Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

21.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 9 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero, Relatore – Dossetti – Basso – Cevolotto – Togliatti, Relatore – Mastrojanni – Moro – Caristia – La Pira.

La seduta comincia alle 18.30.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE informa che l’onorevole Dossetti ha presentato una proposta eli articolo così formulata: «In caso di malattia, di infortunio, di perdita della capacità lavorativa, di disoccupazione involontaria, il lavoratore ha diritto ad ottenere per sé e per la sua famiglia, ad opera di appositi istituti previdenziali, prestazioni almeno pari al minimo vitale e da aumentarsi in proporzione ai servizi da lui resi.

«L’assistenza nella misura necessaria alle esigenze fondamentali della vita è garantita, ad opera di iniziative assistenziali, a tutti coloro che a motivo dell’età, dello stato fisico o mentale o di contingenze di carattere generale, si trovino nella impossibilità di provvedere con il proprio lavoro a se stessi ed ai loro familiari.

«La legislazione sociale regola le assicurazioni contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; stabilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo individuale e familiare.

«È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Rileva che in tale formula sono stati tenuti presenti tanto i concetti affermati nell’articolo 2 del testo proposto dall’onorevole Lucifero e nel terzo articolo non numerato del testo presentato dall’onorevole Togliatti, quanto quelli contenuti nel terzo articolo approvato dalla terza Sottocommissione.

LUCIFERO, Relatore, fa presente che l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti si discosta dalle formulazioni originarie dell’onorevole Togliatti e sua, ed osserva che vi è maggiore affinità tra queste due formule che non tra esse e quella proposta dall’onorevole Dossetti. Rileva, infatti, che mentre i Relatori avevano seguito nella compilazione del progetto lo stesso filo logico, proponendo una norma a suo parere mollo chiara e impegnativa, l’onorevole Dossetti ha invertito.

Concorda con la proposta fatta dal Presidente e, in parte, anche con le osservazioni dell’onorevole Basso. Ritiene che nella Costituzione non si debba adottare un’articolazione troppo diffusa, ma si debbano formulare norme brevi e lapidarie.

TOGLIATTI, Relatore, spiega che l’articolo da lui proposto si inspirava alla concezione che tende ad ammettere il concetto di previdenza in quello di assicurazione, e non all’altra che mira a separare la previdenza dall’assicurazione.

Ritiene che, in un Paese economicamente arretrato come l’Italia, sia difficile arrivare d’un balzo ad un’organizzazione assicurativa estesa a tutte le possibili forme di assicurazione; ed osserva che se ci si potesse mantenere legati al concetto di assicurazione, lasciando da parte gli istituti di previdenza, si farebbe opera costituzionalmente opportuna.

Passando alla formulazione dei concetti, teme che la proposta dell’onorevole Dossetti invada il campo riservato all’esame della terza Sottocommissione, perché, a suo parere, quando si stabiliscono i criteri del modo come deve essere amministrata la previdenza ed altre particolarità, si esce fuori dal campo dell’affermazione dei principî generali del diritto, riservato alla prima Sottocommissione.

D’altra parte, non è favorevole alla proposta del Presidente di accogliere, puramente e semplicemente, quanto è stato approvato dalla terza Sottocommissione, perché ritiene che tale formulazione non fissi dei principî generali. Appunto perché non trova nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti quel carattere incisivo e lapidario, a suo parere indispensabile, pensa che tale formula corrisponderebbe meglio alle necessità della terza Sottocommissione, mentre l’articolo da lui proposto, che in gran parte coincide con quello dell’onorevole Lucifero, sarebbe più idoneo alle necessità della prima Sottocommissione, il cui compito è quello di stabilire in forma concisa i diritti fondamentali politici, economici, religiosi del cittadino.

Concludendo, esprime il parere che la prima Sottocommissione si debba limitare ad una formulazione di principî, lasciando alla terza Sottocommissione il compito di completarli e di scendere ai dettagli.

MASTROJANNI ricorda le norme, che provengono dal Diritto romano e dal Codice civile in materia di assistenza, le quali statuiscono in tema di obbligo agli alimenti ai parenti fino ad un certo grado e che non abbiano la possibilità di procurarseli; e prospetta l’opportunità – se non si ripudia tale principio – di farne cenno nella Costituzione al fine di evitare equivoci. Fa presente infatti che un concetto come quello contenuto nella norma in discussione apre l’adito a dubbi di interpretazione: se cioè lo Stato debba prevalere sulla famiglia o se la famiglia debba concorrere con lo Stato nell’assistenza dei parenti, come previsto dal Codice civile.

PRESIDENTE fa presente l’opportunità, prima di affrontare le questioni di merito sulle quali si è intrattenuto l’onorevole Mastrojanni, di risolvere la questione di metodo che è riaffiorata nella discussione: se cioè si possa ritenere che i concetti manifestati in seno alla Sottocommissione possano essere soddisfatti dalle formulazioni dei Relatori, o dalla enunciazione proposta dall’onorevole Dossetti, o da quanto è stato approvato in proposito dalla terza Sottocommissione; o se invece si stimi miglior partito quello di predisporre una nuova formulazione.

Ricorda a questo proposito la sua proposta che consisteva nel ritenersi soddisfatti dell’affermazione contenuta nell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione, proposta che, a quanto ha potuto constatare, ha avuto l’adesione di qualche commissario.

LUCIFERO, Relatore, parlando per una mozione d’ordine, dichiara di accettare – anche allo scopo di semplificare la discussione – come base di esame il testo proposto dall’onorevole Togliatti, salvo qualche piccola modificazione che si riserva di proporre in seguito.

DOSSETTI dichiara che la sua proposta prospetta in maniera unitaria tutti i problemi che potevano acquistare rilevanza ai fini della discussione, e tiene conto degli elementi comuni e non comuni alle formulazioni dell’onorevole Lucifero, dell’onorevole Togliatti e dell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione.

Dichiara poi di accettare il punto di vista dell’onorevole Togliatti circa la distribuzione della competenza fra la prima e la terza Sottocommissione.

Dissente invece dalla proposta del Presidente, poiché ritiene che la prima Sottocommissione sia competente a fare alcune affermazioni di principio, che saranno poi tradotte in pratica dalla terza Sottocommissione o dalla legislazione ordinaria.

Ritiene utile il rinvio alla legislazione sociale, affermato genericamente dalla proposta dell’onorevole Togliatti, dopo però che sia l’ordine dei concetti, dando tutto un altro carattere alla questione.

Esaminando l’articolo da un punto di vista generale, fa presente che l’elencazione compresa nelle formule proposte dai Relatori conteneva parecchi elementi non compresi nella proposta dell’onorevole Dossetti; e che tutto l’articolo, e non soltanto il penultimo comma – dove ciò è detto esplicitamente – è regolato dalla legislazione sociale.

Può essere d’accordo in linea di massima circa le varie provvidenze in esso considerate, pur rilevando che nella formula proposta non si parla della tutela del risparmio come frutto del lavoro, che invece avrebbe dovuto essere considerata, essendo il risparmio frutto dei sacrifici del lavoratore.

DOSSETTI rileva anzitutto che nell’articolo da lui proposto, il quale, come ha fatto rilevare il Presidente, tiene anche conto del testo dell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione, si fa una distinzione strettamente tecnica tra previdenza e assistenza.

Espone poi, per inquadrare meglio gli elementi che hanno concorso a formare l’articolo, lo sviluppo logico dei concetti nei diversi articoli successivamente approvati su questa materia: all’affermazione del diritto e del dovere da parte del cittadino di svolgere un’attività, segue quella che garantisce a chi lavora una retribuzione che gli assicuri un’esistenza libera e dignitosa; quindi si tiene conto dell’ipotesi di chi, per cause indipendenti dalla sua volontà, si trova ad un certo momento nell’impossibilità di lavorare e quindi di provvedere a sé e alla famiglia, ipotesi considerata nel primo comma dell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione; infine si fa riferimento al caso dell’impossibilità radicale di svolgere un’attività lavorativa la quale rende necessaria la garanzia dell’esistenza, a cui segue un rinvio generico alla legislazione sociale per tutte quelle materie che devono essere sancite con norme di legge.

A suo parere, il rinvio generico alla legislazione sociale, incluso nella proposta dell’onorevole Lucifero, non risponde sufficientemente ed adeguatamente al concetto che si vuole esprimere, perché è anche necessario vincolare il legislatore, cosa che fa il testo da lui proposto in sede costituzionale, al riconoscimento di un diritto ad un minimo vitale per il lavoratore che venga a trovarsi nelle condizioni indicate nell’articolo.

PRESIDENTE, poiché la formula proposta dall’onorevole Dossetti ripete e sviluppa quanto è contenuto nell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione, prospetta l’opportunità, e ritiene che ciò non possa urtare la suscettibilità della Sottocommissione, di considerare soddisfacente il testo approvato dalla terza Sottocommissione e di non riprendere quindi in esame la medesima materia.

BASSO concorda con la proposta fatta dal Presidente.

Dissente invece su tutti i concetti espressi nell’articolo dell’onorevole Dossetti. Osserva innanzi tutto che il primo comma, che si basa sul concetto della previdenza in caso di malattia, dovrebbe essere messo in relazione con il terzo, che parla di assicurazioni nel caso di malattie, infortuni, ecc.; il che gli fa pensare che si debba riferire ad una previdenza in forma assicurativa. Ricorda in proposito l’assoluta insufficienza della previdenza in forma assicurativa – che si basa sul concetto che il lavoratore versa una parte del suo salario per assicurarsi una determinala prestazione da parte degli enti assicuratori la quale non soddisfa le necessità del lavoratore.

È anche contrario al concetto di assistenza, di cui al secondo comma dell’articolo proposto, perché gli sembra che tale concetto racchiuda in sé quello di beneficenza, nel senso cioè che l’assistito debba avere della gratitudine per chi lo assiste.

Si dichiara quindi, in linea di massima, contrario alla disposizione e favorevole ad un articolo, che dovrebbe essere il primo su questo argomento, in cui si affermi il diritto all’esistenza, in forza del quale lo Stato garantisce, a chi non è in condizione di poter lavorare, la possibilità di vivere.

Sarebbe così possibile trattare questa materia come una estrinsecazione del diritto all’esistenza e non come una forma di previdenza.

CEVOLOTTO, parlando sull’ordine dei lavori, osserva che la Sottocommissione dovrebbe in primo luogo prendere in esame le due relazioni, specialmente nei punti in cui esse sono concordanti. Ricorda che ai Relatori fu aggregato un altro commissario con il compito di superare i punti di divergenza esistenti fra le due relazioni e di sottoporre all’esame della Sottocommissione delle proposte concrete. Poiché invece la Sottocommissione si trova di fronte ad una proposta dell’onorevole Dossetti, alla quale è estraneo l’onorevole Lucifero, fa presente che ciò dà origine, in seno alla Sottocommissione, a quella discussione che invece avrebbe dovuto aver luogo fra i tre membri del Comitato stato espressamente dichiarato il diritto all’esistenza. Afferma la necessità da parte della Sottocommissione di dare una linea direttiva in ordine alla misura dell’assistenza o della previdenza sociale, in modo che sia garantito a tutti un minimo vitale, il quale potrà essere suscettibile di aumento in rapporto al lavoro effettivamente prestato da coloro che si trovano in condizione di poter svolgere un’attività socialmente utile.

Ammette che alcune delle critiche mosse all’impostazione generale dell’articolo da lui proposto possono essere giuste, e dichiara di esser pronto ad accettare eventuali proposte di emendamento.

Quanto alla distinzione tra previdenza ed assicurazione, gli sembra di aver capito che l’onorevole Togliatti abbia detto l’opposto di quanto ha dichiarato l’onorevole Basso, per il quale il concetto di previdenza deve intendersi in senso più lato di quello finora attuato dalle assicurazioni sociali.

BASSO desidererebbe che fosse affermato il diritto all’esistenza garantito a tutti, anche a coloro che non hanno versato nulla per l’assicurazione, essendo ormai superato il sistema, attuato finora, che l’assicurato riceve in proporzione di quanto ha versato.

DOSSETTI dà lettura di una proposta di articolo nel quale sono contenuti i concetti fondamentali che ha esposto: «Chiunque si trova nell’impossibilità di lavorare per motivi indipendenti dalla sua volontà – età, stato fisico o mentale, ragioni di contingenza – ha diritto a prestazioni almeno pari al minimo vitale riconosciuto dalla legge, e da aumentarsi in proporzione del lavoro o del contributo da lui eventualmente prestato in precedenza».

MORO propone la seguente formula più sintetica delle altre, nell’intento di concordare i vari punti di vista: «Il cittadino il quale, per qualsiasi ragione e senza sua colpa, si trovi nell’impossibilità di ricavare i mezzi di vita dal suo lavoro, ha diritto di ricevere dalla collettività prestazioni sufficienti per assicurare l’esistenza di lui e della sua famiglia. Tali prestazioni debbono essere aumentate in proporzione al lavoro ed al contributo sociale da lui prestato in precedenza.

«La legge regola le modalità relative alla completa attuazione del diritto all’esistenza sancito dalla presente Costituzione.

«È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Osserva che la sua proposta tiene conto del concetto espresso dall’onorevole Basso, poiché in essa vengono parificate tutte le ipotesi, nella dizione generica «per qualsiasi ragione e senza sua colpa», del diritto del cittadino di ricevere dalla collettività prestazioni sufficienti ad assicurare l’esistenza di lui e della famiglia; accoglie il principio – considerato nella proposta dell’onorevole Dossetti – che queste prestazioni possano essere aumentate in proporzione al contributo di lavoro prestalo in precedenza dal cittadino; fa rinvio alla legislazione sociale, vincolandola al diritto che è stato sancito, e conclude con la dichiarazione – comune a tutte le proposte – circa la tutela del lavoro italiano all’estero.

CARISTIA, senza entrare nel merito, fa presente l’opportunità che la Sottocommissione decida – prima di iniziare l’esame di ulteriori proposte – se gli articoli presentati dai Relatori siano o meno da accettare in tutto o in parte, perché la discussione che si sta svolgendo farebbe ritenere già approvato il presupposto di mettere da parte le proposte dei Relatori.

PRESIDENTE domanda agli onorevoli Lucifero e Togliatti se insistono a che le loro proposte vengano discusse o se consentano che la discussione abbia luogo sulla proposta dell’onorevole Moro, la quale, a suo parere, tiene conto, oltre che dei concetti espressi dai Relatori, anche di quelli manifestati dagli onorevoli Dossetti e Basso.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che la proposta dell’onorevole Moro è sullo stesso piano di quella dell’onorevole Dossetti, cioè non si arresta ad una affermazione di un diritto di carattere generale, ma scende a stabilire modalità di esecuzione.

Ritiene che, almeno nei punti in cui concordano, la Sottocommissione dovrebbe prendere in esame le proposte dei Relatori, i quali, del resto, sono pronti ad accettare eventuali emendamenti.

LUCIFERO, Relatore, ricorda di aver accettato, come base per la discussione, la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

MORO osserva che, a suo parere, anche la proposta dell’onorevole Togliatti entra nei particolari.

Aggiunge che, presentando la sua proposta, egli mirava a soddisfare l’esigenza di non considerare i mezzi di attuazione e di limitarsi a fissare il diritto all’esistenza, rinviando alla legislazione ordinaria l’attuazione del diritto stesso. Ad ogni modo, dichiara di essere disposto ad accettare, come base della discussione la formula proposta dai Relatori.

PRESIDENTE, poiché l’onorevole Lucifero ha accettato che si discuta sulle formulazioni proposte dall’onorevole Togliatti, dà lettura del terzo articolo non numerato di dette proposte:

«Il lavoro, nelle sue diverse forme, è protetto dallo Stato, il quale interverrà per assicurare l’esistenza degli invalidi e inabili.

«Tutti i cittadini hanno diritto all’assicurazione sociale.

«La legislazione sociale regola le assicurazioni contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione, l’invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; stabilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo individuale e familiare.

«È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Apre la discussione sul primo comma.

LA PIRA si richiama all’ordine logico dei concetti esposti dall’onorevole Dossetti, per affermare l’opportunità che, dopo aver parlato del lavoro, del diritto al lavoro, della retribuzione del lavoro, si consideri anche il diritto all’esistenza per gli inabili e gli invalidi, come un diritto proprio del lavoratore e non sotto l’aspetto di assistenza o previdenza, parole queste che ormai non hanno più il significato di beneficenza.

LUCIFERO, Relatore, ritiene che la formula proposta dall’onorevole Togliatti risponda ai concetti esposti dall’onorevole La Pira; essa, senza usare la parola «assistenza», alla quale anch’egli non è favorevole, afferma chiaramente il principio che gli invalidi e gli inabili non solo devono essere assistiti, ma hanno diritto a qualche cosa di più, cioè al loro mantenimento da parte dello Stato.

TOGLIATTI, Relatore, osserva all’onorevole La Pira che quella esigenza logicai a cui egli si richiamava viene rispettata nella sua proposte, in quanto, dopo essersi parlato del lavoro, del diritto al lavoro, della remunerazione nelle sue diverse forme, si parla dell’invalidità e dell’inabilità, per considerare poi la grande massa dei cittadini che ha diritto all’assicurazione sociale.

LA PIRA risponde che, a suo parere, tale diritto non è affermato con sufficiente energia.

DOSSETTI osserva all’onorevole Togliatti che il primo comma dell’articolo da lui proposto consta di due elementi eterogenei, fusi in un unico periodo. Ritiene invece più chiara, dal punto di vista giuridico, la formula suggerita dall’onorevole Moro, alla quale si dichiara favorevole.

MORO, riallacciandosi a quanto ha osservato l’onorevole Dossetti, rileva che la prima parte del comma, proposta dall’onorevole Togliatti, si ricollega a quanto è detto nell’articolo successivo sotto un altro profilo; ed aggiunge che l’intervento dello Stato, diretto ad assicurare le condizioni di lavoro, è parallelo all’opera dei sindacati che tendono a questo stesso fine.

Quanto alla seconda parte del comma, gli sembra che ci si debba collegare a quanto si è detto in una precedente riunione, cioè che chi è senza lavoro ha diritto di essere assistito dallo Stato.

Fa infine presente l’opportunità di non scendere ad un’elencazione specifica che rientrerebbe nella competenza della terza Sottocommissione.

MASTROJANNI domanda quali siano le forme di protezione di cui si parla nell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI, Relatore, risponde che si tratta delle forme di protezione indicate in seguito nel testo, cioè in senso economico, giuridico, politico, etico. Aggiunge che tra i diversi fattori della produzione, il fattore lavoro è particolarmente proietto.

MASTROJANNI si domanda se non sia opportuno introdurre una maggiore precisazione, perché, dicendosi che il lavoro è protetto, non si intenda che viene protetta qualsiasi attività svolta dall’uomo.

TOGLIATTI, Relatore, spiega che, a suo parere, deve essere protetta dallo Stato l’attività economica che si estrinseca col lavoro, mentre altre attività non sono considerate allo stesso modo.

LUCIFERO, Relatore, osserva che dovrebbe tranquillizzare la Sottocommissione il fatto che, sebbene partiti da presupposti molto lontani, egli e l’onorevole Togliatti hanno finito con lo scegliere press’a poco la medesima formula. Ciò dimostra che il lavoro, da qualunque punto di vista lo si consideri, rappresenta nella società moderna qualche cosa di sacro, e quindi riconosce l’opportunità di affermarne in questa sede la tutela. Si rende poi conto dell’intendimento dell’onorevole Togliatti di dare una protezione preminente al lavoro e particolarmente al lavoratore al quale, nella società così come oggi viene concepita, manca quella possibilità di auto-protezione che invece hanno altri fattori della produzione.

PRESIDENTE si domanda se non sia da considerare implicita la protezione del lavoro da parte dello Stato nell’articolo approvato recentemente dalla Sottocommissione: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro ed ha il dovere di svolgere una attività o esplicare una funzione idonee allo sviluppo economico o culturale o morale o spirituale della società umana, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta», dal momento che il diritto di lavorare da parte del cittadino importa necessariamente un dovere da parte dello Stato di farlo lavorare. Osserva che in caso affermativo, diverrebbe inutile la formula proposta dai Relatori.

Fa presente che, per assicurare il diritto all’esistenza dell’invalido e dell’inabile, l’articolo già approvato, di cui ha testé dato lettura, si potrebbe completare con la frase: «Gli invalidi hanno diritto all’esistenza». Osserva che con tale formula si assicurerebbero due diritti: quello del cittadino valido al lavoro, quello dell’invalido o dell’inabile all’esistenza.

BASSO dichiara di non essere favorevole alla proposta del Presidente.

Quanto ai due concetti affermati nel primo comma della proposta dell’onorevole Togliatti, è favorevole al primo, ma non al secondo, che ritiene meglio formulato nella proposta suggerita dall’onorevole Moro.

MORO ritiene che una dichiarazione sulla protezione del lavoro da parte dello Stato debba farsi, ma non in questo articolo, bensì nel successivo in cui si parla dei sindacati. A suo parere, quella sarebbe la sede più adatta per trattare congiuntamente le due forme di tutela: attraverso i sindacati e attraverso lo Stato.

MASTROJANNI fa presente che per il solo fatto che lo Stato obbliga a lavorare, è tenuto a proteggere l’individuo nell’esplicazione del suo lavoro; quindi la formula proposta dall’onorevole Togliatti: «Il lavoro, nelle sue diverse forme, è protetto dallo Stato» non va intesa, a suo parere, come una ripetizione di tale concetto, ma nel senso che lo Stato, tra tutti i fattori della produzione, predilige il lavoro. Se questa interpretazione è esatta, prospetta l’opportunità che tale affermazione venga fatta in modo esplicito.

PRESIDENTE pone ai voti la prima parte del primo comma del terzo articolo proposto dell’onorevole Togliatti: «Il lavoro, nelle sue diverse forme, è protetto dallo Stato».

CEVOLOTTO dichiara di votare favorevolmente, se l’approvazione di questa proposizione lascerà immutata la questione della sua collocazione nel testo definitivo.

PRESIDENTE risponde che tale questione rimane per ora impregiudicata.

Dichiara di astenersi dalla votazione, perché ritiene che il concetto della proposta dell’onorevole Togliatti sia contenuto nell’articolo già approvato a proposito del diritto al lavoro e del dovere al lavoro.

MASTROJANNI dichiara di astenersi per le ragioni che poc’anzi ha esposto e per quelle ora dette dal Presidente.

DOSSETTI è favorevole alla formula, proprio per il motivo accennato dall’onorevole Mastrojanni, cioè che il lavoro, tra i diversi fattori della produzione, deve essere quello prediletto dallo Stato. Si riserva di presentare, quando sarà completato il lavoro della Sottocommissione, un articolo fondamentale nel quale verrà assorbita la formula ora approvata.

BASSO, essendo favorevole al concetto informatore della disposizione, voterà in senso positivo, riservandosi però di proporre eventuali modifiche di forma.

MORO si dichiara favorevole alla proposta, di cui approva il concetto, ma ritiene che esso debba essere ripreso sia nell’articolo fondamentale che l’onorevole Dossetti si riserva di premettere alla parte concernente il diritto sociale, sia in quello riguardante l’autotutela dei lavoratori che si effettua mediante i sindacati e che viene integrata con la tutela effettuata dallo Stato.

(La Commissione approva la prima parte del comma con 11 voti favorevoli e 2 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che sulla seconda parte del primo comma proposto dall’onorevole Togliatti: «il quale interverrà per assicurare l’esistenza degli inabili e invalidi» l’onorevole Moro ha presentato un emendamento del seguente tenore: «II cittadino, il quale per qualsiasi ragione e senza sua colpa, si trovi nell’impossibilità di ricavare i mezzi di vita dal suo lavoro, ha diritto di ricevere dalla collettività prestazioni sufficienti per assicurare l’esistenza di lui e della sua famiglia».

LUCIFERO, Relatore, ritiene che con la formula proposta dall’onorevole Moro si confondano insieme due concetti che, a suo parere, sarebbe bene tenere distinti, così come faceva la formula proposta dall’onorevole Togliatti: quello che mira ad assicurare l’esistenza degli invalidi ed inabili, e quello che si occupa delle invalidità sopravvenienti e della disoccupazione involontaria.

TOGLIATTI, Relatore, oltre che per le ragioni esposte dall’onorevole Lucifero, non è favorevole alla formula proposta dall’onorevole Moro, anche perché in essa non è considerato il concetto nuovo e decisivo della assicurazione obbligatoria per tutti i cittadini.

PRESIDENTE osserva che tale concetto rimane impregiudicato.

TOGLIATTI, Relatore, aggiunge che la espressione «ha diritto di ricevere dalla collettività prestazioni sufficienti», che sembra affermare il pur nobilissimo ma antiquato concetto della carità, contrasta, a suo parere, con quelli che sono i principî moderni per cui lo Stato deve socialmente assicurare tutti gli invalidi e gli inabili.

DOSSETTI rileva che si è incorsi in un equivoco e che la formula proposta tende a reagire proprio contro quelle intenzioni che le si vogliono attribuire. Parlare di un diritto è infatti, a suo parere, il contrario del fare ricorso ad una carità spontanea.

È favorevole all’introduzione del principio di un’assicurazione sociale obbligatoria per tutti i cittadini e si dichiara pronto a studiare la formula più idonea, perché non ritiene che tale principio sia chiaramente affermato nel secondo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

Ritiene poi che, per quanto è detto nelle rimanenti disposizioni dell’articolo, si possa fare un rinvio alla legislazione ordinaria.

Propone infine una lieve modificazione di forma all’emendamento dell’onorevole Moro, la sostituzione cioè delle prime parole: «Ogni cittadino che» con l’altra: «Chiunque».

TOGLIATTI, Relatore, non crede che la legislazione attuale possa soddisfare a tutte le esigenze.

DOSSETTI ritiene invece che le attuali leggi assicurative considerino già tutte le provvidenze.

MORO non è d’accordo con l’onorevole Togliatti sulla interpretazione che ha dato alla formula da lui proposta. Per eliminare ogni possibilità di equivoco non avrebbe nulla in contrario a sostituire la parola «collettività» con l’altra «Stato».

Concorda poi nella modificazione formale proposta dall’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE è del parere che la dizione proposta dall’onorevole Moro esprima un concetto più esteso di quello contenuto nella formula dell’onorevole Togliatti.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che è appunto l’introduzione di concetti diversi che ha suscitato la sua critica.

MORO obietta che, a suo parere, si tratta di concetti diversi, parificati sotto il profilo dell’intervento dello Stato, che interverrà nell’uno e nell’altro caso.

PRESIDENTE osserva che, malgrado l’onorevole Togliatti attribuisca ai proponenti intenzioni che non sono nel pensiero dei proponenti stessi, tutti sono d’accordo sul principio di assicurare il diritto all’esistenza a chi è inabile, invalido o disoccupato.

LUCIFERO, Relatore, rileva che, a suo parere, i disoccupati rientrano in un’altra categoria, nella quale potrebbe funzionare il nuovo sistema assicurativo obbligatorio.

TOGLIATTI, Relatore, spiega che con la sua proposta si considera in primo luogo il diritto all’esistenza degli invalidi e inabili; quindi quello di tutti i cittadini all’assicurazione sociale; infine le altre ipotesi,

LUCIFERO, Relatore, distingue l’invalidità originaria da quella sopravvenuta, come pure ritiene che malattia e invalidità costituiscano due ipotesi diverse che vanno quindi regolate in modo diverso.

CEVOLOTTO riconosce che il principio proposto dall’onorevole Togliatti è seducente, ma dubita che possa trovare pratica applicazione nelle condizioni in cui oggi si trova l’Italia. Poiché nella Costituzione devono essere fissate norme destinate ad essere attuate in un tempo relativamente breve, mentre una riforma di così vasta portata dovrebbe, quanto meno, effettuarsi gradatamente, invita i Commissari a riflettere prima di votare un principio di tanta importanza.

DOSSETTI rileva una certa discordanza fra i criteri enunciati dall’onorevole Togliatti al principio della discussione – secondo i quali aveva manifestato la convenienza di affermare in questa sede soltanto i principî generali, riservando il compito di deferire i mezzi di attuazione alla terza Sottocommissione o alla legislazione ordinaria – e quelli affermati in seguito che riservano il diritto all’esistenza soltanto ad una determinata categoria di invalidi e inabili, mentre per le altre affermano l’esistenza di un determinato strumento che dovrebbe portare all’attuazione di quel diritto, i quali ultimi porterebbero all’invasione del terreno proprio della terza Sottocommissione o della legislazione ordinaria.

È del parere che in questa sede ci si debba limitare ad affermare il principio generale del diritto all’esistenza, lasciando alla competenza della terza Sottocommissione o della legislazione ordinaria la realizzazione strumentale del principio.

CEVOLOTTO richiama l’attenzione dei Commissari, nel caso che si accetti un piano del tipo proposto, sulla necessità di studiare il modo di ovviare agli inconvenienti accennati dall’onorevole Basso.

TOGLIATTI, Relatore, insiste sulla necessità di affermare nella Costituzione alcuni principî di carattere sociale ed economico, quali il diritto al lavoro, il diritto al riposo, il diritto all’assicurazione sociale, i quali indicano delle realtà concrete – in quanto lo Stato deve garantire questi diritti – mentre l’affermazione del diritto all’esistenza non è altro che un’aspirazione generica.

BASSO non è d’accordo con l’onorevole Togliatti, perché ritiene che non sempre alla affermazione di principî di carattere sociale ed economico corrispondano realtà concrete; considera, ad esempio, affermazione teorica quella del diritto al lavoro, in quanto lo Stato non potrà dare lavoro a tutti. Né, d’altra parte, pensa che il diritto all’esistenza possa considerarsi compreso nelle affermazioni dei diritti di carattere sociale ed economico testé enunciati dall’onorevole Togliatti.

Quanto al problema dell’assicurazione sociale, raccomanda che si tenga presente l’insufficienza dei criteri assicurativi attuali, e che si segua il principio che tutti i cittadini devono essere mantenuti dallo Stato, quando vengono a mancare altri mezzi di esistenza. Insiste pertanto perché sia affermato esplicitamente il concetto del diritto all’esistenza, che supera l’ambito del diritto all’assicurazione.

D’altra parte, osserva che la proposta dell’onorevole Moro non esclude l’accettazione di quella dell’onorevole Togliatti, con la quale non è in contrasto, perché affermare il diritto all’esistenza non vuol dire ripudiare il diritto al lavoro, al riposo, all’assicurazione.

TOGLIATTI, Relatore, dà lettura di una formula che tiene conto di molte osservazioni fatte durante la discussione:

«Gli inabili al lavoro hanno diritto di avere la loro esistenza assicurata dallo Stato.

Tutti i cittadini hanno diritto all’assicurazione sociale contro gli infortuni, le malattie, l’invalidità, la disoccupazione involontaria e la vecchiaia.

«La legge protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori, stabilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo individuale e familiare.

«È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

LUCIFERO, Relatore, è favorevole alla formula proposta dall’onorevole Togliatti, salvo a vedere se la questione della protezione del risparmio debba essere risolta in questa o in altra sede.

MORO dichiara di insistere nella sua proposta; soltanto in linea subordinata è disposto ad accedere alla proposta fatta dallo onorevole Togliatti.

BASSO, poiché ritiene che le proposte presentate meritino un approfondito esame che non è possibile fare nella seduta odierna, propone il rinvio ad altra seduta dell’esame delle singole proposizioni.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Basso.

(La Commissione approva all’unanimità).

Avverte che la prossima riunione avrà luogo domani giovedì 10 alle ore 11.

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi.

MARTEDÌ 8 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

20.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 8 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – Caristia – Cevolotto – Mastrojanni – Lucifero, Relatore – Moro – La Pira – Merlin Umberto – Togliatti, Relatore – Iotti Leonilde – Basso – Corsanego.

La seduta comincia alle 17.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE ricorda che nell’ultima riunione la Sottocommissione ha approvato un articolo così formulato: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione idonee allo sviluppo economico o culturale o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta». Osserva che tale testo riassume parte del primo comma del primo articolo proposto dall’onorevole Lucifero e parte del primo comma del primo articolo proposto dall’onorevole Togliatti, ed in pari tempo tiene conto di quanto è contenuto nella prima proposizione del primo articolo approvato sulla stessa materia dalla terza Sottocommissione. Aggiunge che il concetto contenuto nell’ultima parte dell’articolo approvato dalla Sottocommissione («esplicare una funzione ecc.») era adombrato, se non espresso allo stesso modo, nel secondo comma dell’articolo primo proposto dall’onorevole Lucifero.

DOSSETTI propone, anche a nome dell’onorevole Togliatti, da un punto di vista sistematico, di soprassedere alla discussione ed all’approvazione dell’ultima parte del primo comma dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti («chi è senza lavoro senza sua colpa è assistito dallo Stato»); di rinviare altresì l’esame del secondo comma («Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività»), che ha un’importanza fondamentale e sul cui contenuto si dichiara d’accordo, ma che, per ragioni di sistematica, data la sua portata riassuntiva, collocherebbe in seguito in sede più opportuna. Accantonerebbe infine anche il terzo comma («È proibito il lavoro salariato dei minori di anni 16»), sul quale pensa che probabilmente si potrà raggiungere l’accordo.

Propone invece di passare all’esame e alla discussione del secondo articolo proposto dall’onorevole Togliatti («La remunerazione del lavoro intellettuale e manuale deve corrispondere alle necessità fondamentali della esistenza del singolo e della sua famiglia»), al quale propone, d’accordo con l’onorevole Togliatti, di apportare una modifica sostituendo alle parole «corrispondere alle necessità fondamentali dell’esistenza» le altre: «soddisfare all’esigenza di una esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia».

(La proposta è approvata).

PRESIDENTE legge il testo dell’articolo secondo nella nuova formulazione concordata dagli onorevoli Togliatti e Dossetti: «La remunerazione del lavoro intellettuale e manuale deve soddisfare alle esigenze di una esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia».

CARISTIA fa una piccola osservazione di forma; propone cioè che in luogo di: «intellettuale e manuale» si dica «intellettuale o manuale».

CEVOLOTTO riconosce che il concetto informatore della disposizione è giustissimo. Fa rilevare però le difficoltà a cui la inclusione di una norma di questo genere nella Costituzione potrebbe dar luogo. Pensa infatti che difficilmente lo Stato potrà assicurare un’esistenza libera e dignitosa ad un individuo (ed alla sua famiglia) che, scelta liberamente la professione di pittore o di poeta, faccia poi delle opere di nessun valore e che nessuno compera. Aggiunge che con una disposizione di questo genere, che contiene principî che in teoria corrispondono a concetti da tutti ammessi; ma che in pratica incontrano difficoltà di attuazione quasi insuperabili, si metterebbe questo pittore o poeta nella condizione di domandare allo Stato l’acquisto dei suoi quadri o delle sue poesie, dal momento che i privati non ne vogliono sapere.

PRESIDENTE osserva che quando si parla di lavoro intellettuale, si intende che questo debba essere ritenuto sempre socialmente utile.

CEVOLOTTO manifesta il suo scetticismo anche per un altro motivo, cioè che il fatto potrà verificarsi indipendentemente dal valore dell’artista; lo Stato infatti non potrà evitare che anche un artista di valore soffra la fame, se la sua opera è per il momento misconosciuta. Non ritiene possibile che lo Stato garantisca la remunerazione di questo lavoro, perché si tratta di una libera attività che si rivolge al pubblico, che può accettarla o non accettarla.

Conclude affermando di approvare l’articolo nel suo concetto informatore, ma di dubitare della sua realizzazione pratica, a meno che non si voglia burocratizzare l’arte, il che equivarrebbe ad ucciderla.

PRESIDENTE osserva che il secondo concetto espresso dall’onorevole Cevolotto è di notevole gravità, perché egli, mentre accoglie un principio, ne distrugge il significato prevedendone l’impossibilità di attuazione.

MASTROJANNI non ha nulla da obiettare sulla concezione e sulla formulazione dell’articolo. Desidera però anch’egli manifestare i suoi dubbi in proposito, perché questa disposizione rappresenta, a suo parere, la perfezione di uno Stato ideale praticamente irraggiungibile. Concorda sul principio di assicurare un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia, ma non ne vede la pratica realizzazione.

Fa rilevare anche un altro pericolo, cioè che il lavoratore, tenendo presente questa affermazione, possa rifiutarsi di prestare la sua opera, se non gli verrà corrisposta una retribuzione di tali proporzioni da consentirgli di soddisfare tutte le esigenze, e non solo materiali, sue e della famiglia.

Conclude prospettando l’opportunità di studiare una formula più modesta, meno ampollosa e più francescana.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mastrojanni a concretare in un articolo i concetti esposti.

LUCIFERO, Relatore, si dichiara d’accordo sul concetto, che del resto era contenuto nella prima parte dell’articolazione da lui proposta alla Sottocommissione, e che egli aveva ritenuto necessario esprimere in quella sede, perché pensava che, trattandosi di problemi economici sociali, la prima affermazione, cioè, l’affermazione essenziale, base di tutte le successive, dovesse essere quella del diritto dell’uomo ad una vita dignitosa e sufficiente a sé e alla sua famiglia.

Non è favorevole alla proposta degli onorevoli Dossetti e Togliatti, oltre che per le ragioni dette dagli altri oratori, anche e soprattutto perché ritiene che una norma dei genere non debba trovar posto in una Costituzione, bensì in un’opera di filosofia o in un trattato di esegesi sociale. Reputa comunque perfettamente inutile collocare in questa sede l’affermazione proposta, che, tra l’altro, si riporta ad una disposizione già approvata, in cui si dice che «ogni cittadino ha il diritto al lavoro»; ciò significa, a suo parere, che se ha il diritto al lavoro, ha anche il diritto ad una remunerazione proporzionata al suo lavoro.

Conclude affermando di ritenere l’articolo proposto pleonastico, confusionario e superfluo.

DOSSETTI riconosce che sarebbe potuto sembrare più rispondente ad una esatta sistematica far questa affermazione in via preliminare. Osserva però che se l’onorevole Lucifero è disposto a riconoscere il principio che vi sia in ogni uomo, in determinate condizioni, un diritto ad una remunerazione del suo lavoro tale da assicurare a lui ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, non dovrebbe avere difficoltà a che il principio fosse affermato in questa sede, che l’oratore ritiene più opportuna. Il diritto ad avere i mezzi per una esistenza libera e dignitosa non deriva infatti dal semplice fatto di essere uomini, ma dall’adempimento di un lavoro, a meno che non si determinino quelle altre condizioni da cui derivi l’impossibilità di lavorare per i motivi che saranno indicati negli articoli concernenti l’assistenza e la previdenza. Fa presente la necessità di fissare il principio che la società non è tenuta a garantire un’esistenza libera e dignitosa a colui, che, pur essendo cittadino, non esercita, per sua colpa, alcuna attività socialmente utile.

Quanto alla modifica rispetto al testo originario proposto dall’onorevole Togliatti, modifica che del resto è stata da questi accettata, dichiara di averla ritenuta necessaria, perché, a suo parere, dire semplicemente «necessità fondamentali dell’esistenza del singolo e della sua famiglia», è troppo poco e lascia aperta la strada a interpretazioni restrittive, che vorrebbe evitare. Fa presente in proposito come finora si sia vissuti in una società in cui le esigenze fondamentali di vita sono state sempre considerate in senso restrittivo, onde è stato possibile che vaste masse di lavoratori fossero insufficientemente compensate.

Osserva quindi che risponde alla struttura economico-sociale del nostro sistema orientare l’economia verso retribuzioni dei lavoro che non siano soltanto rispondenti alle esigenze della vita, quali possono essere quelle del vitto, della casa, del vestiario, ma anche alle esigenze dell’esistenza libera e perciò degna dell’uomo.

Non ritiene che, come ha detto l’onorevole Mastrojanni, si indichi così un’utopia, in quanto non saprebbe rinunciare al sogno di avviare la struttura sociale verso una rigenerazione del lavoro in modo che il suo frutto sia adeguato alla dignità e alla libertà dell’uomo.

Tali principî programmatici non avranno la possibilità di operare un miracolo, perché la loro attuazione dipenderà dalle condizioni sociali della vita politica italiana, ma serviranno almeno a una progressiva elevazione delle condizioni di lavoro nel prossimo avvenire.

MORO osserva, riferendosi alla questione della collocazione sollevata dall’onorevole Lucifero, che a suo parere la dichiarazione riguardante il diritto a una remunerazione che soddisfi alle esigenze fondamentali dell’esistenza del lavoratore, deve seguire la dichiarazione del diritto al lavoro. Fa presente che, per venire parzialmente incontro alle idee espresse dall’onorevole Lucifero, onde evitare un’eccessiva frammentarietà della materia, si potrebbe aggiungere questa dichiarazione sulla remunerazione al primo articolo, facendola seguire alla dichiarazione del diritto al lavoro.

LA PIRA osserva che gli articoli formulati ed approvati dalla Sottocommissione sono sempre partiti dalla premessa che essi debbano concorrere a far cambiare la struttura economico-sociale del Paese. Se la struttura economico-sociale dovesse restare quella che è attualmente, cioè di carattere liberistico, allora l’articolo proposto avrebbe scarso valore e costituirebbe soltanto un’enunciazione pleonastica; se invece questa struttura subirà dei cambiamenti, allora l’articolo proposito assumerà un grande valore politico e giuridico, in quanto si riferisce soprattutto ad una futura evoluzione della società.

LUCIFERO, Relatore, dichiara non esservi alcuna, differenza tra il suo pensiero e quello esposto dall’onorevole La Pira, poiché anche l’oratore è un liberista nel senso moderno della parola e si rende perfettamente conto che la struttura economico-sociale del nostro Paese, potrebbe anche prendere una piega diversa, come l’ha presa in questi ultimi 25 anni.

Egli intendeva fare principalmente una questione di collocamento dell’articolo, in quanto effettivamente il diritto alla esistenza, cioè alla giusta remunerazione intesa in senso largo, costituisce il fondamento di tutto il lavoro compiuto dalla Sottocommissione; è necessario quindi porre questa premessa assoluta al principio della formulazione degli articoli.

La questione da lui sollevata deve, a suo avviso, ritenersi essenziale per la formulazione dei concetti che si vogliono esprimere negli articoli.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Lucifero che egli aveva in un primo tempo affermato di non opporsi alla sostanza dell’articolo, ma di fare soltanto una questione di collocamento.

LUCIFERO, Relatore, si dichiara pronto ad accettare la discussione sulla formula proposta, purché essa venga posta all’inizio degli articoli riguardanti la materia.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero, che cioè la formulazione del concetto di una giusta remunerazione preceda quella del diritto al lavoro.

MORO non ritiene che si debba dare un’eccessiva importanza a tale questione di sistematica. Ad ogni modo dichiara di preferire la formulazione degli articoli presentata dagli onorevoli Togliatti e Dossetti.

LUCIFERO, Relatore, osserva che non è logico dire che l’affermazione del diritto al lavoro debba precedere quella del diritto alla remunerazione in una misura corrispondente alle esigenze del lavoratore e della famiglia, in quanto il diritto all’esistenza appartiene anche a coloro i quali non possono lavorare; tanto è vero che nella Costituzione sono state studiate una serie di previdenze proprio per coloro i quali non possono lavorare per ragioni di salute, di età, ecc.

MORO esprime il parere che, tenendo conto della realtà storica nella quale si vive, realtà che va intesa in senso relativo e non assoluto, la formulazione proposta dagli onorevoli Dossetti e Togliatti, sia ben collocata.

(La proposta dell’onorevole Lucifero è respinta con 3 voti favorevoli e 10 contrari).

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mastrojanni ha presentato la seguente formula: «La remunerazione del lavoro manuale e intellettuale deve essere giusta e deve soddisfare l’umana dignità».

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni.

MERLIN UMBERTO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni perché nell’articolo proposto dagli onorevoli Dossetti e Togliatti si afferma un concetto sostanziale che è quello dell’entità familiare. Per quanto questo concetto possa sembrare audace e forse anche eccessivo per le difficoltà pratiche d’applicazione, tuttavia esso risponde alle sue convinzioni sociali; ed egli pensa che occorra affermare nettamente che il salario non deve soltanto soddisfare alle esigenze del singolo lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia, cosa del resto che di fatto già avviene perché non ci sarà mai nessun lavoratore che si accontenti di un salario limitato soltanto ai suoi bisogni lasciando nella miseria e nell’indigenza la famiglia. Ora questo concetto umano e cristiano è affermato chiaramente nella proposta degli onorevoli Dossetti e Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che si asterrà dalla votazione, in quanto tiene a ribadire l’imperativo morale e giuridico di una norma che dia a tutti i cittadini questa garanzia della possibilità di vivere in maniera dignitosa sia per i singoli che per le loro famiglie. Non ritiene che l’emendamento Mastrojanni risponda alle esigenze esposte dall’onorevole Merlin, che egli condivide perfettamente. Ad ogni modo, siccome resta di vitale importanza la questione del collocamento di questo articolo, si asterrà dalla votazione.

(L’emendamento Mastrojanni è respinto con 1 voto favorevole, 11 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE, prima di mettere ai voti la formula proposta dagli onorevoli Togliatti e Dossetti, fa presente che l’onorevole Caristia ha proposto che invece di dire «intellettuale e manuale» si dica «intellettuale o manuale».

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di accettare la modificazione proposta dall’onorevole Caristia.

PRESIDENTE chiede agli onorevoli Dossetti e Togliatti se hanno difficoltà a che, oltre «intellettuale o manuale», si inserisca anche «tecnico». Ci sono infatti dei lavori tecnici che esulano dal concetto di lavori intellettuali o manuali propriamente detti.

DOSSETTI dichiara di non avere difficoltà ad accettare la proposta del Presidente.

PRESIDENTE legge l’articolo proposto dagli onorevoli Togliatti e Dossetti, con l’aggiunta da lui proposta e da loro accettata: «La rimunerazione del lavoro intellettuale o tecnico o manuale deve soddisfare alle esigenze di un’esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia», e lo mette ai voti.

CEVOLOTTO dichiara che voterà a favore dell’articolo, interpretandolo come un’aspirazione a un progressivo miglioramento della società umana. Non si nasconde però che un’attuazione pratica si potrebbe avere soltanto nel caso che lo Stato potesse imporre ai cittadini un determinato lavoro.

(L’articolo è approvato con 11 voti favorevoli e 2 astenuti).

PRESIDENTE, prima di procedere oltre nella discussione, ricorda che un concetto simile a quello testé approvato è già stato affermato dalla terza Sottocommissione con un articolo così formulato: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro e adeguata alle necessità personali e familiari».

Comunica che dagli onorevoli Togliatti e Dossetti viene proposta una integrazione dell’articolo ora approvato con un comma che si riferisca alla donna lavoratrice e così formulato: «Alla donna lavoratrice sono assicurati gli stessi diritti e lo stesso trattamento che spettano ai lavoratori e inoltre sono garantite condizioni particolari che le consentano di adempiere insieme al suo lavoro la sua missione familiare». Avverte che l’onorevole La Pira ha proposto di sostituire le parole «la sua prevalente missione familiare», alle altre: «la sua missione familiare».

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di non accettare l’emendamento proposto dall’onorevole La Pira perché, mentre in questo comma si vuole affermare una parità fra l’uomo è la donna, con la proposta dell’onorevole La Pira si sottolinea una differenza tra la missione dell’uomo e quella della donna.

LA PIRA risponde all’onorevole Togliatti che effettivamente la missione della donna è diversa da quella dell’uomo.

TOGLIATTI, Relatore, propone che la discussione su questo argomento sia rimandata a quando si verrà a trattare della famiglia.

LA PIRA è d’accordo.

LUCIFERO, Relatore, prega l’onorevole La Pira di mantenere la sua proposta, in quanto essa dà un carattere umano all’articolo della Costituzione, poiché effettivamente la funzione della donna, fin quando esisterà la famiglia, è prevalente nell’ambito di questa. Il lavoro e le funzioni che la donna deve esercitare come madre e come sposa prevalgono su quelli che essa può esercitare come lavoratrice. Per questo ritiene che tali funzioni debbano essere sottolineate in questa sede dove si parla della donna lavoratrice.

MORO proporrebbe la seguente formulazione: «Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore ed inoltre è garantita in ogni caso la possibilità di adempiere, insieme al suo lavoro, alla sua essenziale missione familiare».

Osserva che la parola «lavoratori» è una espressione un po’ troppo vaga; dicendo invece «tutti i diritti che spettano al lavoratore» l’affermazione acquista maggiore forza e si toglie la possibilità di equivoco sull’equiparazione della donna all’uomo.

Fa presente inoltre che con la formula da lui proposta si dichiara, nello stesso modo, l’essenzialità della missione familiare della donna, ma non si pone la questione generale sulla compatibilità o meno di questa missione con la sua attività lavoratrice, questione che può essere rinviata ad altra sede.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che la proposta dell’onorevole Moro è in linea generale accettabile. Non è d’accordo però circa la sostituzione delle parole «gli stessi diritti» con le altre «tutti i diritti», perché cambia il concetto. Quando si afferma la parità dei diritti della donna lavoratrice e dell’uomo lavoratore, si afferma il principio dell’uguaglianza dei salari, dell’uguaglianza del sussidio di disoccupazione, nelle retribuzioni familiari sussidiarie, ecc.: tutta una serie di principî legati alla parità. Il concetto dell’uguaglianza tra uomo e donna nel campo del lavoro è essenziale nell’articolo; e l’oratore non può accettare che esso ne sia tolto.

PRESIDENTE domanda agli onorevoli Togliatti e Dossetti, se essi accettano che base della discussione sia l’articolo proposto dall’onorevole Moro piuttosto che quello da loro presentato.

TOGLIATTI, Relatore, e DOSSETTI accettano.

PRESIDENTE rilegge la formula proposta dall’onorevole Moro: «Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore e inoltre è garantita in ogni caso la possibilità di adempiere, insieme al suo lavoro, la sua essenziale missione familiare».

Apre la discussione su questa proposta.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che accetterà l’articolo se alle parole «tutti i diritti» si sostituiranno le parole «gli stessi diritti».

MORO dichiara che, pur non irrigidendosi sulla sua proposta, e pure concordando con l’onorevole Togliatti circa la perfetta parità in ordine a tutti i diritti della donna lavoratrice e dell’uomo lavoratore, insiste per la formula «tutti i diritti» perché se si dice «gli stessi diritti», sarebbe necessario indicare più chiaramente che la parificazione s’intende col lavoratore maschio, per evitare degli equivoci.

TOGLIATTI, Relatore, propone che si dica: «gli stessi diritti che spettano a tutti i lavoratori».

MORO osserva che tale espressione è un po’ sforzata.

TOGLIATTI, Relatore, propone di dire: «sono assicurati tutti i diritti che spettano ai lavoratori e lo stesso trattamento economico».

MORO accetta tale dizione.

DOSSETTI dichiara di accettare l’impostazione data all’articolo dall’onorevole Moro. Non ha niente in contrario a che si dica: «tutti i diritti», perché, così dicendo, lo stesso trattamento economico diviene una conseguenza logica. Ritiene, però, che sia bene affermare esplicitamente che nelle parole «tutti i diritti» s’intende compreso lo stesso trattamento economico, altrimenti si svaluta la portata dell’affermazione.

Per quanto riguarda invece la seconda parte della formula proposta dall’onorevole Moro, dichiara di essere piuttosto esitante ad accettarla, in quanto sembra tendere soltanto ad assicurare una possibilità di fatto, mentre invece si deve affermare una condizione giuridica di perfetta parità.

MORO propone di dire: «sono garantite (o assicurate) modalità di lavoro che le permettano di adempiere la sua essenziale missione familiare».

PRESIDENTE ritiene che il concetto espresso dall’onorevole Dossetti si possa formulare nel modo seguente: «È garantito l’adempimento, insieme al suo lavoro, della sua essenziale missione familiare».

DOSSETTI dichiara di ritenere la formula proposta dal Presidente come un progresso nei confronti di quella proposta dall’onorevole Moro.

PRESIDENTE osserva che, quando si parla di eguale trattamento economico per l’uomo e la donna che lavorano, si suppone eguale rendimento. Eguale salario deve essere corrisposto per eguale lavoro.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che ciò è evidente.

PRESIDENTE fa presente che è necessario che questo concetto sia affermato. Se non si trovasse la formula adatta, deve rimanere consacrato nel verbale che si è voluto intendere, nella discussione, che l’eguaglianza di trattamento suppone l’eguaglianza del rendimento.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che nell’articolo si parla di trattamento e non di salario.

MORO suggerisce di dire «a parità di condizioni».

PRESIDENTE propone che l’ultima parte dell’articolo, nella formulazione dell’onorevole Moro, sia modificata nel modo seguente: «è garantito l’adempimento della sua essenziale missione familiare».

LUCIFERO, Relatore, dichiara di preferire la formula originaria della proposta Dossetti-Togliatti con l’integrazione proposta dall’onorevole La Pira, perché essa aveva un carattere più propriamente costituzionale e giuridico.

LA PIRA dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Moro per quanto riguarda la sostituzione della parola «prevalente» con «essenziale», perché effettivamente l’obiettivo che si proponeva era di indicare che la donna ha un’essenziale missione familiare.

LUCIFERO, Relatore, è d’accordo nel riconoscere che la parola «essenziale» è preferibile a «prevalente», ma è su tutta la formulazione che ha delle perplessità, ritenendo più chiara la primitiva proposta.

PRESIDENTE dichiara di ritenere che la formula che esprime meglio le opinioni dei vari commissari e traduce il concetto nel quale tutti si sono trovati d’accordo, sia la seguente: «Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore, e, in particolare, a parità di condizioni, lo stesso trattamento economico».

TOGLIATTI, Relatore, propone che si dica: «in particolare l’eguaglianza di trattamento economico».

LUCIFERO, Relatore, fa presente che bisogna dire: «a parità di rendimento».

TOGLIATTI, Relatore, risponde che tale concetto è implicito.

PRESIDENTE domanda se i commissari ritengono che dire «parità di trattamento economico» sia di per se stesso capace di esaurire l’altro concetto di parità di rendimento economico.

LA PIRA fa presente, richiamandosi a una discussione già fatta all’inizio delle riunioni della Sottocommissione, che con la parola «trattamento» si è voluto, si vuole e si vorrà sempre indicare una proporzionalità. Per queste ragioni lascerebbe la parola «trattamento» anche per ricollegarsi alle discussioni fatte a proposito del primo e del secondo articolo.

PRESIDENTE osserva che il primo ed il secondo degli articoli discussi dalla Commissione non riguardavano il lavoro.

LA PIRA replica che nel secondo articolo si è parlato di eguaglianza di trattamento, e a questa parola è stato dato un significato di proporzionalità. È bene, pertanto, che rimanga questa terminologia che ormai dovrebbe ritenersi acquisita.

MERLIN UMBERTO ritiene che con tutta la buona volontà di essere generosi, approvando una formula che sia la più ampia possibile, non si deve però adottare una formula equivoca come quella «lo stesso trattamento economico». Le lavoratrici interpreteranno la formula nel senso che esse debbono avere il salario che spetta al lavoratore maschio, mentre in pratica questo non avviene mai.

IOTTI LEONILDE non vede il motivo perché ciò non debba avvenire.

PRESIDENTE osserva che, se non c’è uguale rendimento, non si può pretendere uguale salario.

MERLIN UMBERTO rileva che la donna farà un lavoro più leggero e più confacente alla sua natura, e perciò il salario sarà proporzionato al minor rendimento.

Ritiene che ci si debba limitare a dire: «sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore». In questa formula è compreso il concetto che è stato espresso.

MASTROJANNI osserva che, per quanto riguarda la differenza di trattamento tra l’uomo e la donna che lavorano, non dovrebbe esservi alcuna preoccupazione, perché la donna non può mai essere adibita a lavori pesanti, e quindi la differenza di rendimento, di cui si parla, non si verifica, diversi essendo i generi di lavoro. Nei casi in cui la donna esplica una funzione identica a quella dell’uomo, è stato assodato che il rendimento è identico e anche superiore. Ci sono donne fornite d’intelligenza, abilità, perspicacia e laboriosità che superano l’uomo.

Se invece si vuole differenziare il rendimento, dal punto di vista della importanza del lavoro, allora è bene che una differenza esista, perché il lavoro cerebrale deve avere una remunerazione superiore. Quando le responsabilità sono maggiori, è giusto che a maggiori oneri corrispondano maggiori compensi. Sotto questo riguardo ritiene necessaria una specificazione, perché non vengano livellati tutti i lavoratori nello stesso modo.

DOSSETTI dichiara di ritenere che l’onorevole La Pira abbia perfettamente interpretato lo spirito e la lettera dell’articolo proposto da lui e dall’onorevole Togliatti, quando ha fatto osservare che è già implicita una proporzionalità nel sistema adottato.

Ritiene anche che sarebbe opportuno che il principio stabilito nel precedente comma circa la remunerazione del lavoratore possa essere integrato col concetto che è nel secondo degli articoli approvati dalla terza Sottocommissione, che cioè la remunerazione, oltre che assicurare condizioni di vita dignitosa, ecc., deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro; a meno che non si ritenga superflua una tale aggiunta.

PRESIDENTE ritiene che la terza Sottocommissione abbia votato l’articolo appunto con questo spirito e con questa intenzione. Il concetto dell’eguale salario per l’eguale rendimento è espresso nella prima parte dell’articolo della terza Sottocommissione citato dall’onorevole Dossetti: «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro ed adeguata alle necessità personali e familiari».

TOGLIATTI, Relatore, propone di dire: «Sono assicurati gli stessi diritti ed eguale retribuzione per eguale lavoro».

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

DOSSETTI ritiene che, per rendere l’articolo più organico, si debba introdurre una formula che dica: «Alla donna lavoratrice è garantito uguale diritto ed uguale lavoro», oppure: «la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità del lavoro».

TOGLIATTI, Relatore, propone la seguente formula: «Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore ed in particolare uguale retribuzione per uguale lavoro».

PRESIDENTE dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Togliatti.

MASTROJANNI si associa.

LA PIRA si associa.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Togliatti: «Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore ed in particolare uguale retribuzione per uguale lavoro», e la mette ai voti.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di astenersi per le ragioni già dette.

(La proposta è approvata all’unanimità meno uno astenuto).

PRESIDENTE comunica che la seconda parte dell’articolo è così formulata: «Ad essa sono inoltre garantite quelle speciali condizioni che le consentano di adempiere, nello svolgimento del suo lavoro, la sua essenziale missione familiare».

BASSO dichiara di non approvare l’aggettivo «essenziale» perché ritiene che la missione dell’uomo nella famiglia sia altrettanto essenziale quanto quella della donna. Comprende la necessità di specificare che si assicurino alla donna le condizioni per adempiere alla sua missione familiare, ma esclude che si debba dire che questa missione è più essenziale di quella dell’uomo.

LA PIRA fa presente che la vita di una madre di famiglia è interiorizzata nella casa e non può essere espletata dall’uomo. In questo senso si dice che la missione della donna è essenzialmente familiare. La essenzialità dell’uomo nella famiglia ha un altro carattere.

PRESIDENTE aggiunge che la specialità e l’essenzialità della missione della donna è quella della maternità. Questo è un concetto che si deve sempre tener presente. Quando ci si preoccupa della donna lavoratrice, ci si preoccupa per il fatto della maternità, per la tutela delle sue condizioni prima, durante e dopo il parto. Si deve garantire alla donna lavoratrice di poter fronteggiare quelle particolari esigenze che derivano dalla maternità.

BASSO osserva che la tutela si riferisce alle forme in cui la missione familiare della donna si estrinseca, per le quali si richiedono particolari provvidenze. Questo non vuol dire che alla missione della donna si dia un carattere di essenzialità maggiore di quella dell’uomo, nell’ambito della famiglia. Vuol dire soltanto che la donna ha bisogno di particolari tutele. Si dichiara pertanto contrario all’aggettivo «essenziale», perché ritiene che esso diminuisca l’importanza della donna nella famiglia.

IOTTI LEONILDE ricorda che, nelle conversazioni avute con l’onorevole Corsanego circa gli argomenti riguardanti la famiglia, era stato elaborato un articolo che si avvicinava allo spirito di quello sottoposto ora alla discussione. Esso non è stato inserito nell’articolazione da lei proposta, ma si potrebbe tornare ad esaminarlo, al momento opportuno. Discutere ora su questo tema sarebbe fuori posto.

Osserva comunque che dicendosi «missione familiare» si afferma qualche cosa che sottolinea già una differenza di posizione tra quella che può essere la vita della donna come lavoratrice e quella che è la sua attività nell’ambito della famiglia, senza bisogno di altre specificazioni.

PRESIDENTE fa osservare alla onorevole Iotti che, poiché la Commissione sta trattando della posizione della donna nel lavoro, e poiché nell’applicazione del suo lavoro la donna si trova in quelle particolari condizioni cui egli ha già accennato e che sono soprattutto determinate dal fatto della maternità, è proprio qui che dovrebbe trovar luogo il richiamo a una tutela speciale della donna. La donna non viene minorata nei suoi diritti come lavoratrice per il fatto di essere madre, anzi proprio come madre la tutela dei suoi diritti viene rafforzata e potenziata in questa sede.

MORO risponde all’onorevole Basso di non condividere la sua preoccupazione che dalla dizione dell’articolo si possa desumere che la missione dell’uomo sia meno essenziale di quella della donna. Si è attualmente in una particolare situazione storica in cui la donna va uscendo dalla casa per entrare nella vita sociale. La donna deve appartenere alla vita sociale e politica e deve svolgere un’attività lavorativa specifica.

Di fronte a questa situazione, sorge la preoccupazione che si possa interpretare questa nuova realtà come una minorazione della posizione essenziale della donna nella vita familiare, e pertanto si sente il bisogno di confermare l’essenzialità della donna nell’ambito della vita familiare.

Si dichiara contrario alla proposta di rinvio, perché questo è proprio il punto in cui è necessario riconfermare il suddetto principio.

MASTROJANNI si dichiara d’accordo sul principio contenuto nell’articolo, purché rimanga l’espressione «essenziale». Infatti, il fenomeno dilagante dell’attività della donna nel campo sociale e politico come nel campo del lavoro comune, ha portato come conseguenza l’indebolimento della compagine familiare e dell’educazione dei figli.

Se si trascurasse di affermare questo principio essenziale, che cioè la funzione naturale della donna è quella che la natura le ha attribuito, comprendente non solo la procreazione ma anche la difesa e l’educazione dei figli, si verrebbe ad ammettere il principio che si possa anteporre alla funzione naturale biologica della donna, la funzione economica e sociale. Di conseguenza, ritiene che la parola «essenziale» abbia un significato dal quale non si possa prescindere, nel senso che si deve ritenere che la donna rimanga quanto è più possibile nella sua funzione naturale, e che il resto della sua attività nella vita pubblica e lavorativa sia considerato come accessorio e non come essenziale.

Per queste ragioni propone che l’espressione «essenziale» rimanga nella formula, e che anzi ne sia meglio rafforzato il concetto, di modo che non possano sorgere equivoci per il futuro.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che, avendo proposta la sospensiva, era sua intenzione astenersi dalla votazione della formula contenente la parola «essenziale», ma le considerazioni dell’onorevole Mastrojanni lo spingono a votare contro di essa.

Dichiara di accettare il principio che l’attività familiare ha una grandissima importanza nella vita della donna; di non accettare il concetto espresso dall’onorevole Mastrojanni, che la funzione naturale della donna è tutta nella attività familiare, mentre tutte le altre attività sono poste in seconda linea.

È dell’opinione che soltanto quando la donna si sia inserita nella vita economica e sociale, riesca a garantirsi un tale sviluppo della propria persona, per cui anche l’adempimento della sua funzione familiare viene ad essere adeguato a quelle che sono le necessità personali.

Pertanto, se l’espressione «essenziale» viene proposta come aggiunta, nello spirito che è stato chiarito dall’onorevole Mastrojanni, dichiara che voterà contro la formula.

DOSSETTI rileva l’esistenza di due problemi distinti. Il primo è questo: nell’atto in cui si afferma che alla donna lavoratrice deve essere assicurata parità di trattamento giuridico rispetto all’uomo, a parità di lavoro, è opportuno dire in questa sede, come esigenza speciale della donna, che essa avrà diritto, oltre ad una parità di trattamento economico, anche ad una condizione particolare affinché possa esplicare la missione familiare? Ritiene che questa opportunità esista, perché indubbiamente il lavoro deve rendersi compatibile con la missione della donna. Ci sono ragioni evidenti di carattere fisiologico, le quali portano come conseguenza che la donna deve incontrare maggiori ostacoli nella esplicazione della sua missione familiare; e allora è opportuno dire che lo status di lavoratrice della donna deve essere tale da assicurare la parità di trattamento giuridico, e nello stesso tempo una condizione che le garantisca la possibilità di esplicare la sua missione familiare. Questo era l’animus col quale l’oratore ha proposto l’articolo e questa era anche l’intenzione dell’onorevole Togliatti.

Si sovrappone a questo punto la proposta della qualificazione della missione familiare. Su questa qualificazione l’oratore ha una sua opinione particolare; però ritiene che in questa sede essa sia meno essenziale di quello che può apparire, e che potrebbe anche essere fatta in altra sede. Se questa qualificazione costituisse un ostacolo alla approvazione della sostanza dell’articolo, egli sarebbe disposto a rinunciare ad essa, purché si affermasse la cosa sostanziale, che cioè lo status giuridico ed economico della donna lavoratrice deve essere tale da garantire la parità di trattamento rispetto ai lavoratori e nello stesso tempo deve dare alla donna la possibilità di esplicare la sua missione familiare.

BASSO si dichiara d’accordo con l’onorevole Dossetti sul concetto fondamentale che ci deve essere questa garanzia di uno status giuridico ed economico alla donna. Insiste però più che mai sul rifiuto netto e reciso dell’aggettivo «essenziale», in quanto esso si potrebbe prestare alle pericolose interpretazioni che ne ha dato l’onorevole Mastrojanni.

L’oratore ritiene che, come per l’uomo, così anche per la donna c’è una posizione di parità sia nel lavoro come nella vita familiare, perché entrambi hanno il dovere del lavoro e dell’assistenza alla famiglia. Riconosce che, per ragioni di natura biologica, la missione familiare della donna ha un carattere speciale, ma non si deve attribuire ad essa una maggiore essenzialità rispetto a quella dell’uomo.

PRESIDENTE dichiara di comprendere le ragioni della contrarietà dell’onorevole Basso nei riguardi del termine «essenziale» oppure «prevalente», termine che ha dato luogo all’interpretazione dell’onorevole Mastrojanni ed alla presa di posizione dell’onorevole Togliatti. Ritiene che, più che definire prevalente o essenziale la missione familiare della donna, si dovrebbe trovare un termine più preciso e conciso sul quale tutti i Commissari possano essere d’accordo.

Pertanto propone la seguente formulazione: «Ad essa inoltre è garantito nello svolgimento del lavoro l’adempimento della sua speciale missione familiare». Dicendo «speciale» verrà eliminato l’ostacolo che ha fatto arrestare la discussione. La donna si può trovare di fronte a situazioni come quelle cui l’oratore ha già accennato (parto, educazione dei figli), in cui non si può fare a meno di riconoscere che la donna abbia una missione speciale, che potrà anche non essere prevalente o essenziale per coloro che non la considerano tale, ma che è obiettivamente e quindi specificamente puntualizzata.

MORO fa rilevare che l’onorevole Mastrojanni, esprimendo il suo pensiero in ordine al significato da attribuire alla parola «essenziale», s’è riferito piuttosto al senso dell’espressione «prevalente» proposta dall’onorevole La Pira. Quando l’oratore ha fatto la proposta del termine «essenziale», ha detto chiaramente che intendeva con questo togliere di mezzo la questione della gerarchia, perché ritiene che ci sia una perfetta continuità della donna sia nella vita sociale che in quella familiare. La sua proposta tendeva a risolvere la questione della superiorità di una missione di fronte all’altra.

Pertanto dichiara di insistere per il mantenimento della espressione «essenziale», e di essere dubbioso sull’espressione «speciale», che limita un po’ troppo il significato della missione della donna.

DOSSETTI dichiara di essere anche egli dubbioso sull’opportunità dell’espressione «speciale», e d’essere d’accordo sulla proposta del Presidente nella sua prima parte, per quanto riguarda la determinazione fondamentale del concetto. Ad ogni modo insiste sul mantenimento della formula così come è stata proposta dall’onorevole Moro, togliendone l’espressione qualificativa.

Se si vuole risolvere la questione della qualifica, sarà necessario fare una discussione a fondo di questo problema, di modo che ciascuno possa esporre il suo punto di vista e prendere posizione nei riguardi dell’argomento. L’oratore concorda con l’osservazione della onorevole Iotti, circa la compiutezza dell’espressione «missione familiare», ma dichiara che se si dovesse venire alla votazione sull’espressione «essenziale», per coerenza voterebbe per la conservazione di tale termine. Se invece è possibile risolvere il problema senza la votazione, l’oratore è d’accordo sul rinvio della discussione in argomento.

TOGLIATTI, Relatore, è d’avviso che ogni aggiunta all’idea sostanziale contenuta nel termine «missione» potrà essere discussa quando sarà trattato il tema della famiglia.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di ritenere che la discussione sia stata sviata dalle dichiarazioni dell’onorevole Mastrojanni, il quale ha dato del termine «essenziale» una interpretazione personale. Le dichiarazioni dell’onorevole Mastrojanni non tolgono però che sul termine «essenziale» tutti gli altri commissari possano essere d’accordo.

Dichiara di ritenere che effettivamente la missione della donna nella famiglia sia essenziale. La famiglia senza la donna non è concepibile. Si può mettere sullo stesso piano l’uomo o la donna quando si tratta delle responsabilità, ma in quella che è la vita pratica quotidiana, indubbiamente l’attività della donna va molto al di là di quella che è l’attività dell’uomo.

MASTROJANNI fa rilevare che l’interpretazione da lui data alla parola «essenziale» non è il risultato di un suo personale apprezzamento, ma è la logica conseguenza di tutta la dottrina che fino ad oggi è stata sancita nel progetto di Costituzione che si sta formulando. Ricorda ai Commissari che, allorché si parlava di libertà individuale, si è discusso sul fatto che le libertà individuali si integrano, si completano attraverso le comunità naturali: famiglia e religione. Quindi il concetto di famiglia è stato tenuto nella massima considerazione, tanto che questa innovazione di concetti è stata discussa ampiamente. L’onorevole Togliatti ha colto nel segno quando ha precisato che l’oratore intendeva, con le sue dichiarazioni, spostare la situazione nei concetti essenziali della famiglia. Quindi è bene che, arrivati a questo punto, i commissari manifestino apertamente il loro pensiero. L’oratore l’ha manifestato secondo il suo ragionamento, che è la conseguenza logica del ragionamento fatto dagli altri Commissari. Egli infatti pone la famiglia come base essenziale anche delle libertà individuali. È logico che si debba dare alla donna questa funzione preminente, e che si debba ritenere l’attività lavorativa della donna come attività accessoria di fronte all’attività che deriva alla donna dalla sua funzione biologica e fisiologica, dalla quale non si può e non si deve prescindere.

PRESIDENTE informa che l’onorevole Moro insiste nella sua formula: «Ad essa sono inoltre garantite quelle speciali condizioni che le consentano di adempiere, nello svolgimento del lavoro, la sua essenziale missione familiare».

Allo scopo di avvicinare le varie tesi che si sono manifestate nella discussione circa il termine «essenziale», ricorda di aver proposto di sostituire tale parola con l’altra «speciale», in quanto che con questo termine ci si ancorava ad una situazione di fatto da tutti riconosciuta che prescindeva da quella intenzionalità di giudizio e di interpretazione che trovava non completamente convergenti le varie opinioni.

MORO insiste perché la sua proposta di adottare l’aggettivo «essenziale» sia posta in votazione. Aggiunge, però, che qualora tale proposta fosse respinta, non risolleverà la questione in sede competente, ma accetterà il giudizio dato con la votazione.

CORSANEGO dichiara di essere favorevole al termine «essenziale», ma qualora tale termine non ottenesse la maggioranza dei suffragi dei presenti, ritiene che si possa essere egualmente soddisfatti dell’approvazione della sola parola «missione», la quale comprende anche nel suo significato l’aggettivo «essenziale».

Del resto pensa che si possa aggiungere, come commento, la dichiarazione che a tale parola si desidera dare una interpretazione estensiva.

DOSSETTI dichiara che voterà a favore del mantenimento dell’aggettivo «essenziale», ma nel significato oggettivo di questa parola che gli pareva fosse ammesso da tutti prima che altre interpretazioni ne svisassero il significato.

BASSO dichiara di votare contro l’aggettivo «essenziale», riservandosi, se sarà approvato, di risollevare la questione in sede di Commissione plenaria. Poiché tutti sanno quale è la missione della donna, ritiene che il solo fatto di sentire il bisogno di aggiungere questo aggettivo equivalga a dare a tale parola un significato diverso; ed è per questa ragione che si oppone alla proposta. È invece favorevole alla dizione dell’articolo senza tale aggettivo.

IOTTI LEONILDE dichiara di votare contro l’aggiunta, non per il concetto espresso dall’articolo, che condivide, ma perché ritiene che la parola «missione» dica già da sé molto più di quanto possa dire con l’aggiunta di qualsiasi aggettivo.

CARISTIA dichiara di votare contro, perché gli sembra che l’aggettivo «essenziale» non sia il più adatto per esprimere la posizione della donna nella famiglia.

PRESIDENTE, pur riconoscendo che il termine «essenziale» andrebbe bene, e che ancora meglio sarebbe dire «prevalente», insiste nella sua proposta di sostituirlo con l’aggettivo «speciale» per affermare un concetto che è ammesso da tutti i Commissari.

MERLIN UMBERTO crede che la proposta conciliativa del Presidente possa raccogliere l’unanimità dei consensi.

PRESIDENTE osserva che l’emendamento dell’onorevole Moro, che consiste nella aggiunta dell’aggettivo «essenziale», può essere votato per primo. Se sarà approvato, si renderà inutile la votazione sulla proposta fatta dal Presidente.

(La Commissione approva l’adozione della parola «essenziale» con 7 voti favorevoli e 4 contrari).

Dichiara che il secondo comma dell’articolo risulta così formulato:

«Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore e in particolare eguale retribuzione per eguale lavoro. Ad essa sono inoltre garantite quelle speciali condizioni che le consentano di adempiere, nello svolgimento del lavoro, la sua essenziale missione familiare».

Lo mette ai voti.

(È approvato all’unanimità, meno 1 astenuto).

Rileva che l’articolo, con gli emendamenti adottati, rimane così formulato:

«La remunerazione del lavoro intellettuale o tecnico o manuale deve soddisfare alle esigenze di una esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia.

«Alla donna lavoratrice sono assicurati tutti i diritti che spettano al lavoratore e in particolare eguale retribuzione per eguale lavoro. Ad essa sono inoltre garantite quelle speciali condizioni che le consentano di adempiere, nello svolgimento del lavoro, la sua essenziale missione familiare».

Lo pone ai voti nel suo complesso.

(È approvato).

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi.

VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

19.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 4 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero, Relatore – Togliatti, Relatore – Moro – La Pira – Caristia – Mastrojanni – Cevolotto – Mancini – Merlin Umberto – Dossetti – De Vita – Basso – Corsanego.

La seduta comincia alle 16.30.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE invita i Commissari a voler tenere presente il testo degli articoli già approvati dalla terza Sottocommissione che hanno interferenza col tema che attualmente è oggetto dell’esame della Commissione.

Richiama particolarmente l’attenzione dei Commissari sul primo articolo già approvato dalla terza Sottocommissione:

«Ogni cittadino ha il diritto e il dovere di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

Rileva che, per alcuni punti, tale articolo può essere considerato come un testo molto vicino a quello proposto dall’onorevole Togliatti e per altri punti al testo proposto dall’onorevole Lucifero.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di accettare in linea di massima l’articolo della terza Sottocommissione. Fa soltanto una riserva sul fatto dell’imperativo del lavoro, che lo preoccupa, perché non vede come possa accordarsi con il concetto di libertà, e sul termine «lavoro», che preferirebbe fosse sostituito dall’espressione «attività economica». Ci possono essere determinati lavori che non sono tali se si ha riguardo al termine corrente della parola, eppure si identificano con l’attività dell’uomo. L’espressione «attività economica» gli sembra più comprensiva.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Togliatti se può presentare alla Commissione il testo dell’articolo concordato con l’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI, Relatore, informa che l’onorevole Dossetti e lui si sono trovati d’accordo sulle prime quattro linee dell’articolo. L’onorevole Dossetti si era incaricato di dare un’elaborazione diversa alla parte centrale, cioè al capoverso dell’articolo, precedentemente abbozzato insieme con l’oratore, e che dovrebbe formare un articolo a sé.

L’articolo successivo e anche quello che segue, sul lavoro nelle sue diverse forme, ha trovato concordi l’oratore e l’onorevole Dossetti.

Questo ultimo articolo, del resto, è quello che più si avvicina alla formulazione dell’onorevole Lucifero. Anche l’articolo riguardante il diritto per i lavoratori di associarsi li ha trovati d’accordo, eccetto che per la parte che riguarda il diritto di sciopero anche degli impiegati dei pubblici servizi.

Così pure non è sorta alcuna discussione sull’articolo che riguarda il diritto al riposo.

Discussione c’è stata invece sull’articolo riguardante la proprietà e i mezzi di scambio. Sul fondamento dell’articolo l’intesa era comune. L’onorevole Dossetti si era riservato di trovare una formulazione che fosse più estensiva in determinate direzioni sociali, e che forse si avvicina alla formulazione presentata dalla terza Sottocommissione.

Per quanto riguarda gli ultimi due articoli, non c’è stato disaccordo.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Togliatti di aver osservato che la terza Sottocommissione ha già trattato l’argomento contenuto nell’articolo 1 da lui proposto, ed ha presentato in proposito un’altra formulazione, che potrebbe rappresentare il punto di partenza per poter avvicinare le due distinte formulazioni presentate dei due Relatori.

L’onorevole Lucifero ha già risposto di poter accettare, salvo una riserva di carattere formale, la formulazione proposta dalla terza Sottocommissione per quanto riguarda il primo articolo. Domanda all’onorevole Togliatti il suo parere circa questo primo articolo della terza Sottocommissione.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di considerare la formulazione della terza Sottocommissione stilisticamente non troppo felice, in quanto afferma due volte lo stesso diritto al lavoro.

PRESIDENTE osserva però che nella prima proposizione di questo primo articolo della terza Sottocommissione c’è riferimento alla facoltà di scelta e alle possibilità di lavoro, su cui egli ritiene che si possa essere d’accordo.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di accettare il concetto contenuto in tale proposizione.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che, pur non essendo contrario ad accettare il testo proposto dalla terza Sottocommissione, non è nemmeno contrario alla prima parte dell’articolo nella formula proposta dall’onorevole Togliatti: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro ed ha il dovere di svolgere un’attività socialmente utile». Infatti in questa prima parte è espresso quel tale concetto che l’oratore ha manifestato nella seduta di ieri, ma di cui non è fatto cenno nel testo proposto dalla terza Sottocommissione. Perciò, se l’onorevole Togliatti può trovare il modo di inserire nella sua formula che quella attività socialmente utile può essere liberamente scelta, ritiene di poter accettare anche il testo proposto dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE propone che, tenendo presente il testo presentato dall’onorevole Togliatti, si aggiunga alla formula contenuta nella prima proposizione del primo articolo l’espressione: «conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta» tolta dalla formula della terza Sottocommissione.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di accettare questa nuova formula.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara anch’egli di accettarla.

PRESIDENTE pone in discussione la prima proposizione del primo articolo, nella seguente formula concordata: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività socialmente utile conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

MORO osserva che un continuo riferimento al lavoro della terza Sottocommissione, per ricollegarsi ad essa, complicherebbe di più il lavoro invece di facilitarlo.

Circa la struttura di questo articolo domanda se nell’espressione «attività socialmente utile» restano compresi anche i lavori familiari delle donne di casa. Questi lavori indubbiamente e sostanzialmente sono utili dal punto di vista generale. La formula potrebbe indurre anche a ritenere che si tratti solo del lavoro che abbia carattere immediato di evidente utilità sociale. Non c’è dubbio che questa non è l’intenzione del proponente. Ritiene quindi necessario introdurre una specificazione su questo punto, a tutela della integrità della famiglia.

PRESIDENTE risponde all’onorevole Moro che egli non intende confondere il lavoro della prima Sottocommissione con quello della terza, ma solo tenerlo presente al fine di una eventuale migliore formulazione.

TOGLIATTI, Relatore, fa presente allo onorevole Moro che nella terminologia del lavoro socialmente utile è compreso senza dubbio il lavoro domestico.

MORO replica che sarebbe in ogni modo opportuno aggiungere qualche parola che tolga ogni dubbio in proposito.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di accettare la spiegazione dell’onorevole Togliatti, perché essa risolve un dubbio espresso dallo oratore nella seduta precedente. Domanda però all’onorevole Togliatti chi giudicherà della utilità sociale del lavoro, dato che sulla utilità sociale di una determinata attività vi possono essere notevoli differenze di opinioni e di interpretazioni. Concorda sul principio che il lavoro debba essere socialmente utile, ma, esaminando il caso di certe persone che svolgono una determinata attività, si preoccupa che possa sorgere la contestazione se il loro lavoro sia o no socialmente utile. Domanda, ad esempio, se il lavoro dello studioso, del sacerdote, dell’archeologo, del bibliotecario, sia un lavoro socialmente utile. Ritiene che il problema esista e che occorra risolverlo.

PRESIDENTE osserva che si può cercare un termine più chiaro e quindi idoneo ad eliminare ogni preoccupazione.

LA PIRA ritiene utile chiarire il principio con una norma la quale dica, per esempio, che ci sono tante funzioni sociali di natura manuale ed intellettuale che si possono identificare con il lavoro.

Fa presente che in alcune Costituzioni moderne o progetti di Costituzioni moderne, vi è appunto una formula che parla del lavoro nelle sue varie forme, intellettuali, manuali, ecc.

CARISTIA dichiara di essere molto perplesso nel giudicare se l’espressione «attività socialmente utile» sia adeguata o no.

Certamente esistono dei lavori che sono evidentemente utili alla società, specialmente quelli riguardanti l’attività economica; ma ci sono anche lavori che hanno un grado di finezza e di elevatezza notevole, per i quali egli non sa fino a qual punto si possa dire che sono utili alla società, e, se lo sono, lo sono in maniera molto indiretta.

Perciò un’espressione come quella proposta, la quale coinvolge un giudizio sulla attività sociale di un determinato lavoro, lo lascia molto dubbioso.

PRESIDENTE insiste sulla necessità di trovare una formula sostitutiva di quella «socialmente utile», che possa riscuotere il consenso di tutti. Nel caso che questa formula non si trovi, propone di sopprimere senz’altro le parole «socialmente utile», e di tornare press’a poco a quello che diceva la prima parte dell’articolo 1o approvato dalla terza Sottocommissione: «Ogni cittadino ha il dovere il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta», poiché dicendo «scelta» e «possibilità» si tengono presenti tutti gli elementi che, almeno fino a questo momento, hanno formato oggetto delle preoccupazioni dei vari oratori.

MASTROJANNI fa presente che non vede come si possa temere che il cittadino non voglia lavorare. Il popolo italiano è un popolo lavoratore. In Italia si deve lamentare che non ci sia lavoro per tutti, non che vi siano persone che si sottraggano al lavoro pure avendone la possibilità. Perciò giudica esatto il principio che il lavoro sia un dovere sociale; ma d’altra parte ritiene che non sia il caso di stabilire in sede costituzionale che il cittadino ha l’obbligo al lavoro. In tal modo, da un punto di vista etico, si verrebbe ad ammettere che nella Repubblica italiana l’obbligo del lavoro possa corrispondere a qualche cosa di coercitivo.

Propone invece la seguente formula: «Il cittadino deve considerare come suo dovere sociale il lavoro».

A questa prima parte si potrebbe far seguire l’affermazione contenuta nell’articolo approvato dalla terza Sottocommissione: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

Fa presente che con tale formula egli mira a trasformare la prima parte dell’enunciazione in un’affermazione che abbia un carattere etico, più che un carattere imperativo, e lasciando che il cittadino consideri come suo dovere sociale il lavoro, si garantisce a tutti il diritto al lavoro.

LUCIFERO, Relatore, propone la seguente formula, intermedia tra quella dell’onorevole Togliatti e quella del Presidente: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività conforme alle proprie possibilità e alla propria scelta».

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che le preoccupazioni espresse da alcuni Commissari riguardo al pericolo che l’espressione «socialmente utile» escluda determinate forme di attività intellettuale o speculativa non hanno fondamento.

Ricorda che sono stati già introdotti negli articoli approvati precedentemente, soprattutto nel primo, alcune determinazioni qualificative di diritti con carattere finalistico, che poi non sono state specificate. Quando si è parlato dello sviluppo della persona umana, dal punto di vista fisico, economico, culturale e spirituale, non si è precisato attraverso quali forme si possa raggiungere questo sviluppo. Parimenti, non c’è bisogno, in questa sede, di introdurre tutte le specificazioni circa la formula del «lavoro socialmente utile», la quale non esclude l’indagine scientifica e l’attività speculativa.

PRESIDENTE rileva che tra le attività socialmente utili vanno anche comprese quelle del sacerdote, del religioso, del missionario.

Occorre considerare che ci sono dei cittadini i quali si sono dedicati a questa attività religiosa, e preoccuparsi di tutelare la loro personalità.

TOGLIATTI, Relatore, fa rilevare che in altra parte della Costituzione si parlerà anche di questo argomento.

CEVOLOTTO osserva che vi sono forme di vita contemplativa, praticate da certi ordini religiosi, che bisogna ammettere, ma che non hanno certamente una funzione sociale, bensì una funzione individuale, relativa alla propria anima.

PRESIDENTE replica che anche questi ordini religiosi hanno una funzione sociale, la quale, secondo il pensiero cattolico, consiste nel ristabilimento dell’equilibrio tra chi prega e chi non prega, tra chi pecca e chi non pecca, equilibrio che trova consistenza ed espressione in quella che la Chiesa chiama la Comunione dei Santi. Non si può perciò dire che queste attività non abbiano una funzione socialmente utile; anzi, ne hanno una altissima e di particolare rilievo.

CEVOLOTTO osserva che tutto questo può essere interessante, elevato, nobile e molto giusto, ma potrebbe non esserlo da un altro punto di vista. Per questo, ritiene che sia necessario specificare o sopprimere.

CARISTIA osserva che l’onorevole Togliatti afferma di avere un concetto esatto di quello che è utilmente sociale, ma sta di fatto che quello di utilità sociale è un concetto relativo. Un esempio si è avuto proprio ora, in tema di Ordini religiosi. Alcuni ritengono che siano socialmente utili soltanto le attività meccaniche, atte a produrre la ricchezza o gli strumenti necessari a tale scopo, e considerano socialmente inutili coloro che studiano o meditano. Non vede come si potrà stabilire un concetto esatto della utilità sociale. L’onorevole Togliatti dice di averlo, ma bisogna vedere se chi deve applicare la Costituzione avrà la stessa lucidità di idee e darà la stessa interpretazione del concetto di «socialmente utile».

LA PIRA osserva che si potrebbe raggiungere una maggiore chiarificazione sostituendo alla parole «attività» la parola «funzione».

MANCINI osserva che non si può dire «svolgere una funzione». Le funzioni si esplicano e le attività si svolgono.

MASTROJANNI invita la Commissione a considerare dal punto di vista pratico la impossibilità di attuare il principio dell’obbligo del lavoro, in considerazione anche del fatto che il cittadino ha il diritto alla scelta del lavoro. Fa presente che in alcune provincie o regioni nelle quali le attività lavorative sono orientate prevalentemente in un determinato senso, le situazioni ambientali e contingenti non consentono a tutti di esplicare quel medesimo lavoro; e che di conseguenza, non presentandosi la possibilità di un lavoro confacente alle proprie attitudini, il cittadino, obbligato al lavoro, avrebbe diritto di rifiutarvisi. Si dovrebbe pervenire, in tali casi, alla conseguenza illogica di obbligare il cittadino a trasferirsi da un luogo all’altro per soddisfare all’obbligo del lavoro e al diritto di scelta del lavoro.

Fa presente inoltre il caso di ragazze di famiglia nell’età post-puberale e precedente al matrimonio, che obbligate al lavoro e portate fuori del loro ambiente familiare, potrebbero rimanere turbate nel loro sviluppo psicofisico; di coloro che, in possesso di rendita derivante da risparmi o da eredità, dato che non è abolito dalla Costituzione il diritto di ricevere per testamento, si accontentino di vivere modestamente senza lavorare, e che dovrebbero invece essere obbligati al lavoro. È una coercizione quella generica dell’obbligo del lavoro, che l’oratore non ritiene si possa affermare come imperativo categorico. Si potrebbe, invece, esaudire il concetto con un’affermazione, per esempio, così formulata: «La Repubblica protegge il lavoro», statuendosi in tal modo che si disinteressa di chi non esplica un’attività socialmente utile.

CARISTIA fa osservare all’onorevole Mastrojanni che già si sono fatte in questa Costituzione delle affermazioni che non costituiscono un concetto di diritto o di obbligo vero e proprio, ma che sono affermazioni di principio, le quali hanno un valore più morale che giuridico e d’altra parte non dovrebbero mancare in una Costituzione.

MASTROJANNI replica prospettando la ipotesi che un partito prevalente abbia una sua concezione, in uno Stato totalitario, in cui non ci sia posto se non per chi lavora effettivamente, e in cui per lavoro socialmente utile si intenda solo quello che renda in modo tangibile ed attuale, astrazione fatta da ogni considerazioni di ordine filosofico e spirituale. In uno stato siffatto il legislatore avrebbe la possibilità, prendendo argomento da quanto è sancito nella Costituzione, di formulare una legislazione nella quale i professori universitari, per esempio, potrebbero essere adibiti a lavori manuali, in quel momento ritenuti più utili dell’insegnamento di discipline universitarie.

PRESIDENTE riassume la discussione e comunica che l’onorevole Moro propone la seguente formula: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività capace di incrementare il patrimonio economico e spirituale della società umana, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

MORO fa presente che l’intento che lo ha mosso nel presentare la sua formulazione è stato di evitare i due estremi tra i quali si dibatte la Commissione: l’estremo della indicazione un po’ vaga «socialmente utile», sulla quale sono state fatte fin da principio delle riserve, e la proposta di soppressione totale dell’inciso. Dichiara di non essere favorevole all’abolizione perché, parlando genericamente di lavoro, l’interpretazione della parola «lavoro» potrebbe dar luogo a dispute; e in secondo luogo perché ritiene opportuno che la Costituzione contenga un’affermazione di questo dovere sociale del lavoro, di questo contributo che ogni uomo deve dare alla società umana che per i cristiani è una comunità di fratelli.

Si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti, che, quando si parla di «utilità sociale», si comprendono tutti i valori umani; ma ritiene sia bene precisare che il lavoro può avere una duplice direttiva, tanto verso i valori spirituali quanto verso quelli economici.

MASTROJANNI ritiene che la formula dell’onorevole Moro, per quanto ispirata da una concezione spiritualistica e conciliativa, cada in una gravissima contraddizione quando considera come dovere di lavoro quello di incrementare spiritualmente la società umana. Il fatto di incrementare spiritualmente la società è spontanea manifestazione della psiche umana, che rifugge in modo assoluto da qualsiasi coercizione di dovere; lo stesso fatto della coercizione impedisce che si possa spontaneamente esercitare questa azione. Cita l’esempio del sacerdote, che spontaneamente assume i voti, fa opera di sacrificio e si prodiga per il bene dell’umanità. La sua spiritualità non deriva da un imperativo categorico, ma da un imperativo della sua coscienza; e quindi non si può snaturare questo principio col far intervenire lo Stato a considerare questa attività spirituale come un lavoro comandato dalla Costituzione, né si possono considerare questi eroi dello spirito come esercenti un lavoro comandato dal consorzio umano.

Per tali ragioni si dichiara contrario alla formula proposta dall’onorevole Moro.

MERLIN UMBERTO dichiara di essere contrario alla formula presentata dall’onorevole Lucifero che, a suo parere, specifica troppo. Ricorda a questo proposito gli ordini religiosi che hanno come fine esclusivo la preghiera, e si domanda perché si voglia proibire a queste creature umane di pregare anche per coloro che non pregano mai. È favorevole alla formula indicata dal Presidente, che nella sua genericità comprende tutti i casi e non fa specificazioni pericolose.

PRESIDENTE dichiara di essere solidale con l’onorevole Moro, dato lo spirito che lo ha mosso a fare la sua proposta. Si preoccupa soltanto del fatto che stabilire la capacità di incrementare o di accrescere il patrimonio spirituale, oltre che economico, della società umana, possa essere interpretato nel senso di accettare preventivamente un controllo da parte di coloro che rappresentano la società, i quali debbono giudicare se una determinata attività sia spiritualmente utile o meno, per cui potrebbe darsi il caso che l’attività del predicatore o dell’insegnante religioso sia ritenuta tale da arricchire il patrimonio spirituale, mentre non sia ugualmente valutata l’opera degli Ordini contemplativi. Al fine di eliminare tale pericolo è stata proposta la soppressione delle parole «socialmente utile».

DOSSETTI distingue due problemi: quello dell’affermazione di principio che il Relatore voleva fare con questo articolo e sul quale sono d’accordo la maggior parte dei colleghi, e quello particolare di trovare una formula la quale non escluda certe attività per le quali in passato si sono riscontrate difficoltà di interpretazione.

Dichiara anzitutto, a proposito del primo problema concernente l’affermazione fondamentale che ciascuno ha il dovere di svolgere un’attività socialmente utile, di non essere completamente d’accordo con le conclusioni a cui è pervenuto il Presidente. L’oratore, se fosse stato presente all’inizio della seduta, avrebbe fatto la proposta di premettere all’articolo in esame un altro articolo di carattere più programmatico, il quale avrebbe dovuto sottolineare questo concetto dell’attività socialmente utile che deve essere il fondamento della nostra struttura economica, sociale e politica.

Osserva che la proposta del Presidente e dell’onorevole Lucifero, che afferma che si deve svolgere un’attività, dice ad un tempo troppo e troppo poco.

Dice troppo, perché, a suo parere, la formula «deve svolgere un’attività conforme, ecc.» può essere suscettibile di quella interpretazione non rettilinea che si vuole evitare. Anche di fronte ad un articolo come quello proposto dall’onorevole Lucifero, è sempre possibile che si riapra il problema, per esempio, se gli ordini contemplativi svolgano o meno un’attività socialmente utile.

Dice poi troppo poco, perché non indica il tenore di questa attività che invece, a suo parere, deve essere indicato.

Quanto alla seconda questione, essa consiste nell’evitare che la formula, comunque escogitata, dia luogo ad esitazioni o a dubbi di interpretazione; occorre, cioè, che essa non lasci la possibilità di escludere da questa attività socialmente utile certe forme di attività che potrebbero essere escluse, o certe funzioni, certi modi di vita che possono rappresentare una utilità sociale di carattere superiore, morale o spirituale. Ricorda a tale proposito le leggi eversive, che sciolsero gli ordini religiosi, esclusi quelli che esplicavano un’attività educativa o di assistenza agli infermi, in quanto si ritenne di individuare solo in questi due tipi di attività un’attività socialmente utile.

Ritiene perciò che debba essere ribadito il concetto di un’utilità sociale, e che debba introdursi un chiarimento tale da consentire di superare ogni dubbio e di escludere qualsiasi possibilità di interpretazione arbitraria.

Dichiara di preferire, per le ragioni esposte, alla formula dell’onorevole Lucifero quella suggerita dall’onorevole Moro, alla quale però proporrebbe di apportare alcuni emendamenti e completamenti, allo scopo di sottolineare meglio la possibilità di esplicare funzioni socialmente utili che non siano interpretabili in misura restrittiva. Così, nella dizione «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione idonea all’incremento del patrimonio», alle parole «all’incremento del patrimonio» sostituirebbe, d’accordo con l’onorevole Togliatti, le altre «allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana», perché tale specificazione darà la possibilità di interpretare la disposizione in modo estensivo, in quanto l’aggiunta del concetto di sviluppo morale o spirituale dà affidamento che nella disposizione rientreranno anche i casi ai quali ha dianzi accennato.

MORO dichiara di accettare l’emendamento dell’onorevole Dossetti.

DOSSETTI aggiunge che, del resto, si potrebbe evitare ogni dubbio con un chiarimento esplicativo da farsi in sede di discussione con una precisazione che potrebbe anche non emergere dal testo della Costituzione, ma essere oggetto di una dichiarazione di opinione da parte dei Commissari; cioè che gli Ordini religiosi che si dedicano ad un’attività spirituale o ad un’attività contemplativa sono suscettibili di essere considerati come esplicanti un’attività socialmente utile. Dichiara che, ove rispetto a questi Ordini si dovesse assumere un atteggiamento negativo, si riserverebbe di riconsiderare la formula generale.

DE VITA fa notare agli onorevoli Dossetti e Moro che non si tratta soltanto dell’attività contemplativa; e ricorda che nella scienza economica, ad esempio, si discute ancora se il lavoro degli impiegati dello Stato sia produttivo o meno, naturalmente sotto il profilo economico. Prospetta quindi l’opportunità di attenersi soltanto al termine «lavoro» senza alcuna specificazione, facendo presente che tale parola ha un significato economico e che è appunto sotto tale significato che questo termine dovrebbe essere considerato.

PRESIDENTE comunica che la formulazione proposta dall’onorevole Moro, dopo le osservazioni dell’onorevole Dossetti, è stata modificata nei seguenti termini: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione idonee allo sviluppo economico, o culturale, o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Comunica inoltre che l’onorevole Mastrojanni, oltre alla primitiva proposta «Il cittadino deve considerare come suo dovere sociale il lavoro», ne ha presentata un’altra in subordine: «Il lavoro è un dovere sociale». Domanda all’onorevole Mastrojanni quale delle due formule desideri che sia posta in votazione.

MASTROJANNI indica la prima.

PRESIDENTE informa infine la Commissione che l’onorevole De Vita ha ritirato la sua proposta, perché ha ritenuto che, dal momento che la questione del diritto rimaneva impregiudicata, era inutile che se ne parlasse fin da questo momento.

Ritiene che debba essere votata per prima la proposta dell’onorevole Mastrojanni che ha, in confronto delle altre, una posizione autonoma.

Per suo conto, dichiara di votare contro, non perché non consideri come dovere sociale il lavoro, ma soltanto perché dubita della idoneità della formula in relazione alla discussione fatta.

LUCIFERO, Relatore, non ritiene di poter accettare la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, perché mantiene tutta l’incertezza di imperativo che non è qualificato, e che quindi non risolve il problema su cui si discute.

DE VITA domanda all’onorevole Mastrojanni se sia favorevole alla fusione della sua formula con quella da lui proposta.

MASTROJANNI accetta.

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formulazione combinata De Vita-Mastrojanni: «Il lavoro nelle sue diverse forme è un dovere sociale».

Dichiara che voterà contro tale proposta.

(La proposta è respinta con 14 voti contrari e 2 favorevoli).

Fa presente che la formula primitiva Togliatti-Lucifero si deve intendere superata, in quanto l’onorevole Lucifero ha presentato un’altra proposta e l’onorevole Togliatti ha aderito alla proposta Moro-Dossetti.

TOGLIATTI, Relatore, conferma che, per facilitare la votazione, si associa alla proposta dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE constata che la proposta Tupini-Lucifero, che sopprime l’espressione «socialmente utile» dalla formula primitiva Togliatti-Lucifero, e lascia l’articolo così formulato: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta», rappresenta un emendamento soppressivo rispetto alla formula primitiva; mentre invece la proposta Moro-Dossetti, che sostituisce al «socialmente utile» la proposizione: «o esplicare una funzione idonea allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana», rappresenta un emendamento aggiuntivo.

BASSO chiede se l’aggettivo «idonea» si riferisce solo alla funzione o anche all’attività.

MORO risponde che si riferisce a tutte e due.

PRESIDENTE pone ai voti l’emendamento soppressivo presentato dagli onorevoli Tupini e Lucifero, e così formulato: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

(L’emendamento soppressivo è respinto con 11 voti contrari e 4 favorevoli).

Pone ai voti l’emendamento sostitutivo Moro-Dossetti:

«Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione, idonee allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

MERLIN UMBERTO dichiara di votare a favore, perché le spiegazioni fornite dall’onorevole Dossetti hanno completamente soddisfatto tutte le sue preoccupazioni. La formula non è felice, ma ad ogni modo l’accetta in mancanza di una migliore.

CARISTIA dichiara di votare a favore della formula, in mancanza di un’altra più precisa.

DOSSETTI dichiara di votare a favore della formula con l’intendimento preciso che, senza voler discendere ad analisi che sono inopportune in un testo costituzionale, siano comprese tra le attività doverose del cittadino anche quelle più spirituali, cioè le religiose e quelle di carattere contemplativo.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di non potere accettare la formula Moro-Dossetti, perché, quando si entra nelle casistiche, queste risultano sempre limitate, e perché ritiene che la formula non sia da testo costituzionale, in quanto non ne vede la pratica realizzazione giuridica (per far sue le parole dell’onorevole Dossetti), oppure ne vede troppa (per far suo il concetto dell’onorevole Caristia).

LA PIRA dichiara che voterà a favore della formula per le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI dichiara di votare contro, perché, pur riconoscendo il diritto al lavoro e pur considerando il lavoro socialmente doveroso, non ritiene che tale dovere possa essere imposto al cittadino, in coerenza con tutto quanto fin qui questa stessa Costituzione ha sancito.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che voterà a favore, in quanto considera la formula interpretativa ed esplicativa della sua originale proposta.

PRESIDENTE dichiara che la ragione che lo portava ad insistere sull’emendamento soppressivo era che l’emendamento esplicativo e aggiuntivo risolvesse meno dell’emendamento soppressivo le preoccupazioni di carattere spirituale e religioso che erano affiorate nella discussione. In mancanza di una formula migliore, voterà in favore della proposta Moro-Dossetti.

MANCINI e CEVOLOTTO dichiarano che voteranno a favore, ma non per le ragioni espresse dall’onorevole Dossetti.

CORSANEGO dichiara che voterà a favore.

DE VITA dichiara che voterà contro, perché ritiene che si siano fatte delle specificazioni eccessive.

(L’emendamento è approvato con 11 voti favorevoli, 4 contrari e 1 astenuto).

La seduta termina alle 18.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Marchesi.

GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Discussione)

Presidente – Lucifero, Relatore – Togliatti, Relatore – Dossetti – Cevolotto – Mastrojanni – De Vita – Mancini – La Pira – Moro.

La seduta comincia alle 11.15.

Discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE prega l’onorevole Lucifero di svolgere la sua relazione sull’argomento affidatogli: «I principî dei rapporti sociali (economici)», sul quale dovrà riferire anche l’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, premette di essersi opposto a che l’argomento dei rapporti sociali ed economici fosse senz’altro avulso dalla competenza della Sottocommissione, come da qualche parte era stato richiesto, e ciò per varie considerazioni.

In primo luogo perché pensa che, effettivamente, la prima Sottocommissione debba deliberare in materia di rapporti e di principî sociali ed economici per fare un’affermazione di principio. Vi sono infatti alcune questioni di principio le quali sono affiorate nelle due relazioni (nella sua ed in quella dell’onorevole Togliatti) che ritiene debbano essere affrontate, perché costituiscono il problema centrale della nostra Costituzione.

Rileva che tra gli articoli proposti da lui e quelli proposti dall’onorevole Togliatti – con il quale non ha potuto avere il desiderato scambio di idee – vi è una differenza sostanziale: nei suoi articoli si «possono» fare quelle cose che secondo gli articoli di Togliatti si «debbono» fare. La sua articolazione, cioè, di origine liberale, ammette molte possibilità e fa sì che queste siano tutte costituzionalmente attuabili.

Dichiara che nelle sue proposte si è fatto guidare da una constatazione di fatto: l’esistenza in Italia di numerosi movimenti politici, ciascuno dei quali ha un suo programma; e si tratta di programmi spesso contrastanti fra loro. La sua preoccupazione fondamentale è stata questa: che la Costituzione desse la possibilità a tutti i movimenti politici democratici, se un giorno diventassero maggioranza, di attuare il loro programma nell’ambito e nella legalità costituzionale, facendo sì che nessun partito democratico debba un giorno essere posto su una posizione anticostituzionale e quindi rivoluzionaria. Questo lo ha costretto a mettere nella sua articolazione anche cose che personalmente non ama, ma che sono care ad altri movimenti democratici, i quali hanno il diritto di realizzare i loro programmi. È giunto perciò ad ammettere anche, come possibilità, la socializzazione.

Gli articoli dell’onorevole Togliatti stabiliscono invece differenti linee direttive, in quanto egli vuole mettere l’economia del Paese su di una strada programmatica ben determinata; cosicché nel leggere gli articoli proposti dall’onorevole Togliatti ha pensato di venirsi egli a trovare, di fronte a questa Costituzione, in una posizione antitetica e in un certo senso rivoluzionaria.

Ritiene perciò che la questione fondamentale che la Commissione deve decidere oggi è questa: se si debbano fare formulazioni programmatiche oppure formulazioni che consentano a tutti i programmi di attuarsi in seno alla Costituzione. Stabilito questo, crede si possa, anche senza entrare nel merito degli articoli, discutere i problemi particolari in seno alla Commissione più ampia.

Limiterebbe quindi, per ora, la sua relazione alla impostazione del problema accennato, riservandosi di intervenire nelle discussioni successive, come Relatore, per sviluppare eventualmente i suoi concetti.

PRESIDENTE, prima di iniziare la discussione, invita l’onorevole Togliatti ad illustrare la sua relazione esponendo il suo pensiero al riguardo.

TOGLIATTI, Relatore, premette che, all’inizio, non escludeva la possibilità di una relazione comune con l’onorevole Lucifero; non la escludeva soprattutto perché dal dibattito sui principî generali che aveva avuto luogo precedentemente gli era parso che tra la concezione sviluppata dall’onorevole Lucifero e la sua il divario fosse soltanto in un punto: sulla possibilità o meno di parlare nella Costituzione delle garanzie di determinati diritti affermati. Poiché tutti si erano trovati d’accordo nell’affermare la necessità di includere nella Costituzione alcuni diritti nuovi di contenuto economico-sociale, cioè il diritto al lavoro, il diritto al riposo, il diritto all’assicurazione sociale, ecc., riteneva che, fatta l’affermazione di questi diritti, fosse però necessario indicare precisamente in qual modo essi verranno garantiti dallo Stato. Su questo punto era apparso un contrasto, nel corso della discussione generale, con l’onorevole Lucifero. La portata di questo contrasto sarebbe apparsa all’esame concreto della questione.

In realtà, dopo aver letto la relazione dell’onorevole Lucifero, ha visto che il divario era assai profondo perché, escludendo la garanzia di questi diritti, si vengono ad escludere i diritti stessi. Quando infatti si dice nel primo articolo proposto dall’onorevole Lucifero che ogni cittadino ha diritto al minimo indispensabile di mezzi di sussistenza, ecc., e poi si aggiunge che a tal fine il cittadino è libero di svolgere un’attività economica nel modo che più gli aggrada, è evidente che la seconda affermazione contraddice pienamente con la prima, e la contraddice in modo tale da renderla una irrisione. Quando si lasciano le persone libere di svolgere quella attività che loro aggrada, cioè si asserisce e sancisce il principio della piena libertà economica, è evidente che non si garantisce ad ogni cittadino, come è detto nel primo comma, il diritto al minimo indispensabile di mezzi di sussistenza. Si garantisce invece la disoccupazione periodica in un Paese industrialmente evoluto, la disoccupazione permanente nelle condizioni attuali dell’Italia.

È evidente che soltanto negando la seconda proposizione, che è la formulazione dell’astratto principio liberale delle Costituzioni del secolo scorso, soltanto affermando il principio dell’intervento dello Stato per regolare l’attività economica, secondo un metodo, un corso differente da quello dell’economia capitalistica liberale pura; soltanto facendo questo passo, si può dare un minimo di garanzia al diritto ai mezzi di sussistenza, al lavoro, al riposo, alla assicurazione sociale.

Ha trovato quindi una contradizione logica di pensiero, tra la prima e la seconda parte dell’articolo, ciò che dovrebbe consigliare, per essere sinceri, a lasciar cadere la prima parte dell’articolo stesso, se si vuole tenere in piedi la seconda.

Questa è la critica fondamentale che deve fare alla proposta Lucifero.

Non intende sviluppare i concetti già esposti nella sua relazione, alla quale rinvia i colleghi. Evidentemente egli non ha potuto fare a meno di partire dai problemi che gli erano posti per sviluppare alcune considerazioni generali che giustificano una determinata posizione politica, che poi è anche una posizione costituzionale; e nella sua relazione vi è un tentativo di giustificare questa politica in modo che sia a tutti chiaro quello che oggi viene proposto dalla sua corrente politica, come indirizzo politico-economico del Paese, da sancirsi nella stessa Carta costituzionale.

A queste ragioni l’onorevole Lucifero obietta: occorre che la Costituzione sia indifferente di fronte a questi problemi; la Costituzione non deve dir nulla, deve lasciar intendere quello che si può fare, ma non deve dire su quale indirizzo debba impegnarsi la nostra politica. È evidente che l’onorevole Lucifero ritorna qui alla concezione liberale. Non può accettare però la sua affermazione, quando egli dice che assumendo una posizione diversa diverrebbe un rivoluzionario: se mai, un controrivoluzionario, perché è evidente che l’indirizzo propugnato dall’oratore rappresenta un progresso nella vita economica e politica della società, e se l’onorevole Lucifero la respinge assume posizione di controrivoluzionario.

Un’obiezione può essere fatta al suo sistema: quella che si vuole introdurre nella Costituzione delle affermazioni le quali non corrispondono ancora ad una realtà. Riconosce che questa è effettivamente un’obiezione seria, in quanto la Costituzione dovrebbe, secondo i migliori principî, registrare ciò che è già stato conquistato, ciò che già esiste nell’ordinamento economico e sociale del Paese. Però l’obiezione cade, se si tiene conto di tutto ciò che è avvenuto in Italia e della situazione attuale. Dobbiamo assicurare un futuro e molte delle affermazioni che si fanno nella nostra Costituzione non corrispondono ancora ad una realtà. È stata introdotta, ad esempio, nei primi articoli, e in modo energico, l’affermazione dei diritti della persona, che sono di una enorme ampiezza, e l’affermazione dello sviluppo integrale della persona, ma non esiste oggi in Italia una garanzia di questi diritti né questi sono ancora realizzati sia pure nel primo gradino, che è quello dell’istruzione, dell’educazione. Facendo dunque queste affermazioni, si è assunto l’impegno di cambiare qualcosa in Italia, e così quando si affermano determinati diritti di libertà, che oggi sono lungi dall’essere stati realizzati, ci si impegna ad una trasformazione di tutto il costume politico italiano nei rapporti fra lo Stato e il cittadino.

Vede quindi nella Costituzione un impegno per realizzazioni future, e ritiene inevitabile che in essa vi siano elementi di previsione, o meglio di programma.

Crede pertanto che l’eventuale obiezione alla sua relazione possa essere superata, perché dal primo giorno in cui si è cominciato a discutere dei problemi più generali, ci si è posti sul terreno di stabilire un determinato indirizzo per avviare la società democratica al raggiungimento di determinati fini.

Per quello che riguarda i singoli articoli concretati, si è sforzato di mettere in essi il minimo possibile di quello che potesse essere un impegno, e ciò allo scopo di non invadere il terreno più propriamente legislativo. Accennando alle formulazioni che si stanno discutendo in altra Sottocommissione, per quanto ad esempio riguarda il diritto di proprietà terriera, osserva che tali formulazioni vanno anche al di là di quello che egli afferma, poiché mentre nelle sue proposte si accenna unicamente a limiti quantitativi, in quelle formulazioni si parla anche in senso qualitativo, ciò che significherebbe il diritto di intervento dello Stato nella diretta attività del coltivatore. Ritiene peraltro che in un articolo introduttivo non si debba andare più in là delle semplici enunciazioni di principio: verranno in seguito i particolari e le affermazioni più direttamente legati a quella che dovrà essere la legge italiana per la riforma agraria.

Rileva che, per il resto, i principî da lui affermati sono particolarmente quelli dell’intervento dello Stato per l’ordinamento dell’attività produttiva, al fine di ottenere il massimo rendimento a vantaggio della collettività, ed inoltre per giungere ad una legislazione sociale che preveda il diritto per tutti i cittadini ad un’assicurazione sociale, la libertà di associazione e determinati limiti al diritto di proprietà.

Osserva che, in questa materia, nelle altre Sottocommissioni, si è adottata, per la proprietà, la stessa divisione: proprietà privata, cooperativa, statale. Egli ha cercato di essere più preciso, perché ha parlato di mezzi di produzione, che è ciò che l’interessa, mentre non l’interessa la proprietà dei beni di consumo, cioè quella che potrebbe chiamare la proprietà personale. In questo campo debbono valere norme diverse.

Lo interessa la proprietà dei mezzi di produzione, perché quando essa ecceda determinati limiti e quantitativi, quando diventi ingente per la sua mole, oppure monopolistica, minaccia da un lato le uguali condizioni di esistenza dei cittadini e quindi quel minimo indispensabile di mezzi di sussistenza che il collega Lucifero invano vorrebbe garantire con la pura e semplice libertà e dall’altro minaccia, come l’esperienza fascista ha dimostrato, la libertà dei cittadini e quella dello Stato stesso.

Qui si collega l’altro problema cui ha accennato nella sua relazione, il problema delle garanzie contro il ritorno della tirannide, contro il ritorno sopraffattore degli elementi più avidi della società capitalistica, perché se si lascerà ad essi libero giuoco, arriveranno inevitabilmente ad avere nelle loro mani una massa tale di mezzi economici per cui domineranno di nuovo la vita del Paese. Questa è una esperienza ormai universale, ed è per questo che dappertutto oggi si prendono misure di nazionalizzazione, le quali, se hanno da un lato un valore economico, ne hanno dall’altro uno politico, e rappresentano la strada per cui i popoli cercano di orientarsi verso nuove finalità evitando quelle situazioni che sfociano nelle guerre di sterminio a cui si è assistito e che potrebbero di nuovo verificarsi domani.

LUCIFERO, Relatore, intende chiarire le sue intenzioni. Non vede una contraddizione fra le prime due frasi dell’articolo 1 da lui proposto, perché in esse egli ha voluto fare innanzitutto un’affermazione dei diritto del cittadino. Il cittadino ha il diritto di avere quel minimo di mezzi di sussistenza che gli assicurino una vita degna dell’uomo. Da questo concetto egli è disceso alla prima conclusione; poiché il mezzo normale con il quale il cittadino si procura le possibilità di sussistenza è evidentemente il lavoro, ha voluto stabilire un principio cui tiene molto, quello cioè della libertà di scelta del lavoro. Il cittadino non può essere obbligato a compiere un determinato lavoro, se ha la possibilità di compierne un altro che gli piace di più. Il fatto che il cittadino sia libero di svolgere un’attività economica di sua scelta, ha per lui molta importanza.

Fa rilevare, poi, che egli ha parlato di «attività economica» e non più genericamente di lavoro, in quanto vi sono moltissimi lavori, quali quello dello studioso e del filosofo, che non costituiscono attività economiche, mentre solo a queste ultime gli articoli attuali della Costituzione dovrebbero riferirsi. Ha voluto, insomma, riferirsi semplicemente alla scelta del lavoro, scelta che lo Stato deve garantire.

TOGLIATTI, Relatore, chiede all’onorevole Lucifero perché allora abbia usato la dizione: «a tal fine egli è libero», ecc. Ciò infatti vuol dire che, secondo lui, l’assoluta libertà economica è il mezzo necessario e sufficiente per garantire a tutti i mezzi di sussistenza, e questo è un assurdo.

LUCIFERO, Relatore, risponde di aver seguito un concetto consequenziale. Affermato il principio del diritto ad un minimo indispensabile per l’esistenza, il primo mezzo, con il quale l’uomo arriva ad una esistenza decorosa, è evidentemente il lavoro.

PRESIDENTE osserva che l’onorevole Lucifero voleva forse dire: «a tal fine deve svolgere attività economica, libero nella scelta di essa». Questo accosterebbe il suo pensiero a quello dell’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di essere molto perplesso sulla dizione «deve svolgere», non perché non sia d’accordo su questo dovere, ma perché pensa all’eventualità che un individuo possa anche giungere ad imporsi delle gravi restrizioni pur di essere libero di svolgere studi, ricerche od attività che non siano precisamente redditizie. D’altra parte, osserva che nel successivo articolo 2 proposto, è elencata tutta una serie di provvidenze obbligatorie nella legislazione sociale democratica, relative alla protezione del lavoro e del lavoratore. Il disoccupato involontario – e qui risponde all’onorevole Togliatti – deve trovare dallo Stato i mezzi per poter vivere decorosamente. Non vede quindi la contraddizione, che si è voluta trovare nelle proposizioni del suo primo articolo, mentre rileva che il concetto del coordinamento del lavoro è affermato nelle ultime parole dell’articolo 5 da lui proposto.

Dichiara di preoccuparsi della posizione programmatica di cui parla l’onorevole Togliatti, perché oggi la parola democrazia si è frazionata: tutti sono democratici, con vari aggettivi, i quali specificano le varie concezioni di democrazia. Ora egli pensa che in uno Stato democratico tutte le concezioni democratiche abbiano diritto di vita. Se si accettasse una concezione programmatica secondo una determinata concezione di democrazia o un determinato raggruppamento di concezioni di democrazia, che esclude altre concezioni diverse, si creerebbe, a suo avviso, uno Stato che non è democratico.

Secondo l’onorevole Togliatti, la sua concezione può essere retriva, secondo altri può sembrare retriva quella dell’onorevole Togliatti. Ognuno crede di dire una parola di verità e probabilmente ognuno non porta in sé che una parte di verità.

Insiste sul concetto che la Costituzione debba dare diritto di cittadinanza nello Stato democratico italiano a qualunque corrente democratica, perché altrimenti questo Stato non sarebbe più democratico.

Con l’articolo proposto, tanto egli conservatore (non ha paura di dire questa parola), quanto l’onorevole Togliatti, estremamente progressista, possono, nella piena legalità, svolgere la propria attività, la propria propaganda politica, cercando di realizzare quelle provvidenze che corrispondono alle loro concezioni ed ai loro programmi. Se invece si inserisse nella Costituzione un articolo quale quello proposto dall’onorevole Togliatti, che fa della pianificazione un atto costituzionale, chi, come l’oratore, è contrario ad una politica pianificata e crede alla pianificazione solo in determinati settori o in determinate circostanza, se domani avesse la maggioranza nel Paese, dovrebbe prima di tutto modificare la Costituzione. Di qui la necessità che, nell’ambito della Costituzione, tutte le concezioni di democrazia possano, in piena legalità, avere libera voce.

DOSSETTI ha ascoltato con molta attenzione l’esposizione degli onorevoli Lucifero e Togliatti e deve dichiarare che mentre crede di avere capito che cosa ha voluto dire l’onorevole Togliatti, invece gli risulta oscuro, anche dopo i chiarimenti che l’onorevole Lucifero ha aggiunto alla sua relazione, il pensiero di quest’ultimo.

Dichiara di poter condividere in gran parte l’impostazione che l’onorevole Togliatti ha voluto fissare. Ritiene infatti che un controllo sociale della vita economica, da realizzarsi attraverso certe strutture che dovranno essere più analiticamente esaminate, sia una necessità assoluta alla quale non ci si possa in alcuna maniera sottrarre, una necessità imposta dalla vita.

Crede indispensabile, al fine di temperare e ridurre gli egoismi, l’affermazione di questa direttiva fondamentale che, naturalmente, dovrà concretarsi in una serie di istituti che rappresentino determinate configurazioni del diritto di proprietà, della organizzazione aziendale e della stessa funzione degli organi statali in ordine all’attività economica: tutti punti questi che dovranno essere singolarmente esaminati. Ritiene comunque che le preoccupazioni e le diffidenze che possono determinare l’onorevole Lucifero ed anche altri componenti della Sottocommissione a resistere ad alcune delle impostazioni espresse dall’onorevole Togliatti (e che l’oratore in gran parte condivide) risulteranno infondate quando si affermi che la direttiva fondamentale di un controllo della vita economica tale che orienti la vita economica stessa a vantaggio della collettività ed a garanzia della espansione di tutti i suoi componenti, deve esplicarsi con l’osservanza di alcune condizioni fondamentali. E la prima condizione è quella della libertà politica, cioè di una democrazia politica, la quale nel contempo assicuri la possibilità di effettuare il controllo sociale sulla vita economica.

Se, come pare intenzione comune, con la Costituzione si cercherà di stabilire la base di una effettiva democrazia politica, il controllo sociale sulla vita economica che si verrà eventualmente ad introdurre non incrinerà la possibilità di vita economica del Paese, anzi la renderà effettiva in tutte le direzioni e in tutti i sensi, dando così la garanzia che non vi possano essere deviazioni.

Altra condizione, che ritiene fondamentale, è quella di un riconoscimento, e quindi di una garanzia costituzionale, di un minimo di proprietà che giustamente l’onorevole Togliatti ha voluto qualificare, più che proprietà privata, proprietà personale. Accetta in pieno questa impostazione, salvo a discutere come essa possa estrinsecarsi ed in quale misura i mezzi di produzione possano esser fatti rientrare in una proprietà personale.

Per ora, vuol ripetere l’affermazione che un controllo sociale della vita economica che si ispiri a queste tre garanzie essenziali: effettiva democrazia politica, che consenta la più larga possibilità di critica nei confronti del modo con cui il controllo economico viene esercitato; garanzia di un minimo di proprietà personale come risultato del lavoro e del risparmio di ciascuno; articolazione, infine, dei diversi organi in cui il controllo sociale della vita economica si verrà a realizzare, in maniera che non si abbia un accentramento esclusivo e sopraffattore nelle mani dello Stato; un controllo siffatto non solo non è dal suo partito temuto come motivo di sopraffazione o di limitazione della libertà personale, ma anzi è auspicato come l’unica possibilità per dare alle libertà, espresse in termini generici ed in termini giuridici, un contributo effettivo e concreto.

CEVOLOTTO ritiene che l’impostazione data dall’onorevole Togliatti al suo primo articolo non debba suscitare obiezioni da parte di alcuno. Quando egli dice che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività socialmente utile, dice cosa sulla quale tutti debbono essere d’accordo. Chi è senza lavoro, non per sua colpa, è assistito dallo Stato. Anche questo è giustissimo.

Osserva però che quando il Relatore, nel primo capoverso del suo articolo, vuol dire come lo Stato garantirà al cittadino questo diritto al lavoro, usa una formula che introduce un altro concetto sul quale bisogna bene meditare. Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini – si dichiara nell’articolo – lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività. Quindi, intervento dello Stato nella produzione, intervento cui si arriva attraverso la garanzia del diritto al lavoro.

Fa presente in proposito che mentre un ritorno in materia economica al liberismo sarebbe una proposizione assolutamente superata, è da domandarsi se una regolamentazione totalitaria dell’attività produttiva, sia veramente utile e scevra di pericoli in una economia come quella italiana. Ricorda che si sono già avuti esempi di questo intervento dello Stato nel dirigere tutta la produzione: intervento che trovò il dissenso immediato anche di economisti socialisti. Denuncia il pericolo che tale intervento non sia nell’interesse della collettività, e cita l’esempio tedesco che era diretto alla guerra ed ha prodotto la guerra. Quanto all’esempio della Russia, interessantissimo, osserva che quel Paese si trova in condizioni particolarissime perché, a parte la sua situazione privilegiata di Nazione che ha tutte le materie prime, la sua pianificazione industriale non è entrata nel giuoco internazionale, cosicché non è possibile asserire se, economicamente, il sistema sia stato utile e vantaggioso.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che il sistema economico russo ha superato la prova suprema, quella della più terribile delle guerre; comunque si è avuto in Russia il massimo dei controlli.

CEVOLOTTO risponde che su questo ultimo punto vi è da discutere. Ad ogni modo dichiara di ritenere che aderendo all’idea dell’intervento dello Stato per regolare in toto la produzione del Paese si arriverebbe ad uno Stato totalitario. Ha perciò da muovere obiezioni fondamentali al primo articolo proposto dall’onorevole Togliatti. Non è in disaccordo con lui quando dichiara che lo Stato deve garantire il diritto al lavoro, ma crede che questa forma di garanzia al diritto del lavoro porti ad un altro problema che non va risolto nel senso enunciato dal Relatore.

Per il resto degli articoli proposti, avrebbe altre osservazioni da fare. A proposito della nazionalizzazione dei servizi pubblici, ad esempio, ritiene che questo sia un fine al quale si possa tendere, ma trova rigida la formula proposta, in considerazione anche dell’andamento degli esperimenti che si fanno in proposito in Inghilterra.

Quanto al comma dell’ultimo articolo, in cui è detto che «lo Stato protegge e difende il piccolo e medio proprietario ed interviene per facilitare il benessere e accrescere la prosperità dell’azienda agricola del coltivatore diretto», osserva che il fanatismo che ora viene messo in essere per la piccola proprietà, che porta poi al frazionamento per la necessaria suddivisione della piccola proprietà terriera, non è utile – a suo avviso – al progresso dell’agricoltura, in quanto impedisce una coltivazione condotta con mezzi moderni, ed una industrializzazione dell’agricoltura che sono possibili solo nelle grandi e medie estensioni di terreno.

TOGLIATTI, Relatore, domanda come si spieghi, allora, che in alcune delle regioni più caratteristiche della cultura agricola italiana, il rendimento delle grandi aziende è inferiore al rendimento delle piccole o medie.

CEVOLOTTO replica che ciò non è esatto, e che nel Veneto, ad esempio, l’agricoltura progredisce dove è possibile l’impiego di macchine ed una organizzazione. Si dichiara perciò favorevole ad una industria agricola associata, in forma cooperativa o simile.

Denuncia i pericoli dell’eccessivo spezzettamento della proprietà, non solo perché contrasta con l’idea socialista e favorisce la creazione di un complesso di piccoli proprietari conservatori e retrivi, ma anche perché può rappresentare un pericolo per il progresso sociale.

MASTROJANNI osserva che nella discussione che si è fatta è affiorata una duplice preoccupazione: garantire ai meno abbienti il diritto ad una vita dignitosa; evitare che la ricchezza, accumulandosi nelle mani di pochi, possa portare a conseguenze funeste anche di carattere politico.

Per ovviare al primo inconveniente, ci si orienta sul fatto del controllo dell’economia nazionale, perché in tal modo si assicurano i mezzi anche a coloro che non li hanno per una coesistenza civile. In linea di massima, pensa che tutti siano d’accordo sulla prima parte, nel senso che debba esistere una umana solidarietà per venire incontro ai meno abbienti. Per la seconda, gli sembra che non vi siano dei contrasti irraggiungibili sulla necessità che lo Stato, in qualche modo, intervenga per evitare abusi e per regolare il sistema economico nazionale.

Non può essere d’accordo, però, sulla specificazione dei metodi; e riferendosi ai vari articoli proposti, rileva che è stata attuata una regolamentazione organica e completa, tale da impegnare addirittura il legislatore a promulgare nuove leggi, mentre la Costituzione dovrebbe attenersi alle sole questioni generali, di principio.

Pensa che l’affermazione contemporanea del diritto e del dovere al lavoro sia indiscutibile; pensa che il diritto a tutte le previdenze che esistono debba permanere; pensa però che si debba andare cauti nell’anticipare radicali trasformazioni agli attuali ordinamenti in ordine alla iniziativa privata, evitando di peggiorare la situazione.

Irreggimentare in modo organico e categorico tutto il consorzio umano, attraverso una disciplina che investe le libertà, le economie e persino il pensiero e l’attività individuale, allo scopo di giungere ad un’equa ripartizione dei beni che la terra può offrire, gli sembra pericoloso ed inutile, in quanto non si deve dimenticare che il Paese va anche considerato nella sua configurazione geografica, etnica e politica e secondo la sua produttività, nonché secondo la civiltà e l’orientamento del suo popolo. Esperimenti di questo genere furono già fatti in tempi recenti e si è visto come sono disastrosamente falliti.

Non vorrebbe che, per scopi demagogici e sentimentali, si creasse ora una situazione che è solamente teorica, ma praticamente inattuabile.

Ritiene che quanto ha affermato l’onorevole Dossetti debba avere il collaudo di una esperienza pratica: bisogna evitare di affezionarsi a seducenti dottrine che poi rimangano inattuabili. È perfettamente d’accordo sulla necessità di venire incontro alle categorie non abbienti e di garantire a tutti il lavoro e quindi un minimo di esistenza; egli è però della opinione che non bisogna contrastare quelli che sono i beni concessi da Dio stesso all’uomo, nel senso che l’uomo non debba essere livellato sotto il rullo compressore, alla stregua di qualunque altro; l’uomo deve essere lasciato libero di esplicare un’attività secondo la propria intelligenza e di esercitate le proprie iniziative senza vincoli e senza preoccupazioni di vedersi tolto dalla comunità sociale quanto in misura più vasta riesce a produrre ed a creare.

Queste le considerazioni di ordine logico che crede debbano essere tenute presenti, tanto più in quanto lo Stato può intervenire egualmente ad incidere sul cumulo delle ricchezze.

Si tratta di una questione di sistema e di conoscenza della psicologia umana: nello Stato italiano vanno attuati principî e sistemi che perseguano fini sociali, che non debbono urtare la suscettibilità dei singoli.

Conclude esprimendo l’avviso che, dopo questo scambio generale di vedute, si lasci alla terza Sottocommissione la formulazione degli articoli che riguardano questa materia.

DE VITA ritiene che tanto l’onorevole Lucifero quanto l’onorevole Togliatti abbiano tenuto presente il benessere sociale e non soltanto il benessere economico.

Rileva che il benessere sociale è qualcosa di più di quello economico, e contiene anche elementi non economici, ed aumentando il benessere economico non è detto che debba necessariamente aumentare anche il benessere sociale. Così, per esempio, la posizione del lavoratore nei confronti delle imprese rappresenta certamente un fattore non economico di fondamentale importanza; così, l’ingiustizia distributiva può senza dubbio annullare il maggior benessere economico derivante dall’aumento di produzione.

Osserva che le esigenze prospettate dall’onorevole Togliatti sono senza dubbio apprezzabilissime, ma fa presente la necessità di dimostrare due cose: primo, che la disciplina statale della produzione aumenta il benessere economico; secondo, che l’eventuale aumento del benessere economico determinato da questa disciplina non determina diminuzione di quel benessere sociale a cui dobbiamo tendere come fine ultimo.

Chiede ai Relatori di voler rispondere alle domande che sono implicite nelle sue considerazioni di ordine generale.

MANCINI dichiara di aderire perfettamente al pensiero così limpidamente espresso dall’onorevole Togliatti, per le seguenti ragioni:

1°) perché ritiene necessario dare al regime democratico un contenuto, altrimenti si cadrebbe in quella nebulosa democratica condannata con aspre parole dall’onorevole Lucifero;

2°) perché la democrazia si è impegnata ad una trasformazione della vita politica del Paese, e quindi non può non impegnarsi ad una trasformazione della vita economica, dato che dal progresso economico soltanto deriva il progresso politico;

3°) perché una Costituzione non può segnare le colonne d’Ercole al progressivo divenire democratico, ma deve assicurare anche un futuro;

4°) perché il controllo sociale sulla vita economica si risolve sempre a favore della collettività, a favore di quelle esigenze della solidarietà sociale, e di quel perfezionamento sociale economico e culturale dell’individuo, affermato nei due articoli discussi nella precedente seduta.

TOGLIATTI, Relatore, osserva all’onorevole De Vita che alle domande da lui poste risponde quanto è scritto nella relazione. Tutti capiscono la realtà della vita economica di oggi; tutti hanno visto come si sia sviluppata la vita economica nell’Europa capitalista, dove si è assistito a forme di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e come ne siano derivati sconvolgimenti sociali, la miseria, la guerra, il fascismo, la tirannide, che ha soppresso la libertà democratica. È a questo che si cerca di porre riparo. Il problema non può risolversi con teoremi economici; ma è un problema di realtà politica e sociale che ha cominciato e continua a svilupparsi sotto gli occhi della presente generazione e ad esso le classi lavoratrici cercano di trovare una soluzione.

Naturalmente chi non condivide le opinioni politiche e sociali da lui affermate non può ammettere l’esattezza del suo ragionamento.

Desidera però prendere posizione circa la proposta fatta dall’onorevole Mastrojanni, di rinvio della materia all’esame della terza Sottocommissione. La sua opposizione è dovuta non a spirito di concorrenza fra le diverse Sottocommissioni, ma alla valutazione del compito assegnato alla prima Sottocommissione. Questo compito è di formulare quelli che si ritiene dovranno essere nella Repubblica democratica italiana i diritti fondamentali del cittadino. Ed egli sostiene che se la Sottocommissione si limitasse ad una semplice formulazione dei diritti politici commetterebbe un profondo errore. La proposta di rinvio non attuerebbe una più razionale divisione di compiti, ma muterebbe completamente il carattere politico del lavoro finora compiuto dalla prima Sottocommissione, ponendone tutti i risultati su basi diverse.

Altri potrà coordinare quello che è stato fatto dalle varie Sottocommissioni; ma egli tiene a poter affermare, quando gli sarà chiesto il risultato del lavoro svolto per i diritti del cittadino, quali sono i diritti che si intende sancire nella Costituzione, quando, come è inevitabile, si riuscirà ad accordarsi sulla loro formulazione.

Per quanto poi si riferisce alle affermazioni del collega Dossetti, dichiara di essere d’accordo con lui sostanzialmente.

MASTROJANNI osserva che egli non intendeva devolvere completamente questa parte sostanziale alla terza Sottocommissione, ma riteneva che ad essa spettasse la parte tecnica costruttiva. È d’avviso che, una volta affermati i principî, il compito della prima Sottocommissione potrebbe considerarci esaurito e si dovrebbe lasciare ad altri il compito di entrare nei dettagli di attuazione.

LUCIFERO, Relatore, osserva che l’onorevole De Vita ha sollevato una questione molto più grave di quel che possa sembrare. Egli ha fatto una distinzione giustissima tra benessere sociale e benessere economico. Il benessere sociale scaturisce indubbiamente anche dal fattore economico, ma è soprattutto un fatto dello spirito e perciò non può derivare esclusivamente da un fatto della materia.

E se le sue preoccupazioni, attraverso questa discussione, si sono consolidate e moltiplicate, è proprio perché vede in quello che si dice una mortificazione della libertà individuale che si estende al di là di ogni limite immaginabile.

Afferma che il benessere sociale si può raggiungere soltanto con un’opera complessa e lunga, che non è data soltanto dalla Carta costituzionale; si costruisce su una piattaforma economica e attraverso la libertà e l’educazione alla libertà. Quindi è essenzialmente un problema educativo innestato su un problema economico.

Ecco perché egli è addirittura – gli si permetta il termine – spaventato di quanto ha detto l’onorevole Dossetti, che è andato molto più in là delle premesse dell’onorevole Togliatti, prospettando la macchina di un totalitarismo economico che – a suo avviso – non può disgiungersi dal totalitarismo politico.

È perfettamente convinto che l’onorevole Dossetti è mosso da intendimenti e pensieri ben diversi, ma la sua teorica è la teorica dello Stato corporativo. Non vede infatti come si possa parlare di libertà politica quando c’è una soggezione economica totale: i due termini sono talmente in contrasto che non è possibile ammetterli, a meno che non si accetti la famosa scusa dei fascisti i quali dicevano di avere in seno la loro opposizione. Una delle crisi della nostra democrazia è che certi conflitti si svolgono in seno ai partiti invece di svolgersi in seno al Paese.

Si ribella all’affermazione di voler dare un determinato contenuto alla democrazia, perché la democrazia non può averlo. Quando alla democrazia si vuol dare un determinato contenuto che escluda nel modo più assoluto la possibilità che altri contenuti democratici possano in essa realizzarsi, si uccide la democrazia.

Insiste quindi nel suo concetto originario, che cioè si deve fare uno statuto che non sia una macchina che arrivi fino a conseguenze che non servono se non a distruggere la vita di un individuo libero in una democrazia libera.

LA PIRA rileva che, data l’attuale situazione di fatto, nella quale esistono larghe crisi periodiche di disoccupazione mentre non è attuata una effettiva e consapevole partecipazione della massa lavoratrice al meccanismo produttivo, sorge il problema: l’ordinamento economico liberale che ha creato questi due fatti, ha una virtù interna tale da poterli superare? La risposta non può essere che negativa. Di qui la domanda: qual è lo strumento economico nuovo, e quindi la nuova struttura economica capace di superare questi due fatti? Respinto l’ordinamento liberale, occorre creare una struttura economica nuova, la quale realizzi quella dignità della persona umana sulla quale tutti sono d’accordo.

Non può quindi accedere alla tesi Lucifero, ma si muove nella direzione indicata dall’onorevole Togliatti, nel senso cioè di creare questo strumento nuovo che permetta di realizzare una dignità effettiva e non astratta della persona umana.

LUCIFERO, Relatore, afferma che tutti sono d’accordo sulla necessità di stabilire in concreto questa dignità umana. Il contrasto sta nel metodo per risolvere il problema. Ed egli, senza affermare superbamente di essere in possesso del metodo sicuro, ritiene più modestamente che molti metodi diversi potrebbero avviare alla soluzione il problema e quindi vuole lasciare a tutti la porta aperta.

Quanto all’affermazione dell’onorevole La Pira circa l’economia liberale, tiene subito a fare una distinzione fra vecchio e nuovo liberalismo, rilevando che quest’ultimo accetta le concezioni di nazionalizzazione, di controllo e di coordinamento dello Stato che non appartengono certo al vecchio liberalismo.

LA PIRA osserva che accetta molti degli articoli proposti dall’onorevole Lucifero, dal quale però si differenzia nel principio ispiratore.

Quanto all’accenno fatto dall’onorevole Lucifero ad una pretesa teorica corporativistica dell’onorevole Dossetti, dichiara che il suo partito concepisce il lavoro sempre associato, proprio come una comunità di lavoro, in cui tutti i lavoratori sono dei collaboratori; concepisce il lavoratore come un coordinatore, come un corresponsabile, un soggetto e non un oggetto dell’economia. E quando l’onorevole Lucifero stesso afferma che il lavoratore è un soggetto dell’economia, viene, in radice, a trasformare l’ordinamento liberale.

MANCINI rileva che il pensiero dell’onorevole Lucifero, attraverso un’abbondanza di parole, non risulta preciso. Egli, mentre critica il metodo proposto dall’onorevole Togliatti, non indica il suo; e ciò dimostra la bontà del metodo criticato.

L’onorevole Lucifero afferma poi che tutto il progresso sociale dipende dall’esercizio delle libertà. L’oratore pensa, al contrario, che non può esservi un perfetto esercizio di libertà senza una possibilità economica che modifichi la vita economica della collettività. Il giovinetto, figlio del popolo, che non può istruirsi ed educarsi, a parità di merito con il ricco, non progredisce, né perfeziona la sua personalità, non interviene nel progresso sociale. La libertà che gli si concede è una libertà di ignoranza, completamente inutile, anzi nociva.

Conclude affermando che, se si vuole davvero rispettare e garantire l’esercizio della libertà, si deve assolutamente modificare il congegno economico della vita sociale.

MASTROJANNI osserva che, mentre socialisti, comunisti, democristiani, tendono ad una realizzazione quasi immediata del loro programma attraverso una coercizione che dallo Stato si riflette sui cittadini, egli ritiene invece che si debbano realizzare i fini economici, di solidarietà sociale attraverso i sistemi liberali, cioè senza la coercizione e l’onnipotenza dello Stato.

All’onorevole La Pira, che ha accennato quale obiettivo principale quello della dignità umana, risponde che l’aspirazione che questa dignità umana assurga alla sua potenza e al suo sviluppo completo, è anche la sua aspirazione; ma egli, per dignità umana, non intende solamente quella che si riflette nei confronti del meno abbiente, ma quella che si riflette su tutti gli uomini, abbienti e non abbienti. Si coarta la dignità dell’abbiente quando lo si aggredisce con leggi che contrastano quello che è il suo patrimonio, che può essere stato accumulato con la sua intelligenza. E questa non è giustizia.

Fa poi osservare all’onorevole La Pira che non è assolutamente vero che il concetto liberistico non abbia esaurito nessuno dei presupposti sui quali si intende formulare la nuova Costituzione; e ricorda che la prima legge la quale sia intervenuta in favore degli impiegati privati è precisamente quella del 1919, formulata da Vittorio Emanuele Orlando, cioè quando si era ancora in pieno regime liberale. Oggi vi sono la legge sulla invalidità e vecchiaia, quella sulla disoccupazione e tutte le provvidenze sociali, sia pure in modo embrionale ed imperfetto, e tutte queste non sono la creazione di nuove concezioni, ma il patrimonio di una evoluzione che progressivamente si è affermata. Qui, ora, ben poco si porta di nuovo: si porta un esperimento che potrebbe essere catastrofico, perché si intende aggredire la ricchezza accumulata, in quanto si ritiene che essa costituisca il risultato di una precorsa attività peccaminosa e non sia prodigata – come deve – nell’interesse sociale. In altri termini, si vuole tarpare l’iniziativa privata: errore gravissimo, perché con questo si attribuisce allo Stato quella onnipotenza della quale si è dimostrato non solo immeritevole, ma anche incapace.

Dall’esperienza di questo triennio successivo alla liberazione, ha tratto la convinzione che il Governo è riuscito a realizzare ben poco, perché i problemi sociali non possono essere affrontati con delle soluzioni rivoluzionarie, attraverso una irreggimentazione nello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole De Vita ha chiesto la chiusura della discussione generale.

Dà la parola all’onorevole Togliatti per una mozione d’ordine.

TOGLIATTI, Relatore, constata che nel corso della discussione si sono delineate due concezioni: una espressa dall’onorevole Lucifero, l’altra espressa da lui, dall’onorevole Dossetti e dall’onorevole La Pira. Fa presente la necessità di stabilire da quale parte sia la maggioranza, per passare poi alla definitiva formulazione degli articoli.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di chiusura della discussione generale, riservando la parola ai commissari che l’hanno richiesta in precedenza.

(È approvata).

LUCIFERO, Relatore, precisa di essere d’accordo su molte provvidenze e molte riforme che ha accolto anche nei suoi articoli. È contrario però ad una generalizzazione assoluta.

DOSSETTI fa presente all’onorevole Lucifero che allorché egli parla di totalitarismo esprime una sua convinzione personale, che non corrisponde alla realtà dei fatti, in quanto l’orientamento del partito democristiano, ad esempio, non è certo rivolto a costruire un Moloch di Stato.

Respinge l’affermazione che egli ed i suoi amici vogliano imporre la loro via come la unica possibile. Il dilemma che si pone ha due sole alternative, per cui se si sopprime una via non resta che l’altra, e cioè che la vita economica si debba svolgere spontaneamente, ritornando al sistema fondamentale dell’ottimismo liberale. Ora, l’esperienza storica insegna che il lasciare libero giuoco alle forze naturali ed economiche porta ad una sopraffazione; quindi non bisogna accettare, ma si deve respingere la soluzione ottimistica del libero e spontaneo giuoco delle forze economiche.

MORO osserva che è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta. Esprime la certezza che da questo controllo economico, nello Stato democratico, non nascerà un totalitarismo economico o politico. Lo stato fascista non era uno Stato democratico, era anche nelle sue forme di controllo uno Stato delle classi capitalistiche, le quali non tutelavano gli interessi della collettività, ma tutelavano gli interessi della classe che rappresentavano.

Non è possibile permettere che gli egoismi si affermino, ma è necessario porre la barriera dell’interesse collettivo come un orientamento e un controllo di carattere giuridico. Ed è nell’ambito di questo controllo che lo Stato permetterà alle iniziative individuali, finché rientrino nell’ordinamento generale, di svolgersi liberamente. E queste iniziative individuali sono consacrate con il riconoscimento della proprietà personale.

PRESIDENTE constata che vi è nella Sottocommissione l’accordo unanime che si debba comunque dare una concretezza, un contenuto sociale, ai diritti di libertà politiche stabiliti nelle precedenti discussioni.

Sul modo di raggiungere tale scopo si sono manifestate divergenze assai profonde. Di questo dovranno tener conto i Relatori nella presentazione degli articoli che da domani cominceranno ad essere sottoposti all’esame della Sottocommissione.

Un altro punto fondamentale acquisito è che la Sottocommissione stessa si ritiene competente a dire la sua parola in ordine ai principî fondamentali che regolano i diritti sociali della libertà, tenendo peraltro presenti gli articoli che hanno formato oggetto di discussione da parte della terza Sottocommissione.

Propone che i colleghi Dossetti, Togliatti e Lucifero studino insieme un’elaborazione degli articoli da presentare domani alla discussione.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lombardi Giovanni e Marchesi.

MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

17.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Lucifero – Cevolotto – Mastrojanni – Moro – Mancini – De Vita – Togliatti – Dossetti – Merlin Umberto – Caristia – Corsanego.

La seduta comincia alle 17.5.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE in relazione alle conclusioni della seduta precedente, prega i Relatori di volere dare atto alla Sottocommissione del risultato del loro lavoro.

BASSO, Relatore, informa che il lavoro si concreta in tre articoli su cui i Relatori si apprestano a riferire alla Sottocommissione.

PRESIDENTE prega l’onorevole La Pira di voler riferire intanto sull’accordo relativo all’articolo che riguarda l’autonomia della persona umana.

LA PIRA, Relatore, informa che i Relatori presentano il seguente testo concordato in cui sono rispecchiate le varie esigenze manifestatesi nella discussione preliminare della seduta precedente:

«Tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione devono essere esercitate per il perfezionamento integrale della persona umana, in armonia con le esigenze della solidarietà sociale ed in modo da permettere l’incremento del regime democratico, mediante la sempre più attiva e cosciente partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica».

PRESIDENTE osserva che, dopo la discussione, gli stessi concetti potranno essere espressi in termini più concisi.

LUCIFERO dichiara di non avere capito il concetto che i Relatori intendono affermare con la loro formula.

BASSO, Relatore, premesso di essere responsabile solo della frase finale della formula, spiega che nella frase iniziale: «Tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione devono essere esercitate per il funzionamento integrale della persona umana», è contenuto il concetto fondamentale dell’articolo, che è quello di superare la concezione negativa della libertà, e di dare con questa formulazione un contenuto positivo alla libertà.

LUCIFERO osserva che ogni articolo di Costituzione dovrà tradursi in pratica, e di questo appunto egli si preoccupa. Si domanda chi deciderà se un determinato esercizio di una determinata libertà corrisponda o no alla «orchestrazione» fissata nell’articolo, e rileva che la disposizione può dire molto o niente, e può prestarsi ad ogni interpretazione da parte di chi ha il potere esecutivo.

CEVOLOTTO osserva che la formula, oltre ad essere ridondante, è anche pericolosa, e dichiara di preferire la formula più chiara e più precisa proposta dall’onorevole Togliatti nella seduta precedente. In essa è detto: «Le libertà devono essere esercitate in modo da permettere l’incremento del regime democratico»; concetto giustissimo che mira ad ammettere una qualche limitazione della libertà, quando di questa libertà si abusi, ad esempio per tornare a forme di neo-fascismo pericolose per la denunzia. È d’avviso però che se si mette una limitazione di questo genere alla libertà, implicitamente si autorizza quel qualunque regime o quella qualunque maggioranza che eventualmente si formasse, e che non fosse democratica, ad adottare formule simili a danno della democrazia. Vede perciò nell’articolo un’affermazione di sopraffazione della maggioranza sulla minoranza, affermazione che potrebbe essere ritorta a danno della maggioranza stessa quando divenisse, a sua volta, minoranza.

Dichiara quindi di non ritenere necessario l’articolo, anche perché la repressione del neo-fascismo può essere attuata in tanti altri modi.

MASTROJANNI dichiara che l’articolo, così come è stato redatto, costituisce l’antitesi della garanzia della libertà, in quanto la forma nasconde diverse insidie.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Mastrojanni che non vi possono essere intenzioni insidiose.

MASTROJANNNI chiarisce che egli parla oggettivamente, non soggettivamente. Ritiene che l’articolo costituisca l’antitesi della libertà, sia nella forma che nella sostanza. Nella forma, perché esordisce col dire che le libertà debbono essere esercitate. Ora, questo imperativo è già un’affermazione che contrasta con l’idea di libertà, che invece si esercita sia attraverso il concetto negativo sia attraverso quello positivo, ma che comunque deve essere una libera e completa esplicazione dell’attività umana. Il concetto al quale ci si sarebbe dovuti attenere è quello che si riferisce al motto latino: «honeste vivere, recte agere, unicuique suum tribuere».

Ora, imporre il perfezionamento integrale della personalità umana significa violare la libertà umana, perché il perfezionamento imposto si presta a qualsiasi significazione ed a qualsiasi azione positiva o negativa che lo Stato voglia comandare ai cittadini.

Ritiene perciò che la formulazione di questo articolo offra la possibilità, a qualsiasi partito che dovesse prevalere in regime democratico, di trasformare la compagine sociale secondo tutte le finalità che, attraverso questa formula, è consentito di perseguire.

Altre considerazioni di carattere particolare si potrebbero fare per ognuna delle affermazioni inserite nell’articolo, che l’oratore pertanto respinge, sia nella sua totalità che nelle singole parti. Dichiara di ritenere contradittorio il voler convogliare l’esercizio delle libertà secondo determinate finalità, e che per tali ragioni meglio sarebbe non fare menzione di questo articolo nella Costituzione.

MORO dichiara di non vedere in questo articolo i pericoli che sono stati riscontrati da altri oratori. Avverte che l’onorevole Dossetti e lui vorrebbero che l’articolo fosse chiarificato.

Comunque ritiene frutto di un equivoco l’aver trasportato su un piano politico la considerazione della solidarietà sociale, quasi che nell’articolo in esame si parli di una unità di carattere politico che debba prevalere sull’unità di carattere personale o individuale. Invece nell’articolo si dicono cose diverse e forse più modeste: si dice, ad esempio, che la libertà garantita in questa Costituzione non è la libertà nel senso dell’arbitrio. L’onorevole Mastrojanni ha affermato che nessun ordinamento giuridico può impegnare la persona a un perfezionamento che essa non creda, per le sue attitudini e inclinazioni, di dover perseguire. È chiaro che i proponenti dell’articolo non vogliono imporre un perfezionamento: essi intendono affermare che la libertà non è uguale all’arbitrio, ma è un’intrinseca finalità morale che si completa sul piano della solidarietà umana. E alla solidarietà umana danno soprattutto un significato positivo, in quanto tutti i diritti sono da loro concepiti non soltanto per il bene del singolo ma anche per il bene comune, che deve essere incrementato e promosso costantemente attraverso l’esercizio della libertà individuale.

Questo articolo non è posto a caso per permettere l’arbitrio dell’esecutivo, come ha mostrato di temere l’onorevole Lucifero, ma è posto come terzo articolo nella Costituzione, subito dopo gli articoli che consacrano i diritti della persona umana e confermano il principio della solidarietà sociale. Esso chiarisce che la libertà in regime democratico è una libertà che mira non a permettere il soddisfacimento dell’arbitrio individuale, ma la pienezza dei valori della persona e la collaborazione positiva dei singoli per la realizzazione del bene comune. Quindi non è libertà di arbitrio, ma soltanto norma orientatrice che dovrà concretarsi nella legislazione.

MANCINI sottolinea la chiarezza e la precisione dell’articolo e dichiara di non condividere le preoccupazioni di coloro che si oppongono a che sia inserito nella Costituzione. Ritiene invece che esso debba risaltare nella nostra Costituzione, altrimenti tutte le libertà di cui si è parlato non avrebbero un contenuto pratico.

La libertà riguardata in se stessa non ha valore, o ha valore semplicemente dal punto di vista teorico. La libertà dal punto di vista politico – e si sta preparando una Costituzione politica – deve avere una precisazione in quanto si finalizza, per usare una parola del professore La Pira. Ora l’oratore ritiene che questo articolo sia necessario, perché stabilisce i fini molto precisi della libertà. In queste finalità non si nascondono e non si possono nascondere insidie, perché la parola è molto chiara e il pensiero di chi ha scritto non può lasciare adito ad alcun sospetto.

Il contenuto dell’articolo è semplicemente il fondamento della democrazia, e di questo fondamento della democrazia si deve assolutamente dare una spiegazione nella Costituzione. Non si può tornare al «neminem laedere» del diritto romano, perché sarebbe concetto assolutamente in contrasto coi nostri tempi. La società romana era basata su un altro asse costituzionale, su altri principî. La società democratica moderna ha ben altre finalità e scopi, che sono precisati in questo articolo, e precisati maggiormente quando si riferiscono a quella che è la base della nostra Costituzione e la speranza del nostro avvenire, la esigenza cioè della solidarietà umana.

Ritiene tuttavia che potrebbero essere modificate alcune espressioni. Per esempio, dove è detto «il perfezionamento integrale» sopprimerebbe la parola «integrale», perché il perfezionamento integrale non si raggiunge mai.

Poi dove si dice «in modo da permettere l’incremento del regime democratico» alla parola «incremento» sostituirebbe la parola «sviluppo». E per ultimo, dove si dice: «la sempre più attiva e cosciente partecipazione», togliere l’aggettivo «cosciente», perché quando la partecipazione è attiva e libera è sempre cosciente.

PRESIDENTE domanda ai Relatori se non ritengano che il contenuto di questo articolo sia pleonastico in confronto del concetto già precisato all’inizio della Costituzione, concetto spiegato con esauriente motivazione nel primo articolo: «La presente Costituzione, al fine di assicurare l’autonomia, la libertà, e la dignità della persona umana e di promuovere ad un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e spirituale, riconosce e garantisce i diritti, ecc.».

Nell’articolo ora proposto, le parole sono diverse, ma il concetto è identico.

Ritiene dunque inutile ripetere, in forma meno idonea, concetti già solennemente affermati nel primo articolo della Costituzione.

DE VITA si dichiara d’accordo col Presidente circa l’opportunità di abbandonare questo articolo, osservando che l’obbligo di esercitare la libertà garantita dalla Costituzione può allargarsi fino al punto da toccare il lato inferiore della personalità umana, e che la partecipazione della cosa pubblica può attuarsi in modi diversi che vanno dalla democrazia diretta sino alle forme del collettivismo.

TOGLIATTI fa presente che, pur essendo vero che nell’articolo in esame vi sono delle analogie col primo articolo della Costituzione, vi è però anche una ispirazione diversa, e vi sono alcune cose più precise che vanno al di là di quanto è detto in quel primo articolo.

Non esclude che, in sede di coordinamento, si possa trovare una formulazione unica dei due concetti. Certo, tutto il lavoro delle Sottocommissioni dovrà poi essere sottoposto alla Commissione plenaria; ma non vede perché l’approvazione del primo articolo debba escludere i concetti che ora si stanno discutendo, perché qui si parla dell’esercizio della libertà garantito dalla Costituzione, idea del tutto specifica e particolare.

Propone pertanto che si cerchi di dare una formulazione definitiva a questo articolo, e che lo si approvi. In seguito, una commissione di redazione vedrà se è possibile inserire concetti del nuovo articolo in quello introduttivo alla Costituzione.

DOSSETTI fa rilevare che lo scopo che si propongono i due articoli – quello introduttivo e quello presentemente in discussione – è fondamentalmente diverso. Nel primo viene fatta una enunciazione generale che rappresenta il fondamento della dichiarazione di diritti contemplati in quella prima parte; nel secondo invece si determinano certi concetti e quindi si determinano le singole libertà. Fa presente che l’articolo in esame fu originariamente concepito da La Pira e da altri, non tanto come un articolo enunciativo di una proposizione categorica, ma come una definizione di libertà in contrasto con quella inspirata ad una visione individualistica.

Ritiene che tutte le considerazioni fatte, indipendentemente dalla tecnica dell’articolo e dalla sua formulazione, coincidano sulla esigenza di un articolo il quale esprima un concetto di libertà diverso dal concetto finora adottato. Può darsi che ancora non si sia riusciti a tradurre pienamente questo pensiero, ma questo concetto va indubbiamente affermato.

MERLIN UMBERTO si dichiara dello stesso parere espresso dal Presidente, che cioè l’articolo in esame ripeta quando è stato affermato nell’articolo 1o già approvato, e che quindi sia meglio ritirarlo.

CARISTIA dichiara di concordare col Presidente sull’inutilità di ripetere concetti già affermati. Fa presente, comunque, la difficoltà di definire il concetto di libertà. Si dice di volerlo finalizzare; ora il concetto di libertà ha avuto sempre uno scopo, un fine. In un primo momento ha avuto un fine polemico, quello di limitare l’attività dello Stato; in un secondo momento si è considerato questo diritto sotto un altro aspetto, cioè sotto l’aspetto sociale. È naturale che adesso si voglia insistere sull’aspetto sociale del diritto di libertà, ma, a questo proposito, ritiene che il primo articolo si esprima sufficientemente.

MANCINI fa presente che l’articolo in esame è diverso da quello già approvato, in quanto nel primo sono affermati principî importantissimi, quale quello della esigenza della solidarietà sociale, che non sono espressi nell’articolo introduttivo.

MORO è d’avviso che la Costituzione non debba essere scheletrica. Essa ha indubbiamente una portata politica tale che non può esprimersi soltanto in formule rigidamente politiche.

Da un raffronto tra l’articolo già approvato e quello ora proposto, rileva che, mentre nel primo si indica una finalità, si riconosce e si garantisce il diritto alle libertà, nel secondo si dice qualche cosa di più, e precisamente che queste libertà così garantite devono essere esercitate per determinate finalità. Nella seconda formula è poi chiarito che la solidarietà sociale non è intesa nel senso di un’armonia da stabilire fra le varie sfere individuali, ma nel senso di un contributo che ciascuno deve dare nell’ambito della vita collettiva per incrementare il complesso dei beni di consumo. C’è quindi qualche elemento nuovo che permette di formulare un altro articolo che integri gli articoli precedenti.

CORSANEGO fa osservare che non è una interpretazione arbitraria quella che trae la finalità sociale dal primo articolo, poiché in esso si parla espressamente della necessaria solidarietà sociale, e si dice che il fine della solidarietà sociale è il fine della presente Costituzione. I due concetti – perfezionamento della personalità umana ed esigenza della solidarietà sociale – sono affermati nel primo articolo, e quindi coloro che trovano una identità fra i due articoli hanno ragione. Ma hanno pure ragione gli altri, quando affermano che l’articolo in esame contiene qualche cosa di più. Indubbiamente contiene due concetti non trascurabili: il concetto per cui la nostra Costituzione deve essere orientata in modo che il popolo a poco a poco partecipi sempre più e sempre meglio alla gestione della cosa pubblica allo scopo di incrementare il regime democratico; e il concetto espresso dalla frase «pertanto ogni libertà è fondamento di responsabilità». Ora, questo concetto dà un nuovo contenuto alla libertà e un contributo moderno, con finalità sociali, alla nostra Costituzione.

Poiché i concetti del perfezionamento della personalità umana e dell’esigenza della solidarietà sociale sono contenuti, quasi con identiche parole, nell’articolo 1° della Costituzione, propone di fare un articolo 1°-bis che contempli il concetto della partecipazione di tutti alla cosa pubblica e quello che ogni libertà è fondamento di responsabilità.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiusura della discussione generale.

(È approvata).

LA PIRA, Relatore, fa presente che nel suo primitivo progetto, dopo i primi tre articoli che corrispondono al 1° e al 2° articolo già approvati, vi era un quarto articolo nel quale dovevano essere indicati quei diritti imprescrittibili e sacri di cui al 1° articolo; poi si passava alla specificazione dei singoli diritti e si cominciava con lo specificare i diritti di libertà. Allora si disse: prima di parlare dei diritti di libertà è necessario un articolo nel quale si indichi l’orientamento della libertà. Ed egli ebbe a dichiarare testualmente nella sua relazione: «Va fatta, anzitutto, una dichiarazione solenne che affermi la tutela per tutti dei diritti di libertà. Ma non può qui mancare una dichiarazione altrettanto solenne dei limiti entro ai quali la libertà, per essere davvero tale, va contenuta. Va affermato cioè solennemente che la libertà importa responsabilità e che essa non può essere orientata che verso il bene; bene personale per ciascuno e bene comune e fraterno di tutti».

Questo era il criterio logico architettonico: prima il fine della Costituzione, poi i diritti con cui questo fine si realizza, poi i diritti di libertà. Ma prima di indicare questi diritti è apparsa utile una dichiarazione relativa all’orientamento dell’esercizio della libertà.

BASSO, Relatore, dichiara che, pure essendo completamente d’accordo sul contenuto dell’articolo, ritiene che esso non debba formare oggetto di un articolo della Costituzione, ma che sia materia di filosofia di diritto.

Per venire incontro al Correlatore onorevole La Pira, ha formulato con lui un nuovo articolo, al quale ha dato una parte di contributo con una frase finale. Deve però dichiarare che, anche così formulato, l’articolo non lo soddisfa.

TOGLIATTI propone che, invece di «permettere l’incremento, ecc.» si dica: «favorire lo sviluppo».

PRESIDENTE propone che, per non ripetere concetti già affermati e non alterare l’articolo già approvato, si faccia un articolo 1-bis contenente il concetto nuovo aggiungendo: «promuove e favorisce l’incremento del regime democratico, ecc.».

DOSSETTI fa rilevare che effettivamente, nel corso della discussione, s’è manifestato un dissenso sostanziale. Dichiara che egli e gli onorevoli La Pira e Moro insistono su questo articolo, perché vogliono affermare un concetto che rappresenta, rispetto ai concetti già affermati, un gradino ulteriore. Il concetto nuovo non è nel richiamo generico al regime democratico, ecc., ma deve apparire evidente quando non ci si arresti alle sole parole, di «personalità umana» o di «solidarietà sociale». Il concetto nuovo sta nella sintesi dell’articolo, nella frase «…debbono essere esercitate». In altre parole, la progressione logica che si è seguita in questi tre articoli è la seguente: anzitutto si dice perché e su quale fondamento la Costituzione deve riconoscere dei diritti, e si considera allora l’aspetto costituzionale sintetico: cioè è la Costituzione che riconosce questi diritti. Nel secondo articolo si stabiliscono dei concetti di passaggio.

Nel terzo si dice: i diritti, così riconosciuti, debbono essere esercitati per questi dati fini.

Ora, questo è un concetto nuovo. Questa affermazione è tanto nuova che ha destato delle reazioni, perché rappresenta una certa limitazione nel concetto di libertà. Il dissenso non è nella sovrabbondanza del terzo articolo rispetto al primo, ma esiste perché nel terzo articolo viene fatta un’affermazione la quale indica un concetto di libertà che non è così astratto da potersi esercitare in ogni direzione. La libertà esiste, ma in tanto lo Stato la deve riconoscere in quanto sia esercitata per un determinato fine.

PRESIDENTE osserva che occorre trovare una formula, la quale consenta di chiarire questo concetto.

MASTROJANNI, a titolo di suggerimento, propone la seguente formula: «Tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione debbono esaudire i diritti individuali e le finalità di solidarietà sociale nella democrazia dello Stato».

PRESIDENTE propone di aggiungere all’articolo 1° un articolò 1-bis, in cui si dichiari che le libertà garantite dalla Costituzione debbono essere esercitate al fine del perfezionamento della persona e della realizzazione delle esigenze della solidarietà sociale.

LA PIRA, Relatore, non ha difficoltà ad accedere alla tesi del Presidente, facendo presente che, in aggiunta all’articolo 1°, si potrebbe mettere questa formula: «L’esercizio delle libertà garantite dalla presente Costituzione deve essere orientato al» (oppure «le libertà devono essere esercitate al fine del») «perfezionamento integrale della persona umana».

TOGLIATTI osserva che si può prendere la formula com’è nell’articolo in esame e introdurla nell’articolo già approvato. Il risultato è lo stesso.

CORSANEGO propone che l’articolo in esame sia approvato con la riserva esplicita e col mandato alla Presidenza di studiarne il coordinamento col primo articolo.

BASSO, Relatore, accetta la proposta Corsanego relativa al coordinamento.

LA PIRA, Relatore, si associa.

CEVOLOTTO fa presente che vi è la sua proposta di sopprimere l’articolo.

MASTROJANNI dichiara che la proposta di demandare alla Presidenza il coordinamento non può essere accettata, perché l’argomento è così scottante che ogni dizione deve essere attentamente vagliata.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Cevolotto di soppressione pura e semplice dell’articolo.

CEVOLOTTO dichiara che voterà per la soppressione dell’articolo. Dopo le dichiarazioni dell’onorevole Dossetti sul modo come l’articolo si è formato e sulle intenzioni da cui egli e gli altri oratori sono stati mossi nel prepararlo, e specialmente considerato che essi hanno voluto finalizzare il diritto di libertà e determinare in che direzione esclusivamente i diritti di libertà possono essere esercitati, creando una libertà che si svolge in una sola direzione obbligatoriamente, ritiene che, ove fosse approvato il concetto contenuto soprattutto nell’affermazione del perfezionamento o dell’incremento del regime democratico, non si avrebbe più una Costituzione democratica. Per esempio, sarebbero lesi i diritti di libertà del partito comunista, che non potrebbe esercitarli per arrivare alle finalità dello Stato comunista.

TOGLIATTI fa osservare che il Partito comunista potrebbe esercitare egualmente i suoi diritti, perché lo Stato comunista è uno Stato democratico.

CEVOLOTTO replica che la maggioranza potrebbe pensarla in modo diverso, e allora, se l’articolo fosse approvato, la libertà dei comunisti potrebbe essere menomata.

TOGLIATTI fa osservare che, se la maggioranza vuole impedire la propaganda comunista, troverà sempre il modo di farlo.

CEVOLOTTO rileva che non si deve dare alla maggioranza un’arma costituzionale.

MASTROJANNI dichiara di votare per la soppressione dell’articolo, perché esso offre tutte le possibilità per la coercizione delle umane libertà che si vogliono convogliare, attraverso schemi rigidi, in doveri che investono persino il patrimonio spirituale e ideologico della persona umana, e si estendono all’obbligo di una partecipazione attiva alla cosa pubblica, obbligando con ciò la persona ad operare in settori nei quali le si nega il diritto di astensione anche parziale.

Non vede come l’incremento del regime democratico possa venire attuato attraverso la costrizione costituzionale e giuridica predisposta, ma ritiene che più sicuramente si persegua attraverso la naturale, graduale e spontanea evoluzione dei tempi e della coscienza individuale e collettiva. Dichiara infine che non si deve trasformare in imperativo categorico quello che deve rappresentare un’aspirazione e un orientamento. In tema di libertà ogni eufemismo è pericoloso e dannoso. Un solo limite devono trovare le libertà: nella morale e nella legge.

DE VITA dichiara che voterà favorevolmente per le ragioni già esposte.

LUCIFERO dichiara che voterà per la soppressione dell’articolo, per i motivi già esposti dagli onorevoli Cevolotto e Mastrojanni.

CARISTIA dichiara che voterà per la soppressione, perché i concetti in esso espressi sono già contenuti nell’articolo 1°.

PRESIDENTE dichiara che, per quanto riguarda la proposta pura e semplice di soppressione, si asterrà dal voto, come conseguenza delle ragioni esposte nel corso della discussione.

(La proposta di soppressione è respinta con 8 voti favorevoli, 6 contrari e 1 astenuto).

Mette ai voti la proposta Corsanego, consistente nell’approvazione di massima dell’articolo, salvo a rinviarlo alla Presidenza per quei fini di coordinamento con l’articolo già approvato, sui quali è stata richiamata l’attenzione della Sottocommissione.

CORSANEGO dichiara che la sua proposta ha un duplice scopo. Anzitutto, votando questo articolo, si afferma che i concetti in esso contenuti sono approvati dalla Sottocommissione, la quale fa con ciò un’affermazione di principio. Viene affermato un nuovo concetto di libertà, veramente in contrasto con coloro che hanno votato per la soppressione dell’articolo. Esiste di fatto in seno alla Sottocommissione un contrasto ideologico, come è risultato dalla votazione.

In secondo luogo, poiché è innegabile che ci sono nell’articolo dei concetti che appaiono ripetuti, e poiché non è supponibile che coloro che leggeranno la Costituzione saranno sempre in grado di poter cogliere le sottigliezze che talvolta vi sono introdotte, occorre demandare alla Presidenza il necessario compito di semplificazione e di coordinamento con l’articolo 1°.

LUCIFERO si dichiara contrario al rinvio alla Presidenza. La Sottocommissione si raduna per mandare delle formulazioni alla Presidenza e non per farle fare ad essa.

CORSANEGO fa osservare all’onorevole Lucifero che la formulazione è stata fatta dalla Sottocommissione e che si tratta di coordinamento.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Lucifero che occorre consentire a chi ha votato per la soppressione, perché riteneva questo articolo superfluo, di votare a favore col sottinteso che la Presidenza debba dargli un coordinamento tale che tenga conto della critica di superfluità alla quale hanno accennato alcuni oratori.

TOGLIATTI dichiara che accetta la proposta Corsanego di rinviare l’articolo per il coordinamento alla Presidenza della Sottocommissione.

LUCIFERO rileva di aver fatto una questione di principio e che non insiste nella sua opposizione.

PRESIDENTE dichiara che voterà a favore dell’insieme dell’articolo, perché concorda con i concetti in esso contenuti anche se insiste nel ritenere superfluo l’articolo stesso in quanto, a suo avviso, gli stessi concetti sono già in gran parte contenuti nel primo articolo già approvato.

MORO fa presente che occorrerebbe chiarire che il coordinamento non può essere nel senso di una soppressione «sic et simpliciter» dell’articolo, nel caso che la Presidenza riconosca che i concetti in esso affermati sono compresi nell’articolo già approvato.

MARLIN UMBERTO dichiara di votare a favore della proposta Corsanego per le stesse ragioni esposte dal Presidente.

CARISTIA si associa all’onorevole Merlin.

(La proposta Corsanego è approvata con 11 voti favorevoli e 4 contrari).

PRESIDENTE fa presente che la formula proposta dai Relatori reca anche la seguente proposizione su cui non si è discusso: «Pertanto ogni libertà è fondamento di responsabilità». La pone in discussione, e domanda ai Relatori perché hanno creduto di mettere la parola «pertanto» di cui si sarebbe potuto fare a meno.

MORO osserva che proprio in quel «pertanto» c’è il senso dell’articolo, cioè il significato di novità dell’articolo stesso. Dopo aver dichiarato che la libertà va orientata, nel senso del perfezionamento della persona, ed armonizzata con l’esigenza della solidarietà sociale, si dà alla libertà questo senso nuovo: la libertà è responsabilità proprio perché chiunque agisce esercitando la sua libertà, risponde di fronte a sé stesso e di fronte agli altri di questi fini sociali e morali per cui la libertà è concessa e garantita.

MERLIN UMBERTO dichiara di non capire la necessità della parola «pertanto» e ne propone la soppressione.

TOGLIATTI prega il Relatore di non insistere su questa formula, non perché egli sia contrario, ma perché la ritiene una di quelle formule non legislative, di carattere filosofico e teorico, che fin da principio ha chiesto non venissero incluse negli articoli della nostra Costituzione.

PRESIDENTE osserva che la formula non fa che rafforzare il concetto di libertà che si è tante volte affermato.

LUCIFERO dichiara d’essere del parere che il capoverso possa rimanere purché si tolga la parola «pertanto».

MANCINI dichiara di non essere favorevole alla formula, perché ogni libertà è anche responsabilità e non intende una libertà senza responsabilità.

LA PIRA, Relatore, fa osservare all’onorevole Mancini che è giusto quanto egli dice, ma che c’è tutta una letteratura ed una concezione secondo la quale la libertà non è responsabilità. La stessa libertà kantiana – l’arbitrio di ciascuno coesistente con l’arbitrio di tutti – non implica una responsabilità. Per esservi una responsabilità è necessario avere una libertà finalizzata.

MANCINI osserva che Kant legava la libertà ad un principio straordinario che è il dovere. Kant non prescindeva dal dovere: libertà e dovere. Quindi non c’è una libertà senza responsabile; poiché il dovere è responsabilità.

MORO dichiara di non comprendere la ragione per la quale l’onorevole Togliatti respinge questa proposizione, e ritiene che sia perfettamente coerente al suo punto di vista, ad una benintesa funzionalità sociale della libertà umana, questo compito che ogni uomo assolve nel mondo. Ammette che sia una formula un poco filosofica, ma gli sembra che essa completi questo articolo e gli dia un senso nuovo.

TOGLIATTI osserva che ogni libertà è fondamento di responsabilità. Più chiara sarebbe la formula che ha udito suggerire dall’onorevole Lucifero, che ogni libertà comporta una responsabilità.

MASTROJANNI fa presente che ci sono delle libertà, come la libertà di coscienza, le quali non hanno una manifestazione esteriore e quindi non comportano una responsabilità.

CARISTIA osserva che tutti i governi democratici poggiano sul concetto di responsabilità. Il fatto di partecipare alla cosa pubblica presuppone un alto senso di responsabilità; quindi il concetto di responsabilità deve essere alla base di qualsiasi governo democratico.

Dichiara di non essere contrario alla formula; ritiene però che essa sia intrinseca nello stesso concetto di democrazia.

TOGLIATTI riconosce che vi sono libertà le quali non comportano una responsabilità giuridica di fronte allo Stato. Per questo motivo l’obiezione dell’onorevole Mastrojanni lo ha confermato nella sua opinione di non accettare questa formula, in quanto che essa implica mia responsabilità per cose che possono risolversi nella coscienza individuale.

DOSSETTI osserva che l’onorevole Togliatti potrà superare la. sua opposizione se considera che, quando i proponenti della formula affermano la responsabilità, non intendono strettamente la responsabilità giuridica, ma vogliono dire che l’esercizio della libertà implica una responsabilità che è giuridica, ma che può anche essere soltanto sociale, inquantoché determina una certa situazione di rapporti nei confronti degli altri.

All’onorevole Mastrojanni fa osservare che la sua obiezione non è giustificata, perché la libertà di coscienza, in quanto è libertà di atteggiamento interiore, è costituzionalmente irrilevante.

DE VITA dichiara di concordare con l’onorevole Togliatti, perché una cosa è la responsabilità giuridica ed un’altra cosa è la responsabilità in senso filosofico.

MORO osserva che nella formula la responsabilità è assunta in due significati: o come responsabilità giuridica in senso stretto, o come autolimite nella espressione di una sensibilità sociale che permette, anche al di fuori di un rigoroso vincolo giuridico, una convivenza sociale fruttuosa e pacifica per tutti.

MANCINI dichiara che voterà contro l’affermazione che ogni libertà è fondamento di responsabilità, perché sancire questo principio nella Costituzione è assai pericoloso, in quanto si dà alla parola «responsabilità» un significato prettamente giuridico e non morale. Invece la libertà porta sempre con sé la libertà morale.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro perché la formula gli sembra superflua.

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso dell’articolo così formulato:

«La libertà è fondamento di responsabilità».

(È approvato con 7 voti favorevoli, 5 contrari e 2 astenuti).

PRESIDENTE pone in discussione il successivo articolo nel seguente testo proposto dai Relatori:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

«Lo straniero cui vengono negati nel proprio Paese i diritti e le libertà sancite dalla presente Costituzione, ha diritto di asilo nel territorio dello Stato».

Pone ai voti il primo comma dell’articolo:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

(È approvato all’unanimità).

PRESIDENTE pone in discussione il secondo comma:

«Lo straniero cui vengono negati nel proprio Paese i diritti e le libertà sanciti dalla presente Costituzione, ha diritto di asilo sul territorio dello Stato».

MASTROJANNI propone la seguente aggiunta alla fine del capoverso: «purché si conformi ai suoi ordinamenti».

CEVOLOTTO dichiara di non ritenere felice l’espressione «diritto di asilo», che si riferisce ai luoghi nei quali la polizia non poteva perseguitare un determinato individuo anche se colpevole.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mastrojanni che il suo emendamento aggiuntivo è superfluo.

MASTROJANNI dichiara di insistervi.

LUCIFERO dichiara che voterà a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Mastrojanni, perché essa effettivamente chiarisce la posizione dello straniero che riceve asilo. L’asilo non può servire allo straniero per compiere opera contraria allo Stato.

TOGLIATTI dichiara di non approvare il concetto, perché in esso si potrebbero nascondere dei limiti al diritto di asilo che egli non accetta.

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastrojanni.

(È respinto con 12 voti contrari e 3 favorevoli).

Dichiara approvato l’articolo nel testo proposto dai Relatori:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

«Lo straniero cui vengono negati nel proprio Paese e diritti e le libertà sanciti dalla presente Costituzione, ha diritto di asilo nel territorio dello Stato».

Pone in discussione il seguente articolo:

«L’esercizio dei diritti assicurati dalla presente Costituzione non può essere sospeso.

«Tuttavia allorché la Repubblica è proclamata in pericolo tali diritti possono essere sospesi entro i limiti e con le forme stabilite per legge.

«Questo provvedimento non potrà essere preso per un periodo di tempo superiore a sei mesi; esso potrà essere rinnovato, nelle medesime forme.

«Chiunque ne avrà abusato per arrecare arbitrariamente pregiudizio ai diritti materiali o morali altrui, assumerà personale responsabilità.

«Al termine del periodo di emergenza chiunque si riterrà arbitrariamente leso, nella persona o nei beni, potrà reclamare riparazione morale o materiale avanti ai tribunali».

BASSO, Relatore, fa presente che i Relatori hanno ricavato questo articolo dalla traduzione dell’articolo 19 della Costituzione francese. Dichiara che, pur presentando questo articolo, i Relatori sono un po’ incerti sulla formulazione, e ritengono pertanto necessaria una approfondita discussione al riguardo.

MASTROJANNI fa rilevare che con questo articolo si vorrebbe stabilire il diritto dello Stato di proclamare, in caso di pericolo, lo stato di assedio. Ritiene che vi sia una contradizione tra il primo ed il secondo capoverso.

PRESIDENTE osserva che si tratta di una questione di forma.

MASTROJANNI esprime il desiderio che l’articolo venga formulato in termini più precisi.

TOGLIATTI si dichiara contrario all’articolo. Poiché l’onorevole Mastrojanni ha ricordato lo stato d’assedio, l’oratore fa presente che questo stato d’assedio è stato proclamato molte volte a scopo di sopprimere la libertà ed impedire lo sviluppo della democrazia. Una volta soltanto è stato proclamato in funzione antifascista ed è durato tre quarti d’ora. Queste esperienze non devono essere dimenticate.

Per queste ragioni è contrario a che questo articolo sia introdotto nella Costituzione. I casi in cui si possono limitare i diritti del cittadino sono stati già enunciati, e in modo così abbondante, che aggiungere un altro articolo per dare la possibilità di ulteriori soppressioni è cosa che non può essere accettata.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti. Fa però presente il caso dello stato di guerra. Indubbiamente in caso di guerra ci sono dei diritti, tra quelli proclamati, che necessariamente debbono subire delle limitazioni: per esempio, la libertà di stampa per quello che riguarda le notizie militari.

Quindi non può approvare l’articolo, così com’è ora, ma pensa che alla fine, quando si avrà sott’occhio tutto il testo della Costituzione, si potrà riesaminare questo articolo per il solo caso di guerra.

TOGLIATTI concorda con l’onorevole Lucifero.

DOSSETTI osserva che l’articolo è pericoloso: esso può portare alla soppressione totale di tutte le libertà costituzionali, di tutte le garanzie. È quindi d’accordo con gli onorevoli Togliatti e Lucifero che, prima di sancire un articolo di questo genere, bisognerà pensarci molto e vedere prima il testo complessivo della Costituzione. D’altra parte è evidente che la garanzia, attraverso la quale può esser controllata quella data dichiarazione di stato di pericolo e di stato di guerra da cui dipende la soppressione di libertà, deve essere stabilita dalla Costituzione.

PRESIDENTE domanda quale potrebbe essere, al di là del potere legislativo, il potere che meglio garantisca il Paese e la Repubblica circa l’uso di tale diritto di sospensione.

DOSSETTI fa presente che il potere idoneo è sempre quello legislativo; ma la Costituzione deve stabilire come esso possa arrivare alla sospensione delle libertà.

In secondo luogo, anche se ci si volesse fermare a questo testo: «allorché la Repubblica è proclamata in pericolo, ecc.», mancherebbe sempre un inciso che egli proporrebbe nei seguenti termini: «tuttavia, allorché la Repubblica è proclamata in pericolo, a tenore delle disposizioni stabilite dalla presente Costituzione». È infatti il processo attraverso il quale si proclama il pericolo che deve essere stabilito dalla Costituzione.

BASSO, Relatore, è anch’egli del parere che l’esame dell’articolo debba essere rinviato alla fine dei lavori della Commissione, perché esso potrà essere discusso solo dopo aver esaminato tutta la Costituzione.

Circa la modalità della proclamazione del pericolo, ritiene che occorrerebbe non accontentarsi neppure del potere legislativo nella forma ordinaria, ma chiedere una maggioranza qualificata.

Bisognerebbe inoltre specificare quali diritti possono essere sospesi: la stampa, la corrispondenza ecc.; ed anche per questo, bisognerà vedere tutta la Carta costituzionale.

CARISTIA riconosce che la sospensione delle libertà elementari deve avere carattere eccezionalissimo. Nel caso concreto della dichiarazione dello stato d’assedio, però, ritiene che il potere legislativo possa intervenire soltanto in un secondo momento. I decreti del genere emanano proprio per motivi di urgenza, e un decreto che proclama lo stato d’assedio non può essere emanato che dal Governo, salvo a discuterne poi in sede legislativa.

LUCIFERO osserva che ciò che si vuole impedire è proprio che lo stato d’assedio sia proclamato dal Governo.

CARISTIA trattandosi di un provvedimento di urgenza è necessario che sia fatto dal Governo, perché altrimenti si dovrebbe convocare l’Assemblea legislativa.

CEVOLOTTO, per le ragioni esposte dall’onorevole Togliatti e da altri, si dichiara contrario all’articolo così com’è ora formulato, rilevando che, naturalmente, occorrerà formulare un altro articolo per stabilire una sospensione di diritti in caso di guerra con ben determinate garanzie della libertà. Si riserva di esprimere in merito il suo parere.

CARISTIA concorda con l’onorevole Cevolotto circa l’opportunità di tornare su l’argomento.

MANCINI si dichiara contrario all’articolo, perché ogni eccezione al principio delle guarentigie costituzionali è sempre un pericolo, anche in caso di guerra.

PRESIDENTE propone il rinvio della discussione dell’articolo e invita i Relatori a preparare per la fine dei lavori della Sottocommissione un articolo o più articoli sull’argomento.

(La Sottocommissione approva il rinvio).

Rileva che la Sottocommissione ha così concluso l’esame del primo tema: I principî dei rapporti civili.

Nella seduta di domani si inizierà l’esame del secondo tema concernente i principî dei rapporti sociali (economici).

La seduta termina alle 20.26.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlini Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lombardi Giovanni e Marchesi.

MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

16.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 1° OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Moro – Cevolotto – Lucifero – Mastrojanni – De Vita – Dossetti – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Corsanego – Togliatti – Mancini – Caristia.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente fu in parte approvato l’articolo concernente la libertà di stampa. Ne pone in discussione le altre proposizioni.

MORO fa rilevare l’opportunità di riprendere in considerazione l’ultimo capoverso dell’articolo già approvato, per quanto riguarda l’espressione «sui fondi finanziari», che preferirebbe fosse modificata con la dizione «sui mezzi di finanziamento», già precedentemente proposta.

CEVOLOTTO dichiara di poter accogliere la proposta dell’onorevole Moro, purché non costituisca un precedente: su ciò che è stato approvato non si deve più tornare.

PRESIDENTE fa osservare che si tratta soltanto di una correzione di forma. La mette ai voti.

(È approvata).

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo, nel testo proposto dai relatori: «Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù)». Fa presente che resterà poi da esaminare l’inciso contenuto nella prima parte del testo presentato dai relatori, il quale è del seguente tenore: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure», ricordando che in una precedente riunione si era stabilito di esaminare questo inciso dopo l’approvazione dell’intero articolo.

Fa osservare che nel capoverso posto in discussione c’è una parte compresa fra due parentesi, il che significa che non vi è stato accordo tra i due relatori. Rileva inoltre che, per comprendere con esattezza la portata dell’articolo, bisogna tener presente, ai fini logici e di collegamento tra le varie proposizioni, la prima parte dell’articolo stesso nella quale si diceva: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti». Ora, nel capoverso in discussione, si fa appunto riferimento a quel qualsiasi altro mezzo che non sia la stampa.

CEVOLOTTO dichiara, come ha già fatto presente altra volta, che il riferirsi alla legge, sia pure per manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa, significa non porre alcun limite alla legge stessa, la quale potrà poi abolire praticamente il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con mezzi differenti dalla stampa. Si tratta di una formula che egli ha già ripudiata in casi precedenti, perché la ritiene molto pericolosa.

MORO concorda con l’osservazione dell’onorevole Cevolotto, precisando però che l’inciso messo tra parentesi – e non accettato dall’onorevole Basso – ha appunto lo scopo di limitare il potere della legge contenendola nei casi di tutela della pubblica moralità.

CEVOLOTTO precisa che è favorevole, come sempre, a non porre alcun limite, risultando evidente che può esservi una legge speciale per i casi di tutela della pubblica moralità, anche se ci si limita a dire che il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni è garantito a tutti. Questo non significa che diventerebbe incostituzionale una legge la quale limitasse per ragioni di moralità il libero esercizio della cinematografia, o delle trasmissioni radiofoniche, o delle rappresentazioni di certi spettacoli ed avanspettacoli.

Ritiene perciò superflua e dannosa la formula proposta; se si vuole conservarla, si dovrà comunque adottare la formula completa, compresa cioè la parte tra parentesi.

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso nel suo testo completo, compresa la parte sulla quale l’onorevole Basso ha sollevato delle riserve: «Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa, a tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù».

LUCIFERO dichiara che voterà contro il capoverso proposto per le stesse ragioni per cui ha votato contro quando si parlava della stampa; perché, cioè, i criteri discrezionali coi quali si potrebbe giudicare della moralità o meno di un determinato spettacolo sono tali che, volendo, ci si può far rientrare tutto. Può accadere, ad esempio, che un’opera d’arte sia sequestrata o soppressa in base a criteri molto discutibili.

Dichiara di essere, in questo campo, per la libertà vera.

MASTROJANNI si associa alle argomentazioni dell’onorevole Lucifero.

DE VITA dichiara di astenersi, per coerenza con quanto ha già dichiarato criticando la stesura dell’articolo.

(Il capoverso è approvato con 9 voti favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione l’inciso che si era stabilito di esaminare per ultimo, e che è del seguente tenore: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure».

CEVOLOTTO fa rilevare che l’approvazione di tale inciso può creare un serio imbarazzo. Se si è detto che la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa, per ragioni di pubblica moralità, e poi si dice che è vietato introdurre autorizzazioni e censure preventive su questi spettacoli, si domanda come si potrà dar luogo ad una efficace tutela della pubblica moralità e come farà la legge speciale a limitare il diritto di espressione per ragioni di immoralità, senza la censura preventiva sugli spettacoli. D’altra parte è evidente che, specialmente per la stampa, è opportuno affermare il principio che essa non è soggetta né ad autorizzazioni né a censure. Altrimenti non esisterebbe libertà di stampa. Osserva che l’inconveniente può essere eliminato solo limitando alla stampa la negazione dell’autorizzazione e della censura.

MORO dichiara di comprendere le ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto e propone che si dica soltanto, dopo la dichiarazione generale: «L’esercizio del diritto di libertà di stampa non può essere sottoposto ad autorizzazioni o censure», formando, con tale proposizione, il primo capoverso dell’articolo.

LUCIFERO fa osservare che in tempo di guerra si è sempre resa necessaria la censura, almeno per le notizie militari. Domanda perciò se non si debba porre questa unica eccezione in sede di Costituzione, anche perché così si potrà segnare il limite al legislatore. Propone si dica: «salvo che in casi di guerra, per le sole notizie militari». Dichiara che farà una proposta formale solo dopo aver sentito l’opinione degli altri Commissari.

DOSSETTI esprime il parere che, anche per altre libertà che sono state affermate, si renderà necessaria una configurazione relativa all’ipotesi della guerra, e quindi probabilmente nel complesso degli articoli dovrà essere previsto questo caso. Una disposizione del genere è stata posta anche nel progetto di Costituzione francese.

CEVOLOTTO osserva che, quando si formulerà l’articolo relativo alla censura in caso di guerra, non bisognerà limitarlo alle notizie di carattere militare. Anche le notizie di carattere economico, in guerra, possono e debbono essere vietate.

PRESIDENTE fa presente che è stato opportuno aver sollevato il problema ed invita i relatori a prenderne nota.

Mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Moro: «L’esercizio del diritto di libertà di stampa non può essere sottoposto ad autorizzazioni o censure», avvertendo che essa dovrà essere collocata come primo capoverso, subito dopo l’affermazione di carattere generale che costituisce la prima proposizione dell’articolo.

(È approvata all’unanimità).

DOSSETTI fa osservare che là dove si dice: «Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria, ecc.», sarebbe opportuno aggiungere la specificazione: «il sequestro delle pubblicazioni a stampa».

PRESIDENTE dichiara di concordare con l’onorevole Dossetti circa la necessità di una specificazione quanto più esatta possibile della proposizione.

CEVOLOTTO osserva che, con la specificazione proposta dall’onorevole Dossetti, non si sottoporrebbe alla stessa disciplina il sequestro, per esempio, di una pellicola oscena.

PRESIDENTE fa presente che per quella ipotesi vi è la censura preventiva.

DOSSETTI dichiara di aver sollevato la questione perché fosse chiaro il concetto dei Commissari circa la portata dell’espressione.

CEVOLOTTO rileva che nell’economia dell’articolo non occorre nessuna maggiore determinazione. Il sequestro si riferisce a tutta la prima parte dell’articolo, tanto più che per la stampa periodica vi è una parte speciale. Dichiara inoltre di preoccuparsi del fatto che si ritorni sopra un articolo già approvato. Se esso non appare chiaro, sarà rimesso in discussione in sede di Commissione plenaria.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Cevolotto che l’onorevole Dossetti propone soltanto un perfezionamento formale che ha lo scopo di chiarire meglio la dizione dell’articolo. Comunque, se l’onorevole Cevolotto insiste sulla questione d’ordine generale da lui sollevata, sottoporrà la questione alla votazione della Sottocommissione.

DOSSETTI osserva che la proposizione era stata approvata con la riserva di inserirla nel punto che si fosse ritenuto più opportuno.

MORO rileva che, se si tratta di chiarire la portata del sequestro, si possono agevolmente aggiungere le parole: «delle pubblicazioni a stampa»; ma, se si limita il sequestro, allora si ripropone in questa sede un problema sostanziale.

CEVOLOTTO osserva che si può chiarire la formula spostando la proposizione.

PRESIDENTE dichiara di ritenere che, trattandosi di un principio fondamentale, esso vada posto in testa all’articolo.

CEVOLOTTO fa presente che il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria si riferisce alla prima parte dell’articolo. Le limitazioni potranno essere poste subito dopo il comma c).

MORO dichiara di dissentire dall’onorevole Cevolotto nei riguardi dello spostamento della proposizione, poiché nel testo approvato c’è una sequenza logica.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Dossetti che insistere sul chiarimento può essere superfluo; nel senso che avendo nella proposizione immediatamente precedente affermato il principio che la libertà di stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, risulta chiaro che il sequestro si riferisce alla stampa.

DOSSETTI fa notare la discordanza dei pareri circa l’interpretazione da dare alla proposizione. Quindi, se si vuole mantenere l’articolo così come è stato approvato, sia ben chiaro che il problema esiste e che viene risolto, intendendo che il sequestro viene riferito solo alla stampa.

CEVOLOTTO osserva che, al momento della formulazione dell’articolo, era stato chiaramente detto che il sequestro di cui si parla nella prima parte dell’articolo stesso si riferiva non ai casi della stampa soltanto, ma a tutti gli altri casi, e che questa limitazione del sequestro, che non può essere disposto se non dall’autorità giudiziaria, era per tutte le ipotesi di manifestazione del pensiero, tanto è vero che per la stampa periodica provvedeva poi il successivo comma dell’articolo.

Dichiara che, votando la proposizione, intendeva che la sanzione del sequestro doveva essere prevista per tutti i casi. Il chiarimento perciò dovrebbe essere fatto in questo senso: di comprendere la limitazione del sequestro, affidata soltanto all’autorità giudiziaria, come riguardante tutti i mezzi di espressione del pensiero di cui parla la prima parte dell’articolo.

DOSSETTI ritiene che il problema vada risolto in sede di collocazione delle diverse parti. Propone perciò che l’articolo sia congegnato nel modo seguente: per prima sia posta la proposizione: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti»; quale capoverso sia posta l’altra proposizione: «L’esercizio del diritto della libertà di stampa non può essere sottoposto ad autorizzazioni o censure»; come terzo comma sia trasportata a questo punto la frase finale: «Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa, a tutela della pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della gioventù»; infine il quarto comma dovrebbe essere: «Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria, ecc.».

CEVOLOTTO aderisce alla proposta dell’onorevole Dossetti.

BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di non aver nulla da eccepire.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Dossetti.

(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 3 astensioni).

Rilegge l’articolo così come risulta dopo approvati i vari emendamenti:

«Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo, è garantito a tutti.

«L’esercizio del diritto di libertà di stampa non può essere sottoposto ad autorizzazioni o censure.

«Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa a tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù.

«Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di reati per i quali la legge stabilisca il sequestro;
  3. c) di esecuzione di una sentenza.

«Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di pubblicazioni oscene;
  3. c) di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo.

«In tali casi deve essere richiesta entro le 24 ore la convalida dell’autorità giudiziaria. Questa deve provvedere nel termine delle 48 ore successive.

«Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e sui mezzi di finanziamento idonei a garantire la fede pubblica».

LUCIFERO chiede che sia messo ai voti l’articolo nel suo complesso.

PRESIDENTE mette ai voti l’intero articolo, nel suo complesso.

LUCIFERO ha chiesto la votazione per fare una dichiarazione: voterà contro perché ritiene assai grave il contenuto dell’articolo che, a suo parere, significa né più né meno che la soppressione della libertà di stampa.

DE VITA dichiara che, coerentemente a quanto ha detto in precedenza, voterà contro l’articolo perché, secondo lui, non è un articolo di Costituzione, ma un articolo di una legge speciale o di un regolamento. Si associa inoltre alla dichiarazione dell’onorevole Lucifero.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro l’articolo per le ragioni già espresse in altre occasioni.

CEVOLOTTO dichiara che, avendo votato contro troppo incisi, non potrà dare voto favorevole all’articolo, e pertanto si asterrà.

(L’articolo è approvato con 10 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione il testo del successivo articolo, proposto dai relatori, così formulato:

«I funzionari dello Stato sono responsabili, ai sensi della legge penale e di quella civile, per gli atti compiuti dolosamente o colposamente in violazione dei diritti di libertà sanciti dalla presente Costituzione.

«Lo Stato risponde solidalmente con i funzionari per i danni».

Fa presente a quei Commissari i quali hanno mostrato di preoccuparsi degli eventuali abusi a cui potrebbe dar luogo l’applicazione dell’articolo sulla stampa, che l’articolo ora posto in esame viene incontro alle loro preoccupazioni, perché mette l’autorità competente a limitare il diritto di libertà di stampa in una posizione di responsabilità tale, che essa dovrà stare ben attenta ad esercitare tale facoltà entro i limiti stabiliti dall’articolo precedente.

CORSANEGO si dichiara favorevole all’articolo, ma fa presente che tutte le volte che si fa l’imputazione ad un funzionario di aver compiuto un atto contrario alla legge, questi assume sempre a sua difesa il fatto di aver ubbidito all’ordine del proprio superiore. Cosicché, praticamente, risalendo per i rami della gerarchia, si trova un punto d’arresto quando si arriva troppo in alto.

In considerazione di ciò, propone che venga inserito nell’articolo il seguente emendamento aggiuntivo: Non costituisce causa di giustificazione l’obbedienza all’ordine ricevuto, quando l’ordine è evidentemente contrario alla legge».

MORO condivide le preoccupazioni dell’onorevole Corsanego, ma si dichiara preoccupato di fronte allo sconvolgimento che una simile norma potrebbe provocare nell’ambito dei funzionari dello Stato. D’altra parte, nel Codice penale le cause di giustificazione sono per loro conto regolate in modo rigoroso.

In sede costituzionale, innovare con una norma così radicale un sistema tramandato da una tradizione e che ha consistenza nel diritto penale, significherebbe allargare talmente la disposizione da renderla inapplicabile.

Si dichiara pertanto contrario alla proposta dell’onorevole Corsanego.

LUCIFERO dichiara di non poter concordare con la proposta dell’onorevole Corsanego. Se essa fosse accettata, si verrebbe praticamente a legittimare l’insubordinazione dei funzionari dello Stato, e si distruggerebbe lo Stato stesso.

Responsabile è chi firma l’ordine; chi lo ha eseguito non può essere trascinato in un giudizio di responsabilità. L’esecutore materiale della violazione di legge, quando è tenuto da un rapporto disciplinare, può non essere in condizioni di giudicare se la legge è stata violata o no.

È del parere che l’articolo debba essere approvato senza modificazioni.

BASSO, Relatore, propone di sopprimere le parole «dello Stato» poiché col nuovo ordinamento delle regioni ci saranno anche funzionari regionali.

LA PIRA, Relatore, si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso.

MASTROJANNI ritiene opportuno precisare il concetto dell’onorevole Lucifero nel senso di salvaguardare il principio della gerarchia e della disciplina, e stabilire la responsabilità penale e civile solamente quando il funzionario agisce nell’esercizio dei poteri discrezionali; in questo caso risponde personalmente. Negli altri casi risponde per la violazione delle libertà costituzionali il funzionario che ha dato l’ordine, non chi lo ha eseguito. Bisogna distinguere tra l’esercizio del potere discrezionale e l’esercizio di un dovere attinente alla qualità di agente.

Propone perciò la seguente formula: «Risponde per dolo o per colpa il funzionario dello Stato che lede le libertà costituzionali nell’esercizio del suo potere discrezionale; negli altri casi risponde chi ha emanato l’ordine lesivo delle libertà costituzionali predette».

MORO dichiara di non ritenere opportuno mutare con una norma costituzionale quello che è il sistema già previsto dal Codice per quanto riguarda la responsabilità, in seguito all’ordine emanato dall’autorità.

È pertanto favorevole a mantenere l’articolo così come è stato formulato, lasciando al diritto penale di prevedere i vari casi e le possibili ipotesi.

CEVOLOTTO dichiara di consentire con l’onorevole Moro perché nell’articolo in esame si è necessariamente dovuto estendere la responsabilità anche agli atti compiuti colposamente, e quindi la disciplina deve essere più precisa e richiede un ponderato esame da parte del legislatore. L’impiegato dello Stato che va incontro a responsabilità dolose o colpose deve sapere quali sono i limiti che gli sono imposti.

L’onorevole Moro ha affermato che non è opportuno fare delle specificazioni, perché il diritto penale ha elaborato questa materia. L’oratore è d’accordo nel ritenere che non si debba specificare oltre; deve però restare bene inteso che quando ci si richiama a quella elaborazione dottrinale, non ci si riferisce soltanto ai casi di reati e di responsabilità penale, ma a tutti i casi di responsabilità, anche a quelli in cui il diritto penale non c’entra.

MORO fa presente che l’osservazione dell’onorevole Cevolotto apre la via alla discussione di un problema grave e molto delicato, poiché le norme discriminatrici valgono nei riguardi dei funzionari per quanto concerne la responsabilità civile. Perciò esprime il parere che si debba sempre fare rinvio alle norme generali sulla responsabilità penale e civile.

LA PIRA, Relatore, fa presente che durante la redazione dell’articolo aveva manifestato all’onorevole Basso la sua perplessità circa il termine: «colposamente».

DE VITA dichiara di ritenere che l’articolo, così come è formulato, sia accettabile. Non è accettabile l’emendamento proposto dall’onorevole Mastrojanni, in quanto non vi può essere violazione di diritti di libertà, sanciti dalla presente Costituzione, attraverso l’esercizio di una facoltà discrezionale, poiché la facoltà discrezionale è sempre contenuta entro determinati limiti; se mai è la legge che potrà violare la Costituzione, e non la pubblica amministrazione nell’esercizio di questi poteri discrezionali.

DOSSETTI esprime il parere che l’esame dell’articolo debba essere sospeso, in quanto che verranno poi altri punti in cui si dovrà parlare di una responsabilità dello Stato e dei funzionari.

PRESIDENTE fa presente che al rinvio proposto dall’onorevole Dossetti si potrebbe ovviare con un riferimento a questo articolo, e anche con uno spostamento o allargamento, quando sarà trattata la questione della responsabilità dello Stato e della responsabilità in cui possono incorrere i funzionari.

TOGLIATTI dichiara che la proposta dell’onorevole Dossetti non gli sembra giustificata. È vero che in altri punti della Costituzione si potrà parlare della responsabilità dei funzionari dello Stato; ma in quei punti ci si riferirà alla materia amministrativa, mentre invece qui, dopo aver formulato le libertà fondamentali del cittadino, viene stabilita una norma, la quale dice che queste libertà non possono essere violate dai funzionari dello Stato, e che essi rispondono della eventuale violazione. Questo è un aspetto preliminare del problema della responsabilità dei funzionari per gli atti che compiono nell’adempimento delle loro funzioni amministrative; è un problema generale di garanzia della libertà.

Per queste ragioni ritiene che proprio nel punto che si sta esaminando debba essere posta questa proposizione, e non altrove.

Circa la proposta formulata dall’onorevole Corsanego, osserva che, se si ha l’intenzione di rafforzare il regime democratico in Italia, tale proposta è in contrasto con questo scopo, poiché se fosse approvata si provocherebbero dei casi di coscienza, in ogni funzionario, per qualsiasi ordine esso riceve. Ed allora, si domanda chi risolverà questi casi di coscienza.

Ritiene che la formula dell’onorevole Corsanego vada al di là delle intenzioni del proponente.

CORSANEGO dichiara che, nel compilare la sua formula, aveva tenuto presente il caso, per esempio, di un questore che alla vigilia delle elezioni, per togliere dalla circolazione persone di idee politiche contrarie alle sue, ne ordina il fermo. In questo caso egli vorrebbe che il funzionario incaricato del fermo, che sa di adempiere ad un ordine contrario alla Costituzione, non possa essere giustificato dal fatto di aver ricevuto l’ordine.

Dichiara di aver compreso l’obiezione dell’onorevole Dossetti, e di saper bene che la dottrina ha trovato delle giustificazioni per questi casi; ma la dottrina non è la legge. Se si guarda il Codice penale anche prefascista, si vedrà che queste cause di giustificazione hanno delle lacune immense.

Comunque non insiste nella sua proposta.

MASTROJANNI dichiara di insistere nella sua formula, facendo appello anche a quanto ha detto l’onorevole Corsanego. Che il Codice penale stabilisca delle norme in materia di responsabilità non significa che non si debba inserire una norma anche nella Costituzione.

L’unico pericolo che le libertà individuali restino soggette all’arbitrio deriva dall’esercizio del potere da parte dei funzionari. Deve essere preveduta l’ipotesi che i funzionari, dolosamente o colposamente, attentino alle libertà costituzionali.

Le osservazioni fatte dall’onorevole Togliatti sono esatte e altrettanto esatte sono quelle dell’onorevole Lucifero. Ecco per quali ragioni ha ritenuto di fare una distinzione nella formula da lui proposta: appunto per ovviare al pericolo di incrinare la compagine statale. Attribuire cioè una precisa responsabilità penale e civile a quei funzionari che, essendo rivestiti di un potere discrezionale, dolosamente o colposamente attentino alle libertà costituzionali; ma non attribuire alcuna responsabilità a quei funzionari che non hanno la possibilità di sindacare l’ordine del superiore.

Per queste ragioni propone che l’articolo sia formulato nei seguenti termini:

«Risponde per dolo o per colpa il funzionario dello Stato che lede le libertà costituzionali nell’esercizio del suo potere discrezionale; negli altri casi risponde chi ha emanato l’ordine lesivo delle libertà costituzionali predette».

LUCIFERO fa osservare che il principio nuovo da introdurre nella Costituzione è soltanto questo: il funzionario è penalmente responsabile al di là di quello che poteva essere l’eccesso di poteri previsto nella vecchia legge penale. È responsabile della violazione della Costituzione e lo Stato è corresponsabile civilmente con i funzionari che abbiano commesso questa violazione. L’applicazione del principio sarà contemplata in altra sede.

DOSSETTI fa presente, a proposito dell’osservazione dell’onorevole Togliatti, che sono state approvate anche altre proposizioni con una riserva sulla connessione che queste proposizioni potevano avere con altri articoli. Fa presente inoltre che non è stato nemmeno inteso nel giusto senso il suo rilievo, perché egli voleva riferirsi ad altri concetti e ad altre ipotesi.

BASSO, Relatore, dichiara di concordare con l’onorevole Lucifero, perché scopo dei Relatori è stato quello di fissare un principio. Questo principio non era mai stato accolto in Italia, a differenza di altri Stati, come ad esempio l’Inghilterra. Si tratta di portare la pubblica amministrazione al livello comune per quanto riguarda la responsabilità.

Dichiara di essere contrario alla formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, perché non si tratta di poteri discrezionali del funzionario, ma solo del caso in cui si violino i principî di libertà sanciti nella Costituzione.

Pertanto insiste per il mantenimento del testo proposto. Propone però che, in analogia a quanto è stato fatto per la prima parte dell’articolo (dove invece di dire «funzionari dello Stato» si è detto «pubblici funzionari»), nella seconda parte, in sostituzione della parola «lo Stato» si usi un’altra formula più generica.

LA PIRA, Relatore, esprime dubbi circa il mantenimento dell’espressione «colposamente», poiché ritiene che il concetto di colpa sia troppo elastico.

PRESIDENTE fa osservare che, se si toglie l’espressione: «colposamente», bisognerebbe allora togliere anche l’espressione: «dolosamente».

TOGLIATTI osserva che nella maggior parte dei casi il giudice colpirà soltanto per colpa e non per dolo.

PRESIDENTE è del parere che l’articolo debba essere lasciato così come è, in quanto prevede tutte le fonti di un eventuale cattivo uso della responsabilità dei funzionari. È necessario distinguere l’intenzione dalla colpa, e naturalmente distinguere gli effetti e le conseguenze, sia per le azioni intenzionali che per quelle colpose. Ritiene che basterebbe stabilire semplicemente che i funzionari sono responsabili ai sensi della legge penale e di quella civile. La legge distinguerà tra i fatti dolosi e quelli colposi e in conseguenza ne fisserà le sanzioni adeguate.

CEVOLOTTO osserva che la questione è proprio se si debba estendere la responsabilità anche ai reati colposi. Se questo non fosse, sarebbe meglio fare a meno anche dell’articolo, perché si verrebbe a sopprimere la maggior parte dei casi di responsabilità.

Quanto alla proposta dell’onorevole Mastrojanni, dichiara che preferisce l’articolo così come è stato compilato dai relatori.

Osserva peraltro che occorre tener presente una limitazione: finché i funzionari agiscono nel proprio ambito di iniziativa, sono responsabili personalmente, quando invece agiscono fuori di tale ambito, e cioè dietro ordine, la responsabilità deve essere di chi ha dato l’ordine. Non occorre però fare una precisazione nell’articolo, perché il concetto discende dai principî generali già elaborati dalla dottrina penalistica, e quindi non ha bisogno di essere affermato nella Costituzione.

MANCINI fa osservare che il principio nuovo che si vuole affermare non è il principio della responsabilità del funzionario per dolo, ma il principio della responsabilità del funzionario per colpa. Il principio della responsabilità per dolo è previsto dal Codice penale, quando si parla di abuso e di eccesso di potere. Escludere la responsabilità per colpa vorrebbe dire non affermare nessun nuovo principio. Crede che la formula proposta dai Relatori sia felice, perché previene tutte le osservazioni fatte dai vari oratori.

DE VITA fa notare all’onorevole Mastrojanni che l’esercizio delle facoltà discrezionali si muove nei limiti determinati dalla legge; in quanto discrezionale, questo esercizio può essere soggetto soltanto al sindacato di merito, e non al sindacato di legittimità. Non vede come ci possa essere una violazione dei principî della Costituzione nell’esercizio di un potere discrezionale.

MASTROJANNI dichiara di concordare con l’onorevole Mancini pel fatto che già nella nostra dottrina esiste il principio della responsabilità dei funzionari. Fa osservare però che il legislatore, quando sarà promulgata la Costituzione, potrebbe modificare la legge vigente e imprimere un orientamento diverso; se nella nuova Costituzione nulla è affermato in proposito, si corre il rischio di peggiorare la situazione. Risponde all’onorevole De Vita di essere del parere che la ipotesi di una lesione al diritto costituzionale non possa promanare che da coloro i quali per l’altezza della loro funzione sono investiti di un potere discrezionale. Questo è un valore indicativo più che un valore specificativo. Gli altri funzionari non hanno il potere di violare le libertà costituzionali, perché sono sempre succubi di ordini che ricevono e che devono eseguire.

MANCINI fa osservare che, dal punto di vista penale, il principio del pubblico funzionario responsabile quando agisce dolosamente nelle sue funzioni è già nel Codice penale. Il principio nuovo da affermare è quello della responsabilità per colpa.

LUCIFERO osserva che la colpa è un elemento sostanziale. La Commissione ne fa un giudizio di responsabilità: ora la colpa ammette anche una responsabilità, e dove c’è responsabilità ci deve essere una sanzione. Ritiene che il testo presentato dai Relatori sia ben formulato; però pensa che bisognerebbe togliere l’espressione «di libertà» che si riferisce ai diritti. Si dovrebbe dire soltanto «violazione dei diritti sanciti dalla presente Costituzione», cosicché anche le questioni amministrative ricadrebbero in questa affermazione di principio.

DOSSETTI rileva che le ultime considerazioni dell’onorevole Lucifero provano che questa non è la sede per la discussione dell’articolo in esame. Ciò è tanto vero che dalle relazioni presentate in altra Sottocommissione dagli onorevoli Calamandrei e Leone, per la parte concernente le garanzie giurisdizionali del diritto, risulta che è stato preso in considerazione il problema di cui la Commissione si sta occupando. Difatti la relazione dell’onorevole Calamandrei fa considerare la opportunità di poter valutare il problema nel suo complesso. Dichiara di ritenere che tutti siano d’accordo sul principio, ma che bisogna dare ad esso una formulazione più adeguata, ciò che potrà avvenire soltanto quando si saranno considerate tutte le ipotesi che si possono presentare: garanzie dei diritti di libertà, garanzie di altri diritti generici, altre garanzie con riferimento alla pubblica amministrazione. Ritiene che la cosa migliore sia quella di fare una affermazione di principio, con riserva di tornare sull’articolo.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Dossetti che il tema delle relazioni degli onorevoli Calamandrei e Leone non riguarda le responsabilità dei funzionari, ma il problema specifico dei poteri e dell’attività dell’autorità giudiziaria.

Ritiene che il problema del collocamento di questo articolo potrà essere esaminato in un secondo tempo, e che intanto non sia opportuno rimandarne la discussione.

LUCIFERO osserva che il ragionamento dell’onorevole Dossetti è controproducente ai suoi fini, perché dimostra proprio, invece, che questa è la sede in cui deve introdursi l’articolo. È in sede di principî generali che si deve affermare il principio generale, non in sede occasionale.

DOSSETTI fa osservare che ci sono anche altri diritti fondamentali ma non individuali, per i quali deve valere il principio generale che è stato enunciato.

MANCINI dichiara di aderire perfettamente all’osservazione fatta dall’onorevole Dossetti, e crede di poter proporre una formula che concretizza quello che egli ha espresso: «La violazione dei diritti di libertà o di ogni altro diritto sancito dalla presente Costituzione». Con questa aggiunta si viene a comprendere qualsiasi altro diritto.

LUCIFERO fa osservare all’onorevole Dossetti di aver proposto la soppressione delle parole: «di libertà», appunto perché l’affermazione di principio non si riferiva ai soli diritti di libertà, ma a tutti i diritti contenuti nella Costituzione.

BASSO, Relatore, rispondendo all’onorevole Dossetti, osserva che la sede in cui si può introdurre l’articolo in esame è proprio questa. Si sta parlando dei diritti fondamentali del cittadino. Un diritto è perfetto quando è azionabile. Ora qui è stata garantita una serie di diritti al cittadino, ma si deve anche garantirgli efficacemente la possibilità di agire. Nell’articolo in esame il diritto è considerato dalla parte del reus; si dice che questi diritti sono azionabili in giudizio; che il funzionario, e solidalmente con lui la pubblica amministrazione, sono responsabili di questa violazione. Se non lo si dice in questa sede, dove lo si dirà? D’altra parte anche l’onorevole La Pira aveva addirittura fissato questo concetto in un articolo.

CARISTIA dichiara di ritenere che questa sia la sede opportuna per collocare l’articolo in esame. Ritiene che l’osservazione fatta in precedenza dall’onorevole Togliatti colga nel segno, perché la Commissione vuole affermare in sostanza una garanzia; quando si afferma il principio della responsabilità amministrativa in questa sede, si può accompagnare il diritto con la formula abituale della garanzia.

Per quanto riguarda la sostanza dell’articolo, ritiene che esso debba essere votato nella formula molto felice espressa dai Relatori.

MORO ritiene incontestabile il rilievo fatto dall’onorevole Dossetti circa la complessità della materia di cui si tratta in questo articolo.

Indubbiamente in varie altre parti della Costituzione si troveranno sanciti principî relativi alla responsabilità. Malgrado ciò egli resta del parere che sia opportuno sancire in questa sede il principio di responsabilità, per pure ragioni di opportunità politica nei confronti dell’opinione pubblica, la quale potrà avere motivo di sicurezza nel sentire che una affermazione di responsabilità è stata fatta nei riguardi dei funzionari e dello Stato. Non bisogna dimenticare che vi sarà un lavoro di coordinamento da parte dell’Ufficio di Presidenza, e che queste varie norme in materia di responsabilità potranno essere opportunamente unificate e collocate nella sede più opportuna.

Per quanto riguarda il rilievo intorno alla discrezionalità dell’attività della pubblica amministrazione in questi casi, è del parere che si giuochi sull’equivoco. Non è materia discrezionale, anche se vi è un determinato contenuto di incertezza inerente a tutte le attività umane e quindi anche a quelle dei pubblici funzionari; qui si tratta di una precisa direttiva data dalla legge. L’incertezza nel riconoscere il modo di applicare la legge non implica un potere discrezionale.

Circa la proposta di togliere l’espressione «dello Stato» riferendosi ai funzionari, domanda all’onorevole Basso a quali funzionari ci si potrà riferire, tenuto conto che in questo caso si parla delle garanzie delle libertà individuali nei confronti dell’azione illegittima dei funzionari dello Stato. Se vi è un caso che riguarda un funzionario degli enti pubblici, esso sarà chiamato responsabile come funzionario dello Stato in senso lato. Se si toglierà questa espressione «dello Stato», ci si troverà poi in imbarazzo nella seconda parte dell’articolo, quando si dovrà sancire la responsabilità dello Stato stesso.

BASSO, Relatore, propone di dire nella prima parte dell’articolo «pubblici funzionari» togliendo «dello Stato», e nella seconda parte di sostituire alle parole «lo Stato» le parole «pubbliche amministrazioni». Questa sostituzione è motivata dal fatto che potrebbero esservi dei casi di responsabilità da parte di funzionari appartenenti all’ente regione di cui si è molto parlato anche nelle sedute della seconda Sottocommissione.

DOSSETTI non vede perché si debba dire «pubbliche amministrazioni».

PRESIDENTE osserva che l’unica preoccupazione dell’onorevole Basso nel proporre questo emendamento è stata che, andandosi verso una Costituzione a base regionale, il principio sancito nell’articolo in esame non possa applicarsi per i funzionari e per le amministrazioni dell’ente regione.

DOSSETTI fa presente che, dicendo «pubbliche amministrazioni», si restringe l’applicazione della legge soltanto ai funzionari del potere amministrativo ed esecutivo escludendone quello legislativo.

MORO propone di dire «pubblici poteri» invece di «pubbliche amministrazioni».

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Basso e l’onorevole Dossetti si sono accordati nel proporre questa nuova formula: «Lo Stato e gli enti pubblici rispondono solidalmente con i funzionari per i danni».

Ritiene che questa formula possa essere accettata da tutti, e che, per quanto riguarda la prima parte dell’articolo, non possano sorgere obiezioni circa la sostituzione della parole «pubblici funzionari» alle altre «funzionari dello Stato».

Domanda all’onorevole Mastrojanni se, dopo le osservazioni fatte dagli altri Commissari in ordine alla sua proposta, egli intende ancora mantenerla.

MASTROJANNI dichiara di mantenerla.

PRESIDENTE mette ai voti la seguente formula, sostitutiva di quella dei relatori, presentata dall’onorevole Mastrojanni: «Risponde per dolo e per colpa il funzionario dello Stato che lede le libertà costituzionali nell’esercizio del suo potere discrezionale; negli altri casi risponde chi ha emanato l’ordine lesivo delle libertà costituzionali predette».

(La proposta è respinta con 13 voti contro 1).

Mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Lucifero che vorrebbe sopprimere le parole: «di libertà» dopo le parole «dei diritti», nella prima parte dell’articolo.

MORO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero, perché ritiene che, avendo sancito il principio generale, ci si debba limitare ad esaminare i diritti «di libertà» e non tutti gli altri diritti.

LUCIFERO dichiara di aver fatto la proposta di questa soppressione proprio perché ritiene che si debba fare non un’affermazione parziale di principî, ma un’affermazione generale. Per il resto si tratta di applicazioni.

(L’emendamento Lucifero è approvato con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

PRESIDENTE avverte che l’onorevole Mancini ha proposto di aggiungere, dopo le parole «di libertà», le altre «e di ogni altro diritto». Ritiene che la proposta possa essere messa in votazione, poiché in precedenza non è stata votata una formula intera ma unicamente un emendamento soppressivo.

CEVOLOTTO dichiara di ritenere che l’emendamento possa essere votato, perché in sostanza si tratta di una formulazione più chiara dello stesso concetto.

LUCIFERO fa presente che essendo stata votata una formulazione, non si può votarne un’altra più lunga, anche se il concetto è lo stesso.

PRESIDENTE, visto il dissenso, pone anzitutto ai voti la proposta di votare l’emendamento dell’onorevole Mancini, pur avendo già votato l’emendamento dell’onorevole Lucifero.

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 5 contrari).

Precisa che l’onorevole Mancini propone si dica: «in violazione dei diritti di libertà e di ogni altro diritto sancito dalla presente Costituzione», facendo rilevare che non vi è contraddizione tra l’emendamento dell’onorevole Lucifero già votato, e quello che sta per essere messo in votazione, in quanto il primo è soppressivo, il secondo sostitutivo.

Pone ai voti l’emendamento proposto dall’onorevole Mancini.

DOSSETTI dichiara che voterà contro, perché la formula proposta ha l’inconveniente di rendere troppo vaghi i risultati che ci si proponeva di raggiungere con l’articolo in esame, come li ha resi troppo vaghi la formula votata prima.

CEVOLOTTO dichiara che voterà anch’egli contro l’emendamento proposto dall’onorevole Mancini, perché ritiene che la formula dei relatori, alla quale sono state tolte per l’emendamento già approvato le parole: «di libertà», sia la più comprensiva e la più logica.

CARISTIA dichiara di votare contro l’emendamento dell’onorevole Mancini, per le ragioni che ha esposto a favore del testo proposto dai Relatori.

MORO dichiara che voterà contro la formula proposta dall’onorevole Mancini, perché con essa si verrebbero a garantire dei diritti che non sono stati ancora sanciti nella Costituzione.

(L’emendamento è respinto con 2 voti favorevoli e 12 contrari).

PRESIDENTE fa presente che il comma dell’articolo dopo le due votazioni è rimasto così formulato: «I pubblici funzionari sono responsabili ai sensi della legge penale e di quella civile per gli atti compiuti dolosamente e colposamente in violazione dei diritti sanciti dalla presente Costituzione».

Lo pone ai voti.

CORSANEGO propone di aggiungere, dopo le parole «per gli atti compiuti», le altre «od omessi».

LUCIFERO osserva che l’omissione si traduce sempre in una violazione positiva.

CORSANEGO fa osservare che le violazioni possono essere compiute molto di più omettendo, che commettendo.

PRESIDENTE osserva che le violazioni si distinguono in committendo e in omittendo.

MORO dichiara che, pur concordando sulla sostanza della disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo, voterà contro, poiché esso afferma che sono punite le violazioni di tutti i diritti sanciti dalla Costituzione, affermando così la responsabilità dello Stato per casi largamente indefiniti e per diritti non precisati. Ritiene quanto meno, che il comma dell’articolo in questa sede sia prematuro.

CEVOLOTTO dichiara che voterà a favore del comma, perché la questione di collocamento non lo preoccupa, in quanto tutti si riservano di discutere il collocamento degli articoli in sede di revisione generale.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro il comma, ritenendo che la formulazione da lui già espressa sia distintiva delle responsabilità.

LA PIRA, Relatore, dichiara che, poiché sono state soppresse nel testo proposto dall’onorevole Basso e da lui le parole «di libertà», per le considerazioni fatte dall’onorevole Moro, voterà contro.

DOSSETTI dichiara che voterà contro il comma, poiché esso cambia il significato dell’articolo. È d’accordo sulla sua sostanza, ma non sulla sua collocazione a questo punto.

(Il testo del comma è approvato con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

PRESIDENTE dà lettura del secondo comma dell’articolo il quale dice: «Lo Stato e gli enti pubblici rispondono solidalmente con i funzionari per i danni».

Fa presente che la formula originaria parlava soltanto dello Stato: poi, per accordi intervenuti tra l’onorevole Basso e l’onorevole Dossetti, in conseguenza anche di quanto è stato dichiarato per la prima parte dell’articolo e dell’emendamento che ha sostituito alle parole «i funzionari dello Stato» le altre «i pubblici funzionari», la formula è stata modificata.

Mette ai voti il secondo comma dell’articolo.

(È approvato con 12 voti favorevoli e 2 astensioni).

Mette ai voti l’intero articolo: «I pubblici funzionari sono responsabili ai sensi della legge penale e di quella civile per gli atti compiuti dolosamente o colposamente in violazione dei diritti sanciti dalla presente Costituzione.

«Lo Stato e gli enti pubblici rispondono solidalmente con i funzionari per i danni».

(È approvato con 11 voti favorevoli, 11 contrari e 1 astenuto).

Comunica alla Commissione che è stato presentato dai Relatori il testo dei due articoli seguenti:

«Art. …

L’autonomia dell’uomo e le singole libertà in cui essa si concreta sono garantite dalle norme seguenti e debbono essere esercitate per l’affermazione e il perfezionamento della persona in armonia con le esigenze del bene comune e per il continuo incremento di esso nella solidarietà sociale.

Pertanto ogni libertà è fondamento di responsabilità.

Art. …

I diritti di cui agli articoli 2-bis, 3, 4, 5, 6, 7, 8 (coscienza) sono garantiti anche allo straniero.

Per i diritti di cui agli articoli 7, 9, 10, 11, provvederanno le leggi dello Stato.

La condizione giuridica e i rapporti di diritto privato dello straniero saranno regolati dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, cui vengono negati nel proprio paese i diritti e le libertà sancite dalla presente dichiarazione, ha diritto di asilo nel territorio dello Stato».

Prima di mettere in discussione il primo dei due articoli, che è stato formulato dall’onorevole La Pira, chiede all’onorevole Basso se è d’accordo con il correlatore onorevole La Pira.

BASSO dichiara di ritenere superfluo tutto quello che è contenuto nell’articolo.

PRESIDENTE propone che i due Relatori si riuniscano e, possibilmente, presentino alla Commissione un testo unificato nel senso desiderato dall’onorevole Basso e nei limiti che possono essere consentiti, per il valore concettuale, dall’onorevole La Pira.

TOGLIATTI dichiara di associarsi alla proposta del Presidente che l’articolo venga ripresentato dopo una nuova elaborazione da parte dei Relatori. Ritiene però opportuno uno scambio preventivo di idee sul fondo del problema che è posto in questo articolo.

Rileva che in esso non si afferma nessuna libertà, però si afferma che tutte le libertà garantite dalla Costituzione debbono essere esercitate in conformità di determinati obiettivi. Ritiene che questo concetto possa essere ammesso, ma vorrebbe che questi obiettivi fossero diversamente determinati. Prevede l’obiezione che verrà da parte liberale, la quale respingerà totalmente questo motivo di porre le questioni.

Fa presente l’esempio della Costituzione sovietica, la quale è caratteristica a questo proposito. Essa afferma che tutte le libertà debbono essere esercitate nell’interesse dello sviluppo della società socialista. Ora è certo che non si può introdurre una simile formulazione nella nostra Costituzione, dato che l’Italia purtroppo non è ancora una società socialista; ma si potrebbe adottare una formula in cui si dicesse che tutte le libertà debbono essere esercitate in modo che siano coerenti con lo sviluppo della società democratica. Ritiene di poter accettare una simile formulazione, e di poter accettare anche un accenno alla solidarietà sociale, ma è d’avviso che su questo tema sarebbe necessario uno scambio di idee generali, trattandosi di un tema che non è stato ancora affrontato.

LA PIRA, Relatore, dichiara che la sua preoccupazione è stata di dare della libertà un concetto diverso di quello che è alla base della dichiarazione del 1789, e che è stata riprodotta nel progetto ultimo di Costituzione francese, poi bocciato dal referendum popolare.

Dice il progetto francese: «La libertà è la facoltà di fare tutto quanto non arrechi pregiudizio ai diritti altrui» e si richiama alla dichiarazione del 1789 in cui è detto: «La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri». È, questo, un concetto negativo della libertà; invece nella Costituzione italiana si vuole introdurre un concetto positivo di questa libertà, il concetto di una libertà finalizzata. Mentre la Costituzione del 1789, e in genere le Costituzioni a tipo liberale, parlano allo Stato per limitarne la libertà nei confronti dei diritti imprescrittibili dell’uomo, la nostra Costituzione vuole parlare non soltanto allo Stato, per limitare la sua autonomia circa i diritti della persona, ma anche alla persona, per orientare la sua libertà e limitarla rispetto ai diritti della persona. Quindi la nostra Costituzione dovrebbe parlare contemporaneamente allo Stato, per limitarne la sua libertà o meglio per finalizzarla, e alla persona pure per finalizzarne la libertà. Si riserva di proporre che l’articolo venga collocato prima di quelli riferentisi ai singoli diritti di libertà, in modo che possa essere orientatore di questi diritti.

MASTROJANNI dichiara di essere contrario ai concetti espressi dal Relatore, essendo fermamente convinto che lo Stato non debba comunque intervenire a limitare le libertà individuali, sia pure in omaggio alle concezioni filosofiche e giuridiche dell’onorevole La Pira e cioè finalizzando le libertà stesse. Tutto ciò capovolge il concetto di libertà nel senso che dalla concezione negativa dei diritti di libertà si passa ad una concezione limitatrice positiva, effettiva e concreta. È una libertà la quale, se convogliata in determinate finalità, deve essere imposta dallo Stato e dalla società. Si verrebbe in tal modo a castigare la libertà con quelle direttive o finalità sociali o particolari che sono la conseguenza dell’intervento dello Stato. Permane l’impressione che sotto una concezione siffatta si nasconda il pericolo dello Stato totalitario, il quale, per il raggiungimento di quei fini determinati, finirebbe con l’incrinare le libertà individuali.

Ritiene che una formula conciliativa debba essere trovata nel senso, anche da lui condiviso, del concetto cristiano e umano della solidarietà umana e sociale, ma escludendo che questa solidarietà umana e sociale debba essere perseguita attraverso uno Stato totalitario.

CARISTIA dichiara di non aderire ai concetti contenuti nella formula proposta. Rispetta le osservazioni fatte dall’onorevole La Pira, e si rende conto degli orientamenti che le motivano, ma rileva che in sostanza si viene a dare una definizione della libertà, e questa è cosa pericolosissima.

È d’accordo nel concetto che si debbano eliminare quegli ostacoli che lo Stato pone all’esercizio della libertà consacrata nei principî approvati dalla Commissione. Ma quando si vuole dare un contenuto positivo a queste libertà, si va a toccare un grave problema che probabilmente implica anche come presupposto la soluzione di altri problemi.

Ritiene quindi che si debba fare un accenno di carattere generale, e quindi trovare una formula con la quale si esprima il concetto che la libertà che si concede ha un limite nel tempo in cui deve essere esercitata nell’interesse della collettività. È del parere che possa bastare l’affermazione del principio che la libertà è per tutti, purché con essa non si venga a turbare la società civile in cui noi viviamo. Ad ogni modo, la formula proposta non gli sembra felice.

MANCINI fa presente che i membri della Commissione si trovano su due sponde diverse, e che è necessario trovare una formula conciliativa, che soddisfi le esigenze dei due principî contrastanti. Propone pertanto il rinvio della discussione, in modo che i Relatori possano incontrarsi e stabilire una nuova formula.

MORO risponde alle osservazioni fatte dall’onorevole Basso, circa l’inutilità di introdurre una dichiarazione come quella che è contenuta nella formula proposta dall’onorevole La Pira.

Richiama l’attenzione della Commissione sul valore giuridico della prima parte dell’articolo proposto, il quale dovrebbe essere collocato al principio, prima di parlare delle singole libertà, e servirebbe a porre le premesse giuridiche per intendere quali siano queste libertà e quali siano i collegamenti tra queste e quelle dichiarazioni di principio che si sono fatte negli articoli 1 e 2.

Per quanto riguarda la seconda parte dell’articolo, fa osservare all’onorevole Mancini che i membri della Sottocommissione non si trovano su due sponde diverse, poiché c’è una felice convergenza delle concezioni solidaristiche cristiane con le concezioni di solidarietà sociale di cui sono portatrici le forze socialiste e comuniste. Si tratta di finalizzare la libertà, di darle un significato positivo, ed è indubitabile che queste libertà, i democristiani intendono farle svolgere in armonia con il bene comune e con quella che è la compagine della società.

Ricorda che nel secondo articolo è stato dichiarato il diritto ad un uguale trattamento sociale. Ora proprio questo diritto va esplicato nel senso che tutte le libertà che vengono sancite in questa Costituzione non vanno intese come una garanzia di fronte allo Stato, come un limite frapposto allo Stato, ma come espressione della convergenza degli sforzi individuali in una società ordinata e compatta per il bene di tutti.

DOSSETTI sottolinea la coincidenza del pensiero e dell’indirizzo democristiano, quando si preoccupa di finalizzare la libertà, con la visione solidaristica delle correnti socialiste e comuniste.

Siccome l’onorevole Togliatti ha accennato alla caratteristica della Costituzione sovietica di finalizzare la libertà nel senso che deve tendere allo sviluppo del regime socialista, l’oratore ritiene di potere essere d’accordo con lui nel finalizzare la libertà nel senso dello sviluppo delle libertà democratiche. Se la nostra Costituzione accettasse questo principio, si avrebbe un duplice risultato: quello di avere accolto un elemento comune in cui confluiscano il pensiero democristiano e il pensiero socialista; e quello di aver accentuato la caratteristica di profonda originalità della nostra Costituzione in confronto alle Costituzioni precedenti e specialmente in confronto a quella francese.

BASSO, Relatore, dichiara di voler chiarire le ragioni per cui ha parlato di superfluità a proposito dell’articolo proposto dall’onorevole La Pira.

Si tratta di concetti sui quali egli può, in via di massima, essere d’accordo. Superflua è – a suo avviso – la formulazione di questi concetti.

Consente con gli onorevoli La Pira e Dossetti che la libertà deve essere finalizzata e che bisogna vederla nel quadro generale in rapporto alle finalità della vita associata. È anche d’accordo che la nostra Costituzione debba segnare un progresso nei confronti della Dichiarazione del 1789. Quindi equilibrio tra l’interesse collettivo e le libertà individuali; ma questo equilibrio, molto difficile, si potrà trovare più nella storia che negli Articoli che potranno essere introdotti nella Costituzione. Anzi l’oratore ritiene che indicarlo negli articoli sia pericoloso.

Apprezza l’intenzione dell’onorevole La Pira che questa finalizzazione della libertà debba identificarsi con la esigenza del bene comune; ma, parlando del bene comune, egli non può dimenticare che questa teoria si riallaccia a tutta una tradizione che si può far risalire già al 1700. Questa teoria, prima che entrasse nei concetti accolti dalla democrazia francese, era contenuta nella teoria dell’Illuminismo, cioè del dispotismo illuminato che può arrivare facilmente alla formula del totalitarismo.

Dichiara che le preoccupazioni degli onorevoli Dossetti e La Pira sono anche le sue, ma che egli si preoccupa anche delle difficoltà di trovare una formula adeguata, e pertanto è del parere che si debba rinunciare ad una formulazione. D’altra parte bisogna considerare che da tutto l’insieme della nostra Costituzione risulta la comune preoccupazione di armonizzare le libertà individuali con le esigenze collettive e sociali.

Comunque, se si dovesse arrivare ad una formulazione dell’articolo, l’oratore ritiene che bisognerebbe trovare espressioni diverse da quelle del bene comune, che hanno tutta una tradizione ormai superata.

TOGLIATTI si dichiara lieto di avere, con la sua osservazione iniziale, dato occasione alla presente discussione, che chiarisce alcuni punti molto importanti e offre possibilità di accordo tra correnti politiche che possono avere punti di partenza differenti, ma possono anche convergere nella realizzazione di obiettivi comuni.

Dichiara di accettare il principio di inserire nella Costituzione una formulazione la quale dica che il nostro regime democratico si differenzia dal regime del liberalismo individualistico del secolo precedente, perché in questa direzione si deve andare. I democristiani daranno a questo principio una formulazione, i socialcomunisti ne daranno un’altra; ma si potrà trovare un punto di convergenza, cioè quello di significare che per noi la libertà viene garantita dallo Stato per il raggiungimento di determinati fini: il perfezionamento della persona umana; il rafforzamento e lo sviluppo del regime democratico; il continuo incremento della solidarietà sociale; tre obiettivi che dichiara di accettare.

All’osservazione che in questa impostazione del problema della libertà possono essere contenuti dei pericoli, risponde che i pericoli possono esserci dovunque, poiché qualunque atto della vita umana è legato ad un rischio. Non occorre per questo rinunciare a determinati principî. La realtà è che noi non limitiamo la libertà. Il pericolo ci sarebbe se dicessimo che le libertà sono subordinate allo Stato. Le libertà sono garantite dalla Costituzione, ma debbono essere esercitate in un determinato modo.

La libertà esiste, ma si vuole dare un indirizzo alla organizzazione della vita sociale, cioè della vita collettiva.

Il contrasto delle idee, dei principî, forse anche il contrasto delle forze dell’organizzazione c’è sempre: che questo contrasto abbia luogo entro l’ambito democratico, cioè per raggiungere determinati obiettivi, è una cosa giusta e non è male che sia sancito nella Costituzione.

Suggerisce una formula ai Relatori, ma non ancora all’Assemblea, perché intende riflettervi ancora: «Tutte le libertà garantite dalla presente Costituzione debbono essere esercitate in modo che contribuiscano al perfezionamento della persona umana, in armonia con le necessità di rafforzamento e sviluppo del regime democratico e con il continuo incremento della solidarietà sociale».

PRESIDENTE rileva che la discussione preliminare oggi svoltasi ha servito ad orientare il pensiero della Sottocommissione e a dare ai Relatori elementi concreti, sui quali potranno eventualmente costruire una nuova formula, giovandosi anche di quella suggerita dall’onorevole Togliatti.

Invita i due Relatori ad accordarsi su una proposta elaborata, in base alla quale la Sottocommissione potrà discutere nella prossima seduta, fissata per domani mercoledì.

La seduta termina alle 20.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Rossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lombardi Giovanni, Marchesi, Merlin Umberto.

VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero – De Vita – Lombardi Giovanni – Cevolotto – Mastrojanni – Moro – Dossetti – Da Pira, Relatore – Basso, Relatore – Mancini – Togliatti – Iotti Leonilde – Corsanego.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE, dopo aver ricordato che nella seduta precedente si erano approvati alcune parti dell’articolo che riguarda la libertà di stampa, e si era iniziato l’esame della seconda parte dell’articolo riguardante la stampa periodica, ne pone in discussione la prima proposizione: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva».

LUCIFERO, ricordando le ragioni già esposte, fa presente di ritenere che sia stata già data una tale ampiezza di poteri all’autorità giudiziaria, da non poter assolutamente consentire che venga data un’altra investitura di potenza dittatoriale alla polizia. È del parere che la competenza in materia di sequestri debba essere lasciata alla sola autorità giudiziaria, altrimenti si istituirà un’altra dittatura sulla libertà di pensiero.

DE VITA, riaffermato che l’articolo in discussione gli sembra più un regolamento che un articolo da introdurre in una Costituzione, propone che esso venga sostituito dalla seguente formula: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti», senza aggiungere altro. Ritiene che la Commissione debba soltanto affermare il principio generale, che è quello della libertà di esprimere i propri pensieri e le proprie opinioni: la legge penale disciplinerà poi l’esercizio di questi diritti e porrà i limiti. Esprime il parere che la garanzia di questa libertà dagli eventuali limiti che potrà imporre la legge speciale sarà data dal sindacato di costituzionalità della legge stessa.

LOMBARDI GIOVANNI ricorda di aver già fatto anch’egli una proposta analoga.

PRESIDENTE osserva che il concetto proposto dall’onorevole De Vita è contenuto nella prima parte dell’articolo già approvato.

CEVOLOTTO fa presente che, anche se l’odierna proposta dell’onorevole De Vita si discosti per qualche piccola parte dalla proposta dell’onorevole Lombardi, essa avrebbe dovuto essere discussa quando fu discussa la proposta dell’onorevole Lombardi stesso. Oggi non è più possibile riproporla. Ad ogni modo si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole De Vita perché si preoccupa che, lasciando alle leggi speciali il regolare la materia, si conceda un’eccessiva libertà al legislatore, col pericolo che la legge speciale non possa essere accusata di incostituzionalità, nel caso che ponga limitazioni che non si è disposti a tollerare.

Per quanto si riferisce alla proposta in esame, dichiara di aver già espresso nella seduta precedente il suo pensiero che coincide con quello dell’onorevole Lucifero: ritiene cioè che sia opportuno sopprimere la seconda parte dell’articolo perché lasciare agli ufficiali di polizia giudiziaria, sia pure con le limitazioni e le precisazioni proposte, il diritto, nei casi di urgenza (e l’urgenza si può ravvisare come si vuole in ogni circostanza), di sequestrare la stampa periodica, significherebbe mettere la libertà di stampa nelle mani del potere esecutivo.

MASTROJANNI si associa agli argomenti svolti dall’onorevole Cevolotto e ne aggiunge un altro che ricava dalla stessa dizione dell’articolo. In esso si dice: «In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria». Ora, trattandosi di 24 ore, la polizia potrebbe presentare immediatamente all’autorità giudiziaria l’oggetto del reato e provocare da essa l’autorizzazione al sequestro. In tale modo si potrebbe, senza alcun danno per la immediata sottrazione della stampa nociva dalla circolazione, privare gli ufficiali di polizia giudiziaria della facoltà di effettuare il sequestro preventivo.

Fa infine osservare che nella parte dell’articolo già approvata, e precisamente alla lettera c) dove si parla di esecuzione di una sentenza, c’è un’incongruenza dal punto di vista giuridico. La sentenza ordina il sequestro: è inutile dire che il sequestro può essere disposto dall’autorità giudiziaria in esecuzione di una sentenza. La sentenza la emana l’autorità giudiziaria; è quindi l’autorità giudiziaria che ordina il sequestro.

PRESIDENTE chiarisce che si tratta di casi speciali, cioè quando vi siano speciali sentenze. Ci sono sequestri cautelativi e sequestri definitivi: i primi sono disposti in base ad ordinanza ed i secondi in base a sentenza.

MASTROJANNI dichiara che in tal caso è necessario specificare. Ripete, in ogni modo, che la lettera c) è pleonastica.

DE VITA fa presente all’onorevole Cevolotto che la legge speciale potrà disciplinare l’esercizio del diritto di libertà di stampa e di opinioni, anche mantenendo la formula da lui proposta. Non vede la necessità di disciplinare in un articolo della Costituzione le modalità dell’esercizio stesso di un diritto. Quindi chiede che la sua proposta venga posta in votazione.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di essere contrario a questa seconda parte dell’articolo sulla libertà di stampa, in cui si fa un’eccezione per la stampa periodica, anche perché vi sono numerosi pleonasmi e vi si concede all’autorità di pubblica sicurezza la facoltà di ordinare un sequestro, ciò che può diventare un abuso. Ne propone perciò la soppressione.

MORO fa rilevare che il problema dei poteri spettanti alla polizia si è presentato anche negli articoli precedenti, e sempre sotto questo profilo, se cioè si debbano oppur no conferire alla polizia dei poteri i quali potrebbero portare ad abusi nei confronti della libertà individuale.

Ritiene che avendo stabilito negli articoli precedenti la concessione di poteri all’autorità di polizia, non ci si possa sottrarre per il caso in esame alla necessità di conferire questi poteri, i quali opportunamente servono a limitare la libertà individuale in vista delle esigenze sociali che non possono essere disconosciute. Dichiara di aver l’impressione che qualche volta la Commissione si mostri eccessivamente preoccupata dalla situazione contingente, per i precedenti storici ai quali si riferisce, e formuli una libertà in astratto, che non tiene conto delle esigenze di una convivenza sociale. Ci sono dei casi in cui è indispensabile che intervenga con urgenza l’autorità di polizia altrimenti si apre la via all’arbitrio. Ritiene impossibile prescindere dall’esercizio del potere della polizia in materia di pubblicazioni oscene, che costituiscono uno dei punti proposti dal Relatore. Tutti sanno che sono in corso innumerevoli pubblicazioni offensive non solo del sentimento religioso, ma anche dei principî di moralità accettati dalla nostra civiltà; pubblicazioni che offendono il senso umano ed il senso di patriottismo, in quanto questa attività corruttrice della stampa incide sulla ripresa della nostra vita nazionale sia dal punto di vista spirituale che da quello politico.

Richiama la Commissione sulla opportunità di tener conto di queste esigenze fondamentali, senza le quali la Costituzione non potrà essere consolidata.

LOMBARDI GIOVANNI riconosce la giustezza delle osservazioni fatte dall’onorevole Moro, nel senso che bisogna salvaguardare la libertà della stampa e insieme impedirne gli eccessi; ma contesta che a ciò si possa provvedere nello Statuto, senza invadere un campo che deve essere riservato alla legge speciale.

Insiste sulla proposta fatta da lui e dall’onorevole Mancini, tornando a manifestare la sua avversione alla seconda parte dell’articolo, nella quale si concede all’autorità di pubblica sicurezza un potere che invece le si deve contestare, perché in ogni epoca, anche in quella che precedette il fascismo, l’autorità di pubblica sicurezza non ha mai dato garanzia di serenità.

MORO prende atto con compiacimento di quando ha dichiarato l’onorevole Lombardi circa la necessità di reprimere gli abusi della libertà di stampa e di imporle limiti tendenti a garantire quei criteri di moralità che devono essere alla base del nostro ordinamento sociale.

Dichiara di non poter però convenire con lui circa l’opportunità di rinviare alla legge sulla stampa la disciplina di questa materia. La legge sulla stampa sarà probabilmente fatta da un’assemblea che potrà essere orientata nello stesso senso della Commissione, ma non è possibile essere sicuri di quello che sarà l’avvenire. Compito della Commissione è di dare al popolo italiano una Costituzione che indirizzi la legislazione per molto tempo.

Si dichiara insoddisfatto delle argomentazioni dell’onorevole De Vita circa il controllo di costituzionalità ad opera della stessa Costituzione, in ordine alla legge sulla stampa. Rileva che, una volta sancito il principio generale della libertà sulla stampa, si presentano due ipotesi: o la legge sulla stampa limita questa libertà, e allora può essere dichiarata incostituzionale in base alla violazione del principio generale affermato; oppure essa non pone alcun limite concreto alla libertà di stampa, ed allora sarà frustrata l’esigenza di reprimere quegli abusi che offendono la coscienza morale.

Pertanto, ritiene che non si possa accogliere la formula proposta dagli onorevoli Lombardi e Mancini, né quella proposta dall’onorevole De Vita.

CEVOLOTTO insiste nel ritenere che la seconda parte dell’articolo in esame sia pericolosissima, e che perciò non debba essere accettata. Concorda nella necessità di reprimere la stampa oscena; ma ritiene che neppure in questo caso possa essere lasciato alla pubblica sicurezza il diritto di operare il sequestro. Non si può sapere dove potrebbe arrivare la pubblica sicurezza attraverso una formula di questo genere, che potrebbe anche permettere una violazione del principio della libertà di stampa.

Mantiene perciò la sua proposta che sia soppressa la seconda parte dell’articolo.

LUCIFERO dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Fa presente che il termine di 24 ore, entro le quali deve essere richiesta la convalida dell’autorità giudiziaria, non risolve nulla, in quanto parlando di stampa periodica ci si deve riferire principalmente al giornale quotidiano, cioè all’organo di informazione e di polemica. Quando si è soppresso un giornale, non per 24 ore, ma anche soltanto per tre o quattro ore, lo si è praticamente eliminato, anche se poi risultasse, entro le 24 ore, che colui che pubblicava quel giornale non era perseguibile. Intanto però il potere esecutivo avrebbe raggiunto il suo scopo di non fan giungere al pubblico in quel dato momento quella tale informazione, quella tale notizia che poteva avere per esso interesse. Ritiene pertanto che la disposizione sia perfettamente inutile.

MORO dichiara di aderire alle osservazioni dell’onorevole Cevolotto per quanto riguarda il comma a), circa la mancanza del gerente e dello stampatore; e di poter anche riconoscere che si debba dare il tempo di rivolgersi all’autorità giudiziaria onde ottenere da questa il sequestro nelle forme e garanzie stabilite dalla legge.

Ma resta fermissimo nel suo punto di vista circa il comma b), riguardante le pubblicazioni oscene. Non ritiene che si possa allargare tanto il senso della parola osceno da far rientrare in essa la materia politica. Per il comma c) fa presente che in esso si parla di reati, e quindi questo è già un limite molto rigoroso che si impone all’arbitrio dell’autorità di pubblica sicurezza. Si tratta inoltre non di tutti i reati, ma di quelli precisamente indicati dalla legge sulla stampa. Se poi si ricollega questa norma con l’altra proposta dai Relatori nell’articolo successivo, norma veramente rigorosa che sancisce gravissime responsabilità penali e civili per i funzionari i quali abusino e violino i diritti di libertà, ritiene che si possa essere tranquilli. Qualche abuso ci sarà; ma quel complesso di limiti che la Sottocommissione ha armonicamente congegnato sarà sufficiente per offrire la migliore garanzia.

DOSSETTI fa osservare all’onorevole Lucifero che l’argomento da lui addotto, che cioè 24 ore sono sufficienti perché si esaurisca la possibilità di riparazione di un provvedimento arbitrario, si ritorce contro di lui perché vale anche in senso opposto. Se si esclude la possibilità di un sequestro di polizia, ci si priva della possibilità di impedire che un giornale, specialmente se quotidiano o settimanale, evidentemente offensivo dei principî di moralità, possa essere infrenato.

Fa osservare che, se si è ammesso che si possa privare un individuo della libertà per 48 ore, tanto più si può ammettere la limitazione di un giorno nei riguardi della stampa. È vero che un giornale può fare grandi e decisive cose nello spazio di 24 ore, ma anche una persona può fare grandi e decisive cose in 48 ore. Pensa comunque che, evidentemente, al fondo delle preoccupazioni manifestate ci sia un giusto risentimento per gli abusi del passato.

LUCIFERO afferma che vi è la preoccupazione che gli abusi si possano ripetere.

CEVOLOTTO, al confronto fatto dall’onorevole Dossetti con la privazione della libertà personale precedentemente ammessa, risponde che, a parte il fatto che anche la privazione della libertà personale è stata circondata di molte cautele, non è vero che tale privazione sia più grave della soppressione della stampa. La prima ha dei riflessi più limitati, si riferisce ad una singola persona; mentre il sequestro di un giornale ha riflessi su tutta la collettività, su un intiero partito, e, talvolta, sulla vita stessa della Nazione.

MASTROJANNI rileva che, dalla discussione in corso, è risultato che alcuni non hanno fiducia nel potere discrezionale delle autorità di pubblica sicurezza, mentre altri lamentano il pericolo che, a causa delle preoccupazioni espresse dai primi, possa derivare nocumento alla pubblica moralità, specie per quanto attiene alla stampa oscena. Poiché tutti dimostrano un senso di maggiore fiducia nell’autorità giudiziaria circa il sequestro della stampa nociva, l’oratore propone una formula la quale stabilisca il sequestro della stampa illecita con provvedimento frattanto non motivato dell’autorità giudiziaria. Tale provvedimento, in pratica, si può ottenere anche in mezz’ora. Difatti tale spazio di tempo è sufficiente perché l’agente di polizia giudiziaria vada dal procuratore della Repubblica, o dal Pretore, presenti la stampa incriminata e si munisca di ordine di Sequestro.

Propone quindi la seguente formula: «Il sequestro può essere eseguito a richiesta della polizia giudiziaria con provvedimento urgente, frattanto non motivato, dell’autorità giudiziaria».

LOMBARDI GIOVANNI, rispondendo all’onorevole Dossetti, osserva che egli nel suo ragionamento non ha tenuto conto che alcuni membri della Sottocommissione si opposero a concedere alla pubblica sicurezza il diritto di arresto preventivo, sostenendo che questo potesse essere ammesso solo in caso di flagranza. Per quei Commissari che hanno votato in tal senso, le osservazioni dell’onorevole Dossetti non hanno alcun potere dimostrativo. Chi non ha ammesso l’arresto od il fermo preventivo, non può ammettere, per coerenza, il sequestro preventivo. D’altronde egli pensa che quello che si sta esaminando non sia che un abbozzo di statuto, e si augura che l’Assemblea Costituente voglia riparare a tutti quegli eccessi che ci riportano verso le spumose onde del passato.

LA PIRA, Relatore, dichiara che, nello stendere il testo dell’articolo col quale si attribuiscono alcuni poteri alla polizia ed in genere all’autorità giudiziaria, si è avuto sempre presente il principio della responsabilità civile e penale dei funzionari. Nella luce di questo principio si sono considerate tutte le garanzie possibili, in modo che tutte le preoccupazioni di eccesso da parte degli ufficiali giudiziari o della autorità giudiziaria verranno eliminate, se si approverà il principio della responsabilità civile e penale dei funzionari dello Stato.

Dichiara che eventualmente si potrebbe riflettere sul comma a) riguardante le violazioni delle norme amministrative, aderendo a quanto ha proposto l’onorevole Cevolotto.

BASSO, Relatore, fa osservare all’onorevole Lombardi, il quale ha parlato di ritorno verso le spumose onde del passato, che il progetto d’articolo formulato: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge, ecc.» non è che un ritorno allo Statuto Albertino. Tutto il travaglio costituzionale è stato proprio quello di dare una garanzia effettiva in sede di Costituzione a questa libertà.

Le formule proposte dagli onorevoli Lombardi e Mancini e dall’onorevole De Vita non hanno, a suo avviso, alcuna possibilità di essere seriamente difese, perché tendono a riportare la regolamentazione costituzionale indietro di un secolo.

Dichiara di non essere egli stesso soddisfatto della formulazione dell’articolo, che è frutto di una transazione, rilevando che si è commesso un errore in difetto nella parte che tratta della magistratura, poiché è stata dimenticata una serie di giudizi civili che riguardano la materia dei diritti di autore ed i conflitti che possono sorgere in questo campo tra autore e editore. Osserva che in tali casi, in pendenza di giudizio, dovrebbe essere consentito il sequestro cautelativo.

Viceversa, si è ecceduto nella formulazione del diritto di sequestro da parte della pubblica sicurezza. Ed egli avrebbe riservato alla pubblica sicurezza il diritto di sequestro solo per l’ipotesi del comma a), riguardante le violazioni delle norme amministrative.

Non si è associato alla formulazione del comma b) perché in quel caso ritiene che si venga a porre in atto un apprezzamento discrezionale da parte degli organi di polizia giudiziaria, nel corso del quale si può commettere o far finta di commettere errore. Nel comma a) invece si tratta particolarmente della stampa clandestina, e si deve dare autorizzazione alla pubblica sicurezza di intervenire senz’altro. Insiste perché questo diritto di sequestro della pubblica sicurezza sia mantenuto con la garanzia della denuncia entro le 24 ore all’autorità giudiziaria. Per le ipotesi b) e c) personalmente non insiste. Del resto va osservato che per quanto riguarda le pubblicazioni oscene, trattandosi di reato, può provvedere direttamente la magistratura.

MANCINI replica che il principio affermato nella proposta avanzata da lui e dall’onorevole Lombardi non è un principio superato, ma un principio modernissimo, perché vi si afferma la libertà di stampa limitata soltanto dalle future leggi. Ora le leggi future sono l’avvenire e non sono il passato.

Consente circa le esigenze di difesa della base morale di cui ha parlato l’onorevole Moro. Vi è oggi il bisogno di riportare l’Italia in una sfera di moralità che purtroppo ha perduto per la nefasta opera del fascismo. La moralità per i popoli è al disopra di ogni altra esigenza. Pertanto si dichiara favorevole alle limitazioni da sancire contro la stampa oscena e anche contro gli atteggiamenti di una certa stampa che, se non sono osceni dal punto di vista lessicale, sono osceni dal punto di vista etico politico.

DE VITA fa osservare che la formula da lui proposta somiglia certamente a quella adottata dallo Statuto Albertino; senonché allora non c’era la distinzione tra potere costituente e potere legislativo ordinario, e non c’era nemmeno il controllo sostanziale di costituzionalità della legge. Adesso la cosa è diversa poiché nella nuova Costituzione vi sarà il controllo di costituzionalità. Perciò la sua formula, anche se simile a quella del vecchio Statuto, inserita nella nuova Costituzione ha un significato ed una portata molto diversi.

PRESIDENTE osserva che, con l’emendamento sostitutivo proposto dagli onorevoli Lombardi e Mancini, così come con l’emendamento proposto dall’onorevole De Vita si tende a sottoporre a votazione una proposizione che è stata già votata. L’onorevole De Vita vorrebbe che si facesse punto dopo le parole: «è garantito a tutti», e non si andasse oltre. Invece si è andati oltre nella discussione. Al punto in cui si è giunti, se i proponenti insistono, l’oratore non può fare altro che domandare alla Commissione se è del parere che si rimetta in discussione una proposizione che nel suo spirito e nella sua lettera è stata già votata ieri.

DE VITA fa presente che l’articolo non è stato votato tutto: c’è ancora una parte in discussione.

PRESIDENTE rileva che la questione pregiudiziale, se si debba procedere o no nella formulazione dopo l’affermazione di carattere generale contenuta nella prima proposizione dell’articolo, è stata già superata ieri, approvando le altre proposizioni.

DE VITA risponde che la sua proposta era stata fatta ieri, ma poi si è stabilito di rimandarla ad oggi.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole De Vita che egli ha il diritto di domandare che la sua proposta sia rimessa in votazione.

DOSSETTI non ritiene che l’onorevole De Vita abbia questo diritto: egli ha la facoltà di accertarsi se si sia votato o no.

MANCINI dichiara di rimettere la questione al potere discrezionale del Presidente.

TOGLIATTI osserva che in un’Assemblea preparatoria si può anche rimettere ai voti una proposta già approvata.

CEVOLOTTO si dichiara contrario al principio enunciato dall’onorevole Togliatti, perché esso può anche essere giusto, ma la Sottocommissione ha in precedenza deciso che non si debba ritornare sulle proposte approvate.

DE VITA fa rilevare che l’emendamento sostitutivo da lui proposto è del tutto diverso dall’articolo proposto dai Relatori. È una pura coincidenza che ne accetti la prima parte.

PRESIDENTE ripete che l’Assemblea ha già deciso nella seduta precedente che l’articolo non dovesse fermarsi alla prima proposizione. Se l’onorevole De Vita non è convinto, si rifarà la votazione.

DE VITA dichiara di rinunciare a che la sua proposta sia rimessa ai voti.

PRESIDENTE fa presente che risulterà chiaro dal verbale che, secondo l’onorevole De Vita, la formula dell’articolo dovrebbe limitarsi all’unica e semplice affermazione contenuta nella prima proposizione della prima parte dell’articolo, così come è stata presentata dai Relatori.

Richiama quindi l’attenzione sulla formula conciliativa proposta dall’onorevole Mastrojanni, la quale tende in sostanza a che i poteri che, secondo la formula dei Relatori, si vogliono dare all’autorità di pubblica sicurezza, e che debbono esperirsi nel termine di 24 ore, siano delegati all’autorità giudiziaria.

Ricorda poi che c’è una formula più radicale presentata dall’onorevole Lucifero, secondo la quale nessuna facoltà in materia deve essere concessa al potere esecutivo. Fa rilevare che tale proposta collima con l’altra fatta nella seduta precedente dall’onorevole Cevolotto, che nessuna facoltà di sequestro preventivo debba essere data all’autorità di pubblica sicurezza e quindi al potere esecutivo. Dichiara di ritenere che la formula dell’onorevole Lucifero riassuma il pensiero espresso dagli onorevoli Cevolotto e De Vita e dagli onorevoli Lombardi e Mancini.

MANCINI fa osservare che la proposta dell’onorevole Lucifero non può rientrare in quella sua e dell’onorevole Lombardi, avendo essi affermato che non si può parlare di sequestro nella Costituzione, ma soltanto di libertà di stampa, e che per quanto riguarda il sequestro ci si deve rimettere alla legge speciale.

PRESIDENTE ricorda che la formulazione proposta dagli onorevoli Lombardi e Mancini è del seguente tenore: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge anche se le manifestazioni del pensiero siano fatte con mezzi differenti dalla stampa». Fa osservare in proposito ai proponenti che il trattamento da fare alla stampa ed anche agli altri mezzi di manifestazione del pensiero differenti dalla stampa, è contenuto in quella proposizione della prima parte dell’articolo in cui si dice: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni e censure», facendo riferimento appunto alla stampa e a qualsiasi altro mezzo di espressione. La discussione di questo inciso è stata, d’accordo, rinviata alla fine della discussione dell’articolo. Quindi la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini potrà essere posta in votazione in quella sede.

Ritiene che debba avere la precedenza nella votazione la proposta dell’onorevole Lucifero, secondo la quale nessuna facoltà in materia di sequestro deve essere data al potere esecutivo, cioè all’autorità di pubblica sicurezza, e perciò la mette ai voti.

LUCIFERO dichiara che dicendo di non volere che nessuna facoltà in materia di stampa sia concessa al potere esecutivo, non esclude affatto che vi possa essere una legge sulla stampa, ma intende soltanto porre limiti chiari a questa legge. La competenza in materia di sequestro della stampa può essere soltanto concessa all’autorità giudiziaria. Del resto, se lo si ritiene opportuno, si potrà stabilire con lettera d) una disposizione che dia in qualche caso specifico questa speciale potestà all’autorità giudiziaria, come è accennato nella proposta dell’onorevole Mastrojanni. Però deve essere ben fermo il principio che il potere esecutivo non ha la facoltà di impedire a qualunque cittadino di esprimere la propria opinione.

MANCINI fa osservare che quando questo principio si afferma in una Costituzione la legge speciale non potrà assolutamente derogare dal principio proclamato.

TOGLIATTI osserva che in linea astratta di diritto costituzionale la proposizione potrebbe essere accettata, ma non può esserlo in linea pratica perché la magistratura ha dimostrato di essere scarsamente penetrabile allo spirito democratico. Pertanto dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero.

BASSO, Relatore, dichiara che il principio contenuto nella proposta dell’onorevole Lucifero non si potrebbe applicare all’ipotesi prevista nella lettera a) per le ragioni già esposte; e quando un cittadino non assume la responsabilità di quello che pubblica, non ha il diritto di invocare la tutela della libertà di stampa. Non c’è una violazione della libertà di stampa quando si impedisce l’uscita di un giornale privo della firma del gerente responsabile.

Dichiara pertanto che voterà contro la formula dell’onorevole Lucifero.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione per le ragioni precedentemente esposte.

(La formula è respinta con 2 voti favorevoli, 12 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini secondo la quale le limitazioni della libertà di stampa sarebbero ammesse purché stabilite da una legge speciale.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro questa proposta perché ritiene che il riferimento alla legge speciale, senza limiti da parte della Costituzione, sia pericolosissimo.

PRESIDENTE dichiara che voterà contro la proposta perché essa ripropone la formula contenuta nello Statuto Albertino: «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi», che, coerentemente alla sua precedente dichiarazione, considera troppo generica e quindi inoperante.

TOGLIATTI si associa alla dichiarazione di voto del Presidente.

LUCIFERO si associa anch’egli alla dichiarazione di voto del Presidente.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli e 13 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti.

«Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto e, comunque, nei casi gravi, anche con provvedimento di urgenza frattanto non motivato».

MASTROJANNI fa presente che avrebbe voluto esprimere gli stessi concetti in termini più precisi che potrebbero essere conglobati nella prima parte dell’articolo. In questa prima parte si dà una limitazione anche all’autorità giudiziaria, la quale interviene solo in casi specifici. Ora fra i casi specificamente determinati, quelli di cui alle lettera b) e c) sono pleonastici. La sua proposta definitiva sarebbe pertanto di un’aggiunta che completi la parte dell’articolo già approvato, che prenderebbe il posto di quella discussa.

MORO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni, pur dandogli atto dell’intenzione conciliativa, perché ritiene che la Costituzione debba conferire alla polizia i poteri stabiliti. Accetterebbe la proposta in via subordinata, qualora fosse respinta la proposta dei Relatori; ed in quel caso si riserva di ripresentare la proposta dell’onorevole Mastrojanni.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni prima di tutto perché essa tende a modificare quanto è già stato votato, e in secondo luogo perché è vaga e imprecisa, e la sua imprecisione lascerebbe all’autorità giudiziaria il diritto di procedere al sequestro in «casi gravi», espressione ambigua che potrebbe dar luogo all’arbitrio.

LUCIFERO concorda con l’onorevole Cevolotto.

MASTROJANNI fa osservare che la formula «casi gravi» è invece precisa perché nei casi gravi si comprendono quelli non previsti dalle norme amministrative.

Rispondendo all’osservazione dell’onorevole Cevolotto, il quale si preoccupa di lasciare all’autorità giudiziaria la facoltà di provvedere, gli domanda chi, secondo lui, dovrebbe provvedere, ed in qual modo egli intenda tutelare la pubblica moralità.

MANCINI dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni perché le modalità del sequestro debbono essere stabilite dalla legge speciale sulla stampa. Una Carta costituzionale non può affermare altro che il principio, non le modalità con le quali il principio si applica.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di associarsi alla dichiarazione di voto dell’onorevole Mancini.

(La proposta è respinta con 1 voto favorevole e 14 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori nella prima parte, che è la seguente: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva».

Fa rilevare che chi vota a favore di questa proposizione può riservarsi il diritto poi di intervenire, pur affermando il principio generale, in tutte quelle ipotesi e quei limiti che riguardano l’applicazione del principio.

LUCIFERO dichiara che voterà contro perché è contrario al principio.

(La proposta è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la seguente altra proposizione: «nei casi: a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO ricorda che nella seduta precedente l’onorevole Basso, molto giustamente, aveva in un primo tempo accettato la sua prima proposta di limitare le violazioni amministrative alla mancanza del gerente e dello stampatore, e cioè della persona responsabile che eventualmente deve essere perseguita. Visto che è stato ammesso il principio dell’arbitrio di polizia, è d’avviso che debba cercarsi almeno di limitarlo, chiarendo che violazione di norme amministrative può esservi soltanto se manca il nome del gerente responsabile ed il nome dello stampatore.

Propone pertanto un emendamento sostitutivo così formulato: «a) di mancata indicazione del responsabile e dello stampatore».

CEVOLOTTO si associa a quanto ha detto l’onorevole Lucifero.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare l’emendamento sostitutivo perché vi sono anche altre norme amministrative che si possono violare; per esempio, le norme che si riferiscono alla limitazione nel consumo della carta. Se esce un giornale a quattro pagine, sfidando le norme stabilite dal comitato dei prezzi, lo si deve poter sequestrare.

CEVOLOTTO osserva che per questa ipotesi non è necessario il sequestro, perché basta una forte multa, che è un provvedimento di carattere penale.

TOGLIATTI fa presente un altro caso di violazione: quello che si faccia una legge sulla stampa la quale imponga la pubblicazione dei bilanci. Se un giornale non pubblicasse questi bilanci, potrebbe essere sequestrato.

Ripete, in ogni modo, che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero.

DOSSETTI ritiene che le giuste esigenze prospettate dagli oratori non possano essere soddisfatte per via di polizia. Per esse può bastare l’intervento dell’autorità giudiziaria, perché l’immediatezza dell’intervento della polizia non è necessario, a meno che non si tratti dell’ipotesi straordinaria dell’omissione del gerente responsabile. Per evitare il grave pericolo di abusi da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, tutte le formulazioni che si potrebbero fare non sarebbero mai sufficienti.

MANCINI si dichiara favorevole alla formula che contempla le norme amministrative, per le stesse ragioni esposte nella seduta precedente ed in seguito alle quali l’onorevole La Pira mutò la formula da lui precedentemente proposta. Nella formula «violazione delle norme amministrative» è racchiuso anche il concetto della mancanza della firma dello stampatore e della mancanza del gerente responsabile. Invece, con la formula dell’onorevole Lucifero, si verrebbero ad escludere ogni altra eventuale norma amministrativa obliata od offesa.

LA PIRA, Relatore, precisa all’onorevole Mancini che nella seduta precedente egli era d’accordo con lui perché si trattava dell’autorità giudiziaria. Oggi, poiché si tratta dell’autorità di pubblica sicurezza, il suo accordo con l’onorevole Mancini non c’è più.

BASSO, Relatore, dichiara di essere combattuto tra il desiderio di non usare la formula generica che ritiene pericolosa, e la necessità di tener conto di tutte le ipotesi in cui il sequestro può essere consentito. Si potrebbe venire incontro alla preoccupazione dell’onorevole Togliatti, aggiungendo l’altra ipotesi da questi proposta e cioè il caso della mancanza di pubblicazione del bilancio, senza usare la formula generica della violazione delle norme amministrative.

PRESIDENTE ricorda che vi sono tre proposte: quella contenuta nella formula originaria dei Relatori; quella contenuta nella proposta intermedia dell’onorevole Basso che tiene conto della preoccupazione espressa dall’onorevole Togliatti; e infine la proposta radicale dell’onorevole Lucifero, in cui si prevede il sequestro preventivo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto quando manchi l’indicazione del gerente responsabile o dello stampatore.

Dichiara che voterà a favore della formula proposta originariamente dai Relatori, perché più chiara e precisa.

BASSO, Relatore, dichiara di ritirare la sua proposta intermedia.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero, il quale vorrebbe sostituire il comma a) col seguente: «a) di mancata indicazione del responsabile o dello stampatore».

(La proposta è respinta con 3 voti favorevoli e 12 contrari).

Rileva che l’onorevole Basso ha dichiarato di non insistere sulla sua proposta. Domanda all’onorevole Togliatti se mantiene la sua.

TOGLIATTI dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori, così concepita «a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO dichiara che voterà contro questa formula, come ieri ha votato contro l’analoga formula proposta per la prima parte dell’articolo, perché considera che essa consenta l’effettiva soppressione della libertà di stampa.

DOSSETTI dichiara che voterà contro la formula proposta dai Relatori, perché ha la sensazione che si vada incontro ad un’estensione troppo pericolosa.

CEVOLOTTO si associa alle considerazioni esposte dagli onorevoli Lucifero e Dossetti e dichiara che voterà contro.

DE VITA dichiara che si asterrà dalla votazione per le ragioni già esposte.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che voterà contro per coerenza con le sue dichiarazioni precedenti.

(La formula dei Relatori è approvata con 7 voti favorevoli, 6 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione il comma b): «di pubblicazioni oscene» proposto dal Relatore La Pira.

CEVOLOTTO si dichiara contrario al comma proposto dall’onorevole La Pira, non perché sia contrario alla persecuzione di pubblicazioni oscene, ma perché ritiene che questo comma apra un altro varco agli abusi da parte della pubblica sicurezza che, ravvisando artatamente un carattere osceno in pubblicazioni che non lo hanno, potrebbe sopprimerle.

MASTROJANNI non è favorevole al comma b) proposto, non perché non intenda che venga repressa la stampa a carattere osceno, ma perché questa repressione rientrerebbe nell’ipotesi da lui formulata nella proposta non approvata. Si associa alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara che voterà contro per le stesse ragioni espresse dagli onorevoli Mastrojanni e Cevolotto. Ritiene che il giudizio sulla oscenità o meno di una pubblicazione sia un giudizio di grande delicatezza. Si sono viste considerare oscene delle opere d’arte che ormai sono internazionalmente riconosciute come dei capolavori.

BASSO, Relatore, dichiara che voterà contro per le stesse ragioni esposte dagli onorevoli Cevolotto e Lucifero.

LA PIRA, Relatore, fa presente il caso pratico dell’ufficiale di pubblica sicurezza che veda delle pubblicazioni a carattere osceno e proceda immediatamente al sequestro. Però entro 24 ore egli deve richiedere la convalida dell’autorità giudiziaria. Domanda perciò quale difficoltà esista in concreto a che un ufficiale della polizia giudiziaria abbia la possibilità di sequestrare una pubblicazione oscena, e dove sia la difficoltà politica.

BASSO, Relatore, osserva che la difficoltà è nel pericolo di abuso, non nell’applicazione della disposizione.

LA PIRA, Relatore, riconosce la possibilità di abusi, ma ritiene che tra i piccoli abusi che si possono commettere ed i grandi mali che possono essere evitati, occorre scegliere, reprimendo i grandi mali.

MORO ritiene che il comma sia di importanza essenziale per la repressione degli abusi della libertà di stampare che tendano intenzionalmente, come si attua oggi, alla corruzione della gioventù ed all’indebolimento della forza morale italiana. Dichiara che, per queste ragioni, voterà a favore del comma proposto dall’onorevole La Pira.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di votare contro poiché non riconosce alla pubblica sicurezza la capacità di discernere quali pubblicazioni siano oscene e quali no.

DOSSETTI si associa alle considerazioni esposte dall’onorevole Moro, aggiungendo che, se si considera il complesso del sistema che la Commissione è venuta costruendo, si vedrà che si è largheggiato su qualche punto in cui si potevano porre restrizioni, mentre ora si vorrebbe da taluni non dare il potere alla pubblica sicurezza di intervento in un caso in cui è giustificato, al di fuori di ogni considerazione di ordine politico.

PRESIDENTE dichiara di votare a favore della formula proposta dal Relatore oltre che per le ragioni indicate dagli onorevoli Moro, Dossetti e La Pira, anche per il fatto che ove una simile proposta venisse respinta, la pubblica sicurezza non si sentirebbe mai autorizzata a intervenire per reprimere abusi così gravi.

TOGLIATTI fa osservare che nella discussione si è parlato di autorità di pubblica sicurezza, mentre nel testo proposto si parla soltanto di polizia giudiziaria. La polizia giudiziaria è alle dipendenze del procuratore della Repubblica, e non del questore.

PRESIDENTE precisa che gli agenti della polizia giudiziaria sono sempre dipendenti dal questore, pure essendo distaccati agli uffici giudiziari per i servizi giudiziari.

MORO osserva che si potrebbe prendere in considerazione l’obiezione dell’onorevole Togliatti e chiarire dicendo che il sequestro può essere eseguito da ufficiali della polizia in genere.

DOSSETTI fa presente che l’onorevole Togliatti ha portato un argomento di più circa la fondatezza della pretesa di affermare questa possibilità, dato che vi è con la polizia giudiziaria una possibilità ed una garanzia di maggior controllo di quella che non vi sia con una polizia normale.

MANCINI fa presente che la polizia giudiziaria dipende dal procuratore della Repubblica, per la scoperta e la persecuzione dei reati secondo quanto è stabilito nel Codice; dipende dai suoi organi per il resto.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che dare una definizione della oscenità non è cosa facile.

MORO osserva che il Codice penale ne parla, definendo gli atti osceni.

MANCINI dichiara che voterà favorevolmente al comma proposto perché, avendo votato per la formula riguardante le violazioni alle norme amministrative, di cui al comma a), non può per coerenza che votare la formula del comma b) così come è stata presentata. Voterà favorevolmente, oltre che per le ragioni morali già espresse, anche perché alla parola «osceno» non si può dare che il significato etico giuridico dal codice penale.

IOTTI LEONILDE dichiara che voterà favorevolmente, associandosi alle considerazioni esposte dall’onorevole Moro, in modo particolare per quel che riguarda la protezione della moralità pubblica e della gioventù.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro. Riconosce la necessità della repressione della stampa oscena, ma non riconosce negli agenti di polizia giudiziaria la capacità di giudicare sulla necessità del sequestro preventivo.

Aveva perciò suggerito la formula del provvedimento di urgenza, demandando al procuratore della Repubblica, o al Pretore, di giudicare sulla convenienza o meno del sequestro con provvedimento non motivato.

MANCINI fa osservare all’onorevole Mastrojanni che, quando si parla di polizia giudiziaria, è sempre sottinteso il procuratore della Repubblica, il quale rimane la sola autorità per ordinare il sequestro.

MASTROJANNI precisa che gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno il dovere di sequestrare quello che è corpo di reato, senza preventivo intervento del procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE mette ai voti il comma b) dell’articolo.

(È approvato con 8 voti favorevoli, 5 contrari, 2 astenuti).

Pone in discussione il comma c) dell’articolo proposto dai Relatori, il quale dice: «di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo».

CEVOLOTTO si dichiara contrario al comma c), non soltanto per la ragione che, essendo stato contrario agli altri due deve evidentemente essere contrario anche al terzo; ma anche perché con questo comma si riapre, a suo avviso, proprio quel varco che si era stabilito di non lasciare aperto in materia di sequestro preventivo da parte della polizia giudiziaria. Si è detto che ogni rinvio alla legge speciale è pericoloso; tanto più è pericoloso in questo caso. La legge speciale può creare svariatissimi reati per i quali ammette il sequestro preventivo, venendo così a ferire il principio della libertà di stampa. Si potrebbe perfino arrivare a stabilire che lo scrivere contro una determinata posizione politica assunta da un governo è reato, e ad autorizzare in questo caso il sequestro.

MORO ritiene di non potere aderire a quanto ha dichiarato l’onorevole Cevolotto. Qui non si tratta di reati fissati dalla legge sulla stampa, ma di quelli definiti tali dal Codice penale, tra i quali la legge sulla stampa sceglie quelli per i quali è autorizzato il sequestro preventivo. È del parere che per i reati neo-fascisti, per esempio, data la delicata situazione politica, sia indispensabile dare alla legge un mezzo per addivenire al sequestro.

CEVOLOTTO fa osservare all’onorevole Moro che quando si dice: «Per i reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo» non è possibile riferirsi ai reati del Codice penale, perché in materia di stampa i reati li stabilisce la legge sulla stampa. Sono leggi penali anche tutte le norme delle leggi speciali che ravvisano dei reati. La legge sulla stampa creerà dei reati di stampa all’infuori di quelli stabiliti dal Codice.

Non ritiene che con questa formula si miri a impedire il sequestro per quei reati che sono stabiliti dalla legge sulla stampa; il pericolo da lui prospettato esiste dunque realmente.

MORO ammette che la questione debba essere chiarita. Anche la legge sulla stampa potrà prevedere dei casi di reato; però avrà un’altra funzione; oltre che prevedere questi reati di stampa, dovrà scegliere quei reati tassativamente indicati, per cui sia ammesso il sequestro preventivo.

DOSSETTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Moro, in considerazione della necessità di repressione della stampa neofascista.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto.

BASSO e LA PIRA, Relatori, insistono sulla formula proposta.

MANCINI ritiene che l’onorevole Cevolotto potrebbe aver ragione, se i reati di cui si tratta oltre ad essere indicati dal Codice Penale, fossero anche previsti dalla legge speciale sulla stampa. Qui invece è stato specificato che si tratta di quei reati per i quali sia il Codice penale, sia la legge sulla stampa, dovranno stabilire tassativamente il sequestro. Per questi motivi voterà in favore della disposizione.

PRESIDENTE mette ai voti il comma c) dell’articolo così formulato: «di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo».

(È approvato con 9 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti).

Pone in discussione la proposizione seguente, nella quale, riferendosi ai casi in cui si è data facoltà all’autorità di polizia di intervenire con la misura del sequestro preventivo, si dice: «In tali casi deve essere richiesta entro le ventiquattro ore la convalida dell’autorità giudiziaria».

CEVOLOTTO propone che, secondo quanto si è fatto per altri casi precedente mente esaminati, si dica: «richiesta e concessa nelle ventiquattro ore successive». In caso contrario non vi sarebbe alcun limite effettivo: basta richiedere la convalida nelle ventiquattro ore, poi l’autorità giudiziaria può aspettare anche due mesi.

BASSO, Relatore, si dichiara d’accordo in linea di massima con la richiesta dell’onorevole Cevolotto salvo ad allargare il termine a quarantotto ore.

PRESIDENTE mette ai voti il comma così formulato: «In tali casi deve essere richiesta entro le ventiquattro ore la convalida dell’autorità giudiziaria. Questa deve provvedere nel termine delle quarantotto ore successive».

(La proposta è approvata all’unanimità).

Pone in discussione il comma successivo, così formulato nel testo proposto dai Relatori: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica».

LUCIFERO rileva che questa non è materia costituzionale, ma di competenza del potere legislativo.

PRESIDENTE osserva che si tratta di limiti che la Commissione, in sede costituzionale, intende porre al potere legislativo.

DOSSETTI ritiene utile porre in questa sede una norma del genere. Si deve sottolineare nella Costituzione un concetto che è parallelo a quello della libertà: la responsabilità sociale. Propone però che, invece di «dispone» si dica: «può disporre». Propone anche che, invece di «cautele amministrative», si dica «controlli e cautele finanziarie»; altrimenti si potrebbe pensare che il termine «amministrative» debba essere inteso nel senso che esso aveva in una proposizione precedente dello stesso articolo, mentre qui si riferisce all’amministrazione dei giornali.

CEVOLOTTO si dichiara contrario alla formula proposta perché con essa, come ha osservato l’onorevole Lucifero, si entra nel campo riservato alla legge speciale, mentre la Costituzione può dare l’indirizzo, ma non entrare nel campo della legge speciale. Osserva che una formula del genere di quella proposta non è contenuta in nessuna Costituzione.

Circa la modifica «può disporre» proposta dall’onorevole Dossetti, osserva che è inutile il dirlo, perché si sa che la legge può disporre; o si impone alla legge di disporre o altrimenti non si dice niente.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti ha proposto che il comma venga così emendato: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stampa, e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO dichiara di giudicare la formula superflua. È la legge che deve prevedere quei casi.

MANCINI si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Dossetti per le stesse ragioni addotte dall’onorevole Cevolotto.

BASSO, Relatore, fa presente che il concetto contenuto nella proposizione in esame è quello della protezione della pubblica fede contro certa stampa. Si mira a disporre che il legislatore introduca nella legge sulla stampa pene per i reati commessi mediante la stampa, e disponga cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica. Queste norme, sempre inserite nelle Costituzioni, e che debbono servire come un invito e come una traccia per il legislatore, sono di grande importanza, perché si riferiscono principalmente all’obbligo dell’indicazione dei bilanci e delle fonti delle notizie. Si sa quali sconvolgimenti possano produrre le notizie false od inventate. Già fin da ora la Costituzione deve dare queste direttive al legislatore.

Riconosce in ogni modo che la formula da lui proposta potrebbe essere migliorata, e che quella dell’onorevole Dossetti si avvicina di più al concetto che si vuole esprimere.

MORO ritiene che la formula dell’onorevole Dossetti possa essere accettata.

BASSO, Relatore, dichiara di accettare la formula dell’onorevole Dossetti; ma, invece di «può disporre», preferisce che sia mantenuta la parola «dispone».

TOGLIATTI dichiara di consentire quanto allo spirito che informa la proposizione proposta.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti ha così modificato l’emendamento sostitutivo proposto: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli e cautele finanziarie idonee a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO fa osservare che i controlli devono essere esclusivamente finanziari, e pertanto bisognerebbe specificarlo, altrimenti si corre il pericolo che attraverso la generica parola «controlli» si venga ad ammettere il controllo sulla stampa senza limiti ed anche in materia politica. Propone pertanto che nella formula si specifichi il genere del controllo.

DOSSETTI propone che si dica: «controlli sulle fonti di notizie e cautele finanziarie».

TOGLIATTI fa presente che il tema è dei più delicati ed esigerebbe un esame ed una discussione più approfonditi.

Effettivamente si è arrivati, per quanto riguarda la stampa, ad un punto tale di organizzazione, che l’astratto principio della libertà di stampa non può più essere accettato. Il principio della libertà di stampa mette sullo stesso piano l’onesto organo di informazione e lo strumento che viene creato da colui che ha accumulato ricchezze, e si serve di queste ricchezze per disorganizzare la vita economica e sociale del Paese. Ritiene che non si possa ammettere questa parità di trattamento. Ormai si è usciti dal periodo del liberismo, ed è bene che si introduca nella Costituzione una formula che dia al legislatore la possibilità di disporre cautele finanziarie e controlli sugli organi di stampa. Quanto alla natura e la portata dei controlli, questi potranno essere meglio specificati nella legge sulla stampa. Non esclude che si possa arrivare ad un controllo che dia la responsabilità alla direzione di un giornale, il quale domani potrebbe agire a suo piacere sull’opinione pubblica, senza che si abbiano armi per combatterlo. Ritiene che, se si vuole difendere la democrazia, non si deve capitolare su questo terreno, perché vi sono avversari e nemici senza scrupoli. Pertanto si dichiara favorevole alla formula dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE comunica che la formula dell’onorevole Dossetti, nella sua definitiva stesura, è la seguente:

«Per le funzioni speciali della stampa periodica, la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e cautele finanziarie idonee a garantire la fede pubblica».

BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di accettare l’emendamento Dossetti.

MANCINI domanda che cosa si intende per «cautele finanziarie».

DOSSETTI chiarisce che l’esigenza che si vuol soddisfare è triplice: anzitutto stabilire un controllo sulla responsabilità delle fonti di notizie; in secondo luogo stabilire un controllo sui fondi e sull’amministrazione; in terzo luogo disporre anche qualche altra cautela.

MANCINI dichiara di consentire sulla necessità di queste tre esigenze, ma osserva che, per quanto riguarda il controllo sui mezzi finanziari, nella formula proposta non è detta alcuna parola.

DOSSETTI propone si dica: «può disporre controlli sulle fonti delle notizie e sulle fonti finanziarie».

PRESIDENTE osserva che con una formula così ampia si corre il pericolo di superare i limiti su cui tutti si sono trovati d’accordo, col rischio di autorizzare implicitamente il potere esecutivo a destinare un funzionario di pubblica sicurezza a far parte dell’amministrazione di un giornale. Propone perciò che si dica: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e controlli sui fondi finanziari, idonei a garantire la fede pubblica.

MORO osserva che è meglio dire: «sui mezzi di finanziamento».

PRESIDENTE fa presente che l’ultima redazione della formula, frutto della collaborazione di tutti i componenti la Commissione, potrebbe essere la seguente: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e sui mezzi di finanziamento idonei a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO dichiara di non opporsi a questa formula, ma desidera che resti a verbale che con questo non intende aderire ai principî esposti dall’onorevole Togliatti e che in materia di libertà di stampa resta fedele ai principî democratici della assoluta libertà.

LUCIFERO dichiara che voterà contro la formulazione proposta che, a suo avviso, preluderebbe alla ricostituzione del Ministero della cultura popolare, in quanto occorrerà creare un organo di Stato che adempia a queste funzioni di controllo.

TOGLIATTI dichiara che l’assoluta libertà di stampa, nelle condizioni odierne di organizzazione economica, non esiste. Esisterebbe solo se tutte le tipografie divenissero proprietà dello Stato.

PRESIDENTE mette ai voti il comma nella seguente definitiva formulazione: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e sui mezzi di finanziamento, idonei a garantire la fede pubblica».

(È approvato con 10 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che dovrebbe ora essere ripresa in esame la proposizione lasciata in sospeso al principio dell’articolo, la quale dice: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure». La formula definitiva della proposizione potrebbe essere la seguente: «È vietato assoggettare l’esercizio del diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa ad autorizzazioni o censure».

 

MORO osserva che la decisione su questa proposta è stata rinviata, non al punto in cui è giunta la discussione, ma quando si fosse definita ulteriormente la disciplina della libertà di esprimere i propri pensieri con la stampa e con altri mezzi di manifestazione. Pertanto, data l’ora tarda e la difficoltà dell’argomento, propone il rinvio della discussione.

BASSO, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Moro.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.35.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Marchesi, Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

14.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – Corsanego – Mastrojanni – Marchesi – Moro – Basso, Relatore – De Vita – Lombardi Giovanni – Caristia – Cevolotto – Lucifero – La Pira, Relatore.

La seduta comincia allo 11.20.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo concernente la libertà di stampa preparato dai Relatori onorevoli Basso e La Pira:

«Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti. (È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure). Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di reati (non politici) per i quali la legge stabilisca il sequestro;
  3. c) di esecuzione di una sentenza.

«Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di pubblicazioni oscene;
  3. c) di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo.

«In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria.

«Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica.

«Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù)».

Pone in discussione la prima proposizione dell’articolo, avvertendo che se qualcuno dei Commissari desidera estendere la discussione a tutto l’articolo è libero di farlo; e che le parti comprese tra parentesi segnalano punti nei quali non è stato raggiunto l’accordo tra i due Relatori.

Mette ai voti la prima proposizione dell’articolo: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda proposizione: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure».

DOSSETTI domanda a che cosa si riferisce la particella pronominale della parola «assoggettarne».

CORSANEGO rileva che si riferisce evidentemente al diritto.

DOSSETTI ritiene che in tal caso si possa sollevare l’obiezione che l’enunciazione generale del divieto di autorizzazioni o censure contrasti con quello che segue, specialmente per quanto riguarda l’ultimo capoverso dell’articolo. È invece del parere che il disposto di questa seconda proposizione non possa riferirsi che all’esercizio della libertà di stampa. Pertanto propone di modificare la proposizione nel modo seguente: «È vietato assoggettare l’esercizio della libertà di stampa ad autorizzazioni o censure».

MASTROJANNI dichiara di non comprendere l’obiezione fatta dall’onorevole Dossetti, rilevando come la parola «assoggettarne» si riferisca indubbiamente al diritto.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Mastrojanni che mentre nella prima parte dell’articolo, già approvata, si dice che è garantito il diritto di espressione dei propri pensieri ed opinioni non solo a mezzo della stampa ma anche attraverso qualsiasi altro mezzo di espressione, nell’ultimo capoverso dell’articolo si dice che la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa. Questa è la contraddizione rilevata dall’onorevole Dossetti.

MARCHESI osserva che, con la proposta dell’onorevole Dossetti, si viene ad assoggettare ad autorizzazione e censura il diritto di espressione con mezzi differenti dalla stampa.

DOSSETTI dichiara che non intendeva entrare nel merito della questione. Obbiettava solo che nell’articolo, così come è stato proposto dai Relatori, la formulazione è inaccettabile, perché vi è un contrasto tra l’affermazione generale: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure» e quanto si dice nell’ultimo capoverso, nel quale si stabilisce che «solo la legge può limitare le manifestazioni di pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa».

Evidentemente gli estensori dell’articolo pensavano che alla stampa non debba essere posto l’obbligo di autorizzazioni o censure, le quali invece potrebbero essere disposte dalla legge per altri mezzi di espressione quali, ad esempio, la radiofonia o il cinema.

MARCHESI ripete la sua preoccupazione che gli altri mezzi di espressione del pensiero possano essere assoggettati a quelle limitazioni preventive che non si ammettono per le manifestazioni della stampa.

MORO fa osservare che, nel testo dell’articolo in discussione, tali limitazioni vengono giustificate in una proposizione messa tra parentesi. In essa si dice appunto che queste limitazioni hanno per scopo la tutela della pubblica moralità in vista specialmente della protezione della gioventù.

MARCHESI propone che la votazione dell’articolo non sia fatta proposizione per proposizione, poiché ritiene che le proposizioni siano talmente tra loro collegate da poter indurre ad approvare una cosa che può essere in contraddizione formale con quello che si dice in un altro capoverso. In particolare chiede che la frase in discussione: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure» sia posta in votazione dopo che siano state approvate le altre parti dell’articolo.

DOSSETTI fa osservare che le preoccupazioni dell’onorevole Marchesi saranno risolte in sede di discussione e di approvazione dell’ultimo comma dell’articolo, nel quale si stabilisce che per gli altri mezzi di espressione è consentita la limitazione preventiva.

Comunque ritiene che la correzione formale da lui proposta debba essere accolta per una ragione sistematica, e cioè perché tutto quello che segue ha riflesso solamente per la stampa, ad eccezione della norma finale che riguarda gli altri mezzi di espressione.

PRESIDENTE propone che si tengano nettamente distinte le due espressioni del pensiero: quella della stampa prima, quella degli altri mezzi dopo, ad evitare che sorga il pericolo di confusione. Occorre dire in principio che l’esercizio della libertà di stampa è garantito a tutti; poi si parlerà degli altri mezzi di espressione ed anche per quelli si potrà fare un’affermazione di carattere generale.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla proposta del Presidente, anche perché ben diversa è la situazione che deve essere fatta alla libertà di espressione del proprio pensiero attraverso la stampa, e quella che potrebbe essere fatta alla libertà di espressione con altri mezzi. La stampa è un mezzo di espressione del pensiero individuale e personale, mentre, ad esempio, il cinema è inevitabilmente il risultato di un pensiero collettivo. Già per questa distinzione, dunque, può prospettarsi la possibilità di una diversa disciplina.

Vi è poi un’altra differenza di fatto. La stampa è mezzo immediato di comunicazione, ma rispetto soltanto ad un soggetto passivo, che voglia assoggettarsi a ricevere l’espressione del pensiero altrui. Altri mezzi di comunicazione del pensiero sono invece tali da costringere l’individuo a trovarsi soggetto passivo di comunicazione, indipendentemente da una scelta più specifica, come può esser fatto per il libro o per il giornale. Si pensi alla radiofonia, e, per certe ipotesi, alla cinematografia. Ritiene quindi che si debba fare una enunciazione di carattere generale per quanto riguarda le manifestazioni del pensiero attraverso la stampa, dicendo che il diritto di espressione mediante la stampa è garantito a tutti, ed aggiungere subito dopo il divieto di assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni e censure. Poi si può fare la stessa affermazione per gli altri mezzi di espressione, dicendo: «Il diritto di esprimere il proprio pensiero con altri mezzi è pure garantito a tutti» e facendo seguire quelle garanzie e quelle limitazioni che è necessario porre a tutela della moralità ed a protezione della gioventù, come si dice nell’ultimo comma.

MARCHESI si dichiara d’accordo con l’onorevole Dossetti, facendo presente che non soltanto il cinema è mezzo di espressione del pensiero, ma possono essere considerate come tali tutte le forme dell’arte.

BASSO, Relatore, dichiara di dissentire dall’onorevole Dossetti, perché ritiene opportuna un’affermazione generale, senza fare distinzione fra la stampa e gli altri mezzi di espressione. Se può ammettere che si debbano sottoporre i mezzi di espressione del pensiero diversi dalla stampa ad una diversa disciplina, soprattutto in considerazione della diversa tecnica di espressione, ritiene però necessario mettere in evidenza che si fratta comunque di una eccezione, ma che il principio generale della libertà vale per tutti i mezzi di espressione.

Insiste pertanto perché sia conservata la formula così come è stata espressa nella relazione, facendo presente che la sostanza della formula stessa è tratta dalla relazione dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE dichiara che la Commissione è d’accordo sul principio che, prima dell’ultimo comma, si debba ripetere la stessa affermazione concreta di libertà per le altre manifestazioni del pensiero con mezzi diversi dalla stampa. La distinzione proposta ha il solo scopo di dare una sistemazione più chiara e definitiva all’articolo, e parte dalle considerazioni che l’esercizio della libertà di stampa è soggetto a limitazioni diverse da quelle che potranno essere disposte per gli altri mezzi di espressione del pensiero.

BASSO, Relatore, chiarisce il suo pensiero nel senso che potrebbe accettare la proposta dell’onorevole Dossetti, ma è contrario a disgiungere completamente le due ipotesi.

Lascerebbe, perciò, intatta la prima proposizione. Per quanto riguarda la seconda proposizione, ritiene giusta l’osservazione fatta dall’onorevole Marchesi circa l’opportunità di lasciarla in sospeso, e di riprenderla in esame quando si sarà approvato l’ultimo comma.

DE VITA osserva che l’articolo in discussione ha più il carattere di un articolo di regolamento, che di un articolo costituzionale. In esso è contemplata una casistica che non può far parte di una Costituzione. Ritiene necessario trovare una formula più sintetica.

PRESIDENTE prega l’onorevole De Vita di voler indicare questa formula, e gli ricorda quella: «la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi» dello Statuto Albertino, estremamente concisa ma non tale, a suo avviso, da garantire in modo esauriente il diritto alla libertà di stampa.

DE VITA osserva che le libertà costituzionali non possono essere garantite soltanto dai singoli articoli della Costituzione. Se la Costituzione è rigida, si deve presupporre che deve esserci anche una Corte costituzionale. Non si possono disciplinate minuziosamente i casi eventuali di abuso di diritto.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di porre una questione pregiudiziale, analoga a quella fatta dall’onorevole De Vita. Ritiene che in tema di statuto non si possa presentare un articolo come quello in discussione. È assolutamente ripugnante al criterio legislativo che in uno statuto si faccia tutta una casistica, distinguendo la manifestazione del pensiero fatta attraverso la stampa da quella fatta con altri mezzi, e si dica quando e come essa possa essere limitata, specificando i casi di violazione delle norme amministrative, i casi di reato o di esecuzione di una sentenza. A tutto ciò dovrà provvedere la legge sulla stampa. Il legislatore deve avere dalla Commissione l’indicazione unica e sintetica che la libertà di stampa e di ogni altro mezzo di manifestazione del pensiero è garantita a tutti.

Per conseguenza, unitamente all’onorevole Mancini, propone che l’articolo sia formulato in questo modo: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge, anche se le manifestazioni del pensiero siano fatte con mezzi differenti dalla stampa».

CARISTIA fa osservare che i Relatori, con le loro specificazioni, alle volte minuziose, hanno voluto segnare una via ai criteri che dovrà seguire la legge sulla stampa, che certamente sarà più particolareggiata, ma alla quale si deve assegnare un limite ed un obiettivo preciso.

È del parere che l’articolo, così come è stato formulato dai Relatori, abbia la sua ragione d’essere.

CEVOLOTTO osserva che quanto ha detto l’onorevole Lombardi è giusto in linea generale. Ma nel caso particolare della libertà di stampa si deve tener conto, nella presente situazione, delle violazioni alla libertà di stampa perpetrate durante il fascismo. Quindi la necessità di accentuare determinati divieti di limitazioni, perché deve essere ben chiaro che ai sistemi restrittivi della libertà di stampa non si può tornare. Se ci si limitasse al rinvio alla legge, ci sarebbe il pericolo che le leggi speciali, sotto varie forme, imponessero qualcuna di quelle limitazioni che si vogliono per sempre abolire.

L’articolo così come è formulato dai Relatori si propone di evitare due pericoli: che vi siano censure o autorizzazioni preventive, che indubbiamente annullerebbero praticamente la libertà di stampa e, in secondo luogo, che non vi sia la possibilità da parte del potere esecutivo di sequestrare, sotto il pretesto di un reato, di una violazione di qualche norma particolare, il giornale quando è uscito.

Infatti, in mancanza della censura, questo potrebbe essere il mezzo per violare la libertà di stampa. Ed è bene pertanto che questo principio sia contenuto nella Costituzione: siano indicati cioè i criteri generali che limitano il sequestro.

A tale proposito fa osservare che il secondo comma dell’articolo comincia nei seguenti termini: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi, ecc.». Ritiene che questa parte dell’articolo sia sovrabbondante e dichiara di essere ad essa contrario nel merito. Sostiene che in nessun caso, neanche di assoluta urgenza, deve esser lasciato agli ufficiali di polizia giudiziaria il compito di eseguire il sequestro. Per queste ragioni domanda la soppressione della seconda parte dell’articolo.

PRESIDENTE prega l’onorevole Cevolotto di riservare le sue osservazioni al momento in cui sarà preso in esame il punto che riguarda la stampa periodica.

MASTROJANNI esprime il parere che l’articolo così come è stato predisposto, se per il contenuto è apprezzabilissimo, per la sua forma eccessivamente analitica non si addice allo stile di una Carta costituzionale.

Propone che l’articolo venga formulato nella seguente maniera:

«Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti. È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure. Il sequestro o il divieto può essere disposto soltanto dalla autorità giudiziaria nei casi espressamente specificati dalla legge penale».

Ritiene che con questa formula si possano eliminare gli abusi, in quanto che, riferendosi alle leggi penali, si evita che venga introdotto nella legge di pubblica sicurezza il diritto di sequestro per motivi diversi da quelli precisati dalla legge penale. Il sequestro nei casi previsti dalla legge penale è sempre consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria quando si ravvisi nell’oggetto un corpo di reato o qualche cosa che è necessario sia sottoposto all’esame dell’autorità giudiziaria. Qualunque sia la formula che si potrà adottare, non si potrà mai eliminare l’inconveniente del sequestro, perché gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno l’obbligo di sequestrare tutto quello che a loro avviso costituisce corpo di reato.

Riferendosi solamente alle leggi penali, e precisando che il sequestro può avvenire soltanto nei casi previsti dalle leggi penali, tutti gli abusi potranno essere eliminati.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Mastrojanni.

La questione della legge penale lo ha sempre preoccupato, in quanto egli ha sempre dubitato che si possa parlare di reato politico. Per l’oratore esiste solo il reato; ma purtroppo nella legislazione si configurano anche i reati politici. Con la formula dell’onorevole Mastrojanni ci si richiama alla legge penale, cioè si comprende anche quello che in una determinata legge penale, che è legge ordinaria e quindi mutevole, è configurato come reato. Si ricade quindi proprio in quella situazione che si vorrebbe evitare. D’altra parte se si accetta il concetto che si possano fare dei sequestri preventivi (dato che per l’oratore preventivi sono tutti quei sequestri che non avvengono in base ad una sentenza) per violazione di norme amministrative, per reati non politici, si ricade nella distinzione fatta prima. Verrà data così al potere esecutivo una forza enorme, e nulla impedirà al potere esecutivo di fare delle norme tali che si possano prestare all’arbitrio.

Ritiene che il sequestro o il divieto possa essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria per l’esecuzione di una sentenza. Vuol dire che si potrà trovare una procedura più rapida per certi casi; ma non esiste un altro modo per ovviare all’inconveniente che altrimenti si verificherebbe, e sì è già verificato.

PRESIDENTE rileva che dalla discussione sono affiorati due criteri di carattere generale: quello dei Relatori, che si debba dare al legislatore una certa linea oltre la quale non può andare, e quello espresso dall’onorevole Mastrojanni e da altri di rinviare alla legge qualunque limitazione della libertà di stampa. Propone che, senza sottoporre a votazione la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, sia votato soltanto il criterio che la ispira.

MORO dichiara di ritenere che una votazione in questa forma sia pericolosa. È convinto che molti degli oratori che hanno preso posizione in favore di una formula generica, qualora fossero chiamati a considerare le singole proposizioni proposte dai Relatori si accorgerebbero dell’assoluta impossibilità di evitare una regolamentazione precisa e della necessità di dare soddisfazione a delle esigenze che possono consigliare a un certo momento il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. Pertanto propone di esaminare singolarmente i punti, e attraverso questo esame giungere ad una formulazione diversa.

PRESIDENTE domanda agli onorevoli Mastrojanni, Mancini e Lombardi se, accogliendo la proposta dell’onorevole Moro, consentono che la discussione prosegua sui singoli punti.

MASTROJANNI, MANCINI e LOMBARDI GIOVANNI dichiarano di accettare la proposta dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE pone in discussione la proposizione seguente a quella già discussa: «Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria». Poiché si tratta di una proposizione di carattere generale, la mette ai voti.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non può approvare questo principio, perché è la legge speciale che deve decidere su tutto.

(La formula è approvata all’unanimità meno uno).

PRESIDENTE pone in discussione la proposizione che segue: «nei casi: a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO osserva che le norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto possono diventare onnicomprensive e giustificare qualsiasi arbitrio. Non ritiene che in caso di violazione di norme amministrative, ma senza una sentenza del magistrato, si possa procedere al sequestro.

BASSO, Relatore, chiarisce che in questo caso si fa riferimento all’ipotesi che esca un giornale senza che vi sia l’indicazione del gerente responsabile. Se non si ammette che si possa procedere al sequestro quando non sia indicato questo gerente responsabile, si annulla tutta l’importanza che deve avere l’esistenza del gerente responsabile. La norma in esame è stata introdotta in riferimento a questo caso specifico, e una discussione in proposito avvenne in sede di Commissione costituzionale, alla quale partecipavano membri che riflettevano tutte le opinioni politiche. L’ipotesi prevista nella norma in esame era stata accettata da tutti.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Lucifero in linea di principio, ma per quanto riguarda le sue conclusioni fa delle eccezioni. Si è detto che il sequestro può essere disposto dall’autorità giudiziaria. L’onorevole Lucifero probabilmente proporrà di aggiungere che questo sequestro deve avvenire solo in esecuzione di una sentenza. L’oratore invece ritiene che non sia il caso di aggiungere: «in esecuzione di una sentenza» o «per violazione delle norme amministrative», ma che occorra restare fermi ai principî che il sequestro potrà essere disposto dall’autorità giudiziaria e non dire altro.

Ritiene che questa sia una garanzia sufficiente.

LUCIFERO rileva che l’articolo deve ritenersi diviso in due parti: una prima riguardante la stampa in generale, una seconda riguardante la stampa periodica. Quindi la limitazione di cui ha fatto l’esempio l’onorevole Basso non si riferisce alla stampa in generale, ma alla stampa periodica. Infatti, per quanto riguarda i libri, non si può parlare di gerente responsabile, ma caso mai dell’obbligo del nome del tipografo che è responsabile della pubblicazione. La questione del gerente è contemplata invece nella seconda parte dell’articolo che si riferisce alla stampa periodica.

Non ha nessuna difficoltà ad ammettere che si possa stabilire dalla autorità giudiziaria il sequestro di una pubblicazione anonima, in cui cioè non è scritto nemmeno il nome del tipografo. Ma, se le cose stanno così, la formulazione proposta, «norme amministrative», è troppo vasta ed egli è del parere che debba essere sostituita da un’altra in cui si precisi il caso in cui non sia indicato il nome dello stampatore. Ritiene insomma che sarebbe opportuno non parlare mai di norme amministrative genericamente, senza dare specificazione del loro contenuto.

MANCINI dichiara di voler profilare una questione giuridica: o il sequestro si ammette o non si ammette. Se non si ammette si può essere d’accordo con ciò che ha detto l’onorevole Lucifero; se si ammette non si può pretendere una sentenza di magistrato per eseguirlo, perché altrimenti si cade in un assurdo giuridico. Il magistrato, se riscontrerà in una qualsiasi pubblicazione il reato, ha il dovere di far sequestrare il corpo del reato rappresentato dalla pubblicazione; ma questo sequestro non può essere disposto dalla sentenza, deve essere anteriore per la semplice ragione che il ritardo lo renderebbe di nessun effetto.

BASSO, Relatore, ritiene che non si possa escludere il sequestro, altrimenti si renderebbe omaggio ad un principio astratto e ingiusto. La libertà comporta sempre una responsabilità. Chi vuole avere la libertà deve assumersi la responsabilità degli atti che può compiere; quindi le pubblicazioni che non rispettano questa disposizione (quando cioè si omette il nome del gerente, oppure quando esce un libro senza indicazione dello stampatore) portano alla negazione della responsabilità e allora non si può riconoscere per esse la libertà, dato che si è ammesso il principio che la libertà è connessa con la responsabilità.

Fa presente all’onorevole Lucifero che la distinzione cui egli ha accennato non riguarda la stampa periodica e non periodica, ma riguarda il caso del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria. Per la stampa periodica ci può essere, come subordinata, il motivo di urgenza; ma se ci si rimette all’autorità giudiziaria, nel caso di un giornale che esce giornalmente, non si arriverebbe in tempo ad effettuarne il sequestro.

Ecco perché è stato introdotto l’obbligo della denuncia all’autorità giudiziaria entro le 24 ore. Questo obbligo delle 24 ore è una formula nuova contenuta anche in altre Costituzioni.

DOSSETTI si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso.

PRESIDENTE fa presente che, fermo il principio che il sequestro non può essere disposto che dall’autorità giudiziaria, resta ora da discutere l’esemplificazione dei casi di sequestro. Pone perciò in discussione il comma: «a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LA PIRA, Relatore, si associa a quanto ha dichiarato in proposito l’onorevole Basso.

LUCIFERO presenta un emendamento sostitutivo così formulato: «a) di mancanza dell’indicazione dello stampatore e, nel caso di stampa periodica, del gerente responsabile».

LA PIRA e BASSO, Relatori, dichiarano di accettare la proposta dell’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE propone di migliorare la dizione dicendo: «a) di mancata indicazione dello stampatore e, nel caso della stampa periodica, del gerente responsabile».

MARCHESI ritiene migliore la formula: «di mancanza del nome del gerente responsabile per la stampa periodica e, nel caso di altra stampa, di quello dello stampatore».

PRESIEDENTE osserva che si potrebbe, per il caso che riguarda il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria relativo alla stampa periodica, limitatamente al caso della mancanza dell’indicazione dello stampatore, fare un apposito richiamo in sede propria quando si parlerà della stampa periodica stessa.

CEVOLOTTO fa osservare che si tratta di una ipotesi distinta.

LUCIFERO precisa che la norma riferentesi al sequestro da parte della autorità giudiziaria riguarda la stampa periodica e non periodica. Per la stampa non periodica si stabilisce sempre la necessità che vi sia il nome dello stampatore; mentre per quella periodica è stabilito che vi sia sempre il nome del gerente responsabile. Nella seconda parte dell’articolo, si tratta di provvedimenti di urgenza presi dalla polizia giudiziaria. È un altro argomento che dovrà essere discusso in un secondo tempo, poiché si tratta di casi specifici diversi. Qui si tratta di porre un principio generale. Questa è la sede della limitazione, salvo poi a discutere gli altri casi.

Mantiene quindi la dizione proposta.

MORO esprime il dubbio che la formula proposta dall’onorevole Lucifero per il sequestro di polizia sia troppo limitativa per l’autorità giudiziaria. Pensa che ci si potrebbe trovare di fronte ad altri casi di violazione delle norme amministrative che non siano quello dell’omissione del nome dello stampatore o del gerente. Accetta il principio di porre dei limiti al sequestro preventivo, ma, per quanto riguarda l’autorità giudiziaria, teine che il limite possa essere troppo ristretto di fronte a possibili violazioni di altre norme.

LUCIFERO fa notare all’onorevole Moro che vi è per questo un successivo comma c) e che il sequestro che in questi casi dispone l’autorità giudiziaria, in base ad una cognizione sommaria della mancanza alla disposizione di legge, non influisce su quelle altre violazioni per le quali potrà emanarsi una sentenza.

DOSSETTI ritiene che forse converrebbe omettere questo complicato disposto dei comma a), e passare direttamente alle ipotesi dei comma b) e c), cioè ai reati e all’esecuzione di una sentenza. Le previsioni che si vogliono configurare nel comma a) interessano di più il sequestro preventivo.

MANCINI ritiene che l’espressione «norme amministrative» sia l’espressione più precisa e più comprensiva, la quale non può suscitare nessuna preoccupazione, specialmente quelle di cui si rende interprete l’onorevole Lucifero. Nella formula «norme amministrative» non può che essere inclusa la mancanza del nome dello stampatore e del gerente responsabile. Sono queste le violazioni di norme amministrative. È da tener presente però che nelle norme attualmente in vigore non si parla più di «gerente responsabile» ma di «redattore responsabile».

Ci potrebbero anche essere altre norme amministrative, che in questo momento non ci vengono alla mente, ma che non si devono escludere, perché potrebbero rappresentare violazioni notevoli.

Propone perciò che l’espressione usata dai Relatori nella stesura del comma ai debba rimanere così come è, perché comprensiva diogni ipotesi.

PRESIDENTE domanda ai Relatori se mantengono la formula da loro proposta.

BASSO, Relatore, dichiara di rimettersi alla decisione della Commissione.

LA PIRA, Relatore, dichiara di mantenere la sua proposta per le ragioni esposte dall’onorevole Mancini. Richiama l’attenzione della Commissione su un punto della relazione Mortati, in cui si dice che è stata esaminata la opportunità di includere nella Costituzione l’obbligo per la stampa periodica della pubblicazione dei bilanci.

Come si vede, sono già previste altre norme di carattere amministrativo.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero di sostituire il comma a) con il seguente:

«a) di mancata indicazione dello stampatore e, nel caso di stampa periodica, del redattore responsabile».

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di astenersi per le ragioni già dette.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli, 11 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori:

«a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO dichiara che voterà contro la formula proposta dai Relatori perché ritiene che essa possa dare adito a molteplici arbitri.

CEVOLOTTO si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Lucifero.

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione la seconda ipotesi nella quale l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro. Essa è così formulata dai Relatori: «b) di reati (non politici) per i quali la legge stabilisca il sequestro».

BASSO, Relatore, spiega di avere chiesto che le parole «non politici» fossero messe tra parentesi perché in sede teorica sarebbe senz’altro d’accordo, ma ha delle preoccupazioni di carattere contingente. Si attraversa un periodo nel quale veramente è molto importante poter disporre il sequestro di pubblicazioni in caso di determinati reati politici. Vi è tutto un parlare di stampa fascista, nei confronti della quale è stato chiesto al Governo di stabilire norme a disciplina e tutela che non siano quelle del confino che non si può ammettere. Queste sono le ragioni per cui, nel momento attuale, non ritiene di escludere dal sequestro il caso dei reati politici.

LOMBARDI GIOVANNI domanda quale è la legge che deve stabilire il sequestro.

MORO risponde che è la legge sulla stampa.

LOMBARDI GIOVANNI osserva allora che tanto vale rinviare tutto alla legge sulla stampa.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mancini propone di aggiungere alla parola: «la legge» le altre «sulla stampa».

BASSO, Relatore, dichiara di accettare l’aggiunta.

LUCIFERO osserva che dire «legge sulla stampa» o dire «legge» è la stessa cosa. Riallacciandosi a quanto ha detto prima, e che prima di lui ha detto l’onorevole Cevolotto, propone che il comma b) sia soppresso. Ammesso che si voglia accettare una distinzione, che egli non accetta, tra reato politico e reato non politico, fa osservare che il reato viene stabilito soltanto da una sentenza. Dichiara di non poter accettare questa condanna preventiva. Ritiene opportuno pertanto sopprimere tutto il comma.

CEVOLOTTO dichiara di temere che si cominci ad ammettere, attraverso il rinvio alla legge speciale, la possibilità di eccezioni ad un principio che è stato affermato. Queste eccezioni, nel pensiero della Commissione, riguardano alcuni casi specifici nei quali tutti riconoscono che una limitazione alla libertà di stampa sia necessaria, specialmente in certi casi macroscopici. Ma se si lascia aperta questa via, si apre anche la via a tutti gli arbitrî. La libertà di stampa è un principio che o si ammette senza eccezioni anche avvertendo i pericoli che ci sono e per i quali bisognerà trovare altri mezzi che non siano la limitazione alla libertà di stampa o non si garantisce efficacemente.

MASTROJANNI ricorda la formulazione in precedenza proposta e fa presente che basterebbe dire: «legge penale».

CEVOLOTTO osserva che legge penale è anche l’articolo della legge sulla stampa che definisce un determinato reato. Con tale dizione si lascerebbe al legislatore che farà la legge sulla stampa che potrà avere principî diversi da quelli che ispirano la Commissione la possibilità di creare tali reati di stampa attraverso i quali egli annulli la libertà di stampa col metodo del sequestro.

Dichiara di condividere le preoccupazioni espresse dall’onorevole Basso e da altri oratori, ma ritiene che in materia di libertà di stampa non vi sia possibilità di limitazione, che è sempre pericolosa.

È d’avviso che l’intero comma b) debba essere soppresso senza sostituirlo con altro.

BASSO, Relatore, dichiara di non capire come si possa escludere il sequestro in caso di reati: si andrebbe infatti contro i principî generali. Osserva che se si ammette che una pubblicazione possa costituire un reato, non si deve, lasciandola in circolazione, favorire la continuazione del reato. Si arriverebbe all’assurdo di mandare in prigione l’autore e di lasciare il libro in circolazione.

PRESIDENTE osserva che i reati sono previsti dalla legge penale e dalla legge sulla stampa, la quale indica i reati soggetti a particolari sanzioni.

MANCINI rileva una contraddizione con quanto si è finora affermato. Si è cercato di evitare ogni possibilità di intervento della pubblica sicurezza perché sembrava che la presenza di essa fossa foriera di arbitrio, e si era demandata perciò la potestà all’autorità giudiziaria immune da ogni sospetto di arbitrio. Ora invece si prospetta la possibilità che arbitrî possano essere commessi anche dall’autorità giudiziaria. La qual cosa è per lo meno difficile. Fa presente che oggi la democrazia ha bisogno di difendersi e di non darsi, mani e piedi legati, agli attentatori. Ritiene, quindi, che l’apprensione di cui ha parlato l’onorevole Basso sia doverosa per coloro che appartengano a partiti democratici.

PRESIDENTE fa presente che si tratta soltanto di stabilire se, una volta constatato un reato, sì debba addivenire al sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.

MARCHESI osserva che c’è la sentenza, la quale deve constatare il reato.

MANCINI replica che la magistratura, riscontrando il profilo di un reato, non può che sequestrare preventivamente la pubblicazione, perché essa rappresenta il corpo del reato.

BASSO, Relatore, domanda perché, se si è concesso all’autorità giudiziaria, e in certi casi perfino all’autorità di pubblica sicurezza, di privare della libertà personale un uomo, si trovino ora delle difficoltà nel privare della libertà un libro.

MARCHESI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Lucifero perché ritiene che il reato debba essere accertato da una sentenza.

LA PIRA, Relatore, fa rilevare che l’onorevole Marchesi afferma la necessità, perché vi sia un reato, che una sentenza lo accerti. Ma quando il giudice inquirente si trova in presenza di un reato, senza che una sentenza lo abbia ancora definito tale, deve agire ed emettere degli atti fra i quali c’è anche il sequestro.

PRESIDENTE osserva che il potere di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria è sempre basato su una presunzione di reato, altrimenti non si farebbe mai luogo a sequestro.

LUCIFERO dichiara di insistere sulle sue argomentazioni, perché la questione della stampa è assai delicata, principalmente nei confronti degli scrittori d’avanguardia, non solo nel campo culturale, scrittori d’avanguardia che sono considerati ribelli rivoluzionari che invitano al disordine. Occorre evitare che la legislazione provveda a turare la bocca a chi dice le proprie idee, prima ancora che la magistratura, con una sentenza, abbia dichiarato che si tratta di reato. Né ritiene che di fronte a questi casi si possa invocare una specie di flagranza di reato.

Non può, pertanto, accettare il principio espresso dai Relatori, facendo presenti i pericoli di una legge del genere posta in mano ad individui faziosi.

PRESIDENTE fa osservare che si tratta in ogni caso di magistrati.

CEVOLOTTO osserva che il sequestro preventivo ha lo scopo o di assicurare la materialità, il corpo del reato, o di assicurare una situazione che potrebbe, svolgendosi o continuando a svolgersi, modificarsi in senso da rendere più difficile la restitutio in integrum, o renderla impossibile mentre è ancora possibile intervenire a difesa.

CORSANEGO fa presente che il sequestro ha anche lo scopo di impedire che il reato continui.

CEVOLOTTO replica che non si ha ancora, in questa fase, certezza del reato. Invece, se si sequestra un libro, si dà già esecuzione a quella che potrà essere una sentenza ed a quella che sarà una pena, sia pure accessoria, ma principale e più essenziale conseguenza dell’accertamento del reato. L’accertamento del reato porterà, evidentemente, come sanzione principale, a parte le sanzioni personali, verso l’autore la soppressione del libro. Invece, seguendo la proposta dei Relatori, si prevede il sequestro, come se il reato fosse già accertato.

PRESIDENTE osserva che vi è un’analogia con la detenzione preventiva.

CEVOLOTTO fa presente che la detenzione preventiva è disposta in quanto l’uomo può fuggire.

MANCINI ricorda all’onorevole Cevolotto che vi è una disposizione del Codice penale di rito, la quale impone il sequestro preventivo ordinato dall’autorità giudiziaria per evitare la dispersione delle tracce del reato.

Si pubblica un libro e il magistrato vi riscontra nelle pagine un reato; ma se non lo sequestra, vi sarà la possibilità che le tracce di esso si disperdano o spariscano studiatamente.

CEVOLOTTO osserva che è sufficiente che la magistratura venga in possesso di una copia del libro.

PRESIDENTE prospetta il caso che non sia possibile avere questa copia e che il libro si diffonda clandestinamente.

Riassume quindi la discussione e mette ai voti la proposta di soppressione pura e semplice del comma b).

(La proposta è respinta con 3 voti favorevoli e 9 contrari).

Mette ai voli il comma b) nella seguente formulazione: «b) di reati per i quali la legge stabilisce il sequestro»; avvertendo che sarà poi votata l’aggiunta «non politici».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’una e contro l’altra formula, perché ritiene che il comma b) possa introdurre nella nostra legislazione la possibilità dell’arbitrio.

Richiama l’attenzione della Commissione sull’opportunità che non si parli di reati politici.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la formula messa in votazione perché ritiene che, in una futura Camera che fosse orientata in senso differente dalla democrazia, si potrebbe, attraverso il sequestro ordinato dalla legge sulla stampa, stabilire qualunque arbitrio in materia di libertà della stampa.

MARCHESI dichiara che voterà contro per le stesse ragioni addotte dall’onorevole Cevolotto.

MORO dichiara di votare a favore della formula, perché ritiene che non sì possa togliere all’autorità giudiziaria il potere istituzionale che tende ad impedire la cristallizzazione e, per così dire, la continuazione del reato di cui si tratta.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 3 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta «non politici» dopo le parole «i reati».

LA PIRA, Relatore, dichiara che, quando compilò l’articolo insieme con l’onorevole Basso, fu incerto se introdurre o meno la espressione «non politici». L’onorevole Basso osservò che, data la situazione attuale, la quale rende necessario il colpire quei giornali che mettono in pericolo la democrazia, era bene non introdurre nella formula l’espressione «non politici». Osserva che se però si rovescia il punto di vista, specificando il reato «non politico», viene garantita una maggiore libertà di stampa.

DOSSETTI ritiene opportuno riflettere meglio prima di prendere una decisione.

BASSO, Relatore, insiste per l’abolizione dell’inciso «non politici».

MANCINI fa presente che i partiti di sinistra vogliono una legge sulla stampa, poiché intendono reprimere il pullulare di giornali fascisti che sferrano i loro velenosi attacchi contro la democrazia e gli uomini migliori di essa. Coerentemente a questo principio informatore di legittima difesa della vera democrazia, dichiara che voterà per la soppressione dell’espressione «non politici».

DOSSETTI dichiara che sarebbe favorevole all’abolizione dell’inciso, ma domanda agli onorevoli. Basso e Mancini come potrebbero superare l’obbiezione sollevata dall’onorevole La Pira per il caso che la situazione si invertisse.

BASSO, Relatore, dichiara che preoccupazione fondamentale deve essere la difesa della democrazia e della Repubblica. Si è verificato il caso di un giornale che fa l’apologia del fascismo, ed è stato chiesto al Governo quali provvedimenti era in grado di prendere contro di esso. È stato risposto che non esiste alcun provvedimento all’infuori di quello di mandare al confino il direttore. Ora tale provvedimento sembra ingiusto all’oratore, mentre sarebbe giusto che l’autorità giudiziaria avesse la possibilità di proibire al direttore di fare uscire il giornale. Pertanto si deve avere subito la possibilità di non far uscire un giornale. Superato il momento eccezionale, questa norma potrebbe essere certamente pericolosa. A ciò si potrà ovviare in sede di legge sulla stampa, stabilendo che il provvedimento si può applicare solo in casi determinati. Non ritiene di poter accedere oggi ad una norma costituzionale la quale stabilisca che il sequestro può essere ammesso solo per i reati non politici.

DOSSETTI dichiara di propendere nettamente per la tesi dell’onorevole Basso, perché ritiene che la situazione sia grave. Però nutre il timore che si lasci aperta la porta ad una legge ispirata a criteri diversi da quelli che si vorrebbe fossero applicati in sede legislativa. Ciò porterebbe a conclusioni veramente pericolose.

Domanda all’onorevole Basso se le esigenze repressive della stampa neo-fascista non gli sembrerebbero garantite quando, indipendentemente dal sequestro preventivo, ci fosse una legge sulla stampa veramente efficace ai fini della repressione stessa legge la quale configurasse come reato le attività di propaganda neo-fascista e consentisse quindi, in senso repressivo e non preventivo, di colpire la stampa medesima.

MANCINI fa osservare che la limitazione di cui si parla non dà la possibilità alla legge di fare quello che vuole, ma consente invece la possibilità allo Stato repubblicano democratico di difendere le sue libertà così aspramente conquistata. Una democrazia che consente la libertà di soffocare le vere libertà democratiche non può essere concepita. Fu proprio la imbelle democrazia Giolittiana che consentì, senza difenderci, la scalata infausta dei fascismo. L’esperienza dove pur giovare a qualche cosa.

DOSSETTI dichiara che voterà a favore del mantenimento dell’inciso «non politici», intendendo che all’esigenza da tutti sentita e da lui condivisa di un’energica e pronta repressione della stampa fascista si debba soddisfare in sede di legge sulla stampa, la quale potrà configurare il reato di apologia del fascismo.

MARCHESI dichiara che non voterà la formula, ma che, se dovesse votarla, non accetterebbe l’inciso «non politici», perché sotto il titolo della parola «politici» è possibile in ogni tempo ogni lesione dei diritti.

PRESIDENTE mette ai voti l’inserimento nel comma b) già approvato dell’inciso: «non politici».

(Non è approvato – Voti favorevoli 2, voti contrari 8, astenuto 1).

Mette ai voti il comma c): «di esecuzione di una sentenza».

(È approvato all’unanimità).

Pone in discussione l’altra proposizione:

Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto:
  2. b) di pubblicazioni oscene;
  3. c) di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo.

In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria.

Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative, idonee a garantire la fede pubblica.

«Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della gioventù».

CEVOLOTTO ricorda di aver già proposto di sopprimere senz’altro tutto questo capoverso. Infatti, dato che il sequestro preventivo può essere disposto dall’autorità giudiziaria, niente vieta che nelle leggi particolari si stabilisca la procedura più rapida e immediata possibile. Ritiene perciò necessario lasciare almeno la garanzia che in tutti i casi sia l’autorità giudiziaria ad ordinare il sequestro, e non si dia adito alla possibilità di arbitrio da parte dell’autorità di polizia attraverso una presunta urgenza che in molti casi potrebbe anche non esservi. Se si offre la possibilità dell’intervento ad ogni ufficiale di polizia giudiziaria, attraverso l’urgenza o il caso impellente, si mette nelle mani dell’autorità di polizia il sequestro preventivo della stampa periodica. Si tratta di un provvedimento di estrema gravità, sulle cui conseguenze egli invita la Commissione a riflettere.

LUCIFERO si associa all’onorevole Cevolotto nelle sue considerazioni e nel proporre la soppressione completa di questa parte dell’articolo. Osserva che già nella prima parte sono stati allargati notevolmente i poteri della autorità giudiziaria, e non vede come si possano allargare anche i poteri della autorità di polizia giudiziaria.

DOSSETTI, data la complessità dei problemi in discussione e i notevoli dissensi manifestatisi, propone il rinvio della seduta a domani.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Dossetti di rinviare a domani la seduta.

(La proposta è approvata).

Comunica alla Commissione che l’onorevole Grassi ha fatto sapere di non poter intervenire alla seduta, per grave lutto di famiglia. È sicuro di interpretare il sentimento unanime della Commissione nell’esprimere all’onorevole Grassi i sensi delle più vive condoglianze.

(Segni di assenso).

La seduta termina alle 13.20.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Iotti Leonilde, Merlin Umberto e Togliatti.

MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

13.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Basso, Relatore – Marchesi – La Pira, Relatore – Lucifero – Moro – Lombardi Giovanni – mastrojanni – cevolotto – grassi – Mancini – Corsanego – De Vita – Caristia.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE riassume la discussione svoltasi durante la seduta precedente sull’articolo 2-ter concernente la questione dei titoli nobiliari. Ricorda che, in relazione alla proposta di una proposizione concernente l’abolizione pura e semplice dei titoli stessi – proposta che è stata respinta – vi sono proposizioni successive circa il divieto di poterne stabilire altri da parte della Repubblica, ed il destino da dare ai titoli nobiliari esistenti. Essendosi già svolta in proposito una lunga ed esauriente discussione, l’esame odierno da parte della Sottocommissione dovrebbe essere limitato a quei punti che possono chiamarsi alternativi o avversativi: o si ritorna sul proposito che non si debba parlare in nessun modo nella Costituzione di questa questione dei titoli nobiliari, o si ritiene comunque di poter definire la questione in sede di Costituzione dello Stato repubblicano.

Nel primo caso, ricorda che una votazione si è già avuta sulla proposta dell’onorevole Mastrojanni, che è stata respinta, ma che oggi potrebbe essere riproposta in altri termini. Nel secondo caso, occorrerà trovare una formula sulla cui sostanza tutti possano essere d’accordo. Per questo propone: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Su tale sua proposta apre la discussione.

BASSO, Relatore, intende rettificare qualche affermazione fatta da alcuni Commissari nella seduta precedente e che egli si è preoccupato di controllare.

È stato affermato che è intervenuta già una legge che ha abolito i titoli nobiliari fascisti. In realtà questa legge non è mai venuta.

Quanto alla dizione della Costituzione di Weimar, rileva che il testo della Costituzione stessa riporta esattamente l’espressione da lui usata nella sua proposta, e cioè: «I predicati («Beiname» nel testo originale tedesco) sono conservati, ma il titolo viene abolito».

Circa la proposta del Presidente dichiara che, così come è formulata, non può accettarla, perché dire che la concessione dei titoli nobiliari è vietata senza aggiungere altro, potrebbe essere interpretato come un riconoscimento dei titoli esistenti, cioè sarebbe una conferma costituzionale dei titoli esistenti.

MARCHESI ritiene che l’argomento di cui si discute sia tale che non possa essere taciuto in una Carta costituzionale.

Se d’altra parte questa Repubblica italiana, secondo uno spirito largamente democratico e cristiano, deve essere una Repubblica di lavoratori e se le qualità di spirito, di intelletto e di lavoro debbono essere considerate come la distinzione non massima, ma unica tra gli individui, non si rende ragione come un uomo quale l’onorevole La Pira, profondamente cristiano, abbia potuto pensare di mantenere, di imporre anzi, un vecchio e disusato manto a persone le quali magari, più tardi, faranno istanza per esserne liberate.

Dichiara di non poter in nessuna maniera accedere alla formula proposta dall’onorevole La Pira, la quale riuscirebbe irriverente verso le tradizioni nobiliari italiane, in quanto tende a mantenere, anzi a moltiplicare, un titolo e nello stesso tempo a svalutarlo.

Per quanto riguarda poi l’altra preoccupazione di cui si è fatto cenno, che non è opportuno cioè per la nuova Repubblica irritare la casta nobiliare, dichiara che molti altri motivi di irritazione si dovranno procurare ad altri ceti: si pensi a quanto potranno ritenersi colpiti il ceto industriale e i grandi proprietari di terre da talune deliberazioni che dovrà prendere l’Assemblea Costituente. Questo motivo di irritazione non può essere certamente un impedimento per il lavoro costituzionale.

Quanto poi alla casta nobiliare (salvando la stima che l’oratore professa per il collega onorevole Lucifero essa di solito non è stata molto amante, almeno nella sua maggioranza, delle libertà politiche; e l’oratore ricorda a tale proposito un episodio isolato, ma ad ogni modo tipico, che del resto fa onore alla franchezza dell’atto; ricorda cioè l’adesione che i nobili romani del Circolo della Caccia diedero al fascismo dopo il delitto Matteotti, in un momento in cui il fascismo perdeva numerose adesioni.

La casta nobilesca ha avuto la sua tradizione la sua importanza, ma in una Repubblica democratica rappresenterebbe un fenomeno di esaurita vitalità, e non sarebbe certo farle onore il mantenere un titolo senza valore, sopra tutto così diffuso e polverizzato come sarebbe con la formulazione dell’onorevole La Pira. Pertanto dichiara di accedere alla proposta dell’onorevole Basso.

LA PIRA, Relatore, dichiara di essere in parte d’accordo con l’onorevole Marchesi per quanto riguarda lo spirito democratico e cristiano cui ha accennato. Ma ritiene che la preoccupazione manifestata dall’onorevole Marchesi nei riguardi della possibilità che il predicato nobiliare si polverizzi nella discendenza, potrà essere eliminata integrando la formula in modo da evitare questo inconveniente. D’altra parte, lo spirito del cristianesimo vuole che si sia delicati con tutti; e, poiché esiste un titolo che è parte integrante di un nome, quasi un riflesso della personalità, il rispettare lo status familiare risponde a questo spirito di tolleranza cristiana.

LUCIFERO dichiara che l’affermazione fatta dall’onorevole Marchesi nei riguardi del Circolo della Caccia, Circolo a cui l’oratore si onora di appartenere, non risponde a verità. Se c’è stato nel periodo fascista un Circolo frondista, è stato proprio il Circolo della Caccia. Ricorda che il Conte Sforza, che ne faceva parte, fu sempre considerato suo membro anche quando egli si trovava all’estero e non poteva più pagare la quota di partecipazione. Il Circolo della Caccia è stato sempre completamente apolitico, non si è mai occupato di certe questioni, e, quando sono venute delle pressioni per fare espellere qualcuno dei suoi membri per motivi politici, ha opposto sempre un netto rifiuto.

MARCHESI dichiara che non intendeva menomare il Circolo della Caccia. Sa bene che questo Circolo ha respinto delle domande di ammissione di gerarchi fascisti che intendevano essere ammessi; ma ritiene che il rifiuto fosse dovuto alla gelosa custodia della nobiltà che non intendeva accogliere un patriziato improvvisato.

Egli si è riferito ad ogni modo ad un fatto singolo, che gli avvenne di leggere su un giornale, e che non poteva essere trascurato.

MORO propone una formula conciliativa nella quale si dica: «I predicati dei titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome». Si eviterebbe così un’espressione troppo tagliente e inutile dal punto di vista sostanziale della regolamentazione.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che l’onorevole La Pira e l’onorevole Moro insistono su una formula che mira ad onorare la tradizione, mentre è proprio questa tradizione che non si deve più mantenere. Se si parla di tradizione si entra nella storia, e l’Italia ha tutta una storia che si deve mantenere in onore: Carlo Pisacane, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini. Ispirandosi a questi grandi nomi, si resterà fedeli al vero spirito della Repubblica. Aggiunge di non comprendere perché si debbano abolire solo i titoli nobiliari, e non anche quelli cavallereschi i quali hanno un’origine monarchica.

MARCHESI fa osservare che, con l’abolizione dei titoli cavallereschi, si distruggerebbe la burocrazia.

LOMBARDI GIOVANNI replica che si potrà fare una burocrazia nuova. Insiste perché all’abolizione dei titoli nobiliari si aggiunga anche quella dei titoli cavallereschi.

In ogni caso, dichiara di ripiegare sulla formula dell’onorevole Basso.

MORO insiste nel proporre la formula che ha già presentato. Essa non fa che riprodurre la formula dell’onorevole Basso, privata della prima parte che non è essenziale.

BASSO, Relatore, ritiene necessaria anche la prima parte, perché contiene una affermazione la quale dà un senso anche all’altra riguardante il futuro. Si deve dire che non vengono riconosciuti i titoli nobiliari, né per il passato né per il futuro, e si riconoscono soltanto per quello che attengono al nome. Insiste pertanto sulla formula: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome».

PRESIDENTE fa rilevare che sulla prima proposizione non si può tornare, perché è già stata votata e respinta ieri. Ritiene che, come espediente logico e anche formale, si potrebbe adottare, se la Commissione lo ritiene opportuno, questa seconda parte, attaccandola ad una proposizione precedente che potrebbe essere questa: «La concessione dei titoli nobiliari è vietata.I predicati di quelli attualmente esistenti fanno parte integrante del nome».

Comunque non crede che si possa rimettere in votazione una proposizione già votata e respinta quale è quella degli onorevoli Lombardi e Mancini.

LUCIFERO fa presente che lo stato nobiliare italiano è regolato per legge. Quindi pensa che nella Costituzione si dovrebbe dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. Per quelli attualmente esistenti provvederà la legge». Ritiene che questa sia la formula tecnicamente più perfetta. Evidentemente dovrebbe essere una nuova legge a provvedere.

MASTROJANNI, in seguito a questa nuova formula, desidera precisare il suo pensiero, facendo presente che la Repubblica non è né una Repubblica comunista né una Repubblica socialista: è una Repubblica italiana.

BASSO, Relatore, replica che, se anche fosse socialista, sarebbe italiana lo stesso.

MASTROJANNI, proseguendo, fa osservare che la formula politica della Repubblica non è stata ancora caratterizzata, e che quindi, col considerarla dal punto di vista della teoria socialista o comunista, si precede l’orientamento politico della Repubblica stessa. Di conseguenza, tutte le considerazioni fatte nei riguardi dell’abolizione dei titoli nobiliari sono una offesa ai principî della libertà ed ai diritti individuali. Le preoccupazioni affacciate, secondo le quali i titoli fascisti non possono e non devono essere tenuti in considerazione, sono da lui sottoscritte in pieno. Ma, se si deve provvedere per i titoli nobiliari concessi dal 1922 in poi, per contro non si deve in modo assoluto toccare quello che riguarda il periodo precedente. Per conciliare le diverse tendenze, propone la seguente formula: «I titoli nobiliari cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l’avvenire non possono più essere conferiti». Approvando questa proposta verranno risolte tutte le preoccupazioni nei riguardi dei titoli concessi dal regime fascista, e si lascerà intatto il patrimonio morale, storico, familiare del passato. Ritiene che non si possa togliere anche alla famiglia Diaz il titolo di Duca della Vittoria, né il titolo di conte alla famiglia di Camillo Benso di Cavour.

CEVOLOTTO è d’avviso che la votazione sulla proposta Mancini-Lombardi, mirante a terminare l’articolo dopo le parole: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri» non abbia avuto il significato di respingere in modo assoluto il concetto in essa espresso, e che resta in facoltà dell’Assemblea discutere ed approvare la prima parte dell’articolo, purché accompagnata da una delle due proposizioni proposte dall’onorevole La Pira e dall’onorevole Basso, o, eventualmente, da un’altra formulata nell’Assemblea.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Cevolotto che all’inizio della seduta è prevalso il criterio di non ritornare su una questione già risolta dalla votazione di ieri.

BASSO, Relatore, risponde all’onorevole Mastrojanni che la sua proposta non è socialista o comunista, ma è tipica espressione della Repubblica francese. Qualunque Repubblica democratica non riconosce titoli nobiliari; la nobiltà è istituto di un determinato momento storico, ed è intimamente legata all’esistenza di una monarchia. Per quanto riguarda gli altri argomenti addotti dall’onorevole Mastrojanni, l’oratore pensa che non si mancherebbe certo di rispetto a Cavour se si abolisse il suo titolo nobiliare. Il rispetto profondo che si ha per questo italiano non è certo connesso col titolo nobiliare, ma con i servizi da lui resi alla Patria.

Si dichiara poi contrario alla proposta che la Repubblica non debba concedere titoli cavallereschi; comunque rileva che non è questa la sede per decidere in una materia che riguarda più propriamente la seconda Commissione.

MORO ribadisce il concetto che sia impossibile accettare la tesi dell’onorevole Cevolotto, nei riguardi del significato della votazione sulla proposta Mancini-Lombardi.

Riguardo alla proposta avanzata dallo onorevole Mastrojanni, ritiene che essa non risolva la questione. Non crede sia compito della Costituzione provvedere in ordine a degli istituti limitati nel tempo: deve provvedervi, e si meraviglia non l’abbia fatto, la legislazione ordinaria, per quanto riguarda i titoli nobiliari concessi dal fascismo. Per quanto riguarda le onorificenze, aderisce a quanto ha dichiarato l’onorevole Basso.

Richiama l’attenzione sulla formula proposta dal Presidente, che gli pare sia quella che possa ottenere il comune consenso.

GRASSI osserva che la concessione e il riconoscimento dei titoli nobiliari e delle onorificenze fa parte delle prerogative regie. Caduta la premessa, è logico che cada tutto il resto, salvo che la Costituzione repubblicana non consenta al Capo dello Stato la possibilità di concedere onorificenze o altro. Comunque, la questione dovrebbe essere esaminata in sede di discussione della struttura dello Stato e dei poteri da conferire al Capo dello Stato.

Fa presente che nel corso della discussione non è stata considerata la questione dell’autorizzazione dei titoli concessi da uno Stato straniero, che deve far parte delle norme sul Capo dello Stato e quindi sarebbe materia di competenza della seconda Sottocommissione. In questa sede ci si deve solo preoccupare della questione nei riguardi del nome. A questo proposito, la proposta dell’onorevole Basso farebbe dei soli predicati nobiliari parte integrante del nome, mentre l’onorevole La Pira propone di conservare i titoli nobiliari solamente come facenti parte storicamente del nome. Se si riporterà la questione alle sue giuste proporzioni, la si spoglierà anche di tutto il significato politico che si è voluto ad essa connettere, trattandola soltanto per quello che ha riferimento alla parte di Costituzione demandata allo studio della Commissione, cioè al nome. Se si vorrà esaminarla in questo modo, la si esamini pure, altrimenti sarà bene rimandarla a quella parte della Costituzione che riguarda le prerogative del Capo dello Stato.

MANCINI precisa all’onorevole Mastrojanni di non aver fatto la proposta per il fatto di pretendere una Repubblica socialista o comunista. Formiamo la struttura di una Repubblica democratica, che è in antitesi assoluta con quelli che sono i privilegi di nascita, e che onora soltanto le attività produttrici del cittadino. I nomi storici, dei quali l’onorevole Mastrojanni ha fatto menzione, e ad essi altri se ne potrebbero aggiungere, ad esempio Massimo d’Azeglio, sono noti per le loro benemerenze e non per i loro titoli nobiliari.

MARCHESI dichiara che, quando ha parlato di «Repubblica dei lavoratori», non intendeva accennare ad una Repubblica socialista, ma ad una Repubblica nella quale tutti i cittadini prestino pensiero ed opere al bene della comunità. Crede che in questa classe di lavoratori non disdegnerebbe di entrare l’onorevole Mastrojanni.

MASTROJANNI dichiara che si onora di appartenervi.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta pregiudiziale presentata dall’onorevole Grassi, di rimandare tutta la parte che riguarda una statuizione sui titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione, come facente parte della facoltà che la Costituzione potrà conferire al Presidente della Repubblica. Naturalmente su questa proposta ciascuno degli onorevoli Commissari può intervenire per dichiarazione di voto. Per conto suo, dichiara di non ritenere che, almeno per quanto attiene ai titoli nobiliari, la questione sia di competenza della seconda Sottocommissione; pertanto il suo voto sarà contrario alla proposta stessa.

BASSO, Relatore, dichiara anch’egli che voterà contro. Ha proposto di rinviare alla seconda Sottocommissione la questione riguardante i titoli cavallereschi, in quanto presume che la Repubblica ne debba istituire dei propri, ma è del parere che essa non debba concedere titoli nobiliari.

MANCINI dichiara che, avendo proposto e votato la formula risolutiva, non accede a nessuna formula subordinata, riservandosi di risollevare la questione in sede di Assemblea plenaria.

CORSANEGO si associa alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Basso.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta presentata dall’onorevole Grassi di rinviare la questione dei titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione.

(La proposta è respinta all’unanimità meno 1 voto).

PRESIDENTE fa presente che all’inizio della riunione propose una formula nella quale si diceva: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Dovendosi fare un’affermazione di carattere generale, dato che quella di carattere generalissimo contenuta nella proposta Basso, e fatta propria dagli onorevoli Mancini e Lombardi, non è più oggetto di esame e di votazione, ritiene che il concetto espresso in questa formula possa essere accettato da tutti.

MARCHESI dichiara di essere disposto a votare la formula proposta dal Presidente, purché essa sia connessa col resto dell’articolo.

PRESIDENTE fa presente che, naturalmente, è fatta salva l’ulteriore discussione.

BASSO, Relatore, dichiara di ritenere che, per procedere con chiarezza e con ordine, non si possano scindere le due proposizioni. È disposto a votare un articolo che dica: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge», ma non è disposto a votare la prima parte soltanto, prima di sapere quale sarà il destino del capoverso. Se le due parti saranno messe in votazione in tempi diversi, dovrà dare voto contrario anche alla prima parte.

MORO si associa a quanto ha dichiarato l’onorevole Basso. Ritiene che le due parti siano strettamente connesse.

LUCIFERO si associa, e crede che la formula da lui proposta sia quella che risolverebbe il problema.

PRESIDENTE rileva che la Commissione è d’accordo nel senso che si debba addivenire alla votazione con criteri di connessione tra la prima e la seconda proposizione. Non ha difficoltà ad accedere a questo parere.

Richiama però l’attenzione della Commissione anche sulle altre formule proposte in connessione con la prima, e anzitutto sulla formula primitiva dell’onorevole Basso, che questi non ha ancora dichiarato di abbandonare.

BASSO, Relatore, poiché è caduta la prima parte dell’articolo, dichiara di abbandonare la primitiva formula.

PRESIDENTE prende atto del ritiro della primitiva proposta Basso, rilevando che la formula che il Relatore ora sostiene è la seguente: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge».

Ricorda che, di fronte a questa proposta definitiva dell’onorevole Basso, v’è anche la proposta dell’onorevole La Pira.

LA PIRA, Relatore, dichiara di ritirare la formula da lui precedentemente proposta e di accedere in linea di massima alla formula dell’onorevole Basso, pur ritenendo che sia opportuno riflettere sulla seconda proposizione.

MORO osserva che la formula dell’onorevole Basso, in fondo, non dice nulla in quanto, praticamente, spoglia la Costituzione della competenza a decidere su questo punto e rinvia alla legge. Inoltre è contrario a tale formula per una ragione di connessione con la prima parte dell’articolo già approvata. Precisa di non voler fare alcuna difesa della nobiltà, ma solo garantire il diritto al nome. Non ha votato in favore della formula dell’onorevole Grassi, perché toglieva del tutto alla Commissione la competenza, ma è d’accordo con lui che si debba dire qualche cosa a garanzia del diritto al nome sotto il profilo del titolo nobiliare. Non vede quale difficoltà sorga ad accettare in sede costituzionale una dichiarazione che garantisca nello status nobiliare il diritto al nome. E, per venire incontro alle esigenze prospettate dagli altri oratori, ha accettato di sostituire, d’accordo con l’onorevole La Pira, nella sua formula l’espressione «titoli nobiliari» con l’altra estremamente restrittiva, dell’onorevole Basso che è: «i predicati dei titoli nobiliari».

MARCHESI dichiara di non poter accettare la proposta Basso, così come è adesso formulata, e di accettare invece la proposta dell’onorevole Moro.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che il nome, secondo le leggi civili, è dato dal cognome, dal nome di battesimo e dalla paternità. Dichiara di essere contrario alla formula proposta dall’onorevole Moro.

GRASSI dichiara di accettare il principio espresso dall’onorevole Moro.

MANCINI dichiara di votare contro la formula dell’onorevole Moro solo perché l’unica e sola legge che deve provvedere è la legge costituzionale.

PRESIDENTE, prima di mettere ai voti le due proposte che formano la parte terminale della proposizione, fa osservare che vi è una proposta dall’onorevole Mastrojanni, contenuta nella seguente formula: «I titoli nobiliari e cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l’avvenire non possono essere conferiti titoli nobiliari».

Prega l’onorevole Mastrojanni di voler recedere dalla sua proposta, in presenza delle formule radicali rispettivamente proposte dall’onorevole Basso e dall’onorevole Moro.

MASTROJANNI dichiara di aver formulato la sua proposta per trovare una via di conciliazione, in conseguenza delle giuste lamentele che si erano rivolte riguardo ai titoli concessi nel periodo fascista, presupponendo che questi titoli dovevano esaurirsi nei limiti di tempo tra il 1922 ed il 1943, lasciando intangibili quelli che erano diritti acquisiti prima di tale epoca.

In ogni modo, non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, richiamandosi a quanto è stato votato nella seduta precedente.

PRESIDENTE fa rilevare che restano in discussione due formule, di cui la prima parte è identica, sia nella proposta dell’onorevole Moro come in quella dell’onorevole Basso: «È vietata la concessione di titoli nobiliari».

Domanda all’onorevole Basso se, per facilitare la votazione, consente che si proceda alla votazione per divisione, dato che sulla prima parte sono tutti d’accordo, mentre sulla seconda si verificherà la divergenza.

BASSO, Relatore, consente. Spiega che le ragioni per le quali egli aveva proposto un’altra formula sono due: anzitutto perché l’affermazione che i predicati dei titoli esistenti valgono solo come parte del nome, avulsa da quella prima parte in cui è detto che sono aboliti i titoli nobiliari, perde ogni valore morale; in secondo luogo per una ragione puramente contingente, e cioè che una formula di questo genere lascia salvi certi predicati, quali quelli dei titoli fascisti, cosa questa che ripugna alla nostra coscienza molale.

MORO dichiara che, per quanto riguarda i titoli fascisti, egli ritiene che debba provvedere quella speciale legislazione che tende a distruggere tutto quello che il fascismo ha creato, in quanto non compatibile con l’attuale stato di cose. Non possono essere inserite nella Costituzione le norme che invece devono essere contemplate dalla legislazione speciale contro il fascismo.

Quanto poi alla diminuzione di significato che risulterebbe dalla formula proposta, richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla parola «solamente».

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo: «È vietata la concessione di titoli nobiliari».

LOMBARDI GIOVANNI voterà contro questa formula, perché seguita da un’altra che egli non accetta.

DE VITA dichiara anch’egli che voterà contro, in considerazione della proposizione che formerà oggetto della votazione successiva.

MANCINI dichiara di rimanere nella sua posizione di intransigenza.

(La prima parte dell’articolo è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).

LUCIFERO dichiara che, nel caso che l’onorevole Basso receda dalla sua formula, la farà sua.

PRESIDENTE fa presente che vi sono ora due formule: quella proposta dall’onorevole Moro che ha avuto l’adesione dichiarata dell’onorevole Marchesi: «I predicati di quelli attualmente esistenti valgono solamente come parte del nome» e l’altra dell’onorevole Basso che dice: «Per quelli attualmente esistenti provvede la legge», alla quale l’onorevole Lucifero ha dato esplicita adesione.

Mette ai voti la formula dell’onorevole Basso.

MARCHESI dichiara di non poter votare la proposta Basso perché ritiene che in questo campo la Sottocommissione non possa rinunciare ad una precisazione, e delegare i suoi poteri al futuro legislatore.

DE VITA dichiara che voterà contro la formula dell’onorevole Basso, in quanto ritiene che non si possa votare una formula che non sia veramente radicale. Per lui tale formula sarebbe: «I titoli nobiliari sono aboliti».

MASTROJANNI fa osservare che, votando la proposta dell’onorevole Moro, si lascerà impregiudicata la questione della disparità di trattamento tra coloro per i quali l’attributo fa parte integrante del nome, e coloro che hanno semplicemente un titolo nobiliare senza un attributo. Di questa ingiustizia di trattamento il Presidente si è giustamente preoccupato, e ha invitato i Commissari a studiare una formula che risolva la situazione.

(La proposta Basso è respinta con 5 voti favorevoli e 9 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Moro: «I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

MANCINI dichiara di votare contro per le ragioni già dette e perché l’attributo di nobiltà al proprio cognome non rappresenta altro che un privilegio di nascita, che offende il costume democratico.

LUCIFERO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Moro, perché non risolve i problemi che erano stati proposti.

MASTROJANNI si associa alle considerazioni dell’onorevole Lucifero.

(La proposta Moro è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

PRESIDENTE rilegge le proposizioni che sono state approvate: «È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Poiché si è detto che tutta la materia discussa si inseriva nella questione del nome, propone che le due proposizioni approvate vengano collocate nell’articolo 2-bis, subito dopo le parole «Nessuno può essere privato del proprio nome».

(La proposta è approvata all’unanimità).

Fa presente che l’intero articolo 2-bis risulta approvato nei seguenti termini:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono soltanto come parte del nome.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

LOMBARDI GIOVANNI fa rilevare che si sono perdute due sedute per approvare il concetto del mantenimento dei predicati della nobiltà.

PRESIDENTE fa presente l’opportunità di dividere l’articolo 2-bis in due articoli: uno contenente il concetto che «Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome»; e un altro, che potrebbe essere il 2-ter, esprimente gli altri concetti: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

MORO propone di articolare le proposizioni approvate in tre articoli, perché ritiene che si tratti di tre cose distinte: la soggettività dei diritti, il diritto al nome, il diritto della cittadinanza.

MASTROJANNI è favorevole al mantenimento di un solo articolo.

LA PIRA, Relatore, propone che l’articolo 2-bis venga diviso in due articoli: in uno si dovrebbe esprimere la soggettività del diritto, e nell’altro il diritto al nome e alla cittadinanza.

MARCHESI si associa alla proposta dell’onorevole La Pira.

BASSO, Relatore, dichiara di preferire una divisione in tre articoli.

PRESIDENTE propone di dividere l’articolo 2-bis in tre articoli che sarebbero i seguenti:

Art. 2-bis.

Ogni uomo è soggetto di diritto.

Art. 2-ter.

Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione di titoli nobiliari.

I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome.

Art. 2-quater.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici.

La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge.

(La proposta è approvata).

Pone in discussione l’articolo 12, che nella proposta dei due Relatori è formulato nel modo seguente:

«Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito.

«Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità, le quali possono vietarle per comprovate ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica.

«Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate, salva l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

Mette in discussione la prima proposizione dell’articolo.

MANCINI è d’avviso che la prima proposizione dell’articolo possa essere limitata alla seguente dizione:

«Il diritto di riunione è garantito», sopprimendo la parola «pacificamente e senza armi».

BASSO, Relatore, dichiara che può accettare la proposta dell’onorevole Mancini, per quanto riguarda la soppressione dell’avverbio «pacificamente», ma che deve essere conservata l’altra espressione «senza armi».

MARCHESI dichiara di accettare l’articolo quale è proposto dall’onorevole Mancini, perché ritiene che l’espressione: «pacificamente e senza armi» debba essere considerata nei regolamenti di polizia.

LA PIRA, Relatore, insiste perché venga conservato l’avverbio «pacificamente» e la qualifica «senza armi», perché ciò serve a dare quel tono di pace e di fraternità che deve essere a base di ogni riunione.

DE VITA dichiara che voterà favorevolmente alla proposta dell’onorevole Mancini.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mancini di sopprimere nell’articolo proposto dai Relatori le due espressioni «pacificamente» e «senza armi».

(La proposta è respinta con 4 voti favorevoli e 10 contrari).

Mette ai voti la dizione proposta dai Relatori: «Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito».

(È approvata con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo il quale dice: «Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità le quali possono vietarle per comprovate ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica».

MARCHESI propone che si cambi la dizione nel modo seguente: «Le riunioni in luogo pubblico debbono essere preannunciate alle autorità, le quali, ecc.».

PRESIDENTE osserva che si tratta di una sottigliezza di stile; dichiara di preferire la prima formula.

LOMBARDI GIOVANNI propone che invece della parola «ragioni» venga usata la parola: «motivi».

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso con la modifica proposta dall’onorevole Lombardi.

(È approvato all’unanimità).

Mette ai voti il secondo capoverso dell’articolo il quale, nella proposta dei Relatori, è così formulato: «Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate salva l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

(È approvato all’unanimità).

Fa presente che l’articolo rimane così formulato:

«Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito.

«Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità le quali possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

«Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate, salvo l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

Lo pone ai voti nel suo complesso.

(É approvato).

Pone in discussione l’articolo che, tra quelli proposti dai due Relatori, porta provvisoriamente il numero 13, ed è così formulato: «Il diritto di associarsi, senza autorizzazione preventiva, e per fini che non contrastino con le leggi penali, è riconosciuto a tutti. Non sono consentite le associazioni a carattere militare».

Avverte che dopo le parole «con le leggi penali» vi è la seguente aggiunta, posta tra parentesi: «e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione». Prega i Relatori di voler chiarire i motivi per cui questo passo è stato messo tra parentesi.

BASSO, Relatore, chiarisce che la frase messa tra parentesi è stata proposta dall’onorevole La Pira e non è accettata da lui, perché tra le libertà che la Costituzione garantisce c’è un diritto di proprietà. Ora il partito socialista è appunto un’associazione che si riunisce con il compito di ridurre la proprietà o di vietarla. Non vorrebbe che domani si potesse giungere a vietare al partito socialista di riunirsi e così pure al partito comunista prendendo pretesto da un contrasto, vero o presunto, con le libertà garantite dalla Costituzione.

La PIRA, Relatore, dichiara che la sua aggiunta è giustificata in primo luogo da una ragione di natura etica che ha il suo valore.

Fa presente che il progetto di Costituzione francese dice all’articolo 17: «Tutti hanno il diritto di associarsi liberamente, a meno che l’associazione non arrechi, o non tenti ad arrecare, pregiudizio alle libertà garantite dalla presente dichiarazione». Immagina che le preoccupazioni dell’onorevole Basso siano state avanzate anche dai partiti socialista e comunista della Costituente francese.

Vi è poi una ragione intima. Con la presente Costituzione si vuole certamente definire una serie di libertà, e quindi di diritti corrispondenti. Ritiene pertanto che la Costituzione dovrebbe esplicitamente accennare che ogni associazione la quale contrasti con la Costituzione è vietata.

MARCHESI osserva che la Costituzione non è una mummia o una torre di acciaio.

LA PIRA, Relatore, dichiara che i deputati democristiani proporranno per la Costituzione degli articoli sulla proprietà, i quali potranno certamente essere accolti tanto dall’onorevole Basso quanto dall’onorevole Marchesi. Essi non intendono garantire il diritto di proprietà capitalistico.

MORO si dichiara favorevole alla conservazione della formula La Pira. Non ritiene giustificate le preoccupazioni espresse dagli onorevoli Basso e Marchesi. A nessuno passa per la mente di proibire movimenti che tendono ad adeguare la struttura del diritto di proprietà alle esigenze solidaristiche. Ritiene piuttosto che l’aggiunta proposta dall’onorevole La Pira comporti il divieto di attività politiche che tendano a costituire associazioni di tipo fascista. Il diritto di associarsi è limitato appunto da queste libertà fondamentali dell’uomo, che sono state dichiarate nel testo della Costituzione. È bene porre la necessaria base costituzionale per il divieto di attività di carattere fascista.

BASSO, Relatore, dichiara che nel formulare l’articolo nel testo che faceva parte della sua primitiva relazione, si era attenuto alla relazione Mortati, la quale diceva: «È a tutti garantita la libertà di costituire associazioni che si propongono fini leciti ai sensi della legge penale». Non pensa che il governo di oggi o quelli di domani possano interpretare la Costituzione, in questo punto, nel senso da lui temuto; ma non può prevedere la stessa cosa per i governi che verranno fra dieci o venti anni.

MARCHESI si dichiara contrario all’inciso proposto dall’onorevole La Pira. Ritiene che esso apra la via a molti abusi. La Costituzione stabilisce alcune libertà in un ordinamento costituito, il quale non esclude altri ordinamenti che aspirano a costituirsi. L’onorevole Basso ha parlato della libertà di proprietà; egli porterà un altro esempio: la Costituzione afferma la libertà di religione; domani potrebbe sorgere un’associazione di cui egli non farebbe mai parte a carattere antireligioso, e questa associazione potrebbe essere proibita proprio in base all’inciso che si vuole introdurre nell’articolo, mentre anch’essa dovrebbe avere la libertà di svolgere una propria attività associativa, ben inteso nei limiti posti dalla legge.

MANCINI aderisce alla soppressione dell’inciso, perché il concetto di libertà è il concetto informatore di tutta la nostra Costituzione. Una specificazione come quella suggerita potrebbe essere oggetto di interpretazioni erronee o faziose.

MASTROJANNI propone che, per togliere qualsiasi ambiguità e preoccupazione, si sostituisca la dizione: «purché non contrastino con le leggi penali» con la seguente: «Il diritto di associarsi lecitamente, senza autorizzazione preventiva, è riconosciuto a tutti».

PRESIDENTE osserva che la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni non gli sembra esprima compiutamente il concetto.

MORO non ritiene che la soppressione dell’inciso possa, in sede giuridica, tranquillizzare la coscienza dei Commissari. Se si guarda alla legge penale, vi si troveranno riflesse tutte le libertà fondamentali sancite dalla Costituzione. Quindi un’applicazione gretta e politicamente cattiva della dizione: «e per fini che non contrastino con le leggi penali» potrebbe portare al divieto di tutte le associazioni di cui si è parlato.

La verità è che un fenomeno di questo genere non va risolto altro che in sede politica. Il senso di misura e di sensibilità politica di coloro che governano, permetterà al futuro legislatore e al potere esecutivo di non limitare quelle associazioni che rientrano nel gioco della vita democratica, mentre, d’altra parte, la formula proposta dall’onorevole La Pira ha importanza e significato pedagogico, quello stesso significato pedagogico che si è voluto dare a tutta la Costituzione. Si tratta di riaffermare che vi sono libertà democratiche riconquistate e contro le quali non deve rivolgersi l’attività dei cittadini.

Se mai, ritiene che si potrebbe ampliare o chiarire la portata dell’inciso dicendo: «con le libertà fondamentali dell’uomo», ovvero «con le libertà democratiche sancite dalla Costituzione». La formula di per sé è innocua. È il potere politico che può applicare bene o male la legge.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di considerare anzitutto pleonastica la frase: «e per fini che non contrastino con le leggi penali». Quando i fini di un’associazione vengono a contrasto con le leggi penali, ci si troverà in presenza di un’associazione a delinquere, come tale perseguita dal Codice penale. Non ritiene pertanto che sia il caso di introdurre questa specificazione nella Costituzione.

PRESIDENTE fa osservare che quella dell’associazione a delinquere non è la sola ipotesi. L’associazione a delinquere è un’aggravante del reato e non già un reato per sé stante.

LOMBARDI GIOVANNI replica che la associazione a delinquere è di per sé stessa un reato che, poi, può essere aggravato.

PRESIDENTE insiste nel suo concetto.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che tutto questo non può essere compreso in una legge a carattere statutario senza offendere la connessione delle leggi.

Per quanto poi riguarda l’inciso proposto dall’onorevole La Pira, ritiene che esso, oltre ad essere pleonastico, si presterebbe a tutti gli abusi possibili e immaginabili perché vi potrebbe essere un’associazione che, secondo il parere della pubblica sicurezza di un determinato luogo, è in contrasto con le libertà garantite dalla Costituzione, e come tale potrebbe essere vietata.

Propone pertanto che l’articolo sia semplificato nel modo seguente: «Il diritto di associazione è garantito a tutti», senza aggiungere altro.

BASSO, Relatore, dichiara di ritenere che il solo limite da porre sia quello della illiceità dal punto di vista penale, e che raggiungere qualsiasi altra cosa, o sarebbe pleonastico o verrebbe a dire qualche cosa di più di quello che si intende di dire, con conseguenze imprevedibili.

D’altra parte, non può accettare la proposta Lombardi di restringere l’articolo. L’onorevole Lombardi chiede l’abolizione delle parole «senza autorizzazione preventiva, e per fini che non contrastino con le leggi penali». Ora non si può togliere l’autorizzazione preventiva.

È d’accordo con l’onorevole Lombardi, il quale dice che, se l’associazione commette reati, c’è già la legge penale; però fa notare che si è fatta sempre, anche negli articoli precedenti, questa eccezione.

Nella Costituzione si deve sempre porre in prima linea il principio generale, poi precisare le eccezioni, poiché questo rafforza il concetto generale.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso per quanto riguarda l’inopportunità di togliere le parole «senza autorizzazione preventiva», onde evitare che una legge di pubblica sicurezza possa inserire l’obbligo della autorizzazione preventiva. È anche d’accordo con l’onorevole Lombardi nel ritenere pleonastico raggiungere «e per fini che non contrastino con le leggi penali». Per quanto riguarda l’inciso tra parentesi, concorda con l’opinione dell’onorevole Basso.

MORO dichiara di dissentire dagli onorevoli Lombardi e Cevolotto, per quanto riguarda la soppressione della dichiarazione che le associazioni non debbono contrastare la legge penale.

L’ipotesi prevista dall’onorevole Lombardi, di associazioni a delinquere che sono già come tali vietate dal diritto penale, non copre questa ipotesi che è una ipotesi costituzionale. In quel caso si configura l’ipotesi di fatto del reato; in questo caso viene precisato il criterio offerto dalla legge penale come lesione dell’ordinamento sociale, per servirsene come un criterio limitativo di una libertà che va sempre intesa come libertà nella legge.

Per quanto riguarda l’altra espressione, insiste sul punto di vista pedagogico. Più volte si sono fatte dichiarazioni che potevano essere considerate superflue, e le si sono fatte proprio perché sembrava che in questo momento storico fosse opportuno di farle.

Per questi motivi insiste sulla sua proposta di specificare: «con le libertà democratiche sancite dalla Costituzione». Con ciò si viene incontro all’aspetto più squisitamente politico della garanzia costituzionale del fenomeno associativo.

LOMBARDI GIOVANNI domanda se un’associazione anarchica è ammessa in base a questo articolo.

MORO dichiara che, per conto suo, l’ammetterebbe.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che questo è un apprezzamento puramente soggettivo e non costituisce una garanzia sufficiente.

MASTROJANNI fa osservare che tutte le preoccupazioni espresse possono essere superate con una formula che sia anche coerente allo stile di una Costituzione, senza scendere ai dettagli o a riferimenti a leggi speciali. La formula da lui proposta è la seguente: «Il diritto di associazione senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti».

BASSO, Relatore, fa presente che, in sede di preparazione della nuova legge di pubblica sicurezza c’è un articolo, il 237, il quale dà la sensazione di quella che potrebbe essere l’elasticità di una qualsiasi formula che non fosse ben precisa. Infatti in questo articolo si prevede una molteplicità di ipotesi che possono destare qualche preoccupazione. Fa anche presente che, in sede di esame di questo articolo, il Consiglio di Stato ha dato questo parere a cui l’oratore si associa perfettamente:

«Il diritto di associazione. Considera in proposito il Consiglio che il diritto di associazione è un diritto fondamentale di libertà, ma che manca nel diritto italiano una norma generale che espressamente lo riconosca. Bisogna certamente introdurla nella nuova Carta costituzionale, ma ciò deve essere in forma positiva e non con un semplice rinvio alle norme delle leggi generali e speciali. Al solo scopo di concretare il suo pensiero, il Consiglio propone la seguente formula: «Tutti i cittadini italiani hanno il diritto, per scopi che non contrastino con le leggi penali, di formare delle associazioni». Questo diritto non può essere subordinato nel suo esercizio ad alcun obbligo di preventiva autorizzazione o dichiarazione. Nella formula proposta non si parla di oggetto illecito, contrario alle leggi in genere o all’ordine pubblico o al buon costume, perché questo riferimento elastico dà un margine all’esercizio di un’ampia potestà di valutazione discrezionale da parte delle autorità statali quali che esse siano, e affievolisce il diritto che si intende tutelare. All’incontro il contrasto con la norma penale è sempre preciso e definitivo. L’esercizio del diritto di associazione non è subordinato, nella formula proposta, ad autorizzazione o anche a semplice dichiarazione preventiva, con le quali l’autorità possa prendere o no atto. Può essere utile un rilievo. Una volta che la Carta costituzionale abbia riconosciuto e dichiarato il diritto di libera associazione, non rimarrà nel nostro diritto che associazione consentita e associazione vietata o illecita».

PRESIDENTE dichiara di non poter aderire alla proposta dell’onorevole Moro di sostituire «libertà democratiche» all’inciso «libertà garantite dalla presente Costituzione», perché la parola democrazia si presta, purtroppo, a molte interpretazioni, e si arriva perfino a sostenere da taluno che la dittatura sia anch’essa una democrazia. Ritiene perciò che la formula Moro sia troppo vaga e, comunque, equivoca.

All’onorevole Mastrojanni, il quale ha proposto la formula seguente: «il diritto di associarsi senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti», fa considerare l’elasticità della espressione «fini leciti» ancora superiore a quella delle libertà democratiche. Questa formula si presterebbe in larga misura a lasciare tutto alla discrezionalità dell’autorità e all’arbitrio della medesima.

Domanda perciò agli onorevoli Moro e Mastrojanni se insistono nelle loro proposte.

MORO dichiara di aver formulato la proposizione ritenendo che il termine «democratico» abbia nella nostra coscienza un significato netto: da un lato vuol dire l’accettazione del metodo democratico nella lotta politica; dall’altro quella comune tendenza di tutti noi verso un’elevazione degli uomini su un piano di vita che sia degno e accettabile per tutti. Gli si è domandato se, per esempio, si potesse permettere un’associazione anarchica. A questa domanda dovrebbe rispondere affermativamente, purché naturalmente questa associazione agisca con metodi democratici e non pretenda di imporre le proprie opinioni con la violenza.

Pertanto ritiene che, sotto questo profilo, l’espressione «democratico» sia accettabile; peraltro, siccome questa proposta era fatta allo scopo di venire incontro ad alcune preoccupazioni che si erano manifestate, se coloro che manifestavano queste preoccupazioni sono soddisfatti, dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE domanda all’onorevole La Pira se insiste nella sua proposta.

LA PIRA, Relatore, dichiara di insistere per il mantenimento dell’inciso, perché in esso è contenuto un principio che ispira tutta la Costituzione. Si è riservato di dire qualche cosa a questo proposito in un secondo tempo; intanto fa rilevare che, come lo Stato è limitato nella sua autonomia dai diritti imprescrittibili della persona, così l’autonomia della persona è limitata dai diritti imprescrittibili dello Stato.

CARISTIA propone di aggiungere la seguente affermazione: «salvo i limiti imposti dalla legge penale».

MORO dichiara di non ritenere che si possa accettare la formula dell’onorevole Caristia perché in questo modo si sposta il significato di tutta la frase. Altro è l’indicazione dei fini considerati illeciti, altro è la questione dei limiti posti dalla legge penale.

MASTROJANNI insiste nella sua proposta di usare l’espressione «per fini leciti».

PRESIDENTE riassume la discussione ed avverte che metterà per prima ai voti la proposta più radicale, e cioè quella degli onorevoli Lombardi e Mancini, che suggeriscono la dizione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti», sopprimendo tutto il resto dell’articolo.

MASTROJANNI domanda agli onorevoli Lombardi e Mancini se non acconsentirebbero ad aggiungere alla loro formula la precisazione: «per fini leciti».

MANCINI e LOMBARDI GIOVANNI dichiarano di non poter accettare questa aggiunta.

GRASSI propone che siano messi in votazione prima gli emendamenti sostitutivi, poi l’inciso e quindi le altre proposte.

LUCIFERO si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Grassi. Esprime il parere che la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini debba essere votata per prima; poi si voterà l’inciso da inserire in questa affermazione di principio.

CEVOLOTTO propone che prima si voti l’espressione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti»; poi si voti la proposta Lombardi e Mancini di fermarsi a quel punto e non dire più nulla. Se questa proposta è respinta, si passerà a votare l’inciso.

PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Cevolotto consente di votare con chiarezza.

MANCINI aderisce alla proposta dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE mette ai voti il principio fondamentale contenuto nella proposizione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti»

(La proposta è approvata all’unanimità).

Mette quindi ai voti la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini, e cioè che si debba limitare la formulazione alla proposizione testé approvata, senza procedere oltre nell’enunciazione contenuta nelle proposte dei relatori.

CEVOLOTTO dichiara che non approva questa proposta, perché ritiene che sia necessario aggiungere nella Costituzione il divieto dell’autorizzazione preventiva e non lasciare che su una materia così delicata provveda la legge speciale.

(La proposta Lombardi-Mancini è respinta, con 5 voti favorevoli e 9 contrari).

CARISTIA dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE spiega che la proposta dell’onorevole Mastrojanni rimane così formulata: «Il diritto di associazione senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti».

LUCIFERO osserva che, se si specifica: «autorizzazione preventiva», si può pensare che ce ne vuole una successiva e la legge speciale potrebbe disporlo.

BASSO, Relatore, dichiara di non aver niente in contrario perché l’aggettivo «preventiva» venga tolto.

LA PIRA, Relatore, osserva che si tratta di una formula tecnica.

CARISTIA ricorda che una volta tutte le associazioni erano consentite, a condizione che ottenessero in precedenza l’autorizzazione.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo: «Il diritto di associarsi senza autorizzazione», avvertendo che si intende che il «preventiva» è abolito.

(È approvata all’unanimità).

Quanto alla seconda parte dell’inciso: «e per fini che non contrastino con le leggi penali», fa presente che l’onorevole Mastrojanni ha proposto che la dizione venga sostituita dalla seguente: «per fini leciti». Mette ai voti questo emendamento.

LUCIFERO dichiara di ritenere inutili l’una e l’altra formula; perciò voterà contro.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la proposta Mastrojanni, perché ritiene che inserire una formula di così vasta portata sia molto pericoloso, perché consentirebbe ogni sorta di abusi da parte del potere esecutivo.

(La proposta Mastrojanni è respinta all’unanimità meno un voto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori: «e per fini che non contrastino con le leggi penali.

(La formula proposta dai Relatori è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

Rileva che la prima parte dell’articolo risulta approvata nei seguenti termini: «Il diritto di associarsi, senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali».

Osserva che a questo punto si dovrebbe inserire l’inciso proposto dall’onorevole La Pira e non accettato dall’onorevole Basso per il quale dopo le parole «con le leggi penali» dovrebbero seguire le altre «e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione».

Mette ai voti l’aggiunta proposta dall’onorevole La Pira.

(La proposta e respinta con 8 voti contrari e 6 favorevoli).

Comunica che l’articolo risulta formulalo nel modo seguente: «Il diritto di associarsi senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali è riconosciuto a tutti».

Rileva che l’ultima parte dell’articolo nella proposta dei Relatori dice: «Non sono consentite le associazioni a carattere militare». Propone che si dica invece: «Le associazioni a carattere militare sono vietate».

MANCINI propone che la dizione sia modificata nel modo seguente: «Non sono consentite le associazioni a carattere militare e fascista». Insiste nella sua proposta per due motivi: uno politico sostanziale, e uno di natura giuridica. Il motivo politico sostanziale si intende facilmente: ci si dichiara tutti antifascisti, si parla sempre di antifascismo e, quando si tratta poi di fare una manifestazione verbale antifascista nella legge costituzionale sorta in antitesi al fascismo, la si evita come se essa potesse destare preoccupazioni o allarmi. Certe pavidezze non si comprendono. L’altro motivo, di natura essenzialmente giuridica, è il seguente: se si limita il divieto alle associazioni militari e non si parla di associazioni fasciste, si potrebbe intendere da qualcuno che queste sono consentite. Ritiene perciò che il divieto debba essere esteso esplicitamente alle associazioni a carattere fascista, o neofascista, che vanno profilandosi sul nostro orizzonte politico.

MARCHESI dichiara di non poter accogliere la proposta dell’onorevole Mancini, perché il fascismo adesso non si chiama più con tale nome. Potrebbe rispuntare, come rispunta, sotto altre denominazioni. Se si determina l’articolo con un’espressione così vaga quale è quella di «associazioni a carattere fascista», si dà al fascismo autentico e sostanziale il permesso di associarsi.

CORSANEGO si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Mancini, oltre che per i motivi accennati dall’onorevole Marchesi, anche per la ragione che non si deve fare al fascismo l’onore di essere citato nella futura Costituzione italiana.

MASTROJANNI dichiara di concordare con l’onorevole Mancini, perché siano comunque vietale le organizzazioni militari a sfondo politico.

L’onorevole Corsanego giustamente si preoccupa di non dare al fascismo l’onore di essere ricordato nella Costituzione, ma va tenuta presente anche la preoccupazione dell’onorevole Mancini che possano sorgere delle organizzazioni armate sotto una veste politica che può chiamarsi fascista o con altro nome. Ritiene quindi che una precisazione in proposito sia quanto mai necessaria.

PRESIDENTE sottolinea che l’articolo dice appunto che non sono consentite le associazioni a carattere militare, cioè associazioni armate.

MASTROJANNI replica che un’associazione a carattere militare presume un’organizzazione generica secondo lo schema militare. Vi sono organizzazioni politiche che nella forma contrastano in pieno con una organizzazione militare, ma che nella sostanza sono più potenti di un’organizzazione militare. Vorrebbe perciò una formula più esplicita.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mastrojanni di studiare questa formula, e di proporla.

LUCIFERO dichiara che la proposizione lo lascia alquanto perplesso, perché un’organizzazione a tipo militare può non essere un’organizzazione armata. L’organizzazione armata è vietata dal complesso delle leggi penali. Si tratta appunto di quelle organizzazioni peculiari, alle quali, con la parola «fasciste», faceva cenno l’onorevole Mancini. È d’accordo che non sia opportuno mettere la parola «fascista» nella Costituzione italiana, ma si preoccupa anche di un’altra questione: chi stabilisce se una determinata organizzazione sia di carattere militare? Con questa formula si lascia la via aperta a tante possibilità di interpretazione, e potrebbe accadere che ad un certo momento il legislatore o il potere esecutivo, volendo colpire un’organizzazione che non gli fa comodo di mantenere e che non è a carattere militare, si sforzi di ritrovare in essa appunto questo carattere. Per questi motivi ritiene che sia opportuno omettere la proposizione in questione.

PRESIDENTE domanda che si facciano proposte concrete.

LUCIFERO dichiara di concordare con l’onorevole Mastrojanni il quale ha espresso la convenienza di specificare.

MORO fa presente che va specificato che non si intendono vietate quelle organizzazioni giovanili che avessero per avventura un carattere militare puramente esterno e formale. Dovrebbe esser chiaro anche per il futuro legislatore che il divieto si intende per quelle associazioni che perseguano un addestramento militare vero e proprio, e che siano pronte ad impugnare le armi. Comunque sarà forse opportuno inserire la specificazione che «non si intendono a carattere militare le organizzazioni giovanili che hanno solo forma militare».

LUCIFERO cita l’esempio dei «boys scouts».

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara insoddisfatto della formulla «a carattere militare».

Finché esisterà un esercito, sia pure ridotto a 100 mila uomini, non si può impedire, senza minorare la libertà di questi 100 mila militari, che essi, volendolo, costituiscano un’associazione interna, di qualunque specie essa possa essere. Quello che si vuole impedire è l’associazione a carattere militaristico e di fazione. Propone perciò di sostituire alle parole «a carattere militare» le altre «a carattere militaristico e fazioso».

MANCINI dichiara di mantenere la sua proposta, perché una buona volta si precisi nella nostra Costituzione una parola di schietto significato anti-fascista. Che ciò sia necessario se ne è avuta anche una prova in alcune obiezioni sorprese sulle labbra di qualche rappresentante estero a Parigi. Tutte le osservazioni e le critiche rivolte in quella sede ai nostri rappresentanti sono sintetizzate in una: che cioè in tutte le loro dichiarazioni essi non hanno fatto alcuna affermazione di schietto carattere antifascista e di condanna dell’ideologia fascista. In una Costituzione che sarà letta da tutto il mondo, non si vorrà dire dunque che si vietano le associazioni fasciste, mentre sul momento tutti si preoccupano di un risorgente neo-fascismo?

MASTROJANNI propone che si dica: «non sono consentite le associazioni a carattere addestrativo o preparatorio in forma militare e per fini politici».

LA PIRA, Relatore, dichiara di essere anch’egli alquanto perplesso nei riguardi della formula così come è stata concepita. Bisogna aggiungere qualche cosa che impedisca possibili equivoci.

Ricorda che quando furono sciolte le associazioni dei «Giovani Esploratori» dal Governo fascista, si prese a pretesto che esse avevano un carattere militare. Nel 1931 lo stesso argomento fu portato per lo scioglimento dei Circoli giovani cattolici, e perfino contro l’associazione dei «Paggetti di San Luigi».

PRESIDENTE invita la Commissione a considerare se il divieto previsto dall’ultimo capoverso non sia compreso nella prima parte dell’articolo, dove si dice che non sono consentite le associazioni per fini che contrastino con le leggi penali.

BASSO, Relatore, osserva che la garanzia data dalla prima parte dell’articolo sarà sufficiente, perché quelle associazioni a carattere militaristico che si vogliono vietare, potrebbero, per il momento, non essere armate.

Ricorda che questo principio del divieto di costituire associazioni a carattere militaristico viene dalla Svizzera, la quale l’ha affermato per la prima. Nella Svizzera vi sono fiorentissime associazioni di Giovani esploratori, che nessuno ha mai pensato potessero essere comprese in una disposizione del genere. I precedenti storici dimostrano che le associazioni dei Giovani esploratori, o altre simili, non hanno niente a che fare con associazioni a carattere militare.

D’altra parte fa osservare che, perché un’associazione sia a carattere militaristico, non occorre che essa sia in quel dato momento effettivamente armata, ma basta che abbia uno spirito ed una preparazione militare, quale la ebbero, ad esempio, le prime formazioni fasciste, e le altre similari sorte in altri Paesi d’Europa. Per associazioni a carattere militare debbono intendersi quelle organizzazioni in cui lo spirito dell’individuo viene sottoposto ad una disciplina militare, ed all’associato si impone di rinunciare alla propria libertà individuale per mettersi completamente a disposizione dei fini dell’associazione.

Pertanto non ritiene fondate le preoccupazioni espresse dagli onorevoli Moro e La Pira nei riguardi delle associazioni giovanili. Non si deve guardare all’uniforme, ma piuttosto se una determinata associazione abbia o no un profondo spirito di disciplina militare a servizio di finalità particolari di parte. E poiché di associazioni di questo genere se ne sono viste pullulare in tutti gli Stati europei, è necessario mettere nella Costituzione un divieto esplicito, e non accontentarsi di porre il divieto per le associazioni i cui fini siano in contrasto con le leggi penali.

MORO propone la seguente formula: «Non sono consentite le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare».

LA PIRA e BASSO, Relatori, dichiarano di aderire alla formula proposta dall’onorevole Moro.

LUCIFERO ricorda, come precedente storico, la persecuzione di cui furono oggetto le società sportive di Trieste sotto il regime austriaco. Il pretesto che allora veniva addotto era più o meno quello che è contenuto nella formulazione dell’onorevole Moro. Prega i Relatori di studiare meglio il testo della loro formula per raggiungere una chiarezza tale che non possa dar luogo ad interpretazioni false.

MORO osserva che certamente un minimo di oscurità deve sempre rimanere in una formulazione. Si potrà, con una dichiarazione di voto, chiarire questo punto.

LUCIFERO fa presente che, quando si fa una formulazione, si deve pensare sempre alla possibilità che di questa formulazione ci si possa servire con intendimenti diversi.

CEVOLOTTO dichiara di non ritenere che la formula dell’onorevole Moro possa presentare le difficoltà che l’onorevole Lucifero ha fatto presenti.

L’onorevole Lucifero si è riferito alle associazioni sportive proibite dall’Austria in base ad una formula simile a quella proposta dall’onorevole Moro. Bisogna però considerare il fatto che esse erano associazioni italiane, formate da italiani di Trieste, e si proponevano appunto un fine politico contrario all’Austria. La proibizione può essere stata dolorosa per noi, ma non era ingiustificata dal punto di vista dell’Austria. Ritiene che si possa dare incarico ai Relatori di studiare una formula anche migliore e più comprensiva, ma, in sostanza, la formula proposta dall’onorevole Moro si può ritenere soddisfacente.

PRESIDENTE fa presente che, oltre alla proposta dell’onorevole Moro, accettata dai Relatori, c’è la formula proposta dall’onorevole Mancini espressa nei seguenti termini: «Le associazioni a carattere militare e fascista sono vietate», alla quale dichiara di non poter aderire, non perché non sia d’accordo con lui, ma perché la sua accettazione porterebbe a delle interpretazioni discordanti e contraddittorie.

Domanda all’onorevole Mancini se mantiene la sua proposta.

MANCINI dichiara di aver chiesto di aggiungere le parole «e fascista» per provocare almeno una discussione in proposito. Dopo le affermazioni di perfetta fede antifascista e di condanna al fascismo, sicuro che con l’espressione che si voterà si intendono escludere nel modo più severo le associazioni a carattere fascista, dichiara di non insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Moro: «Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare sono vietate».

MORO precisa che per organizzazione militare deve intendersi una struttura sostanziale di carattere militare, e che questa formula non deve comprendere le organizzazioni che adottino soltanto forma ma non sostanza militare.

MANCINI dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Moro, aderendo ai chiarimenti che l’onorevole Moro ha così sentitamente formulato.

(La proposta Moro è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE constata che l’intero articolo risulta approvato nei seguenti termini:

«Il diritto di associarsi, senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali è riconosciuto a tutti».

«Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare sono vietate».

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Dossetti, Iotti Leonilde, Merlin Umberto e Togliatti.

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

12.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Moro – Marchesi – Mastrojanni – Lucifero – Lombardi Giovanni – Mancini – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – De Vita – Grassi – Cevolotto – Caristia – Corsanego.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente la discussione si era fermata sulla formula da lui proposta per la seconda parte dell’articolo 2-bis: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge», e che su di essa si era giunti ad un accordo di massima da parte di tutti i Commissari ad eccezione dell’onorevole Dossetti, cui si era unito anche l’onorevole Basso; se non che, dopo la seduta, gli onorevoli Basso e Dossetti gli dichiaravano di accettare la sua formula.

Propone perciò di votare le proposizioni già esaminate, salvo a passare poi all’esame delle altre proposte di articoli depositate alla Segreteria, che fissano posizioni diverse da quelle già approvate, o fanno delle aggiunte a titolo di svolgimento e completamento del pensiero contenuto nelle prime proposizioni.

Richiama l’attenzione dell’Assemblea dopo che sarà stato approvato per intero questo articolo sul piano della discussione che era stata avviata e interrotta salvo ad esaminare le nuove proposte contenute in questi nuovi articoli e a dare, se saranno approvati, una posizione ad essi, in relazione logica con quelli che eventualmente fossero stati approvati in precedenza.

Rilegge la parte già approvata:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome» e avverte che a questo punto, secondo la sua proposta, dovrebbe aggiungersi la seguente dizione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

La mette ai voti.

MORO dichiara che voterà favorevolmente alla proposta del Presidente. Richiama però l’attenzione della Commissione su ciò che era stato proposto dai due relatori, i quali, modificando lievemente la formula del Presidente, avevano proposto di stabilire che «i casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge». Ritiene che una formula del genere sia la più adatta.

Propone quindi di fare in primo luogo un’affermazione di carattere generale così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge»; e di mettere poi come eccezione: «Nessuno può èssere privato della cittadinanza per motivi politici».

PRESIDENTE dubita sulla opportunità di iniziare una discussione su questa proposta.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula suggerita dal Presidente. Fa presente però quanto ebbe a rilevare nella seduta precedente, in ordine alle sue preoccupazioni per il significato lato che può rivestire il concetto di motivo politico.

LUCIFERO dichiara di non poter accettare nessuna delle due formule proposte sia dall’onorevole Moro, sia dal Presidente, perché crede che la formula migliore sia quella proposta dall’onorevole De Vita nella precedente seduta, in base alla quale si stabiliva che la cittadinanza non si può perdere se non per acquisto di un’altra.

Fa sue le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni, che, cioè, i motivi politici sono talmente vasti che vi si può far entrare qualunque ipotesi. Invita, se si voterà favorevolmente questa dizione, di chiarirla bene, altrimenti il problema non sarà risolto.

PRESIDENTE fa presente che tutti furono unanimi nel ritenere che alla formula si dovesse dare una specifica chiarificazione: motivi di partito, di opinione politica, di fazione, ecc.

LUCIFERO osserva che tale interpretazione dovrebbe essere inserita nel testo della Costituzione, e non soltanto inclusa nel verbale. Quando il legislatore farà le leggi in applicazione della Costituzione, o il magistrato farà le sentenze in applicazione della legge o della Costituzione, non terrà conto del verbale della Sottocommissione, ma si atterrà alla lettera del testo che avrà sotto gli occhi.

PRESIDENTE fa rilevare che il legislatore dovrà tener conto anche dello spirito della Costituzione.

LUCIFERO replica che il legislatore ne terrà conto solo quando gli farà comodo. Domanda che si trovi il modo di formulare questa specificazione, fermo restando che, personalmente, egli è contrario alla proposta del Presidente, in quanto ritiene che la cittadinanza non possa in nessun caso essere tolta.

LOMBARDI GIOVANNI insiste sulla formula da lui indicata fin dal primo momento: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge». Desidera che resti fissato in primo luogo il fatto che non si può togliere la cittadinanza per motivi politici, perché questo importa stabilire non solo dal punto di vista storico, ma anche legislativo, a causa degli ultimi anni di fascismo, in cui fu tolta la cittadinanza e perfino furono tolti gli averi a chi era andato fuori dell’Italia. È una affermazione di libertà repubblicana, a cui tiene soprattutto per venire incontro ai molti dubbi manifestati.

Avverte però che, in subordinata, aderisce alla proposta del Presidente.

MARCHESI si dichiara favorevole alla formula proposta dal Presidente. Fa osservare all’onorevole Moro che è importante che i motivi politici abbiano un posto dominante nella formulazione dell’articolo. È d’avviso anzi che si possa anche eliminare l’ultima parte della formula, inquantoché dire che nessuno può essere escluso dalla cittadinanza per motivi politici, implica che la cittadinanza stessa può essere perduta per altri motivi disposti dalla legge.

Avrebbe preferito che fosse lasciata come una gemma solitaria quella parte riguardante l’esclusione dei motivi politici, come eventuale causale della perdita della cittadinanza. Desidera che in verbale sia messo che egli vota questo articolo col proposito che la libertà politica del cittadino non sia in alcuna maniera menomata, né limitata oltre e dentro i confini della Patria.

MANCINI dichiara di aderire pienamente al concetto svolto dall’onorevole Marchesi.

MASTROJANNI propone la seguente formulazione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».

PRESIDENTE riassume la situazione molto complicata a cui è giunta la discussione, per quanto riguarda la forma e non per quanto riguarda la sostanza.

Fa presente che la proposta più radicale è quella dell’onorevole De Vita, il quale propone si dica: «Non si può perdere la cittadinanza senza l’acquisto di un’altra». Tale proposta, quindi, deve essere votata per prima. Chiede il parere dei relatori.

BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di accettare la formulazione proposta dal Presidente.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta De Vita.

MORO dichiara che voterà contro la proposta perché non tiene conto di nessuna delle due esigenze che si è cercato di far valere: escludere, cioè, la perdita della cittadinanza per motivi politici e stabilire che soltanto la legge possa sancire la perdita della cittadinanza.

(La proposta è respinta).

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dell’onorevole Moro così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge. Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».

(La proposta è respinta).

Mette ai voti la prima parte della formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».

DE VITA dichiara di votare contro perché ritiene che non si debba in nessun caso privare il cittadino della cittadinanza.

(La prima parte della formula proposta dal Presidente è approvata – Voti favorevoli: 11 – Voti contrari: 3).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, aggiuntiva alla proposizione testé approvata.

MARCHESI crede che dovrebbe avere la precedenza la sua proposta, di fermarsi cioè alla proposizione già approvata.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Marchesi propone che la dizione dell’articolo si limiti alla prima proposizione, sopprimendo la seconda. Fa presente peraltro che l’onorevole Marchesi ha dichiarato che, ove il voto dell’Assemblea non accogliesse la sua proposta, egli è disposto a votare anche la seconda proposizione.

BASSO, Relatore, ritiene più opportuno votare anche la seconda parte dell’articolo, per la garanzia del cittadino. Perché tale garanzia sia completa, è necessario affermare che un atto così importante come la perdita della cittadinanza non può essere regolato in via amministrativa, ma soltanto a mezzo della legge.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Marchesi.

(La proposta non è approvata – Voti favorevoli: 3 – Voti contrari: 11).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di aggiungere dopo le parole, «nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici», le altre «a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».

BASSO, Relatore, dichiara che voterà contro questa proposta che si risolve in una casistica pericolosa. Se fosse accettata, si verrebbe praticamente a distruggere tutto il senso che si vuole dare all’espressione.

MORO si associa, per le stesse ragioni, all’onorevole Basso nel respingere la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni.

(La proposta è respinta – Voti favorevoli: 1 – Voti contrari: 13).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta da lui presentata di aggiungere dopo le parole: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici» le altre «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).

Ricorda che nella seduta precedente l’onorevole Lombardi aveva proposto che l’articolo 2-bis fosse collocato subito prima dell’articolo 2 e dopo l’articolo 1, e cioè diventasse articolo 1-bis.

Propone a questo proposito che le questioni riguardanti il collocamento degli articoli siano esaminate dalla Commissione alla fine dei suoi lavori. Domanda all’onorevole Lombardi se è d’accordo.

LOMBARDI GIOVANNI è d’accordo.

LA PIRA, Relatore, dichiara di aderire anch’egli alla proposta del Presidente.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 2-ter, il quale ad una prima proposizione già approvata in un precedente articolo: «Nessuno può essere privato del proprio nome», aggiunge una seconda proposizione che contiene disposizioni per quanto riguarda i titoli nobiliari.

Osserva che la questione dei titoli nobiliari era stata prevista dai due Relatori che avevano proposto due formule diverse. L’onorevole Basso aveva proposto la seguente formulazione: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome». La formula dell’onorevole La Pira diceva invece: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi».

MORO, prima di passare alla discussione dell’articolo 2-ter, desidera ricordare che egli aveva proposto di staccare la prima formulazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto» e farne un articolo a sé il quale esprima il punto di vista della Costituzione sul problema della capacità giuridica. D’accordo con l’onorevole La Pira e con l’onorevole Basso, proporrebbe poi di integrare l’articolo 2-bis, in cui è contenuta la proposizione: «Ogni uomo è soggetto di diritto», con un’altra dichiarazione riguardante il problema della personalità giuridica degli enti.

Sottolinea inoltre l’opportunità di distinguere l’articolo riguardante la capacità giuridica dagli altri due riguardanti il problema del nome e il problema della cittadinanza. Tanto più che l’articolo riguardante il nome viene ad essere integrato da alcune necessarie disposizioni in materia di titoli nobiliari e di onorificenze.

Pertanto propone di scindere l’articolo 2-bis in tre articoli.

PRESIDENTE fa osservare che l’articolo 2-bis è stato discusso e approvato in una determinata espressione. Si può ora discutere la proposta aggiuntiva dell’onorevole Moro; ma la posizione formale o logica più appropriata di questa espressione aggiuntiva sarà definita in sede di coordinamento e di collocamento degli articoli: L’articolo 2-bis è stato già approvato con quella determinata forma e pertanto andrebbe lasciato così come è.

MORO fa presente alla Commissione che non presenta una proposta nuova, ma soltanto richiama una sua vecchia proposta, che era stata accantonata. Questa proposta è ora tanto più valida in quanto, attraverso le discussioni, è apparso opportuno scindere le due questioni della capacità giuridica e del diritto al nome.

PRESIDENTE insiste sulla sua proposta di riservare la questione del collocamento al momento opportuno. Ciò non pregiudica in nessun modo l’ulteriore esame dei concetti nuovi che l’onorevole Moro ha proposto, con le sue proposizioni aggiuntive. Per il momento non ritiene sia il caso, anche per regolarità di procedura, ritornare a discutere sull’articolo che è stato già approvato, anche se si tratta del collocamento di qualche proposizione aggiuntiva.

Crede che l’onorevole Moro sia d’accordo su questo concetto e che quindi si possa passare a discutere l’altra proposta fatta dall’onorevole Moro, d’accordo con i Relatori Basso e La Pira, e cioè di inserire nell’articolo 2-bis la proposizione seguente: «Agli enti spetta, nelle condizioni previste dalla legge, la personalità giuridica».

MORO dichiara di ritenere che questa proposizione sia un necessario completamento della dichiarazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto». Ogni ordinamento giuridico riconosce la personalità di diritto non solo all’uomo ma anche agli enti, cioè alle associazioni che vengono chiamate «corporazioni e fondazioni». Anche in questo caso si verte in quel tema del riconoscimento di diritto fatto al singolo da parte dello Stato e garantito dalla Costituzione. Quando si afferma che agli enti, costituiti secondo la forma prevista dalla legge, spetta la personalità giuridica, si riconosce non solo il fondamentale diritto alle associazioni di avere una personalità giuridica, ma anche il diritto di dare vita agli enti che abbiano quegli strumenti di attività nell’ambito della vita sociale e giuridica dello Stato. Si ha quindi il riconoscimento della personalità e la possibilità per questi enti di funzionare come un tutto per fini privati.

LOMBARDI GIOVANNI domanda che vengano specificati questi enti. Infatti, dire, per esempio, «enti di diritto pubblico», potrebbe anche essere ammesso; ma dire soltanto enti in generale gli sembra eccessivo.

MORO osserva che, quando si dice che questi enti devono essere nelle condizioni previste dalla legge, non si intende dire enti in generale. Tutte le volte nelle quali sussistano fondate ragioni per ritenere che un determinato ente si debba considerare come un tutto a sé, lo Stato non può rifiutare di concedere a questo il riconoscimento giuridico.

GRASSI ritiene che sia inutile aggiungere una proposizione che riguardi gli enti. Non vi è dubbio che quando vi siano delle determinate condizioni, gli enti debbono essere riconosciuti dallo Stato. C’è dunque la legge che li riconosce. Nella Costituzione si debbono affermare soltanto quei concetti che sono essenziali veramente. Quando si afferma che l’uomo è soggetto di diritto si afferma un principio universale. Per quanto riguarda gli enti, invece, è chiaro che la legge dovrà riconoscere quando sussistono quelle determinate condizioni che ne ammettano il riconoscimento.

LA PIRA, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul contenuto della relazione Mortati, in cui si affermava, quanto ai diritti di libertà propri della persona fisica e comuni alla persona giuridica, la necessità di sancire alcuni di quei diritti specifici alla persona giuridica, e primo tra questi il diritto al conseguimento della personalità giuridica. L’affermazione di tale diritto deve muovere dalla considerazione della natura propria dell’atto di riconoscimento, da intendere secondo una recente tendenza non come un atto di concessione, bensì come un atto tale da far sorgere un vero diritto alla sua emanazione.

Il problema è questo: quando nella Costituzione si afferma che gli enti hanno diritto al riconoscimento della loro personalità giuridica, si afferma che non si tratta di una concessione da parte dello Stato, ma di un diritto originario che quindi è un atto dovuto dallo Stato. Pertanto sorge la necessità di affermare questo principio nella Costituzione.

MARCHESI osserva che si tratta di un diritto originario, ma condizionato.

LA PIRA, Relatore, replica che si tratta appunto di riconoscere la originarietà di questo diritto e la sua natura di non concessione da parte dello Stato.

DE VITA ritiene opportuno che sia lasciata alla dottrina la soluzione di questo dibattutissimo problema della personalità giuridica degli enti collettivi. Si tratta di materia di legislazione ordinaria che non deve essere disciplinata nella Costituzione.

PRESIDENTE fa rilevare che la preoccupazione della Sottocommissione è quella di poter arrivare possibilmente ad una precisazione di questi enti. Prega pertanto l’onorevole Moro di voler dare una precisazione in questo senso.

MORO ribadisce il punto di vista già enunciato, affermando il diritto di libertà in merito alla concessione della personalità giuridica agli enti collettivi. Da un lato si garantiscono queste naturali formazioni umane che perseguono i fini più diversi, e possono perseguirli soltanto in quanto, oltre ad essere riconosciuto il diritto agli uomini di associarsi, viene riconosciuto ad essi anche il diritto ad agire in modo compatto attraverso quelle entità unitarie che sono le persone giuridiche. Dall’altro lato, si garantisce inoltre il diritto di libertà individuale, in quanto tra le libertà individuali vi è, oltre quella di essere riconosciuti personalmente come soggetti di diritto, anche quella di dar vita ad un soggetto di diritto di natura collettiva il quale naturalmente sarà sempre al servizio della persona umana.

Per quanto riguarda la precisazione degli enti, non gli pare che sia questa la sede: si può dire in ogni modo che le corporazioni e le fondazioni sono le due categorie fondamentali di questi enti giuridici. Così pure non gli sembra opportuno voler specificare gli enti di diritto pubblico e quelli di diritto privato. Comunque, si può dire che, per quanto riguarda il diritto privato, sarà la legge stessa che li specificherà; nell’ambito del diritto pubblico li specificherà la Commissione stessa quando parlerà dei comuni, dei partiti, e definirà in qual senso si deve intendete questa personalità giuridica.

Per quanto riguarda l’altra osservazione che, aggiungendo questa proposizione, non si fa altro che un rinvio alle leggi, non gli sembra che essa sia fondata. Egli ha inserito nella sua formula la espressione: «nelle condizioni previste dalla legge», perché si deve ritenere che lo Stato abbia il diritto di controllare se sussistano i motivi sufficienti per attribuire agli enti la personalità giuridica.

Lo Stato può fissare delle condizioni per questo riconoscimento; ma non può negare la personalità giuridica agli enti che lo meritano. Si affidano allo Stato i necessari poteri di controllo, ma gli si sottraggono poteri arbitrari dicendo che esso deve riconoscere gli enti tutte le volte che sussistano queste condizioni.

CEVOLOTTO non ritiene che ci sia bisogno di questa proposizione per garantire la personalità giuridica agli enti. Quando si obbliga il legislatore a riconoscere le persone giuridiche nei limiti della legge che sarà fatta, si dice una cosa inutile. Si capisce che, per forza di cose, questo riconoscimento ci sarà.

DE VITA ritiene che, nel caso degli enti collettivi, non si tratti di una realtà fisica, umana, ma di una finzione della personalità giuridica.

Dichiara pertanto di essere contrario alla proposta dell’onorevole Moro e dei relatori.

MASTROJANNI si dichiara anch’egli contrario alla proposta Moro. Non ritiene che sia il caso di fare un’enunciazione specifica degli enti nella Costituzione. Se la si facesse, si metterebbe in evidenza la necessità naturale dell’esistenza di queste associazioni, le quali potrebbero costituire un pericolo dal punto di vista politico. Si meraviglia che dopo l’esempio del fascismo, il quale attraverso il riconoscimento giuridico dei sindacati ha creato uno stato di cose le cui conseguenze oggi sono lamentate da tutti, si tenti – attraverso questa enunciazione complessa e un poco sibillina – di ripristinare un vieto sistema che tutti hanno condannato. Per queste ragioni voterà contro l’inciso suggerito dall’onorevole Moro e dai relatori.

LA PIRA, Relatore, all’osservazione dell’onorevole De Vita che le associazioni sono delle finzioni giuridiche, risponde che portando questo argomento si viene a toccare uno dei problemi fondamentali del diritto. Secondo una concezione che l’oratore accetta, le associazioni non sono delle finzioni: la personalità giuridica attribuita ad un ente non è una finzione giuridica. L’ente è una realtà sociale: è una realtà diversa dalla realtà individuale. Come la persona singola è fornita di diritti originari e quindi ha diritto al riconoscimento della personalità giuridica, lo stesso principio vale per le associazioni le quali non sono una finzione giuridica.

All’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, il quale si preoccupa che si voglia costituire uno Stato totalitario, dichiara che non si vuol costituire uno Stato totalitario, ma uno Stato pluralista, cioè uno Stato nel quale esiste la sfera giuridica dei singoli e la sfera giuridica degli enti, che è una sfera integratrice e sussidiaria dello Stato.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che l’osservazione dell’onorevole La Pira tende in sostanza a sostenere che gli enti dovrebbero avere la personalità giuridica de jure non juris tantum, cioè col riconoscimento dello Stato e quando concorrano le condizioni previste dalla legge. È questa una osservazione che aggrava la situazione, non la rende più limpida e più chiara, in quanto che gli enti possono avere fini diversi ed essere costituiti da associazioni, e queste associazioni possono essere di natura diversissima. Si potrebbe anche avere domani un’associazione contro lo Stato o contro la Chiesa. Ora a un’associazione di questo genere nessuno vieterà la libertà di pensare, di parlare e di difendere il proprio punto di vista ed i propri diritti, ma nessuno vorrà de jure concedere una personalità giuridica che possa metterla con eguali diritti e doveri contro lo Stato stesso. Tutto questo gli sembra non una concezione totalitaria, ma una concezione atomistica dello Stato, nella quale queste personalità giuridiche dei diversi enti concorrerebbero contro lo Stato alla attuazione del diritto.

Per conseguenza, se questa concezione non dovesse essere ritenuta superflua dato che ogni ente può chiedere, e con le condizioni di legge avere, la personalità giuridica, egli propone di aggiungere alla parola «enti» le altre «di diritto pubblico».

Né si può parlare di arbitrio dello Stato, perché col riconoscimento de jure lo Stato, più che essere l’arbitro, finirebbe per essere la vittima di queste diverse personalità giuridiche. È quello che è avvenuto nel passato. La storia non è soltanto quella del regime fascista, è anche quella medioevale.

MANCINI osserva che il fascismo non è storia, ma cronaca nera.

LOMBARDI GIOVANNI replica che è un fatto storico che vi siano stati sindacati con personalità giuridica, in quanto erano una filiazione diretta dello Stato: cioè, nell’atto che si concedeva loro la personalità giuridica, si svuotavano i sindacati del loro vero contenuto psicologico, morale e politico. Ora non si debbono fare di queste astrazioni e si deve poter concedere la personalità giuridica soltanto a quegli enti che, nelle condizioni previste dalla legge, lo Stato crede di poter ammettere nel novero delle personalità giuridiche. Ma una formula generica, col criterio della natività della personalità giuridica, non può che portare a gravi conseguenze.

Concludendo, dichiara di essere del parere che la proposizione sia soppressa, o che si parli solo di enti di diritto pubblico.

MANCINI ritiene che la questione abbia un doppio aspetto. Il primo aspetto è quello di decidere se la enunciazione illustrata dall’onorevole Moro sia da collocarsi in sede costituzionale. Il secondo aspetto riguarda le ragioni che giustificano l’enunciazione. L’onorevole Grassi si è opposto a che il principio venga inserito nella Costituzione e ne ha specificato le ragioni. Ad esso l’onorevole Moro e i Relatori hanno soltanto opposto le ragioni che giustificano l’enunciazione; ma non quelle che consigliano la inclusione nella Costituzione.

L’onorevole La Pira ha tentato timidamente di giustificare l’inclusione della enunciazione in sede costituzionale, perché in siffatto modo si afferma un «riconoscimento» e non una «concessione». Risponde subito all’onorevole La Pira che, quando nelle leggi dello Stato vi è una concessione, si intende che vi sia un riconoscimento. E allora, se la concessione è nelle leggi dello Stato, interessa nella Costituzione affermare soltanto il principio generale che riguarda la personalità umana.

La personalità giuridica degli enti sarà configurata o prevista dalle leggi speciali. Perciò si dichiara contrario all’inclusione nella Carta costituzionale dell’enunciazione proposta dai Relatori e dall’onorevole Moro.

BASSO, Relatore, dichiara che nelle prime sedute, quando si discusse la relazione La Pira dove si parlava ai questo diritto originario delle comunità, fu nettamente contrario alla enunciazione. Dichiara di rimanere dello stesso punto di vista. Se ha acceduto a questa formulazione, l’ha fatto con lo spirito con il quale crede che si debba lavorare, quello cioè di cercare una formula soddisfacente per tutti. D’altro lato, dubita che questa formulazione possa salvaguardare le preoccupazioni legittime di coloro i quali temono che si inserisca nella Costituzione l’affermazione di un diritto originario di queste comunità al di fuori dello Stato. Non condivide il concetto del diritto originario della comunità portato nella discussione dall’onorevole La Pira, a giustificazione dell’articolo proposto. L’onorevole La Pira ha citato l’opinione espressa nella relazione Mortati: dichiara di non condividere questo concetto ed afferma che non si deve in questa sede risolvere una questione giuridica.

Riconosce che questo tentativo transazionale tra le due opposte posizioni è inoperante e dichiara che personalmente è contrario al riconoscimento della personalità giuridica come esistente prima dello Stato.

Pensa peraltro che si possa trovare una formulazione che accontenti tutti, e propone la seguente: «Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti è disciplinato dalla legge».

CARISTIA ritiene che il concetto dei Relatori non sia quello di affermare un diritto che si vuol far nascere prima dello Stato, ma un diritto che sia come un prolungamento di quello che è il diritto dello stesso individuo ad essere riconosciuto. Se si ammette che deve esistere un diritto di associazione, come negare poi a queste associazioni il diritto ad essere riconosciute come persone giuridiche? Qui non si fa questione teorica, se cioè le persone giuridiche abbiano questa o quell’altra figura; si fa questione della opportunità di affermare o meno, in sede costituzionale, il diritto che gli enti siano riconosciuti da parte dello Stato. Naturalmente, questo dovrà avvenire sempre nei limiti consentiti dalla legge dello Stato stesso, il quale non potrà mai rinunciare al suo controllo su queste persone, anche quando esse siano soggetto di diritto. Ritiene perciò che si possa trovare una formula conciliativa per salvaguardare il diritto dello Stato e il diritto delle associazioni ad essere riconosciute come personalità giuridiche.

MORO dichiara di aderire alle precisazioni dell’onorevole Caristia e di voler aggiungere qualche chiarimento. Crede di non essere stato ben capito quando ha illustrato il significato della sua proposta. Ha sentito dire alcune cose che sono lontanissime e dalle sue intenzioni e dalla sostanza della questione. Ha sentito parlare di una concezione atomistica dello Stato, di enti che, essendo contro lo Stato, sarebbero riconosciuti come forniti di capacità giuridica; si sono fatti accostamenti ai sindacati fascisti e si sono confuse le idee circa la personalità giuridica. Rileva che la personalità giuridica è una cosa molto semplice, che non ha alcun sottinteso politico. Discutendo di personalità di enti di fronte allo Stato non si parla di comunità, di quelle che i cristiani chiamano comunità naturali: la famiglia, ecc. Qui si discute un problema tecnico: si tratta di definire se gli uomini possano associarsi per un fine superindividuale, e possano agire come entità completa, unitaria. Si tratta di definire se dei beni possano essere destinati ad uno scopo, e quindi creati come personalità giuridica. Nessun sottinteso giuridico e nessuna priorità di questi enti contro lo Stato, tanto è vero che si riconosce che lo Stato debba accordare ad essi personalità giuridica nelle condizioni disposte dalla legge.

Rispondendo all’onorevole Cevolotto circa la non necessarietà di una dichiarazione del genere nella Costituzione, osserva che con siffatta dichiarazione si afferma un principio che serve come criterio di orientamento per la legislazione dello Stato.

Anche nei riguardi dei diritti degli uomini come individui, è stato posto un principio generalissimo che orienta tutta la legislazione, ma non è stata privata la legge del suo potere di definire la sfera particolare nell’ambito della quale quella soggettività in concreto non può essere riconosciuta. Lo stesso si fa in questo caso. Si dice che lo Stato, fissando le condizioni per il riconoscimento della capacità giuridica, non può negarla a suo arbitrio. Non si afferma nessuna posizione di priorità nei confronti dello Stato; soltanto si dice che non solo viene lasciata all’uomo la personalità giuridica individuale, ma gli si riconosce il diritto di associarsi, di destinare beni, di ottenere in questa nuova forma di associazione, o destinazione di beni, un incremento di azione che è appunto la personalità giuridica.

Comprende l’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, che parte da una concezione individualistica, ma non giustifica le osservazioni di parte socialista. Con siffatta affermazione non si vuole riprendere la discussione sulle comunità, ma si chiede la personalità giuridica per alcuni enti quali quelli di beneficenza, per esempio, perché enti di diritto pubblico.

Conclude ripetendo che con l’affermazione riguardante gli enti non si va contro lo Stato. D’altra parte non si introduce lo Stato attraverso questo riconoscimento in ogni sfera privata; si riconosce soltanto una entità che agisce in maniera compatta nella vita giuridica.

PRESIDENTE domanda se c’è una proposta concreta da parte di coloro che hanno sostenuto la superfluità della norma in sede costituzionale.

CEVOLOTTO dichiara di fare una proposta concreta in tal senso e di ritenere che tale proposta abbia la priorità su tutto le altre nella votazione.

PRESIDENTE dichiara che la proposta di soppressione pura e semplice della formula, presentata dall’onorevole Cevolotto e sostenuta da altri componenti della Commissione, è la più radicale, e quindi ha diritto alla priorità nella votazione. Pertanto la mette ai voti.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

MORO dichiara di riservarsi di sollevare la questione in sede opportuna.

PRESIDENTE pone in discussione le proposte di formulazione dell’articolo che, per ora, avrà il numero d’ordine 2-ter.

Ricorda che vi è la proposta dell’onorevole Basso che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome». La proposta dell’onorevole La Pira invece è formulata in questi termini: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi.

BASSO, Relatore, fa rilevare che nel testo da lui proposto si dice espressamente: «I titoli nobiliari sono aboliti». Nel suo concetto, perciò, colui che oggi è principe perderà il titolo di principe, ma conserverà il predicato. Nel concetto della formula proposta dall’onorevole La Pira non vi è questa affermazione di abolizione del titolo.

LA PIRA, Relatore, precisa di aver fatta sua la formula della Costituzione di Weimar. Poiché i titoli nobiliari non sono più fondamento di privilegi o di diritti oggi, o tanto meno lo saranno domani, non vi è nessuna difficoltà ad ammettere che il titolo di conte, principe o marchese possa restare. E ciò anche per una ragione di Delicatezza politica: esistono infatti in Italia molti casati nobili; non v’è nessuna ragione giuridica o politica che costringa ad abolirli formalmente.

LUCIFERO ritiene che la formula dell’onorevole La Pira sia la migliore. Nello stato giuridico del diritto nobiliare italiano il titolo fa parte integrante del nome: tant’è vero che determinati atti pubblici si debbono firmare con il titolo. Per ragioni anche di indole pratica, crede che il titolo, come parte integrante del nome, dovrebbe essere mantenuto. Fa presente quello che succede in Paesi deve i titoli nobiliari sono stati aboliti. In Francia, per esempio, vi è un pullulare di nobili come non si è visto in nessun altro paese. E in questo Paese si verifica anche l’inconveniente che, non potendo più essere perseguibile chi abusivamente porta un titolo, a molti lestofanti si rende facile spacciarsi per nobili e crearsi una carta di visita che permette di commettere azioni poco pulite. Quando si stabilisce che il titolo per legge fa parte integrante del nome, ci si difende da questo pullulare incontrollato di persone, che approfittano della situazione per infiltrarsi non solo nell’ambiente di società, ma per commettere azioni disoneste. Per tali ragioni dichiara di accettare la formula dell’onorevole La Pira. D’altra parte, visto che i titoli non portano più nessun privilegio, mentre se sono aboliti portano un privilegio a favore degli sfruttatori, inserire il titolo vicino al nome sarebbe una disposizione pratica che rispetterebbe anche un diritto acquisito.

CEVOLOTTO dichiara che, come democratico, non può che essere favorevole alla abolizione dei titoli nobiliari. L’unica perplessità è una perplessità di indole politica. Con questa abolizione si finirà col portare tutta una classe abbastanza numerosa a diventare, anche se oggi sarebbe disposta a farsi repubblicana, strettamente monarchica, nella speranza di riavere i titoli nobiliari perduti.

Osserva però che la formula proposta dall’onorevole La Pira, se si dovesse venire all’abolizione del titolo, non lo soddisfa perché rappresenta una via di mezzo, peggiore della soluzione radicale. Tale formula inoltre, nell’esecuzione pratica, porterebbe forse ad una situazione peggiore della presente, perché vi sono dei titoli che si ereditano per linea primogenita, o che sono conferiti solo a tutti i discendenti maschi. Quando si stabilisca che il titolo è parte integrante del nome, tutti i figli lo erediterebbero, anche quelli che non avrebbero potuto ereditarlo in base alla legge precedente. D’altre parte, se si volesse modificare questo diritto successorio si dovrebbe mantenere la Consulta araldica, e quindi tutta la bardatura del diritto nobiliare che si vuole abolire. Quindi, o si mantiene, per una ragione di opportunità politica, il titolo nobiliare con la disciplina che deve avere secondo il diritto nobiliare, oppure lo si abolisce del tutto.

LOMBARDI GIOVANNI sottolinea la necessità di tener presente l’importanza della rivoluzione compiutasi. Non si è voluta fare una Repubblica all’uso di Gioberti, ma una Repubblica all’uso di Mazzini. Questa repubblica non deve tollerare che permangano delle cariatidi del passato che hanno ricevuto il titolo nobiliare in epoca remotissima. Né ci si può attardare sulle preoccupazioni esposte da alcuni oratori circa la possibilità che dei truffatori, in caso di abolizione, si servano di titoli inventati da loro; ad essi penserà il Codice penale. Per queste ragioni si dichiara contrario alla conservazione dei vecchi titoli, e non può accettare neppure la formula proposta dall’onorevole Basso, che è una formula monca.

È stato affermato che molti titoli hanno una storia: egli per contro afferma che questi rimasugli di una storia superata dalla vittoriosa Repubblica offenderebbero il nostro sentimento. Propone che si dica soltanto: «I titoli nobiliari sono aboliti e non ve ne possono essere più».

MASTROJANNI osserva che, nella questione dei titoli nobiliari, si verte più in tema demagogico, che in tema costituzionale. L’abolizione dei titoli nobiliari presuppone una preoccupazione di permanente soggezione a chi è fornito di un titolo da parte di chi non lo possiede. Ora questo presupposto, dal quale non si può prescindere per giungere alla conclusione voluta da alcuni oratori, è offensivo per l sensibilità del popolo italiano, il quale nella persona titolata non vede che un uomo come lui, che ha un titolo, ma non ha alcun privilegio. Ritiene che una Repubblica democratica quale è quella italiana, la quale si preoccupa di una questione così sottile e in nome della democrazia e della libertà viene a distruggere quello che è un diritto acquisito per legge, sia in contraddizione con se stessa.

Va bene stabilire che i titoli nobiliari sono aboliti per l’avvenire; ma giungere al punto di togliere quello che costituisce un patrimonio spirituale, avrebbe il valore di una patente lesione della libertà individuale da parte di chi ne ha affermato i sacri principî.

Propone perciò che nella Costituzione non si parli affatto della questione dei titoli nobiliari; e che, in via subordinata, se non si ritiene opportuno omettere del tutto la questione stessa, si provveda per l’avvenire, ma si lasci integro quello che è un patrimonio già acquisito.

MARCHESI rileva che i Relatori concordano nell’abolire la distinzione di casta nobiliare la quale, se oggi non costituisce un privilegio, rappresenta una lunga storia di privilegi. Se si dovessero mantenere i titoli nobiliari, data la molteplicità dei titolati, si verrebbe a mantenere la casta; si dichiara quindi favorevole alla formula dell’onorevole Basso e non a quella dell’onorevole La Pira.

Se la Repubblica vuole abolire queste distinzioni di casta, è bene che esse siano abolite di fatto e non di nome, perché le concessioni nobiliari in Italia, specie in talune contrade, sono numerosissime e il titolo di barone, di conte e di principe, specialmente in Sicilia, ha il suo valore. Insomma si tratta di svincolare una gran parte della popolazione minuta di talune contrade italiane, non da un privilegio effettivo, ma da una soggezione che è realmente esistente.

Accetta perciò la formula proposta dall’onorevole Basso.

CARISTIA dichiara che voterà la formula proposta dall’onorevole La Pira, in quanto, pur essendo persuaso che nella Repubblica la prima legge è quella dell’uguaglianza, e pertanto non debbono esistere caste nobiliari, non può non restare perplesso circa l’abolizione dei titoli, soprattutto per le ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto. Si domanda se proprio in questo momento sia assolutamente necessario andare contro una classe la quale in sostanza è perfettamente innocua. La Repubblica è ben salda e non ha bisogno certo di essere rafforzata con siffatte abolizioni.

È stato detto che questi nobili possiedono un privilegio, anzi rappresentano una collana di privilegi antecedenti; ma non vede in che cosa consistano praticamente, questi privilegi. Non si deve dare soverchia importanza alla situazione che può riscontrarsi in alcune piccole contrade d’Italia. Ritiene che ci si debba mettere su di un terreno di opportunità, e domandarsi se sia il caso di abolire i titoli che già esistono. Per l’avvenire, invece, è chiaro che essi non dovranno più essere concessi.

MANCINI ritiene che l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica. Se così fosse, non la voterebbe. Essa, invece, è la conseguenza logica, politica dell’ordinamento democratico repubblicano oggi vigente. E la prova che non sia demagogica è data ad esuberanza dai ricordi storici. La Rivoluzione francese abolì i titoli nobiliari, e la Rivoluzione francese non faceva demagogia. La Repubblica di Weimar, di cui l’onorevole La Pira ha riportato integralmente l’articolo, non fece della demagogia. Rammenta che in una pagina di Giuseppe Mazzini sta scritto che: «la sola nobiltà che si ha il dovere di rispettare è la nobiltà dell’ingegno e del lavoro». Bastano queste parole per indicare a tutti gli oppositori come l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica.

Fa presente inoltre che il Consiglio dei Ministri ha abolito il titolo e l’attributo di Eccellenza, che non è un titolo nobiliare, ma un attributo conquistato da colui che è eccelso per virtù d’ingegno e di lavoro. Se, dunque, è stato abolito l’attributo di Eccellenza, come si può mantenere in vita il titolo di nobiltà conquistato dalla violenza delle armi o dai favoritismi regi?

Si dichiara perciò favorevole all’abolizione pura e semplice del titolo nobiliare, come conseguenza legittima dell’ordinamento repubblicano.

GRASSI è d’accordo circa l’abolizione del titolo come conseguenza dell’ordinamento repubblicano. Fa però osservare che il titolo ormai fa parte integrante del nome, è scritto nello stato civile, nel catasto, ecc., e quindi la persona che porta il titolo è seguita da tutta una situazione particolare. Perciò il titolo, anche se abolito, deve restare a far parte del nome; altrimenti si dovrebbe stabilire una legge per togliere nello stato civile, nel catasto, ecc. tutte le intestazioni fatte a quel nome.

Si dichiara pertanto favorevole alla formula proposta dall’onorevole La Pira.

MARCHESI fa presente la necessità di chiarire, nel caso in cui venga mantenuto il titolo, se ne mantiene anche la trasferibilità.

PRESIDENTE propone di votare anzitutto la proposta dell’onorevole Mastrojanni il quale, pur non dichiarandosi contrario all’abolizione dei titoli nobiliari, ritiene inopportuno far parola di tale questione in sede di Costituzione.

LUCIFERO fa presente che è perfettamente inutile stabilire che per l’avvenire non si concedono titoli nobiliari, una volta venuta meno la fonte dalla quale essi emanano.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, il quale ritiene che non sia assolutamente necessario, anzi che sia inopportuno, parlare della questione in sede costituzionale.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli e 12 contrari).

Poiché ritiene che tutti siano d’accordo sul principio che per l’avvenire i titoli nobiliari devono essere aboliti, propone che sia votata anzitutto la proposizione in cui è detto: «Per l’avvenire i titoli nobiliari non possono essere concessi».

CEVOLOTTO ritiene che giuridicamente prima di tutto vada posta la questione se i titoli nobiliari debbano essere aboliti o meno; poi sarà votata l’altra questione se debbano esserne concessi dei nuovi.

GRASSI dichiara che voterà in favore della abolizione, con l’intesa che si provveda con apposita disposizione per quanto riguarda il passato.

PRESIDENTE fa osservare che, se si mette in votazione una formula la quale stabilisca che per l’avvenire sono vietati i titoli nobiliari, si ha l’unanimità.

BASSO, Relatore, prega di voler mettere ai voti più che l’articolo, il concetto. Dichiara che, se la sua proposta venisse respinta, egli non accederebbe in subordinata alla formula proposta dall’onorevole La Pira, perché ritiene che essa peggiorerebbe la situazione portando come conseguenza una inflazione dei titoli nobiliari, che verrebbero ereditati, come è già stato osservato, non soltanto dal primogenito, ma da tutti i figli, e anche dalle donne. Inoltre si verrebbe a stabilire con una norma costituzionale che questi titoli non possano essere toccati, tanto che, se in futuro si volesse abolirli, si dovrebbe modificare la Costituzione. Perciò ritiene che, ove non si approvi la sua formula, è meglio non parlare della questione dei titoli in sede costituzionale.

Fa presente che l’articolo della Costituzione di Weimar, citato dall’onorevole La Pira, aveva un senso in quanto in Germania il titolo conferiva dei privilegi, mentre in Italia i privilegi sono stati aboliti da tempo.

Conclude dichiarando che bisogna in primo luogo vedere se la Sottocommissione è d’accordo sul principio che i titoli nobiliari debbano essere aboliti e che ne resti soltanto il predicato connesso col nome. Se questo concetto non è approvato, ritiene che non si possa ulteriormente discutere.

GRASSI fa osservare all’onorevole Basso che il predicato, conservato con la formula da lui proposta, andrebbe a tutti gli eredi.

BASSO, Relatore, è d’accordo, ma osserva che non andrebbe agli eredi il titolo.

GRASSI replica che è la stessa cosa.

LOMBARDI GIOVANNI fa presente che, di fronte alle tante difficoltà che nascerebbero sia dalla proposta Basso sia da quella dell’onorevole La Pira, egli e l’onorevole Mancini hanno proposto di dire semplicemente: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Chiede che su questa proposta sia fatta la votazione.

PRESIDENTE fa presente che, poiché tutti sono d’accordo per quanto riguarda l’avvenire, occorre solo trovare una formula che accomuni i vari pareri, e che sia chiara nell’interpretazione del legislatore.

Appare invece difficile intendersi per quanto riguarda il passato.

BASSO, Relatore, fa notare che la proposta di limitare l’accenno in sede costituzionale all’avvenire è superflua, come osservava anche l’onorevole Lucifero. Caduta la monarchia, se si afferma espressamente nella Costituzione che la Repubblica non può conferire dei titoli, si intende che essi sono senz’altro aboliti.

MANCINI chiede che la proposta fatta da lui e dall’onorevole Lombardi sia votata per appello nominale.

CEVOLOTTO ripete che, con la formula dell’onorevole La Pira, i titoli nobiliari saranno moltiplicati, sia pure con il semplice valore di nome, e per il pubblico continueranno ad essere titoli nobiliari, come avviene per il titolo di Eccellenza, che è stato abolito e si continua a usare.

Prega perciò l’onorevole La Pira di voler riflettere sugli inconvenienti che presenta la sua proposta.

MARCHESI chiede la chiusura della discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi.

(È approvata).

PRESIDENTE fa presente alla Sottocommissione che arrivando all’adozione di una delle due proposte dei relatori si rischia di creare una sperequazione che non gli sembra opportuna. Perciò si domanda se non sia il caso di riproporre la formula dell’onorevole Mastrojanni. Comunque è propenso a fare la proposta formale che non si dica nulla nella Costituzione per quanto riguarda i titoli nobiliari del passato, e che si stabilisca per l’avvenire che i titoli nobiliari sono aboliti e non se ne possono più concedere.

MANCINI, sottolinea che il silenzio in ordine ai titoli nobiliari significa implicitamente riconoscerli. Invece egli e l’onorevole Lombardi intendono non riconoscerli, in omaggio alla loro fede repubblicana e democratica progressiva.

MORO propone l’abolizione completa della questione dei titoli nobiliari nella Costituzione.

PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Moro, mirante a sopprimere la questione dei titoli nobiliari nella Costituzione, è più radicale di quella dell’onorevole Mancini, appartenendo ad un ordine di proposte pregiudiziali. Pertanto la dovrebbe mettere in votazione per prima.

BASSO, Relatore, osserva che la proposta dell’onorevole Moro non fa che riproporre quella dell’onorevole Mastrojanni che è stata già votata e respinta, e pertanto non ritiene che debba essere votata una seconda volta. Chiede che la votazione avvenga prima sulla formula dell’onorevole Mancini alla quale dichiara di aderire.

MARCHESE prega l’onorevole Moro di non insistere nella sua proposta, perché essa potrebbe riproporsi per moltissimi articoli che saranno esaminati dalla Commissione, e sarebbe allora molto pericoloso stabilire il principio che si possa sempre votare per una proposta pregiudiziale di questo genere.

MORO dichiara di ritirare la sua proposta, poiché egli ne faceva soltanto una questione di opportunità. Insiste però nella sua opinione che la Costituzione, in ogni modo, debba dare una giusta regolamentazione per i titoli nobiliari del passato.

MANCINI osserva che in tal caso si dovrebbero riconoscere anche i malfamati titoli nobiliari concessi dal regime fascista. Insiste nel chiedere che la sua formula sia votata per appello nominale.

PRESIDENTE chiede alla Commissione se non sia opportuno riesaminare la questione per vedere di trovare, d’accordo con i relatori, una formula che possa eliminare ogni perplessità.

MANCINI dichiara di non avere, per suo conto, alcuna perplessità; anzi di essere soddisfatto di tale doverosa depennazione, che annulla un privilegio di nascita, sovente mortificato dalle discendenze.

GRASSI rileva che, per quanto riguarda la prima proposizione, i titoli nobiliari cioè debbano essere aboliti, non esiste nessuna divergenza. I pareri sono discordi invece sulla parte che segue, poiché, mentre uno dei Relatori, affermando che i titoli sono aboliti, vuole conservare solo i predicati, l’altro vorrebbe conservare i titoli ed i predicati. Crede che si potrebbe trovare una conciliazione tra questi due punti di vista. Riallacciandosi alle situazioni storiche e giuridiche del nome e cognome, dato che il titolo fa parte del nome e del cognome, si potrebbero congiungere le due proposte, dicendo che gli attuali titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome. Si dovrebbe cioè dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Poi invece di dire: «I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome», dire: «Quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome».

LA PIRA, Relatore, dichiara di poter accettare la formula dell’onorevole Grassi.

CEVOLOTTO propone che sia messa ai voti quella parte sulla quale sono tutti d’accordo e che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Successivamente si potrà votare la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi, più radicale, che mira a non aggiungere altre proposizioni. Se la proposta Mancini e Lombardi fosse respinta, si dovrebbe passare alla formula dell’onorevole Basso o a quella dell’onorevole La Pira.

LOMBARDI fa rilevare che uno dei Relatori, l’onorevole Basso, ha già rinunciato alla sua proposta ed ha aderito a quella formulata da lui e dall’onorevole Mancini.

BASSO, Relatore, esprime il parere che si debba votare la prima proposizione; poi si discuterà sul resto.

MASTROJANNI crede che non si possa votare isolatamente la prima proposizione, in quanto essa non può essere scissa dalla seconda. La sua coscienza sarà tranquillizzata, nel caso dell’abolizione, solamente quando sia garantita la sorte dei nobili per l’avvenire.

BASSO, Relatore, osserva che, poiché sono tutti d’accordo per l’abolizione pura e semplice nel futuro, votare la prima proposizione vuol dire abolire i titoli esistenti. Chi non è d’accordo voterà contro.

GRASSI osserva che, per logica di cose, i due concetti sono connessi. Bisognerebbe mettere prima ai voti la soppressione della seconda parte, dopo di che rimarrebbe la prima.

Sull’ultima parte dell’articolo non si è trovato un accordo; occorre perciò trovare una formula di compromesso.

MANCINI insiste perché sia messa ai voti la sua proposta, che è assorbente di tutte le altre subordinate.

BASSO, Relatore, fa osservare che, se sarà approvata la proposta degli onorevoli

Lombardi e Mancini, questo significherà che è soppresso tutto il resto. Se essa verrà respinta allora è più logico ripiegare sulla proposta dell’onorevole Mastrojanni. Ci sono tre possibilità: 1°) abolizione pura e semplice dei titoli nobiliari; 2°) abolizione dei titoli nobiliari conservando qualche cosa, o il predicato o il nome; 3°) non parlarne affatto in sede di Costituzione. È logico quindi che si debba votare per prima la proposta Lombardi-Mancini.

GRASSI osserva che c’è un equivoco e che non è possibile votare la prima proposizione dicendo che essa assorbe tutto. Egli voterebbe la prima parte riguardante l’abolizione dei titoli nobiliari, ma poiché vuole salvare la seconda parte della proposta La Pira, dovrebbe votare contro la proposta Mancini.

PRESIDENTE osserva che si è voluto dare, da parte di alcuni Commissari, un significato politico alla questione. Dichiara che non intende fare il protettore dei nobili, ma si preoccupa, per un principio di giustizia, che venga regolata la posizione di coloro che attualmente hanno un titolo. Ciò premesso, in una votazione come quella che propone l’onorevole Mancini, il meno che potrebbe fare è di astenersi; mentre vorrebbe votare più giustamente esprimendo la contrarietà alle nuove concessioni di titoli nobiliari, e nello stesso tempo applicando un principio di giustizia nei confronti di coloro che hanno già un titolo.

MORO osserva che si è fatto male a dare un significato politico alla questione.

CORSANEGO fa presente che i titoli nobiliari attribuiti dal fascismo sono già stati aboliti dalla legge.

LOMBARDI GIOVANNI replica che la Commissione si metterebbe contro questa legge, mantenendo gli altri titoli che non sono migliori di quelli dati dal fascismo.

MANCINI insiste perché la votazione sia fatta subito e per appello nominale.

CEVOLOTTO fa notare che la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi ha la precedenza nella votazione perché è la più radicale, e la Commissione non può cominciare la votazione della seconda parte della proposizione che è una subordinata.

PRESIDENTE dichiara che si asterrà dal votare questa proposta perché, pur essendo decisamente contrario ai titoli nobiliari, intende limitare questa contrarietà a quello che il legislatore farà da oggi in poi.

MORO dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi. Ritiene che tutti siano d’accordo intorno allo spirito democratico dello Stato repubblicano. È acquisito alla coscienza sociale di tutti gli italiani che i titoli nobiliari non rappresentano più alcun privilegio.

Se voterà in senso contrario alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi lo farà innanzi tutto per una ragione di delicatezza politica, in quanto gli pare che la Commissione abbia un supremo interesse, quello di non creare una casta la quale sia per principio ostile alla Repubblica, mentre potrebbe essere e dovrebbe essere immessa nel ritmo vitale della nuova organizzazione dello Stato.

Voterà contro anche per un’altra ragione, e cioè perché gli pare che, quando il titolo nobiliare sia ridotto nel significato puro e semplice di un nome, intaccare il nome significa intaccare la libertà individuale.

Per quanto riguarda i titoli fascisti, ritiene che la legge ordinaria potrà provvedere meglio di quello che non sia una disposizione contenuta nella Costituzione.

MARCHESI risponde all’onorevole Moro che il riconoscere nel titolo nobiliare soltanto una tradizione familiare, e non una realtà di privilegi, non sarebbe merito della nostra Costituzione, ma sarebbe già un merito della nostra storia. La Costituzione avrebbe un merito soltanto nel cancellare la traccia di una tradizione che una volta rappresentava un privilegio.

GRASSI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Moro e di votare contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi per le ragioni esposte dallo stesso onorevole Moro.

LA PIRA, Relatore, si associa completamente alle osservazioni dell’onorevole Moro.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi per le considerazioni che ha già svolto, e che in seguito di tempo sono state condivise da altri oratori.

CORSANEGO si associa alla proposta dell’onorevole Moro, riallacciandosi alle ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto: non si dovrà creare una casta la quale possa avere un pretesto per dimostrarsi ostile alla Repubblica.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi alla quale ha anche aderito il relatore onorevole Basso.

Avverte che, su richiesta degli onorevoli Mancini e Lombardi, la votazione avrà luogo per appello nominale.

Votano sì: Basso, Cevolotto, De Vita, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi.

Votano no: Corsanego, Grassi, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Moro.

Astenuto: Tupini.

Comunica che la votazione ha dato come risultato sei voti favorevoli e sei voti contrari. In base al regolamento, la proposta è respinta.

La seduta termina alle 14.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Dossetti, Iotti Leonilde, Merlin Umberto, Togliatti.