Come nasce la Costituzione

MERCOLEDÌ 30 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

31.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 30 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Per la morte dell’onorevole Giovanni Lombardi

Presidente – Cevolotto – Mastrojanni – Lucifero – La Pira – Marchesi – Basso.

Sull’ordine dei lavori

Presidente – Togliatti.

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi, Relatore, – Moro, Relatore – Cevolotto – Togliatti – Lucifero – Basso – Mastrojanni – Dossetti – La Pira – De Vita.

La famiglia (Discussione)

Presidente – Corsanego, Relatore – Iotti Leonilde, Relatrice – Togliatti – Lucifero – De Vita – Dossetti – Mastrojanni – Basso – La Pira – Cevolotto – Moro.

La seduta comincia alle 16.10.

Per la morte dell’onorevole Giovanni Lombardi.

PRESIDENTE comunica la dolorosa notizia della morte di un amato collega: l’onorevole Giovanni Lombardi. Aveva chiesto un breve congedo: nessuno avrebbe potuto immaginare che non ne sarebbe più tornato. I Commissari tutti avvertiranno certamente il vuoto che egli lascia nel loro cuore ed in seno alla Sottocommissione e ricorderanno con rimpianto il caldo senso di umanità che sempre si effondeva dalle sue parole.

Per aderire ad un desiderio dello scomparso, aveva personalmente dato disposizioni perché un suo precedente studio sull’abolizione della pena di morte fosse ristampato, e rimanesse come suo contributo ai lavori della Sottocommissione. La stampa è stata ultimata in questi ultimi giorni: forse l’autore non avrà avuto la ventura di prenderne visione.

Nel leggere questo suo studio, colpisce soprattutto l’ultima parte, ove, nell’affermare che la vita dell’uomo è sacra, si conclude che tale verità ci viene dal Cristianesimo e deve essere impressa nella civiltà contemporanea. Onde non è senza fondamento la speranza che quella luce che ha ispirato Giovanni Lombardi nel fare una così precisa e convinta affermazione lo abbia anche illuminato negli ultimi istanti della vita terrena.

È sicuro di interpretare il pensiero della Sottocommissione nell’inviare alla famiglia ed al Partito socialista le espressioni del più accorato cordoglio.

CEVOLOTTO, nell’associarsi alle parole del Presidente, ricorda di aver conosciuto lo scomparso molti anni fa e di averne subito apprezzato la bontà, la cultura, e specialmente la passione che metteva negli studi giuridici e di sociologia criminale, nei quali emerse con pubblicazioni che hanno avuto larga diffusione attraverso l’insegnamento nell’Ateneo napoletano. Entrato nel Parlamento, vi fu amato da tutti perché era uomo profondamente buono e diritto, che perseguiva le sue idee con una costanza che talvolta appariva financo commovente e quasi ingenua. Si è spenta dunque, oltre che una vivida intelligenza, una diritta coscienza ed un preclaro esempio di vita, in quanto lo scomparso assommava in sé quelle doti che tutti gli italiani dovrebbero possedere per poter dare alla Patria un indirizzo ed un avvenire sicuro.

MASTROJANNI si associa al cordoglio dei colleghi per la morte dell’onorevole Lombardi, nella cui paterna figura vedeva qualche cosa di ieratico e di solenne. Ricordandone la freschezza del pensiero, la potenza dell’ingegno e l’evangelica umanità, che ha potuto apprezzare nel lavoro comune, esprime la certezza che attraverso la sua opera, di cui lascia profonda traccia negli studi e nella vita politica, resterà vivo il ricordo.

LUCIFERO esprime i sensi del più sincero rammarico per la scomparsa dell’onorevole Lombardi, per cui viene a mancare alla Sottocommissione un grande contributo di cultura e di sapere.

LA PIRA ricorda che, nonostante le apparenti divergenze ideologiche, tra i democristiani e lo scomparso si è ora stabilita una intesa talmente cordiale da farlo apparire come un «naturalmente cristiano».

Si associa pertanto con tutta l’anima al dolore della famiglia e dei colleghi, nella certezza che Giovanni Lombardi sia stato chiamato dal Signore a ricevere quel premio che è riservato ai puri di cuore.

MARCHESI si unisce al rimpianto per la perdita di un così tenace difensore della classe lavoratrice.

BASSO ringrazia, a nome del Partito socialista, per le espressioni di compianto verso lo scomparso.

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE ricorda che in una precedente riunione si provvide alla nomina di tre Commissari che, unitamente alla Presidenza della Sottocommissione, avrebbero dovuto costituire, con i rappresentanti della terza Sottocommissione, la Commissione mista per il coordinamento del lavoro comune.

Senonché la terza Sottocommissione, forse male interpretando una direttiva ricevuta, aveva già nominato cinque suoi rappresentanti, e nonostante ogni tentativo ed ogni insistenza, non ha inteso di ridurre un tale numero. Pertanto, per ristabilire l’equilibrio, invita i Commissari a procedere alla nomina di altri due rappresentanti oltre i tre già designati (onorevoli Basso, Rossetti e Togliatti) per raggiungere il numero di cinque.

All’uopo esprime l’avviso che, nell’intento di assicurare il contributo di pensiero di ogni corrente politica, sarebbe bene che l’incarico fosse affidato a due colleghi di partiti diversi da quelli già rappresentati.

TOGLIATTI osserva che se la terza Sottocommissione non vorrà recedere dalla sua posizione, si avrà un Comitato di redazione di 14 membri, il che sarà veramente eccessivo e impedirà un proficuo lavoro.

PRESIDENTE assicura che è stato fatto il possibile per far tornare la terza Sottocommissione sulla sua decisione, ma ogni sforzo è stato vano.

(A seguito di votazione segreta vengono designati per completare la Commissione mista gli onorevoli De Vita e Mastrojanni).

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

PRESIDENTE apre la discussione sul seguente nuovo articolo, sempre sul tema della scuola, facendo presente che la formula è dovuta unicamente al Relatore onorevole Moro, in quanto sull’argomento è mancato l’accordo con il Correlatore onorevole Marchesi:

«Nelle sue scuole di ogni ordine, escluso quello universitario, lo Stato assicura agli studenti che vogliano usufruirne, l’insegnamento religioso nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica».

MARCHESI, Relatore, premette che parlerà non per sostenere una causa che considera perduta, né per fare un’affermazione di carattere politico, ma solo por conformare una sua personale opinione che ha già esposto nella relazione e di cui desidera resti traccia nel verbale.

Osserva anzitutto che nessuno pensa che lo Stato sia un organo di verità ed uno strumento di nuove rivelazioni, né che possa essere fonte di scienza e di morale. Lo Stato provvede solo ad organizzare l’istruzione, in modo che essa sia fonte di scienza e di morale, attraverso la libertà concessa alle indagini ed alle espressioni del pensiero. Rilevato, quindi, che in una parte della sua notevole relazione l’onorevole Mouro sostiene che con l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche lo Stato non assume alcuna responsabilità specifica, ma offre soltanto una opportunità, «in sede idonea», di completare l’istruzione e l’educazione dei fanciulli con quell’insegnamento di verità religiose che sono ricche di suggestioni morali, esprime la sua meraviglia di fronte all’espressione «in sede idonea». Si domanda infatti come mai, essendoci la famiglia, che è la prima assidua scuola di fede e di pratica religiosa, una Chiesa potentemente organizzata in Italia e nel mondo, una molteplicità di ricreatori educativi e religiosi frequentatissimi e bene attrezzati, ed in fine una scuola cattolica privata, che è senz’altro – come deve essere – una scuola confessionale; come mai, essendoci tutto ciò, possa ritenersi sede idonea a completare l’istruzione del fanciullo con l’insegnamento di verità religiose quella scuola media dove si debbono insegnare altre verità, e dove l’istruzione religiosa può diventare, come diviene qualche volta, strumento fazioso di avversione politica. Non nega che l’insegnamento religioso possa fare del bene, anche a chi non crede, ma solo quando l’insegnante sia tale da far sentire la universalità del precetto evangelico; può fare del bene, come ogni insegnamento morale, quando venga da una esperienza intima e da una intima esigenza. Mentre per i cattolici non la coscienza umana, ma Dio è la norma suprema dell’opera dell’uomo, per molti del suo gruppo invece esiste una buona coscienza la quale, se anche non porta alla felicità celeste promessa dalla Chiesa, né alla felicità terrena che potrebbe risultare soltanto dal perfetto accordo e dalla perfetta armonia tra il proprio operato e la propria coscienza, può essere di guida e di stimolo por una ascensione spirituale.

All’argomentazione di parte democristiana che nei tempi attuali, in cui l’anima della gioventù è come travolta da un torrente di dissoluzione, non suona male nella scuola la parola di un insegnante di religione, il quale faccia sentire tra i comandamenti terreni un comandamento divino, obietta che questa voce è risuonata nella scuola media per circa venticinque anni e con quale risultato si può oggi vedere. Ricorda che Herbert Spencer diceva che anche agli agnostici più ostinati la simpatia impone il silenzio di fronte a coloro che nei patimenti, nei travagli della vita, traggono conforto dalla fede religiosa. Ma, a suo avviso, quella del silenzio sarebbe troppo scarsa offerta alla fede cattolica. Essa merita un’offerta migliore; ed augura che nella scuola l’opera dei cattolici sia feconda di bene, perché una morale, come quella del partito al quale appartiene, fondata sulla solidarietà sociale, non può essere in disaccordo con una morale predicata sinceramente in nome di Dio. I missionari che la Chiesa manderà nella scuola vi troveranno un fecondo terreno di bonifica, ma questa missione non dovrà essere affidata ad insegnanti di religione, bensì ai molti maestri cattolici delle scuole elementari, ai molti e valenti professori delle scuole medie e delle università.

Conclude assicurando che le sue parole contro l’insegnamento religioso nelle scuole non sono ispirate da nessuna avversità contro la religione.

MORO, Relatore, ricorda di aver proposto una formula che mutava in un punto sostanzialmente l’attuale disciplina dell’insegnamento religioso nelle scuole, rinunciando all’articolo inizialmente proposto nella sua relazione, nella speranza che ciò servisse a facilitare rincontro tra le opposte tendenze. Ma, poiché, allo stato delle cose, sembra che questa intesa non sia possibile, si riserva di presentare una formula più confacente al pensiero del suo gruppo ed all’attuale disciplina giuridica della materia.

CEVOLOTTO, per mozione d’ordine, osserva che, ove si debba studiare un’altra formula, è inutile discutere su quella attuale.

MARCHESI, Relatore, riaffermando di aver parlato in suo nome e di avere esposto la sua opinione personale, ricorda di aver detto all’onorevole Moro, in sede di consultazione, che riteneva più opportuno e più consentaneo a quel principio di libertà, che nelle parole della Democrazia cristiana torna insistentemente, rifarsi a quella forma di regolamentazione della materia, in vigore in Italia dal 1873 fino alla riforma Gentile, che faceva obbligo ai Comuni di impartite l’insegnamento religioso agli studenti i cui genitori ne facessero richiesta. Aveva inoltre aggiunto che, a suo avviso, la formula della legge Gentile era da ritenere lesiva e violentatrice della coscienza individuale, in quanto imponendo una richiesta di dispensa, implicava una dichiarazione di rinunzia esplicita e scritta: una confessione all’aperto. Ora, mentre nessuna famiglia professante cattolica si asterrebbe certamente dal far domanda d’insegnamento religioso, a meno che non lo ritenesse pernicioso agli effetti stessi della fede, non tutti i non professanti cattolici si adatterebbero a sottoscrivere una domanda di dispensa. Dichiara in proposito che egli stesso sarebbe esitante, perché una tale domanda potrebbe sembrare una dichiarazione di ateismo, che egli non si sentirebbe di sottoscrivere, se per ateismo si intende la sicura negazione di Dio.

MORO, Relatore, dichiara di essere partito dalla concezione dello Stato democratico, intendendolo soprattutto come Stato che riflette fedelmente gli indirizzi spirituali oltre che economici e politici della società.

Ritiene che un fatto incontestabile sia il diffuso sentimento religioso nell’ambito del popolo italiano, sentimento raccolto in un’unica professione religiosa, salvo esigue minoranze; condizione questa che rende nel nostro Paese particolarmente facile risolvere il problema del collegamento di una entità di così complessa natura, quale è la scuola, con le aspirazioni profonde di ordine religioso del popolo italiano. Tiene a precisare che nessuna diffidenza preconcetta, nessuna sfiducia vi è da parte sua e del suo gruppo nei confronti della scuola di Stato, proprio perché pensa che anche tale scuola debba riflettere le aspirazioni religiose e gli ideali della stragrande maggioranza del popolo italiano.

Secondo l’onorevole Marchesi, la scuola non sarebbe la sede idonea per l’insegnamento religioso. Dichiara di essere di avviso contrario, non per motivi polemici, ma per profonda convinzione; pur convenendo che l’insegnamento religioso, così come si è venuto impartendo negli ultimi anni tristi e caotici, non corrispondeva al pensiero ed alle aspirazioni di tutti, fa presente che altro sono le condizioni contingenti e altro è il ritenere in linea di principio che la scuola non sia la sede idonea per l’insegnamento religioso.

A suo avviso, nell’istituto della scuola deve essere stabilita non soltanto la possibilità ma la necessità, nel modo più largo, più libero, più umano, di un insegnamento religioso che, per essere veramente fecondo, deve andare di pari passo col progresso nell’ambito delle altre discipline del discente. Pur esistendo la potente organizzazione della Chiesa e gli oratori frequentati da numerosi giovani, non deve mancare proprio nella scuola, che è il punto centrale della formazione spirituale del giovane, una parola che richiami l’anima sua alla suprema ragione della vita. Mentre nell’oratorio il ragazzo è ancora soltanto se stesso, nella scuola egli comincia a sentirsi in qualche modo membro responsabile e cosciente di una società, ed è consapevole, attraverso la preparazione scientifica che gli viene impartita, di assumere delle responsabilità nell’ambito della vita sociale. Ed è necessario in questo momento, allo scopo di raccogliere tutte le energie per la riedificazione morale della coscienza del nostro Paese, che nelle scuole si dica una parola la quale, non indirettamente come avviene in ogni insegnamento, ma direttamente, richiami alle supreme responsabilità dell’uomo.

Ritiene inoltre che lo Stato non assuma alcuna responsabilità diretta e specifica permettendo d’impartire l’insegnamento religioso, perché con ciò non fa altro che riconoscere la diffusa coscienza religiosa del popolo italiano e l’esigenza di completare in senso unitario, ed al vertice della piramide, il complesso delle attività di istruzione e di formazione dell’individuo.

Per tali considerazioni, con sicura coscienza di cittadino prima che di credente, insiste perché nella Costituzione sia inserita una dichiarazione che garantisca alle famiglie cristiane del popolo la possibilità che i loro figliuoli trovino, anche nell’ambito della scuola di Stato, adeguato insegnamento religioso per la formazione della loro personalità.

CEVOLOTTO, poiché si deve assentare dalla seduta per motivi urgenti, prega la Sottocommissione di tener presente che egli intende votare contro le formule proposte dall’onorevole Moro, perché ritiene che la materia non debba far parte della Carta costituzionale, ma bensì dell’ordinamento scolastico, e che le sedi più adatte per l’insegnamento religioso siano la famiglia e la Chiesa, e non la scuola.

TOGLIATTI ritiene che sia inevitabile allargare il campo della discussione, anche se da ciò possa derivare un inasprimento della tensione tra le due parti contrapposte. Ricorda che all’inizio del lavoro, essendo stato stabilito di non inserire nel testo costituzionale argomenti ideologici, egli, criticando alcune affermazioni contenute nella prima formula di articolo proposta in tema di rapporti civili dall’onorevole La Pira, aveva detto di ritenere indegno di una persona religiosa chiedere che venissero affermati nel testo costituzionale principî riguardanti l’esistenza di Dio, in quanto chi crede in Dio non ha certamente bisogno di trovare gli argomenti della sua fede nella Carta costituzionale. A suo avviso, quindi, il tema religioso non interessa in sé, ma è la questione politica che deve essere presa in considerazione. In realtà oggi nelle scuole, quando s’insegna la religione, si fa della politica, e per di più della politica diretta specificamente contro l’idea e la parte comunista.

A prova delle sue affermazioni, sottopone all’esame dei Commissari il libro di testo di religione del sacerdote Onofrio Di Francesco, edito a Torino, dalla Società Editrice Internazionale, nel 1945, IV edizione, intitolato Gesù Via e adottato, ad esempio, nelle scuole di Empoli. Tale libro, che è stato pubblicato in clima di libertà riconquistata, senza pressioni del governo fascista e che porta l’autorizzazione dell’autorità ecclesiastica, è un testo di propaganda politica contro il Partito comunista, che pure, nel clima attuale, è un partilo legale, ufficialmente riconosciuto. Cita, ad esempio, la pagina 13, dove è raffigurato un ladro che svaligia una cassaforte dopo avere accoltellato una persona eo che porta al collo un fazzoletto rosso; la pagina 30, nella quale si parla del peccato di divinazione e dove è raffigurata una donna in atto di profetare, pure con un fazzoletto rosso al collo; la pagina 29 dove un gruppo di persone che stanno uccidendo un sacerdote sono raffigurate, sempre col fazzoletto rosso, con una divisa che ricorda quella dei partigiani; la pagina 108, nella quale un ladro, col fazzoletto rosso, è raffigurato nell’atto di essere tradotto alle carceri da due carabinieri. Insomma, dovunque sia rappresentato un violatore della legge umana o morale, il colpevole porta il fazzoletto rosso al collo. A suo avviso, la giustificazione di tutto ciò si trova sia a pagina 47, dove sono raffigurati dei soldati che salutano fascisticamente la bandiera italiana, sia a pagina 117, dove si parla del decimo comandamento e dove è scritto: «Il socialismo e il comunismo vorrebbero spingere i poveri e gli umili proprio a questo peccato. Cominciano col toglier loro ogni fede in Dio e nella vita futura, riducendo tutta l’esistenza umana alla materia e al ventre. Poi passano ad insegnare che l’uomo non è che una macchina che produce e consuma. Padrone di queste macchine umane sarebbe lo Stato, o meglio i caporioni che esercitano l’autorità e la fanno da tiranni spietati e crudeli. La proprietà sarebbe una ingiustizia ed un furto: dovrebbe passare allo Stato, cioè ai capoccia amministratori dello Stato proletario, i quali poi se ne servirebbero per i loro comodi e per i loro stravizi, lasciando morire di miseria e di fame la povera gente. Chiunque si opponga a queste pazzesche pretese è un nemico che bisogna annientare con qualsiasi mezzo. Delitti e brutalità di ogni genere, miseria e fame sono frutto dell’utopia comunista».

Di fianco a tale brano, come illustrazione, è stampata una vignetta raffigurante una desolata visione di case in fiamme e una misera donna, sempre con il fazzoletto rosso al collo.

Ora egli si chiede se questo sia quell’insegnamento religioso a cui con elevate parole si riferiva l’onorevole Marchesi, o non sia piuttosto meschina propaganda politica divulgata sotto l’immagine di Gesù.

Fa presente che molti concetti comunisti, cioè di quell’idea che il libro citato ha condannato, sono stati accolti dalla Sottocommissione e inseriti nella Carta costituzionale incontrando – come sul tema della proprietà – la incondizionata approvazione dei colleghi della democrazia cristiana.

Afferma che, di conseguenza, la posizione del Partito comunista non può che essere di assoluta negazione di fronte ad un insegnamento religioso che venga impartito nel modo che risulta da questo libro di testo ufficiale, cioè come insegnamento di anticomunismo.

Ritiene che sia possibile arrivare ad un dibattito che non apra una scissione profonda fra i due partiti contrastanti solo a condizione che, sotto il manto religioso o dietro una copertina su cui è l’immagine di Gesù Cristo, non si faccia passare la propaganda politica contro un partito o a favore di un partito.

Dichiara che il suo gruppo assumerà una posizione di lotta aperta, se in luogo di concetti ed esposizioni spirituali da trattarsi con quell’altezza di espressione che ha poco fa usato l’onorevole Marchesi, si troverà di fronte ad uno sfruttamento, in forme abbastanza volgari, di posizioni ideali a scopo di lotta politica.

Desidererebbe poi una spiegazione molto chiara circa la condotta tenuta dal gruppo democratico cristiano in occasione della discussione di questo articoli.

Dichiara di aver assunto nel corso della discussione un determinato atteggiamento ritenendo il gruppo di articoli ora in esame, che è frutto di un accordo fra le due parti contrastanti, un tutto inscindibile di cui l’articolo proposto è una parte; e dichiara di considerare come una mancanza di sincerità o un eccesso di manovra la posizione assunta oggi dall’onorevole Moro e dai colleghi del suo gruppo, i quali, ottenuto lo scopo di veder approvato alla quasi unanimità un altro articolo del medesimo testo di compromesso su cui la parte che egli rappresenta aveva rinunciato ad alcune delle proprie aspirazioni, hanno abbandonato la formula della facoltatività dell’insegnamento religioso, contenuta nel testo concordato, per ritornare su quella opposta, da essi originariamente proposta, della facoltatività dell’esenzione dall’insegnamento.

MORO, Relatore, premesso che è lontano dall’intenzione sua e dei colleghi di gruppo sia di fare una manovra che di mancare di sincerità, ricorda che, dopo un primo colloquio con l’onorevole Marchesi – che può dargli atto di quanto afferma – in cui si esaminarono le rispettive posizioni da un punto di vista generale, preparò un testo in cui teneva conto, nella massima misura possibile, delle osservazioni fatte dall’onorevole Marchesi, al quale dichiarò, nel corso di un successivo colloquio, di riprendere una certa libertà d’azione su quei punti sui quali non si era potuto raggiungere un accordo, riservandosi anche di formulare un articolo che non era stato possibile concordare in quel momento, quando avesse chiarito quale posizione convenisse sostenere nell’interesse ed in rapporto alle posizioni ideologiche del suo partito.

Riconosce di non aver fatto un’esplicita riserva per un’eventuale modifica dell’articolo ora in esame, ma d’altra parte osserva che, a suo parere, non vi è tra l’articolo approvato ieri e quello in discussione oggi, un collegamento tale per cui il voto dato nella seduta di ieri debba considerarsi condizionato alla discussione che si fa oggi.

MARCHESI, Relatore, trova strana la rapidità con cui il collega Moro ha annunciato la ripresa della sua prima formula e l’abbandono dalla seconda, ancora prima che in seno alla Sottocommissione si fosse manifestato un proposito nettamente contrario all’articolo in discussione.

Dà atto all’onorevole Moro di quello che ha detto circa i colloqui intercorsi. Ricorda in proposito di avergli fatto notare durante l’amichevole conversazione avuta con lui che non poteva, per suo conto, recedere dai suoi pensieri per ciò che riguardava l’utilità e l’opportunità dell’insegnamento religioso nella scuola; ma che non impegnava con questo la decisione del proprio partito, non escludendo che i compagni del partito comunista potessero addivenire ad un concordato anche su questo punto; e di aver proposto al collega Moro, per cercare di favorire un accordo, di convertire la nuova formula fascista gentiliana nella vecchia formula liberale, pur dichiarandogli che il suo voto sarebbe stato contrario.

MORO, Relatore, ricorda di aver fatto una riserva generica circa alcune modifiche eventuali da apportare alla fine della discussione.

PRESIDENTE aggiunge che, anche su sua domanda precisa, l’onorevole Moro ha dato la medesima risposta che ora ha ripetuto.

TOGLIATTI, all’osservazione dell’onorevole Moro, il quale ha negato l’esistenza di connessione fra gli articoli già approvati e quello ora in esame, risponde che quella a cui l’onorevole Moro alludeva è una connessione tematica, mentre egli parlava di una connessione politica, per cui la posizione che si assume su una di queste questioni, ardenti sia per un partito che per l’altro, tende a coinvolgere la posizione su tutte le altre; connessione politica per cui, come l’accordo sulla affermazione dei diritti sociali faceva presumere che un accordo si sarebbe potuto avere anche sul problema della libertà della scuola, così, a sua volta, l’accordo sulla libertà della scuola, dove il suo partito ha ceduto di più, poteva far presumere il raggiungimento di ulteriori punti di accordo anche su altre questioni, su posizioni più vicine a quelle sostenute dal suo partito.

MORO, Relatore, a quanto ha già osservato, aggiunge di aver fatto solo una riserva generica che non avrebbe concretato se l’onorevole Cevolotto non lo avesse costretto a dire quello che egli non aveva intenzione di dire.

PRESIDENTE contesta, per ciò che si riferisce al libro di cui ha parlato l’onorevole Togliatti, che si tratti di un libro scolastico; se mai si potrà trattare di esempi di lezioni che l’autore propone per la scuola media; inoltre fa presente che il permesso concesso dall’autorità ecclesiastica per la stampa di detto libro risale al 1941.

TOGLIATTI dichiara che quel libro gli è stato spedito dai compagni di Empoli, i quali gli hanno assicurato che esso è usato come libro di testo nelle scuole medie.

PRESIDENTE ad ogni modo assicura l’onorevole Togliatti – che attraverso il suo discorso ha manifestato la sua preoccupazione di carattere politico, insistendo nel dire che l’insegnamento religioso non deve essere insegnamento di un partito – che la democrazia cristiana, di cui fa parte, non è un partito confessionale, e che all’espressione «insegnamento religioso nella scuola» non deve affatto darsi l’interpretazione di «insegnamento del programma della democrazia cristiana».

LUCIFERO, a parte il fatto che, ammesso che il libro citato dall’onorevole Togliatti sia un cattivo testo, ciò non vuol dire che i principî ai quali esso si ispira debbano essere necessariamente cattivi, osserva che l’incidente testé esaurito non è interessante ai fini dell’approvazione o meno della norma da inserire nella Costituzione.

È invece grato all’onorevole Togliatti per l’impostazione veramente lineare ed onesta di un problema, la quale consente ad ognuno di discutere a viso aperto secondo le proprie ideologie e le proprie convinzioni. Allude all’eterna questione dei contrasti nello spirito della Costituzione, che finora è stato possibile soffocare in seno alla Sottocommissione, ma che – come aveva preveduto – si riaffacciano ad ogni svolta vitale in seguito alla determinazione di concezioni non conciliabili le quali, attraverso i compromessi, compromettono tutto e non risolvono nulla. Riconosce che la scissione profonda sulla questione ideologica e programmatica che si è riusciti malamente a soffocare nel campo dei rapporti materiali, economici e sociali, non consente elasticità di compromesso, quando si entra nel campo dello spirito.

Dichiara poi di essere pienamente d’accordo con l’onorevole Moro, in quanto ritiene – poiché la crisi che travaglia l’Italia è soprattutto crisi morale – che mai come oggi si debba curare la rieducazione morale del Paese, alla quale potrà portare notevole contributo l’insegnamento della religione.

Dichiara altresì di essere favorevole alla introduzione nella Carta costituzionale di un’affermazione di principio che non costituisce un obbligo, ma una facoltà di cui può usare chi vuole e non usare chi non vuole.

A parte il fatto che, secondo il punto di vista cattolico, l’educazione religiosa deve precedere quella umanistica e culturale, osserva che anche da un punto di vista pratico l’esclusione della religione dalle materie di insegnamento nelle scuole di Stato porterebbe necessariamente l’allontanamento di molti ragazzi di famiglie cattoliche da queste scuole ed il loro afflusso in quelle private nelle quali si pratica l’insegnamento religioso.

Aggiunge che lo Stato potrà vigilare per evitare quegli atteggiamenti tendenziosi di insegnanti e di testi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Togliatti.

Concludendo, dichiara di essere favorevole alla seconda formulazione proposta dallo onorevole Moro, la quale dà la possibilità ai genitori di chiedere che ai loro figli venga impartito l’insegnamento religioso.

BASSO riassume le ragioni della sua contrarietà all’articolo in esame. In primo luogo non ritiene che sia un articolo di rilevanza costituzionale, bensì materia specifica della legge scolastica, per cui considererebbe un errore, anche da parte dei fautori dell’insegnamento religioso nelle scuole, l’inserirlo nella Costituzione.

Aggiunge che qualora i democristiani, approfittando di una maggioranza lieve e momentanea, volessero imporre una tale norma, che urta contro la coscienza degli uomini del suo partito, costringerebbero questi ultimi ad affrettare i tempi per giungere ad una frattura e ad un procedimento di modifica della Costituzione, che non investirebbe più soltanto l’argomento in esame, ma anche altri su cui si è giunti a transazioni.

Altro motivo di contrarietà trova nel fatto che la religione non è materia d’insegnamento scolastico, ma è cosa che si sente e per il cui insegnamento ci vogliono ambienti diversi, come la famiglia e la Chiesa.

Disapprova quindi la norma anche da un punto di vista giuridico, in quanto, violando il principio dell’uguaglianza già affermato, fa un trattamento di favore alla religione cattolica nei confronti delle altre; a meno di insegnare nelle scuole tutte le religioni.

Osserva infine che, se la formula che lo Stato assicura l’insegnamento religioso nelle scuole viene messa in riferimento all’altra, già approvata, per la quale si può ottenere la parificazione agli istituti statali a parità di condizioni didattiche, se ne può trarre l’interpretazione ortodossa e capziosa, che per ottenere il riconoscimento di una qualsiasi scuola di nuova costituzione bisogna metterla in condizioni di parità didattica con le scuole statali e quindi bisogna introdurvi l’insegnamento religioso.

MASTROJANNI esprime il suo compiacimento per il fatto che nella dotta discussione non si sia mai intaccato lo spirito della religione, e nessuno ne abbia sostenuto l’inutilità, o ne abbia misconosciuta la profonda essenza educativa; viceversa, girando l’ostacolo, si è affermata l’inopportunità dell’insegnamento religioso per altre ragioni.

All’onorevole Togliatti, che ha trattato delle finalità politiche che deve perseguire la Costituzione, osserva che se Aristotele ha definito l’uomo «animale politico», per significare che la tendenza politica è insila nella natura umana e non deriva da un insegnamento successivo, altrettanto può dirsi della necessità spirituale della religione; e la Costituzione quindi non può trascurarla.

A ciò aggiunge altro argomento: quello della coerenza con l’atteggiamento fin qui costantemente tenuto, in quanto che si sono voluti finalizzare ed improntare ad una genesi spirituale i concetti di libertà individuale; per la proprietà e per ogni altro concetto sociale, economico e politico, egualmente se ne è finalizzato il fondamento non attraverso un meccanismo puramente materialistico, ma attraverso concezioni teoriche di umana solidarietà.

Poiché l’unica Carta costituzionale immutabile e perpetua non contrasta menomamente con alcuna ideologia, lo Stato non può prescindere dall’insegnamento religioso, che è bisogno spirituale di tutta l’umanità e anche i dissenzienti potrebbero, attraverso ad esso, essere ricondotti sulla strada della verità e della giustizia, che solo promana dalla religione.

Per queste ragioni è favorevole all’articolo formulato dall’onorevole Moro, né condivide le preoccupazioni dell’onorevole Togliatti, il quale contesta l’utilità dell’insegnamento religioso, basandosi sul fatto di un libro per l’insegnamento religioso compilato male e peggio orientato.

D’altra parte, osserva che l’insegnamento sarà sottoposto all’alta vigilanza dello Stato democratico, che non tollererà che un partito si serva della religione per avvantaggiare, con spirito di fazioso insegnamento, il partito stesso.

Tanto meno, poi, trova persuasivo l’argomento dell’onorevole Basso, che ha accennato ad una disparità di trattamento e alla necessità di uguale diritto alle altre religioni. Fa rilevare che in Italia il 99% della popolazione è cattolica apostolica romana. Quella entità trascurabile che non trova possibilità d’insegnamento in sede scolastica ha la più assoluta libertà d’azione, in altra sede, e non è escluso che possa anche ottenere nel nostro Stato democratico i mezzi per provvedervi, qualora ne faccia esplicita richiesta, e forse per interessamento della stessa organizzazione democratica cristiana, la quale non disconosce la libertà delle altre religioni, perché nessuna ne può temere.

DOSSETTI premette che prenderà in considerazione quasi esclusivamente le osservazioni dell’onorevole Togliatti, dalle quali è rimasto impressionato, come del resto un po’ tutti, non tanto per la sostanza – trattandosi di argomenti di consistenza modestissima – quanto per l’impegno dialettico e la forza drammatica delle sue espressioni. Crede d’altra parte che lo stesso onorevole Togliatti non si sia nascosto che una questione di tale importanza non può ritenersi esaurita dalle sue osservazioni e che, una volta usciti dal pathos che egli ha creato e riacquistata la padronanza di se stessi, si avverte subito lo scarsissimo rilievo delle ragioni a cui si è appoggiato per sostenere la tesi negativa di fronte all’articolo proposto. Infatti i suoi argomenti non provano la pericolosità o la non necessità dell’insegnamento religioso, precisamente come non si potrebbe pensare di dimostrare che ci sia stato un abuso del sentimento religioso da parte di altri partiti, mediante certi manifesti elettorali che mostravano Cristo che dava pane alle turbe, oppure nel fatto che certi blocchi popolari nell’Italia meridionale hanno assunto un simbolo religioso nella loro scheda di partito. Sono tutti abusi che sul momento possono creare una certa situazione di inferiorità nel contradittore, ma che non superano l’essenza profonda della questione che si dibatte. È per queste premesse che invita a considerare con realismo più sereno il problema, che si è voluto drammatizzare.

All’accusa di mancanza di lealtà o addirittura di manovra, mossa dallo stesso onorevole Togliatti all’onorevole Moro, ha già risposto l’interessato; tuttavia desidera aggiungere che, con la semplicità con la quale si è sempre proceduto finora nelle discussioni, è accaduto anche all’onorevole Marchesi di ritornare, sia pure in una questione di minore importanza, ad un testo prima enunciato, né alcuno ha creduto di farne motivo di rilievo o argomento per rimettere in discussione le decisioni già prese.

Si domanda, quindi, che cosa ha inteso dire l’onorevole Togliatti, affermando una connessione non tematica ma politica tra l’articolo in esame e quelli già approvati, e se ha inteso o meno alludere addirittura ad un condizionamento. In quest’ultimo caso si potrebbe obiettare che era già noto l’articolo proposto inizialmente dall’onorevole Moro, ed anche il successivo, e quindi era facile dedurne l’atteggiamento del gruppo democristiano.

TOGLIATTI chiarisce che intendeva dire che su tale terreno non ci sono condizionamenti, ma interdipendenza.

DOSSETTI, pur convenendo sull’interdipendenza esistente sia tra gli articoli già approvati, sia tra questi e quello in esame, nonostante gli apprezzamenti e le accuse di compromesso dell’onorevole Lucifero, dichiara che agli articoli sinora deliberati non ha inteso dare semplicemente un’approvazione di convenienza o di negoziazione, ma un’approvazione convinta. Vuole quindi pensare che come, senza riferirsi a nessun condizionamento o interdipendenza futura, i democristiani hanno espresso genuinamente il loro pensiero spontaneo e originale sulla materia economica e sociale, così pure l’onorevole Togliatti, riconoscendo nella precedente seduta la libertà della scuola, abbia effettivamente fatta un’affermazione che rispondeva ad un suo profondo convincimento. Peraltro, il problema va riguardato con questo animo e con maggiore serenità senza legarlo, con impacci e condizionamenti eccessivi, sia a quanto già si è deliberato, sia a quanto ci si propone di deliberare.

Prende infine lo spunto da un accenno dell’onorevole Togliatti ad un allargamento della questione, per riprendere quanto ha sostenuto brevemente nella riunione precedente, che cioè la questione in esame è risolvibile isolatamente, ma richiede necessariamente una valutazione generale dei rapporti tra il fenomeno religioso e la vita sociale e politica dello Stato italiano. Conclude facendo formale proposta di soprassedere all’attuale discussione, che potrebbe risultare oziosa, e di trattare dell’argomento in sede di esame del problema generale dei rapporti tra Stato e Chiesa, perché è precisamente in funzione dell’indirizzo che si seguirà in questo campo, e della qualificazione che si farà nello Stato italiano del fenomeno religioso e della situazione della Chiesa Cattolica, che la questione di cui si dibatte potrà avere una soluzione piuttosto che un’altra, ovvero anche non ricevere nella Carta costituzionale nessuna soluzione specifica. Difatti, pur non approvando le considerazioni estrinseche e superficiali con le quali l’onorevole Basso ha giustificato la sua contrarietà all’articolo Moro, non esclude che si possa addivenire ad una tale sistemazione dei rapporti tra Chiesa e Stato, per cui la soluzione specifica del problema attuale nella Carta costituzionale possa divenire superflua, o non conveniente.

TOGLIATTI concorda con le conclusioni dell’onorevole Dossetti.

LA PIRA rinuncia a confutare le dichiarazioni dell’onorevole Basso, in seguito alla proposta Dossetti, che ha un carattere pregiudiziale.

DE VITA fa presente di essere contrario alla proposta Moro, ritenendo che ogni insegnamento dogmatico ostacoli il libero sviluppo del pensiero, dell’arte e della scienza, giusta la nota proposizione che «ove finisce il dogma comincia la ragione, e ove comincia la ragione finisce il dogma». A ciò va aggiunto che, comunque, non crede che l’insegnamento religioso rientri tra le funzioni dello Stato.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di rinvio dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI, nel dichiarare che darà voto favorevole, raccomanda di sollecitare la presentazione della relazione sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

BASSO dichiara di votare a favore, anche per il fatto che in tema di libertà civili si è ugualmente rinviata la questione alla stessa sede. Con tale precedente si è già dimostrato di voler affrontare il problema dei rapporti tra Chiesa e Stato nella sua totalità.

LUCIFERO non vede come l’argomento interferisca con i rapporti tra Chiese e Stato; esso riguarda, a suo avviso, soltanto quest’ultimo, che dovrà consentire o meno che una determinata materia formi oggetto di insegnamento nelle scuole. D’altra parte nota che le correnti più direttamente interessate sono d’accordo sul rinvio e perciò si astiene dal voto, anziché votare contro come sarebbe sua intenzione.

MASTROJANNI dichiara di astenersi dalla votazione per le stesse ragioni esposte dal l’onorevole Lucifero.

DE VITA, essendo del parere che la questione si deve risolvere in questa sede, dichiara che voterà contro.

(La proposta di rinvio è approvata con 9 voti favorevoli, 2 astenuti ed 1 contrario).

PRESIDENTE pone in discussione l’ultimo articolo proposto dai Relatori Moro e Marchesi, così formulato: «I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale ed in qualsiasi parte del territorio della Repubblica sono sotto la protezione dello Stato».

Prega il Relatore Marchesi di volerlo illustrare.

MARCHESI, Relatore, ritiene che le ragioni del suddetto articolo siano così evidenti e di tanta imponenza da dispensarlo da particolari illustrazioni. Proporrebbe piuttosto una nuova formula più sintetica:

«I monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, sono sotto la protezione dello Stato».

MORO, Relatore, accetta la nuova formula.

MASTROJANNI non è contrario alla nuova formula proposta, ma desidererebbe sostituire il termine «vigilanza» alla parola «protezione», la quale, in ultima analisi, potrebbe determinare l’assurda interpretazione di dare diritto ai privati di pretendere dallo Stato la manutenzione dei monumenti artistici e storici di loro proprietà, dando così luogo anche ad eventuali speculazioni.

LUCIFERO si dichiara favorevole al termine «protezione», che dà maggiormente l’idea dei compiti dello Stato in questo campo. Richiama l’attenzione sul fatto che per incuria dello Stato o mancanza della necessaria manutenzione da parte dei proprietari che non ne hanno la possibilità, stanno andando in rovina monumenti meravigliosi e opere d’arte di interesse nazionale di inestimabile valore. Ritiene perciò che sia anche nelle intenzioni dell’onorevole Marchesi che questo patrimonio comune della Nazione sia tutelato, chiunque ne sia il possessore.

Per questo motivo, anzi, non sarebbe contrario a stabilire, in sede di legge speciale, che le opere d’arte di interesse nazionale che sono in godimento di privati che non hanno la possibilità di mantenerle, possano essere espropriate.

MARCHESI, Relatore, è anch’egli dell’avviso che sia preferibile il termine «protezione», perché lo Stato in tanto è protettore dei monumenti artistici e storici, in quanto può imporre a coloro che ne hanno la proprietà e la possibilità di provvedere alla manutenzione e in caso contrario intervenire direttamente.

TOGLIATTI è d’accordo con l’onorevole Marchesi che lo Stato debba prendere le misure necessarie, perché o un quadro famoso di una collezione, o un palazzo storico, o qualsiasi altro monumento che appartenga a un privato, non vada distrutto per mancanza di mezzi o per trascuratezza. Con questo non si vuole però intendere che lo Stato debba assumersi il carico della manutenzione di tutti i tesori artistici e storici del Paese, anche se appartenenti a privati, ma che debba intervenire decisamente quando tale manutenzione non si attui in modo effettivo.

MASTROJANNI non ha nulla in contrario ad un intervento dello Stato, purché si dica esplicitamente che qualsiasi esproprio debba essere motivato specificatamente. La parola «vigilanza» gli sembrava il termine più sostanzialmente adatto, nel senso anche di proteggere oltre che vigilare.

DE VITA non ritiene opportuno usare la parola «vigilanza», che esprime il concetto di vigilare su di una attività che in effetti non è esercitata dai privati. Crede perciò preferibile la parola «protezione».

MORO, Relatore, per maggior precisione proporrebbe la seguente dizione: «I monumenti storici, artistici e naturali, a chiunque appartengano ed in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, sono sotto la protezione dello Stato».

MARCHESI, Relatore, è d’accordo.

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dall’onorevole Moro.

(È approvata all’unanimità).

Discussione sulla famiglia.

PRESIDENTE nota che, salva la riserva espressa in materia di insegnamento religioso, può dirsi esaurito il tema affidato agli onorevoli Marchesi e Moro.

Data l’assenza di uno dei Relatori sul tema dei diritti politici, l’onorevole Mancini, propone di porre in discussione il tema della famiglia, affidato ai Relatori Iotti Leonilde e Corsanego.

(La Sottocommissione concorda).

Fa presente che su questo argomento la terza Sottocommissione ha centralizzato il suo pensiero nel seguente articolo:

«La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie per la sua difesa e il suo sviluppo.

«Qualora la famiglia si trovi nella impossibilità di educare i figli, è compito dello Stato di provvedervi. Tale educazione si deve compiere nel rispetto della libertà dei cittadini».

Prega i Relatori di fare un succinto riassunto delle loro relazioni.

CORSANEGO, Relatore, ridurrà la sua relazione ai minimi termini, non perché l’argomento non abbia la sua importanza, ma perché trattasi di principî su cui vi è un accordo generale, nel senso di riconoscere la natura preminente e fondamentale dell’istituto della famiglia nella compagine della società civile. Anche non essendo riuscito a formulare un’articolazione unica con la onorevole Iotti, fa presente che le due formulazioni sono in parte talmente simili come concetto, da potersi facilmente sostituire l’una all’altra.

Ritiene invece utile accennare ai motivi di dissenso per cui non è stato possibile giungere ad una formulazione unica. In via pregiudiziale, la onorevole Iotti non ha creduto di far propria l’affermazione di principio che egli ha inserito nel suo primo articolo. Anche da un punto di vista sistematico, dopo l’affermazione del diritto della persona umana, ritiene che bisogna affermare il diritto della famiglia e poi quello della comunità. Quindi, in tale articolo ha tenuto a porre in evidenza la preesistenza del diritto originario e imprescrittibile che ha la famiglia per la sua costituzione, finalità e difesa, mentre nell’articolo successivo si dichiara che lo Stato non crea questo diritto che è preesistente, ma lo riconosce, lo tutela e lo difende.

Il secondo punto di disaccordo concerne l’eguaglianza dei genitori fra loro, in quanto per la onorevole Iotti i diritti e doveri del padre e della madre sono identici. Pur essendo d’accordo che sia oramai superato il concetto della inferiorità della donna che non ha più bisogno dell’autorizzazione maritale per la stipulazione di negozi giuridici, non si sentiva di sconvolgere il diritto della famiglia ad avere un capo, che per la natura stessa della famiglia, deve essere il padre.

Il terzo punto di disaccordo verte sulla scelta delle norme che la legge deve dettare per la protezione della famiglia illegittima. La Correlatrice, infatti, vorrebbe che fosse affermato nella Costituzione il principio che i figli illegittimi debbono avere la stessa identica posizione giuridica di quelli legittimi. Gli sembra che con tale affermazione si verrebbe a distruggere la stessa famiglia, permettendo anche l’inclusione in essa di elementi estranei, pure contro la volontà dell’altro coniuge, costituendo così una fonte di infiniti dissensi ed un pregiudizio anche alla unità del patrimonio familiare. D’altra parte, dato che i figli illegittimi debbono avere anch’essi una giusta tutela, ha affermato che lo Stato deve dettare lo norme per la loro protezione.

Altro punto non proprio di disaccordo, ma di differenziazione, è in ordine alla indissolubilità del matrimonio. A tale proposito la onorevole Iotti, pur avendo dichiarato che non avrebbe posto ostacoli all’affermazione della indissolubilità matrimoniale, nel senso cioè che non avrebbe fatto proposte relative al divorzio, non si è sentita d’altra parte di accedere alla dichiarazione opposta, cioè che lo Stato garantisce l’indissolubilità del matrimonio. Personalmente non ritiene invece che si possa tacere su questo punto fondamentale, perché in tal modo si lascerebbe aperta la via al legislatore di potere indifferentemente pronunciarsi per l’indissolubilità del matrimonio o per il divorzio. Poiché per i democristiani il divorzio rappresenta la dissoluzione della famiglia ed un germe velenoso per il suo affermarsi, come si è dimostrato in tutti i Paesi dove esso è ammesso, ha voluto mettere il principio che la Costituzione deve garantire l’indissolubilità della famiglia, secondo la tradizione giuridica italiana per la quale il matrimonio è il consortium omnis vitae.

Per rendere più semplice la discussione, propone che si dia lettura degli articoli, facendo seguire ad ognuno di quelli suggeriti da un Relatore, il corrispondente proposto dall’altro Relatore; aggiunge, che nei casi in cui le due formule saranno coincidenti nel concetto informatore, la Sottocommissione potrà liberamente scegliere la dizione che riterrà più opportuna, mentre nei casi in cui vi sarà discordanza di opinioni, si aprirà il dibattito.

IOTTI LEONILDE, Relatrice, riconosce che l’onorevole Corsanego ha messo bene in luce i punti di accordo e di disaccordo fra i due ordini di proposte.

Spiegando le ragioni per le quali non si è arrivati a un accordo completo, osserva che la prima concerne il riconoscimento della famiglia, nei cui riguardi l’onorevole Corsanego vuole fare una dichiarazione di principio di una posizione ideologica, a cui non può associarsi, mentre la sua formulazione consiste semplicemente nel riconoscimento di un diritto dato dalla legge alla famiglia.

La seconda riguarda l’uguaglianza giuridica dei coniugi, a proposito della quale l’onorevole Corsanego – che è d’accordo sul principio – vorrebbe affermare il diritto della patria potestà spettante al marito, mentre la dizione da lui proposta riconosce semplicemente un’uguaglianza giuridica, così come è già stato fatto in altre parti della Costituzione.

Osserva infine che l’onorevole Corsanego non è favorevole – circa la terza questione riguardarne i figli illegittimi – alla formula da lei proposta, perché ritiene che possa ledere l’istituto della famiglia. Fa presente che tale dizione riconosce ai figli illegittimi le stesse condizioni giuridiche fatte ai legittimi e non afferma il principio – come ha detto l’onorevole Corsanego – che i figli illegittimi debbano essere accolti nell’ambito della famiglia. Ritiene quindi che una disposizione del genere non venga a ledere l’istituto della famiglia, ma a tutelarlo, perché il fatto di ammettere che i figli illegittimi abbiano le stesse condizioni giuridiche dei legittimi costituirà un freno alla procreazione di figli fuori del matrimonio.

Per quanto poi riguarda il punto fondamentale di dissenso sull’opportunità o meno di considerare nella Costituzione il principio dell’indissolubilità del matrimonio, riconosce che l’onorevole Corsanego ha esposto esattamente il concetto da lei sostenuto, ossia di essere contraria ad affermare ciò nella Carta costituzionale, pur non essendo contrario a fissare tale principio nella legge ordinaria.

PRESIDENTE dà lettura dei testi proposti dai due Relatori, facendo rilevare come su alcuni di essi l’accordo possa considerarsi raggiunto, mentre altri si differenziano fra loro non soltanto per la forma ma anche per la sostanza.

Pone poi a raffronto il testo del primo articolo proposto dall’onorevole Corsanego con la prima parte del primo articolo proposto dalla onorevole Iotti: ed osserva che questi articoli, pur avendo una uguale impostazione, sono però di contenuto diverso.

CORSANEGO, Relatore, rileva che il concetto che ha ispirato la formulazione della prima parte dell’articolo da lui proposto corrisponde a quello contenuto nella prima parte dell’articolo proposto dalla onorevole Iotti; mentre nella seconda parte le opinioni non sono più concordanti.

PRESIDENTE domanda alla onorevole Iotti se consente che la discussione abbia luogo sulla formula proposta dall’onorevole Corsanego: «Lo Stato riconosce la famiglia come unità naturale e fondamentale della società».

IOTTT LEONILDE, Relatrice, dichiara di non rinunciare alla sua formula.

PRESIDENTE apre la discussione sulla formula Corsanego già letta e su quella Iotti: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia, quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione».

TOGLIATTI osserva che, mentre la formula proposta dall’onorevole Corsanego «unità naturale e fondamentale della società» è a suo parere equivoca e costituisce una definizione astratta della famiglia, quella della onorevole Iotti, che considera la famiglia quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione, si riferisce a qualche cosa di molto concreto, e stabilisce non solo il riconoscimento, ma anche la tutela della famiglia. Prospetta perciò l’opportunità che tale formula – che è, a suo parere, più soddisfacente – sia inclusa nella Costituzione.

CORSANEGO, Relatore, spiega che la prima parte della formula da lui proposta ha la sua ragione d’essere, in quanto si attacca alla seconda parte, e quindi non può essere considerata come una norma a sé stante.

L’articolo da lui proposto dice infatti:

«Lo Stato riconosce la famiglia come l’unità naturale e fondamentale della società, con i suoi diritti originari inalienabili e imprescrittibili concernenti la sua costituzione, la sua finalità e la sua difesa».

LUCIFERO non è del parere dell’onorevole Corsanego e ritiene che la prima parte dell’articolo: «Lo Stato riconosce la famiglia come l’unità naturale e fondamentale della società», sia un’entità a sé stante e costituisca un’affermazione di un principio, dal quale derivano tutte le logiche conseguenze di cui in seguito si parla tanto nel testo Corsanego quanto in quello Iotti.

Contrariamente a quanto sostiene l’onorevole Togliatti, trova chiaro il concetto esposto in tale formulazione, con cui si chiarisce che la famiglia è la prima comunità umana, il primo aggregato sociale in cui l’individuo si unisce ad altri in un organismo unitario: ed aggiunge che a suo parere tale norma potrebbe invece dar luogo a discussioni od a perplessità se si integrasse con la seconda parte dell’articolo.

DE VITA limiterebbe l’articolo ad una semplice affermazione di principio: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia», sopprimendo la rimanente parte delle due formulazioni, le quali ovviamente hanno un diverso fondamento ideologico.

DOSSETTI domanda all’onorevole De Vita che cosa significhi dire: «Lo Stato riconosce la famiglia».

DE VITA risponde che intende affermare che lo Stato riconosce nella famiglia una realtà naturale.

LUCIFERO si domanda come lo Stato potrebbe non riconoscere una realtà la quale si riconosce da sé.

DOSSETTI non comprende che cosa significhi l’espressione: «Lo Stato riconosce la famiglia», se non si dice che cosa lo Stato riconosca nella famiglia.

DE VITA ritiene giusta l’osservazione dell’onorevole Rossetti. Insiste però sulla opportunità di sopprimere la seconda parte dell’articolo o di trovare una formulazione diversa.

ROSSETTI riconosce che non è il caso di dare una definizione – che è pericolosa – ma che occorre stabilire un determinato status giuridico. Chiede perciò all’onorevole De Vita di suggerire una formula in cui, evitando una vera e propria definizione, si affermi tale status giuridico; in caso contrario ci si dovrà limitare all’espressione generica: «Lo Stato tutela la famiglia», che è una garanzia di carattere concreto materiale, economico e sociale, ma non costituisce alcuno stato giuridico.

MASTROJANNI, premesso che nell’articolo Corsanego trova superflua la seconda parte, ove si ribadiscono le conseguenze logiche del riconoscimento della famiglia, mentre l’articolo Iotti non considera la famiglia stessa dal suo punto di vista biologico e naturale come mezzo di procreazione, propone di riunire i due articoli nella seguente formula che, a suo avviso, soddisfa le esigenze di natura scientifica e quelle di natura etica: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia quale fondamento naturale della società e come mezzo di prosperità morale e materiale dei cittadini e della Nazione».

CORSANEGO, Relatore, trova felice la fusione dei concetti, ma non è disposto a rinunciare senz’altro all’affermazione che la famiglia ha dei diritti originari preesistenti alla costituzione dello Stato, e che questo non può fare a meno di riconoscere.

BASSO dichiara di avere cercato, nel corso della discussione, di individuare il contenuto giuridico degli articoli proposti, senza riuscire a rendersi conto se uno ve ne sia e quale. Ha quindi l’impressione che ci si trovi di fronte ad uno dei soliti articoli definitori contro i quali già si è pronunciata una condanna. In modo particolare, poi, teme le conseguenze giuridiche di un’affermazione come quella dell’onorevole Corsanego, sulle finalità della famiglia: non è infatti escluso che essa potrebbe far ritenere anticostituzionale perfino il fatto che due coniugi non vogliano procreare; il che significherebbe violare il campo delle libertà fondamentali del cittadino.

Né può approvare l’aggettivo «naturale», contro il quale ha già avuto occasione di pronunciarsi. Se con questo si intendesse fare un’affermazione storica nel senso di considerare la famiglia come la prima forma naturale della società, si direbbe un’eresia scientifica, poiché lo Stato riconosce oggi una determinata famiglia che è il frutto di un’evoluzione storica.

D’altra parte non trova soddisfacente neppure l’articolo della onorevole Iotti, perché non è sicuro che la famiglia sia il fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione. Egli pensava che si dovesse dire soltanto: «Lo Stato tutela la famiglia», ma poiché questo risulta dagli articoli successivi, crede sia partito migliore sopprimere la prima parte dell’articolo Iotti e l’intero primo articolo Corsanego, passando alle forme concrete di tutela giuridica della famiglia.

LA PIRA invita i Commissari a mantenere il problema nei suoi giusti termini. Crede che ciascuno, pensando alla propria famiglia, non possa non convenire: 1°) che sia una collettività organica di persone; 2°) che, come tale, abbia una sua costituzione e una sua finalità; 3°) che esistano dei diritti che ne regolano la struttura e le finalità, immanenti all’organismo familiare ed anteriori all’ordinamento statale. Nota, quindi, che la preoccupazione dell’onorevole Corsanego è appunto quella di mettere in luce il carattere organico del gruppo familiare, le finalità educative e materiali che si propone, e l’originarietà dei suoi diritti.

Ciò posto, giova rilevare le conseguenze importanti che derivano da tali affermazioni riguardo ai tre punti sui quali si è manifestato il dissenso tra i due Relatori. Dal fatto che la famiglia abbia una sua costituzione e dei diritti ad essa connessi, discende il criterio della indissolubilità del vincolo; in quanto è una collettività organica in cui ciascun membro ha un suo statuto, evidentemente, il figlio illegittimo non può essere equiparato in tutto e per tutto al legittimo; infine, poiché è un organismo, ci deve essere – come in ogni organismo – chi governa, e questo sarà appunto il capo della famiglia. Quindi, i punti di dissenso tra la onorevole Iotti e l’onorevole Corsanego si ricollegano tutti a questa concezione organica della famiglia, e l’unico problema da esaminare è se tale concezione sia esatta o meno.

CEVOLOTTO si preoccupa delle conseguenze che l’onorevole La Pira ha tratto dalla concezione organica della famiglia, le quali lo inducono a ritenere che abbia perfettamente ragione l’onorevole Basso nel sostenere la pericolosità dell’affermazione contenuta nella formula Corsanego.

Quanto alla prima – la indissolubilità del matrimonio – osserva che è inutile sollevare oggi la questione del divorzio che è inattuale ed inopportuna in ogni senso, né risponde alla odierna situazione politica ed all’opinione pubblica prevalente. Non c’è dunque alcun motivo di temere le conseguenze del silenzio della Costituzione in questo campo. Basti ricordare che il problema del divorzio fu affrontato alla Camera dei Deputati in altri tempi, quando le condizioni per discuterne politicamente erano diverse dalie attuali, dando luogo ad una discussione elevatissima ma senza alcun risultato pratico.

Come è inopportuno dunque sollevare tale questione in questo momento, altrettanto può dirsi della situazione dei figli illegittimi che la civiltà moderna deve sforzarsi di rendere diversa il meno possibile da quella dei figli legittimi, per non far ricadere le colpe del genitore su chi non ha domandato di venire al mondo.

Trova pertanto preferibile, come ha proposto l’onorevole Basso, non partire da premesse che possano rendere difficile una discussione ed un eventuale accordo, ma prendere senz’altro in esame le norme positive a tutela della famiglia.

DOSSETTI invita a prescindere momentaneamente dagli articoli proposti e dalle considerazioni dei colleghi del suo partito, che portano inevitabilmente l’attenzione sulle conseguenze, per gettare invece uno sguardo sul fondo del problema che ancora non è stato toccato, ed in merito al quale si ripromette di fare una dichiarazione esplicita e formale.

Premesso che poc’anzi, trattandosi dell’insegnamento religioso, l’onorevole Togliatti ha creduto opportuno impostare una questione politica, ed esprimere con grande schiettezza e lealtà il suo punto di vista, dichiara di essere costretto a fare altrettanto in ordine al complesso di norme in esame. Per il suo partito, quello che si sta dibattendo è il problema fondamentale di tutta la Costituzione. Indubbiamente vi sono anche altre parti della Costituzione che ad esso stanno a cuore, ma questa assume un’importanza assolutamente eccezionale. Nota che su ciò può richiamare l’attenzione dei colleghi anche per il motivo evidente che in questa materia non può sorgere in alcun modo la supposizione di un, sia pur indiretto, interesse politico e di partito.

In tema di insegnamento religioso si è potuto insinuare il sospetto che i democristiani tentassero di concretare una determinata struttura giuridica che potesse in qualche maniera risalire a loro vantaggio o a svantaggio di altre parti; ora invece si ha di fronte un problema che ha un valore esclusivamente etico e che perciò non può in nessun modo essere considerato problema di parte. Assicura pertanto che esso ha per il suo partito lo stesso carattere di quello affrontato all’inizio dei lavori, dei diritti fondamentali della persona e della tutela assoluta ed incondizionata della sicurtà della vita umana.

Dal punto di vista democristiano, come esiste una priorità dei diritti essenziali della persona alla vita ed alla libertà, rispetto a qualunque legge positiva, tale che nessuna legge positiva potrebbe legittimare un’offesa alla sicurtà della persona stessa, così esistono dei diritti primordiali e fondamentali della famiglia, del tutto pari a quelli della persona, intangibili ed anteriori a qualunque riconoscimento della legge positiva.

Perciò ha invitato a prescindere dalle conseguenze che da questa dichiarazione preliminare possono discendere, e che non sono le conseguenze che ne ha voluto ricavare l’onorevole Basso, in una forma paradossale ed assurda, che cioè si debba arrivare necessariamente alla coattività della funzione procreativa; e nemmeno quelle che ha voluto sottolineare l’onorevole Cevolotto in ordine alla situazione dei figli illegittimi, perché, quando si discuterà dell’argomento, apparirà che l’uguaglianza che egli sostiene, in un certo senso, i democratici cristiani sono disposti ad ammetterla. Essa non è che una rivendicazione ed una reazione contro tutta una legislazione che dura da 150 anni a questa parte, e precisamente dalla Rivoluzione francese in poi; la quale ha preso le mosse dal disconoscimento di una posizione di anteriorità della persona rispetto allo Stato, affermando la pretesa da parte di quest’ultimo di dettare alla famiglia una disciplina sua, anche in quello che essa ha di più intimo e di più essenziale, di più collegato inevitabilmente alle sorgenti stesse dell’essere ed alle ragioni fondamentali della vita umana.

Ripete che il suo partito considera di importanza capitale un’affermazione nella Carta costituzionale, con cui si riconosca l’esistenza e la naturalità della famiglia con alcuni diritti – che potranno formare oggetto di una determinazione successiva – anteriori a qualunque intervento o riconoscimento da parte dello Stato. Avverte che su questo punto la sua parte è pronta ad impegnarsi a fondo, sicura di difendere una tesi la quale non è di partito, ma è premessa essenziale per la ricostruzione del Paese. Fa presente che con questo, naturalmente, non è che si voglia cristallizzare la famiglia in certe superstrutture che potevano essere, o meno, storicamente giustificate 150 anni fa o anche in tempi più recenti; bensì si vuole, se mai, liberarla dalla ganga esteriore, per individuarne il nucleo essenziale ed aprirla – attraverso le norme che si verranno stabilendo – a quella vocazione sociale già riconosciuta alla persona, che giustamente le compete e che ha come presupposto l’intangibilità naturale dell’organismo familiare.

I democristiani non si dissimulano che alla base di questa tesi sta un’impostazione ideologica che non può essere condivisa da tutti. Ma come è stato possibile trovare un punto di accordo col riconoscimento concreto del diritto fondamentale della persona, così si augura che anche per la famiglia si possa egualmente arrivare ad un’affermazione di questo diritto anteriore, intoccabile ed intangibile. Un contrasto su questo principio non sarebbe giustificabile da qualsiasi sospetto di parte, avendo invece un valore esclusivamente etico, quale affermazione di una vera premessa della ricostruzione.

LUCIFERO, premesso che gran parte del suo pensiero è stata già esposta dall’onorevole Dossetti, ritiene assolutamente necessaria un’affermazione di principio in tale campo, sia perché rientra nei compiti della Sottocommissione, sia perché il diritto della famiglia costituisce la seconda fase dei diritti della persona. Quando l’onorevole Dossetti parlava di sicurtà della famiglia, il suo pensiero andava al principio della inviolabilità del domicilio, considerando la famiglia come una casa in cui la vita si esplica. Non ritiene pertanto che si possa fare a meno di consacrare nella Costituzione che la famiglia è un’entità naturale preesistente ad ogni stato dell’uomo, come logica conseguenza dell’affermazione di principio fatta sulla persona umana che vive, prima di ogni altro luogo, nella sua famiglia.

BASSO si rende perfettamente conto delle osservazioni dell’onorevole Dossetti; però fa presente che chiedendo la soppressione pura e semplice di questo articolo, non era ispirato dal concetto di menomare l’istituto della famiglia che anzi, unitamente ai suoi colleghi, intende difendere, bensì mirava ad eliminare un articolo dal quale non solo non discende nessuna conseguenza giuridica, ma in cui si pongono delle affermazioni di principio, collegato all’ideologia di una parte dei colleghi.

Messo nel nulla tale articolo, è convinto che sulle norme concrete della famiglia non vi sarà quasi alcun contrasto, ma solo qualche lieve differenziazione, potendosi, tutto al più, affermare che l’indissolubilità matrimoniale sia piuttosto materia di legge, che di Costituzione.

Si dichiara infine contrario ad ogni affermazione di principio, essendo dell’avviso che gli articoli della Costituzione devono essere l’espressione di norme giuridiche e non di principî ideologici.

MORO è dolente di essere in disaccordo con l’onorevole Basso sul valore giuridico dell’articolo. Non si tratta infatti di una affermazione ideologica di parte, ma della conseguenza logica di quanto sancito nel primo articolo della Costituzione, in cui si è riconosciuto che lo Stato, con i suoi organismi sociali e politici, ha dei limiti naturali. Ammesso il fatto – che per i democristiani rappresenta una delle basi fondamentali della democrazia – che lo Stato come organismo politico e sociale nasce dall’uomo, considerato non isolatamente, ma come centrato in tutta la sfera sociale in cui si espande, poiché la famiglia è la cerchia sociale nella quale l’uomo si esprime più naturalmente, va considerata, in quanto tale, come un limite dello Stato, non nel senso comune della parola, ma come garanzia della stessa democrazia. Il valore giuridico dell’affermazione contenuta nell’articolo in discussione sta quindi nel riconoscere costituzionalmente che lo Stato ha dinanzi a sé delle realtà autonome da cui esso stesso prende le mosse, sia pure a sua volta influenzandole. Questa concezione dello Stato, che ritiene liberale, è stata consacrata nell’articolo dell’onorevole Corsanego, riallacciandosi a quanto è stato affermato nel primo articolo in materia dei diritti dell’uomo e delle formazioni sociali in cui esso si concreta.

MASTROJANNI non crede che possa passarsi alla fissazione dei concetti concreti giuridici della famiglia senza preliminarmente stabilire quale è la concezione etica della famiglia nello Stato, in quanto nessuna norma giuridica può essere affermata, se non trae origine dalla morale collettiva. Distinguere quindi tra i due termini, morale e diritto, ritenendo che si possa fare una affermazione del secondo, prescindendo dal primo, gli sembra impossibile. Come successione logica, bisogna invece premettere la norma naturale generale da cui discende poi la norma codificata, così come ha fatto lo onorevole Corsanego. Tale affermazione di principio è necessaria anche per evitare che lo Stato, riconoscendo la famiglia solo come una entità giuridica e di natura economica e sociale, possa in qualche modo incrinane la compagine e l’autonomia. Crede che se non si facesse oggi un’affermazione di principio, quale è stata sancita nel primo articolo dello onorevole Corsanego, si correrebbe il rischio di dare la prevalenza al riconoscimento dell’individuo come entità a sé stante, trascurando i diritti della famiglia. Quindi sia come conseguenza logica, sia per coerenza con quanto approvato in precedenza, ritiene che debba essere in modo solenne affermato questo principio, come preambolo delle successive norme giuridiche.

TOGLIATTI propone la seguente formula che rappresenta, a suo avviso, una conciliazione tra i principî democristiani e quelli del suo partito: «La famiglia è riconosciuta come naturale associazione umana ed è tutelata allo scopo di accrescere la prosperità materiale e la solidità morale della nazione».

MASTROJANNI dissente da tale formula, perché il definire la famiglia solamente quale associazione naturale potrebbe portare la conseguenza di considerarla come una entità materiale, affermatasi per fenomeno associativo ma priva di etica: questa deve invece prevalere, anche secondo quello che era il concetto del diritto romano, per il quale il matrimonio era basato principalmente sulla affectio maritalis, e considerato come una necessità spirituale di convivenza, da cui discendevano particolari diritti patrimoniali. Se si accettasse invece il principio affermato dall’onorevole Togliatti, si rappresenterebbe la famiglia esclusivamente dal punto di vista materialistico, senza affermare quella sua essenza di spiritualità, la quale giustifica l’unione di esseri umani che, attraverso questa affectio perfetta e perenne, procura ai figli i mezzi di vita e di educazione.

TOGLIATTI non comprende come la formula di cui ha dato lettura possa dare luogo a preoccupazioni, dal momento che ha inteso allacciarsi al concetto dell’onorevole Corsanego.

MASTROJANNI ripete che la formula dell’onorevole Togliatti, parlando di associazioni umane, non dà alla famiglia il suo principale carattere che è quello di un connubio spirituale.

MORO ha anch’egli qualche difficoltà ad accettare la formula dell’onorevole Togliatti, ma più che sulle parole «associazione umana», i suoi dubbi si appuntano sulle parole: «è tutelata allo scopo di incrementare la prosperità materiale». Desidererebbe infatti che la famiglia fosse tutelata in se stessa, e non per lo scopo della prosperità materiale. Come si è detto per l’individuo, che è tutelalo innanzi tutto in vista di salvaguardare la sua personalità e poi in vista della società, così dovrebbe essere anche per la famiglia. Pertanto, senza escludere dalla discussione la formula proposta dall’onorevole Togliatti, propone la seguente dizione: «Lo Stato riconosce i diritti inalienabili della famiglia come gruppo originario e fondamento naturale della società, alla cui prosperità morale e materiale essa dà insostituibile incremento».

BASSO prende la parola per una mozione d’ordine. Data la molteplicità delle proposte, riterrebbe opportuno che fossero incaricati due o tre membri della Sottocommissione di raccogliere tutto il materiale e di presentare una formulazione che possa essere accettata da tutti.

CEVOLOTTO è d’accordo con l’onorevole Basso. Consiglierebbe però di non usare i termini «inalienabile e imprescrittibile», che non gli sembrano i più adatti dato il loro particolare significato giuridico.

PRESIDENTE, nel riassumere la discussione, rilegge le proposte di articoli già presentati dagli onorevoli Corsanego, Iotti, Mastrojanni, Togliatti e Moro, nonché la seguente dell’onorevole Dossetti che è comprensiva anche di concetti contenuti in altri articoli:

«Lo Stato riconosce i diritti della famiglia quale unità naturale della società fondata sul matrimonio indissolubile e destinata alla educazione dei figli».

Dà quindi lettura della formula dell’onorevole La Pira:

«Lo Stato riconosce i diritti della famiglia quale unità naturale e fondamentale della società».

Rende infine noto che l’onorevole De Vita ha dichiarato di non insistere sulla proposta precedentemente presentata.

Personalmente proporrebbe la seguente dizione:

«La famiglia è una società di diritto naturale e come tale lo Stato la riconosce e tutela».

Tale dizione sarebbe così modificata dallo onorevole Corsanego:

«La famiglia è una società naturale e come tale lo Stato la riconosce e ne tutela i diritti».

Prega quindi gli onorevoli Corsanego, Iotti e Dossetti di preparare una formulazione che possa trovare il consenso della Sottocommissione.

CEVOLOTTO fa presente l’opportunità che ai tre membri, componenti il Comitato costituito per predisporre il testo degli articoli concernenti la famiglia, se ne aggiunga un altro, rappresentante le correnti di sinistra, al fine di raggiungere un certo equilibrio di opinioni.

PRESIDENTE propone che del Comitato siano chiamati a far parte, oltre ai due Relatori, gli onorevoli Togliatti e Moro; e che esso tenga la prima riunione nella mattinata di domani.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.50.

Erano presenti: Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Carisitia, Grassi e Mancini.

MARTEDÌ 29 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

30.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 29 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Lucifero – Presidente – Marchesi, Relatore – Moro, Relatore – Togliatti – Basso – Merlin Umberto – Mastrojanni – Dossetti – De Vita – La Pira – Cevolotto.

La seduta comincia alle 17.20.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

LUCIFERO dichiara che, essendo costretto ad assentarsi e data l’eventualità che venissero prese deliberazioni contrarie al punto di vista da lui già espresso sulla questione della scuola, si riserva di risollevare la questione alla prima occasione.

PRESIDENTE chiede ai Relatori se hanno concordato qualche articolo da sottoporre all’esame della Sottocommissione.

MARCHESI, Relatore, risponde che non è stato ancora raggiunto l’accordo sull’articolo già esaminato nella seduta precedente, ma ritiene che possa esserlo nel corso della discussione.

Domanda se non sia ormai tempo di riesaminare e votare quella parte del secondo comma dell’articolo secondo, rimasta sospesa: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull’andamento degli studi».

MORO, Relatore, crede che si possa venire incontro al desiderio dell’onorevole Marchesi non appena si sarà giunti ad una conclusione circa l’articolo in esame.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, senza l’approvazione dell’inciso che attribuisce allo Stato il diritto e il dovere alla vigilanza sull’andamento degli studi, non potrebbe tranquillamente votare l’articolo in discussione.

MORO, Relatore, propone che l’inciso e l’articolo siano discussi contemporaneamente, in modo da fissare nei corso della discussione i principî a cui ci si vuole ispirare nell’uno e nell’altro tema. In un secondo tempo ci si potrà mettere d’accordo sull’ordine della votazione.

MARCHESI, Relatore, dichiara che a suo parere l’inciso costituisce una premessa fondamentale.

PRESIDENTE ritiene che la linea di discussione proposta dall’onorevole Moro sia accettabile.

TOGLIATTI dichiara che la sua preoccupazione era quella di evitare che il tema in discussione potesse dar luogo a un dissenso non superabile, in modo da costringere il suo gruppo ad astenersi dalla votazione di articoli subordinati ad uno già respinto, aprendo così un disaccordo fondamentale. Al fine di evitare tale dissenso, propone un articolo che accoglie alcuni punti sui quali la Commissione si è manifestata d’accordo. Circa il punto di disaccordo, che era quello della parità di trattamento per gli allievi degli istituti privati, propone una soluzione di compromesso, nel senso che si parli di parità di trattamento a parità di condizioni didattiche controllate dallo Stato. Inoltre propone di aggiungere un punto relativo al conferimento delle provvidenze, a favore degli alunni capaci e meritevoli, mediante pubblico concorso. In definitiva, l’articolo che egli propone sarebbe così formulato:

«La scuola privata è libera ed ha pieno diritto alla libertà di insegnamento.

«La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuola privata e nel determinare i requisiti per la sua parificazione, le assicura una libertà effettiva e, a parità di condizioni didattiche controllate dallo Stato, garantisce agli alunni degli istituti privati parità di trattamento.

«Tutte le provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli, sono conferite mediante pubblici concorsi».

PRESIDENTE apre la discussione generale sull’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

MORO, Relatore, premette che da parte sua non vi è alcuna difficoltà ad accettare l’inciso pregiudiziale al quale aveva accennato l’onorevole Marchesi e che riguardava il potere dello Stato di dettare norme generali in materia di istruzione e la sua vigilanza sul buon andamento degli studi.

Per quanto riguarda l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti, propone alcune modifiche. Dove è scritto: «scuole private», sostituire: «scuole non statali», dizione che ritiene più corretta, in quanto nell’attuale legislazione la scuola privata rappresenta una sottospecie della scuola non statale; dove si dice: «assicura una libertà effettiva», dire invece: «deve assicurare una libertà effettiva»; alla dizione: «controllate dallo Stato», sostituire: «a tenore dell’ordinamento scolastico»; e infine dopo le parole: «Tutte le provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli», aggiungere l’inciso: «a qualsiasi scuola appartengano».

MARCHESI, Relatore, rileva con piacere che si è ormai sulla via di un accordo. Tuttavia, giacché si vuole anticipare nella Carta costituzionale un regolamento scolastico, ritiene che sia bene essere precisi.

I Commissari democristiani hanno richiesto la parità di trattamento e vogliono che questa parità sia indicata nella Carta costituzionale, pur ammettendo il controllo dello Stato. Hanno dato così prova di fine accorgimento nell’attribuire al problema scolastico e alla scuola privata quella grandissima importanza che effettivamente hanno nella vita della Nazione, non soltanto per le sorti della cultura, ma anche per l’educazione della coscienza nazionale e popolare. Essi chiedono sia stabilita una parità effettiva fra scuola non statale e scuola statale. Ora, poiché la scuola statale è continuamente soggetta al controllo dello Stato attraverso i capi di istituto e il corpo ispettivo, allo stesso controllo deve essere sottoposta la scuola privata, altrimenti non vi sarebbe parità di trattamento, ma intollerabile disparità. Occorre, inoltre, vi sia parità nella scelta del personale didattico; e poiché lo Stato assume soltanto personale incluso nella graduatoria dei concorsi e gli insegnanti delle scuole pubbliche, quando non vi sia carenza di insegnanti effettivi, sono i vincitori di concorsi pubblici, anche gli insegnanti delle scuole private devono essere scelti tra i vincitori dei concorsi, come avviene all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Rileva infine un accordo sostanziale nella parte dell’articolo che parla delle sovvenzioni statali. Dichiara perciò che, affinché la parità sia garantita tanto alla scuola privata quanto alla scuola pubblica, è doveroso accettare parola per parola, senza alcuna modificazione, la proposta conciliativa dell’onorevole Togliatti.

Domanda infine all’onorevole Moro per quale ragione egli ha proposto che l’espressione: «controllate dallo Stato», sia sostituita dall’altra: «a tenore dell’ordinamento scolastico», che riporta questo controllo ad un futuro incerto.

MORO, Relatore, dichiara che si tratta di ragioni di indole psicologica, essendo chiaro che le condizioni didattiche non possono essere stabilite se non dallo Stato. Fa presente che da parte sua non vi è alcuna intenzione di cambiare la sostanza della disposizione; ma l’onorevole Marchesi si deve rendere conto che gli ambienti sociali rappresentati dalla Democrazia cristiana hanno desiderio di una larghezza maggiore e di una maggiore libertà. Ora, dicendo: «ordinamento scolastico», espressione che richiama il potere dello Stato nei confronti della scuola statale e non statale, si raggiunge lo stesso risultato, adottando però una dizione che incontrerà senza dubbio una maggiore simpatia.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, pur comprendendo le ragioni psicologiche addotte dall’onorevole Moro, resta fermo nel principio che la parità debba essere intesa nel senso che quelle garanzie che si vogliono assicurare alla società rispetto alla scuola statale siano pure assicurate nei confronti della scuola non statale.

MORO, Relatore, osserva che, dal punto di vista sostanziale, non ha nulla da obiettare circa l’espressione: «a parità di condizioni didattiche», in quanto che si stabilisce un criterio di paragone tra le due scuole e si dice che entrambe debbono soddisfare ad esigenze fondamentali in ordine alle condizioni didattiche.

Ritiene che l’onorevole Marchesi possa essere del pari soddisfatto, poiché si garantiscono tutte le esigenze alle quali egli tiene, anche facendo riferimento all’ordinamento scolastico, anziché al controllo dello Stato. Infatti, vi è la parità didattica tra un ordine di scuole e l’altro, e il rinvio, per assicurare la parità di trattamento, all’ordinamento scolastico che è fissato dallo Stato; con la qual cosa si ammette in linea di principio l’intervento dello Stato per accertare, nelle forme che sembreranno di volta in volta opportune, la continua sussistenza di quella parità di condizioni didattiche che è fondamento per la parità di trattamento.

TOGLIATTI dichiara di preferire la formula da lui presentata e di non comprendere perché l’onorevole Moro insista nell’emendamento proposto, dato che in sostanza esso è già compreso, anche se non è detto espressamente, nell’articolo. Lo Stato non controllerà certamente la scuola per mezzo della polizia, ma lo farà attraverso una legge per mezzo di ispettori scolastici. Del resto è stato già detto che l’ordinamento scolastico è fissato dallo Stato.

Per questi motivi si dichiara contrario alla modificazione proposta.

MORO, Relatore, ripete che l’emendamento è ispirato soltanto da una considerazione di carattere psicologico e che non vi sono sottintesi di sorta.

MARCHESI, Relatore, osserva che l’espressione: «controllate dallo Stato», indica un procedimento sicuro, quasi meccanico. Lo Stato controlla attraverso gli organi ispettivi. L’espressione: «a tenore dell’ordinamento scolastico», non ha la stessa certezza e la stessa meccanicità, perché l’ordinamento scolastico potrebbe anche abolire in futuro l’ufficio ispettivo.

MORO, Relatore, replica che se l’ordinamento scolastico abolisse l’ufficio ispettivo, non ci sarebbe nessuna obiezione da fare.

MARCHESI, Relatore, precisa che la corrente politica da lui seguita vuole che questo procedimento di controllo sia indicato in sede costituzionale, ed imposto al legislatore.

BASSO fa presente di essersi astenuto fino a questo momento dall’intervenire nella discussione, ritenendo che fosse più opportuno non parlare del problema della scuola in sede costituzionale.

Dichiara di riservarsi in sede di Commissione plenaria la facoltà di proporre la soppressione di tutti gli articoli riguardanti la scuola.

Comunque, ritenendo inutile un atteggiamento di pura astensione, dichiara che la sua opinione, nella questione in discussione, concorda con quella dell’onorevole Marchesi. Non ritiene che la formula proposta dall’onorevole Moro offra quella garanzia che giustamente l’onorevole Togliatti e l’onorevole Marchesi chiedono. L’ordinamento scolastico potrebbe sopprimere questo controllo. Ora egli è disposto a votare il resto dell’articolo soltanto nel caso che si fissi al legislatore l’obbligo di istituire un controllo, affinché la parità didattica sia assicurata.

MERLIN UMBERTO fa presente che l’onorevole Moro ha dichiarato prima che, contemporaneamente o subito dopo l’articolo da lui emendato, sarà approvato quel capoverso rimasto sospeso, nel quale si dice che: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione». Quanto esprime l’onorevole Marchesi è già contenuto in questa formula generica che dovrebbe soddisfare tutte le sue preoccupazioni.

Ritiene che, per questi motivi, i deputati comunisti potrebbero con maggiore tranquillità votare a favore dell’emendamento proposto dall’onorevole Moro. È necessario che essi comprendano lo stato d’animo dei deputati democratici cristiani, i quali hanno votato contro l’articolo proposto dall’onorevole Lombardi, proprio perché da un lato si affermava la libertà della scuola privata e dall’altro le si mettevano le catene.

MASTROJANNI ritiene che in questa discussione la sensibilità soggettiva si sia sostituita al dovere della obiettività. Qui non si tratta di affermare i principî comunisti, né quelli democristiani, né quelli di altri partiti. Si deve fare una Costituzione che sia espressione della vera e sana democrazia, che è basata anche sul controllo. Non avrebbe nulla in contrario a che la scuola privata potesse intervenire nel controllo della scuola statale, ed avesse il diritto di denunciare alla pubblica opinione quanto in essa potesse contrastare con il generale orientamento etico del Paese. Ritiene anzi che sul controllo reciproco non sia il caso di discutere, perché togliendo ai cittadini, agli enti, allo Stato e ai privati il diritto di controllarsi a vicenda, si distruggerebbe l’essenza stessa della democrazia.

Per queste ragioni, prescindendo da altre considerazioni che potrebbero essere fatte, si dichiara favorevole al principio del controllo stabilito in modo esplicito nella Carta costituzionale.

PRESIDENTE invita l’onorevole Mastrojanni a proporre un emendamento conclusivo del suo pensiero, poiché nell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti si parla solo di controllo da parte dello Stato sulla scuola privata, e non anche della possibilità del controllo della scuola privata sulla scuola statale.

DOSSETTI fa presente che sulla sostanza dell’articolo tutti sono d’accordo, e che i Commissari di parte democristiana si sono impegnati a votare la proposizione dell’onorevole Marchesi, precedentemente accantonata, in cui è detto che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e che l’andamento degli studi è sotto la sua vigilanza. Osserva che, se questa proposizione fosse stata già approvata, probabilmente a nessuno sarebbe venuto in mente di parlare ancora di un controllo da parte dello Stato sulla parità delle condizioni didattiche, perché è evidente che questa parità deve essere assicurata dal potere normativo che lo Stato ha in ordine a tutta la scuola.

Quindi, riconoscendo il principio della vigilanza generale dello Stato secondo la formula proposta dall’onorevole Marchesi (che se si desidera una garanzia pratica potrebbe avere la precedenza nella votazione), il ripetere «controllate dallo Stato» viene ad essere superfluo. I Commissari di parte comunista devono rendersi conto delle ragioni di carattere puramente psicologico che inducono i democristiani ad augurarsi che tali parole siano soppresse nell’articolo in discussione. Se, per maggiore chiarezza, si vuole aggiungere un richiamo all’articolo precedente, in modo che sia evidente a tutti che questa parità di condizioni didattiche è quella stabilita dall’ordinamento generale dello Stato, propone che si dica: «stabilite dall’ordinamento scolastico generale».

Ritiene pertanto che, per far sì che l’articolo sia veramente accolto da tutti con soddisfazione, si debba consentire ad una modifica, che è di forma e non di sostanza.

MARCHESI, Relatore, dichiara che da parte sua non avrebbe difficoltà a che l’espressione «controllate dallo Stato» sia sostituita dall’altra: «stabilite dall’ordinamento scolastico». Vorrebbe, però, che in quella dichiarazione generica del primo comma dell’articolo secondo sia ripresa la formula da lui proposta in un primo tempo e allora accettata dall’onorevole Moro: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e tutta la organizzazione scolastica è sotto la sua vigilanza».

PRESIDENTE fa presente che è stato proposto che si dica: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull’andamento degli studi».

MARCHESI, Relatore, dichiara di preferire la sua formula primitiva. Comunque, poiché si è in via di successivi accordi e di concessioni reciproche, propone che si dica «e l’organizzazione degli studi è sotto la sua vigilanza», o anche «e l’organizzazione scolastica è sotto la sua vigilanza».

MORO, Relatore, DOSSETTI e LA PIRA accettano la proposta dell’onorevole Marchesi.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mastrojanni se insiste sull’emendamento da lui proposto.

MASTROJANNI dichiara di non insistere.

DE VITA prega l’onorevole Togliatti di volere chiarire quali sono i limiti dell’azione dello Stato in materia di insegnamento, e particolarmente se intende che lo Stato debba preoccuparsi anche dell’indirizzo dell’insegnamento. Il dubbio gli è sorto in considerazione di alcuni incisi dell’articolo, come quello: «nel determinare i requisiti per la sua parificazione» e l’altro: «a parità di condizioni didattiche».

TOGLIATTI fa presente all’onorevole De Vita, il quale sembra preoccuparsi della libertà di insegnamento e non della libertà della scuola, che è stato approvato precedentemente un articolo nel quale si dice che «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti», il che esclude che lo Stato dia un indirizzo speciale all’insegnamento. Per quello che si riferisce alla scuola privata, poi, si dice che essa ha diritto alla libertà di insegnamento.

Con queste affermazioni, a suo parere, è garantita la libertà di indirizzo nell’insegnamento.

Parlando di «condizioni didattiche», non ci si riferisce al contenuto dei programmi, ma solo alla serietà dell’insegnamento e alla scelta di insegnanti adeguati al loro compito.

DE VITA si dichiara soddisfatto delle spiegazioni dell’onorevole Togliatti.

MORO, Relatore, dichiara di associarsi ai chiarimenti dati dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE prende atto delle dichiarazioni fatte dall’onorevole Togliatti e ricorda di avere scritto a questo riguardo nella sua pubblicazione dal titolo «La nuova Costituzione» le seguenti parole: «Lo Stato deve intervenire per spronare, con la sanzione e l’esempio a seconda dei casi, a che, nelle scuole private come in quelle pubbliche, sia osservata la serietà dell’insegnamento».

CEVOLOTTO osserva che nella formula proposta dall’onorevole Togliatti si afferma nel primo comma: «La scuola privata è libera e ha pieno diritto alla libertà di insegnamento», e nel primo capoverso poi si dice: «le assicura una libertà effettiva». Ritiene che in tal modo si faccia troppo uso della parola libertà, dando l’impressione che accentuando troppo le garanzie di libertà effettiva si sia enunciato un principio meno serio. Ritiene perciò più opportuno, per la prima parte dell’articolo, tornare al progetto precedente che non implicava questa ripetizione. In esso si diceva: «Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole o istituti di educazione». Dopo questa affermazione si può anche dire: «La legge le assicura una libertà effettiva».

Comprende le ragioni per le quali l’onorevole Moro ha proposto che si dica «deve assicurare», ma trova che questa accentuazione eccessiva in alcuni punti della Costituzione disturba. Quando si dice «lo Stato assicura» non occorre altro. Lo Stato non deve garantire: esso deve limitarsi a dichiarare quelli che sono i diritti dei cittadini.

Dichiara comunque di avere inteso di fare solo una raccomandazione, riservandosi ogni decisione sul merito in sede di votazione.

MORO, Relatore, chiarisce all’onorevole Cevolotto che l’espressione: «libertà», ricorrente tanto nel primo comma come nel capoverso dell’articolo, assume rispettivamente due significati diversi. Nella prima parte si dice che la scuola privata è libera: si tratta cioè dei poteri giuridici, della potestà della scuola privata. Quando invece si dice nel capoverso: «libertà effettiva», si vuole intendere la modalità dell’esistenza in atto della scuola.

È favorevole al mantenimento della prima parte proposta dall’onorevole Togliatti e domanda agli onorevoli Togliatti e Marchesi la loro opinione in ordine agli altri emendamenti da lui proposti, cioè: la sostituzione delle parole: «non statale», all’altra: «privata»; «deve assicurare» in luogo di: «assicura»; «deve garantire» in luogo di «garantire» e da ultimo l’aggiunta «a qualsiasi scuola appartengano».

TOGLIATTI dichiara di accettare gli emendamenti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e l’organizzazione scolastica è sotto la sua vigilanza», che era rimasta sospesa.

BASSO propone che invece di dire «vigilanza» si dica «controllo».

PRESIDENTE prega l’onorevole Basso di non insistere in questa sua proposta, poiché essa porterebbe di nuovo in discussione tutta la questione che ha dato luogo a dissensi tra i Commissari.

BASSO dichiara di non insistere, ma solo perché prevede che la sua proposta di emendamento non sarebbe accolta, non perché egli voglia accedere al concetto di «vigilanza» che è sostanzialmente diverso da quello di «controllo».

(La proposizione è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione della formula proposta dall’onorevole Togliatti, accettata dall’onorevole Marchesi e dall’onorevole Moro: «La scuola non statale è libera ed ha pieno diritto alla libertà di insegnamento».

BASSO dichiara di votare contro tutto questo articolo. Ritiene che il problema non sia soltanto quello della libertà dell’insegnamento, ma il problema più complesso della libertà della scuola, a cui la concezione socialista non può rinunciare, e che non trova garanzie sufficienti nel testo proposto, specialmente perché nella formula non è stata adoperata la parola «controllo». Dichiara di essere contrario all’articolo anche per altre ragioni riguardanti l’applicazione pratica che il Ministro della pubblica istruzione sta facendo dei principî sulla scuola pubblica e sulla scuola privata, applicazione la quale non dà alcuna garanzia per il futuro.

CEVOLOTTO dichiara di associarsi alle osservazioni dell’onorevole Basso e di votare contro.

(La proposizione è approvata con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la seconda proposizione: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuola non statale e nel determinare i requisiti della sua parificazione, deve assicurarle una libertà effettiva, ed a parità di condizioni didattiche, stabilite dall’ordinamento scolastico, deve garantire agli alunni degli istituti non statali parità di trattamento».

MARCHESI, Relatore, domanda all’onorevole Dossetti se consente a sopprimere l’inciso: «stabilite dall’ordinamento scolastico».

DOSSETTI accetta.

PRESIDENTE comunica che la proposizione risulta definitivamente così modificata: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuola non statale e nel determinare i requisiti per la sua parificazione, deve assicurarle una libertà effettiva, ed a parità di condizioni didattiche deve garantire agli alunni degli istituti non statali parità di trattamento».

La mette ai voti.

(La proposizione è approvata con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

Mette quindi ai voti l’ultima proposizione della formula proposta, che è del seguente tenore: «Tutte le provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli, a qualsiasi scuola appartengano, sono conferite mediante pubblici concorsi».

BASSO dichiara di essere favorevole al concetto contenuto nella proposta in esame, ma ritiene che con questo si entri in un campo estraneo ad una Costituzione e che, pertanto, non dovrebbe essere trattato in questa sede.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole al concetto, ma dal momento che egli ha dichiarato di votare contro tutto l’articolo, è costretto a votare contro anche questa proposizione a cui darebbe voto favorevole se fosse isolata.

(La proposizione è approvata con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

PRESIDENTE rileva che l’articolo risulta approvato nei seguenti termini:

«La scuola non statale è libera ed ha pieno diritto alla libertà di insegnamento.

«La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuola non statale e nel determinare i requisiti per la sua parificazione, deve assicurarle una libertà effettiva, ed a parità di condizioni didattiche deve garantire agli alunni degli istituti non statali parità di trattamento.

Tutte le provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli, a qualsiasi scuola appartengano, sono conferite mediante pubblici concorsi».

Lo mette ai voti nel suo complesso.

(È approvato con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

Per quanto riguarda il collocamento che si deve dare a questo articolo, fa presente che l’ultimo degli articoli votati in una delle sedute precedenti diceva: «L’istruzione primaria, media, superiore è tra le precipue funzioni dello Stato». Dopo questa proposizione si dovrebbe inserire la proposizione che era rimasta in sospeso e che è stata oggi approvata: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e l’organizzazione scolastica è sotto la sua vigilanza». Subito dopo questa proposizione si dovrebbe inserire l’altra: «Per assicurare un imparziale controllo dello svolgimento degli studi e a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato».

A questo dovrebbero seguire le proposizioni testé approvate che potrebbero formare un nuovo articolo.

(Così resta stabilito).

Domanda ai Relatori onorevoli Moro e Marchesi se sono in grado di poter presentare un nuovo articolo concordato.

MORO, Relatore, dichiara che il successivo articolo proposto è concordato e pertanto potrebbe essere messo in discussione.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo:

«La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto.

«La Repubblica detta le norme le quali, mediante borse di studio, sussidi alle famiglie ed altre provvidenze, garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto.

«L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età».

MASTROJANNI domanda ai Relatori che cosa si intende dire con le parole: «attitudine» e «profitto».

MORO, Relatore, chiarisce che si è voluto dire che ogni cittadino ha diritto all’istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto, cioè prescindendo dall’appartenenza a un determinato ambiente sociale o ad una particolare condizione economica.

MARCHESI, Relatore, chiarisce a sua volta che si è voluto appunto intendere che la capacità non è sufficiente a giustificare il diritto all’istruzione, se non è accompagnata dal profitto, cioè dal lavoro.

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione:

«La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto».

(La proposizione è approvata all’unanimità).

Mette ai voti la seconda proposizione:

«La Repubblica detta le norme le quali, mediante borse di studio, sussidi alle famiglie ed altre provvidenze, garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto».

DOSSETTI osserva che, in coerenza con quanto è stato già stabilito a proposito di altri articoli per ciò che riguarda le espressioni: «Repubblica, Stato, ecc.» sarebbe preferibile che nella formula in esame, invece di dire «La Repubblica», si adottasse il termine: «La legge».

BASSO rileva che il termine: «sussidi alle famiglie» contiene sempre un concetto di carità, mentre qui si deve parlare di un diritto che viene garantito. Preferirebbe che si dicesse «assegni alle famiglie» invece di «sussidi alle famiglie».

PRESIDENTE domanda ai Relatori se accettano gli emendamenti di forma proposti rispettivamente dagli onorevoli Dossetti e Basso.

MARCHESI e MORO, Relatori, dichiarano di accettare.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione così come risulta con gli emendamenti proposti dagli onorevoli Dossetti e Basso:

«La legge detta le norme le quali, mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione l’ultima proposizione all’articolo proposto:

«L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età».

MARCHESI, Relatore, fa presente che questo articolo fa parte di quelle dichiarazioni costituzionali che dovranno servire al legislatore per iniziare subito i nuovi ordinamenti scolastici, in modo che non si possa dubitare della loro integrale applicazione. Osserva però che non è da pensare che questi ordinamenti scolastici in favore di tutto il popolo possano aver vigore immediatamente, date le necessità del momento attuale e le molte difficoltà che ne rallenteranno l’applicazione totale e immediata. Dobbiamo riconoscere che il popolo italiano, come altri popoli travolti dal ciclone della guerra, ha ora bisogno di cercarsi lavoro attraverso le vie del mondo, e che il titolo di operaio qualificato sarà più ricercato e valevole che non il titolo dottorale.

Si è voluto appunto distinguere nell’articolo in esame la scuola primaria e la scuola post-elementare: la scuola primaria è quella che si svolge in cinque anni come di consueto; la scuola post-elementare è quella che il legislatore potrà costituire soddisfacendo alle esigenze, espresse da più parti, di una scuola media unica formativa da servire quale scuola sperimentale della capacità degli alunni.

Ma, poiché questa scuola media unica non potrà per ora sorgere altro che come esperimento limitato a qualche provincia d’Italia più progredita, si è pensato di lasciare intanto al legislatore la facoltà di riordinare nella scuola post-elementare quelle scuole di lavoro e di arti e mestieri che oggi si dimostrano di tanta utilità, affinché il lavoratore italiano possa conseguire una effettiva qualifica di mestiere.

MORO, Relatore, si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Marchesi.

MASTROJANNI riferendosi alle parole: «obbligatorio», osserva che ci sono alunni i quali dimostrano una insufficienza di carattere organico a frequentare le scuole, e non si può pertanto imporre l’obbligo di frequentare una scuola ad individui che non siano suscettibili di ricevere un insegnamento.

MARCHESI, Relatore, obietta che questa incapacità non potrà risultare che attraverso la frequenza di una scuola.

MASTROJANNI domanda se l’esperimento di questa capacità o meno dovrà continuare fino ai 14 anni.

CEVOLOTTO ritiene che vi dovranno essere dei regolamenti scolastici per i quali, se un alunno è bocciato per tre anni di seguito, debba essere escluso dalla scuola.

PRESIDENTE ritiene che questo sia già preveduto nella legislazione scolastica attuale.

MASTROJANNI si dichiara soddisfatto dei chiarimenti ricevuti.

PRESIDENTE mette ai voti l’ultima proposizione dell’articolo.

(È approvata all’unanimità).

Mette ai voti l’intero articolo così formulato:

«La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto.

«La legge detta le norme le quali, mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto.

«L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età».

(L’intero articolo è approvato all’unanimità).

Fa presente che nel testo proposto dai due Relatori viene a questo punto un articolo che è proposto dal solo onorevole Marchesi, ed al quale l’onorevole Moro non ha aderito. L’articolo è così formulato:

«Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà, con l’assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrali e periferiche, un piano di struttura scolastica diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare».

MORO, Relatore, chiarisce i motivi che lo hanno indotto a non sottoscrivere l’articolo proposto dall’onorevole Marchesi, osservando che in esso da una parte si ripete il concetto già espresso nell’ultimo comma dell’articolo precedentemente approvato, nel quale si afferma che le borse di studio sono assegnate mediante pubblici concorsi, e dall’altra si fa un accenno all’attività scolastica per permettere che questa attività educativa e di istruzione giunga fino a tutti i ceti popolari.

Dichiara che l’idea che l’istruzione debba essere estesa a tutto il popolo lo trova consenziente, come pure quella che lo Stato debba porre in essere ogni attività allo scopo di dare una cultura, nei limiti del possibile, a tutti i cittadini, ma per quanto riguarda le parole «svolgerà con l’assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrali e periferiche un piano di struttura scolastica…» ebbe a fare a suo tempo delle riserve che intende mantenere.

Ritiene che si potrebbe dall’articolo proposto enucleare una parte suscettibile di incontrare il consenso di tutti i Commissari, la quale ribadisca il principio di una estensione della cultura e della istruzione tale da permettere a tutti i cittadini, anche a coloro che si avviino al lavoro manuale, di attendere a questo lavoro con una più completa preparazione, in un senso largo, umanistico.

Se si vuole quindi confermare in questa sede che tutti i cittadini, anche se non possono giungere ai più alti gradi di istruzione, devono avere una formazione adeguata nel piano tecnico ed umano, egli non potrà che essere d’accordo, a patto che non vi sia un richiamo ad una pianificazione strutturale della attività scolastica.

MARCHESI, Relatore, dichiara di aver previsto che questa parola «piano» avrebbe suscitato diffidenze. Osserva che si tratta di un termine ormai entrato nell’uso e che bisogna accettare, quando si voglia tendere verso un rinnovamento dei fattori della vita sociale. Non vi è nessuno, tra tutti i deputati dell’Assemblea Costituente, che non sia d’accordo nel riconoscere la necessità di elevare, anche al di là della scuola, l’istruzione popolare. È un riconoscimento che si rinnova e si ripete da secoli, ma l’esperienza – una lunga esperienza – insegna quale differenza ci sia tra quelli che dicono di volere la estensione della cultura popolare e quelli che la vogliono veramente. Gli uomini del suo partito sono certamente tra coloro che la vogliono.

Ciò premesso, bisogna che la Costituzione parli chiaro su questo punto ed indichi ciò che il legislatore dovrà stabilire e il Governo dovrà, o potrà, eseguire. A questo scopo nell’articolo da lui proposto si dice: «Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà con l’assistenza di enti locali» – e si potrebbe aggiungere «politici e sindacali», in quanto non c’è ragione che i partiti politici e le organizzazioni sindacali siano tenuti lontani da questa opera di elevazione popolare – «per mezzo delle autorità centrali e periferiche, un piano di struttura scolastica diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare».

Fa presente che si tratta di un «piano», non di un progetto condannato a restare inattuato, di un piano che deve essere garantito dallo Stato, per mezzo degli organi statali.

Al risultato desiderato potrà giungersi con la moltiplicazione delle scuole, soprattutto primarie, con l’istituzione di scuole di arte e di lavoro, con la creazione di biblioteche circolanti in tutti i villaggi. Bisogna diffondere il libro sotto qualunque forma, non importa se catechismo o libro di novelle. Bisogna educare il popolo, e l’alfabeto è lo strumento fondamentale non solo agli effetti della elevazione spirituale e politica della gente, ma anche nei riguardi della produzione economica del Paese. Con biblioteche circolanti in tutti i villaggi, con insegnanti volanti nelle campagne, si potrà ottenere l’invocata diffusione della cultura popolare. Ci sono luoghi nelle campagne, tagliati fuori dal resto del mondo, che rimarranno per parecchio tempo esclusi da ogni possibilità di insegnamento.

Tutto questo non si può fare fidando nella iniziativa di alcuni organismi od enti privati o comunali o regionali; ci vuole un diretto intervento del Governo, un piano stabilito e perseguito dal Governo attraverso i suoi organi centrali e periferici.

Fa presente che, proponendo questo articolo, ha inteso indurre la Sottocommissione a considerare l’importanza grande che un’organizzazione governativa, con la collaborazione degli enti locali e regionali, dei partiti politici e delle organizzazioni operaie e sindacali, può avere per l’istruzione del popolo, oltre i confini della scuola.

PRESIDENTE manifesta l’impressione che la proposta dell’onorevole Marchesi riguardi una materia propria di legge speciale, che lo Stato potrà elaborare allorquando si tratterà di avvisare ai mezzi per un migliore incremento dell’istruzione popolare.

Ritiene comunque che il primitivo articolo dell’onorevole Marchesi sia più accettabile di quello presentato oggi, perché non vi si parla di pianificazione.

Dichiara che, qualora si decidesse di porre ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Marchesi, egli si riserva di proporre un emendamento così formulato:

«Le iniziative private dirette ad integrare e diffondere l’istruzione popolare saranno incoraggiate e favorite dallo Stato con premi e sovvenzioni adeguate».

Osserva che è bene che la questione della diffusione dell’istruzione popolare sia stata in questa sede esaminata e prospettata; e quanto è stato detto potrà essere convenientemente inserito nel verbale come pensiero della Sottocommissione per essere poi presentato in sede competente. Ma dichiara che se l’articolo fosse messo in votazione, egli voterà contro perché ritiene non costituzionale la materia in esso trattata, e che quindi tale materia esuli dalla competenza specifica della Sottocommissione.

MASTROJANNI esprime il dubbio che la preoccupazione di estendere l’insegnamento nelle zone dove esso può arrivare più difficilmente possa avere come conseguenza il grave inconveniente che in quelle zone l’attitudine dei singoli fino al quattordicesimo anno di età venga convogliata a determinati orientamenti e finalità politiche con vantaggio di quel partito che, essendo al potere, avrà i mezzi di attuare questo piano straordinario.

Osserva inoltre che le dichiarazioni dell’onorevole Marchesi hanno rafforzato le sue preoccupazioni nei riguardi dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente, là dove si dice che «l’insegnamento primario e post-elementare da impartire in otto anni è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età». Pur non avendo nulla da obiettare, perché l’articolo è stato già approvato, si preoccupa del fatto che un giovane possa essere obbligato fino al quattordicesimo anno di età a seguire un indirizzo scolastico che contrasti, ad esempio, con le sue attitudini umanistiche, se la scuola post-elementare dovesse avere un orientamento professionale specifico.

Desidera che di questa sua preoccupazione si faccia cenno nel verbale.

CEVOLOTTO fa presente che l’insegnamento post-elementare fino al quattordicesimo anno di età sarà obbligatorio per chi non intenda seguire altri corsi. L’alunno che, come dice l’onorevole Mastrojanni, abbia spiccate tendenze agli studi umanistici, andrà al ginnasio.

Per quanto riguarda il nuovo articolo proposto dall’onorevole Marchesi, dichiara che, se esso sarà messo in votazione, voterà contro, poiché nutre dei dubbi circa le finalità politiche dell’insegnamento previsto, nelle zone in cui non vi sono possibilità di controllo.

MASTROJANNI dichiara che, nel caso che l’articolo sia messo ai voti, egli voterà contro, inquantoché le finalità da esso perseguite potrebbero prestarsi alle ingerenze dei fattori politici.

MORO, Relatore, risponde all’onorevole Mastrojanni richiamandosi alle dichiarazioni dell’onorevole Marchesi, alle quali si è anche egli associato, rilevando che la scuola pos-telementare non dovrebbe essere una continuazione della scuola elementare, ma che, appena sarà possibile, si creerà una scuola con una particolare fisionomia.

Per quanto riguarda il nuovo articolo proposto dall’onorevole Marchesi, dichiara di non essere d’accordo col Presidente, poiché ritiene che la materia dell’articolo in esame debba rientrare nell’argomento della scuola. Ci si è preoccupati dell’alta cultura in un senso molto largo, e non si rivolge ancora tutta l’attenzione alla esigenza di diffondere in mezzo al popolo l’istruzione. L’obiezione da lui sollevata riguardava soltanto la pianificazione come tale. Si dichiara invece d’accordo con l’onorevole Marchesi circa l’opportunità che vi sia una norma che impegni lo Stato a favorire l’iniziativa della istruzione popolare.

Poiché quello che si fonda è uno Stato sociale, come è stato dichiarato fin da principio, è opportuno inserire nella Costituzione una dichiarazione sul favore che lo Stato deve accordare a queste iniziative. Ritiene che una formula in proposito possa essere concordata.

DE VITA domanda la chiusura della discussione generale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiusura della discussione generale sull’articolo.

(È approvata all’unanimità).

Fa presente che ci sono due votazioni da fare. La prima è di ordine pregiudiziale e riguarda la convenienza o meno che una materia come quella proposta dall’onorevole Marchesi formi oggetto di una statuizione di carattere costituzionale. Personalmente si dichiara contrario all’inclusione dell’articolo dell’onorevole Marchesi nella Costituzione.

Ricorda poi di aver presentato in linea subordinata una formula la quale dice:

«Le iniziative private dirette a integrare e diffondere l’istruzione popolare saranno incoraggiate e favorite dallo Stato con premi e sovvenzioni adeguate».

MERLIN UMBERTO fa presente che nell’assemblea plenaria della Commissione tenuta venerdì scorso è stata presa una deliberazione nella quale si raccomandava che la Costituzione fosse breve e chiara. Dichiara, in base a quella raccomandazione, di associarsi alla proposta del Presidente tendente ad escludere dalla Costituzione un articolo come quello proposto dall’onorevole Marchesi. Questa dichiarazione non involge il suo giudizio nel merito, concordando nei concetti espressi dall’onorevole Marchesi.

DOSSETTI fa presente che la questione deve essere discussa senza tener presente quanto è stato concordato nell’Assemblea plenaria dei settantacinque.

Osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Marchesi nella seconda stesura contiene due principî, uno relativo all’affermazione dell’obbligo dello Stato di provvedere in maniera vasta ed intensa alla diffusione della cultura popolare, e un secondo principio relativo al modo attraverso cui lo Stato deve pervenire a questo risultato, cioè una pianificazione dello sviluppo di questa cultura che si concreta poi in iniziative dello Stato e in aiuti e favori alle iniziative di altri enti.

Osserva anche che è difficile poter votare contro i due concetti. Si dichiara d’accordo sul primo principio ed anche sul secondo, nel senso che lo Stato deve porsi il problema di sviluppare la cultura popolare in modo organico in tutte le regioni d’Italia.

Fa presente, però, che pur essendo favorevole al contenuto dell’articolo, ritiene che la duplice affermazione non debba essere fatta in questa sede, perché, per quel che riguarda la prima parte dell’articolo, l’obbligo cioè dello Stato di favorire la cultura popolare, il concetto è già contenuto negli articoli approvati precedentemente.

BASSO, pur ritenendo che tutta la materia scolastica non sia di competenza della Costituzione, dal momento che altri articoli del genere sono stati approvati, dichiara che voterà favorevolmente per l’introduzione nella Costituzione anche di questo articolo.

DE VITA si dichiara contrario alla pregiudiziale sollevata contro l’articolo, facendo presente che tale dichiarazione non pregiudica il suo giudizio sull’articolo stesso.

MARCHESI, Relatore, osserva che nel proporre il suo articolo ha voluto distinguere nettamente il problema della scuola dal problema della cultura. Poiché il problema della scuola è stato ritenuto di competenza della Costituzione, non vede le ragioni per cui debba negarsi la competenza costituzionale per un articolo che riguarda la cultura del popolo, la quale si può e si deve svolgere ampiamente oltre i confini della scuola.

PRESIDENTE mette ai voti la pregiudiziale se l’articolo proposto dal Relatore onorevole Marchesi debba o meno essere considerato materia di Costituzione, e quindi essere messo in discussione ed in votazione.

Ricorda che la decisione che la Commissione prenderà non implica, naturalmente, il giudizio del merito, il cui esame resta riservato.

LA PIRA fa presente che in un primo momento aveva acceduto alla tesi esposta dall’onorevole Presidente, ma che l’ultimo chiarimento dato dall’onorevole Marchesi lo ha convinto.

(La Sottocommissione si dichiara favorevole alla discussione dell’articolo proposto dall’onorevole Marchesi con 10 voti contro 3).

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sul merito dell’articolo proposto dall’onorevole Marchesi.

BASSO e TOGLIATTI osservano che la discussione sul merito dell’articolo era stata chiusa.

PRESIDENTE ricorda che si era fatta la riserva, qualora cadesse la pregiudiziale, di presentare una formulazione diversa.

MARCHESI, Relatore, propone la seguente formula lievemente modificata:

«Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà con l’assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrali e periferiche, un piano di cultura diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare».

PRESIDENTE dichiara di insistere sulla sua proposta sostitutiva di quella presentata dall’onorevole Marchesi, così formulata:

«Le iniziative private dirette ad integrare e diffondere l’istruzione popolare saranno incoraggiate e favorite dallo Stato con premi e sovvenzioni adeguate».

MARCHESI, Relatore, si dichiara contrario alla formula proposta dal Presidente, poiché ritiene che lo Stato debba essere il promotore della diffusione dell’istruzione popolare.

Osserva che l’articolo proposto dal Presidente rovescia quello da lui presentato, poiché mette a base l’iniziativa privata, in luogo di quella statale.

PRESIDENTE comunica che è stata proposta dall’onorevole Moro una terza formula conciliativa, a cui dichiara in linea di massima di aderire, del seguente tenore: «Lo Stato stimolando, coordinando e favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative di enti locali, di istituzioni e di privati, svilupperà in modo organico la cultura popolare e l’istruzione professionale».

MARCHESI, Relatore, osserva che secondo questa nuova formula lo Stato dovrà aspettare che si manifestino iniziative di enti locali, di privati, ecc., per coordinarle e favorirle, e per sviluppare su questa base, in modo organico, la cultura popolare. Pertanto sarebbe lasciato all’iniziativa dello Stato soltanto uno stimolo; ciò che, a suo avviso, sarebbe troppo debole e troppo vago.

Dopo aver dichiarato che non comprende per quale fatalità ogni formula proposta dalla sua parte debba essere soggetta a sospetti e a modifiche, rileva che nel suo articolo, con la formula: «Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private…» si ammettono appunto le iniziative private; e con l’altra: «enti locali», ci si riferisce in maniera particolare ai municipi, alle regioni e ad altri enti del genere. Lo Stato non esiste se non attraverso le autorità che lo rappresentano: quella centrale e quelle periferiche; è dunque lo Stato stesso che predispone, attraverso gli organi esecutivi, un piano di cultura diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Marchesi se respinge la proposta formulata dall’onorevole Moro.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, con l’articolo proposto, ha mirato ad impegnare lo Stato nell’opera di diffusione e di organizzazione della cultura attraverso gli enti privati, che sono stati messi in prima linea, attraverso gli enti locali e con l’intervento di quelle autorità centrali e periferiche, senza di che non esisterebbe intervento statale.

Fa presente che, piuttosto che accettare alterazioni profonde e sostanziali all’articolo da lui proposto, preferisce ritirarlo.

MASTROJANNI propone la seguente formulazione: «È interesse dello Stato diffondere con ogni mezzo la cultura popolare e professionale e favorire in tal senso le private iniziative».

PRESIDENTE osserva che la proposta dell’onorevole Mastrojanni potrebbe essere resa più accettabile, qualora fosse formulata nel modo seguente: «Lo Stato deve diffondere con ogni mezzo a sua disposizione la cultura popolare e professionale e favorire in tal senso le private iniziative».

MORO, Relatore, propone che si tolgano le parole «a sua disposizione» e si dica semplicemente: «Lo Stato deve diffondere con ogni mezzo la cultura popolare e professionale e favorire in tal senso le private iniziative».

MARCHESI, Relatore, dichiara di accettare la formula così modificata.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni e da lui, con la modificazione dell’onorevole Moro.

(È approvata all’unanimità).

Fa presente che vi è una proposta degli onorevoli Moro e Dossetti diretta a rinviare l’articolo che riguarda l’insegnamento religioso al momento nel quale si dovranno discutere i rapporti fra Stato e Chiesa. Osserva che è bene che gli onorevoli Commissari dicano il loro parere in proposito, perché dal modo come essi decideranno dipenderà l’ordine dei lavori della seduta di domani.

Dichiara aperta la discussione sulla proposta degli onorevoli Moro e Dossetti.

TOGLIATTI esprime il parere che l’articolo sull’insegnamento religioso debba essere discusso nella seduta di domani.

PRESIDENTE dichiara di concordare con l’onorevole Togliatti.

DOSSETTI insiste perché l’articolo venga discusso unitamente agli altri che si riferiscono ai rapporti tra Stato e Chiesa.

PRESIDENTE osserva che tra gli articoli ve ne è anche uno il quale riguarda i monumenti artistici, storici e naturali. Esprime il suo dubbio che questa materia debba far parte della Costituzione.

Non c’è motivo, a suo parere, di dire che tali monumenti costituiscono patrimonio nazionale e sono sotto la protezione dello Stato, né c’è un motivo che costringa a prendere in considerazione questa speciale situazione, in quanto non esistono precedenti tali da giustificare la necessità di un articolo del genere.

MARCHESI, Relatore, osserva che la ragione che lo ha spinto a formulare l’articolo inserendolo nella Costituzione è la prospettata autonomia regionale. Per impedire l’eventualità che la regione possa disporre liberamente dei propri monumenti, egli ha formulato l’articolo inserendovi le parole «in qualsiasi parte del territorio della Repubblica».

CEVOLOTTO osserva che dicendo: «I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale» se ne potrebbe trarre l’illazione ch’essi debbano essere espropriati quando appartengano a privati. Se tali monumenti costituiscono patrimonio nazionale, non sono più patrimonio privato, mentre è da rilevare che la maggior parte dei monumenti nazionali sono patrimonio privato, sia pure vincolato.

Per questa ragione ritiene opportuno mutare la formula, altrimenti si dovranno espropriare tutti i monumenti con la conseguenza che lo Stato dovrebbe assumersi la manutenzione di tutti i monumenti nazionali. Insiste, pertanto, sulla opportunità di discutere l’articolo nella seduta di domani, in quanto esso deve essere studiato con maggiore ponderazione.

PRESIDENTE propone che, stante l’ora tarda e l’opportunità di studiare meglio la formula presentata dal Relatore Marchesi, la discussione sia rinviata alla seduta di domani.

(La Commissione concorda).

La seduta termina alle 20.10.

Erano presenti: Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Caristia, Grassi, Lombardi Giovanni e Mancini.

GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

29.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL DEPUTATO CORSANEGO

INDICE

I principî del rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Presidente – Grassi – Cevolotto – Moro, Relatore – Lucifero – Marchesi, Relatore – Dossetti – Lombardi Giovanni – Mancini – Togliatti – Merlin Umberto – De Vita – Mastrojanni – Basso.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

PRESIDENTE informa che i Relatori, riunitisi prima della seduta per redigere una nuova formula, hanno potuto raggiungere l’accordo solo su una parte della formulazione.

Prega l’onorevole Grassi, che è stato presente alla riunione dei Relatori, di voler dare lettura della parte concordata.

GRASSI dà lettura della seguente formulazione concordata:

«Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione.

«La legge, nel disciplinare le modalità di apertura degli istituti di istruzione ed educazione gestiti da enti e nello stabilire i requisiti per la parificazione, deve assicurare condizioni di effettiva libertà».

Rende poi noto che il contrasto tra i due Relatori è sorto invece in materia di parità di trattamento tra scuole statali e non statali, volendosi da una parte rinviare la decisione e dall’altra affermare il principio della parità di trattamento.

CEVOLOTTO osserva che con la dizione: «nel disciplinare le modalità di apertura degli istituti di istruzione ed educazione gestiti da enti», vengono escluse le scuole gestite dai singoli. Riterrebbe perciò opportuno specificare il significato della parola: «enti», per evitare dubbi di interpretazione, specialmente nei riguardi di società private che potrebbero essere anche fittizie.

GRASSI fa osservare che si è voluto limitare la possibilità della parificazione alle sole scuole gestite da enti, escludendo quelle tenute da singoli.

MORO, Relatore, per quanto riguarda il significato della parola: «enti», fa presente che già nell’attuale legislazione esiste un diverso trattamento giuridico tra le scuole gestite da enti e quelle gestite da singoli.

Nella Costituzione si è voluta fissare appunto una garanzia nei confronti delle scuole tenute da enti – intendendo sotto questa denominazione quelli aventi fini non commerciali – e si è invece rinviata alla legge la disciplina delle scuole gestite dai privati.

CEVOLOTTO ritiene che la garanzia di parificazione, che si vorrebbe fissare nella Costituzione per le scuole gestite da enti, dovrebbe esplicarsi invece unicamente a favore di quelle scuole in cui siano raggiunte particolari condizioni di rendimento e di organizzazione.

PRESIDENTE fa presente che, secondo l’onorevole Marchesi, la formulazione completa dovrebbe essere quella di cui ha dato lettura l’onorevole Grassi, mentre l’onorevole Moro proporrebbe di aggiungere un’altra proposizione.

MORO, Relatore, dopo la parola: «libertà» della formula concordata, vorrebbe aggiungere la seguente proposizione: «alle scuole e agli alunni di esse parità di trattamento nei confronti di quelli delle scuole statali».

LUCIFERO è molto perplesso circa la distinzione che si vorrebbe creare tra la scuola aperta da un singolo e quella aperta da un ente, mettendo la prima in una situazione di privilegio; perché, mentre il singolo può aprire una scuola senza che alcuno possa imporgli una qualsiasi disciplina, invece l’ente deve sottostare ad una disciplina che verrà imposta secondo quelli che saranno, di volta in volta, gli intendimenti, non tanto dello Stato, quanto di quel gruppo che ha in mano il potere legislativo e il potere esecutivo. Si dichiara pertanto contrario alla posizione di privilegio che verrebbe lasciata alla scuola del singolo, non potendo accettare quel concetto di disciplina particolare alla quale dovrebbero essere sottoposti gli enti per aprire una scuola. Essendo fermamente convinto che attraverso tale disciplina la libertà della scuola potrebbe addirittura essere soppressa, riterrebbe necessario trovare una formula diversa, che stabilisse, cioè, la necessità di requisiti particolari e di un conseguente successivo controllo per gli istituti che chiedono la parificazione; fino a quando però la parità non sia richiesta, la libertà di tutte le scuole, da chiunque aperte e gestite, dovrebbe essere assoluta, senza che alcuno potesse intervenire nella loro organizzazione e costituzione.

Esprime, infine, l’avviso che lo Stato, avendo le sue scuole, non sarebbe nemmeno tenuto a dare una garanzia sulla serietà e la capacità delle scuole private, dovendo essere lasciata la responsabilità della scelta ai genitori degli alunni.

CEVOLOTTO osserva che le scuole dei singoli, se da un lato avrebbero il privilegio di non sottostare a particolari controlli, non potrebbero, d’altro lato, se non attraverso notevoli difficoltà, raggiungere la parificazione. Questa è, a suo avviso, una posizione deteriore molto grave che costituisce una larga concessione che è stata fatta ai colleghi democristiani, in quanto gli enti che aprono scuole sono nella grandissima maggioranza religiosi. Si domanda, a tale proposito, se non sarebbe stato, piuttosto, opportuno mettere tutte le scuole private in una stessa posizione.

Circa le scuole aperte dai singoli, non è d’accordo che si debba lasciare ad esse una assoluta libertà, senza un controllo, sia pur minimo, per quanto riguarda la loro organizzazione, l’aderenza ai programmi che lo Stato richiede e la capacità degli insegnanti, nella considerazione che tali scuole possono rilasciare diplomi e certificati che, per quanto non aventi valore legali, pure, privatamente, hanno sempre un certo valore.

PRESIDENTE osserva che in linea di fatto e di diritto, nella parola «enti», oltre quelli religiosi, rientrano anche i comuni, le province ed il futuro Ente regione, i quali, con l’articolo in discussione, avranno il diritto di aprire scuole non statali, che possono anche essere parificate. Data la necessità di scuole professionali diverse nelle varie regioni, si darebbe modo ai comuni di creare scuole professionali alle quali potrebbero accedere i meno abbienti e coloro che, pur non avendo la capacità per arrivare ad una cultura superiore, hanno invece la necessità di conseguire, per esempio, un diploma di operaio specializzato o di coltivatore scelto.

GRASSI spiega che la limitazione delle modalità di apertura e della parificazione alle scuole tenute da enti è venuta in seguito alle osservazioni dell’onorevole Marchesi, al quale sembrava troppo larga la libertà di aprire scuole che potessero essere parificate.

MARCHESI, Relatore, risponde che la sua osservazione si riferiva invece all’ultima parte dell’articolo proposto, altrimenti non avrebbe avuto nessuna ragione di domandare la limitazione della libertà soltanto per le scuole gestite da enti.

MORO, Relatore, afferma che se con l’articolo si vuole fissare una disciplina per quanto riguarda l’apertura di scuole e la loro parificazione, si deve però tener presente l’esistenza di un’altra norma (che è stata rinviata, ma si dovrà prima o poi approvare), la quale conferisce allo Stato i poteri normativi generali in materia di istruzione, e quindi anche sulle scuole gestite da singoli, come del resto discende logicamente dalla premessa del secondo comma dell’articolo stesso.

Quindi, anche le scuole tenute dai singoli non sfuggono ad un necessario controllo; ma, pur non negandosi loro la possibilità di ottenere per legge la parificazione, non hanno quella garanzia costituzionale che viene data alle scuole gestite da enti, a cui viene assicurata effettiva libertà e parità di trattamento per gli alunni.

PRESIDENTE ricorda, per precisazione, che nella formulazione dell’articolo secondo, approvato nella precedente seduta, l’inciso: «Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione» era stato rinviato sia per studiare praticamente i modi di attuazione di simili norme, sia in relazione alla effettiva latitudine che avrebbe assunto il principio della libertà dell’insegnamento affermato nel primo articolo. Quindi, salvo modificazioni di forma, rimane sempre ben fermo il principio che lo Stato debba avere la vigilanza su tutte quante le scuole.

DOSSETTI, senza fare una proposta formale, crede che per mettere in evidenza che anche l’apertura di scuole gestite da singoli è sottoposta a particolari disposizioni, si potrebbe adottare la seguente dizione: «La legge, nel disciplinare le modalità di apertura delle scuole non statali e nello stabilire i requisiti per la parificazione degli istituti gestiti da enti, deve assicurare condizioni di effettiva libertà agli alunni di essi ed uguaglianza di trattamento».

Così si avrebbe da un lato la norma generale, che le modalità dell’apertura sono richieste per tutte le scuole, e dall’altro che la dignità maggiore della parificazione è concessa alle scuole gestite da enti, alle quali si vuole fare una condizione di maggior favore.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che con la formula in discussione si tornerebbe indietro almeno di un secolo, quando cioè era in auge una filosofia e una politica per cui lo Stato era l’unico e solo gestore responsabile dell’istruzione, come della cosa che più interessava per la rinascita e la grandezza di un popolo.

Dichiara, perciò, di non poter accettare un’uguaglianza di diritti tra la scuola privata e quella laica pubblica, perché ciò importerebbe non un progresso ma piuttosto un regresso. Ricorda che la parità di trattamento era propugnata da Vincenzo Gioberti e combattuta da Giuseppe Mazzini, e non crede che si sia proclamata in Italia la Repubblica per ispirarsi ai principî del Gioberti piuttosto che a quelli del Mazzini.

Propone, pertanto, la seguente formulazione: «La organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa sotto la vigilanza e il controllo dello Stato».

MANCINI, a proposito dell’osservazione del Presidente, relativa alle scuole professionali, osserva che l’affermazione del diritto di ogni cittadino all’educazione ed all’istruzione deve essere interpretata come la fine della scuola professionale, la quale perpetuerebbe nell’ambiente scolastico quella divisione di classe, che è purtroppo nella società attuale, e che invece dovrebbe scomparire, in quanto tutti gli alunni devono avere la possibilità di conseguire gratuitamente una licenza e di completare i loro studi, senza venire assorbiti dai campi e dalle officine per le necessità economiche.

Osserva, poi, che se si pretende la parità di trattamento tra gli alunni delle scuole pubbliche e quelli delle scuole private, a maggior ragione si dovrebbe pretendere un’uguaglianza di trattamento fra le diverse scuole private, sia gestite da enti, che da singoli, le quali, a suo avviso, dovrebbero essere messe sullo stesso piano, senza pretendere per le prime situazioni di privilegio.

PRESIDENTE chiarisce che non intendeva con l’istruzione professionale sostituire quella istruzione che si è affermato debba essere impartita a tutti i ragazzi, qualunque sia la classe sociale a cui appartengono; ma dal momento che in Italia vi è una carenza di operai specializzati, che agisce sfavorevolmente anche nei riguardi della emigrazione, auspicava che si moltiplicassero le scuole professionali necessarie per la loro formazione.

TOGLIATTI ritiene prematura ogni discussione sulla scuola professionale, che deve essere rinviata in sede di esame dell’articolo 4, in cui si riserva di proporre l’obbligo dell’insegnamento fino ai 14 anni. In tal modo la scuola professionale non avrà più un carattere deteriore di succedaneo di una istruzione che viene data a chi è povero.

MORO, Relatore, tiene a dichiarare all’onorevole Mancini che, non avendo alcun interesse a limitare la garanzia costituzionale alle scuole tenute da enti, ha voluto andare incontro alla preoccupazione dell’onorevole Marchesi di non concedere parità di trattamento a scuole ispirate esclusivamente a criteri commerciali, invece che a quell’alto senso di educazione del popolo, che hanno invece le scuole tenute da enti ecclesiastici.

Desidera poi ribadire che se agli istituti tenuti dai singoli non è stata fissata una garanzia costituzionale, non è però fatto divieto al legislatore di garantire ad essi, nelle condizioni che riterrà più opportune, una libertà effettiva e la parità di trattamento con gli istituti gestiti dallo Stato. Nella Costituzione, invece, si vuol garantire la libertà e la parità di trattamento per un tipo di scuola che merita una particolare attenzione, come fa già l’attuale legislazione, che distingue le scuole private tenute dai singoli e quelle gestite da enti.

LUCIFERO dichiara che, a suo giudizio, tutte le scuole debbono trovarsi di fronte alla legge in uno stato di uguaglianza, senza privilegi, che in un regime democratico devono stabilirsi soltanto in relazione al valore di ciascuno e non per legge.

Circa la questione della parificazione, poiché si entra nel campo delle concessioni governative, riconosce la necessità di determinate garanzie e condizioni per il conferimento, ma insiste che, se non si vuole creare una categoria di privilegiati, sia le scuole aperte da enti, che quelle aperte da singoli, dovrebbero avere gli stessi diritti.

Però, se da un lato ammette che la scuola che chiede la parificazione debba avere particolari requisiti, ripete nuovamente la sua contrarietà circa la fissazione di modalità per l’apertura delle scuole non statali, perché, fino a quando non venga chiesta la parificazione, esse non devono essere soggette a norme vincolatrici da parte dello Stato.

DOSSETTI osserva che lo Stato dovrà fissare, almeno per la scuola privata, le norme relative all’igiene dei locali.

LUCIFERO risponde che le norme igieniche non hanno nulla a che fare con le modalità di apertura che possono significare una indebita ingerenza da parte dello Stato nelle scuole private.

Si riserva di proporre un articolo così formulato: «Le scuole e gli istituti non statali possono essere parificati secondo le modalità stabilite dalla legge, la quale in ogni caso deve assicurare condizioni di effettiva libertà, ecc.».

GRASSI, dopo aver riassunto le varie tendenze manifestatesi durante la discussione, dichiara di non vedere difficoltà a che, eventualmente, si fissino nella Costituzione le norme per la concessione della parificazione anche alle scuole aperte da singoli. Come è stato già osservato, comunque, il criterio restrittivo adottato per la concessione della parificazione non toglie la possibilità che dalla legislazione possa essere concesso lo stesso diritto a scuole aperte da singoli. La garanzia fissata nella Costituzione per le scuole gestite da enti ha il solo scopo di vietare ai legislatore di impedire la parificazione a questo tipo di scuole.

MARCHESI, Relatore, fa osservare di avere accettato l’articolo, di cui è stata data lettura, nella speranza, poco fondata, che esso terminasse con le parole «di effettiva libertà». Se l’articolo, invece, dovrà essere completato secondo la proposta fatta dall’onorevole Moro, ritornerà senz’altro alla formulazione del terzo articolo fatta nella sua relazione, nel quale non si fa distinzione tra scuole di enti e scuole di singoli.

PRESIDENTE domanda agli onorevoli Commissari se sarebbero disposti ad approvare la soppressione delle parole «gestiti da enti».

DOSSETTI propone che si voti in primo luogo la parte finale dell’articolo, per poi passare ad esaminarne il resto.

MERLIN UMBERTO è anche egli favorevole a mettere in votazione la seconda parte su cui non si è raggiunto l’accordo, in modo che il dissenso si manifesti apertamente, non volendo che si ripeta quello che è accaduto per la Costituzione francese che, formulata in accordo dai tre partiti di massa, è stata praticamente bocciata dal popolo francese.

Fa presente poi ai colleghi socialisti di non essere in questo campo d’accordo con Filippo Turati, il quale nel giugno del 1924, per dimostrare le ragioni per le quali i socialisti potevano formare fronte unico con i popolari, diceva: «La prima delle libertà è quella dell’insegnamento, nel quale noi ripudiamo ogni coercizione o privilegio di dottrina statale, e difenderemo sempre, non negando allo Stato quello che è il suo primo dovere di assicurare per suo conto l’istruzione fondamentale a tutti i cittadini, la libera iniziativa e la feconda concorrenza».

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara disposto a votare, tradotte in un articolo, le parole di Filippo Turati.

MERLIN UMBERTO fa osservare all’onorevole Lombardi che per avere libera iniziativa e feconda concorrenza occorre la parità, mentre se si vuole mettere la scuola privata in quelle condizioni di umiliazione e di dipendenza che vorrebbe l’onorevole Lombardi non ci potrà essere più libertà.

Circa il diritto di educare e di istruire, si domanda se, assegnando allo Stato questa funzione, non si sia andati troppo oltre, perché il diritto vero e naturale dell’istruzione e dell’educazione spetta in primo luogo ai genitori.

MARCHESI, Relatore, obietta che questa libertà non è menomata, perché un padre può mandare i propri figli alla scuola che ritiene più adatta.

MERLIN UMBERTO osserva che l’onorevole Marchesi, nel corso della sua relazione, in opposizione all’affermazione dell’onorevole Tupini che lo Stato può essere il più prepotente violatore delle coscienze, ha risposto che la famiglia può esserlo di più. Crede ad ogni modo che la famiglia abbia sempre in questo campo maggiori diritti dello Stato; il quale, in definitiva, finirebbe per esercitare una pressione sulla coscienza dei ragazzi attraverso persone a loro completamente estranee.

MARCHESI, Relatore, risponde che le sue parole erano destinate a ribattere un’affermazione dell’onorevole Tupini, nel senso che se lo Stato può esercitare una violenza sulla coscienza dei fanciulli, anche la famiglia può, e in grado superiore, fare altrettanto.

MERLIN UMBERTO prende atto delle chiarificazioni dell’onorevole Marchesi.

Premesso che vi sono in Italia scuole private che reggono la concorrenza con quelle pubbliche, dichiara che voterà qualunque articolo che assicuri piena libertà e parità di trattamento per le scuole private, che non devono essere umiliate, ma incoraggiate per il bene stesso dello Stato.

DE VITA si dichiara contrario sia alle scuole dello Stato, sia anche a quelle della Chiesa, perché in entrambe la libertà dell’insegnamento non può avere il necessario respiro. Condivide, d’altra parte, le preoccupazioni di coloro che nella formulazione dell’articolo dell’onorevole Moro vedono il pericolo che, al posto dello Stato, altri enti – ad esempio quelli religiosi – agiscano sui costumi e sull’educazione del cittadino. Per questi motivi, è contrario sia alla tesi dell’onorevole Marchesi che a quella dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE, circa l’ordine della discussione, osserva che le due proposte degli onorevoli Lucifero e Lombardi, poiché si allontanano dalla formulazione dei Relatori, dovrebbero essere votate per prime; dopo si dovrebbe discutere sull’aggiunta dell’onorevole Moro e passare quindi alla discussione e alla votazione della parte restante dell’articolo.

DOSSETTI dichiara di essere d’accordo circa la priorità da dare alla discussione e alla votazione dell’emendamento dell’onorevole Lombardi; ritiene, però, che l’onorevole Lucifero sia disposto ad accettare che si voti subito dopo sull’ultima parte della proposta Moro; perché questa non infirma la sostanza dell’emendamento da lui proposto.

LUCIFERO è d’accordo, dato che all’emendamento da lui proposto dovrebbe seguire la aggiunta dell’onorevole Moro, alla quale si dichiara favorevole.

PRESIDENTE pone in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Lombardi così formulato: «La organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa sotto la vigilanza e il controllo dello Stato».

MARCHESI, Relatore, dichiara che voterà a favore della proposta Lombardi, senza però rinunziare al suo articolo terzo, che garantisce la completa libertà alle scuole private.

MORO, Relatore, si dichiara contrario, per lo spirito che anima l’articolo che, a suo parere, non garantisce quella parità di trattamento che ritiene essenziale per la garanzia della scuola non statale.

LUCIFERO dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Lombardi, in quanto presuppone la soppressione della libertà della scuola.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mancini si è associato alla proposta dell’onorevole Lombardi.

CEVOLOTTO dichiara che voterà a favore dell’articolo proposto dall’onorevole Lombardi, che preferisce perché più semplice.

TOGLIATTI propone che nella formula Mancini-Lombardi, al termine «permessa» si sostituisca «libera».

LOMBARDI GIOVANNI e MANCINI dichiarano di accettare l’emendamento.

(La proposta Lombardi-Mancini, con l’emendamento Togliatti, messa ai voti, è respinta con 9 voti contrari, 7 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione l’aggiunta alla formula concordata, proposta dall’onorevole Moro e così concepita: «alle scuole e agli alunni di esse parità di trattamento nei confronti di quelle delle scuole statali».

MARCHESI, Relatore, richiama l’attenzione dei colleghi sul fatto che, votando l’aggiunta dell’onorevole Moro, si verrebbe a creare un’enorme e ingiustificata disparità tra scuola privata e scuola pubblica, a tutto vantaggio della prima.

Prendendo lo spunto dalle borse di studio che dovrebbero essere conferite agli alunni più capaci e meritevoli, pone in evidenza che mentre nelle scuole pubbliche si ha la massima garanzia nelle assegnazioni in quanto avvengono attraverso un corpo giudicante che, mediante i concorsi, è già stato a sua volta giudicato, invece negli istituti privati, in cui il direttore non è nominato a norma di legge e il personale è reclutato attraverso elenchi di abilitati all’insegnamento che non hanno superato concorsi, si è ben lungi dall’avere le medesime garanzie.

Alla eventuale obiezione che nella scuola parificata lo Stato si può garantire attraverso la persona di un suo commissario, si potrebbe rispondere che, secondo quanto gli risulta da personale esperienza, il commissario, per quanta severità e probità possa mettere nell’esercizio del suo incarico, svolge sempre un compito da fantoccio, sia perché non può avere la necessaria competenza in tutte le materie, sia perché non può contemporaneamente assistere agli esami delle varie commissioni. Naturalmente gli alunni tendono ad affluire verso la scuola privata che possono presumere assai meno severa e che permette loro di fruire nello stesso tempo del pubblico denaro.

Dichiara che se l’onorevole Moro è disposto ad eliminare questa sua preoccupazione, consentendo che in un articolo si possa dire che la scuola privata non debba essere di onere alle finanze pubbliche, non avrebbe alcuna difficoltà ad accogliere anche l’invocata parità di trattamento. Diversamente ritiene che l’aggiunta si debba respingere nell’interesse del pubblico erario oltre che della istruzione nazionale.

LUCIFERO riterrebbe opportune le argomentazioni dell’onorevole Marchesi se si discutesse la possibilità di ammettere o meno la parificazione delle scuole private. Invece questo problema non è posto, ma si sta discutendo per sapere quale deve essere il trattamento degli allievi delle scuole private di fronte a certi casi particolari, come, per esempio, il conferimento di borse di studio. A tale proposito gli sembra evidente che l’assegnazione di borse di studio dovrebbe essere fatta mediante concorsi, a cui dovrebbero poter partecipare anche gli allievi delle scuole private. Ora, a suo avviso, questa facoltà degli alunni di scuole private non contraddice con le affermazioni dell’onorevole Marchesi, in quanto il corpo giudicante per l’assegnazione di borse di studio e di sussidi non sarà costituito dai professori di scuole private ma da quelli delle scuole pubbliche.

Desidera poi far rilevare che se l’articolo venisse approvato nella prima parte, come proposto nella formula concordata, si potrebbe pensare che le condizioni di effettiva libertà e di parità si riferiscano soltanto alla scuola gestita da enti e non a quelle gestite da singoli.

A suo giudizio, invece, l’effettiva libertà e la parità di trattamento dovrebbe essere concessa a tutti gli studenti, sia che frequentino scuole gestite da enti, sia che frequentino scuole gestite da singoli.

MARCHESI, Relatore, domanda all’onorevole Lucifero se avrebbe difficoltà ad accettare la seguente formula: «Le previdenze statali in favore dei meritevoli e dei capaci sono conferite mediante annuali concorsi».

LUCIFERO è favorevole alla formula proposta dall’onorevole Marchesi.

CEVOLOTTO dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Moro, non perché intende respingere il principio della parità di trattamento, ma perché la questione dovrà essere studiata e risolta in sede di legislazione.

MASTROJANNI ritiene che, una volta ammessa la possibilità della parificazione, che comporta necessariamente un trattamento del tutto identico a quello delle scuole statali, sia inutile l’aggiunta dell’onorevole Moro.

Crede inoltre che non abbiano ragione di essere i timori dell’onorevole Marchesi circa gli istituti parificati, in quanto che lo Stato, tra i requisiti per la parificazione, comprenderà l’obbligo di scegliere gli insegnanti non nell’ambito degli abilitati, ma tra i vincitori di concorsi che non abbiano potuto essere assorbiti negli istituti d’istruzione pubblica. Voterà ad ogni modo a favore della aggiunta proposta dall’onorevole Moro, pur sembrandogli pleonastica.

GRASSI dichiara di votare a favore della proposta dell’onorevole Moro, nel senso che fare un trattamento diverso agli alunni delle scuole private parificate nei confronti di quelli delle scuole statali, sarebbe in contrasto con le condizioni di libertà e di parità che si vogliono dare alla scuola privata, in quanto parificata.

LUCIFERO pregherebbe l’onorevole Moro di chiarire in sede di relazione che la parità di trattamento e la effettiva libertà non si riferiscono soltanto alla scuola parificata, ma a tutte le scuole non statali, siano esse gestite da enti o da singoli, perché solo se fosse ben chiarito questo concetto potrebbe votare la formula proposta.

MORO, Relatore, dichiara che, se l’onorevole Marchesi non insiste nel criterio restrittivo, non avrebbe alcuna difficoltà che alla scuola tenuta da singoli fosse esteso il beneficio della parificazione.

CEVOLOTTO fa presente che con la proposta del Presidente di sopprimere le parole: «gestite da enti», già sarebbe raggiunto l’intendimento dell’onorevole Lucifero.

DOSSETTI manifesta l’impressione che l’onorevole Lucifero abbia perduto di vista il complesso significato dell’affermazione che è in discussione, la quale va molto al di là della parità di trattamento nei concorsi per premi o borse di studio, costituendo, secondo il concetto della democrazia cristiana, la vera garanzia della libertà della scuola.

Rileva che la Sottocommissione si trova di fronte a due concezioni contrastanti; da una parte quella dell’onorevole Marchesi, il quale intende la libertà della scuola essenzialmente e esclusivamente come libertà dell’insegnamento; dall’altra parte la concezione democristiana, secondo la quale la libertà della scuola vuol dire libertà di insegnamento, libertà di organizzazione e libertà di espansione e di sviluppo effettivo della scuola non statale.

Questa visione integrale della libertà della scuola deve implicare necessariamente una effettiva parità di trattamento per gli alunni delle scuole non statali, altrimenti la libertà loro assicurata sarebbe illusoria e apparente, perché si avrebbe una forma di costrizione morale che spingerebbe gli alunni ad andare alle scuole statali, che garantiscono una posizione di privilegio. D’altra parte, una effettiva parità di trattamento non può naturalmente essere fatta indiscriminatamente a tutte le scuole non statali, ma solo a quelle che raggiungano quel tale gradino superiore che è la parificazione.

Prega perciò l’onorevole Lucifero di voler considerare che, votando a favore della formula proposta, non pregiudica per nulla la tesi che egli sostiene, perché gli sarà sempre possibile di avanzare una proposta in ordine alla prima parte dell’articolo, mentre votando contro si potrebbe pervenire alla negazione di quel principio di libertà capace di assicurare una parità di trattamento, tale da escludere ogni costrizione morale e materiale.

LUCIFERO, dopo le dichiarazioni dell’onorevole Dossetti, voterà a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Moro, dichiarando però che non intende si stabiliscano privilegi a favore di alcuna categoria di scuole, sia statale che non statale, per non creare una graduatoria di libertà che sarebbe la negazione della libertà stessa.

DOSSETTI, come dichiarazione di voto, aggiunge che approvando questa parte di articolo, egli ed i suoi colleghi democristiani intendono affermare il principio della libertà della scuola nel suo aspetto concreto, nel senso cioè di consentire ai singoli studenti una effettiva parità di trattamento che escluda ogni possibilità di pressione e quindi di precostituzione di situazioni privilegiate a favore della scuola statale.

MASTROJANNI ritiene che riunendo le proposte dell’onorevole Marchesi e dell’onorevole Lucifero si potrebbe, con un successivo articolo, stabilire che i benefici che lo Stato concede agli studenti bisognosi e più meritevoli devono essere attribuiti sempre attraverso pubblici concorsi. Verrebbe così a cadere qualsiasi residuo di preoccupazione per l’aggiunta proposta dall’onorevole Moro, che potrebbe essere votata senza alcuna riserva.

Se la sua proposta sarà accettata, voterà a favore dell’aggiunta proposta dall’onorevole Moro.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, per evitare il pericolo che nella Sottocommissione si incominci l’opera di smobilitazione della scuola statale, proporrebbe un articolo aggiuntivo del seguente tenore: «Le provvidenze statali in favore dei meritevoli e dei capaci sono conferite mediante pubblici concorsi».

TOGLIATTI domanda all’onorevole Marchesi se, in caso di approvazione di questo articolo aggiuntivo, è disposto ad approvare anche l’aggiunta dell’onorevole Moro.

MARCHESI, Relatore, precisa che voterà contro la proposta dell’onorevole Moro e, soltanto in caso di approvazione, come correttivo, proporrebbe l’articolo di cui ha dato lettura.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di votare contro la formula aggiuntiva dell’onorevole Moro per le ragioni di principio che ha precedentemente esposte.

MANCINI dichiara che voterà contro per le stesse ragioni di principio cui ha accennato l’onorevole Lombardi.

PRESIDENTE, interpretando il pensiero dei colleghi di parte democristiana, dichiara che con questa aggiunta non si vuole in alcuna maniera portare offesa alla scuola di Stato, di cui si è accettata anzi la supremazia che si esplica attraverso i poteri di vigilanza, la parificazione e gli esami di Stato.

Mette ai voti l’aggiunta proposta dall’onorevole Moro, che cioè dopo la parola «libertà» siano aggiunte le seguenti «alle scuole e agli alunni di esse parità di trattamento nei confronti di quelli delle scuole statali».

(La proposta aggiuntiva è approvata con 9 voti favorevoli e 8 contrari).

Pone in votazione quindi il primo comma della proposta che era stato precedentemente concordato: «Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione».

CEVOLOTTO dichiara di astenersi dalla votazione, essendo stata approvata l’ultima parte proposta dall’onorevole Moro.

(Il primo comma è approvato all’unanimità, tranne 1 astenuto).

LUCIFERO domanda che sia posta in votazione la sua proposta la quale, discostandosi sostanzialmente dal testo, dovrebbe avere la precedenza.

PRESIDENTE pone in discussione la proposta sostitutiva dell’onorevole Lucifero così formulata: «Le scuole e gli istituti non statali possono essere parificati secondo le modalità stabilite dalla legge, la quale in ogni caso deve assicurare condizioni di effettiva libertà».

LUCIFERO ripete che la differenza tra la sua formula e quella dei Relatori consiste in una questione fondamentale, cioè che la disciplina delle modalità di funzionamento delle scuole private deve intervenire da parte dello Stato solo quando venga chiesta la parificazione.

CEVOLOTTO preferisce la formula dei Relatori, perché mentre da un lato ritiene che non sia possibile consentire l’apertura di scuole private senza una certa vigilanza e un certo controllo da parte dello Stato, d’altra parte crede che non si possa consentire una parità di trattamento agli alunni delle scuole private che non hanno ottenuto la parificazione.

MASTROJANNI, premesso che l’insegnamento viene impartito ai giovani, i quali ancora non hanno esauriente potestà di discernimento e non sempre hanno genitori che siano capaci di indirizzarli senza soggiacere, a loro volta, a consigli spesso ispirati da malintese finalità politiche o commerciali, crede che l’intervento preventivo dello Stato costituisca non una limitazione della libertà, ma una garanzia delle libertà individuali e collettive, perché assicura ai cittadini la possibilità di ottenere una istruzione che sia conforme alle necessità sociali ed ai più sani orientamenti della vita.

Dichiara perciò di preferire la formula dei Relatori.

MORO, Relatore, allo scopo di ottenere una maggiore chiarezza di dizione e anche per venire incontro agli onorevoli Lucifero e Marchesi, modificherebbe così la primitiva formulazione: «La legge, nel disciplinare le modalità di apertura delle scuole non statali e nello stabilire i requisiti per la parificazione, deve garantire a tali scuole condizioni di effettiva libertà e agli alunni degli istituti parificati parità di trattamento».

Con questa formula si precisa che tutte le scuole non statali sono soggette a modalità di apertura, da cui non crede si possa prescindere, e che a tutte le suddette scuole sono assicurate condizioni di effettiva libertà, riservando la parità di trattamento – intesa come equipollenza di titolo di studio – ai soli alunni degli istituti parificati. Resta, ad ogni modo, impregiudicata la questione del conferimento di borse di studio, intorno alla quale si potrà successivamente discutere.

LUCIFERO osserva che nell’ultima parte della nuova formula vi è una variazione sostanziale, nel senso che la parità di trattamento che si voleva garantire agli alunni di tutte le scuole è riservata solo a quelli delle scuole parificate.

DOSSETTI sostiene che le variazioni sono soltanto di forma, ma l’osservazione dell’onorevole Lucifero dimostra che la precedente dizione era equivoca, perché poteva consentire un’interpretazione che sarebbe arrivata al paradosso di ammettere la parità di trattamento e quindi di equivalenza di titoli di studio per tutti gli alunni anche delle scuole non parificate.

Secondo la concezione dell’onorevole Lucifero, non esisterebbero scuole parificate e non parificate, ma soltanto scuole statali e non statali i cui alunni, per il solo fatto della esistenza di queste, avrebbero tutti i medesimi diritti. Questa concezione non è, a suo avviso, ammissibile, perché, se si afferma il principio della libertà della scuola privata indiscriminatamente, tanto da giungere fino all’equivalenza dei titoli, bisogna anche circoscriverla alle sole scuole che presentino i necessari requisiti di idoneità.

PRESIDENTE non ritiene di poter porre in votazione la seconda dizione dell’onorevole Moro, in quanto si verrebbe di nuovo a mettere in discussione l’ultima parte che è stata già votata.

Pensa che per prima debba ora essere messa ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero, essendo quella che più si distacca dalla formulazione dei Relatori.

TOGLIATTI dichiara che, dato il modo molto confuso in cui si è svolta la discussione, voterà contro, dando al suo voto il significato di risollevare la questione in sede di Commissione plenaria.

MARCHESI, Relatore, LOMBARDI GIOVANNI, DE VITA, MANCINI e BASSO si associano all’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE, premesso che è anche disposto a far riprendere nuovamente tutta la discussione, mette in votazione la formula proposta dall’onorevole Lucifero.

(È respinta con 1 voto favorevole, 11 contrari e 5 astenuti).

Prima di mettere ai voti la restante parte, crede che dovrebbe essere prima discusso il suo emendamento tendente a sopprimere le parole: «gestiti da enti».

MORO, Relatore, dichiara di accettare l’emendamento proposto.

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento soppressivo delle parole: «gestiti da enti».

(È approvato con 10 voti favorevoli e 7 astenuti).

LUCIFERO, in relazione alle sue precedenti osservazioni, propone che siano soppresse le parole: «nel disciplinare le modalità di apertura».

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressiva dell’onorevole Lucifero.

(È respinta con 16 voti contrari e 1 favorevole).

Mette allora ai voti la prima parte del comma dell’articolo, così formulata:

«La legge, nel disciplinare le modalità di apertura degli istituti di istruzione e di educazione e nello stabilire i requisiti per la parificazione, deve assicurare condizioni di effettiva libertà…».

Fa presente che tale formula deve ritenersi come proposta dal solo onorevole Moro, avendo l’onorevole Marchesi dichiarato di non poterla più accettare, in seguito alla aggiunta che è stata approvata dalla Sottocommissione.

TOGLIATTI dichiara che voterà contro, per le stesse ragioni specificate nella precedente dichiarazione.

LUCIFERO propone che l’articolo venga messo ai voti per divisione. In questo caso voterà contro le parole: «nel disciplinare le modalità di apertura» e a favore delle parole: «nello stabilire i requisiti per la parificazione». Qualora si respingesse la sua proposta, dichiara che voterà contro.

DOSSETTI dichiara di votare a favore della formula proposta anche se, per le ragioni già enunciate, riproporrà la opportunità di coordinare le due parti dell’articolo.

Comprende che l’onorevole Togliatti veda nell’articolo, così come viene a risultare nel suo complesso, un concetto non corrispondente alla tesi della sua parte e prende atto della possibilità di riproporre la questione in sede di Commissione plenaria, ma deve protestare contro la motivazione addotta, perché non rispondente alla verità oggettiva dei fatti.

DE VITA, essendosi fatta la discussione e la votazione dell’articolo in modo non unitario, concorda con quanto ha dichiarato l’onorevole Togliatti e si asterrà dalla successiva discussione.

PRESIDENTE ritiene, invece, che le posizioni, sia da una parte che dall’altra siano assai limpide. Vi sono infatti due tesi nettamente opposte e le rispettive parti in contrasto hanno avuto ampia libertà di illustrarle.

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’articolo proposto, perché mantenendo la disciplina delle modalità di apertura delle scuole private, si potrebbe, in ultima analisi, sopprimere la libertà della scuola.

CEVOLOTTO dichiara di votare contro essendo stata approvata l’ultima parte dell’articolo.

GRASSI fa presente che, votando contro, si verrebbe a respingere la sostanza stessa dell’articolo.

(L’articolo dell’onorevole Moro è respinto con 9 voti contrari ed 8 favorevoli).

DOSSETTI rileva che, ad ogni modo, due principî devono ritenersi già approvati: quello della libertà di organizzazione scolastica e quello che riconosce che agli alunni delle scuole non statali deve essere data parità di trattamento giuridico con quelli delle scuole statali.

Quanto alla formula di congiunzione tra i due principî, l’accordo potrà essere raggiunto in una prossima riunione.

CEVOLOTTO osserva che la prima parte della formulazione era in relazione con una continuazione che, non essendo stata approvata, dovrà essere sostituita con un’altra che i Relatori proporranno. Invece la parte finale dovrebbe cadere, in quanto completava il primo capoverso dell’articolo che non è stato approvato.

TOGLIATTI conferma l’opinione dell’onorevole Cevolotto, in quanto anche grammaticalmente l’ultima parte approvata non può rimanere senza la precedente, mancando il verbo che dovrebbe reggere il dativo: «alle scuole».

DOSSETTI ricorda che poco prima è stata respinta, senza nemmeno metterla in discussione, una sua proposta di semplice coordinamento formale, in base all’argomento che l’ultima parte dell’articolo era già stata approvata, e non poteva essere toccata. I Commissari sono padroni di fare cavilli grammaticali, ma non possono negare che la discussione sull’ultima parte è stata di principio, e perciò la votazione ha avuto il significato ben chiaro di decisione sopra il principio stesso.

Per questo motivo, fermo restando il principio approvato, allo scopo di non rendere vana la riunione odierna, prega il Presidente di trovare una formula che soddisfi le esigenze grammaticali espresse dall’onorevole Togliatti.

GRASSI fa presente che si è messo in votazione un articolo composto di due commi. Nessun dubbio sull’approvazione del primo comma, ma per il secondo, seguendo la tradizione e la prassi parlamentare, gli emendamenti e le aggiunte vengono a cadere, quando non sia approvata la parte a cui si riferiscono. Perciò, fermo il principio che la Sottocommissione ha approvato, l’articolo non potrà essere accolto se non sostituendo alla dizione attuale un’altra formula che incontri il favore della maggioranza.

LUCIFERO osserva che vi è un equivoco da chiarire. Ritiene infatti che la Sottocommissione, approvando la parte finale, intendeva riferirsi al soggetto e al verbo precedenti. L’articolo, quindi, rimarrebbe formulato nel modo seguente: «Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione.

«La legge deve assicurare a tali scuole condizioni di effettiva libertà e agli alunni di esse parità di trattamento con quelli delle scuole statali».

CEVOLOTTO osserva che la Sottocommissione non ha certamente inteso di approvare un simile articolo, al cui concetto la maggioranza è contraria.

Aggiunge inoltre che nella votazione sull’ultima parte, l’onorevole Lucifero aveva condizionato il suo voto favorevole al fatto che il trattamento di parità fosse esteso anche agli alunni delle scuole non parificate. Non si trattava quindi dell’approvazione di un principio assoluto, dato che il semplice voto dell’onorevole Lucifero basterebbe a spostare la maggioranza.

TOGLIATTI ripete che la seconda parte del secondo comma era subordinata alla prima parte e quando si vota un inciso, prima del testo, lo si vota per orientare la discussione, ma è la votazione sul testo stesso che ha valore e non quella sull’inciso.

MORO, Relatore, osserva che, secondo la interpretazione dell’onorevole Togliatti, non dovrebbe reggersi nemmeno il primo comma dell’articolo, perché, non potendosi ammettere una dichiarazione equivoca di libertà della scuola, la prima dichiarazione era condizionata alle successive precisazioni.

TOGLIATTI dichiara di concordare. Sarebbe perciò dell’avviso di rifare tutto l’articolo, considerando anche non approvato il primo comma.

GRASSI crederebbe utile che prima si incontrassero i Relatori allo scopo di concordare un nuovo articolo.

LUCIFERO è favorevole alla proposta che i Relatori s’incontrino per coordinare le parti approvate e per suggerire qualche nuova formula che possa integrarle, ma tiene a dichiarare di non potere in nessun modo consentire che concetti oramai approvati possano essere rimessi in discussione.

MORO, Relatore, insiste sul suo punto di vista.

PRESIDENTE dichiara di far sua la proposta dell’onorevole Togliatti ed invita i Relatori a rifondere completamente l’articolo, sia pure tenendo conto degli orientamenti manifestatisi nel corso della discussione.

La seduta termina alle 13.45.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro e Togliatti.

Assente giustificato: Tupini.

MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

28.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 23 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL DEPUTATO CORSANEGO

INDICE

Sui lavori per la Costituzione

Presidente – Grassi – Moro – Dossetti.

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi, Relatore – Lucifero – Dossetti – Lombardi Giovanni – Moro, Relatore – La Pira – Mastrojanni – Mancini – Togliatti – Caristia – Grassi – Merlin Umberto – Cevolotto.

La seduta comincia alle 17.15.

Sui lavori per la Costituzione.

PRESIDENTE prega il segretario onorevole Grassi di riferire su quanto è stato stabilito nella riunione dell’Ufficio di Presidenza tenutasi nella mattinata, in ordine alla seduta plenaria della Commissione fissato per il giorno 25.

GRASSI riferisce in merito, comunicando che l’Ufficio di Presidenza ha deciso che la prima e la terza Sottocommissione continuino i loro lavori, affrettandone la fine. Finché non vi sarà un testo completo dei lavori, non si andrà dinanzi alla Commissione plenaria; nel frattempo, l’ufficio di Presidenza, insieme con i Relatori delle singole materie, si riunirebbe per coordinare il lavoro già pronto.

Fa presente, perciò, che la questione da decidere è se la Sottocommissione ritiene che la parte comprendente gli articoli che si riferiscono ai rapporti civili sia già matura per essere presentata all’Ufficio di Presidenza.

MORO ritiene inopportuno presentare il lavoro svolto finora, senza aver prima riveduto i testi approvati e compiuto un primo coordinamento.

GRASSI ricorda che l’articolo 6 del Regolamento della Commissione per la Costituzione stabilisce che il coordinamento spetta all’Ufficio di Presidenza, il quale lo compirebbe di concerto con i Relatori delle Sottocommissioni.

MORO ritiene indispensabile che un primo coordinamento sostanziale sia fatto dalla Sottocommissione; il coordinamento formale potrà essere fatto dall’Ufficio di Presidenza.

GRASSI ritiene che il coordinamento possa esser fatto dai Relatori, ed eventualmente da altri Commissari insieme con i Relatori- L’Ufficio di Presidenza non può cambiare il testo degli articoli; tutt’al più può stralciarne qualche parte e collocarla nel preambolo.

DOSSETTI osserva che ciò sarebbe molto grave perché, inserendo una norma nel preambolo, invece che nel testo degli articoli, le si toglie il carattere di forma giuridica che la Sottocommissione ha inteso darle.

PRESIDENTE fa presente che dall’Ufficio di Presidenza è stato proposto che, non appena la prima e la terza Sottocommissione avranno formulato quegli articoli della materia loro riservata, che siano affini o identici, si terranno riunioni plenarie della prima e della terza Sottocommissione.

Avverte, del resto, che le questioni riguardanti il metodo dei lavori delle Sottocommissioni saranno all’ordine del giorno dell’Assemblea dei 75 che avrà luogo il giorno 25 ottobre.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

PRESIDENTE domanda ai Relatori onorevoli Moro e Marchesi se possono presentare all’esame della Sottocommissione un testo concordato.

MARCHESI, Relatore, fa presente che soltanto una parte è stata concordata con l’onorevole Moro e viene presentata alla discussione.

PRESIDENTE comunica che la parte concordata tra i due Relatori comprende due articoli, di cui il primo è del seguente tenore:

«L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti».

«Ogni cittadino ha il diritto di ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l’adempimento dei compiti sociali».

Pone ai voti i due commi proposti concordemente dai Relatori.

LUCIFERO dichiara di astenersi dal voto, perché ritiene che i due commi, da soli, non dicano niente. Il suo voto dovrà essere subordinato alla discussione della parte che segue.

DOSSETTI fa presente all’onorevole Lucifero che nella riunione preliminare tenuta nella giornata è stato raggiunto l’accordo su questo articolo, ma non su quello fondamentale riguardante la libertà della scuola.

LUCIFERO domanda che i due commi dell’articolo siano posti in votazione separatamente, onde permettergli di votare favorevolmente al primo e di astenersi dalla votazione del secondo.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero.

(È approvata all’unanimità).

Pone ai voti il primo comma così formulato: «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti».

(È approvato all’unanimità).

Pone in discussione il secondo comma dell’articolo: «Ogni cittadino ha il diritto di ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l’adempimento dei compiti sociali».

LOMBARDI GIOVANNI domanda da chi il cittadino deve avere il diritto di ricevere l’adeguata istruzione ed educazione.

MORO, Relatore, risponde che ciò è specificato negli articoli seguenti.

PRESIDENTE afferma essere chiaro che si tratta dello Stato.

MORO, Relatore, rileva che, per ora, si tratta dell’affermazione di un diritto; le norme di attuazione saranno stabilite nei successivi articoli.

PRESIDENTE pone ai voti il secondo comma dell’articolo concordato dai due Relatori.

(È approvato con 13 voti favorevoli e 2 astenuti).

Comunica che il secondo dei due articoli concordati dai Relatori è formulato nei termini seguenti:

«L’istruzione primaria, media, universitaria, è tra le precipue funzioni dello Stato. Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione».

«Per assicurare un imparziale controllo dello svolgimento degli studi, ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato».

Fa presente che a questi due commi se ne aggiunge un altro proposto dall’onorevole Marchesi. Il comma è formulato nel modo seguente: «Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali».

Dichiara aperta la discussione sui primi due commi dell’articolo.

LUCIFERO osserva che là dove si dice «istruzione primaria, media, universitaria» andrebbe aggiunto «post-universitaria», in quanto l’istruzione non finisce con la laurea, poiché vi sono i corsi di specializzazione.

LA PIRA obietta che i corsi di specializzazione sono compresi nell’istruzione universitaria.

LUCIFERO ritiene per lo meno dubbio che i corsi di specializzazione possano essere compresi nell’istruzione universitaria. Ad ogni modo, è d’avviso che il termine «istruzione universitaria» sia troppo circoscritto: se mai, si dovrebbe usare il termine «istruzione superiore».

PRESIDENTE domanda ai Relatori se accettano la modificazione proposta dall’onorevole Lucifero

MARCHESI, Relatore, fa presente di avere egli stesso suggerito questo termine.

MASTROJANNI osserva che è preferibile il termine «istruzione universitaria».

LA PIRA concorda nel ritenere tecnicamente più perfetto parlare di «istruzione universitaria».

DOSSETTI dichiara di non essere d’accordo con la proposta dell’onorevole Lucifero. Quando la legislazione parla di «istruzione superiore» intende parlare dell’istruzione media-superiore. Il testo unico delle leggi sull’istruzione universitaria regola l’ordinamento universitario, ma molte volte nella terminologia legislativa si parla di istruzione superiore nel senso d’istruzione media-superiore.

A suo parere è preferibile usare il termine «istruzione universitaria».

MARCHESI, Relatore, osserva che l’istruzione media si distingue in inferiore e superiore, e che il termine «istruzione media» comprende tanto la sezione inferiore quanto quella superiore.

LUCIFERO osserva che ci sono istituti superiori che non sono universitari.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Dossetti che al Ministero della pubblica istruzione tre delle direzioni generali si chiamano: dell’istruzione primaria; dell’istruzione media; dell’istruzione superiore.

Poiché l’onorevole Lucifero ne fa proposta formale, pone ai voti la sostituzione della parola «superiore» a quella «universitaria» che si legge nel testo proposto dai Relatori.

(L’emendamento è approvato con 11 voti favorevoli e 2 contrari).

Pone ai voti la prima proposizione del secondo articolo proposto dai due Relatori così emendato: «L’istruzione primaria, media, superiore, è tra le precipue funzioni dello Stato».

(È approvata all’unanimità).

Ricorda che la seconda proposizione dell’articolo dice: «Lo Stato detta le norme generali in materia d’istruzione».

LUCIFERO ritiene che questa proposizione sia pleonastica, poiché la funzione di controllo dello Stato avviene, come si specifica nel secondo comma dell’articolo, attraverso gli esami di Stato. Oltre ad essere pleonastica, poi, può permettere, in un domani, qualunque ingerenza dello Stato nella scuola privata.

Per questi motivi dichiara che non può accettare la formula.

MARCHESI, Relatore, fa presente che, nel formulare la proposizione, ha inteso conferire allo Stato il diritto pieno di ordinamento degli studi di tutta la Nazione.

LUCIFERO dichiara che non può accettare un intervento così ampio dello Stato.

MORO, Relatore, comunica che la norma in discussione è stata da lui accettata in seguito a lunga discussione. Ricorda che, inizialmente, nel testo proposto dall’onorevole Marchesi era detto: «Lo Stato detta i principî generali in materia d’istruzione». L’onorevole Marchesi sostituì poi alle parole «principî generali» le altre «norme generali», per indicare che si è lontani dall’idea che lo Stato possa dar indirizzi ideologici alle scuole statali e non statali, mentre fissa le condizioni giuridiche dell’istruzione. La norma, eventualmente chiarita dalle proposte che egli si riserva di presentare, può essere accettata, perché rientra in quella potestà normativa generale dello Stato che deve essere distinta dall’attività amministrativa, cioè di diretta gestione dello Stato. Che lo Stato possa venire ad imporre una determinata direttiva alle scuole viene escluso, sia dalla prima affermazione circa la libertà dell’insegnamento, sia da quanto verrà proposto nei successivi articoli per la scuola non statale.

D’altra parte, una potestà normativa così generale rientra nella competenza propria dello Stato ed è opportunamente chiarita e ridotta dalle precedenti e susseguenti formulazioni. A suo avviso, le preoccupazioni espresse dall’onorevole Lucifero non hanno fondamento.

PRESIDENTE osserva essere evidente che, ad esempio, lo Stato debba fissare i programmi di esame per l’ammissione agli studi superiori o per l’abilitazione professionale.

LUCIFERO dichiara che le osservazioni dell’onorevole Moro non hanno modificato la sua prima, impressione. Le sue convinzioni si sono anzi rafforzate, dopo la concisa e chiara risposta dell’onorevole Marchesi. Ribadisce che, a suo parere, quando si parla di norme generali, queste hanno una portata molto vasta che va al di là della precisazione dei programmi scolastici, programmi di esame ecc., e potrebbero invece investire la stessa libertà dell’insegnamento e della scuola.

L’onorevole Moro ha dichiarato che tutto questo viene ovviato dalle proposizioni che seguono. Fa presente che ancora non è certo se queste proposizioni saranno approvate, e pertanto dichiara che voterà contro quella in discussione.

MARCHESI, Relatore, dichiara di essere ben lontano dal proporre e dal desiderare che lo Stato intervenga come ordinatore degli indirizzi ideologici, dei metodi di insegnamento, e di tutto ciò che possa intaccare o menomare la libertà di insegnamento, la quale invece deve essere in tutti i modi rispettata e garantita.

Ritiene che lo Stato deve accogliere tutti gli orientamenti scientifici e morali, in quanto tutti concorrono ad accrescere la conoscenza. Ma, quando si parla di riforme della scuola media o elementare o superiore, non vede a quale organo queste riforme dovrebbero essere affidate, se non allo Stato.

LUCIFERO è d’avviso che la riforma delle scuole pubbliche debba essere affidata allo Stato, ma fa anche presente che nelle scuole private, una volta stabilito che si deve sostenere quel dato esame, lo Stato non deve, da parte sua, compiere altri interventi

MARCHESI, Relatore, rileva che l’ingerenza dello Stato come ordinatore e come riformatore si attua principalmente nei riguardi della scuola dipendente dall’autorità civile. Le scuole private devono, per norma di legge, sottostare a taluni obblighi che lo Stato impone loro, affinché ne sia consentito l’esercizio. Questi obblighi non riguardano né l’indirizzo né i metodi di insegnamento; si tratta di altri obblighi i quali devono servire da garanzia agli stessi scolari. Ritiene che le preoccupazioni dell’onorevole Lucifero possano essere diradate da uno degli articoli inseriti nella sua relazione, non accettato dal Correlatore, onorevole Moro, e che ora l’oratore intende riproporre, riguardante appunto il pieno diritto per la scuola privata alla libertà di insegnamento.

MORO, Relatore, chiarisce che, pur divergendo nella formulazione, concordava nei concetti esposti dall’onorevole Marchesi nell’articolo a cui questi si è riferito.

LA PIRA esprime il parere che le osservazioni dell’onorevole Lucifero siano molto fondate, poiché gli hanno fatto ricordare la scuola fascista, durante la quale si impose l’adozione del libro di Stato. Al fine di venire incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Lucifero, propone che la proposizione in discussione sia modificata nel seguente modo:

«Lo Stato detta norme generali amministrative in materia di istruzione». Con ciò si ovvierebbe alla possibilità che lo Stato imponga un indirizzo ideologico e speciali programmi scolastici alla scuola private.

MASTROJANNI fa osservare che il principio approvato nella prima proposizione non consente di sottrarre allo Stato il diritto di controllare che l’istruzione e l’educazione vengano impartite secondo l’etica e le finalità dello Stato stesso.

MANCINI osserva che le preoccupazioni dell’onorevole Lucifero sono ingiustificate, perché col termine «generali» ci si riferisce non alla precisazione dei libri di testo da adottare nelle scuole, ma all’ordinamento degli esami di Stato, alle linee generali dei programmi, in quanto è ovvio che l’alunno deve conoscere il programma che deve presentare agli esami. In materia scolastica le norme generali sono necessarie. Pertanto la proposizione può essere votata tranquillamente.

LUCIFERO dichiara che le sue convinzioni si sono rafforzate, dopo l’intervento dell’onorevole Mastrojanni. Infatti se la proposizione che afferma che lo Stato detta norme generali fosse inserita nello stesso comma che parla dell’esame di Stato, avrebbe avuto ragione l’onorevole Mancini a dire che le preoccupazioni sono fuori luogo; invece tale frase, così come è inserita nella proposizione in esame, rappresenta proprio quello stato di cose che egli vuole evitare. Pertanto si dichiara più che mai contrario a questa proposizione, che può costituire il mezzo idoneo per sopprimere quella libertà di insegnamento che è sancita nell’articolo precedente.

PRESIDENTE chiede all’onorevole La Pira se insiste nel suo emendamento consistente nell’aggiungere alle parole «norme generali» la parola: «amministrative».

LA PIRA dichiara di ritirare l’emendamento, in seguito alle osservazioni dell’onorevole Mastrojanni.

TOGLIATTI chiede la chiusura della discussione generale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti di chiusura della discussione, riservando la parola ai Commissari che l’abbiano domandata in precedenza.

(È approvata).

CARISTIA esprime il dubbio che l’espressione «Lo Stato detta norme generali» possa essere interpretata in senso molto lato.

Rileva inoltre che, procedendo nella discussione, le opposte tendenze si sono venute sempre più inasprendo, e si augura che esse possano contemperarsi in una formula conciliativa.

Riconosce infine che le preoccupazioni dell’onorevole Lucifero sono in parte giustificate, perché un giorno l’amministrazione dello Stato potrebbe dire che per norme generali si deve intendere una facoltà da parte dello Stato di intervenire direttamente in tutto il campo dell’istruzione.

MANCINI fa presente che le norme generali in materia di istruzione riguardano il coordinamento degli studi, cioè il modo con cui lo Stato li ordina, suddividendoli nelle diverse specie di scuole.

Non si può pretendere perciò che lo Stato non intervenga con norme generali per regolare in questo senso gli studi.

MASTROJANNI fa presente che ogni equivoco è impossibile, in quanto nella proposizione in discussione si parla di istruzione e non di insegnamento.

MORO, Relatore, propone di rimandare la votazione della proposizione ad un altro momento, cioè a quando i dubbi affiorati nella discussione siano stati risolti e il significato della norma risulti più chiaro.

LUCIFERO si dichiara favorevole alla sospensione proposta dall’onorevole Moro, dal momento che già prima aveva sentito la necessità di riesaminare la proposizione.

GRASSI prega l’onorevole Moro di non insistere nella sua proposta, poiché l’articolo riguarda l’istruzione primaria, media, superiore, che è tra le funzioni dello Stato, e non l’istruzione privata che invece è esaminata dall’articolo seguente.

MORO, Relatore, dichiara che se queste norme riguardano l’istruzione dello Stato, bisognerà affermarlo in modo esplicito; se riguardano tutta l’istruzione, insiste nella sua richiesta di sospensiva.

MARCHESI, Relatore, domanda se i Commissari che si sono preoccupati del significato della proposizione in esame sarebbero soddisfatti di una formula così modificata: «Lo Stato detta norme generali sull’ordinamento scolastico».

LUCIFERO dichiara di non essere soddisfatto.

MARCHESI, Relatore, ritira la sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di sospensiva della votazione della proposizione in discussione presentata dall’onorevole Moro.

(È approvata).

Pone in discussione il comma seguente: «Per assicurare un imparziale controllo dello svolgimento degli studi, ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato».

LUCIFERO dichiara di accettare la proposizione, ma osserva che essa non tiene presente che ci sono alcuni esami intermedi che non hanno il carattere di ammissione agli studi superiori, né riguardano l’abilitazione professionale, ma pure sono richiesti per determinati impieghi. Domanda se anche per questi sia richiesto l’esame di Stato.

PRESIDENTE chiarisce che per questi l’esame di Stato non è richiesto.

Mette ai voti il comma.

(È approvato all’unanimità).

Pone in discussione il comma seguente, proposto da uno solo dei Relatori, l’onorevole Marchesi: «Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali».

MARCHESI, Relatore, osserva che si potrebbe obiettare che la materia del comma da lui proposto sia argomento di legislazione ordinaria; egli invece ritiene debba essere inserita nella Costituzione, data la gravità dell’argomento e la garanzia di decoro che ne verrebbe alla dignità accademica.

Ricorda che già da tempo negli ambienti accademici si discute se convenga persistere in Italia in una situazione che contrasta decisamente con la serietà scientifica del titolo dottorale.

In trenta e più anni di insegnamento universitario ha dovuto constatare il discredito sempre crescente in cui è precipitato questo titolo in Italia, mentre in altri Paesi di non meno progredita cultura esso apporta soltanto una dignità accademica ed ha per base una ricerca scientifica. Dichiara di aver fatto recentissimamente un’inchiesta, in occasione della prima convocazione della ricostituita Accademia dei Lincei, tra professori universitari di molta esperienza e di varie opinioni politiche, i quali sono stati concordi nel convenire sull’opportunità che in sede costituzionale sia posto un riparo a tanto discredito accademico ed a tanto danno sociale.

Fa presente che ogni anno i professori sono costretti ad imporre agli alunni che si debbono laureare un obbligo di ricerca scientifica, a cui la maggior parte di essi è assolutamente inadatta.

Per queste considerazioni, propone che, come si è pensato a garantire con l’esame di Stato la capacità all’esercizio professionale, così si garantisca, con l’esclusione del titolo dottorale dai titoli richiesti per l’abilitazione professionale, la dignità accademica da troppi lunghi anni offesa e menomata.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Moro se accetta il testo della proposizione testé illustrata dall’onorevole Marchesi.

MORO, Relatore, dichiara di accettarlo, pur facendo una riserva circa l’opportunità di inserire in sede costituzionale una dichiarazione di questo genere, la quale, a suo avviso, dovrebbe essere inquadrata nella complessa riforma degli istituti universitari. Dichiara altresì di astenersi da una discussione su questo argomento.

CARISTIA dichiara di associarsi alle osservazioni dell’onorevole Marchesi. Afferma che certamente vi è un desiderio diffusissimo e profondo nelle classi universitarie che si venga a stabilire una netta differenza tra quella che è l’abilità tecnica professionale e quella che è invece un’attività tipicamente scientifica, la quale soltanto deve conferire il grado di dottore.

Pur domandandosi se un articolo come quello in esame non andrebbe meglio collocato in altra sede, ritiene tuttavia che di un così grave argomento si debba fare un cenno nella Costituzione.

MASTROJANNI dichiara di condividere in pieno le considerazioni espresse dagli onorevoli Marchesi e Caristia. Ritiene però che la dizione di questo articolo debba essere più completa e specifica. È d’avviso che un’indicazione debba esserne fatta nella Costituzione, perché questa deve garantire e riaffermare il principio della vera dignità accademica. Però nella stessa Costituzione è opportuno anche stabilire il principio che per gli impieghi dello Stato non si richiede il titolo dottorale. Fa osservare che la maggior parte delle persone che si laureano lo fanno per concorrere agli impieghi dello Stato. Ora, se questi giovani riescono, e spesso con molti sacrifici, ad ottenere il titolo di dottore e solo per avere la possibilità di trovare un impiego che consenta loro di guadagnarsi la vita, è indubbio che questo fatto sminuisce il valore della laurea in confronto di quei giovani che si dedicano alla carriera scientifica o letteraria.

Propone pertanto che nella formula sia inserito il principio che il titolo dottorale non è richiesto per concorrere ad impieghi dello Stato.

MARCHESI, Relatore, fa osservare che nella formula: «non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali», è compresa l’esclusione per quella categoria cui accenna l’onorevole Mastrojanni.

MASTROJANNI ritiene che la dizione potrebbe essere completata aggiungendo l’espressione: «non è richiesto per gli impieghi dello Stato» oppure: «non costituisce titolo per gli impieghi dello Stato». Solamente quando si sarà affermato che il titolo dottorale non costituisce titolo preferenziale per gli impieghi dello Stato, si sarà eliminata l’affluenza dei laureati agli impieghi dello Stato.

MORO, Relatore, fa osservare che per la magistratura è necessario richiedere il titolo dottorale.

MASTROJANNI rileva che si può provvedere in altro modo per soddisfare le esigenze di cultura, sulle quali ritiene tutti siano d’accordo, e per tener conto dell’osservazione dell’onorevole Moro.

MANCINI osserva che non soltanto il titolo dottorale, ma tutti gli studi sono caduti in discredito in Italia, a causa della dittatura fascista che per vent’anni ha valorizzato non gli studi ma gli esercizi ginnastici ed a causa delle cattedre universitarie concesse per ragioni politiche e non per sapere o per scienza. Una volta l’insegnante illustrava la cattedra, nel fascismo era il contrario.

Ritiene però che al giovane che ha completato gli studi debba essere concesso un titolo dottorale.

MARCHESI, Relatore, osserva che per coloro che hanno completato gli studi vi sarà un diploma e in ogni modo vi sarà un esame di Stato che dia l’accesso all’esercizio delle professioni liberali.

MANCINI esprime il parere che la parola «dottore» non possa essere abolita. Piuttosto, insegnanti, alunni e padri di famiglia dovrebbero cercare di rialzare il livello degli studi, e allora il titolo dottorale riacquisterà quella dignità che è da tutti auspicata. Ma più di tutti è dovere degli insegnatili rendere degno il titolo di «dottore» con l’altezza del loro insegnamento e con la serietà degli esami.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di vedere la questione dal punto di vista sociale. Come professore universitario, non potrebbe che sottoscrivere quello che è stato detto dagli onorevoli Marchesi e Caristia. Però fa osservare che il livello degli studi non può rialzarsi solamente con lo stabilire che il titolo dottorale sia richiesto unicamente per l’indagine scientifica. È necessario tutto un movimento di coscienze, che non può determinarsi nello stato di miseria in cui è ridotta l’Italia.

L’accettare questo articolo e introdurlo nella Costituzione non significherebbe altro che danneggiare centinaia di giovani che sono sul punto di conquistare il piccolo titolo dottorale per procacciarsi un’occupazione ed il mezzo di vivere.

Ritiene piuttosto che si debbano promuovere gli studi, elevare le coscienze agli alti ideali, far sì che i giovani si ispirino ai grandi esempi; allora veramente il grado dottorale riacquisterà il suo prestigio.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla limitazione del titolo dottorale, ma dubita dell’opportunità che questa affermazione sia fatta dalla Sottocommissione. Non vorrebbe che si potesse dire che si è voluto approfittare del potere conferito alla Sottocommissione per introdurre, quasi di soppiatto, una norma che viene a vincolare il futuro edificatore della riforma scolastica. Ritiene che sia un atto di correttezza, di saggio limite dei poteri conferiti alla Sottocommissione, che sono costituenti e non legislativi, di astenersi dal formulare un principio come quello che si vuole introdurre.

MARCHESI, Relatore, risponde all’onorevole Dossetti che già in altre occasioni la Sottocommissione ha usurpato la funzione legislativa; e del resto è bene dare qualche volta un’indicazione precisa di ciò che il legislatore deve fare per taluni rinnovamenti indispensabili alla vita e al costume del Paese.

Dichiara all’onorevole Lombardi che non ritiene possa giovare alla miseria e alla ignoranza di centinaia di laureati questa irrisione di un grado accademico. D’altra parte, fa presente di aver portato innanzi alla Sottocommissione l’invocazione del mondo accademico, cioè di quella gran parte di insegnanti e professori che sono stati da lui interrogati proprio in quest’ultimo periodo. Afferma che da molto tempo si sente la necessità di restituire il decoro a questo titolo dottorale, che significa soltanto capacità ed attitudine all’indagine scientifica e non all’esercizio di una professione. Riconosce che non tutti possono essere obbligati ad avere questa capacità ed attitudine alla ricerca scientifica, mentre tutti possono nobilmente e utilmente esplicare la loro attività professionale.

LUCIFERO dichiara che anch’egli sente la necessità che il titolo dottorale torni a significare qualche cosa di più serio e dignitoso. Ritiene pertanto che una disposizione in questo senso possa essere utilmente introdotta nella Costituzione.

Circa l’osservazione dell’onorevole Dossetti che si tratta di materia di legge speciale più che di materia costituzionale, è del parere che indubbiamente questo è vero; ma poiché nella Costituzione sono state introdotte già altre disposizioni che rientrano nella materia della legge speciale, non vede perché non si dovrebbe aggiungere anche questa disposizione che servirà come base alla riforma generale degli studi.

MASTROJANNI risponde all’onorevole Lombardi, che ha trattato la questione da un punto di vista sociale, di aver premesso che lo Stato non dovrebbe pretendere il titolo dottorale per i suoi impieghi anche più umili. Con ciò ha cercato di sgombrare il terreno da qualsiasi appunto che si sarebbe potuto fare in ordine alla preoccupazione per la sorte dei giovani studenti universitari. Dichiara che è proprio per venire incontro a queste masse di studiosi disoccupati che non si deve pretendere da parte dello Stato il titolo dottorale. D’altra parte, accettando questa proposta, le Università saranno sfollate da una massa di giovani che potranno trovare impiego senza bisogno di preventivi quanto inutili sacrifici.

Insiste nelle argomentazioni che sono state già svolte dagli oratori che lo hanno preceduto, affinché in questa Costituzione, così come sono state valorizzate tutte le altre fonti spirituali e materiali, sia data anche un’indicazione per quanto riguarda la dignità dottorale, specie quando da parte della Sottocommissione si è ritenuto di dover abolire i titoli nobiliari. La nobiltà che in questa Repubblica italiana deve permanere sia almeno la nobiltà dell’ingegno e dello spirito, e sia il sacrificio della gente che si sacrifica per il bene della scienza il primo titolo della nobiltà.

PRESIDENTE mette ai voti la chiusura della discussione generale, riservando la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(È approvata all’unanimità).

Rileva che la maggioranza dei Commissari sono favorevoli alla formulazione proposta dall’onorevole Marchesi, ma che una notevole parte di essi fa delle riserve circa l’opportunità di inserirla nella Costituzione, ritenendo che sia piuttosto argomento di legge speciale e precisamente della legge sull’ordinamento generale degli studi.

MASTROJANNI propone un emendamento destinato a fissare nella Costituzione il principio che il titolo di dottore non deve essere richiesto per gli impieghi dello Stato. Esso potrebbe essere formulato nel modo seguente: «Il titolo dottorale non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali, né può essere richiesto per i pubblici impieghi.

MORO, Relatore, osserva che vi sono dei pubblici impieghi per i quali sarebbe opportuno mantenere l’obbligo del titolo dottorale, per esempio la Magistratura ed il Consiglio di Stato.

MASTROJANNI replica che le osservazioni dell’onorevole Moro, per quanto riguarda determinate categorie di impieghi nei quali i funzionari eccellono per cultura non esauriscono il problema. Non si può, d’altra parte, far distinzione tra il Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione ed un principe del Foro, né tra uno scienziato ed un medico illustre che abbia valore egualmente apprezzabile come quello del docente universitario.

MORO, Relatore, fa presente che, se si accettasse l’emendamento proposto dall’onorevole Mastrojanni, si verrebbe ad impedire allo Stato di richiedere il titolo dottorale anche nei casi in cui il possesso di un titolo più alto di studio è una garanzia per i cittadini.

MASTROJANNI domanda perché si vuole, allora, stabilire che il titolo non è richiesto per gli avvocati, per i medici o per gli ingegneri, come se costoro fossero da meno dei magistrati.

MORO, Relatore, obietta che il pubblico professionista, se vuole il titolo, può conseguirlo.

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Mastrojanni, il quale propone che dopo le parole «per l’esercizio delle professioni liberali» si aggiungano le altre «né può essere richiesto per i pubblici impieghi».

TOGLIATTI, Relatore, si dichiara favorevole all’emendamento proposto dall’onorevole Mastrojanni.

(L’emendamento è respinto con 7 voti favorevoli, 8 contrari ed 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione come è stata proposta dall’onorevole Marchesi: «Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali».

GRASSI dichiara di votare contro la proposizione, non perché non ritenga giuste le ragioni addotte a sostegno della proposta, ma per le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti. Ritiene che la disposizione sul titolo dottorale debba far parte – insieme all’aggiunta proposta dall’onorevole Mastrojanni, contro la quale si è votato per identiche considerazioni – di una legislazione speciale che dovrà riguardare l’ordinamento scolastico e quello dei pubblici impieghi. Dichiara, pertanto, che il suo voto contrario al comma proposto non pregiudica nel merito la questione.

MERLIN UMBERTO osserva che la Costituzione dovrebbe essere breve, concisa e schematica. Viceversa si prendono in esame in ogni seduta questioni nuove, senza che tutti i Commissari abbiano potuto avere il tempo di prepararsi convenientemente a discuterle.

Ritiene che non è possibile votare una proposizione di questo genere senza indicare che cosa si sostituisce al titolo dottorale. La materia è, ad ogni modo, specifica di una legge speciale sulla riforma scolastica.

Dichiara di apprezzare le ragioni esposte dall’onorevole Marchesi a sostegno della sua tesi, ma ritiene che sull’argomento sia bene agitare la pubblica opinione e comunque parlarne in sede di riforma scolastica.

Per questi motivi dichiara che voterà contro il comma proposto.

MANCINI dichiara di votare, suo malgrado, contro la proposta dell’onorevole Marchesi in quanto ritiene che il giorno in cui il regime democratico repubblicano restituirà gli studi alla loro serietà e dignità, il titolo accademico di dottore acquisterà il suo valore scientifico.

CEVOLOTTO dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Marchesi, perché ritiene che essa sia materia non di Costituzione ma di legge speciale. Osserva che nel caso in cui un giorno, nella legislazione scolastica, prevalesse il concetto di conservare la necessità del titolo dottorale per l’esercizio delle professioni, bisognerebbe modificare addirittura la Costituzione.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Marchesi per le ragioni già dette.

DOSSETTI dichiara che voterà contro la proposizione, non perché condivida le preoccupazioni espresse dall’onorevole Merlin, circa l’opportunità di aggiungere una nuova norma al testo della Costituzione, ma perché si deve distinguere tra norme che possono far parte propriamente della Costituzione, e norme proprie di una legge speciale. Nel caso in esame si è in presenza di una norma che non solo spetterebbe alla legislazione ordinaria, ma addirittura alla legislazione speciale sull’ordinamento scolastico. Come è stato poi da altri osservato, la norma così formulata sarebbe oscura e difficile, in quanto non si stabilisce il titolo che dovrà sostituire quello dottorale.

LUCIFERO dichiara che voterà a favore della proposta dell’onorevole Marchesi per i motivi che il proponente ha così bene illustrati e che condivide pienamente. Osserva poi che, oltre ai motivi addotti dall’onorevole Marchesi, di natura scientifica e culturale, ve ne sono altri di natura pratica. Stabilire infatti che agli impieghi dello Stato si possa accedere senza il titolo dottorale, significherebbe non soltanto risolvere un problema nel campo elevato della scienza, ma anche fare un passo verso le classi meno agiate che cercano la loro elevazione attraverso impieghi e professioni libere, e che oggi sono costrette a rovinarsi per mantenere i figli all’Università.

MASTROJANNI dichiara di votare contro la proposta dell’onorevole Marchesi, essendo stato eliminato l’inciso riguardante l’accesso ai pubblici impieghi. Concorda con le ultime dichiarazioni fatte dall’onorevole Lucifero, ma osserva che – senza l’inciso – non si verrebbe incontro all’esigenza espressa dall’onorevole Lucifero stesso.

CARISTIA dichiara che voterà a favore della proposta dell’onorevole Marchesi per le considerazioni esposte e perché, in materia di così alta importanza, gli sembra che si debba dare al legislatore un imperativo preciso. Osserva che oltre ad una questione di dignità, si deve fare una questione di specificazione che egli ritiene assolutamente necessaria.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che avrebbe votato a favore, qualora fosse stato accolto l’emendamento proposto dall’onorevole Mastrojanni. Non essendo questo stato accolto, dichiara di astenersi dalla votazione.

MORO, Relatore, dichiara di astenersi dalla votazione.

(Il comma è respinto con 8 voti contrari, 3 favorevoli e 4 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che l’articolo che si propone all’esame della Sottocommissione come terzo, non è più un articolo concordato tra i due Relatori, perché su questo punto gli stessi non hanno trovato una concordanza.

Dà lettura del testo proposto dall’onorevole Marchesi nei seguenti termini:

«L’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è libera con gli obblighi e i diritti stabiliti dalla legge».

Dà quindi lettura del testo proposto dall’onorevole Moro, così formulato:

«Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione.

«La legge, nel disciplinare le modalità di apertura delle scuole non statali e nello stabilire i requisiti per la parificazione con le scuole statali, deve assicurare alle scuole non statali condizioni di effettiva libertà e agli alunni di esse uguaglianza di trattamento».

Dichiara aperta la discussione sulle due proposte dei Relatori.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, a suo parere, lo Stato deve lasciare libera la scuola privata di sorgere e di progredire. Ha specificato nella sua proposta che la scuola privata è libera «con gli obblighi e i diritti stabiliti dalla legge», avendo inteso con questo riferirsi a quegli obblighi cui deve sottostare la scuola privata perché lo Stato ne consenta l’esercizio, mentre parlando di «diritti», ha inteso accennare a quei vantaggi che lo Stato possa conferire alla scuola privata, tra i quali anche quello della parificazione.

Fa presente che, d’altra parte, l’esame di Stato parifica già gli scolari delle scuole pubbliche e delle scuole private.

MORO, Relatore, dichiara di aver voluto sancire, nel testo da lui proposto, il principio della libertà della scuola non statale, affermando nella prima parte dell’articolo che «chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione». Ciò è detto anche nell’articolo proposto dall’onorevole Marchesi. Il punto di dissenso comincia quando si tratta di indicare quali siano gli obblighi ed i diritti ai quali l’onorevole Marchesi accenna con un generico rinvio alla legge.

L’affermare genericamente che le scuole non statali sono riconosciute con gli obblighi ed i diritti sanciti dalla legge non dà garanzia per l’avvenire, che è incerto, e che potrebbe vedere lo Stato italiano nelle mani di persone che abusino della larghezza dei poteri conferiti dalla Costituzione.

Ricorda che nell’ultima riunione era stata presentata dai rappresentanti della Democrazia cristiana una formula che fu interpretata in senso assolutamente difforme dal pensiero dei proponenti. In essa si diceva che lo Stato deve assicurare le condizioni per la libertà e «l’efficienza» delle iniziative d’istruzione e di educazione di enti e singoli. Ripete che, parlando di «efficienza», non si postulava alcun intervento dello Stato, non si richiedevano sussidi dallo Stato per rendere efficienti le scuole, ma si richiedeva semplicemente la garanzia di una effettiva libertà.

Fa presente che, nel secondo articolo approvato nelle prime riunioni, si è affermato che lo Stato deve assicurare di fatto condizioni di uguaglianza a tutti i cittadini, riconoscendo che la libertà astratta nei regimi democratici non è sufficiente. A ciò alludeva la formula ieri proposta, nella quale si voleva parlare soltanto di effettiva libertà, niente altro che libertà, ma libertà concreta.

Altro criterio per il legislatore è l’affermazione che gli alunni delle scuole private devono avere garantita l’uguaglianza di trattamento con quelli delle scuole di Stato. Con ciò si tende ad una meccanica ed automatica uguaglianza, perché la legislazione dovrà disciplinare l’istituto della parificazione nel senso detto. Si è già assicurato il criterio dell’uguaglianza stabilendo l’esame di Stato, ma si dà ancora un’altra norma per evitare che si pongano ingiustificate discriminazioni che feriscano di fatto la libertà e l’efficienza delle scuole non statali. Conclude asserendo che la formula da lui proposta non è una norma strettamente giuridica, ma piuttosto un orientamento etico e politico per il futuro legislatore.

LUCIFERO dichiara di non poter accettare l’articolo proposto dall’onorevole Marchesi, perché esso si richiama a leggi speciali alle quali è stato sempre contrario.

Accetta come base di discussione la formula proposta dall’onorevole Moro, ma ha trovato motivo di perplessità nelle dichiarazioni dell’onorevole Moro quando ha parlato di indirizzi etico-politici da dare al legislatore. Ripete che, a suo parere, la Costituzione è un documento che detta norme positive e non orientamenti etici e politici che possono essere integrati a seconda delle varie ideologie. Osserva che, dopo aver affermato che chiunque può aprire scuole, nel capoverso si annulla questa affermazione, dicendo che l’apertura di scuole o di istituti di educazione è disciplinata da una legge la quale ne stabilisce le modalità. È contrario a qualunque ingerenza da parte dello Stato, anzi dichiara che l’unica anarchia che ammette è quella nel campo della scienza, la quale per affermarsi e svilupparsi ha bisogno di un’assoluta libertà.

Pertanto, fa le più ampie riserve sul capoverso dell’articolo proposto dall’onorevole Moro, ed invita l’onorevole Moro stesso a tradurre in una formula giuridica il suo intendimento etico e politico.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che l’articolo proposto dall’onorevole Moro riecheggia eccessivamente i motivi giobertiani. Secondo tale formulazione la scuola pubblica non potrebbe che perire di fronte alla caterva delle scuole clericali che sorgerebbero in Italia. Dichiara che la completa parificazione e la libertà quasi indifferenziata delle scuole private non potrà mai essere accettata da un uomo di spirito laico quale egli si ritiene. Accetta pertanto la formula dell’onorevole Marchesi.

GRASSI si dichiara favorevole alla formula proposta dall’onorevole Moro. Riconosce che nella seduta precedente la proposta democristiana aveva destato giustificate preoccupazioni, perché aveva fatto pensare che con essa si volesse addossare allo Stato l’onere di sussidi finanziari a favore della scuola privata, che sarebbe risultata da una parte sorretta e dall’altra appaltata dallo Stato. Ora, invece, i dubbi sono stati chiariti nel senso che si chiede una situazione di uguaglianza e un giusto riconoscimento della scuola privata, ammettendo che tutti gli insegnamenti saranno sottoposti alla vigilanza dello Stato, che provvederà con norme generali.

MASTROJANNI domanda all’onorevole Marchesi se nella formula dell’onorevole Moro intravede qualche cosa che possa contrastare con de disposizioni eventuali degli obblighi e dei diritti stabiliti dalla legge. Se la formula dell’onorevole Moro rientra in quelle garanzie di libertà che nessun legislatore potrà mai negare in coerenza con lo stesso principio ammesso dall’onorevole Marchesi, ritiene che il punto di accordo tra le due formule sia già raggiunto.

MARCHESI, Relatore, dichiara che, fino a che l’articolo parla di effettiva libertà, non vi è dissenso od opposizione da parte sua; ma là dove si parla di uguaglianza di trattamento tra gli alunni delle scuole private e quelli delle scuole statali, non può assolutamente consentire, in quanto ritiene che il riconoscimento dei titoli legali di studio debba spettare soltanto alle scuole di Stato.

MASTROJANNI fa presente che questo è già stato detto quando si è affermato che l’ammissione agli istituti superiori e l’abilitazione professionale vengono conferite mediante esame di Stato.

MARCHESI, Relatore, precisa che, oltre al passaggio ad istituti superiori ed all’esame di abilitazione professionale, vi sono certificati di studio o promozioni da una classe all’altra che pure hanno una certa validità legale e che in tal modo potrebbero essere rilasciati soltanto da istituti parificati.

MASTROJANNI dichiara che, se è solo questa l’obiezione dell’onorevole Marchesi, si potrebbe inserire nell’articolo qualche cosa che consenta allo Stato di intervenire nel passaggio tra le varie classi scolastiche. Non vede pertanto motivo di insanabile dissenso in materia.

DOSSETTI osserva all’onorevole Mastrojanni che, invece, il dissidio è profondo, in quanto si tratterebbe di fare alla scuola privata una situazione deteriore rispetto alla scuola di Stato. Oggi una scuola di Stato parificata è soggetta, come tutte le scuole, all’esame di Stato, ma può dare titoli di promozione da una classe all’altra; la norma invece che l’onorevole Marchesi vuole introdurre è diretta a colpire questa situazione odierna.

CEVOLOTTO osserva che l’emanazione di determinate norme in materia scolastica è necessaria, poiché non è possibile che non vi sia una legge speciale che regoli l’ordinamento scolastico. È vero che vi sono dei casi in cui la Costituzione non deve rinviare alla legge ma dettare norme precise; ma è impossibile evitare che una legge speciale regoli la pubblica istruzione. Infatti, se si rilasciasse a chiunque la libertà di aprire scuole private, si potrebbe verificare il caso di licenziati da un liceo classico che non abbiano imparato il latino e il greco.

Fa rilevare inoltre che con il capoverso in cui si parla di «condizioni di effettiva libertà agli alunni di essa ed uguaglianza di trattamento» si viene a dire che gli alunni di scuole private che non hanno ottenuta la parificazione devono avere le stesse condizioni di trattamento di quelli delle scuole parificate.

DOSSETTI precisa che, quando si dice «stabilire requisiti», risulta evidente che le scuole non parificate non avranno la parità di trattamento giuridico.

CEVOLOTTO fa presente che, anche chiarito che il comma si riferisce soltanto alla scuola privata parificata, resta il fatto che quando si dice: «agli alunni di essa è conferita eguaglianza di trattamento con quelli delle scuole dello Stato», ciò significa anche uguaglianza di trattamento dal punto di vista economico. Ora egli ritiene che, essendosi stabilito che vi è un diritto da parte del singolo di essere aiutato per compiere gli studi se dimostri particolari meriti, lo Stato debba dare sussidi, agevolazioni e borse di studio soltanto a quegli alunni che frequentano le scuole pubbliche.

GRASSI osserva che la questione sollevata dall’onorevole Cevolotto è superata. Il fatto che le borse di studio vadano ai meritevoli non riguarda più la scuola pubblica, ma l’insegnamento. Siccome si è affermata la libertà del singolo, non si può negare l’aiuto a chi ne è meritevole.

MARCHESI, Relatore, domanda quale garanzia potrà avere lo Stato circa i meriti degli alunni delle scuole private.

CEVOLOTTO rileva che tutte e due le formule in esame rimandano a una legge particolare, e non è possibile fare differentemente. Né vale dire che della legge particolare non ci si fida in quanto può essere frutto di una maggioranza faziosa che ottenga il Governo, perché, se dovesse andare al potere un Governo totalitario, questo modificherebbe sia la Costituzione sia le leggi facendo quello che vuole. Si deve presumere che si resti nell’ambito della democrazia. Conclude proponendo che la formula dell’onorevole Moro venga limitata all’espressione «deve assicurare condizioni di effettiva libertà», tralasciando la parte riguardante la parificazione del trattamento degli scolari.

MANCINI domanda all’onorevole Moro di chiarire in qual modo lo Stato può garantire praticamente agli alunni uguaglianza di trattamento.

MORO, Relatore, ripete di aver usato l’espressione nell’intento di dare al legislatore un indirizzo etico-politico. Chiarisce che per indirizzo etico-politico non intende dire qualche cosa di extra-giuridico, ma di esprimere la ratio legis, cioè il modo col quale una norma si inserisce in un determinato ambiente sociale. Il legislatore futuro, nell’atto in cui disciplinerà questa materia (riconoscimento dei titoli legali di esame, passaggio da una classe all’altra), potrà, attraverso opportune provvidenze, garantire quel tanto di controllo che è necessario per lo Stato, e assicurare in linea di principio una parità di trattamento non meccanica, ma adeguata alla concreta situazione.

MANCINI non si dichiara soddisfatto della spiegazione dell’onorevole Moro.

MORO, Relatore, aggiunge di non ritenere difficile per il legislatore garantire questa uguaglianza di trattamento: il legislatore potrà ugualmente garantire un’effettiva libertà della scuola privata ed una parità di trattamento, pur garantendo tutti i diritti dello Stato.

GRASSI osserva che l’onorevole Moro fa una questione di ordine generale, mentre l’onorevole Mancini fa una questione specifica. L’osservazione che ha fatto l’onorevole Cevolotto, invece, riguarda una questione concreta, perché egli si è domandato se lo Stato, che dà borse di studio allo scolaro più capace per aiutarlo, darà queste borse anche allo scolaro privato.

MARCHESI, Relatore, torna a chiedere come si potrà provare la capacità dell’alunno delle scuole private.

PRESIDENTE prega il Segretario, onorevole Grassi, di fare un ultimo tentativo, per vedere se è possibile trovare e presentare nella seduta di domani una formula che contemperi le esigenze dell’una e dell’altra parte, e sulla quale possano convergere i voti della Sottocommissione.

La seduta termina alle 19.30.

Erano presenti: Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro e Togliatti.

Assenti giustificati: Basso e Tupini.

MARTEDÌ 22 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

27.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 22 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL DEPUTATO CORSANEGO

INDICE

Sul lavori per la Costituzione

Moro – Togliatti – La Pira – Caristia – Mancini – Grassi – Lucifero – Presidente – Cevolotto – Dossetti.

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Marchesi, Relatore – Moro, Relatore – Dossetti – De Vita – Lucifero – Mastrojanni – Cevolotto – Grassi – Mancini – Togliatti – Presidente.

La seduta comincia alle 17.20.

Sai lavori per la Costituzione.

MORO, riferendosi all’avviso di convocazione per venerdì 25 della Commissione plenaria per la Costituzione, allo scopo di discutere – a quanto sembra – gli articoli approvati dalla prima Sottocommissione in materia di rapporti civili, dichiara di ritenere che tale riunione sia inopportuna, in quanto il lavoro delle Sottocommissioni non è ancora terminato e non è ancora completata la pubblicazione dei resoconti delle discussioni.

Prega pertanto il Presidente di ottenere dalla Presidenza un rinvio della riunione plenaria a quando i lavori delle tre Sottocommissioni saranno terminati.

TOGLIATTI si associa a quanto ha detto l’onorevole Moro, osservando che la Riunione della Commissione plenaria non rappresenterebbe altro che una remora ai lavori delle tre Sottocommissioni.

LA PIRA fa presente che sarebbe in programma un inizio dei lavori della Commissione plenaria per esaminare la parte già elaborata dalla prima Sottocommissione riguardante i principî dei rapporti civili, in modo che la Commissione plenaria stessa possa rendersi conto gradualmente di tutto il lavoro svolto dalla prima e dalla terza Sottocommissione, onde essere in grado di presentare entro il 15 novembre, all’Assemblea Costituente, la prima parte della Carta costituzionale riguardante la dichiarazione dei diritti, elaborata appunto dalla prima e dalla terza Sottocommissione. Dichiara di ritenere – e dello stesso avviso si sono manifestati anche Commissari delle altre Sottocommissioni – che non sia politicamente e giuridicamente possibile presentare alla discussione dell’Assemblea Costituente una parte della Costituzione la quale non può essere esaminata isolatamente, poiché strettamente collegata nelle sue varie parti.

CARISTIA, MANCINI e GRASSI si dichiarano contrari alla presentazione all’esame della Commissione plenaria di un testo costituzionale incompleto.

PRESIDENTE fa presente che i motivi che possono avere consigliato un inizio della disamina in sede di Commissione plenaria sono costituiti dal fatto che vi sono dei temi, quale ad esempio quello delle autonomie regionali, che possono essere astratti dagli altri problemi della Costituzione.

LUCIFERO dichiara che non è possibile sottoporre per così dire a rate all’esame dell’Assemblea plenaria il progetto di una Costituzione per la quale non è stato stabilito neppure se dovrà essere sottoposto ad un referendum popolare. Osserva che così il popolo, al quale si vorrebbe imporre questa Costituzione, non avrebbe nemmeno la possibilità di prenderne una visione di insieme, prima di discuterla.

TOGLIATTI protesta per la frase pronunciata dall’onorevole Lucifero quando ha parlato di una Costituzione che si vorrebbe imporre al popolo. Fa presente che la Carta costituzionale viene elaborata da rappresentanti del popolo liberamente eletti, e pertanto la Costituzione approvata dall’Assemblea Costituente è una Costituzione approvata dal popolo.

Ritiene che forse si potrebbe presentare il testo costituzionale alla approvazione dell’Assemblea Costituente capitolo per capitolo, sempre che la Commissione della Costituzione lo abbia già esaminato nel suo insieme.

PRESIDENTE ritiene che il suggerimento dell’onorevole Togliatti possa servire da transazione tra i desideri espressi dai Commissari e le preoccupazioni per il termine di tempo perentorio assegnato alla Commissione.

CEVOLOTTO osserva che l’elaborazione degli articoli fatta dalla prima Sottocommissione non è ancora definitiva, poiché non è stato iniziato il lavoro di coordinamento in seguito al quale vi potrebbero essere delle modificazioni.

DOSSETTI esprime l’avviso che non sia assolutamente possibile presentare alla discussione della Commissione plenaria articoli che non sono stati ancora sistemati e coordinati in un testo definitivo. Ritiene inoltre indispensabile che gli articoli, una volta sistemati, siano accompagnati da una relazione che li giustifichi e ne illustri lo spirito e la portata complessiva.

LUCIFERO risponde all’onorevole Togliatti che egli, parlando di una Carta costituzionale che potrebbe essere imposta al popolo, intendeva far riferimento all’esempio della Francia, dove il corpo elettorale ha respinto una prima volta il testo costituzionale che pur era stato elaborato e approvato dai legittimi rappresentanti del popolo. Non intendeva pertanto ferire suscettibilità, soltanto desiderava far presente che alcuni partiti si sono impegnati a far sottoporre la Costituente a referendum popolare, appunto perché pensano che non basta che la Costituente deliberi il testo costituzionale perché questo possa essere accetto al popolo.

Fa presente anche l’opportunità che il testo della Carta costituzionale sia distribuito a tutti i deputati almeno una diecina di giorni prima della discussione in sede di Costituente, affinché vi sia il tempo disponibile per un esame approfondito e completo.

PRESIDENTE, ritenendo di interpretare il pensiero della maggioranza dei Commissari, farà presente alla Presidenza il desiderio che le Sottocommissioni continuino il loro lavoro e che la Commissione plenaria si riunisca soltanto quando queste avranno preparato un testo definitivo. Lo stesso si dica per la presentazione del testo all’Assemblea Costituente.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

MARCHESI, Relatore, propone che, dopo il primo enunciato: «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti», si dica: «Nella scuola è garantita la libertà agli insegnanti e agli alunni perché tutte le forze del pensiero abbiano valore». Nel caso che questa aggiunta sia approvata, domanda all’onorevole Moro se è possibile sostituire al primo articolo proposto di comune accordo dai due Relatori la seconda parte dell’articolo formulato dall’onorevole Moro: «Ogni cittadino ha diritto a ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e l’adempimento dei compiti sociali». Questi tre capoversi verrebbero a costituire tre parti di un articolo, che risulterebbe così formulato:

«L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti.

«Nella scuola la libertà è garantita agli insegnanti e agli alunni perché tutte le forze del pensiero abbiano valore.

«Ogni cittadino ha diritto a ricevere una adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e per l’adempimento dei compiti sociali».

MORO, Relatore, dichiara che accetterebbe un primo articolo composto di due parti: una relativa all’indicazione che la scienza e l’arte sono libere e liberi sono i loro insegnamenti, abolendo il secondo comma proposto dall’onorevole Marchesi che gli sembra pleonastico; e l’altra che contempli il diritto del cittadino di ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per la formazione della sua personalità e l’assolvimento dei compiti sociali. Propone poi che questo articolo sia seguito da un secondo in cui da un lato si dichiari che l’istruzione primaria, media, universitaria è tra le precipue funzioni dello Stato (formula Marchesi) e dall’altro che lo Stato soddisfa allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole, sia assicurando le condizioni giuridiche per la libertà e l’efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, cioè di quelle iniziative compiute al di fuori dello Stato (formula Moro).

MARCHESI, Relatore, non accetta la proposta dell’onorevole Moro, perché non vorrebbe che il riconoscimento della funzione che lo Stato deve assolvere nei riguardi della scuola possa essere menomata dall’altra affermazione che lo Stato sia non l’ordinatore supremo, costante e indispensabile, ma soltanto un partecipe della cultura e dell’istruzione del popolo.

Ritiene che tutte le questioni che si riferiscano alla scuola privata possano trattarsi in un articolo a parte e precisamente in quell’articolo terzo, da lui formulato separatamente, dove si afferma che la scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento e che l’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa nei limiti della legge.

Prega pertanto l’onorevole Moro di voler consentire a che l’argomento della scuola privata sia staccato dall’altro riguardante il diritto ed il dovere dello Stato di ordinare, di regolare, di dirigere la pubblica istruzione, compito che soltanto lo Stato può assumere in pieno, perché esso è l’unico organismo che ha tutti i poteri e tutti i mezzi.

Chiede all’onorevole Moro se consente nella distinzione tra quella che è la funzione scolastica dello Stato e quella che invece è la sua posizione nei riguardi degli istituti privati di educazione.

MORO, Relatore, precisa che l’espressione, ricorsa qualche volta, dello Stato compartecipe nella funzione dell’educazione, non corrisponde completamente al suo pensiero e a quello dei suoi colleghi di parte democristiana, in quanto proprio nell’atto in cui si dice che lo Stato soddisfa all’interesse della cultura, sia organizzando scuole proprie, sia assicurando condizioni di libertà e di efficienza alle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, si vuole, da parte dei democristiani, attribuire allo Stato, in ordine alla attività culturale e di istruzione, un compito fondamentale. Tanto è vero che si richiede allo Stato non solo di organizzare le proprie scuole, ma di garantire condizioni di libertà e di efficienza anche per le iniziative di istruzione degli enti e dei singoli; quindi in qualche modo si affida allo Stato un potere di vigilanza e di controllo per ciò che riguarda le condizioni di libertà e di efficienza per tutte le iniziative che si svolgono al di fuori dello Stato amministratore, ma nell’ambito dello Stato legislatore. Si vuole insomma scindere sempre la figura dello Stato in due aspetti; da un lato lo Stato è diretto gerente di interesse collettivi, e ciò rientra nella sua sfera amministrativa; dall’altro è il supremo garante delle condizioni di libertà nelle quali si svolgono le attività di tutti i cittadini, e ciò rientra nella sua sfera legislativa.

Insiste nel dichiarare che la Democrazia cristiana non saprebbe rinunciare alla contemporanea considerazione dell’iniziativa diretta dell’istruzione e della educazione da parte dello Stato e di tutte le altre iniziative che vengono poi a far capo allo Stato stesso, nel senso che siano assicurate a queste iniziative, al di fuori dello Stato, condizioni di libertà e di efficienza. Qualora si volessero scindere queste due considerazioni, cioè se si volessero introdurre due diversi articoli, l’uno per fissare la funzione dello Stato in ordine all’istruzione e l’altro per stabilire la possibilità della iniziativa privata, si creerebbero equivoci in quanto si potrebbe ritenere che si tratti di due campi assolutamente distinti, mentre invece egli ed i colleghi di parte democristiana vogliono affermare che le iniziative della istruzione e dell’educazione privata confluiscono in qualche modo con quelle che fanno capo allo Stato e che lo Stato controlla, vigila, garantisce.

In conclusione, domanda all’onorevole Marchesi se ritiene essenziale di considerare in due distinti articoli quello che invece si potrebbe considerare in due capoversi dello stesso articolo.

DOSSETTI chiede all’onorevole Marchesi se, indipendentemente dalla successione delle affermazioni e dalla loro collocazione eventuale, è disposto ad accettare il capoverso o l’articolo quale risulta nella proposta dell’onorevole Moro. Domanda cioè se, fermo restando il principio dell’attività ordinativa dello Stato per quanto riguarda l’istruzione e l’educazione, che è una sua funzione fondamentale, consente l’onorevole Marchesi che al capoverso dell’articolo secondo dallo stesso proposto, in cui si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e tutta l’organizzazione scolastica ed educativa è sotto la sua vigilanza, venga riconosciuta l’attività indiretta che lo Stato esercita nei confronti delle iniziative di scuole non da esso promosse, ma considerate in questo piano unitario della sua attività ordinativa.

Aggiunge che, se non venisse accolta la richiesta sopra formulata, i Commissari appartenenti alla Democrazia cristiana sarebbero costretti assolutamente a irrigidirsi su quella ultima frase che riguarda la fase esecutiva del principio affermato, in quanto dall’accettazione o meno dell’articolo proposto dall’onorevole Moro, essi misurano la sincerità e la lealtà del riconoscimento della libertà della scuola in concreto.

MARCHESI, Relatore, dichiara che egli ha voluto affermare in maniera assoluta e completa che la libertà della scuola privata sia garantita in quell’articolo, accettato dall’onorevole Moro, in cui si dichiarava che la scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento.

Non può accettare però l’affermazione in sede costituzionale che lo Stato provveda all’istruzione ed all’educazione del popolo attraverso scuole proprie e scuole non proprie. Lo Stato può riconoscere l’utilità della scuola privata, ma non può riconoscerne la necessità, perché ciò facendo verrebbe a riconoscere la propria insufficienza a provvedere ai bisogni dell’educazione nazionale.

Non vede quale difficoltà ci possa essere a trovare un accordo su questo punto. Egli ed i colleghi di parte comunista sono disposti a riconoscere la piena libertà della scuola privata e l’utilità della concorrenza dell’istruzione privata, e sarebbero disposti non solo a riconoscere, ma a sussidiare anche le scuole religiose, quando esse esercitino l’insegnamento in luoghi dove manchino pubblici istituti di istruzione. Quello che importa è che la cultura sia diffusa tra il popolo, qualunque sia l’insegna sotto la quale essa viene impartita; ma è anche necessario affermare in un articolo isolato la precipua funzione educativa dello Stato. Ad affermare isolatamente, in una posizione privilegiata, questa funzione scolastica dello Stato, egli è indotto da due correnti che gli sembrano minacciose in quanto tendono alla smobilitazione della scuola pubblica o ad ogni modo alla sua attenuazione: la corrente autonomistica e quella cattolica, la quale ultima è diretta a fare della scuola privata confessionale la scuola di fiducia delle famiglie italiane.

Per quanto riguarda la corrente autonomistica, osserva che vi sono taluni che intendono sottrarre allo Stato la funzione scolastica per affidare ai comuni e alle regioni l’istruzione primaria e anche quella secondaria. Ora si può e si deve consentire che la regione possa provvedere direttamente ai propri bisogni nel campo amministrativo con quella spedita competenza che un’amministrazione centrale non avrà mai; ma quando si voglia entrare nel campo della scuola, che è un fatto eminentemente morale, nazionale, e perciò politico, lo Stato non può rinunciare a questo che è l’unico strumento e l’unica garanzia dell’unità nazionale. Soltanto allo Stato, per la molteplicità dei suoi poteri e per la pluralità dei suoi mezzi, spetta il compito di ordinare, di controllare l’istruzione e di conferire titoli legali di studio.

Osserva che nella relazione dell’onorevole Moro si manifesta la tendenza a mettere la famiglia in una posizione preminente per quanto riguarda l’istruzione. Gli sembra che questa consacrazione della famiglia tenda a considerare il nucleo domestico familiare come un organismo che viva in una specie di mondo sublunare, in un’atmosfera di immobile serenità, non esposto alla molteplicità degli urti che in realtà lo turbano, sino a farne talvolta un centro di disordine economico e morale in cui purtroppo il fanciullo è la vittima principale. D’altra parte gli sembra che questo dissidio tra famiglia e Stato non possa e non debba esistere. Lo Stato è la grande famiglia che deve integrare le forze, a volta difettose, dell’istituto familiare. Questa antitesi che si vuol porre tra famiglia e Stato è assolutamente inopportuna, sia nei riguardi politici, sia nei riguardi morali e sociali.

Per queste ragioni desidera che la suprema funzione dello Stato sia affermata isolatamente, riservandosi poi di dare la piena adesione all’altra formula che riconosce il diritto e l’utilità della scuola privata.

DOSSETTI dichiara di non aver parlato di famiglia, ma solamente di aver chiesto all’onorevole Marchesi se egli è disposto ad accettare che il testo proposto, cioè la formula in cui si dice che lo Stato soddisfa all’interesse dello sviluppo della cultura, ecc., debba seguire immediatamente l’affermazione più ampia, che i Commissari di parte democristiana sono disposti ad accettare, riguardante il principio dell’attività ordinativa dello Stato per quanto concerne l’istruzione e l’educazione.

Dichiara che con questo non si vuole rivendicare per la scuola non statale una posizione di privilegio, ma invece escludere una posizione di privilegio e anzi di monopolio esclusivo per la scuola statale.

All’onorevole Marchesi che ha parlato di fiducia e di sfiducia verso lo Stato, risponde che la fiducia lo Stato non se la deve meritare precostituendo una posizione di privilegio per la sua scuola, ma organizzando la scuola in condizioni di libera concorrenza con la scuola privata, e facendo sì che la sua scuola sia migliore di quella privata.

DE VITA dichiara che la formulazione del Relatore onorevole Marchesi è felicissima, in modo particolare per quanto riguarda il primo comma: «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti».

Ritiene questa formula come la migliore e propone, pertanto, di limitare l’articolo soltanto a questa parte.

Per quanto riguarda, invece, la funzione scolastica dello Stato e la distinzione degli istituti privati di istruzione, afferma di essere contrario allo Stato-scuola ed allo Stato-educatore. Lo Stato deve limitarsi ad apprestare i mezzi materiali perché l’insegnamento possa liberamente svolgersi e svilupparsi.

LUCIFERO ricorda di essersi già espresso nella seduta precedente sull’affermazione generica proposta dall’onorevole Marchesi circa la libertà dell’arte e della scienza e dei relativi insegnamenti. È d’accordo per quanto riguarda i rapporti fra scuola privata e scuola di Stato. Ritiene accettabile la formula dell’onorevole Moro, alla quale propone che vengano tolti i due: «sia», prima delle parole: «organizzando» e «assicurando».

Quando si è affermata la piena libertà dell’insegnamento delle arti, delle scienze e di tutte le materie di cultura, effettivamente il fatto della sfiducia non può sorgere in un quadro nazionale generale. Non si può aver sfiducia, in senso generale, contro l’organizzazione culturale dello Stato e delle organizzazioni private; il problema esiste solo per i casi locali. Ad un certo momento il problema che si pone alla mente del padre di famiglia non è quello di mandare il figlio alla scuola pubblica o alla scuola privata, ma di mandare il figlio da quel professore o da quell’altro. Questa scelta fa parte delle sue responsabilità di padre e della libertà di cui egli deve godere.

Conclude domandando all’onorevole Moro se è disposto ad accettare la leggera modificazione da lui proposta, fermo restando il concetto che tutti i titoli di abilitazione, diploma e licenza debbano effettivamente essere rilasciati dallo Stato.

MASTROJANNI dichiara di ritenere che non possa essere ripudiato quanto l’onorevole Marchesi ha sapientemente chiarito. Egli non ha affatto preclusa la possibilità alla privata iniziativa di instaurare e di far prosperare scuole private che, anzi, egli ha detto, possono completare quello che lo Stato non è nella possibilità di fare.

Ciò premesso, dichiara di non comprendere la richiesta dei commissari democristiani affinché siano distinte due situazioni che non sono antitetiche, ma integrative; né comprende le preoccupazioni dell’onorevole Lucifero, il quale ha prospettato un fatto che non sposta i termini della questione, sia che si accetti la formula dell’onorevole Marchesi, sia che si accetti la formula dell’onorevole Moro.

Il problema dell’istruzione è un problema vitale per la Nazione.

Lo Stato rappresenta l’unità nazionale, ed è responsabile dell’istruzione dei suoi sudditi ed amministrati. Questa responsabilità statale è stata perfino esasperata in tutti i problemi che dal punto di vista politico e sociale fin qui sono stati trattati. Ritiene che in questa sede ed in questa materia non si possa disconoscere quanto già è stato attribuito allo Stato in fatto di responsabilità funzionale, etica, giurisdizionale, ordinaria ed imperativa, secondo le analitiche distinzioni fatte dall’onorevole Moro.

Insiste, pertanto, perché sia ben precisato che questa responsabilità deve rimanere esclusivamente allo Stato, e che nel contempo venga lasciata la più ampia libertà a tutte le private iniziative, sotto il controllo dello Stato stesso.

Dichiara inoltre di insistere sul fatto che, nella attribuzione dei titoli accademici e nel passaggio per i diversi gradi dell’insegnamento, il discente debba essere vagliato attraverso gli organi dello Stato che ne controllano la cultura, onde evitare che, oltre alle scuole cattoliche che hanno una ottima tradizione, possano sorgere altre scuole che, sfruttando una male apprezzata libertà, preparino i giovani in modo non idoneo alla vita né adeguato ai compiti sociali.

Per queste ragioni ritiene che lo Stato debba intervenire in ogni ordine di scuole e di insegnamento, e debba vigilare perché la libertà di insegnamento non abbia a degenerare in danno della cultura stessa.

.Precisato questo punto, fa presente che non possono coesistere ragioni di dissenso. Libere le iniziative private, rimane allo Stato l’alta vigilanza sull’insegnamento e l’esclusiva prerogativa di concedere titoli accademici e di idoneità professionale.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo sul principio che la libertà dell’insegnamento e della scuola privata debba essere ampiamente riconosciuta. Ricorda di aver sostenuto questa idea anche nei tempi in cui fioriva l’anticlericalismo, perché non vedeva i pericoli politici dell’insegnamento delle scuole religiose le quali evidentemente lasciano la formazione libera del pensiero, come è dimostrato dal fatto che spesso i più fieri anticlericali provenivano proprio dai seminari e dalle scuole cattoliche.

Ritiene che non vi sia nessuna ragione né politica, né di fazione politica, per limitare la libertà di insegnamento nelle scuole. È, però, d’accordo con l’onorevole Marchesi che lo Stato, prima ancora che il diritto, ha il dovere di assumere in pieno, pur lasciando la più ampia libertà alla scuola privata, le funzioni dell’insegnamento, e che questo debba essere affermato in modo preciso. Poi si parlerà delle libertà della scuola privata; dove lo Stato non arriverà supplirà la scuola privata, e dove lo Stato interverrà in una forma che non soddisfi pienamente i capi di famiglia, vi saranno le scuole private a dare loro soddisfazione. Dove vi saranno buone scuole private e buone scuole di Stato, vi sarà una libera concorrenza tra di esse.

Ritiene, pertanto, che la formula dell’onorevole Marchesi sia pienamente soddisfacente e non intacchi in alcun modo la libertà della scuola privata, che deve essere affermata e riconosciuta.

DOSSETTI fa presente che i Commissari di parte democristiana accettano l’articolo proposto dall’onorevole Marchesi, ma propongono un’aggiunta.

CEVOLOTTO osserva che la collocazione che l’onorevole Moro dà al suo inciso, attenua e diminuisce il principio posto dall’onorevole Marchesi. E poiché ritiene che questo principio vada affermato, non può che essere d’accordo con l’onorevole Marchesi, non perché sia in disaccordo con i Commissari democratici-cristiani, ma soltanto per una questione di collocamento.

DOSSETTI comunica che l’onorevole Moro ha formulato una proposizione nei seguenti termini: «Lo Stato soddisfa l’interesse allo sviluppo della cultura, sia organizzando scuole proprie, sia assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli».

Spiega che con ciò si vuol dire che nella fase esecutiva dei suoi diritti lo Stato può ricorrere al suo intervento diretto, oppure può rimettersi all’iniziativa di altri. A questo i Commissari di parte democratica cristiana tengono in maniera decisiva, e non sono disposti a rinunciare che la libertà della scuola sia garantita in maniera concreta con l’impegno da parte dello Stato di riconoscere non solo de jure questa libertà, ma anche di non escludere di fatto le situazioni attraverso le quali la libertà delle scuole private può acquistare piena efficienza. Se si determina una situazione di privilegio de facto che venga a soffocare la scuola privata, la dichiarazione teorica di libertà si riduce a niente e si instaura di fatto il monopolio dello Stato.

MASTROJANNI domanda all’onorevole Dossetti se il suo concetto è che là dove lo Stato non sia riuscito a far funzionare in pieno la sua organizzazione scolastica, ivi sorga la scuola privata.

DOSSETTI osserva che il suo concetto è in modo esplicito dichiarato nella formula proposta dall’onorevole Moro. I rappresentanti del suo partito accettano la formula dell’onorevole Marchesi più l’aggiunta proposta dall’onorevole Moro.

MARCHESI, Relatore, osserva che vi è un motivo insuperabile di dissenso tra la sua concezione e quella dei Commissari democratico-cristiani. Lo Stato non può considerare la scuola privata come un organo necessario che serva a colmare, agli effetti dell’istruzione della massa sociale, le proprie lacune.

DOSSETTI ricorda che recenti esperienze dello Stato italiano sono a sostegno della sua tesi.

MARCHESI, Relatore, rileva che il punto più grave di dissenso è nella pretesa che lo Stato si impegni a sussidiare o a mantenere gli istituti di istruzione privata, giacché questo è quello che si richiede con le parole «assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli».

Domanda quale sia l’intendimento di coloro che hanno proposto questa formula e in che modo lo Stato possa assicurare, se non con sovvenzioni e sussidi, l’efficienza della scuola privata.

MORO, Relatore, desidera rispondere alle osservazioni fatte dall’onorevole Marchesi. L’onorevole Marchesi, riprendendo alcuni punti della relazione Moro, ha detto che da parte democratico-cristiana si ritiene che vi sia un dissidio insanabile tra la famiglia e lo Stato, tanto che la scuola privata appare come la scuola di fiducia delle famiglie italiane. In un certo senso la scuola non di Stato è scuola di fiducia, quando, in taluni casi, la famiglia preferisce mandare i figli in una scuola non statale. Ma questo non vuol dire che vi debba essere una preconcetta sfiducia verso la scuola di Stato. Tanto più che la scuola di Stato deve democraticamente esprimere gli orientamenti prevalenti della società italiana.

Rileva che quanto ha detto l’onorevole Marchesi nel suo ultimo intervento lo lascia molto perplesso. Non ritiene che la scuola privata debba colmare lacune lasciate aperte dalla scuola di Stato. Lo Stato potrebbe provvedere in modo completo all’organizzazione scolastica; se non lo fa, è per una ragione di libertà degli insegnanti, delle famiglie e dei discenti. Il fatto deve essere inteso nel senso che lo Stato democratico ritiene che le esigenze di libertà vadano soddisfatte lasciando un margine rilevante ai singoli enti in materia di educazione e di istruzione. Non si deve ritenere che la limitazione della scuola di Stato sia dovuta a necessità di fatto o a sfiducia preconcetta delle famiglie; è un omaggio reso alla libertà e al senso democratico.

MARCHESI, Relatore, osserva che lo Stato non ha nessuna necessità di contrarre la scuola pubblica per lasciare uno spazio alla scuola privata. Lascia tutto intero lo spazio alla scuola privata e non pone limitazione al suo sorgere e fiorire, senza però con questo recare danno od offesa o limitazione alla scuola statale.

MORO, Relatore, dichiara che, secondo la sua concezione, la scuola privata non sorge per colmare una lacuna nell’insegnamento pubblico, né per venire incontro ad un senso di sfiducia delle famiglie nei confronti della scuola di Stato. Alla sua base vi è un omaggio reso dallo Stato alla libertà degli elementi tutti che lo compongono.

Per quanto riguarda le «condizioni di efficienza» alle quali si è richiamato l’onorevole Marchesi, ricorda che tanto poco egli si è preoccupato di un obbligo dello Stato di sovvenzionare le scuole private che, aderendo al consiglio dell’onorevole Marchesi, ha contratto le sue primitive richieste dicendo che è in facoltà dello Stato concedere sussidi a quelle scuole che siano benemerite dello sviluppo della cultura. Dicendo che lo Stato deve assicurare le condizioni di efficienza delle scuole private, egli ha inteso concretare in sede di fatto quello che è il principio giuridico della libertà di insegnamento. Lo Stato non deve lasciare formalmente spazi liberi, ma deve assicurare la possibilità completa in tutta la sua struttura giuridica e in tutta la sua attività amministrativa per il sorgere e lo sviluppo della scuola non di Stato.

Per quanto riguarda le osservazioni fatte dagli onorevoli Mastrojanni e Cevolotto, ritiene che le loro posizioni riflettano una visione un po’ semplicistica del problema. È chiaro che deve essere ammessa una normazione generale circa l’intervento dello Stato in materia di vigilanza e di controllo e circa il conferimento di titoli di abilitazione professionale e di ammissione alle scuole superiori. Si tratta, invece, di affermare non la parità, ma l’eguale dignità della scuola non di Stato e della scuola statale.

GRASSI osserva che si tratta di trovare una formula che concili le opposte tendenze: la proposta dell’onorevole Dossetti che pone sulla stesso piano la scuola statale e la scuola privata, e il principio dell’onorevole Marchesi che presuppone una vigilanza da parte dello Stato nella organizzazione scolastica. Una formula conciliativa potrebbe essere espressa nel senso che lo Stato soddisfa l’interesse della cultura organizzando la scuola. Ritiene che si debba affermare la libertà della scuola privata alla quale sia reso possibile di svilupparsi in piena concorrenza con quella statale, ma non mettere in evidenza che lo Stato, non potendo assolvere al compito educativo, debba essere costretto a ricorrere all’insegnamento privato.

DOSSETTI ritiene che il problema non possa essere risolto con formule empiriche e con sentimentalismi generici. Dalla sua parte è stata effettuata una impostazione che ritiene abbia per sé il vantaggio di un rigore logico ed assoluto.

Infatti, avendo riconosciuta la funzione ordinativa generale dello Stato, si è fatta una dichiarazione di lealtà nei suoi confronti che non potrebbe essere più esauriente.

Ritiene che la stessa dichiarazione della libertà di insegnamento derivi logicamente dall’affermazione del dovere dello Stato di assicurare a tutti una istruzione adeguata alla propria capacità ed al proprio merito; ma ritiene anche che lo Stato esegua questa funzione in due modi: attraverso l’iniziativa diretta, cioè mediante scuole proprie, e indirettamente mediante il riconoscimento della libertà di insegnamento, libertà che non deve essere intesa come nei decenni passati quando si attuava il monopolio della scuola da parte dello Stato, ma deve rappresentare il riconoscimento concreto delle condizioni attraverso le quali queste scuole private, quando si mostrino capaci di competere vantaggiosamente per i fini generali della cultura, non siano soffocate da condizioni di privilegio costituite a favore dell’ordinamento statale.

Ecco il perché della stretta connessione delle sue affermazioni: quella ordinativa e quella esecutiva. Disgiungere questi due momenti, affermando il principio generale della funzione dello Stato e accennando soltanto che è riconosciuta la libertà della scuola privata, vorrebbe dire precostituire un monopolio di fatto da parte dell’insegnamento statale. Su tale punto da parte democristiana non si può transigere.

Se non si giungesse ad un accordo sulla stretta connessione dei due principî, il gruppo democristiano si troverebbe nella necessità di presentare un progetto completamente autonomo.

CEVOLOTTO, esaminando il capoverso che dice: «Lo Stato soddisfa l’interesse allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole proprie, sia assicurando le condizioni della libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli», dichiara che non ha nulla da eccepire per quanto riguarda il suo contenuto, ma non può assolutamente accettare la forma che ritiene contorta. Pertanto voterà contro di esso. A suo parere, così come è formulato l’articolo, si può essere indotti a credere che si sia voluto affermare che lo Stato, per adempiere i suoi doveri verso la scuola, debba, oltre che organizzare scuole proprie, anche favorire il sorgere di scuole private. Questo a suo parere non può essere accettato. Sarebbe disposto a votare favorevolmente solo nel caso che venissero abolite le parole: «sia… sia». Si dichiara inoltre contrario a che lo Stato debba concedere sussidi alle scuole medie non statali, poiché ritiene che norme di tal genere non possano essere incluse in un testo costituzionale, in quanto se ciò si facesse, si otterrebbe come risultato che di volta in volta i vari Governi favorirebbero le scuole private della propria parte.

MANCINI è d’accordo con l’onorevole Marchesi, poiché pensa che il contrasto tra le due parti non sia di natura pratica, ma di natura teorica e politica. L’ultimo intervento dell’onorevole Dossetti ha chiarito l’atteggiamento di questi in contrasto con quello dell’onorevole Marchesi. Quando l’onorevole Dossetti, dopo aver affermato la potestà ordinativa dello Stato, parla della potestà esecutiva di questo e vuole che lo Stato nella sua facoltà ordinativa si suddivida provvedendo sia alla scuola di Stato sia alla scuola privata, non fa altro che vulnerare la funzione dello Stato.

Fra scuola privata e scuola di Stato deve esistere una libera concorrenza, che non ci sarebbe se lo Stato, davanti ad una scuola privata che funziona bene, intervenisse con sussidi. Ciò annullerebbe l’utilità della scuola privata.

LUCIFERO rileva che sulla parte riguardante l’insegnamento non di Stato non esistono divergenze di opinioni. Queste sorgono quando in alcuni dei Commissari si manifesta la preoccupazione che l’affermazione di garanzia di libertà resti un’affermazione platonica e non trovi praticamente applicazione. Su tale punto dichiara che, mentre condivide pienamente le preoccupazioni dei Commissari demo-cristiani, deve anche far presente che nella formulazione dell’onorevole Moro questa garanzia non è affermata, ed anzi in un successivo capoverso si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull’andamento degli studi.

La formula Moro, con tale capoverso, sarebbe del tutto annullata nella sua efficacia. Perciò propone che il capoverso dell’articolo sia così formulato: «Lo Stato soddisfa a queste esigenze organizzando scuole proprie e garantendo la libertà dell’iniziativa di istruzione e di educazione di enti e di singoli». Dichiara di proporre tale formula come base di discussione, allo scopo di trovare una via conciliativa tra le opposte tendenze.

MANCINI osserva che l’onorevole Lucifero, pur avendo dichiarato di aderire al pensiero dell’onorevole Dossetti, ha espresso concetti ben diversi. Infatti gli onorevoli Dossetti e Moro sottolineano che lo Stato ha la funzione ordinativa della scuola, e l’onorevole Dossetti aggiunge che questa funzione ordinativa ha un doppio aspetto: scuola pubblica e scuola privata, mentre l’onorevole Lucifero esprime concetti opposti.

DOSSETTI rettifica che egli è disposto a riconoscere allo Stato la funzione ordinativa della scuola, in quanto si riconosca congiuntamente che la funzione esecutiva di questo compito è perseguita o direttamente attraverso scuole proprie, o indirettamente, assicurando la libertà di fatto senza alcun privilegio alle scuole private.

MANCINI dichiara che, contrariamente al parere espresso dall’onorevole Dossetti, egli ritiene che lo Stato debba adempiere alla sua funzione laica esclusivamente attraverso la scuola pubblica, lasciando effettiva libertà alla iniziativa privata. L’onorevole Dossetti insiste che vuole garantire la libertà della scuola attraverso l’efficienza della scuola privata. Non può condividere questo parere, perché efficienza nel concetto dell’onorevole Dossetti significa intervento dello Stato nell’incremento della scuola privata attraverso sussidi ed altro… e in tal caso lo Stato verrebbe a falsare il principio che la sua scuola è la scuola di Stato e verrebbe ad incrementare quella scuola privata che è la concorrente – e non sempre leale – della scuola di Stato. La scuola privata non può pretendere altro che la sua libertà di sviluppo e di insegnamento.

TOGLIATTI dichiara che la discussione ha messo in luce un problema nuovo. Infatti egli pensava che per questa parte della Costituzione il dibattito tra la sua parte e la corrente democristiana si sarebbe sviluppato sul principio della libertà della scuola privata. Egli si è deciso ad accettare tale principio, distaccandosi dalla tradizione della dottrina liberale, alla quale in questo campo si ricollega il suo pensiero. E apparso invece dalla discussione che i commissari democristiani desiderano qualche cosa di più, cioè chiedono non solo la libertà della scuola privata, ma che questa particolare scuola privata – che già si sa quale è – diventi una seconda scuola di Stato o qualche cosa di simile, affermando che lo Stato adempie alle sue funzioni attraverso la scuola privata e la scuola di Stato. Questa affermazione pone la Commissione di fronte ad un problema nuovo, perché non è questo il problema che pensava di dibattere in questa sede, ma quello della libertà di insegnamento e dell’organizzazione scolastica.

DE VITA precisa la sua precedente affermazione di essere decisamente contrario allo Stato-scuola, nel senso che egli ritiene che lo Stato deve apprestare i mezzi materiali affinché l’insegnamento possa liberamente svolgersi, e orientare l’insegnamento stesso.

Domanda quindi ai Relatori di chiarire il loro pensiero sul capoverso seguente, nel quale si dice che lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione, ecc.

DOSSETTI fa presente che egli e i suoi colleghi di parte democristiana non chiedono niente di più di un’adeguata garanzia di diritto e di fatto della libertà della scuola. La sua presa di posizione e l’articolo proposto dall’onorevole Moro sono la conseguenza inevitabile di un inquadramento reso necessario dalle affermazioni fatte dall’onorevole Marchesi.

Se l’onorevole Marchesi è disposto a rinunciare alle sue affermazioni circa l’assoluta preminenza dello Stato e al principio che lo Stato detta tutte le norme in materia di istruzione, dichiara che egli e i colleghi democristiani non avrebbero più ragione di insistere nella impostazione da loro data al problema, e si contenterebbero di una semplice formula la quale dica che il cittadino ha diritto a ricevere un insegnamento adeguato alle sue doti ed alle sue abitudini, che la scienza e l’arte sono libere, e che la scuola privata è riconosciuta.

Ripete che l’affermazione che lo Stato è il supremo ordinatore dell’istruzione pubblica può essere accettata da parte democristiana soltanto nel caso che il principio venga inquadrato, e non si resti in una situazione equivoca che possa consentire la rivendicazione da parte dello Stato di un privilegio esclusivo e totalitario nell’adempimento della sua funzione scolastica.

MARCHESI, Relatore, rileva che l’affermazione posta in principio come base dell’articolo da lui proposto esclude assolutamente ogni sospetto di concezione totalitaria. Egli e i colleghi di parte comunista non hanno voluto porre alcun limite alla libertà di insegnamento, ma non intendono rinunciare al diritto e al dovere che ha lo Stato di provvedere all’istruzione. In merito alla parola che è stata pronunciata da parte democristiana, e cioè «monopolio di Stato», dichiara che se per monopolio si intende il diritto e il dovere che ha lo Stato di soddisfare in pieno ai bisogni dell’istruzione nazionale, allora egli accetta questa parola monopolio, e non può accettare invece la proposta dei commissari democristiani, i quali considerano l’istruzione pubblica come un servizio che lo Stato debba parzialmente concedere in appalto alla gestione privata.

La scuola privata sia liberissima, fiorisca in tutte le parti d’Italia, ma fiorisca coi propri mezzi e goda della sua libertà; non chieda l’intervento e il favore dello Stato, perché essa aprirebbe le porte ad una ingerenza statale gravissima per la stessa libertà dell’insegnamento privato.

PRESIDENTE domanda alla Commissione se essa ritiene che, dopo l’ampia discussione che ha illuminato i diversi punti di vista, si possa tentare da parte dei Relatori di trovare una formula conciliativa che tenga conto sia delle esigenze dell’onorevole Marchesi come di quelle degli onorevoli Moro e Dossetti, e quindi presentare nella prossima riunione un articolo sintetico con una nuova formulazione su cui poter iniziare la discussione. Se la Commissione è del parere che non è possibile rinviare la discussione, si potrà continuare fino a raggiungere il punto di convergenza; ma, se questa convergenza non fosse possibile, allora si dovrebbe procedere ad una votazione di minoranza o di maggioranza.

TOGLIATTI dichiara di non essere alieno dal dare il suo appoggio alla seconda proposta del Presidente, perché vede che vi è un punto di dissenso sostanziale; sarebbe però lieto se il dissenso potesse essere superato con una nuova formulazione che attenuasse i concetti espressi nella formula proposta dai Commissari di parte democristiana. Riconosce la difficoltà di raggiungere l’accordo nell’attuale assemblea, ma ritiene che se si restringesse la riunione ad un numero molto inferiore di membri, forse si potrebbe ottenere il risultato desiderato.

DOSSETTI crede difficile il raggiungimento di un accordo, data la chiara impostazione che l’onorevole Marchesi ha dato al problema con le sue ultime affermazioni. Questa impostazione rende inevitabile, da parte dei commissari democristiani, la richiesta di chiarimenti maggiori, perché altrimenti ogni affermazione a favore della libertà della scuola dovrebbe sempre essere valutata in rapporto alla tesi generale del monopolio di Stato.

MARCHESI, Relatore, dichiara di essere tutt’altro che fautore del monopolio di Stato. L’espressione monopolio di Stato riferita alla scuola e alla pubblica istruzione non è sua, ma l’ha letta nel programma della Democrazia cristiana e l’ha sentita ripetere dall’onorevole Dossetti nel corso della discussione. Egli trova illegittima questa espressione di monopolio di Stato che vuole designare la scuola statale. Torna ad affermare che lo Stato ha il diritto ed il dovere di provvedere con tutti i mezzi alla organizzazione della scuola pubblica; ma nello stesso tempo deve vedere con soddisfazione il fiorire, nel limite delle leggi, della scuola privata.

In questo modo si stabilisce una concorrenze tra due organizzazioni parallele.

L’onorevole Dossetti vorrebbe invece che queste organizzazioni fossero convergenti, costituissero cioè un’unica organizzazione scolastica: da una parte quella di Stato e dall’altra quella privata, di cui lo Stato, nell’esplicazione della sua funzione di educatore e di ordinatore della scuola, dovrebbe valersi contemporaneamente. È questo il concetto che egli non può accettare.

PRESIDENTE ritiene che si potrebbe almeno tentare di trovare una formula conciliativa, pur riconoscendo che ci sono inevitabilmente due punti di vista diversi. D’altra parte è bene che ciascuno assuma la propria responsabilità e dichiari il proprio pensiero. È costume proprio della democrazia di portare in discussione le diverse opinioni, perché appunto dal cozzo delle opinioni venga fuori la verità.

Prega pertanto gli onorevoli Dossetti e Moro di volersi incontrare con l’onorevole Marchesi, e fare un tentativo per poter presentare una formula nella quale le esigenze delle due parti siano contemperate.

Ripete che, se questa formula da mettere in discussione non venisse trovata, si renderebbe necessario procedere a una votazione di maggioranza e ad una votazione di minoranza, e presentare poi le due formulazioni alla Commissione in seduta plenaria.

MORO, Relatore, fa presente che della formula da lui proposta si sono date interpretazioni diverse, soprattutto per quanto riguarda l’efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli che lo Stato dovrebbe predisporre. Si è detto che con questo si verrebbe a sussidiare la scuola non statale, e darla come in appalto. Si è detto anche che si chiede che lo Stato intervenga per sussidiare, per rafforzare, per indirizzare, per rendere efficiente la scuola non statale.

Dichiara che tutto ciò è lontanissimo dalle intenzioni sue e dei commissari democristiani. Se c’è un’idea che ad essi ripugna, è proprio quella che la scuola non statale sia una delegazione della scuola di Stato. Si può allora domandare perché si è voluto sostenere una formula che pone su un piano di parallelismo l’organizzazione della scuola di Stato e l’assicurazione dell’efficienza e della libertà dell’iniziativa privata. Per rispondere a questa domanda ricorda che la dottrina sociale e cattolica, cui egli aderisce, ritiene che gli elementi che intervengono nell’azione educativa siano la Famiglia, la Chiesa e lo Stato. Poiché si sta facendo una Costituzione di compromesso, i Commissari democristiani hanno rinunciato a impostare il problema della gerarchia degli enti i quali intervengono nell’attività educativa, anzi, per venire incontro alle esigenze prospettate dai rappresentanti dell’altro partito, hanno accettato l’idea che lo Stato abbia la funzione generale di ordinare la istruzione e di preoccuparsi che a ciascuno sia data un’adeguata istruzione ed educazione.

Però, nell’atto in cui si riconosce allo Stato questo potere ordinante e di concreta organizzazione della scuola, si ha tutto il diritto di ricordare che, secondo la concezione della Democrazia cristiana, lo Stato non è l’ottimo tra gli educatori, ma solo una delle forze che entrano nel processo educativo. Si riconosce quindi allo Stato il potere di organizzare le scuole, non per favorire il suo intervento in materia di istruzione, ma per dire che il supremo compito che gli si attribuisce deve essere esercitato non soltanto attraverso una propria diretta attività, ma anche attraverso le funzioni giuridiche di ordinanza, le quali garantiscono che possa svolgersi l’attività non statale di istruzione e di educazione. Questa garanzia permette di soddisfare la duplice esigenza di non attribuire da una parte allo Stato una competenza esorbitante e dall’altra parte di permettere che lo Stato abbia un qualche potere di intervento in quello che si fa per l’educazione, al di fuori della sua orbita diretta.

Con questa formulazione certamente si compie un passo avanti, ma è necessario porre una riserva che permetta di non smentire l’idea che pone lo Stato come educatore tra gli altri educatori, in coordinazione con la Chiesa, con la Famiglia, e con i singoli, i quali possano assumere le iniziative dell’istruzione.

MARCHESI, Relatore, afferma che questa garanzia non è stata mai negata.

PRESIDENTE rinvia il seguito della discussione alla seduta di domani mercoledì.

La seduta termina alle 19.45.

Erano presenti: Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Marchesi, Merlin Umberto, Moro e Togliatti.

Assenti giustificati: Basso, Lombardi Giovanni e Tupini.

VENERDÌ 18 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

26.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 18 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – La Pira – Togliatti, Relatore – Dossetti – Cevolotto – Mastrojanni – Lucifero, Relatore – Mancini – Caristia.

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Discussione)

Presidente – Lombardi Giovanni – Cevolotto – Moro, Relatore – Marchesi, Relatore – Lucifero – Mancini – Mastrojanni – Dossetti – Togliatti – Basso – Caristia.

La seduta comincia alle 9.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE dichiara aperta la discussione sull’articolo seguente, ieri proposto dall’onorevole La Pira, e che dovrebbe essere collocato in testa alla serie degli articoli riguardanti il tema dei principî dei rapporti sociali ed economici: «Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale e la sua partecipazione adeguata negli organismi economici sociali e politici è condizione del loro carattere democratico».

Fa presente che invece delle parole: «del loro carattere democratico», sarebbe meglio dire: «del carattere democratico di questi».

LA PIRA dichiara di essere stato animato da un principio che deve stare alla base della nuova Costituzione, cioè che in uno Stato di lavoratori, come è stato definito dall’onorevole Lucifero, il lavoro, sia manuale che spirituale, è il fondamento della struttura sociale. Tutti gli istituti elaborati nella presente Costituzione si riconnettono appunto a questo principio, da cui trae la sua legittimità la prima parte dell’articolo. Con la seconda parte, ha voluto esprimere due concetti: il primo, che il lavoro è il fondamento degli organismi economici sociali e politici; il secondo, che il lavoratore è compartecipe consapevole di tutto il congegno economico sociale e politico, e quindi che la concezione che anima i suddetti organismi deve essere ispirata ai principî democratici.

In ultima analisi, l’articolo si connette al principio base posto in testa alla Costituzione, secondo il quale la Costituzione stessa ha per fine il completo sviluppo della personalità umana.

TOGLIATTI, Relatore, premesso che egli era del parere che si dovesse porre al principio della Costituzione la definizione: «Lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori», dichiara che, se a prima vista era rimasto soddisfatto della formulazione dell’onorevole La Pira, in seguito ad una analisi più attenta è sorta nel suo animo qualche perplessità, nel senso che gli sembra di trovarsi di fronte non ad una affermazione politica di volontà del legislatore, ma quasi ad una constatazione di fatto. In sostanza, il lavoro, come tale, in qualsiasi società, anche capitalistica, è il fondamento di tutta la struttura sociale, in quanto è il creatore dei beni economici e su di esso si fonda tutta la vita economica.

In particolare, anche la dizione: «partecipazione adeguata» gli fa nascere dei dubbi. Forse l’onorevole La Pira voleva intendere che il lavoro ha una posizione preminente; ma, non avendo osato manifestare, in una formula legislativa, fino all’ultimo il suo pensiero, ha adottato il termine: «adeguata». Questo termine invece può essere inteso in senso di minorità, parità o prevalenza, a seconda di come si intenda la funzione del lavoro. Propone, pertanto, in sostituzione della formula dell’onorevole La Pira, il seguente articolo: «Il lavoro e la sua partecipazione prevalente o decisiva negli organismi economici, sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

DOSSETTI, avendo concorso alla formulazione della proposta presentata dall’onorevole La Pira, precisa che con l’espressione: «Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale», s’intende esprimere non semplicemente una constatazione di fatto, ma un dato costitutivo dell’ordinamento, un’affermazione cioè di principî costruttivi, aventi conseguenze giuridiche nella struttura del nuovo Stato.

Per quanto riguarda la parola: «adeguata», fa rilevare che non deve intendersi come un apprezzamento variabile secondo l’intendimento di chi interpreta l’articolo, ma «adeguata» alla premessa, cioè che: «Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale». Riconosce che, tradotto in termini più espliciti, il termine: «adeguata», potrebbe essere sostituito dall’altro: «prevalente», secondo la proposta dell’onorevole Togliatti, che si dichiara disposto ad accettare.

CEVOLOTTO ritiene che sia da preferire la formula più chiara ed esplicita proposta dall’onorevole Togliatti. Sostituirebbe, però, alle parole: «della democrazia italiana», le altre: «della Repubblica democratica italiana».

ROSSETTI si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Cevolotto, non perché la parola: «Repubblica» sia da lui malvista, ma perché nella prima parte della Costituzione, che tratta dei rapporti tra il cittadino, lo Stato e le altre comunità, è, a suo avviso, di maggior portata l’affermazione relativa ad un dato concreto della struttura sociale italiana, indipendentemente da una definizione istituzionale, che sarà successivamente inserita.

CEVOLOTTO ritiene invece che il primo articolo della Costituzione dovrebbe affermare che: «Lo Stato italiano è una Repubblica».

PRESIDENTE rileva che non vi è contrasto tra i due punti di vista, ma che è soltanto una questione di sistematica che potrà essere risolta in sede di coordinamento.

MASTROJANNI dichiara che è sostanzialmente d’accordo sulle formulazioni La Pira e Togliatti. Attenuerebbe però il loro contenuto, perché, se il lavoro deve avere una considerazione preminente, sarebbe però opportuno non trascurare tutti gli altri fattori che pur contribuiscono nella complessa struttura sociale, economica e politica. Propone, pertanto, la seguente dizione: «Il lavoro, nelle sue diverse forme e manifestazioni, come fondamento della struttura sociale e nella sua partecipazione adeguata negli organismi economici sociali e politici, costituisce il carattere democratico di questi».

LUCIFERO, Relatore, non avrebbe difficoltà ad accettare il concetto delle formulazioni proposte, ma si domanda se questo debba formare oggetto di un articolo della Costituzione, o non sia, invece, materia attinente, se mai, al preambolo della Costituzione, salvo a formulare in maniera più appropriata il concetto della importanza che il lavoro ha nella vita sociale e politica del Paese.

Nelle discussioni avvenute in seno alla Sottocommissione, ha notato che sul termine: «lavoro», e soprattutto sul termine: «lavoratori» non si è tutti d’accordo. Sul termine: «lavoro», è stato possibile arrivare ad un punto di intesa, mediante una casistica nella quale si è chiarito che determinate attività. anche contemplative, dovevano essere considerate come socialmente utili. Tale punto di intesa è però soltanto formale ed il disaccordo, che è sostanziale, ricomparirà ancora quando si dovrà interpretare la Costituzione. Ad ogni modo, se si è raggiunto l’accordo sul termine: «lavoro», il disaccordo è totale quando si parla di: «lavoratori», quasi che tale termine non venisse da «lavoro». A suo parere, per esempio, non vi è dubbio che un monaco, il quale, pure svolgendo un’attività puramente contemplativa, compie un lavoro utile per la società, sia un autentico lavoratore. Non crede però che l’onorevole Togliatti sia dello stesso avviso.

TOGLIATTI, Relatore, prega di non riaprire la discussione su di un articolo che è stato già approvato.

LUCIFERO, Relatore, non intende riaprire una discussione, ma terminandosi con l’articolo in esame la parte di Costituzione che riguarda i problemi sociali ed economici sulla quale è stato Relatore, ha tenuto a porre in evidenza che non si è raggiunto l’accordo sulla portata del termine: «lavoratori». Tale fatto riveste una specifica importanza, in quanto la partecipazione del lavoro negli organismi economici non avviene direttamente, ma per rappresentanza attraverso il lavoratore. Ora, a suo giudizio, il dirigente di un’azienda, l’agrario o il consigliere di una società anonima, sono dei lavoratori, e, dato che attualmente la funzione capitalistica, sia pure regolamentata e controllata, continuerà a sussistere, pure la relativa attività dovrebbe essere considerata come lavorativa, nel senso che anche il capitalista è un lavoratore. Dubita, però, che questo suo modo di vedere sia condiviso da tutti e che si tenda piuttosto a stabilire una sperequazione tra i vari fattori della produzione. Ritiene invece che tutti coloro che partecipano alla produzione siano «lavoratori» (meno l’azionista puro, gli inabili e i malati), dal presidente del consiglio di amministrazione fino all’ultimo usciere della società. Stabilito il principio che tutti sono lavoratori, in quanto uomini, il lavoro, inteso come manuale, non deve considerarsi preminente sugli altri fattori della produzione. Perciò, se da qualche parte si vuole distinguere il lavoratore del capitale dal puro prestatore d’opera, dichiara di non potere essere d’accordo circa la formulazione proposta, perché approverebbe un principio contrario alla sua concezione ugualitaria, che è la base di tutto il suo credo politico.

Concludendo, ritiene che un articolo di tal natura sarebbe pleonastico e pericoloso. Non ha nulla in contrario che esso venga messo nel preambolo della Costituzione, ma non può accettarlo come un articolo della Costituzione stessa.

MANCINI osserva che, dopo aver ascoltato l’esposizione dell’onorevole La Pira, era contrario all’articolo ed ai concetti che lo ispiravano, in quanto li riteneva una ripetizione di espressioni già chiaramente enunciate negli articoli votati. Ma, dopo le osservazioni dell’onorevole Lucifero, non può che dichiararsi entusiasta del concetto espresso dall’articolo. Come forma ne preferirebbe una più semplice, se si vuole che il popolo possa intendere lo spirito della Costituzione. Ritiene perciò più rispondente, anche agli intendimenti dei compilatori, la dizione proposta dall’onorevole Togliatti. Desidererebbe, però, che alla parola: «partecipazione», fosse sostituita l’altra: «intervento», che gli sembra più precisa ed esplicativa, e alla parola: «fondamento», un’altra più appropriata, per esempio, «essenza», che meglio esprime il concetto che tutta la struttura, il tessuto connettivo, per così dire, della democrazia italiana è il lavoro.

LA PIRA ritiene più appropriata la parola: «fondamento». Come i muri maestri di una casa poggiano sulle fondazioni, così la struttura sociale della democrazia italiana poggia sul fondamento del lavoro.

PRESIDENTE concorda con l’onorevole La Pira.

Fa quindi rilevare all’onorevole Lucifero che l’articolo rappresenta un’affermazione di principio, che, come altre simili affermazioni contenute in articoli già approvati, non è da escludere che in sede di coordinamento possa esser trasferita nel preambolo della Carta costituzionale. Prega, infine, l’onorevole Togliatti di voler accettare un emendamento alla sua formula, relativo al termine «prevalente».

TOGLIATTI, Relatore, al posto del termine «prevalente», proporrebbe: «preminente».

PRESIDENTE risponde all’onorevole Togliatti che il termine «preminente» era già stato da lui considerato, ma ha ritenuto che anch’esso non fosse il più appropriato, perché, pur rappresentando il lavoro l’essenza della Costituzione, tuttavia, essendo le Costituzioni fondate sul primato del lavoro, anche in considerazione delle osservazioni dell’onorevole Lucifero, non vede la necessità di affermarne la preminenza. Riterrebbe più adatto il termine: «concreta», in quanto risponde meglio a quello che è forse il pensiero degli stessi Relatori.

TOGLIATTI, Relatore, in considerazione del fatto che il concetto che si vorrebbe affermare nel termine «prevalente» è già contenuto nell’articolo con la parola «fondamento», dichiara di accettare la modificazione proposta dal Presidente.

MANCINI rileva che sostituendo il termine «concreta», a quello «prevalente», non si afferma più la stessa cosa, poiché le due parole hanno un significato del tutto differente. Dichiara pertanto di far propria la formula Togliatti nella sua primitiva dizione.

MASTROJANNI desidera porre in evidenza che l’articolo, nella formulazione da lui proposta, ovvierebbe anche in parte alle preoccupazioni dell’onorevole Lucifero. Infatti, affermandosi che il lavoro deve essere inteso «nelle sue diverse forme e manifestazioni», si evita il pericolo di equivoci di interpretazione e si fa riferimento a qualsiasi manifestazione dell’attività umana.

LUCIFERO, Relatore, chiede che venga stabilito, mediante votazione, se l’articolo in discussione sia materia di preambolo, ovvero debba essere inserito nella Costituzione vera e propria.

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Lucifero di avergli già fatto presente che l’approvazione dell’articolo non pregiudica l’eventualità che il concetto in esso espresso possa essere successivamente trasferito nel preambolo della Costituzione.

LUCIFERO, Relatore, non insiste nella sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, come quella che più si allontana dalla formula primitiva.

CARISTIA dichiara che si asterrà dalla votazione, perché ritiene che la dichiarazione di questo principio di carattere generale e fondamentale debba trovare, sotto altra forma, posto più adeguato nel preambolo della Carta costituzionale.

LUCIFERO, Relatore, fa una dichiarazione di voto comprensiva della votazione in atto e di quella successiva. Riconosce che, indubbiamente, la formula dell’onorevole Mastrojanni rappresenta un miglioramento della formula originaria e quindi la voterà favorevolmente per il solito criterio di attenersi al meno peggio. Se tale emendamento sarà respinto, dichiara altresì che voterà contro l’articolo, perché ha la preoccupazione, ogni giorno più grave, che si stiano concretando e deliberando una quantità di formule che, invece di essere costituzionali, sono solo affermazioni dottrinarie espresse molto spesso in forma confusa e involuta. Tale fatto gli fa sorgere notevoli dubbi senza offesa per nessuno circa le singole formule, nel senso cioè che ognuno spera di dare, a suo tempo, a ciascuna di esse una interpretazione adeguata alle proprie ideologie e convinzioni politiche. La Costituzione invece deve avere delle formule che consentano una sola interpretazione; prima di tutto perché soltanto così il futuro legislatore potrà legiferare su di una sicura base, e in secondo luogo perché una Costituzione democratica deve dare alle minoranze la garanzia e la sicurezza di poter liberamente vivere e svilupparsi, proprio in quanto minoranze di uno Stato democratico.

La formula originariamente proposta è tipica di questo genere di formule che ha sempre respinto, e pertanto voterà contro, perché la ritiene anticostituzionale, poco chiara, involuta e lesiva di quelli che possono essere domani gli interessi della democrazia italiana.

Voterà invece a favore della formula Mastrojanni.

(La proposta Mastrojanni è respinta con 2 voti favorevoli, 12 contrari e 1 astenuto).

MANCINI chiede che sia ora messa in votazione la formula Togliatti col termine «prevalente» al posto di «concreta».

TOGLIATTI, Relatore, in relazione alla sua precedente dichiarazione, voterà contro la proposta dell’onorevole Mancini.

PRESIDENTE pone in votazione la proposta Mancini.

(È respinta, con 2 voti favorevoli e 13 contrari).

Pone in votazione l’articolo proposto dall’onorevole Togliatti con gli emendamenti suggeriti da lui e dall’onorevole La Pira: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

(È approvato con 12 voti favorevoli, 1 astenuto e 2 contrari).

Ricorda che tale articolo dovrà essere collocato in testa alla serie degli articoli che riguardano i principî dei rapporti sociali e dichiara che con l’approvazione di questo articolo il tema dei principî dei rapporti sociali (economici) deve ritenersi esaurito.

(Resta così stabilito).

Discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

PRESIDENTE fa presente ai Commissari che si passa ora alla discussione del tema successivo: «I principî dei rapporti sociali (culturali)», di cui sono Relatori gli onorevoli Moro e Marchesi, i quali si sono in precedenza incontrati allo scopo di trovare un accordo, che però è stato raggiunto solo in alcuni punti. A conclusione del loro incontro, è stato redatto il seguente schema, dal quale risultano i punti di accordo e di disaccordo:

«Art. 1. – È supremo interesse dell’individuo e della collettività assicurare ad ogni cittadino un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della sua personalità e l’adempimento dei compiti sociali».

«Art. 2. – La istruzione primaria, media, universitaria è tra le precipue funzioni dello Stato.

«Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e tutta la organizzazione scolastica ed educativa è sotto la sua vigilanza». (Proposta Marchesi)

oppure:

«Art. 2. – Lo Stato soddisfa l’interesse allo sviluppo della cultura, sia organizzando le scuole proprie, sia assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli. I genitori dell’educando hanno diritto di scelta tra le scuole statali e quelle non statali.

«Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull’andamento degli studi.

«La scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento. È in facoltà dello Stato concedere sussidi alle scuole non statali, che per il numero dei frequentanti e per il rendimento didattico accertato negli esami di Stato siano benemerite dello sviluppo della cultura». (Proposta Moro).

«Per assicurare un imparziale controllo sullo svolgimento degli studi ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato.

«Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali».

«Art. 3. – L’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa nei limiti della legge. La scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento».

«Art. 4. – La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto.

«La Repubblica detta le norme le quali, mediante borse di studio, sussidi alle famiglie ed altre provvidenze garantiscano ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto.

«L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età».

«Art. 5. – Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà, con l’assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrale e periferiche, un piano di struttura scolastica diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare». (Proposta Marchesi).

«Art. 6. – Nelle sue scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato assicura agli studenti, che vogliano usufruirne, l’insegnamento religioso nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica». (Proposta Moro).

«Art. 7. – I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale in qualsiasi parte del territorio della Repubblica e sono sotto la protezione dello Stato».

LOMBARDI GIOVANNI dà lettura di una sua proposta di articoli, in cui ha condensato i concetti ai quali in questo campo si ispira il suo partito, rendendo nel medesimo tempo omaggio, per quanto gli è stato possibile, ai principî dei due Relatori:

«Art. 1. – Il principio della libertà nella scuola è garantito dalla Costituzione. A tale scopo:

«Art. 2. – La Repubblica sancirà il principio della scuola nazionale (elementare, media, universitaria), essendo questa la sola scuola il cui criterio è per definizione fondato sul merito, con la esclusione di ogni altra condizione economica e sociale.

«Fermo restando il ruolo nazionale degli insegnanti, la Repubblica potrà affidare in determinati casi agli enti pubblici locali la gestione autonoma della scuola elementare e post-elementare.

«Analoga iniziativa verrà riconosciuta agli enti pubblici locali per l’istituzione di scuole specializzate, università libere, ecc., sotto l’osservanza delle condizioni previste e nei limiti fissati dalla legge.

«L’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa sotto la vigilanza ed il controllo dello Stato. A questo è riservato il rilascio delle attestazioni e dei diplomi».

«Art. 3. – La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senz’altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto.

«L’insegnamento elementare e post-elementare, da impartirsi in 7 anni, è obbligatorio per tutti e gratuito fino ai 14 anni.

«La Repubblica detterà le norme che garantiscano ai più meritevoli l’esercizio di tale diritto.

«Essa detterà altresì le norme perché coloro che non proseguono gli studi frequentino corsi professionali obbligatori e gratuiti atti ad assicurare un’effettiva qualifica di mestiere».

«Art. 4. – Lo Stato, come rappresentante di tutti i cittadini, non fa suo nessun sistema, dogma o principio scientifico o religioso, essendo il suo insegnamento e la formazione della coscienza civile, cui esso mira, fondati sul principio della ricerca della verità, nel rispetto o attraverso la discussione di ogni opinione liberamente professata».

«Art. 5. – La Repubblica garantirà, attraverso lo stato giuridico e nei limiti previsti dalla legge, la effettiva indipendenza, libertà e dignità dell’insegnamento, in essa ricomprendendo in primo luogo la libertà dal timore e dal bisogno».

«Art. 6. – I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono un tesoro nazionale e sono posti sotto la vigilanza dello Stato».

PRESIDENTE domanda all’onorevole Lombardi se intende che della sua formulazione si faccia una discussione speciale, con conseguente votazione, oppure se si riserva, via via che si discuteranno gli articoli proposti dai due Relatori, di intervenire nella discussione e proporre emendamenti concreti.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che sarebbe disposto ad attenersi a quest’ultima soluzione, se ragioni inerenti alla sua qualità di deputato non lo costringessero ad assentarsi dalla riunione.

CEVOLOTTO fa osservare che nella formulazione proposta dall’onorevole Lombardi non vi è la sostituzione di un solo articolo rispetto alla formulazione dei Relatori, ma si tratta di una completa sostituzione. Per questo ritiene che non si possa procedere ad una votazione unica generica.

PRESIDENTE ritiene che la Sottocommissione possa seguire la procedura già usata in altre occasioni e che gli sembra la più logica: scegliere, cioè, tra due diverse articolazioni quella da prendere come base della discussione.

MORO, Relatore, ritiene che solo la formula proposta dai Relatori debba servire come base della discussione, salvo a tener presente, articolo per articolo, la formulazione proposta dall’onorevole Lombardi.

PRESIDENTE è d’accordo. Dichiara aperta la discussione sul primo articolo della formulazione concordata tra i Relatori.

CEVOLOTTO osserva che nella primitiva articolazione proposta dall’onorevole Marchesi vi era il seguente articolo iniziale: «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti». Poiché sembra che l’onorevole Marchesi abbia rinunciato a tale articolo, crede che abbia ragione l’onorevole Lombardi a riproporlo, sia pure sotto altra forma, perché, a suo parere, l’affermazione della libertà della scuola, della scienza e dell’arte, è essenziale e deve costituire il primo punto della trattazione dei problemi culturali e scolastici.

MARCHESI, Relatore, fa presente che anche l’onorevole Moro aveva accettato il primo articolo della sua formulazione, ma in un secondo tempo si è ritenuto che fosse superfluo, essendo già stato affermato precedentemente il principio della libertà del pensiero e delle sue espressioni.

CEVOLOTTO obietta che la libertà della scuola è una cosa diversa dalla libertà di pensiero. L’affermazione della libertà della scuola è essenziale e non deve mancare.

MORO, Relatore, fa presente che nel corso degli articoli il principio della libertà della scuola è riconfermato più volte.

PRESIDENTE ricorda che è stato deciso di esaminare contemporaneamente il testo concordato tra i due Relatori e quello proposto dall’onorevole Lombardi. Poiché il principio della libertà è un principio generalissimo, desidera che la Sottocommissione si pronunci su di esso.

MORO, Relatore, osserva che l’espressione proposta dall’onorevole Lombardi può essere equivoca, perché le parole «libertà nella scuola» possono dar luogo a svariate interpretazioni. Ritiene perciò più opportuno parlare di questa libertà nel corso dell’articolazione, in relazione ai casi in cui essa deve avere una applicazione concreta.

MARCHESI, Relatore, è d’accordo con l’onorevole Moro. Nel caso però che la Sottocommissione intendesse premettere un’affermazione di principio, riterrebbe opportuno tornare alla formulazione del primo articolo della sua relazione.

CEVOLOTTO fa presente che se i Relatori non accettano la dizione proposta dall’onorevole Lombardi, si dichiara favorevole alla formulazione del primo articolo della relazione dell’onorevole Marchesi.

LUCIFERO, ferma restando l’articolazione successiva, non gli dispiacerebbe l’affermazione generale della libertà della scuola.

È d’avviso infatti che, secondo quanto si è fatto in altri campi, qualora si introducesse prima l’affermazione del diritto di libertà e poi si stabilissero nei successivi articoli le limitazioni di questo diritto nell’applicazione concreta, l’articolazione diventerebbe più snella e logica.

MANCINI fa rilevare la differenza esistente tra libertà «della scuola» e libertà «nella scuola». Se il principio che si vuole affermare è quello della libertà «della scuola» aderisce pienamente alla formula più comprensiva e più espressiva dell’onorevole Marchesi.

MASTROJANNI si associa agli onorevoli Cevolotto e Mancini. Ritiene che anche da un punto di vista estetico e formale, la dizione dell’onorevole Marchesi soddisfi le esigenze di una Costituzione, come esordio a tutta l’articolazione che segue per regolare l’insegnamento.

MORO, Relatore, rileva che, come è stato detto dall’onorevole Marchesi, era sembrato ai Relatori più opportuno considerare il principio della libertà della scuola nelle sue concrete espressioni, nell’ambito della articolazione. Nel timore di interpretazioni difformi dalle sue intenzioni e probabilmente da quelle del collega Relatore, sarebbe d’avviso che il primo articolo della relazione dell’onorevole Marchesi non fosse incluso nel testo definitivo.

ROSSETTI dichiara di essere contrario alla formulazione di un principio generale, ma non vorrebbe che una dichiarazione iniziale del tipo proposto facesse perdere di vista l’importanza e la stretta connessione che lega la dichiarazione della libertà di insegnamento all’altra della necessità sociale che lo Stato adempia alla sua funzione di assicurare una istruzione adeguata a tutti i cittadini capaci e meritevoli. Desidererebbe, quindi, che nella materia in esame si seguisse la stessa impostazione di altri precedenti titoli della Costituzione, nei quali al concetto di libertà è andato sempre parallelo, e talvolta anteposto, il concetto della funzione sociale della solidarietà.

In secondo luogo, osserva che se si deve fare un’affermazione di libertà, sarebbe opportuno dire chiaramente quali sono il significato e la portata che a questa affermazione si vuole attribuire. A suo avviso, tale portata dovrebbe essere la più incondizionata e la più radicale, sempre nei limiti di quella finalizzazione della libertà che è stato sostenuto essere il principio della nuova Costituzione. Dall’iniziale dichiarazione della libertà della scienza e dell’arte deve derivare, come assoluta conseguenza, l’impossibilità di esaurire le funzioni dell’insegnamento in un compito statale, e la necessità di affermare quindi che il compito statale di assicurare la libertà dell’insegnamento e di dare in modo adeguato una preparazione culturale a tutti i capaci, deve essere adempiuto col rispetto della spontaneità e libertà di quelle iniziative che si manifestano adeguate ai risultati sociali che si vogliono raggiungere.

LUCIFERO, facendo seguito all’onorevole Dossetti, con il quale concorda, salvo per quanto attiene alla questione della finalizzazione delle libertà, desidera sottoporre all’attenzione della Sottocommissione una formula che, pur riproducendo quella dell’onorevole Marchesi, tende ad integrarla: «L’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti. Pertanto la libertà della scuola è garantita».

DOSSETTI desidera far osservare all’onorevole Lucifero che quanto egli propone è già implicito, mentre il principio che vuole affermare implica conseguenze strutturali dell’ordinamento scolastico, che devono essere riconosciute e difese.

MARCHESI, Relatore, dopo le considerazioni esposte dall’onorevole Dossetti, attribuisce maggior valore all’articolo che aveva già proposto, giacché non può ammettere nessuna finalizzazione di questa libertà, che spetta all’arte ed alla scienza ed ai relativi insegnamenti fuori e dentro la scuola.

D’altra parte non vede quale motivo di preoccupazione possa sorgere in seguito alla affermazione di una libertà che è garantita per tutti. La libertà, affermata in un articolo iniziale e preliminare, non può costituire pericolo nemmeno per una scuola confessionale, giacché questa libertà vale anche per tutte le scuole, mentre se si vuol limitarla e proporzionarla a certe pretese utilità o necessità della vita consociata, il principio verrebbe gravemente intaccato. La scuola, a suo avviso, non è confessionale, non è filosofica, non è dogmatica, perché in essa deve essere ammesso qualunque principio, qualunque metodo di insegnamento, purché non contravvenga ai principî elementari e fondamentali dell’educazione.

Quindi, giacché questo articolo preliminare, che era disposto ad abbandonare, è stato ritenuto limitativo di alcuni diritti, domanda alla Sottocommissione che venga messo in votazione.

MASTROJANNI ribadisce la necessità di inserire nella Costituzione la formula incisiva ed espressiva dell’onorevole Marchesi, la quale dichiara l’universalità della scienza e dell’arte al di sopra di ogni barriera statale e di ogni sentimento nazionale, al di sopra di ogni tendenza, di ogni orientamento politico, giuridico e sociale, rendendo omaggio nel contempo alle manifestazioni eccelse della personalità umana.

DOSSETTI teme di essere stato frainteso dall’onorevole Marchesi. Egli ha voluto, soprattutto, precisare tre cose: in primo luogo, che era favorevole, senza scorgervi alcun pericolo, alla dichiarazione di questa libertà; in secondo luogo che riteneva conveniente che tale dichiarazione fosse fatta parallelamente a quella che è compito sociale dello Stato di assicurare a tutti i capaci l’istruzione adeguata; in terzo luogo, infine, che era disposto ad accettare quella formula, in quanto necessariamente implicava, nel suo sviluppo logico, certe modificazioni di struttura della successiva articolazione, rivolte soprattutto a garantire in pieno la libertà della scuola e delle iniziative non statali, come conseguenza necessaria del principio affermato della libertà dell’arte, della scienza e dei relativi insegnamenti.

Incidentalmente ha parlato di una finalizzazione di questa libertà, come di tutte le altre, ma senza attribuire a questa un significato prevalente, e senza volerle dare un carattere diverso da quello che è stato dato per altre libertà, che anche l’onorevole Marchesi ha accettato, per esempio la libertà di stampa. D’altra parte, non può intendersi la libertà della scuola in termini così assoluti e radicali da ammettere, per esempio, che nella scuola di uno Stato democratico si possa far professione di idee fasciste.

MARCHESI, Relatore, osserva che la scuola pubblica non esclude affatto il sorgere ed il prosperare di altri istituti privati. Il principio a cui si ispira il suo articolo verrebbe ad essere però sminuito, se lo si volesse subordinare alla sola funzione scolastica.

DOSSETTI riconosce la profondità della osservazione; non era suo intendimento dare a questo principio soltanto quel contenuto, ma voleva sottolineare il fatto che tra le necessarie conseguenze di questo principio vi era anche l’affermazione della piena libertà dell’iniziativa privata di insegnamento.

MARCHESI, Relatore, dichiara che con il suo primo articolo intendeva affermare la libertà dell’arte e della scienza, che si deve esercitare dentro e oltre la scuola. L’arte e la scienza hanno espressioni amplissime e molte volte con maggiore efficacia ed utilità sociale si sviluppano al di fuori delle costrizioni scolastiche. Domanda all’onorevole Dossetti in che modo si può finalizzare la libertà di insegnamento, se non venendo a vulnerare tutto il principio. Crede che l’onorevole Dossetti stesso si troverebbe imbarazzato, se dovesse specificare, a garanzia della libertà e della democrazia, entro quali limiti si debba svolgere la libertà di insegnamento.

DOSSETTI non contesta la difficoltà, ma non vorrebbe che in questa sede si venisse a dare ragione a quanto l’onorevole Lucifero diceva in sede di discussione della libertà di stampa. Come è stata superata quella difficoltà, si potrebbe egualmente superarla in materia di libertà della scuola.

MORO, Relatore, ritiene che il corso della discussione abbia dimostrato la fondatezza della esigenza di precisare il principio della libertà della scuola in sede di articolazione, anziché come premessa generale. Comunque, poiché ormai pare che una precisazione sia necessaria, si dichiara lieto di ritornare sulla primitiva proposta – comune a lui e all’onorevole Marchesi – salvo poi collegarla con le successive norme strutturali per assicurare una concreta garanzia di libertà anche alla scuola non statale. Riconosce che il principio della libertà di insegnamento va al di là del problema della scuola, in quanto vi sono forme di arte e di scienza che non hanno bisogno di esprimersi nella scuola; tuttavia crede che potrà studiarsi una formula che, in relazione al principio generale della libertà della scienza, dell’arte e del loro insegnamento, consenta alla scuola privata di affermarsi e di prosperare.

TOGLIATTI teme che si confondano due concetti diversi, cioè: un’affermazione di principio, la quale si riferisce non soltanto alla scuola, ma a tutti gli insegnamenti, ed un istituto particolare quale è la scuola con le sue svariate forme di organizzazione. Crede che nessuno possa mettere in dubbio l’affermazione della libertà degli indirizzi scientifici e artistici dallo Stato organizzati democraticamente, ma se da tale affermazione si vuol fare direttamente discendere la libertà della scuola, ritiene che la conseguenza sia errata, perché non si è più di fronte ad un principio generale, ma alla libertà di un istituto, la scuola, a cui da due opposte correnti politiche si è attribuito un determinato contenuto politico. Mentre la formula dell’onorevole Marchesi è perfettamente coerente con l’organizzazione scolastica prevista nei successivi articoli, in quanto è lo Stato democratico che organizza la scuola sotto il suo controllo e ne garantisce la libertà d’insegnamento, facendo discendere da tale formula il principio che anche la scuola è libera; si avrebbe come conseguenza di inserire nella Costituzione un’altra forma di organizzazione scolastica diversa da quella affermata nell’articolazione dell’onorevole Marchesi.

Conclude dichiarando di approvare l’articolo 1° dell’onorevole Marchesi, senza però aggiungere l’affermazione proposta dall’onorevole Dossetti, che dovrà formare oggetto degli articoli successivi relativi alle funzioni dello Stato nell’organizzazione scolastica.

LUCIFERO ritiene che il dissenso sia più apparente che sostanziale, in quanto gli sembra che la formula dell’onorevole Marchesi porti evidentemente, come prima conseguenza, che la scuola è libera perché nella scuola si danno e si sviluppano gli insegnamenti. Ora quando si ammette che l’insegnamento è libero, non può non essere libera la scuola. Il fatto che vi sia la scuola di Stato, la quale segue determinati ordinamenti e ha una sua determinata organizzazione, che vi sia la scuola privata con altri determinati indirizzi ed infine una scuola individuale che segue anche essa i suoi indirizzi, non può – a suo avviso – costituire materia di dissenso in questo campo. Anche lo Stato che volesse costituire una organizzazione scolastica molto rigida e molto circoscritta dovrebbe ammettere il principio della libertà della scuola, considerando come tale anche lo studio del pittore, ovvero quello del professore universitario che riunisce degli amici per comunicare loro il suo pensiero e le sue idee. Perciò la dichiarazione che la libertà della scuola è garantita, deve essere la logica conseguenza della prima affermazione, in quanto se l’arte e la scienza sono libere, è chiaro che deve essere libera anche la scuola in cui questi insegnamenti si traducono.

In definitiva, ritiene che questa prima parte dell’articolazione possa essere ammessa, perché se si accetta il principio che l’insegnamento è libero, libera è anche la scuola.

MANCINI pone in evidenza il fatto che nella formula dell’onorevole Marchesi non è soltanto compresa la libertà d’insegnamento nella scuola, ma anche la libertà fuori della scuola. Si può infatti insegnare in svariate maniere, non solo dalla cattedra, ma dalla vita e dalla stampa, anche scrivendo un libro che sotto questo profilo deve essere considerato come la forma primigenia dell’insegnamento.

Ora se si mette in rapporto la libertà di insegnamento con la libertà dell’arte e della scienza, il concetto di libertà acquista un significato più ampio e più concreto, poiché l’arte e la scienza non hanno confini: sono universali e superano ogni limitazione.

TOGLIATTI desidererebbe precisare la formula Dossetti. Questa dà per risolto tutto il problema della organizzazione della libertà di insegnamento secondo un determinato indirizzo, mentre la formula generale che è nell’articolo primo dell’onorevole Marchesi afferma la libertà dell’insegnamento in qualunque scuola.

PRESIDENTE, poiché tutti sono concordi sul concetto della libertà dell’insegnamento, indipendentemente da quella che sarà l’organizzazione di questa libertà, che potrà formare oggetto specifico di ulteriore trattazione, ritiene che non vi sia la necessità di affermare che l’arte e la scienza sono libere e liberi sono i loro insegnamenti. A suo avviso, il problema che preoccupa è se l’insegnamento debba avere due manifestazioni, quella della scuola pubblica e quella della privata. Un articolo che contenesse questa proposizione semplice e lasciasse impregiudicata l’organizzazione dei due tipi di insegnamento, offrirebbe la soluzione migliore, salvo stabilire negli articoli successivi le necessarie forme di coordinamento tra insegnamento pubblico ed insegnamento privato.

A tale proposito, propone la seguente formula: «L’insegnamento è libero e si distingue in pubblico e privato».

MARCHESI, Relatore, non comprende per quale ragione una formula così chiara, così comprensiva e così generica e nello stesso tempo così precisa, quale è quella che risulta dalla formulazione del suo primo articolo, debba essere contratta in specificazioni che la immiseriscono. Con «insegnamento» si intende la funzione sia della scuola pubblica e privata, sia quella, in genere, dell’artista e dello scienziato i quali, oltre la loro produzione artistica e scientifica, svolgono ufficio ed opera di maestri. Si dichiara desideroso quanto gli altri colleghi che il diritto della scuola privata venga affermato, ma non trova la ragione per cui in una enunciazione generica che riguarda l’arte, la scienza ed il loro insegnamento, si debba inserire una specificazione relativa alla scuola pubblica e privata.

MASTROJANNI ritiene che non si possa disconoscere che l’insegnamento è la conseguenza logica e naturale di una scienza, di un’arte o di una letteratura. Quindi la premessa dell’onorevole Marchesi è perfettamente logica e, costituendo un omaggio che si rende all’universalità della scienza, deve necessariamente essere affermata nella nuova Costituzione, alla stessa stregua che il lavoro è il fondamento della struttura sociale. Per questi motivi insiste perché l’affermazione dell’onorevole Marchesi costituisca il preambolo per il tema dei rapporti culturali, sia per rendere omaggio alla universalità della scienza, sia per evitare che ad essa, in qualsiasi momento, possano essere opposte barriere o limitazioni d’insegnamento.

CEVOLOTTO insiste perché sia messa in votazione la proposta dell’onorevole Marchesi.

LUCIFERO dichiara di non essere soddisfatto della proposta del Presidente. A suo parere, per quanto non sia stata mai esplicitamente nominata, il punto centrale della discussione riguarda la questione religiosa. Ne fa esplicitamente cenno, in quanto alla scuola religiosa annette grandissima importanza, ritenendo che l’insegnamento in essa impartito debba avere la massima possibilità di sviluppo. L’articolo dell’onorevole Marchesi non ostacola affatto questo insegnamento, perché indubbiamente anche questa scuola, come tante altre, deve essere libera di impartire il suo insegnamento. Infatti la logica conseguenza dell’affermazione della libertà di insegnamento è proprio la libertà della scuola, che è una sottospecie dell’insegnamento. Per questo motivo si dichiara favorevole alla formulazione dell’onorevole Marchesi.

MARCHESI, Relatore, ricorda all’onorevole Lucifero che in un articolo successivo, comune a tutti e due i Relatori, si afferma che la scuola privata ha piena libertà di insegnamento.

LUCIFERO conferma all’onorevole Marchesi che appunto per tale motivo accetta il suo articolo.

MANCINI dichiara che, suo malgrado, non può essere favorevole alla formula proposta dal Presidente, che non ritiene interpreti esattamente il pensiero dell’onorevole Marchesi, essendosi in essa trascurata l’affermazione più importante e più nobile relativa alla libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento. Da questa premessa, così notevole, non crede si possa prescindere, perché dopo aver cercato la Costituzione di affermare tutte le libertà, si oblierebbe proprio la libertà spirituale, la cui espressione tangibile è rappresentata dall’arte e dalla scienza, e nella quale ci siamo rifugiati, come solo ed alto conforto, durante la tirannia fascista. Onde ci appare come il bene più caro e più geloso.

DOSSETTI aderisce all’articolo proposto dall’onorevole Marchesi, ma fa notare che esso dovrebbe essere collegato con il resto delle disposizioni. Poiché ritiene sia necessario uno studio onde stabilire questo collegamento, propone il rinvio della discussione.

MARCHESI, Relatore, si dichiara contrario alla proposta di rinvio. Gli sembra che le preoccupazioni dell’onorevole Dossetti non abbiano serio fondamento, in quanto negli articoli successivi la garanzia di libertà della scuola privata è espressa esplicitamente.

DOSSETTI non è d’accordo con l’onorevole Marchesi. Il rilievo da lui fatto mostra anzi che vi è la necessità di un rinvio. Ripete di essere disposto ad accettare l’articolo dell’onorevole Marchesi, ma, a suo avviso, soltanto un’adeguata meditazione e una coordinazione con gli articoli successivi possono dare al concetto in esso contenuto quella pienezza di significato che è nei comuni intendimenti.

LUCIFERO dichiara che, personalmente, è già perfettamente convinto del contenuto dell’articolo. Se però qualche Commissario ritiene di dover ancora maturare o studiare la questione, non è contrario alla proposta di rinvio, trattandosi di affermazioni della massima importanza, che esigono una perfetta convinzione da parte di chi le deve accettare.

DOSSETTI afferma che la sua proposta di rinvio non ha lo scopo di voler aggiungere qualche altra proposizione all’articolo dell’onorevole Marchesi, ma soltanto di poter trovare anche sugli articoli successivi un accordo che consenta poi di superare con estrema rapidità questo problema, congiuntamente agli altri.

BASSO si dichiara contrario alla proposta di rinvio dell’onorevole Dossetti, proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti stesso, di condizionare cioè la formulazione dell’articolo a un accordo sui successivi articoli. Ritiene che questo sistema sia contrario alla procedura seguita nelle votazioni, dovendosi considerare gli articoli così come vengono presentati, senza regolare il proprio voto in relazione a quello che può essere il contenuto di altri articoli.

CARISTIA ritiene che la proposta dell’onorevole Dossetti non tenda a discutere quello che è il valore del primo articolo su cui tutti sono d’accordo, ma tenda invece ad una maggiore concatenazione di questo primo articolo con gli altri che si dovrebbero successivamente discutere. Ciò potrebbe poi consentire un maggior risparmio di tempo nella discussione che seguirà, in quanto saranno portati all’esame della Commissione articoli ben definiti e concordati.

MORO, Relatore, sarebbe disposto a votare l’articolo integralmente. Ritenendo però che ogni affermazione debba essere collocata secondo un certo ordine sistematico che non può essere deciso in questo momento, si dichiara favorevole alla proposta di rinvio.

MARCHESI, Relatore, riafferma il suo contrario avviso alla proposta di rinvio, osservando che la preoccupazione dell’onorevole Dossetti sarebbe anche sua, se l’articolo potesse generare il sospetto che la libertà della scuola non fosse garantita.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Dossetti di rinviare la discussione alla prossima seduta.

(La proposta è approvata).

La seduta termina alle 12.40.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Marchesi, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi e Merlin Umberto.

MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

25.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Marchesi – Presidente – Togliatti, Relatore – Basso – Mastrojanni – La Pira – Mancini – Lucifero, Relatore – Cevolotto – Lombardi Giovanni – Caristia – Moro – Dossetti.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

MARCHESI ricorda che nella seduta precedente dovette, per motivi di salute, abbandonare la riunione, raccomandando però al Presidente di volerlo considerare presente nel caso che si fosse addivenuti ad una votazione.

PRESIDENTE conferma all’onorevole Marchesi che, come era suo desiderio, egli è stato considerato presente nella votazione. Precisamente, l’onorevole Marchesi limitò la sua richiesta alla proposizione presentata dall’onorevole Togliatti così formulata: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero» ed egli fu accontentato. Se non che a questa prima proposizione, nel corso della discussione, ne furono aggiunte altre, e naturalmente nella votazione di queste successive proposte l’onorevole Marchesi non fu considerato presente.

Comunica all’onorevole Marchesi che le successive proposizioni, nella votazione delle quali egli non fu considerato presente, sono state approvate con 7 voti favorevoli, 6 contrari e uno astenuto. Tra i voti contrari vi furono quelli dell’onorevole Togliatti e della onorevole Iotti Leonilde. Osserva che, se l’onorevole Marchesi lo ritiene necessario, può fare una postuma dichiarazione di voto.

MARCHESI si rammarica di non aver pensato che la sua presenza avrebbe potuto essere tenuta in considerazione soltanto rispetto alla proposta enunciata dall’onorevole Togliatti e considera suo torto non aver preveduto i successivi sviluppi della discussione che ha portato a formulare nuove proposte aggiuntive; se questo avesse potuto prevedere, non si sarebbe allontanato, data l’importanza che aveva il problema in discussione.

Non gli resta ora che dichiarare che, se fosse stato presente, avrebbe votato contro le altre proposte che sono state approvate dopo la prima proposizione dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE chiede ai Relatori se hanno concretato nuove proposte da sottoporre all’esame della Sottocommissione.

TOGLIATTI, Relatore, comunica che i Relatori si sono soffermati sull’esame di una proposta dell’onorevole Dossetti, la quale può fornire la base per la discussione della Sottocommissione. Fa presente però che un accordo tra i Relatori non vi è stato, in quanto nella proposta dell’onorevole Dossetti ci sono alcuni punti da chiarire. Ricorda che nella precedente seduta è stata approvata una proposta che riguardava il riposo, lasciando però in sospeso la formulazione aggiuntiva che era contenuta nell’articolo proposto dall’oratore nella sua relazione. Poiché tale proposta cercava di dare una certa concretezza a questo diritto, affermando che la concessione ai lavoratori delle ferie pagate sarà regolata con legge, domanda se non sia il caso di fermare l’attenzione su tale questione.

BASSO rileva che l’articolo approvato nella seduta precedente in materia di riposo, nella sua scheletrica espressione, non significa nulla. È necessario inserire un’affermazione più concreta. Avrebbe desiderato che si affermasse per lo meno quello che è contenuto nella proposta dell’onorevole Togliatti, e soprattutto la non rinunciabilità al diritto al riposo.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Basso che tutta la materia del riposo, così come è stata formulata nel secondo capoverso dell’articolo 5 proposto dall’onorevole Togliatti, può trovare sede più adatta nel campo legislativo che non in quello costituzionale. A suo parere, avendo affermato nella Carta costituzionale il fondamentale diritto del lavoratore al riposo, la Sottocommissione ha esaurito la sua competenza costituzionale. Il legislatore, naturalmente, dovrà poi tener conto delle modalità attraverso le quali potrà essere assicurato questo diritto al riposo, comprese le ferie pagate e la rinunciabilità o meno.

Ritiene che non sia compito della Sottocommissione affrontare una discussione così delicata come sarebbe quella riguardante il problema della rinunciabilità al riposo sollevata dall’onorevole Basso.

BASSO fa presente che ci sono altre Costituzioni le quali parlano specificatamente di riposo settimanale e di riposo annuale. Osserva che l’affermazione di un diritto al riposo, come è stata enunciata nella proposizione approvata nella seduta precedente, rappresenta una delle tante norme vuote che una Carta costituzionale deve evitare, in quanto il concetto di riposo affermato in un modo così elastico non rappresenta assolutamente una garanzia per il lavoratore.

Osserva che oggi gli operai i quali rinunciano alle ferie ricevono un’ulteriore paga, pari alla paga normale; ora, se questo fatto su un piano economico può essere considerato giusto, non altrettanto può dirsi se si riguarda la questione dal punto di vista fisico del lavoratore.

Pertanto insiste nella sua proposta di affermare la non rinunciabilità alle ferie.

PRESIDENTE ritiene che si possa accedere alla proposta dell’onorevole Basso in quanto non è difficile trovare una formula più felice.

MASTROJANNI crede che un accenno in merito, nella Carta costituzionale, debba farsi, sempre per coerenza con quanto è stato sancito in ordine all’interesse che ha il riposo sia dal punto di vista fisico sia da quello psichico.

LA PIRA, pur ritenendo che sia compito particolare della terza Sottocommissione affrontare questo problema, è d’avviso che nella Carta costituzionale vada precisato il principio affermato dall’onorevole Basso.

MANCINI dichiara di concordare con quanto ha affermato l’onorevole Basso. C’è una legge che riguarda il riposo festivo, ma molte volte questa legge non è presa in considerazione; lo stesso accadrebbe per quanto riguarda il diritto alle ferie, quando si affermasse tale diritto con la formula votata nella seduta precedente, formula che garantisce il diritto al riposo, ma non la sua obbligatorietà.

BASSO propone che, prendendo come base il primo capoverso dell’articolo 5 proposto dall’onorevole Togliatti, si dica: «La legge regola l’orario di lavoro, il riposo settimanale e le ferie annuali retribuite».

PRESIDENTE ritiene che si debba fare un articolo a parte riguardante la materia del riposo. Propone la seguente formula:

«Il diritto al riposo giornaliero, settimanale e annuale è garantito e non è rinunciabile. La legge ne regola le modalità».

LUCIFERO, Relatore, propone di aggiungere nella prima proposizione: «ed è retribuito».

CEVOLOTTO concorda, nella sostanza, con il concetto espresso nella proposta Lucifero, ma fa presente che vi sono degli operai i quali sono pagati a giornata, naturalmente ricevendo un compenso che comprende la giornata festiva non pagata. Non ritiene quindi che sia il caso di precisare che il riposo deve essere retribuito, poiché diversi sono i sistemi di paga, e quindi solo le ferie annuali debbono essere retribuite.

PRESIDENTE comunica che, in considerazione delle osservazioni fatte dall’onorevole Cevolotto, la formula potrebbe essere così completata:

«Il diritto al riposo giornaliero, settimanale, annuale è garantito e non è rinunciabile. La legge ne regola le modalità. Le ferie annuali sono retribuite».

Questo articolo dovrebbe sostituire quello approvato nella seduta precedente:

«Il diritto al riposo è garantito».

Mette ai voti l’articolo nel testo proposto.

(È approvato all’unanimità).

TOGLIATTI, Relatore, fa presente che, risolto questo problema, restano altre questioni, quali quella riguardante l’intervento dello Stato, per regolare l’attività produttiva nell’interesse sociale, la questione del diritto di proprietà nelle sue finalità, nei suoi limiti e nelle sue forme, ed infine quella relativa ai limiti della proprietà fondiaria.

Propone che, per quanto riguarda l’intervento dei lavoratori nella gestione dell’azienda, la Sottocommissione faccia propria la formula approvata dalla terza Sottocommissione, la quale dice:

«Lo Stato assicura il diritto dei lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera. La legge stabilisce i modi e i limiti di applicazione del diritto».

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti che la Sottocommissione faccia proprio l’articolo approvato dalla terza Sottocommissione.

(La proposta è approvala all’unanimità).

TOGLIATTI, Relatore, comunica che, per quanto riguarda gli altri problemi cui ha prima accennato, l’onorevole Dossetti ha cercato di dar loro una formulazione in un solo articolo relativo al diritto di proprietà, nel quale sono contenuti anche gli altri concetti.

Dichiara di accettare come base di discussione l’articolo proposto dall’onorevole Dossetti, riservandosi di proporvi alcune modifiche.

L’articolo è così formulato:

«I beni economici di consumo e strumentali possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato.

«La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e l’affermazione della persona e della sua famiglia.

«Al fine di rendere la proprietà personale in concreto accessibile a tutti e di garantire il coordinamento della vita economica a tutela del diritto alla vita, al lavoro e al benessere per tutti:

la legge determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata dei beni strumentali;

la legge riserva alla proprietà dello Stato, di istituzioni, di comunità di lavoratori o di utenti, determinate categorie di imprese aventi carattere di servizio pubblico o di monopolio di fatto, oppure può trasferire agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, la proprietà di determinate imprese o di determinati complessi di beni».

Dichiara che la sua insoddisfazione si riferisce soltanto al carattere un po’ dottrinale e un po’ astruso di questa formula, e rileva che in essa è troppo attenuato un concetto da lui formulato nel suo primo articolo, nel capoverso in cui si parla dell’intervento dello Stato per dirigere la vita produttiva di tutta la Nazione, secondo un piano che garantisca il massimo rendimento per la collettività.

Desidererebbe infine una formulazione più chiara per quanto riguarda i limiti del diritto di proprietà, e una formulazione più tassativa per ciò che si riferisce al trasferimento a determinati enti di determinati complessi di beni.

PRESIDENTE ricorda alla Sottocommissione gli articoli già adottati in questa materia dalla terza Sottocommissione, dichiarando di ritenere che il compito della prima Sottocommissione debba essere il più possibilmente limitato alle affermazioni e alle enunciazioni di diritti fondamentali, e che ogni ulteriore precisazione spetti alla competenza della terza Sottocommissione.

Conclude proponendo un articolo così formulato:

«La proprietà privata è garantita. Una legge ne segna i limiti nell’interesse della solidarietà sociale e determina l’indennità di espropriazione per pubblica utilità.

«La piccola e media proprietà, la proprietà cooperativa e il risparmio frutto del lavoro, sono particolarmente protetti».

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di ritenere che, essendo già stata presa una deliberazione in merito dalla terza Sottocommissione, che ha un compito specifico, la prima Sottocommissione non debba occuparsi dell’argomento, soprattutto se dovesse allontanarsi da quei principî che la terza Sottocommissione ha già creduto di fissare.

PRESIDENTE apre la discussione sulla mozione d’ordine dell’onorevole Lombardi.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di ritenere che la mozione d’ordine sia giustificata, salva però l’affermazione del diritto, che è di competenza della prima Sottocommissione.

Fa anche presente di aver già espresso le sue riserve in colloqui avuti con i Commissari, prima della seduta, sulla formulazione presentata dall’onorevole Dossetti, e dichiara di preferire la formulazione proposta dal Presidente, la quale ha appunto il carattere di affermazione di un diritto e lascia poi alla terza Sottocommissione il compito di fare l’enucleazione delle conseguenze cui l’affermazione potrebbe dar luogo.

LOMBARDI GIOVANNI fa osservare che la terza Sottocommissione ha già fatto questa affermazione del diritto di proprietà e che l’affermazione di un principio non ha alcuna importanza, se il diritto che ne scaturisce non è finalizzato.

CARISTIA esprime il parere che la prima Sottocommissione si debba limitare a proclamare un diritto essenziale, lasciando alla terza Sottocommissione di determinare le modalità. Pertanto dichiara di accettare come base di discussione la formula proposta dal Presidente, che gli sembra anche troppo estesa.

MASTROJANNI ritiene che non si possa discutere su questo né su altri articoli, se prima non si afferma il principio che tutto quanto la terza Sottocommissione ha formulato è suscettibile di modifiche, qualora i principî che afferma la prima Sottocommissione siano in contrasto con tutte o con una parte delle affermazioni fatte dalla terza Sottocommissione.

Fino a quando questo principio non sia stato affermato, ritiene che la prima Sottocommissione non debba discutere l’argomento, per ragioni di coerenza logica ed anche di prestigio.

PRESIDENTE dichiara all’onorevole Mastrojanni che, formulando la sua proposta, ha inteso riferirsi ai concetti già formulati dalla terza Sottocommissione.

MASTROJANNI esprime il parere che il principio, sia per questa occasione come per l’avvenire, venga affermato, perché la Sottocommissione non deve mantenersi sulla falsariga di quello che altre hanno già stabilito.

CEVOLOTTO riconosce la fondatezza dell’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, rilevando che se la prima Sottocommissione ha il compito di formulare i principî e la terza di applicarli, la logica avrebbe voluto che la terza Sottocommissione fosse subordinata alla prima per quanto riguarda la formulazione dei principî. Le cose in realtà si sono svolte e si svolgono diversamente: ciascuna Sottocommissione lavora per proprio conto e non è il caso di cambiare adesso il sistema. La prima Sottocommissione non deve quindi sentirsi vincolata da ciò che hanno fatto le altre Sottocommissioni. Nel caso di disaccordo, le decisioni dovrebbero essere lasciate alla Commissione plenaria o, eventualmente, alle Commissioni riunite.

MORO osserva che la questione non è nuova. Tutto quello che è stato sancito finora dalla prima Sottocommissione, rientra, in qualche modo, nella competenza della terza. È stato deciso che la prima Sottocommissione dovesse preoccuparsi di fare dichiarazioni di diritti, rinviando alla terza per l’applicazione dei principî posti. Così stando le cose, ritiene si debba continuare nella via seguita sinora, cercando di essere più sintetici nelle formulazioni, ma non dimenticando che si è sempre nel campo di dichiarazione di diritti anche quando si parla di limiti della proprietà.

LUCIFERO, Relatore, rileva che l’osservazione dell’onorevole Mastrojanni è fondata, ma è fondata su una realtà già superata, cioè su di un equivoco che si è creato in tutto il lavoro della Sottocommissione.

La verità è che la prima Sottocommissione avrebbe dovuto lavorare da sola, finire il suo compito e poi, una volta stabiliti i principî generali, la terza Sottocommissione avrebbe dovuto applicarli. Questo lavoro organico e logico non è stato fatto.

Ritiene che, essendo la Sottocommissione delegata a stabilire i principî generali, quanto ha stabilito e stabilirà la terza Sottocommissione debba essere considerato solo come fonte materiale di studio e di consultazione.

In sede di Commissione plenaria, si farà poi quel lavoro di coordinamento che non è stato fatto prima.

TOGLIATTI, Relatore, si associa a quanto hanno dichiarato gli onorevoli Moro e Lucifero. La prima Sottocommissione ha avuto il compito di definire i diritti fondamentali della persona umana. I Commissari ritengono che tra questi diritti vi debba essere il diritto di proprietà, e che esso debba avere determinati limiti. È necessario che la Sottocommissione dica quello che pensa sull’argomento. Se presentasse una formulazione dei diritti fondamentali del cittadino in cui mancasse una indicazione su questo problema, essa non avrebbe adempiuto al suo compito. Se poi l’altra Sottocommissione ha enunciato formule corrispondenti a quelle qui approvate, si vedrà in seguito in che modo accordare le varie formulazioni, in sede di Presidenza o in sede di Commissione plenaria.

MASTROJANNI chiarisce che egli non intende intralciare i lavori della Sottocommissione, ma crede debba espressamente dichiararsi che tutto quanto è stato elaborato e deciso dalla terza Sottocommissione non ha alcun carattere impegnativo, e che la libera discussione dei Commissari non terrà conto di quanto la terza Sottocommissione abbia deciso in materia.

Desidera che una dichiarazione del genere sia inserita in verbale.

PRESIDENTE ritiene che tutti i Commissari siano d’accordo sulla opportunità di stabilire una base determinata e precisa alla discussione dell’argomento in esame.

LA PIRA osserva che la questione non è tanto di decidere la formula da prendere come base della discussione, quanto di stabilire quali sono i concetti che si vogliono affermare come fondamentali per il diritto del lavoro.

Quando la Sottocommissione abbia raggiunto un’intesa sui concetti, si potrà passare alle formulazioni.

Fa presente che se fra il testo proposto dall’onorevole Dossetti e quello proposto dal Presidente ci sono punti di contatto, c’è però una notevole differenza. L’articolo proposto dall’onorevole Dossetti è ispirato al principio di creare un ordinamento economico e sociale il quale garantisca il diritto al lavoro, il diritto alla vita, ecc. Il problema della proprietà privata è visto nel quadro di questo ordinamento, ed è connesso con tutto il resto. Invece nella formula proposta dal Presidente, che è lineare e costituzionale, manca questa connessione. Poiché è del parere che questa connessione debba essere mantenuta, pensa che si possa adottare la formula proposta dal Presidente, integrandola con i principî ispiratori della proposta avanzata dall’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE osserva che il principio ispiratore ed animatore della proposta Dossetti è anche a base della proposta da lui presentata. Propone una breve sospensione della seduta per accordarsi circa una formulazione definitiva.

(La Commissione approva – La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che è stata presentata una formula elaborata dagli onorevoli Dossetti, Togliatti ed altri sulla base della proposta avanzata originariamente dall’onorevole Dossetti. Essa è così concepita:

«I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato.

«La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e lo sviluppo della persona e della sua famiglia.

«Al fine di rendere la proprietà personale in concreto accessibile a tutti di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo e di assicurare quindi il diritto alla vita, al lavoro e al benessere per tutti:

la legge determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione;

la legge riserva alla proprietà dello Stato, di istituzioni, di comunità di lavoratori o di utenti, determinate categorie di imprese aventi carattere di servizio pubblico o di monopolio di fatto, oppure trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, la proprietà di determinate imprese o di determinati complessi di beni».

Ritiene che l’attuale formulazione risulti sufficientemente chiara ed appropriata allo stile che deve avere un’enunciazione di principî in sede costituzionale.

Comunica inoltre che è stata presentata, da parte dell’onorevole Lombardi una formulazione sostitutiva di quella letta precedentemente, espressa nei seguenti termini:

«È garantita la sola proprietà gestita da conduttori e lavoratori diretti o da cooperative».

Apre la discussione sulle proposte presentate.

LUCIFERO, Relatore, osserva che era stata avanzata, oltre alla formula dell’onorevole Dossetti, una formula del Presidente che egli aveva, sia pure con riserva, accettato come base della discussione.

Non può accettare, invece, nel modo più assoluto, la nuova formula testé letta e desidera che questa sua dichiarazione sia consacrata a verbale, perché ritiene che decisioni di tanta gravità debbano essere prese in piena responsabilità da ciascuno dei Commissari, e che le conseguenze di certe innovazioni probabilmente andranno al di là di quello che molti pensano. La proposta Dossetti non può essere assolutamente presa come base di discussione, perché preclude completamente la possibilità di esaminare soluzioni o di giungere a conclusioni che non siano in essa contenute.

PRESIDENTE fa presente che, essendo l’articolo proposto dall’onorevole Lombardi il più radicale e il più semplice, spetta ad esso la precedenza nella votazione. Apre la discussione sulla proposta presentata dall’onorevole Lombardi.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara con rincrescimento di dover dare un voto che deluderà l’onorevole Lombardi. Fa presente che si sta scrivendo una Costituzione che non è una Costituzione socialista, ma è la Costituzione corrispondente ad un periodo transitorio di lotta per un regime economico di coesistenza di differenti forze economiche che tendono a soverchiarsi le une con le altre. In questo periodo è evidente che la lotta che si conduce non è diretta contro la libera iniziativa e la proprietà privata dei mezzi di produzione in generale, ma contro quelle particolari forme di proprietà privata che sopprimono l’iniziativa di vasti strati di produttori e, particolarmente, contro le forme di proprietà privata monopolistiche, specie nel campo dei servizi pubblici, che tendono a creare nella società dei concentramenti di ricchezze che vanno a danno della libertà della grande maggioranza dei cittadini, e quindi vanno a scapito dell’economia e della politica del Paese.

La formula presentata dall’onorevole Lombardi non corrisponde a questa impostazione politica e a questa realtà. Comprende che in questa formula vi è un lontano spirito socialista e forse per questo egli potrebbe, accogliendo in parte l’espressione dell’onorevole Lombardi, invitare i colleghi del suo partito a non votare contro, ma ad astenersi dal prendere parte alla votazione.

BASSO e MANCINI si associano alle dichiarazioni dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lombardi.

(È respinta con 9 voti contrari, 1 favorevole e 5 astenuti).

LOMBARDI GIOVANNI desidera sapere dai compilatori della proposta che ha preso a base l’articolo dell’onorevole Dossetti, e che riproduce in gran parte la legislazione vigente in materia di proprietà, senza alcun lume per l’avvenire e senza alcuno spiraglio per una proprietà collettiva, che cosa intendono quando dicono che i beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere anche proprietà di «istituzioni». Domanda se non si voglia far rivivere la mano morta rilevando che, in tal caso, verrebbe sovvertita la legge del 1876.

DOSSETTI osserva che la legge del 1876 è sovvertita da molto tempo.

LOMBARDI GIOVANNI obietta che è sovvertita in fatto, non in diritto, perché si danno nomi falsi alle proprietà pubbliche della Chiesa; ma la legge del 1876 è in pieno vigore, anzi è da sperare che essa possa essere attuata in pieno.

MASTROJANNI dichiara di ritenere che debba essere per primo esaurito l’argomento trattato dall’onorevole Lucifero, se si debba, cioè, discutere sulla proposta presentata dal Presidente o sull’articolo formulato in base a quello presentato dall’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE dichiara di ritirare la sua proposta.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di ripresentarla facendola propria.

DOSSETTI spiega che il significato della parola «istituzioni» deve essere inteso nel senso rigorosamente tecnico, cioè di ente collettivo la cui finalità è trascendente rispetto a quella che venga egualmente determinata dall’autonomia negoziale dei singoli componenti dell’ente o delle persone a beneficio delle quali l’ente può operare. Il concetto di istituzione è un concetto esclusivamente orientato verso una finalità di interesse collettivo, o per lo meno di interesse pubblico. Non c’è evidentemente una istituzione, nel senso che egli ha precisato, là dove vi sia un ente collettivo che però abbia un fine immanente rispetto al singolo componente o alle persone a beneficio delle quali immediatamente l’attività dell’ente si esplica. Dichiara di aver ritenuto opportuno includere anche il termine «istituzioni» perché le cooperative non rispondono a queste finalità, in quanto esse hanno per definizione una finalità immanente a quella dei singoli componenti.

D’altra parte lo Stato, a sua volta, rappresenta la forma suprema di attività collettiva. Tra l’una e l’altra forma si doveva insinuare anche il tipo di ente collettivo la cui finalità trascende quella dei singoli componenti, senza arrivare alla forma suprema di trascendenza che è quella dello Stato.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara insoddisfatto, perché la spiegazione dommatica data dall’onorevole Dossetti conferma proprio il suo sospetto. Si tratta non di benefici contingenti, ma di benefici che vanno alla collettività e che sono della collettività; quindi qualunque collettività di natura prettamente religiosa, non laica, può avere delle proprietà private. È appunto contro questo pericolo che l’oratore eleva la sua protesta, anche perché considera ancora in vigore la legge del 1876, che a suo avviso non è stata modificata.

DOSSETTI risponde all’onorevole Lombardi non essere vero che la legge cui egli si riferisce non sia stata modificata. Del resto quella legge si ispirava a dottrine che sono completamente agli antipodi di quelle a cui si ispira l’onorevole Lombardi, si ispirava cioè ai criteri dell’economia liberistica che vedeva nei beni in mano agli ecclesiastici un ostacolo al libero svolgimento delle attività economiche: ora questo, da un punto di vista socialistico, non può essere sostenuto.

PRESIDENTE rileva che dovrebbe essere messa ai voti la proposta da lui originariamente presentata e poi abbandonata, e fatta propria dall’onorevole Lucifero. Dichiara che non ha difficoltà a votare la nuova formula concordata tra l’onorevole Dossetti e l’onorevole Togliatti, e che si asterrà dal votare la sua formula primitiva, perché, pure avendola ritirata, non può votare contro per ragioni di coerenza.

LUCIFERO, Relatore, afferma di essere enormemente preoccupato per l’articolo presentato dagli onorevoli Dossetti e Togliatti, il quale non è altro che la primitiva formula lievemente modificata nella forma, senza alcuna modificazione sostanziale. Dichiara di non essere preoccupato per l’affermazione che si può definire rivoluzionaria in esso contenuta, in quanto egli ritiene che le rivoluzioni si debbono fare quando sono mature, e il modo più civile di farle è attraverso la legge; ma perché egli vede in esso un articolo demagogico, che può aprire la porta ad una infinità di questioni. Domanda all’onorevole Dossetti che cosa, secondo la sua formula, diventa il risparmio investito in capitali azionari. È questa una delle possibilità che ha il lavoratore di impiegare il suo risparmio, diventando così capitalista, ed è la più tipica forma di capitalizzazione in quanto è quella del capitalismo anonimo e irresponsabile. Ha prospettato uno soltanto dei tanti casi che si possono presentare con certe formulazioni che sono molto seducenti a leggersi, ma che poi non potranno servire di base ad una legislazione e se mai daranno luogo a discussioni contradittorie.

I concetti contenuti nella formula presidenziale da lui fatta propria non corrispondono del tutto alle sue convinzioni, ma sono chiare e accessibili al legislatore e a chi deve interpretare la legge; pertanto insiste su tale formula.

MASTROJANNI si associa alle argomentazioni dell’onorevole Lucifero.

CEVOLOTTO non ritiene che la questione abbia una portata così essenziale come vorrebbe darle l’onorevole Lucifero. Si asterrà quindi dal voto.

LUCIFERO, Relatore, chiede che la sua proposta venga presa come base di discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero di prendere come base di discussione la formula da lui sostenuta.

(È respinta con 9 voli contrari, 2 favorevoli, 3 astenuti).

Legge la prima proposizione dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti:

«I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato».

CEVOLOTTO non crede che la prima parte si possa discutere, se non si collega con la seconda che la completa. È poi d’avviso che quando si parla di proprietà privata non ci si riferisca soltanto ai beni di consumo e ai mezzi di produzione, ma a tutta la proprietà privata e quindi anche a quella azionaria cui accennava l’onorevole Lucifero. Evidentemente è riconosciuta la possibilità di essere proprietari di azioni, né potrebbe essere altrimenti in quanto le azioni, ora, sono tutte nominative.

PRESIDENTE integrando la proposta dell’onorevole Cevolotto, ritiene che, per la logica stessa dei concetti esposti, il capoverso dell’articolo debba precedere la prima parte; cioè debba farsi luogo innanzi tutto alla dichiarazione del riconoscimento della proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio.

CEVOLOTTO osserva che nell’espressione «La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio» non si considera che la proprietà privata non è soltanto frutto del lavoro e del risparmio, ma è anche conseguenza di eredità. Con la formula proposta si esclude il caso dell’eredità, cioè il diritto di acquisizione della proprietà per trasmissione a causa di morte. Questo caso non può essere a suo avviso trascurato in una Costituzione.

Circa la proposta dell’inversione dei due primi commi dell’articolo proposta dall’onorevole Dossetti si dichiara d’accordo con il Presidente.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Cevolotto che la terza Sottocommissione ha garantito in un articolo apposito il diritto di proprietà come frutto di eredità.

MASTROJANNI fa osservare che per la prima volta si affronta la questione della proprietà, e per la prima volta si modifica il concetto di proprietà quale era affermato secondo il diritto romano. Questa innovazione modificatrice delle tradizioni seguite fino ad oggi implica l’obbligo di sostituirle con un’altra affermazione che sia altrettanto precisa quanto quella dell’antico diritto di Roma, che con tanta latitudine la considerava con la famosa formula usque ad sidera et usque ad inferos. Se ora, così come sembra, si infrange questa concezione giuridica, la sua sostituzione richiede una formulazione degna almeno in parte della prima. Egli invita la Sottocommissione a voler affermare il concetto di proprietà, qualunque sia l’orientamento politico, in modo categorico e solenne.

Circa la prima affermazione: «I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato» l’oratore domanda che cosa si è voluto affermare. A suo parere nulla, perché, a meno che non si tratti di res nullius, le cose devono appartenere a qualcuno. Di conseguenza crede che sull’argomento i Relatori debbano illustrare ulteriormente il loro pensiero.

La formula proposta continua dicendo: «La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e l’affermazione della persona e della sua famiglia». A suo parere, se si dice «la proprietà privata» si vuole stabilire il principio che questa sia antitetica con la proprietà collettiva e si viene così a mettere in dubbio il riconoscimento della proprietà collettiva, verso cui sembra invece orientata la maggior parte dei componenti la Sottocommissione. Perché si vuol costituire questa antitesi? È questa un’altra domanda che ha bisogno di una delucidazione.

La terza proposizione dell’articolo Dossetti dice: «Al fine di rendere la proprietà personale in concreto accessibile a tutti». Con questa espressione o si disconosce la famiglia, disintegrandola e dando all’individuo tutti gli attributi per cui egli, immesso nella società, non ha bisogno della compagine familiare per perfezionare la sua personalità, oppure occorre integrare la formula affermando che si tratta di proprietà personale o familiare.

Infine l’articolo dice: «La legge determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione». È il caso di domandarsi quale ragione vi sia di precisare questi che sono gli unici mezzi giuridici e naturali per entrare in possesso della proprietà; a meno che non si ammetta che si possa divenire proprietari attraverso mezzi illeciti.

Concludendo dichiara che la formulazione dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti deve essere sostanzialmente riformata, oppure si deve ritornare alla formula lapidaria proposta in un primo tempo dal Presidente.

DOSSETTI si dichiara innanzi tutto contrario all’inversione nell’ordine dei due capoversi. Fa poi osservare all’onorevole Mastrojanni che il primo comma è tutt’altro che pleonastico, se l’onorevole Lombardi ha dichiarato che avrebbe votato contro di esso perché vi trovava affermate possibilità di proprietà che non è disposto a riconoscere. II significato del primo comma è proprio quello di affermare le possibilità di proprietà che vengono riconosciute e garantite dalla Costituzione, il che vuol dire che viene assicurato costituzionalmente un diritto dei privati di avere, entro certi limiti, una proprietà che non può essere conculcata sino ad essere completamente rinnegata; e si riconosce altresì un diritto di avere una proprietà alle istituzioni, alle cooperative e finalmente allo Stato.

Quanto poi alle osservazioni fatte circa la enunciazione riguardante la proprietà frutto del lavoro e del risparmio, si richiama ad una sua precedente affermazione che il risparmio è strettamente connesso al concetto di proprietà, così come il concetto di proprietà va connesso a quello del risparmio.

La proprietà che deve essere garantita dalla Costituzione è soltanto quella che è frutto del lavoro e del risparmio. Con ciò non si vuole escludere la proprietà privata che, nei limiti in cui è frutto del lavoro e del risparmio, si acquista per successione ereditaria. Questo va strettamente connesso a quanto ha stabilito la terza Sottocommissione.

LOMBARDI GIOVANNI domanda ai compilatori della proposta in esame come possono determinare la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio. Quando in un Codice si afferma che la proprietà privata è frutto del lavoro, ci si può domandare: di quale lavoro? Come? Perché? Chi la determina? Chiunque può avere un plus valore del suo lavoro, e allora costui ha più di quello che la legge gli consentirebbe di avere. Solo il plus valore può dare un margine per acquistare delle proprietà. C’è chi lavora 50 e 60 anni e non ha mai avuto il modo di costituirsi la più piccola proprietà, e c’è invece chi nel giro di pochi mesi si costituisce un patrimonio. Data l’impossibilità di individuare il lavoro come generatore di proprietà, non può venire affermato il concetto di una proprietà frutto del lavoro, concetto che contrasta sia con la dottrina dei Padri della Chiesa, sia con le dottrine economiche che vanno da Carlo Marx a Lassalle.

CEVOLOTTO dichiara che anche dopo le spiegazioni dell’onorevole Dossetti la formulazione proposta non lo persuade. Quando si parla di beni economici di consumo e mezzi di produzione, deve restare inteso che nei beni economici sono compresi anche i beni stabili, perché sarebbe inconcepibile che lo Stato o le istituzioni non fossero capaci di proprietà di beni immobiliari.

Circa la parola «istituzioni», dubita che la definizione datane dall’onorevole Dossetti possa essere accettata universalmente. Domanda se nelle istituzioni dovrebbero essere comprese le società anonime.

DOSSETTI dichiara che non vi sono comprese e che la società anonima deve essere considerata come una società privata.

CEVOLOTTO osserva che se la società anonima è compresa tra le società private, occorre domandarsi se la proprietà delle società anonime sarà poi riconosciuta come frutto del lavoro e del risparmio. In caso affermativo, poiché la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio viene riconosciuta, dovrebbe essere riconosciuta anche la proprietà delle società anonime.

Osserva anche che se non si fa cenno alla proprietà derivante da eredità, si potrebbe trarne la conseguenza che la proprietà che deriva dal frutto del lavoro e del risparmio è riconosciuta, e non è riconosciuta invece quella che deriva dall’eredità. Per queste ragioni la formula non lo soddisfa.

CARISTIA richiama la Commissione al concetto opportunamente espresso dall’onorevole Togliatti, che si sta facendo una Costituzione la quale deve aderire all’attuale momento storico. Esiste una proprietà costituita, e si può accettare o non accettare quello che è lo stato di fatto; ma è inutile e pericoloso dare in questa sede una definizione della proprietà che è molto difficile e dovrebbe essere lasciata alla casistica.

Osserva che con l’espressione: «la proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio», una gran parte della proprietà attualmente esistente viene dichiarata illecita, sicché domani il legislatore, in base a questo principio, potrebbe benissimo emanare una legge in cui si stabilisse che una proprietà che non sia frutto di lavoro e di risparmio non viene riconosciuta. Ritiene perciò che questa espressione dovrebbe essere cancellata dall’articolo come superflua.

Conclude invitando i Commissari a fare uno sforzo affinché si trovi una formulazione in cui i principî che si vogliono affermare siano espressi in una maniera più scheletrica, più felice e più conforme a quella che deve essere la formulazione statutaria.

MORO rileva che nella discussione è emerso un dissenso che non riguarda soltanto la formulazione più o meno felice dell’articolo, ma la sua sostanza. Fa presente che la formula proposta dall’onorevole Dossetti tiene conto di una finalizzazione della proprietà privata che risponde all’orientamento di alcuni dei Commissari. Se si ponesse una formula generale che dichiarasse il diritto di proprietà, specificando le forme di acquisto e dicendo che questa proprietà può appartenere a determinati enti, si sarebbe detto poco dal punto di vista della finalizzazione della proprietà che sta a cuore ad alcuni Commissari. La seconda parte dell’articolo risponde a questa esigenza, in quanto dichiara da un lato che bisogna attuare un coordinamento delle iniziative economiche, allo scopo di rendere accessibile a tutti la proprietà e allo scopo di garantire in concreto quel diritto alla vita ed al benessere che non potrebbe essere garantito se non intervenisse una disciplina in questo senso del diritto di proprietà, e dall’altro lato parla dei limiti di estensione del godimento e dell’espropriazione che sono i casi contemplati nell’ultima parte.

In sostanza, nel corso della discussione si sono manifestate due concezioni diverse: la concezione che la proprietà non dovrebbe essere affermata nella Costituzione, e la concezione che accetta il diritto di proprietà, ma vuole che esso sia finalizzato costituzionalmente, nel senso di permettere a tutti un accesso alla proprietà e un coordinamento della vita economica per il benessere di tutti. Su queste due concezioni i Commissari dovrebbero affermare le loro rispettive posizioni, che appunto riguardano non una formula o un’altra, ma la sostanza stessa dell’argomento in discussione.

CARISTIA dichiara di non avere inteso di affermare che il diritto di proprietà debba essere esercitato in maniera arbitraria indipendentemente dagli scopi sociali e dagli interessi collettivi, perché anzi è d’accordo in questi concetti. Ma tra questo e l’ammettere che si dia una definizione della proprietà c’è molta differenza. Ha inteso solamente esprimere il suo dubbio sull’opportunità di fare specificazioni.

LA PIRA ricorda il messaggio di Pentecoste inviato dal Pontefice nel 1941, in cui si dice che il diritto al lavoro condiziona il diritto di proprietà. Quindi quando egli e i colleghi di parte democristiana affermano che il diritto di proprietà deve essere finalizzato, lo affermano proprio in quel senso, che cioè il diritto di proprietà è condizionato al lavoro, e deve essere connesso con un ordinamento economico tale che garantisca il diritto al lavoro, alla vita e così via. Questo è il pensiero affermato nella formula dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE comunica che sulla prima parte dell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti, l’onorevole Cevolotto ha presentato un emendamento così formulato: «La proprietà privata delle persone fisiche e delle persone giuridiche, frutto del lavoro e del risparmio o come conseguenza di una eredità, o comunque acquisita nei modi stabiliti dalla legge, è riconosciuta».

TOGLIATTI, Relatore, osserva che nella formula proposta dall’onorevole Cevolotto non vi è più nulla di quello che era contenuto nell’articolo proposto dall’onorevole Dossetti, il quale intendeva definire quali sono le persone fisiche e quali le persone giuridiche; manca inoltre una qualsiasi qualificazione della proprietà.

CEVOLOTTO replica che con la formula dell’onorevole Dossetti si verrebbe a togliere il diritto di proprietà a determinate categorie. Il riconoscere questo diritto a quelle categorie che sono menzionate nell’articolo è una cosa che si può accettare; ma il togliere implicitamente il diritto di proprietà o rendere possibile il toglierlo alle persone giuridiche e alle persone fisiche in quanto lo abbiano per eredità o per altra ragione, va al di là di quello che si può affermare in una Costituzione, la quale, secondo quello che è stato detto anche dall’onorevole Togliatti, deve essere basata sulla situazione attuale in Italia. Ammette che si possa finalizzare il diritto di proprietà, ma una cosa è finalizzarlo e una cosa abolirlo.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Caristia ha presentato una formulazione così emendata: «Il diritto di proprietà è garantito. La legge ne regola l’esercizio al fine di garantire la libertà e lo sviluppo della persona e della sua famiglia. I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato».

CEVOLOTTO dichiara di accettare quest’emendamento e di ritirare il suo, salvo poi a ripresentarlo nel caso che l’emendamento dell’onorevole Caristia venga respinto.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di essere contrario all’emendamento.

DOSSETTI osserva che nell’emendamento dell’onorevole Caristia vi è una deviazione troppo forte dai concetti contenuti nella sue proposta.

PRESIDENTE invita la Commissione a trovare una base di intesa sull’emendamento dell’onorevole Caristia, facendo anche un particolare riferimento al risparmio.

MORO, in merito a quanto l’onorevole Cevolotto ha detto circa la successione ereditaria, ricorda che la terza Sottocommissione ha votato un articolo in cui è affermato che il diritto di trasmissione è garantito e che spetta alla legge di stabilire i limiti della successione legittima, di quella testamentaria ed i diritti della collettività. Propone di aggiungere alla formula Dossetti questa dichiarazione.

Non accetta l’emendamento dell’onorevole Caristia, perché esso non tiene conto di un complesso di elementi essenziali.

PRESIDENTE mette ai voti l’emendamento dell’onorevole Caristia.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di votare tanto contro l’emendamento dell’onorevole Caristia quanto contro l’articolo concordato.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro l’emendamento dell’onorevole Caristia e contro l’articolo concordato, perché la formula non soddisfa le esigenze della Costituzione, né identifica la proprietà nella sua essenza, per le ragioni che ha precedentemente espresse.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che, pur non essendo soddisfatto della formula dell’onorevole Caristia, la ritiene migliore di quella originaria e pertanto voterà in suo favore.

(L’emendamento è respinto con 11 voti contrari e 4 favorevoli).

PRESIDENTE comunica che, essendo stato respinto l’emendamento Caristia, viene riproposto quello dell’onorevole Cevolotto, consistente nell’inserire dopo il secondo comma dell’articolo proposto dai Relatori la seguente proposizione:

«La proprietà privata delle persone fisiche e delle persone giuridiche, frutto del lavoro e del risparmio o come conseguenza di un’eredità, o comunque acquisita nei modi stabiliti dalla legge, viene riconosciuta».

Mette prima in votazione tale emendamento.

(L’emendamento è respinto con 11 voti contrari, 3 favorevoli e 1 astenuto).

Mette ai voti i primi due commi della formula concordata dagli onorevoli Dossetti e Togliatti:

«I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato».

«La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e lo sviluppo della persona e della sua famiglia».

BASSO dichiara che voterà a favore di queste due proposizioni. Non è però sicuro se tra i beni strumentali, tra i mezzi di produzione, venga considerata anche la terra. Pertanto dichiara che voterà a favore di queste due proposizioni, intendendo però che la terra debba essere compresa tra i beni strumentali.

CEVOLOTTO dichiara di votare contro, non perché sia contrario al primo comma che accetterebbe in sé, ma perché, per le ragioni che ha esposto, non può accettare il secondo comma.

PRESIDENTE dichiara di votare a favore di questa formula, anche se ha votato a favore dell’emendamento dell’onorevole Caristia, in quanto non trova contradizione tra il primo voto e questo, poiché apprezza l’emendamento dell’onorevole Caristia, come un’attenuazione della formula primitiva dei Relatori, che non contrasta con il pensiero e con la sostanza della proposta dei Relatori stessi.

(I primi due commi sono approvati con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

Mette ai voti il terzo comma dell’articolo che è il seguente:

«Al fine di rendere la proprietà personale in concreto accessibile a tutti, di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo, e di assicurare quindi il diritto alla vita, al lavoro ed al benessere per tutti, la legge determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione».

MORO propone che il comma sia così formulato:

«Allo scopo di rendere la proprietà personale in concreto accessibile a tutti e di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo per la tutela del diritto al lavoro e ad una vita degna per tutti i cittadini, la legge, ecc.».

PRESIDENTE dichiara che parte degli emendamenti sostitutivi dell’onorevole Moro potrebbero essere accettati, e propone a sua volta che, per rendere più accentuato il concetto, siano aggiunte le parole: «in concreto» dopo la parola: «quindi». La dizione di questa parte dell’articolo verrebbe ad essere così la seguente: «Allo scopo di rendere la proprietà personale accessibile a tutti e di assicurare quindi in concreto il diritto alla vita, al lavoro ed al benessere per tutti, la legge, ecc.».

MORO propone si dica: «una vita degna per tutti i cittadini», cumulando insieme i due concetti del diritto alla vita e del diritto al benessere.

PRESIDENTE pone ai voti il seguente testo:

«Allo scopo di rendere la proprietà personale accessibile a tutti, di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo e di assicurare, quindi, in concreto il diritto al lavoro e ad una vita degna per tutti i cittadini, la legge determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione».

BASSO dichiara di essere piuttosto perplesso di fronte alla dizione proposta. Ha l’impressione che in questa formula breve: «coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo», si racchiudano due concetti che egli avrebbe voluto affermati espressamente. Uno è quello espresso nel primo articolo della relazione dell’onorevole Togliatti, circa il diritto dello Stato, di determinare i piani di produzione e di investimento. In quanto all’altro, avrebbe desiderato ci fosse nell’articolo una formulazione precisa per stabilire che la proprietà non può essere esercitata in senso contrario alla utilità sociale, negando il principio romanistico dello fus abutendi».

LA PIRA osserva che questo concetto che la proprietà non possa essere usata contro l’utilità sociale è implicito nella formula proposta.

BASSO è d’avviso che tale concetto debba essere espresso in maniera esplicita. Fa presente che il suo voto su questa formula non pregiudica il suo intendimento di proporre aggiunte ed emendamenti.

CEVOLOTTO dichiara che si asterrà dalla votazione avendo votato contro la prima parte dell’articolo.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro la formula, perché questa, mentre si preoccupa di soddisfare formalmente le tradizioni storiche e giuridiche del concetto di proprietà, in concreto svuota il concetto stesso di ogni suo contenuto sostanziale.

Alla prima affermazione, per la quale si riconosce il diritto di proprietà, consegue una serie di limitazioni, le quali significano non diritto di proprietà, ma solo parziale godimento della proprietà stessa, godimento che egualmente deve essere finalizzato a concetti politici, i quali possono contrastare con quelle che sono le esigenze delle tradizioni storiche della nostra razza.

Rileva che se, come l’onorevole Togliatti ha affermato, si vuol formare oggi una Costituzione la quale deve essere un ponte di transizione e di passaggio per la trasformazione lenta e progressiva degli ordinamenti sociali, non si deve, attraverso questa formula energica e ardita, costituire premesse tali che possano poi degenerare in vere e proprie rivoluzioni.

CARISTIA dichiara di astenersi dalla votazione per i motivi già espressi.

(La formula è approvata con 10 voli favorevoli, 3 contrari e 2 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che il testo concordato prosegue in questi termini: «la legge riserva alla proprietà dello Stato, di istituzioni, di comunità, di lavoratori o di utenti, determinate categorie di imprese aventi carattere di servizio pubblico o di monopolio di fatto, oppure trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, le proprietà di determinate imprese o di determinati complessi di beni».

Apre su di esso la discussione.

MORO desidera proporre alcune modifiche di forma. Anzitutto ritiene preferibile non ripetere la parola: «la legge» nei due capoversi dell’articolo.

Basterà dire: «la legge: determina i modi di acquisto e di trasferimento… riserva, ecc.».

Quanto all’ultimo capoverso dell’articolo, propone che esso sia modificato nel modo seguente: «riserva allo Stato, ad istituzioni, a comunità di lavoratori o di utenti, la proprietà di determinate categorie di imprese, aventi carattere di servizio pubblico di monopolio di fatto; disciplina e trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, la proprietà di determinate imprese o complessi di beni».

DOSSETTI osserva che queste ultime proposte di modificazione non sono di forma, ma di sostanza. È la legge stessa che deve provvedere e non può limitarsi a disciplinare in via normativa.

MORO osserva che, allora, il terzo punto dell’ultimo capoverso si può formulare così: «trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, ecc.».

I capoversi dell’articolo verrebbero espressi nel modo seguente:

determina i modi di acquisto, ecc.

riserva allo Stato, ecc.

trasferisce agli enti suddetti, ecc.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole all’articolo, ma di essere costretto ad astenersi dalla votazione per coerenza con quanto ha detto prima.

PRESIDENTE mette ai voti l’ultimo capoverso dell’articolo colle modifiche proposte dall’onorevole Moro.

(È approvalo con 11 voti favorevoli e 2 astenuti).

Fa presente che il testo dell’articolo, dopo le varie modifiche, risulta così formulato:

«I beni economici di consumo e i mezzi di produzione possono essere in proprietà di privati, di cooperative, di istituzioni o dello Stato.

«La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio, viene riconosciuta al fine di garantire la libertà e lo sviluppo della persona e della sua famiglia.

«Allo scopo di rendere la proprietà personale accessibile a tutti, di coordinare le attività economiche nell’interesse collettivo e di assicurare quindi in concreto il diritto al lavoro e ad una vita degna per tutti i cittadini, la legge:

determina i modi di acquisto e di trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento della proprietà privata della terra e degli altri mezzi di produzione;

riserva allo Stato, ad istituzioni, a comunità di lavoratori o di utenti, la proprietà di determinate categorie di imprese aventi carattere di servizio pubblico o di monopolio di fatto;

trasferisce agli enti suddetti, mediante esproprio con indennizzo, la proprietà di determinate imprese o di determinati complessi di beni».

Domanda all’onorevole Basso se insiste negli articoli aggiuntivi da lui proposti.

BASSO dichiara di insistere perché vengano messi in votazione.

PRESIDENTE dà lettura del primo articolo aggiuntivo proposto dall’onorevole Basso:

«Il diritto di proprietà non può essere esercitato in modo contrario all’utilità sociale, o in modo da arrecare pregiudizio alla libertà e ai diritti altrui».

DOSSETTI dichiara di non ritenere che questo comma debba essere messo in discussione. Osserva che quando si dice che la legge regola le modalità di godimento della proprietà, si è detto tutto.

Quanto poi alla finalizzazione della proprietà il cui diritto, secondo la proposta dell’onorevole Basso, deve essere esercitato in modo da non arrecare pregiudizio alla libertà ed ai diritti altrui, c’è da osservare che nel testo dell’articolo approvato è stato detto qualche cosa di più: non ci si è accontentati della norma romanistica del neminem laedere, ma si è fatta un’affermazione più forte.

Dichiara che, per le ragioni espresse, voterà contro la formula proposta dall’onorevole Basso, perché essa indebolisce e non rafforza la portata dell’articolo che è già stato approvato.

PRESIDENTE mette ai voti il comma aggiuntivo proposto dall’onorevole Basso.

TOGLIATTI dichiara che voterà a favore del comma proposto dall’onorevole Basso ad abundantiam, in quanto riconosce che la sostanza di questo comma è già contenuta nell’articolo approvato.

PRESIDENTE dichiara che voterà contro il comma proposto dall’onorevole Basso per le stesse ragioni per le quali l’onorevole Togliatti ha dichiarato di votare in favore.

(È respinto con 5 voti contrari e 5 favorevoli).

Avverte che l’onorevole Basso ha presentato un altro comma aggiuntivo del seguente tenore: «Spetta ai pubblici poteri stabilire piani economici nazionali e locali per regolare e coordinare le attività attinenti agli investimenti, alla produzione, allo scambio e alla distribuzione dei beni e dei servizi».

Dichiara che voterà contro l’articolo proposto dall’onorevole Basso, in quanto superato dal precedente articolo approvato.

DOSSETTI osserva anch’egli che la proposta Basso non fa che ripetere quanto è già detto nell’articolo fondamentale approvato. Quanto alla parte puramente esecutiva, questa dovrebbe essere riservata alla competenza della terza Sottocommissione, la quale del resto vi ha già provveduto con un articolo in via di redazione definitiva, in cui è detto:

«L’attività economica privata e pubblica deve tendere a provvedere i cittadini dei beni necessari al benessere e la società di quelli utili al bene comune. A tale scopo l’attività privata è armonizzata a fini sociali da forme diverse di controllo periferico e centrale determinate dalla legge».

Il principio della pianificazione è stato fissato nell’articolo già approvato dalla Sottocommissione; quello che attiene all’esecuzione del principio è stato approvato dalla terza Sottocommissione.

Voterà contro la proposta dell’onorevole Basso, in quanto essa richiama l’attenzione su di un punto particolare che non può essere visto isolatamente, ma inserito in una visione unitaria che è quella espressa dall’articolo approvato.

BASSO dichiara di non trovare nell’articolo precedentemente approvato quello che egli afferma nel suo emendamento. In base all’articolo approvato non vi è la possibilità di stabilire, ad esempio, che una determinata fabbrica possa lavorare determinati oggetti.

Si può, se si vuole e se questo è l’intendimento, votare contro ogni progetto di pianificazione, ma non si deve asserire che nell’articolo approvato dalla Sottocommissione vi è già il concetto di piano, per il quale si possa, ad esempio, imporre ad un agricoltore di abbandonare la semina del grano e di dedicarsi a culture più redditizie dal punto di vista sociale, o di imporre ai commercianti di agire attraverso lo Stato per quanto riguarda il commercio estero.

CEVOLOTTO concorda con quanto ha dichiarato l’onorevole Dossetti, essendo anch’egli a conoscenza che la terza Sottocommissione ha già studiato a fondo l’articolo ed è venuta, anzi, nella determinazione di creare dei consigli economici provinciali, regionali e centrali ai fini, appunto, della pianificazione.

Essendo già stata questa materia elaborata dalla terza Sottocommissione, non ritiene che sia il caso di sottoporla all’esame della Sottocommissione.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara che voterà favorevolmente all’articolo proposto dall’onorevole Basso.

MANCINI dichiara che voterà favorevolmente all’articolo.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole Basso.

(È respinto con 7 voti contrari e 5 favorevoli)

Rileva che non è stato contemplato il diritto di trasmissione ereditaria. Dichiara che rinuncerebbe a proporre un articolo in questo senso, qualora la Sottocommissione fosse d’accordo nell’accettare quello proposto dalla terza Sottocommissione facendolo proprio.

L’articolo della terza Sottocommissione dice:

«Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito: spetta alla legge stabilire le norme e i limiti della successione legittima, di quella testamentaria e i diritti della collettività».

(La proposta del Presidente è approvata all’unanimità).

LA PIRA propone il seguente articolo:

«È riconosciuto a ogni lavoratore, nei modi indicati dalla legge, uno stato professionale che è fondamento di diritto».

Osserva che qualora l’articolo fosse approvato, la Commissione dovrebbe poi decidere sul suo collocamento.

PRESIDENTE mette ai voti l’articolo proposto dall’onorevole La Pira.

(È approvato all’unanimità, meno 1 astenuto).

LA PIRA propone il seguente articolo:

«Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale, e la sua partecipazione, adeguata negli organismi economici, sociali e politici, è condizione del nuovo carattere democratico».

LUCIFERO, Relatore, osserva che, stante l’ora tarda, non è il caso di mettere in discussione un articolo di così vasta e grave portata.

PRESIDENTE osserva che l’articolo proposto dall’onorevole La Pira, che è da premettere agli altri articoli approvati in tema di diritti economici, potrà essere convenientemente discusso all’inizio della prossima seduta fissata per venerdì alle ore 9.

La seduta termina alle 20.45.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Marchesi, Mancini, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi e Merlin Umberto.

MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

24.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 15 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Togliatti, Relatore – Mancini – Mastrojanni – La Pira – Lucifero, Relatore – Moro – Lombardi – Giovanni – Dossetti – Corsanego – Basso – Cevolotto – Marchesi – Caristia.

La seduta comincia alle 17.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE ricorda che nell’ultima riunione fu approvata la prima parte dell’articolo, che è oggi in discussione, la quale dice: «Il diritto di organizzazione sindacale è garantito». Approvata questa prima parte, si iniziò la discussione sul diritto di sciopero, previsto dalla formula dell’onorevole Togliatti, la quale si esprimeva nei seguenti termini: «La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero». In fine di seduta, egli propose alla Commissione la seguente formula: «Lo sciopero è ammesso, tranne che nei servizi di pubblica utilità e di pubblica difesa».

TOGLIATTI, Relatore, si dichiara contrario alla formula proposta dal Presidente. Il diritto di sciopero significa il diritto del lavoratore di scioperare, cioè di organizzare l’astensione collettiva dal lavoro per riuscire a ottenere migliori condizioni di esistenza e di trattamento. La formula: «Lo sciopero è ammesso…» non ha lo stesso contenuto della formula positiva adottata nella sua proposta. Inoltre la formula proposta dal Presidente contempla una restrizione del diritto di sciopero, escludendone gli addetti a servizi di pubblica utilità e di pubblica difesa. In tal modo la formula, già di per sé restrittiva, lo diviene ancora di più, e venendo a negare praticamente il diritto di sciopero, perché, in determinate circostanze, qualsiasi attività economica può risultare di pubblica utilità. Quanto poi alla pubblica difesa, tutta l’industria di guerra ha riferimento con la pubblica difesa. Ora si vuol proibire lo sciopero nella industria di guerra? Comprende questo divieto per il caso di guerra; ma in tempo di pace l’industria di guerra è quella in cui si può più liberamente scioperare, poiché essa non soddisfa a bisogni immediati della collettività. L’estensione del divieto di scioperare all’industria di guerra può comprendere quasi tutte le categorie della metallurgia, della siderurgia e dei tessili, e molte altre industrie, perché basterà un’ordinazione del Ministero della guerra per tramutare un’industria in servizio di pubblica difesa.

Per questi motivi insiste nella sua proposta: «La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero».

Questa formula potrebbe essere fusa con quella precedentemente approvata in modo da dire: «Il diritto di organizzazione sindacale e di sciopero è garantito». Di questo fa una proposta formale.

PRESIDENTE desidera chiarire il concetto di «pubblica difesa» che egli aveva introdotto nella sua formula. In esso non sono compresi soltanto quei casi ai quali ha fatto riferimento l’onorevole Togliatti, ma tutto ciò che riguarda la difesa nelle pubbliche calamità attraverso i servizi organizzati dei vigili del fuoco, degli infermieri, della polizia, ecc.

MANCINI si dichiara contrario alla proposta formulata dal Presidente, mentre aderisce a quella dell’onorevole Togliatti, di aggiungere, cioè, al diritto di organizzazione sindacale il diritto di sciopero.

Ritiene che il diritto di organizzazione sindacale, senza un connesso diritto di sciopero, non avrebbe importanza. Il lavoratore si organizza a scopo di difendersi. La difesa non può essere che lo sciopero. Il diritto di sciopero deve essere concesso nel modo più illimitato. Non ritiene, perciò, accettabili le limitazioni proposte dal Presidente. Se i casi che si vogliono escludere riguardano particolari momenti della vita collettiva in cui sia necessario il funzionamento di tutti i pubblici servizi, quali per esempio i casi di terremoto e di epidemie, ritiene superflua la limitazione del diritto di sciopero, perché essa sonerebbe come un’offesa a chi lavora. In casi del genere, il lavoratore non proclama mai lo sciopero, perché sente vivamente la sua responsabilità ed ha un elevato senso di civismo.

Per le ragioni esposte dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

MASTROJANNI ricorda che nell’ultima riunione aveva già osservato che, per discutere sul diritto di sciopero, si sarebbe dovuto prima stabilire quale è la posizione dello Stato e in qual modo si sarebbe considerato il suo intervento nei confronti di tutti i fattori della produzione e del lavoro. Solo attraverso una precisazione di questi rapporti sarebbe stato possibile un orientamento preciso.

Di fronte ad uno Stato liberale ed agnostico, non avrebbe nulla da obiettare circa il diritto di sciopero più illimitato; ma dal momento che è stato affermato l’obbligo dello Stato ad intervenire per garantire a tutti il diritto al lavoro e ad una equa retribuzione, è da stabilirsi se possa essere consentito al cittadino di far valere le sue ragioni attraverso uno sciopero, che, in questi casi, avrebbe il significato dell’esercizio di un diritto eventualmente leso da parte dello Stato. Per queste ragioni è necessario considerare l’incongruenza in cui si cadrebbe affermando il diritto di sciopero senza alcuna limitazione. Ritiene perciò che il diritto di sciopero contro lo Stato non possa, allo stato degli atti, essere preso in esame.

LA PIRA è del parere che effettivamente il diritto di sciopero è un diritto della persona, e che quindi esso vada affermalo in maniera più assoluta di quanto non faccia la formula proposta dal Presidente. Dichiara però, divergendo dall’onorevole Togliatti, di ritenere che il diritto di sciopero vada in qualche modo limitato. Ricorda che tutte le Costituzioni moderne pongono dei limiti a questo diritto. Il primo progetto francese, per esempio, diceva: «Il diritto di sciopero è riconosciuto a tutti nell’ambito delle leggi che lo disciplinano». Inoltre, se si considera uno Stato socialista, in esso lo sciopero automaticamente sparisce.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che sparisce come fatto

LA PIRA replica che lo sciopero resta come diritto, ma non viene menzionato nella Costituzione. Lo sciopero è un atto di rivendicazione, non soltanto economica ma politica. Man mano che si costruisce uno Stato adeguato alle esigenze della classe lavoratrice, dando ad essa il posto che le spetta, si attenua l’esercizio del diritto di sciopero in certi settori dove è più vitale l’interesse pubblico.

LUCIFERO, Relatore, fa presente lo spirito della Costituzione che si sta elaborando, e ricorda come essa tenda a garantire gli interessi economici del lavoratore.

Lo sciopero si rivolge – come ha detto l’onorevole Mastrojanni – ad un certo punto contro lo Stato, in quanto il lavoratore, o più precisamente l’organizzazione che lo rappresenta, non ritiene che lo Stato abbia ottemperato a quei precisi doveri che gli sono stati imposti dalla Costituzione. La questione riveste, allora, un carattere nuovo, perché nuova è la concezione a cui la Costituzione si è ispirata, con statuizioni che non sono state tutte da lui approvate, ma che sono state ormai introdotte nella Costituzione stessa, la quale ha assunto un carattere particolare di intervento economico e sociale nella vita dei singoli e delle collettività da parte dello Stato. È evidente, allora, che il concetto di sciopero assume un contenuto nuovo, poiché non è più il conflitto diretto tra il datore di lavoro ed il lavoratore, in quanto vi è un intervento costituzionale dello Stato. Il conflitto si può aprire anche nei confronti dello Stato stesso che non abbia ottemperato ai suoi obblighi derivanti dalla Costituzione. Ecco perché egli appoggiò precedentemente la proposta dell’onorevole Dossetti, di studiare prima in tutta la sua complessività il problema. Lo sciopero che potrà avvenire nell’ambito della presente Costituzione ha una natura profondamente diversa dallo sciopero che poteva avvenire sotto l’impero della precedente Costituzione Albertina.

Il problema va affrontato perciò da un punto di vista nuovo. La Sottocommissione ha stabilito dei concetti nuovi, e poi, non abituata a questi nuovi concetti, ha cominciato a parlare nella vecchia lingua di quando lo Stato non si interessava dei problemi del lavoro. Ora in tutto questo vi è una profonda incoerenza. Se si accettano i principî nuovi stabiliti nella Costituzione, bisognerà parlare una lingua nuova, avere cioè delle concezioni nuove adeguate ai principî nuovi stabiliti nella Costituzione. Esaminato da questo punto di vista, lo sciopero è atto contro lo Stato, diventa un atto rivoluzionario, e può essere legittimamente rivoluzionario se lo Stato non adempie ai suoi doveri; ma è sempre un atto contro lo Stato. Si deve perciò vedere come e in qual modo si possa stabilire un equilibrio in questo conflitto, che non è più un conflitto tra due categorie, datori di lavoro e lavoratori, nel quale lo Stato può esercitare un’azione mediatrice, ma conflitto nel quale lo Stato stesso è parte in causa. Questa è la parte nuova della Costituzione ed il nuovo del concetto di sciopero. Lo sciopero deve essere ammesso, ma circoscritto ai conflitti tra datori di lavoro e operai, escludendo i conflitti tra lavoratori e Stato. Per questi motivi, nella relazione presentata alla Sottocommissione, egli aveva configurato l’intervento dello Stato nel componimento delle vertenze del lavoro e aveva prospettato limitazioni al diritto di sciopero in alcuni casi.

Ritiene che, ricollegandosi anche a quanto ha detto l’onorevole Togliatti, non si possa parlare di servizi di pubblica utilità e di servizi di pubblica difesa, perché in determinati momenti ogni attività economica che produce beni è di pubblica utilità per il solo fatto che produce questi beni. Perciò si deve stabilire che vi possono essere, non categorie diverse di lavoratori, ma situazioni nelle quali deve essere dichiarata la illegalità dello sciopero. Ritiene pertanto che vada esaminata a fondo la questione, anche nelle sue connessioni col nuovo spirito nel quale la Costituzione vede i problemi del lavoro, e che si debba limitare molto il diritto di sciopero in uno Stato che ha assunto nei confronti dei lavoratori così grandi responsabilità ed obblighi. In questo nuovo Stato lo sciopero cambia natura, e si può arrivare alla conclusione che esso debba essere demandato al codice e alla legislazione ordinaria, in quanto è l’esercizio di un diritto. Di questo fa proposta formale.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Lucifero se egli insiste anche sulla proposta di includere nella Costituzione il diritto di serrata.

LUCIFERO, Relatore, risponde che, nel nuovo Stato delineato dalla Costituzione, sciopero e serrata vengono a coincidere, in quanto lo Stato è Stato di lavoratori ed il lavoro non è solo un diritto ma anche un dovere. Tutti i cittadini, quindi, sono lavoratori, dal consigliere delegato di una società industriale all’operaio. Perciò lo sciopero deve essere riconosciuto e all’operaio dirigente e a quello subordinato. Ritiene che tutta questa materia non sia materia costituzionale, come non erano materia di Costituzione altri argomenti che sono stati inseriti nella Costituzione per misura, per così dire, precauzionale e preventiva. In secondo luogo, dato il carattere nuovo della Costituzione che si va formando, proseguendo nel lavoro la Commissione si troverà molto imbarazzata a sistemare nella Costituzione proposizioni del genere.

Pertanto ritiene che, o si rimanda tutta la materia dello sciopero alla legislazione ordinaria, anche senza un rinvio esplicito, o si deve sospendere la discussione per poi ritornare sull’argomento quando sarà stata più chiaramente affermata tutta la linea della Costituzione, e si potrà vedere dove questa materia può essere inserita.

Dichiara di presentare, come proposta concreta principale, il rinvio alla legislazione ordinaria del diritto di sciopero senza parlarne in sede costituzionale, poiché è chiaro che, avendo riconosciuto il diritto di organizzazione sindacale, tutti i diritti che ne conseguono sono impliciti. In via subordinata, propone di sospendere la discussione fino a quando non si profilerà in maniera più chiara la struttura dello Stato, affinché si possa sapere come classificare il fenomeno dello sciopero inquadrato nella nuova configurazione dello Stato.

PRESIDENTE dichiara di ritenere che la seconda proposta dell’onorevole Lucifero possa divenire la principale, nel senso che debba essere discussa e deliberata prima di procedere oltre nella discussione.

MORO ritiene che si debba dare corso, per ora, alla discussione, salvo poi a riprendere in esame la sospensiva proposta dall’onorevole Lucifero, quando la discussione avrà chiarito il parere dei Commissari in ordine a una materia così grave e delicata.

PRESIDENTE domanda ai Commissari se sono del parere che in ogni caso si debba continuare nella discussione generale.

LUCIFERO, Relatore, ritiene che sia utile continuare ad esaminare la questione, poiché si tratta di una materia nuova da inquadrare in una nuova costruzione statale, nella quale ogni istituto assume un aspetto nuovo.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che il diritto di sciopero, come quello di organizzazione sindacale, non può essere soggetto a limitazioni senza essere distrutto nel principio. Ogni limitazione che voglia obbedire a ragioni di dubbio interesse, non può che contrastare col diritto imprescrittibile della organizzazione operaia di difendere la sua esistenza morale, politica ed economica. Per queste ragioni, propende per l’affermazione pura e semplice del diritto di organizzazione sindacale e del conseguente diritto di sciopero, né pensa, come l’onorevole Lucifero, che questo sia in contraddizione con ciò che è già stato fatto, perché non si sta costruendo uno Stato che, a somiglianza di un certo Stato filosofico hegeliano, deve inghiottire tutte le manifestazioni sociali e tutte le divergenze delle classi, ma si sta costruendo uno Stato democratico nel quale il diritto del padrone deve equivalere a quello dell’operaio. Se così è, l’operaio non può essere limitato in questo suo diritto che è sacro come un diritto naturale, perché è l’unica arma che ha il lavoro contro lo Stato. Si deve inoltre tener presente che lo sciopero può avere infinite ragioni di essere; può avvenire per ragioni politiche, per ragioni etiche, per una dichiarazione di guerra, per un contratto fatto con uno Stato estero che dispiaccia o danneggi la classe lavoratrice: può, insomma, essere una manifestazione di volontà quale quella che può fare un Parlamento. Il lavoro non ha altro Parlamento che la piazza, non ha altro mezzo che lo sciopero. Non vi è differenza tra i due diritti legalitari; uno di questi spesso non serve a niente, mentre l’altro spesso riesce ad ottenere gli scopi che si propone. Lo Stato non deve essere il gendarme della pubblica economia, in modo che da questo gendarme possa essere ordinata la tassazione della mercede del lavoro. Lo Stato deve intervenire per garantire la forza morale e politica delle classi lavoratrici, quando queste dovessero soccombere di fronte ad una serrata o a qualche altra cosa del genere; deve intervenire per l’ordine pubblico, e l’ordine pubblico riguarda anche il modo di vivere delle classi lavoratrici.

Se si trovasse ancora un barbaro capitalista che volesse sottoporre i lavoratori a dodici ore di lavoro, per dar loro una mercede insignificante, in questo caso si dovrebbe esplicare l’intervento dello Stato per ridurre questo ribelle medievale alla modernità delle concezioni e delle mercedi.

Per conseguenza, non ritenendo che vi sia alcuna contraddizione tra quanto è stato affermato come concezione etica dello Stato e quello che oggi si afferma come concezione economica e politica delle classi lavoratrici, l’oratore dichiara che l’unica forma che possa soddisfare il legittimo desiderio di una società che è sulla via del progresso, anche se lontana ancora dal conseguirlo, possa essere solamente quella contenuta nella proposta dell’onorevole Togliatti: «Il diritto di organizzazione sindacale e di sciopero è garantito», senza altre aggiunte. Se poi, per le anime timorate, si volesse aggiungere qualche cosa, si potrebbe adottare la formula del primo progetto della Costituzione francese, un rinvio, cioè, a quello che sarà il Codice del lavoro.

MANCINI dichiara di essere contrario alla proposta sospensiva, perché ritiene che l’affermazione del diritto di organizzazione sindacale, senza l’affermazione del diritto di sciopero, diventerebbe un’affermazione completamente effimera di un diritto che non ha espressione concreta.

Gli oppositori alla proposta dell’onorevole Togliatti hanno ancora nella loro mente qualche postumo di prevenzione contro lo sciopero. Questo si può arguire anche dalla osservazione dell’onorevole Mastrojanni, dalle obiezioni dell’onorevole La Pira e un po’ anche dalle conclusioni dell’onorevole Lucifero in contrasto con le sue premesse.

L’onorevole Mastrojanni ha osservato che vi è un articolo della Costituzione, già approvato dalla Commissione, nel quale si stabilisce che il datore di lavoro, sia esso lo Stato, sia esso l’industriale, deve garantire l’esigenza di una vita dignitosa del lavoratore, e che perciò non c’è bisogno di affermare il diritto di sciopero. Ritiene al contrario che se lo Stato non garantisce nel fatto questa esigenza di una vita dignitosa del lavoratore e il lavoratore è un pubblico funzionario, esso verrà a trovarsi in una posizione di sfavore. Lo Stato va concepito come espressione degli interessi del partito che è al potere; lo Stato è l’obiettivazione dei diritti ed interessi di coloro che, sul momento, si trovano al potere. Lo Stato, come lo concepiscono l’onorevole Mastrojanni e i suoi amici, non esiste nella vita concreta; esiste in quanto ci sono uomini che garantiscono gli interessi dei partiti che essi rappresentano al potere.

L’onorevole La Pira ha sostenuto che il diritto di sciopero è un diritto personale. Non è un diritto personale, ma è un diritto del lavoro; è il lavoro che dà questo diritto. Il lavoro va inteso come espressione morale, sociale e politica di uno Stato e di un cittadino, in quanto che, prima di essere cittadino, si deve essere produttore, e si è cittadino in quanto si fa parte della società producendo e incrementando la società stessa. Se la base principale è la produzione e il diritto del cittadino esiste in quanto è produttore, il diritto di sciopero è il diritto del lavoro, e quindi come tale deve essere illimitatamente riconosciuto.

L’onorevole Lucifero ha fatto un’affermazione che poteva essere approvata in quanto si sperava che venisse ad altre conclusioni. Egli ha detto che con la nuova Costituzione si configura uno Stato ben diverso dal precedente, e si dà al lavoro un’importanza maggiore. Ne discenderebbe, secondo l’onorevole Lucifero, la conseguenza che lo sciopero deve essere guardato da un punto di vista diverso. Lo sciopero, invece, deve essere considerato dallo stesso punto di vista dal quale lo si è sempre considerato, anche quando lo Stato non era costruito come l’attuale. Se lo Stato è uno Stato nuovo, questo Stato nuovo non può che riconoscere il diritto di sciopero anche ai suoi impiegati, perché, nei rapporti coi suoi impiegati, assume la figura di un datore di lavoro.

Si dichiara favorevole alla proposta dell’onorevole Togliatti che al diritto di organizzazione sindacale sia aggiunto il diritto di sciopero.

MASTROJANNI rileva che dalle dichiarazioni degli onorevoli La Pira, Lombardi e Mancini si è potuto comprendere come stia per profilarsi la concezione statuale della nuova Costituzione.

Dichiara di non condividere l’opinione dell’onorevole La Pira, che con un sistema eclettico intende contemperare le diverse esigenze, da una parte affermando il diritto di sciopero perché questo principio è bene accetto alle masse e non consente contrasti, e negando dall’altra il diritto di sciopero a coloro che espletano pubblici servizi o pubbliche funzioni. A suo parere questa divisione di concezioni disorienta la concezione unitaria di questo principio economico e sociale che deve essere affermato nella Costituzione.

Ritiene inutile ripetere le considerazioni svolte dagli onorevoli Togliatti, Mancini e Lombardi per affermare che qualsiasi lavoro è sempre di natura socialmente utile e quindi risponde sempre al concetto di pubblica utilità. Non vi è possibilità di distinzione; o si riconosce il diritto di sciopero a tutti, o non lo si riconosce a nessuno.

L’onorevole Lombardi ha profilato un concetto dello Stato secondo il quale questo ha il dovere di affermare da un punto di vista etico il principio che lo sciopero è a tutti garantito. Se ne può dedurre che le affermazioni fatte dalla Commissione, precedentemente, in ordine al diritto al lavoro e al dovere di lavorare, devono considerarsi come concezioni ed affermazioni di natura etica e pratica, non come affermazioni di carattere impegnativo dello Stato, che dovrebbe effettuarne la realizzazione. Dichiara di non avere ancora inteso quale debba essere la funzione dello Stato secondo la concezione comunista, socialista e democratica cristiana. La concezione qualunquista è quella dello Stato amministrativo, dello Stato che serve il cittadino, il quale non è subordinato allo Stato se non per le limitazioni necessarie a garantire la libertà individuale e ad impedire che il privato possa esorbitare dall’ambito delle proprie competenze e nuocere alla libera esplicazione delle libertà altrui. Ma poiché egli non può prevedere che prevalgano gli orientamenti e le concezioni del suo partito, sente il dovere di far presente alla Commissione la necessità di una condotta coerente ed univoca, affinché da questa Costituzione non vengano fuori stridenti contraddizioni.

Ritiene comunque che, se l’opinione prevalente è quella che ha manifestato e illustrato l’onorevole Lombardi, ci si trovi nuovamente di fronte ad uno Stato che ha poteri limitatissimi, che fa enunciazioni solo in tema di orientamenti etici e platonici, e che quindi ci si riporta ancora allo Stato liberalistico, ad uno Stato cioè pressoché agnostico. Se è così, egli non ha ragione di contrastare il diritto di sciopero sia come affermazione di diritto, sia come affermazione di esercizio di diritto.

L’onorevole Mancini ha osservato che, appunto perché non è concepibile uno Stato onnipotente che intervenga per regolare i rapporti di lavoro, si deve considerare il diritto di sciopero e l’esercizio di questo diritto come una necessità che non può essere contrastata alle categorie lavoratrici in quanto lo Stato, secondo la sua concezione, è l’espressione del partito prevalente, il quale orienta in un determinato periodo storico la vita dello Stato stesso, secondo i suoi postulati teorici. Quindi l’orientamento dello Stato è fluttuante ed intermittente. Per questa frammentarietà di orientamenti che si ripetono e si affermano durante l’evolversi dei tempi, non è possibile affermare dei principî attraverso i quali il cittadino possa costantemente aver garantiti i suoi diritti al lavoro e il suo dovere di lavoro. Se questa è la concezione che ci si deve fare dello Stato, anche per questa seconda concezione l’oratore non ha ragione di contrastare il diritto di sciopero.

Ma poiché ritiene che, nonostante le dichiarazioni fatte dagli onorevoli Lombardi e Mancini, l’affermazione sancita già in Costituzione costituisca un principio dal quale il legislatore non può prescindere per realizzare gli intendimenti del nuovo Stato, fa presente l’opportunità di ritornare sul primo argomento per il quale gli sembra incoerente che si possa fare un’affermazione di principio di questo genere, senza considerare i diritti di tutti gli altri fattori della produzione, il diritto cioè della serrata.

Domanda con quali argomenti può essere negato ai produttori il diritto della serrata. La serrata è fatta esclusivamente dagli industriali; non possono, evidentemente, farla gli agricoltori. Poiché si è già ammesso in qualche modo il concetto di proprietà del nuovo Stato, poiché è stato detto che questo diritto di proprietà non può esercitarsi oltre determinati limiti per cui l’eccesso di produzione deve essere riconosciuto di pubblica utilità, e incamerato dallo Stato, si finisce per considerare il produttore solo nel quadro della concezione stabilita attraverso le enunciazioni precedenti, e allora i produttori e i datori di lavoro non rappresentano più l’elemento di contrasto nei confronti degli operai, ma uomini che si sono inquadrati nella stessa concezione dello Stato e hanno il diritto di difendersi contro le pretese non eque delle categorie lavoratrici. Non è detto, infatti, che l’operaio debba aver sempre ragione; può anche essere orientato da un naturale sentimento di interessi personali a chiedere egoisticamente il massimo possibile, con la minore fatica possibile. Sono leggi di natura da cui nessuno può prescindere e non si può aprioristicamente ammettere che l’uno sia sempre succube e l’altro sempre incube. È una affermazione gratuita che, quanto meno, ha bisogno di dimostrazione.

Per queste considerazioni ritiene di dover ritornare al suo primitivo argomento, fatto proprio dall’onorevole Lucifero, e da lui illustrato, nel senso che questo problema è di così grande importanza che non può essere trattato se non quando si sia esaurita tutta la codificazione in tema di rapporti di lavoro tra lo Stato e i cittadini.

MORO dichiara di ritenere che il diritto di sciopero debba essere affermato nella Costituzione come un diritto personale, ma che si debba anche considerare l’opportunità di porre a questo diritto qualche limitazione, come si è già fatto per le altre libertà in vista delle necessità della pace sociale.

Tra il dire che il diritto di sciopero è garantito a tutti, e il configurare l’ipotesi estrema che lo sciopero sia da considerarsi illegale in taluni casi, vi è una grande distanza, nella quale è possibile trovare un punto intermedio che raccolga il consenso dei Commissari. Nell’ultima discussione, l’onorevole Togliatti stesso, in materia di sciopero dei pubblici servizi, si è richiamato al senso di responsabilità dello Stato per evitare che sorgano cause tali da produrre quel malcontento che porta necessariamente allo sciopero, e ha attribuito quindi allo Stato poteri di intervento per conoscere le controversie di lavoro e per esercitare una pressione politica sulle associazioni sindacali interessate a quelle controversie. Ora l’oratore domanda all’onorevole Togliatti se non crede che questo tentativo, che lo Stato fa autorevolmente in sede politica, non possa avere una qualche disciplina giuridica; se cioè non si possa riportare, sia pure in via provvisoria, la materia del conflitto di lavoro nell’ambito della competenza giuridica e politica dello Stato, salvo a riservare il diritto di sciopero come qualche cosa a cui il lavoratore, menomato nei suoi diritti, debba ricorrere quando non vi è altra via di scampo.

L’oratore ritiene che all’onorevole Togliatti e ai colleghi che hanno parlato a favore della sua tesi, non possa sfuggire la lacuna che vi è nella Costituzione per cui, dopo aver disegnato le linee di uno Stato capace di assumersi la responsabilità della pace sociale, esso dovrebbe poi assistere senza possibilità di intervento allo sfrenarsi di lotte che molte volte porterebbero a risultati non favorevoli per i lavoratori stessi, ai quali si sono voluti garantire determinati diritti. Propone quindi che in sede costituzionale si confermi solennemente il diritto di sciopero e al tempo stesso si attribuisca allo Stato una competenza, quanto meno in sede di tentativo di conciliazione, in modo che lo sciopero sia l’ultima ratio a cui si ricorre.

DOSSETTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Moro. Riterrebbe una grave contraddizione ai principî fondamentali che hanno ispirato finora l’apporto democristiano alla stesura della nuova Costituzione, l’affermare il diritto di sciopero come una libertà condizionata, non legata alla visione organica di tutti gli aspetti del nuovo Stato. Pur dovendo riconoscere che tuttora il lavoro ha una posizione di inferiorità e quindi necessita di una speciale tutela, è del parere che, quando si sia affermato chiaramente il diritto di sciopero come compenso alla posizione di inferiorità in cui il lavoro si trova nell’attuale struttura sociale, non si contraddica al criterio ispirativo di tale affermazione ponendo al diritto di sciopero non delle limitazioni aprioristiche, ma quelle finalizzazioni che si è cercato di affermare per tutti gli altri diritti in vista del bene comune. Come argomento di fatto per la necessità di una finalizzazione del diritto di sciopero, ricorda che, quando due mesi fa intervenne uno sciopero degli aderenti alla Federazione dei lavoratori della terra a Milano, la Federazione stessa si preoccupò di dare disposizioni affinché lo sciopero si facesse con certe limitazioni che evitassero dei danni alla produzione. Ricorda anche che una circolare recente della suddetta Federazione dei lavoratori della terra, in vista dell’obbligo degli ammassi, ha affermato che l’azione sindacale già in atto sarà applicata tenendo presente che l’agitazione deve restare nell’ambito di una controversia sindacale e non portare danni alla produzione. Questi sono esempi di autolimitazione delle stesse organizzazioni sindacali.

È vero che si può esprimere la fiducia che le organizzazioni sindacali abbiano sempre la possibilità di effettuare questa autolimitazione, ma è anche vero che questo principio deve essere affermato nella Costituzione, tenendo presente la visione integrale dello Stato che si vuole costruire.

Conclude dichiarando che si deve cercare, nell’atto stesso in cui si afferma il diritto di sciopero, di fissare anche quelle modalità essenziali che configurano il diritto di sciopero e lo finalizzano.

Nel caso che a questo non si possa arrivare, in via subordinata aderisce alla formula del precedente progetto di Costituzione francese, richiamata dall’onorevole La Pira.

CORSANEGO dichiara di non potere accettare una formula generale senza alcuna limitazione, come quella proposta dall’onorevole Togliatti.

È vero che l’onorevole Togliatti ha dato dello sciopero una definizione accettabile, presentando la sua formula come intesa a difendere il diritto dei lavoratori di ricorrere a quest’arma per migliorare le condizioni economiche; ma, ponendo la formula assoluta dello sciopero, essa si può prestare anche a quella interpretazione così estesa che gli ha attribuito l’onorevole Lombardi. Donde la necessità di porre delle limitazioni, per finalizzare anche questa libertà, come è stato ben detto dall’onorevole Dossetti. La libertà assoluta di sciopero porterebbe alla disorganizzazione della società, perché qualunque pretesto, di natura politica o anche economica, ma estraneo alle condizioni del lavoro, potrebbe giustificare il diritto di sciopero.

Avrebbe perciò desiderato che, prima di giungere ad una formulazione del principio riguardante il diritto di sciopero, si fosse fatta una discussione generale, sia pure limitata, sulla natura del diritto stesso. Si dichiara favorevole ad una proposta la quale traduca in forma legislativa questo suo pensiero: sia affermato senz’altro il diritto di sciopero quando questo sciopero è un’arma adoperata come un’extrema ratio dai lavoratori per ottenere migliori condizioni economiche, sociali e morali nell’esercizio del loro lavoro, ma sia anche introdotta una limitazione a evitare taluni abusi, specie quando questo diritto di sciopero non si applichi ad interessi economici e sociali ma ad interessi di natura politica o di partito, o comunque sia l’effetto di qualche pretesto in mano a persone estranee alla classe dei lavoratori, che si valgano della forza dei lavoratori stessi per conseguire scopi che sono diversissimi da quello che potrebbe essere l’elevazione materiale e morale dei lavoratori stessi.

BASSO si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Lucifero di sospendere la discussione su questo argomento, perché pensa che ogni commissario ha la sua idea già ben radicata in proposito. Ritiene che si tratti di un problema grave, di fronte al quale è bene che ciascuno assuma le proprie responsabilità.

È contrario anche alla proposta dell’onorevole Lucifero di non parlare del diritto di sciopero nella Costituzione e di rimandarlo alla legislazione ordinaria, cioè al Codice del lavoro. Se si toglie dalla Costituzione del nuovo Stato, concepito come lo Stato dei lavoratori, il diritto di sciopero, che è la cosa più importante, avendo già considerato il diritto di organizzazione sindacale, si toglierebbe a questo ultimo diritto lo strumento necessario per poter farsi valere. Se si parla del diritto di organizzazione sindacale, si deve parlare anche del diritto di sciopero. Per questa ragione, è contrario anche alla formula proposta nel primitivo progetto di Costituzione francese, la quale vorrebbe che lo sciopero fosse libero nell’ambito delle leggi che lo disciplineranno.

Accettando la proposta dell’onorevole Lucifero di rinviare alla legislazione ordinaria il diritto di sciopero, non si farebbe altro che riproporre la stessa formulazione accolta nello Statuto Albertino. È preferibile, a suo avviso, dire quali sono i limiti che si vogliono introdurre, e discuterli.

Questi limiti riguardano argomenti su cui è difficile poter stabilire una definizione precisa. Si è parlato di limiti al diritto di sciopero per quanto riguarda i servizi pubblici; ma tale concetto non può essere accolto, perché porterebbe a definire quali sono i lavori ed i servizi che rivestono un carattere di utilità sociale: definizione impossibile, perché tutti i servizi e tutti i lavori possono in un certo senso essere considerati utili socialmente, e allora il diritto di sciopero verrebbe ad essere praticamente quasi annullato.

Non può accettare neppure la distinzione a cui ha accennato l’onorevole Corsanego, cioè che si debba lasciare la libertà di sciopero soltanto quando esso sia fatto per migliorare le condizioni economiche e non quando si tratti di uno sciopero per ragioni politiche, perché allora questo diritto sarebbe affidato all’arbitrio di chi deve giudicare se uno sciopero rivesta un carattere economico o politico.

È parimenti contrario, in modo reciso, a una limitazione per quanto riguarda lo sciopero dei pubblici funzionari, perché, se si dicesse che tutti i lavoratori hanno diritto allo sciopero, eccetto i dipendenti dallo Stato, si verrebbe ad offendere il principio della uguaglianza che è stato messo a fondamento della Costituzione. La ragione per la quale si faceva un trattamento diverso ai dipendenti dallo Stato era perché si pensava che lo Stato, come datore di lavoro, non dovesse mettersi, nei rapporti con i suoi dipendenti, sullo stesso piano dei datori di lavoro privati. Ma in un altro campo la Commissione ha già affermato un principio che ha abbassato questo concetto troppo alto e astratto dello Stato, quando ha affermato la responsabilità dello Stato come un qualunque datore di lavoro per le colpe dei suoi dipendenti. È stato dunque già infranto questo mito d’uno Stato così alto. Lo Stato è un datore di lavoro come gli altri, e quindi i funzionari dello Stato hanno il diritto di avere salvaguardate le stesse libertà che si concedono agli altri lavoratori.

Rispondendo alle osservazioni dell’onorevole Dossetti, secondo il quale si starebbe costruendo uno Stato in cui si parla delle libertà in senso generale, e che quindi non si vede come si potrebbe lasciare questa libertà dello sciopero espressa in una formula così restrittiva e individualistica, fa rilevare che la Commissione ha certamente sancito delle belle affermazioni nella Costituzione, ma sa benissimo di aver scritto degli articoli che serviranno come indirizzo al legislatore futuro. Sono stati garantiti una quantità di diritti che difficilmente si potranno realizzare nel campo pratico a favore delle classi lavoratrici, e sarebbe deplorevole che, quando si tratta dell’unico diritto concreto che i lavoratori già hanno, cioè il diritto di sciopero, lo si volesse togliere o quasi annullare.

L’onorevole Dossetti ha ricordato come un esempio di autolimitazione le disposizioni date dalla Federazione dei lavoratori della terra. Ciò non fa che confermare il principio che non sono gli articoli di una Costituzione che possano imporre una disciplina, ma è proprio la responsabilità di una coscienza civile nei lavoratori che può porre dei limiti, in quanto gli stessi lavoratori, avendo raggiunto un grado più elevato di maturità, provano quel senso di responsabilità che deriva loro dalla coscienza di partecipare alla costruzione dello Stato democratico ed alla direzione della cosa pubblica. Nella stessa misura in cui sarà realizzata in concreto l’aspirazione della classe lavoratrice a partecipare alla gestione della cosa pubblica, si otterrà questo maggior senso di responsabilità, questa limitazione, questo controllo da parte della stessa classe lavoratrice. Se si limitasse questo diritto che la classe lavoratrice ha già conquistato, si segnerebbe una pagina nera nella Costituzione, perché si sopprimerebbe un diritto già acquisito alla coscienza sociale.

Per queste ragioni, dichiara di aderire completamente alla formula proposta dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Basso, che ha parlato di esclusione di alcune limitazioni, se egli abbia voluto escludere anche quelle limitazioni che potrebbero essere giustificate da ragioni obiettive di servizi che assolutamente non possono essere interrotti in conseguenza di una proclamazione di uno sciopero. Allude alle categorie di lavoratori che prestano assistenza agli infermi, soccorsi in caso di incendio o di qualsiasi necessaria altra tutela dell’incolumità pubblica.

BASSO osserva che il criterio che si deve seguire in questi casi è affidato al senso di responsabilità dei lavoratori stessi, alla coscienza di coloro che devono esercitare il diritto di sciopero.

CEVOLOTTO dichiara che, per quanto riguarda la distinzione tra sciopero economico e sciopero politico, a parte le difficoltà di questa distinzione, non ha alcuna preoccupazione.

Lo sciopero politico è un’arma di lotta politica, è un’arma rivoluzionaria se chi la esercita avrà la forza per esercitarla e non c’è legge che la possa impedire. Se non si ha la forza di poterla esercitare, allora o quest’arma non viene adoperata o, se viene adoperata, fallisce al suo scopo. La questione di cui qui si parla, e di cui ci si deve occupare, è quella dello sciopero economico. Ritiene che la conquista del diritto di sciopero non si possa negare, appunto perché è una conquista che ormai è acquisita dalla civiltà moderna e pertanto tale diritto deve essere affermato nella Costituzione, e affermato senza limitazioni e senza distinzioni. È inutile fare la distinzione della finalizzazione, perché la finalizzazione non è che un pretesto per mettere una limitazione; quando poi ci si volesse riferire alla formula francese, in realtà si verrebbe a negare il diritto di sciopero in una maniera larvata, perché attraverso la legge si potrà esercitare qualunque limitazione del diritto di sciopero.

Sostiene trattarsi di un diritto che deve essere affermato e riconosciuto nella sua integrità e senza limiti nella Costituzione.

Circa la questione se oltre allo sciopero si deve ammettere anche la serrata, è del parere che per le stesse ragioni per le quali a una parte si dà il diritto di sciopero non si può negare all’altra parte il diritto di serrata.

Ricorda che non solo in altre Costituzioni c’è il diritto di sciopero con relativo diritto di serrata, ma nella stessa relazione dell’onorevole Pesenti, che appartiene al medesimo partito dell’onorevole Togliatti, il diritto di serrata è correlativo al diritto di sciopero, senza discussione.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che qualche volta anche Omero sonnecchia.

CEVOLOTTO, circa la questione dei limiti al diritto di sciopero da inserire nella Costituzione, rileva che prima di tutto bisognerebbe fare una distinzione tra sciopero nei servizi pubblici e nei servizi di pubblica utilità. Servizi di pubblica utilità potrebbero essere considerati anche i forni, per esempio, ed allora l’estensione del concetto non dovrebbe limitarsi soltanto a quei casi cui ha accennato il Presidente.

Finora si era parlato del divieto di sciopero nei pubblici servizi, intesi in un senso generale più facilmente definibile, ma anche esso non potrebbe essere ammesso se non avesse un corrispettivo: se si toglie ad alcune categorie di lavoratori l’arma dello sciopero, per una ragione di interesse superiore, occorre dare ad esse qualche altra possibilità di far valere le loro ragioni. Ecco perché il concetto di divieto dello sciopero nei pubblici servizi è stato sempre collegato ad un principio di arbitrato obbligatorio, alla creazione di una magistratura che dirima i conflitti con una certa pariteticità ed una certa imparzialità. Ma la creazione di una magistratura che regoli i conflitti è una cosa difficile, perché può in certi casi mettere lo Stato in condizioni di vedere diminuita la sua autorità e resa difficile la sua posizione politica.

Poiché tutti questi problemi non potrebbero essere inseriti in una Costituzione senza scendere a troppi dettagli, l’oratore ritiene che la Costituzione non debba fare altro che affermare il diritto di sciopero senza limitazioni e senza finalizzazioni.

Vuol dire che si vedrà poi se per la parte che riguarda i pubblici servizi e i servizi di pubblica utilità, si possa – d’accordo con le rappresentanze di categoria – sostituire al diritto di sciopero un altro mezzo per dirimere i conflitti. Questo dipenderà dall’evoluzione che potranno avere i rapporti tra i lavoratori, i datori di lavoro e lo Stato.

LOMBARDI GIOVANNI, riferendosi alle dichiarazioni fatte dai colleghi democristiani, domanda loro chi può stabilire l’extrema ratio di uno sciopero e definirne la finalizzazione. Il solo fatto di discutere se uno sciopero è giusto o ingiusto, significa distruggerne il diritto, in quanto tale diritto diventa condizionato, cioè lo sciopero è consentito se è accompagnato da una garanzia. Accettando questo criterio, la legislazione retrocederebbe anziché progredire, perché si finirebbe per negare quello che è già nella coscienza universale. Considerando lo Stato come l’organizzazione politica delle classi dirigenti, a misura che questa classe dirigente diventerà quella del lavoro, anche l’umanità dello Stato farà un progresso verso l’etica, cioè verso la valutazione umana del lavoro. Per conseguenza si può essere sicuri che tra un secolo lo sciopero sarà quasi annullato, perché le classi dirigenti saranno rappresentate da coloro che lavorano, ed evidentemente avranno ragione di intervenire con una legge che prevede la necessità di un componimento prima che lo sciopero possa manifestarsi.

Si dichiara contrario alla limitazione del diritto di sciopero nei pubblici servizi, che sonerebbe un’offesa per tutti quelli che vi appartengono, togliendo ad essi un diritto che non debbono perdere per il solo fatto che prestano la loro opera a benefìcio dello Stato, o delle opere pie, o della provincia e del comune o di qualsiasi altro ente che possa essere dichiarato un pubblico servizio. Col criterio del pubblico servizio, si arriva a tutto ciò che può servire nella vita, perché tutto contribuisce alle esigenze della vita stessa.

MARCHESI dichiara di consentire con le idee espresse dall’onorevole Togliatti, non tanto per coerenza di partito, quanto per una sua profondissima convinzione personale. Qualunque sarà la Costituzione che verrà fuori dai lavori della Commissione, non si può escludere che domani le forze legislative o le forze legali possano fallire o diventare addirittura nemiche, ed allora il diritto di sciopero diverrebbe la unica suprema difesa del lavoro. D’altra parte non c’è nessuna ragione di considerare l’organizzazione sindacale, da cui l’arma dello sciopero deve essere mossa, in continua guerra con la società ogni qual volta quest’arma deve essere adoperata. L’organizzazione sindacale è uno strumento di difesa del lavoro, ma è anche uno strumento di difesa della società.

L’onorevole La Pira ha ricordato un articolo della Costituzione francese che l’oratore non sente di poter accogliere, perché esso afferma il diritto di resistenza contro lo Stato con qualunque mezzo, vale a dire un diritto a fare la rivoluzione. Lo Stato nuovo che si sta costruendo non può essere considerato uno Stato perfetto, ma piuttosto uno Stato in formazione, il quale si verrà concretando attraverso vari Governi. È sperabile che non si verifichi mai un conflitto di interessi tra lo Stato e la classe lavoratrice; ma questo conflitto potrebbe sorgere, e in tal caso – ripete – il diritto di sciopero rappresenterà per il lavoro uno strumento di difesa a cui non possono essere poste delle limitazioni.

TOGLIATTI, Relatore, domanda la chiusura della discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti di chiusura della discussione, riservando la parola a chi l’aveva già chiesta.

(È approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

DOSSETTI si dichiara profondamente convinto della necessità di una tutela costituzionale del diritto di sciopero, ma non ritiene di poter rinunciare al principio affermato per tutte le altre libertà, quello cioè della finalizzazione. Comprende che l’onorevole Cevolotto possa considerare la finalizzazione come una maniera garbata per qualificare e condizionare il diritto, ma non crede che tale opinione possa essere condivisa dagli onorevoli Basso e Togliatti, perché essi hanno accettato il concetto della finalizzazione generale delle libertà, proposto dai democratici cristiani come un problema di principio e di realizzazione tecnica.

Il principio è che il diritto di sciopero sia garantito costituzionalmente, ma finalizzato con tutti gli altri diritti: il problema di realizzazione tecnica consiste nel vedere come possa essere effettuata la realizzazione del principio del diritto di sciopero e della sua finalizzazione.

Può essere esatto che le formule finora proposte non finalizzino il diritto di sciopero, ma lo intacchino nella sua sostanza, e in tal caso vuol dire che la realizzazione tecnica di quel principio non è adeguata al principio stesso. Si potranno avanzare delle nuove proposte, ma l’oratore e i suoi colleghi democristiani ritengono fermamente che per il diritto di sciopero, come per altri diritti, è possibile affermare a un tempo il diritto e la sua finalizzazione, senza che questo voglia significare intaccare e distruggere radicalmente il principio della garanzia delle libertà.

Comprende come questo principio non possa essere condiviso dall’onorevole Cevolotto e da qualche altro Commissario, perché, nonostante che essi vogliano venire ad un punto comune di intesa, muovono fondamentalmente da un’ideologia che nelle sue radici è un’ideologia liberale, sia pure nuova.

Rispondendo alle considerazioni svolte dall’onorevole Basso, osserva che è esatto che il diritto di sciopero rappresenta uno dei diritti concreti che la Sottocommissione vuole confermare per il lavoro; però non è esatto che essa dia al lavoro soltanto dei riconoscimenti e dei diritti a parole. Finora la prima Sottocommissione ha dato soltanto delle buone parole, perché questa è la sua funzione; la realizzazione dei diritti che sono stati affermati rientra nei compiti della seconda e della terza Sottocommissione. Ma la prima Sottocommissione stessa ha anche fatto, e in parte farà, affermazioni concrete, perché quando verrà a trattare alcuni dei principî fondamentali, come quello del controllo sociale sull’economia, evidentemente, farà delle affermazioni che avranno una realizzazione concreta e sostanziale per la tutela del diritto dei lavoratori.

È fiducioso che esista una possibilità di soddisfare alla duplice esigenza dell’affermazione del diritto e della sua finalizzazione; comunque, se non si riuscisse a realizzare tale possibilità, aderirebbe piuttosto ad un’affermazione assoluta del diritto di sciopero.

Circa quanto è stato accennato dall’onorevole Marchesi, dichiara che è sua intenzione di riproporre un articolo corrispondente all’articolo 21 della Costituzione francese, in cui è affermato il diritto di resistenza in senso assoluto, in quanto la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti ed è difficile a condizionare. L’articolo 21 della Costituzione francese, infatti, dice: «Qualora il Governo violi le libertà ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri».

CARISTIA dichiara di condividere in massima parte le opinioni che sono state esposte dai suoi colleghi della Democrazia Cristiana, e di non capire perché si debba esitare nel porre qualche limite all’esercizio del diritto di sciopero, pur essendo esso un diritto fondamentale. Fa osservare all’onorevole Lombardi che tutti i diritti sono limitati, sia i diritti della vita privata, sia i diritti pubblici soggettivi. Sta di fatto che l’esercizio di questi diritti subisce dei limiti maggiori o minori, secondo che è suggerito dalle contingenze politiche. Lo Stato è qualche cosa che si avvicina sempre più ad una organizzazione che ha come scopo il soddisfacimento degli interessi collettivi. Perciò il diritto di sciopero può subire dei limiti per quanto riguarda l’organizzazione dello Stato, cioè i pubblici impiegati, l’amministrazione della giustizia e quella finanziaria, e anche in parte l’amministrazione scolastica. Si è detto che limitando il diritto di sciopero per ciò che riguarda i funzionari si verrebbe a porre un principio che è in contraddizione col principio dell’uguaglianza. Il principio della uguaglianza è un principio santissimo che si trova in tutte le Costituzioni civili, ma questo non comporta che tutti i cittadini abbiano la stessa posizione di fronte alla legge. La posizione di un pubblico funzionario è quella di un individuo che esplica determinate formo di attività alle quali non può essere paragonata l’attività di un altro individuo che ha una responsabilità diversa o comunque più limitata. Per tali ragioni ritiene che non si possa proclamare il diritto di sciopero in maniera assoluta, senza alcuna limitazione.

PRESIDENTE dichiara di non insistere nella formula proposta, che aveva soltanto lo scopo di dare un avvio alla discussione. Comunica quindi che vi sono due formule proposte dall’onorevole Togliatti. Una di esse dice:

«La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero».

L’altra consiste nell’aggiungere alla proposizione già approvata: «Il diritto di organizzazione sindacale è garantito», un accenno alle garanzie anche del diritto di sciopero. Domanda all’onorevole Togliatti quale delle due formule egli preferisca.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di preferire la seconda, perché non vi è il richiamo alla legge.

LUCIFERO, Relatore, fa notare che, non essendo stata proposta una formulazione diversa per quanto riguarda la serrata e un minimo di limitazione al diritto di sciopero, si trova costretto a mantenere la sua formula primitiva, contenuta nella relazione, ritenendola l’unica formula che comprenda tutti i concetti e tenga conto di tutte le osservazioni.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Lucifero ripropone la formula già contenuta nella sua relazione, che è la seguente: «Lo Stato può intervenire per la pacifica risoluzione delle controversie del lavoro, ivi comprese quelle attuantisi per via di sciopero o di serrata.

«Lo sciopero o la serrata, che turbino gravemente l’ordine pubblico o intralcino l’ordinato svolgimento della vita economica dello Stato, possono essere dichiarati illegali».

DOSSETTI prega l’onorevole Togliatti di studiare una formula che assicuri al lavoratore il diritto di sciopero; in questa formula però tale diritto deve essere affermato separatamente da quello della organizzazione sindacale, perché si tratta di diritti che implicano due concetti diversi.

TOGLIATTI, Relatore, accetta il suggerimento.

DOSSETTI chiede al Presidente una breve sospensione della seduta, per poter meglio approfondire il problema e concretarne la soluzione.

MARCHESI fa presente di doversi assentare per motivi di salute. Prega, qualora si venisse a una votazione, di tener conto che egli vota a favore della prima parte della formula proposta dall’onorevole Togliatti.

(La seduta è sospesa per alcuni minuti).

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Togliatti, aderendo alle considerazioni dell’onorevole Dossetti e sue, ha sostituito la sua primitiva proposta (diretta ad inserire nella proposizione già votata dalla Sottocommissione nella precedente seduta la formula: «Il diritto di organizzazione sindacale e di sciopero è garantito») con la nuova formula: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».

Avverte che, da parte sua, propone all’esame della Sottocommissione una nuova formula che è così concepita:

«È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero.

«La legge ne regola le modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:

  1. a) alla procedura di proclamazione;
  2. b) all’esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
  3. c) al mantenimento di servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva».

MASTROJANNI dichiara che le aggiunte concordate fra i diversi Commissari costituiscono un fatto nuovo che deve essere esaminato in sede di discussione generale.

PRESIDENTE apre la discussione generale sulla sua proposta.

MASTROJANNI afferma di non ritenere che questo correttivo risponda ai principî fondamentali del diritto; perché, quando a uno dei contraenti si dà in mano un’arma che egli fa valere nel momento stesso in cui la discussione avviene, con l’intesa che nel caso di ripudio delle pretese, fondate o infondate, egualmente, queste pretese si faranno valere attraverso la forza dello sciopero, si fa una Costituzione che non rappresenta garanzia di diritti, ma elude in pieno quello che è il fondamento del diritto.

LOMBARDI GIOVANNI trova che tutte le finalizzazioni precisate nell’aggiunta proposta dal Presidente rendono inutile la dichiarazione della libertà dello sciopero. Infatti chi è che stabilisce se i servizi siano di interesse collettivo, oppure no? Ogni servigio può essere di interesse collettivo ed un interesse che non fosse collettivo sarebbe al di fuori della società. Si dichiara quindi contrario alla nuova formula e si atterrebbe a quella precedente.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che sulla parte dell’articolo proposto, la quale afferma che è assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero, egli ha già fatto le sue riserve di carattere generale.

È favorevole a tutte le libertà, e quindi non può essere contrario alla libertà di sciopero: però osserva che non si fa parola del diritto di serrata, la cui questione pure è stata sollevata. A suo parere questo diritto riveste un’importanza fondamentale, in quanto ha sentito dire che lo sciopero è la massima arma di difesa del lavoratore. L’oratore fa presente che qualunque arma di difesa può trasformarsi in arma di offesa in certe determinate situazioni.

Perciò, se l’arma dello sciopero da arma di difesa si dovesse trasformare in arma di offesa, come potrà difendersi colui che viene assalito, se non si consegna anche a lui un’arma equivalente? È del parere quindi che le due questioni siano strettamente collegate; cioè che non si possa votare lo sciopero se non si vota anche la serrata. Se queste sue osservazioni non saranno tenute in conto, si vedrà costretto a votare contro il diritto di sciopero, al quale si dichiara favorevole per un principio di eguaglianza fra tutti i cittadini, principio che non può a suo avviso subire eccezioni.

La proposta concreta che egli presenta è che sia assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero; ma che si dica anche che è consentito il diritto di serrata, il quale deve avere la stessa regolamentazione del diritto di sciopero.

Dichiara poi di non essere pienamente soddisfatto dell’altra parte dell’articolo, ma voterà a suo favore, ribadendo che resta fermo nella sua opinione mentre chiede che sia messo a verbale che non si può creare in una Costituzione una divisione fra i cittadini.

TOGLIATTI, Relatore, rileva che è stata sollevata dall’onorevole Lucifero una questione sulla quale non aveva avuto occasione di dire il suo pensiero. Contesta che, negando il diritto di serrata, si crei una disparità tra i cittadini, perché il diritto di serrata non è un diritto che si ha in quanto lavoratori, garantendolo, si permetterebbe ai proprietari di non impiegare i mezzi materiali della produzione che sono nelle loro mani.

Non ci si trova di fronte a cittadini che adempiono alla stessa funzione, ma da una parte ci sono cittadini che lavorano e dall’altra cittadini che hanno nelle mani gli strumenti materiali della produzione. Pur essendo eguali sia il lavoratore che il proprietario in quanto cittadini, non possono essere messi sullo stesso piano il lavoratore e lo strumento della produzione, in quanto sono due cose qualitativamente diverse. Perciò può essere ammesso il diritto di sciopero e non quello di serrata.

MANCINI voterà contro la formula del Presidente. Pensa che il diritto di sciopero è un diritto dell’organizzazione sindacale, la quale senza il diritto di sciopero sarebbe come un esercito senza armi. Dichiara pertanto di attenersi alla formula proposta dall’onorevole Togliatti.

In secondo luogo, afferma di essere contrario alla formula proposta, che parla di tentativi di conciliazione, perché tutte le semplificazioni e sottosezioni in essa indicate non sono altro che una limitazione del diritto.

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione della sua formula: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».

MASTROJANNI dichiara di astenersi dal voto per le seguenti ragioni:

1°) perché il problema discusso, essendo stato enucleato dal suo settore naturale e considerato senza tener conto della posizione dello Stato, nei confronti dei rapporti coi fattori della produzione e del lavoro, non consente un’affermazione di principio senza cadere in contraddizioni e in incoerenze;

2°) perché il diritto di sciopero non è stato messo in relazione agli altri diritti;

3°) perché la Commissione non si è pronunciata nel considerare lo sciopero come affermazione di diritto o come esercizio di diritto, né ha formulato alcuna premessa che consenta di intuirne le ragioni di natura politica o economica o morale;

4°) perché, in coerenza coi principî affermati dalla prima Sottocommissione in tema dei diritti e delle libertà individuali e collettive, si doveva affermare il diritto di serrata insieme a quello di sciopero.

Si riserva di tornare sull’argomento in sede di discussione in Assemblea plenaria.

PRESIDENTE ricorda agli onorevoli Mastrojanni e Lucifero che possono presentare proposte concrete in ordine ai concetti da loro esposti.

MASTROJANNI dichiara che, non essendo Relatore, non intende farsi iniziatore di proposte che rientrino nella responsabilità dei Relatori.

LUCIFERO, Relatore, propone la seguente formula: «Le stesse norme varranno per l’esercizio di serrata». Domanda che tale sua proposta sia votata prima della proposta aggiuntiva del Presidente, in modo che egli possa regolarsi se votare o meno l’affermazione del diritto di sciopero.

BASSO osserva che non si può votare la formula dell’onorevole Lucifero, se prima non si è votata la formula proposta dal Presidente, la quale contiene quelle norme a cui si riferisce la proposta Lucifero.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Lucifero ha presentalo la seguente proposta: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero. Eguale diritto vale per la serrata».

LUCIFERO, Relatore, fa presente di aver formulato in questo modo la sua proposta per non manipolare nuovamente tutto l’articolo. Dichiara di averla inserita all’inizio e non alla fine dell’articolo, perché, avendo la convinzione che la formula da lui proposta non sarà approvata, non vuole far perdere tempo alla Sottocommissione. Praticamente, è suo intendimento che si voti sul diritto di serrata.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero di sancire nella Costituzione anche il diritto alla serrata.

MORO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero per ragioni politiche, inquantoché in uno Stato progressivo a base sociale è inammissibile il diritto dei produttori di negare il lavoro.

BASSO dichiara che voterà contro, perché votare il diritto di serrata vorrebbe dire andare contro lo spirito della Costituzione, per il quale tutto il nuovo Stato deve tendere al miglioramento delle condizioni di lavoro.

MANCINI dichiara che voterà contro il diritto di serrata, perché questa è un delitto e come tale dovrebbe essere contemplata nel nuovo Codice penale che si sta preparando.

(La proposta Lucifero è respinta con 12 voti contrari, 2 favorevoli e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula da lui proposta: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».

(La proposta è approvata con 14 voti favorevoli ed 1 astenuto).

Mette ai voti il secondo capoverso della formula da lui proposta; che è il seguente:

«La legge ne regola la modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:

  1. a) alla procedura di proclamazione;
  2. b) all’esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
  3. c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva».

BASSO dichiara che voterà contro questa seconda parte dell’articolo, in primo luogo perché la ritiene superflua nella Costituzione e in secondo luogo perché ritiene che in essa si configuri solo uno sciopero economico. Ci sono scioperi politici che non si possono far precedere da trattative di conciliazione. Ricorda, a tale proposito, lo sciopero generale che in Germania soffocò la rivolta di Kap.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro per le stesse ragioni espresse dall’onorevole Basso.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che voterà contro per le ragioni già svolte in precedenza.

MORO dichiara di votare in favore della proposta del Presidente, riconfermando le opinioni espresse da lui e dai suoi colleghi.

Si dichiara favorevole al diritto di sciopero come diritto sacrosanto dei lavoratori, ma ritiene che la legge possa regolarne le modalità di esercizio unicamente allo scopo di permettere che si giunga all’uso di questa arma, per se stessa grave, anche per la vita dei lavoratori, dopo aver esperito tentativi di conciliazione e purché siano salvaguardati – ad esempio attraverso turni di lavoro – i servizi essenziali alla vita della collettività.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che voterà a favore della proposta del Presidente e riconferma il rammarico che una situazione obiettiva lo abbia costretto a votare contro una proposizione che era suo intendimento di approvare.

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di meravigliarsi che l’onorevole Lucifero, avendo votato contro il diritto di sciopero, voglia votare favorevolmente ai limiti da porsi al diritto stesso.

LUCIFERO, Relatore, fa presente che, essendo stato votato a maggioranza dalla Commissione il diritto di sciopero, questo esiste ed egli non può ignorarlo.

(La seconda parte dell’articolo proposto dal Presidente è approvata con 7 voti favorevoli, 6 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti l’ultima proposizione dell’articolo: «Il diritto al riposo è garantito».

(La proposizione è approvata all’unanimità).

Precisa che l’articolo, nel testo definitivo risulta così formulato:

«Il diritto di organizzazione sindacale è garantito.

«È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero.

«La legge ne regola la modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:

  1. a) alla procedura di proclamazione;
  2. b) all’esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
  3. c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva.

«Il diritto al riposo è garantito».

Lo pone ai voti nel suo complesso.

(È approvato).

La seduta termina alle 20.20.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi e Merlin Umberto.

VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

23.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 11 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Togliatti, Relatore – Dossetti – Lucifero, Relatore – Basso – La Pira – Mastrojanni – Moro – Cevolotto – Caristia – Lombardi Giovanni – Merlin Umberto.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE riapre la discussione sugli argomenti all’ordine del giorno, e domanda agli onorevoli Togliatti, Lucifero e Dossetti di rendere conto del lavoro di preparazione che essi si erano impegnati di condurre a termine e riferirne alla Commissione nella seduta odierna.

TOGLIATTI, Relatore, comunica che ieri si è incontrato con gli onorevoli Lucifero e Dossetti e con essi ha confrontato le due diverse formulazioni, cercando di venire ad un accordo che soddisfacesse ambo le parti.

Per un lato l’opera è stata facile e si è giunti alle seguente formulazione unica:

«È garantita a tutti i cittadini la libertà di associarsi per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica». Questa formula potrebbe senz’altro essere presentata alla discussione della Commissione quale risultato concorde delle vedute dei tre Correlatori.

I dissensi invece sono sorti quando si è trattato delle successive formulazioni, e precisamente quando si è discussa l’affermazione contenuta nella sua proposta che tendeva a garantire una difesa speciale del diritto di associazione sindacale, in quanto si è affermato che ogni azione che tenda in qualsiasi modo a limitare questo diritto è contraria alla legge. Su questo punto occorrerà pertanto discutere in maniera approfondita in sede di Sottocommissione.

Viene poi la questione del diritto di sciopero. Non vi è stato dissenso fra i Correlatori circa l’affermazione che la legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero. Il dissenso è sorto su una questione subordinata, e precisamente sul diritto di serrata e sugli eventuali limiti del diritto di sciopero. A tale riguardo, nega che si possano mettere sullo stesso terreno il lavoratore ed il proprietario dei mezzi di produzione, per quanto riguarda la messa a disposizione della collettività dei mezzi materiali di produzione.

Osserva che da parte dell’onorevole Lucifero veniva presentata una formula che tendeva a limitare il diritto di sciopero, senza dire a quale organismo od organo del potere esecutivo o del potere legislativo era data facoltà di dichiarare illegali determinati scioperi, i quali turbassero l’ordine pubblico o l’ordinario svolgimento della vita economica e politica dello Stato.

Da parte dell’onorevole Dossetti, poi, era stata presentata una eguale esigenza, ma in forma molto attenuata. Ritiene che l’onorevole Dossetti volesse limitarsi a mettere in dubbio il diritto di sciopero illimitato per determinate categorie di funzionari dello Stato. Quindi il concetto dell’onorevole Dossetti non è quello dello sciopero che intralci l’ordinato svolgimento della vita economica, quale era intendimento dell’onorevole Lucifero.

Dichiara sua convinzione che non possa esser messo alcun limite al diritto di sciopero, perché se si dà facoltà di dichiarare illegale uno sciopero che turbi l’ordine pubblico o l’ordine economico anche gravemente, in realtà si viene a proibire il diritto di sciopero. A suo parere lo sciopero non è soltanto il fatto del lavoratore che non lavora perché il salario, o determinate altre condizioni di lavoro, non lo soddisfano, ma l’organizzazione dell’astensione collettiva dal lavoro allo scopo di strappare migliori condizioni di retribuzione e migliori condizioni economiche in generale per i lavoratori. Quindi nello sciopero interviene sempre una determinata minaccia, prodotta dai lavoratori attraverso la loro associazione, per far sentire il peso del lavoro organizzato nella determinazione dei rapporti economici tra lavoratori e datori di lavoro. Qualora si affermi che, se lo sciopero turba gravemente l’ordine pubblico, o intralcia l’ordinato svolgimento della vita economica, lo Stato può dichiararlo illegale, si viene a negare la possibilità di sciopero perché si toglie ad esso il suo contenuto. Per questo ritiene che non debba essere messo un limite al diritto di sciopero.

Per quanto riguarda determinati funzionari dello Stato, a suo parere il problema è quasi irrilevante, perché uno sciopero di alti funzionari dello Stato è in fin dei conti molto meno grave di uno sciopero di mietitori alla vigilia della mietitura delle messi, in quanto quest’ultimo è lo sciopero di una categoria che ha un peso particolare nella vita del Paese. D’altra parte i mietitori non potrebbero organizzare il loro sciopero per strappare determinate retribuzioni, o risolvere a loro favore altre questioni economiche, se al diritto di sciopero venissero posti limiti.

Con questo non si vuole intendere che, in uno Stato bene ordinato e democratico, il Governo non abbia il dovere e il diritto di intervenire per evitare lo sciopero; ma deve intervenire facendosi parte diligente per avvicinare le due parti in contrasto e trovare una via d’uscita.

Ricorda ancora che la formula sulla quale i tre Correlatori si sono trovati d’accordo è quella che riguarda la libertà di associazione così concepita: «È garantita a tutti i cittadini la libertà di associarsi per la difesa, il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica». Forse l’onorevole Dossetti presenterà qualche emendamento; ad ogni modo la formula è molto ampia.

Il disaccordo, invece, è sorto nell’affermazione successiva contenuta nella sua proposta, in cui si dice che «È contraria alla legge ogni azione che tende in qualsiasi modo a limitare questo diritto».

PRESIDENTE propone di iniziare la discussione soltanto sulla parte nella quale è intervenuto un accordo di massima, per poi esaminare la seconda parte, dove si è manifestato il dissenso.

DOSSETTI dichiara che l’onorevole Togliatti ha riferito esattamente il contenuto specifico dello scambio di vedute avutosi ieri fra i tre Correlatori. È vero che vi è accordo sulla prima dichiarazione; è vero anche che vi è un relativo disaccordo sui limiti da definire in ordine al problema del diritto di sciopero; ma precisamente questo disaccordo, sul quale i tre Correlatori hanno avuto possibilità di scambiare le loro idee, ha dimostrato che vi è la necessità di impostare in maniera più generale tutto il problema della disciplina del lavoro. In una certa misura anche la prima parte deve essere esaminata, non perché si debba ritornare indietro, in quanto su questo d’accordo è stato conseguito, ma perché vi sono elementi che vanno coordinati con altri che invece rappresentano il punto di dissenso. Mentre si dichiara d’accordo nell’accettare il principio del diritto di sciopero come affermazione da inserire nella Carta costituzionale, ritiene che questo riconoscimento debba essere connesso con determinate modalità che riguardano tutta la materia della posizione del lavoro nell’ambito costituzionale dello Stato. Per questo motivo è d’avviso che fare delle affermazioni senza avere avuto possibilità di approfondire certi sviluppi connessi con altri argomenti, sia pericoloso, perché si rischia di rinviare dei contrasti che non vennero approfonditi al momento opportuno, i quali resterebbero insoluti e potrebbero portare i Commissari a fare delle affermazioni con un significato nettamente differenziato. Propone, quindi, che la discussione del problema sia fatta congiuntamente a questioni che sono state già considerate, ma che sono strettamente connesse con questa.

LUCIFERO, Relatore, osserva che l’onorevole Togliatti ha illustrato le differenze di opinioni che sono sorte nella discussione di ieri ed ha anche illustrato il motivo della sua tesi. L’oratore si riserva di illustrare in sede di discussione i punti di vista che lo hanno guidato.

Nei riguardi delle due proposte presentate dal Presidente e dall’onorevole Dossetti, accede senz’altro a quella dell’onorevole Dossetti, che gli sembra molto seria, in quanto effettivamente si entra ora in una disciplina nuova ed in una delle caratteristiche fondamentali di una Costituzione moderna, la quale non si preoccupa soltanto dei principî di libertà, ma anche del clima nel quale le varie libertà si devono sviluppare.

BASSO si dichiara favorevole alla proposta del Presidente, avendo notato che, finché si fanno discussioni generali su principî astratti, si finisce sempre col trovare un accordo, ma quando poi si scende a concretare questi principî in una formulazione, si manifestano dissensi che è molto difficile appianare.

LUCIFERO, Relatore, propone che nel caso fosse respinta la proposta dell’onorevole Dossetti, resti inteso che, se dal prosieguo della discussione ci si accorgerà che approvando qualche affermazione si vengono a porre degli sviluppi successivi in questo campo, non valga l’accordo stabilito di non ritornare indietro.

LA PIRA ritiene che tutti i problemi dell’organizzazione del lavoro sono contenuti in questo articolo, e che quindi tutte le discussioni fatte sull’argomento dalla terza Sottocommissione debbono essere esaminate in questa sede. La prima Sottocommissione deve affermare dei principî orientativi anche per la terza Sottocommissione, e pertanto non si può sceverare il problema nella sua integralità sia pure formulando articoli brevissimi. Poiché si sta facendo una Costituzione alla quale non si vuole dare il vecchio volto liberale o liberista, ma un volto nuovo, è bene che un principio che esprima quest’altro volto venga espresso in questa Costituzione.

Mentre la concezione liberale considera i lavoratori atomisticamente, nella nuova concezione organica del lavoro la qualifica di «lavoratore» è uno stato giuridico al quale si ricollegano diritti privati, diritti pubblici, conseguenze politiche. La relazione Pesenti alla terza Sottocommissione mette proprio a fuoco quella che dovrebbe essere la posizione del lavoro nell’ordine costituzionale, e le conseguenze che questo possibile titolo di lavoro avrebbe in tutta la vita politica e giuridica del Paese. Ritiene quindi che, se vi è un problema politico e giuridico fondamentale alla base della discussione, si tratta di trovare un breve articolo che fissi questo principio che serva da indirizzo alla Sottocommissione nei suoi lavori. Tale articolo dovrebbe dire che al lavoro si ricollega una serie di diritti: diritto al lavoro, oltre che dovere al lavoro, diritti che derivano dal lavoro, ecc.

PRESIDENTE prega l’onorevole La Pira di proporre in un secondo tempo questa sua concezione integrale e completa della posizione del lavoratore e dei diritti del lavoro.

LA PIRA ricorda che è stata una conquista del diritto l’affermazione della personalità giuridica come un titolo a cui si collegano tutti i diritti della persona. Non vede perché non si debba affermare anche una certa personalità giuridica ai lavoratori, a cui si colleghino tutti i diritti dei lavoratori stessi; questa sarebbe veramente una conquista costituzionale.

MASTROJANNI fa rilevare che la Sottocommissione deve risolvere la questione di merito.

PRESIDENTE osserva che, discutendo prima la questione di merito, non si pregiudica la possibilità di venire anche ad un’affermazione del diritto dei lavoratori in senso generale.

MORO dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Basso circa l’opportunità di discutere soltanto principî generali, e sostiene che invece di arrivare ad una formulazione frettolosa, si debbano discutere in blocco tutti i problemi, anche in vista della loro collocazione.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Moro. Le osservazioni dell’onorevole La Pira sono state molto interessanti, perché hanno toccato una questiona che riconferma la necessità di trattare tutto il complesso della questione. Ricorda che è stato già votato un articolo che crea la premessa di quanto è stato detto dall’onorevole La Pira. Si è stabilito che il cittadino ha diritto al lavoro ed il dovere di svolgere un’attività socialmente utile. Quindi si è già stabilito che lo Stato italiano domani sarà uno Stato di lavoratori. L’equivoco sorge sull’uso che si deve fare della parola «lavoratore». In uno Stato dove il cittadino ha l’obbligo di lavorare, la parola «lavoratore» ad un certo punto coincide con quella di «cittadino valido». Questa affermazione di principio crea un complesso di problemi che ritiene sia necessario chiarire.

Pertanto è del parere che una discussione generale sia indispensabile.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di procedere distintamente nella discussione e nell’eventuale approvazione delle varie proposizioni contenute nell’articolo generale.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

LUCIFERO, Relatore, ricorda che vi è una sua proposta subordinata, mirante a stabilire che si possa ritornare su quello che è già stato votato.

CEVOLOTTO dichiara di accedere alla riserva proposta dall’onorevole Lucifero. Fa soltanto osservare l’eventualità di un pericolo: se per esempio è stata votata una determinata proposizione con una determinata maggioranza, la minoranza vedendo il giorno dopo che la maggioranza si è spostata per l’assenza di qualche Commissario, potrebbe abilmente trovare la maniera di rimettere in discussione quella proposizione e votarla nuovamente.

CARISTIA osserva che, prima di votare un articolo, ogni Commissario ha il modo di esporre il suo pensiero sull’argomento, e che si deve anche supporre la buona fede in ognuno dei Commissari.

PRESIDENTE non ritiene necessaria una votazione sulla proposta dell’onorevole Lucifero, perché tutti sono d’accordo nell’accoglierla.

LUCIFERO dichiara di insistere nel chiedere che sia messa ai voti.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero.

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seguente formula presentata dal Relatore Togliatti:

«È garantita a tutti i cittadini la libertà di associarsi per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica.

«La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero».

Apre la discussione sulla prima proposizione.

BASSO dichiara di non essere contrario alla proposizione, ma ricorda che il diritto all’associazione in genere è stato già garantito con un altro articolo nella Costituzione, e teme che con la nuova proposizione si possa venire a limitare il diritto di associazione sindacale.

Chiede ai Relatori che cosa essi intendono esattamente per «miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica», e se si vuole con tale espressione ridurre il diritto di associazione sindacale ad una sfera delimitata di miglioramenti. Domanda, per esempio, se il consiglio di gestione rientra nelle condizioni di miglioramento del lavoro, oppure nelle condizioni di miglioramento del salario.

Ritiene inoltre si debba fare un’affermazione anche nei riguardi del valore giuridico dei contratti collettivi di lavoro stipulati.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che la materia dei contratti collettivi di lavoro rientra nella competenza della terza Sottocommissione.

BASSO fa rilevare che, poiché in questa proposizione si parla del diritto di associazione sindacale, è doveroso parlare anche dei contratti collettivi di lavoro stipulati da una di queste associazioni.

LUCIFERO, Relatore, risponde all’onorevole Basso, per quanto riguarda la sua prima osservazione, che nella formula proposta è contenuta l’espressione: «miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica», appunto perché ci si è preoccupati di quelle rivendicazioni che non consistono in un diretto miglioramento del complesso della vita economica.

Per quanto riguarda i contratti collettivi di lavoro, dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Togliatti, nel ritenere che si tratti di materia di competenza della terza Sottocommissione.

MORO si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso circa la necessità di regolare la materia dei contratti collettivi di lavoro, trattandosi di una questione giuridica. più che di una questione economica.

Rileva che, parlando di contratti collettivi di lavoro, si entra in una materia giuridica, e pertanto è compito della prima Sottocommissione vedere attraverso quali strumenti si attua l’accordo nella vita economica e come si regolano i Consigli di lavoro. È del parere che la prima Sottocommissione si debba occupare non solo della materia dei contratti collettivi di lavoro, ma anche del problema della personalità giuridica dei sindacati e della loro funzione di rappresentanza nei confronti degli appartenenti alla categoria. Sono problemi indissolubilmente connessi alla dichiarazione che si fa della libertà di associazione per ragioni economiche.

Per quanto riguarda l’osservazione circa i limiti della formula, se essa cioè debba essere comprensiva di tutte le possibili associazioni per gli interessi economici e riguardare, per esempio, anche gli utenti e i consumatori che possono talvolta associarsi per la difesa dei propri interessi, gli sembra che l’espressione adottata sia equivoca. L’espressione «per il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica», può ritenersi soddisfacente quando sia riferita ai lavoratori in senso stretto, ma se fosse estesa ad altra categoria potrebbe far nascere dei dubbi. Propone pertanto che essa sia emendata nel modo seguente: «per la difesa degli interessi economici».

MASTROJANNI dichiara che il problema deve essere affrontato ab imis. Fino ad oggi si è affermato in modo apodittico che il lavoro è tutelato dallo Stato, che il cittadino ha il dovere e il diritto al lavoro, che deve essere data al lavoratore una giusta retribuzione con la quale possa soddisfare le esigenze proprie e della famiglia. Ora sono state prospettate situazioni particolari, le quali rappresentano piuttosto l’esercizio di un diritto che non l’affermazione di un diritto. Se si vuole giungere all’esercizio del diritto – materia che non trova la sua sede adatta nella Costituzione – l’oratore ritiene opportuno qualche chiarimento.

Domanda perciò per quali ragioni si ritiene necessario ribadire il concetto della libertà di associarsi per la difesa ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica. Pensa che lo scopo sia quello di mettere in evidenza la preoccupazione costante, ed il particolare interessamento che lo Stato deve avere per garantire le condizioni dei lavoratori; ma, di fronte all’eguaglianza dei cittadini davanti allo Stato, questa particolare affermazione deve avere per lo meno un presupposto esplicativo che consenta l’inserzione di questa formula. Se il presupposto non c’è, la formula è superflua. Se poi si volesse stabilire quali sono i diritti dei lavoratori per il raggiungimento di quei fini che già sono stati assicurati con la Costituzione, tale materia troverà la sua sede naturale non nella Costituzione, ma in un Codice del lavoro.

TOGLIATTI, Relatore, si dichiara contrario alla proposta di inserire in questa sede l’affermazione sulla validità giuridica dei contratti collettivi di lavoro conchiusi nei sindacati. Ritiene che, per arrivare a fare questa affermazione, si dovrebbe affrontare in pieno tutta la materia sindacale, materia che non è stata affrontata dai Relatori perché non era stata loro assegnata e che dovrebbe essere affidata a due Relatori appositi.

Ricorda che la terza Sottocommissione ha già trattato questo argomento per mezzo della relazione dell’onorevole Di Vittorio, alla cui formulazione l’oratore si è tenuto per quanto riguarda il diritto generale di associazione sindacale.

Osserva che se si dovesse entrare sul terreno della validità dei contratti di lavoro, non potrà essere trascurato il problema del riconoscimento giuridico dei sindacati; ma una discussione su questo argomento non si potrà fare in sede di formulazione di un articolo. Del resto l’oratore ritiene che la materia riguardi la terza Sottocommissione, e che alla prima Sottocommissione spetti unicamente il compito di affermare il diritto in generale dell’organizzazione sindacale e il diritto di sciopero in quanto è uno dei diritti fondamentali del lavoratore.

Alle obiezioni sollevate dall’onorevole Mastrojanni, e alla sua domanda perché si debba affermare questo diritto di associazione sindacale dopo aver già affermato il diritto di associazione in generale, risponde che si deve affermare questo diritto di associazione sindacale perché si sta scrivendo un capitolo della Costituzione che andrà sotto il titolo dei diritti economici-sociali del cittadino. È necessario quindi, in questa sede, precisare la libertà di associazione, in quanto essa viene garantita particolarmente per raggiungere l’obiettivo della difesa e del miglioramento delle condizioni di lavoro e della vita economica.

Rispondendo all’osservazione dell’onorevole Basso, che nella determinazione dei suddetti obiettivi vi sia una limitazione, osserva che non si può parlare di un limite, ma piuttosto di un orientamento particolare. Si tratta di difendere e migliorare le condizioni dei lavoratori e non di peggiorarle, cioè di non far gravare sul lavoro il peso di un’organizzazione la quale impedisca il miglioramento delle condizioni di lavoro. Ora, nella formulazione proposta si garantisce la libertà di associarsi per il miglioramento delle condizioni di lavoro; ma, se si costituisse un’associazione per impedire il miglioramento delle condizioni di lavoro, lo Stato dovrebbe esaminare qual è la posizione di tale associazione, e nel caso potrebbe dichiararla illegale.

Ricorda che alla Costituente francese è stato presentato un testo con il quale si progetta di garantire i lavoratori contro l’attività di associazioni che tendano a svilire il valore del lavoro e a peggiorare le condizioni dei lavoratori. In questo spirito i Relatori hanno formulato l’articolo, il quale è coerente con quanto è stato affermato fin dal primo giorno in cui la Commissione si è riunita.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che, se la questione del diritto sindacale fosse stata sottoposta all’esame della prima Sottocommissione, egli avrebbe proposto di demandarla alla competenza della terza Sottocommissione, poiché è materia di regolamentazione.

Il problema sindacale è complesso ed investe la questione se debba il sindacato essere uno o plurimo. Dichiara, per suo conto, di essere favorevole al sindacato unico.

Concorda con l’onorevole Mastrojanni nel considerare l’articolo superfluo, ma fa presente di averlo accettato poiché esso portava nella Costituzione un’affermazione esplicita della libertà di associarsi sindacalmente. Ricorda che la precedente Costituzione garantiva già la libertà di associazione, e, nonostante ciò, in un determinato periodo le associazioni furono vietate. Ora, visto che la giurisprudenza insegna qualche cosa, è bene affermare categoricamente che questo genere di associazioni per la difesa e la tutela economica sono associazioni lecite e garantite dalla legge.

All’onorevole Moro dichiara che non ha difficoltà ad accettare la formula da lui proposta.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Lucifero nella sua formulazione originaria prevedeva la difesa del diritto di associazione sindacale ed economica.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che, essendosi già garantito nella Costituzione il diritto di associazione per tutti i cittadini, il nuovo articolo proposto che viene a limitare quel diritto è tutt’altro che esplicativo.

Se questo articolo deve avere, come ha, una importanza, è unicamente per le associazioni sindacali. Ma allora, si voglia o non si voglia attribuire la competenza di questa materia alla terza Sottocommissione, egli pensa che non si possa fare a meno, giacché si parla di associazioni sindacali, di affermare in questa sede quei principî generali che poi saranno regolati metodicamente dalla terza Sottocommissione.

BASSO dichiara di non aver difficoltà ad accettare che la questione della validità dei contratti collettivi sia demandata all’esame della terza Sottocommissione. Non è, invece, soddisfatto delle risposte date dai Relatori alla sua osservazione che la formula in discussione è talmente larga da svuotare il contenuto dell’articolo. È d’accordo con l’onorevole Togliatti che, pur essendo già garantito il diritto di associazione, un’affermazione particolare del diritto di associazione sindacale si debba fare; ma la formula proposta non risponde alla esigenza, perché in essa può rientrare qualunque società commerciale.

Fa presente che, essendosi iniziata la parte della Costituzione riguardante i diritti del lavoro con un primo articolo nel quale si enuncia il principio che l’attuale civiltà è una civiltà di lavoro, è opportuno sostituire alla parola «cittadini» l’altra «lavoratori». in modo che sia chiaro che ci si vuol riferire al diritto sindacale.

Per quanto riguarda la seconda parte dell’articolo, riconosce che il dire che le associazioni tendono al miglioramento ed alla difesa delle condizioni di lavoro e della vita economica, ha un carattere di orientamento, ma osserva che l’azione sindacale non è soltanto azione economica ed il limitarla a questo significa escluderla da molte altre possibilità. È necessaria perciò una maggiore chiarificazione.

Quindi, a suo avviso, si dovrebbe usare un’espressione comprensiva, specificando che le associazioni sindacali sono lecite, allo scopo di raggiungere tutti i fini che esse si pongono e che sono non soltanto economici.

MASTROJANNI dichiara che, dovendo la prima Sottocommissione affermare questioni di principio, essa non può limitarsi a considerare uno solo di quei problemi che sono inscindibili nel loro complesso e nella vita nazionale e dello Stato. Non ci si può disinteressare dal risolvere i problemi del lavoro, prescindendo dalla posizione e dalla figura dello Stato. Occorre prima di tutto definire quali sono i rapporti in questa materia tra i lavoratori e lo Stato.

Quando il lavoratore ha il diritto di scioperare, insieme con quello di essere sovvenzionato nei casi di disoccupazione involontaria, di essere assistito nei casi in cui non per sua colpa si trovi in condizioni di non poter sopperire alla sua esistenza, di avere la giusta e dignitosa mercede, ecc., non si può non considerare coerentemente il caso di conflitti che possano sorgere tra chi esercita i suoi diritti e l’ente contro il quale questi diritti si fanno valere.

Il diritto di sciopero – come ha detto l’onorevole Togliatti – può tendere non soltanto al miglioramento economico delle classi lavoratrici, ma anche a far pesare politicamente nella vita dello Stato la forza di queste associazioni e organizzazioni, essenziali alla vita stessa dello Stato. Di fronte a questo fatto, la base su cui va impostato il problema è quella dei rapporti tra lo Stato, il produttore, il lavoratore e tutte le altre categorie di cittadini.

Sarebbe perciò opportuno, prima di parlare dell’esercizio dei diritti, di stabilire che l’esercizio dei diritti dei lavoratori, per tutto quanto riguarda la difesa dei loro diritti di interessi morali o materiali, è devoluto agli organismi nei quali essi sono inseriti, e che sono questi organismi quelli che fanno valere i diritti stessi nei confronti dei datori di lavoro e nei confronti dello Stato. Ma la situazione giuridica dello Stato durante questi conflitti la si deve risolvere, e non si può sfuggire a questo quesito. Si è affermato che la società moderna non può accettare il liberalismo agnostico e che il problema sociale è essenziale; è d’accordo, ma in tal caso il problema del lavoro deve essere impostato tenendo presente lo Stato nella sua configurazione giuridica, economica e sociale, e nei suoi rapporti con i fattori della produzione e del lavoro; diversamente. non si può coerentemente procedere oltre. Quando si discuterà dello sciopero, sarà bene sapere se il lavoratore ha il diritto di contrastare violentemente contro lo Stato, dato che lo Stato garantisce il lavoratore contro l’invalidità e la vecchiaia, gli assicura il diritto al lavoro, alla giusta remunerazione per sé e famiglia, ecc.

LA PIRA osserva che il diritto di sciopero si esercita normalmente non contro lo Stato, ma contro il datore di lavoro.

MASTROJANNI replica che se il datore di lavoro si considera subordinato di fronte allo Stato, come fa lo Stato a impegnarsi per tutelare i diritti e gli interessi dei lavoratori, senza tener conto dei diritti e degli interessi dei datori di lavoro? Lo può fare soltanto rivalendosi su coloro che producono.

In concreto, la proposta che egli avanza è che non si possa affrontare il problema trattato dall’articolo proposto dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Lucifero, senza prima considerare i rapporti tra lo Stato e i fattori della produzione e del lavoro. Quindi è favorevole ad una sospensiva, per lo meno pregiudiziale. Dichiara che sarebbe ben lieto, ad ogni modo, se i Relatori volessero illuminarlo sull’argomento, e si augura che anche gli altri Commissari vogliano esprimere il loro pensiero in proposito.

LA PIRA riafferma il principio che l’associazione sindacale non è una qualsiasi associazione, ma diventa, nella concezione moderna dello Stato, un elemento strutturale dell’ordinamento sociale.

In una Costituzione è essenziale l’affermazione del diritto di queste associazioni, perché esse rappresentano un elemento strutturale del nuovo tipo di Stato. È qui che appare la diversità di concezione che c’è tra la sua tesi e la tesi dell’onorevole Mastrojanni.

MASTROJANNI fa presente che egli si è limitato a fare obiettivamente diverse ipotesi, senza esprimere la sua opinione sull’argomento.

LA PIRA ricorda che l’onorevole Mastrojanni ha detto che non è possibile parlare del problema dell’associazione sindacale e del problema connesso dello sciopero, se prima non si affrontino i problemi relativi ai rapporti tra lo Stato e gli elementi della produzione e del lavoro. Ora, attraverso l’onorevole Mastrojanni, ritorna il problema posto all’inizio della discussione dagli onorevoli Moro, Dossetti, Lucifero ed altri. Effettivamente una premessa va fatta nei riguardi di tutta l’organizzazione del lavoro. Da questa premessa dipendono i diversi corollari. L’oratore considera risolti alcuni problemi che invece l’onorevole Mastrojanni considera tuttora aperti: per esempio, quello riguardante la preminenza del lavoro sugli altri elementi della produzione.

MASTROJANNI domanda quale figura assuma lo Stato in questo problema sociale.

LA PIRA risponde che lo Stato deve intervenire in tutto l’ordinamento della vita sociale con una funzione stimolante ed alcune volte sostitutiva.

DOSSETTI osserva che l’affermazione del diritto di associazione per fini di difesa del lavoro, in tanto ha significato in quanto si distingue dalla formulazione generale del diritto di associazione, come garanzia specifica contro eventuali interpretazioni restrittive del diritto di associazione, ai fini della difesa degli interessi del lavoro. È d’accordo con l’onorevole Basso sul fatto che la formula ha significato in quanto possa essere più circoscritta di quella presentata all’esame della Sottocommissione, e anche sull’opportunità di escogitare una formula la quale chiarisca che si tratta di un’affermazione del diritto di lavoro, e determini il fine per cui questi diritti di assoluzione vengono garantiti.

TOGLIATTI, Relatore, crede di poter interpretare questo ultimo intervento dello onorevole Dossetti come un ritorno alla sua formula originaria, che era limitata al diritto di associazione dei lavoratori.

DOSSETTI dichiara di preferire la formula originaria, ma osserva che, nella parte riguardante la determinazione del fine, nemmeno la formula proposta dall’onorevole Togliatti si sottrae alla censura dell’onorevole Basso, che cioè il fine sia limitato a rivendicazioni di carattere salariale o parasalariale, mentre non viene adeguatamente messo in evidenza il senso della responsabilità e la valutazione del lavoro.

LUCIFERO, Relatore, fa osservare che la formula è stata concepita in modo diverso appunto per darle un carattere più espressivo. È perciò favorevole alla formula concordata, e non a quella originaria dell’onorevole Togliatti.

Osserva però che anche quest’ultima formula potrebbe essere accettata, qualora si dicesse «cittadini» e non «lavoratori». Poiché si è stabilito in un articolo della Costituzione che lo Stato italiano è uno stato di lavoratori e che tutti debbono lavorare, si intende che tutti sono lavoratori. Se si usasse il termine di «lavoratori», oltre che addentrarsi in una discussione molto vasta, si ritornerebbe sull’articolo già approvato. Sembrerebbe infatti che si voglia vietare ad alcune categorie di lavoratori il diritto di associarsi. Nel termine «lavoratori» dovrebbero rientrare anche gli industriali, perché anche per loro vige il dovere di lavorare secondo quanto è stato stabilito. Quindi ad essi non dovrebbe essere proibito il diritto di sindacarsi. Poiché dunque il termine «lavoratore» ha un significato determinato in riferimento al lavoratore manuale, è del parere che si debba dire «cittadini», dato che tutti i cittadini hanno il diritto di riunirsi nelle loro organizzazioni economiche.

MORO dichiara che occorre affrontare il problema del lavoro in quanto problema sociale e problema economico. Ha l’impressione che, dopo la triste esperienza degli ultimi anni, vi sia una certa tendenza a tornare in qualche modo indietro, cioè a respingere fuori della regolamentazione giuridica materie che per un naturale progresso civile erano state a mano a mano sottratte alla libertà arbitrale e portate verso il campo dei diritti. Era questo un progresso per cui finalmente la materia del lavoro non era più affidata alla libertà arbitrale dei singoli, ma era portata nel campo della regolamentazione giuridica, col principio che lo Stato non regola soltanto le generalissime condizioni di esercizio della libertà individuale, ma interviene in materia economica sociale in una misura e per dei fini che si possono e si devono determinare. Quindi ritiene che, pur essendo tutti d’accordo sulla necessità di stabilire quello strumento di libertà che è il sindacato per la tutela dei diritti dei lavoratori, si debba domandare se il lavoro della Sottocommissione, che ha una certa sua autonomia, non risulterebbe insignificante, se a questo punto non si affermasse anche quello che deve essere il principio ispiratore della futura legislazione sul lavoro e che deve offrire lo strumento per risolvere i problemi del lavoro.

In una precedente discussione si è accantonato un articolo in cui si parlava di una pianificazione dell’economia, perché è stato osservato che si trattava di una materia da discutere a fondo. Ma forse in quella questione, per il momento accantonata, rientrava l’esigenza da parte della collettività di armonizzare i conflitti di carattere economico che possono sorgere, per esempio, tra lavoratori e consumatori; Non ci si deve fissare sui conflitti tra datori di lavoro e lavoratori, ma si deve guardare alla vita economica, la quale è fatta di urti e di interessi tra uomini, alla funzione giuridica della collettività, che è quella di creare le condizioni di armonia per la vita economica.

In definitiva, la collettività deve intervenire allo scopo di regolare gli urti che avvengono tra gli uomini, soprattutto in materia economica. Esprime il parere che la Costituzione della nuova Italia non può prescindere dal risolvere organicamente questo problema e rivendica alla prima Sottocommissione il compito di affermare che la nuova Italia, in così larga parte social-comunista e in così larga parte democristiana, è orientata nel senso di un effettivo progresso sociale. Oggi si deve creare una realtà nuova, cioè uno Stato di popolo; ma a questo Stato si devono attribuire dei poteri, in modo che esso possa rappresentare la sua funzione armonizzatrice e coordinatrice ed esercitare tutti quegli interventi nell’ambito della vita economica che sono essenziali per dare ordine e stabilità all’organizzazione sociale.

CEVOLOTTO chiede la chiusura della discussione generale.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Cevolotto.

(È approvata).

PRESIDENTE riassume la discussione, rilevando che tutti si sono trovati d’accordo sul principio che il diritto di organizzazione sindacale debba essere riconosciuto dalla Costituzione. I dissensi sono affiorati solo sul modo di esprimere questo concetto; vale a dire come articolare in termini precisi il diritto di organizzazione sindacale riconosciuto a tutti i cittadini.

Nei riguardi della formula primitiva presentata dall’onorevole Togliatti, osserva che il termine isolato di «lavoratori» offre il fianco ad una interpretazione unilaterale e restrittiva di esso, cioè limitatamente ai soli lavoratori manuali e con esclusione di quelli intellettuali, tecnici, ecc.

Comunica a questo punto che l’onorevole Lombardi ha proposto la seguente formula: «Tutti i lavoratori hanno diritto ad associarsi per la difesa ed il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita»; ma dichiara di non aderire né a questa né alle altre presentate e ne propone una sua così concepita: «Il diritto di organizzazione sindacale è garantito».

Fa osservare che questa formula risolve, a suo avviso, tutte le difficoltà prospettate dai vari oratori e lascia impregiudicata ogni ulteriore precisazione della questione in sede legislativa, dove potrà anche farsi luogo al riconoscimento giuridico dei sindacati e di speciali norme sull’arbitrato obbligatorio e sui contratti collettivi di lavoro.

BASSO propone una formula così concepita: «È garantita a tutti i lavoratori la libertà di associarsi per la difesa e il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita e per una maggiore partecipazione alla gestione della produzione».

TOGLIATTI, Relatore, domanda all’onorevole Basso se egli non ritenga che, con l’attribuire ai sindacati il compito di accrescere la partecipazione dei lavoratori alla gestione della produzione, si venga a scivolare su un terreno che non è di competenza della prima Sottocommissione, ma è quello del sindacalismo classico, il quale asserisce che attraverso il sindacato si riesce a prendere nelle mani la gestione della produzione. Ricorda infine che la dottrina marxista afferma ch’è attraverso la conquista del potere dello Stato che si attua questa gestione.

BASSO osserva che non è il sindacato che partecipa alla gestione, bensì sono i lavoratori organizzati nel sindacato, i quali possono sviluppare questa organizzazione per affermare lo sciopero.

TOGLIATTI, Relatore, accetta, presa in questo senso, la formula dell’onorevole Basso.

DOSSETTI dichiara di accettare la formula del Presidente, perché, nei termini lapidari in cui viene proposta, comprende tutto.

Non si sentirebbe di accettare la formula dell’onorevole Basso, perché desidererebbe approfondire alcuni rilievi fatti dall’onorevole Togliatti. Evidentemente, con la formula Basso si viene ad attribuire all’associazione sindacale una funzione che è quella sindacale, della tutela del lavoratore in contrapposizione al datore di lavoro.

MERLIN UMBERTO si dichiara favorevole alla formula proposta dal Presidente in quanto più semplice, più generica e comprendente tutti i concetti. Fa osservare che ormai nella vita del Paese si riconosce il diritto all’esistenza del sindacato. Non c’è bisogno di dire «per la difesa e il miglioramento delle condizioni del lavoro», perché nella natura del sindacato c’è precisamente questa funzione.

BASSO dichiara di accettare la formula del Presidente e pertanto di ritirare la sua.

DOSSETTI fa presente che, a suo parere, l’organizzazione rappresenta un ulteriore gradino rispetto all’associazione, epperciò dovrebbe prima venire il diritto all’associazione e poi l’associazione particolarmente organizzata.

PRESIDENTE ricorda che la parola «organizzazione» era contenuta nella sua prima formula. Quanto all’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, concernente il diritto di sciopero, fa osservare che ci si è riservati di discutere tale questione in un secondo tempo, e questo fa presente non perché sia contrario al diritto di sciopero, ma perché pensa che tale problema possa formare oggetto di un’altra proposizione.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che il termine organizzazione è stato usato una volta sola a proposito delle organizzazioni che perseguono fini politici mediante organizzazioni militari. Preferirebbe perciò il termine «associazioni», in quanto non vorrebbe che, per analogia, ci si richiamasse all’unica volta che è stato usato questo termine.

PRESIDENTE accetta di formulare la sua proposta in questi termini: «Il diritto di associazione e di organizzazione sindacale è garantito».

BASSO preferirebbe mettere prima la parola «organizzazione».

PRESIDENTE, allo scopo di evitare complicazioni e discussioni, dichiara di ritornare alla sua primitiva formula: «Il diritto di organizzazione sindacale è garantito», e la mette ai voti.

LUCIFERO, Relatore, si dichiara costretto a votare contro la proposta così come è formulata, in quanto non può ammettere che un interprete in mala fede possa un giorno sostenere che, poiché è proibito associarsi ai fini politici con organizzazioni militari, questo sia consentito ai fini sindacali.

MASTROJANNI dichiara di votare contro, non perché non riconosca il diritto ai lavoratori di associarsi, ma perché tale diritto è già stato sancito e perché, ripetuto in questa sede, costituisce la premessa da cui far scaturire l’affermazione dello esercizio dei diritti. Tale esercizio, attraverso le forme procedurali anche materiali è attuose che saranno riconosciute, deve trovare posto, a suo avviso, in sede adatta e meglio in un Codice del lavoro.

Vota contro altresì, perché il problema deve essere affrontato e discusso nella sua complessità, vastità ed importanza, tenendo presenti i rapporti tra lo Stato e i suoi amministrati, in essi ovviamente compresi gli elementi della produzione e del lavoro. L’integralità del problema non consente parziali discussioni in limitati settori. Questa Sottocommissione deve limitarsi ad affermare i principî generali, lasciando alla terza Sottocommissione di progettare l’inquadramento costituzionale e giuridico del problema.

(La formula proposta dal Presidente è approvata con 10 voti favorevoli e 2 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione l’altra proposizione: «La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero».

LUCIFERO, Relatore, dichiara che senza dubbio si deve ammettere il diritto dei lavoratori di servirsi dell’arma dello sciopero per difendere i loro interessi, ma non si deve negare agli altri fattori della produzione il diritto di poter difendere anch’essi i propri interessi.

Se si deve ammettere l’esistenza di uno Stato classista, concezione che l’oratore non accetta, non è giusto che si debba porre una classe alla mercé dell’altra, senza una possibilità di difesa.

TOGLIATTI, Relatore, domanda all’onorevole Lucifero se non ammette il diritto di sciopero quando questo diritto non sia limitato.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di ammettere il diritto di sciopero come un’affermazione di principio.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che, allora, l’onorevole Lucifero potrà votare l’affermazione del principio generale con una riserva.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che egli voterà a favore dell’affermazione del diritto di sciopero, perché è convinto che esso debba esservi; però deve fare fin dal principio la riserva che il suo voto non può significare il riconoscimento di una sperequazione, di uno squilibrio nella vita economica del Paese. Fa presente che lo Stato non interviene per decidere se lo sciopero possa essere pericoloso e debba cessare, ma ricorda che proprio in questi giorni è stato prospettato l’intervento dello Stato sotto la forma dell’arbitrato obbligatorio.

MASTROJANNI dichiara che non è in grado di interloquire sull’argomento, fino a quando non sarà stato comunicato se deve essere sottoposta all’esame della Sottocommissione la questione del contratto collettivo di lavoro, di cui prima si è fatto cenno. Siccome fondatamente si deve presumere che il contratto collettivo di lavoro, secondo la sua essenza giuridica, è l’accordo di due o più persone per costituire, regolare o sciogliere un vincolo giuridico, l’esecuzione di questo contratto non può essere lasciata all’arbitrio od alla violenza,

Si riserva di intervenire sull’argomento quando avrà appreso in quali termini sarà redatta la formulazione del contratto collettivo di lavoro.

CEVOLOTTO fa presente che sulla proposta riguardante il diritto di sciopero si può essere tutti d’accordo, e forse sarebbe inutile metterla in votazione. Però nota che vi sono successivamente delle proposte di aggiunta o di limitazione che devono essere esaminate una alla volta. Per esempio l’onorevole Lucifero domanda che sia riconosciuto il diritto di serrata e anche su questo punto si dovrà discutere. Successivamente, lo stesso onorevole Lucifero ha proposto altre limitazioni che si riferiscono al diritto dello Stato di intervenire per dichiarare illegali quegli scioperi che siano pregiudizievoli all’ordine pubblico e all’economia, e anche su questo è necessaria uria discussione. L’onorevole Merlin, da parte sua, ha preannunciato già fin da ieri un’altra sua proposta aggiuntiva, che riguarda il divieto dello sciopero nei pubblici servizi e la sostituzione ad esso dell’arbitrato obbligatorio. Gli sembra che non ci sia nessuna difficoltà a procedere nella discussione in questo senso.

MERLIN UMBERTO dichiara di essere favorevole alla formula proposta dall’onorevole Togliatti. Rileva infatti che su questo punto non c’è discrepanza tra le varie scuole. Però ritiene che sia necessario di aggiungere nella Costituzione il pensiero della Sottocommissione per quanto riguarda lo sciopero dei servizi pubblici. Vuole alludere allo sciopero dei pompieri, degli addetti agli ospedali, degli infermieri, ecc. Non crede che uno Stato possa ammettere lo sciopero di queste categorie di lavoratori, perché altrimenti bisognerebbe anche ammettere lo sciopero dei carcerieri, degli agenti di polizia e dei carabinieri. Si domanda che cosa resterebbe di uno Stato il quale non avesse più neanche un corpo di polizia a cui impartire ordini.

Afferma che nello stesso momento in cui nella Costituzione viene affermato il diritto di sciopero, si deve dichiarare che lo sciopero nei pubblici servizi è vietato. Ritiene che a questo concetto si debba associare anche l’onorevole Togliatti (a meno che egli non voglia rispondere che quanto succede in Russia non può essere applicato in Italia), perché in Russia è vietato in modo assoluto lo sciopero nei pubblici servizi, anzi non lo si concepisce neanche nei rapporti di diritto privato. Dichiara che egli non fa una questione di difesa di una classe, ma soltanto di difesa dello Stato come rappresentante di tutte le classi.

E poiché ai dipendenti dello Stato non sarebbe offerta alcuna difesa per la tutela dei loro interessi, è del parere che debba essere ad essi riconosciuta questa difesa sotto la forma dell’arbitrato da parte dello Stato. Ritiene che l’unica soluzione che si possa accettare sia quella dell’arbitrato obbligatorio.

Conclude proponendo la formula seguente, che dovrebbe essere aggiunta a quella proposta dell’onorevole Togliatti: «Lo sciopero nei pubblici servizi è vietato. Leggi particolari concederanno a coloro che danno la loro opera a tali servizi, mezzi adeguati per la tutela dei loro diritti».

TOGLIATTI, Relatore, fa osservare all’onorevole Merlin che in Russia non esiste nessuna disposizione costituzionale la quale vieti lo sciopero né nelle aziende, né nei pubblici servizi.

DOSSETTI nota che non si parla in Russia di sciopero, neanche per garantirlo costituzionalmente.

TOGLIATTI, Relatore, conferma che nella Costituzione russa non si parla del diritto di sciopero. Pertanto egli sarebbe favorevole a non mettere il diritto di sciopero neppure nella Costituzione italiana, qualora però essa contenesse tutte le altre affermazioni che sono contenute nella Costituzione sovietica, e fra l’altro quella che tutti i mezzi di produzione sono socializzati.

Ricorda che la Costituzione sovietica è una Costituzione socialista, e quindi non può ammettere il diritto di sciopero, che è un diritto fatto valere in una società che non è socialista.

Fa però osservare che anche in una società socialista lo sciopero può essere ammesso, quando ci si trovi in un periodo organizzativo.

Dalla Costituzione russa non si può argomentare nulla, oppure si potrebbe argomentare qualche cosa se si potesse organizzare una società nella quale i lavoratori non avessero bisogno di ricorrere allo sciopero per soddisfare quelle che sono le esigenze di migliori condizioni per l’esistenza.

Circa l’osservazione che si dovrebbe limitare il diritto di sciopero nei pubblici servizi, si domanda per quale ragione si dovrebbe introdurre una tale limitazione. Vorrebbe che si definisse che cosa è un pubblico servizio. Nota che l’onorevole Merlin ha dato una serie di esempi dei servizi che possono sembrare essenziali per la vita di una nazione, ma l’oratore potrebbe dire che vi sono anche altri servizi ed altre forme di lavoro altrettanto essenziali. Cita, ad esempio, uno sciopero dei mietitori in Puglia alla vigilia del giorno in cui le messi sono mature e potrebbero venire abbattute e distrutte da un temporale improvviso. Si domanda se questo lavoro dei mietitori non debba considerarsi un pubblico servizio.

Questa osservazione lo porta a concludere che il Governo dovrà fare attenzione a che non avvengano scioperi nei servizi che rivestono un pubblico interesse; dovrà cioè garantire determinate condizioni, andare incontro a determinate categorie di lavoratori, organizzare il lavoro di queste categorie, seguire insomma tutta l’organizzazione del lavoro. Ma negare a questi lavoratori il diritto di scioperare vuol dire metterli nelle condizioni di non avere nessuna arma di difesa per il lavoro.

Di ciò egli fa una questione di principio è non una questione di organizzazione del lavoro o di organizzazione di servizi.

Il diritto di sciopero è un diritto inalienabile di colui che lavora, il quale ha il diritto di organizzarsi e far valere il peso della sua organizzazione per ottenere quelle condizioni che siano adeguate alle esigenze della propria esistenza. Questo diritto non può essere limitato in alcuna materia; spetterà a chi governa di fare in modo che le condizioni di lavoro di particolari categorie siano tali per cui questo diritto di sciopero non debba mai venire esercitato.

MERLIN UMBERTO riconosce che il Governo deve prevenire lo sciopero di determinate categorie di lavoratori, dando condizioni sufficienti di vita a tutti i suoi dipendenti. Però in molte situazioni ciò non è possibile. Il Governo può, se vuole, battere moneta e raddoppiare gli stipendi dei suoi impiegati. Se si rifiuta, è perché ci sono ragioni superiori di interesse della collettività per cui ritiene di non poterlo fare, oppure ritiene che se raddoppiasse la moneta ci si verrebbe a trovare in un circolo vizioso per il consegnante aumento dei prezzi.

Tutti sono d’accordo che si debba prevenire, ma si deve anche considerare il carattere speciale del rapporto di impiego, i doveri, i diritti ed i vantaggi particolari del dipendente dello Stato. Inoltre l’impiegato è parte stessa dello Stato, di cui costituisce la spina dorsale. Perciò si potrà ammettere che egli faccia valere i suoi diritti, che abbia un tribunale arbitrale obbligatorio, ma bisogna negare che, in queste circostanze speciali, possa esercitare il diritto di sciopero.

CEVOLOTTO ritiene che si sia anticipata la discussione su argomenti che dovranno essere esaminati in un secondo momento e propone che la seduta sia rinviata.

PRESIDENTE, riassumendo la discussione, propone un suo articolo sostitutivo a quello dell’onorevole Togliatti del seguente tenore:

«Lo sciopero è ammesso, tranne che nei servizi di pubblica utilità e di pubblica difesa».

Ma, poiché l’ora è tarda, ne rinvia la discussione alla prossima riunione.

La seduta termina alle 12.55.

Erario presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Mancini e Marchesi.

GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

22.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 10 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Seguito della discussione)

Presidente – Togliatti, Relatore, – Moro – Lucifero, Relatore – Cevolotto – Merlin Umberto – La Pira – Dossetti – Lombardi Giovanni – Mastrojanni.

La seduta comincia alle 11.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE riapre la discussione, che fu lasciata in sospeso nella seduta precedente, sulla formulazione delle proposizioni concernenti particolarmente la tutela degli inabili al lavoro, delle donne e dei minori.

TOGLIATTI, Relatore, chiede all’onorevole Moro se egli accetterebbe una formula, che è una specie di contaminazione delle due formule che erano state presentate precedentemente. La formula primitiva era la seguente: «Gli inabili al lavoro hanno diritto di avere la loro esistenza assicurata dallo Stato». La formula dell’onorevole Moro diceva: «Il cittadino, il quale per qualsiasi ragione e senza sua colpa, si trovi nell’impossibilità di ricavare i mezzi di vita dal suo lavoro, ha diritto di ricevere dalla collettività prestazioni sufficienti per assicurare l’esistenza di lui e della sua famiglia». La formula che ora propone è la seguente: «Chiunque è inabile o per qualsiasi ragione, e senza sua colpa, è incapace di lavoro, ha diritto ad avere la sua esistenza assicurata dallo Stato».

MORO dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, si dichiara d’accordo con la proposta dell’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata all’unanimità).

Comunica che la seconda proposizione dell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti dice: «Tutti i cittadini hanno diritto all’assicurazione sociale contro gli infortuni, le malattie, l’invalidità, la disoccupazione involontaria e la vecchiaia».

CEVOLOTTO si dichiara contrario a questa parte della proposta dell’onorevole Togliatti, non perché sia contrario al principio generale, ma perché crede che un diritto alla assicurazione esteso a tutti i cittadini, cioè anche ai professionisti, agli artisti e alle altre categorie similari, rappresenti tali difficoltà, ed eventualmente tali oneri a carico dello Stato, che ne renderebbero l’applicazione più che difficile, impossibile in questo momento in Italia, a meno di non studiare un piano generale che non è di competenza della Sottocommissione.

Per queste ragioni, ritenendo che il principio sia affermato in maniera troppo assoluta, voterà contro.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione proposta dell’onorevole Togliatti.

(È approvata con 11 voti favorevoli e 1 contrario).

Dà lettura della terza proposizione dello articolo che è così formulata: «La legge protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori, stabilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo individuale e familiare» e la mette ai voti.

(È approvata all’unanimità).

Dà lettura dell’ultima proposizione dello articolo proposto dall’onorevole Togliatti: «È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero» e la mette ai voti.

(È approvata all’unanimità).

Dà lettura del testo dell’intero articolo così come risulta dopo le votazioni della seduta precedente e dell’attuale:

«Il lavoro nelle sue diverse forme è protetto dallo Stato.

«Chiunque è inabile, o per qualsiasi ragione, e senza sua colpa, è incapace di lavoro, ha diritto ad avere la sua esistenza assicurata dallo Stato.

«Tutti i cittadini hanno diritto all’assicurazione sociale contro gli infortuni, le malattie, l’invalidità, la disoccupazione involontaria e la vecchiaia.

«La legge protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori, stabilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo individuale e familiare.

«È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Mette in votazione l’intero articolo.

(È approvato all’unanimità).

Ricorda che l’onorevole Lucifero aveva fatto una riserva in ordine alla difesa del risparmio. Gli fa osservare che nelle proposte presentate dall’onorevole Togliatti vi è un articolo nel quale si parla anche della tutela del risparmio. Quindi la questione non è pregiudicata e può essere riproposta nella ulteriore discussione.

LUCIFERO, Relatore, fa osservare che la questione che egli presenta all’esame della Sottocommissione è una questione di collocamento, perché sul fatto che il risparmio debba essere tutelato ritiene che tutti i Commissari siano d’accordo. La questione per lui invece è se la tutela del risparmio non debba essere proprio compresa nell’elencazione dei diritti del lavoro che è fatta nello articolo testé approvato. Fa osservare che, secondo il suo concetto, non dovrebbero essere considerate nello stesso capoverso la proprietà e la tutela del risparmio, come invece è fatto nell’articolo proposto dall’onorevole Togliatti.

Il risparmio, infatti, dice qualche cosa di più; è qualcosa di più sudato e di più rispettabile. Il risparmio è la genesi della proprietà. È proprio questa filiazione del lavoro che si può consolidare e trasformare in proprietà, ma essa è in uno stato fluido di particolare delicatezza ed ha bisogno di una particolare protezione. Ecco perché ritiene che debba essere protetto il risparmio in questa sede.

MERLIN UMBERTO sottolinea anch’egli l’importanza della tutela del risparmio. Bisogna cercare di introdurre il principio, o sotto forma di un altro capoverso dell’articolo approvato, o come un articolo successivo.

PRESIDENTE rileva che la questione sollevata dall’onorevole Lucifero non è di merito, ma di collocamento.

L’onorevole Lucifero insiste perché la tutela del risparmio venga inserita tra i diritti del lavoro e non tra quelle altre regolamentazioni che riguardano la proprietà.

Poiché l’onorevole Lucifero ne fa una proposta concreta, apre la discussione su di essa, onde decidere se si debba parlare subito della tutela del risparmio, per inserirla nelle disposizioni recentemente approvate, o se ne debba parlare in un tempo successivo.

LA PIRA osserva che si tratta di due problemi diversi: uno è il problema della tutela del risparmio, e su questo tutti sono d’accordo; l’altro è il problema della collocazione della norma che tutela il risparmio. Domanda quale è la tesi dell’onorevole Lucifero.

LUCIFERO, Relatore, dichiara che egli considera il risparmio come veramente una cosa integrante del lavoro; quindi là dove si tutelano tutti i diritti del lavoratore, deve essere introdotta la tutela dei risparmi dello stesso lavoratore. È contrario invece a collocare la norma nell’articolo che riguarda più particolarmente la proprietà, perché la proprietà è un risparmio consolidato.

LA PIRA dichiara che quella dell’onorevole Lucifero è una tesi a cui si può accedere, poiché considera il risparmio frutto del lavoro.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Togliatti se egli abbia difficoltà ad accettare il punto di vista dell’onorevole Lucifero.

TOGLIATTI, Relatore, risponde di non avere difficoltà.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Lucifero nella sua relazione aveva proposto la seguente formulazione: «La legislazione sociale regola le assicurazioni contro gli infortuni, le malattie, la disoccupazione involontaria, la vecchiaia, l’invalidità e sulla vita; il lavoro delle donne e dei minori; la protezione della famiglia; la durata della giornata lavorativa e il salario minimo familiare; le ferie retribuite, la tutela del lavoratore italiano all’estero; la difesa del risparmio».

Perciò, in questo punto, egli concordava con le proposte originarie dell’onorevole Togliatti.

L’onorevole Togliatti nelle sue proposte collocava il diritto dei cittadini alla tutela del risparmio nel sesto degli otto articoli da lui proposti e precisamente al secondo capoverso, il quale è così formulato: «La proprietà dei cittadini e il risparmio sono tutelati dalla legge». L’ultimo capoverso dell’articolo approvato – è bene ricordarlo nel caso che ad esso si debba agganciare la tutela del risparmio – è così formulato: «È organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all’estero».

Nel testo proposto originariamente dall’onorevole Lucifero la difesa del risparmio era un inciso che trovava posto subito dopo la tutela del lavoratore italiano all’estero. Ma ora che a questa tutela del lavoratore italiano all’estero si è creduto di dover far luogo in un apposito capoverso a sé stante, alla tutela del risparmio si deve dedicare una formulazione aggiuntiva. Si potrebbe dire: «La legge regola la tutela del risparmio».

LUCIFERO, Relatore, fa osservare che quello che gli interessa è che la tutela del risparmio sia collocata subito dopo la tutela del lavoratore italiano all’estero.

PRESIDENTE fa presente che si tratta di trovare una formula che si attacchi alla diversa formulazione delle due proposte definitive degli onorevoli Togliatti e Lucifero.

Ripete la sua proposta che è così formulata: «La legge regola la tutela del risparmio».

TOGLIATTI, Relatore, dichiara di accettare questa collocazione.

LA PIRA ritiene sia da approvarsi il concetto, il quale fa del risparmio il frutto del lavoro.

LUCIFERO, Relatore, rileva che, inserito il comma dopo la tutela dei diritti del lavoratore, è chiaro che s’intende il risparmio quale frutto del lavoro.

MERLIN UMBERTO propone la dizione: «La legge tutela e difende il risparmio».

LUCIFERO, Relatore, dichiara d’accettare la formula proposta dall’onorevole Merlin.

PRESIDENTE ricorda che sono state presentate due formule, quella da lui proposta la quale dice: «La legge regola la tutela del risparmio» e la formula proposta dallo onorevole Merlin, la quale dice: «La legge tutela e difende il risparmio».

DOSSETTI ritiene che l’insensibilità o quasi della Sottocommissione al problema che è stato avanzato sia dovuta al fatto che i Commissari sono tutti d’accordo sul principio. A suo giudizio, il prospettarlo in questa sede e un po’ fuori posto.

PRESIDENTE fa presente che sulla collocazione si è già raggiunto l’accordo.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara d’accordo con l’onorevole Dossetti.

MASTROJANNI dichiara che, a suo avviso, la formula proposta dal Presidente è pleonastica. Nessun cittadino può dubitare che il suo risparmio possa essere aggredito. Preferisce, se mai, la formula proposta dallo onorevole Merlin, che è più apprezzabile socialmente, ma giuridicamente è anche essa un’affermazione pleonastica.

TOGLIATTI, Relatore, fa presente di avere accettato di trasportare la proposizione in esame nell’articolo in cui si parla del lavoro, ma desidera anche far rilevare che in questo modo l’affermazione di tutela del risparmio viene in un certo senso limitata al risparmio frutto del lavoro, mentre egli avrebbe ammesso anche la tutela del risparmio in generale. Fino a che la società sarà l’attuale, che non è società esclusivamente di lavoratori, ma anche di imprenditori e di capitalisti, accettava di tutelare il risparmio anche di questi ultimi.

Dichiara ad ogni modo di essere favorevole alla proposta.

DOSSETTI si dichiara d’accordo sui principio, ma non comprende perché si debba fare un’affermazione del genere prima di parlare della proprietà.

Qualora la proposta venisse accettata, si riserva di proporre che essa sia connessa con la trattazione della proprietà.

MERLIN UMBERTO dichiara che, a suo avviso, la sede opportuna dell’inserimento della tutela del risparmio è proprio quella della difesa del lavoro. Non si potrà mai difendere bene il lavoro, se non si tutela e difende il risparmio. I due concetti sono collegati. Il concetto di proprietà è, invece, più ampio.

PRESIDENTE fa presente la necessità di mettere ai voti se la questione del risparmio debba essere esaurita in questa sede o rinviata in sede di discussione di altri articoli, e particolarmente quando si parlerà del diritto di proprietà.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di ritenere che tutta la materia, benché importantissima, non debba far parte dello Statuto, ma di quelle leggi civili e commerciali che saranno in seguito fatte dalla Camera, e in cui si potrà tener conto dell’uso e del diritto di proprietà secondo i nuovi criteri.

Dichiara, pertanto, di votare contro il collocamento in questa od in altra parte della Costituzione di una norma simile, perché si tratta di materia che esorbita dall’ambito di quei concetti fondamentali a cui deve ispirarsi lo Statuto, concetti che saranno poi frutto di quello sviluppo economico e politico che ognuno persegue nel campo delle sue ideologie.

PRESIDENTE dichiara che è per lui indifferente che la tutela del risparmio venga collocata in questa o in altra sede; l’importante è che si affermi questo diritto alla tutela del risparmio. Osserva all’onorevole Lombardi che quanto egli ha detto circa la competenza della legge a stabilire ed a regolare questo istituto, trova riscontro nel fatto che la Costituzione si limita a dire proprio quello che egli vuole, che cioè la legge deve tutelare il risparmio. Sulla questione del collocamento dichiara che si asterrà dalla votazione.

MASTROJANNI dichiara che voterà favorevolmente, perché ritiene che l’affermazione sia da collocare in questa sede, anche per distinguere il risparmio che deriva dal lavoro da quello che deriva da altre fonti di produzione, intendendo che quanto altro derivi da altre fonti di produzione debba essere tutelato egualmente anche se si considera non come risparmio. L’onorevole Togliatti, se non erra, ritiene che il risultato economico delle altre fonti di produzione possa avere tutela solo ed in quanto è risparmio, come conseguenza di lavoro. Il problema quindi deve essere considerato sotto un altro profilo per le conseguenze che ne derivano nell’organizzazione sociale. Se l’onorevole Togliatti ritiene tutelabile solo il risparmio considerato come conseguenza diretta del lavoro, noi consideriamo tutelabili tutti i risparmi.

TOGLIATTI dichiara che sua intenzione era di affermare proprio il contrario. Quando formulava l’articolo in rapporto con tutte le questioni connesse alla proprietà, intendeva per risparmio una cosa molto più vasta. Per esempio, sotto il profilo di risparmio egli considerava anche l’eredità. Trasportare, invece, la tutela del risparmio nell’articolo dove si parla della tutela del lavoro restringe la sua portata. Dichiara, pertanto, che accetta la restrizione, ma che egli non l’avrebbe voluta, avendo presentato la tutela del risparmio in modo più ampio, con forme all’organizzazione economica attuale della Società.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero che il concetto della difesa del risparmio sia collocato subito dopo l’articolo approvato circa la difesa del lavoro.

(La proposta non è approvata con 5 voti favorevoli, 6 contrari e 3 astenuti).

Rileva che, procedendo oltre nell’esame degli articoli, a questo punto vi è l’articolo 3, proposto dall’onorevole Lucifero, che è del seguente tenore: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per svolgere una attività economica o per tutelare comuni interessi».

Lo stesso concetto è riprodotto nell’articolo 4 della proposta dell’onorevole Togliatti, che è la seguente: «I lavoratori hanno diritto di associarsi liberamente per la tutela del loro lavoro e la conquista di migliori condizioni di remunerazione e di esistenza.

«È contraria alla legge ogni azione che tenda in qualsiasi modo a limitare questo diritto.

«La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero».

La questione dello sciopero è accennata nell’articolo 4 della proposta dell’onorevole Lucifero, la quale dice: «Lo Stato può intervenire per la pacifica risoluzione delle controversie del lavoro, ivi comprese quelle attuantisi per via di sciopero o di serrata. Lo sciopero o la serrata che turbino gravemente l’ordine pubblico o intralcino l’ordinato svolgimento della vita economica e politica dello Stato possono essere dichiarati illegali».

Apre la discussione su tutte le questioni di carattere generale che sono comprese in questi articoli proposti dagli onorevoli Lucifero e Togliatti.

MORO propone che la discussione sia rinviata a domani.

(La Sottocommissione approva).

La seduta termina alle 12.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: De Vita, Grassi, Mancini e Marchesi.