ASSEMBLEA COSTITUENTE
CCLXXXV.
SEDUTA DI LUNEDÌ 10 NOVEMBRE 1947
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CONTI
INDICE
Congedo:
Presidente
Interrogazioni (Svolgimento):
Presidente
Corbellini, Ministro dei trasporti
Mancini
Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Nasi
Giannini
Labriola
Schiavetti
Marazza, Sottosegretario di Stato per l’interno
Tumminelli
Sansone
Petrilli, Sottosegretario di Stato per il tesoro
De Martino
Rodinò Mario
Gonella, Ministro della pubblica istruzione
Crispo
Spallicci
Macrelli
Interrogazioni con richiesta d’urgenza (Annunzio):
Presidente
Andreotti, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Sansone
Canevari
Pressinotti
Interrogazioni (Annunzio):
Presidente
La seduta comincia allo 16.
MOLINELLI, Segretario, legge il processo verbale della precedente seduta pomeridiana.
(È approvato).
Congedo.
PRESIDENTE. Comunico che ha chiesto congedo il deputato Pellizzari.
(È concesso).
Interrogazioni.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: Interrogazioni.
La prima è quella dell’onorevole Mancini, al Ministro dei trasporti, «per conoscere le cause del grave disastro sulla linea ferroviaria Camigliatello-Cosenza, gestita dalla Società Calabro-Lucana, nel quale hanno incontrato la morte cinque padri di famiglia, e si lamentano numerosi feriti. Si chiede se sia consentito, su queste linee a forte pendenza, il movimento di automotrici, logorate dal tempo e dall’uso, e per giunta sottoposte quotidianamente ad un sovraccarico di viaggiatori. I quali non lasciano nemmeno libero – con evidente e continuo pericolo – lo spazio riservato al conducente, di cui limitano vigilanza e possibilità di movimento, e di immediata e provvida manovra».
L’onorevole Ministro dei trasporti ha facoltà di rispondere.
CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Il disastro di cui parla l’onorevole interrogante è avvenuto su una linea secondaria che ha una forte pendenza, dove le condizioni di esercizio sono particolarmente difficili: pendenze fino al 6 per cento, curve di raggio di 100 metri. Le norme di esercizio che regolano queste automotrici sono tecnicamente controllate dall’Ispettorato della motorizzazione e non v’è, quindi, nulla da eccepire al riguardo.
Il giorno del disastro era in servizio una vettura antiquata la quale però non era sovraccarica; vi erano anzi meno posti occupati di quelli che essa non consentisse, giacché consentiva 59 posti e ne aveva occupati soltanto 42. Evidentemente c’è stato in questa automotrice un conducente il quale, come è risultato dall’inchiesta, non è stato abbastanza pronto ed avveduto, come è richiesto da quel particolare tipo di motore, per ottenere il cambio della velocità in discesa.
Nelle discese infatti, tale tipo consente una velocità di marcia di 40 chilometri, mentre la velocità di fuga è di poco superiore. È accaduto invece che, in un momento di disattenzione, il conducente si sia fatto prendere la mano dal veicolo che ha aumentato la velocità; il capotreno non ha provveduto a frenare in tempo e il veicolo è sviato.
Sono difatti da lamentare, dolorosamente dei morti e dei feriti.
Circa le responsabilità, purtroppo queste fanno capo, come ho detto, al conducente, che non è stato molto pronto. I freni sono stati trovati in buon ordine. Devo qui chiarire che in questi veicoli particolari, con freni ad aria compressa, ad azione diretta e moderabile, il viaggiatore interviene come peso frenante; quindi, se anche il veicolo è sovraccarico, agli effetti della frenatura, il pericolo non esiste. I veicoli sono vecchi, ma sono stati revisionati da meno di un anno e quindi erano tutti in condizioni tecniche di sicurezza.
Agli effetti del miglioramento di questo servizio, posso dire che è previsto che la Società Calabro-Lucana, compatibilmente coi fondi patrimoniali disponibili e con le condizioni del bilancio di esercizio, potrà sostituire gradualmente le automotrici a due assi con quelle a carrello di tipo più moderno consentendo così una migliore velocità e un numero di posti circa doppio di quello offerto attualmente.
Comunque, posso assicurare che, dall’inchiesta in corso, non sono state riscontrate manchevolezze di carattere tecnico tali da poter preoccupare.
Ho disposto, 20 giorni or sono, di fare un supplemento d’inchiesta per chiarire alcuni dettagli costruttivi e di carattere secondario, che però non possono sostanzialmente modificare quello che ho detto.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MANCINI. Onorevoli colleghi, dirò poche ma sentite parole. Non posso e non debbo dichiararmi sodisfatto, per la semplicissima ragione che non condivido per nulla l’opinione del Ministro dei trasporti, il quale è venuto qui alla Camera a riferire l’opinione dell’ispettore mandato immediatamente a Cosenza dopo il disastro. Io non so se il suo mandatario, signor Ministro, si sia recato proprio sul luogo del disastro per notare come questa ferrovia scorra sull’orlo di un terribile precipizio; io non so se abbia esaminato attentamente quella tale automotrice che mi si dice abbia al suo attivo (o al suo passivo!) più di un milione di chilometri di percorso. Io non so se si sia premurato di assumere informazioni presso il Procuratore della Repubblica, che si è recato insieme ai tecnici sui luoghi. Certo si è che l’opinione riferita oggi all’Assemblea dal Ministro, corrisponde perfettamente all’opinione dei dirigenti della Società Calabro-Lucana. I quali avevano ed hanno interesse a rovesciare sulle povere spalle del conducente tutta la loro evidente responsabilità!
La verità è una sola: quella che è stata constatata immediatamente e che mi è stata riferita: cioè: che l’acceleratore si è trovato sganciato, che la marcia non si è trovata a posto, mentre, dato il dislivello, l’acceleratore doveva essere al minimo e la marcia doveva essere ingranata.
Di chi la colpa? La colpa – a mio parere e a parere di tutti coloro che sono a conoscenza di tutto quel che succede sulle rotaie ferroviarie nella mia provincia, e specialmente a Cosenza, il disastro fu dovuto in maggior parte al materiale logorato della Società Mediterranea. Questo materiale combatte una lotta accanita fra il tempo e la necessità dei servizi, poiché sono dodici anni che la Società Calabro-Lucana non rinnova nemmeno una carrozza. E c’è un’altra causa intrascurabile: l’eccedenza dei viaggiatori. Non l’eccedenza – signor Ministro – nei rapporti della velocità, perché nei rapporti della velocità tale eccedenza avrebbe dovuto servire da freno, ma soltanto nei rapporti della resistenza del materiale logorato.
Vuole una prova, signor Ministro, che ciò che affermo qui, dinanzi alla Camera, risponde perfettamente a verità? Ebbene, non erano passati nemmeno dieci giorni da tale disastro che un’altra automotrice ha subito un altro incidente: si è spezzato, a pochi chilometri dal punto dove è avvenuto il disastro, l’asse del carrello anteriore. E sapete chi c’era nell’automotrice? C’erano 64 ragazzi reduci dalla Colonia Silana. Fortunatamente tutto è finito con contusioni e con panico e non è successo nulla, altrimenti avremmo dovuto lamentare uno di quei disastri simili alla ecatombe sul mare di Livorno. Ma non basta: or fa venti giorni una automotrice alla discesa di Carpanzano ha sofferto la rottura dell’asse del carrello anteriore. Incidenti a ripetizione. Ora io domando a lei e a tutti i colleghi che mi ascoltano: è possibile, è giusto, ed oso dire… onesto che una città come Cosenza sia stretta nella morsa di due trappole ferroviarie? Una trappola è rappresentata dalla Cosenza-Paola, per deficienza di costruzione e un’altra trappola è costituita dalla ferrovia Calabro-Lucana per deficienza del materiale. Un anno e mezzo fa, 18 bare sfilarono per le vie della città ed ora altre cinque bare hanno commosso tutta la cittadinanza.
La mia protesta lascia il tempo che trova, come la sua risposta, Signor Ministro. Ma i disastri creano lutti, spargono lacrime, scavano solchi profondi di affanni, di miserie, di maledizioni. È necessario che una buona volta il Governo si rammenti della Calabria e se ne rammenti con urgenza, con serietà, con premura. Il problema ferroviario calabrese è un problema che richiede tutta la sua attenzione, signor Ministro. Abbiamo quelle due melanconiche linee che partono da Napoli, una lungo la riviera del Tirreno e l’altra lungo la riviera dello Jonio per congiungersi a Reggio Calabria, e che sono nelle stesse condizioni di arretratezza, in cui erano 40 anni fa. Abbiamo poi il «tronco della morte»: Cosenza-Paola. Esiste in proposito un progetto dovuto all’ingegnere Nicolosi, che suggerisce una opportuna modifica a quel tracciato pericoloso, dove tanti disastri sono avvenuti Non è più l’ora degli espedienti. Bisogna risolvere il problema con nuove costruzioni adeguate al traffico attuale. Inoltre la garanzia della vita dei viaggiatori è un dovere dello Stato: è un diritto del cittadino.
Signor Ministro provveda, non con le promesse, ma con i fatti.
PRESIDENTE. Segue un’altra interrogazione dell’onorevole Mancini, al Ministro dei trasporti, «per conoscere se non creda doveroso mettere in esercizio sull’elettrotreno Roma-Reggio Calabria lo stesso materiale ferroviario in uso sull’elettrotreno Roma-Milano, aggiungendovi, come in questo, qualche vettura di seconda classe. L’interrogante chiede ancora che venga concessa, sodisfacendo i voti delle popolazioni cosentine e catanzaresi, una vettura diretta sul diretto che parte da Roma alle ore 19.10».
L’onorevole Ministro ha facoltà di rispondere.
CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Il problema delle comunicazioni della Calabria non è abbandonato dal Governo, anzi da noi è particolarmente curato.
MANCINI. E come?
CORBELLINI, Ministro dei trasporti. Basterebbe dire che l’elettrificazione della linea del Tirreno è un dato di fatto, al quale abbiamo dedicato una delle nostre maggiori attività della ricostruzione. Basterebbe dire che la Cosenza-Paola ha già in servizio l’automotrice ad aderenza completa che ho studiato personalmente disegnandone i particolari costruttivi e sostituendo l’aderenza a dentiera con l’aderenza naturale; ciò che ha più che dimezzato il tempo di percorrenza.
È questo un modernissimo sistema di trazione in tale campo, studiato appunto per migliorare i servizi.
Potrei infine aggiungere che sulla Cosenzia-Paola oggi vi sono nove coppie di treni al giorno. Quando si vuole parlare di acceleramento dei servizi elettrici tra Napoli e Reggio Calabria, non si deve dimenticare quali sono le particolarità essenziali di quella linea. Orbene, gli elettrotreni, che furono progettati nel mio ufficio nel 1934-36, furono costruiti per linee assolutamente di pianura, capaci di consentire una altissima velocità (160 km ora). Essi attualmente fanno servizio sulla Milano-Roma, e sono stati spinti sino a Napoli, dove la pendenza massima è soltanto del 12 per mille. Non è possibile mandarli oltre Napoli se non limitatamente a Nocera inferiore. Quindi, l’elettrotreno del tipo attuale non è idoneo a fare servizio fino a Reggio Calabria; perché, come vi sono le locomotive da montagna e da pianura, così, vi sono anche gli elettrotreni atti alla montagna e alla pianura e la salita di Cava, che è del 22 per mille, non si può fare con i quegli elettrotreni. Ma simili difetti sono già stati superati dalle caratteristiche dei nuovi elettrotreni in costruzione, che potranno permettere di andare da Milano a Reggio Calabria ad una velocità assai superiore a quella attuale. Purtroppo questi elettrotreni, disegnati dopo la liberazione, si sono potuti ordinare soltanto pochi mesi fa, perché in questo campo non si possono fare delle improvvisazioni.
Con questo, assicuro che il servizio attuale delle elettromotrici, da Napoli a Reggio Calabria, che sostituiscono gli elettrotreni, e con le quali si possono superare quelle salite, può essere praticamente tollerabile. Indubbiamente è un servizio ancora incompleto, perché non va dimenticato che le Ferrovie dello Stato, si trovano attualmente appena a metà della loro ricostruzione. È facile fare delle critiche, ma quando le Ferrovie dello Stato, in poco meno di due anni, hanno fatto quel lavoro che hanno fatto, bisogna prendere atto della loro lodevole attività ricostruttiva. Essa si è sviluppata anche in un lavoro che non ancora avete visto, perché è nei progetti degli uffici studi e negli impianti costruttori dove si lavora a catena per la nuova produzione. Vedrete che faremo qualcosa di nuovo e di moderno, tecnicamente molto progredito, e lo faremo anche per la Calabria, perché anch’essa è degna di tutta la considerazione, come tutte le regioni Italiane. Non ho altro da dire.
PRESIDENTE. L’onorevole Mancini ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MANCINI. Onorevoli colleghi, veramente il Ministro non ha risposto alla mia interrogazione. Questo è il punto importante e nello stesso tempo molto eloquente. Ma oltre a questo, non ha risposto nemmeno alle mie obiezioni precise e dettagliate nei riguardi della prima interrogazione. Infatti, egli ha testé detto: il Governo è intervenuto anche per la Calabria – quell’anche sfuggito inavvertitamente dalle labbra del Ministro dice tante cose…
Una voce a sinistra. È un poema!
MANCINI. E come è intervenuto? È intervenuto con quattro automotrici, disegnate dal Ministro. Comprendo che sono… speciali ed è stato sommo onore per noi averle. Ma esse non risolvono il problema e non ci salvano dal pericolo, di cui ho già parlato, perché quando una di queste quattro motrici, disegnate dal Ministro, per un qualsiasi guasto deve rimanere in officina, si sospende il servizio. Comunque, le quattro automotrici non sono sufficienti per il servizio Cosenza-Paola, dove sono necessari alcuni treni, sia per merci, che per i viaggiatori. Ora, se il pericolo è evitato per le quattro automotrici, non è evitato per i treni. Onde la risoluzione di questo problema dannoso e gravissimo dovrà essere trovata ben altrimenti.
La seconda mia interrogazione si riferisce all’elettrotreno che si arresta a Napoli… come se temesse di andare oltre. Anche in questo la differenza fra Nord e Sud. A tale proposito devo far osservare al Ministro che pur non essendo un tecnico, ho naturalmente, prima di presentare la mia interrogazione, chiesto a qualche tecnico, che potrebbe esser magari uno delle ferrovie, il quale se non è stato fortunato nella carriera come il Ministro è pure di gran valore, dilucidazioni sulla mia richiesta. Ebbene egli mi ha detto che l’ostacolo di cui ha parlato il Ministro può facilmente superarsi, in quanto con la seconda classe che dovrebbe essere istituita sul rapido Roma-Reggio Calabria si verrebbe ad attaccare all’elettrotreno un’automotrice. Ed allora l’automotrice, avendo un rapporto maggiore di quello che non abbia l’elettromotrice, ne compenserebbe la mancanza di rapporto, onde il problema potrebbe dirsi risoluto, e quindi, da Napoli in giù, potrebbe anche la Calabria usufruire dell’elettro-treno e i «terroni» viaggiare allo stesso modo dei cittadini nordici.
Ma, signor Ministro, la verità è ancora più ingrata. L’ho raccolta con rinnovata amarezza qualche ora fa sulle labbra del mio carissimo compagno onorevole Sansone.
Signor Ministro, mandi qualcuno alla stazione ferroviaria di Roma quando parte il diretto delle 16 e 20 per Reggio Calabria. Il suo osservatore le riferirà le condizioni miserevoli della carrozza diretta per Cosenza.
Una carrozza, come si dice, superclassata, cioè una carrozza di terza classe diventata di seconda. E non per tutti i giorni. A giorni alternati; perché presta ingrato servizio anche una carrozza di terza classe, mentre si paga il biglietto di seconda. Ora questa sgangherata carrozza lascia tutto a desiderare, dalla luce ai gabinetti.
Non è compatibile nemmeno con quel poco conforto che un viaggiatore, che paga fior di quattrini, ha il diritto di pretendere. Il mio amico e compagno Sansone è stato costretto a scappare dalla carrozza cosentina e rifugiarsi nella vettura Roma-Palermo.
Ed allora, signor Ministro, io non voglio ricordare quello che ho già detto qualche momento fa svolgendo la mia precedente interrogazione, ma un po’ di bilancio debbo farlo: Cosenza è attaccata ad un tronco pericoloso, dove aleggia la morte. Possiede soltanto quattro automotrici, che da un momento all’altro potrebbero far sospendere il servizio viaggiatori. L’elettotreno si arresta. Una sola vettura va e viene da Roma e questa vettura mortifica chi vi penetra…
Ho il diritto di protestare con tutti i mezzi? Che cosa si deve fare per smuovere il nullismo del Governo?
Un po’ di riguardo verso questo Mezzogiorno si vuole avere o no? Sembra un ritornello uggioso, la istanza che ogni tanto si eleva da questi banchi per rammentare, reclamare, invocare. Ma il Governo è sordo al grido di dolore che viene da laggiù. Che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo passare forse dalle parole a proteste più espressive? La pazienza ha un limite. Le nostre popolazioni hanno un grande torto, onorevole Ministro e signori del Governo, hanno il torto di aver subìto e di subire pazientemente questo stato di cose. Le nostre popolazioni hanno un torto soltanto, quello di non aver presentato come le altre regioni d’Italia il bilancio delle loro necessità. Anche la Calabria poteva presentare la partita del suo «avere», dopo aver dato tanto. Vecchia ed inutile storia. Io vi richiamo all’imparzialità regionale, signor Ministro e signori del Governo, e sia detto una volta per sempre! (Applausi).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Nasi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se egli non stimi che possa tradursi in grave accusa contro il Governo l’affermazione del quotidiano Buonsenso di essere stato costretto a cessare la pubblicazione per aver perduto le abituali sovvenzioni di organismi e ceti plutocratici e questo non appena il Qualunquismo si schierò contro il Governo democristiano. Se non ritenga, altresì, che debba sollecitarsi la discussione alla Costituente della legge sulla stampa, che contempli anche la denunzia delle fonti di finanziamento dei giornali».
L’onorevole Sottosegretario di Stato ha facoltà di rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Alla interrogazione dell’onorevole Nasi si potrebbe rispondere, specie per la prima parte, con poche parole, dicendo che il Governo è stato completamente estraneo alle vicende che hanno condotto alla sospensione del giornale Buonsenso, e che quindi ogni insinuazione o critica, o è gratuita o è calunniosa. Ma quando si tocca direttamente o indirettamente lo scottante tema della libertà di stampa, di cui il Governo, mi onoro di ripetere, è verso tutti gelosissimo custode, sembra indispensabile soffermarci analiticamente su quanto viene affermato nelle interrogazioni, perché nessuno possa in buona fede continuare a nutrire dubbi o apprensioni.
Leggendo senza preconcetti l’articolo del collega Basevi a cui si riferisce l’interrogazione dell’onorevole Nasi, si ha anzitutto chiara la sensazione dello stato, per doppio riguardo, emotivo in cui si trovava l’autore. Da un lato, a motivo delle non lievi polemiche interne del partito qualunquista in quel momento, che traspariscono dai secchi accenni ai disgregatori e ai «necroforici e allucinati marescialli». D’altro canto, chi conosce cosa sia un giornale, sa i legami che esistono fra i fattori che concorrono alla produzione e l’oggetto prodotto, e può bene immaginare il rammarico commosso di un direttore che sia al punto di dover, per forza maggiore, sospendere la pubblicazione. In simile condizione psicologica è facile dare, a chi si presume sia stata la causa o la concausa del decesso, anche l’epiteto di fascista, fascista bianco o di altro colore. Del resto, chi di noi non ha molte volte erogata o subita tale qualificazione con una reciprocità così palese, anche se di discutibile gusto?
Ma l’onorevole Nasi propone al Governo un quesito preciso, domandando cosa ne pensiamo della denuncia di procurato affamamento dell’organo qualunquista, a suo dire contenuta nell’ultimo numero del Buonsenso. Cosa può risultare al Governo delle fonti di un giornale? Conviene osservare forse che quanto ha detto l’onorevole Nasi, che, cioè, le sovvenzioni al Buonsenso da parte degli organismi e ceti plutocratici sono cessate in dipendenza dell’atteggiamento dell’Uomo Qualunque contro il Governo attuale, non corrisponde di per sé al testo dell’articolo di Basevi, che anche noi avevamo letto con l’attenzione che meritano problemi politici e di stampa del genere; così come tutti potevano leggere gli accenni alla stampa dell’Uomo Qualunque fatti in molte occasioni, scritti o verbali, da organi e persone responsabili di quel partito.
Secondo un metodo che non ha molti seguaci, l’Uomo Qualunque ha parlato spesso pubblicamente e con diffusione della propria situazione amministrativa; e basta prendere gli atti dei due Congressi Nazionali del Fronte e la collezione dei molti quotidiani e del settimanale per essere sufficientemente informati. Direi che si è di fronte ad una volontà di fare parziale anticipazione di quella pubblicità delle fonti finanziarie a cui si riferisce l’onorevole Nasi. Si può apprendere così da reiterate affermazioni che, al contrario di quanto normalmente avviene, per lungo periodo e dopo breve inizio a sottoscrizione popolare per la carta, è stato l’attivo del settimanale L’Uomo Qualunque a finanziare il relativo partito ed anche le edizioni, romana e milanese, del Buonsenso, il cui bilancio è rimasto, per altro, al pareggio fino al febbraio dell’anno in corso. Questo è detto nell’Uomo Qualunque dell’11 dicembre 1945 e del 12 febbraio 1947. Successivamente apprendiamo, sempre dallo stesso giornale, che «gli aumentati costi delle aziende giornalistiche hanno appesantito il bilancio editoriale, tanto da far gettare l’allarme e da fare mettere nelle previsioni la sospensione della pubblicazione». Sono parole testuali di parecchia stampa qualunquista, compreso il Buonsenso, romano e milanese, che, si diceva – e questo il 12 febbraio 1947, molto prima della polemica, cui ha accennato l’onorevole Nasi – saranno tra i primi ad essere sacrificati.
L’onorevole Nasi dice: «Se si fosse già stabilito legislativamente l’obbligo di denuncia delle fonti di reddito dei giornali, noi sapremmo nome e cognome di chi ha sanato per un periodo i passivi degli organi qualunquisti e potremmo essere illuminati a dovere sugli aspetti politici di tale operazione».
Tale osservazione è sostanzialmente ingenua e formalmente intempestiva: ingenua, perché l’organo di stampa di un partito segnerà al proprio attivo, nella voce contribuzioni del partito, esattamente tanto quanto basterà per il deficit; sicché il bilancio quadrerà perfettamente e non vi sarà revisore dei conti, il più severo che sia, a trovare da eccepire alcunché. Di più non può chiedersi, e ci si dovrà, se mai, limitare a conoscere, per sommi capi, la statistica delle contribuzioni dei singoli lettori al loro giornale o ad apprendere, in sede polemica, l’avvenuto dono di un gruzzoletto di dollari da un qualunque zio d’America in pro di gruppi, che non tralasciano occasione per accusare gli altri di avere stretti legami col mondo americano.
Vero è che l’Assemblea ha deciso, all’articolo 16 della Costituzione, che la legge può stabilire con norme di carattere generale che devono risultare noti i mezzi finanziari della stampa periodica; ma, se mai sarà applicabile seriamente un tale principio, esso dovrà trovare attuazione nel prossimo parlamento, dopo l’approvazione dell’intero testo costituzionale.
Non può del resto omettersi, tornando al fatto specifico, che, se il Basevi ha parlato di offerti e non chiesti aiuti, venuti a mancare al giornale, nell’ampia documentazione contenuta nell’ultimo numero dell’Uomo Qualunque si ha una precisa dichiarazione circa promesse di sovvenzioni fatte da alcuni industriali, «senza che alla promessa facesse mai seguito l’erogazione materiale. Ciò conferma, se mai, che le difficoltà finanziarie non sono nate oggi per il complesso editoriale qualunquista; ma sono interna corporis di partito. Evidentemente noi non possiamo entrarci e dobbiamo limitare e riconoscere che nessun elemento esiste, per cui possa imputarsi al Governo la crisi di questo o di altro giornale.
Aggiungo l’augurio che il disagio del Buonsenso possa essere presto superato ed il giornale riprenda la sue pubblicazioni poiché non è senza preoccupazione che si assiste al fenomeno della scomparsa di organi di stampa di partiti che hanno il diritto ed il dovere di interloquire quotidianamente sulle vicende e gli sviluppi della politica nazionale ed internazionale.
PRESIDENTE. L’onorevole Nasi ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
NASI. Dovrei anzitutto dichiarare che non faccio parte di nessun gruppo di guastatori, fra i quali ha creduto di classificarmi l’organo dei repubblicani storici; guastatori i quali dovrebbero precedere l’irrompere delle masse socialiste e comuniste contro il Governo. (Commenti).
L’attenzione che ha destato la mia interrogazione, che forse è ingenua, può significare che ho messo il dito su una piaga e che l’opinione pubblica non è insensibile davanti a certi problemi di moralità. Il Sottosegretario ha risposto ampiamente, ma in fondo mi ha quasi detto: lei ha sbagliato indirizzo; il Governo che cosa c’entra? Mi ha anzi detto che io avrei posto male la questione. In fondo, onorevole Sottosegretario di Stato, la questione non l’ho posta io, ma l’ha posta nel momento di morire, con la speranza di rinascere, il direttore del Buonsenso. Che speranza di cosa ha egli detto e che cosa si può cavare da quel che egli ha detto?
Osservo che in altri tempi, anche in Italia, con la dichiarazione cruda che ha fatto il direttore del Buonsenso, le acque di Montecitorio si sarebbero smosse violentemente ed il Governo si sarebbe trovato nella necessità di pensare ai casi suoi. (Commenti).
Non mi fermerò molto su quel che ha detto il direttore del Buonsenso, ma non posso tralasciare di riassumere il suo pensiero, che in fondo è stato questo: io, Buonsenso, vivevo con le sovvenzioni che mi venivano da gruppi di industriali o di agrari, non so bene; quando questi gruppi hanno creduto di dover aderire alla politica del Governo e si sono intesi sicuri che questa politica non li colpisse, non ho più avuto sovvenzioni ed ho dovuto cessare le pubblicazioni. È una crudezza assoluta di parlare: fa male, male quasi come il racconto di una prostituta sulle sue giornaliere esercitazioni. (Commenti). Ma l’onorevole Giannini ha illustrato maggiormente la questione e ci ha fatto sapere di essere stato assillato da questi famelici, i quali sono parecchi – pare – in Italia, per essere difesi, quando la politica dell’onorevole Einaudi non si confaceva ai loro interessi. Però – soggiunge l’onorevole Giannini – e questo ha dell’incredibile – quando l’onorevole De Gasperi si è deciso a versare a questi ricattatori dei miliardi, questi stessi che mi avevano pregato e mi avevano sovvenzionato, mi hanno detto: «Alto là! Il Governo non si tocca!» Allora io mi sono visto costretto – io, direttore del giornale – a sospendere le pubblicazioni.
Devo dire all’onorevole Giannini, se me lo permette, che egli non ha reso un buon servizio al Paese quando ha difeso della gente dai pericoli della avocazione e dell’epurazione, quando ha difeso degli affaristi e degli appaltatori. Egli non poteva aspettarsi altro guiderdone oltre quello che ha avuto.
E mi permetto di dirgli, anche, che io non ammiro questo sistema giornalistico che si fonda sulla compra-vendita e sulla resa dei servizi. Io aspiro e penso ad un giornalismo indipendente.
Naturalmente, egli sa, perché gli sono amico, che non vengo neanche qui a domandare un giudizio contro di lui, come si è fatto contro un deputato alla Camera inglese.
Ma, veniamo a quello che sostanzialmente è stato detto dal giornale e dallo stesso Giannini.
Il Buonsenso e Giannini stesso hanno detto: «Il Governo interviene direttamente e indirettamente nella stampa; il che significa che il Governo fa presa sulla stampa per corromperla e così far sua l’opinione pubblica».
Questo, in sintesi, il discorso del Buonsenso e di Giannini.
GIANNINI. Troppa sintesi!
NASI. Oggi, si sospendono i fondi al Buonsenso. Ma questo fatto ha dei precedenti, che sono stati un po’ tralasciati dalla pubblica attenzione, anche perché naturalmente la stampa sussidiata non ne ha fatto quella propaganda che era necessaria.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Quali fatti?
NASI. Noi sappiamo, e deve saperlo anche l’onorevole Sottosegretario di Stato che è un valente giornalista, che il Giornale dell’Emilia, a Bologna, sussidiato dagli agrari, mentre marciava democraticamente e non era favorevole al Governo, un bel giorno dovette cambiare direzione ed ora sostiene naturalmente la Democrazia cristiana.
GIANNINI. Avrebbe dovuto morire il giornale!
NASI. Ma c’è un altro caso ancora più grave, perché avallato da due giornalisti intemerati quali sono Corrado Alvaro e Gaetano Natale. A Napoli, il Risorgimento dell’armatore ed ex fascista Lauro naviga in acque democratiche e si spinge a punte estreme di democrazia. L’armatore lascia fare. Un bel giorno arriva a Napoli il Ministro della marina mercantile, l’onorevole Cappa, ed allora l’armatore Lauro si fa fotografare insieme a Cappa: la rotta cambia ed il giornale viene messo sul binario democristiano. Ed io vorrei far notare all’onorevole Sottosegretario di Stato le parole che sono state stampate mentre si svolgeva l’avvenimento, che sono di una gravità eccezionale, e di cui avrebbe dovuto tener conto il Governo. «D’ora in poi – è stato stampato – il Risorgimento diventerà l’organo ufficioso della Democrazia cristiana, o meglio del Governo di De Gasperi. Per Lauro la contropartita consiste nell’appoggio da parte del Governo e del Ministro della marina mercantile per i suoi interessi di armatore». (Commenti al centro).
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma, dove è scritto questo?
NASI. Sull’Avanti. Come si vede il Governo non può dire che non c’entra. E c’entra anche il partito che è al Governo, perché oggi la Democrazia cristiana e il Governo sono un tutto inscindibile.
Io faccio soltanto notare che quelli che oggi pagano i giornali sono gli stessi che pagavano sotto il fascismo. (Applausi a sinistra). Sono gli stessi che ora tentano l’arrembaggio alle fonti dello Stato e a tutti i punti cruciali della Nazione, sono gli stessi che noi dobbiamo affrontare. È un cancro questo nella vita della Nazione, che bisogna assolutamente estirpare.
Dovrei ora passare alla seconda parte della mia interrogazione, e cioè dire perché è necessario che la legge sulla stampa sia discussa in questa Assemblea.
PRESIDENTE. C’è un’altra interrogazione dell’onorevole Schiavetti su questo punto.
NASI. Mi limiterò, perciò, a dire che, alla vigilia delle elezioni, non è possibile lasciare la legge vigente che è quella fascista, aggravata dal decreto Badoglio. Se dovesse essere conservata quella legge, noi delle sinistre in specie potremmo andare incontro a gravi incognite. (Commenti – Rumori). Si potrebbe, quindi, stralciare dal progetto che è davanti all’Assemblea quella parte che riguarda le fonti delle sovvenzioni: per lo meno il lettore saprebbe per conto di chi si scrive il giornale. È necessario che questo problema, che è politicamente e moralmente grave, sia affrontato. È necessario che il Governo non sia d’accordo con i gruppi che sussidiano la stampa, gruppi che vanno dai liberali ai fascisti; è necessario che in una Repubblica democratica la stampa sia strumento di educazione e non di corruzione. (Applausi all’estrema sinistra).
GIANNINI. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che dovrete avere la cortesia d’accordarmi qualche minuto di più per lo svolgimento di questo fatto personale, che è anche un fatto di carattere generale.
Dovrei incominciare col rettificare alcune inesattezze nelle quali è caduto il collega Nasi; ma preferisco incominciare ringraziando il giovine e valente Sottosegretario alla Presidenza, il quale ha detto la cosa che più m’interessa come giornalista e come deputato. Il Sottosegretario ha detto: da questa esasperazione polemica, di cui non avevamo esempi nella storia politica passata – e in questo spero che non ci sia rimprovero, onorevole Andreotti, perché la storia si deve rinnovare; guai se andassimo ancora a cavalcioni degli elefanti, come ai tempi d’Annibale! – da questa esasperazione si deve dare atto che il Buonsenso, che la stampa qualunquista ha, in un certo senso, anticipato la pubblicità sulle fonti alle quali i giornali attingono i mezzi di vita.
La ringrazio, onorevole Sottosegretario, di questo riconoscimento, che interpreto come una lode: se sbaglio, lei mi correggerà. E l’interpreto come una lode, onorevoli colleghi, per questa ragione; perché in tutta la nostra azione politica, in tutta la nostra azione giornalistica – e quando dico «nostra» intendo dire quella dell’«Uomo Qualunque», di quei miei amici che erano, sono e saranno militi dell’«Uomo Qualunque» – noi siamo i protagonisti d’una tragedia che si potrebbe dire la tragedia della verità.
Noi abbiamo detto una verità politica al nostro inizio: vogliamo che l’«Uomo Qualunque» governi se stesso. Questa è una formula, onorevoli colleghi, ampia, che ha bisogno d’integrazione, di collaborazione da parte di tutti i tecnici, di tutti i pratici, di tutti gli scienziati. Sarà una formula vaga, elastica: ma è una formula.
Noi vediamo che l’uomo qualunque paga sempre le conseguenze di una politica che dirò tradizionale – non voglio adoperare l’espressione «professionale», con cui, forse, potrei offendere pochi o molti colleghi. – Allora ci siamo detti al nostro sorgere: poiché l’uomo qualunque non è più la massa amorfa e indisciplinata dell’antichità, poiché c’è un meccanismo, anche statuale, che permette a chicchessia d’entrare in possesso d’un minimo di cultura; poiché c’è una stampa, c’è una radio, ci sono altri mezzi di diffusione del pensiero, non riteniamo che la politica debba essere più il monopolio d’una piccola aliquota specializzata, ma libera a tutti. Di tanto abbiamo un esempio anche brillante, nel nostro amico e collega Corbellini, che fa il Ministro, e lo fa bene, e dimostra così che non c’è bisogno d’esser un parlamentare per esser un buon Ministro.
Sembra che quest’idea sia stata affascinante, perché molta gente è confluita a noi, molti elementi del cessato regime, molti monarchici, molti elementi d’estrema destra; e sono confluiti a noi anche elementi dell’estrema sinistra (Commenti a sinistra); sono confluiti molti elementi repubblicani. (Commenti).
Una voce al centro. È confluito anche Togliatti!
GIANNINI. C’è un democristiano che m’informa che è confluito anche l’onorevole Togliatti. Mi meraviglio che il nostro segretario generale onorevole Tieri non m’abbia comunicato quest’importante adesione. Ma andiamo avanti, che cos’è accaduto, caro Nasi?
È accaduto che il travaglio del crivello, che in tutti i vecchi partiti si svolge attraverso i decenni, nel nostro giovine partito è invece inizialmente e continuamente in funzione. C’è quindi chi ci può rimanere e chi non ci può rimanere; chi sente la forza e il coraggio di resistere a certe difficoltà e chi non sente tale forza e tale coraggio.
Non intendo parlare soltanto di parlamentari, ma anche di chi vive intorno ai partiti e che lei, caro amico Nasi, conosce meglio di me. Onorevoli colleghi! Io sono nato giornalista, perché faccio il giornalista dall’età di quindici anni e non credo di farlo male. È pertanto con la mia esperienza di giornalista che vi dico che in Italia non ci sono forse tre giornali veramente indipendenti, se per indipendenza s’intende quella finanziaria.
Vorrei che nessuno m’obbligasse a fare dei nomi, ma, quando dico tre, credo d’abbondare. (Interruzioni al centro). C’è qualche cosa che non va? (Si ride). Dicevo: c’è però un grande giornale, finanziariamente indipendente, ed è il mio, onorevoli colleghi: il mio giornale, l’Uomo Qualunque, il settimanale Uomo Qualunque, il quale ha un’enorme indipendenza finanziaria, che gli è data dalla sua diffusione, dal numero dei suoi abbonati, dall’alto costo della sua pubblicità.
È grazie a questo giornale settimanale veramente indipendente, onorevoli colleghi, che la nostra corrente politica è viva. Ed è viva perché? Perché intorno a tutti i partiti si cristallizzano o tentano di cristallizzarsi vari interessi. E tendono a cristallizzarsi, oltre che vari interessi, anche degli… Non so come potrei chiamarli… Degli «intellettualismi», che sono le pretese di coloro che sia dalle farmacie di villaggio, sia dalle sale dorate dei grandi Consigli d’amministrazione, pretenderebbero di dirigere il Governo, di manovrarlo, di dare la loro impronta alla vita politica della Nazione.
Che cosa accade allora? Accade che, siccome per stampare dei giornali occorre molto danaro, questo denaro si finisce col cercarlo in quei tali ambienti.
LABRIOLA. Il danaro deve darlo il pubblico e soltanto il pubblico se il giornale vuol essere onesto.
GIANNINI. Ma, onorevole Labriola, lei dice una cosa che non è esatta, perché lei dirige un giornale che è finanziato dall’armatore Lauro! (Commenti).
Ora, io non faccio che dire la verità; l’ho sempre detta, onorevoli colleghi, la verità. (Interruzione del deputato Labriola).
PRESIDENTE. Onorevole Labriola, verrà il suo turno: darò la parola anche a lei.
GIANNINI. L’ho sempre detta e me ne vanto. Ma debbo soggiungere che se non avessi il mio settimanale, e se questo mio settimanale non mi desse i mezzi larghissimi che mi dà, non avrei la possibilità e forse nemmeno il tempo di dirla la verità. La verità è un lusso. Ora, bisogna distinguere, onorevole Nasi, fra quei giornali che «accettano» un aiuto indispensabile, senza di che il giornale non si fa, e quelli invece che «si vendono» per ottenere questo aiuto.
LABRIOLA. Non è punto vero: il giornale vive con il pubblico.
PRESIDENTE. Lasci dire, onorevole Labriola: poi parlerà anche lei.
GIANNINI. Professore mio, per quanto io sia stato suo allievo, e l’abbia sempre rispettato, non v’è ragione per cui lei mi debba mancare di rispetto.
LABRIOLA. Ma io non le ho per niente mancato di rispetto.
GIANNINI. Ma se non mi lascia parlare! (Si ride).
PRESIDENTE. Non faccia dialoghi, onorevole Giannini.
GIANNINI. Scusi, signor Presidente.
Bisogna dunque distinguere questi giornali in due categorie: chi accetta aiuti incondizionatamente, e chi si vende per essere aiutato.
Ora, non so come all’onorevole Nasi sia sfuggita questa cristallina circostanza che, data la mia capacità giornalistica, dati i mezzi personali di cui posso disporre sacrificando, se voglio, ancora di più il settimanale Uomo Qualunque, dato il fatto che, bene o male, sono alla testa d’un partito, se avessi voluto continuare il Buonsenso mi sarebbe bastato accontentarmi, adattarmi, accettare certi determinati consigli per continuarlo. Mi meraviglio come sia sfuggito all’onorevole Nasi il fatto che, sopprimendo o sospendendo il giornale, il quale, amico Nasi, non è morto, ma è solo in villeggiatura. (Ilarità).
Una voce al centro. Novembrina!
GIANNINI. Novembrina, sì; si va già a sciare in questa stagione; il mio Buonsenso è andato dove gli pare. Sospendendo le pubblicazioni questo giornale ha compiuto un magnifico atto d’indipendenza e di purità, perché ha detto: «Io ho bisogno degli aiuti; o voi me li date a condizione che io continui a stampare ciò di cui sono persuaso; o, altrimenti, tenetevi i vostri aiuti: io non esco più».
Ed è precisamente questo che è accaduto, onorevole Nasi. Io non credo d’avere né il diritto né il dovere di fare la storia della mia amministrazione, in quanto la mia amministrazione consiste in una società anonima, anzi, in più società anonime, le quali depositano i bilanci nelle cancellerie dei tribunali come per legge, insieme al libro dei soci e a tutto quant’altro a questo Parlamento e a chiunque altro possa interessare d’investigare. Amico Nasi, lei non ha che a prendere un taxi – se non vuole, le offro la mia macchinetta – andare in Tribunale a scartabellare e indagare, e saprà tutto quanto vorrà. L’importante è questo: che quando lei fa il paragone fra questo giornalismo e una prostituta, io le devo dire: lei ha il diritto di fare questo paragone fra il giornalismo che si vende e la prostituta; e siamo d’accordo, perché si vendono tutt’e due; ma fra l’altro giornalismo, quello che accetta di suicidarsi pur di non legarsi, non può fare questo paragone. Lo può fare al massimo con la cassetta delle elemosine d’un qualsiasi convento, nella quale il principe, la duchessa, il povero, l’assassino, l’onesto, mettono il loro obolo; poi il priore lo raccoglie e lo impiega come gli suggerisce la sua coscienza.
Ora, è questo il nostro caso; ed è questo il nostro caso anche politico, perché lei non ignora che i partiti hanno anch’essi bisogno d’appoggi. Non impiantiamo una questione morale su questo, perché se no la piccola tragedia della verità, alla quale ho accennato, diventa una spaventevole tragedia, nella quale io non avrei nessuna paura di dire le battute più gravi. Anche i partiti hanno bisogno; senonché, che cosa accade? Accade che quei ceti, i quali s’agitano intorno ai Governi e sperano, o pensano, o credono di poterne diventare padroni, di poterli rendere prigionieri, s’illudono nello stesso modo di poter prender prigionieri i partiti. Ce ne sono alcuni che nobilmente muoiono: e ce n’è stato qualcuno in questa Camera, a cui io debbo tributare un elogio su questo: il Partito d’azione, che avrebbe potuto vendersi e ha preferito morire. Ce ne sono altri che subiscono terremoti, perché resistono a pressioni – intendiamoci – non soltanto finanziarie, ma anche ideologiche, perché i pericoli che minacciano i partiti e i giornali, caro collega Nasi e onorevoli colleghi d’ogni parte della Camera, non sono solamente pericoli finanziari, ma anche ideologici; i partiti, come i giornali, sono in pericolo sia quando debbono accettare alcuni milioni per comprare rulli di carta, sia quando debbono accettare idee che qualche ex sergente maggiore in cerca di migliore impiego pretenderebbe di dare a chi la politica la fa per convinzione e non per mestiere.
Certo è, amico Nasi, che Il Buonsenso è cessato per questa ragione: perché non ha inteso cambiare la sua linea politica. Per sbagliata che potesse essere, per erronea che fosse, aveva scelto quella linea e non l’ha voluta mutare.
Allora lei ha fatto una questione al Governo e ha detto: il Governo si ravvisa responsabile in questa situazione?
Ho aspettato con ansia che rispondesse il Sottosegretario, perché sarei stato veramente stupito di sentirgli dire: sì, il Governo si ravvisa responsabile.
Secondo me il Governo non può essere ritenuto responsabile di questa situazione, e innanzi tutto «non può» essere ritenuto responsabile, per ragioni d’intelligenza: perché sarebbe stato enormemente stupido un Governo, come quello che abbiamo, presieduto da De Gasperi (il quale, oltre a essere mio caro amico personale, è principalmente un uomo di grande ingegno; io posso dissentire da lui, ma non posso negargli l’intelligenza), si fosse esposto al pericolo d’una serie di guai per prendersi il gusto di far cessare la pubblicazione d’un solo giornale, quando in Italia ce ne sono altri cento che gli dicono di più e di peggio di quello che gli diceva il Buonsenso.
No, onorevole Nasi, la questione è un’altra: lei ha accennato a un armatore e ad altri; tutta gente che ha guadagnato facilmente molto danaro. Incomincio a convincermi che effettivamente è facile guadagnar molto danaro in certe circostanze. All’improvviso questa gente si scopre il bernoccolo della politica, e allora, solamente perché un giorno ha avuto l’onore d’offrire cento biglietti da mille a un giornale o a un partito (e dico «ha avuto l’onore», perché chiunque ha portato o porta danaro a me avrà sempre l’onore di portarmelo (Ilarità), e io gli farò, se crederò, il favore d’accettarlo; e ciò sempre in funzione di quel tal settimanale attivo che mi consente di mandar avanti un partito senza stampa quotidiana e di dir sempre quello che voglio. Accade – dicevo – che qualcuno di questi omuncoli che hanno fatto miliardi nel commercio del baccalà o in altre attività (certamente non ignobili, ma non implicanti eccessiva genialità da parte di chi le esplica), fa piani politici, costruisce Governi, pretende di dare direttive. Ora, c’è chi se le fa dare pedissequamente, quelle direttive, e allora continua a stampare il suo giornale quotidiano; ma c’è – per esempio – chi come me che non se le fa dare, e che, pur parlando con un arricchitissimo, gli dice: tu non capisci niente di politica, tu non sai far niente, politicamente, va a dare ad altri il tuo danaro, non tentare d’importi a me se non riesci a convincermi. E allora il mio giornale non si stampa e si ferma.
In Italia sta succedendo questo: le incrostazioni d’interessi e di spiritualità dei ceti che pretendono o credono d’avere, il monopolio dell’intelligenza stanno appesantendo il Ministero De Gasperi!
Le svelerò una verità, caro Nasi, un grande segreto: si erano messi contro di noi perché noi siamo stati gli autori del Ministero De Gasperi: ogni tanto quest’altra verità si ricorda e si dimentica. Il Ministero De Gasperi è stato preconizzato da noi. Fin dal 24 giugno 1946 noi avevamo chiesto questo Governo, e l’avevamo chiesto perché avevamo ravvisato l’impossibilità che funzionasse più il Tripartito. Noi soli abbiamo insistito, noi, che, finalmente, all’inizio di quest’estate, siamo riusciti a farlo fare.
Bene, io le svelerò questo segreto, caro Nasi. Noi siamo stati assillati dalle recriminazioni di tutta questa gente: ma che cosa avete fatto? Ma voi mettete tutta la politica italiana nel monopolio della Democrazia cristiana? Ma dove andremo a finire? Ma avremo una dittatura clericale anziché fascista o comunista! Voi avete commesso un errore! Tutto ciò portava la solita spiacevole conseguenza di rispostacce da parte mia e non soltanto mia, perché nel nostro partito siamo tutti pronti a dare rispostacce.
Improvvisamente è accaduto che il mio ottimo amico De Gasperi, per ragioni sue, di cui renderà conto al Parlamento quando ne sarà il caso, ha ritenuto d’intervenire in questa faccenda, in questa procurata povertà, in questa non so fino a quanto vera impossibilità di pagare i salari, pagando egli i salari e creando così una pratica bolscevizzazione dell’Italia in certi rami dell’industria. Strana bolscevizzazione, perché quella russa se non altro si accolla le perdite dell’industria, ma se ci sono utili se li piglia. Noi invece ci siamo presi soltanto le perdite. Abbiamo dato alcuni miliardi alla Caproni, alcuni miliardi ad altre aziende. Da questi fatti è nato un improvviso, un nobilissimo sentimento di fiducia verso la Democrazia cristiana. Quel Ministero che ci era stato rimproverato d’aver aiutato a formarsi è improvvisamente un Ministero tabù. Noi vedevamo questo Ministero da un punto di vista dal quale era nostro diritto vederlo, dopo aver contribuito a farlo, e pretendevamo di farne parte: e crediamo di non aver errato affacciando queste pretese. Vari amici nostri, fra gli improvvisi convertiti, allora ci hanno detto: no, no, no, voi dovete fare questo, voi dovete fare quest’altro; dovete fermare questa campagna; non dovete fare così. Eh, un momento, ho detto io; e che siamo i vostri lacché, i vostri servitori? Ma io vi caccio fuori quanti siete. È chiaro? E questa mia reazione da che cosa nasce, caro Nasi? Dall’inestimabile pregio della possibilità di dire la verità, dal fatto certo d’avere un giornale settimanale finanziariamente indipendente che mi mette al sicuro da ogni pericolo.
PRESIDENTE. Ricordi che sta parlando per fatto personale.
GIANNINI. Ho l’impressione di dire cose istruttive. Cercherò di stringere quanto più è possibile.
Una voce al centro. Per fatto personale, non c’è limite.
GIANNINI. Il limite io lo trovo nella mia deferenza verso di lei, signor Presidente, e spero di terminare entro cinque minuti. La nostra reazione dunque nasce dalla nostra possibilità di esser indipendenti giornalisticamente e dunque spiritualmente, di poter scrivere quello che a noi piace.
Ora, se ciò comporta la cessazione delle pubblicazioni d’un giornale passivo, se questo comporta perturbamenti nell’interno del partito, se questo comporta altri danni, altre battaglie, altre lotte, a noi non fa paura. Noi siamo qui per difendere la nostra idea, errata o non errata, dell’«Uomo Qualunque», della «Donna Qualunque». Noi intendiamo difendere questi ceti: noi non intendiamo avere pregiudiziali di nessuna sorte e di nessuna specie. Noi vogliamo semplicemente assicurare il benessere a questa categoria sociale che sentiamo di rappresentare, e che fino allo scioglimento di quest’Assemblea noi siamo in diritto di ritenere che legittimamente rappresentiamo.
Fra poco vi saranno le elezioni. Il colpevole massimo di tutto questo baccano è l’onorevole Scelba, perché se egli non avesse bandito le elezioni, qui si vivrebbe in una idilliaca tranquillità. Tutto quanto accade, accade in funzione delle elezioni. Tutto quanto accade, accade in funzione del dramma intimo di molti fra coloro che pensano, e giustamente, che qui non torneranno più, e s’agitano, e soffrono. E hanno anche ragione.
Ci saranno le elezioni. Onorevole Nasi, noi parteciperemo a queste elezioni col «Torchio dell’Uomo Qualunque», con la nostra idea pulita, con i nostri giornali quotidiani se potremo farli liberamente, senza i nostri giornali quotidiani se non potremo farli liberamente. Se noi otterremo il suffragio del popolo italiano ritorneremo qui a fare il nostro dovere; se noi non otterremo questo suffragio noi ritorneremo là da dove siamo venuti, e riprenderemo le nostre vecchie occupazioni.
Io credo – e i miei amici spero che credano con me, per quanto io non mi sia concertato con loro – che il popolo italiano non abbia bisogno d’esser vasellinato con miliardi di dubbia provenienza per scegliere i suoi rappresentanti. Penso che questi miliardi possano servire soltanto a facilitare la logistica delle elezioni, ma che la base della lotta politica debba essere soltanto la sincerità, la fede anche nell’errore. Onorevole Nasi, noi ci atterremo a questa linea di condotta.
Per tutto quant’altro riguarda le indagini che lei, e chiunque altro, di qualsiasi parte dell’Assemblea, di qualsiasi Gruppo, intende esperire nella contabilità giornalistica dei giornali ai quali presiedo, sono sempre a disposizione, in qualsiasi momento, senza alcun preavviso.
Signor Presidente, la prego dì scusarmi se ho abusato della sua cortesia. (Applausi a destra).
LABRIOLA. Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LABRIOLA. Io avrei potuto domandare la parola per fatto personale quando l’onorevole Nasi ha alluso al giornale Il Risorgimento, il quale fa parte dell’azienda editoriale a cui appartiene anche il giornale che io ho l’onore di dirigere.
La situazione del Risorgimento è un po’ diversa da quella che l’onorevole Nasi ha esposto. Ma io non intendo occuparmi di queste cose per la ragione elementarissima che io non faccio parte del giornale medesimo.
Esiste a Napoli un’azienda giornalistica, anzi, meglio, un’azienda editoriale che prende il nome di S.E.M. A questa azienda appartengono tre organi quotidiani: Il Roma, che io dirigo; Il Risorgimento, che evidentemente ha un’altra direzione, e Il Corriere di Napoli.
Il Risorgimento, quando era diretto dal signor Floriano del Secolo, era un giornale nettamente democratico e di spiccato colore antifascista.
Eliminata, per ragioni che non possono interessare l’Assemblea, la direzione di questo distinto pubblicista, venne assunto come direttore di esso il signor Corrado Alvaro.
Uno dei proprietari dell’azienda reputò che l’orientazione in senso comunistico conferita al giornale da questo pubblicista non fosse opportuna e credette perciò di separarsi da lui.
Il direttore attuale ha reputato invece, probabilmente per desiderio dello stesso proprietario, di orientare il giornale verso la Democrazia cristiana o, meglio ancora, di farne un organo di tendenza governativa. Ma è un errore il reputare, come alcuni signori di questa parte della Camera hanno pensato, che l’azienda dipenda dal signor armatore Lauro. Egli non è che uno dei due proprietari dell’azienda. (Commenti). L’altro proprietario, del quale suppongo nessuno oserebbe discutere, è il Banco di Napoli. (Commenti).
Il Banco di Napoli sventuratamente si trova nella condizione che la sua direzione è tuttavia provvisoria, vale a dire i suoi elementi direttivi furono nominati solo in via straordinaria, e attendono di essere sostituiti da persone le quali possano prendere con più sicura responsabilità la direzione della stessa azienda. Dell’orientamento dei giornali Il Risorgimento e Il Corriere di Napoli non tocca a me parlare.
Io dirigo il giornale Il Roma. Ho interrotto l’onorevole Giannini nel momento in cui diceva che i giornali hanno bisogno di sussidi, di appoggi, di aiuti. Io lo nego nella maniera più categorica. Un solo appoggio i giornali possono legittimamente desiderare e pretendere: quello del pubblico. Se i giornali sono onesti, se rappresentano una opinione pura e netta, sia quella della Democrazia cristiana, sia quella liberale o comunistica, il pubblico li seguirà, almeno nella misura in cui i mezzi materiali siano dati a questi giornali per essere pubblicati.
Si è parlato di pressioni che si potessero esercitare sui pubblicisti. Il Comandante Lauro non ha avuto con me che due sole conversazioni: la prima quando egli mi ha offerta la direzione del giornale e l’altra quando si è dovuto parlare dell’amministrazione di esso. Giammai mi si è rivolto l’invito ad orientare il giornale in un senso anziché in un altro.
Il Roma ha una grande tradizione. È il giornale della famiglia Lioy, uomini onesti, gente intemerata, degna di esser ricordata con pubblico rispetto. L’onorevole Giannini ne sa qualche cosa. Egli, napolitano, non può ignorare ciò che quei signori facessero per assicurare non solo alla cittadinanza napolitana, ma al Paese, un puro organo di opinione.
Io sono appunto del parere che quando un giornale rappresenta un’idea, e questa idea è onestamente professata, il pubblico seguirà questo giornale e nel proprio interesse deve seguirlo. A me giammai nessuno è venuto a chiedere che dessi un indirizzo diverso da quello che i miei precedenti, i miei sentimenti e il mio orientamento politico mi permettevano di avere. Sono contrario alla Democrazia cristiana: lo sono per tante ragioni che ho avuto l’occasione di svolgere proprio in questa Camera. Nessuno avrebbe mai pensato che io avrei potuto fare un giornale che non fosse stato avverso all’attuale Governo, perché nessuno poteva pensare che il suo umile collega, onorevole Giannini, avrebbe potuto avere opinioni difformi da quelle che i suoi sentimenti gl’imponevano di avere.
Ricordo ancora una volta che l’altro proprietario del giornale è il Banco di Napoli, non d’accordo, in questo momento, col signor armatore Lauro; non d’accordo per questioni che si riferiscono all’indirizzo politico degli altri giornali dell’azienda medesima; non d’accordo con esso, anche per ragioni amministrative.
Ma tutte queste questioni non potranno risolversi, se non quando il Governo si deciderà, dopo due anni, dopo infiniti ponzamenti, a dare al Banco di Napoli, che ne ha bisogno, una buona direzione, una onesta direzione come quella che adesso, in linea provvisoria certamente ha, ma che ha bisogno di essere stabile e definitiva.
La mia conclusione, onorevole Giannini, è molto semplice. Io faccio un giornale, che finanziariamente dipende dal pubblico e politicamente da me; se domani qualcuno dovesse chiedermi di difendere sul giornale una opinione, che non fosse la mia – né so chi potrebbe essere – so pertanto distintamente che cosa gli risponderei, e non ritornerebbe ad insistere.
Penso che avremmo una stampa d’indiscutibile onestà e concorreremmo largamente alla educazione del pubblico, quando i giornali si ispirassero tutti a questo concetto: il giornale è del pubblico, non degli industriali, non dei banchieri e neppure dei partiti, salvo che questi non rappresentino veramente correnti nazionali e collettive. In nessun caso si deve ammettere che il giornale rappresenti interessi privati. Ed esso fatalmente sarà cosa dei privati finché si accetteranno oblazioni ed interventi, i quali non sempre stanno in rapporto con l’orientamento politico del periodico.
Io so di fare un giornale a fondo socialista, democratico ad ogni modo, e questo sarà finché la cosa sarà nel mio controllo. Potrò domani trovare sul mio tavolo di lavoro, o ricevere un telegramma col quale si potrà significarmi il mio licenziamento; questa è cosa che posso prevedere, ma è indiscutibile che, fino a quanto sarò alla testa del giornale, questo non rappresenterà che la mia opinione e quella che ritengo opinione più conveniente al pubblico italiano.
GIANNINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANNINI. L’onorevole Labriola sostiene che un giornale è giornale, in quanto esso è sostenuto dal pubblico. Nello stesso tempo ci viene a dire che il giornale da lui diretto è espressione non solo dell’armatore Lauro ma del Banco di Napoli. Insomma, il suo giornale è del Banco di Napoli o è del pubblico?
Secondo: io ho spiegato chiaramente che non si intendeva attaccare né circoli politici, né giornalisti, né editori, ma colpire quei ceti, i quali, per aver guadagnato denaro nella vendita del baccalà o del formaggio, pretendono di diventare genî politici di prima grandezza.
Per quanto riguarda il gruppo in relazione con il giornale diretto dall’onorevole Labriola, si tratta di uno stranissimo gruppo, che ha tre giornali: con uno attacca il Governo, con l’altro lo difende, con il terzo segue una via di mezzo.
LABRIOLA. Il Governo lo attacco io e non il gruppo al quale apparterrei, questa è la verità! (Commenti).
GIANNINI. Io dico la verità; perché questo gruppo con un giornale è filodemocristiano, con l’altro è antidemocristiano: questo significa fare il trust dei giornali. Dirò che proprio il Risorgimento è stato sospettato non di essere filo-democristiano, come è sospettato oggi, ma filoqualunquista, e questo perché il nuovo direttore del Risorgimento è stato indicato da me, perché a me si rivolse l’armatore Lauro, per avere il mio parere in proposito, ed io gli consigliai Alberto Consiglio, che era il mio redattore. Per un certo periodo di tempo il Risorgimento è stato ritenuto un giornale filoqualunquista, adesso è diventato filodemocristiano. Quando lei, onorevole Labriola, sostiene che ci sono giornali i quali vivono solamente con ciò che vendono – con la pubblicità che vendono e con le copie che vendono – io le dico, onorevole Labriola che quando lei lo dimostrerà io ne prenderò atto. Per ora confermo che in Italia vi sono due o tre soli giornali che fanno questo. Ma un solo giornale politico indipendente: è il mio e non altri! (Commenti – Applausi a destra).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Schiavetti, Valiani, Pertini e Cianca, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere i motivi che avrebbero consigliato il Governo a rinviare alle future Assemblee legislative, contrariamente alla comune aspettativa, la discussione e l’approvazione del progetto di legge sulla stampa, destinato a regolare in modo stabile e certo un settore dell’attività politica e culturale del Paese, turbato da ripetuti indizi di sopraffazione politica e di disordine economico e morale».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio ha facoltà di rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. È facile rispondere all’onorevole Schiavetti che il disegno di legge contenente nuove disposizioni sulla stampa è stato presentato dal Governo all’Assemblea nella seduta del 29 marzo 1947 ed è stato dall’Assemblea deferito all’esame della Commissione per la Costituzione, che ha a sua volta nominato una Sottocommissione. Da quanto si sa, dei lavori di questa Sottocommissione, che fu da prima presieduta dall’onorevole Grassi ed attualmente lo è dall’onorevole Cevolotto, essa tenne la prima riunione il 29 aprile, ed un mese dopo la presentazione iniziò il vero e proprio esame del provvedimento. Il 26 maggio furono chiamati a partecipare ai lavori anche alcuni rappresentanti della Federazione della stampa, tre dei quali sono nostri colleghi ed uno no. La Commissione ha tenuto sette riunioni, di cui l’ultima, – secondo quanto mi consta – è del 30 ottobre. Sarebbero già state esaminate molte delle parti in cui è suddiviso questo disegno di legge.
Quando dovetti rispondere all’onorevole Valiani il giorno della interrogazione sul mutamento di testata del Corriere Lombardo in Corriere di Milano, io stesso accennai alla preoccupazione che, data l’imminenza della chiusura dei nostri lavori, non fosse possibile condurre a termine il lavoro preparatorio in sede di Sottocommissione, e, successivamente, qui in Aula, di tutto questo vero e proprio testo unico che coordina le disposizioni vigenti sulla stampa; e, poiché era assolutamente indispensabile dare un contenuto certo ad alcune disposizioni, dissi che sarebbe forse stato bene stralciare le disposizioni più urgenti, o almeno quelle in cui oggi vi è maggiore discussione, e portarle, in un disegno di legge molto più leggero, in Assemblea, in modo da poterlo discutere prima del 31 dicembre.
Questo non è stato accettato dalla Sottocommissione, ed io prendendo degli accordi con il Presidente della Sottocommissione stessa, vedrò di preparare, come già è stato predisposto dai nostri uffici, questo nuovo testo che non fa altro che ridurre di molto i temi, e quindi gli articoli del testo precedentemente presentato, in modo tale che lasciando alcune discussioni meno urgenti ed in parte più complicate, sia possibile – specialmente in quel delicatissimo settore della autorizzazione, che oggi è regolato da disposizioni non sempre interpretate alla stessa stregua nelle diverse provincie, tanto da far dichiarare necessaria l’urgenza di porre termine a questa discussione – addivenire senz’altro all’istituto della registrazione, così come è contemplato dal progetto presentato nel marzo.
Io presenterò alla Sottocommissione, prima ancora di presentarlo formalmente alla Camera come nuovo disegno di legge, questo progetto ridotto, e se la Sottocommissione, come spero, accetterà di discuterlo in queste proporzioni, sono certo che noi riusciremo a farlo approvare prima del 31 dicembre.
Comunque, il Governo non ha affatto ostacolato quello che era l’andamento dei lavori della Sottocommissione e della Commissione dei Settantacinque, e quindi nel caso l’interrogazione dell’onorevole Schiavetti andava forse diretta, prima ancora che al Governo, alla Presidenza dell’Assemblea, per sapere a che punto fossero i lavori della Commissione.
PRESIDENTE. L’onorevole Schiavetti ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SCHIAVETTI. Mi dispiace di dover dichiarare che non sono affatto sodisfatto della risposta dell’onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
UBERTI. Si sapeva!
SCHIAVETTI. Onorevole Uberti, non si sapeva, perché se fossi sodisfatto direi che sono sodisfatto; ma non lo sono per una semplice ragione. Probabilmente l’onorevole Andreotti dimentica di aver usato un’espressione alquanto equivoca nella risposta che egli diede al collega Valiani a proposito di una sua interrogazione sulla testata del Corriere di Milano. Egli disse, in quella risposta, di ritenere difficile, e forse anche inopportuno, discutere in questo scorcio della Costituente l’intero disegno di legge presentato dal Governo all’Assemblea.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per coordinarlo a tutta la Costituzione.
SCHIAVETTI. Già, ma il criterio della opportunità, egregio Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è qualcosa di diverso e più complesso di quello della possibilità. Evidentemente, qui si tratta di una questione di carattere politico, altrimenti non si doveva usare questa parola dell’opportunità.
Ora, appunto per quello che riguarda il criterio della opportunità, noi riteniamo che sia estremamente opportuno che si ponga ordine nel dominio relativo al regime della stampa in Italia. Noi viviamo fin dalla liberazione, in sostanza, sotto il regime della autorizzazione, e parzialmente anche sotto il regime del sequestro preventivo, regime dell’autorizzazione che non è nemmeno quello fascista soltanto, come ha ricordato il collega Nasi, ma che è quello impostoci dagli Alleati e che noi abbiamo tradotto nel Regio decreto-legge 14 gennaio 1944, n. 14. Ora, è assolutamente necessario che noi usciamo da questo regime di carattere provvisorio, e ciò anche per ragioni di dignità nazionale oltre che di opportunità politica. Dobbiamo fare tutto il possibile per risolvere rapidamente due serie di problemi. La prima serie è attinente alla difesa del diritto di libertà di stampa, diritto di libertà che può essere minacciato da arbitrii governativi, e purtroppo in questo campo vi sono dei precedenti poco rassicuranti. Infatti già per due volte il Governo, al cui centro politico era la Democrazia cristiana, ha fatto sequestrare, sotto il pretesto della violazione della decenza pubblica, due giornali, che sono stati poi assolti dall’autorità giudiziaria da questa accusa, il che ci induce al sospetto che l’accusa di questa violazione fosse soltanto un pretesto e che si volessero colpire dei giornali che difendevano delle idee e sostenevano dei punti di vista che erano diametralmente contrari e quelli sostenuti dalla Democrazia cristiana.
Ora, è verissimo che con l’onorevole Andreotti le cose sono alquanto cambiate e che il regime di carattere benevolmente parrocchiale che aveva imposto alla stampa l’onorevole Cappa, è diventato un regime più ragionevole; ma che la tutela della stampa debba dipendere dalla mentalità e dalla benevolenza di un membro del Governo, è un fatto pericoloso per la dignità del giornalismo e per la difesa della dignità della stampa.
C’è poi un’altra serie di problemi che devono essere risolti. I nostri colleghi hanno assistito, un quarto d’ora fa ad una impressionante sciorinatura di panni sporchi. Io domando all’Assemblea che cosa penserà il Paese domani di questo scambio di confidenze che si sono fatte gli onorevoli Giannini e Labriola. Vi sono dei problemi che vanno al di là della semplice tutela del diritto di stampa, vi sono problemi che riguardano il dovere, da parte dello Stato e dell’Assemblea, di tutelare l’opinione e la buona fede pubblica dalle iniziative perniciose delle oligarchie finanziarie che si valgono dei diritti consentiti dalla libertà della stampa per far subdolamente trionfare i loro interessi particolari su quelli generali del Paese.
Noi abbiamo il dovere di risolvere questa serie di problemi e di discuterli, di porli al Governo o all’Assemblea stessa, prima ancora che si facciano le elezioni. Questi problemi riguardano, ad esempio, il mercato della carta, il cui alto prezzo è diventato uno degli ostacoli più forti per le aziende giornalistiche anche le più oneste, che ancora ci sono in Italia; vi è poi il problema della disponibilità delle tipografie (già accennato in seno alla Commissione che ha studiato il progetto relativo al regime di stampa); vi sono infine le limitazioni da imporre a tutti coloro che vogliono pubblicare dei giornali, appunto perché il pubblico possa essere difeso dagli attacchi alla propria buona fede dal prevalere degli interessi particolari sopra gli interessi generali.
Non vi dirò ora come da questa parte della Camera si auspica la soluzione di questo problema importante, una soluzione che deve andare al di là della pura difesa del diritto di stampare; vi dirò però che abbiamo il dovere dinanzi al Paese di portare chiarezza nell’impostazione di questo gruppo di problemi, altrimenti noi daremo ragione, a due anni di distanza dalla liberazione, al fascismo, il quale, confondendo a bella posta i due piani sui quali può esser considerato il problema della libertà della stampa – il piano giuridico e il piano finanziario – sosteneva che la libertà di stampa è una menzogna e che la stampa deve essere controllata e regolata dall’autorità dello Stato. Noi non vogliamo dare ragione al fascismo neanche in questo e vogliamo perciò che sia introdotto ordine in questo gruppo di problemi.
Testé l’onorevole Giannini ha detto che la verità è un lusso. Onorevoli colleghi, questa è una bestemmia, di fronte al popolo italiano! La verità non deve essere un lusso; deve essere invece garantito a tutti gli italiani non solo il diritto di dire la verità, ma anche quello di sapere la verità! (Applausi a sinistra).
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione degli onorevoli Mastrojanni e Tumminelli, al Ministro dell’interno, «per conoscere se sono stati identificati ed arrestati gli autori dell’assassinio premeditato, consumato per brutale malvagità nella persona del giovane Mario Petruccelli, appartenente al Fronte liberale democratico dell’Uomo qualunque di Sesto San Giovanni».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per l’interno ha facoltà di rispondere.
MARAZZA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Le indagini subito attivamente iniziate e condotte per identificare ed arrestare gli autori dell’assassinio del giovane Mario Petruccelli – avvenuto a Sesto San Giovanni il 4 novembre ad opera di due individui che, presentatisi a casa sua poco prima della mezzanotte e chiesto di parlare con lui per dichiarati motivi politici, lo freddavano appena comparso, a colpi di rivoltella, dandosi quindi alla fuga – sono indubbiamente a buon punto; ma non ancora, purtroppo, concluse. L’onorevole interrogante mi consentirà perciò di mantenere al riguardo il necessario riserbo, tanto più che nel corso di queste indagini, condotte, ripeto, molto attivamente e in stretta collaborazione da tutti gli organi di polizia, alcuni episodi sembrano rivelare una vasta omertà in atto che sembrerebbe avvalorare piuttosto l’ipotesi del delitto politico. Questa ipotesi peraltro, è molto grave nella fattispecie essendo la vittima un infelice semiparalitico, disoccupato, scacciato di casa dalla moglie e da questa privato dell’unica figlia, nonché da tempo, finanche, esonerato dal modestissimo incarico di fiduciario per Sesto San Giovanni del Partito dell’Uomo qualunque, incarico che sembra lo aiutasse a poveramente vivere – perciò occorre necessariamente essere, in proposito, molto prudenti.
Qualunque, possa essere la causale, non dubiti l’onorevole interrogante del determinato proposito delle autorità di polizia di raggiungere ad ogni costo gli autori di un delitto tanto efferato.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
TUMMINELLI. La ringrazio, onorevole Sottosegretario, delle assicurazioni che ha voluto dare a me e non soltanto a me, ma a tutto il mio Gruppo, ma il problema investe una cerchia più ampia di interessi, i quali sono innanzitutto quelli della libertà del cittadino. Tuttavia debbo fare delle riserve sulle assicurazioni fornitemi or ora dall’onorevole Sottosegretario, al quale mi permetterò di osservare che non si tratta di un fatto singolo, ma di una serie di episodi che si ripetono. Oggi, infatti, è stato colpito lo sventurato Petruccelli, ma, appena pochi giorni fa, un altro delitto si è verificato nelle stesse, identiche condizioni e con gli stessi mezzi e con lo stesso tipo di metodo, a Milano; così, alcuni mesi fa, un giornalista è stato assassinato di notte dinanzi alla porta di casa in modo analogo.
Ora noi ci domandiamo, onorevole Sottosegretario, signori del Governo: ci troviamo di fronte ad una nuova ondata di terrore? Ci troviamo forse di fronte ad un nuovo metodo di intimidazione, metodo che sarebbe, come è evidente, quanto mai pericoloso? Che cosa si può, onorevoli colleghi, di fronte a due individui con giacca di pelle che si possono presentare alla casa non già dei soli rappresentanti o militanti nel nostro Partito, ma di qualunque cittadino, di notte, e che uccidono senza alcuna ragione, soltanto perché hanno ricevuto il mandato di uccidere a qualunque costo? Che cosa si può, onorevoli colleghi, di fronte ad uomini che non hanno se non il deliberato proposito di soffocare nel sangue una voce, una idea, l’idea di un partito, l’idea della libertà?
Sorge allora opportuno domandarsi se, come diceva pocanzi l’onorevole collega Giannini, la libertà sia veramente un lusso; è opportuno domandarsi se la nostra personale incolumità sia legata alla capacità di essere più veloci o destri dell’individuo che ci minaccia o ci insidia.
È questo, signori del Governo, onorevole Sottosegretario, che categoricamente vi domando; è questo che io chiedo a tutti i membri di questa Assemblea. La situazione è grave e la questione non è se non quella di vedere se si vuole, se si deve riprendere ancora una lotta civile, una guerra civile e se con tali metodi si intenda di conseguire tale scopo.
Noi deprechiamo questa guerra civile; non la vogliamo: è per questo che la pubblica sicurezza ci deve dare la garanzia più assoluta, più inequivocabile, che le nostre vite, quelle dei nostri familiari, siano ad ogni costo tutelate e difese; è per questo che le autorità competenti ci debbono dare la più ampia assicurazione che le nostre idee possano essere liberamente propagandate, che chiunque possa liberamente manifestare il proprio credo politico. È evidente che, dicendo ciò, non intendo alludere soltanto al mio Partito, non affermare un diritto che non è soltanto nostro, ma patrocinare una causa che è di tutti, di ogni partito, di destra come di sinistra.
Dobbiamo impedire ad ogni costo che la violenza possa chiudere la bocca e far sì che la libertà possa costituire veramente un lusso di popoli più civili del nostro.
Onorevole Sottosegretario, occorre che a questa svolta della nostra vita politica, della nostra ricostruzione democratica e della libertà del nostro Paese, il Governo intervenga energicamente con il disarmo. Il Paese ha dato un grande esempio di disarmo morale. È precisamente su questo disarmo morale che si è potuto fare quello che si è fatto in questi ultimi due anni.
Orbene, il Governo ha tutti i mezzi, tutte le possibilità, il Ministero degli interni ha tutte le facoltà per poter imporre il disarmo materiale. Io faccio appello a tutti i settori di questa Assemblea, perché anche essi collaborino in questa opera, perché si possa veramente far sì che non ci sia più un uomo nel nostro Paese il quale possa possedere ed impugnare illegittimamente un’arma.
Onorevole Sottosegretario! Il provvedimento che giunge ad arrestare i colpevoli è cosa indispensabile e che, quindi, si può e si deve auspicare: ma noi soprattutto domandiamo che non accada più che vi sia un cittadino, anche un solo cittadino che possa essere illecitamente armato. Noi domandiamo al Governo che esso prevenga, per non dovere punire più tardi.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Sansone, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se è vero che è di imminente adozione un provvedimento tendente alla riorganizzazione dell’Istituto centrale di statistica ed alla conseguente immissione nei ruoli dell’Amministrazione centrale solo di una aliquota del personale dipendente; ed in caso affermativo per conoscere: a) in base a quali criteri si intendano ridurre i quadri del personale, e, quindi, l’efficienza di un servizio che allo stato attuale, come è stato pubblicamente e autorevolmente denunciato, si trova in condizioni estremamente arretrate e, pertanto, richiederebbe, invece, di essere ulteriormente sviluppato, perfezionato e coordinato con tutte le altre attività statistiche razionali; b) in base a quali considerazioni si intenda immettere nei ruoli dello Stato solo parte del personale e quale sorte è riservata al personale non immesso in ruolo alla scadenza dei singoli contratti; c) se, data la crescente importanza dei servizi statistici razionali, anche per i loro riflessi in campo internazionale, non ritiene opportuno di investire della materia l’Assemblea, o per essa la competente Commissione legislativa, in modo che un provvedimento di tanta gravità garantisca, oltre che la tutela dei diritti di tutti i dipendenti, anche il necessario potenziamento dei servizi statistici nel superiore interesse della Nazione».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha facoltà di rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’origine della preoccupazione dell’onorevole Sansone sta in una notizia non vera, pubblicata dall’Avanti! che ha provocato non solo questa interrogazione, ma anche una certa agitazione interna, e comprensibilissima, dei dipendenti dell’Istituto centrale di statistica, che si sono visti agitare così uno spettro che non aveva altra consistenza che quella di una immaginaria, fantasiosa informazione raccolta appunto dal giornale molto vicino politicamente all’onorevole Sansone.
È vero che è di imminente adozione un provvedimento legislativo sull’ordinamento dei servizi statistici e dell’Istituto centrale di statistica; e questo conformemente ad una disposizione legislativa del 1945. Il provvedimento è stato elaborato in base alle proposte formulate fin dallo scorso anno da un’apposita Commissione di studio composta da professori e docenti universitari di discipline statistiche, economiche e finanziarie – tra i quali i professori Niceforo, Amoroso, Vinci, Livi, D’Addario, Galvani, Luzzatto-Fegiz, Albertario, Pesenti, ecc. – nonché da giuristi ed altri esperti designati dalla Presidenza del Consiglio, dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti, dalla Ragioneria generale dello Stato, da altre amministrazioni statali e da associazioni ed organizzazioni sindacali fra le quali la Confederazione generale italiana del lavoro.
Il provvedimento non solo non contempla riduzione di personale, ma, al contrario, ne prevede un rafforzamento, particolarmente nella categoria di concetto, per mettere l’Istituto nelle migliori condizioni per assolvere ai vasti e delicati compiti che gli sono demandati.
È quindi assolutamente falso che l’Istituto di statistica sia sul punto di dover congedare una parte del proprio personale. Come pure ho il dovere di dire in coscienza che è falso che l’Istituto sia in condizioni arretrate, perché, malgrado le generali difficoltà ed il fatto che la consistenza numerica del suo personale sia di oltre 200 unità inferiore a quella del 1939, esso non solo ha ripreso tutte le antiche rilevazioni ed elaborazioni statistiche, apportandovi notevoli miglioramenti tecnici, ma ha esteso il campo della sua attività a rilevazioni ed elaborazioni mai eseguite nel passato né dall’Istituto stesso, né da altre amministrazioni ed enti.
I risultati di questa attività sono documentati nei quattro Bollettini mensili regolarmente pubblicati: Bollettino mensile di statistica, Bollettino dei prezzi, Bollettino di statistica agraria e forestale, Statistica del commercio con l’estero; nelle altre numerose pubblicazioni edite dal 1945 ad oggi, tra le quali il ben noto Compendio statistico; il Sommario statistico delle Regioni d’Italia; il Compendio, in due volumi, delle statistiche elettorali italiane dal 1848 ai nostri tempi, e, recentissimi, i primi due volumi di una nuova serie di Annali di statistica, con importanti studi scientifici su argomenti di viva attualità.
Altre testimonianze dei risultati di tale attività emergono, inoltre, dal notevole impulso dato dall’Istituto ai lavori statistici che si svolgono presso le altre Amministrazioni ed enti e dall’attiva partecipazione dell’Istituto stesso, con propri funzionari, ai lavori dei vari Comitati interministeriali e delle Commissioni tecniche nominate dal Governo per l’esame di speciali problemi di interesse nazionale e internazionale; e ancora, dall’alto prestigio – di gran lunga superiore a quello goduto nel passato – conquistato nel campo internazionale e dimostrato, fra l’altro, dalle numerose lusinghiere testimonianze in questo senso ad esso date dalle massime organizzazioni internazionali quali l’Istituto internazionale di Statistica, l’O.N.U., la F.A.O., ecc., con le quali il nostro Istituto attivamente collabora nell’interesse del Paese.
Infine, le norme contenute nello schema di provvedimento prevedono l’immissione nei ruoli statali di tutto dì personale a contratto in servizio alla data di entrata in vigore del provvedimento; esse tutelano nel modo più sodisfacente gli interessi del personale, che, del resto, attraverso la propria rappresentanza sindacale, ha attivamente partecipato alla elaborazione delle norme stesse.
Infine l’onorevole Sansone richiede che le Commissioni della Camera non siano estranee all’elaborazione e all’approvazione di questo provvedimento. Senza dubbio, poiché trattasi di un provvedimento urgente, ma non di estrema urgenza (dato che se ne parla dal 1945), esso, approvato dal Governo, nella prossima settimana di sedute sarà senza dubbio mandato alla prima Commissione, che pare sia quella competente a discutere questo problema.
PRESIDENTE. L’onorevole Sansone ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
SANSONE. La mia risposta sarà ampia. Io potrò dichiararmi sodisfatto quando tutto quel che ha detto l’onorevole Sottosegretario si verificherà, perché egli ha esposto un programma futuro dell’Istituto di statistica, ma non la situazione attuale. E mi spiego.
Per ciò che riguarda il personale, vi è un progetto che tende a mettere il personale stesso nei ruoli; però tra il personale vi è agitazione perché sembra che da parte del Ministero del tesoro sarà fatta la proposta di falcidiare il numero dei dipendenti e, quindi, ora, si potrà dire, o si afferma che tutto il personale sarà sistemato, ma quando saremo al testo definitivo della legge, allora certamente il personale sarà ridotto.
Io prego, quindi, vivamente l’onorevole Sottosegretario di voler studiare questo problema, di volere evitare cioè che il Tesoro imponga diminuzioni di personale, che sarebbero dannose non solo al personale stesso ma all’Istituto di statistica, il quale, contrariamente a quanto l’onorevole Sottosegretario ha detto, versa in questi momenti in una situazione di deficienza che deve preoccuparci seriamente.
Su questo punto sono in disaccordo con lei, onorevole Andreotti. Io non posso infliggere all’Assemblea la lettura di un rapporto molto lungo e dettagliato, ma se io domandassi a lei o domandassi all’Istituto di statistica quanti sono in questo momento gli abitanti in Italia, non lo si può sapere, e siamo al terzo anno dalla fine della guerra! Deve convenire, onorevole Sottosegretario, che sono manchevolezze gravi!
Ma vi è qualcosa di più. Come rilevo dal giornale Realtà, sono state sospese le statistiche del commercio con l’estero, perché nel 1946 furono compilate erroneamente, il che ha portato ad una valutazione errata della nostra bilancia commerciale ed ha fatto diminuire le nostre richieste di aiuti all’estero, in quanto si riteneva ad un certo momento che avessimo esportato più di quanto effettivamente fosse avvenuto. Sono deficienze gravissime! Non sappiamo ancora i dati statistici relativi alla natalità o alla mortalità, ed io ricordo un episodio: quando il Ministro Fanfani rispose alla mozione di Morandi e Di Vittorio, egli ci indicò delle statistiche, che certamente erano errate, il che significa che in Italia la statistica non funziona, (Interruzione del Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri), e non funziona perché i servizi sono suddivisi. Noi non abbiamo un servizio statistico unificato: ogni ufficio, ogni Ministero ha la sua statistica, e in America e altrove circolano statistiche ufficiose come se fossero ufficiali, il che determina tutto un orientamento della vita internazionale contrario agli interessi del nostro Paese.
Ora, la statistica è il fulcro della vita di un Paese civile. Sono i numeri che esprimono veramente la vita di un Paese, ma questi numeri devono essere accreditati presso i Paesi stranieri. L’Istituto di statistica italiano ha una tradizione luminosa, perché è sempre stato presieduto da statisti insigni, ma da due anni, come diceva lei, cioè dal 1945, vi è una gestione provvisoria affidata ad un amico del suo Partito, al professore Canaletti.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Appunto c’è questa interrogazione.
SANSONE. La sua è una intemperanza fuori posto. Mi sono permesso di dire che è un democristiano. Se questo è vietato, le dirò che pian piano la dittatura nera cresce! (Rumori al centro).
Dunque dicevo che la gestione provvisoria è affidata al professore Canaletti e da due anni non si passa dalla gestione straordinaria alla gestione ordinaria, ma quel che è peggio, è che non si provvede al Consiglio Superiore di statistica, che è veramente l’organo che può accreditare i nostri dati all’estero. Sono due anni, ripeto ancora, che siamo in una situazione provvisoria in un settore che è uno dei principali del Paese. Perciò chiediamo l’intervento dell’Assemblea Costituente la quale deve affrontare il problema stesso, risolvendo cioè la unificazione dei servizi statistici affinché subito venga costituito il Consiglio Superiore di statistica e che può dare veramente la tranquillità sulle cifre che si possono realizzare.
A conferma – se pur ve ne fosse ancora bisogno – delle deficienze voglio leggervi quanto riporta il giornale che vi ho citato: «È di qualche giorno fa il comunicato con cui l’Istituto centrale di statistica informa di avere temporaneamente sospesa la pubblicazione dei dati sul commercio estero italiano causa la necessità di provvedere alla revisione dei criteri di elaborazione e rilevazioni fin qui seguiti non rispondenti alle presenti condizioni degli scambi della valuta dei paesi stranieri. Ottimamente – commenta ironicamente il compilatore della nota. Meglio nessuna statistica anziché delle cattive statistiche e parlando in coscienza quelle anche ufficiali, fin qui fornite, non potrebbero senz’altro definirsi come buone».
Quindi, io pregherei l’onorevole Sottosegretario di voler controllare che non siano violati i diritti del personale nel senso che se si statizza l’Istituto bisogna che veramente tutto il personale sia immesso nei ruoli, ma principalmente necessita che cessi la gestione straordinaria, che si nomini il Consiglio Superiore di statistica e che principalmente tutta l’Assemblea prenda in discussione questo problema che è uno dei problemi centrali per la vita del Paese.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Vorrei solo aggiungere una parola a quello che ha detto l’onorevole Sansone, in quanto mi incombe l’obbligo di dire che se non è stato fatto in Italia il censimento, questo non dipende dall’Istituto di statistica, ma dipende da una mancata deliberazione del Governo, che ha ritenuto, o per mancanza di mezzi o per trasmigrazioni interne che ancora esistono in misura rilevante, di non poter disporre il censimento. D’altra parte, lo stesso Istituto di statistica, così come è organizzato nella fase costituente interna, non ha degli organi periferici propri e questo spiega perché possano esistere dati che provengono dalla base senza una certezza o senza una forte percentuale di certezza.
L’onorevole Sansone ha parlato delle statistiche di disoccupazione, e quanto egli ha detto è vero. Ma quelle statistiche non vengono fatte dall’Istituto su relazione diretta della base, sibbene sopra indicazioni dei vari organi.
SANSONE. Questo è l’errore. Sono tre anni che la guerra è finita ed urge la unificazione dei servizi statistici.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma c’è almeno un merito dell’attuale gestione: quello di avere restituito una certa pace interna all’Istituto che, come lei ricorderà certamente, è mancata per un certo tempo ed è mancata perché certe figure, che avevano una particolare responsabilità e non avevano meriti insigni per potere essere assolti da altre pecche, sono state finalmente in parte messe fuori e in parte messe in condizioni di vedere come oggi è la realtà e cioè che l’interesse dell’Istituto è semplicemente quello di ottenere una certa concordia, un clima di serenità in cui si possa veramente servire ai compiti dell’Istituto stesso.
Io credo che l’attuale Presidente, il quale è un democristiano, sia anche un competente. È un professore di statistica e ha dato prova di aver restituito all’Istituto quel certo clima, e quella certa fisionomia che dà tutte le garanzie. Spero che quando – e ritengo prestissimo – questa legge che riordina l’Istituto verrà varata, questo organismo sarà posto in condizioni di assoluta idoneità a risolvere quei problemi di urgenza che si riterrà necessario di esaminare per l’interesse dell’Istituto stesso.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole De Martino, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere se il Governo intende mettere finalmente un termine alla vita dell’A.R.A.R., che occupa da anni impianti dell’industria privata con pregiudizio dell’economia nazionale e con aggravamento del problema della disoccupazione».
Data l’affinità di argomento, questa interrogazione può essere associata all’interrogazione degli onorevoli Rodinò Mario, Monticelli e Crispo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dei trasporti, del tesoro e dell’industria e commercio, «per conoscere se non si ritiene necessario ed urgente disporre una inchiesta sulla gestione dell’A.R.A.R. L’opinione pubblica si preoccupa vivamente della regolarità e della onestà del funzionamento di questa organizzazione che, improvvisata dal Governo Parri in pochi giorni, da anni riceve e custodisce, tratta, transige ed aliena e vende nell’interesse del pubblico erario tutto un assortimento di beni, inventariati all’ingrosso, che hanno valore di centinaia di miliardi, e ciò senza che finora sia mai stato esercitato, da persone estranee all’abituale ingranaggio dell’ente, un effettivo controllo sulla regolarità e sulla bontà dell’operato dell’ente stesso, sulla misura delle sue spese e sulla rispondenza dei risultati raggiunti con quelli che un’amministrazione sana ed oculata avrebbe dovuto ottenere. Sta di fatto che da tempo circolano, con riferimento all’A.R.A.R., voci di inauditi arricchimenti da parte di funzionari e di speculatori e la stampa ha in questi giorni pubblicato con chiari e violenti commenti, il testo di un contratto interceduto tra l’A.R.A.R. e una azienda privata, con il quale tale privata azienda risulta messa in grado di realizzare, senza impegno di denari e di rischio, utili per molte centinaia di milioni nel giro di pochi mesi. Data l’importanza degli inconvenienti ed il groviglio degli interessi che è possibile vi si annidi intorno, si richiede che la Commissione per gli accertamenti necessari venga composta, per garantirle autorità ed indipendenza, con parlamentari in grado, per competenza tecnica ed amministrativa, di valutare la realtà della posizione».
L’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro ha facoltà di rispondere.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Mi riferisco dapprima all’interrogazione dell’onorevole De Martino.
All’Azienda rilievi alienazione residuati, creata con decreto legislativo luogotenenziale 29 ottobre 1945, n. 683, è stato affidato un importantissimo compito, e cioè di procedere alla presa in consegna ed alla alienazione del materiale residuato di guerra ceduto dagli Alleati al Governo italiano. È evidente pertanto, che non si rende possibile, come chiede l’onorevole interrogante, porre fin d’ora un termine alla vita dell’azienda, perché non è dato stabilire quando potrà essere smaltito il quantitativo ancora ingente di materiale che essa detiene, tanto più che sono tuttora in corso altre consegne, da parte degli Alleati, di residuati di guerra di rilevante entità. Non potrebbe riuscire utile, al fine di attuare l’auspicata restituzione all’industria privata degli immobili ed impianti attualmente occupati dai cennati materiali, sopprimere l’A.R.A.R., perché, ovviamente, finché i residuati di guerra da alienare esistono, occorrerà pure custodirli e venderli; e perciò, ove si addivenisse a detta soppressione, si dovrebbe provvedere ad affidare ad altro organismo statale o parastatale tale compito, senza alcun beneficio nei riguardi dello sgombero degli immobili di proprietari privati, ed anzi, con la quasi certezza di ritardarlo ulteriormente per gli inevitabili intralci che un siffatto cambiamento determinerebbe, almeno in un primo tempo, nel ritmo delle vendite. Non bisogna poi dimenticare che l’attività dell’A.R.A.R. involge cospicui interessi del Tesoro, al quale affluisce il ricavato delle vendite. Sono stati già introitati oltre quarantun miliardi di lire, onde anche sotto questo aspetto è d’uopo evitare iniziative che si risolverebbero in un danno per lo Stato.
In ordine alla questione specifica dei beni immobili, già adibiti dalle Forze armate alleate a depositi di materiali residuati di guerra, successivamente ceduti al Governo italiano, e per esso all’A.R.A.R., è da rammentare che la questione stessa ha formato oggetto del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 febbraio 1947, n. 120, il quale, all’articolo 1, stabilisce che gli immobili suddetti si considerano occupati dall’azienda al momento in cui essa abbia ricevuto in consegna i materiali ivi depositati. Tale provvedimento si è reso necessario allo scopo di assicurare nel miglior modo la conservazione del materiale, che per la sua rilevante entità, non poteva essere collocato altrove, data la difficoltà di trasportarlo e di trovare locali o terreni idonei per sistemarlo convenientemente. Qualsiasi spostamento avrebbe inoltre dato luogo agli inconvenienti di cui ho fatto cenno, per la inevitabile paralisi che ne sarebbe derivata nelle alienazioni.
Ciò non significa naturalmente che da parte dell’A.R.A.R. non si cerchi in tutti i modi di attenuare il disagio che deriva agli interessati dal prolungarsi dell’occupazione di terreni o immobili di loro proprietà. Una speciale disposizione è stata all’uopo inserita nel citato decreto n. 120 per quanto attiene agli immobili destinati ad uso di abitazioni o di scuole o destinati ad istituzioni di assistenza e beneficenza, per l’alloggio di ricoverati e per i relativi servizi, stabilendosi che per detti immobili l’A.R.A.R. deve provvedere alla restituzione entro un determinato periodo di tempo indicato nel decreto medesimo. Indipendentemente da questa specifica norma, il Tesoro non ha mancato e non mancherà di svolgere azione vigile e costante affinché, compatibilmente con le esigenze funzionali dell’A.R.A.R., non si verifichino ingiustificati ritardi nello sgombero dei locali da essa occupati; e in tal senso si è già avuto occasione di rivolgere premure all’azienda, di volta in volta che sono pervenute segnalazioni da parte degli interessati. È altresì da avvertire che, in seguito anche alle vivaci premure rivolte dal Ministero del tesoro, l’A.R.A.R. nulla tralascia per dare il massimo impulso alle vendite, ciò che contribuirà ad affrettare lo sgombero dei locali nei quali il materiale è ora depositato. Di più non è possibile fare. Nessun dubbio che occorre ridurre allo stretto indispensabile i danni che l’occupazione degli immobili di privati industriali ha potuto determinare all’economia del Paese; ma è altrettanto indiscutibile che occorre in pari tempo tenere in debito conto la necessità dell’A.R.A.R., cui è affidato un così importante e complesso compito e alla cui attività sono connessi, come già ho avvertito, cospicui interessi dello Stato.
Per quanto si riferisce alla interrogazione dell’onorevole Rodinò ed altri colleghi, osservo che, circa la questione della regolarità di funzionamento dell’A.R.A.R., deve premettersi che questa azienda è stata costituita nell’ottobre del 1945, per assolvere ad un compito di natura e di entità assolutamente eccezionale, quale è quello della presa in consegna, della custodia e della alienazione di ingenti quantitativi di materiale residuati di guerra, da cedersi dagli alleati al Governo italiano.
Trattavasi, nella specie, di ricevere, spesso in alcuni giorni, a volte in poche ore, quantitativi enormi di materiali, di natura assolutamente eterogenea, custoditi alla rinfusa in interi campi, senza dettagliati elenchi di consegna, e di provvedere successivamente alla loro custodia ed alienazione; compiti questi che sovrastavano al momento, come per vario tempo hanno sovrastato, ogni pratica possibilità organizzativa dell’azienda.
Che ciò possa aver dato luogo agli inconvenienti spesso lamentati è fuori di dubbio; ma occorre aggiungere subito che nulla è stato trascurato, sia da parte del Tesoro che dall’azienda medesima, per addivenire nel più breve tempo possibile ad una più idonea e migliore organizzazione, adottando anche più efficienti controlli, che, nonostante la delicatezza e la complessità dei compiti all’azienda stessa affidati, possono lasciare presumere di raggiungere risultati capaci di escludere irregolarità ed abusi.
Comunque, non sono mancate, e non mancano neppure attualmente, tutte quelle iniziative che consentano di addivenire ad un notevole miglioramento della situazione.
Una innovazione, che indubbiamente ha contribuito a creare nel campo dell’alienazione un’atmosfera più sana, è quella della adozione, in massima, del sistema della pubblica gara, che offre, in confronto alla trattativa privata, maggiori garanzie di imparzialità e di regolarità, e che pertanto appare preferibile, anche se ostacola alquanto la più rapida alienazione degli ingenti quantitativi di materiali giacenti nei magazzini e nei campi dell’A.R.A.R.; tanto più che tale svantaggio viene attenuato intensificando al massimo il lavoro di lottizzazione ed i servizi di propaganda.
In connessione con la questione delle vendite, si è curato di migliorare, nel limite del possibile, il servizio di stima del materiale; questione questa che, peraltro, ha sempre presentato e presenta tuttora notevoli difficoltà, giustificate dall’ingente numero dei lotti, che vengono posti in vendita per ogni decade e che ammontano in media a 4.000.
Una delle più gravi lacune verificatesi nell’espletamento dei servizi inerenti alla presa in consegna, alla custodia ed alla alienazione dei residuati di guerra, è quella della mancanza di un inventario del materiale pervenuto all’azienda, che avesse stabilito fin dall’inizio della gestione un punto fermo, per seguire i movimenti del materiale stesso. Si deve indubbiamente a questa deficienza la maggior parte degli inconvenienti che spesso si sono lamentati. Ciò, peraltro, va posto in relazione con la circostanza che ingentissimi quantitativi di materiali sono stati ceduti dagli alleati all’A.R.A.R., senza elenchi di consegna, onde il lavoro di ricognizione non si presentava invero agevole, data anche la necessità di non intralciare, con lo svolgimento di operazioni di ricognizione, classificazione ed elencazione, il regolare ritmo delle alienazioni.
Comunque, in seguito alle vive insistenze da parte del Tesoro e per effetto della collaborazione che ha sempre offerto l’azienda, è stata possibile la compilazione di un inventario indicativo, alle date del 31 dicembre 1946 e del 30 giugno 1947, del quantitativo dei materiali in possesso dell’A.R.A.R., razionalmente classificati. Tale consistenza non corrisponderà certamente alla situazione iniziale del materiale, che è da ritenere non potrà più ricostruirsi; potrà forse non fotografare nemmeno l’attuale situazione di fatto, ma data la mole di lavoro e le difficoltà che si sono frapposte alla sua realizzazione, costituirà senza dubbio un risultato notevolissimo. Ad ogni modo questi dati, faticosamente raccolti, potranno fornire sicura base per procedere, in prosieguo di tempo, ai necessari completamenti ed aggiornamenti che consentano di controllare più esaurientemente il movimento del materiale. Dopo un periodo di notevole incertezza è stato provveduto alla riorganizzazione dei servizi contabili dell’azienda, adottando il sistema unico, basato sul più largo decentramento, nel senso che ciascuna sede ha una contabilità autonoma collegata al centro attraverso il conto corrente istituito fra ogni sede e la Direzione generale.
Per quanto attiene alle spese di funzionamento dell’azienda, è in corso di compilazione il preventivo di spese, che consente di fissare annualmente il livello massimo delle spese stesse, salvo le eventuali variazioni che, nel corso della gestione, si potessero rendere necessarie.
Per ciò che concerne la questione dei controlli, va considerato che essa è attualmente effettuata, oltre che dal collegio dei sindaci, anche dalla Ragioneria generale dello Stato, a mezzo di funzionari distaccati presso l’azienda medesima, mentre alla periferia, limitatamente alle sedi più importanti, come Livorno, Milano, Bari, Venezia e Forlì, si provvede mediante personale di ragioneria delle Intendenze di finanza. Data la grandissima importanza della sede di Napoli, alla quale è affidata la gestione di oltre la metà dell’intero quantitativo dei materiali A.R.A.R., si è provveduto al distacco permanente di un ispettore superiore del Tesoro, col compito specifico di vigilare sulla gestione della sede stessa: compito principale affidato agli incaricati del controllo presso le sedi periferiche è quello di assistere alle operazioni preliminari e conclusive inerenti alle pubbliche gare, esprimendo il proprio parere, quando risulti necessario. Ma il controllo dei predetti funzionari può estendersi a tutta l’attività amministrativa e contabile delle rispettive sedi, campi e magazzini compresi. Il controllo, come sopra organizzato, ha dato pratici risultati e si svolge senza pregiudizievoli intralci per il funzionamento dell’azienda e per il concretamento delle operazioni di alienazione. Siffatta azione di controllo, alla quale concorre l’azienda medesima con il proprio corpo di ispettori, che è intendimento del Tesoro rafforzare e che dovrebbe anche essere incitamento ai dirigenti centrali e periferici dell’A.R.A.R. a perfezionare sempre più il loro lavoro e a porre maggior impegno per evitare rilievi ed osservazioni in dipendenza di atti non conformi all’interesse dell’azienda. Ma se non può sicuramente affermarsi che coi provvedimenti adottati sia stata raggiunta una organizzazione tale da impedire in ogni caso qualsiasi più lontana possibilità di irregolarità ed abusi, si deve però dire che molto è stato fatto per avviare l’azienda verso quella regolarità sostanziale e formale che è sempre stata preciso obiettivo del Tesoro, anche se tale regolarità – come già sopra avvertito – per la natura stessa dell’azienda e la sua condizione di funzionamento, esigerà continui perfezionamenti.
Per quanto concerne poi le notizie apparse sulla stampa circa un contratto interceduto tra l’A.R.A.R. ed un’azienda privata, che in tal modo sarebbe stata posta in grado di realizzare utili per molte centinaia di milioni nel giro di pochi mesi, gli onorevoli interroganti intendono riferirsi evidentemente, in particolare, alla vendita da parte dell’A.R.A.R. di 1800 motori Diesel G.M. Ed è pertanto opportuno, al fine di potere esprimere un sereno giudizio, considerare i tre principali aspetti dell’operazione: soggetto acquirente, modalità del contratto, prezzo di vendita. Ed occorre subito avvertire che se nel caso concreto l’azienda alienatrice è stata indotta a derogare alla normale procedura della vendita a mezzo della pubblica gara, vi sono stati seri motivi, che vanno ricercati nella particolare natura dell’ente acquirente. L’Unione aziende meccaniche meridionali, U.N.A.M., creata dalla Società per lo sviluppo delle industrie del Mezzogiorno, S.V.I.M.E.Z., col concorso della Navalmeccanica, dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco e delle Industrie meccaniche napoletane, aziende tutte controllate dall’I.R.I., non può infatti considerarsi alla stessa stregua di una qualsiasi organizzazione industriale o commerciale che svolga la propria attività per scopi esclusivamente speculativi, ma come un ente che fiancheggia e rafforza l’opera del Governo nella soluzione dell’importante problema di carattere nazionale attinente allo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno d’Italia.
Tale caratteristica dell’U.N.A.M. è confermata dal fatto che il maggior ente partecipante all’Unione stessa, e cioè l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, avente per iscopo statutario di promuovere lo studio per le condizioni economiche del Mezzogiorno e di definire concreti programmi di azione intesi allo sviluppo delle attività industriali meglio rispondenti alle esigenze di quelle zone d’Italia, non può esercitare attività industriali e commerciali rivolte a scopi meramente lucrativi.
Va inoltre tenuto presente che tutte le cariche sociali dell’Associazione sono gratuite e che l’eventuale attivo che risulterà al momento della liquidazione sarà devoluto ad istituzioni aventi per iscopo il progresso economico del Mezzogiorno. L’Associazione stessa è presieduta dall’onorevole Morandi, che, all’epoca del contratto in questione, rivestiva la carica di Ministro dell’industria e commercio e dedicava un particolare interessamento alla intensificazione di concreti programmi per l’incremento delle industrie meridionali.
Si è voluto da taluno osservare, a proposito del soggetto acquirente dei suddetti 1800 motori, che l’U.N.A.M. trae le sue origini dall’unione aziende meccaniche meridionali, U.N.A.M.M.E.R., costituitasi il 25 febbraio 1947 ed avente la comune caratteristica di una società privata con scopi commerciali ben precisi. Ma non si vede quale rilevanza possa avere tale indagine di carattere retrospettivo ai fini del giudizio che può esprimersi sull’operazione compiuta dall’A.R.A.R. Sta di fatto che il contratto è stato stipulato non con l’U.N.A.M.M.E.R., società privata, ma con l’U.N.A.M., e che questa, al momento in cui la vendita venne eseguita, aveva indubbiamente caratteristiche, che la differenziavano sostanzialmente da altre aziende aventi il solo e unico scopo della speculazione.
Chiarita, in tal modo, la figura dell’ente acquirente, vediamo quale sia l’essenza del contratto U.N.A.M.-A.R.A.R. Esso è diretto principalmente alla utilizzazione dei motori per la costruzione di gruppi elettrogeni, impieghi questi di particolare importanza, in quanto sono di grande aiuto per superare le eventuali crisi invernali di energia elettrica e stimolare, nel tempo stesso, l’approntamento di alternatori, dando lavoro e guadagno ad altre industrie.
Nei riguardi specifici dell’A.R.A.R., la opportunità di chiedere la vendita nei termini previsti dal contratto con l’U.N.A.M., va posta in relazione anche con le difficoltà che essa aveva precedentemente incontrate nell’alienazione separata di motori singoli o accoppiati. Si consideri che, su 158 motori messi in vendita a coppie, ne furono venduti soltanto 92. Non poteva perciò fondatamente sperarsi di riuscire ad esitare l’ingente massa di 2.300 motori di carri armati giacenti nei campi.
Va inoltre tenuto presente che, per direttiva di carattere generale, è fatto obbligo all’A.R.A.R. di vendere i materiali allo stato in cui si trovano, onde evitare che all’attività puramente commerciale dell’alienazione si unisca quella più rischiosa della trasformazione e manipolazione del materiale.
Poiché i motori di cui trattasi sono montati su carri armati, la vendita a piccoli lotti doveva importare o l’obbligo dell’A.R.A.R. di provvedere allo smontaggio, oppure l’autorizzazione ai singoli acquirenti di effettuare tale smontaggio con i propri mezzi, È facile comprendere quali pericoli avrebbe presentato quest’ultima soluzione nei riguardi della tutela dell’ingente patrimonio custodito nei campi e magazzini dell’azienda. La vendita effettuata all’U.N.A.M. presenta il grande vantaggio di agevolare l’esodo di una grande quantità di materiale, che è utilissimo per la economia di un ente che opera a mezzo di società controllate dallo Stato ed in base a direttive di una associazione non avente finalità speculative. La natura del contratto non è quella di una vera e propria vendita, ma di un deposito presso l’U.N.A.M. per successiva alienazione a terzi, ed i motori non venduti entro il termine contrattuale dovranno essere restituiti all’A.R.A.R. senza diritto per l’U.N.A.M. a rivalsa di sorta.
Per quanto riguarda il prezzo, nel determinarlo l’A.R.A.R. ha tenuto conto:
1°) delle offerte già acquisite in sede di pubblica gara di motori sciolti;
2°) del costo di smontaggio di ogni motore dal rispettivo carro armato;
3°) del prevedibile prezzo realizzabile in vendite a lotti.
È da precisare che nelle vendite di motori scelti la media delle offerte ricevute dall’A.R.A.R. fu di L. 337.000 per motore, spese di montaggio L. 10.000 per motore; ed il prezzo a cui gli organi peritali dovettero scendere, di fronte allo scarso successo delle gare, fu di 300.000. Furono venduti dieci motori del lotto 4364 di Livorno, avendo la Commissione aggiudicatrice constatato, in occasione di una pubblica gara, la scarsa richiesta del materiale in parola.
L’esperienza fatta sulla vendita in gare pubbliche dei motori scelti a ditte e persone private per piccoli quantitativi, al prezzo persino di L. 300.000 l’uno, legittimava la presunzione dell’azienda che fosse conveniente vendere quelli montati su carri armati ad un prezzo ormai vicino ai precedenti, ad un ente operante nell’ambito del pubblico interesse e per un grosso blocco.
Giova notare che il prezzo concreto di vendita non venne stabilito in modo costante, ma con riferimento a quello di listino dell’autocarro italiano dotato del motore più simile al Diesel G.M., che è di L. 275.000. Con tale agganciamento si è mirato a garantire l’A.R.A.R. dei rischi derivanti dalla svalutazione monetaria, in considerazione che il termine del contratto era previsto al 31 dicembre 1948.
La spesa di L. 10.000 per smontaggio di ogni singolo motore restava a carico dell’U.N.A.M. Da tutte le considerazioni esposte non si può prescindere, se si vuole valutare nella sua realtà questo contratto, che ha dato luogo a critiche non sempre serene e obiettive.
Comunque, è bene si sappia che non si è trattato di una operazione decisa e concretata in modo rapido: il concretamento della operazione fu, al contrario, preceduto da un accurato esame, da lunghe discussioni svoltesi nelle riunioni del Comitato esecutivo e del Consiglio di amministrazione dell’A.R.A.R. in data 28 gennaio, 17 febbraio, 11, 25 e 31 marzo corrente anno. E in quest’ultima riunione il contratto fu approvato, non senza avvertimento, da parte di qualche consigliere dotato di particolare competenza tecnica, sul dubbio esito che l’iniziativa avrebbe avuto per l’acquirente, attesa l’imponente massa dei motori da smontare, dei gruppi elettrogeni da collocare e tenuto conto degli oneri e delle alee connessi alle operazioni stesse.
A seguito di attacchi mossi da qualche giornale in merito alla convenzione della quale trattasi, la questione ha anche formato oggetto di ulteriore esame, avvalendosi del parere di competenti tecnici; è stata altresì disposta ed eseguita un’accurata indagine da parte di un ispettore generale del Ministero del tesoro. Ma da tutto questo complesso di accertamenti e di indagini si può trarre la conclusione che l’operazione debba ritenersi pienamente regolare, sia dal lato formale che da quello sostanziale.
E poiché gli onorevoli interroganti hanno accennato a manchevolezze di carattere generale nel funzionamento dell’A.R.A.R., ritengo opportuno fornire anche alcuni chiarimenti sulla particolare questione dei furti e incendi.
Furti. Fin dal primo momento dell’assunzione da parte alleata dei depositi residuati di guerra, l’A.R.A.R. s’è posto il gravissimo problema della custodia e conservazione del materiale ivi contenuto.
L’organizzazione creata per la prevenzione e la repressione delle attività criminose ai margini dell’azienda e precisamente dei furti, dei tentativi di sottrazione del materiale concertati con terzi, dell’irregolare uscita di materiali, ecc., ha avuto inizio nei primi mesi del 1946 e si è sviluppata su basi di sempre maggiore efficienza, raggiungendo risultati notevolissimi, che sono stati riconosciuti più volte dagli stessi alleati e da tutti i rappresentanti delle similari organizzazioni ed istituzioni estere, i quali abbiano visitato le sedi e i campi A.R.A.R.
L’organizzazione creata in stretta intesa con l’autorità di pubblica sicurezza e col Comando speciale del Corpo di custodia affidato al colonnello Biglino e ai suoi collaboratori designati dal Comando dell’arma dei carabinieri e dal Ministero della guerra, si fonda su queste principali caratteristiche:
- a) creazione di distaccamenti di carabinieri nei campi; con attività speciale di investigazione e controllo;
- b) istituzione presso tutte le principali sedi dell’A.R.A.R. di nuclei speciali di pubblica sicurezza all’ordine di un commissario distaccato appositamente, nuclei che fanno capo ad un ispettorato generale presso la Direzione generale di pubblica sicurezza in Roma, coadiuvati da vari funzionari ed agenti col compito specifico di indagine, denunzia, repressione di tutti i reati o tentativi di reati in ogni sede o servizio dell’azienda. Fanno capo a questi gruppi, oltre che gli speciali servizi della Direzione dell’A.R.A.R., anche numerosi informatori distribuiti fra guardie giurate, personale dei campi, ecc., con l’incarico di accertare e riferire immediatamente eventuali irregolarità o sospetti, dovunque manifestantisi;
- c) controllo sempre più intenso ed efficace delle attività e delle entrate ed uscite nei campi, compatibilmente con l’originario difetto e struttura di funzionamento conseguente al modo e all’entità delle consegne, mediante un corpo di ispettori centrali e periferici che è dotato di oltre 30 persone, quasi tutte esperte in materia amministrativa, tecnica, commerciale o di magazzino e che agisce in istretta collaborazione con le predette autorità di pubblica sicurezza e dei carabinieri. L’azione di tutti i predetti servizi, associata ad una sempre maggiore razionalizzazione dei sistemi ispettivi della A.R. A.R., ha condotto a risultati veramente notevoli, se si tengano presenti le formidabili difficoltà iniziali che nessuna azienda né organizzazione ha mai dovuto affrontare in Italia, nemmeno in misura più ridotta di quello che non abbia invece dovuto affrontare l’A.R.A.R.
Si può affermare che in nessuna azienda esista oggi un sistema di controlli così preciso come esiste nell’A.R.A.R. Molte sensazioni che si hanno, in genere, nel senso contrario, oltreché ad insufficiente conoscenza della realtà, sono dovute anche al fatto che molte indagini e conseguenti sanzioni vengono tenute segrete. Di molte infatti non si conoscono tuttora i risultati, anche perché spesso queste indagini debbono durare parecchie settimane ed anche mesi.
Per quello poi che riguarda gli incendi, ve ne sono stati due soltanto di qualche importanza ed entrambi sono avvenuti nel periodo immediatamente successivo alle consegne da parte degli alleati, quando cioè i campi erano in condizioni di assoluta confusione e quindi di impossibilità di organizzazione e di controlli veramente efficienti.
Un primo incendio si verificò a Livorno per effetto di materiali deteriorati ivi giacenti. Nessuna valutazione fu possibile in modo esatto dei danni arrecati, in quanto nessun riscontro era stato fatto dei quantitativi consegnatici. Comunque, dagli atti dell’inchiesta fatta – si tratta della primavera del 1946 – risulterebbe che i danni sono stati modesti.
Più grave invece è stato il secondo incendio, quello cioè che si è verificato nel campo di Torre Annunziata il 23 luglio del 1946. Tutte le inchieste condotte al riguardo di questo incendio, che ha distrutto soprattutto materiali tessili e simili, hanno escluso in modo assoluto il dolo. Da notarsi che si tratta di inchieste condotte dalla pubblica sicurezza, dal corpo dei pompieri, nonché dalla polizia alleata già in servizio presso l’A.R.A.R.
L’incendio è stato dovuto ad alcune scintille sprigionatesi dalle locomotive dello stazionamento ferroviario. I danni presunti, secondo la Direzione dell’A.R.A.R., avrebbero ammontato alla cifra di 280 milioni; ma tale cifra è stata considerata poi di molto superiore alla realtà dalla valutazione fatta più tardi dalle autorità di pubblica sicurezza, le quali hanno calcolato il danno nella cifra approssimativa di 50 milioni.
Un incendio di molta minore entità dei due precedenti si è verificato al campo di Poggioreale Macello, contenente soltanto maschere antigas in istato di deterioramento. Il danno è stato valutato dalle autorità di pubblica sicurezza nella cifra approssimativa di 10 milioni, mentre invece la direzione dell’A.R.A.R. aveva parlato di una cifra alquanto superiore. Tutte le indagini hanno comunque escluso il dolo ed hanno concordemente attribuito l’incendio ad autocombustione originata dall’eccessivo calore.
È a questo proposito da ricordare che, proprio nello stesso periodo, a pochissima distanza da quel campo, ha avuto luogo un formidabile incendio al deposito di traversine delle Ferrovie dello Stato, con un danno di parecchi milioni.
Posso dire, in conclusione, che gli incendi verificatisi sono stati pochissimi e i danni veramente lievi, ove si rifletta all’enorme quantità di depositi e soprattutto alla carenza di mezzi antincendio di cui si poteva disporre.
Dopo quanto esposto, il Ministero del tesoro dichiara di ritenere che le indagini di una Commissione di inchiesta non siano necessarie; esse anzi probabilmente paralizzerebbero l’attività dell’A.R.A.R., senza eliminare gli inconvenienti lamentati.
PRESIDENTE. L’onorevole De Martino ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
DE MARTINO. Le dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro non mi lasciano per nulla sodisfatto, anche perché pensavo che, a giudicare dall’interesse che l’argomento ha suscitato nel Paese e dalla precedenza e dalla coincidenza di altre interrogazioni sullo stesso argomento, si potesse senz’altro dedurre che il problema posto sul tappeto fosse di attualità, ossia la discussione di esso fosse più che matura.
Premetto che non è mia intenzione di pronunciare parole grosse, suscitatrici di scandali: deficienze, abusi, manchevolezze, episodi sintomatici e rivelatori potranno essere, se mai, oggetto di esame approfondito da parte non nostra, ma di altri organi.
Io qui desidero fissare con elementare chiarezza alcuni aspetti generali di questo problema, intorno al quale enormi interessi si agitano, anche se non tutti precisamente leciti.
Secondo me, l’attività dell’A.R.A.R. va distinta in tre fasi – e non in tre… evi, come minaccia di farli diventare anche la risposta dell’onorevole Sottosegretario – e che hanno conferma nella stessa sigla dell’Ente:
1°) Azienda rilievo, e cioè a dire, fase di ricognizione e di carico degli ingenti quantitativi di materiali vari che gli alleati avevano ammassati in Italia (specie nel Mezzogiorno), per alimentare la marcia dei loro eserciti. Fase, dunque, puramente statistica e contabile.
2°) Alienazione residuati. Siamo alla seconda parte della sigla, anche se le lettere sono identiche alla prima. Qui le cose si complicano. Una mastodontica burocrazia è sorta per la bisogna e i risultati delle vendite (alienazioni) si dimostrano, con le cifre, attivi e cospicui per lo Stato.
Ed, infatti, le prime vendite si sono succedute con intensità; e sugli innumeri campi A.R.A.R. si precipitarono, avidi, gli speculatori di ogni risma, in cerca di affari redditizi; e, trattandosi di una organizzazione di nuovo impianto, cui la improvvisazione aveva rifilato tutti i suoi difetti, non sono mancati gli scandali grossi e piccini, di cui, per un certo tempo, le cronache quotidiane hanno offerto saggi poco edificanti.
Si era peraltro in tempo di svalutazione crescente, e la minaccia del cambio della moneta si profilava a scadenza periodica a turbare i sonni di quanti in modo lecito o illecito avevano accumulato denaro. Perdurava la mancanza di materiale di ogni specie, e le industrie, ai primi incerti passi della loro ripresa, si erano date affannosamente ad acquistare residuati.
PRESIDENTE. Onorevole De Martino, mi pare che la sua risposta prenda proporzioni addirittura smisurate in confronto dei cinque minuti che le sono consentiti dal Regolamento. Io posso concederle qualche minuto di più, ma evidentemente non basta: lei, fra l’altro, legge e la lettura è vietata dal Regolamento. Cerchi dunque di essere sintetico, altrimenti gli altri interroganti non avranno modo di sentire la risposta alle loro interrogazioni.
DE MARTINO. Ma io mi valgo soltanto di alcuni appunti: e questo mi pare sia consentito.
Dicevo che il terzo periodo è quello che viviamo, ed è il più difficile e preoccupante, specialmente dopo le dichiarazioni dell’onorevole Sottosegretario. L’A.R.A.R. occupa, come ho detto nella mia interrogazione, gli impianti dell’industria privata, con pregiudizio dell’economia nazionale e con l’aggravamento del problema della disoccupazione.
Sono ormai quattro anni, signori del Governo, nell’Italia del Sud, e tre anni nell’Italia del Centro e del Nord, che l’A.R.A.R. persiste nel sistema di requisizione di stabilimenti industriali e di vaste zone di terreno sottratte all’agricoltura, su cui, ai limiti delle strade o nel cuore di fertili campagne, giacciono in estensione materiali che sono in attesa di essere eliminati e che fra l’altro costituiscono esca ai reati di furto, ed incentivo alla delinquenza minorile. Sicché i procedimenti penali s’infittiscono, con aggravio di lavoro per la Magistratura inquirente e giudicante, con aumento di spese nel bilancio della giustizia, con il diffondersi sempre più preoccupante dell’abitudine al furto, per cui mi meraviglio come intelligenti avvocati di parte non abbiano ancora invocato per i loro clienti il beneficio della… grave provocazione. (Commenti).
Ma veniamo al sodo, al consistente: l’utile ricavato dal bilancio dell’A.R.A.R. è espresso in rigide cifre contabili che potrebbero, al caso, appagare un’azienda privata, che non è tenuta a valutare gli eventuali danni che arreca alla collettività. E la mancata produzione degli stabilimenti industriali e dei terreni, occupati dai depositi della A.R.A.R., non è forse danno alla Nazione? Questo lei, onorevole Sottosegretario, non l’ha detto. E il prolungarsi di una situazione di precarietà nei confronti del personale assunto in via provvisoria, non costituisce una grave responsabilità per lo Stato e un impegno morale verso innumerevoli impiegati, funzionari ed operai che lavorano nell’Ente? E il pericolo di un sempre maggiore deterioramento, e quindi deprezzamento, dei materiali giacenti in attesa di vendita, non è forse una voce da segnare al passivo?
Pur compenetrandomi della situazione del personale dell’A.R.A.R. – per il rispetto che porto verso tutti coloro che lavorano – non credo che ciò possa costituire il motivo determinante per procrastinare all’infinito l’esistenza dell’A.R.A.R., che, a lungo andare, non avrebbe altro compito che quello di amministrare se stessa.
Ora io sostengo e propongo di normalizzare finalmente un assurdo stato di cose, di smobilitare questa pesante ed onerosa bardatura, certamente dannosa all’economia nazionale, restituendo nel più breve tempo alla loro destinazione produttiva gli impianti industriali ed i terreni sottratti alla loro funzione, e che attivandosi o ritornando a cultura, potranno accogliere nuove braccia operose, sottraendole alla mortificante tragedia della disoccupazione a cui sono costretti.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. E i materiali dove li mettiamo?
DE MARTINO. I materiali si liquidano, perché i materiali perdono valore man mano che passa il tempo! Essi arrugginiscono, e se oggi possono essere venduti, per esempio, per cento miliardi, domani dovranno essere venduti – anche per effetto della rivalutazione della lira – per cifre molto, ma molto inferiori ai cento miliardi!
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. E infatti liquidiamo.
DE MARTINO. Quando per liquidare i residuati che ci hanno lasciato i vincitori impieghiamo un tempo maggiore della stessa durata della guerra, che cosa succederà per l’avvenire dell’Italia?
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Io non so se l’onorevole interrogante si renda conto della quantità ingente di materiale!
PRESIDENTE. Onorevole De Martino, lei dice cose interessanti, ma per avere il diritto a parlare così a lungo, doveva fare una interpellanza e non una interrogazione.
DE MARTINO. Dopo la risposta dell’onorevole Sottosegretario, io mi riservo di fare una interpellanza, perché i nostri punti di vista sono completamente opposti. Io penso che il mio criterio sia costruttivo, mentre quello dell’onorevole Sottosegretario è un criterio da conservatore: e questo non significa fare gli interessi dell’economia nazionale!
PRESIDENTE. Nel dare ora facoltà all’onorevole Rodinò di dichiarare se sia sodisfatto, gli chiedo se non ritenga opportuno anch’egli presentare a sua volta una interpellanza sull’argomento di questa interessante interrogazione.
RODINÒ MARIO. Io conto di essere brevissimo, perché mi sembra, dopo la lunga risposta dell’onorevole Sottosegretario, di essere d’accordo con il collega De Martino, e credo che sia necessario trasformare questa nostra – direi – comune interrogazione in una interpellanza, che possa dare adito a più ampia discussione.
Solo vorrei rilevare, per giustificare la necessità dell’interpellanza, che l’onorevole Sottosegretario al tesoro ha chiarito con i suoi argomenti, che egli ritiene che tutto funzioni regolarmente nell’A.R.A.R., o almeno che funzioni per il meglio.
Invece la nostra interrogazione ha avuto lo scopo di portare a conoscenza dell’Assemblea che questa convinzione, che ha il Governo, non risponde alla convinzione che hanno moltissimi cittadini, e che questi cittadini desidererebbero a loro volta fare propria la convinzione che ha il Governo, confortata e convalidata da qualche Commissione d’inchiesta, che naturalmente non potrebbe essere formata dagli stessi funzionari che oggi gestiscono l’A.R.A.R.
Non mi dilungo, benché avrei molte citazioni e documentazioni da produrre; ma, appunto perché mi riservo di parlarne in sede di interpellanza, chiudo questo mio intervento dichiarando che non sono sodisfatto, tanto da pensare, appunto, alla necessità di una più vasta discussione in sede di interpellanza.
PRESIDENTE. Segue l’interrogazione dell’onorevole Crispo, al Ministro della pubblica istruzione, «per sapere le ragioni per le quali è stata chiusa, per improvvise disposizioni del Provveditorato agli studi di Napoli, la sezione distaccata del liceo-ginnasio governativo di Meta di Sorrento, dove affluivano circa 100 allievi. Il provvedimento di chiusura è giunto tanto più improvviso e pregiudizievole, in quanto erano state già effettuate le iscrizioni e si erano anche iniziate le lezioni, e ciò in seguito alle ripetute assicurazioni del Ministro al sindaco di Meta, autorizzato; alla stipula del regolare contratto di fitto dei locali».
L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere all’interrogazione.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. L’onorevole interrogante sa come sia pietosa la condizione di molte di queste sezioni staccate, che furono istituite sotto l’influenza dell’azione bellica e che naturalmente ora tendono a scomparire per dare luogo a scuole regolarmente costituite.
Il provveditore agli studi di Napoli ha ritenuto opportuno di non autorizzare quest’anno questa sezione staccata di Meta di Sorrento, semplicemente perché al provveditore risultavano iscritti soltanto 20 alunni.
L’onorevole Crispo dice che sono cento gli alunni che potrebbero frequentare questi corsi.
Io posso assicurare l’onorevole interrogante che, se effettivamente sono cento, cioè un numero ben diverso da quello che risulta al provveditore di Napoli, immediatamente provvederò perché la sezione staccata venga mantenuta.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
CRISPO. Prendo atto dell’assicurazione che in questo momento l’onorevole Ministro si è compiaciuto di darmi, di revocare, cioè, il provvedimento di chiusura della sezione distaccata del liceo-ginnasio di Meta di Sorrento, ove risulterà che il numero degli iscritti sia quello da me indicato. Lo preciso di nuovo: novantacinque. Devo dire, però, che non sono sodisfatto della risposta, per verità assai monca, dell’onorevole Ministro, perché mi sembra che egli sia stato poco esattamente informato del modo in cui si è giunti improvvisamente alla soppressione della scuola distaccata di Meta di Sorrento.
È necessario premettere che, se è vero che la sezione distaccata sorse per esigenze belliche, la esperienza ha dimostrato che essa rispondeva alle reali esigenze di ben cinque Comuni: Sorrento, Meta, Piano, Vico Equense e Sant’Agnello di Sorrento. Difatti, nell’anno scolastico 1945, le iscrizioni furono sessantacinque; nell’anno scolastico successivo ottantacinque; in quest’anno novantacinque, come ho già ripetuto. Come si è giunti e perché si è giunti alla soppressione? Nel mese di giugno ultimo scorso il Comune chiedeva il mantenimento della sezione in Meta di Sorrento e l’onorevole Ministro rispondeva, chiedendo una regolare deliberazione. Questa fu inviata nell’agosto del 1947, e nel settembre 1947 l’onorevole Ministro autorizzava la riapertura della scuola per l’anno 1947-48. È un dato di fatto storico, adunque, che, in seguito ad una specifica autorizzazione del Ministero, il sindaco del Comune di Meta fu perfino indotto a stipulare il contratto di fitto dei locali per l’anno 1947-48. Furono poi sollecitati i pagamenti delle tasse di iscrizione; e la scuola fu aperta il 15 ottobre, quando, per l’assenza di qualche professore, l’inizio delle lezioni fu prorogato di qualche giorno. Intanto – incredibile a dirsi – il 30 ottobre, improvvisamente, la scuola veniva soppressa.
Nella zona vesuviana si afferma – io non raccolgo la notizia, ma ho il dovere di denunciare il fatto – che in concorrenza con la sezione distaccata, successivamente alla istituzione di essa avvenuta nel periodo di guerra, è stato aperto in Meta un liceo-ginnasio parificato, ad iniziativa delle suore del Monastero Sant’Anna e si ritiene (questa è l’opinione generale) che per avvantaggiare questo istituto religioso, sia stata soppressa la sezione distaccata. Se la notizia è vera, io non posso non protestare vivamente in attesa di un provvedimento che ripristini la sezione, arbitrariamente chiusa.
lo ho qui, onorevole Ministro, un esposto di ben ottantaquattro padri di famiglia. È la copia di quello inviato a lei. Questi padri di famiglia chiedono, e la richiesta mi sembra giusta, che, se la sezione è destinata ad essere soppressa, resti aperta per lo meno in questo anno, essendosi già fatte le iscrizioni, ed essendo state pagate le tasse. La richiesta, dicevo, mi sembra giusta, e sarebbe veramente enorme che gli alunni già iscritti alla sezione distaccata, dovessero, invece, essere obbligati a trasferire necessariamente la loro iscrizione all’istituto di Sant’Anna.
PRESIDENTE. Seguono due interrogazioni che, trattando lo stesso argomento, possono essere svolte congiuntamente:
Spallicci, De Mercurio, Paolucci, Della Seta, Macrelli e Facchinetti, ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, «per conoscere se non credano opportuno diminuire l’onere delle tasse universitarie, che rendono difficile la possibilità di frequenza ai corsi agli studenti meno forniti di mezzi di fortuna»;
Priolo, ai Ministri della pubblica istruzione e del tesoro, «per conoscere se, dato il grave onere che l’aumento delle tasse universitarie costituisce per gli studenti con modesti mezzi di fortuna, non ritengano opportuno procedere ad una conveniente ed equa riduzione».
L’onorevole Ministro della pubblica istruzione ha facoltà di rispondere.
GONELLA, Ministro della pubblica istruzione. Ringrazio vivamente l’onorevole Spallicci e gli altri, che hanno voluto attirare l’attenzione dell’Assemblea su questo gravissimo problema delle tasse universitarie e del finanziamento dei nostri Istituti superiori universitari. Non è possibile considerare questo problema se non si tiene presente il suo intimo legame con il più generale problema della finanza universitaria. Le odierne difficoltà finanziarie in cui si dibattono le Università sono dovute, come è noto, ad un complesso di cause di cui la prima, in ordine di tempo, è da ricercarsi nel falso concetto dell’autonomia amministrativa concessa a tale ente. Questa autonomia, come l’onorevole interrogante saprà, è puramente fittizia, perché è sempre mancata alle Università una vera ed adeguata autonomia finanziaria. Le Università hanno sempre vissuto, oltre che con il provento delle tasse scolastiche e con il contributo dei proventi locali, principalmente con l’aiuto dello Stato mediante contributi ordinari e straordinari e mercé il carico fatto al bilancio dello Stato degli stipendi, assegni e pensioni a favore dei professori universitari di ruolo e del personale amministrativo.
Occorre aggiungere un’altra causa di dissesto, e questa è data dai rilevantissimi danni di guerra. Infine bisogna tener presente il complesso dei miglioramenti economici per il personale insegnante e non insegnante.
Ora, di fronte a tale situazione, il Ministero si è seriamente preoccupato, sin dal momento in cui è stata liberata l’Italia insulare e centromeridionale, del problema del finanziamento delle Università. Dopo la liberazione di tutto il territorio fu provveduto con un fondo di 300 milioni stanziato con un decreto del 27 maggio 1946, a favore di tutte le Università e gli Istituti superiori. Questi 300 milioni erano stati preceduti da altri 50 milioni del bilancio anteriore. Con successivo decreto del settembre 1946 si provvide a quintuplicare per tutte le Università ed Istituti superiori i contributi dovuti dallo Stato per un ammontare di 150 milioni, ed inoltre fu stanziata una somma di 500 milioni e 280 mila lire per l’erogazione di contributi, ma in effetti per un acconto sulle spese anticipate per pagamento di stipendi e di personale.
Sono stati pure già stanziati, e in parte erogati, oltre 140 milioni circa per retribuzioni al personale insegnante e non insegnante. Il Ministero ha ancora provveduto a corrispondere successivamente 981 milioni, concessi per i miglioramenti economici corrisposti al personale delle Università ed agli Istituti superiori nei bilanci 1945-1946, 1946-1947. Un altro miliardo è stato stanziato per il corrente esercizio finanziario, sempre per retribuzione del personale e per contributi speciali ad Istituti bisognosi. Complessivamente, dalla liberazione ad oggi, lo Stato ha erogato a titolo straordinario, oltre le spese ordinarie, naturalmente, la somma di 3 miliardi e 397 milioni per le sole Università, oltre le spese fisse per gli stipendi dei professori, assegni, retribuzioni, ecc., al personale. Tutto ciò, è bene ripeterlo, è servito e servirà in massima parte per le spese del nostro corpo insegnante; ma il fabbisogno, come ben comprende l’onorevole interrogante, è di gran lunga superiore. Per quanto concerne i locali distrutti e danneggiati dalla guerra, è da rilevare che, mentre per le piccole riparazioni hanno provveduto o stanno provvedendo le Università con fondi propri, per quelle di maggior rilievo si è ottenuto che provvederà il Ministero dei lavori pubblici. In parte, i lavori sono già in corso di esecuzione. Anche la situazione del personale universitario non è numericamente adeguata alle necessità didattiche, tecniche, amministrative. Rimangono ancora in vigore i vecchi ruoli dell’anteguerra. Invero, le Università, per far fronte alle predette necessità, hanno proceduto per il passato all’assunzione di nuovo personale, i cui oneri finanziari gravino soltanto per una piccola parte sui bilanci universitari. Il Ministero si vide dunque costretto, per l’eccessivo aumento di questo personale che grava in parte sui bilanci universitari, ma in parte notevole sul bilancio dello Stato, si vide costretto, ripeto, nell’aprile 1946 a valutare, d’accordo col Ministero del tesoro, ogni nuova assunzione di personale sia a carico del bilancio statale sia a carico di quello universitario. È da aggiungere, anzi, che il Ministero del tesoro, nel concedere l’assenso per 981 milioni di cui si è detto, ha fra l’altro fatto presente la necessità di procedere, d’intesa con quel Ministero, ad una riduzione del personale non di ruolo assunto fin dal 1946. È inutile ribadire che le provvidenze di cui si è fatto cenno hanno lo scopo di provvedere alle attuali e più urgenti necessità dei nostri Atenei; ma, per poter mettere in condizioni la Università di adempiere compiutamente la loro alta funzione didattica e scientifica, occorrerebbe uno stanziamento annuo di almeno 10 miliardi, secondo i nostri calcoli. Ma tale somma non potrà essere posta a carico dell’attuale bilancio statale; e pertanto sarebbe necessario che, pur rimanendo le Università affidate a carico dello Stato, fosse ritoccata la finanza locale in maniera da assicurare al bilancio delle Università stesse una autonomia amministrativa vera, autonomia amministrativa che è il fondamento delle altre autonomie. Così stando le cose, appare evidente che nel momento attuale non si ritiene assolutamente possibile pensare ad una riduzione delle tasse universitarie. E vengo a questo argomento.
Il problema delle tasse si ricollega intimamente a quello delle entrate. Come si è detto sopra, le entrate delle Università – i mezzi, cioè, che dovrebbero consentire ai nostri Atenei di vivere degnamente e prosperare – sono rappresentati dal contributo dello Stato, dal contributo degli enti locali e dai proventi derivanti da lasciti e donazioni, nonché dal gettito delle tasse scolastiche.
Premesso che i proventi derivati da lasciti e donazioni rappresentano una modestissima parte di entrate e che i contributi degli enti locali sono rimasti pressoché fermi, nonostante i reiterati sforzi del Ministero, si può concludere che, in sostanza, le entrate universitarie sono costituite esclusivamente dal contributo dello Stato e dal gettito delle tasse universitarie.
Ora, per quanto concerne ili contributo statale e le singole molte sovvenzioni, che lo Stato ha elargito nei tempi più recenti, è stato già ampliamente trattato in questa stessa Assemblea in altre occasioni.
Per quanto concerne il problema delle tasse, si deve tener presente che l’azione del Ministero è stata sempre improntata al principio di far gravare il meno possibile sullo studente l’onere dell’insegnamento.
Infatti, tenuto conto della considerazione che gli studenti meritevoli e bisognosi sono, in base all’attuale legislazione, esonerati totalmente o parzialmente dal pagamento delle tasse scolastiche, a seconda naturalmente delle votazioni riportate negli esami, gli studenti possono dividersi in tre categorie nettamente differenziate: Categoria A, con esonero totale; categoria B, con l’esonero parziale; categoria C, con pagamento integrale dell’ammontare delle tasse, cui sono tenuti gli abbienti, anche se fra i meritevoli per profitto.
Le tasse universitarie, in relazione all’aumentato costo dei servizi, sono state, in primo tempo, cioè a decorrere dall’anno accademico 1945-46, appena raddoppiate: se prima lo studente versava in media lire 1040 annue, col raddoppio veniva a corrispondere la somma di lire 2080 annue.
Ora, era intendimento di questo Ministero di non apportare alcun nuovo aumento, tanto che nessun nuovo aumento venne adottato per l’anno accademico 1946-47; ma, di fronte mille necessità impellenti dei bilanci universitari, quasi tutti deficitari, di fronte all’aumentato costo dei servizi di carattere generale, alle pressanti richieste delle autorità accademiche, che avevano rappresentato la urgente necessità di adeguati incrementi delle entrate e delle stesse tasse, per concorde parere di tutti i rettori, nell’imminente pericolo della chiusura dei nostri Atenei, il Ministero non poté non provocare un secondo aumento delle tasse universitarie, a decorrere dall’anno accademico 1947-1948; aumento posto dal Ministero del tesoro come condizione essenziale per la concessione del fondo di 981 milioni, quale contributo dello Stato per i miglioramenti economici al personale. Ma, anche a seguito dei due aumenti, l’importo delle tasse e sovratasse scolastiche sembra a molte autorità accademiche ancora esiguo, giacché, fatti i debiti confronti, uno studente che corrispondeva, anteriormente alla guerra, lire 1040 di media annue, ne corrisponde ora lire 4.160; con un aumento, quindi, di sole quattro volte nei confronti dell’anteguerra. La tassa statale in cifra mensile si concreta nella somma di lire 350.
È bene considerare al riguardo – e richiamo l’attenzione dell’onorevole interrogante a questi dati – che il costo dello studente si aggira sulla media di lire 30.000 annue, in confronto di lire 4.100 da esso pagate.
Come ognuno vede, ammesso che lo Stato debba fare o faccia ulteriori sacrifici per il mantenimento delle nostre Università, non si può non osservare che anche gli studenti, che direttamente fruiscono del servizio, debbono anch’essi considerare, come considerano, la necessità di contribuire a quella parte di sacrifici che è oggi richiesta dall’esigenza di vita dei nostri Atenei. Ed in realtà si deve dire, ad onor del vero, che gli studenti hanno anch’essi ravvisata questa necessità in linea di massima, necessità di venire incontro agli impellenti bisogni mediante ulteriori e parziali integrazioni da parte loro, cioè oltre 4 mila lire annue d’integrazione, come contributo ai bilanci di ciascuna Università. Ciò è stato confermato dai delegati del Consiglio nazionale studentesco, che è l’organo rappresentativo di tutti gli studenti universitari, i quali hanno fatto parte di un’apposita Commissione nominata dal Ministero per l’esame del problema. I delegati, consci delle necessità universitarie, piuttosto che soffermarsi su una richiesta di diminuzione di tasse universitarie, hanno insistito invece sull’adozione di speciali provvedimenti a carattere assistenziale, provvedimenti e provvidenze che sono ora allo studio e che potendosi concretare sia con l’estensione del sistema delle borse di studio, sia con l’istituzione di mense e alloggi o particolari organi del genere, quali cooperative, studentesche, ecc., valgano ad alleggerire realmente l’onere sopportato dalle famiglie, soprattutto da quelle residenti in provincia.
Riassumendo, ed ho finito, si può precisare quanto segue: 1°) gli studenti universitari, secondo l’ultima statistica controllata, ammontano a 236 mila: in questo numero sono però compresi 46 mila studenti fuori corso, i quali non pagano le normali tasse, ma solo una tassa speciale di lire 200 annue; quindi gli studenti dei corsi normalmente paganti non sono che 189 mila;
2°) sulla base dei dati dell’ultimo anno accademico, si può affermare che l’onere che lo Stato ha affrontato in un anno per le Università è stato di circa 2.700.000.000, onere che, diviso per circa 190 mila studenti in corso di studi, è pari all’onere di circa 30 mila lire per ciascuno studente.
Passando dalle uscite alle entrate, rileviamo che le tasse statali, esclusi naturalmente i contributi posti di loro iniziativa dalle singole Amministrazioni universitarie – e ciò è nella loro competenza ed il Ministero può entrarvi relativamente – le tasse statali, dicevo, hanno dato un gettito complessivo, nello scorso anno, di 395 milioni, pari a circa 2 mila lire per studente, in confronto alle 30 mila lire che lo Stato spende per ciascuno studente. Pertanto il passivo di un’annata è stato di 2 miliardi e 300 milioni per questa Amministrazione.
Ora il raddoppio delle tasse, richiesto dal Tesoro, per il quale ha dato il consenso il Ministero della pubblica istruzione, permetterà di raggiungere 800 milioni; ma, dati i recenti, notevoli aumenti di spese per il personale, non è da prevedere, per questo bilancio, una diminuzione sensibile del passivo dello scorso anno. Ma si aggiunge: vi sono contributi vari, posti per iniziativa di singole Università. A questo proposito io debbo ricordare che il Consiglio superiore ha fatto recentemente presente al Ministero che le Università operano, nell’ambito della loro autonomia e della loro competenza amministrativa, per quanto riguarda tali contributi. Per rispettare questa competenza ho preso io stesso l’iniziativa di convocare mercoledì prossimo tutti i rettori delle Università, perché si possa compiere un ampio riesame di questi contributi. E questo, secondo me, per i seguenti fini:
1°) renderli meno gravosi possibile;
2°) perequarli fra Università e Università, perché questi contributi, come è noto, esistono nelle Università del Nord e non esistono nelle Università del Sud;
3°) informarli ad un criterio differenziale che permetta di esentare totalmente gli studenti bisognosi e di gravare notevolmente il contributo degli studenti che dispongano di mezzi.
Si chiede infine che cosa fa il Governo per aiutare gli studenti bisognosi a compiere i loro studi universitari. Rispondo che, oltre all’esenzione totale o parziale delle tasse per gli studenti meritevoli, il Governo ha nello scorso anno accademico concesso agli studenti universitari borse di studio per un ammontare complessivo di 300 milioni. Ciò significa che oltre i tre quarti del gettito totale delle tasse pagate da tutti gli studenti universitari è stato restituito agli studenti bisognosi sotto forma di borse di studio. Nelle casse dello Stato sono quindi entrati per le tasse, solo circa, 90 milioni, mentre sono usciti due miliardi e 700 milioni.
Questo è il bilancio delle nostre Università.
PRESIDENTE. L’onorevole Spallicci ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto.
SPALLICCI. Io sono grato all’onorevole Ministro dell’istruzione della risposta molto diligente che ho ascoltato con vivo interesse. Realmente, io avevo sperato che le conclusioni fossero state più sodisfacenti, ma prendo lo spunto da quella promessa e imminente riunione dei rettori delle Università, in cui saranno discussi i temi che il Ministro ha annunciato, e voglio augurarmi che quelle tassazioni complementari, che sono appunto nelle Università del Nord Italia così gravose per gli studenti, possano essere lievemente diminuite. Perché ha ragione l’onorevole Ministro di dire che le tasse sono soltanto raddoppiate, cioè che da duemila si arriva a quattromila; ma vi sono in più le complementari sino a raggiungere le ottomila, e vedo che al Politecnico di Milano i contributi di laboratorio assommano a 7 mila lire e che quindi lo studente viene a pagare qualcosa come 20 mila lire all’anno.
Nella facoltà di medicina, sempre a Milano, si pagano circa 22 mila lire. Ora, naturalmente, l’onorevole Ministro mi dirà che tutto questo rientra nell’autonomia amministrativa delle singole Università; ma ad ogni modo, anche tenendo conto delle borse di studio, v’è da prendere in considerazione questa richiesta, che mi sembra abbastanza ragionevole, degli studenti meno favoriti dalla fortuna. Essi chiedono non di ritornare alla tassazione molto bassa dell’anno scorso, che ritengono inadeguata al costo della vita, ma ad una diminuzione dell’aggravio attuale. Considerando dunque, come diceva l’onorevole Ministro, 189 mila il numero degli studenti – facciamo pure cifra tonda in 200 mila – abbiamo avuto nello scorso anno circa 350 milioni di lire di tasse. Oggi, se i miei calcoli non sono inesatti, il contributo si aggirerebbe sul miliardo. Gli studenti si trovano oggi, d’improvviso, ad essere gravati (parlo sempre dei meno abbienti) di un notevole contributo, perché alle 20 o 22 mila lire citate bisogna aggiungere le spese per le dispense, quelle dei libri, che rappresentano un aggravio notevole.
Mi si dirà, e mi si dice giustamente, che 200-246 mila, compresi anche quelli fuori corso, sono un numero eccessivo di studenti iscritti. Indubbiamente, noi abbiamo una duplice e strana piaga nel nostro Paese: l’analfabetismo e il dottoralismo.
Abbiamo una pletora notevolissima di studenti che si illudono che un cencio di laurea rappresenti la chiave per aprire le porte dell’avvenire. Purtroppo, molte volte si aprono soltanto le porte d’un misero impiego. Da noi non è ancora concepibile, che uno possa avere una laurea e possa non disdegnare anche il lavoro manuale come avviene in qualche altra nazione in cui una dottoressa in chimica può acconciarsi ai compiti di operaia in uno stabilimento. Da noi soltanto il matrimonio può far scordare la laurea ad una donna.
Severità negli studi e rigore negli esami, invochiamo. Perché da noi la percentuale dei rimandati negli Atenei deve essere solo del 2 per cento mentre in Francia è ad esempio del 50 e del 60 per cento?
Si pensi a ridurre il numero degli studenti che è andato moltiplicandosi in un modo allarmante, a seconda del merito e non a seconda delle possibilità economiche. Concorsi siano banditi anche per accedere alle Università.
La Repubblica nascente non dovrà affidare la selezione preferendo i meglio censiti ma i più idonei.
Dobbiamo riconquistare quel primato che avevamo un tempo, quando, guardando agli stranieri, si diceva che noi eravamo grandi e là non eran nati, e per ritornare ad avere quel prestigio morale rifacciamoci ad una maggiore severità negli esami.
Non mi dissimulo le grandi difficoltà finanziarie in cui si dibatte il Governo; conosco lo stato fallimentare delle amministrazioni universitarie, le condizioni pietosissime dei nostri laboratori; ma credo che non si debba pretendere di tutto sanare col contributo degli studenti. In definitiva costoro non chiedono già di ritornare alle tassazioni delle due mila lire dell’anno scorso, ma domandano un 20 per cento di diminuzione su quelle che oggi sono state portate (come a Milano) da due a 22 mila lire.
Voglio augurarmi che prevalga il concetto della unificazione delle tasse universitarie e che non si debba ancora lamentare tale e tanta sperequazione tra gli Atenei del nord e quelli del resto d’Italia.
Gli studenti più poveri e più studiosi possono fruire di esenzione, di borse di studio; ma non dimenticate che i 30 e lode della scuola non corrispondono sempre ai 30 e lode della vita.
PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni, per accordi intercorsi con il Governo, sono rinviate:
Perlingieri, Moro, Bettiol, Salvatore, Bosco Lucarelli, Fuschini, Ermini, Rescigno, Recca, Uberti e Gabrieli, ai Ministri dell’industria e commercio, delle finanze e dei lavori pubblici, «per conoscere se ravvisino di prorogare per un decennio le disposizioni della legge 5 dicembre 1941, n. 1572, concedente agevolazioni agli impianti industriali dell’Italia centro-meridionale, iniziati entro il termine del 31 dicembre 1946, e ciò sia in considerazione del fatto che, a causa del periodo bellico, la detta legge non ha potuto avere pratica attuazione, sia in considerazione della necessaria evoluzione industriale dell’Italia centro-meridionale, resa più urgente dalle distruzioni belliche e costituente un aspetto primario del problema meridionale».
Perugi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, «per conoscere: 1°) quali aiuti ed alleggerimenti fiscali intenda disporre il Governo a favore degli agricoltori del comune di Gradoli (provincia di Viterbo), i cui raccolti sono stati quasi interamente distrutti dalla grandine nel nubifragio verificatosi in quella zona il 28 giugno ultimo scorso; 2°) se in considerazione dell’attività quasi esclusivamente vinicola di quei lavoratori e del fatto che i danni subiti avranno ripercussioni negative sui raccolti ancora per circa due anni, non ritenga dare agli aiuti oltre che un carattere urgente, anche uno continuativo per alleggerire il disastro che ascende a più di cento milioni di lire».
Segue l’interrogazione dell’onorevole Macrelli, al Presidente del Consiglio dei Ministri del tesoro e delle finanze, «per sapere se non credano opportuno dare le disposizioni e adottare i provvedimenti necessari – di immediata esecuzione – perché siano esaurite nel più breve termine le pratiche per le pensioni di guerra e degli infortunati civili».
Ha facoltà di rispondere l’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. In merito alle interrogazioni dell’onorevole Macrelli, sulla liquidazione delle pensioni di guerra, il Ministero del tesoro, per mio tramite, ha dato una ampia risposta il 29 settembre ultimo scorso, come risulta dal numero 236 del resoconto sommario delle discussioni di questa Assemblea Costituente.
Prego, quindi, l’onorevole Macrelli di volere avere presente quanto fu risposto in quella occasione col sussidio di fatti e dati concreti e con elementi giustificativi della previsione che il Ministero formulava per una prossima e sodisfacente organizzazione del servizio delle pensioni di guerra.
Riassumendo quanto ebbi già occasione di dichiarare in quest’Aula, rispondo che i problemi di cui il Ministero si è occupato sono stati i seguenti:
1°) ampliamento dei locali a disposizione della Direzione generale delle pensioni di guerra: è stato provveduto col mettere a disposizione l’edificio di Via Sicilia con centottanta locali, nei quali si sono trasferiti molti servizi;
2°) aumento del personale: è stato portato a circa mille persone e si continua ad incrementarlo con l’assegnazione di altri impiegati;
3°) istruttoria delle pratiche: è in corso di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri uno schema di decreto legislativo che autorizza le parti interessate a richiedere direttamente ai distretti militari e ai comuni i documenti giustificativi delle domande di pensione e fa obbligo agli enti suddetti di rilasciarli in un tempo ristretto;
4°) commissioni mediche di accertamento: sono state portate da diciotto a trentadue, disponendo il loro funzionamento in più turni e sottoponendole ad ispezioni, che già lo stesso direttore generale delle pensioni di guerra ha iniziato da alcuni mesi, per rendersi conto della loro efficienza e per provvedere alle loro manchevolezze.
È stata decretata, con decreto legislativo recente, l’assegnazione di medici civili dipendenti dallo Stato, circa un centinaio, in forza al Ministero dell’Africa italiana, alle commissioni mediche ospedaliere, per renderne più intensa l’attività;
5°) si è instaurato dal 23 settembre il servizio a cottimo per l’istruttoria delle pratiche di pensioni, servizio che sta dando cospicui risultati come si può rilevare dalle seguenti cifre, raggruppate in tre distinti periodi di quindici giorni; il primo dal luglio del corrente anno, quando non ancora si era iniziato il lavoro a cottimo; il secondo quando esso si era appena iniziato e che abbraccia, con la fine di settembre, i primi giorni di ottobre; il terzo relativo alla seconda metà di ottobre.
Nel primo periodo i progetti di liquidazione di pensione furono compilati in numero di 1075; nel secondo periodo di quindici giorni, quando appena si iniziò il lavoro a cottimo, ne furono compilati 1.219; negli ultimi quindici giorni 2.083. Come si vede qui si è raddoppiata addirittura la misura.
Istruttorie: nel primo periodo ne furono eseguite 6.543; nel secondo, a cottimo appena iniziato, 23.451; nel terzo periodo 26.903.
Revisione sia dei progetti che delle istruttorie da parte degli uffici della Direzione generale: nel primo periodo 4.046; nel secondo 12.982; nel terzo 29.479.
Anticipazioni, che si fanno in via provvisoria: nel primo periodo ne furono eseguite 382; nel secondo 763; nel terzo 1.238, rese possibili, naturalmente, per l’esplicazione più intensa di quelle pratiche burocratiche, che sono premessa indispensabile per addivenire al risultato finale dell’anticipazione.
Altra voce molto importante nei lavori della Direzione generale è quella dell’emanazione dei decreti concessivi.
Nel primo periodo, furono spediti 1.042 decreti concessivi di pensione; nel secondo, 1.800; nel terzo, 2.835. I certificati di iscrizione spediti nel primo periodo furono 241; nel secondo, 1.114; nel terzo, 1.407. Le pratiche definite dalla Commissione medica superiore, la quale naturalmente si pronunzia nei casi di particolare contestabilità su determinate specie, furono 450 nel primo periodo di quindici giorni, 945 nel secondo, 990 nel terzo. E, finalmente, le pratiche burocratiche, le quali vanno dalla lettura della corrispondenza, fino alla riassunzione dei fascicoli e alla spedizione di note dall’ufficio sono state: nel primo periodo, 76.062; nel secondo, 259.198, nel terzo, 325.456.
Al cottimo attendono ora circa 600 impiegati, ma è intendimento del Ministero del tesoro di elevare questo numero nel più breve tempo possibile;
6°) è in approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, lo schema di un decreto legislativo che renderà eseguibili, sia pure in via provvisoria, i progetti concessivi di pensione anche prima che abbia avuto luogo l’attuale prescritto riscontro del Comitato liquidatore, quando cioè v’è stato soltanto il visto da parte del Direttore generale.
Si prevede che in tal modo molte pratiche avranno immediata esecuzione, giacché vi sono molte migliaia di pratiche dinanzi al Comitato liquidatore le quali, secondo la legge vigente, debbono essere appunto esaminate ad una ad una dal Comitato stesso. Poiché, quindi, queste pratiche sono state già con molta cura esaminate dagli uffici della Direzione generale, io ho pensato di predisporre un decreto nel senso che ho detto ora, prevedendo il grande vantaggio che ne deriverà a tutti coloro che attendono la pensione.
Tutto ciò premesso, assicuro l’onorevole interrogante che la liquidazione delle pensioni di guerra, doveroso riconoscimento, da parte dello Stato, dei diritti acquisiti da quanti sacrificarono la propria integrità fisica alla Patria o videro i loro congiunti sacrificare la vita alla Patria, costituisce oggetto della più vigile e costante cura da parte degli organi che vi sono preposti e del Governo.
L’angoscia degli invalidi e dei loro congiunti è la nostra angoscia: per essa non risparmieremo alcuno dei provvedimenti che possano avvantaggiare questi sventurati.
PRESIDENTE. L’onorevole interrogante ha facoltà di dichiarare se sia sodisfatto.
MACRELLI. Conoscevo già la risposta dell’onorevole Sottosegretario per il tesoro, perché è pressoché uguale a quella che egli rese all’interrogazione dello scorso 29 settembre. Ed è appunto perché io già la conoscevo, che sono tornato alla carica, perché le dichiarazioni fatte in quella circostanza non erano riusciti a persuadermi.
L’Assemblea oggi ha udito molte cifre, veramente impressionanti: migliaia di provvedimenti, migliaia di istruttorie, ecc. Ma v’è una cifra che ha dimenticato di dire l’onorevole Sottosegretario di Stato per il tesoro, la cifra che si riferisce alle pensioni non ancora liquidate, che raggiungono il numero enorme di cinquecentomila!
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Non è esatto, questo.
UBERTI. Duecentomila.
MACRELLI. Cinquecentomila! Non temo smentite; per una sola ragione, amico Uberti, perché prima di venire qui sono andato a chiedere notizie, ad assumere informazioni.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. La cifra non è esatta, perché non corrisponde a quella che io ho avuto dalla Direzione generale.
MACRELLI. Mi consenta, onorevole Sottosegretario, e il rilievo che faccio in questo momento, accennando alla cifra, non vuole essere affatto accusa o rimprovero all’ufficio delle pensioni di guerra, che lavora in una maniera ammirevole, dal direttore generale all’ultimo funzionario. La colpa non è del personale, la colpa è del sistema. Pochi mezzi, purtroppo, sono a disposizione della Direzione generale.
Dice il Sottosegretario nella sua risposta odierna: noi abbiamo ampliato i locali della Direzione generale.
Sapete, onorevoli colleghi, in quanti uffici è divisa l’attività della Direzione generale delle pensioni? V’è l’ufficio in via della Stamperia, che voi conoscete bene; un altro in via Flaminia, Ponte Milvio; un terzo in via Sicilia, Teatro delle Arti, e un quarto al viale del Lavoro, Palazzo degli esami, dove si trova l’archivio insieme allo schedario.
Dislocazione esagerata, che porta una notevole perdita di tempo e una perdita di mezzi. Quindi, un provvedimento necessario da parte del Governo sarebbe quello di concentrare più uffici in una medesima località. Ne avete la possibilità. (Commenti). Vi sono tante caserme qui a Roma, inutilizzate e inutilizzabili (Commenti), che potrebbero essere adoperate magnificamente a questo scopo e ad altri scopi più utili.
Ha aggiunto l’onorevole Sottosegretario che si è provveduto all’aumento del personale. Vorrei ricordare, soprattutto agli anziani di questa Assemblea…
PRESIDENTE. Onorevole Macrelli, ricordi che il tempo a sua disposizione è quasi trascorso.
MACRELLI. Sta bene, onorevole Presidente; ma si tratta di un argomento importante, sul quale vorrei richiamare l’attenzione dell’Assemblea, tanto più che il Paese ascolta, perché vi sono delle necessità gravissime e urgenti.
Vorrei ricordare, dicevo, che fin dal 1918 fu istituito un apposito Ministero per l’assistenza ai militari e le pensioni di guerra – e primo titolare di quel Ministero fu Leonida Bissolati – trasformato poi in Sottosegretariato, e poi in Direzione generale, nel 1923. Orbene, sapete quanti erano gli impiegati, allora? E ci trovavamo all’indomani della grande guerra, della guerra del 1915-18, e quindi era limitato il numero delle richieste di pensione: erano 1.200.
Oggi, dopo la guerra tremenda e tragica, dopo le richieste dei sinistrati di guerra, non solo dei pensionati, abbiamo appena appena mille impiegati. Si è provveduto recentemente – è la verità – trasferendo diversi impiegati dal Ministero dell’Africa italiana alla Direzione generale delle pensioni. Non basta, onorevole Sottosegretario. E quando lei mi dice che si è provveduto per accelerare le istruttorie delle pratiche, io consento; e quando lei mi dice che si sono create nuove Commissioni mediche, io approvo; e quando dice che recentemente, proprio per disposizione della Direzione generale, si è provveduto al cosiddetto lavoro a cottimo, dico che si è fatta una cosa magnifica. So che l’onorevole Petrilli ha dato tutta la sua anima e la sua attività per questa Amministrazione, e io gliene faccio pubblica lode, come la faccio a tutti i funzionari della Direzione generale. Ma non basta.
Ha accennato, l’onorevole Sottosegretario, alle ultime cifre relative alle pensioni. Sapete in media quante sono le pratiche che si espletano in un mese? Circa quindicimila, e col lavoro a cottimo si arriva anche a diciassettemila.
Ma sapete quante pratiche arrivano ogni mese alla Direzione generale delle pensioni? Dalle quindici alle venti mila, il che significa che il poco personale, pratico, valoroso, che si sobbarca ad una fatica quotidiana gravosa, deve provvedere all’espletamento di queste pratiche, mentre restano inevase le altre cinquecentomila di cui ho parlato prima.
Si può rimediare? Sì, assumendo dell’altro personale: è una proposta concreta che faccio.
Io so che da quel banco era venuta una proposta che fu fermata da altri, per altre ragioni. Ma pensate, onorevoli signori del Governo e onorevoli colleghi, che con una spesa di settantacinque milioni, secondo i calcoli che sono stati fatti, assumendo un numero che varia da duecentocinquanta a trecento impiegati, in un anno si esaurirebbero tutte le pratiche di pensione inevase. E allora, spendiamoli questi settantacinque milioni! Se ne spendono tanti per tante altre ragioni, per cui voi non avrete motivo di invocare, come fate per questa, la bellezza, la santità del sacrificio. Orbene, per una cifra in fondo modesta che potrebbe ovviare a tanti inconvenienti, io penso e credo che il Governo vorrà provvedere. (Applausi).
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRILLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro. Desidero dire che un provvedimento per aumentare il numero degli impiegati addetti alla Direzione generale delle pensioni di guerra è stato già previsto, studiato e proposto, e dovrà essere attuato celermente, sollecitamente, sicché questo che è un voto dell’onorevole interrogante, forma già oggetto di un progetto che verrà senz’altro attuato. Sarà così notevolmente aumentato il numero delle persone addette ai lavori a cottimo, perché sono convinto che con quel lavoro risolveremo gran parte del problema, il quale, nel suo contenuto pratico, per quelle che sono le cifre comunicate a me, precisamente dal direttore generale delle pensioni di guerra, non porta alla cifra di cinquecento mila accennata dall’onorevole interrogante; perché i sono in istruttoria esattamente 387 mila domande. Vorrei quindi che non si diffondesse quella cifra di mezzo milione od oltre.
Per ciascuna di queste pratiche occorrono i fogli matricolari da parte del distretto militare, i documenti di stato civile da parte dei comuni, e il procurare tutti questi documenti importa una perdita di tempo, e soltanto la necessità di rinnovare le istanze presso ciascuno di questi uffici, e per ognuna delle 387 mila pratiche, significa che bisogna scrivere per una seconda volta 387 mila lettere. Di qui si comprende facilmente l’unità di misura con cui si deve procedere in questo lavoro, e quindi le grandi difficoltà che importa l’istruttoria. Noi abbiamo fatto premura anche presso il Ministero della guerra, perché sia inviata ai distretti militari una circolare vivacissima in ordine al dovere e all’obbligo morale e giuridico che hanno di corrispondere con la maggiore urgenza alle richieste degli Ispettorati generali per le pensioni di guerra. E così anche i comuni; ma spesso i documenti sono andati dispersi per vicende belliche.
Ad ogni modo, da parte nostra faremo tutto quanto è necessario, perché queste giuste esigenze di tante famiglie che attendono con ansia la liquidazione delle pensioni di guerra siano sodisfatte. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Le seguenti interrogazioni sono rinviate su richiesta dei Ministri, assenti per ragioni di ufficio:
Monticelli, ai Ministri di grazia e giustizia e del lavoro e previdenza sociale e all’Alto Commissario per l’alimentazione, «per sapere se risponde a verità quanto il giornale Il Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito al mancato versamento della somma di lire 342.300 da parte della cooperativa «La Rinascita», di Grosseto, che, incaricata dalla Sepral di provvedere alla distribuzione ai vari comuni della provincia di 163 quintali di riso sequestrato il 12 febbraio 1946 dalla squadra annonaria, ne versò il ricavato l’8 agosto 1947, cioè dopo oltre un anno e mezzo, quando già era stata presentata denunzia per appropriazione indebita alla Procura della Repubblica di Novara. Per conoscere altresì quali provvedimenti si intendono adottare, anche da parte del Ministro del lavoro, verso la suddetta cooperativa»;
Monticelli, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale e all’Alto Commissario per l’alimentazione, «per sapere se risponda a verità quanto il giornale II Mattino dell’Italia Centrale ha pubblicato in merito alla mancata distribuzione alle cooperative di consumo di 200 quintali di baccalà salinato, assegnato dall’Alto Commissariato per l’alimentazione alla Federazione provinciale delle cooperative di Grosseto, e da questa rivenduto, a prezzo notevolmente maggiorato, ad una ditta di Fucecchio. In caso affermativo, quali provvedimenti intende prendere il Ministro del lavoro verso la Federazione delle cooperative di Grosseto»;
Nobile, al Ministro dei lavori pubblici, «per conoscere quale ingegnere sia stato designato, ed in base a quali criteri, per i lavori relativi ai beni immobiliari di proprietà dello Stato italiano in Varsavia».
Data l’ora tarda, le altre interrogazioni iscritte all’ordine del giorno saranno svolte nella prossima seduta dedicata alle interrogazioni.
Interrogazioni con richiesta d’urgenza.
PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza le seguenti interrogazioni con richiesta di risposta urgente:
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sapere se il Governo intende o meno di emanare le disposizioni legislative che consentano alle cooperative, alle mutue e agli enti similari il ricupero dei beni di cui furono spogliati dal fascismo.
«Canevari, Bocconi, Caporali, Ruggiero Carlo, Zanardi, Morini, Merighi, Tonello, Longhena, Treves, Filippini, Cairo, Piemonte».
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per sapere se credono dignitoso per il Governo e per l’Assemblea Costituente mancare agli impegni precisi, più volte assunti anche davanti all’Assemblea stessa, di presentare il progetto di legge, relativo alla rivendica dei beni mobili e immobili, di enti e di privati, sottratti o dovuti cedere, durante il periodo fascista, con la violenza morale e materiale, ai legittimi proprietari, e se intanto non ritengano opportuno dare disposizioni perché siano sospesi provvedimenti esecutori in corso.
«Macrelli, Zuccarini, Spallicci, Azzi, Sardiello, Chiostergi, Pacciardi, Magrini, Parri».
Chiedo al Governo quando intende rispondere.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Governo risponderà lunedì prossimo.
PRESIDENTE. È anche pervenuta la seguente interrogazione urgente:
«Al Ministro di grazia e giustizia, per conoscere se, come e quando intende risolvere la dolorosa situazione della Corte di appello delle Calabrie, nella quale mancano tre presidenti di sezione, tredici consiglieri; per cui il primo presidente è costretto a presiedere le udienze penali; le udienze civili sono rinviate sine die; e ben 150 processi penali giacciono nella cancelleria della sezione istruttoria in attesa di essere definiti.
«Mancini».
Chiedo al Governo quando intende rispondere anche a questa interrogazione.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne darò comunicazione al Ministro competente, il quale farà sapere quando intende rispondere.
SANSONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANSONE. Ho presentato giorni fa una interrogazione al Ministro dei lavori pubblici riguardante la Mostra d’oltremare di Napoli. Poiché la interrogazione investe un termine che scade il 18 di questo mese, volevo pregare se fosse possibile che l’interrogazione fosse posta all’ordine del giorno prima di lunedì prossimo.
PRESIDENTE. Comunicherò al Ministro competente questo suo desiderio.
CANEVARI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CANEVARI. Ho presentato al Ministro della pubblica istruzione una interrogazione sulle pensioni ai maestri elementari. Ho preso accordo a voce col Ministro di porre l’interrogazione all’ordine del giorno della prossima seduta, dedicata alle interrogazioni.
PRESIDENTE. Sta bene, interpellerò in tal senso il Ministro competente.
PRESSINOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PRESSINOTTI. Ho presentato una interrogazione riguardante il blocco dei fitti; data l’importanza dell’argomento, che è sentito da tutto il Paese, pregherei che fosse posta all’ordine del giorno prima di lunedì prossimo.
PRESIDENTE. Prego il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di comunicare le intenzioni del Governo al riguardo.
ANDREOTTI, Sottosegretario di Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Ministro Grassi risponderà lunedì prossimo, tanto non v’è motivo di urgenza poiché il termine scade il 31 dicembre. Il Ministro Grassi sta raccogliendo i dati in modo da essere in grado di dare una risposta esauriente. Se dovesse rispondere domani, potrebbe dire soltanto che sta facendo indagini.
PRESIDENTE. Sta bene.
Interrogazioni.
PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni pervenute alla Presidenza.
MOLINELLI, Segretario, legge:
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno, per conoscere quali provvedimenti intenda adottare nei confronti dell’ufficiale comandante il servizio di polizia in Piazza Venezia la sera del 7 novembre, responsabile della brutale condotta degli agenti, i quali, senza nessuna ragione, si lanciavano contro i cittadini che, dopo la fine del comizio tenutosi alla Basilica di Massenzio, attraversavano pacificamente la piazza per fare ritorno alle loro case.
«Minio».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere con quali criteri il Comitato interministeriale dei prezzi ha concesso che il latte alla stalla venga portato da 28 lire a 45 lire il litro e quali sono i fattori che giustificano tale aumento.
«Vischioni».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e del tesoro, per conoscere quali provvedimenti hanno adottato od intendano adottare a tutela dei diritti e dei legittimi interessi di alcuni magistrati dei gradi IV e V i quali, essendo addetti ad uffici giudiziari dell’Alta Italia ed avendo raggiunto il limite di età nel periodo della guerra combattuta nell’Italia centrale dopo la liberazione di Roma, vennero indistintamente collocati a riposo per il suddetto motivo dell’età, senza che potessero valutarsi, nei loro riguardi, le condizioni richieste per il loro trattenimento in servizio a norma della legge speciale 28 gennaio 1943, n. 33, e vennero poi, dopo la liberazione dell’Alta Italia, richiamati in servizio come pensionati senza tenere nella giusta considerazione le circostanze: che, nel predetto periodo di guerra, gli stessi magistrati erano stati trattenuti in servizio dal Governo di fatto dell’Alta Italia a norma della stessa legge sopracitata e che, dopo la liberazione dell’Alta Italia il Governo militare alleato, avendo avuto comunicazione dei decreti di collocamento a riposo, aveva revocati tali decreti, trattenendo esso pure in servizio gli stessi magistrati, i quali, pertanto, avevano prestato continuo e ininterrotto servizio oltre il limite di età.
«Bulloni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa (Aeronautica), per sapere perché gli ufficiali di complemento in servizio dai 1929 e successivi sino al 1944, richiamati per deficienza dei quadri, furono inviati in congedo senza nessun riconoscimento.
«Questi ufficiali, oltre ad avere servito con fedeltà ed onore per parecchi lustri, sono quasi tutti ex combattenti della guerra 1915-18, nonché reduci dell’ultima guerra e membri attivi del fronte clandestino di resistenza durante l’occupazione nazi-fascista.
«Dato che quelli in servizio permanente effettivo, con anzianità di servizio talvolta inferiore, nella peggiore delle ipotesi, furono collocati nella forza assente in attesa di reimpiego con regolare stipendio ogni fine di mese e liberi di poter espletare mansioni rimunerative per proprio conto, si chiede per i suddetti ufficiali un atto di giustizia tendente a riconoscere giuridicamente il servizio da loro prestato sotto le armi, affinché a quelli che hanno raggiunto il ventesimo anno sa riconosciuto il diritto e trattamento di quiescenza: e a tutti gli altri, una indennità – una tantum – in ragione degli anni di servizio regolarmente prestati. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Bruni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della difesa, per conoscere se non ritenga opportuna l’estensione dei benefici della legge 14 maggio 1946, n. 384, anche agli ufficiali inferiori, ad evitare che un ufficiale inferiore che non possa, per gravi ragioni, accettare un trasferimento, si trovi costretto alle dimissioni senza alcun trattamento economico, a differenza degli impiegati avventizi e degli ufficiali epurati per aver prestato servizio nell’esercito repubblichino. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rossi Paolo».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere cosa egli intenda fare per accelerare la elaborazione definitiva dello statuto e del regolamento democratici dell’E.N.A.L., allo scopo di porre termine al più presto, anche in questo Ente, agli inconvenienti del regime commissariale. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Grieco».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro della pubblica istruzione, per sapere se ritiene opportuno estendere i benefici di cui al decreto del 28 agosto 1942, n. 1097 – con cui si offre la possibilità alle maestre supplenti, vedove di guerra, con tre anni di servizio, di essere assunte nel ruolo effettivo – alle maestre il cui marito sia stato dichiarato disperso od irreperibile in azione di guerra, e già godenti di pensione privilegiata. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Preti».
«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri delle finanze e del tesoro, per sapere se, m vista del maggiore ed importante lavoro ora affidato agli uffici distrettuali delle imposte dirette, non ritenga opportuno rivedere, per quelli dell’Alta Italia, gli stanziamenti fatti per sopperire alle spese di riscaldamento dei locali. Specie per i nuovi delicati compiti connessi con l’imposta patrimoniale straordinaria, si riterrà certo opportuno evitare (in definitiva nell’interesse stesso della Finanza) che i funzionari siano costretti a lavorare, a ricevere e discutere con i contribuenti in condizioni di disagio, come avviene quando il locale è male e poco riscaldato. La lena ed il rendimento del lavoro non sono certo indipendenti dalle condizioni materiali in cui il funzionario deve svolgere la propria attività.
«In particolare, e come esempio, si rammentano le condizioni dell’importante ufficio imposte dirette di Pavia, al quale, per l’intero esercizio 1947-48 e per tutte le spese di ufficio, riscaldamento compreso, sarebbe stata assegnata la somma complessiva di lire 73.900. Tale ufficio si compone di 17 stanze e deve provvedere ad alimentare 16 stufe per circa 150 giorni. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Ferreri».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere quali siano le ragioni del differente trattamento relativamente alla corresponsione della razione viveri in natura od in contanti tra i sottufficiali dell’Aeronautica militare non effettivamente impiegati, ma considerati in «attesa di destinazione» e quelli della Marina militare, pure considerati nella medesima posizione.
«Ciò perché consta che, onde equiparare i sottufficiali dell’Aeronautica a quelli della Marina militare (per i quali ultimi è stata già disposta la corresponsione viveri in natura od in contanti, a seconda se residenti in sede ove esistano magazzini viveri oppure in sedi ove tali magazzini non esistono), il Ministero della difesa (Aeronautica) aveva richiesto i fondi suppletivi al Ministero del tesoro, che, invece, ha stralciato la relativa voce obbiettando che a tale personale (cioè a quello dell’Aeronautica) non deve competere il trattamento di cui sopra.
«Ora, considerato il caso di una forte aliquota di sottufficiali dell’Aviazione militare, trovantisi nella identica posizione dei sottufficiali della Marina militare, si ritiene che le disposizioni intese a regolare il trattamento economico ed amministrativo per i dipendenti della Marina debbono essere identiche – come per il passato – a quelle per i dipendenti dell’Aviazione, perché se uno stato di disagio economico esiste per i primi, è vero che lo stesso stato di disagio esiste per i secondi.
«Si chiede pertanto che venga con urgenza esaminata la situazione dei sottufficiali dell’Aviazione militare nella posizione di «attesa di destinazione» e che venga quindi esteso a questi ultimi il trattamento che è dovuto ai loro colleghi della Marina militare. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Rognoni».
«Il sottoscritto chiede d’interrogare il Ministro dell’interno e l’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica, per conoscere se non ritengano opportuno bandire subito i concorsi per primari, aiuti ed assistenti agli ospedali; ed ove seri impedimenti ostacolino questi bandi, se non ravvisino la necessità di concedere che le amministrazioni ospedaliere li bandiscano, secondo i loro regolamenti, limitatamente ad un biennio.
«Ciò toglierebbe il disordine ed il malcontento che regnano negli ospedali, dove sono vacanti migliaia di posti, coperti da incaricati, i quali attendono da anni l’apertura dei concorsi; ciò permetterebbe un’ottima selezione di elementi capaci, che assicurerebbero il pieno funzionamento di tali istituti.
«Poiché altra volta l’interrogante ha chiesto ed ha avuto promesse non mantenute, esprime il desiderio di una sollecita e precisa risposta scritta.
«Non nasconde che numerose federazioni ospedaliere sono decise a bandire tali concorsi, ove non giunga una parola del Governo, che dichiari la ferma intenzione di accelerare il ritorno della normalità anche in questo campo assai delicato. (L’interrogante chiede la risposta scritta).
«Longhena».
PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all’ordine del giorno e svolte al loro turno, trasmettendosi ai Ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.
La seduta termina alle 20.5.
Ordine dei giorno per le sedute di domani.
Alle ore 11 e alle 16:
Seguito della discussione sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana.