ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCXCI.
SEDUTA POMERIDIANA DI GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Domande di autorizzazione a procedere in giudizio:
Presidente
Dimissioni di un deputato:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Scelba, Ministro dell’interno
Sansone
Di Vittorio
Li Causi
Pajetta Gian Carlo
Coppa
Meda
Mariani Francesco
Cairo
Mastrojanni
Selvaggi
Puoti
Gasparotto
Cappi
Zanardi
Interrogazioni con richiesta d’urgenza:
Presidente
Scelba, Ministro dell’interno
Covelli
Sereni
Rodinò Mario
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio.
PRESIDENTE. Comunico che il Ministro di grazia e giustizia ha trasmesso tre domande di autorizzazione a procedere in giudizio rispettivamente contro i deputati Labriola, Li Causi, e Tomba, per il reato di cui all’articolo 595 del Codice penale.
Saranno trasmesse alla Commissione competente.
Dimissioni di un deputato.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Restivo mi ha inviato la seguente lettera:
«Palermo, 12 novembre 1947
«Signor Presidente,
«La Giunta delle elezioni ha convalidato la mia elezione a deputato all’Assemblea Costituente, in sostituzione del compianto professore Diego D’Amico.
«Inutile che le dica come io senta profondamente la responsabilità dell’ufficio a cui sono chiamato. Ma proprio il senso di questa responsabilità m’induce a ritenere che non sarebbe per me possibile partecipare, nel modo con cui vorrei, ai lavori dell’Assemblea Costituente, senza che questa partecipazione si riflettesse necessariamente – se non altro per ragioni di tempo e di dislocazione di uffici – in un minore impegno nell’espletamento delle mie attuali funzioni di assessore della Regione siciliana.
«Ora io non mi sentirei coerente con la mia fede di autonomista e di siciliano se, avvertita una tale preoccupazione, non uniformassi ad essa la mia condotta. Sono venuto quindi nella determinazione di presentare le mie dimissioni da deputato alla Costituente, dimissioni che vorrà comunicare all’Assemblea.
«Ella comprenderà, signor Presidente, che nel gesto che io compio non può non esservi, pur nell’assoluta convinzione che lo anima, qualche elemento di rammarico, per il fatto stesso di allontanarmi da colleghi valorosi, apprezzati nelle poche sedute alle quali ho avuto l’onore di prendere parte. Ma sono convinto – ed è di ciò che sono soprattutto lieto – che, anche attraverso la mia attività regionale, io resto un collaboratore della loro fatica, nel concreto formarsi dei nuovi istituti in cui si rinsalda l’unità del Paese.
«La prego di accogliere, col mio più fervido augurio per l’opera dell’Assemblea, che Ella così autorevolmente presiede, i sensi della mia viva stima.
«Francesco Restivo»..
Pongo ai voti l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Francesco Restivo.
(Sono accettate).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Come da impegno assunto, il Ministro dell’interno risponderà ora alle seguenti interrogazioni urgenti, presentate nella tornata di ieri:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, sull’assassinio proditorio consumato da agenti della mafia agraria siciliana in persona del compianto Vito Pipitone, vicesegretario della Confedeterra di Marsala, avvenuto in quella città la sera del 9 corrente; e più precisamente, per sapere:
1°) quali misure sono state prese per impedire il ripetersi dell’assassinio a tradimento di organizzatori sindacali, specialmente di contadini siciliani, dato che quello di cui è stato vittima il compianto Pipitone è il diciannovesimo della serie;
2°) se non credono indispensabile ed urgente adottare provvedimenti eccezionali per porre fine all’attività criminale della mafia, alimentata dai grandi proprietari terrieri ed avente lo scopo chiarissimo d’impedire l’applicazione delle leggi sociali della Repubblica nel campo agricolo, spezzando la rete di complicità che lega numerosi elementi delle autorità locali coi latifondisti e coi loro mafiosi assassini.
«Di Vittorio, Massini, Bitossi, Barbareschi».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per conoscere:
1°) se il Governo, dopo il recente brutale assassinio del vicesegretario della Federterra di Marsala, Vito Pipitone – ultimo di una lunga serie di crimini rimasti tutti impuniti – intende ancora disconoscere, con grave danno per la sicurezza e la democrazia dell’Isola, l’esistenza di una vasta associazione politica criminosa, diretta a lottare con tutti i mezzi, compreso l’assassinio, contro le organizzazioni dei lavoratori ed i partiti democratici repubblicani;
2°) se il Governo intende adottare energici provvedimenti, e quali, per assicurare alla giustizia, con la massima rapidità ed energia, i responsabili diretti ed indiretti, mandanti e mandatari, dei crimini politici siciliani, organizzati da elementi facinorosi al servizio delle cricche reazionarie dell’Isola;
3°) se il Ministro Guardasigilli intende richiamare energicamente i procuratori generali presso le Corti di appello e i procuratori della Repubblica presso i Tribunali della Sicilia, affinché provvedano a che, nei casi del genere, la legge sia applicata inesorabilmente e con esemplare sollecitudine.
«Li Causi, Montalbano, D’Amico, Fiorentino, Musotto, Cianca, La Malfa, Nasi, Varvaro, Corsi».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere, come deputati milanesi, quali misure intenda prendere nei confronti delle organizzazioni terroristiche clandestine neofasciste che operano nel Milanese e delle organizzazioni che ne costituiscono il paravento legale.
«Gli interroganti considerano la tolleranza colpevole del Governo, le recenti collusioni della Democrazia cristiana con i fascisti del M.S.I. e la campagna contro i sindacati dei lavoratori condotta dagli organi di stampa governativi come il più pericoloso incentivo ai criminali che intensificano la loro attività delittuosa e preparano nuove insidie contro l’ordine e contro le libertà democratiche.
«Pajetta Gian Carlo, Alberganti, Scotti Francesco, Cavallotti».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti il Governo intenda prendere nei confronti della situazione dell’Alta Italia, caratterizzata da aggressioni e azioni delittuose, ultima delle quali la tragedia di Rubiano di Mediglia, e quali garanzie il Governo intenda fornire per l’incolumità dei cittadini e l’esplicazione della loro libertà.
«Coppa, Cannizzo, Selvaggi, Mazza, Russo Perez».
«Al Ministro dell’interno, sui luttuosi fatti verificatisi l’11 novembre a Mediglia (Milano), che condussero all’uccisione di due cittadini ed al ferimento di altri tre.
«Gli interroganti chiedono quali provvedimenti l’autorità intenda adottare perché le libertà e la sicurezza pubbliche siano garantite.
«Meda, Morelli Luigi, Gasparotto, Cairo, Arcaini, Lazzati, Clerici, Zerbi».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’interno, per sapere se il Governo si è reso esatto conto della allarmante situazione che si è creata nella provincia e nella città di Milano in seguito ai recenti gravissimi fatti a tutti noti e se non riconosca la necessità e l’urgenza di rinnegare quei metodi di Governo che, lasciando impunito l’incitamento a commettere fatti della natura di quelli lamentati, ne favoriscano il verificarsi da parte di elementi inadattabili al nuovo clima politico-sociale della Repubblica italiana.
«Mariani Francesco, Malagugini, Pistoia, Targetti».
«Al Ministro dell’interno, sui sanguinosi fatti avvenuti in questi giorni in Lombardia, in Sicilia e in Emilia.
«Cairo, Lami Starnuti, Di Gloria, Tremelloni, Corsi, Momigliano, Filippini, Rossi Paolo».
«Al Ministro dell’interno, per sapere se è all’esame la sostituzione del prefetto di Milano.
«Pajetta Gian Carlo».
Nel frattempo sono pervenute altre interrogazioni aventi il medesimo carattere di urgenza, delle quali do lettura:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere le cause che hanno impedito alle forze armate di polizia di evitare le gravissime manifestazioni di delinquenza collettiva culminate nel linciaggio di uomini e nella distruzione delle sedi del partito del Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque. Tali manifestazioni hanno terrorizzato le civili popolazioni dei più popolosi centri dell’Italia, ingenerando in tutto il territorio dello Stato un giustificato allarme per le possibilità evidenti di rimanere sopraffatte in qualsiasi momento da orde di facinorosi abbrutiti nell’odio, assetati di vendetta, organizzati nell’ombra, armati negli spiriti perversi, muniti di ordigni terroristici, pronti a consumare i crimini più efferati ed a spargere il terrore fra l’intera popolazione inerme ed indifesa.
«Gli interroganti chiedono di conoscere quali provvedimenti di eccezionale severità e di incondizionata intransigenza ha predisposto il Ministero dell’interno per garantire l’autorità dello Stato, per prevenire eventuali altre manifestazioni del genere, per reprimere immediatamente, con assoluta fermezza e con esemplare estrema severità, qualsiasi benché minimo tentativo di violenza contro le cose e le persone, dando alle forze armate di polizia ordini precisi, decisi e categorici di usare tutti indistintamente i mezzi, consentiti dalle leggi dello Stato, per la prevenzione, la difesa e la repressione immediata e ad ogni costo, di qualsiasi manifestazione di minaccia o di violenza.
«Mastrojanni, Rodinò Mario».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti sono stati adottati o si intende adottare a scopo repressivo e preventivo, nell’Italia settentrionale, per impedire l’estendersi ed il moltiplicarsi di atti di violenza, che vanno dall’aggressione alla rapina, contro inermi cittadini e contro le sedi di partiti democraticamente operanti.
«Per conoscere quali istruzioni sono state date ai prefetti e ai questori affinché, verificandosi casi del genere, il loro intervento si effettui con tempestività ed energia, così da restaurare nel pubblico il senso dell’autorità della legge, gravemente scosso da sopraffazioni di parte.
«Per conoscere se non ritenga opportuno sottoporre all’approvazione dell’Assemblea Costituente una legge speciale tendente a garantire con drastica energia il rispetto delle libertà di cittadini violentemente manomesse dalla delinquenza di partito.
«Per conoscere se si ritiene in grado di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico con i mezzi attualmente a sua disposizione, o se non ritenga invece necessario ricorrere a misure di emergenza, atte a stroncare il piano criminoso di sovvertimento civile e politico, che alcuni partiti mostrano sempre più palesemente di volere attuare.
«Patrissi, Puoti, Fresa, De Falco».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda prendere a seguito dell’invasione e della distruzione della redazione del giornale Il Mattino d’Italia di Milano, e quali garanzie il Governo intenda dare perché atti del genere, veri e propri attentati alla libertà di stampa, non abbiano a ripetersi.
«Selvaggi».
«Al Ministro dell’interno, sui recenti fatti di Milano e di Bologna e sui provvedimenti adottati e da adottare a garanzia della pace sociale e della libertà.
«Gasparotto».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere a quali direttive d’ordine generale il Governo intenda ispirare la propria attività per far cessare il clima e i fatti di violenza che turbano con ritmo preoccupante l’ordine pubblico e la pace sociale, premesse necessarie della ricostruzione, materiale e spirituale, del Paese.
«Cappi».
L’onorevole Ministro risponderà pure alla seguente altra interrogazione presentata martedì scorso dall’onorevole Zanardi:
«Al Ministro dell’interno, per conoscere i provvedimenti presi nella provincia di Bologna contro attività terroristiche, svolte da persone armate – che, per il buon nome del nostro Paese, è augurabile non appartengano a nessun partito politico – le quali hanno invaso nella sera dell’8 novembre 1947 la sede dell’Enal in Crocetta (Medicina) ferendo gravemente due persone – fra cui Alfredo Buttazzi combattente e partigiano delle brigate Matteotti – in offesa al diritto comune ed in spregio delle tradizioni democratiche e socialiste di Bologna».
Ha pertanto facoltà di parlare l’onorevole Ministro dell’interno.
SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, il 10 corrente perveniva al Ministero dell’interno il seguente telegramma: «In contrada Bambina (Marsala) il vicesegretario questa Confederterra Vito Pipitone mentre apprestavasi svolgere opera per determinare assegnazione terre Feudo Giudeo veniva colpito a morte da mano ignota. Invitasi autorità tutta intervenire onde sia fatta giustizia».
Il contenuto di questo telegramma veniva conosciuto in tutta l’Italia dalle organizzazioni sindacali e rappresentava l’inizio di una serie di manifestazioni in tutto il Paese che hanno turbato la vita del Paese stesso e sono costate la vita a dei cittadini italiani. Il fatto cui accenna il telegramma è stato ricostruito dalle autorità. La sera dell’8 novembre Vito Pipitone veniva aggredito in campagna, ferito gravemente, portato all’ospedale.
All’ospedale, egli dichiarava all’autorità giudiziaria di essersi deciso quella sera improvvisamente a recarsi alla casa paterna, sita in lontana campagna e che questo suo divisamento egli non aveva comunicato ad alcuno. Per questa circostanza ed anche per la figura modesta del Pipitone, giacché egli è semplicemente l’organizzatore della zona rurale, le autorità ritengono sia da escludere nel fatto un movente politico. (Vive interruzioni all’estrema sinistra – Rumori – Commenti).
Voci all’estrema sinistra. Volete la guerra civile!
LI CAUSI. È una provocazione!
PRESIDENTE. Facciano silenzio! La seduta è appena incominciata. Sono state rivolte interrogazioni al Ministro dell’interno: lascino che risponda.
AMENDOLA. Per dire cose serie. (Rumori – Commenti).
PRESIDENTE. Faccia silenzio, onorevole Amendola.
LI CAUSI. Vi sono stati finora diciannove morti! (Rumori – Commenti).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! Occorre ch’io sospenda la seduta?
SCOCCIMARRO. Tutte le cose hanno un limite. (Rumori al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, faccia silenzio, la prego. (Commenti al centro – Rumori a sinistra – Interruzione del deputato Maltagliati).
Onorevole Maltagliati, per favore! Io desidererei sapere se si ritiene che io debba con fatica riportare il silenzio nell’Aula, perché del silenzio approfitti poi un solo collega per un’interruzione, e non l’Assemblea intera per proseguire i suoi lavori.
SCELBA, Ministro dell’interno. Io, onorevoli colleghi, non posso, in un primo tempo, che riferire i fatti, così come le autorità locali inquirenti, e cioè la magistratura, i carabinieri e la pubblica sicurezza li hanno accertati. Non pretendo che gli altri condividano il giudizio, ma vorranno consentirmi di esporre i fatti quali sono risultati sino ad oggi obiettivamente. Le autorità inquirenti locali, a cui si è aggiunta la magistratura – perché il Pipitone è morto il giorno successivo, e quindi è potuto intervenire anche il magistrato ad interrogarlo – basandosi precisamente sulla dichiarazione del Pipitone – dichiarazione raccolta dal magistrato e consacrata agli atti – che egli si era recato quella sera improvvisamente e senza comunicare a nessuno la sua decisione alla casa paterna, tenderebbero ad escludere, il movente politico.
Di questo fatto, cioè, che nessuno sapeva che quella sera il Pipitone doveva recarsi alla casa paterna…
SCOCCIMARRO. Quelli che lo hanno ammazzato lo sapevano. (Commenti).
Una voce al centro. L’hanno indovinato. (Interruzioni – Rumori).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, basta, per favore.
SCELBA, Ministro dell’interno. La circostanza che egli non aveva l’abitudine di recarsi a quell’ora e di frequente a casa del padre; il fatto ch’egli abitava in altra campagna molto lontana e la circostanza che press’a poco alla stessa ora tutte le sere rincasavano due fratelli e si recava alla stessa ora nella casa paterna del Pipitone il fidanzato della sorella; circostanze acclarate fino a questo momento, fanno ritenere alle autorità locali inquirenti, insieme, ripeto, alla stessa modestia della carica rivestita dal Pipitone, che possa trattarsi di un errore di persona.
SCOCCIMARRO. Lo sa che è un insulto, questo? (Proteste al centro).
PRESIDENTE. Onorevole Scoccimarro, per favore.
SCELBA, Ministro dell’interno. Io non vedo perché riferire che la carica occupata dal Pipitone fosse modesta rappresenti un insulto alla memoria del morto! (Interruzioni all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. Lascino proseguire!
SCELBA, Ministro dell’interno. Io accenno alla modestia della carica per fare rilevare che, se nella provincia si voleva colpire un rappresentante dell’organizzazione sindacale… (Interruzione del deputato Fedeli).
Una voce all’estrema sinistra. Uno alla volta! Sarà per la prossima volta!
PRESIDENTE. Faccia silenzio, onorevole Fedeli! Onorevoli colleghi, badino che io interrompo la seduta senz’altro! (Interruzioni dei deputati Scoccimarro e Li Causi).
Onorevoli colleghi, desidero porre la questione molto chiaramente. Sono state presentate undici interrogazioni. Io desidero sapere se gli onorevoli interroganti hanno presentato le interrogazioni per avere una risposta oppure per eludere le risposte.
Una voce a sinistra. Queste non sono risposte!
PRESIDENTE. Onorevole collega, quando sarà Ministro le scriverà come vuole lei le risposte! (Applausi al centro).
Onorevoli colleghi, fino a questo momento, in lunghi mesi di discussioni, anche agitate, siamo riusciti a condurre innanzi i nostri lavori senza ricorrere a mezzi che spiacerebbero più all’Assemblea che a me. Non vorrei che in questo scorcio di lavori la Presidenza fosse obbligata – per suo dovere, non per suo capriccio! – ad impugnare l’arma, veramente non molto piacevole, del Regolamento. Ho detto che vi sono undici interrogazioni, alle quali il Ministro dell’interno deve rispondere. Gli interroganti potranno poi largamente dichiarare il loro pensiero e commentare le parole del Ministro; ma questo non giustifica che, dopo appena tre minuti di risposta, si siano avuti oltre dieci minuti di interruzioni e rumori. Questo non è modo di discutere. Prego gli onorevoli colleghi di attendere a manifestare il loro pensiero nel momento più opportuno e, possibilmente, nel modo più opportuno. (Approvazioni).
Onorevole Ministro, la prego di proseguire.
SCELBA, Ministro dell’interno. Dicevo, onorevoli colleghi di sinistra, che accennavo alla qualità personale della vittima soltanto per dire che, se si fosse voluto raggiungere il proposito di stroncare l’organizzazione sindacale della provincia, esistevano nella provincia uomini ben più autorevoli e ben più dinamici del Pipitone.
Comunque, le circostanze che ho riferito mettono per lo meno in dubbio la causale del delitto. Noi non possiamo, allo stato delle cose, dire precisamente, nettamente che il delitto sia imputabile all’attività sindacale svolta dal Pipitone, oppure ad errore di persona, come presumono, in base ai sommari accertamenti, le autorità locali; non abbiamo, cioè, la certezza per fare un’affermazione definitiva, certezza che potrà aversi soltanto da parte dell’autorità giudiziaria, la quale prontamente è stata investita degli accertamenti del fatto delittuoso.
Onorevoli colleghi, il fatto di Salemi è venuto a turbare un periodo di tranquillità della mia terra, della Sicilia, perché dopo i fitti di Portella della Ginestra e le aggressioni alle sedi dei partiti socialista e comunista la Sicilia fortunatamente non era stata turbata da nessun altro delitto.
LI CAUSI. E gli altri morti della settimana scorsa?
SCELBA, Ministro dell’interno. Permetta che le risponda.
Ripeto che non è stata turbata la vita dell’Isola. Dico ciò, onorevoli colleghi, perché si imputa quasi all’attuale Governo una situazione eccezionale che esisterebbe nell’Isola. Ora, io potrei leggere i dati delle uccisioni che si sono verificate anche a danno di sindacalisti in Sicilia. E devo dire che queste per la maggior parte rimontano ad epoca molto lontana, quando al Ministero dell’interno non c’erano dei democristiani. Comunque, è certo che durante cinque mesi la vita politica e sociale della Sicilia, sia pure tormentata, come tutta la nostra vita nazionale da agitazioni sociali, tormentata dalle occupazioni delle terre che potevano costituire motivi ed incentivi a delitti, durante cinque mesi, nel periodo, direi, più critico dello sviluppo sociale nell’Isola, perché si è svolta la grande agitazione terriera, non è stata turbata dal sangue. (Interruzioni – Commenti all’estrema sinistra).
È stato ucciso giorni addietro il segretario della Federterra di Terrasini, certo Maniaci Giuseppe. Ora, neppure il partito comunista, dopo una prima protesta, ha ritenuto insistere nell’attribuire il delitto a movente politico.
LI CAUSI. Non è esatto.
SCELBA, Ministro dell’interno. Uno sciopero generale indetto a Rovigo per la uccisione del Maniaci è stato all’ultimo momento disdetto dalla Camera del lavoro a seguito di istruzioni ricevute dal centro.
BOLOGNESI. È falso.
SCELBA, Ministro dell’interno. E infatti, onorevoli colleghi, chi era il Maniaci? Il certificato penale ci dice che egli a tredici anni riportava la prima condanna per furto.
LI CAUSI. Col padre morto. La sorella monaca.
SCELBA, Ministro dell’interno. A diciassette anni riportava, dopo altre due condanne per furto, una condanna nientemeno che a dieci anni di reclusione per associazione a delinquere e rapine. Mentre si trovava in carcere tentò due audacissime evasioni. Fu riarrestato, e per questo passò altri due anni in carcere ed ebbe all’uscita l’ammonizione e la vigilanza speciale. (Interruzioni dei deputati Fedeli e Li Causi – Prolungati rumori).
Nel 1940 entrava a far parte del partito comunista, e diventava segretario della Federterra (Commenti a destra – Vivissimi rumori all’estrema sinistra).
Una voce all’estrema sinistra. Portate il Paese alla guerra civile!
BENEDETTINI. Voialtri! (Vivi rumori a sinistra).
SCELBA, Ministro dell’interno. Al momento dell’uccisione veniva trovata nella sua casa una cesta di arance… (Interruzioni a sinistra Rumori).
Veniva trovata nella tasca della sua giacca una pistola… (Interruzioni a sinistra – Proteste del deputato Pajetta Giancarlo) …con caricatore e con cartucce in canna. (Apostrofi dall’estrema sinistra all’indirizzo del Ministro dell’interno – Rumori – Commenti).
Nascoste sotto un pagliericcio sono state rinvenute e sequestrate quattro bombe a mano. (Interruzioni e rumori vivissimi all’estrema sinistra).
NEGRO. Non è permesso insultare i morti! (Rumori).
Una voce all’estrema sinistra. Dimissioni! (Vivissimi rumori – Commenti al centro – Interruzione del deputato Saccenti).
PRESIDENTE. Io desidero sapere se gli onorevoli colleghi intendono con questi clamori spingermi ad abbandonare il seggio della Presidenza. Non mi vorranno far credere che qualunque giustificato sdegno debba significare mancanza di rispetto alla Presidenza, cosa che nessuno ha posto finora in discussione. (Interruzioni dei deputati Colombi e Cacciatore).
Il primo deputato che mancherà di rispetto alla Presidenza – e si manca di rispetto alla Presidenza quando si interrompe il Presidente nella forma petulante con cui troppi di loro hanno preso l’abitudine di interromperlo – od il primo dei colleghi che pronunci parola che non sia la più corretta, pur nella sua passionalità, – si può esprimere qualunque sentimento senza scendere a termini non degni di questa Aula – sentirà i rigori particolari che il Regolamento vuole si applichino in questi casi. Io li assicuro che non sono venuto a presiedere questa seduta per assistere a contese di questo genere. (Approvazioni – Interruzioni del deputato Leone Francesco).
PRESIDENTE. Onorevole Leone Francesco, la richiamo formalmente all’ordine.
Onorevole Scelba, prosegua.
SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, dicevo che durante questi cinque mesi decorsi dai tragici fatti di Portella della Ginestra, all’infuori di questi due episodi, la vita dell’Isola è trascorsa tranquilla. Per contro, il Governo aveva dimostrato di sapere mantenere gli impegni formalmente assunti dal Governo di fronte all’Assemblea.
Allorché l’Assemblea si occupò dei delittuosi fatti del 1° maggio e del giugno io dichiarai che il Governo era il maggiore interessato a far luce sui tragici fatti, e che il Governo, nell’interesse del Paese, oltreché nell’interesse suo stesso, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per accertare i responsabili dell’efferato delitto. Questa promessa fu mantenuta, in quanto gli autori delle stragi sono stati individuati e arrestati, e taluno ha pagato con la propria vita il fio delle sue colpe.
Se questa è la situazione dell’Isola in questi ultimi tempi, se la vita dell’Isola si è svolta in modo non difforme da quella di tutto il resto d’Italia, io non trovo motivo di ricorrere a mezzi eccezionali, straordinari, come vengono invocati da alcuni interroganti, per sopperire ad una situazione che si dichiara eccezionale, ma che io ho la soddisfazione, nell’interesse del Paese, di dichiarare che non presenta assolutamente, dal punto di vista dell’ordine pubblico, nulla di eccezionale. (Commenti a sinistra).
L’episodio doloroso della Sicilia si è ripercosso nelle altre Regioni d’Italia, e, in modo particolare, nella Lombardia.
Erano in corso nella Lombardia manifestazioni di protesta contro il delitto consumato in Sicilia allorché nuovi episodi venivano a innestarsi nel clima turbato delle coscienze ed a creare nuovi motivi di agitazione. Il 9 novembre, mentre cinque giovani ritornavano da una festa da ballo, venivano aggrediti lungo la strada, da gente che stava ai margini della strada stessa. Era una serata di nebbia. Due dei cinque giovani venivano feriti. Causale del delitto: nessun accertamento è stato possibile compiere…
PAJETTA GIULIANO. C’era la nebbia!
SCELBA, Ministro dell’interno. All’una o alle due di notte noi non possiamo pretendere che in ogni angolo delle strade si trovi pronta la polizia. Il tempo intercorso per il trasporto dei feriti al Comune più vicino, ha richiesto non meno di un’ora di strada a piedi e la polizia è intervenuta quando materialmente non era più possibile trovare gli aggressori, i quali evidentemente non attendevano la polizia per essere catturati.
Motivo politico, si è detto. Ripeto, non abbiamo nessun elemento; ma se vi è una causale politica, si potrà desumere da un elemento di fatto: dal colore politico, per esempio, dei giovani che sono stati aggrediti. Da alcune informazioni pervenute risulta che uno era qualunquista e due ex comunisti. C’è un motivo politico? Se un motivo politico esiste è chiara la provenienza dell’aggressione. Ma io non oso, ripeto, pronunciarmi, perché non sono io che ho impostato l’aggressione su motivi politici. Rispondo ad una richiesta formale indicando gli elementi di valutazione per il giudizio che ciascuno è in grado di poter dare.
L’aggressione contro questi due giovani provocava, il giorno successivo, una spedizione punitiva. Queste sono le informazioni del prefetto di Milano; naturalmente le indagini non sono state compiute personalmente dal prefetto. Il fatto verificatosi il giorno successivo a quello dell’aggressione dei due giovani viene riferito in questi termini: alle ore 18 circa del giorno 10 un gruppo circa di 50 operai della Breda e di Sesto San Giovanni, appartenenti al Partito comunista italiano, autocarrati, si portavano nella frazione Rubiani di Milano dandosi alla ricerca del qualunquista Magenes, organizzatore del partito qualunquista di quella località, il quale si era rinchiuso nel molino gestito da certo Vitali Mario, e gli intimavano di seguirli. Il Magenes tentò di fuggire; poi, vistosi raggiunto, sparava due colpi di pistola, ferendo uno degli aggressori ed uccidendo un operaio della Breda. Il gruppo degli operai intimava poscia il ritiro del cadavere rimasto nell’interno del granaio ove trovavasi il Magenes; sopraggiunto il sindaco di Mediglia, questi invitava alla calma gli operai e invitava il Magenes a costituirsi. Il Magenes si consegnava al maresciallo comandante dei carabinieri, ma gli operai riuscivano a sottrarlo alla forza pubblica. I militari dell’arma, con l’ausilio dei funzionari di pubblica sicurezza, provvedevano a rintuzzare il gruppo degli operai e riuscivano a sottrarre il Magenes, che nel frattempo era stato ferito alla testa da corpi contundenti. Il medesimo, trasportato all’ospedale, decedeva durante il tragitto. Durante l’assedio della cascina e del mulino, il gruppo degli operai disarmava di fucile il cacciatore Allene Marco, causandogli una ferita lacerocontusa.
Questo è il fatto, in seguito al quale il giorno successivo si verificavano a Milano delle manifestazioni operaie. Erano in corso tali manifestazioni quando giungeva la notizia che era scoppiata una bomba nella sede del Partito comunista. Le autorità locali, che hanno riferito sul fatto, dicono: circa alle ore 12, al secondo piano interno della Federazione comunista, scoppiava improvvisamente una piccola bomba. (Commenti all’estrema sinistra).
PAJETTA GIAN CARLO. Voleva forse che fosse atomica?
SCELBA, Ministro dell’interno. Io leggo il rapporto del prefetto di Milano. Le indagini non le ho compiute io. Mi limito soltanto ad informare l’Assemblea in base agli elementi di cui può disporre un qualunque Ministro. D’altro canto, credo che dobbiamo rallegrarci tutti che si trattasse di una piccola bomba.
Questa bomba, soggiunge il rapporto del prefetto, infrangeva alcuni vetri senza però arrecare danno a persona, essendo in quell’ora la Federazione predetta quasi sgombra di funzionari. I reparti di polizia immediatamente accorsi riuscivano a procedere al fermo di tale Gragnolo Giuseppe, semi-infermo di mente, recentemente espulso dal Partito comunista. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti).
La notizia dell’attentato alla sede del Partito comunista determinava, com’era naturale, un aumento della tensione, che era già forte a Milano, e nel pomeriggio, alle 14.30, frotte di operai accorrevano da tutte le fabbriche per una manifestazione di protesta in Piazza del Duomo…
Una voce all’estrema sinistra. Viva gli operai di Milano! (Applausi all’estrema sinistra).
Una voce al centro. Viva gli operai pacifici di Milano!
SCELBA, Ministro dell’interno. Durante la manifestazione il presentatore degli oratori che parlavano al comizio, il signor Degrada, secondo le ultime informazioni pervenute – il quale è anche membro del Consiglio di amministrazione della R.A.I., – annunziava che era deceduto l’operaio Rivolta, ferito insieme all’altro operaio, il Gaiotti, che era rimasto ucciso il giorno precedente a Mediglia; aggiungeva inoltre che cinque operai erano stati arrestati dalla Celere e che venivano bastonati presso la sede della pubblica sicurezza.
Le due notizie erano inventate di sana pianta.
È chiaro che, di fronte a queste notizie, considerato lo stato d’animo degli operai, nuove manifestazioni di violenza dovevano aversi; ed infatti una serie di violenze si verificavano nella città di Milano, che non fanno onore a nessuno e che, certo, non sono fatte per dare serenità e tranquillità al Paese.
Venivano invase e devastate le sedi dell’Uomo Qualunque e del Movimento sociale italiano; veniva devastata la direzione del Meridiano d’Italia; veniva tentato l’assalto alla questura e alla tipografia del giornale predetto. (Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo).
Le ultime notizie pervenute oggi da Milano dicono che la giornata di oggi è passata tranquilla.
I fatti di Milano e i fatti di Sicilia hanno provocato nel resto d’Italia una serie di manifestazioni di violenza: io non le starò a ricordare, anche perché la stampa ne ha riferito. Fortunatamente nessuna vittima umana abbiamo dovuto lamentare, nonostante l’asprezza delle manifestazioni. Sono state devastate in molte città d’Italia le sedi dell’Uomo Qualunque, prese particolarmente di mira. Un tentativo di linciaggio è stato evitato dalla polizia. Ma, nonostante tutto ciò, l’ordine nel senso più largo della parola si è potuto garantire. La polizia è stata messa a dura prova, onorevoli colleghi, in questi giorni, perché manifestazioni vi sono state e in gran numero e non è certo sempre possibile evitare le singole aggressioni. Le forze dell’ordine pubblico sono servite però ad evitare gravi e dolorosi incidenti.
Non sempre rifulge in tutta la sua luce tutto ciò che le forze dello Stato compiono per evitare il peggio; ma io non posso tacere qui, di fronte all’Assemblea Costituente, che gli organi di pubblica sicurezza hanno compiuto, nei limiti delle loro forze, tutto il loro dovere, impiegando tutta la loro energia, tutta la loro forza al servizio dello Stato, della tranquillità, e dell’ordine del Paese.
Onorevoli colleghi, le forze di pubblica sicurezza, dico per tranquillizzare i settori dell’Assemblea che hanno chiesto misure eccezionali al Governo, sono in grado di assicurare l’ordine nel Paese, ma non certo di impedire le sporadiche manifestazioni di violenza. Si accusa il Governo, si accusano le forze dell’ordine di non usare il pugno duro. Voi avete sentito anche qui, dalla lettura delle interrogazioni, quello che si chiede al Governo. Io penso che un Governo democratico, che abbia il senso della misura, debba fare ogni sforzo per evitare conflitti sanguinosi nel Paese, anche a costo talvolta di dare la sensazione di debolezza. Non è invece, onorevoli colleghi, debolezza l’indirizzo del Governo di evitare conflitti nonostante che circostanze oggettive potrebbero spingere le forze dell’ordine; non è debolezza quella delle forze dell’ordine che cercano di contenere le manifestazioni e di incanalarle verso forme meno impetuose.
Ma nessuno deve illudersi; se attentati allo Stato, se attentati alla democrazia dovessero verificarsi, il Governo è deciso ad usare contro la violenza la forza dello Stato.
(Applausi al centro e a destra – Commenti all’estrema sinistra).
Si tratta, onorevoli colleghi, di salvare il regime democratico; e salvare il regime democratico significa, anzitutto questo: dare ai cittadini la sicurezza che le forze dello Stato non soltanto sono operanti, ma decise e capaci di reprimere ogni attentato alla democrazia. Noi intendiamo assicurare tutti i cittadini italiani che, pur nella più larga comprensione della situazione politica italiana, che pur nella più larga comprensione dello stato d’animo in cui crescono e maturano queste agitazioni, pur comprendendo che le preoccupazioni di ordine economico esasperano lo stato d’animo di determinate masse, noi siamo vigilanti e sappiamo anche che delle condizioni economiche disagiale dei lavoratori si cerca di approfittare per scopi politici, chiaramente e nettamente dichiarati.
Io ritengo, onorevoli colleghi, che le manifestazioni ufficiali e non ufficiali che fanno appello alla piazza o alle forze popolari di agire sul terreno della piazza, per modificare una situazione politica, per modificare una situazione governativa, ritengo che questi appelli non sono fatti per salvaguardare la democrazia, perché la democrazia non agisce nella piazza, perché la democrazia ha i suoi strumenti i quali sono, onorevoli colleghi, il Parlamento e la scheda elettorale. (Applausi al centro – Interruzioni all’estrema sinistra).
E alla scheda elettorale, onorevoli colleghi, il Governo ha già dichiarato di voler ricorrere per mettere il Paese in condizioni di esprimere le forze reali che sono nel Paese. E se le urne, ma soltanto le urne, daranno al Paese delle forze politiche nuove, queste forze politiche nuove, che conquisteranno democraticamente il loro posto nel Parlamento, avranno diritto di governare il Paese. (Interruzioni all’estrema sinistra).
Ma contro ogni tentativo di sovvertire la situazione politica attuale con manifestazioni violente o di piazza, contro ogni tentativo di terrorismo psicologico e politico, una democrazia e un Governo cosciente di quello che significa democrazia, hanno il dovere di fare appello alle forze dello Stato. (Applausi al centro – Commenti a sinistra).
Una voce a sinistra. Ci parli dei fascisti.
SCELBA, Ministro dell’interno. Verrò ai fascisti. A giustificazione di queste manifestazioni, onorevoli colleghi, si è invocata la necessità di reagire con forme terroristiche a quelle organizzazioni terroristiche neo-fasciste che agiscono clandestinamente o attraverso organizzazioni politiche apertamente.
Io desidero, onorevoli colleghi, di esprimere nettamente il pensiero del Governo in questa materia; e anzitutto, che il Governo, per suo conto, non è disposto a cedere ad imposizioni di qualsiasi natura nel determinare la propria linea di condotta; che il Governo è deciso ad applicare le leggi dello Stato e che non intende agire fuori delle leggi dello Stato.
Esistono in Italia dei movimenti neo-fascisti, esistono certamente. (Commenti all’estrema sinistra).
Qual è l’atteggiamento del Governo rispetto a questi movimenti?
Ritengo di poter dichiarare che molti fascisti vivono in grossolano errore. Il Governo, e non l’attuale Governo, ma i Governi democratici, hanno instaurato in Italia, soprattutto dopo l’avvento della Repubblica, una politica di larga conciliazione. Questa politica era una necessità, perché la democrazia aveva il dovere di differenziarsi qualitativamente rispetto al fascismo, dimostrando il suo vero volto, il suo volto umano. Questa politica, che non è, ripeto, la nostra politica, anche se ha avuto il nostro concorso, noi intendiamo perseguire.
Mi pare che l’onorevole Togliatti, a proposito della sua amnistia, diceva che se egli si trovasse a dover decidere sull’amnistia la rifarebbe egualmente. Io credo che l’onorevole Togliatti abbia fatto questa affermazione in modo eccessivo, perché, se lui ed io e tutti quanti abbiamo collaborato a questa amnistia avessimo potuto prevederne tutte le conseguenze, probabilmente avremmo preso qualche debita cautela. Ma nella sua sostanza e nella sua essenza l’amnistia e la politica di pacificazione erano una necessità sociale, perché non si può pensare a ricostruire un Paese senza ricostruire l’unità degli spiriti. (Commenti a sinistra).
Era una necessità, ma molti uomini del fascismo sono caduti in equivoco. Sono caduti in equivoco coloro i quali pensano che la politica pacificatrice della democrazia, che l’amnistia e tutte le altre leggi siano state quasi un atto di riparazione per una ingiustizia compiuta. Non è un atto di riparazione per una ingiustizia compiuta, ma è un atto sapiente, volontario, cosciente, tendente alla pacificazione degli spiriti!
Vi sono molti uomini del fascismo i quali non hanno inteso il valore di questa politica. Noi abbiamo tolto dalle carceri uomini che erano stati condannati a scontare decine di anni, li abbiamo restituiti alle loro famiglie, abbiamo ridato loro la possibilità di vivere, abbiamo ridato loro la possibilità di rifarsi un volto e una dignità di uomini liberi; non hanno compreso e non comprendono questa politica umana del Governo, della democrazia e credono che questa politica umana verso singoli uomini rappresenti null’altro che l’inizio e la possibilità di una restaurazione politica, non dico di sistemi perché sistemi e situazioni politiche non si ripropongono mai negli stessi termini, ma una restaurazione di una classe politica, sociale ed economica che, per le responsabilità incontrate nel passato, non può pensare di ritornare nella vita del nostro Paese. (Applausi al centro – Commenti a sinistra). Non può soprattutto pensare il vecchio fascismo e gli uomini del vecchio fascismo di riavere una parte nella politica italiana, perché gli uomini possono confondersi nei movimenti – e molti ex fascisti sono in tutti i partiti politici, nessuno escluso in questa Assemblea – e hanno il diritto di collaborare e possono collaborare, ma quando si pensa di ricostituire i quadri di organizzazione, quando questi quadri riprendono elementi puramente e schiettamente fascisti, evidentemente un regime democratico non può consentire questa resurrezione. E il Governo, che ha questi pensieri, segue la situazione. Il Governo è deciso, per suo conto, a fare il suo dovere in questo campo perché nessuna reviviscenza di organizzazioni fasciste o resurrezione di una classe politica tramontata possano verificarsi nel Paese.
Una voce a sinistra. Rompa l’alleanza col Movimento sociale italiano.
SCELBA, Ministro dell’interno. Ma, onorevoli colleghi, anche in questo campo le valutazioni sono diverse (Commenti a sinistra) perché noi non possiamo accettare che, mentre il rappresentante più alto del Partito comunista italiano si reca a rendere omaggio a un congresso di un partito che ha qui i suoi rappresentanti, poi questo partito debba vedere distrutte le proprie sedi, i propri membri aggrediti o assassinati col motivo che si tratti di fascismo. Questo, onorevoli colleghi, noi non lo possiamo accettare. La valutazione politica di un movimento non può variare secondo il proprio tornaconto del momento. La politica rispetto al fascismo deve essere lineare. Ma detto questo, onorevoli colleghi, per quanto riguarda il fascismo, detto che il Governo per suo conto è deciso fermamente ad impedire il ritorno sulla scena politica di manifestazioni e riorganizzazioni tipicamente e strettamente fasciste, il Governo non può accettare che contro minacce di reviviscenza fascista si istauri in Italia un terrorismo politico che del fascismo avrebbe tutte le caratteristiche. (Applausi al centro – Interruzioni all’estrema sinistra).
Quali sono le manifestazioni di terrorismo fascista?. Il partito comunista è stato vittima di due aggressioni avvenute entrambe a Milano. Un ordigno esplosivo è scoppiato presso la sede comunista di Milano il 24 settembre. Il Governo e la polizia hanno fatto il proprio dovere, perché questa ha scoperto e rintracciato gli autori i quali oggi si trovano a San Vittore in attesa di giudizio. Non si può imputare al Governo di non aver scoperto i responsabili e di non aver fatto, nei confronti degli autori di aggressioni contro il partito comunista, il proprio dovere. (Interruzioni all’estrema sinistra). Mentre in tanti altri attentati, fatti nei confronti di altri movimenti, i responsabili sono rimasti fino ad oggi impuniti perché gli autori non sono stati scoperti.
Un’altra piccola, modesta, manifestazione contro il partito comunista si è avuta a Milano recentemente il 4 novembre.
PAJETTA GIAN CARLO. Una modesta manifestazione? Una bomba, innocente?
SCELBA, Ministro dell’interno. Recentemente, dicevo, una bomba di carta è scoppiata sul davanzale della casa del custode della Sezione rionale comunista di Milano sita in Via del Santi. Fortunatamente non ha provocato nessun danno. Ma, di contro, onorevoli colleghi, a queste aggressioni, che noi possiamo nel primo caso, positivamente, benché l’autorità giudiziaria non abbia ancora espresso il suo giudizio, ma in base agli elementi raccolti, attribuire a neo-fascisti, (e dobbiamo dire che si tratta però di neo-fascisti molto «neo», perché uno non ha neppure 20 anni, quindi è addirittura un ragazzo (Interruzioni a sinistra) e gli altri responsabili sono dai 20 ai 22 anni), di contro a queste aggressioni abbiamo, onorevoli colleghi, una lunga serie di manifestazioni di intolleranza politica, di violenze politiche, nei confronti degli altri partiti che io mi risparmierò di leggere tutte all’Assemblea.
Una voce al centro. Staremmo qui fino a domani.
SCELBA, Ministro dell’interno. Mi limiterò a leggere gli episodi più salienti e i fatti individuali; e mi soffermerò poi su qualche fatto, che deve richiamare particolarmente l’attenzione dell’Assemblea.
Il 26 settembre si è avuto il linciaggio di un ex fascista; il 9 ottobre a Perugia è stato aggredito, colpito e ferito gravemente un certo Giampaolo Giuseppe, ex fascista.
Il 10 ottobre a Mombello è stata lanciata una bomba contro la sede del Partito democristiano. (Interruzioni a sinistra). L’11 ottobre un comunista feriva un qualunquista con un coltello al viso. Lo stesso giorno a Milano sei individui, nella sede del M.S.I., percuotono 4 aderenti, fra cui il segretario. Il 13 ottobre a Ginosa si ha un morto e 22 feriti per azione compiuta da elementi comunisti, arrestati e denunciati all’autorità giudiziaria. Il 14 ottobre abbiamo il lancio di tre bombe contro il generale Barbasetti di Prun, democratico cristiano. Il 15 ottobre, a San Giuliano…
PAJETTA GIAN CARLO. Perché non legge anche quello di San Giuliano?
SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevole Pajetta, io sto leggendo le aggressioni compiute contro i partiti cosiddetti di destra e di centro; l’episodio di San Giuliano non è stato contro di noi.
PAJETTA GIAN CARLO. Contro la Democrazia cristiana: esclude che siano stati fascisti, perché sono vostri amici.
Una voce a sinistra. Questa è la verità.
SCELBA, Ministro dell’interno. A Modena il 27 ottobre furono sparati tre colpi di rivoltella contro la finestra dell’abitazione di certo Messoni, membro della Giunta esecutiva della Democrazia cristiana. Il 27 ottobre a Carpi 4 sconosciuti aggrediscono un ex fascista, procurandogli ferite guaribili in 15 giorni. Il 29 ottobre devastazione delle sedi del M.S.I.; il 4 novembre devastazione della sede del Movimento nazionalista e della tipografia sociale. Il 4 novembre tre sconosciuti si presentano nell’abitazione dell’ex generale della milizia Gatti Francesco e lo feriscono gravemente con 4 colpi di rivoltella. Il 6 novembre a Fontanego di Agogna ignoti fanno esplodere una bomba innanzi alla chiesa parrocchiale. Il 7 novembre a Como uno sconosciuto lancia una bomba a mano contro l’Istituto dei missionari. L’11 ottobre a Taranto viene invaso e devastato il Corriere del Giorno. L’11 novembre devastazione del Movimento nazionalista; viene ferito il custode e prelevato il figlio, dottor Ghersi; è evitato il linciaggio per l’intervento della pubblica sicurezza. Un altro gruppo tenta di irrompere nella sede dell’Uomo Qualunque. Il 4 novembre a Mirandola un gruppo di comunisti aggredisce un democristiano causandogli lesioni guaribili in dieci giorni. Il 7 novembre alcuni comunisti percuotono un altro democristiano, causandogli ferite alla testa ed alle mani. Il 7 novembre vengono esplosi colpi da arma da fuoco contro un ex squadrista. Ad Abbadia San Salvatore altri attentati ed aggressioni del genere.
Come vedete, i fatti sono numerosi; ma quattro manifestazioni, quattro attentati devono richiamare la nostra particolare attenzione: l’uccisione del ragioniere Petruzzelli e l’attentato contro il generale Gatti, uno qualunquista e l’altro ex fascista.
Su questi due fatti richiamo la vostra attenzione perché sono stati eseguiti con una tecnica particolare, con la stessa tecnica: introduzione nella casa, richiesta ai familiari della presenza dell’interessato da parte di ipotetici amici, uccisione o ferimento alla comparsa dell’interessato sotto gli occhi dei familiari. (Commenti – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo).
Vi è poi l’aggressione alle officine Breda. (Interruzione a sinistra). Qui, non siamo di fronte ad ex fascisti, non siamo di fronte a generali della milizia, non siamo di fronte ad ex squadristi e repubblichini, ma di fronte ad autentici lavoratori. A Sesto San Giovanni i lavoratori sono stati vittime di inaudite violenze da parte di squadre che si sono introdotte nella fabbrica con la menzogna. Potrei leggere tutto il rapporto alla Camera perché è interessante. Queste squadre si sono introdotte nella fabbrica (sono state individuate come squadre di «pestaggio») dicendo che facevano parte della Commissione interna. Ma la Commissione interna, quella vera, non li ha riconosciuti come tali, ed allora essi si sono introdotti con la violenza ed hanno bastonato numerosi lavoratori democristiani.
Una voce al centro. Quelli non sono lavoratori perché non sono comunisti.
SCELBA, Ministro dell’interno. Aggressione dell’Emilia. Qui, non siamo neppure di fronte ai democratici cristiani, non siamo neppure di fronte alla politica del Governo, ma siamo fuori del Governo, siamo nel campo delle opposizioni, siamo nel campo dei socialisti del Partito socialista dei lavoratori italiani. Anche quest’argomento è oggetto di interrogazione ed i fatti sono noti: l’onorevole Matteotti non ha potuto parlare a Castel Sampietro di Bologna. Il giorno dopo uno dei partecipanti alla riunione, riconosciuto come tale, è stato aggredito, vilmente bastonato da cinque persone ed ha riportato delle gravissime ferite, per cui sta ancora all’ospedale. Qui, ripeto, siamo nel campo estraneo al Governo ed alla responsabilità governativa; siamo nel campo delle opposizioni.
Questi episodi, onorevoli colleghi, ci dimostrano come nel Paese esiste del terrorismo, una psicologia di intolleranza; e non accenno che ai soli fatti individuali, e non parlo di tutte le agitazioni o manifestazioni o scioperi, ecc.; non accenno a questo perché rientrano in un quadro diverso. Siamo nel campo della aggressione individuale singola e della intolleranza politica. Tutto questo rivela uno stato d’animo nel paese che è pericoloso; è pericoloso e dannoso perché opera contro l’interesse del Paese, opera contro la resurrezione economica del Paese, opera contro la democrazia. Opera contro la resurrezione economica del Paese perché è impossibile una ricostruzione del nostro Paese se la sua vita è continuamente turbata dalla insofferenza, dalla indisciplina, dal terrorismo e da manifestazioni violente. È impossibile pensare ad una più rapida ricostruzione nel nostro Paese se non diamo a tutti la certezza della tranquillità e dell’ordine. Questi disordini non operano contro un Governo o contro un partito, ma operano contro il Paese. (Applausi al centro).
LI CAUSI. Il fascismo è andato al potere così: per salvare il Paese!
PASTORE RAFFAELE. Il fascismo faceva le stesse affermazioni!
SCELBA, Ministro dell’interno. Noi abbiamo bisogno di fiducia all’interno e all’estero, perché senza la solidarietà ed il contributo di paesi esteri non può attuarsi la ricostruzione del nostro Paese. Nessuno, onorevoli colleghi, può essere disposto ad aiutare il nostro Paese se noi diamo uno spettacolo di indisciplina e diamo la sensazione che il Paese, anziché normalizzarsi è in continua agitazione. (Rumori – Commenti).
LI CAUSI. Ricordiamo il discorso di Pesaro e le leggi eccezionali durante il fascismo!
SCELBA, Ministro dell’interno. Il Paese, dicevo, ha bisogno di fiducia, perché con la fiducia vengano fuori le forze, le energie, gli uomini che creano le imprese economiche ed industriali e che danno il lavoro. Noi abbiamo bisogno dell’estero, e se noi diamo la sensazione che il nostro Paese, anziché avviarsi verso un più stabile regime democratico, corre il rischio di gravi agitazioni interne, noi operiamo contro il Paese, contro la sua ricostruzione, contro le classi lavoratrici stesse ed operiamo contro la democrazia. Guai se in Italia il popolo dovesse rendersi conto che l’autorità dello Stato non è capace di garantire l’ordine contro ogni tentativo di sovvertimento sociale. (Proteste a sinistra – Interruzioni dei deputati Pajetta Gian Carlo e Benedettini).
Nonostante tutto, onorevoli colleghi, ritengo che ancora, in Italia, l’aspirazione alla vita democratica, l’aspirazione ad uno stabile regime democratico sia largamente condivisa da tutti i partiti. Io sono anche convinto, nonostante tutte queste manifestazioni di intolleranza, che non sia necessario il ricorso a mezzi eccezionali, come viene richiesto da più parti dell’Assemblea.
Io ritengo, che coi mezzi eccezionali non si salva la democrazia; basta la volontà di far osservare e rispettare le libertà fondamentali dei cittadini, che sono state riconosciute e garantite dalla Costituzione e sono l’aspirazione della coscienza democratica del Paese.
Io ripudio e respingo le suggestioni che da più parti di questa Assemblea sono venute, perché la situazione si risolva con mezzi eccezionali. Affermo che la situazione del Paese nonostante queste dimostrazioni non è tale da legittimare il ricorso a nessun mezzo eccezionale. Onorevoli colleghi, mentre esprimiamo il nostro cordoglio e la nostra solidarietà a tutte le vittime di queste contese politiche che si rinnovano e alle loro famiglie, noi, nonostante tutto, convinti della sanità del nostro Paese, rivolgiamo un appello: noi vogliamo mantenerci sul terreno della democrazia; il Governo chiamerà il Paese ad esprimere la sua volontà nel termine più breve; abbandoniamo le forme di violenza, le intimidazioni, tutto ciò che possa turbare la vita del Paese, tutto ciò che possa creare l’impressione che, anziché andare verso un regime democratico, noi andiamo verso giorni neri ed oscuri.
Troppo le lotte di parte hanno gravato sul nostro Paese; e penso che le conseguenze tragiche che ancora gravano – ma che noi già dimentichiamo – le conseguenze tragiche degli odî e delle lotte di parte che sono di fronte ai nostri occhi debbano essere e saranno monito per tutti, per non abbandonare la via della legalità e la via della democrazia. (Vivi applausi al centro – Commenti).
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A quale proposito?
SANSONE. Vorrei chiedere al Ministro dell’interno, che desse anche notizia alla Camera dei gravissimi incidenti di Napoli.
PRESIDENTE. Il Ministro dell’interno dichiara di voler rispondere subito alla domanda dell’onorevole Sansone.
SCELBA, Ministro dell’interno. Egregi colleghi, a Napoli, come in altre città d’Italia, si sono questa mattina svolte altre manifestazioni di protesta: a Livorno, a La Spezia, in altri centri. (Commenti a sinistra). A Napoli un numeroso gruppo di manifestanti ha tentato di invadere la sede comunale col pretesto di voler innalzare la bandiera rossa sul balcone del Municipio. (Commenti al centro – Interruzione del deputato Dozza – Rumori a sinistra).
Di fronte alla violenza della folla, che tentava di sfondare l’ingresso del palazzo comunale, la forza pubblica è stata costretta a sparare in aria. (Rumori). Essa si è limitata, per misura prudenziale e di fronte all’aggressività della folla, a sparare in aria senza recare nocumento ad alcuno: e siamo lieti che non sia avvenuto nulla di grave.
Nel trambusto, si sono avuti due feriti: ho detto nel trambusto e non già a cagione dello sparo di qualche colpo di fucile. Solo due feriti: un privato e un agente di pubblica sicurezza.
PAJETTA GIANCARLO. E i gas lacrimogeni? (Rumori).
SCELBA, Ministro dell’interno. La polizia è stata costretta anche a far uso di bombe lacrimogene: sono state lanciate due bombe lacrimogene. (Commenti). La polizia, onorevoli colleghi, è dotata anche di bombe lacrimogene. (Commenti a sinistra). Ed io ritengo che, di fronte a delle masse agitate, sia preferibile sciogliere assembramenti ricorrendo a getti di acqua o mediante bombe lacrimogene, anziché a spari di mitraglia e di fucili (Commenti a sinistra); nella città si sono diffuse, come succede abbastanza spesso, delle notizie esagerate di morti e feriti in gran numero, che, ripeto, fortunatamente, non vi sono stati. A seguito dell’agitazione che si era manifestata in tutta la città per tali voci è intervenuto l’onorevole Palermo, il quale ha avuto dalla pubblica sicurezza informazioni ed assicurazioni che non vi erano morti, che nessuna violenza era stata arrecata, e che le notizie che circolavano nella città erano fantasiose. L’onorevole Palermo ha potuto dare queste notizie tranquillanti ai dimostranti, per cui la manifestazione si sciolse.
Ecco le informazioni come sono pervenute al Ministero sino al momento in cui io sono venuto all’Assemblea; in quel momento la gente tornava alle proprie case dopo la dimostrazione e gli incidenti si riducevano a quanto ho riferito. (Approvazioni al centro e a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Di Vittorio ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
DI VITTORIO. Debbo dichiarare che non sono sodisfatto delle comunicazioni dell’onorevole Ministro dell’interno, ma vivamente preoccupato, e con me credo una notevole parte del Paese, dalle dichiarazioni che egli ha fatto all’Assemblea.
Io cercherò di esprimere queste preoccupazioni nella forma più serena possibile. Altri colleghi citeranno dei fatti precisi che contestano alcune informazioni di carattere tendenzioso delle autorità locali, specialmente per quanto si riferisce alla Sicilia, e che il Governo, come al solito, ha fatto proprie.
Mi sia consentito innanzitutto di deplorare che il Ministro dell’interno, riferendosi al recente assassinio di un organizzatore sindacale della Sicilia, invece di avere una espressione almeno di pietà (non voglio dire cristiana) per le vittime, ha detto qualche cosa che suonava offesa per la memoria delle vittime stesse. Quando, a proposito dell’assassinio del vicesegretario della Confederterra di Marsala, Pipitone, l’onorevole Ministro ha creduto necessario leggere all’Assemblea il certificato penale (Commenti a sinistra) dell’organizzatore sindacale ucciso, per far risaltare che quest’altro organizzatore ucciso, il Maniaci, doveva considerarsi un delinquente comune, sapeva, o per lo meno doveva sapere, egli specialmente che è siciliano, che nelle regioni più povere del nostro Paese, nel Mezzogiorno e specialmente in Sicilia, in Sardegna e in Calabria, la situazione di crudele miseria in cui vive tanta parte dei lavoratori, tanta parte del nostro popolo, porta una quantità di giovani, di figli del popolo, ad abbandonarsi ad atti riprovevoli: Questi giovani poi, col maturare dell’età, diventano degli onesti e forti lavoratori, capaci di crearsi una famiglia e di tenerla onoratamente. Questo è il caso del Maniaci, questo è il caso, purtroppo, di centinaia di migliaia di nostri lavoratori i quali, malgrado qualche reato (Commenti al centro) compiuto in giovinezza, hanno diritto al rispetto, e l’hanno tanto più in quanto sono stati vilmente uccisi a tradimento. (Applausi a sinistra).
L’onorevole Ministro – come al solito – ci ha detto che quest’ultimo delitto non aveva motivi politici, che le autorità locali pensano che si tratti di misteriosi motivi di ordine privato.
Onorevole Ministro dell’interno, l’assassinio del Pipitone non è un caso isolato, perché si tratta del diciannovesimo organizzatore sindacale che viene ucciso proditoriamente, freddamente, a tradimento, da elementi mafiosi appostati sul suo cammino, e dire che si tratta di crimini comuni, di reati comuni, non è degno della nostra Assemblea!
Questi fatti denunciano un male sociale che il Governo deve prima comprendere e poi affrontare! La versione dei motivi privati di questi delitti, di questi massacri di organizzatori sindacali, è la versione dei mafiosi, è la versione dei responsabili, i quali tentano così di ottenere il duplice risultato di massacrare gli esponenti del movimento contadino e sindacale in generale e di fare in modo che tutti i delitti rimangano impuniti e vengano attribuiti a motivi misteriosi, mentre tutti in Sicilia sanno – comprese le autorità di pubblica sicurezza e l’autorità giudiziaria – quali siano le vere cause di questi delitti.
Una voce a sinistra. Le sa l’onorevole Scelba!
DI VITTORIO. E le sa naturalmente anche l’onorevole Scelba!
Il motivo, del resto, è semplice. Anche se ci si volesse limitare ad analizzare le circostanze di fatto in cui i singoli delitti sono avvenuti, una persona di mediocre intelligenza potrebbe immediatamente individuare i colpevoli e determinare il carattere del delitto. Questi delitti avvengono sempre quando è in corso o è minacciata un’occupazione di terre incolte, una applicazione della legge Gullo, cioè un’applicazione delle prime leggi sociali della Repubblica in agricoltura! Questi delitti avvengono sempre o l’indomani o il giorno prima di una occupazione di questo genere. E tutti sanno (la nostra Assemblea si onora di avere fra i suoi membri giuristi illustri), tutti sanno che quando si vogliono scoprire i colpevoli d’un delitto basta domandarsi a chi esso giovi. Chi ha interesse in Sicilia di massacrare i dirigenti delle organizzazioni contadine? Chi ha interesse di fare uccidere e terrorizzare gli organizzatori sindacali? Sono i grandi proprietari latifondisti, i quali non vogliono in nessun modo che si attenti ai loro privilegi iniqui e secolari; sono i grandi latifondisti gli istigatori, i finanziatori, gli organizzatori della mafia che esegue questi delitti. E il Governo non si è mai diretto verso le classi che sono responsabili non soltanto politicamente, ma penalmente, di questi delitti per ricercare tra esse i colpevoli. Ed è un fatto che tutti questi delitti rimangono impuniti. Vi sono tanti delitti comuni anche in Sicilia i cui responsabili vengono più o meno scoperti e puniti. In tutti gli assassinî di esponenti del movimento dei lavoratori non si trovano mai i colpevoli.
Come non pensare, come si può fingere di ignorare che se questo è possibile, se questa catena di delitti è possibile, gli è perché le classi, i ceti sociali interessati a fare eseguire questi delitti hanno organizzato una rete di interessi, di complicità criminali nella quale hanno attirato anche elementi delle forze dell’ordine, elementi della polizia ed anche elementi della Magistratura?
Se il Governo vuole veramente che si osservi la legalità democratica e repubblicana, se il Governo vuole che si osservi l’ordine, bisogna impedire che questi assassini dei lavoratori e dei loro esponenti continuino.
I grandi latifondisti del Mezzogiorno e gli altri ceti reazionari della Sicilia si illudono in questo modo di terrorizzare i contadini e di distruggere e di soffocare nel sangue il loro anelito alla libertà e alla conquista della terra; essi si illudono perché ciò che è avvenuto altre volte, è avvenuto ora e avverrà in seguito in forme le più variate in tutto il territorio nazionale, deve dare la dimostrazione persuasiva a quei signori e al Governo che i contadini siciliani non saranno mai abbandonati, mai soli alla rappresaglia. (Applausi a sinistra). Essi potranno sempre contare sulla solidarietà concreta ed attiva dei lavoratori di tutta Italia, i quali comprendono che la soluzione del problema sociale, del problema della terra, che è al fondo di questa catena di delitti, è la condizione indispensabile per creare in Italia un substrato solido e fondamentale della democrazia e della Repubblica. Perciò tutti i lavoratori italiani aiuteranno i contadini siciliani, i contadini meridionali, i contadini di tutta Italia, a realizzare quella riforma agraria che è stata una promessa di tutti i partiti, che ora la maggior parte di questi partiti dimentica di aver fatto nel periodo elettorale. Ma per quanto riguarda gli altri avvenimenti che sono avvenuti in questi giorni in Italia e che hanno funestato in modo particolare la città e la provincia di Milano, anche in questo caso non si è al primo delitto, al primo attentato, che abbia suscitato l’indignazione delle masse. Ci troviamo anche qui in presenza di una catena ininterrotta di delitti, che vanno intensificandosi e moltiplicando, assumendo sempre più il carattere di aperta provocazione contro le forze proletarie e democratiche del Paese. La bomba scoppiata nella sede della Federazione del Partito comunista a Milano, anche se il Ministro degli interni la definisce modesta, non è che il più recente fatto di una lunga serie di fatti che si ripetono in tutte le zone.
Lo stesso fatto che ha determinato l’agitazione dei lavoratori di Mediglia, anche quello era un atto determinato da finalità comuni. Un gruppo di giovani che ritorna a tarda sera a casa è aggredito a tradimento, come negli altri tempi. Che cosa significa la risposta dei lavoratori? Che cosa significa la proclamazione dello sciopero generale a Milano? Che cosa significa l’emozione che si è diffusa fra i lavoratori di tutti i grandi centri d’Italia, in tutta Italia? Significa una cosa molto semplice: che il proletariato italiano e tutti i lavoratori italiani non sono disposti a far sì che si ripetano situazioni analoghe a quelle del 1921-22. (Applausi a sinistra).
Una voce al centro. È vecchia questa. (Rumori).
DI VITTORIO. È sempre nuova. Signori, quella tragica esperienza politica e storica è troppo recente, ed è costata troppo cara a tutto il nostro popolo, perché ci si possa illudere che i lavoratori italiani l’abbiano e la possano dimenticare. Indietro i lavoratori e le forze democratiche conseguenti italiane non torneranno mai più. Nessuno si faccia illusioni in proposito.
E l’onorevole Scelba, anzi l’onorevole De Gasperi – mi dispiace che non sia presente in questo momento – non si illuda che si possa ripetere il tragico giuoco di Giovanni Giolitti. Anche Giolitti allora – si diceva dai suoi amici – voleva tentare di liquidare l’illegalismo fascista alleandosi con il fascismo. Egli si alleò, e questa alleanza rese possibile l’ottobre del 1922.
Voi state ricalcando la stessa strada; voi, Governo della Repubblica italiana, avete il dovere per legge e in applicazione dei principî già sanciti nella parte approvata della nuova Costituzione, di combattere il fascismo, di impedirne la resurrezione, sotto qualsiasi forma.
Una voce a destra. Anche quella rossa.
DI VITTORIO. E voi, invece di applicare le leggi della Repubblica, impedendo la resurrezione del fascismo o i tentativi di riorganizzazione di esso, vi siete alleati alle forze anche più dichiaratamente fasciste. (Applausi a sinistra).
SILES. Voi avete fatto la corte a Giannini.
DI VITTORIO. Vi siete alleati al Movimento sociale italiano, un movimento fascista, neppure camuffato, perché soltanto il nome non ha, ma nel programma, nel metodo, nella propaganda quotidiana è completamente fascista. Voi non avete ripudiato nella costituzione dell’amministrazione comunale di Roma di allearvi con questo movimento, che un Governo democratico e repubblicano non dovrebbe tollerare e di cui noi domandiamo lo scioglimento. (Applausi a sinistra – Commenti).
Se si vuole veramente, come noi lo vogliamo con tutta la nostra forza, evitare al nostro Paese la sciagura di una nuova guerra civile, bisogna veramente osservare la legalità democratica e repubblicana.
Dovete sciogliere le organizzazioni fasciste, più o meno camuffate, e sopprimerne la stampa, che è un insulto permanente alla democrazia ed a tutti coloro che sono morti per la libertà e l’indipendenza della Patria. (Applausi a sinistra).
Voi, invece, seguendo questa politica, che fu, in condizioni un po’ meno gravi di quelle attuali, la politica di Giolitti, ottenete il risultato che constatate: ridate alle forze fasciste reazionarie la speranza di potere risorgere e di poter ritornare ad impadronirsi del potere e a dominare, ad incatenare, ad imbavagliare il nostro popolo. E, d’altra parte, distruggete nelle masse popolari la fiducia che un Governo sia capace di difendere la legalità repubblicana e democratica. Bisogna ridare alle masse popolari, alle grandi, alle larghe masse del popolo, alle grandi masse lavoratrici, quelle che lavorano e producono e dalle quali dipende il destino della Nazione, la fiducia che il Governo veramente osserva le leggi della Repubblica, della democrazia, nel loro spirito; e non si accontenti soltanto di proclamare questa volontà nell’Assemblea, mentre poi, nell’azione quotidiana, cerca di scagionare tutti i delitti, commessi da gruppi reazionari fascisti e neofascisti, e cerca di sopravalutare degli eccessi, che io deploro, delle masse popolari, indignate e sfiduciate dalla sua politica.
In queste condizioni, noi dichiariamo che, se il Governo compirà interamente il suo dovere di difendere la legalità democratica, di impedire il ripetersi degli assassinî dei dirigenti del movimento contadino e sindacale siciliano, di stroncare le organizzazioni neo-fasciste e di sopprimerne la stampa, otterrà di ristabilire veramente la calma e la tranquillità nel nostro Paese.
Altrimenti, non vi fate illusione neppure voi, amici della Democrazia cristiana, almeno quella parte di voi che è sinceramente democratica e che è disposta a battersi per la difesa della democrazia. Ricordate, l’altra volta, l’attacco delle squadre fasciste? Era diretto contro di noi, contro l’organizzazione rossa (Camera del lavoro, cooperative, sezioni, circoli), ma quando non ci furono più organizzazioni nostre da abbattere, furono attaccate le vostre, furono attaccate le organizzazioni bianche. E la vostra partecipazione al primo governo fascista, la vostra prima alleanza col governo fascista, che ha qualche analogia con l’alleanza che oggi voi tenete con le forze reazionarie, non vi salvò dalla reazione. Rifletteteci bene!
Ma, per fortuna, il proletariato e la gran massa popolare italiana questa esperienza l’hanno ben presente, e sono essi, il proletariato e le forze popolari democratiche italiane, che salveranno la democrazia. Voi avete sempre parole di fuoco per rimproverare scioperi, agitazioni, manifestazioni spontanee dei lavoratori contro le violenze fasciste. Sappiate che il proletariato è deciso a difendere la democrazia e la libertà, che il proletariato, attraverso tutte le manifestazioni legittime delle sue forze, che sono possenti, riuscirà, con il Governo o anche senza il Governo, a difendere e a sviluppare le libertà del popolo italiano. (Vivi applausi a sinistra – Commenti al centro e a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Li Causi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, avete inteso come il Ministro dell’interno abbia espresso il proprio rammarico che l’ultimo delitto consumato dalle organizzazioni criminali, legate agli interessi del feudo e della terra in Sicilia, abbia potuto avere delle ripercussioni nazionali, e come egli abbia sottolineato che il penultimo delitto, quello del Maniaci, segretario della Federterra di Terrasini, appreso attraverso i giornali e l’ANSA dai contadini e dai braccianti di tutta Italia, abbia suscitato profondo sdegno tale da determinarli allo sciopero generale; l’onorevole Scelba si rammarica che non siamo più ai tempi di Crispi, quando i delitti della mafia contro i dirigenti contadini non venivano percepiti al di là dello Stretto di Messina e si spegnevano nella debole eco di un’interrogazione a Montecitorio.
Non sono solo di adesso i crimini contro organizzatori contadini in Sicilia. Anche allora, nel 1921, quando fu ucciso Bernardino Verro, venne qui uno Scelba qualsiasi a dirci che l’assassinio era per motivi di donne; e dopo Verro cadde Nicola Alongi e Sebastiano Bonfiglio; come prima erano caduti Giovanni Orcel e Lorenzo Panepinto.
Ma il paese non si muoveva. Qui alla Camera erano i compagni socialisti, era sovente la voce di Filippo Turati, che si levava a ricordare il sacrificio enorme di questi eroici pionieri del movimento contadino siciliano; era Filippo Turati che rievocava le figure di Bernardino Verro, di Sebastiano Bonfiglio, di Lorenzo Panepinto e di altre diecine di organizzatori sindacali assassinati prima del fascismo. Oggi abbiamo il Ministro siciliano, il poliziotto degli agrari, che è stato messo lì apposta contro i contadini. (Rumori – Commenti).
Badate, lascio stare i delitti del 1944, perché lì c’entro anch’io – e la Democrazia cristiana sa che il 16 settembre in un comizio pubblico a Villalba vi fu chi mi gettava le bombe addosso mentre c’era chi mi sparava con la rivoltella. E sapete chi sono quegli assassini? Uno è il segretario della Democrazia cristiana di quel paese; e l’onorevole Corbi, che è stato in Sicilia pochi giorni fa, sa che il Presidente della Regione, avvocato Alessi, lo ha fatto aspettare un’ora, lui, per intrattenersi col mio attentatore di Villalba, a tutt’oggi ancora grande elettore della Democrazia cristiana, insieme con lo zio capomafia della provincia di Caltanissetta. Scelba si rammarica dunque, che i delitti che avvengono laggiù abbiano un’eco in Italia e suscitino immediatamente manifestazioni di sdegno e di solidarietà; mentre dovrebbe compiacersi di questo enorme fatto storico dell’unità spirituale del Paese realizzata attraverso la lotta e il sangue delle classi lavoratrici. Ecco che cosa vien fuori dalla meschina, poliziesca relazione che abbiamo ascoltata da Scelba e che offende anzitutto e profondamente la coscienza del popolo siciliano. Non parliamo dei crimini del 1944. I 19 morti del 1945, 1946 e 1947 (esclusi i massacrati di Portella della Ginestra e delle stragi del 22 giugno) sapete chi sono? Due sindaci socialisti, quello di Naro e di Favara, entrambi in provincia di Agrigento; cinque segretari di sezioni comuniste; dodici tra segretari di Camere del lavoro e di organizzazioni contadine. Quale è la frequenza, diciamo così, stagionale di questi delitti? Si addensano nei mesi durante i quali si svolge la lotta per l’assegnazione delle terre incolte; si uccidono poi i pionieri del movimento sindacale e politico là dove, imperando la mafia, si vuole impedire che sorgano i partiti del popolo, le leghe contadine, per lasciare il monopolio alle cricche sotto insegna pseudo-liberale o democristiana. In provincia di Palermo, a Ficarazzi, tre nostri compagni sono stati assassinati, fra i quali l’ingegnere d’Alessandro, perché non sorgesse la sezione comunista e la Camera del lavoro. A Ficarazzi è stato assassinato dalla mafia, per non aver voluto aderire all’organizzazione criminosa, uno dell’Uomo Qualunque, delitto da me denunziato in questa Assemblea, ma nessuno se ne è dato per inteso.
Ora, con una sì chiara caratteristica di questi delitti (e prescindo per ora dai massacri di Portella della Ginestra e del 22 giugno) come si può avere il coraggio da parte di Scelba di venirci a dire che trattasi di delitti comuni, di fatti da cui esula il movente politico? Maniaci, della Federterra di Terrasini, era un delinquente, dice Scelba; Pipitone, della Federterra di Marsala, un poveruomo; perché occuparsene? Perché tanta commozione, tanto sdegno fra i lavoratori per così poco?
Scelba viene a leggere i certificati penali degli assassinati o i rapporti della polizia: un assassinato è donnaiolo o libertino; un altro sovversivo pericoloso; oppure «non gode di buona reputazione»; un altro è un bravo nomo ma modesto… cosa c’entra la politica?
A proposito di Vito Pipitone, per quanto ci sia stato assicurato dalle autorità della Regione, e per quanto ci riferisce l’onorevole Corbi che in quei giorni si trovava in Sicilia, né i carabinieri, né la pubblica sicurezza, hanno escluso il movente politico del delitto. Lei soltanto lo esclude, onorevole Scelba, e per escluderlo non si vergogna di ricorrere alle più ridicole ipotesi, come se tutti non sapessero a Marsala che il Pipitone doveva recarsi a Salemi per dividere il feudo «Giudeo» assegnato dalle Commissioni ai contadini. Di che altro era responsabile il povero Pipitone, se non di aver difeso gli interessi dei contadini, di aver rotto un’incrostazione secolare di prepotenza e di violenze a danno dei contadini, consumata da agrari e gabellotti?
Anziché incamminarsi sulla strada giusta, la più naturale, quando si tratta di delitti contro lavoratori, la polizia percorre sempre le strade le più tortuose e assurde.
Non così, per esempio, quando vi fu l’attentato contro il vescovo di Agrigento al bosco della Quisquina; l’organo democristiano della Sicilia e gli altri giornali reazionari dell’Isola, prima ancora che fosse accertato il minimo indizio, pubblicarono che il delitto non poteva attribuirsi che ai comunisti; è venuto fuori subito dopo che a sparare contro il vescovo era stato un frate. Quando scoppiò nella Chiesa Madre di Melilli in Provincia di Siracusa non so quale deposito di esplosivi, i democristiani dissero: ecco l’opera dei comunisti sacrileghi; e stamparono manifesti ed articoli per dimostrare come i comunisti sono nemici di Dio e nemici della Chiesa; si scoprì che a servirsi dell’altare maggiore come deposito di esplosivi erano stati dei pescatori di frodo della zona.
C’è un orientamento ben preciso, senza nessuna preoccupazione di dire menzogne o diffondere la calunnia, quando qualche cosa accade agli agrari, alla Democrazia cristiana, ai partili reazionari; ma se le vittime sono dei lavoratori, la politica non c’entra.
Onorevoli colleghi: Scelba ci ha parlato dell’ultimo delitto, quello di cui è rimasto vittima il Pipitone, ignorando gli altri diciotto assassini dei mesi scorsi.
Ma come? Sono delitti staccati l’uno dall’altro oppure non fanno parte di un ciclo, come ha dimostrato l’onorevole Di Vittorio? Non denunciano questi delitti una situazione sociale divenuta acutissima, che reclama, con quella forza, con cui oggi le masse contadine l’hanno posta, la soluzione del problema della terra? È tutto qui, Ora, è evidente che, se il Partito democristiano, che in Sicilia ha la direzione più reazionaria di Lttta Italia, che ha compiuto in questi giorni – come a Roma – l’alleanza con gli espulsi del partito di Giannini… (Interruzione del deputato Aldisio).
LI CAUSI. A Palermo, nel Comune, la Democrazia cristiana ha deciso di appoggiare Patricolo. (Rumori al centro e a destra).
ALDISIO. Voi ne fate ben altre di alleanze che non queste! Non confondiamo le idee. (Rumori a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Aldisio, la prego.
LI CAUSI. …deve proteggere gli assassini dei lavoratori.
Ed è così che il Ministro Scelba deve minimizzare il valore di questi delitti, perché vuole dare la sensazione al Paese, ingannandolo, che in Sicilia la situazione si normalizza. È smentito però dal nuovo ispettore di pubblica sicurezza, il questore Modica, che denunzia trentadue assassini in provincia di Trapani in queste ultime settimane, senza che se ne scoprano gli autori.
Quando Scelba assicura che la banda Giuliano non esiste più, che è sgretolata, polverizzata, non dice il vero. Pochi giorni fa nuovo sangue di militi dell’arma è stato sparso nella zona di Montelepre.
Ma Scelba non riesce a mettere le mani su Giuliano, mentre le forze di polizia dislocate nella zona di Montelepre da tre anni tormentano quelle popolazioni.
Giuliano non si prende perché fa comodo. Agli agrari, alla mafia, al Governo degli agrari e della mafia. È così comodo per Scelba poter dire: chi ha seminato strage a Portella della Ginestra è Giuliano; chi ha assassinato e devastato il 22 giugno è Giuliano!
Ma Giuliano non si prende. Si prende però qualcuno della sua banda e questo qualcuno confessa. Confessa anche che Giuliano vuole fare la pelle all’onorevole Montalbano, al nostro Pompeo Colajanni, al sottoscritto. Attorno ai minacciati la polizia dispone un servizio di protezione; ma perché Giuliano voglia uccidere i dirigenti comunisti e ha seminato strage, perché ha rivolto le sue armi contro i lavoratori a Portella, non si riesce a sapere, non si vuole sapere.
Giuliano non si prende. Giuliano continua ad essere inafferrabile; si vuole mantenere in piedi Giuliano, perché fa comodo addossare a Giuliano tutte le colpe.
Vi è poi, il terzultimo delitto, consumato ai primi di novembre, a San Giuseppe Iato, dove cadeva ucciso un tale Caiola. Chi era costui? Uno che il 1° maggio, anziché andare con gli altri alla festa di Pian della Ginestra, con pochi amici preferì fare la scampagnata nelle vicinanze. Il Caiola riferì alle autorità, che immediatamente dopo gli spari, discesero dalla Pizzuta, a gruppi di tre, quattro, gente armata. Per aver riferito questo e alla polizia e alla magistratura, il Caiola, – come d’altronde altri testimoni a carico di mafiosi indiziati di San Giuseppe Iato – sono stati minacciati e intimiditi per ritrattare le testimonianze. Siccome non hanno obbedito alla intimidazione, la mafia passa alla loro soppressione. Il Caiola è il primo dei testimoni a cadere; la pelle a questo Caiola gliel’hanno fatta.
I giornali reazionari dell’Isola, compreso quello della Democrazia cristiana, hanno gettato fango sul Caiola, come già sul Maniaci, come d’altronde qui, col Maniaci, ha fatto Scelba.
BELLAVISTA. Abbiamo pubblicato il certificato penale!
LI CAUSI. Volevano questi fogli… che noi gettassimo i loro cadaveri ai cani.
Il Maniaci, nel 1940, uscì di prigione; dopo un anno i carabinieri gli fecero togliere la sorveglianza (ne aveva per tre anni), perché s’era messo a far bene, si era sposato, ero divenuto padre. Nel Partito comunista entrava nel 1944. (Interruzione del deputato Bellavista).
A proposito del Maniaci, noi siamo andati a Terrasini, e ai lavoratori, ai cittadini riuniti, con quelli di tutta la zona, ricca di organizzazioni mafiose, abbiamo detto i difetti del Maniaci, ma anche il suo grande sforzo di redenzione che lo condusse a mettersi alla testa dei sofferenti. Noi abbiamo salvato la figura di Maniaci, che voi volete infangare. Avreste preferito che rimanesse delinquente, che diventasse bandito, come Giuliano?
Lei, onorevole Scelba, ha cercato di farsi bello qui affermando che, malgrado il clima arroventato della Sicilia, non si sia sparso molto sangue. Domandi ai siciliani! I morti sono tutti da parte dei lavoratori. Lei sa meglio di me che se non si è sparso sangue, sangue dei signori e dei loro mandatari e sicari, è perché i contadini siciliani, attraverso le loro organizzazioni, si sono dati una disciplina così ferrea, da non abboccare più alle provocazioni, da non abbandonarsi, come negli anni, nei secoli scorsi, alle rivolte, che se facevano cadere qualche testa di nobilotto ozioso o di agrario prepotente, stroncavano per decenni la vita politica dei grossi borghi rurali nostri.
In Sicilia noi continueremo – come abbiamo fatto finora – con tutte le forze del popolo siciliano e dei contadini a porre e a risolvere i problemi della rinascita siciliana!
Ma i nostri contadini, i nostri organizzatori sindacali, ci gridano: dobbiamo assistere ancora inerti alle stragi, agli assassinî, alle violenze, alle intimidazioni delle caste dominanti? Dobbiamo assistere, senza difenderci, alla impunità degli assassini, alle scandalose scarcerazioni?
Finora, insieme con i partiti democratici della Sicilia, noi comunisti abbiamo impedito le azioni di rappresaglia. Da oggi in poi però le rappresaglie, nella carenza del Governo e nella complicità di certe autorità, noi le faremo! (Applausi all’estrema, sinistra – Rumori).
BENEDETTINI. Ecco le solite minacce!
I voti del M.S.I. li avete chiesti voi al Campidoglio e non li avete ottenuti e vi siete scagliati contro! (Rumori – Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Pajetta ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
PAJETTA GIAN CARLO. Onorevoli colleghi, non siamo sodisfatti della risposta del Ministro dell’interno (Commenti al centro) e certamente non ne saranno sodisfatti i lavoratori che oggi hanno seguito il feretro del loro fratello, del loro compagno, del partigiano con la fronte spaccata, che essi hanno raccolto presso la casa degli squadristi, dei repubblichini di Mediglia. Non sono certamente sodisfatti i famigliari, i bimbi, le donne dei nostri compagni caduti, di quelli che son caduti in questi giorni, di quelli che erano caduti perché queste cose non avvenissero più! Non possiamo essere sodisfatti della situazione, e tanto meno del contegno, dell’atteggiamento scandaloso di questo vostro Ministro degli interni! (Applausi a sinistra – Rumori al centro).
Io mi domandavo, quando lo sentivo cercare di minimizzare i delitti e i crimini della canaglia fascista, quando gli sentivo leggere le relazioni che tentavano di infamare i nostri morti e tacere dei misfatti dei criminali fascisti che sono stati colpiti dall’esasperazione sdegnata dell’anima popolare; mi domandavo, quando parlava di queste bombe «modeste» e della «pietà» delle bombe lacrimogene che sono state lanciale a Napoli sui cittadini dispersi dai colpi sparati in aria (solo in aria!), quando Scelba attenderà per ammettere la gravità della situazione, per riconoscere che a Milano ci sono i banditi fascisti? Attende forse il giorno nel quale si alzerà per fare la mia commemorazione? (Commenti al centro). Onorevoli, colleghi, quella bomba modesta che ha distrutto solamente il pavimento del corridoio del mio ufficio potrebbe essere seguita da bombe meno modeste, se noi non provvedessimo anche quando il Governo non provvede. E invece ecco questo vostro Ministro impassibile. Può essere ammirata la sua imperturbabilità; nel gioco parlamentare può valergli l’ammirazione e l’applauso, ma questa non è soltanto imperturbabilità parlamentare, questa è indifferenza colpevole; questa è menzogna. (Proteste al centro).
Voi forse non avete dimenticato come io qui denunciassi le trame fasciste nel Milanese, documentando l’organizzazione clandestina, la propaganda del delitto e la tolleranza dell’autorità centrale. Ebbene, che cosa è successo dopo questa denuncia? Quanti giornali fascisti ha sequestrato il Ministro Scelba? A quella prima bomba, un’altra ne è succeduta e nel breve tempo, che è passato da quando abbiamo stilata l’interrogazione che si va discutendo, una terza bomba è esplosa nella sede di una organizzazione comunista di Milano. Ora, noi siamo fieri che i nostri uffici siano in prima linea; siamo orgogliosi di lavorare come se stessimo in una trincea, ma una trincea dalla quale si combatte, nella quale non staremo ad aspettane i colpi. Noi siamo fieri ed orgogliosi che le bombe del nemico, che le raffiche dei mitra assassini gridino che noi siamo i veri nemici del fascismo, che noi siamo i veri difensori della democrazia. (Applausi a sinistra). Noi siamo fieri e non crediamo di mancare di coraggio, ma non siamo disposti a rimanere inerti, noi non siamo disposti a lasciar fare e a lasciare che voi permettiate che altri facciano. Solo incapacità tecnica della polizia? Qualcuno qui una volta ci ha fatto l’elogio politico di questo vostro capo della polizia, di quel dottor Ferrari che passerà alla storia, se ci sarà una storia della polizia, per la sua inettitudine.
Ma noi, per quanto sia grande l’incapacità tecnica, non possiamo credere che sia sufficiente a giustificare questa situazione. È soltanto pervicacia, soltanto temerarietà di inafferrabili banditi? Non sono questi i motivi soltanto; è un clima preoccupante quello che permette questi delitti; è il clima, nel quale questi incapaci, questi inetti, questi pervicaci, questi temerari operano in un senso o nell’altro.
Sapete voi che cosa è successo in questi giorni a Milano, forse meno clamoroso di queste bombe? È stato celebrato uno stranissimo processo: un fascista, uno degli organizzatori di questo Movimento sociale italiano che è la raccolta dei repubblichini e dei criminali di ieri e di oggi, ha osato denunciare all’autorità giudiziaria il giornale del Partito comunista che si era permesso di dichiarare che il Movimento sociale italiano è una organizzazione fascista. Perché oggi arriviamo a questo; questa gente denuncia noi, ci vuol portare al tribunale e certo si augura di farci presto arrivare anche in carcere. Ebbene, l’avvocato di questo individuo, dopo la mia deposizione (ero teste per la prima volta, dopo essere stato imputato altre volte in altri tribunali), mi ha sollecitato: onorevole Pajetta, nella sua qualità di deputato all’Assemblea Costituente, vuol dirci quale sia stata la risposta dell’onorevole Scelba, Ministro dell’interno, a proposito del Movimento sociale italiano? Perché qui ho una documentazione preziosa. Capisce, onorevole Ministro dell’interno? Era la sua testimonianza che invocava il difensore dei fascisti; e quella invocazione era qualche cosa di più della ricerca di una testimonianza. In quel momento era… una vera e propria chiamata di correo. (Applausi a sinistra – Vivissimi rumori – Proteste al centro – Commenti).
Che cosa è avvenuto nel Milanese? (Interruzione del deputato Siles).
Noi abbiamo avuto la pazienza di sopportare, sia pure con manifestazioni d’impazienza, le parole dell’onorevole Scelba. Permettetemi di parlare, oppure interrompetemi quando sentite che dovete almeno fingere di protestare. Che cosa è avvenuto nel Milanese, e che cosa sta avvenendo? Abbiamo parlato altre volte e anche oggi, delle radici sociali del fascismo, che sono ancora vive. Avviene dunque che le forze della reazione agraria si vanno raccogliendo. Non avviene a caso. Questo o quell’attentato fanno parte di un piano. Si tratta di avvenimenti che si intessono in una trama più vasta. Gli agrari del Milanese, come quelli di tutta la Valle Padana, hanno dovuto cedere di fronte, non all’invocazione del Presidente del Consiglio, ma allo sciopero dei braccianti. Hanno dovuto cedere sui salari, sulle ore di lavoro; hanno creduto di poter cedere sulle questioni economiche, ed ora vogliono riprendersi sul terreno sociale e politico. Per che cosa si battono oggi gli agrari della Valle Padana? Per avere il diritto alle disdette indiscriminate. Vogliono far valere un principio che è sepolto nelle nostre campagne: che il padrone della terra sia anche il padrone degli uomini. No! È quello il diritto che non possiamo riconoscere loro. Lo disdette indiscriminate non saranno concesse.
La nostra organizzazione sindacale è abbastanza forte per impedirlo. E allora, ecco il delitto, ecco l’attentato. Allora, onorevole Ministro dell’interno, si spara anche sui più modesti lavoratori. Perché sono i modesti lavoratori che, l’uno vicino all’altro, quando scioperano fanno paura agli agrari. Allora si spara, perché si vuole che viva ancora un legge che non è antica nelle nostre campagne, quando si poteva uscire dalla cascina soltanto fino ad una certa ora, quando si poteva uscire solo con il permesso dei padroni. Ecco la causale di questi attentati.
Guardate qui un giornale degli agrari di Cremona. C’era una terra incolta, una cascina quasi abbandonata. I lavoratori hanno dissodato quella terra, occupato quella cascina. Sono usciti forse dalla legalità? Non è questo che vogliamo discutere adesso. Ma guardate con che titolo questi agrari si rivolgono alle autorità del vostro Governo, ai suoi rappresentanti, al Prefetto di Cremona: «Scusi, signor Prefetto, aspetta il morto?» Certo, non è il morto che potrebbero uccidere questi lavoratori armati solo delle loro vanghe, che dissodano quei campi, che vogliono darci il grano; ma il morto che possono procurarci, se il Prefetto facesse capire che può servire gli agrari di Cremona, che sono gli amici di Farinacci, di quell’uomo che se non ritorna sulla scena politica, se non lo potete far rieleggere nella Giunta di Roma per esempio. è perché c’è stato un certo intervento di certi nostri partigiani. (Applausi a sinistra).
Ecco, amici, quale è la situazione. Cosa si aspetta? Quale è il risultato di queste condizioni? L’attentato di Mediglia. Le spiegazioni piuttosto nebulose dell’onorevole Scelba ci hanno detto come i viaggi di notte nelle condizioni nelle quali si trova la provincia di Milano, si può aspettare una scarica di mitra. Purtroppo è vero. Ci può dire dell’organizzatore dei contadini di Abbiategrasso, che è stato non preso a caso? Forse anche quella sera, c’era della nebbia, ma venne identificato, bastonato e lascialo morente per la strada, fino a quando altri lavoratori l’hanno raccolto.
Ci può dire di quello che è avvenuto a Mediglia, quando i contadini hanno fatto il comizio di protesta, indetto, non, come si è scritto, dal sindaco di Mediglia, ma dalla organizzazione unitaria dei contadini, dalla Confederterra? Un comizio che si doveva svolgere in un’atmosfera, non dico serena, ma di ferma e dignitosa protesta. Volete la prova.? Aperte le botteghe, il circolo, la piazza affollala di donne e di bambini. Volete la prova? Questi lavoratori sono andati disarmati in quel cascinale per ricercare chi li aveva provocati. Quando questi ha sparato, essi hanno tolto il fucile ad un cacciatore per difendersi.
Questi erano gli operai autocarrati, onorevole Scelba.
Lei non ha mai visto dei giovani cattolici autocarrati? (Interruzioni al centro).
Io non credo che neppure con le circolari dell’onorevole Scelba sia un delitto andare sugli autocarri; sarebbe un delitto andarvi armati, o compiere un omicidio. Questo delitto è stato compiuto a Mediglia contro questi inermi. Chi abitava nella cascina? Lei, onorevole Scelba, non ne ha la biografia. La famiglia è conosciuta nella zona; uno di questa famiglia si chiamava il terrore di Mediglia – non è il morto – squadrista nel 1919 e nel 1922, organizzatore di azioni contro le cooperative, più vaste allora, perché si reagiva meno rapidamente; organizzatore di squadre di azione e di violenze contro le nostre organizzazioni; processato in regime fascista per violenza contro i suoi lavoratori, difeso dall’onorevole Farinacci, ed assolto; finanziatore del cosiddetto Movimento di resistenza patriottico per oltre 150 mila lire; infine, raccoglitore di crumiri durante l’ultimo sciopero; e giunto alla disdetta dei suoi contadini in questi ultimi giorni. Questa biografia le manca, onorevole Scelba, ma i contadini di Mediglia la conoscevano.
Da quella casa sono partiti proditoriamente i colpi che hanno ucciso il nostro partigiano e ferito i suoi compagni: ed ecco esplodere l’indignazione della folla e la protesta di tutta la città. La protesta della città di Milano: dieci minuti, un monito; dieci minuti di raccoglimento dei compagni di lavoro per il nostro caduto. E mentre questo avveniva, altri meditavano nuovi delitti; ed ecco la terza bomba contro la nostra Federazione. Ma era il seguito di tutta una serie di avvenimenti, che il Ministro non conosce. A Musocco il 4 novembre si raccolgono squadre fasciste per commemorare, esse, la vittoria dell’Italia; sono state disperse dalla popolazione e dai partigiani; forse qualcuno è tornato malconcio. Poi: apposizione sulla lapide che ricorda i nostri morti del ritratto di Mussolini; alla Montecatini diffusione di manifesti, con i quali si annunzia prossimo il ritorno del fascismo; ed il susseguirsi di lettere minatorie alla federazione, nelle quali si promettevano morti imminenti.
Ebbene, di fronte a questi avvenimenti, la popolazione di Milano ha risposto, ed ha risposto perché lei, onorevole Scelba, non ha fatto il suo dovere, perché lei non ha voluto che le forze dell’ordine del nostro Paese facessero davvero il loro dovere. Lei ci ha attribuito perfino un fantomatico tentativo di assalto alla Questura di Milano. Noi non pensiamo di assaltare la Questura di Milano, noi non denunciamo l’azione o l’inazione di quelli che non possono, di quelli a cui lei impedisce di fare. Non abbiamo niente di particolare contro il questore Agnesina. Ha arrestato personalmente Reale, Sereni, Amendola, ma non per ordine di Scelba, ma del suo predecessore, per ordine di Mussolini. (Commenti al centro). Ho detto che non li ha arrestati ancora per ordine di Scelba, ma di Mussolini, e noi, nonostante questo ricordo, non abbiamo mai fatto una campagna per screditare questo questore e la sua polizia. Noi abbiamo chiesto soltanto una cosa a lui e ai suoi agenti, e la chiediamo al Ministro: chiediamo che si intervenga coi fatti, perché non vorremmo sostituirci alle forze dell’ordine, ma vorremmo essere sicuri della nostra democrazia e di chi la deve difendere.
Ma voi non provvedete, ma provocate. Voi volete aggravare la situazione, voi volete che questi incidenti scoppino, che questi delitti si moltiplichino. Voi chiamate sul vostro capo la collera popolare.
Permettetemi un richiamo politico più generale. Anche le cose che non avvengono a Milano, hanno pure a Milano una ripercussione.
Attraverso la vostra stampa, voi incitate al delitto. Guardate, ieri, il Popolo, l’organo del partito di Governo, scriveva così: «Tragica spedizione punitiva per una sparatoria dopo un ballo. Chi ha commesso il delitto? Si tratterebbe dunque di una spedizione punitiva per un motivo futile». E poi: «Conseguenze del terrorismo nel Milanese: due morti o cinque feriti…». Per quello che riguarda la Sicilia: «Due fiduciari della Federterra uccisi in Sicilia. Escluso il movente politico dagli elementi finora raccolti». Questa è la vostra, stampa, la stampa che incoraggia i fascisti e che garantisce la loro impunità.
Il Tempo, un giornale vostro amico, al quale certo permettete ancora che la Confindustria passi un certo numero di milioni, il Tempo di ieri chiedeva l’arresto dei comunisti colpevoli di questi delitti, ed oggi parla di me come di chi vorrebbe trasformare in bivacco di squadre rosse quest’Aula del Parlamento, nella quale forse i fascisti sarebbero già venuti se gente, come noi comunisti e partigiani, non difendesse la democrazia. (Applausi a sinistra – Commenti al centro).
Voi aprite la strada al fascismo, accecati da pretti interessi di classe, dalla vostra incomprensione del pericolo che rappresenta per tutti in Italia l’anticomunismo.
Ma vogliate pensare un momento a quello che è avvenuto poche settimane fa. Lo scandalo di Roma, quando quella sera abbiamo gridato insieme contro i fascisti che si erano raccolti a Piazza Colonna. Ho visto allora ritornare qui un collega democratico cristiano dicendo: «Ho dato dei santissimi pugni a quei mascalzoni». Ma, caro collega, io non so dove sei, tu hai gridato qui con noi e con noi hai dato dei santissimi pugni; ebbene, quei delinquenti fascisti hanno eletto la loro rappresentanza e voi avete il sindaco, perché avete accettato i loro voti. (Interruzione del deputato Benedettini).
Onorevoli colleghi, il nostro collega Benedettini voleva forse che io ricordassi che il sindaco democristiano ha avuto anche un voto monarchico? (Commenti – Interruzioni).
BENEDETTINI. Noi ci siamo distinti per la nostra condotta!
PAJETTA GIAN CARLO. Voi avete legalizzato il neofascismo, onorevole Scelba, Noi vi chiediamo che voi sciogliate il Movimento sociale italiano. Siete voi che li avete arruolati tra le cosiddette forze dell’ordine. Voi, partito della Democrazia cristiana, per ricordare una locuzione cara al vostro Presidente del Consiglio: siete legati ad una stessa cordata con il fascismo. Pensate dove vi porta quella corda.
È stato un errore dei fascisti, dice l’onorevole Scelba, di prenderci per alleati. Io credo che sia stato un errore vostro di costituire questa alleanza. È un delitto il vostro. Voi avete tradito la democrazia italiana. (Applausi a sinistra – Rumori al centro).
E debbo ricordare anche l’esasperazione delle masse milanesi, per la situazione economica. Le grandi officine Breda: sono quelle officine a cui lei, onorevole De Gasperi, ha detto che aveva dato tanti miliardi; non soltanto non hanno intero il loro salario, ma nelle aziende non si acquistano materie prime, non si hanno piani, non si va avanti.
Oggi in quelle aziende c’è il sabotaggio economico, perché si vuole che la nostra industria vada in fallimento, perché sia giustificata la disoccupazione e la demoralizzazione delle masse.
DE GASPERI, Presidente del Consiglio dei Ministri. Hanno ricevuto i salari per domani.
Io mi sono dato oggi pena proprio per questo, mentre voi facevate la dimostrazione. (Applausi al centro).
PAJETTA GIAN CARLO. Oh grande ventura la mia! Come mi saranno riconoscenti gli operai della Breda, se ogni volta che parlo per essi, lei ha da dichiarare di aver già provveduto per il giorno dopo! (Commenti).
Sono stati licenziati in massa tutti, nessuno escluso, gli operai delle Rubinetterie riunite, che dipendono dal gruppo Edison. L’onorevole De Gasperi ci dirà forse che domani sarà riaperto lo stabilimento? Alla Sant’Agostino, licenziamenti in massa; la Celere accorre a Monza, non contro i fascisti, ma per presidiare le Vetrerie, da cui vengono espulsi gli operai che chiedono di lavorare!
Ecco la situazione! Ecco quello che voi avete creato nel Paese! Onorevoli colleghi, vogliate scusare la scarsa originalità di questo mio intervento. Troppe cose vecchie, troppe cose ripetute, troppe cose che sono quelle dell’altra volta. Troppe cose che sono soltanto aggravate dall’insipienza, dall’incuria, dalla tolleranza complice di questo Governo.
Ma che cosa volete? Vi è stato già ricordato un altro Governo così: e allora quei fascisti che avevate covato, quei fascisti di cui vi eravate fatti un’arma o uno scudo, sono venuti a bussare alla porte del Viminale e hanno detto al Ministro dell’interno: lasciaci il posto.
Cosa aspettate? Che tornino? Che bussino? Credo che non busseranno, questa volta, i fascisti. Ma non busseranno, perché può levarsi più alta l’onda della collera popolare, può levarsi più alta l’onda della resistenza di quelli che hanno imparato, di quelli che oggi vi dicono: siete sorti come Governo dalla discordia, rapidamente siete scesi par la china funesta. Oggi siete il Governo dalla provocazione, e mi vi diciamo, i lavoratori italiani vi dicono: andatevene! (Applausi a sinistra – Rumori vivissimi al centro e a destra). Andatevene, se non sapete governare questa Repubblica! (Proteste al centro). Andatevene, se non sapete governare questa Repubblica, che vuole essere dei repubblicani…
Una voce a destra. Andatevene voi!
PAJETTA GIAN CARLO. Andatevene, se non sapete governare questa nostra Italia, che vuole essere degli italiani! (Vivi applausi all’estrema sinistra – Rumori, proteste al centro e a destra – Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Coppa ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
COPPA. Onorevoli colleghi, dopo l’appello caloroso dell’onorevole Pajetta al Governo, il mio discorso o la mia risposta al Ministro sembrerà un po’ scialba. Ma gli è che io sono profondamente impressionato da un fenomeno che si verifica molto spesso in questa Assemblea, e cioè dalla carenza della logica.
Ci si pone un tema, e si va fino agli antipodi del tema posto.
Io vorrei che per un momento questa Assemblea, anziché essere diretta dal nostro illustre Presidente, fosse presieduta da uno specialista di malattie mentali…
PAJETTA GIULIANO. Avrebbe già mandato fuori lei!
COPPA. Sono convinto che, cominciando da me, i tre quarti dei colleghi sarebbero scartati alla visita medica, per non eccessiva coerenza tra le idee professate e le azioni.
Ma non voglio dare anch’io esempio di poca logica nel rispondere al Ministro, che ha avuto la bontà di prendere in considerazione la nostra interrogazione, la quale non è stata posta con spirito partigiano.
Tutt’altro; noi qui non chiediamo vendetta e non chiediamo neppure giustizia; chiediamo soltanto sicurezza, tranquillità e pace per il popolo italiano, perché noi siamo solidali con Pipitone, che è caduto in Sicilia e con Gervasio Federici, che è caduto a Roma; noi siamo solidali con Martucci, che è stato ucciso a Napoli, e con Gajotti, che è stato ucciso da Magenes a Medaglia, e con Magenes che è stato linciato dalla folla!
Però, a questo proposito, sento il bisogno di porre a me una domanda. Leggendo un giornale, trovo questo titolo: «Un altro lavoratore ucciso. L’agrario omicida giustiziato dal popolo». E, nel contesto, non si fa cenno della circostanza che l’uccisore era stato assediato nella sua casa, come risulta da altri giornali. Chi di essi dice la verità?
Sono dolente di dover ricordare un episodio capitato all’onorevole Lussu molti anni fa. In quell’epoca erano i fascisti, che assalivano per la terza volta la casa del valoroso combattente Lussu: per la terza volta. Che cosa doveva fare Lussu? Si difese; uccise due degli assalitori e fu assolto per legittima difesa. Orbene, il caso di Magenes è prospettato in una maniera stranissima nella stampa di alcuni partiti: non si dice che era inseguito.
L’onorevole Pajetta ha avuto la lealtà di dire che era nipote di uno dei fascisti della zona e, per conseguenza, si dovrebbe dire che meritava di essere perseguitato e ucciso.
Questo giovane è stato perseguitato dalla folla, è entrato nella sua cascina, è salito al primo, al secondo piano: con le spalle al muro, che cosa doveva fare? Si è difeso; ha ammazzato. E allora è con una certa sorpresa che noi leggiamo, nel testo di alcune delle interrogazioni presentate, la richiesta al Governo che vengano adottate misure eccezionali, immediate, contro il ripetersi degli assassini alimentati dai proprietari terrieri.
Ci si riferisce alla Sicilia, evidentemente.
Ma questa è gente che vede in una sola direzione: noi invece guardiamo in tutte le direzioni, perché, di fronte al sangue, far distinzioni di partito è mostruoso. La vita di ogni cittadino è sacra, come è sacra la libertà di professare qualsiasi credo politico. Noi non crediamo che la violenza possa giovare a chicchessia: probabilmente giova alle idee cui appartengono le vittime.
È perciò che noi, in nome di tutte le vittime, chiediamo che torni l’imperio della legge: non c’è bisogno di misure eccezionali. Ritorni in vigore e sia applicato con rigore il Codice penale, perché la legge è l’unica difesa dei deboli nei paesi civili. Noi esortiamo il Governo ad agire con estrema energia contro i criminali, a qualsiasi partito appartengano: lo faccia, finché è in tempo, e prima che nell’opinione pubblica si faccia strada e si consolidi la convinzione che di fronte all’eventuale carenza dei pubblici poteri, ogni cittadino debba provvedere alla propria tutela e difesa.
Noi pensiamo e speriamo – sinceramente speriamo, anche se questa speranza è pervasa da giustificato timore – che questo giorno non debba mai spuntare sull’orizzonte tutt’altro che sereno del nostro Paese. E perciò, per ora, mi dichiaro soddisfatto dalle dichiarazioni del Ministro dell’interno. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Meda ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MEDA. Onorevoli colleghi, io mi dichiaro sodisfatto delle dichiarazioni del Ministro dell’interno; mi dichiaro sodisfatto, perché ritengo che un senso di soddisfazione avrà da tali dichiarazioni anche il Paese (Commenti a sinistra), perché io non dubito che anche voi siate d’accordo che il popolo italiano ha una unica aspirazione: quella di ritornare alla normalità, alla serenità, al lavoro.
Noi siamo rimasti mortificati di quello che è avvenuto nella provincia di Milano; siamo rimasti mortificati ricordando come il 26 aprile 1945 la nostra provincia, nell’impeto della liberazione, avesse registrato il minor numero di morti, il minor numero di esecuzioni. E questo è un vanto nostro; questo è un onore di Milano. Ma, ripeto, oggi siamo preoccupati di quello che sta avvenendo; siamo preoccupati delle azioni di rappresaglia; siamo preoccupati dei linciaggi, che denotano uno spirito di cattiveria, di perversità, di inciviltà. Vogliamo sperare, però, che da parte dello Stato si agisca in modo tale da impedire che fatti del genere abbiano a ripetersi.
Egregi colleghi, l’ora è tarda ed io non voglio dilungarmi in altre considerazioni.
Speravo che da questa discussione, anche dai banchi dell’estrema sinistra si fosse levato un appello alla concordia, all’amore; ho sentito, invece, dall’onorevole Li Causi dichiarare che da oggi si iniziano le azioni di rappresaglia.
Onorevoli colleghi, io non posso dimenticare che si parlò di rappresaglia negli anni del fascismo; che la rappresaglia fu un’arma della dittatura mussoliniana. Ebbene, perché riadottare questi sistemi… (Interruzioni a sinistra).
ROVEDA. Il Governo allora non seppe difendere la libertà. (Rumori al centro).
MEDA. …questi sistemi che non sono degni della democrazia? (Commenti a sinistra – Interruzione del deputato Mazza).
Voi siete abituati a pronunciare la parola libertà, senza conoscerne il vero suo significato. È il principio del diritto di libertà che bisogna rispettare. (Interruzioni a sinistra). Il popolo italiano vuole tale diritto, esige tale libertà.
FARINI. Non vuole il fascismo!
PRESIDENTE. Onorevole Farini, non interrompa.
MEDA. Vuole la vera libertà, cioè la sicurezza di poter professare qualsiasi fede politica. E qualsiasi fede politica, sempre che sia onesta nelle intenzioni e retta nei principî, ha diritto di essere rispettata. (Interruzioni, rumori a sinistra).
ROVEDA. Anche nell’intento di gettare bombe!
MEDA. È inutile che voi gridiate! Io non riuscirò mai a convincermi che in regime di democrazia e di libertà possano esservi diverse categorie di cittadini di fronte alla legge. Dinanzi alla legge tutti siamo uguali.
Una voce a sinistra. Anche i fascisti?
MEDA. Sì! Anche il fascista di ieri, se il fascista è stato giudicato, se il fascista è stato assolto, se il fascista si comporta da buon cittadino italiano! (Applausi al centro).
Onorevoli colleghi, noi sappiamo che vi è un movimento neofascista. L’amico Pajetta ha voluto ricordarci le lettere anonime di minaccia. Ne riceviamo tutti, noi democristiani; ne riceve perfino l’onorevole Gasparotto, che non è sospetto dal lato politico! Che cosa ne facciamo? Noi le cestiniamo, voi invece le conservate in archivio. Ma le missive minatorie non ci preoccupano. Però state sicuri che, se domani vi fosse necessità di difendere la libertà del nostro Paese, le istituzioni democratiche, la Repubblica, noi saremmo certamente in prima linea, come lo siamo stati nel periodo della cospirazione! (Applausi al centro).
Una voce all’estrema sinistra. Che cosa avete fatto?
MEDA. Amici della estrema sinistra, non abbiamo niente da imparare da voi. Però riteniamo di potervi dire che noi più di voi amiamo l’Italia! (Applausi al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Mariani Francesco ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MARIANI FRANCESCO. Onorevoli colleghi, il Ministro Scelba ha dato l’impressione che, più che il Ministro, abbia parlato in lui l’uomo di parte, perché nella sua esposizione ha tenuto a mettere in risalto tutto ciò che può nuocere ai partiti di sinistra. Ha lamentato l’eccessiva intolleranza politica. Ma la intolleranza va imputata non ad una sola parte, ma a tutte.
Episodi di intolleranza non indifferenti, imputabili anche alla Democrazia cristiana, vi sono stati e vi sono tuttora. Basti ricordare la campagna per le elezioni amministrative.
In molti paesi della provincia di Milano non siamo riusciti a parlare, perché le donne aizzate dal parroco e da elementi della Democrazia cristiana, hanno rimesso in aure sistemi e frastuoni che ci ricordano i tempi di 40 anni or sono.
Il Ministro ha dichiarato di essere in grado di assicurare l’ordine al Paese. Dovremmo quindi in un certo qual modo compiacerci, ma noi diciamo: Ministro Scelba, bisogna intenderci un po’: quale ordine, lei intima assicurare? Potrà obiettare che di ordine ve ne è uno solo. Anche Mussolini (il confronto può essere irriverente, ma è lontano da me questo pensiero) assicurava l’ordine al Paese. Il Governo – dichiara Scelba – è deciso ad applicare le leggi. Anche noi da tanto tempo reclamiamo che il Governo applichi le leggi; ma abbiamo inteso ed intendiamo che si applichino le leggi in difesa della Repubblica; le leggi che non consentono al fascismo quella propaganda perfida, avvelenatrice degli animi, che si compie in Italia da molto tempo.
Non so se certe riviste e certi giornali li leggiamo soltanto noi. In essi vi è l’esaltazione del duce del fascismo, del fascismo, che riaffiora, e si potenzia quotidianamente. Una rivista recentemente stampava un editoriale di questo genere: il fascismo avrebbe salvato l’Italia, se non ci fossero stati due tradimenti: i partigiani, gli americani e gli inglesi, che hanno invaso il nostro Paese. Ma è possibile che in omaggio alla libertà sia concessa una propaganda di questo genere? Questa è pornografia politica, morale, che deturpa il costume e getta nel nostro popolo un senso di perplessità. Assistiamo oggi a un fenomeno che per noi non è strano. Si dice: fallito il tentativo democratico, ci si rivolge all’azione diretta. Ma è democrazia quella che assassina organizzatori, che attenta alle nostre libere organizzazioni dei lavoratori? Chi ha compromesso e compromette la democrazia? Quando noi rifacciamo la storia recente, dobbiamo forse pentirci dell’amnistia concessa ai fascisti. Questo tema offre un punto interrogativo angoscioso per tutta la nostra folla, perché quando andiamo negli stabilimenti ci sentiamo domandare: ma perché, ma perché? E questa domanda ha una risposta, e la risposta è questa: che i fascisti beneficiati hanno tradito l’amnistia! Invece di ritornare fra noi, fratelli fra i fratelli, resi consapevoli del male che hanno compiuto e della generosità della Repubblica democratica, invece di ritornare fra noi, sì che il popolo italiano potesse dimenticare e stendere un velo di oblio su tutti gli errori del passato, si sono inseriti nuovamente nella vita pubblica con l’aureola dei trionfatori e delle vittime e col proposito di rinnovare nel nostro Paese i tristi sistemi di un tempo.
Il delitto e la reazione imperversano dalla Sicilia a Milano, questa grande e industriosa città. Milano ha subito molti attentati alla Camera del lavoro. Nel primo si è uccisa una donna; nel secondo si è effettuato un tentativo di assalto a colpi di mitragliatrice. Una bomba a mano nella sede comunista di Porta Genova ha dilaniato il corpo di un bimbo e l’ha proiettato fuori della finestra a dieci metri di distanza. Voi dovevate assistere il corteo di popolo che passava imprecando davanti lo strazio di questo piccolo corpo. La grande città di Milano, con tutti i suoi partiti politici ed organizzazioni sindacali, ha seguito il corteo funebre ed ha pianto su questa vittima, senza un pensiero di ritorsione e di vendetta. Nella pacifica Milano, dove non si reagisce, dove non si applica la legge del taglione, dove si spera nella democrazia, organizzatori socialisti e comunisti andavamo tra le masse lavoratrici e negli stabilimenti a dire a tutti gli operai: «State tranquilli, state fermi, non accettate le provocazioni. Non date pretesto alla reazione, che desidera provocare il fattaccio». Ma gli operai si domandano: «Fino a quando?». Non siamo stati in grado, e non lo siamo neppure oggi: successivamente abbiamo avuto ancora due attentati alla sede della Federazione socialista. Poi una bomba nella sede della Sezione comunista; e, più grave ancora, onorevole Scelba, l’attentato alla Casa del popolo di Lambrate; bomba che per caso non ha fatto centinaia di vittime, perché la riunione non è più avvenuta nel locale dove è esplosa la bomba. Eppure, questa gente consapevole della strage che avrebbe potuto compiere, era appostata con il mitra e sparavano contro la Casa del popolo, nell’intento di accoppare i fuggiaschi, coloro che eventualmente fossero scampati all’assassinio. Un fremito di ribellione è passato tra la massa lavoratrice. Pur tuttavia, non abbiamo avuto gesti di rappresaglia. Non vi siete mai domandati il perché? Perché noi ci siamo fatti parte attiva nel raccomandare la calma con la nostra parola e con la nostra autorità.
Ma le masse sono stanche di essere soggette alla violenza, ed hanno ragione.
Ancora: dobbiamo deplorare i recenti luttuosi fatti nello sciopero dei lavoratori della terra, quel meraviglioso sciopero, pacifico, tranquillo dei nostri contadini della Valle Padana, appoggiato da tutte le correnti sindacali; si sono verificate violenze, ferimenti e minacce a mano armata da parte degli agrari contro i contadini.
Tutte queste violenze da chi sono provocate? Chi sta dietro i sicari. Chi sono i mandanti?
Io non sto a ripeterlo; i colleghi che hanno parlato prima di me l’hanno detto chiaro. Evidentemente, nella passione politica, si inserisce il termine della lotta di classe. Sono gli agricoltori; sono coloro che hanno da difendere tristi privilegi e molte volte il maltolto, che non comprendono il dovere del sacrificio verso i propri fratelli, perché fratelli debbono essere considerati coloro che lavorano.
Il Governo, per bocca dell’onorevole Scelba, dichiara che intende applicare la legge. Ebbene, anche noi vogliamo che la legge sia applicata e vogliamo la legalità.
Qualche frase dura può sfuggire nell’impeto, da parte di chi ha l’animo amareggiato per questa situazione. Ma noi dobbiamo compiere tutti uno sforzo per superare questa tragica situazione. Ci siamo resi conto ieri e ci rendiamo conto oggi, che la resurrezione del nostro Paese è faticosa. E ci siamo fatti forti, ed abbiamo assunto l’ingrato compito di convincere migliaia e migliaia di operai ad accettare i licenziamenti per alleggerire le industrie. Abbiamo assunto questo compito con angoscia. Quando uscivamo da quelle fabbriche, ci guardavamo in faccia, noi organizzatori, con le lacrime agli occhi. L’abbiamo compiuto questo duro dovere, e siamo alla vigilia di doverne compiere uno più tremendo.
Ma le masse lavoratrici reclamano che il sacrificio deve pur essere sopportato anche da tutte le altre classi sociali.
Se nuove masse di operai saranno messe in mezzo alla strada, vogliamo vederne il perché; oggi, mentre folle di operai sono percosse dalla disoccupazione, altre mandate a casa senza paga, per quindici giorni o un mese, onorevoli colleghi, non vi dice proprio niente il triste episodio di quell’operaio che va alla fabbrica, mormorando: «Ho dei figli da mantenere, se vado a casa senza paga, mi tolgo la vita». E se l’è tolta davvero! L’episodio ha un grande significato di dolore e di esasperazione, ma gli operai affermano a gran voce: «Noi non vogliamo fare la stessa fine». In questo stato di malessere, in questo disagio economico delle classi lavoratrici, si inserisce quotidianamente la provocazione.
Noi sappiamo assai bene che le classi operaie non desiderano che lavorare, ma vogliono lavorare in pace, nella libertà democratica che si sono conquistata. La insurrezione morale di Milano rappresenta una manifestazione di una decisa volontà ed un monito. Le classi lavoratrici, dall’impiegato all’ultimo manovale, avvertono una perfetta analogia tra la situazione odierna e quella prefascista, anche nella condotta del Governo.
Comprendono che è lo stesso fenomeno che si ripete. Si è incominciato allora con le bastonature, poi con la bomba a mano, poi con la distruzione delle sedi dei lavoratori e dei partiti. Oggi il Governo non può o non vuole impedire che il fascismo ripigli ancora piede. In siffatta situazione il nostro popolo si domanda se il Governo è inoperante nello schiantare il fascismo, quel fascismo che è stata la causa della rovina del nostro Paese; non intende il nostro popolo essere preso alla sprovvista, e reagisce. Reazioni che si sarebbero potute evitare, se il Governo si fosse messo sulla strada di eliminare le cause che determinano la reazione stessa.
Noi vogliamo la legalità e la tutela dell’ordine pubblico, ma non nel senso di incoraggiare la illegalità ed i delitti contro le istituzioni democratiche, applicando faziosamente la legge solo per reprimere le legittime reazioni delle masse antifasciste. Il periodo della lotta di liberazione ci è di insegnamento, ed il nostro posto sarà sempre a fianco delle masse che intendono difendere il pane, le libertà democratiche, la Repubblica. Se non si vuole che la insurrezione popolare bandisca il fascismo, deve provvedere il Governo. Debellare le organizzazioni fasciste comunque camuffate è la pregiudiziale per la pacificazione nel nostro Paese.
Solo in tal modo si creeranno le premesse, perché le lotte politiche e sindacali si svolgano in quell’atmosfera di reciproca tolleranza e comprensione, quale si addice a popoli civili. Ma sia ben presente a tutti che i lavoratori d’Italia sono ben decisi, ove non provveda la legge e l’azione di Governo, a difendere ad ogni costo quelle libertà che sono loro costate tanti sacrifici. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Cairo ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CAIRO. Poche parole, onorevoli colleghi, che vogliono testimoniare lo sforzo che si vuol fare da questa parte per portare una parola di serenità, il più possibile obiettiva, in questo dibattito, che è increscioso per l’animo di tutti gli italiani.
Pare che la situazione interna del Paese si faccia preoccupante, pare che questa nostra Repubblica, che abbiamo creato, per cui lavoriamo, e che amiamo tutti, si sia messa su una strada, in fondo alla quale non sappiamo cosa troveremo, o sappiamo troppo bene cosa troveremo. Da tutto questo balza una considerazione, che trascende il fatto parlamentare della risposta dell’onorevole sodisfatto o insoddisfatto, un monito che dovrebbe farci riflettere, e che è questo: l’Italia è uscita dal travaglio e dalla sconfitta, da un regime infame, che l’aveva travagliata da anni, senza essersi data uno stabile, saldo reggimento democratico. Ci sono delle responsabilità, indubbiamente. La politica in democrazia è soprattutto responsabilità, responsabilità che noi sentiamo di condividere anche sebbene in minima parte, responsabilità che grava soprattutto, mi sia consentito di dirlo, sul Governo. Dico questo senza avere l’aria di fare della opposizione demagogica, fuori luogo.
Il Governo deve compiere tutto il suo dovere, sempre, ma maggiormente in momenti come questo, in cui la storia del Paese diventa più intensa; bisogna far sentire a tutti che esiste una legge e che esistono delle forze sufficienti per imporla.
Questo è il dovere del Governo, e queste forze non debbono solamente rivolgersi su quelli che combattono ora la lotta politica, ma anche a quelle ombre del passato che non sono interamente fugate. Perché il fascismo continua a sussistere là dove è meno perseguibile: negli animi, nella forma mentis.
Badate, io sono il primo firmatario della interrogazione presentata dal mio Gruppo, non perché io sia il più degno fra i colleghi componenti questo Gruppo, ma perché io appartengo a quella terra lodigiana, che dal delitto e dal dolore è stata funestata proprio in questi giorni. Avete ragione, colleghi e compagni, in quella terra è nato il fascismo, ed il fascismo continua ad esistervi. Là c’è quello schiavismo agrario, e c’è il fascismo che non disarma, perché c’è il feudalismo padronale.
Ebbene, di questo bisogna ricordarsi, perché di là è scaturita quella scintilla che poi ha dato l’incendio fatale a tutto il Paese ed è lì che – voi signori del Governo – dovete puntare la vostra sorveglianza; perché da quei ceti, che io non mi perito di definire socialmente inferiori, è venuto il pericolo del fascismo.
Io lo so per esperienza, perché la mia modestissima vita politica, che ho percorsa durante venti anni e più, si è iniziata quando il fascismo faceva le sue prime prove sanguinose nella pianura padana. So che in questi giorni, ingiustificato o meno – ma io dico giustificato – c’è il terrore fra quei contadini.
Badate, noi infieriamo talvolta contro quelli che sono i movimenti inconsulti degli operai e dei contadini; verso di loro noi dobbiamo indulgere, perché noi stessi sentiamo talvolta, di fronte alla sola parola «fascismo», una tale rivolta interiore, che ci fa trascendere quelli che sono anche i limiti imposti dalla civile convivenza.
È l’anima di quei contadini, quella che voi del Governo dovete ascoltare, perché se c’è un pericolo oggi, è là, è in mezzo a quelle caste agrarie che furono le generatrici del peggiore, del primo, del più velenoso fascismo.
Detto questo però, è anche onesto fare un po’ di introspezione. E mi rivolgo a tutti i colleghi dell’Assemblea, senza malanimo, senza faziosità: abbiamo noi rispettato le libertà che abbiamo create? Lasciatelo dire ad un iscritto a un Partito che ha sofferto e soffre della violenza contro il più elementare dei diritti, il diritto alla parola, la quale non è che il mezzo attraverso cui si estrinseca la libertà di pensiero, fondamentale libertà della vita umana.
Ora, abbiamo rispettato tutti questa libertà? Noi di questo Gruppo siamo un po’ parti lese in questo naufragare della libertà, e quindi noi non possiamo non rilevarlo per primi. Il socialismo, consentitemi l’inciso, è rispetto delle libertà, è negazione della violenza – non per espressione verbale solamente, ma per programma, per tradizione, per volontà effettiva e leale – e noi socialisti possiamo dire questo, perché siamo sempre stati contro la violenza, e noi possiamo deplorare e deploriamo oggi la violenza politica e non vogliamo più che essa rinasca in Italia.
Però, se in questo dibattito esiste quell’ombra fascista che non riusciamo a fugare, ripeto, esiste anche qualcos’altro che dovrebbe far meditare il Governo, al quale rivolgo queste mie brevi parole.
Aveva ragione Mariani: c’è in Alta Italia il disagio economico. Aveva ragione: ci sono operai, i quali non sanno se potranno lavorare domani, i quali numerano i pochi soldi della mercede e non sanno se ne avranno fino a domani. C’è, effettivamente, qualche cosa che manca, una falla economica, signori del Governo.
Noi, pochi uomini di questi banchi, abbiamo denunziato ciò quando ci opponevamo, col nostro voto, a questo Governo, quando dicevamo: ci vuole un piano economico; non basta badare alla finanza dello Stato; c’è una contabilità sociale; c’è dell’umanità anche nelle cifre; fate un piano per soccorrere queste folle, che rappresentano il nerbo insostituibile della Nazione.
È una lacuna che non si vede, ma è chiara la lacuna economica, per la quale più derelitte ancora del modo con cui le ha fatte la natura si trovano le classi lavoratrici in questo momento.
Non faccio sermoni; non sono da tanto. Però sento il dovere, come rappresentante delle classi lavoratrici, di dirvi: non guardate solamente al problema di Governo come un problema di polizia, ma consideratelo anche come un problema economico e sociale. Voi lo avrete, allora, risolto e non piangerete tutti i morti che noi piangiamo e che, per noi socialisti, sono tutti egualmente degni di compianto.
Fugate le ombre del fascismo, fate un’economia sociale, e vedrete risorgere la Repubblica, perché questa Repubblica deve insegnare soprattutto a tutti gli italiani che le libertà civili sono patrimonio di tutti gli italiani e che tutti gli italiani debbono difenderle contro ogni violenza, da qualunque parte provenga, perché ogni violenza è matricida, perché ogni violenza è liberticida. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Mastrojanni ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MASTROJANNI. Onorevoli colleghi! Ringrazio innanzi tutto il Ministro dell’interno per il modo esauriente con il quale ha informalo questa Assemblea, non solo intorno alle proporzioni ed ai limiti dei delitti che si sono susseguiti, ma anche sulle causalità che hanno determinato i delitti stessi. Da ogni parte il dibattito appassionato, vivace e qualche volta intemperante, più che esprimere esecrazione per i crimini consumati, da qualunque parte siano essi scaturiti, si è addentrato a specificarne le causali, quasi per giustificare i fatti come conseguenza logica di precedenti illeciti verificatisi.
Questa Assemblea avrebbe invece dovuto sentire il dovere, piuttosto che analizzare le causali dei delitti, di chiedere lo studio e l’esecuzione di provvedimenti, che valgano ad eliminare le cause ed a prevenire eventuali altre aggressioni alla libertà individuale ed alle cose.
Le causali dei delitti, tutti sappiamo quali siano, ma è strano che, mentre alcuni attribuiscono queste causali ad una presunta alleanza contingente fra il Governo ed i fascisti, altri le attribuiscono a reazioni contro precedenti violenze. È strano altresì che tali manifestazioni di delinquenza collettiva si rappresentino oggi come la conseguenza logica di altre azioni delittuose commesse contro alcuno; mentre altra volta invece si identificavano con l’esasperazione di situazioni economiche e sociali, alle quali il Governo non era riuscito direttamente e prontamente a provvedere.
Ma, onorevoli colleghi, è tempo che noi si dia bando agli eufemismi e che ci si svesta di ogni ipocrisia. A tal uopo ricordo che, durante i lavori della Commissione per la Costituzione, le sinistre affermarono il concetto, secondo cui esse intendevano che ai partiti politici si riconoscesse la forma ed autorità costituzionale. Mi opposi, perché in tal modo avremmo svuotato di ogni contenuto questa Assemblea Costituente, ma non posso dimenticare questa posizione mentale assunta dalle sinistre.
Mi domando ora se sia lecito ai rappresentanti di tali partiti di lasciar perpetuare queste manifestazioni, che turbano la coscienza collettiva ed ingenerano la convinzione che la legge e il diritto possano essere vulnerati attraverso la forma violenta di manifestazioni di terrorismo collettivo, e soggiogando la forza del diritto o rendendo vana la espressione della legge.
Mentre il nostro partito, Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque, inizialmente veniva identificato come l’espressione di un fascismo ormai sepolto; mentre successivamente questa singolare ed artificiosa insinuazione veniva a dileguarsi e in altri movimenti si identificava il neo-fascismo, e mentre ancora alcuni ci accusavano di filo-comunismo, oggi si distruggono a Milano, a Genova, a Venezia, a La Spezia e in tante altre località, per spirito di brutale malvagità, per vandalismo inconsulto e inqualificabile, le sedi di un movimento liberale democratico, che ha portato nella vita nazionale il senso dell’equilibrio, della saggezza, della moderazione.
Una voce al centro. Non esageriamo!
MASTROJANNI. Io non esagero, onorevole collega, e la prego di credere che l’esagerazione è solamente nell’inopportunità della sua espressione.
Il Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque, che in questo momento ho l’onore di rappresentare, è l’unico che abbia dimostrato, con coraggio fattivo e con fertili risultati, l’individuazione logica e obiettiva dei fenomeni sociali e politici che ci travagliano; è l’unico che abbia avuto il coraggio di difendere i perseguitati quando ingiusta era la persecuzione; è il solo che oggi dica apertamente che la violenza, da qualunque parte essa provenga, non può essere che identificata come delittuosa. E non possiamo che identificare come delinquenti, tutti coloro che in qualsiasi modo giustificano queste manifestazioni brute della feccia umana, la quale, se non educata, deve almeno essere messa in condizioni di non nuocere né oggi né domani.
Onorevole Ministro dell’interno, la mia interrogazione è chiara, precisa e categorica. Due domande ho rivolto: la prima, per conoscere le causali che hanno impedito alle forze armate di polizia di evitare le delittuose manifestazioni collettive, che si sono esasperate nei centri più popolosi del territorio dello Stato. A questo proposito ricordo il vostro stesso accenno, onorevole Ministro, quello relativo, cioè, al tentativo, inutilmente smentito dall’onorevole Pajetta, di assalire la Questura di Milano. Il fatto è così grave e preoccupante…
PAJETTA GIAN CARLO. Grave, ma non è vero!
MASTRO JANNI. Così grave, per cui io mi domando se domani, questi intendimenti, oggi larvatamente adombrati e non riusciti, fossero con più accurata preparazione messi in essere e dovessero pervenire a conclusioni decisive, io mi domando se, assalita la Questura di Milano…
PAJETTA GIAN CARLO. È una fantasia; chi ci ha mai pensato?
MASTROJANNI. …noi potremmo più sperare nella possibilità d’una repressione delle altre più gravi manifestazioni generali e decisive, le cui conclusioni nefaste non vi è alcuno di noi che non veda a quali obiettivi tendano e a quali conseguenze portino!
Ed è pertanto, onorevole Ministro, che nella seconda parte della mia interrogazione vi chiedevo se non intendete, d’accordo con il Governo e, ove occorra, col consenso e il suffragio dell’approvazione della maggioranza di quest’Assemblea ancora saggia e onesta, se non intendete di predisporre un sistema di leggi preventive e repressive per cui possa questo popolo, che ha il diritto di vivere tranquillamente, dopo il travaglio e il calvario che l’ha afflitto per così lunghi anni, di contare su una sicura tutela e difesa, che consenta a tutti e a ciascuno di vivere finalmente sereni senza essere turbati dalla prepotenza di turbe facinorose, le quali, comunque mascherino le loro finalità, nascondono paurosi ed ingiustificabili obiettivi.
Le leggi vi impongono, onorevole Ministro degli interni, di non aggrapparvi a opportunità politiche o di Governo, ma vi impongono di garantire la tranquillità pubblica! Voi non potete limitarvi a fare sopportare alle forze armate di polizia tutti gli oltraggi, dando alle stesse forze la sensazione della loro impotenza. Le forze di polizia devono essere addestrate, armate e decise a mantenere ad ogni costo l’ordine pubblico!
Ogni cittadino ha il diritto di pretendere da un Governo liberale democratico l’adempimento severo, scrupoloso, deciso, fermo e categorico di questo dovere. Nessuno deve turbare più oltre la pubblica tranquillità o aggredire la pubblica incolumità.
I partiti hanno ormai raggiunto la forza, l’efficienza, la potenza per poter esprimere liberamente, con tutto il prestigio e l’autorità che loro deriva, quelle che sono le lacune, i bisogni, i desideri delle categorie sociali che essi rappresentano. E poiché tutte le categorie sociali sono qui largamente e autorevolmente rappresentate, è qui che – nell’onesto, civile e logico giuoco delle discussioni e delle maggioranze – può essere attuato quel sistema di previdenze e provvidenze collettive, che una volta avuto il crisma della legge, devono essere da tutti osservate e fatte osservare.
Se questo principio – che personifica la civiltà e rappresenta il progresso dei popoli – non è un’utopia, ma è un dogma, non vi è ragione alcuna che possa giustificare le intemperanze di alcuno, né vi sono causali, per quanto profondamente ricercate e per quanto abilmente esasperate, che possano comunque attenuare le responsabilità o trasformare la loro identificazione nettamente e precisamente delinquenziale, e suscettibile quindi di sanzione penale!
Onorevole Ministro, io non desidero approfittare di questa occasione per dire che l’obiettivo principale preso di mira in tutta Italia è stato il Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque. Non intendo farne l’elogio o dimostrare l’insulto e l’oltraggio ed il danno materiale, ma intendo solo affermare che noi, fermi e decisi, forti di essere nel vero, forti nella nostra coscienza serena e tranquilla, noi non dubitiamo che il nostro verbo di verità e di giustizia debba trionfare fra la folla, che rappresenta e personifica l’uomo qualunque. Onorevole Ministro, vi prego di considerare con la somma della responsabilità che il caso richiede, le nostre precise richieste. Fate che le forze armate di polizia nello Stato italiano siano in ogni momento efficienti, agguerrite nello spirito e nel braccio; fate che ogni cittadino d’Italia possa tranquillamente perseverare nella via del bene, dell’ordine, del lavoro e della comprensione; fate che possa essere garantito e che non vi sia possibilità alcuna per il prevalere ed il prepotere di qualsiasi fazione e che qualsiasi tentativo, da qualsiasi parte prevenga, per minacciare o per turbare l’ordine pubblico, venga severamente represso e definitivamente stroncato, ed in modo che, coloro i quali ancora credono che, preparandosi nell’ombra e rafforzandosi nello spirito perverso, possano attendere il momento opportuno per afferrare l’esercizio del potere, troveranno un baluardo infrangibile contro cui contrasterà e si frantumerà qualsiasi losca iniziativa. Queste le conclusioni che ho l’onore di esprimervi a nome del Fronte liberale democratico dell’Uomo Qualunque. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SELVAGGI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi! Ho preso atto delle dichiarazioni dell’onorevole Scelba e, poiché i colleghi che mi hanno preceduto hanno già abbondantemente parlato degli incidenti accaduti in Alta Italia, farò alcune brevi considerazioni. Vorrei ricordare che la libertà di stampa è uno dei cardini della democrazia, perché è l’estrinsecazione della libertà di pensiero, e vorrei ricordare che, stroncando la libertà di stampa, anche attraverso mezzi tecnici, attraverso i quali la libertà di stampa si esplica, si attenta alla democrazia e si apre cioè la porta alla dittatura. Ora, se il compito del Governo è quello di fare rispettare le leggi da parte di tutti, il compito del Governo è anche quello di tutelare e garantire contro chiunque le libertà democratiche e i mezzi della loro esplicazione. Molte volte è stato già affermato e dichiarato in quest’Aula da parte del Governo, e proprio da parte dell’onorevole Scelba, che le libertà democratiche sarebbero state garantite e difese e le libertà degli individui sarebbero state tutelate. Eppure siamo arrivati a episodi che sono oggetto della discussione odierna. Ora, io mi auguro e confido che davvero e finalmente lo Stato sappia difendere con le forze dell’ordine, che sono a disposizione dello Stato e in maniera decisiva ed energica, le libertà di tutti, che sono le libertà di ognuno. Si ricordino poi, coloro che credono che con la violenza possano stroncare la libertà, che le idee hanno una loro forza che non si fa violentare da nessuna violenza ed intimidazione. È solo in questo modo, che il Governo potrà essere coerente alle dichiarazioni dell’onorevole Scelba. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Per i firmatari dell’interrogazione dell’onorevole Patrissi, risponde lei, onorevole Puoti?
PUOTI. Si, onorevole Presidente. La nostra interrogazione è provocata sia dalla precedente del 4 novembre, per la quale non avemmo tempestivamente risposta, sia dai recenti avvenimenti riguardanti direttamente la nostra sede nazionalista in Genova, sia da tutti gli avvenimenti di cui si è occupata questa sera l’Assemblea, riguardanti le città dell’Alta Italia, avvenimenti quanto mai dolorosi, perché dovuti alla violenza di uomini di parte aventi lo scopo solamente di creare il disordine in Italia e uno stato d’animo insopportabile per tutti coloro che vogliono l’ordine e vogliono lavorare tranquillamente. (Interruzioni a sinistra).
Vogliamo difendere i lavoratori onesti.
PAJETTA GIAN CARLO. Puoti è un fascista.
PUOTI. Onorevole Pajetta, la prego, questo è un motivo troppo sfruttato, cerchi di cambiare.
Onorevole Scelba, la preghiamo, a nome di tutti coloro che la pensano onestamente da italiani (Commenti a sinistra), da liberi italiani non aggiogati ad alcuno Stato straniero (Interruzioni all’estrema sinistra) di proporre a questa Assemblea una legge, che metta fine per sempre alla violenza politica. (Interruzioni a sinistra). Le forze del disordine mettono il Paese in uno stato di panico e di terrore, credo che basti; credo che troppo sangue sia stato versato. (Interruzioni all’estrema sinistra).
PAJETTA GIAN CARLO. Per colpa vostra.
PUOTI. Consentitemi democraticamente di continuare a parlare. (Interruzioni a sinistra). Il sangue versato è nostro e per colpa vostra. (Rumori all’estrema sinistra).
PAJETTA GIAN CARLO. Le fa comodo parlare di democrazia.
PUOTI. Onorevole Pajetta, la prego ancora una volta di lasciarmi parlare. Ne ho il diritto.
Dicevo, onorevole Scelba, che è necessario che per tutti i partiti politici vi sia una remora, una legge, che vieti le violenze morali e materiali. Poiché stasera si è parlato molto di fascismo e di fascisti, ne voglio parlare anch’io. (Interruzione a sinistra).
I metodi fascisti sono tornati nelle piazze: al manganello si è sostituito il mitra; ma il metodo è lo stesso: è la violenza.
Se vogliamo che in Italia vi sia vera democrazia, anzitutto dobbiamo abolire e reprimere con tutti i mezzi a disposizione del Governo questa violenza nelle piazze.
Proprio stamani sono avvenuti fatti di violenza a Napoli, città tranquilla, dove non vi erano state le manifestazioni dell’Alta Italia.
I lavoratori sono stati mobilitati coi camions e portati in corteo, per una. manifestazione di parte.
Onorevole Ministro, bisogna evitare queste speculazioni a carattere collettivo; bisogna che un partito faccia le sue manifestazioni soltanto con i propri iscritti, senza distrarre i lavoratori dal lavoro. (Interruzione del deputato Pajetta Giuliano).
Bisogna reprimere queste iniziative, che turbano la vita della Nazione.
I lavoratori stamane a Napoli sono stati distratti dal lavoro per partecipare ad una manifestazione comunista. (Interruzioni a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Puoti, la sua interrogazione è precedente ai fatti di Napoli.
PUOTI. Ma i fatti sono avvenuti.
PRESIDENTE. Purtroppo sono avvenuti, ma un altro collega ha presentato una interrogazione specifica. Trascuri di parlare dei fatti di Napoli.
PUOTI. Trascurerò di parlare delle manifestazioni coatte di Napoli, però non posso non parlare ed insistere sullo stato d’animo che si sta creando in Italia in questo momento, in cui dovremmo tutti quanti essere uniti, tutti gli italiani, parlo di quelli ai quali preme che il nostro Paese risorga di nuovo. (Interruzioni a sinistra).
Questo è un linguaggio che non viene compreso da voi, ne sono convinto; ma io ho il dovere di fare questa affermazione, perché parlo a nome di coloro, i quali in questo momento vedono turbato il loro lavoro e non ne vogliono più sapere di violenza. (Vivi rumori a sinistra).
Concludo con le parole che l’onorevole Pajetta rivolgeva al Governo; io le rivolgo a voi: (Accenna all’estrema sinistra): Andatevene! Andatevene! Andatevene! (Vivi rumori a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Gasparotto ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
GASPAROTTO. Non intendo alimentare di altre fiamme questa già ardente discussione. Preferisco far mie le ultime accorate parole pronunciate dall’onorevole Mariani, del quale posso testimoniare l’opera di pacificazione e di disciplina che sta svolgendo tra le masse operaie della nostra città.
Indubbiamente, vi è una constatazione da fare: vi è, cioè, un risorgente fascismo che non può non preoccupare. Da che dipende? Forse da noi stessi, forse dall’amnistia che abbiamo accordato per sensi di alta generosità e che da troppa gente viene giudicata come una prova di debolezza. Occorre che il Governo faccia comprendere a costoro che l’amnistia, invece, è stata ed è una dimostrazione di forza, inquantoché, se si è voluto distendere un velo sulle colpe del passato, e tale è il punto di partenza, non si intende perdonare alle colpe future. Il Governo frattanto deve difendere ad ogni costo, per tutti e contro tutti, la vita dei cittadini. Dopo il fatto Matteotti, nel salone qui vicino, Antonio Salandra, che pur votava ancora per il Governo, ha detto ad un Ministro: «Ricordate che i morti pesano, e i morti riversano doverose responsabilità sui Governi». Questo monito ancora oggi possiamo ripetere a voi del Governo ed a noi stessi, che con voi abbiamo il dovere di dividere le responsabilità dell’attuale momento. Ma come si difende la libertà dei cittadini, di tutti i cittadini? Voi, Governo, dovete difenderla con la forza, che è a vostra disposizione; noi dell’Assemblea, e voi, capi di partito, dobbiamo difenderla con la libertà, perché solo l’esercizio integrale delle libertà salva i cittadini dalle violenze. Quando nel 1919, in un contradittorio preannunciato fra Filippo Turati e Arturo Vecchini, al Vecchini fu impedito di parlare, il primo a ribellarsi contro la violenza fu Turati, e in quel giorno la libertà fu salva. Quando poi nel 1924 fu impedito a Turati di parlare, nel suo collegio, che gli era stato costantemente fedele, nessuna voce è sorta a difenderlo, e la libertà in quel giorno morì.
Noi dobbiamo difendere, dunque, la libertà di tutti. In questo momento, soprattutto, in cui il Paese va incontro a giorni tristi, in questi giorni, in cui stiamo cercando di difendere i nostri lavoratori dalla crisi che imperversa, e voci autorevoli e sinistre minacciano altre crisi, perfino per la più fiorente industria italiana: quella dei tessili, in questa era imminente e difficile, il Paese ha bisogno di pace. Ma la pace si difende col lavoro e con la libertà. (Applausi).
PRESIDENTE. L’onorevole Sansone ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SANSONE. Onorevoli colleghi, non avrei risposto al Ministro Scelba se egli non avesse tentato di minimizzare e, starei per dire, di non riferire i fatti nella loro interezza. Si dice che stamani gli operai delle nostre officine distrutte, e che essi hanno ricostruite, volevano issare la bandiera rossa sul Comune di Napoli. Questo non è esatto. A Napoli, stamane, i nostri operai protestano contro il Comune di Napoli, contro il sindaco e la Giunta comunale che si era resa complice di una solidarietà che io denuncio a questa Assemblea, ed alla quale solidarietà ha fatto anche eco l’onorevole Coppa. Pochi giorni fa il segretario della federazione socialista di Napoli le ha diretto un telegramma al quale lei, onorevole Scelba, non ha dato corso e non ha risposto. Il fatto che si denunziava era grave; si trattava di un dalmata che percorreva le strade di Napoli con la fotografia dell’ex «duce», costringendo chi incontrava a baciarla. Insorsero dei giovani comunisti contro tale azione delittuosa e si recarono dal maresciallo dei carabinieri della stazione vicina a denunciarla, ma il maresciallo non dette peso alla cosa, cosicché il giovane dalmata continuò in questa opera di sopraffazione e di apologia del regime fascista. (Rumori – Commenti). E quando un giovane comunista,. esasperato da questa forma delittuosa e sopraffattoria, venne a lite con lui e lo colpì a morte, il sindaco monarchico di Napoli, in forma ufficiale, ha seguito questo feretro, che ha ritenuto degno della considerazione di tutta la città.
COVELLI. Questo è naturale; ma è falso quello che lei dice.
SANSONE. Ecco quali sono le azioni provocatorie! E quando stamane i nostri lavoratori protestavano sotto il Comune di Napoli per denunciare questa alleanza fra il fascismo, gli elementi monarchici, ed una parte della democrazia cristiana, quindici carri armati sono andati quasi a schiacciare la folla ed hanno provocato gli incidenti. (Rumori – Proteste al centro).
Onorevole Scelba, io ho il dovere di farle delle domande precise e tassative; non sono qui a fare della vana retorica: il Paese è in uno spasimo e noi abbiamo il dovere di difendere la posizione dei lavoratori e con essi il Paese stesso.
Io, il 15 luglio, dopo un’interpellanza dell’onorevole Li Causi su altre uccisioni avvenute in Sicilia (eravamo allora al decimo o undicesimo morto ed ora siamo al diciannovesimo), presentai una mozione nella quale dicevo: «L’Assemblea Costituente, udite le dichiarazioni non sodisfacenti sull’interpellanza dell’onorevole Li Causi, considerato che il brigantaggio politico si manifesta sempre più in Sicilia e che la popolazione siciliana ha il diritto di poter esprimere democraticamente le proprie opinioni e di poter svolgere una normale e pacifica attività politica, chiede che il Governo precisi quale azione intende svolgere per reprimere tale forma pericolosa di reati, facendo presente che la fiducia popolare si fonda proprio sull’attività che svolgerà a tal fine».
Dal 15 luglio, onorevole Scelba, io non ho chiesto la discussione di questa mozione, perché si sarebbe detto che noi della sinistra siamo qui per fare uno dei soliti attacchi al Governo. Ho voluto attendere i fatti. Dal decimo morto siamo arrivati al diciannovesimo; dalla Sicilia a Milano, da Milano a Napoli gli incidenti aumentano proprio per questo atteggiamento negativo e provocatorio del Governo. (Applausi all’estrema sinistra).
Ora, le faccio un’altra domanda, onorevole Scelba: esiste una legge contro l’apologia del fascismo? Chiedo a lei: quanti cittadini italiani, quanti fascisti sono stati denunziati per questo reato? Credo nessuno. Mi sono dilettato a scorrere la giurisprudenza di questo periodo dei vari tribunali e delle Corti della Repubblica; non ho trovato un solo caso che si riferisse a questa legge. Non un solo cittadino italiano – cioè non un solo fascista – è stato denunziato per apologia del regime: e come vuole, quindi, che questa gente, che questi ex repubblichini, che questi massacratori, non siano contenti del suo Governo e non le diano l’appoggio che viene anche consacrato da alleanze politiche?
Ecco i fatti, onorevole Scelba, che determinano le reazioni dei lavoratori, ché essi vedono in questo Governo una provocazione continua.
Stamattina nei tram di Roma dei giovani si gloriavano, avevano la baldanza di dire: siamo fascisti, siamo stati repubblichini e ce ne vantiamo! Sono avvenuti piccoli incidenti: ma, penso che ci doveva essere il quarto Governo De Gasperi per poter determinare questa situazione in Italia!
Quindi, lei non ha fatto un’opera di prevenzione di questi reati; non ha fatto un’opera di repressione; anzi, sul terreno politico, ha favorito un’alleanza che ha rafforzato in costoro la volontà di riemergere con più forza di prima.
Questa è colpa esclusiva del Governo!
Ora qui si pone un problema: vogliamo, onorevole Scelba, onorevole De Gasperi, vogliamo veramente avere carità di patria? Io penso che il dovere di tutti gli italiani, in questo momento, sia di riunire tutte le forze veramente democratiche e finirla con questi monopoli del potere o del Governo e riunirci tutti. (Vivi commenti al centro – Applausi all’estrema sinistra).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! E lei, onorevole Sansone, si attenga al tema dell’interrogazione.
SANSONE. Ripeto, penso che noi dobbiamo riunire tutte le forze democratiche. Non dobbiamo essere qui a soppesare il numero dei seggi ministeriali, tre a me e quattro a te. Riuniamo tutte le forze e così veramente daremo al Paese la certezza che noi debelleremo il fascismo e che veramente vogliamo rafforzare, fortificare, difendere, far veramente sviluppare la nostra politica.
Creda, onorevole De Gasperi, è un appello che le rivolge un suo leale avversario politico. Mi muove non un interesse di parte, ma un interesse come italiano, come un modesto italiano, ma che sente il travaglio del Paese.
Che se poi questo grido di dolore, questo grido che è ancora di speranza non è raccolto, se questo grido viene ancora soffocato, onorevole De Gasperi, noi ci sapremo difendere, e la colpa sarà la sua! (Applausi all’estrema sinistra – Commenti al centro).
PRESIDENTE. L’onorevole Cappi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CAPPI. Io avrei dovuto esporre il pensiero della Democrazia cristiana; perché in un momento che – senza drammatizzare come fanno certi giornali – è indubbiamente grave, sembra opportuno che anche la Democrazia cristiana faccia sentire, come partito, il proprio pensiero ed assuma, di fronte al Governo e di fronte al Paese, la propria responsabilità.
Ma, dopo le ampie dichiarazioni del Ministro dell’interno e gli interventi di alcuni colleghi, soprattutto dopo i nobili accenti di alcuni di essi: l’onorevole Gasparotto, l’onorevole Meda, l’onorevole Cairo, data anche l’ora tarda, rinunzierò a questo mio compito. Ero stato incaricato di parlare specialmente perché ho visto, ed ho vissuto, l’altro dopoguerra, e l’ho vissuto in quella Cremona già ricordata dall’onorevole Pajetta; ho vissuto in quella Cremona dove – imperante Farinacci – io, come l’onorevole Lussu ebbe la bontà di ricordare, ho saputo mantenere incontaminata la mia fede democratica.
E, di Cremona, avrei potuto ricordare alcuni episodi. Dirò solo che con angoscia noi vediamo ripetersi, con tragica, quasi monotona egualità, la situazione di quel dopoguerra. Infatti, anche allora da parte dei colleghi di estrema sinistra si fece bersaglio il partito popolare. Così oggi ho l’impressione che si voglia tòrre di mezzo questa forza della Democrazia cristiana, la quale, finché avrà vita di partito, vita dei suoi uomini, si getterà in mezzo all’agone e cercherà di opporsi con tutti i mezzi allo scatenamento della violenza. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).
FUSCHINI. Lo conoscete poco il partito popolare! (Interruzione del deputato Schiavetti – Rumori).
PRESIDENTE. Onorevole Schiavetti, la prego non interrompa; ed anche lei, onorevole Fuschini, non intervenga senza autorizzazione nella discussione.
CAPPI. È perfettamente inutile che interrompiate, perché ho detto che rinunzio a svolgere quello che avrebbe dovuto essere il mio intervento. E rinunzio a svolgerlo perché oggi il tema che preoccupa tutti è il tema della libertà: ed è precisamente su questo tema che noi e voi parliamo due linguaggi diversi, non ci intendiamo più. (Approvazioni al centro). Quando per voi sono paesi liberi quelli dove agli uomini dell’opposizione si stringe un cappio o si apre un ergastolo, e si dichiarano tirannici paesi come il nostro, non possiamo più intenderci. (Applausi al centro).
Voi potrete fare falò del vocabolario e capovolgere il senso delle parole; ma non farete falò dell’intelligenza del popolo italiano, che distingue e giudica. (Commenti a sinistra). Voci preoccupanti si levano nella stampa, si sono levate anche in quest’Aula. Andatevene! ha intimato Pajetta: ce ne andremo il giorno dopo le prossime elezioni se ci saranno sfavorevoli. Il potere è talora pericoloso e penoso; è però sempre, per quanto aspro, un dovere, verso la volontà popolare liberamente espressa. (Vivi applausi al centro – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo).
Voi fate appello dal Parlamento alla piazza; noi riteniamo che in regime democratico questo appello non si dà, o si dà solo nel giorno di libere elezioni. Echeggia la stessa frase di venti-venticinque anni fa: voi dite di essere costretti ad usare la violenza, la rappresaglia, per difendere la libertà. Noi non vogliamo che si ripeta il 1919-20, e sia chiaro a tutti che questo non si verificherà. (Commenti – Interruzioni).
PRESIDENTE. Facciano silenzio, onorevoli colleghi, permettano all’onorevole Cappi di proseguire.
CAPPI. Finché la Democrazia cristiana avrà responsabilità di Governo, questo non si ripeterà. Noi non vogliamo che risorgano né le camicie nere, né gli arditi del popolo; solo lo Stato, con la sua legge e, occorrendo, con la sua forza, perché uno Stato imbelle è generatore della tirannide. (Interruzioni a sinistra).
Una voce a sinistra. Ma se siete già alleati! (Commenti – Proteste al centro).
ALDISIO. A quest’ora lo sareste voi!
CAPPI. Voi potete irridere questa nostra fede nella libertà, ma non ce la potrete rapire. E noi, difendendo la libertà, crediamo di difendere anche voi (Interruzioni a sinistra), e chissà che non venga un giorno in cui siate grati per quest’opera alla Democrazia cristiana. Con questo nostro atteggiamento teniamo fede a quegli ideali di democrazia che ci hanno animato nell’altro dopoguerra, che ci hanno animato durante la guerra, nella lotta di resistenza, nella quale, spalla a spalla, forze nostre hanno combattuto anche con voi. (Interruzioni a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano.
CAPPI. Di quella lotta, della quale noi – nonostante qualche episodio isolato – rivendichiamo la nobiltà e la grandezza.
Ripeto, non voglio entrare in polemica con voi, perché parliamo due linguaggi diversi. Ma noi, finché – lo ripeto – saremo un partito e vi sarà tanta libertà in Italia, come non v’è in altri Paesi, di poter vivere ed esplicare liberamente questa nostra attività di partito, noi a questa fede democratica resteremo fedeli. La fortuna del nostro partito sarà quella che l’avvenire ci riserverà, ma noi crediamo, così operando, di fare il bene del nostro Paese e di obbedire al comando della nostra coscienza civile e morale. (Vivi applausi al centro – Commenti a sinistra).
PRESIDENTE. L’onorevole Zanardi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
ZANARDI. Onorevoli colleghi, io ho presentato una interrogazione, che il Ministro dell’interno ha voluto dichiarare urgente; a dire il vero, io non sono del suo parere, perché il mio temperamento è alieno da ogni infeconda polemica; per questo io vi invito a fare un esame di coscienza, per chiedervi cioè se tutte queste grida e contrasti che abbiamo pronunciato in quest’Aula siano utili alla pace del Paese. (Approvazioni al centro).
Ho interrogato il Ministro degli interni perché un nostro compagno operaio, partigiano delle brigate Matteotti, è stato assalito nella località Crocetta di Medicina da quindici persone, bastonato fino che è caduto privo di sensi.
Io ho già nella mia interrogazione affermato di non conoscere gli autori del delitto, e mi sono augurato che essi non appartengano a nessun partito politico. Ora mi rivolgo specialmente ai colleghi comunisti perché essi stessi vogliano dichiarare che gli assalitori in numero soverchiante del nostro compagno Buttazzi non appartengono al loro partito; tanto più che nell’Emilia il partito comunista è fortissimo e gli uomini forti non hanno bisogno di ricorrere alla violenza.
Svolgendo la mia interrogazione ho bisogno di dichiarare se sono o non sono sodisfatto.
Modesto uomo politico, io so che la Democrazia cristiana va a marce forzate verso destra, ed io, per la mia educazione, non posso certamente seguirla; appartengo agli uomini liberi che non possono essere tacciati di fascismo, perché una ingiusta tragedia ha tormentato la mia famiglia e la mia vita per venticinque anni.
Ora, colleghi, io ho parlato non per fare una discussione e tanto meno per incolpare questo o quello dell’avvenuta aggressione in danno di un milite della nostra idea, ma soltanto per dire che so quanto sono dannose al nostro Paese queste forme di violenza cieca ed irragionevole.
Sono stato per lungo tempo a capo della Amministrazione di Bologna, che ha tradizioni democratiche: in quella città prima di due guerre e del fascismo tutti potevano liberamente discutere ed ogni partito era tollerante. Mi auguro che la tolleranza presieda a tutti noi e che noi, militi di un’idea dobbiamo combattere senza ode con fervore, vantandoci soprattutto, oltre che di essere socialisti, di essere italiani! L’Italia può essere difesa soltanto con la difesa della Repubblica e della democrazia! (Applausi al centro sinistra).
PRESIDENTE. È così terminato lo svolgimento delle interrogazioni.
Interrogazioni con richiesta di urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Ministro dell’interno, per sapere quali provvedimenti intenda adottare per colpire i responsabili delle violenze e devastazioni consumate a Napoli in danno delle sedi provinciale e comunali del Partito nazionale monarchico.
«E per conoscere, inoltre, quali provvedimenti intende adottare nei confronti delle autorità preposte all’ordine pubblico a Napoli, le quali, con odiosa evidenza, mentre hanno provveduto a difendere le sedi di alcuni partiti, hanno lasciato impunemente devastare e incendiare le sedi del Partito nazionale monarchico.
«Covelli».
«Al Ministro dell’interno, per avere conferma di informazioni ricevute dall’interrogante sugli incidenti di Napoli.
«Sereni».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere se anche a Napoli sono state disposte tutte le provvidenze opportune per evitare il ripetersi di sommosse, incidenti ed abusi, che hanno culminato nel saccheggio, da parte di facinorosi, della sede provinciale dell’Uomo Qualunque.
«E per conoscere, inoltre, se è vero che la sede napoletana della Democrazia Cristiana è stata, durante l’agitazione, guardata e protetta dalla forza pubblica, provvidenza che si è trascurata per le sedi degli altri partiti.
«Rodinò Mario».
«Al Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti siano stati adottati a seguito delle invasioni e devastazioni delle sedi dei partiti democratici a Napoli nei confronti degli esecutori materiali e dei mandanti.
«Puoti, De Falco».
Chiedo al Ministro dell’interno quando intende rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Onorevoli colleghi, dalle ultime informazioni pervenutemi durante la seduta risulterebbe che sono state saccheggiate le sedi di alcuni partiti in Napoli, esattamente la sede monarchica sotto la Galleria, la sede dell’Uomo qualunque al Vomero, quella del Movimento sociale italiano a Piedigrotta, la sede monarchica a Bagnoli e la sede del Movimento nazionalista in via Tasso. Inoltre sono state saccheggiate le sedi del Partito monarchico e dell’Uomo qualunque a Torre Annunziata. Sono informazioni sommarie riferitemi durante la seduta. Non sono in grado di dare altre notizie e mi riservo di rispondere alle interrogazioni appena avrò potuto avere tutte le notizie del caso assicurando che, se responsabilità vi sono state da parte delle forze dell’ordine, saranno severamente colpite.
COVELLI. Vogliamo sapere quali altri provvedimenti intende prendere!
Almeno ci dica che cosa fa per evitare ulteriori incidenti. O ci difende lei o ci difendiamo noi (Proteste a sinistra), perché se questa vuole essere una sfida la raccogliamo in pieno. (Proteste a sinistra).
PRESIDENTE. Onorevole Covelli, chieda la parola, se desidera esprimere il suo pensiero.
COVELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COVELLI. Desidero conoscere dal Ministro dell’interno – e credo che questo sia nella sua facoltà – quali provvedimenti intende (questo può dirlo anche ora) adottare perché altri incidenti non si verifichino. Perché, se fino ad oggi vi sono stati feriti e danni alle cose, domani vi potrà essere qualche cosa di più, e lo dico nell’interesse di tutti. Qui, non più tardi di quindici o venti giorni, ci si è lamentati dei mazzieri e dei monarchici autocarrati, di certi napoletani che sarebbero andati ad Avellino. Io ricordo ai signori compagni di Napoli che quelli erano di Napoli e non intendevano assolutamente essere provocati oltre, soprattutto perché si sono mantenuti sempre (e ce ne diano atto) sul piano della più assoluta democrazia. Ebbene, se le sedi del partito nazionale monarchico a Napoli e provincia devono servire di carambola, noi invitiamo il Ministro dell’interno perché provveda a tutelarle, così come sono state tutelate le sedi degli altri partiti, e agli altri diciamo che, se effettivamente mancasse l’intervento del Governo, non aspetteremo più come abbiamo aspettato fino ad oggi. Abbiamo, vivaddio, tanti monarchici a Napoli! (Commenti a sinistra).
SANSONE. C’erano: non vi sono più.
PRESIDENTE. Onorevole Covelli, lei sta svolgendo l’interrogazione, mentre aveva chiesto la parola per porre un quesito al Ministro dell’interno. Il Ministro ha dichiarato che risponderà quando sarà in grado di farlo.
SCELBA, Ministro dell’interno. Chiedo parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCELBA, Ministro dell’interno. Vorrei dire all’onorevole Covelli che, essendo stato tutto il pomeriggio all’Assemblea Costituente, non ho potuto seguire la situazione di Napoli. Appena però sono stato informato delle agitazioni che si verificavano nella città e del tentativo di assalto alle varie sedi dei partiti, ho impartito disposizioni perché affluiscano a Napoli rinforzi di pubblica sicurezza per la tutela dell’ordine pubblico e per assicurare la libertà dei cittadini.
SERENI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SERENI. La mia interrogazione chiedeva conferma di informazioni. Visto che il Ministro dell’interno non ha informazioni, e il partito comunista ha mezzi di informazioni più rapidi (Commenti al centro e a destra), potrei dire qualche cosa che può interessare l’Assemblea.
PRESIDENTE. Lei, onorevole Sereni, ha presentato una interrogazione al Ministro. Se ha delle informazioni le comunichi al Ministro, che ne terrà conto nella risposta che darà all’Assemblea. Lei non vorrà che io le faccia un trattamento diverso di quello che ho riservato all’onorevole Covelli.
RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODINÒ MARIO. Desidero chiedere all’onorevole Ministro dell’interno se, data la nostra ansia di avere notizie, e poiché non abbiamo un servizio di informazioni, come l’onorevole Sereni, ci possa assicurare di rispondere alle interrogazioni nella giornata di domani.
PRESIDENTE. L’onorevole Scelba ha facoltà di rispondere.
SCELBA, Ministro dell’interno. Se il Governo avrà notizie diverse – mi auguro che non siano tali – da quelle che sono state portate a conoscenza dell’Assemblea, risponderò domani nel pomeriggio.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
RICCIO, Segretario, legge:
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per conoscere in quali condizioni si svolge l’opera dell’Amministrazione della giustizia in provincia di Cagliari, con speciale rapporto ai fatti di Carbonia e di Guspini.
«Mastino Gesumino, Carboni Enrico, Mannironi».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere se, nella considerazione:
1°) che attualmente esistono numerose istituzioni statali e parastatali, sparse anche in vari Dicasteri, le quali trattano problemi e questioni attinenti alle relazioni e agli scambi culturali con l’Estero;
2°) che le attribuzioni di dette istituzioni, spesso fra loro concorrenti, non sono sempre chiaramente definite e che, ad ogni modo, qualcuna di esse costituisce un inutile doppione;
3°) che tale stato di cose porta necessariamente alla mancanza di direttive omogenee e al conseguente scarso rendimento anche di quelle istituzioni che sembrerebbero meglio attrezzate per affrontare i problemi che le relazioni culturali con l’Estero impongono;
4°) che in conseguenza si disperdono energie e danaro senza ottenere quella efficace ripresa delle relazioni e degli scambi culturali dell’Italia con gli altri Paesi, che nel momento attuale è più che mai necessaria ed opportuna;
non ritengano necessario ed urgente un provvedimento che riordini e unifichi i servizi suddetti, adeguandone la struttura alle necessità di questo periodo di tempo.
«Nobile».
«I sottoscritti chiedono di interrogare il Ministro dell’interno, per sapere se sia vero che la manifestazione del 4 novembre nel comune di Bacoli (Napoli) si sia mutata in una celebrazione monarchica; e se e quali provvedimenti abbia presi contro le autorità responsabili.
«Cianca, Schiavetti».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se non ritiene ingiusto che per gli alloggi dell’INCIS di nuova assegnazione si facciano pagare ad una minoranza di impiegati statali canoni di pigione esorbitanti – dalle 3000 a più di 6000 lire mensili – in confronto a quelli minimi – lire 120 a vano – mantenuti alla stragrande maggioranza degli inquilini dell’INCIS.
Il criterio che sta alla base della lamentata disparità di trattamento, che è quello di far sopportare ai nuovi inquilini i maggiori costi di costruzione delle nuove case dell’INCIS, appare assurdo al solo pensare che se venisse perpetuato porterebbe alla deprecabile conclusione che, mentre la maggioranza degli inquilini dell’INCIS continuerebbe a pagare cifre irrisorie per pigione, una minoranza (costituita, per giunta, da famiglie numerose sinistrate di guerra) arriverebbe a pagare cifre iperboliche per il sempre crescente costo di costruzione delle nuove case.
«Il contrasto diviene, poi, più evidente, se si considera che queste ultime case sono costruite e rifinite «alla meglio», sprovviste, come sono, di tutti i conforti moderni (non hanno ascensore, né vasche da bagno, né impianti di riscaldamento, impianti elettrici deficienti, ecc.), che abbondano, invece, nelle case di vecchia costruzione, le quali si trovano site in punti centrali della città e, quindi, comportano un’ulteriore economia di mezzi di trasporto.
«Appare, ora, cosa ingiusta che lo Stato, mentre tiene un criterio unico per la retribuzione dei propri dipendenti, adotti, invece, criteri di preferenza nel far pagare loro gli alloggi forniti dallo Stato stesso. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bruni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro delle finanze, per conoscere se e quali provvedimenti intende adottare in relazione alle richieste formulate dal Consiglio direttivo dell’Associazione nazionale per i Comuni italiani per la modifica dell’articolo 10 del decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 177, affinché i Comuni interessati possano stabilire proventi tributari atti a dare un notevole apporto alla finanza locale e giusta perequazione al carico fiscale con sollievo di quelle categorie produttrici che risultano già colpite in misura eccessiva e che continuano ad essere oggetto di tassazioni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Perrone Capano».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze, della marina mercantile e del lavoro e previdenza sociale, per sapere se, in vista del continuo passaggio in disarmo di motovelieri e velieri degli armatori di Gela, attrezzati per la pesca delle spugne, a causa che la pesca stessa è divenuta passiva principalmente per il dazio doganale che non dovrebbe esistere, trattandosi di merce proveniente dalla pesca e nazionalizzata, si vogliano adottare urgenti misure di sgravio onde evitare l’aumento della disoccupazione di quei lavoratori marittimi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Finocchiaro Aprile»
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere se non creda opportuno ed urgente fare affluire in larga misura nel compartimento di Reggio Calabria carri merci non solo per sopperire alle esigenze pressanti ed inderogabili della campagna agrumaria, che tanto interessa quelle zone, ma anche per consentire il trasporto di tutti gli altri generi. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Priolo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuno di riconoscere Foggia come aeroporto doganale e di istituire lo scalo di qualche linea civile nazionale ed internazionale.
«Tenga presente l’onorevole Ministro che i bombardamenti su Foggia e le conseguenti gravissime distruzioni del centro abitato, sono state causate dalla presenza degli aeroporti militari nella piana di detta città, e che gli invocati riconoscimenti sarebbero una doverosa riparazione morale dei danni subiti. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Imperiale».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 21.5.
Ordine del giorno per le sedute di domani.
Alle ore 11 e alle 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.