sappiamo, onorevole Marazza, così come dice l’onorevole Rodi, che i movimenti del nostro meridione si devono a pochi e soliti responsabili facilmente individuabili, ma io aggiungo che conosciamo anche i centri in cui i movimenti con facilità sono soliti avvenire. Ed è per questo che si è ottenuto, circa cinque o sei mesi fa, un provvedimento per cui si stabiliva che, sia a Cerignola che a S. Severo, stabilmente vi dovevano essere cinquanta agenti di polizia. Ma, né a S. Severo né a Cerignola, i cinquanta agenti si sono visti, onorevole Marazza. Si provveda affinché il provvedimento in parola abbia subito la sua esecuzione.
Si provveda, non solo in questi centri, ma anche in quelli in cui detti incresciosi movimenti di folla sogliono avvenire, a questi mezzi preventivi, perché, per il mantenimento dell’ordine pubblico, io ho più fiducia in questi mezzi, che in quelli repressivi. Quando si sarà provveduto a questi mezzi preventivi, quelle popolazioni potranno dedicarsi al lavoro quotidiano in un’atmosfera di tranquillità, di serenità e di pace.
PRESIDENTE. L’onorevole Pastore Raffaele ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PASTORE RAFFAELE. L’onorevole Sottosegretario di Stato all’interno, come fece dopo i fatti di Gravina, così ha fatto questa volta: ha fatto la cronistoria dei fatti, ma non ha detto le cause che li hanno determinati.
Per quanto riguarda i lavoratori delle Puglie, sì, è vero, essi vogliono lavorare, ma vogliono essere anche pagati, ciò che non intendono fare i signori agrari di quella provincia. (Commenti – Interruzione del deputato Miccolis). Nel campo nazionale è stato firmato un contratto di lavoro per le tabacchine, ma i signori concessionari della provincia di Lecce non vogliono rispettarlo, e da qui lo sciopero dei contadini della provincia.
Inoltre le autorità favoriscono gli agrari. L’esperimento della ripresa del fascismo viene fatto in Puglia e l’onorevole Sottosegretario me ne deve dare atto. Il giorno 12 ottobre che cosa ha fatto la questura di Bari quando ha assistito impassibile al comizio di Ambrosini, che è stato mandato al confino, non su denuncia della questura di Bari, ma su denuncia della questura di Roma? Le parole di Ambrosini hanno eccitato ih popolo pugliese. E la questura sapete che cosa ha fatto? Ha caricato la folla che protestava contro quanto ha detto Ambrosini. Questo ha fatto la pubblica sicurezza italiana per ordine del Governo! Costui ha chiamato Mussolini «il padre della Patria», mentre da parte dei fascisti che assistevano al comizio si è gridato: «duce, viva Benito Mussolini». Ambrosini ha continuato: «le ceneri saranno portate in Campidoglio». «Ho il diritto di esaltare il pensiero di chi per venti anni ha governato l’Italia». «Mi dispiace di non essere stato collaboratore del fascismo». «Dobbiamo riconoscere di avere sbagliato. La dittatura non è stata quella che doveva essere. Se ci capiteranno sotto la proveranno la vera dittatura». «Con quel trattato di pace la storia ci ha detto che quelli del nord che chiamavamo repubblichini erano i veri partigiani che salvarono l’onore dell’Italia».
Queste sono le frasi pronunciate, presente la pubblica sicurezza di Bari, senza che questa abbia pronunciato motto. Quando i cittadini baresi poi hanno protestato, la pubblica sicurezza ha caricato la folla per difendere i fascisti. Ma non basta questo. Mentre il comitato di difesa della Repubblica aveva chiesto al Ministero dell’interno di proibire il comizio a Bari, altro comizio fu permesso a Gioia del Colle, nel corso del quale sono state dette delle parole ancora più gravi.
«Ma basta con questi quattro che ci stanno distruggendo. Faremo una nuova marcia su Roma!». Signori, che cosa avrebbe dovuto fare la pubblica sicurezza? Ma già, la pubblica sicurezza si accanisce contro i contadini che pretendono il rispetto dei patti di lavoro: ed essa agisce sempre su ordini del Ministero.
E ancora: «Faremo piazza pulita. Non bisogna dimenticare il ventennio del fascismo». «Vogliamo un altro referendum nazionale». «Vi porto una lieta novella (questo è per l’onorevole Mazzoni il quale diceva che quella sera la pubblica sicurezza aveva fatto il suo dovere): a Piazza Montecitorio a Roma si tornano a cantare gli inni dell’Italia che fu. Montecitorio va ripulita. Non si può distruggere quello che è un passato glorioso, tanto è vero che quelle ideologie ritornano a trionfare in Italia non solo, ma in quelle stesse nazioni che fino a ieri le combatterono». (Rumori a destra – Commenti).
Ora, Signori, quando da parte del Governo si resta impassibili a questa propaganda, noi abbiamo diritto di domandare… (Interruzioni).
MICCOLIS. Ma se è stato mandato al confino!
Una voce all’estrema sinistra. Bisogna metterlo al muro, altro che confino! (Commenti).
PASTORE RAFFAELE. Mi si dice: «Che colpa ha il partito dell’Uomo Qualunque?». Un momento, facciamo una cernita e vediamo dove si sono rifugiati tutti. gli ex-fascisti agrari. Non sono forse nell’Uomo Qualunque?
RODI. Onorevole Pastore, noi ci conosciamo! I fascisti sono nel partito comunista!
PRESIDENTE. Onorevole Rodi, non interrompa.
PASTORE RAFFAELE. Questa propaganda, consentita ed incoraggiata dal Governo, ha fatto rialzare la testa agli agrari, i quali credono di poter ritornare al periodo del ventennio fascista.
Nonostante che da tanti mesi sono sul tappeto i patti salariali, la mezzadria impropria e il collocamento della mano d’opera, i signori agrari menano il can per l’aia, per cui una buona volta il popolo si stanca e scatta.
Non si faccia meraviglia il Sottosegretario se a Cerignola è stato assalito il palazzo Cirillo. Sapete perché? Tutti i proprietari della zona hanno stipulato il patto di mezzadria con l’organizzazione operaia, meno Cirillo, il quale si è avvalso della sua potenza e ha detto: non tratto con l’organizzazione.
Naturalmente, lo stato d’animo dei lavoratori, per il contegno provocatorio dei signori agrari, che credono di poter tornare al passato, non è tale da sottostare ad altri soprusi.
Io mi ero proposto di non parlare oggi, perché domani parto per la Puglia allo scopo di assodare i fatti. Il Sottosegretario, che ci ha fatto la cronistoria degli avvenimenti, non ci ha detto tutto: non ha parlato di un telegramma che il sindaco democristiano di Trani ha inviato al Governo per protestare contro i mezzi usati dalla «celere» a Trani! (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Fabbri ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
FABBRI. Io non posso, francamente, dichiararmi sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario, risposta che ritengo troppo ottimista, sia nella sua diagnosi, sia nella sua prognosi. Secondo la mia modesta e personale impressione, la situazione dell’Italia in questo momento è tutt’altro che lieta, è tutt’altro che rassicurante.
E basterebbe forse inquadrare questa situazione attuale dell’Italia in quella della maggior parte dei paesi d’Europa per vedere quello che è già accaduto là dove il senso vigile della pubblica libertà da parte del governo non ha potuto fronteggiare la marea comunista e questa è prevalsa, e vedere quello che sta succedendo dove questo dramma di contrasto è in atto, come nella Cecoslovacchia e, in parte, in Francia.
La situazione in Italia, quale si sta svolgendo, non può essere nel suo adeguato esame valutativo ricondotta agli episodi singoli sui quali si intrattengono i vari oratori e su cui ha indugiato la cronistoria dell’onorevole Sottosegretario. Quando un partito come quello monarchico, che in fatto di ordine pubblico non ha recato disturbi a nessun partito, che non ha fatto alcuna manifestazione ostile alle istituzioni vigenti, che si è soltanto dedicato ad un’opera di raccoglimento, di studio, di attesa, di fede nell’avvenire, ha improvvisamente dovuto vedere travolte le sue sedi, distrutte con incendi, con bombe, e con violenze e ferimenti contro le persone, come sta avvenendo a Palermo, a Napoli, a Perugia, a Varese, a Bologna – e questo è accaduto durante il corso di un’intera settimana, poiché questi fatti si sono ripetuti e si ripetono da vari giorni periodicamente – è evidente che noi ci troviamo di fronte ad ina situazione la quale, per la molteplicità dei focolari, dimostra un chiaro piano di organizzazione che viene da un centro politico fondamentale facilmente identificabile.
D’altra parte, la ripetizione degli atti che dobbiamo constatare, e di cui abbiamo avuto ininterrotto esempio per la durata di ben dieci giorni, dà la certezza che quelle tali autorità che dovrebbero fronteggiare i reati e che quei tali mezzi di prevenzione e repressione cui alludeva l’onorevole Sottosegretario si trovano in uno stato di impotenza tale, da potersi sostanzialmente parlare di iniziale crisi di regime.
Non voglio andare oltre nelle mie dichiarazioni di completa insoddisfazione di questa attuale formula di governo che è precisamente tutto il rovescio di quello che dovrebbero essere, secondo me, uno Stato e un Governo nazionali, che si preoccupassero dell’incivilimento progressivo del Paese.
È per questi motivi e per queste ragioni che ho detto di non potermi dichiarare sodisfatto. Mi auguro tuttavia, con molto spirito di patriottismo, che quell’ottimismo di cui ha dato prova l’onorevole Sottosegretario per quello che si riferisce alla diagnosi possa risultare giustificato e possa darmi un’utile smentita per quel che si riferisce alla prognosi.
PRESIDENTE. L’onorevole Tumminelli ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
TUMMINELLI. Nel volgere di pochi giorni, mi tocca di prendere per la seconda volta la parola sul medesimo argomento.
Le ragioni che ha voluto addurre l’onorevole Pastore per giustificare tanta violenza sono poco serie. Noi ci troviamo di fronte, onorevole Marazza, di fronte ad una costellazione di avvenimenti, luttuosi taluni e di violenza tal altri, che trovano la centrale nelle direttive dei partiti estremisti, non più taciute, ma espresse nei discorsi nell’interno dei partiti stessi e comunicate dalla pubblica stampa. Così che io concordo col mio collega Rodi, che effettivamente v’è un piano preordinato di istigazione al crimine, di eccitazione della folla, la quale, quando si muove, si sa da dove parte, ma non si sa dove arriva.
V’è l’apologia del crimine. Noi qui, in questa stessa Aula, non molto tempo fa, ascoltammo esaltare giornate di delitti politici i quali, comunque veduti, sono sempre delitti deprecandi.
Ora, io domando all’onorevole Sottosegretario per l’interno una cosa: l’altra volta io ho detto: bisogna disarmare; e l’onorevole Sottosegretario ha risposto: non si può, perché soltanto i galantuomini danno le armi. (Cosi, press’a poco, in via confidenziale). Onorevole Sottosegretario, io le dirò questo: che noi sappiamo dove sono le armi. Tutte le fabbriche sono piene di armi. Io posso dirle che i morti di Mediglia potevano essere evitati solo che si fosse impedito ai settanta operai, che sono usciti dalla quinta sezione della fabbrica Breda, di recarsi a Mediglia, autocarrati, solo che il sindaco di Mediglia – che, ci viene assicurato dalle autorità di Milano, non poté essere arrestato per divieto del Governo – avesse impedito prima la violenza che veniva fatta contro quel Magenes e poi che il Magenes potesse uccidere e che egli stesso potesse essere linciato.
Noi ci troviamo, onorevole Sottosegretario, in questa dura situazione che le stesse forze di pubblica sicurezza, che sono i custodi dell’autorità dello Stato e dell’incolumità dei cittadini, sono in costante pericolo. E non hanno ordini per poter reagire. Io comprendo perfettamente, e mi rendo conto dell’esigenza del Governo di questo metodo della pazienza; ma vi sono dei limiti, onorevoli signori del Governo.
Nei giorni scorsi, in uno di questi tumulti, ho chiesto ad una donna del popolo che cosa succedesse. Quella popolana mi rispose: «È stato colpito da un maresciallo uno dei dimostranti; e ora l’ammazzano». Il fatto non era vero: non v’era alcuno che fosse stato colpito dalla forza pubblica né un maresciallo che dovesse essere ammazzato; ma l’episodio sta a dimostrare che ormai è invalsa nella coscienza comune del nostro Paese, del nostro popolo, l’abitudine di considerare che l’autorità di pubblica sicurezza non possa più compiere nessuna azione che non sia quella di spingere dolcemente con le mani la folla che vuole compiere atti di violenza, senza che essa stessa corra il pericolo di essere minacciata e linciata come il giovane Magenes.
Ci troviamo di fronte a questo stato di cose: che noi dell’Uomo Qualunque, noi qualunquisti, che non siamo né reazionari né neo-fascisti, ma solo perché abbiamo un programma sociale che è un’idea (Commenti a sinistra) – e le idee, o amici, o colleghi dell’estrema sinistra, non si uccidono con la distruzione di sedi, e tanto meno si stroncano con l’uccisione di qualcuno di noi: le idee hanno le gambe e camminano da sole – sol perché abbiamo un’idea nuova che cammina sul fronte della storia e che trionferà domani nel mondo intero (Rumori all’estrema sinistra), solo per questo noi siamo divenuti le cavie, per le esercitazioni dello squadrismo rosso.
Il paese si trova di fronte ad uno squadrismo rosso che si esercita nell’impunità in attesa di sviluppi futuri.
Noi siamo stati le cavie, perché se toccano voi della Democrazia cristiana potrà essere piombo. Per noi la cosa è diversa: v’è l’impunità!
PRESIDENTE. L’onorevole Castiglia ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CASTIGLIA. Dalla discussione delle varie interrogazioni di oggi si rileva come quello che io chiedevo al Governo fosse – per usare il linguaggio dell’onorevole Fabbri – una diagnosi piuttosto esatta.
In sostanza, noi abbiamo avuto dei singoli episodi di violenza ed il Governo ha, dato delle assicurazioni per quella che possiamo chiamare la cura sintomatica delle varie manifestazioni criminose. Però il Governo non ha cercato di individuare quel filo conduttore che indiscutibilmente lega tutti questi episodi delittuosi non soltanto per quanto si riferisce alla distruzione di sedi di partiti, non soltanto per quanto si riferisce ai tumulti ed ai moti delle varie città, da Cerignola a Corato, a Ferrara, a Napoli, a Palermo (che è una delle città, dal punto di vista politico, senza dubbio fra le più tranquille e quiete), ma per quanto riguarda la loro portata molto più vasta.
Io vi prego, onorevole Sottosegretario, di ricordare due episodi che veramente devono impressionare e devono gettare – come hanno gettato di fatto il Paese – nello stato del più vivo allarme. Intendo parlare delle due polveriere di Cassano d’Adda e di Vigevano che nello spazio di pochi giorni, per atto di sabotaggio, sono state fatte saltare in aria. Indiscutibilmente tutti questi delitti hanno un intimo legame; e questo filo conduttore potrebbe essere quello denunciato dal deputato Lodge alla Commissione senatoriale americana per gli affari esteri, allorché dichiarava che il comunismo preparerebbe un colpo di Stato il quale usufruirebbe di queste forme di attività: primo, uso dei mezzi costituzionali, se possibile; e si è visto che l’uso dei mezzi costituzionali fino a questo momento non è servito molto allo scopo.
Secondo grado (che è quello che in atto si sta sperimentando e che potrebbe trovare domani una attuazione molto più violenta e pericolosa e, quindi, molto più capace di destare questo stato di allarme): impiego delle forze sovversive interne, come attualmente avviene a Napoli e a Marsiglia.
Dunque, quanto ha dichiarato l’onorevole deputato Lodge in America mi pare sia da prendere in seria considerazione, perché noi abbiamo questi sintomi premonitori.
Diceva l’onorevole Sottosegretario: nessuno, nessuna organizzazione può dare il preavviso per un eventuale colpo di Stato.
Perfettamente logico, e sarei oltremodo ingenuo se pensassi una cosa del genere! Ma bisogna tener presenti questi sintomi che denotano questo filo conduttore, che denotano questa organizzazione criminosa che va tempestivamente stroncata!
Del resto, quello che ha dichiarato il deputato Lodge, signori, non è la prima dichiarazione del genere. Vi prego di ricordare quello che da fonte non italiana, ma straniera, è stato detto in proposito; e mi riferisco a quanto è stato pubblicato, or è qualche mese, sul giornale svizzero «Die That» da un critico militare americano che prevedeva quelle cose che poi Lodge ha dichiarato alla Commissione senatoriale americana.
E vi prego anche di tener presente l’articolo apparso sulla rivista americana Time di settembre, che conteneva su per giù le stesse cose. Siamo dunque di fronte ad una serie di rivelazioni che segnalano sintomi che vanno tempestivamente stroncati.
Io capisco benissimo quella che è la posizione dialettica da parte degli avversari, ai quali non posso negare una grande abilità che è quella di ritorcere gli avvenimenti a loro vantaggio e cercare di gettare sull’avversario quelle responsabilità che spettano unicamente ed esclusivamente a loro. Questo fa parte della loro tattica, ma un Paese non può cadere nel tranello di questa tattica. Bisogna non soltanto curare i sintomi, ma prevenire; non cura, dunque, sintomatica, ma profilattica; prevenire con tutti i mezzi che sono a disposizione del Governo e non v’è bisogno che siano mezzi violenti, bastano quelli strettamente legali; e bisogna innanzi tutto identificare i mandanti.
Nel nostro Codice penale abbiamo un articolo 303 e un articolo 414 che riguardano, il primo la apologia del reato, il secondo la istigazione a delinquere.
Tutte le volte che per mezzo della stampa o con altri mezzi o con tutti i discorsi che si tengono o con le conferenze o nei comizi si commette un’istigazione a delinquere, si fa l’apologia del reato, si istiga all’odio di classe, bisogna che si intervenga con i mezzi che la legge mette a disposizione del Governo, perché non è lecito gettare il Paese nel caos, nel disordine, nella guerra civile, caos, disordine e guerra civile che evidentemente preludono a qualche cosa di molto più grave che è quello che diceva il deputato Lodge, asservire cioè il Paese a una nazione straniera. Perché questo è il vero disegno. (Interruzione del deputato Minio).
L’onorevole Pastore poc’anzi giustificava le violenze della Puglia col discorso di un mese fa di Vittorio Ambrosini. La cosa a me non riguarda né poco né punto, ma dal punto di vista della logica vi devo dire che è semplicemente assurdo che voi vogliate giustificare questi atti di terrorismo e di violenza, che sono scoppiati in tutto il Paese, per un discorso di quell’Ambrosini che, peraltro, è stato mandato al confino, come era stato mandato al confino da Mussolini; il quale discorso sarebbe avvenuto nientemeno che il 12 ottobre. Sarebbe stato un discorso a scoppio ritardato!
Ma, ad ogni modo, se anche voi volete attribuire al discorso di Ambrosini quello che è avvenuto in Puglia, io vi prego dirmi come potete attribuire allo stesso discorso di Ambrosini tutto quello che avviene in Italia dove il discorso Ambrosini non è arrivato neanche per sentito dire.
Io dunque non posso dichiararmi sodisfatto di quello che il Sottosegretario di Stato ha dichiarato.
Prendo atto della buona volontà del Governo, ma invito il Governo stesso ad una maggiore energia, ad un maggior senso di responsabilità; invito il Governo soprattutto, più che a individuare gli autori dei singoli episodi, ad individuare i mandanti, così come è stato fatto in Francia, dove sono stati denunciati ben due deputati. Perché? Per avere istigato all’odio di classe e per avere organizzato e ispirato i delitti che hanno turbato la serenità e la pace di quel Paese. (Applausi a destra).
Annunzio di interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere – come è diritto dell’Assemblea e del Paese – le ragioni ed i fatti che lo hanno indotto a fare le gravi dichiarazioni al San Carlo di Napoli, e dalle quali appare che egli ed il Governo non sono in grado di mantenere l’ordine pubblico e di tranquillizzare la pubblica opinione gravemente scossa dalle dichiarazioni stesse.
«Sansone».
«Al Ministro della difesa, per sapere le ragioni per le quali il comando generale dell’Arma dei carabinieri (ufficio personale sottufficiali e truppa) disponeva, con provvedimento in data 29 settembre 1947, il collocamento in congedo per il 31 dicembre 1947 dei sottufficiali richiamati e trattenuti delle classi dal 1892 a quella del 1895 inclusa.
«Tale provvedimento colpisce circa ottocento marescialli e crea una inesplicabile diversità di trattamento tra la condizione degli stessi e quella dei sottufficiali dell’esercito, della pubblica sicurezza e della guardia di finanza.
«Crispo».
«Al Ministro della difesa, sull’esito delle indagini in ordine alle cause che possono avere determinato lo scoppio della polveriera di Vigevano.
«Meda».
Il Governo ha facoltà di dichiarare quando intende rispondere.
MARAZZA. Sottosegretario di Stato per l’interno. Riferirò ai Ministri competenti perché comunichino quando ritengono di poter rispondere.
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. Chiedo al Sottosegretario se può dare una sollecita risposta alla mia interrogazione, data la gravità dei fatti denunziati. (Commenti al centro e a destra).
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di parlare.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. È evidente che non posso io dare una risposta immediata, anche perché l’interrogazione dell’onorevole Sansone riguarda la persona stessa del Ministro dell’interno.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza..
MATTEI TERESA, Segretaria, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare onde impedire che la mancata tempestività delle revisioni dei prezzi per i contratti di opere pubbliche costringa le ditte appaltatrici a sospendere i lavori in Calabria, con grave pregiudizio loro, della mano d’opera impiegata e delle opere stesse.
«Lucifero».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per sapere quali disposizioni intende adottare per regolamentare la revisione dei prezzi per i contratti di appalto di opere pubbliche, stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 5 aprile 1945, n. 192, contratti nei quali taluni uffici del Genio civile non inserirono la clausola della rivedibilità, ritenendola, con errata interpretazione, non necessaria.
«La mancata adozione di opportune disposizioni in merito danneggerebbe, particolarmente in Calabria, moltissime aziende costruttrici, le quali sottoscrissero il contratto ed eseguirono i lavori, ritenendosi garantite da eventuali variazioni in aumento. Avrebbe anche, purtroppo, dolorose ripercussioni per gli operai edili, su molti dei quali incomberebbe il pericolo di non avere corrisposte talune retribuzioni, dichiarando gli imprenditori di non avere la possibilità di farlo, essendo a loro volta, da tempo, creditori dello Stato e per somme rilevanti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Priolo».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se e come intenda provvedere allo sgravio dei tributi per i territori di Pachino e di Noto, gravemente colpiti da una violenta grandinata, di proporzioni mai viste, che ha danneggiato case e piantagioni e ha distrutto la produzione agricola di circa 3000 ettari. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Finocchiaro Aprile, Gallo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per sapere se non ritenga urgente disporre che la erogazione ai Comuni della quota, loro devoluta con l’articolo 27 del decreto 29 marzo 1947, n. 177, del tributo riscosso sugli spettacoli cinematografici sia effettuata dalla Intendenza di finanza mediante versamenti al più bimestrali, come esige la necessità di rimuovere, a sollievo delle pressanti esigenze dei bilanci comunali, il deplorevole ritardo anche di anni, con cui fino ad ora furono corrisposte le aliquote spettanti per le disposizioni precedenti e come consiglierebbe la elementare cura di un sano decentramento amministrativo. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Cosattini».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Minestro dei lavori pubblici, per sapere se non ritenga necessario ed urgente intervenire, previ gli eventuali accertamenti del caso, tramite il competente ufficio del Genio civile, in favore dell’abitato di Porto Santo Stefano in provincia di Grosseto.
«Distrutto per il novantadue e sessanta per cento dalle operazioni belliche, è stato duramente provato, negli anni successivi, da nubifragi e da un’epidemia di tifo (per tacere dei danni arrecati dall’esplosione del trasporto militare Panigaglia).
«Paese composto di marinai e di piccoli proprietari non ha avuto, a differenza di molti altri, emigrazione, dato il particolare nobilissimo attaccamento delle popolazioni ai loro focolari.
«Già in occasione di un grave nubifragio si ebbe il personale intervento dell’allora Ministro dei lavori pubblici onorevole Romita e furono disposte costruzioni che ancora non sono utilizzate, mentre potrebbero e dovrebbero esserlo.
«Si reclama il sollecito versamento dei contributi a favore dei privati che ricostruiscono e che più anche farebbero se non trovassero inciampo negli inesplicabili ritardi e nelle inconcepibili lentezze frapposte al versamento loro dovuto dei contributi di Stato.
«In più parti dell’abitato e nei suoi immediati dintorni movimenti di asserita natura lavinica mettono in serio e grave pericolo le macerie e i relitti nei quali – perduto ogni senso di umano decoro – vive in miserrime condizioni, esposta all’ingiuria degli elementi, la popolazione. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Magrassi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per sapere se e quali provvedimenti intenda adottare urgentemente per alleviare le disagiatissime condizioni economiche dei pensionati della previdenza sociale, i quali, licenziati per limiti di età dopo tutta una vita di lavoro, percepiscono assegni veramente irrisori; e più particolarmente per sapere:
- a) per quale motivo gli uffici postali trattengono sull’assegno di contingenza concesso col decreto 29 luglio 1947, n. 689, la somma di lire 300 per ogni pensionato;
- b) se non sia giusto elevare tale assegno di contingenza per i pensionati di età minore ai 65 anni alla misura stabilita per quelli di età superiore;
- c) se non sia doveroso estendere ai pensionati della previdenza sociale i beneficî del premio della Repubblica e dell’assistenza sanitaria da parte della Cassa nazionale mutua malattie, alla quale essi ebbero a versare i propri contributi concorrendo alla formazione del patrimonio dell’ente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carboni Angelo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per sapere se, in considerazione del grave danno che deriverebbe, per effetto delle eccezionali condizioni economiche attuali, ai sottufficiali, trattenuti e richiamati, dell’Arma dei carabinieri delle classi 1892 a 1895 inclusa dall’attuazione dell’ordine di collocamento in congedo, pel 31 dicembre 1947, emanato dal comando generale, non ritenga opportuno estendere ad essi, a somiglianza di quanto già fu fatto per quelli della guardia di finanza, la disposizione per la quale i sottufficiali delle altre Armi possono essere trattenuti in servizio fino al compimento del 55° anno di età. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Carboni Angelo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro del lavoro e previdenza sociale, per sapere quali urgenti provvedimenti intendano adottare per avviare a definitiva soluzione la vertenza in corso fra il personale dipendente dai sanatori dell’I.N.P.S., vertenza tuttora aperta a causa della mancata presentazione, da parte dell’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, del più volte promesso progetto di decreto sui concorsi del personale sanitario ospedaliero e universitario. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Simonini».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’agricoltura e foreste e l’Alto Commissario per l’alimentazione, per sapere se non credano giusto ed opportuno dare immediate disposizioni per ridurre a misura più rispondente alla situazione reale i contingenti fissati per le provincie liguri, quale versamento agli oleari del popolo e nello stesso tempo per conoscere i motivi del ritardo nella emanazione di disposizioni precise per il funzionamento dei frantoi, attualmente ancora inoperosi per la imposta chiusura da parte della Upsea. Il ritardo di cui sopra compromette gravemente i risultati del raccolto delle olive che stanno deperendo presso i produttori, provocando le giustificate proteste di questi ultimi.
«Per sapere, infine, se risponda al vero che starebbero per emanarsi delle disposizioni per la requisizione di alcuni frantoi, dandone la gestione ai Consorzi agrari provinciali con la collaborazione della Upsea e della Sepral, riconoscendo ai Consorzi la esclusività della molitura e un esorbitante diritto di lire 75 per ogni quarta molita per spese di sorveglianza, contabilità e assistenza, con divieto inoltre di contrattazione e vendita delle olive. Queste disposizioni, se attuate, porterebbero il più grave turbamento tra i piccoli produttori di olive e una ingiusta discriminazione fra i frantoiani, alcuni dei quali si vedrebbero privati del loro lavoro, e infine un certo aumento del prezzo dell’olio. (Gli interroganti chiedono la risposta scritta).
«Pera, Canepa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per conoscere se, in base all’informazione pubblicata nel Notiziario del Ministero della pubblica istruzione dell’8 novembre 1947, circa l’imminente inquadramento nei nuovi gradi superiori dei direttori didattici e degli ispettori scolastici, devono ritenersi compresi gli insegnanti specializzati per sordomuti e i direttori degli istituti per sordomuti che, per ragione di giustizia e come fu già fatto col vecchio inquadramento (regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395), vanno equiparati i primi con i direttori didattici ed i secondi con i primi ispettori scolastici. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Fresa».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, sulle cause delle frequenti esplosioni di depositi di munizioni; sulle misure che intende adottare, per evitare il ripetersi delle medesime, e se non ritenga urgente trasferire tali depositi in zone adatte e lontane dall’abitato civile.
«In riferimento all’esplosione di quello di Vigevano, l’interrogante chiede se non sia edotto:
- a) che sulle condizioni di sicurezza del deposito stesso aveva espresso dei dubbi l’ex comandante del presidio cittadino;
- b) che il sistema difensivo, consistente in un semplice reticolato, non poteva impedire l’accesso di chi volesse portare a compimento atti criminosi;
- c) che il servizio di guardia, composto da poche sentinelle a cento metri di distanza l’una dall’altra, era insufficiente in una zona in vicinanza del Ticino, ove il rumore della corrente delle acque impedisce di potere percepire i rumori prodotti dal passo di uomini, e le frequenti e fitte nebbie tolgono la visibilità a pochi metri;
- d) che in circa due anni l’autorità superiore competente ha compiuto in tutto una o due ispezioni, mentre avrebbe avuto il dovere di tenersi aggiornata sulle condizioni di sicurezza o meno, per i provvedimenti del caso.
«L’interrogante chiede, infine, se il Ministro non sia d’avviso di provvedere al sollecito accertamento dei danni subiti dalla popolazione civile e alla loro liquidazione per mezzo di uffici periferici della zona militare dalla quale dipende la località sinistrata, danni derivanti dalla morte e dalla mutilazione di persone, dalla distruzione di case, di mobili, ecc., in modo da non rendere maggiormente dolorose le conseguenze del lamentato sinistro. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Pistoia».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:
1°) i motivi della esplosione della polveriera di Vigevano (Pavia), notoriamente poco presidiata;
2°) i provvedimenti che intende prendere per impedire ulteriori esplosioni «per simpatia»;
3°) i provvedimenti necessari ed urgenti a favore dei congiunti delle vittime e dei sinistrati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mezzadra».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per sapere quali ragioni abbiano sinora impedito il funzionamento dell’Ente per l’irrigazione delle Puglie e Basilicata: perché non si sia provveduto alla nomina del presidente, che è stata riservata al Ministro; se e quando si prevede la formazione del Consiglio di amministrazione ed il funzionamento dell’Ente. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Reale Vito».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, per conoscere per quali ragioni il Ministero dell’agricoltura non ha ancora, in analogia con quanto fatto dal Ministero dei lavori pubblici e da quello delle comunicazioni, applicato la maggiorazione ai contratti e appalti per lavori vari di bonifiche, in correlazione con le maggiorazioni sui prezzi e sui salari. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Selvaggi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se non ritenga opportuno revocare il provvedimento di soppressione della scuola di avviamento al lavoro di Nocera Terinese (Catanzaro), provvedimento dal Ministero preso in base ad una insipiente relazione del sindaco del comune di Nocera, il quale non è in grado di comprendere il valore e l’importanza dell’istruzione professionale; tanto più che l’annunciata soppressione della scuola ha provocato una decisa ed unanime protesta popolare ed una formale deliberazione per il ripristino dell’Istituto da parte dei Partiti democratico cristiano, repubblicano, socialista, comunista e della Camera del lavoro, nonché un ordine del giorno nel medesimo senso del Partito qualunquista. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Mazzei».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere la vera portata della circolare n. 8904 del 1° luglio 1946, relativa a limitazione imposta ai Comitati comunali per le riparazioni dei danni bellici. Detta circolare, e quelle successive sullo stesso argomento, sembrano in netto contrasto con tutte le disposizioni di legge emanate per agevolare e promuovere le riparazioni e le ricostruzioni edilizie di case disastrate da eventi bellici e, comunque, non rispondono né a criteri di economia, né a criteri di giustizia.
«Infatti, non è giusto negare ai cittadini, che in un primo tempo hanno eseguite le sole riparazioni indispensabili, ed ammesse dalle istruzioni ministeriali allora vigenti, il diritto di potere eseguire ora le altre riparazioni, che pur sono ammesse dalle disposizioni in vigore e per le quali anzi è stato notevolmente aumentato il contributo dello Stato. Non si comprende perché alla esecuzione di tali opere ammesse debba far ostacolo la precedente liquidazione di alcune opere diverse da quelle per cui ora si chiede la esecuzione.
«Così facendo, vengono adottati criteri diversi con danno di quelli che furono più solleciti ed ossequienti alle leggi e non si favoriscono le ricostruzioni edilizie che costituiscono, oltre che un debito di onore per il Governo, il presupposto di quella sistemazione o normalizzazione che è nei voti di tutti.
«Non può farsi appello a ragioni di economia e di ristrettezze di mezzi, perché il Governo spontaneamente ha creduto, non solo di estendere il contributo ad opere, che in un primo tempo non erano ammesse, ma ha anche elevato la misura del contributo dal 50 al 75 per cento. Sarebbe stato più logico, per fini economici, mantenere i limiti segnati in un primo tempo, anziché allargare questi limiti a solo beneficio dei ritardatari e con danno dei più solleciti.
L’articolo 1 della legge 9 giugno 1945, n. 565, dava appunto disposizioni per i lavori indispensabili, per dare ricovero ai senza tetto, mentre per gli altri lavori, non aventi tale carattere, statuiva che «sarebbero stati regolati dalle disposizioni generali da emanarsi, per danni di guerra e per le ricostruzioni edilizie». Da ciò si desume che allora si potevano fare le sole opere indispensabili, mentre le altre dovevano farsi successivamente, cioè ora, che sono ammesse anche le ricostruzioni e sono consentite tutte le opere ad eccezione di quelle di lusso, abbellimenti e trasformazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Castiglia».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere:
1°) se non ritenga urgente dare disposizioni ai dipendenti uffici perché essi provvedano alla immediata corresponsione della indennità sia di carica (decreto legislativo 8 febbraio 1946, n. 63) che di toga (decreto legislativo 19 maggio 1947, n. 400) a tutti coloro che comunque hanno avuto ed hanno funzioni di magistrato presso i Tribunali militari, considerando che le suddette indennità sono state concesse per la carica ricoperta e nell’interesse superiore della giustizia attraverso una elevazione anche materiale delle condizioni dei magistrati italiani, non essendo peraltro morale che si perpetui una disparità di trattamento che si perpetua da oltre un anno, malgrado i ricorsi già proposti dagli stessi interessati;
2°) se non ritenga necessario disporsi che, come già in altre Amministrazioni dello Stato e come già specificamente avvenuto dopo la guerra 1915-18, si provveda, attraverso un concorso per titoli, con opportuna elevazione dei limiti di età per esservi ammessi, alla nomina a magistrato militare dei professionisti contemplati all’articolo 11 del decreto legislativo 21 marzo 1946, n. 144, avvalendosi dei posti rimasti vacanti dal concorso per uditore giudiziario militare, di cui al bando di concorso del 1° marzo 1947 (in Gazzetta Ufficiale n. 121), in considerazione che è necessario sistemare dei reduci trattenuti alle armi con leggi eccezionali, malgrado la cessazione dello stato di guerra, e che appare giusto riparare così al gravissimo danno arrecato ai suddetti professionisti col trattenerli per lungo tempo lontani dall’esercizio professionale, senza per altro doversi dimenticare che l’assunzione di tale personale elimina il periodo di tirocinio previsto per gli uditori, data la piena capacità ed idoneità dimostrata dai suddetti professionisti, specie nel periodo di intenso lavoro del 1944, 1945 e 1946;
3°) se è intendimento del Governo di istituire in Sicilia, unitamente alla sezione della Cassazione, una sezione del Tribunale supremo militare, dato che quest’ultimo organo giudiziario rientra tra gli organi giurisdizionali centrali, previsti dallo Statuto di cui al decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Castiglia».
PRESIDENTE. La prima delle interrogazioni testé lette sarà iscritta all’ordine del giorno e svolta al suo turno, trasmettendosi ai Ministri competenti le altre per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 21.10.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 10:
Discussione dei seguenti disegni ili legge:
Approvazione del Trattato di amicizia e relazioni generali fra la Repubblica Italiana e la Repubblica delle Filippine, firmato a Roma il 9 luglio 1947. (36).
Approvazione del Trattato di pace e relativo scambio di Note fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Cuba, firmato all’Avana il 30 giugno 1947. (43).
Norme per la repressione dell’attività fascista e dell’attività diretta alla restaurazione dell’istituto monarchico. (10).
Disposizioni relative al soggiorno nel territorio dello Stato ed ai beni degli ex regnanti di casa Savoia. (II).
Alle ore 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.