ASSEMBLEA COSTITUENTE
LXXIV.
SEDUTA POMERIDIANA DI LUNEDÌ 24 MARZO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
INDICE
Sul processo verbale:
Coccia
Crispo
Nenni
Pastore Raffaele
Roveda
Giolitti
Paris
Perlingieri
Bellavista
In memoria dei Caduti delle Fosse Ardeatine:
Presidente .
Per la pubblicazione di un resoconto parlamentare:
Macrelli
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
Presidente
Benvenuti
Moro
Rodinò Mario
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Malagugini Crispo Carboni
Laconi
Caroleo
Mazzei Caldera
Lucifero
Perassi Cingolani
Selvaggi
Corbino
Arata
Fanfani
Clerici Condorelli
Bellavista
Persico
Colitto
Valiani
Zagari
Bastianetto
Leone Giovanni
Cianca
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
Sul processo verbale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul processo verbale l’onorevole Coccia. Ne ha facoltà.
COCCIA. Sabato scorso 22 per un incidente automobilistico giunsi in ritardo e non potei partecipare alla votazione per appello nominale nella seduta pomeridiana. Dichiaro che se fossi stato presente avrei votato contro l’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Crispo. Ne ha facoltà.
CRISPO. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato contro l’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Nenni. Ne ha facoltà.
NENNI. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato a favore dell’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Pastore Raffaele. Ne ha facoltà.
PASTORE RAFFAELE. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato a favore dell’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Roveda. Ne ha facoltà.
ROVEDA. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato a favore dell’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Giolitti. Ne ha facoltà.
GIOLITTI. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato a favore dell’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Paris. Ne ha facoltà.
PARIS. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato a favore dell’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Perlingieri. Ne ha facoltà.
PERLINGIERI. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato contro l’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bellavista.
BELLAVISTA. Se fossi stato presente nella seduta pomeridiana di sabato avrei votato contro l’emendamento Amendola all’articolo 1.
PRESIDENTE. Non essendovi altre osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
In memoria dei Caduti delle Fosse Ardeatine.
PRESIDENTE, (Segni di viva attenzione – L’Assemblea si leva in piedi). Onorevoli colleghi, questa mattina, certo di obbedire ad un vostro tacito mandato ed avvertendo in me gli stessi sentimenti di pietà ed implacato orrore che stanno nel cuore di tutti i cittadini di Roma e d’Italia, ho fatto deporre una corona di sempreverdi alle Fosse Ardeatine, protette al loro limitare dai segni congiunti e consolatori di due diverse fedi.
Il ricordo dell’atrocità inaudita è in questi giorni esacerbato in noi dalla informazione quotidiana che ci giunge da Venezia, dove si celebra il processo contro il criminale cui risale la responsabilità prima di tanta efferatezza.
Nel ricordo reverente uniamo ai trucidati di Roma gli altri innumerevoli cui la storia ha donato minore menzione, ma contro i quali ha infierito ugualmente la bestialità del nemico e quella, ancora più raccapricciante, di gente di uguale lingua.
Ancora troppi di essi attendono che una giusta espiazione sanzioni le colpe dei loro carnefici. E con essi attende tutto il popolo italiano che è generoso nel perdono agli illusi, ai ravveduti, a quelli che non furono se non strumenti della imperiosa bestialità dei loro maggiori, ma che non può rinunciare ad una sanzione che salvi l’avvenire, contro il ripetersi del passato.
Ma oggi il solo sentimento che deve aleggiare attorno alle bare allineate senza fine nelle umide cavità delle Ardeatine è quello che i morti avvertirono nel momento terribile del loro trapasso uniti come furono in una sola sorte disperata: il sentimento, la fraternità di tutti gli uomini contro il male e per il bene comune. (Vivissimi generali applausi).
Per la pubblicazione di un resoconto parlamentare.
MACRELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Onorevoli colleghi, in un giornale, pubblicato a Roma in data di ieri, avrete letto un articolo intitolato «Presidente De Nicola, interrompete».
In quel giornale si ricorda un episodio doloroso della vita italiana, della vita parlamentare italiana, ma si ricorda in una forma non rispondente a verità.
Si dice nel giornale:
«Leggiamo sul vecchio resoconto parlamentare questo episodio che vi stralciamo.
Mussolini. – Avrei potuto fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli!
Modigliani. – Viva il Parlamento!
De Nicola, Presidente. – Onorevole Modigliani, non interrompa».
Orbene, onorevoli colleghi, 25 anni fa, in quel giorno, io ero qui, a questo mio posto, insieme con altri colleghi dei settori di estrema sinistra; ed è ancora vivo in me il ricordo di quella giornata fatale, ricordo vivo, preciso. Ho voluto controllare se questo mio ricordo era aderente alla realtà.
Quando da quel banco del Governo si alzò l’uomo fatale e nefasto, che, purtroppo, per più di venti anni ha tormentato l’anima, la vita, la storia d’Italia, del popolo italiano, e pronunziò la frase che tutti rammentano: «aula sorda e grigia», che sarebbe dovuta diventare «il bivacco» per i suoi manipoli, si levò l’onorevole Modigliani con un grido, che era l’espressione della nostra anima e della nostra protesta: «Viva il Parlamento!»; e ci alzammo tutti noi, pochi o molti non importa, a difendere, con quel grido, la tradizione italiana, la dignità del Parlamento italiano.
Il Presidente De Nicola non intervenne per reprimere l’interruzione: ho voluto controllarlo. Ecco il resoconto stenografico di quella dolorosa seduta; sono gli atti parlamentari, che fanno fede contro tutti:
«Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. (Vivi applausi a destra – Rumori – Commenti).
Modigliani. – Viva il Parlamento! Viva il Parlamento! (Rumori e apostrofi a destra – Applausi all’estrema sinistra).
Mussolini, Presidente del Consiglio dei Ministri. – … potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti».
Nessun intervento da parte del Presidente onorevole De Nicola, ripeto, per reprimere l’interruzione.
Orbene, onorevoli colleghi, io vi richiamo su questo fatto che ha un grande significato politico e morale. Gli atti parlamentari sono qui a consacrare il nostro pensiero e la nostra azione. Essi non si possono né si debbono alterare, soprattutto poi quando si adoperano frasi e commenti offensivi per colui che oggi rappresenta lo Stato, per colui che oggi rappresenta la Repubblica italiana. (Vivissimi, generali, prolungati applausi – Tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Grida di: Viva la Repubblica!).
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana. L’altro giorno, è stato approvato l’articolo primo; occorre adesso esaminare la richiesta presentata dagli onorevoli Fanfani, Tosato, Meda, Gronchi, Angelini, Balduzzi, Avanzini, Ponti, Carratelli, Taviani, Quintieri Adolfo di collocare gli articoli 6 e 7 del Progetto – salvi gli emendamenti di sostanza proposti – subito dopo l’articolo 1.
La Commissione, già interpellata, ha dichiarato di accettare la proposta. Se non vi sono opposizioni, procederemo in tal senso.
(Così rimane stabilito).
Passiamo quindi all’esame dell’articolo 6 del progetto di Costituzione:
«Per tutelare i principî inviolabili e sacri di autonomia e dignità della persona e di umanità e giustizia fra gli uomini, la Repubblica italiana garantisce i diritti essenziali agli individui ed alle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».
Sono stati presentati a questo articolo numerosi emendamenti, alcuni dei quali sono già stati svolti nel corso della discussione generale.
Così, è già stato svolto quello dell’onorevole Condorelli:
«Sopprimerlo e riaffermare nel preambolo i principî, che in esso articolo sono formulati e che peraltro animano tutte le Disposizioni generali, e particolarmente gli articoli 1 e 7».
È stato pure svolto l’emendamento presentato dagli onorevoli Basso, Targetti e Malagugini:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica garantisce i diritti essenziali dell’uomo nella sua vita individuale ed associata e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».
Il primo emendamento non ancora svolto è quello dell’onorevole Benvenuti:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce e garantisce la autonomia, la libertà e la dignità della persona umana come diritti naturali e inalienabili.
«Essa riconosce e garantisce altresì i diritti essenziali delle formazioni sociali in cui si svolge la personalità di ciascun uomo».
L’onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.
BENVENUTI. Onorevole Presidente, il contenuto del mio emendamento è stato trasfuso nell’emendamento Fanfani, dal quale viene pertanto assorbito e al quale mi associo.
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fanfani, firmato anche dagli onorevoli Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici:
«Sostituirlo col seguente, da collocarsi come articolo 2:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».
Un emendamento identico è stato presentato dagli onorevoli Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco.
MORO. Quale firmatario dell’emendamento chiedo di svolgerlo.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MORO. Basteranno, credo, poche considerazioni per dar ragione dell’emendamento proposto da noi e dai colleghi comunisti, in quanto l’emendamento di cui ora discutiamo non è di sostanza, ma essenzialmente di forma: obbedisce, cioè, a ragioni di opportunità. Non ho pertanto da svolgere considerazioni di carattere politico, ma soltanto da far presente ai colleghi quali sono le ragioni di opportunità che ci hanno indotti a presentare questo emendamento.
Nel corso della discussione generale, e già prima, nel corso della discussione in sede di Commissione, al progetto primitivo di questo articolo erano state fatte delle critiche, le quali sostanzialmente vertevano su questo punto: che si tratti di un articolo il quale contiene una finalizzazione della libertà individuale, della dignità della persona. Sembrava perciò che fosse piuttosto un’indicazione di carattere politico, umanistico, da trasferire in un preambolo, anziché un preciso articolo di Costituzione a contenuto giuridico. Da un altro punto di vista si era osservato che le formazioni sociali di cui si parla in questo articolo come titolari di diritti che la Repubblica italiana riconosce e garantisce non sono facilmente individuabili. Si chiedeva perciò che vi fosse una precisazione su questo punto.
Mossi da queste preoccupazioni, abbiamo cercato di sfrondare e semplificare l’articolo, eliminando anzitutto quella indicazione finalistica che è al principio della formula del progetto di Costituzione, là dove è detto: «Per tutelare i principî inviolabili e sacri di autonomia e dignità della persona e di umanità e giustizia fra gli uomini». Abbiamo riconosciuto che effettivamente queste espressioni possono apparire ridondanti e non confacenti alla natura stringata di un articolo di legge costituzionale.
D’altra parte la finalizzazione contro la quale si sono rivolte, entro certi limiti, giustamente, le critiche dell’onorevole Lucifero da una parte, e dall’onorevole Basso dall’altra, non è veramente essenziale, e può considerarsi implicita in una retta interpretazione dell’articolo così come esso viene formulato.
Un po’ più importante è l’altro emendamento da noi proposto: invece di parlare, come nella primitiva formulazione, di diritti essenziali e degli individui e delle formazioni sociali, noi diciamo attualmente che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Abbiamo obbedito a due diverse esigenze: da un lato, come si notava, si trattava di dare una migliore specificazione ed individuazione di queste formazioni sociali, alle quali vogliamo vedere riconosciuti i diritti essenziali di libertà. E le individuiamo e specifichiamo in questo modo, presentandole come quelle nelle quali si esprime e si svolge la dignità e la libertà dell’uomo. Facendo riferimento all’uomo come titolare di un diritto che trova una sua espressione nella formazione sociale, noi possiamo chiarire nettamente il carattere umanistico, che essenzialmente spetta alle formazioni sociali che noi vogliamo vedere garantite in questo articolo della Costituzione.
E da un altro punto di vista, il parlare in questo caso di diritti dell’uomo, sia come singolo, e sia nelle formazioni sociali, mette in chiaro che la tutela accordata a queste formazioni è niente altro che una ulteriore esplicazione, uno svolgimento dei diritti di autonomia, di dignità e di libertà che sono stati riconosciuti e garantiti in questo articolo costituzionale all’uomo come tale. Si mette in rilievo cioè la fonte della dignità, dell’autonomia e della libertà di queste formazioni sociali, le quali sono espressioni della libertà umana, espressione dei diritti essenziali dell’uomo, e come tali debbono essere valutate e riconosciute.
In questo modo noi poniamo un coerente svolgimento democratico; poiché lo Stato assicura veramente la sua democraticità, ponendo a base del suo ordinamento il rispetto dell’uomo guardato nella molteplicità delle sue espressioni, l’uomo che non è soltanto singolo, che non è soltanto individuo, ma che è società nelle sue varie forme, società che non si esaurisce nello Stato. La libertà dell’uomo è pienamente garantita, se l’uomo è libero di formare degli aggregati sociali e di svilupparsi in essi. Lo Stato veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato, che sarebbe in realtà una astrazione, ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale.
Con questi chiarimenti e con queste correzioni di forma, che potranno non essere perfette (neppure noi siamo assolutamente soddisfatti della formulazione), ma che sono le migliori che noi abbiamo saputo trovare per esprimere questo concetto essenziale, mi pare che questo articolo della Costituzione assuma una forma stringata e più propria, una forma più giuridica e che in conseguenza debbano ritenersi meno fondate le obiezioni che da varî colleghi sono state sollevate, e tendenti ad escludere questo articolo, nel suo complesso, dalla Carta costituzionale. Così posto, esso ha un netto significato giuridico e contribuisce a definire un aspetto essenziale dei fini caratteristici, del volto storico dello Stato italiano.
Ed io mi auguro che verso la formula che noi abbiamo elaborato si rivolgano le simpatie della maggior parte dei colleghi, tanto che questo articolo – il quale esprime una posizione fondamentale nella costruzione del nuovo Stato italiano – possa raccogliere la quasi unanimità dei consensi, perché esso, anche attraverso questa larga votazione, si manifesti come una pietra fondamentale del nuovo edificio politico costituzionale che noi stiamo elevando. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. All’articolo 6 è stato presentato un emendamento da parte dell’onorevole Russo Perez:
«Sopprimere le parole: umanità e».
Poiché l’onorevole Russo Perez non è presente, si intende che l’emendamento è decaduto.
Segue l’emendamento dell’onorevole Nobili Oro:
«Trasferire gli articoli 6 e 7 alla Parte Prima, sotto un Titolo I da dedicare ai «Diritti della personalità umana», salvo ad assegnarli, poi, definitivamente al ventilato Preambolo».
Poiché l’onorevole Nobili Oro non è presente, s’intende che l’emendamento è decaduto.
Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Condorelli all’articolo 6:
«Sopprimerlo e riaffermare nel preambolo i principî, che in esso articolo sono formulati e che peraltro animano tutte le Disposizioni generali, e particolarmente gli articoli 1 e 7».
(Non è approvato).
È stato presentato dagli onorevoli Rodinò Mario, Selvaggi ed altri, il seguente emendamento:
«Sostituire l’articolo 6 con il seguente:
«Lo Stato riconosce e garantisce l’autonomia, la libertà e la dignità della persona umana come diritti inviolabili ed inalienabili».
L’onorevole Rodinò Mario ha facoltà di svolgerlo.
RODINÒ MARIO. Noi aderiamo all’emendamento presentato dall’onorevole Fanfani e da altri colleghi, svolto dall’onorevole Moro.
Vorremmo semplicemente chiedere, se è possibile sostituire alla parola «uomo», la parola «cittadino». In tal modo la dizione sarebbe la seguente:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del cittadino, sia come uomo, sia come componente delle formazioni sociali ecc.».
PRESIDENTE. L’onorevole Moro ha facoltà di rispondere.
MORO. Ringrazio l’onorevole Rodinò della sua adesione al nostro emendamento. Ma non credo che si potrebbe – senza svisare in larga parte il significato dell’articolo – sostituire alla parola «uomo» la parola «cittadino». È vero che consideriamo l’uomo anche nelle sue manifestazioni di appartenenza alla società politica, ma l’intento specifico è quello di mettere in luce la complessa natura dell’uomo, la quale trova espressione nobilissima nelle manifestazioni politiche del cittadino, ma non si esaurisce in esse.
Quindi pregherei l’onorevole Rodinò, in considerazione di quanto esposto, di voler aderire all’emendamento così come è stato formulato.
RODINÒ MARIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RODINÒ MARIO. Desidero chiarire che noi non vogliamo sopprimere né il concetto, né la parola «uomo». La nostra proposta è di dire: «garantisce i diritti inviolabili del cittadino, sia come uomo, sia come componente delle formazioni sociali». (Commenti).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il compito mio, come presidente e relatore della Commissione, è semplice, perché ormai si è realizzata una unanimità che non è un compromesso. È generalmente riconosciuta l’opportunità di convogliare nel testo di questo articolo i due emendamenti, anzi lo stesso emendamento Fanfani ed Amendola.
Le ragioni sono chiare; e le ha esposte l’onorevole Moro: si ottiene uno snellimento e la liberazione da una certa finalizzazione che poteva apparire ridondante. Tutto ciò a vantaggio della semplicità dell’articolo.
Debbo pure convenire con la tesi dell’onorevole Moro che per la dichiarazione dei diritti individuali «uomo» è termine più ampio che «cittadino». Ed è l’espressione specifica e primigenia in questa materia; e molto meglio aderisce all’idea fondamentale che la persona umana ha diritti i quali trascendono la stessa Costituzione.
Alla formulazione «diritti dell’uomo e delle forme sociali» è poi preferibile l’altra dell’uomo «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali», perché mette in luce che il fondamento è sempre la personalità umana, anche se si traduce in diritti delle formazioni sociali.
Vorrei aggiungere un rilievo che era certamente nel pensiero stesso dei proponenti, i quali hanno aderito alla mia tenace insistenza perché in questo articolo si mettano insieme come lati inscindibili, come due aspetti dei quali uno non si può sceverare dall’altro, i diritti e i doveri. Concetto tipicamente mazziniano, che si era già affacciato nella Rivoluzione francese, ed ormai è accolto da tutti, è ormai assiomatico. Il segreto dell’articolo è qui. Nello stesso tempo che si riconoscono i diritti inviolabili della personalità umana, si ricorda che vi sono dei doveri altrettanto imprescindibili dei quali lo Stato richiede l’adempimento. Non credo che questo saldo abbinamento troverà difficoltà fra voi.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Rodino Mario se, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Moro e dell’onorevole Presidente della Commissione, insiste ancora nel suo emendamento.
RODINÒ MARIO. Non insistiamo e aderiamo senz’altro all’emendamento Moro.
PRESIDENTE. Gli onorevoli Basso, Targetti e Malagugini hanno proposto di sostituire l’articolo 6 col seguente:
«La Repubblica garantisce i diritti essenziali dell’uomo nella sua vita individuale ed associata e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Malagugini. Ne ha facoltà.
MALAGUGINI. Noi constatiamo, con soddisfazione, come i concetti fondamentali esposti nel nostro emendamento siano stati fatti propri dai colleghi Fanfani ed altri della Democrazia cristiana, da Amendola ed altri del Partito comunista. Infatti tra le due formule divergenze sostanziali non ve ne sono.
Alla nostra dizione «la Repubblica garantisce», Fanfani e Amendola aggiungono – e non abbiamo difficoltà ad accettare, benché l’aggiunta ci sembri superflua – un «riconosce» per cui la frase diventa «la Repubblica riconosce e garantisce».
Noi diciamo «i diritti essenziali»; gli altri dicono «inviolabili». Si potrebbe discutere sulla maggiore o minore opportunità dell’una o dell’altra formula, ma non è il caso.
Noi usiamo l’espressione «dell’uomo nella sua vita individuale ed associata»; gli altri dicono più verbosamente «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità».
Tutto il resto dell’articolo, e precisamente la seconda parte: «e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale», è contenuto in tutti e tre gli emendamenti.
Per queste ragioni, cioè per non sottilizzare nelle parole, a nome del Gruppo socialista, non ho difficoltà di ritirare l’emendamento presentato. (Rumori – Commenti a sinistra). Ho già detto in precedenza che, per la sua maggiore concisione e specialmente per quell’aggettivo «inviolabili», anziché «essenziali», mi parrebbe preferibile la nostra formulazione…
Una voce. E allora?
MALAGUGINI. E allora, poiché vedo l’accoglienza che alcuni colleghi di questo settore hanno riservato alla mia proposta di ritiro, dettata dal proposito di guardare alla sostanza più che alla forma e dal desiderio di non perder tempo, io sarei ben lieto se la votazione potrà avvenire sull’emendamento da noi presentato, anziché su quello proposto dagli altri colleghi. (Commenti).
PRESIDENTE. Ella, dunque, insiste nel suo emendamento?
MALAGUGINI. Non insisto.
CRISPO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE, Ne ha facoltà.
CRISPO. Desidero dichiarare che se fosse ritirato questo emendamento, lo farei mio.
PRESIDENTE. L’emendamento a firma Basso, Targetti, Malagugini è stato ritirato. L’onorevole Crispo dichiara di farlo suo; esso resta quindi valido.
CRISPO. Vorrei dire la ragione per la quale a me sembra preferibile l’ordine del giorno Basso-Targetti a quello Fanfani.
PRESIDENTE. Sta bene, ma brevemente, poiché l’emendamento è già stato svolto.
CRISPO. Vorrei innanzi tutto rilevare che mi sembra inutile il verbo «riconoscere» quando si adopera, come nel caso in esame, il verbo «garantire». «Garantire» suppone un riconoscimento, ed è, dunque, più di un riconoscimento.
Vorrei inoltre rilevare che l’aggettivo «essenziali» risponde meglio al concetto che si voleva esprimere, perché resterebbe a domandarsi quali siano i diritti inviolabili. Tutti i diritti possono essere inviolabili. Qui si vuole precisare la natura fondamentale dei diritti che sono garantiti dalla Costituzione, ma non sono costituiti dalla Costituzione, che sono, cioè, precedenti alla Costituzione; quindi «essenziali» è l’aggettivo che, meglio rispondendo al concetto che si vuole esprimere, dovrebbe essere sostituito dall’altro «inviolabili».
Terza osservazione: quando si dice «nella sua vita individuale ed associata» si adopera un’espressione che risponde esattamente al concetto espresso dall’onorevole Fanfani, senza adoperarsi l’espressione «individui e formazioni sociali». Non solo nella forma, ma anche nel concetto, l’emendamento Basso-Targetti-Malagugini risponde meglio a quello che si voleva esprimere con l’emendamento Fanfani.
PRESIDENTE. Debbo ora porre in votazione l’emendamento Basso-Targetti-Malagugini fatto proprio dall’onorevole Crispo.
CARBONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARBONI. Sostanzialmente i due emendamenti esprimono lo stesso concetto. La differenza è, più che altro, una differenza di forma, di stile. L’emendamento Basso è più conciso, più aderente a quella che deve essere la forma delle disposizioni di una Costituzione; e quindi dichiaro che il gruppo che rappresento voterà a favore di esso.
LACONI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACONI. Devo dichiarare a nome del mio gruppo che noi, per quanto ci rendiamo perfettamente conto delle ragioni che hanno motivato la presentazione dell’emendamento, prima Basso-Targetti-Malagugini ed ora Crispo, non possiamo aderirvi per le seguenti ragioni: perché riteniamo che l’articolo 6, come è attualmente concepito, costituisca una sorta di introduzione a quei diritti civili, politici, etici e sociali che vengono subito dopo enunciati nella prima parte del progetto di Costituzione; e riteniamo che nella forma che ha l’emendamento Fanfani-Amendola, siano meglio espressi quei principî di solidarietà politica, sociale ed economica i quali hanno nella Parte Prima della Costituzione un loro appropriato svolgimento. Per queste ragioni noi voteremo per l’emendamento Fanfani-Amendola.
CAROLEO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAROLEO. Trovo esatte le spiegazioni date dall’onorevole Crispo e quindi voterò il suo emendamento.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Basso-Targetti-Malagugini fatto proprio dall’onorevole Crispo.
(Non è approvato).
Vi è ora una proposta dell’onorevole Mazzei per modificare l’emendamento Fanfani nel senso che alla espressione: «sia nelle formazioni sociali» si sostituisce l’altra: «sia come appartenente alle formazioni sociali».
Domando all’onorevole Mazzei se intende svolgere questo suo emendamento.
MAZZEI. Il gruppo repubblicano aderisce all’emendamento proposto dagli onorevoli Fanfani ed altri. Aderisce per le considerazioni fatte dal Presidente della Commissione per la Costituzione, quando ha detto che, in fondo, è un concetto mazziniano che si afferma. Ed aderisce anche per un altro motivo e cioè che nel principio affermato nell’articolo 6 è implicita una concezione dello Stato che poggia sui diritti individuali, essenziali dell’uomo, che vengono poi riconosciuti dallo Stato; vale a dire i diritti di libertà sono anteposti alla stessa formazione statale, come esigenza inderogabile di qualsiasi stato civile. Aderiamo, dunque, ma ci limitiamo a raccomandare che sia evitato quello… svarione (Interruzioni al centro), correggendo l’espressione secondo la formula da me proposta.
PRESIDENTE. Chiedo ai proponenti dell’emendamento, che ora dobbiamo porre in votazione, se accettano la proposta di mutazione di forma dell’onorevole Mazzei e di altri numerosi colleghi.
CALDERA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALDERA. L’emendamento Basso ormai è caduto e, perciò, probabilmente rimarrà l’emendamento Fanfani. Qualora fosse approvato questo emendamento, proporrei che, per rispetto alla lingua ed al linguaggio legale, fosse tolta la parola «riconosce» e alla parola «formazioni» si sostituisse: «associazioni». La parola «formazioni» non risponde alle esigenze concettuali della vita sociale e nel linguaggio moderno ha un significato anche militare. Meglio, dunque, risponde la parola «associazioni».
PRESIDENTE. Mi pare che queste non siano modificazioni di forma, ma di sostanza. Ad ogni modo chiedo all’onorevole Moro ed agli altri proponenti se accettano queste modificazioni, nonché quella presentata dall’onorevole Mazzei.
MORO. Ringrazio i colleghi della loro collaborazione. Mi pare difficile in questo momento introdurre le modificazioni proposte, innanzitutto perché non sono convinto che esse incidano soltanto sulla forma. Mi pare che resti compromessa qualche sfumatura che noi proponenti abbiamo attentamente meditato, non solo in questa sede, ma nel corso di lunghi mesi di discussione in sede di Commissione.
Non posso accettare quindi le proposte, perché penso che non siano soltanto formali. Nelle intenzioni dei proponenti sono certo soltanto formali, ma a me pare che tocchino in qualche modo, sia pure in sfumature, il senso dell’articolo. Se si tratta, del resto, soltanto di questione di forma – e può darsi che io mi sbagli ora in questa valutazione affrettata – credo che si possano accettare queste proposte come raccomandazione per la stesura che ne farà successivamente il Comitato di redazione. Quindi accettiamo soltanto a titolo di raccomandazione.
PRESIDENTE. L’onorevole Mazzei insiste nella sua proposta?
MAZZEI. Non capisco come l’onorevole Moro, mio carissimo amico e valente giurista (Commenti), non si accorga che non c’è alcuna variazione di contenuto nella mia proposta.
Raccomando, in ogni caso, che ne sia tenuto conto, perché noi dobbiamo votare formule precise che non diano adito alla stampa quotidiana di affermare che ignoriamo la sintassi.
PRESIDENTE. L’onorevole Caldera insiste nella sua proposta?
CALDERA. Insisto.
PRESIDENTE. Essendo stata la proposta Mazzei trasformata in semplice raccomandazione, pongo ai voti le variazioni all’emendamento Fanfani-Amendola e altri, proposte dall’onorevole Caldera.
(Non sono approvate).
Devo ora porre in votazione la formulazione dell’articolo 6 proposta dagli onorevoli Fanfani-Amendola e altri, che dovrà diventare articolo 2 del testo definitivo:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale».
LUCIFERO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Ho chiesto di parlare soltanto per chiarire il mio pensiero. Io voterò a favore dell’articolo così come viene proposto. Ma ho sentito fare delle raccomandazioni, e concordo con l’onorevole Moro nel vedere nelle variazioni di forma proposte anche delle variazioni di sostanza. Tengo a chiarire che io penso che, quale che possa essere la elaborazione formale che il progetto definitivo dovrà subire, sostanzialmente quelle che sono le sue affermazioni non devono comunque poter essere mutate.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo sostitutivo testé letto.
(È approvato – Vivi applausi).
L’onorevole Perassi ha presentato la seguente proposta, che bisognerebbe ora esaminare:
«Trasferire fra le Disposizioni generali, dopo l’articolo 6, l’articolo 106, che, enunciando i principî di autonomia locale e di decentramento, concorre a delineare la struttura della Repubblica».
L’onorevole Perassi ha facoltà di illustrare la sua proposta.
PERASSI. Il senso e la portata della mia proposta sono già stati sostanzialmente indicati dall’onorevole Grassi in una precedente seduta.
In queste disposizioni generali, secondo un’espressione molto felice del Presidente della Commissione, si vuole definire il volto della Repubblica in tutti i suoi aspetti.
Alcuni di questi aspetti sono indicati negli articoli 1, 2 e 3 che stiamo esaminando. Ma vi è un altro aspetto ed è quello concernente il modo di essere della Repubblica, per quanto riguarda la sua articolazione.
La mia proposta, in questo momento, ha semplicemente il senso, vorrei dire, di una prenotazione di posto; cioè, quando noi avremo esaminato l’articolo 106, che enuncia i principî di autonomia e di decentramento, converrà, a mio avviso, che quell’articolo, come risulterà approvato, in quanto definisce uno degli aspetti della Repubblica, sia passato alle «Disposizioni generali».
PRESIDENTE. Do atto all’onorevole Perassi della riserva di ripresentare la sua proposta, dopo che sarà stato discusso l’articolo 106. Si passa ora all’esame dell’articolo 7, che diverrà articolo 3:
«I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche, sono eguali di fronte alla legge.
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana».
Su questo articolo sono stati presentati alcuni emendamenti. Gli onorevoli Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici, hanno proposto di sostituirlo col seguente, da collocarsi come articolo 3:
«I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di religione e di opinioni politiche, hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge.
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale dell’Italia».
Una formula identica hanno proposto gli onorevoli Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco.
Ha chiesto di illustrare il testo proposto l’onorevole Laconi. Ne ha facoltà.
LACONI. Come l’onorevole Moro ha rilevato poco fa per l’emendamento proposto all’articolo 6, così io rilevo che l’emendamento da noi proposto all’articolo 7 non incide in questioni di sostanza.
La prima modificazione che proponiamo è la sostituzione della parola «religione» alle parole «opinioni religiose»; ritengo che, trattandosi d’una questione puramente formale, ogni motivazione sarebbe superflua.
Le modificazioni più importanti che noi proponiamo sono tre: la prima consiste nell’aggiunta del principio di una «pari dignità sociale», che andrebbe unito all’«eguaglianza di fronte alla legge». Noi pensiamo, infatti, che sia conveniente che non vada perduto nella formulazione ultima di questo articolo quel concetto che era stato introdotto dalla prima Sottocommissione, allorché l’aveva per la prima volta formulato, nella sua preliminare stesura.
Si era allora proposto che, oltre all’«eguaglianza di fronte alla legge» si stabilisse doversi a tutti i cittadini uguale trattamento sociale.
Noi riteniamo che questo concetto debba essere mantenuto e, se anche la dizione «trattamento sociale» può o potrebbe prestarsi ad equivoci o risultare poco chiara, pensiamo che debba risaltare almeno il suo contenuto essenziale: il fatto, cioè, che ad ogni cittadino compete nell’ordinamento sociale italiano una pari dignità sociale, qualunque sia la sua condizione e l’attività che svolge.
Si potrebbe osservare che questa «parità» di dignità sociale può essere in qualche modo compresa nella «eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
In realtà non è così e lo dimostra il fatto che, anche in altri punti del progetto di Costituzione, la Commissione dei 75 ha ravvisato la necessità di prevedere il trattamento dovuto ai cittadini, come dove si parla del trattamento ai detenuti, stabilendo che sia a tutti dovuto un trattamento inspirato a criteri di umanità. Evidentemente non si ritiene che il principio di pura e semplice eguaglianza di fronte alla legge valga anche ad eliminare tutte le differenze di trattamento che corrispondono alla condizione del cittadino e al posto che egli occupa nella scala sociale.
Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che la pari dignità sociale debba essere introdotta accanto all’eguaglianza di fronte alla legge.
Altra modificazione è quella che riguarda l’introduzione delle parole «di fatto», subito prima di «libertà ed uguaglianza». Ma in realtà non si tratta di una vera e propria modificazione perché, per espresso riconoscimento del Presidente della Commissione dei 75, tale omissione non è stata che un errore manuale. Noi pertanto desideriamo correggere questo errore, ristabilendo la formulazione precisa già proposta dalla Sottocommissione ed approvata dalla Commissione dei 75.
Teniamo comunque a precisare che l’introduzione di queste parole conferisce a tutto l’articolo un più particolare e più pregnante significato, in quanto i limiti che sono posti oggi alla libertà e all’eguaglianza dei cittadini non sono limiti di ordine formale – e ciò risulta da tutto il testo della Costituzione che noi andiamo in questo momento elaborando – ma sono appunto limiti di fatto che la Repubblica si impegna a superare, attraverso lo svolgimento di una particolare politica sociale e attraverso l’attuazione di quegli stessi principî che noi avremo introdotto nella Costituzione.
Ultima modificazione di qualche rilievo che noi proponiamo è quella che comporta lo spostamento del principio di un’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica dell’Italia, dall’articolo primo, dov’era inserito, a questo terzo articolo. Noi abbiamo già motivato questo spostamento allorché si trattava di omettere questa particolare formulazione nell’articolo primo; ma non è forse inutile precisare qui il valore che ha per noi tale spostamento. Invece che ammettere questa effettiva partecipazione come una realtà di fatto, come una conquista già raggiunta, noi riteniamo che essa debba risultare qui attraverso un’argomentazione e che debba essere posta tra quei compiti della Repubblica che, pur non corrispondendo a situazioni attuali o immediatamente realizzabili, sono però nelle prospettive della sua azione politica, di tutto un rinnovamento istituzionale e politico della vita sociale ed economica del nostro Paese.
Per tutte queste ragioni noi presentiamo questo emendamento così formulato. La sua collocazione nell’articolo 3 tende a porlo in un particolare rilievo e ad affermare, tra i principî fondamentali della democrazia italiana, quello che la Repubblica indirizza tutta la sua azione politica verso l’attuazione di quei diritti di libertà e di eguaglianza che furono affermati nel secolo scorso, ma non poterono, per le perduranti disuguaglianze sociali trovare una piena ed effettiva attuazione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Cingolani, per svolgere il seguente emendamento:
«Al primo comma, sostituire alla parola: razza, la parola: stirpe».
CINGOLANI. Mantengo il mio emendamento, onorevoli colleghi, unicamente per un atto di doverosa cortesia verso le comunità israelitiche italiane, che hanno fatto conoscere a parecchi di noi – avrete quasi tutti ricevuto le circolari – che sarebbe loro desiderio che alla parola «razza» sia sostituita la parola «stirpe». Essendo gli israeliti italiani stati vittime della campagna razzista fatta dal nazi-fascismo, a me sembra che accogliere il loro desiderio corrisponda anche ad un riconoscimento della loro ripresa di una perfetta posizione di uguaglianza fra tutti i cittadini italiani. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Benvenuti, per svolgere il seguente emendamento:
«Dopo il primo comma, aggiungere:
«Essi devono adempiere al dovere della solidarietà politica, economica e sociale».
BENVENUTI. Non ho nulla da aggiungere, perché il concetto è già stato espresso nell’articolo 6. Ritiro pertanto l’emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Russo Perez ha proposto di sopprimere il secondo comma dell’articolo 6.
Non essendo presente, l’emendamento si intende decaduto.
L’onorevole Condorelli ha già svolto il seguente emendamento:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«È compito della Repubblica integrare l’attività degli individui, diretta a superare gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza e impediscono il completo sviluppo della persona umana».
Ha facoltà di parlare l’onorevole Malagugini, per svolgere il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Dugoni, Targetti, De Michelis:
«Al secondo comma, dopo la parola: limitano, aggiungere le parole: di fatto».
MALAGUGINI. Il mio emendamento si limitava semplicemente ad aggiungere al testo della Commissione le parole «di fatto» che, come abbiamo appreso dal collega Laconi – con riferimento a precedenti dichiarazioni del Presidente Ruini – erano state omesse solo per una svista nella redazione del testo definitivo. Ritiro pertanto l’emendamento.
Debbo però aggiungere che noi accettiamo anche l’ultima parte della formulazione dell’articolo 7 proposta dagli onorevoli Fanfani, ecc.; e precisamente le parole: «…e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale dell’Italia».
Quest’ultima parte, riferendosi all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori, ecc., è un inciso che, se ben ricordo, il compagno e collega Basso avrebbe voluto fosse incluso nel primo articolo, e che ha poi accettato dovesse trovar posto nell’attuale articolo 7.
Con questi chiarimenti noi voteremo l’articolo così emendato e completato.
PRESIDENTE. Chiedo all’onorevole Laconi se accetta la modifica proposta dall’onorevole Cingolani.
LACONI. Noi non possiamo accettare questa proposta, che è già stata presa in esame da tutti coloro che hanno presentato l’emendamento, sia da parte democristiana che da parte nostra. Non possiamo accettarla, perché in questa parte dell’articolo vi è un preciso riferimento a qualche cosa che è realmente accaduto in Italia, al fatto cioè che determinati principî razziali sono stati impiegati come strumento di politica ed hanno fornito un criterio di discriminazione degli italiani, in differenti categorie di reprobi e di eletti.
Per questa ragione, e cioè per il fatto che questo richiamo alla razza costituisce un richiamo ad un fatto storico realmente avvenuto e che noi vogliamo condannare, oggi in Italia, riteniamo che la parola «razza» debba essere mantenuta. Ciò non significa che essa debba avere alcun significato spregiativo per coloro che fanno parte di razze differenti da quella italiana. Basta aprire un qualsiasi testo di geografia per trovare che gli uomini si dividono in quattro o cinque razze: e questa suddivisione non ha mai comportato, per se stessa, alcun significato spregiativo. Il fatto che si mantenga questo termine per negare il concetto che vi è legato, e affermare l’eguaglianza assoluta di tutti i cittadini, mi pare sia positivo e non negativo.
PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituire al secondo comma il seguente.
«Lo Stato favorisce le provvidenze atte ad assicurare lo sviluppo della persona umana».
L’onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dall’onorevole Lucifero ed altri:
«Sostituire il secondo comma col seguente.
«È compito dello Stato rendere possibile il completo sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione economica e sociale della Nazione».
Chiedo all’onorevole Selvaggi se mantiene il suo emendamento.
SELVAGGI. Ritiro il mio emendamento ed accolgo l’emendamento presentato dall’onorevole Corbino.
PRESIDENTE. L’onorevole Corbino ha facoltà di svolgere il suo emendamento.
CORBINO. Ho presentato un emendamento al secondo comma di questo articolo, perché questa Repubblica che rimuove gli ostacoli è una cosa che non riesco a vedere. Io penso che sia dovere dello Stato quello di facilitare lo sviluppo della persona umana, e questo noi dobbiamo ora affermare nella Costituzione; ma, rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che cosa significa? Potrebbe significare eventualmente togliere qualsiasi garanzia di ordine giuridico, economico e sociale, togliere allo Stato la sua natura di Stato. Se l’obiettivo che noi vogliamo raggiungere è quello dello sviluppo della personalità umana, affermiamolo dicendo che lo Stato assume il compito di fare sviluppare al massimo la personalità umana.
Nella seconda parte del mio emendamento parlo di partecipazione effettiva dei cittadini, non più riferita all’organizzazione politica, perché la partecipazione dei cittadini alla organizzazione politica è garantita dal primo comma dell’articolo 7, che assicura l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Siccome su questo punto, in sede di discussione generale, tutti gli oratori hanno avuto occasione di esprimere il loro pensiero, credo che anche il mio, espresso in così breve spazio e con così limitato numero di parole, possa essere capito per quello che è, e cioè non come desiderio di non volere, sia come gruppo, sia come organizzazione politica, accettare a che si diano i mezzi che lo Stato dovrà approntare per lo sviluppo della personalità umana, ma soltanto identificare questo fine dell’attività dello Stato con qualche cosa che sia meno materializzato di questo «rimuovere gli ostacoli» che potrebbe dare l’idea di una squadra di operai intenti a levare dei massi, a togliere dalla strada qualche cosa per far passare l’uomo, quell’uomo al quale noi, con il primo comma dell’articolo, garantiamo tutti i diritti di fronte alla legge.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Arata. Ne ha facoltà.
ARATA. Vorrei pregare i presentatori dell’emendamento a firma Laconi se, almeno a titolo di raccomandazione, possono accettare che alla espressione «è compito della Repubblica» sia sostituita l’altra «è compito dello Stato», e ciò perché la Repubblica non è che una forma dello Stato. (Commenti).
PRESIDENTE. Onorevole Laconi, accetta questa modifica?
LACONI. Anche a nome degli altri proponenti, dichiaro di non poter accogliere la raccomandazione dell’onorevole Arata, perché la Repubblica è la forma in cui si estrinseca, giuridicamente, lo Stato.
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di esprimere il suo avviso sugli emendamenti mantenuti.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non ha nulla da opporre agli emendamenti qui presentati, identici, dell’onorevole Fanfani e dell’onorevole Amendola.
Sugli elementi nuovi che questi emendamenti apportano, osserva soltanto: il Comitato di redazione non aveva accolto la tesi di stabilire l’eguaglianza di «trattamento sociale» perché era espressione non definita, che si poteva prestare ad equivoci. Di fronte alla nuova proposta di «dignità sociale» vengono meno, se non tutte, molte dubbiezze, e non vi è ragione di opporsi. Quando si toccano certe note, come questa della dignità umana, bisogna inchinarsi.
Il Comitato aveva omesso le parole «di fatto» perché, come era stato rilevato anche da qualche comunista, non vi era dubbio che, essendosi prima sancito l’eguaglianza di diritto, qui si trattava di eguaglianza di fatto. Però anche qui, di fronte ad un dubbio espresso, si accetta la proposta di modificazione.
Vengo ora alla trasposizione al nuovo articolo 6 della disposizione sulla «rimozione degli ostacoli». Questa proposta è stata virtualmente decisa a proposito dell’articolo primo, quando abbiamo stabilito di non collocare là questa affermazione, ma di collocarla in fondo alla delineazione dei caratteri fondamentali della Repubblica.
Mentre l’onorevole Russo Perez vorrebbe eliminare la disposizione, l’onorevole Condorelli preferisce limitare il compito della Repubblica ad «integrare le attività individuali dirette ad attuare, ecc.». Con ciò si negherebbe ogni attività diretta dello Stato; il che non sembra ammissibile.
Né vi concorda l’onorevole Corbino che propone di togliere l’espressione «rimuovere gli ostacoli» per mettere invece «rendere possibile»; dove si può vedere una estensione più che una limitazione, di eventuali attività dello Stato. L’onorevole Corbino non ama, e trova quasi inconcepibile, l’espressione «rimuovere gli ostacoli». Ma la sua antipatia è forse esagerata: anche un liberista, quale egli è, dice e sostiene che si debbono rimuovere gli ostacoli alla libera concorrenza. La frase dunque non è senz’altro eretica. Io riconosco lo spirito che anima la proposta dell’onorevole Corbino; e l’espressione è forse più lata di ciò che egli intenda. Ma osservo che nella proposta Fanfani-Amendola il testo forma ormai un tutto organico, ed ha un valore che verrebbe alterato con altri ritocchi.
Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Arata di sostituire «Stato» a «Repubblica» la Commissione unanime ha ritenuto di designare con l’espressione «Repubblica» l’insieme di tutte le attività e funzioni sia dello Stato come tale, sia delle Regioni e degli altri enti pubblici. Non vi è stata soltanto l’opportunità di accentuare il nuovo carattere repubblicano dello Stato, ma vi è stata altresì una esigenza di precisione tecnica che l’onorevole Arata vorrà riconoscere.
Un’ultima risposta io debbo all’onorevole Cingolani. Si potrebbe apprezzare la parola «stirpe» e preferirla a quella di «razza», per quanto anche razza abbia un significato ed un uso scientifico, oltreché di linguaggio comune. Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta, da questo razzismo che sembra una postuma persecuzione verbale; ma è proprio per reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza ed alle funeste teoriche fabbricate al riguardo, è per questo che – anche con significato di contingenza storica – vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze. (Approvazioni).
CINGOLANI. Dichiaro di ritirare il mio emendamento.
PRESIDENTE. Metto in votazione il primo comma dell’articolo 7 destinato a divenire il primo comma dell’articolo 3, nella formulazione proposta dagli onorevoli Laconi, Moro ed altri:
«I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di religione e di opinioni politiche, hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge».
(È approvato).
Passando al secondò comma, porrò prima in votazione la formula proposta dagli onorevoli Corbino, Lucifero ed altri, che è quella che si allontana di più dal testo originario. Essa dice:
«È compito dello Stato rendere possibile il completo sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione economica e sociale della Nazione».
FANFANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FANFANI. Noi voteremo contro la proposta di emendamento fatta dagli onorevoli Corbino e Lucifero, dichiarando di apprezzare il tentativo da essi compiuto di richiamare l’attenzione sul fatto che non si tratta soltanto di rimuovere gli ostacoli preesistenti, ma di svolgere anche un’azione positiva.
Tuttavia partiamo dalla constatazione della realtà, perché mentre con la rivoluzione dell’’89 è stata affermata l’eguaglianza giuridica dei cittadini membri di uno stesso Stato, lo studio della vita sociale in quest’ultimo secolo ci dimostra che questa semplice dichiarazione non è stata sufficiente a realizzare tale eguaglianza, e fa parte della nostra dottrina sociale una serie di rilievi e di constatazioni circa gli ostacoli che hanno impedito di fatto la realizzazione dei principî proclamati nell’’89.
In vista di queste considerazioni, noi, pur apprezzando l’intendimento dei nostri colleghi, manteniamo fermi il nostro voto e il nostro apprezzamento. (Commenti a destra).
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Corbino testé letto.
(Non è approvato).
Pongo ai voti l’emendamento dell’onorevole Condorelli:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«È compito della Repubblica integrare l’attività degli individui, diretta a superare gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza e impediscono il completo sviluppo della persona umana».
(Non è approvato).
Pongo ai voti l’emendamento nella formulazione degli onorevoli Laconi, Moro ed altri:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale dell’Italia».
(È approvato – Applausi a sinistra).
Pongo ai voti nel suo complesso l’articolo 7, che diventerà articolo 3 della Costituzione:
«I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di religione e di opinioni politiche, hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge.
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale dell’Italia».
(È approvato – Vivi applausi).
Passiamo all’articolo 2, che diverrà, nel testo definitivo, l’articolo 4:
«La bandiera d’Italia è il tricolore: verde, bianco e rosso, a bande verticali di eguali dimensioni».
L’onorevole Clerici ha proposto di sostituire l’articolo col seguente:
«La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano».
L’onorevole Clerici ha facoltà di svolgere l’emendamento.
CLERICI. Onorevoli colleghi, la questione è minima, ma l’emendamento da me proposto parmi si raccomandi per la sua brevità (sono otto parole, anziché 18 (Commenti); ed è un bel precedente se potessimo per altri articoli raggiungere simile risultato), per la incisività (perché sembra più perentorio, anche per il popolo, che dovrà apprendere la nostra Costituzione) ed anche per la serietà (perché mi pare che l’articolo proposto dalla Commissione sappia un po’ di modello di sartoria). So che esso è la traduzione letterale di analoga disposizione della Costituzione francese. Qui per vero la Commissione dei 75 non ha fatto un grande sforzo cerebrale, perché essa ha sostituito in tutto il verde al bleu del testo francese. Ma credo che egualmente la dizione proposta sia non solo superflua, ma anche brutta, perché nessuno in Italia ignora che il nostro tricolore è verde, bianco e rosso; e non lo ignora il mondo. Non lo si ignora soprattutto perché, da quando il tricolore fu consacrato, or sono 150 anni, a Reggio Emilia, è restato sempre il simbolo della libertà, dell’unità e dell’indipendenza della Patria; la bandiera della Cispadana e della Cisalpina come della gloriosissima Partenopea. Ed a Napoli risventola nel 1821, come ovunque nei moti del 1830 e del 1831, come nel 1848, allora quando i delegati di Milano lo imposero a Carlo Alberto, sempre esitante e sempre ambiguo. E così fu che il tricolore divenne nello Stato Sardo la bandiera nazionale in luogo della bandiera azzurra: quel tricolore che venti giorni prima, nel concedere, o meglio nel farsi strappare lo Statuto, Carlo Alberto aveva ancora bandito, ancora proscritto. Ma nel suo stesso decreto, emanato l’indomani, Carlo Alberto si limitava a dire che il tricolore italiano era assunto come bandiera dello Stato senza fermarsi ad altre specificazioni. Specificazioni circa le bande e persino l’asta e gli altri ammenicoli si trovano in numerose leggi e decreti, da quelli sardi del 1848 alla legge del 25 marzo 1860, dal decreto fascista 25 novembre 1925, n. 2264, il quale specifica le varie bandiere per l’esercito, la marina e simili, sino al decreto reso all’indomani del referendum del 2 giugno. Altre cose saranno da stabilirsi o mutarsi in leggi particolari; ad esempio il colore azzurro, l’azzurro dei Savoia, dell’asta; ma questo rientrerà nelle cure specifiche dei repubblicani storici. Sono queste le ragioni per le quali ritengo accoglibile il mio emendamento.
PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha facoltà di svolgere il seguente emendamento:
«Dopo la parola: dimensioni, aggiungere: recante nella banda centrale scudo con croce bianca in campo rosso sormontato da corona civica turrita».
CONDORELLI. Onorevoli colleghi, vi prego di volermi ascoltare un istante senza preconcetti. Prevengo che le mie parole sono animate non da una fede di parte che può dividerci, ma dal sentimento di italianità che tutti ci accomuna.
La nostra bandiera era identificata dallo stemma dello Stato che recava nel medio lo scudo crociato, giacché il tricolore, come è detto nella stessa relazione, è stato adottato da altri popoli. Adesso si è pensato di togliere lo stemma dello Stato supponendo che questo fosse non l’emblema dello Stato italiano, ma di un regime. È un errore. (Rumori). Ed un errore storico, come io ho potuto apprendere e come ognuno potrebbe apprendere leggendo una dotta relazione presentata all’Accademia dei Lincei da Cerutti il 16 dicembre 1886. Quello che comunemente si chiama lo scudo di Savoia non è invece che lo stemma del Piemonte. (Rumori – Commenti). È storicamente noto che lo stemma dei Savoia è l’aquila nera su sfondo azzurro. Solamente Pietro II, nel 1265, volendo affermare le sue pretese sui territori del Piemonte aggiunse, lui soltanto, sul petto dell’aquila lo scudo del Piemonte. Venti anni dopo lo imitò il suo successore Amedeo V allo stesso scopo. Da allora in poi lo scudo del Piemonte ha continuato ad essere lo stemma del Piemonte; l’aquila nera su sfondo azzurro ha continuato ad essere lo stemma dei Savoia. Sul petto di quest’aquila si andarono aggiungendo, variando nel tempo, gli stemmi dei territori che i Savoia pretendevano facessero parte del loro dominio o che effettivamente ne facevano parte.
Lo stemma del Piemonte viene posto nel centro della nostra bandiera il 23 marzo 1848, in una data gravida di fati nazionali. È proprio nel proclama con cui il condottiero della prima guerra di indipendenza italiana chiama tutti i popoli d’Italia alla loro crociata, che questo stemma appare per la prima volta in un documento ufficiale con queste parole: «Per meglio dimostrare con segno esteriore il sentimento dell’unione italiana vogliamo che le nostre truppe, entrando nel territorio della Lombardia e della Venezia, portino lo scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore». (Commenti a sinistra). Vi prego di notare che non si dice lo scudo del nostro casato o della nostra dinastia, o lo scudo dei Savoia; si dice lo scudo di Savoia, perché quel tale emblema era anche lo stemma della Savoia (Commenti a sinistra), stemma che la Savoia conserva ancora oggi, pur essendo passata sotto la sovranità francese, ed in regime repubblicano: prova evidente che quello è lo stemma del territorio di Savoia. (Commenti – Interruzioni a sinistra).
Posso dimostrare in modo perentorio che quello che si ritiene emblema di una dinastia è invece emblema dello Stato. Da principio, dal 23 marzo 1848 in poi, fu lo stemma dello Stato piemontese; poi, con la incorporazione dei varî Stati italiani nello Stato piemontese, divenne lo stemma dello Stato italiano. Il mutamento della forma istituzionale dello Stato importava che si togliessero dallo stemma l’attributo dell’istituzione monarchica, i segni della dinastia, cioè la corona, il collare dell’Annunziata, il nastro azzurro che lo circonda, ma non che noi rinunciassimo a quello che è lo stemma dello Stato italiano.
Io penso, o colleghi, che non ci sarà immaginazione squisita di artista che potrà trovare, andando alla ricerca dello stemma, un emblema che esprima più nobilmente il senso della nostra storia civile, morale e religiosa.
Io penso, o amici, che non possiamo rinunciare, per un errore, a questo stemma che per una coincidenza, non certo casuale, ma ideale e voluta, è insieme l’emblema della redenzione umana e del rispetto nazionale. (Commenti – Interruzione dell’onorevole De Michelis).
PRESIDENTE. L’onorevole Condorelli ha diritto a dieci minuti per illustrare il suo emendamento, diritto che lei, onorevole De Michelis, non gli può contestare. Prego, quindi, gli onorevoli colleghi di tacere.
CONDORELLI. Io comprendo perfettamente che cosa significhi questa vostra opposizione: errore vero o errore voluto. Ho presentato questa proposta di emendamento perché non volevo che in questa Assemblea, nel momento in cui si affermano i caratteri del vessillo nazionale, quello che ho detto non venisse ricordato. Ma, per non darvi la responsabilità di un voto che priva l’Italia del suo storico simbolo, per non darvi la responsabilità di un voto che potrebbe impedire più meditate decisioni, io rinuncio all’emendamento. (Commenti).
PRESIDENTE. L’onorevole Selvaggi ha presentato il seguente emendamento:
«Dopo la parola: dimensioni, aggiungere: recante nella banda centrale la lupa romana sormontata dalla corona civica turrita». (Commenti a sinistra).
Ha facoltà di svolgerlo.
SELVAGGI. La proposta da me presentata non ha nessun carattere sentimentale, poiché effettivamente tutti sappiamo, fin dalla nostra più tenera infanzia, che il tricolore è la bandiera italiana. Però ci sono delle ragioni pratiche che riguardano dove la bandiera nazionale sarà portata; sui mari per esempio, la bandiera italiana potrà facilmente essere scambiata con la bandiera di un altro Stato che ha gli identici colori, la bandiera messicana, per esempio. Quindi diamo a questa bandiera una qualche caratteristica che la possa distinguere da altri simboli nazionali. Non sarà la proposta da me presentata, che ha fatto sorridere molti, perché chissà cosa pensavano; potrà essere un’altra proposta, ma un carattere distintivo a questo vessillo nazionale ritengo che sia necessario dare.
PRESIDENTE. Prego la Commissione di voler dire il suo parere.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ha esaminato la proposta dell’onorevole Clerici e gli è grata per l’espressione di «tricolore italiano». Dire che la bandiera della Repubblica è il tricolore italiano squilla bene, e si riallaccia storicamente al nostro passato, al vessillo che è propriamente nostro, al di sopra delle forme di governo. Ma, oltreché questa felice accentuazione, l’onorevole Clerici vuole un taglio; ricusa ogni indicazione che abbia, egli dice, aria di sartoria: perché indicare quali sono i colori e le forme della bandiera? Voi copiate, ci dice, la Costituzione francese, mettendo verde al posto di bleu. Qui non siamo d’accordo. Non è per gusto di sarto, o per pigrizia, o per copiare la Costituzione francese che abbiamo indicato quale è il tricolore italiano. L’abbiamo fatto per uniformarci ad una esigenza che vi è in tutte le Costituzioni, di precisare, anche per ragioni internazionali, i caratteri del vessillo della propria Nazione. La Commissione ha davanti agli occhi il nostro vessillo e si richiama al tricolore che 150 anni fa venne proclamato a Reggio Emilia, mia città nativa: ed esaltato dal popolo nelle sue canzoni: il tricolore puro, schietto, «verde, bianco e rosso», come dirà la Costituzione.
L’eccezione fatta dall’onorevole Selvaggi ha un certo valore, in quanto gioverebbe distinguere e qualificare la nostra bandiera da altre, che, venute dopo, hanno adottato gli stessi colori. Ma non è possibile che la Costituente diventi una Commissione di araldica e stabilisca, improvvisando, un emblema da introdurre nella nostra bandiera. V’è già una Commissione nominata dal Governo che deve proporre un emblema o stemma pel Paese. Altro è che il segno approvato per altri scopi debba essere messo o no sul tricolore italiano.
La Commissione si pronuncia intanto pel tricolore puro e schietto, semplice e nudo quale fu alle origini, e tale lo evocò e baciò, cinquant’anni fa, il Carducci; e così deve essere la bandiera dell’Italia repubblicana.
PRESIDENTE. Degli emendamenti presentati, restano quello dell’onorevole Selvaggi e quello dell’onorevole Clerici.
L’emendamento Selvaggi è quello che più differisce dalla proposta della Commissione. Devo quindi porlo ai voti per primo.
BELLAVISTA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BELLAVISTA. Voterò contro e l’emendamento Selvaggi e l’emendamento Clerici, accettando l’articolo 2 così come è nella formulazione proposta dalla Commissione.
Io penso che la questione di sartoria, cui alludeva l’onorevole Clerici, sia ben posta, ad evitare future, postume manipolazioni di quelli che costituiscono gli «essentialia» del tricolore italiano: il verde, il bianco ed il rosso. Niente sovrapposizioni distintive, dunque.
Do al mio voto appunto questo valore limitativo. Io non ho la competenza araldica, che mostrava poc’anzi di avere l’onorevole Silipo, né sono chirurgo della fama dell’onorevole Pieri per fare la laparatomia della storia come egli ha fatto, mentre parlava l’onorevole Condorelli a proposito del contributo di Casa Savoia all’unità d’Italia. Ma insisto nel dire che il tricolore della Repubblica, che ha perduto quegli attributi distintivi che accompagnarono l’epopea del Risorgimento, si mantenga almeno per quelli che sono i suoi colori – verde, bianco e rosso – e senza nessun altro fregio, di altra origine o natura.
Ho inteso dire dall’onorevole Ruini: i fregi sono aboliti. Ebbene, che siano aboliti e definitivamente per tutti e per qualsiasi parte.
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Selvaggi.
(Non è approvato).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Vorrei confermare che il testo proposto dalla Commissione è questo: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano verde, bianco, rosso, a bande verticali di eguali dimensioni».
La Commissione accetta l’emendamento Clerici, conservando però la specificazione dei colori.
CLERICI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLERICI. Mi associo alla proposta della Commissione.
PERSICO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Desidero una spiegazione: siccome una Commissione di studio deve stabilire l’emblema della Repubblica, che dovrà essere poi approvato dall’Assemblea Costituente, quando l’emblema sarà definitivamente stabilito, esso andrà al centro del bianco della bandiera?
BELLAVISTA. No, no!
PRESIDENTE. Onorevole Persico, la sua proposta coincide con altre sulle quali il Presidente della Commissione ha esercitato la sua critica.
Se comunque desidera fare una proposta formale, la faccia: la spiegazione che lei desidera non può infatti considerarsi implicita nella votazione che faremo.
PERSICO. Non intendo presentare alcuna proposta formale.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione:
«La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali di eguali dimensioni».
(È approvata – L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi).
(La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18,30).
PRESIDENTE. Si passa all’esame dell’articolo 3, destinato a divenire l’articolo 5 del testo definitivo:
«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».
A questo articolo sono stati presentati due emendamenti, dei quali uno già svolto, quello dell’onorevole Condorelli:
«Sopprimere le parole: generalmente riconosciute».
Identico emendamento hanno presentato gli onorevoli Carboni, Villani, D’Aragona, Persico, Preti, Binni.
L’onorevole Carboni mantiene l’emendamento?
CARBONI. Non insisto.
PRESIDENTE. Invito il Presidente della Commissione ad esprimere il suo parere.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione ritiene che non sia necessario togliere l’espressione «generalmente riconosciute», perché è l’espressione tecnica, di stile, che vuole indicare questo: il diritto internazionale generale, indipendentemente da quei segmenti di diritto internazionale che sono costituiti dai trattati fra i varî Stati.
PRESIDENTE. Onorevole Condorelli, ella mantiene il suo emendamento?
CONDORELLI. Lo mantengo; comunque esso è stato fatto proprio da altri colleghi.
PRESIDENTE. Gli altri colleghi hanno dichiarato di rinunziarvi. Devo, dunque, porlo in votazione.
COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Dichiaro che voterò a favore dell’emendamento Condorelli.
Le parole, che si intendono sopprimere, anche a me sembrano del tutto superflue, perché – che io sappia – non esistono norme di diritto internazionale, che possano dirsi non «generalmente riconosciute». In tanto una norma può qualificarsi di diritto internazionale, in quanto sia generalmente accettata. Se è vero, come si disse nelle discussioni tenute in seno alla prima Sottocommissione, che esiste una comunità internazionale capace di emanare norme giuridiche a sé stanti, o, meglio, se è vero che esiste un ordinamento giuridico internazionale indipendente dalla legislazione dei singoli Stati, non si comprende perché quelle due parole dovrebbero essere aggiunte.
È evidente che le norme giuridiche internazionali sono le norme emanate da quella comunità, o, meglio, le norme che fanno parte di quell’ordinamento giuridico. Ecco perché a me pare che ulteriori specificazioni non siano necessarie.
PERASSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERASSI. Onorevoli colleghi, il Presidente della Commissione ha già indicato le ragioni per le quali non riteniamo che sia conveniente di sopprimere le parole «generalmente riconosciute».
Le osservazioni fatte dall’onorevole Colitto non portano a modificare questo punto di vista. L’onorevole Colitto sostanzialmente ha espresso l’avviso che quella espressione sia superflua. A questo riguardo è bene precisare la portata giuridica dell’articolo, di cui si discute. Esso è inteso ad inserire nella Costituzione una norma che si può definire un dispositivo di adattamento automatico dell’ordinamento interno italiano al diritto internazionale. Ma per quale parte del diritto internazionale si dispone tale adattamento automatico?
L’espressione «diritto internazionale», senza la precisazione che l’onorevole Colitto vorrebbe sopprimere, comprenderebbe tutte le norme internazionali, e cioè non solo quelle del diritto internazionale in generale, ma anche quelle che, essendo create da accordi fra due o più Stati, hanno carattere di norme particolari.
Ora, nel pensiero della Commissione, l’articolo, come è stato formulato, istituisce il meccanismo di adattamento automatico del diritto interno italiano solo per quanto concerne le norme del diritto internazionale generale, essendosi ritenuto che convenga lasciare ad altri procedimenti l’adattamento del diritto italiano alle norme del diritto internazionale poste da convenzioni particolari.
L’onorevole Condorelli, nel suo precedente discorso, aveva egli pure proposto di sopprimere le parole «generalmente riconosciute», ma per un motivo del tutto diverso. Secondo l’onorevole Condorelli, l’espressione «norme generalmente riconosciute» sembrerebbe accogliere nella Costituzione un concetto dottrinale, e cioè quello che il riconoscimento sia il fondamento della obbligatorietà delle consuetudini internazionali.
Ora, non è con questo significato che quell’espressione è usata nell’articolo. Quando si parla di «norme generalmente riconosciute» si vuole semplicemente indicare le norme la cui esistenza è generalmente ammessa. Si lascia assolutamente al di fuori della Costituzione ogni richiamo a questioni di ordine teorico sul fondamento dell’obbligatorietà delle norme internazionali.
Come ha già detto il Presidente della Commissione, la frase «norme generalmente riconosciute» si trova in molte altre Costituzioni. In particolare, era contenuta nell’articolo 4 della Costituzione di Weimar, a cui l’articolo in discussione si è ispirato, ma adottando una formulazione tecnicamente più appropriata. E così quella espressione si trova largamente usata nella corrispondenza diplomatica.
Per queste ragioni riteniamo che, così precisata la portata dell’articolo, sia necessario mantenere nel testo le parole «generalmente riconosciute».
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento Condorelli.
(Non è approvato).
PRESIDENTE. Devesi ora votare l’articolo nel testo della Commissione.
COLITTO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COLITTO. Voto a favore dell’articolo; ma desidero esprimere il dubbio che l’articolo, così come formulato, non esprima affatto il concetto dell’ingresso automatico delle norme di diritto internazionale nel nostro ordinamento giuridico, che pure era nel pensiero dei presentatori.
A mio modesto avviso, occorrerà sempre una norma specifica, la quale trasporti la norma di diritto internazionale nel nostro diritto interno.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3, che dovrà diventare 5, nel testo della Commissione:
«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».
(È approvato – Vivi applausi).
Passiamo all’esame dell’articolo 4, che dovrà diventare articolo 6 nel testo definitivo:
«L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».
La Commissione, tenendo conto dei varî emendamenti presentati, ha elaborato il seguente nuovo testo:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali; e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli».
Sull’articolo sono stati presentati varî emendamenti.
L’onorevole Russo Perez ha presentato il seguente, già svolto:
«Sopprimerlo.
«Ove non sia approvala la soppressione, sostituirlo col seguente:
«L’Italia condanna il ricorso alle armi nelle controversie fra le Nazioni e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli».
Non essendo l’onorevole Russo Perez presente, si intende che vi abbia rinunziato.
L’onorevole Valiani ha presentato il seguente emendamento, già svolto:
«Sostituirlo col seguente:
«L’Italia rinuncia alla guerra come strumento di politica nazionale e respinge ogni imperialismo e ogni adesione a blocchi imperialistici. Accetta e propugna, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, qualsiasi limitazione di sovranità, che sia necessaria ad un ordinamento internazionale di pace, di giustizia e di unione fra i popoli».
Onorevole Valiani, lo mantiene?
VALIANI. Rinuncio e aderisco a quello dell’onorevole Zagari.
PRESIDENTE. L’onorevole Zagari ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Binni, Bennani, Zanardi, Carboni, Piemonte, Lami Starnuti, Persico, Fietta, Gullo:
«Sostituirlo col seguente:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di politica nazionale e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali e consente, a condizione di parità con gli altri Stati, le relative limitazioni di sovranità».
L’onorevole Zagari ha facoltà di svolgerlo.
ZAGARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi. Il testo proposto dal Presidente della Commissione non è soddisfacente. È il risultato di una fusione fra il primo testo ed il testo dell’emendamento da noi presentato e come tutti i compromessi ha in sé un elemento di equivoco, che prima o dopo finisce con il rompere l’unità morale, direi, dell’articolo.
La differenza fra l’articolo 4 del progetto e l’emendamento da noi presentato sta in un diverso tono che li caratterizza. Chi legge l’articolo 4 ha immediatamente la sensazione di una posizione di passività della nostra Costituzione nei confronti di un ordinamento che la trascende.
Si dice: «l’Italia rinunzia», «l’Italia consente». La prima e la seconda parte hanno questo in comune: che concedono qualche cosa che è imposto, ponendo immediatamente dopo una serie di condizioni per cui si rinuncia alla guerra, ma condizionando la guerra; cioè si rinuncia a quella determinata guerra, soltanto alla guerra di aggressione e si consente poi quella limitazione di sovranità. Manca cioè quello che noi riteniamo lo spirito nuovo che deve animare la Carta costituzionale nei confronti del mondo internazionale.
Circa la nuova dizione, noi saremmo certamente disposti ad accettare la parte relativa alla modificazione della nostra frase «politica nazionale» con «politica diretta contro la libertà degli altri popoli», per quanto riteniamo che non vi sia una chiarificazione neppure per l’opinione pubblica, perché la guerra come strumento di politica nazionale è ormai una dizione pienamente acquisita dall’opinione pubblica. È la dizione del patto Briand-Kellogg che è entrata nella Costituzione ed è fortemente affermata e quindi rimane più chiara e meno equivoca dell’altra forma.
Sul secondo punto ci sembra difficile cedere, perché non solo l’Italia consente alle limitazioni di sovranità, l’Italia vuole queste limitazioni di sovranità. È l’Italia cosciente di un nuovo ordine pacifico, è l’Italia che è alla base dell’organizzazione della pace, ed ha interesse a questa organizzazione. Qualcuno può ritenere che noi si possa entrare in una sfera in cui noi soli si consente; ma il problema è sempre lo stesso, perché sono impegni che noi prendiamo di fronte alla nostra coscienza nazionale, sono impegni che l’Italia prende di fronte al popolo italiano.
Per tutte queste ragioni noi troviamo che l’unità dell’emendamento debba essere conservata, ed accanto alla dizione «l’Italia ripudia la guerra» si debba anche accettare la frase «l’Italia favorisce» queste limitazioni di sovranità che sono necessarie per la costituzione di un ordine internazionale che salvaguardi la pace e la giustizia fra i popoli.
PRESIDENTE. L’onorevole Crispo ha presentato il seguente emendamento, già svolto:
«Alle parole: L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, sostituire le altre: L’Italia non intraprenderà alcuna guerra di conquista, né userà mai violenza alla libertà d’alcun popolo, e consente».
Onorevole Crispo, ella lo mantiene?
CRISPO. Mantengo la seconda parte del mio emendamento, quella nella quale accenno alla violenza alla libertà, diversa dalla guerra, integrandosi il concetto precedente, nel senso, cioè, che non si può comprimere la libertà di un popolo soltanto attraverso una guerra di conquista, ma si può usare violenza alla libertà di un popolo anche altrimenti, onde il mio emendamento era redatto così: «L’Italia non intraprenderà alcuna guerra, di conquista né userà mai violenza alla libertà di alcun popolo». Mantengo la seconda parte «né userà mai violenza alla libertà di alcun popolo».
SELVAGGI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SELVAGGI. In linea di massima sono d’accordo con la nuova dizione dell’articolo proposta dalla Commissione. Solo prego la Commissione di tener presente la possibilità di sostituire alcune parole.
Il testo della Commissione dice: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali». Io proporrei la seguente dizione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Per la seconda parte sono perfettamente d’accordo.
PRESIDENTE. L’onorevole Bastianetto ha presentato il seguente emendamento:
«Dopo le parole: limitazioni di sovranità necessarie, aggiungere le altre: alla unità dell’Europa o».
Ha facoltà di svolgerlo.
BASTIANETTO. Onorevoli colleghi, se noi vediamo le due dizioni di quest’articolo 4, troviamo nella prima «la rinuncia» alla guerra, nella seconda «il ripudio» della guerra. Ma sia l’una dizione che l’altra vanno benissimo per me, cioè per quello che è l’emendamento da me presentato; perché il mio emendamento si inserisce in quella che è la seconda parte dell’articolo 4 che, presso a poco, è eguale sia nell’una che nell’altra dizione.
L’articolo 4 è veramente da dividersi in due parti. In una parte vi è quella che si può dire la sintesi di tutto il recente diritto internazionale in materia di guerra. Vorrei dire che nella prima parte noi troviamo quella che è stata la grande speranza di tutti gli uomini politici, speranza che si sintetizza nel patto Kellogg. Ora, per me, la dizione «rinuncia» è assai più estesa ed assai più concreta di quello che possa essere la parola «ripudio». Ma io non debbo soffermarmi in questa prima parte, perché a me interessa la seconda parte, nella quale trovo che l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli. Ora, è proprio in questo «consente alle limitazioni di sovranità» che ci troviamo di fronte a quella che è la sintesi della odierna politica internazionale. Noi abbiamo assistito negli ultimi due o tre anni all’impostazione del problema della rinunzia della sovranità; e questo problema si è concretizzato nella Carta di San Francisco: le Nazioni Unite hanno rinunciato a parte della loro sovranità.
Ora, noi non sappiamo quello che ci darà l’avvenire in materia di organizzazioni internazionali. Noi al presente vediamo una sola grande organizzazione internazionale, l’O.N.U., che è mondiale, e non consideriamo i problemi a noi più vicini che sono quelli europei. Per questo propongo di inserire in quest’articolo 4, dopo la parola «necessarie» quelle mie modestissime parole «alla unità dell’Europa o».
Perché questo, onorevoli colleghi? Perché questo emendamento? Lasciamo stare l’abbondante letteratura sui problemi dell’unità europea, lasciamo stare tutti i discorsi che sono stati fatti in quest’ultimo secolo dagli uomini politici più eminenti in tutti i paesi d’Europa, lasciamo stare quelli che sono stati i tentativi di Kovenhoe Kalergi e di Briand, lasciamo stare i più recenti discorsi di Smuts e di Churchill, e fermiamoci a considerare il sogno, l’aspirazione di Mazzini, che aveva visto la salvezza dell’Europa nella sua unità. Ora, onorevoli colleghi, noi non sappiamo quale sarà l’avvenire dell’Europa; quello che sentiamo profondamente in noi è che alla unità si dovrà arrivare.
Noi qui siamo uniti per dare alla nostra Patria una grande Carta costituzionale; questa è la nostra speranza; e, se in questa Carta costituzionale potremo inserire la parola «Europa», noi incastoneremo in essa un gioiello, perché inseriremo quanto vi è di più bello per la civiltà e per la pace dell’Europa. Perché, badate, onorevoli colleghi, dal punto di vista economico questa Europa non si scinde più; dal punto di vista politico-militare nemmeno si scinde più; dal punto di vista ideologico noi vediamo già che i partiti politici hanno un grande funzione in questa unità europea. Quando l’altro giorno il Presidente onorevole Terracini, dopo la lettura del telegramma di Herriot, disse che quella era stata la prima manifestazione in cui si è vista stendere una mano al di sopra delle frontiere, io ho pensato che questa mano possono stenderla tutti i partiti politici per proprio conto. L’altra settimana abbiamo visto i laburisti inglesi che la stendevano col loro ordine del giorno. Qualche giorno fa in Francia il M.R.P. votava un ordine del giorno auspicante gli Stati Uniti d’Europa. In tutti i Paesi del centro d’Europa c’è questa aspirazione. Ora, se tutti i partiti politici – perché non c’è dubbio che i partiti politici hanno questa altissima e grandissima funzione di moralizzare la vita, la politica, l’avvenire dell’Europa – se tutti i partiti hanno questa funzione e la sentono profondamente, non c’è dubbio, o colleghi, che noi potremo anche veder realizzata l’unità europea; ed è con questo augurio e con questa speranza che io auspico che l’emendamento sia accolto.
Non sappiamo quello che sarà l’avvenire dell’Europa ed è forse prematuro pensare – non però per mio conto – agli Stati Uniti d’Europa o ad una Federazione di Repubbliche europee; a me basta inserire il concetto che, come nella Costituzione consideriamo l’uomo, e sopra l’uomo la famiglia, e poi la Regione e lo Stato, così, sopra lo Stato e prima dell’organizzazione mondiale internazionale, vi sia l’Europa, la nostra grande Patria, perché, prima di tutto, noi siamo cittadini europei. Per questo chiedo che l’emendamento venga accolto e vi insisto. (Applausi).
PRESIDENTE. Credo che la Commissione abbia già espresso nettamente il suo avviso tenendo conto di tutti gli emendamenti e proponendo un testo nuovo. Comunque l’onorevole Presidente della Commissione ha facoltà di esprimere il suo avviso.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Debbo far notare come anche qui aleggia nell’Aula su tutti noi un’ispirazione comune, un’esigenza da tutti sentita di condannare la guerra e di tendere ad una organizzazione internazionale.
Questo è il punto comune. Le altre diventano piuttosto questioni di formulazione tecnica. Ho discusso amichevolmente con l’onorevole Zagari, alla ricerca non di un compromesso, ma di un’espressione migliore e più completa. Speravo di esservi riuscito; ma se è difficile mettersi d’accordo, per esprimere un sentimento comune, a 75 membri della Commissione, immaginate come è più difficile mettere d’accordo 550 persone. È quasi impossibile improvvisare definizioni tecniche precise, ed esatte, in un dibattito che pur rivela tanta competenza e tanto appassionamento.
Dirò le ragioni per cui la Commissione stamani ha ritenuto di accogliere alcuni degli emendamenti presentati e di fonderli nel suo testo; che era in origine: «L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente…». Risuonava qui come un grido di rivolta e di condanna del modo in cui si era intesa la guerra nel fosco periodo dal quale siamo usciti: come guerra sciagurata di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Ecco il sentimento che ci ha animati. Ma è giusta l’osservazione fatta anche dall’onorevole Nitti che però sembra esagerato e grottesco parlare, nelle nostre condizioni, di guerra di conquista. È meglio trovare un’altra espressione.
Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei varî emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre «condanna» ha un valore etico più che politico-giuridico, e «rinunzia» presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola «ripudia», se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice, ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra.
Dopo i verbi, veniamo ai sostantivi. Si è, in alcuni emendamenti, negata la guerra, come strumento di politica nazionale e di risoluzione delle controversie internazionali. Sono formule corrette, a cui ricorrono documenti ed atti internazionali, come il patto Kellogg, che, ahimè, dovrebbe essere ancora in vigore! Non ci dobbiamo comunque dimenticare che la Costituzione si rivolge direttamente al popolo: e deve essere capita. Parlare di «politica nazionale» non avrebbe un senso chiaro e determinato. Da accettare invece, perché definitiva, la negazione della guerra «come risoluzione delle controversie internazionali». Potrebbe bastare; ma si è posto uno scrupolo: se non sia opportuno richiamare anche quel termine di negazione della guerra «come strumento di offesa alla libertà altrui» che ha una ragion d’essere, una accentuazione speciale che può restare a sé di fronte agli altri mezzi di risoluzione delle controversie internazionali. Ecco perché la Commissione propone: «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e di risoluzione delle controversie internazionali».
Veniamo alla seconda parte.
Accettiamo, invece di «reciprocità» e «uguaglianza», l’espressione «in condizione di parità con gli altri Stati». Non avremmo nessuna difficoltà ad accogliere la proposta Zagari: «favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali». Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L’onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l’ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli. Ma l’attività positiva diretta a tale scopo è certamente implicita anche nella nostra formulazione: che dovrebbe essere (e non è facile qui su due piedi) tutta rimaneggiata, col rischio di perdere l’equilibrio faticosamente raggiunto di un bell’articolo.
La questione sollevata dall’onorevole Bastianetto, perché si accenni all’unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l’unanimità dei voti. L’aspirazione alla unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno messo in luce che l’Europa è per noi una seconda Patria. È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d’Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano di partecipare all’organizzazione internazionale.
Credo che, se noi vogliamo raggiungere la concordia, possiamo fermarci al testo della Commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell’ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli.
PRESIDENTE. Comunico che l’onorevole Leone Giovanni ha presentato il seguente emendamento firmato anche dagli onorevoli Bettiol, Monticelli, Numeroso, Borsellino, Medi, Jervolino, De Michele, Gortani e altri:
«Sostituire alle ultime parole della formulazione della Commissione: tra i popoli, le altre: tra le Nazioni».
L’onorevole Leone Giovanni ha facoltà di svolgerlo.
LEONE GIOVANNI. Il nostro emendamento mira, più che altro, ad un perfezionamento formale.
PRESIDENTE. L’onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione ha facoltà di esprimere il suo avviso.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione non ha nessuna difficoltà ad accettare l’emendamento.
PRESIDENTE. Dobbiamo ora procedere alla votazione dei quattro emendamenti mantenuti.
Il primo è quello sostitutivo dell’onorevole Zagari, per il quale comunico di aver ricevuto una richiesta di votazione per appello nominale, firmata dagli onorevoli Zagari, Bocconi, Matteotti Matteo, Bennani, Pieris, Ruggiero, Lami Starnuti, Momigliano, Gullo Rocco, Vigorelli, Di Gloria, Carboni, Canevari, Fietta, Fedeli, Nasi, Taddia, D’Aragona.
Chiedo ai colleghi che hanno chiesto l’appello nominale se insistono nella loro richiesta. (Commenti – Rumori).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non è un problema politico.
PRESIDENTE. Onorevole Zagari, ella mantiene la richiesta di votazione per appello nominale?
ZAGARI. Signor Presidente, noi rinunciamo alla richiesta di appello nominale, e ritiriamo anche l’emendamento, dopo i chiarimenti dati dal Presidente della Commissione, limitandoci ad una dichiarazione di voto.
Noi dichiariamo che, accettando la formula proposta dalla Commissione, diamo a questa formula un contenuto leggermente diverso da quello dato dal Presidente nelle sue recenti dichiarazioni. Noi riteniamo che, col ripudio della guerra, si intenda anche sotterrare un passato di aggressione che è stato il prodotto di una classe dirigente superata. (Commenti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto all’onorevole Zagari che la proposta primitiva della Commissione non era l’eco, ma la più netta antitesi del passato di aggressione e di conquista. Se nella nuova dizione non abbiamo creduto di limitarci a questo, e di estendere l’orizzonte comprendendovi il ripudio della guerra come risoluzione delle controversie internazionali, è perché abbiamo voluto superare quel primo senso più ristretto, che però – intendiamoci bene – era proprio la condanna più esplicita, più sdegnosa, più netta dei sistemi del passato. (Applausi).
PRESIDENTE. Credo che si possa intanto porre ai voti la prima parte dell’articolo così come è formulata dalla Commissione, salvo poi votare la formula aggiuntiva proposta dall’onorevole Crispo.
Chiedo alla Commissione se accetta le parziali modificazioni proposte dall’onorevole Selvaggi.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Accettiamo.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la prima parte dell’articolo nel seguente testo:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
(È approvata).
Pongo ai voti l’aggiunta proposta dall’onorevole Crispo: «né userà mai violenza alla libertà di alcun popolo».
(Non è approvata).
Passiamo ora alla seconda parte dell’articolo, nel testo della Commissione;
«e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale, che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Bastianetto. Ne ha facoltà.
BASTIANETTO. A seguito delle dichiarazioni del Presidente, seppure a malincuore, ritiro il mio emendamento.
Pensavo che, nel quadro delle organizzazioni internazionali, e nel quadro soprattutto dei regionalismi internazionali, previsti dalla stessa O.N.U., fosse stata possibile questa affermazione di fede europea. Il Presidente mi ha persuaso. Però faccio voto, colleghi, che si avveri questo sogno della unità, e lo faccio non soltanto come deputato ma come mutilato di guerra, a nome dei mutilati di guerra, facendo presente che il Presidente dell’Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra mi ha inviato in questo senso un ordine del giorno. La mia affermazione sia quindi affermazione di fede per ciò che sarà il domani: non sappiamo se gli Stati Uniti d’Europa o una Federazione di Stati europei; comunque, voto per la unità di questa Europa di cui siamo cittadini. (Applausi).
CORBINO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBINO. Dichiaro che noi approveremo il testo proposto dalla Commissione; ma desideravo fare una constatazione, che dovrebbe andare un po’ al di là della nostra Aula. Desideravo far constatare che per l’Italia, noi dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, accettiamo volontariamente in questo istante l’impegno di consentire – in parità con gli altri Stati – a tutte quelle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
Ora, non può essere senza significato il voto che noi daremo a questo articolo, quando si pensi che alla Assemblea Costituente dovrà venire fra poco per la ratifica un Trattato che, per le sue condizioni, costituisce una vera menomazione della nostra sovranità e della nostra indipendenza effettive. (Approvazioni).
Ecco perché io vorrei che si prendesse atto di questa nostra concezione della solidarietà internazionale: il popolo italiano, dopo aver ripudiato le recenti guerre di un passato che non è nostro, intende chiedere agli altri popoli la stessa solidarietà, per assicurare la pace e la giustizia per tutti e, soprattutto, per garantire la nostra indipendenza e la nostra sovranità. (Vivi applausi).
CIANCA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIANCA. Noi voteremo l’articolo così come è stato redatto nell’ultima edizione.
Dobbiamo dire che votiamo questo articolo con la coscienza di compiere un dovere di italiani e di europei. Ed è per questo che esprimiamo il nostro rincrescimento per il fatto che l’onorevole Bastianetto abbia ritirato il suo emendamento aggiuntivo: egli ha detto che usava delle piccole parole: si è espresso molto modestamente; in realtà, queste piccole parole esprimevano una grande aspirazione e una grande speranza.
Aveva ragione l’onorevole Ruini di dire che noi dobbiamo guardare al futuro e comprendere in questo futuro l’aspirazione ad una unità che varchi i confini dell’Europa.
Ma è evidente che, in queste previsioni, dobbiamo attenerci alle probabilità, alle possibilità più vicine: ecco perché noi votiamo l’articolo includendo idealmente in esso l’emendamento a cui l’onorevole Bastianetto ha rinunciato.
(La seconda parte dell’articolo è approvata).
PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 4, che diventerà l’articolo 6 della Costituzione, nel suo complesso:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale, che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
(È approvato – Vivi applausi).
Il seguito della discussione è rinviato a domani alle 16.
La seduta termina alle 19.20.
Ordine del giorno per la seduta di domani.
Alle ore 16:
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.