ASSEMBLEA COSTITUENTE
LXXII.
SEDUTA POMERIDIANA DI SABATO 22 MARZO 1947
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TERRACINI
indi
DEL VICEPRESIDENTE PECORARI
INDICE
Congedo:
Presidente
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
Presidente
Tupini
Coppa
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Gronchi
Cortese
Fanfani
Fabbri
Caroleo
Lucifero
Carboni
Perassi
La Malfa
Amendola
Pacciardi
Bruni
Votazione nominale:
Presidente
Risultato della votazione nominale:
Presidente
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana:
Presidente
Togliatti
Persico
Tosato
Molè
Orlando Vittorio Emanuele
Condorelli
Fanfani
Grieco
Valiani
Grassi
Basso
Carboni
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione
Macrelli
Ruggiero
Lucifero
Dugoni
La seduta comincia alle 16.
RICCIO, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Ha chiesto congedo l’onorevole Gasparotto.
(È concesso).
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Chiusa la discussione generale sopra le Disposizioni generali del progetto, si tratta ora di passare all’esame e alla votazione dei singoli emendamenti per addivenire finalmente all’approvazione definitiva degli articoli.
Le Disposizioni generali comprendono sette articoli. Dopo la lunga discussione generale è sperabile che potremo in pochissimi giorni acquisire al nostro testo costituzionale questi sette articoli delle Disposizioni generali, a proposito dei quali sono stati presentati molti emendamenti, che sono stati stampati e distribuiti. Di questi emendamenti alcuni, per la loro formulazione, debbono considerarsi come sostitutivi.
Cominciamo intanto l’esame dell’articolo 1:
«L’Italia è una Repubblica democratica.
«La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
«La sovranità emana dal popolo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi».
A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti, dei quali credo necessario fare una breve analisi per vedere se in realtà si tratti di veri emendamenti o non piuttosto di formulazioni che riprendono, sia pure con diverse parole, gli stessi concetti degli articoli redatti e presentati dalla Commissione, sicché non possono essere considerati veri emendamenti.
Credo che ognuno comprenda la ragione che mi spinge a questa analisi pregiudiziale. Infatti, se noi accettassimo come formulazioni sostitutive quelle che, così presentate e riportate nel fascicolo che ognuno ha sotto gli occhi, non sono che rielaborazioni formali, potremmo giungere a questo risultato, non corretto, che, votato per ipotesi uno di questi cosiddetti emendamenti sostitutivi, perché in esso sono in realtà compresi numerosi concetti già contenuti nella redazione proposta dalla Commissione, la sua accettazione farebbe cadere automaticamente tutti gli altri emendamenti sostanziali presentati sul testo della Commissione. Col che sarebbe troppo facile eludere la presa in considerazione delle altre proposte di emendamento più giustificate presentate da altri colleghi.
Credo che siano in realtà due soli gli emendamenti veramente sostitutivi dell’intero articolo che sono stati presentati. Uno è quello dell’onorevole Crispo, così formulato:
Sostituirlo col seguente:
«L’Italia è una Repubblica parlamentare, ordinata democraticamente, secondo il principio della sovranità popolare, nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.
«Il lavoro, nelle sue varie manifestazioni, concorre alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica».
Il secondo è quello presentato dagli onorevoli Coppa e Rodinò Mario:
Sostituirlo col seguente:
«Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, democratico, parlamentare, antitotalitario.
«Suo fondamento è l’unità nazionale.
«Sua mèta la giustizia sociale.
«Sua norma la libertà nella solidarietà umana».
Questi due emendamenti si staccano completamente, o quasi completamente, dal testo presentato dalla Commissione, perché hanno una loro struttura particolare e possono, nel loro insieme, essere contrapposti al testo proposto dalla Commissione.
Di questi due emendamenti, il primo, quello dell’onorevole Crispo, già è stato svolto nel corso della discussione generale.
Resta invece ancora da svolgere quello dell’onorevole Coppa. Credo opportuno, pertanto, concedergli la parola per i dieci minuti, non dirò regolamentari, ma convenuti.
Dopo potremo senz’altro passare ai voti; e, se uno di questi due emendamenti sarà approvato, tutti gli altri verranno automaticamente a cadere; mentre, in caso contrario, dovremo passare ad esaminare gli altri emendamenti.
Sottolineo ancora una volta agli oratori l’esigenza di attenersi strettamente al limite di tempo convenuto, che è di dieci minuti. Prego insistentemente gli onorevoli colleghi di non derogare a questo limite.
Nei giorni scorsi, ricercando negli archivi dell’Assemblea, ho trovato alcuni strumenti misuratori del tempo, i quali facevano parte integrante dell’armamentario adoperato per le sedute dell’Assemblea legislativa; e penso che i nostri anziani, l’onorevole Orlando, l’onorevole Bonomi e l’onorevole Nitti, se ne ricordino.
I deputati di allora, si attenevano alle limitazioni regolamentari. Essi avevano, una clessidra che misurava i cinque minuti, quando ogni intervento non doveva superare i cinque minuti; ed avevano una clessidra che misurava i dieci minuti, quando gli interventi non dovevano superare il termine di dieci minuti.
Penso che, se queste clessidre sono state abbandonate, ciò si deve al fatto che i limiti di tempo imposti, erano spontaneamente osservati. Mi auguro che per noi esse risorgano solo come simbolo e che nessuno mi costringa a valermene per richiamarlo all’osservanza del termine convenuto.
TUPINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUPINI. Onorevole Presidente, fra gli emendamenti che precedono quelli che riguardano i singoli articoli, vi è quello dell’onorevole Nobili Oro, il quale ha proposto di sostituire il titolo: Disposizioni generali, con l’altro: Lo Stato. Non so se l’onorevole Presidente ritenga opportuno di interpellare l’onorevole Nobili Oro per sapere se intenda mantenere tale suo emendamento o se intenda invece rimandarlo alla fine.
PRESIDENTE. Onorevole Tupini, l’onorevole Nobili Oro ha già fatto sapere che egli pensa che possa essere esaminato il suo emendamento dopo che sia stata esaurita la votazione sui 7 articoli, perché è soltanto in relazione a quello che sarà il contenuto reale dei 7 articoli che si potrà decidere sul titolo che ad essi si potrà premettere.
Ha facoltà di parlare l’onorevole Coppa per svolgere il suo emendamento.
COPPA. Terrò presente la raccomandazione dell’onorevole Presidente di essere il più breve possibile. Del resto la mia proposta è chiara:
«Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, democratico, parlamentare, antitotalitario».
Questo comma sostituisce il primo comma dell’articolo 1: «L’Italia è Repubblica democratica». La ragione per cui propongo di dire «democratico, parlamentare, antitotalitario» è la seguente: qui non siamo tutti d’accordo sul significato da dare alla parola «democrazia», perché se fossimo tutti d’accordo, sarebbe superfluo non solo aggiungete «parlamentare», ma anche «antitotalitario»; e io direi che sarebbe anche superfluo il terzo comma dell’articolo presentato nel progetto di Costituzione, perché, se democrazia è governo di popolo, è logico che la sovranità risieda nel popolo.
Abbiamo voluto precisare che questa democrazia si estrinseca attraverso il reggimento parlamentare, ed anche con una precisazione nella precisazione, che questo ordinamento è antitotalitario, volendo così andare incontro alle giuste preoccupazioni, non di una sola parte di questa Assemblea, ma di tutta l’Assemblea di veder tornare in Italia un regime a tipo dittatoriale o totalitario.
Ai successivi comma, cioè: «La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», noi abbiamo sostituito – l’onorevole Mario Rodinò ed io – questa formulazione: «Suo fondamento è l’unità nazionale. Sua meta è la giustizia sociale», non perché ci sia un partito preso contro il lavoro. Io, che ho l’onore di parlarvi, posso dirmi un autentico lavoratore, perché penso che l’unica mia ricchezza non voglia essere condivisa da nessuno dei presenti: posseggo due metri quadrati di terra, in un certo luogo dove, credo, nessuno dei presenti vorrà farmi compagnia e dove spero di andare il più tardi possibile! Dunque, non c’è partito preso contro il lavoro; però, siccome ritengo che il lavoro sia un mezzo e non un fine, non so spiegarmi come qualche cosa che sia un mezzo e uno strumento possa essere da base dell’ordinamento giuridico di uno Stato; mentre oggi che si parla tanto di autonomie – e naturalmente da qualche banco è partita anche una voce non bene accolta, e non poteva essere bene accolta – è logico affermare, in un momento in cui alcune parti vive della nostra Patria, della nostra Nazione, sono state o stanno per essere distaccate dallo Stato italiano, che il fondamento di questo Stato non possa essere che la unità nazionale.
Un’altra considerazione ancora mi ha fatto escludere il concetto del lavoro. Qui si parla di lavoro e di lavoratori, e si è detto che tutti siamo lavoratori; ma come si può conciliare questa affermazione con un recente progetto di legge presentato dall’illustre amico Ministro Romita circa l’amministrazione degli istituti di assistenza ai lavoratori, nel quale egli auspica una maggiore partecipazione dei lavoratori all’amministrazione degli istituti stessi? Con questa affermazione, evidentemente, il Ministro Romita fa una distinzione fra lavoratori e lavoratori e, naturalmente, in una Costituzione non ci devono essere parole che si prestino ad equivoci.
Non solo; abbiamo sentito parlare dell’avvento al Governo delle classi lavoratrici. Dunque, questa affermazione comprende un progetto che intende affidare la cosa pubblica soltanto ai lavoratori. E allora c’è anche da domandarsi, siccome si parla di lavoratori e di funzioni, se nel campo complesso del lavoro si voglia creare un’antitesi fra datori di lavoro e prestatori d’opera. Perciò appunto riteniamo che nella Costituzione debbano essere bandite le frasi che possono dar luogo ad equivoci.
Invece, il concetto di giustizia sociale, il concetto della libertà nella solidarietà – l’una come mèta da raggiungere e l’altra come mezzo, come strumento, per raggiungere quella giustizia sociale che senza la libertà e senza la solidarietà umana non può essere realizzata – io ritengo che possano essere veramente fini degni dello Stato italiano repubblicano. Ed è per questo che ci siamo permessi di presentare il nostro emendamento al giudizio dell’Assemblea.
PRESIDENTE. Non essendo presente l’onorevole Crispo, il suo emendamento si intende ritirato.
Chiedo all’onorevole Presidente della Commissione di esprimere il suo parere sull’emendamento.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non per la lettera e lo spirito dell’emendamento, come è scritto qui, ma appunto perché – come ha detto il nostro Presidente – si stacca dalla proposta della Commissione e devia da quella che è stata l’impostazione fondamentale che la Commissione ha dato a questo articolo 1, la Commissione non accetta l’emendamento.
PRESIDENTE. Procediamo alla votazione dell’emendamento degli onorevoli Coppa e Rodinò Mario, non accettato dalla Commissione, di cui do nuovamente lettura:
«Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, democratico, parlamentare, antitotalitario.
«Suo fondamento è l’unità nazionale.
«Sua mèta la giustizia sociale.
«Sua norma la libertà nella solidarietà umana».
COPPA. Chiedo che l’emendamento sia votato per divisione: in precedenza il primo comma; successivamente gli altri tre insieme.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, la votazione avverrà per divisione.
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Il nostro voto sarà contrario all’emendamento proposto dall’onorevole Coppa. Non spiego le ragioni di merito a sostegno del nostro atteggiamento, limitandomi a precisare che il nostro Gruppo, attraverso tre emendamenti, rispettivamente agli articoli 1, 6 e 7, per i quali anche si propone un diverso ordine, ha espresso il suo pensiero intorno al contenuto che dovrebbero avere questi tre articoli, concepiti come un tutto organico.
PRESIDENTE. Pongo ai voti il primo comma della proposta dell’onorevole Coppa:
«Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, democratico, parlamentare, antitotalitario».
(Non è approvato).
Pongo ai voti gli altri tre commi dell’emendamento:
«Suo fondamento è l’unità nazionale.
«Sua mèta è la giustizia sociale.
«Sua norma è la libertà nella solidarietà umana».
(Non sono approvati).
Passiamo ora agli altri emendamenti, fra i quali i seguenti sono già stati svolti:
Sostituirlo col seguente:
«L’Italia è una Repubblica democratica.
«La Repubblica italiana ha per fondamento essenziale il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori del braccio e della mente all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
«La sovranità risiede nel popolo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.
«Russo Perez».
Sostituirlo col seguente:
«L’Italia si regge a Repubblica democratica.
«La Repubblica italiana ha per fondamento la sovranità popolare e la partecipazione effettiva di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
«Il potere spetta al popolo ed è esercitato nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.
«Condorelli».
Sostituirlo col seguente:
«L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori.
«La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
«Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco».
«Al primo comma, alla parola: democratica, aggiungere le parole: di lavoratori.
«Basso, Targetti, Nenni, De Michelis, Gullo Fausto, Togliatti».
Ove l’aggiunta non sia approvata, sostituire il comma col seguente:
«L’Italia è una Repubblica democratica, che ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale.
«Basso, Bernini, Tardetti, Tonetti, Malagugini, Morandi, Sansone, Amadei, Dugoni, Romita, Fogagnolo, Merlin Angelina, Cacciatore, Lupis».
«Al primo comma, alla parola: democratica aggiungere le parole: una e indivisibile.
«Ruggiero Carlo, Carboni, Preti, Cartia, Paris».
Sostituire il terzo comma col seguente:
«La sovranità si appartiene al popolo.
«Vinciguerra».
Sostituire il terzo comma con il seguente:
«La sovranità risiede nel popolo, che la esercita nei limiti della Costituzione e nelle forme delle leggi.
«Targetti, Merlin Angelina, Basso, Dugoni, Vigna, Fedeli, Barbareschi, Tega, Giua, Tomba, Fogagnolo, Costantini, De Michelis, Malagugini».
Il primo degli emendamenti non ancora svolti è quello dell’onorevole Cortese:
Sostituirlo col seguente:
«L’Italia è una Repubblica democratica.
«La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e garantisce la partecipazione effettiva di tutti i cittadini all’organizzazione economica, politica e sociale del Paese.
«La sovranità appartiene al popolo; nessuna parte del popolo e nessun individuo può attribuirsene l’esercizio.
«La sovranità si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi».
L’onorevole Cortese ha facoltà di svolgerlo.
CORTESE. L’emendamento da me proposto porta tre innovazioni al testo dell’articolo 1° del progetto: due sostitutive e una aggiuntiva.
Sulla sostituzione della frase «appartiene» al posto di «emana», credo che non sia il caso di soffermarsi, essendosi manifestata da più parti l’opinione della inesattezza del termine adottato dal progetto. Si è opportunamente rilevato che i poteri «emanano» dal popolo; la sovranità «appartiene» al popolo.
Col secondo emendamento sostitutivo, lasciandosi intatta la dizione: «La Repubblica ha per fondamento il lavoro», si soggiunge: «e garantisce la partecipazione effettiva di tutti i cittadini alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Io non credo che possa questo emendamento legittimare alcun timore circa una possibile lesione dei diritti dei lavoratori, i quali come cittadini hanno tutti i diritti politici, nonché quegli ampî diritti sociali che la Costituzione contempla, e la cui posizione, nello stesso articolo 1, è resa preminente per il riconoscimento che l’articolo 1 fa del lavoro, quale fattore fondamentale della vita e dello sviluppo della Repubblica.
A proporre questo emendamento io sono stato indotto non solo dal rilievo che ogni Costituzione, com’è naturale, si rivolge al cittadino, ma dall’indicativo discorso dell’onorevole Togliatti e dalle parole pronunciate l’altro ieri dall’onorevole Amendola.
L’onorevole Togliatti ha dichiarato che egli ritiene che la classe politica dirigente italiana pre-fascista sia responsabile dell’avvento del fascismo e della conseguente catastrofe, e che ad essa, fallita e colpevole, è da sostituirsi una nuova classe dirigente: tale giudizio e la congiunta sanzione dovrebbero trasferirsi dal piano politico al piano costituzionale ed in tali sensi dovrebbe interpretarsi l’articolo 1. Poiché è da escludersi che la precedente classe dirigente fosse fatta da oziosi, per modo da doversi sostituire ora con quella dei lavoratori, e poiché è del pari da escludersi che l’onorevole Togliatti abbia ripudiato gli elementi fondamentali della dottrina marxista, io sono preso dal grave timore che con la espressione «classe dirigente precedente» si debba intendere una determinata classe sociale e parimenti la espressione «nuova classe dirigente dei lavoratori» si debba intendere nel senso rigorosamente classista, e cioè con esclusione dalla direzione della cosa pubblica di tutte le altre classi destinate a scomparire, secondo una formula che è tipica del marxismo. E mi sovviene a questo punto il ricordo di uno di quegli slogan fatali e squillanti che l’onorevole Nenni predilige: delenda est borghesia! Traduco: è da distruggere la borghesia! Lo slogan, che ricordo in questo momento, mi induce a pensare che in questo punto s’incontrino l’onorevole Nenni e l’onorevole Togliatti e che quella classe, fallita e responsabile, da estromettere dalla direzione pubblica del Paese, sia proprio la borghesia.
Io, qui, inseguito dalle lancette dell’orologio nel limite di 10 minuti, non intendo fare il processo del passato e dimostrare come la sentenza dell’onorevole Togliatti sia, per lo meno, unilaterale, perché non tiene conto della responsabilità di quei partiti che, agitando per primi miti insurrezionali, disavvezzarono dal rispetto alle istituzioni liberali e dalla legalità, e facendo ricorso alla violenza (Rumori) determinarono le condizioni per quali sorse ed avanzò l’infausto fascismo.
Io mi preoccupo soltanto che l’articolo 1 della nostra Costituzione possa assumere una colorazione classista attraverso la formula contenuta nel primo comma e sancisca il diritto esclusivo d’una classe a dirigere la vita del Paese. E mi piace ricordare qui quanto perspicuamente ha scritto il collega comunista onorevole Marchesi in una sua relazione: «Lo Stato non è costituito dalla maggioranza dei cittadini, ma da tutti i cittadini e non deve essere rappresentante dei più e tollerante dei meno». La classe dirigente politica del Paese non può essere espressa con esclusività da una classe sociale, sia pure essa nobile e numerosa, ma la classe dirigente è quella che si forma attraverso la libera scelta del corpo elettorale.
Ma, onorevoli colleghi, – e vengo al mio ultimo emendamento – io ritengo che un Paese che esce da una dittatura e non vuole cadere in un’altra, mentre ancora tutto grida contro la dittatura subita, senta il bisogno e avverta il dovere di esprimere chiaramente e con fermezza nel primo articolo della Costituzione che democraticamente si dà, di non volere più dittature di destra o di sinistra, di uomini, di gruppi, di classi, di partiti. E non mi si dica che l’emendamento da me proposto sia pleonastico. Forse può essere anche ritenuto tale, ma certo in questa Costituzione vi saranno delle enunciazioni pleonastiche ed enfatiche, e non sarà il caso di respingere proprio quella enunciazione con la quale il popolo italiano esprime solennemente e fermamente la sua volontà avversa ad ogni forma di totalitarismo e di dittatura. Del resto io non propongo nulla di originale: propongo quanto è scritto nel testo approvato della Costituzione della Repubblica francese. Nulla forse è più utile dell’esame comparativo fra i due testi costituzionali francesi: quello respinto dal popolo francese con il referendum e quello approvato dal popolo francese col referendum. Nel testo approvato, a differenza che nell’altro respinto, a proposito della sovranità è detto chiaramente: «Nessuna parte del popolo e nessun individuo può attribuirsene l’esercizio».
Io non credo che in questa Assemblea ci sia qualcuno che possa avere ragioni per opporsi all’inclusione di queste parole nella Costituzione democratica del popolo italiano. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento degli onorevoli Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici, di cui do lettura:
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
L’onorevole Fanfani ha facoltà di svolgerlo.
FANFANI. L’articolo 1 del progetto è stato sottoposto a parecchie critiche, rivelate, del resto, dai varî emendamenti finora proposti. Sul primo comma i colleghi hanno rilevato l’ambiguità, nel momento storico attuale, della parola «democratica», donde i tentativi fatti per conto dei liberali dall’onorevole Crispo, per conto del fronte liberale dell’Uomo Qualunque dagli onorevoli Coppa e Rodinò, per conto dei varî partiti di sinistra dagli onorevoli Basso, Gullo e Togliatti, di accrescere la qualifica «democratica» o in senso parlamentare con qualche aggiunta specificata o, diciamo così, in senso lato laburista, con la qualifica di Repubblica democratica dei lavoratori.
In definitiva si rimprovera alla semplice dizione dell’articolo 1 del progetto di Costituzione di fermarsi ad un’accezione generica e primitiva della democrazia, e si tenta di accrescerla con gli aggiornamenti di recenti conquiste democratiche. Al secondo comma dell’articolo 1 si rimprovera il senso puramente esplicativo che sembra renderlo un po’ fuori posto in quel luogo. Ciò è tanto vero che il demo-cristiano Clerici, in un emendamento poi ritirato, e il liberale Crispo lo posponevano alla materia trattata nel terzo comma, relativo alla sovranità.
Infine, al terzo comma, si rimprovera di essere posposto alla materia del secondo, come risulta dai ricordati emendamenti degli onorevoli Clerici e Crispo.
Sempre al terzo comma, si muove qualche appunto a proposito della dizione, specie in materia di determinazione dei rapporti fra popolo e sovranità.
In conclusione, i colleghi che hanno presentato gli emendamenti e anche gli altri colleghi che in circostanze diverse hanno toccato la materia di questo articolo del progetto, sostengono che l’articolo 1 non è omogeneo, non è proprio, non è sufficientemente sintetico. Tale sarebbe potuto divenire ove il primo comma avesse esaurito in una breve definizione della Repubblica l’enunciato di tutti i caratteri acquisiti dallo Stato dopo le rivoluzioni susseguitesi dal 1789 in poi, aggiungendo anche quei caratteri che nelle più recenti rivoluzioni e nelle aspirazioni attuali dei popoli una Repubblica veramente democratica deve acquistare.
In più si chiedeva e si chiede che la sintetica definizione della Repubblica, contenuta nelle proposte per il primo comma, fosse seguita immediatamente dalla precisazione del detentore della sovranità.
Per raggiungere la perfezione occorrerebbe trovare una formula capace di immettere la sostanza del secondo comma già nel primo comma del primo articolo del progetto.
Queste considerazioni hanno spinto il collega Tosato e me ad una duplice operazione: contrarre i primi due comma in un unico comma e avvicinare, rendendo omogeneo tutto l’articolo, la materia del primo a quella dell’attuale terzo comma.
Così è nato il nostro testo, accettato anche da altri colleghi di gruppi differenti dal nostro, testo, che dice: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
In questa formulazione l’espressione democratica vuole indicare i caratteri tradizionali, i fondamenti di libertà e di eguaglianza, senza dei quali non v’è democrazia. Ma in questa stessa espressione la dizione «fondata sul lavoro» vuol indicare il nuovo carattere che lo Stato italiano, quale noi lo abbiamo immaginato, dovrebbe assumere.
Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d’ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune. L’espressione «fondata sul lavoro» segna quindi l’impegno, il tema di tutta la nostra Costituzione, come si può facilmente provare rifacendosi anche all’attuale formulazione della materia degli articoli 6 e 7 e più ancora degli articoli 30-44, cioè di quegli articoli che costituiscono il Titolo terzo della parte prima del nostro progetto.
Ottenuta quindi una sintetica definizione della Repubblica fondata sulla libertà e sulla giustizia, si apre la strada al concetto della sovranità, concetto svolto nel secondo comma: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». La sostanza del progetto è salva, si è sostituito alla forma «emana» la forma «appartiene», forma sufficiente ad indicare ad un tempo la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità, cioè il popolo.
Nella seconda parte dell’emendamento al comma, si afferma che il popolo esercita la sovranità nella forma e nei limiti della Costituzione, sembrando superfluo aggiungere, come nel progetto, «e delle leggi», dal momento che il riferimento alla Costituzione lascia bene intendere in qual modo l’ulteriore manifestazione di sovranità potrebbe prodursi nel nostro ordinamento costituzionale.
Non sarebbe completa l’espressione dell’emendamento sostitutivo, ove non si avvertisse che la contrazione da noi operata del secondo comma dell’articolo primo del progetto nella semplice espressione «fondata sul lavoro», poteva lasciare scontenti quanti avevano votato – ed io sono tra quelli – nella Commissione dei Settantacinque anche la dizione del progetto circa la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale dello Stato.
Uno Stato si definisce nei suoi caratteri costitutivi e nella sua missione storica. La definizione della nostra Repubblica avviene nel primo comma dell’articolo primo, e se nello stesso articolo fosse compiuto un tentativo di definizione della missione storica della Repubblica, questa definizione in due o tre parole riuscirebbe monca e per ragioni di spazio e di collocazione forse si troverebbe fuori posto e perderebbe forza. Occorre quindi che la definizione della missione storica della nostra Repubblica abbia uno sviluppo adeguato e non si concluda sommariamente in poche parole dell’articolo primo. È per questo motivo che abbiamo pensato di far seguire a quell’articolo primo, così come è da noi suggerito, la materia contenuta negli articoli 6 e 7 del progetto, trasportandola, con opportuni emendamenti rafforzativi e sveltitori, negli articoli due e tre.
In questa maniera riteniamo di poter rafforzare l’indicazione della novità e della missione storica della nostra Repubblica, quale risulta evidentissimamente dal dettato attuale, e ci sembra, ancora più, da quello da noi proposto, degli articoli 6 e 7.
Non leggo questi testi, perché a suo tempo saranno letti e commentati. Basti per il momento averli ricordati, a chiarimento della mia asserzione che, nel complesso, il nuovo testo non indebolirà, ma rafforzerà, l’affermazione sociale e solidaristica dell’attuale articolo 1.
Coll’articolo da noi proposto conserviamo la novità della Repubblica fondata sul lavoro, evitando una dizione, come quella proposta dall’onorevole Basso, la quale, per precedenti storici, per formulazioni teoriche, che non si possono sopprimere, può apparire, a parte della popolazione italiana, classistica e, perciò, può allontanare qualche consenso, che certamente non è superfluo, alla nostra Repubblica, in mezzo alle popolazioni italiane.
E per questo, pur sapendo quale sacrificio possa costare ai nostri colleghi dei partiti, che si ispirano alle definizioni e precisazioni marxiste, possiamo ad essi domandare se, in questa alternativa o di ottenere una immediata precisazione dottrinaria del loro pensiero o rinunziare ad essa ed acquisire nuovi consensi alla forma di questa Repubblica democratica fondata sul lavoro, che noi vogliamo realizzare, non ritengano di rimandare, come essi dicono, ad altra epoca un’ulteriore precisazione in questa materia.
Per questo raccomandiamo l’approvazione del nostro emendamento, rinviando ulteriori precisazioni in sede di dichiarazioni di voto, allorché saranno presentati emendamenti concorrenti a questo. (Applausi al centro).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento dell’onorevole Fabbri, così formulato:
«Al secondo comma sostituire alle parole: il lavoro, le parole: la giustizia sociale, e alla parola, lavoratori, la parola: cittadini».
L’onorevole Fabbri ha facoltà di svolgerlo.
FABBRI. Il mio emendamento si propone semplicemente di eliminare quelli che a me appaiono errori di fatto.
In sostanza, l’affermazione che lo Stato si fonda sul lavoro non ha niente di nuovo e di peregrino; ed in quelle dimensioni in cui questa verità deve essere riconosciuta, essa è sempre stata vera anche in periodi storici completamente diversi da quello attuale.
Anche nel periodo del lavoro schiavista e dello sfruttamento più completo del lavoro, gli Stati, in gran parte, ma non totalmente, si sono sempre basati sul lavoro, il quale è una delle forze più decisive, concorrenti alla organizzazione sociale.
Non si tratta, quindi, di dire una parola nuova né di fare una scoperta. Se noi dobbiamo caratterizzare in qualche modo la nostra Carta costituzionale con una enunciazione, la quale ne richiami le aspirazioni veramente nuove e sulle quali ci si può trovare tutti d’accordo, essa può essere quella della giustizia sociale, che effettivamente, come fondamento dell’organizzazione politica, non si è verificata in tutti i tempi; e noi desideriamo, credo unanimamente, che si realizzi e si introduca con la nuova Costituzione. La mia dicitura quindi, che si riferisce alla sostituzione di una parola, è semplicemente per dire una cosa vera e per sostituire un’aspirazione reale ad una affermazione del tutto banale e per se stessa inconcludente, ove la si privi di questa aspirazione e di questo desiderio di ordine politico, sul quale mi soffermo anche a proposito dell’altro emendamento con cui chiedo che all’espressione «i lavoratori» venga sostituita l’espressione «i cittadini».
Qui non si tratta più, secondo me, di introdurre un’aspirazione, ma si tratta di eliminare una restrizione, perché indiscutibilmente il concetto di lavoratori è preso in considerazione rispetto a quelli che sono i veri soggetti dell’organizzazione politica dello Stato.
Non è giusto, non corrisponde alla verità, implica un errore giuridico e politico, il pretendere di designare la generalità delle persone con l’epiteto di lavoratori, invece che con quello veramente universale ed assoluto e di tutti comprensivo di «cittadini».
Qualunque sia l’organizzazione dello Stato, anche la più socialista, la più comunista che si possa immaginare, gli appartenenti al complesso sociale saranno sempre contemporaneamente e dei lavoratori e delle persone che non lavorano; saranno delle persone che hanno già lavorato e che quindi hanno tutto il diritto di riposarsi, di andare in pensione (Ilarità a sinistra), senza con ciò decadere dai diritti politici; saranno dei fanciulli, i quali hanno pieno diritto di cittadinanza fino dalla nascita; e, se non sembrasse una espressione troppo cerebrale, direi ancora prima della nascita, perché anche i nascituri, quando sono nell’utero materno, sono virtualmente già dei cittadini, a condizione di nascere.
Quindi questa esclusione di vaste categorie di cittadini che non sono lavoratori in atto, la quale non può essere rettificata che dalla dichiarazione dell’onorevole Togliatti il quale ci diceva: «Con l’espressione di lavoratori, noi non intendiamo di escludere nessuno», non è giusta ed io dico che non ci deve essere la necessità di avere un articolo sbagliato nella sua dicitura, il quale poi debba correggersi con la dichiarazione integrativa dell’onorevole Togliatti. Dal momento che una parola ha un contenuto giuridico e politico preciso, qual è quella di cittadini, è essa che è veramente corretta, mentre la parola lavoratori è una parola che implica un concetto di categoria, un concetto di classe, un concetto che si riconnette ad un’interpretazione materialistica della storia alla quale buona parte di questa Camera non accede.
Io ritengo pertanto che debba essere corretto il testo formulato nel progetto e che quindi alla parola «lavoro» e a quella «lavoratori» debbano essere sostituite, come fondamento, la «giustizia sociale», e come titolari dei diritti, i «cittadini» e non soltanto i lavoratori. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. L’onorevole Caroleo ha presentato due emendamenti di cui do lettura:
«Al secondo comma, alle parole: il lavoro, sostituire: la solidarietà del lavoro umano.
«Al terzo comma, alle parole: la sovranità emana dal popolo ed è esercitata, sostituire le altre: la sovranità è del popolo e si esercita».
L’onorevole Caroleo ha facoltà di svolgerli.
CAROLEO. Onorevoli colleghi, il mio primo emendamento è stato suggerito da alcuni rilievi fatti nel corso della discussione generale da molti oratori, e che, per la verità, mi sono sembrati esatti. Il primo rilievo è questo: il lavoro, espresso così nudamente, non potrebbe avere significato concreto, pratico, come fondamento della Repubblica, perché il lavoro è la base necessaria, insopprimibile di ogni convivenza non soltanto umana, ma anche di razze inferiori. Da altra parte si è detto – e a mio avviso anche esattamente – che la dizione «lavoro» non elimina quello che vi è di egoistico, di individualistico nella prestazione dell’opera umana, comunque essa si svolga e si attui. Infine, si è domandato ancora: ma di quale lavoro si intende parlare? Soltanto del lavoro dei contadini? Soltanto del lavoro degli operai? O di tutti i lavoratori? O di tutte le specie di lavoro, e specialmente di quel lavoro intellettuale, che è la più alta prerogativa dell’uomo, e a cui anche i proletari aspirano nel loro intenso, diuturno sforzo di sproletarizzazione?
Ecco perché io ho pensato di completare il concetto, sostituendo alla nuda parola «lavoro» l’altra espressione, che mi sembra più completa, di «solidarietà del lavoro umano». Col concetto di solidarietà si superano tutti gli interrogativi e le dubbiezze di coloro che vedono nella sola parola «lavoro» delle lacune; e con la qualifica di «umano» si supera anche l’interrogativo riferentesi alla particolare natura del lavoro, che dovrebbe essere il fondamento della Repubblica.
A me pare, onorevoli colleghi, che, espressa in questi termini la dizione del fondamento della Repubblica, il concetto si integri e più compiutamente si spieghi quella che veramente deve essere la base della nuova società politica italiana. Solidarietà significa cooperazione, mutualità, assistenza, significa prestazione dell’opera propria, non soltanto per sodisfare delle esigenze egoistiche, ma soprattutto per rispondere a quel dovere di solidarietà sociale che di proposito e giustamente richiede al cittadino l’articolo 6 del nostro progetto di Costituzione. Solidarietà attraverso la quale si può evitare qualunque concetto di sfruttamento dell’uomo sull’uomo; e anche, onorevoli colleghi, quel lavoro domestico, quell’umile lavoro che sembra un avanzo di barbarie, un avanzo di schiavitù, si nobilita attraverso la indicata proposizione, in quanto colui, il quale entra nella famiglia altrui a prestare il proprio lavoro manuale, non si assoggetta servilmente di fronte al suo simile, ma collabora e concentra i suoi sforzi in quel nucleo familiare, che è l’elemento vivo e vitale della nostra Nazione.
PRESIDENTE. Onorevole Caroleo, lei ha presentato anche un secondo emendamento.
CAROLEO. Sì, ma è assorbito dai successivi emendamenti che accolgono il concetto di appartenenza. Io alla parola «appartiene», ho sostituito l’altra «è».
PRESIDENTE. Apprezzo la sua remissione di fronte alla facoltà di parola.
L’onorevole Lucifero ha proposto il seguente emendamento:
«Al terzo comma, alle parole: La sovranità emana dal popolo, sostituire: La sovranità risiede nel popolo».
L’onorevole Lucifero ha facoltà di svolgerlo.
LUCIFERO. Avrei potuto anche rinunciare alla parola e risparmiarmi l’incubo della clessidra del Presidente, che per me non si vuoterà certamente. Ormai non siamo più abituati a vederla che su certe immagini infernali; tanto più volevo rinunciare alla parola in quanto io già accennai a questo emendamento, e trovai un riscontro nelle affermazioni dell’onorevole Togliatti, che in un primo momento a questo mio emendamento non si era dimostrato favorevole, e tanto più poi che nelle successive formule che sono state già presentate, vi è stato un passo verso il concetto che io sostengo trasformando quell’«emana» (che secondo l’onorevole Conti sapeva di profumo) nel termine «appartiene», che è più esatto.
Può sembrare la questione sottile, ma è una questione concettuale; e diventa una questione sostanziale quando si pensa alla esperienza dalla quale siamo usciti, cioè quando si pensa che ad un certo punto ci siamo trovati di fronte a gente che si è sentita delegare dei poteri popolari, li ha assunti e non li ha restituiti più se non attraverso quella tragedia che abbiamo tutti vissuto. Quindi credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo costantemente risiede. Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».
Gli organi attraverso i quali la sovranità o i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
Quell’«emana», originario, dà il senso di una sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano; quell’«appartiene» dà un senso di proprietà; mentre il termine «risiede» consolida il possesso, non la proprietà. Il popolo, cioè, rimane possessore di questa che è la suprema potestà democratica.
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un’altra. Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni. Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un’affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l’avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia. (Applausi a destra).
PRESIDENTE. Segue l’emendamento proposto dagli onorevoli Carboni, Villani, D’Aragona, Persico, Preti, Binni.
«Al terzo comma, alle parole: emana dal popolo, sostituire: appartiene al popolo».
L’onorevole Carboni ha facoltà di svolgerlo.
CARBONI. Non ho bisogno di spiegare le ragioni dell’emendamento presentato da me e dai miei amici, perché il concetto in esso affermato sembra ormai condiviso dall’Assemblea, in quanto che parecchi altri emendamenti presentati da varie parti dell’Assemblea coincidono nella proposta di sostituire le parole «appartiene al popolo» alle parole «emana dal popolo». Alcuni emendamenti esprimono lo stesso concetto con parole diverse, come ad esempio quello che dice: «La sovranità è del popolo».
Non ho bisogno di attardarmi ad esporre lo ragioni del nostro emendamento, perché esse sonò già state spiegate da oratori che mi hanno preceduto.
Voglio fare soltanto una breve osservazione in merito a quanto diceva poco fa l’onorevole Lucifero, il quale, mentre aderisce al nostro concetto informatore, che è quello di fissare nella nuova Costituzione il principio della sovranità popolare, come reazione alle degenerazioni assolutistiche che si ebbero nel periodo fascista, preferisce la dizione «risiede nel popolo». E l’onorevole Lucifero spiegava questa sua preferenza, trasferendo, adattando alla materia costituzionale un principio, direi, di diritto privato, cioè facendo la differenza tra il diritto di proprietà e il diritto di possesso.
Dice l’onorevole Lucifero: interessa fissare nella Costituzione il possesso, anziché la proprietà, perché il possesso, è qualche cosa di più vivace, è qualche cosa di più importante della proprietà.
A noi sembra, invece, che interessi scolpire esattamente il principio dell’appartenenza della sovranità al popolo, di cui il possesso nel popolo è l’aspetto esteriore (Interruzione dell’onorevole Lucifero), e conseguenziale. La formula «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita, ecc.» contiene in sé anche il concetto che essa risiede nel popolo. Quando avremo fissato nella Costituzione il principio dell’appartenenza, avremo stabilito non solo che la sovranità è del popolo, ma anche – implicitamente ma necessariamente – che nel popolo essa risiede. Perciò sollecitiamo dall’Assemblea l’approvazione della nostra proposta.
PRESIDENTE. L’onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:
«Al terzo comma, alle parole: nei limiti della Costituzione e delle leggi, aggiungere: ad essa conformi».
PERASSI. Non insisto.
PRESIDENTE. È stato presentato dagli onorevoli La Malfa, Macrelli, Sardiello, De Vita, Martino Gaetano, Codignola, Molè, Magrini, Natoli, Azzi, Chiostergi, Silone, Conti e Bernabei il seguente emendamento:
«Sostituire al primo comma il seguente: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro; sopprimere, in conseguenza, il secondo comma».
L’onorevole La Malfa ha facoltà di svolgerlo.
LA MALFA. Onorevoli colleghi, io e gli altri firmatari dell’emendamento ci troviamo di fronte a due manifestazioni circa il primo comma dell’articolo 1, le quali, a nostro giudizio, hanno un diverso, se non contrastante, significato.
Vi è un emendamento a firma degli onorevoli Basso ed altri che suggerisce l’aggiunta delle parole «di lavoratori» a «Repubblica democratica». Credo che il Gruppo repubblicano non avrà nessuna difficoltà ad accettare questo emendamento se venisse in votazione, il gruppo interpretando l’aggiunta «di lavoratori» in un senso, direi, democratico e aclassista. Tuttavia, l’inconveniente che presenta questo emendamento è che potrebbe dare un carattere un po’ troppo soggettivo alla Repubblica, e potrebbe in certo senso richiamare esperienze storiche di grandissimo valore, ma che non sono esattamente la nostra esperienza politica democratica attuale.
D’altra parte, qualche minuto fa il collega Fanfani illustrava un suo importante emendamento che suona così: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Anche questo emendamento a noi pare non pertinente. «Fondata sul lavoro» è una frase di assai scarso contenuto. Da un punto di vista costituzionale vuol dire assai poco: introduce questo concetto del lavoro, ma l’introduce con una genericità che si presta a molti equivoci. Il giorno in cui votassimo questa dizione, e potremmo votarla tutti quanti, non avremmo detto molto. Ciascuno, votandola potrebbe riempirla del contenuto ideologico e politico che gli è più proprio.
Ecco in brevi parole la ragione del nostro emendamento. Si è detto: l’Italia è una. Repubblica democratica. Ora questa dizione ha dato luogo a molte discussioni in seno all’Assemblea. Come osservava un collega, l’espressione Repubblica democratica, se dovesse rimanere tale e quale, non sarebbe qualificata da nessun punto di vista. Si può pensare che si dice «democratica» per ragioni di carattere generale.
Il nostro sforzo è consistito nel dare a questa espressione «L’Italia è una Repubblica democratica» due fondamenti istituzionali ben certi e sicuri. Abbiamo detto: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà – e credo che nessuno in questa Assemblea voglia negare questo fondamento – e sui diritti del lavoro. Questa è la parte costituzionalmente nuova del nostro progetto.
Si potrà obbiettare che viene dato valore costituzionale non solo ai diritti di libertà, ma anche ai diritti del lavoro. Ma è appunto questo scopo che abbiamo voluto raggiungere. Questa è la parte viva, nuova, fresca, socialmente avanzata, della Costituzione.
Noi abbiamo oggettivato il significato del lavoro nella vita politica, economica e sociale dell’Italia democratica. Parlando di diritti del lavoro diamo a questo concetto un valore istituzionale, che non è dato per esempio quando parlassimo di una «Repubblica democratica di lavoratori».
All’articolo 1, cioè, con questa specificazione noi, in un certo senso, anticipiamo e riassumiamo tutti i diritti fondamentali che si trovano sparsi in altri titoli del progetto.
Abbiamo rapporti civili, etico-sociali, economici, ecc., ma quando noi parliamo di diritti di libertà e del lavoro, fissiamo la Costituzione su due termini estremamente precisi. Definendo come noi vogliamo definire la Repubblica democratica, riassumiamo nella definizione i tratti più caratteristici della Costituzione. Del resto, una definizione è dire in brevissime parole quella che è la sostanza di una trattazione, in questo caso quella che è la struttura stessa della Costituzione.
Noi diciamo diritti di libertà e del lavoro ed anticipiamo istituti e diritti che sono specificati in molti articoli e parti della Costituzione. Definiamo la Repubblica, fissando istituzionalmente e costituzionalmente i due concetti fondamentali che ne sono a base.
Ritornando su un concetto che ho enunciato nella discussione sulle elezioni in Sicilia, osservo che la Costituzione è una costruzione architettonica che deve prescindere, in certo senso, dall’equilibrio contingente delle forze politiche e proiettarsi nel futuro. Ora, il fatto che diciamo che la Repubblica democratica italiana è fondata sui diritti di libertà e di lavoro ha lo scopo di fissare questa costruzione non solo rispetto all’equilibrio politico attuale, ma rispetto allo svolgimento futuro e ciò allo scopo di dare un senso di stabilità e di continuità, di sicurezza e di obiettività alla nostra Costituzione. Sono questi i motivi che ci hanno indotto alla presentazione dell’emendamento e che ci suggeriscono di richiamare su esso l’attenzione dei colleghi. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Tutti gli emendamenti all’articolo 1 sono stati così svolti.
AMENDOLA. Dovrei svolgere il mio.
PRESIDENTE. Ella ha parlato, in sede di discussione generale, sulla «Repubblica dei lavoratori», e quindi ha svolto l’emendamento presentato, e non posso concederle di parlare una seconda volta. Io parto dal presupposto che chi parla nella discussione generale, svolge già gli emendamenti che presenta.
Non essendo presente l’onorevole Russo Perez, s’intende che abbia ritirato il suo emendamento.
Prima di passare alla votazione degli altri emendamenti, chiedo al Presidente della Commissione di esprimere su di essi il suo avviso.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io rispetterò la regola della clessidra: parlerò meno di dieci minuti, per quanto debba pronunciarmi su molti emendamenti, perché credo che ormai sia l’ora della concretezza e occorra abbandonare le considerazioni generali.
Di tutte le proposte fatte ve n’è una che ha un valore pregiudiziale, ed è quella di trasferire la materia degli articoli 6 e 7 immediatamente dopo l’articolo 1, cosicché diventino articoli 2 e 3. La Commissione non ha nulla da opporre a questa proposta che tende a fissare subito, nei suoi lineamenti costitutivi ed essenziali, il volto della Repubblica.
Veniamo ora ai vari emendamenti. L’onorevole Cortese, in sostanza, nel suo emendamento propone due cose nuove. La prima si riferisce alla sostituzione dell’espressione che era usata nel progetto di «la sovranità emana dal popolo» con l’espressione «appartiene al popolo». La seconda proposta riguarda l’aggiunta: «Nessuna parte del popolo, nessun individuo può esercitare da solo la sovranità». Questi sono i due punti nuovi della proposta Cortese.
Sul primo punto io risponderò insieme agli altri colleghi che domandano di sostituire la parola «emana». Devo dichiarare che la Commissione si era trovata pressoché unanime nello scegliere questa espressione «emana dal popolo», e ciò non per criteri di natura politica, ma perché riteneva che la formula adottata fosse sufficiente ad indicare l’esigenza da me, da noi insistentemente reclamata di affermare il principio della sovranità popolare, senza di cui non vi può essere ordinamento democratico. Ogni silenzio al riguardo sarebbe apparso un regresso di fronte alle stesse Costituzioni ottocentesche. La Commissione pensava che l’esigenza fosse pienamente rispettata dalla dizione che la sovranità «emana» dal popolo. D’altra parte sembrava che tale dizione potesse armonizzare con la concezione giuridica per cui lo Stato è sovrano, in quanto la sua sovranità emana dal popolo. Non abbiate nessuna paura che io insista sopra posizioni e finezze teoriche. Quando è stato espresso da qualche parte il dubbio che fosse più opportuno adottare un’espressione più larga perché «emana» poteva lasciar supporre che della sovranità potesse venir investito un gruppo od un uomo, che la captasse e staccasse dal popolo, allora, anche se il dubbio appariva non ben fondato, la Commissione non si è opposta ad adottare un’altra espressione. Vi sono molti verbi; potete scegliere voi! Non credo che vorrete fare una discussione letteraria o dar ragione ai critici che ci accusano di bizantineggiare. Di verbi potrei fare un elenco: appartiene, risiede, spetta, è, e così via. Sono meno dinamici di «emana», ma hanno il vantaggio, se tale vi sembra, d’indicare che la sovranità resta nel popolo. Sceglietene uno. Negli emendamenti proposti ne sfilano specialmente due: «appartiene» e «spetta». Lasciamo stare le analogie e le questioni di appartenenza, di proprietà, di possesso, che sono state fatte. Alla Commissione non dispiace nessuno dei due verbi. Poiché «appartiene» ha avuto una adesione più larga, negli emendamenti, ed è termine usato in altre Costituzioni, la Commissione non ha difficoltà di accettarlo.
La seconda proposta dell’onorevole Cortese è di aggiungere che «nessuna parte del popolo e nessun individuo può esercitare i diritti di sovranità che spettano al popolo tutta insieme». Egli stesso ha confessato che questa proposizione può apparire pleonastica. Essa è implicita nello stesso concetto di democrazia, che comprende, per una necessità logica, tutto il popolo e non una parte di esso, od un uomo solo; con che, come è elementare, vi sarebbero altre forme classiche di governo. È vero che la Costituzione francese ha nel suo articolo 3 una frase analoga a quella proposta dall’onorevole Cortese; ma tale articolo entra in altri dettagli: come si esercita la sovranità, per mezzo di referendum o di rappresentanti; come può essere modificata e così via; è un articolo piuttosto lungo. La Commissione ha ritenuto opportuno dare nel suo primo articolo un’espressione più semplice e drastica, non specificando particolari che risultano da tutto l’insieme della Costituzione. Ecco perché non saremmo favorevoli ad accogliere l’emendamento Cortese nella sua seconda parte.
Veniamo alle questioni più diffuse e più importanti, che vertono con una gamma di variazioni sul concetto di lavoro.
Onorevoli colleghi, coloro che hanno trovato che tutto il nostro progetto è un compromesso debbono constatare che qui il compromesso non c’è. Qui si tratta di tendenze che si sono delineate; io ne riferirò fedelmente come un notaio e voi potrete e dovrete scegliere. Mi è caro affermare che, prima delle divergenze, vi è stata un’idea ed una volontà comune: è necessario in una Carta costituzionale stabilire fin da principio che, oltre alla democrazia puramente politica, base di un nostro periodo glorioso di civiltà costituzionale, si deve oggi realizzare una democrazia sociale ed economica. Questo è il dato caratteristico che colorisce una nuova fase di storia. Nel testo della Commissione sul primo articolo sono ribaditi due concetti: della sovranità popolare, che è l’eredità del principio democratico come è giunto a noi; e la nuova aggiunta dell’elemento «lavoro». Si dice che è concetto indefinito. Ma vi sono altre nozioni fondamentali nelle Costituzioni che possono essere tacciate di indefinitezza. Pensate che cosa si soleva dire nel 1789 degli «immortali principî»; eppure hanno avuto una portata effettiva e concreta.
La Commissione è stata quasi unanimemente concorde nella necessità di accentuare questo aspetto nuovo della democrazia, che tiene conto dell’avanzarsi delle forze del lavoro. Vi è stato un dissenso, un nobile dissenso, manifestato con molta lealtà dall’onorevole collega Fabbri, nostro prezioso collaboratore in altre questioni. Egli non accoglie la nuova orientazione democratica; e vuol parlare di cittadini invece che di lavoratori. È chiaro il contrasto col senso della Commissione, che quindi non può accogliere il suo emendamento.
Altro è delle proposte che sono state avanzate da varie parti, che sono, direi quasi, coloriture e sfumature di un concetto comune.
Quanto alla proposta dell’onorevole Caroleo che parla di solidarietà del lavoro, a noi sembra che, mentre la solidarietà rientra nella stessa affermazione del lavoro, d’altro lato diminuisce il carattere e il significato che vogliamo darle.
Si presentano a voi, onorevoli colleghi, tre formule, fra le quali dovrete scegliere: prima, Repubblica di «lavoratori»; seconda, «fondata sul lavoro»; terza – presentata ora dall’onorevole La Malfa – «fondata sui diritti di libertà e del lavoro».
Io, ripeto, farò il notaio. «Repubblica di lavoratori»: chi ha sostenuto tale espressione, le ha dato un significato larghissimo ed umano, comprendendovi ogni sorta di lavoro, non soltanto manuale, salariato, ma anche intellettuale, di professionisti; e taluno ha aggiunto, perfino, lavoro dell’imprenditore, in quanto è lavoratore qualificato che organizza la produzione, senza privilegi e senza parassitismi. La parola «lavoratore» perde così – riferisco il pensiero di chi sostiene la prima tesi – il carattere classista; come del resto risulta dalla definizione del lavoro che dà l’articolo 3, parlando del dovere del lavoro; e dalle modifiche che la Commissione proporrà agli articoli 36 e 43, in modo che la stessa parola non sia adoperata in un senso più ristretto. Si è detto: lasciate che il significato di «lavoratore» si slarghi ed acquisti un valore aclassista che potrà raccogliere molte correnti. Anche l’onorevole Russo Perez propone che si dica «lavoratori del braccio e della mente». Non si comprende come gli imprenditori ed i lavoratori della mente abbiamo interesse a ricusare il nome di lavoratori.
Questa è prima formula, di cui vi ho riassunto le origini e la portata. La seconda formula – dell’emendamento Fanfani – si preoccupa che, malgrado ogni diversa intenzione, la dizione «lavoratori» possa far sorgere qualche equivoco, qualche impressione ristretta ed essere interpretata anche fuori d’Italia come un accostamento del nostro regime economico a forme che sorsero, come gestione di operai e di contadini, a base classista e collettivista. Il fondamento del lavoro, nel pensiero dell’onorevole Fanfani e degli altri firmatari della proposta, è sufficiente a caratterizzare il nuovo aspetto della democrazia, non soltanto politico, ma anche economico e sociale a cui, anche in questa seconda formula, si vuol rendere l’omaggio più sincero.
Ultima proposta, presentata ora, è quella dell’onorevole La Malfa. Egli ha detto: noi accogliamo in pieno il significato che si deve dare nella nuova Costituzione ad una democrazia basata sul lavoro; desideriamo aggiungere l’elemento «libertà», non perché contraddica, ma perché completi ed equilibri; riunisca il passato e l’avvenire; e stabilisca i due piloni, sui quali si deve edificare la nuova civiltà.
Ho finito il mio compito di notaio. Avete davanti a voi queste tre espressioni; potete scegliere.
Dirò da ultimo che, nella proposta di trasposizione degli articoli 6 e 7 ad articoli 2 e 3, è implicita anche una trasposizione d’una parte dell’articolo 1, che riguarda «la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese». L’onorevole Fanfani ed i suoi colleghi ritengono che mettendo questo tratto alla fine del quadro che traccia la fisionomia della Repubblica, si acquista maggior efficacia; l’espressione di «rimuovere gli ostacoli» che si frappongono alla partecipazione integrale dei lavoratori è più forte, essi dicono, che un’espressione generica, usata in principio. Nel quale rilievo altri non consentono: gli onorevoli Basso e Targetti temono che, togliendola dal frontone del primo articolo, che resterebbe mutilato, la proposizione non acquisti, ma perda di vigore. Sono due punti di vista, fra cui è dato scegliere.
Concludo: la Commissione, mentre non crede opportuno accettare gli altri emendamenti, non si oppone a che si dica: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita…»; ma si rimette all’Assemblea, perché si tratta di varie tendenze, per le tre proposte: «Repubblica di lavoratori», «Repubblica fondata sul lavoro», «Repubblica fondata sui diritti della libertà e del lavoro».
PRESIDENTE. Vari emendamenti riguardano il primo comma dell’articolo 1:
«L’Italia è una Repubblica democratica».
Penso che siano da porre in votazione quegli emendamenti che considerano questo comma a sé stante e lo modificano.
Pongo, pertanto, in votazione il primo comma dell’emendamento Condorelli, del seguente tenore:
«L’Italia si regge a Repubblica democratica».
(Non è approvato).
Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento presentato dagli onorevoli Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco:
«L’Italia è una repubblica democratica di lavoratori».
Identico emendamento è stato presentato dagli onorevoli Basso, Targetti, Nenni, De Michelis, Gullo Fausto, Togliatti.
È stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Grieco, Corbi, Longo, Ricci, Scoccimarro, Ravagnan, Musolino, Bardini, Li Causi, Pajetta Gian Carlo, Mattei Teresa, Assennato, Negro, Pratolongo, Pellegrini.
PACCIARDI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PACCIARDI. Onorevoli colleghi, la proposta di emendamento dell’amico e collega La Malfa…
PRESIDENTE. Onorevole Pacciardi, noi stiamo trattando dell’emendamento posto in votazione.
PACCIARDI. Appunto, onorevole Presidente. Dicevo dunque che, nel caso in cui l’Assemblea non accettasse l’emendamento proposto dagli onorevoli Amendola ed altri e dall’onorevole Basso e altri, emendamento consistente nell’espressione «Repubblica democratica di lavoratori», noi proporremmo all’Assemblea di votare l’emendamento dell’onorevole La Malfa.
Ma il gruppo repubblicano concorde aderisce a votare la formula proposta dagli onorevoli colleghi che ho testé nominati: «L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori». (Applausi a sinistra).
Debbo dire che sono stato pregato dai segretari dei Gruppi del Partito socialista dei lavoratori italiani, del Partito democratico del lavoro e del Partito d’azione, di parlare anche a loro nome, perché anch’essi intendono associarsi a questa formula proposta dagli onorevoli colleghi dell’estrema sinistra.
È mia opinione, e non da oggi, che se qualcuno di noi potesse sempre rappresentare l’opinione comune di questi settori, la situazione politica italiana si evolverebbe notevolmente. (Vivi applausi a sinistra).
Io spero di riuscirvi e vi dirò subito, con il collega La Malfa, che se i colleghi presentatori di questo emendamento avessero voluto dare alla loro formula un significato classista, nel senso stretto di questa parola, nel senso che si dà dottrinalmente a questa parola, noi non l’avremmo approvata. I colleghi presentatori dell’emendamento ne hanno sottolineato il significato. Il fatto che l’espressione «Repubblica democratica» precede l’attributo «di lavoratori» toglie ogni dubbio al significato di questa dizione: non si tratta di una Repubblica classista, si tratta di una Repubblica democratica.
Per noi, onorevoli colleghi, la Repubblica non è, e nella nostra concezione non è mai stata, un mero cambiamento di forma, un mero cambiamento di insegne o di francobolli; per noi la Repubblica è una profonda trasformazione della vita collettiva, della vita associata della Nazione, nel senso politico, nel senso economico e sociale, nel senso morale. Come noi vogliamo la Repubblica libera nei suoi ordinamenti politici, libera, cioè snodata, cioè decentrata, cioè autonomistica; libera, cioè che tenda ad avvicinare lo Stato al popolo, anzi che metta lo Stato al servizio del popolo, anziché il popolo al servizio dello Stato, così noi vogliamo una Repubblica giusta nei suoi ordinamenti economici e sociali. «Repubblica di lavoratori» nella nostra concezione vuol dire che la legislazione futura della Repubblica non sarà una legislazione per gli oziosi e per i parassiti: sarà una legislazione per i lavoratori, per tutti i lavoratori; i lavoratori del braccio, i lavoratori del pensiero, i lavoratori di ogni categoria: i contadini come gli operai, gli artigiani come i piccoli proprietari, gli impiegati, gli artisti, i professionisti, tutti coloro insomma che vivono del proprio lavoro e che non sfruttano il lavoro altrui. La Repubblica, cioè, deve essere fondata sul lavoro, deve onorare il lavoro, deve essere presidiata e difesa dalle classi più numerose e più benemerite della popolazione, che sono le classi lavoratrici, e deve portare i lavoratori alla ribalta della nostra storia.
Votando così, onorevoli colleghi, noi siamo certi di interpretare il pensiero della Scuola repubblicana italiana e del suo più degno e conosciuto alfiere: Giuseppe Mazzini. Certo che non è il Mazzini di maniera, deformato dalle classi reazionarie, e qualche volta non compreso e financo deriso dai partiti operai: è il Mazzini autentico, il quale, non in frammenti ricercati faticosamente nei suoi scritti, ma nell’opera sua classica: I doveri dell’uomo, da tutti conosciuta così si esprime: «La rivoluzione che si avvicina dovrà fare per il proletario, cioè per le classi popolari, per gli uomini del lavoro, ciò che le rivoluzioni passate fecero per i borghesi, per le classi medie, per gli uomini del capitale: lavoro per tutti, ricompensa proporzionata per tutti; ozio e fame per nessuno. Il grande pensiero sociale che fermenta oggi in Europa, allora, può così definirsi: abolizione del proletariato; emancipazione dei lavoratori dalla tirannide del capitale concentrato in un piccolo numero di individui; all’emancipazione dello schiavo tenne dietro quella del servo, e quella del proletario deve seguirle».
Forse insegno qualche cosa anche ai miei colleghi di sinistra, che sono così abituati a spregiare talvolta la Scuola sociologica dei repubblicani. (Commenti – Rumori a sinistra).
«Il progresso della mente umana rovesciava per mezzo del patriziato il privilegio dispotico della monarchia; per mezzo della borghesia, il privilegio della nobiltà del sangue; e rovescerà, per mezzo del popolo, della gente del lavoro, i privilegi della borghesia proprietaria e capitalista, nel giorno in cui la società, fondata sul lavoro, non riconoscerà privilegi se non quelli dell’intelletto virtuoso, intelligente, ecc.». (Commenti).
Noi siamo certi, votando gli emendamenti dei colleghi dell’estrema sinistra, di interpretare il pensiero della nostra Scuola. L’annunziatore e profeta dell’Italia moderna vive più che mai nella nostra coscienza. (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Io desidero ricordare che la dichiarazione di voto non significa ripresa della discussione.
BRUNI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUNI. Io giudico la formula di questo emendamento del tutto serena e concreta, in quanto si riallaccia espressamente ai soggetti del lavoro. Per questa ragione la preferisco alla formula proposta dall’onorevole Fanfani. Mi sia lecito chiarire che al termine «lavoratori» noi non intendiamo dare un significato esclusivamente economico, ma principalmente spirituale. Lavoratore è per noi colui che, attraverso la sua opera, esercita anche i suoi più alti doveri verso se stesso e verso i suoi simili. Naturalmente io, come cristiano sociale, non do un significato discriminativo classista o materialista all’emendamento proposto. (Applausi a sinistra).
GRONCHI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRONCHI. Sarebbe superflua una nostra dichiarazione di voto; ma poiché essa è venuta da altre varie parti dell’Assemblea, è utile che anche noi chiariamo brevissimamente il nostro pensiero. Le parole, egregi collegi, sono quelle che sono, ed hanno una accezione comune, la quale è inutile ed illogico negare, come è illogico negare che la parola «lavoratori» ha, anche contro la volontà dei proponenti, un significato classista, tanto è vero che sia l’onorevole Pacciardi, come l’onorevole Bruni, hanno dovuto dare una loro interpretazione. (Commenti).
L’onorevole Fanfani ha spiegato le ragioni per cui noi preferiamo la nostra dizione «fondata sul lavoro», la quale traduce quello che è il punto fondamentale del nostro programma: la preminenza del lavoro senza equivoci, e chiarisce anche in questa particolare discussione la nostra posizione politica. (Applausi al centro).
Presidenza del Vice Presidente PECORARI
Votazione nominale.
PRESIDENTE. Procediamo alla votazione nominale. Estraggo a sorte il nome del Deputato dal quale comincerà la chiama.
(Esegue il sorteggio)
Comincerà dall’onorevole La Pira.
Invito l’onorevole Segretario a fare la chiama.
SCHIRATTI, Segretario, fa la chiama.
Rispondono sì:
Allegato – Amadei – Amendola – Assennato – Azzi.
Baldassari – Barbareschi – Bardini – Bargagna – Barontini Anelito – Barontini Ilio – Basile – Bassano – Basso – Bei Adele – Bellusci – Bennani – Bernabei – Bernamonti – Bernini Ferdinando – Bianchi Bianca – Bianchi Bruno – Bianchi Costantino – Bibolotti – Binni – Bitossi – Bocconi – Boldrini – Bolognesi – Bonomelli – Bordon – Bosi – Bruni – Bucci – Buffoni Francesco.
Cacciatore – Cairo – Caldera – Calosso – Camangi – Canepa – Canevari – Caporali – Caprani – Carboni – Carpano Maglioli – Cartìa – Cavallotti – Cerreti – Cevolotto – Chiostergi – Cianca – Codignola – Colombi Arturo – Conti – Corbi – Cosattini – Costa – Costantini – Cremaschi Olindo.
D’Amico Michele – D’Aragona – De Filpo – Della Seta – De Mercurio – De Michelis Paolo – De Vita – Di Gloria – Di Vittorio – D’Onofrio – Dozza – Dugoni.
Faccio – Fantuzzi – Faralli – Farina Giovanni – Farini Carlo – Fedeli Aldo – Fedeli Armando – Ferrari Giacomo – Fietta – Filippini – Fiorentino – Fioritto – Flecchia – Foa – Fogagnolo – Fornara.
Gallico Spano Nadia – Gavina – Gervasi – Ghidetti – Ghidini – Giacometti – Giua – Gorreri – Grazi Enrico – Grazia Verenin – Grieco – Grilli – Gullo Fausto – Gullo Rocco.
Iotti Leonilde.
Jacometti.
Laconi – La Malfa – Lami Starnuti – Landi – La Rocca – Leone Francesco – Li Causi – Lizzadri – Lombardi Riccardo – Lombardo Ivan Matteo – Longhena – Longo – Lopardi – Lozza – Lupis – Lussu.
Macrelli – Maffi – Magnani – Magrini – Malagugini – Maltagliati – Mancini – Marchesi – Mariani Enrico – Martino Enrico – Massini – Massola – Mastino Pietro – Mattei Teresa – Matteotti Matteo – Mazzei – Merighi – Merlin Angelina – Mezzadra – Minella Angiola – Minio – Modigliani – Molè – Molinelli – Momigliano – Montagnana Mario – Montagnana Rita – Montalbano – Montemartini – Morandi – Moranino – Morini – Moscatelli – Musolino – Musotto.
Nasi – Natoli Lamantea – Negarville – Negro – Nobile Umberto – Nobili Oro – Noce Teresa – Novella.
Pacciardi – Pajetta Gian Carlo – Pajetta Giuliano – Paolucci – Parri – Pellegrini – Pera – Perassi – Persico – Pertini Sandro – Pesenti – Piemonte – Pieri Gino – Pistoia – Platone – Pollastrini Elettra – Pratolongo – Preti – Preziosi – Priolo – Pucci.
Ravagnan – Reale Eugenio – Ricci Giuseppe – Romita – Rossi Giuseppe – Rossi Maria Maddalena – Ruggeri Luigi – Ruggiero Carlo – Ruini.
Saccenti – Sansone – Sardiello – Scarpa – Schiavetti – Scoccimarro – Scotti Francesco – Secchia – Sereni – Sicignano – Silipo – Silone – Stampacchia.
Taddia – Targetti – Tega – Togliatti – Tomba – Tonello – Tonetti – Tremelloni.
Valiani – Varvaro – Vernocchi – Veroni – Vigna – Vigorelli – Villani – Vinciguerra – Vischioni.
Zanardi – Zannerini – Zappelli – Zuccarini.
Rispondono no:
Abozzi – Adonnino – Alberti – Aldisio – Ambrosini – Andreotti – Angelini – Angelucci – Arcaini – Arcangeli – Avanzini.
Bacciconi – Balduzzi – Baracco – Bastianetto – Bazoli – Bellato – Belotti – Bencivenga – Benedettini – Benvenuti – Bergamini – Bertini Giovanni – Bertola – Bertone – Bettiol – Biagioni – Bianchini Laura – Bonino – Bonomi Paolo – Bosco Lucarelli – Bovetti – Braschi – Brusasca – Bubbio – Bulloni Pietro – Burato.
Caccuri – Caiati – Campilli – Camposarcuno – Candela – Cappa Paolo – Cappelletti – Cappi Giuseppe – Capua – Carbonari – Carignani – Caroleo – Caronia – Carratelli – Caso – Cassiani – Castelli Edgardo – Castelli Avolio – Cavalli – Chatrian – Chieffi – Ciampitti – Ciccolungo – Cicerone – Cimenti – Cingolani Mario – Clerici – Codacci Pisanelli – Colitto – Colombo Emilio – Colonnetti – Conci Elisabetta – Condorelli – Coppa Ezio – Coppi Alessandro – Corbino – Corsanego – Cortese – Cotellessa – Cremaschi Carlo.
De Caro Gerardo – De Gasperi – Del Curto – Delli Castelli Filomena – De Maria – De Michele Luigi – De Palma – De Unterrichter Maria – Di Fausto – Dominedò – Dossetti.
Ermini.
Fabbri – Fabriani – Falchi – Fanfani – Fantoni – Federici Maria – Ferrarese – Ferrano Celestino – Ferreri – Firrao – Foresi – Franceschini – Fresa – Froggio – Fuschini – Fusco.
Gabrieli – Galioto – Garlato – Germano – Geuna – Giacchèro – Giordani – Gonella – Gortani – Gotelli Angela – Grassi – Gronchi – Guariento – Guerrieri Emanuele – Guerrieri Filippo – Gui – Guidi Cingolani Angela.
Jacini – Jervolino.
La Pira – Lazzati – Leone Giovanni – Lettieri – Lizier – Lucifero.
Malvestiti – Mannironi – Manzini – Marazza – Marconi – Marina Mario – Marinaro – Martinelli – Martino Gaetano – Marzarotto – Mastino Gesumino – Mastrojanni – Mattarella – Mazza – Meda Luigi – Medi Enrico – Mentasti – Merlin Umberto – Miccolis – Micheli – Monterisi – Monticelli – Montini – Moro – Mortati – Mùrdaca – Murgia.
Nicotra Maria – Notarianni – Numeroso.
Orlando Camillo.
Pallastrelli – Pastore Giulio – Pat – Patricolo – Patrissi – Pecorari – Pella – Pellizzari – Penna Ottavia – Perrone Capano – Petrilli – Piccioni – Pignedoli – Ponti – Proia – Puoti.
Quarello – Quintieri Adolfo – Quintieri Quinto.
Raimondi – Rapelli – Reale Vito – Recca – Rescigno – Restagno – Riccio Stefano – Rivera – Rodinò Mario – Rognoni – Romano – Roselli – Rubilli – Rumor.
Salizzoni – Salvatore – Sampietro – Sartor – Scalfaro – Scelba – Schiratti – Scoca – Scotti Alessandro – Segni – Selvaggi – Siles – Spataro – Stella – Storchi – Sullo Fiorentino.
Tambroni Armaroli – Taviani – Terranova – Tessitori – Tieri Vincenzo – Titomanlio Vittoria – Togni – Tosato – Tosi – Tozzi Condivi – Trimarchi – Tripepi – Tupini – Turco.
Uberti.
Valenti – Vallone – Valmarana – Vanoni – Venditti – Viale – Vicentini – Vigo – Vilardi – Villabruna – Volpe.
Zaccagnini – Zerbi – Zotta.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione nominale e invito gli onorevoli Segretari a procedere al computo dei voti.
(Gli onorevoli Segretari numerano i voti).
Presidenza del Presidente TERRACINI
Risultato della votazione nominale.
PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione nominale sull’emendamento presentato dagli onorevoli Amendola e altri:
Presenti e votanti 466
Maggioranza 234
Hanno risposto sì 227
Hanno risposto no 239
(L’Assemblea non approva).
Si riprende la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Gli emendamenti che seguono sono intonati al criterio di collegare fra loro il primo ed il secondo comma dell’articolo, precisamente ponendo in relazione alla definizione della Repubblica italiana il suo fondamento.
Nel secondo comma si dice che la Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro ed ecco una affermazione staccata dalla definizione iniziale.
Prima di passare, però, alla votazione degli altri emendamenti, pongo in votazione il seguente emendamento sostitutivo degli onorevoli Coppa e Rodinò Mario, che tende a dare all’articolo tutta una nuova struttura:
Sostituirlo col seguente:
Lo Stato italiano ha ordinamento repubblicano, democratico, parlamentare, antitotalitario.
Suo fondamento è l’unità nazionale.
Sua mèta la giustizia sociale.
Sua norma la libertà nella solidarietà umana.
(Non è approvato).
Sono stati proposti due emendamenti, uno presentato e svolto dall’onorevole La Malfa: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro».
Vi è poi l’emendamento presentato dagli onorevoli Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Ritengo che si debba votare per primo l’emendamento La Malfa, il quale si allontana maggiormente dal testo proposto dalla Commissione, e suona così: «La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro».
L’emendamento Fanfani conserva la dizione «fondata sul lavoro».
Pongo dunque in votazione l’emendamento La Malfa.
Gli onorevoli Persico, Cevolotto ed altri, hanno presentato richiesta di votazione per appello nominale, e poiché contiene le 15 firme regolamentari, io sono tenuto a darvi corso. Tuttavia devo far presente agli onorevoli colleghi che forse un nuovo appello nominale – di cui del resto non voglio anticipare i risultati – immediatamente successivo a quello già fatto – e gli appelli nominali hanno sempre un determinalo scopo per l’indicazione di certe posizioni – mi sembra che non possa non seguire le tracce del primo.
TOGLIATTI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOGLIATTI. Qui si tratta di scegliere tra due formule: «Repubblica democratica fondata sul lavoro» oppure: «Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro».
Queste due formule vengono presentate dopo che è stata respinta la formula da noi presentata, alla quale avevano aderito alcuni Gruppi e che diceva: «Repubblica democratica di lavoratori».
Di fronte all’alternativa che adesso si presenta, devo dichiarare, a nome del Gruppo al quale appartengo, che noi preferiamo la formula proposta dall’onorevole Fanfani: «Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Il motivo mi sembra evidente: prima di tutto la formula del collega Fanfani è quella che più si avvicina a quella che noi avevamo presentato. Per questo semplice motivo, noi avremmo il dovere di votarla.
Per la sostanza, la formula «Repubblica fondata sul lavoro», si riferisce a un fatto di ordine sociale, e quindi è la più profonda; mentre la formula che viene presentata dall’onorevole La Malfa ed altri colleghi, trasferendo la questione sul campo strettamente giuridico e introducendo anche una terminologia poco chiara e poco popolare sui «diritti di libertà» e «di lavoro», ci sembra sia da respingere. Da ultimo, essa se mai non è appropriata a questa parte della Costituzione, ma appartiene alla seconda parte, alla parte successiva.
Per questi motivi, il nostro Gruppo voterà contro la formula dell’onorevole La Malfa e in favore della formula dell’onorevole Fanfani. (Commenti).
PERSICO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERSICO. Di fronte alle dichiarazioni che sono state fatte dall’onorevole Togliatti, dichiaro, anche a nome dei miei amici, di ritirare la domanda di appello nominale, pur non essendo convinto che la formula «fondata sul lavoro» sia più ampia e più comprensiva di quella proposta dall’onorevole La Malfa, la quale riafferma i due pilastri della moderna democrazia, fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro. Mi dispiace che l’onorevole Togliatti non abbia voluto comprendere il maggior valore giuridico e sociale della formula proposta dall’onorevole La Malfa, fatta propria da quattro Gruppi di sinistra. Comunque, dichiaro, a nome del Gruppo socialista dei lavoratori italiani, che voteremo a favore dell’ordine del giorno La Malfa.
TOSATO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TOSATO. Noi voteremo contro l’emendamento proposto dall’onorevole La Malfa, non tanto per ragioni sostanziali, quanto, soprattutto, per ragioni di ordine formale, di stile, di accento politico. La Costituzione infatti non è soltanto un documento giuridico, ma soprattutto un documento storico-politico. Che la democrazia sia fondata sui diritti di libertà e del lavoro è un fatto acquisito. L’elemento, il fatto nuovo, il momento nuovo da mettere in particolare rilievo nella definizione dello Stato repubblicano democratico italiano, è l’elemento del lavoro, ed è per questo che noi parliamo soltanto del lavoro.
MOLÈ. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MOLÈ. A nome del gruppo democratico del lavoro, dichiaro che voteremo l’emendamento La Malfa, perché se noi potevamo votare la formula la quale parlava di una Repubblica democratica di lavoratori, non possiamo votare l’emendamento Fanfani, per i motivi espressi da molti oratori circa la equivocità della formula «fondata sul lavoro», poiché pochi momenti fa abbiamo sentito anche affermare che ogni Stato, anche schiavista, è fondato sul lavoro. (Commenti). Con la formula «sui diritti del lavoro» si pongono, invece, in primo piano i diritti del lavoro.
Noi votiamo anche l’altra formula, «sui diritti di libertà», perché intendiamo che lo Stato sia una democrazia della libertà e del lavoro e congiunga la doppia istanza della giustizia sociale e della imprescrittibilità dei diritti di libertà umana. È la formula che ci lasciò Giovanni Amendola morendo, per esprimere la necessità di questa composizione fra le due supreme esigenze della vita sociale, democrazia economica e democrazia politica. Per questi motivi noi voteremo l’emendamento La Malfa.
LA MALFA. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, ella ha già svolto l’emendamento e quindi ha già fatto la sua dichiarazione di voto.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Chiedo di parlare per una brevissima dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ORLANDO VITTORIO EMANUELE. Nel mio recente discorso manifestai il mio pensiero direttivo, cioè a dire che le definizioni non trovano posto nei documenti legislativi, il che significa che io sono indifferente. Sarà una mia deficienza, ma non le sento. Quindi, in generale, mi asterrò sempre.
PRESIDENTE. L’onorevole Persico ha ritirato la richiesta di votazione per appello nominale. Pongo, quindi, in votazione, per alzata e seduta, l’emendamento presentato dall’onorevole La Malfa: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro».
(Non è approvato).
La prima parte del secondo comma di un emendamento presentato dall’onorevole Condorelli è così formulata: «La Repubblica italiana ha per fondamento la sovranità popolare».
Credo che occorra procedere alla sua votazione, perché se fosse accettata la formulazione dell’onorevole Fanfani non si potrebbe più procedere alla vocazione dell’emendamento Condorelli. Pongo pertanto in votazione il secondo comma – prima parte – dell’emendamento dell’onorevole Condorelli.
(Non è approvato).
Pongo in votazione il primo comma dell’emendamento Fanfani, Grassi, Moro e altri:
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
(È approvato).
Con la votazione testé avvenuta s’intendono decaduti il primo comma dell’emendamento Cortese, l’emendamento Basso, Targetti, Nenni ed altri e l’emendamento Caroleo.
Segue l’emendamento a firma degli onorevoli Basso, Bernini, Targetti, Tonetti, Malagugini, Morandi, Sansone, Amadei, Dugoni, Romita, Fogagnolo, Merlin Angelina, Cacciatore, Lupis, il quale, mentre nella sua prima parte fa propria sostanzialmente la formula che abbiamo testé approvata, e può quindi considerarsi limitatamente da questa assorbito, nella seconda parte può essere considerato come emendamento aggiuntivo alla formula stessa.
L’emendamento dice: «L’Italia è una Repubblica democratica che ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Condorelli. Ne ha facoltà.
CONDORELLI. Osservo che tanto nel mio emendamento, quanto in quello presentato dall’onorevole Fabbri alla parola «lavoratori» si sostituiva la parola «cittadini». Sarebbe quindi necessario procedere prima alla votazione di questo emendamento.
PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la seconda parte del comma secondo dell’emendamento presentato dall’onorevole Condorelli: «…e la partecipazione effettiva di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
(Non è approvata).
Con la votazione testé avvenuta s’intendono decaduti anche l’emendamento dell’onorevole Fabbri e il secondo comma dell’emendamento Cortese. Dobbiamo ora passare alla votazione della seconda parte dell’emendamento Basso, Bernini, Targetti e altri.
FANFANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FANFANI. Noi voteremo contro l’emendamento dell’onorevole Basso, non perché non lo approviamo, ma perché ci pare, che, per la sua prima parte sia stato già approvato nell’aggiunta da noi proposta e, per la seconda parte, è stato da noi immesso, per ragioni di organicità, nell’articolo 7 – futuro articolo 3 – secondo l’emendamento da noi presentato; alla quale trasposizione si sono associati, del resto, anche i presentatori di analogo emendamento, onorevoli Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco.
GRIECO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRIECO. Effettivamente, in un emendamento all’articolo 7 abbiamo introdotto i concetti contenuti nell’emendamento Basso e abbiamo proposto di spostare l’articolo 7 e portarlo all’articolo 3. A suo tempo saranno dette le ragioni di questa trasposizione; e pertanto, per motivi che concordano con quelli esposti dall’onorevole Fanfani, dovremo astenerci dalla votazione dell’emendamento Basso, perché in contradizione con la nostra proposta di emendamento.
VALIANI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VALIANI. Noi voteremo l’emendamento Basso, perché esprime principî politici e sociali, che sono suscettibili di conseguenze giuridiche, come si vedrà quando si discuterà dei consigli di gestione; ma non intendiamo con ciò associarci alla prima parte contenuta nell’emendamento Fanfani, perché espressione d’una filosofia corporativista. (Commenti).
GRASSI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Devo dichiarare che in un primo momento io avevo presentato un emendamento o, per dir meglio, una modifica al testo della Commissione, che suonava così:
«Tutti i lavoratori partecipano alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica».
Avevo presentato questo emendamento appunto per correggere una dizione imprecisa, dal punto di vista logico, ossia che la Repubblica, che è di per se stessa un ordinamento giuridico, potesse trovare il suo fondamento su altra organizzazione giuridica o politica del Paese.
Ora si riproduce da parte dell’onorevole Basso la stessa dizione, alla quale io dovrò votare contro, anche perché, in seguito ad una riunione di diversi componenti della Commissione di coordinamento, si trovò giusto di unificare il testo nella proposta Fanfani-Grassi, che fu accettata anche dagli onorevoli Laconi, Grieco ed altri.
Quindi, sia perché non sarebbe giuridicamente esatto dire che la Repubblica ha fondamento su altra organizzazione giuridica e politica del Paese, sia perché, il concetto della partecipazione dei lavoratori si è spostato all’articolo 3, non possiamo votare per l’emendamento Basso. La maggioranza della Commissione di coordinamento ritenne opportuno fare detto spostamento, in quanto è preferibile affermare che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, perché la partecipazione effettiva dei lavoratori nel campo economico e sociale potesse trovare la sua attuazione. Per queste considerazioni voteremo contro la proposta Basso.
BASSO. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BASSO. Credo che la trasposizione dall’articolo 1 all’articolo 7, anche se questo dovesse diventare successivamente 3, sia una diminuzione del significato di questo concetto di partecipazione effettiva dei lavoratori, in cui noi ravvisiamo veramente il solo concetto nuovo che sia affermato come il fondamento della Repubblica democratica italiana.
Ciò che contradistingue una nuova democrazia, che non sia semplicemente formale, ma che intenda realmente fare appello a tutte le forze del lavoro, pensiamo che sia appunto questa affermazione d’una partecipazione effettiva e non soltanto nominale, di fatto e non soltanto di diritto, alla organizzazione politica, sociale ed economica del Paese.
Pensiamo che inserire questa dichiarazione nell’articolo 1 abbia veramente un significato fondamentale, nel senso che si afferma che, se questa partecipazione non si realizza e nella misura in cui non si realizza, non si realizza neppure la democrazia; ossia l’articolo 1 resta un puro flatus vocis.
Questo è il significato del nostro emendamento all’articolo 1.
Trasferito all’articolo 3, riteniamo che questo concetto perda la sua efficacia; epperciò insistiamo nel votarlo in sede di articolo 1.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la seconda parte dell’emendamento Basso ed altri:
«… e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale».
(Non è approvata).
Si deve, ora, passare alla votazione degli emendamenti presentati al terzo comma del testo della Commissione, che diventerà il secondo comma del testo definitivo.
CARBONI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CARBONI. Io ed i colleghi Ruggiero, Preti, Cartia e Paris abbiamo proposto un emendamento. Con esso chiedevamo che alla parola «democratica» fossero aggiunte le altre: «una e indivisibile». Insisto perché questo emendamento sia posto in votazione.
PRESIDENTE. Invito l’onorevole Presidente della Commissione ad esprimere al riguardo il parere della Commissione stessa.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione aveva ritenuto che l’affermazione della Repubblica una e indivisibile trovasse il suo posto nella Costituzione, ove questo parla degli ordinamenti regionali. Il metterla in principio, mentre altererebbe la linea e la struttura della prima definizione di Repubblica, potrebbe far sorgere il dubbio che l’unità ed indivisibilità italiana siano in pericolo; mentre è più naturale parlarne in tema di autonomie regionali. Ad ogni modo potremo riesaminare la questione, quando arriveremo al punto dove l’affermazione è posta attualmente e potremo decidere al riguardo.
PRESIDENTE. Onorevole Carboni, ella mantiene il suo emendamento?
CARBONI. Mantengo il mio emendamento, perché non lo ritengo una formulazione secondaria da potersi rimandare alla sede proposta dall’onorevole Presidente della Commissione.
PRESIDENTE. Dovremmo, allora, passare alla votazione dell’emendamento presentato dall’onorevole Carboni.
MACRELLI. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACRELLI. Il Gruppo repubblicano, a mezzo mio, esprime il suo dissenso dal proposto emendamento. Siamo d’accordo su quello che ha dichiarato in questo momento l’onorevole Presidente della Commissione: al momento opportuno, si discuterà in pieno ed ognuno esprimerà il proprio pensiero a proposito della struttura organica dello Stato.
Fissare adesso questo principio, soprattutto dopo le spiegazioni che hanno voluto dare in precedenza gli onorevoli proponenti, significherebbe anche anticipare, risolvendola oggi, una discussione che dovrà invece essere fatta a suo tempo.
Chi vi parla appartiene a un partito che ha sempre difeso l’unità d’Italia, che ha combattuto per l’unità e per l’indipendenza della Patria. Noi pensiamo che l’organizzazione strutturale dello Stato a base regionale sia sempre, e debba essere sempre, inquadrata nell’unità d’Italia, nell’unità della Patria. Oggi sarebbe pregiudizievole affrontare la discussione e noi pensiamo che giustamente la Commissione proponga a voi, colleghi dell’Assemblea Costituente, di rinviare l’esame dell’emendamento a quando si dovrà discutere l’articolo 106 del progetto di Costituzione.
RUGGIERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Faccio presente che non si tratta di discutere l’emendamento. L’emendamento è stato svolto dal presentatore. Se mai, si tratta di fare brevi dichiarazioni di voto.
Onorevole Ruggiero, lei ha svolto largamente i concetti del suo emendamento e lo ha richiamato nel suo discorso.
RUGGIERO. Veramente non ebbi in quel discorso la ventura di svolgere quell’emendamento. Vorrei parlare soltanto per una dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Non voglio contestare a nessuno questa facoltà; ma l’onorevole Carboni ha richiamato espressamente il suo nome, facendo le sue dichiarazioni.
Comunque, faccia la sua dichiarazione di voto.
RUGGIERO. Onorevoli colleghi, da parte del Presidente della Commissione coordinatrice si dice che sarebbe un fuor d’opera adesso stabilire il concetto della indivisibilità della Repubblica italiana, perché questo concetto sarebbe stato già espresso nell’articolo 106.
PRESIDENTE. La prego onorevole Ruggiero, non riapriamo questa discussione. Si limiti alla dichiarazione di voto.
RUGGIERO. Signor Presidente, il mio Gruppo intende che venga sancito questo principio, per le seguenti ragioni, che si riassumono nella mia dichiarazione di voto. Siccome l’indivisibilità della Repubblica è un attributo fondamentale dello Stato, è necessario che sia fatto valere quando lo Stato viene definito nella sua configurazione; quindi nell’articolo 1. Questo mi pare sia un principio sancito e consacrato in tutte le Costituzioni. In secondo luogo, quando si riguardi questo concetto attraverso l’articolo 106, non si può non avere l’impressione che il concetto dell’indivisibilità non è riguardato come fatto centrale, essenziale, a sé stante, indipendente, ma come fatto supplementare, accessorio, estrinseco, subordinato. (Rumori – Interruzioni). Viene considerato in funzione dell’autonomia regionale… (Interruzioni).
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma no!
RUGGIERO. … viene considerato come limitazione del principio dell’autonomia regionale.
Ecco perché sarebbe necessario metterlo nell’articolo 1.
Ma vi è un’altra questione di ordine pratico, oltre che giuridico: nessuno sa quale sorte potrà avere l’articolo 106: potrà essere accettato, potrà essere profondamente modificato. In questa evenienza – cioè nel caso che sia modificato o respinto – noi non troveremmo più il modo, la possibilità di inserire il concetto dell’indivisibilità nella Carta costituzionale. Perché dovremmo andare col lumicino lungo i muri della Costituzione a cercare un cantuccio dove inserirlo? Questo concetto dell’indivisibilità, onorevoli colleghi, se voi avete la pazienza di ascoltarmi un solo momento… (Interruzioni).
PRESIDENTE. Non è un problema di pazienza; è un problema di ordine della discussione.
RUGGIERO. Io credevo che potesse fare una certa impressione agli italiani sapere che in Italia contro la indivisibilità della Patria esistono degli impulsi profondi e delle velleità indipendentistiche le quali intaccano la compagine della Patria. (Rumori). E credevo che tutti quanti dovessimo tenere a consacrare nel testo della Costituzione questo principio fondamentale che si richiama al nostro profondo sentimento di italiani. Mi pare che quando già esiste una specifica manifestazione di quella che sarà l’autonomia regionale, quando si pensi che oggi in Sicilia si fanno i comizi elettorali e si indicono le elezioni, non ci possiamo più riportare all’articolo 106, che potrà essere discusso nel mese di maggio e di giugno, ma che dobbiamo consacrare il concetto dell’unità della Patria nell’articolo 1.
GRASSI. Chiedo di parlare per mozione d’ordine.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSI. Desidero richiamare l’attenzione dei colleghi sul fatto che la frase «una e indivisibile» è già compresa nell’articolo 106, e quindi non potremmo votare né contro questo principio, né pregiudicarlo oggi. Ma voglio ancora far presente che c’è, negli emendamenti, un articolo aggiuntivo dell’onorevole Perassi, che è così concepito: «Trasferire tra le disposizioni generali (e quindi subito) dopo l’articolo 6, l’articolo 106, enunciante i principî di autonomia locale e di decentramento».
Quindi la questione verrà subito, e non dopo molto tempo, mentre potrebbe oggi essere pregiudicata, in quanto nessuno di noi si troverebbe in condizione di votare contro una disposizione che sia compresa, in una forma organica, in quello che deve essere il volto generale della Repubblica italiana.
Quindi pregherei i colleghi di non affrettare una discussione che deve avvenire in questi giorni e che in questi giorni deve trovare il suo punto giusto ed esatto.
PRESIDENTE. Vi è quindi una proposta dell’onorevole Grassi: di rinviare la decisione a questo proposito al momento nel quale esamineremo l’articolo 106 ed in cui si esaminerà anche la proposta dell’onorevole Perassi.
Chiedo all’onorevole Carboni se insiste.
CARBONI. Dichiaro di aderire alla proposta dell’onorevole Grassi, purché resti fermo che non è pregiudicata la questione della «indivisibilità» della Repubblica.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire il pensiero che ho già espresso di accettare in pieno l’affermazione della unità e della indivisibilità; e di rinviarne la questione di collocamento. Il rinvio è perfettamente logico, onorevole Ruggiero, e credo che si possa, anche in sede di discussione dell’articolo 106, decidere al riguardo; tanto più che allora avremo tutti gli elementi della questione.
PRESIDENTE. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Carboni, non ci soffermiamo sopra questa proposta di emendamento, che, se non vi sono osservazioni in contrario, sarà esaminata insieme alla proposta dell’onorevole Perassi in sede di discussione dell’articolo 106.
(Così resta stabilito).
Torniamo, quindi, al secondo comma. Il testo proposto dall’onorevole Fanfani è del seguente tenore:
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
A questo proposito è stato presentato dall’onorevole Lucifero un emendamento, secondo il quale alla formula «la sovranità emana dal popolo» si dovrebbe sostituire l’altra «la sovranità risiede nel popolo».
Ha chiesto di parlare l’onorevole Lucifero. Ne ha facoltà.
LUCIFERO. Vorrei domandare all’onorevole Fanfani se egli sia disposto a sostituire nel suo emendamento alla parola «appartiene» la parola «risiede», nel qual caso mi assocerei alla sua formula, che forse è tecnicamente più esatta.
PRESIDENTE. L’onorevole Fanfani ha facoltà di rispondere.
FANFANI. Confermo la parola «appartiene».
PRESIDENTE. Pongo ai voti l’emendamento Lucifero: Al terzo comma, alle parole: la sovranità emana dal popolo, sostituire: la sovranità risiede nel popolo».
(Non è approvato).
Pongo ai voti la prima proposizione del secondo comma dell’emendamento Fanfani: «La sovranità appartiene al popolo».
(È approvata).
Si intendono, così, assorbiti l’emendamento Vinciguerra; la prima proposizione degli emendamenti Targetti e altri e Amendola, Laconi ed altri, e l’emendamento Carboni, Villani e altri.
L’onorevole Targetti, Basso ed altri hanno proposto di sostituire la seconda proposizione del comma secondo dell’emendamento Fanfani con la seguente:
«che la esercita nei limiti della Costituzione e nelle forme delle leggi».
Chiedo all’onorevole Dugoni, che è uno dei firmatari dell’emendamento, se lo mantiene.
DUGONI. Lo mantengo.
PRESIDENTE. Pongo ai voti la formula sostitutiva proposta dagli onorevoli Targetti, Basso e altri.
(Non è approvata).
Pongo ai voti la seconda proposizione del comma secondo, nel testo proposto dall’onorevole Fanfani:
«che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
(È approvata).
Si intendono così assorbiti il terzo comma dell’emendamento Condorelli, il quarto comma dell’emendamento Cortese e la seconda proposizione dell’emendamento Amendola, Laconi ed altri.
Pongo ai voti, nel suo complesso, il primo articolo della Costituzione della Repubblica italiana, nel seguente testo definitivo:
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
(È approvato).
(Tutta l’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi – Vivissimi, prolungati, generali applausi – Grida di: Viva la Repubblica!).
Il seguito della discussione è rinviato a lunedì 24 alle ore 16. Avverto che vi sarà seduta anche al mattino alle ore 10.
La seduta termina alle 19.45.
Ordine del giorno per le sedute di lunedì 24:
Alle ore 10:
- – Interrogazioni.
- – Seguito della discussione del disegno di legge:
Modifiche al testo unico della legge comunale e provinciale, approvate con regio decreto 5 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni. (2).
Alle ore 16:
Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.