Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 30 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

31.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 30 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

Per la morte dell’onorevole Giovanni Lombardi

Presidente – Cevolotto – Mastrojanni – Lucifero – La Pira – Marchesi – Basso.

Sull’ordine dei lavori

Presidente – Togliatti.

I principî dei rapporti sociali (culturali) (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi, Relatore, – Moro, Relatore – Cevolotto – Togliatti – Lucifero – Basso – Mastrojanni – Dossetti – La Pira – De Vita.

La famiglia (Discussione)

Presidente – Corsanego, Relatore – Iotti Leonilde, Relatrice – Togliatti – Lucifero – De Vita – Dossetti – Mastrojanni – Basso – La Pira – Cevolotto – Moro.

La seduta comincia alle 16.10.

Per la morte dell’onorevole Giovanni Lombardi.

PRESIDENTE comunica la dolorosa notizia della morte di un amato collega: l’onorevole Giovanni Lombardi. Aveva chiesto un breve congedo: nessuno avrebbe potuto immaginare che non ne sarebbe più tornato. I Commissari tutti avvertiranno certamente il vuoto che egli lascia nel loro cuore ed in seno alla Sottocommissione e ricorderanno con rimpianto il caldo senso di umanità che sempre si effondeva dalle sue parole.

Per aderire ad un desiderio dello scomparso, aveva personalmente dato disposizioni perché un suo precedente studio sull’abolizione della pena di morte fosse ristampato, e rimanesse come suo contributo ai lavori della Sottocommissione. La stampa è stata ultimata in questi ultimi giorni: forse l’autore non avrà avuto la ventura di prenderne visione.

Nel leggere questo suo studio, colpisce soprattutto l’ultima parte, ove, nell’affermare che la vita dell’uomo è sacra, si conclude che tale verità ci viene dal Cristianesimo e deve essere impressa nella civiltà contemporanea. Onde non è senza fondamento la speranza che quella luce che ha ispirato Giovanni Lombardi nel fare una così precisa e convinta affermazione lo abbia anche illuminato negli ultimi istanti della vita terrena.

È sicuro di interpretare il pensiero della Sottocommissione nell’inviare alla famiglia ed al Partito socialista le espressioni del più accorato cordoglio.

CEVOLOTTO, nell’associarsi alle parole del Presidente, ricorda di aver conosciuto lo scomparso molti anni fa e di averne subito apprezzato la bontà, la cultura, e specialmente la passione che metteva negli studi giuridici e di sociologia criminale, nei quali emerse con pubblicazioni che hanno avuto larga diffusione attraverso l’insegnamento nell’Ateneo napoletano. Entrato nel Parlamento, vi fu amato da tutti perché era uomo profondamente buono e diritto, che perseguiva le sue idee con una costanza che talvolta appariva financo commovente e quasi ingenua. Si è spenta dunque, oltre che una vivida intelligenza, una diritta coscienza ed un preclaro esempio di vita, in quanto lo scomparso assommava in sé quelle doti che tutti gli italiani dovrebbero possedere per poter dare alla Patria un indirizzo ed un avvenire sicuro.

MASTROJANNI si associa al cordoglio dei colleghi per la morte dell’onorevole Lombardi, nella cui paterna figura vedeva qualche cosa di ieratico e di solenne. Ricordandone la freschezza del pensiero, la potenza dell’ingegno e l’evangelica umanità, che ha potuto apprezzare nel lavoro comune, esprime la certezza che attraverso la sua opera, di cui lascia profonda traccia negli studi e nella vita politica, resterà vivo il ricordo.

LUCIFERO esprime i sensi del più sincero rammarico per la scomparsa dell’onorevole Lombardi, per cui viene a mancare alla Sottocommissione un grande contributo di cultura e di sapere.

LA PIRA ricorda che, nonostante le apparenti divergenze ideologiche, tra i democristiani e lo scomparso si è ora stabilita una intesa talmente cordiale da farlo apparire come un «naturalmente cristiano».

Si associa pertanto con tutta l’anima al dolore della famiglia e dei colleghi, nella certezza che Giovanni Lombardi sia stato chiamato dal Signore a ricevere quel premio che è riservato ai puri di cuore.

MARCHESI si unisce al rimpianto per la perdita di un così tenace difensore della classe lavoratrice.

BASSO ringrazia, a nome del Partito socialista, per le espressioni di compianto verso lo scomparso.

Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE ricorda che in una precedente riunione si provvide alla nomina di tre Commissari che, unitamente alla Presidenza della Sottocommissione, avrebbero dovuto costituire, con i rappresentanti della terza Sottocommissione, la Commissione mista per il coordinamento del lavoro comune.

Senonché la terza Sottocommissione, forse male interpretando una direttiva ricevuta, aveva già nominato cinque suoi rappresentanti, e nonostante ogni tentativo ed ogni insistenza, non ha inteso di ridurre un tale numero. Pertanto, per ristabilire l’equilibrio, invita i Commissari a procedere alla nomina di altri due rappresentanti oltre i tre già designati (onorevoli Basso, Rossetti e Togliatti) per raggiungere il numero di cinque.

All’uopo esprime l’avviso che, nell’intento di assicurare il contributo di pensiero di ogni corrente politica, sarebbe bene che l’incarico fosse affidato a due colleghi di partiti diversi da quelli già rappresentati.

TOGLIATTI osserva che se la terza Sottocommissione non vorrà recedere dalla sua posizione, si avrà un Comitato di redazione di 14 membri, il che sarà veramente eccessivo e impedirà un proficuo lavoro.

PRESIDENTE assicura che è stato fatto il possibile per far tornare la terza Sottocommissione sulla sua decisione, ma ogni sforzo è stato vano.

(A seguito di votazione segreta vengono designati per completare la Commissione mista gli onorevoli De Vita e Mastrojanni).

Seguito della discussione sui principî dei rapporti sociali (culturali).

PRESIDENTE apre la discussione sul seguente nuovo articolo, sempre sul tema della scuola, facendo presente che la formula è dovuta unicamente al Relatore onorevole Moro, in quanto sull’argomento è mancato l’accordo con il Correlatore onorevole Marchesi:

«Nelle sue scuole di ogni ordine, escluso quello universitario, lo Stato assicura agli studenti che vogliano usufruirne, l’insegnamento religioso nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica».

MARCHESI, Relatore, premette che parlerà non per sostenere una causa che considera perduta, né per fare un’affermazione di carattere politico, ma solo por conformare una sua personale opinione che ha già esposto nella relazione e di cui desidera resti traccia nel verbale.

Osserva anzitutto che nessuno pensa che lo Stato sia un organo di verità ed uno strumento di nuove rivelazioni, né che possa essere fonte di scienza e di morale. Lo Stato provvede solo ad organizzare l’istruzione, in modo che essa sia fonte di scienza e di morale, attraverso la libertà concessa alle indagini ed alle espressioni del pensiero. Rilevato, quindi, che in una parte della sua notevole relazione l’onorevole Mouro sostiene che con l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche lo Stato non assume alcuna responsabilità specifica, ma offre soltanto una opportunità, «in sede idonea», di completare l’istruzione e l’educazione dei fanciulli con quell’insegnamento di verità religiose che sono ricche di suggestioni morali, esprime la sua meraviglia di fronte all’espressione «in sede idonea». Si domanda infatti come mai, essendoci la famiglia, che è la prima assidua scuola di fede e di pratica religiosa, una Chiesa potentemente organizzata in Italia e nel mondo, una molteplicità di ricreatori educativi e religiosi frequentatissimi e bene attrezzati, ed in fine una scuola cattolica privata, che è senz’altro – come deve essere – una scuola confessionale; come mai, essendoci tutto ciò, possa ritenersi sede idonea a completare l’istruzione del fanciullo con l’insegnamento di verità religiose quella scuola media dove si debbono insegnare altre verità, e dove l’istruzione religiosa può diventare, come diviene qualche volta, strumento fazioso di avversione politica. Non nega che l’insegnamento religioso possa fare del bene, anche a chi non crede, ma solo quando l’insegnante sia tale da far sentire la universalità del precetto evangelico; può fare del bene, come ogni insegnamento morale, quando venga da una esperienza intima e da una intima esigenza. Mentre per i cattolici non la coscienza umana, ma Dio è la norma suprema dell’opera dell’uomo, per molti del suo gruppo invece esiste una buona coscienza la quale, se anche non porta alla felicità celeste promessa dalla Chiesa, né alla felicità terrena che potrebbe risultare soltanto dal perfetto accordo e dalla perfetta armonia tra il proprio operato e la propria coscienza, può essere di guida e di stimolo por una ascensione spirituale.

All’argomentazione di parte democristiana che nei tempi attuali, in cui l’anima della gioventù è come travolta da un torrente di dissoluzione, non suona male nella scuola la parola di un insegnante di religione, il quale faccia sentire tra i comandamenti terreni un comandamento divino, obietta che questa voce è risuonata nella scuola media per circa venticinque anni e con quale risultato si può oggi vedere. Ricorda che Herbert Spencer diceva che anche agli agnostici più ostinati la simpatia impone il silenzio di fronte a coloro che nei patimenti, nei travagli della vita, traggono conforto dalla fede religiosa. Ma, a suo avviso, quella del silenzio sarebbe troppo scarsa offerta alla fede cattolica. Essa merita un’offerta migliore; ed augura che nella scuola l’opera dei cattolici sia feconda di bene, perché una morale, come quella del partito al quale appartiene, fondata sulla solidarietà sociale, non può essere in disaccordo con una morale predicata sinceramente in nome di Dio. I missionari che la Chiesa manderà nella scuola vi troveranno un fecondo terreno di bonifica, ma questa missione non dovrà essere affidata ad insegnanti di religione, bensì ai molti maestri cattolici delle scuole elementari, ai molti e valenti professori delle scuole medie e delle università.

Conclude assicurando che le sue parole contro l’insegnamento religioso nelle scuole non sono ispirate da nessuna avversità contro la religione.

MORO, Relatore, ricorda di aver proposto una formula che mutava in un punto sostanzialmente l’attuale disciplina dell’insegnamento religioso nelle scuole, rinunciando all’articolo inizialmente proposto nella sua relazione, nella speranza che ciò servisse a facilitare rincontro tra le opposte tendenze. Ma, poiché, allo stato delle cose, sembra che questa intesa non sia possibile, si riserva di presentare una formula più confacente al pensiero del suo gruppo ed all’attuale disciplina giuridica della materia.

CEVOLOTTO, per mozione d’ordine, osserva che, ove si debba studiare un’altra formula, è inutile discutere su quella attuale.

MARCHESI, Relatore, riaffermando di aver parlato in suo nome e di avere esposto la sua opinione personale, ricorda di aver detto all’onorevole Moro, in sede di consultazione, che riteneva più opportuno e più consentaneo a quel principio di libertà, che nelle parole della Democrazia cristiana torna insistentemente, rifarsi a quella forma di regolamentazione della materia, in vigore in Italia dal 1873 fino alla riforma Gentile, che faceva obbligo ai Comuni di impartite l’insegnamento religioso agli studenti i cui genitori ne facessero richiesta. Aveva inoltre aggiunto che, a suo avviso, la formula della legge Gentile era da ritenere lesiva e violentatrice della coscienza individuale, in quanto imponendo una richiesta di dispensa, implicava una dichiarazione di rinunzia esplicita e scritta: una confessione all’aperto. Ora, mentre nessuna famiglia professante cattolica si asterrebbe certamente dal far domanda d’insegnamento religioso, a meno che non lo ritenesse pernicioso agli effetti stessi della fede, non tutti i non professanti cattolici si adatterebbero a sottoscrivere una domanda di dispensa. Dichiara in proposito che egli stesso sarebbe esitante, perché una tale domanda potrebbe sembrare una dichiarazione di ateismo, che egli non si sentirebbe di sottoscrivere, se per ateismo si intende la sicura negazione di Dio.

MORO, Relatore, dichiara di essere partito dalla concezione dello Stato democratico, intendendolo soprattutto come Stato che riflette fedelmente gli indirizzi spirituali oltre che economici e politici della società.

Ritiene che un fatto incontestabile sia il diffuso sentimento religioso nell’ambito del popolo italiano, sentimento raccolto in un’unica professione religiosa, salvo esigue minoranze; condizione questa che rende nel nostro Paese particolarmente facile risolvere il problema del collegamento di una entità di così complessa natura, quale è la scuola, con le aspirazioni profonde di ordine religioso del popolo italiano. Tiene a precisare che nessuna diffidenza preconcetta, nessuna sfiducia vi è da parte sua e del suo gruppo nei confronti della scuola di Stato, proprio perché pensa che anche tale scuola debba riflettere le aspirazioni religiose e gli ideali della stragrande maggioranza del popolo italiano.

Secondo l’onorevole Marchesi, la scuola non sarebbe la sede idonea per l’insegnamento religioso. Dichiara di essere di avviso contrario, non per motivi polemici, ma per profonda convinzione; pur convenendo che l’insegnamento religioso, così come si è venuto impartendo negli ultimi anni tristi e caotici, non corrispondeva al pensiero ed alle aspirazioni di tutti, fa presente che altro sono le condizioni contingenti e altro è il ritenere in linea di principio che la scuola non sia la sede idonea per l’insegnamento religioso.

A suo avviso, nell’istituto della scuola deve essere stabilita non soltanto la possibilità ma la necessità, nel modo più largo, più libero, più umano, di un insegnamento religioso che, per essere veramente fecondo, deve andare di pari passo col progresso nell’ambito delle altre discipline del discente. Pur esistendo la potente organizzazione della Chiesa e gli oratori frequentati da numerosi giovani, non deve mancare proprio nella scuola, che è il punto centrale della formazione spirituale del giovane, una parola che richiami l’anima sua alla suprema ragione della vita. Mentre nell’oratorio il ragazzo è ancora soltanto se stesso, nella scuola egli comincia a sentirsi in qualche modo membro responsabile e cosciente di una società, ed è consapevole, attraverso la preparazione scientifica che gli viene impartita, di assumere delle responsabilità nell’ambito della vita sociale. Ed è necessario in questo momento, allo scopo di raccogliere tutte le energie per la riedificazione morale della coscienza del nostro Paese, che nelle scuole si dica una parola la quale, non indirettamente come avviene in ogni insegnamento, ma direttamente, richiami alle supreme responsabilità dell’uomo.

Ritiene inoltre che lo Stato non assuma alcuna responsabilità diretta e specifica permettendo d’impartire l’insegnamento religioso, perché con ciò non fa altro che riconoscere la diffusa coscienza religiosa del popolo italiano e l’esigenza di completare in senso unitario, ed al vertice della piramide, il complesso delle attività di istruzione e di formazione dell’individuo.

Per tali considerazioni, con sicura coscienza di cittadino prima che di credente, insiste perché nella Costituzione sia inserita una dichiarazione che garantisca alle famiglie cristiane del popolo la possibilità che i loro figliuoli trovino, anche nell’ambito della scuola di Stato, adeguato insegnamento religioso per la formazione della loro personalità.

CEVOLOTTO, poiché si deve assentare dalla seduta per motivi urgenti, prega la Sottocommissione di tener presente che egli intende votare contro le formule proposte dall’onorevole Moro, perché ritiene che la materia non debba far parte della Carta costituzionale, ma bensì dell’ordinamento scolastico, e che le sedi più adatte per l’insegnamento religioso siano la famiglia e la Chiesa, e non la scuola.

TOGLIATTI ritiene che sia inevitabile allargare il campo della discussione, anche se da ciò possa derivare un inasprimento della tensione tra le due parti contrapposte. Ricorda che all’inizio del lavoro, essendo stato stabilito di non inserire nel testo costituzionale argomenti ideologici, egli, criticando alcune affermazioni contenute nella prima formula di articolo proposta in tema di rapporti civili dall’onorevole La Pira, aveva detto di ritenere indegno di una persona religiosa chiedere che venissero affermati nel testo costituzionale principî riguardanti l’esistenza di Dio, in quanto chi crede in Dio non ha certamente bisogno di trovare gli argomenti della sua fede nella Carta costituzionale. A suo avviso, quindi, il tema religioso non interessa in sé, ma è la questione politica che deve essere presa in considerazione. In realtà oggi nelle scuole, quando s’insegna la religione, si fa della politica, e per di più della politica diretta specificamente contro l’idea e la parte comunista.

A prova delle sue affermazioni, sottopone all’esame dei Commissari il libro di testo di religione del sacerdote Onofrio Di Francesco, edito a Torino, dalla Società Editrice Internazionale, nel 1945, IV edizione, intitolato Gesù Via e adottato, ad esempio, nelle scuole di Empoli. Tale libro, che è stato pubblicato in clima di libertà riconquistata, senza pressioni del governo fascista e che porta l’autorizzazione dell’autorità ecclesiastica, è un testo di propaganda politica contro il Partito comunista, che pure, nel clima attuale, è un partilo legale, ufficialmente riconosciuto. Cita, ad esempio, la pagina 13, dove è raffigurato un ladro che svaligia una cassaforte dopo avere accoltellato una persona eo che porta al collo un fazzoletto rosso; la pagina 30, nella quale si parla del peccato di divinazione e dove è raffigurata una donna in atto di profetare, pure con un fazzoletto rosso al collo; la pagina 29 dove un gruppo di persone che stanno uccidendo un sacerdote sono raffigurate, sempre col fazzoletto rosso, con una divisa che ricorda quella dei partigiani; la pagina 108, nella quale un ladro, col fazzoletto rosso, è raffigurato nell’atto di essere tradotto alle carceri da due carabinieri. Insomma, dovunque sia rappresentato un violatore della legge umana o morale, il colpevole porta il fazzoletto rosso al collo. A suo avviso, la giustificazione di tutto ciò si trova sia a pagina 47, dove sono raffigurati dei soldati che salutano fascisticamente la bandiera italiana, sia a pagina 117, dove si parla del decimo comandamento e dove è scritto: «Il socialismo e il comunismo vorrebbero spingere i poveri e gli umili proprio a questo peccato. Cominciano col toglier loro ogni fede in Dio e nella vita futura, riducendo tutta l’esistenza umana alla materia e al ventre. Poi passano ad insegnare che l’uomo non è che una macchina che produce e consuma. Padrone di queste macchine umane sarebbe lo Stato, o meglio i caporioni che esercitano l’autorità e la fanno da tiranni spietati e crudeli. La proprietà sarebbe una ingiustizia ed un furto: dovrebbe passare allo Stato, cioè ai capoccia amministratori dello Stato proletario, i quali poi se ne servirebbero per i loro comodi e per i loro stravizi, lasciando morire di miseria e di fame la povera gente. Chiunque si opponga a queste pazzesche pretese è un nemico che bisogna annientare con qualsiasi mezzo. Delitti e brutalità di ogni genere, miseria e fame sono frutto dell’utopia comunista».

Di fianco a tale brano, come illustrazione, è stampata una vignetta raffigurante una desolata visione di case in fiamme e una misera donna, sempre con il fazzoletto rosso al collo.

Ora egli si chiede se questo sia quell’insegnamento religioso a cui con elevate parole si riferiva l’onorevole Marchesi, o non sia piuttosto meschina propaganda politica divulgata sotto l’immagine di Gesù.

Fa presente che molti concetti comunisti, cioè di quell’idea che il libro citato ha condannato, sono stati accolti dalla Sottocommissione e inseriti nella Carta costituzionale incontrando – come sul tema della proprietà – la incondizionata approvazione dei colleghi della democrazia cristiana.

Afferma che, di conseguenza, la posizione del Partito comunista non può che essere di assoluta negazione di fronte ad un insegnamento religioso che venga impartito nel modo che risulta da questo libro di testo ufficiale, cioè come insegnamento di anticomunismo.

Ritiene che sia possibile arrivare ad un dibattito che non apra una scissione profonda fra i due partiti contrastanti solo a condizione che, sotto il manto religioso o dietro una copertina su cui è l’immagine di Gesù Cristo, non si faccia passare la propaganda politica contro un partito o a favore di un partito.

Dichiara che il suo gruppo assumerà una posizione di lotta aperta, se in luogo di concetti ed esposizioni spirituali da trattarsi con quell’altezza di espressione che ha poco fa usato l’onorevole Marchesi, si troverà di fronte ad uno sfruttamento, in forme abbastanza volgari, di posizioni ideali a scopo di lotta politica.

Desidererebbe poi una spiegazione molto chiara circa la condotta tenuta dal gruppo democratico cristiano in occasione della discussione di questo articoli.

Dichiara di aver assunto nel corso della discussione un determinato atteggiamento ritenendo il gruppo di articoli ora in esame, che è frutto di un accordo fra le due parti contrastanti, un tutto inscindibile di cui l’articolo proposto è una parte; e dichiara di considerare come una mancanza di sincerità o un eccesso di manovra la posizione assunta oggi dall’onorevole Moro e dai colleghi del suo gruppo, i quali, ottenuto lo scopo di veder approvato alla quasi unanimità un altro articolo del medesimo testo di compromesso su cui la parte che egli rappresenta aveva rinunciato ad alcune delle proprie aspirazioni, hanno abbandonato la formula della facoltatività dell’insegnamento religioso, contenuta nel testo concordato, per ritornare su quella opposta, da essi originariamente proposta, della facoltatività dell’esenzione dall’insegnamento.

MORO, Relatore, premesso che è lontano dall’intenzione sua e dei colleghi di gruppo sia di fare una manovra che di mancare di sincerità, ricorda che, dopo un primo colloquio con l’onorevole Marchesi – che può dargli atto di quanto afferma – in cui si esaminarono le rispettive posizioni da un punto di vista generale, preparò un testo in cui teneva conto, nella massima misura possibile, delle osservazioni fatte dall’onorevole Marchesi, al quale dichiarò, nel corso di un successivo colloquio, di riprendere una certa libertà d’azione su quei punti sui quali non si era potuto raggiungere un accordo, riservandosi anche di formulare un articolo che non era stato possibile concordare in quel momento, quando avesse chiarito quale posizione convenisse sostenere nell’interesse ed in rapporto alle posizioni ideologiche del suo partito.

Riconosce di non aver fatto un’esplicita riserva per un’eventuale modifica dell’articolo ora in esame, ma d’altra parte osserva che, a suo parere, non vi è tra l’articolo approvato ieri e quello in discussione oggi, un collegamento tale per cui il voto dato nella seduta di ieri debba considerarsi condizionato alla discussione che si fa oggi.

MARCHESI, Relatore, trova strana la rapidità con cui il collega Moro ha annunciato la ripresa della sua prima formula e l’abbandono dalla seconda, ancora prima che in seno alla Sottocommissione si fosse manifestato un proposito nettamente contrario all’articolo in discussione.

Dà atto all’onorevole Moro di quello che ha detto circa i colloqui intercorsi. Ricorda in proposito di avergli fatto notare durante l’amichevole conversazione avuta con lui che non poteva, per suo conto, recedere dai suoi pensieri per ciò che riguardava l’utilità e l’opportunità dell’insegnamento religioso nella scuola; ma che non impegnava con questo la decisione del proprio partito, non escludendo che i compagni del partito comunista potessero addivenire ad un concordato anche su questo punto; e di aver proposto al collega Moro, per cercare di favorire un accordo, di convertire la nuova formula fascista gentiliana nella vecchia formula liberale, pur dichiarandogli che il suo voto sarebbe stato contrario.

MORO, Relatore, ricorda di aver fatto una riserva generica circa alcune modifiche eventuali da apportare alla fine della discussione.

PRESIDENTE aggiunge che, anche su sua domanda precisa, l’onorevole Moro ha dato la medesima risposta che ora ha ripetuto.

TOGLIATTI, all’osservazione dell’onorevole Moro, il quale ha negato l’esistenza di connessione fra gli articoli già approvati e quello ora in esame, risponde che quella a cui l’onorevole Moro alludeva è una connessione tematica, mentre egli parlava di una connessione politica, per cui la posizione che si assume su una di queste questioni, ardenti sia per un partito che per l’altro, tende a coinvolgere la posizione su tutte le altre; connessione politica per cui, come l’accordo sulla affermazione dei diritti sociali faceva presumere che un accordo si sarebbe potuto avere anche sul problema della libertà della scuola, così, a sua volta, l’accordo sulla libertà della scuola, dove il suo partito ha ceduto di più, poteva far presumere il raggiungimento di ulteriori punti di accordo anche su altre questioni, su posizioni più vicine a quelle sostenute dal suo partito.

MORO, Relatore, a quanto ha già osservato, aggiunge di aver fatto solo una riserva generica che non avrebbe concretato se l’onorevole Cevolotto non lo avesse costretto a dire quello che egli non aveva intenzione di dire.

PRESIDENTE contesta, per ciò che si riferisce al libro di cui ha parlato l’onorevole Togliatti, che si tratti di un libro scolastico; se mai si potrà trattare di esempi di lezioni che l’autore propone per la scuola media; inoltre fa presente che il permesso concesso dall’autorità ecclesiastica per la stampa di detto libro risale al 1941.

TOGLIATTI dichiara che quel libro gli è stato spedito dai compagni di Empoli, i quali gli hanno assicurato che esso è usato come libro di testo nelle scuole medie.

PRESIDENTE ad ogni modo assicura l’onorevole Togliatti – che attraverso il suo discorso ha manifestato la sua preoccupazione di carattere politico, insistendo nel dire che l’insegnamento religioso non deve essere insegnamento di un partito – che la democrazia cristiana, di cui fa parte, non è un partito confessionale, e che all’espressione «insegnamento religioso nella scuola» non deve affatto darsi l’interpretazione di «insegnamento del programma della democrazia cristiana».

LUCIFERO, a parte il fatto che, ammesso che il libro citato dall’onorevole Togliatti sia un cattivo testo, ciò non vuol dire che i principî ai quali esso si ispira debbano essere necessariamente cattivi, osserva che l’incidente testé esaurito non è interessante ai fini dell’approvazione o meno della norma da inserire nella Costituzione.

È invece grato all’onorevole Togliatti per l’impostazione veramente lineare ed onesta di un problema, la quale consente ad ognuno di discutere a viso aperto secondo le proprie ideologie e le proprie convinzioni. Allude all’eterna questione dei contrasti nello spirito della Costituzione, che finora è stato possibile soffocare in seno alla Sottocommissione, ma che – come aveva preveduto – si riaffacciano ad ogni svolta vitale in seguito alla determinazione di concezioni non conciliabili le quali, attraverso i compromessi, compromettono tutto e non risolvono nulla. Riconosce che la scissione profonda sulla questione ideologica e programmatica che si è riusciti malamente a soffocare nel campo dei rapporti materiali, economici e sociali, non consente elasticità di compromesso, quando si entra nel campo dello spirito.

Dichiara poi di essere pienamente d’accordo con l’onorevole Moro, in quanto ritiene – poiché la crisi che travaglia l’Italia è soprattutto crisi morale – che mai come oggi si debba curare la rieducazione morale del Paese, alla quale potrà portare notevole contributo l’insegnamento della religione.

Dichiara altresì di essere favorevole alla introduzione nella Carta costituzionale di un’affermazione di principio che non costituisce un obbligo, ma una facoltà di cui può usare chi vuole e non usare chi non vuole.

A parte il fatto che, secondo il punto di vista cattolico, l’educazione religiosa deve precedere quella umanistica e culturale, osserva che anche da un punto di vista pratico l’esclusione della religione dalle materie di insegnamento nelle scuole di Stato porterebbe necessariamente l’allontanamento di molti ragazzi di famiglie cattoliche da queste scuole ed il loro afflusso in quelle private nelle quali si pratica l’insegnamento religioso.

Aggiunge che lo Stato potrà vigilare per evitare quegli atteggiamenti tendenziosi di insegnanti e di testi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Togliatti.

Concludendo, dichiara di essere favorevole alla seconda formulazione proposta dallo onorevole Moro, la quale dà la possibilità ai genitori di chiedere che ai loro figli venga impartito l’insegnamento religioso.

BASSO riassume le ragioni della sua contrarietà all’articolo in esame. In primo luogo non ritiene che sia un articolo di rilevanza costituzionale, bensì materia specifica della legge scolastica, per cui considererebbe un errore, anche da parte dei fautori dell’insegnamento religioso nelle scuole, l’inserirlo nella Costituzione.

Aggiunge che qualora i democristiani, approfittando di una maggioranza lieve e momentanea, volessero imporre una tale norma, che urta contro la coscienza degli uomini del suo partito, costringerebbero questi ultimi ad affrettare i tempi per giungere ad una frattura e ad un procedimento di modifica della Costituzione, che non investirebbe più soltanto l’argomento in esame, ma anche altri su cui si è giunti a transazioni.

Altro motivo di contrarietà trova nel fatto che la religione non è materia d’insegnamento scolastico, ma è cosa che si sente e per il cui insegnamento ci vogliono ambienti diversi, come la famiglia e la Chiesa.

Disapprova quindi la norma anche da un punto di vista giuridico, in quanto, violando il principio dell’uguaglianza già affermato, fa un trattamento di favore alla religione cattolica nei confronti delle altre; a meno di insegnare nelle scuole tutte le religioni.

Osserva infine che, se la formula che lo Stato assicura l’insegnamento religioso nelle scuole viene messa in riferimento all’altra, già approvata, per la quale si può ottenere la parificazione agli istituti statali a parità di condizioni didattiche, se ne può trarre l’interpretazione ortodossa e capziosa, che per ottenere il riconoscimento di una qualsiasi scuola di nuova costituzione bisogna metterla in condizioni di parità didattica con le scuole statali e quindi bisogna introdurvi l’insegnamento religioso.

MASTROJANNI esprime il suo compiacimento per il fatto che nella dotta discussione non si sia mai intaccato lo spirito della religione, e nessuno ne abbia sostenuto l’inutilità, o ne abbia misconosciuta la profonda essenza educativa; viceversa, girando l’ostacolo, si è affermata l’inopportunità dell’insegnamento religioso per altre ragioni.

All’onorevole Togliatti, che ha trattato delle finalità politiche che deve perseguire la Costituzione, osserva che se Aristotele ha definito l’uomo «animale politico», per significare che la tendenza politica è insila nella natura umana e non deriva da un insegnamento successivo, altrettanto può dirsi della necessità spirituale della religione; e la Costituzione quindi non può trascurarla.

A ciò aggiunge altro argomento: quello della coerenza con l’atteggiamento fin qui costantemente tenuto, in quanto che si sono voluti finalizzare ed improntare ad una genesi spirituale i concetti di libertà individuale; per la proprietà e per ogni altro concetto sociale, economico e politico, egualmente se ne è finalizzato il fondamento non attraverso un meccanismo puramente materialistico, ma attraverso concezioni teoriche di umana solidarietà.

Poiché l’unica Carta costituzionale immutabile e perpetua non contrasta menomamente con alcuna ideologia, lo Stato non può prescindere dall’insegnamento religioso, che è bisogno spirituale di tutta l’umanità e anche i dissenzienti potrebbero, attraverso ad esso, essere ricondotti sulla strada della verità e della giustizia, che solo promana dalla religione.

Per queste ragioni è favorevole all’articolo formulato dall’onorevole Moro, né condivide le preoccupazioni dell’onorevole Togliatti, il quale contesta l’utilità dell’insegnamento religioso, basandosi sul fatto di un libro per l’insegnamento religioso compilato male e peggio orientato.

D’altra parte, osserva che l’insegnamento sarà sottoposto all’alta vigilanza dello Stato democratico, che non tollererà che un partito si serva della religione per avvantaggiare, con spirito di fazioso insegnamento, il partito stesso.

Tanto meno, poi, trova persuasivo l’argomento dell’onorevole Basso, che ha accennato ad una disparità di trattamento e alla necessità di uguale diritto alle altre religioni. Fa rilevare che in Italia il 99% della popolazione è cattolica apostolica romana. Quella entità trascurabile che non trova possibilità d’insegnamento in sede scolastica ha la più assoluta libertà d’azione, in altra sede, e non è escluso che possa anche ottenere nel nostro Stato democratico i mezzi per provvedervi, qualora ne faccia esplicita richiesta, e forse per interessamento della stessa organizzazione democratica cristiana, la quale non disconosce la libertà delle altre religioni, perché nessuna ne può temere.

DOSSETTI premette che prenderà in considerazione quasi esclusivamente le osservazioni dell’onorevole Togliatti, dalle quali è rimasto impressionato, come del resto un po’ tutti, non tanto per la sostanza – trattandosi di argomenti di consistenza modestissima – quanto per l’impegno dialettico e la forza drammatica delle sue espressioni. Crede d’altra parte che lo stesso onorevole Togliatti non si sia nascosto che una questione di tale importanza non può ritenersi esaurita dalle sue osservazioni e che, una volta usciti dal pathos che egli ha creato e riacquistata la padronanza di se stessi, si avverte subito lo scarsissimo rilievo delle ragioni a cui si è appoggiato per sostenere la tesi negativa di fronte all’articolo proposto. Infatti i suoi argomenti non provano la pericolosità o la non necessità dell’insegnamento religioso, precisamente come non si potrebbe pensare di dimostrare che ci sia stato un abuso del sentimento religioso da parte di altri partiti, mediante certi manifesti elettorali che mostravano Cristo che dava pane alle turbe, oppure nel fatto che certi blocchi popolari nell’Italia meridionale hanno assunto un simbolo religioso nella loro scheda di partito. Sono tutti abusi che sul momento possono creare una certa situazione di inferiorità nel contradittore, ma che non superano l’essenza profonda della questione che si dibatte. È per queste premesse che invita a considerare con realismo più sereno il problema, che si è voluto drammatizzare.

All’accusa di mancanza di lealtà o addirittura di manovra, mossa dallo stesso onorevole Togliatti all’onorevole Moro, ha già risposto l’interessato; tuttavia desidera aggiungere che, con la semplicità con la quale si è sempre proceduto finora nelle discussioni, è accaduto anche all’onorevole Marchesi di ritornare, sia pure in una questione di minore importanza, ad un testo prima enunciato, né alcuno ha creduto di farne motivo di rilievo o argomento per rimettere in discussione le decisioni già prese.

Si domanda, quindi, che cosa ha inteso dire l’onorevole Togliatti, affermando una connessione non tematica ma politica tra l’articolo in esame e quelli già approvati, e se ha inteso o meno alludere addirittura ad un condizionamento. In quest’ultimo caso si potrebbe obiettare che era già noto l’articolo proposto inizialmente dall’onorevole Moro, ed anche il successivo, e quindi era facile dedurne l’atteggiamento del gruppo democristiano.

TOGLIATTI chiarisce che intendeva dire che su tale terreno non ci sono condizionamenti, ma interdipendenza.

DOSSETTI, pur convenendo sull’interdipendenza esistente sia tra gli articoli già approvati, sia tra questi e quello in esame, nonostante gli apprezzamenti e le accuse di compromesso dell’onorevole Lucifero, dichiara che agli articoli sinora deliberati non ha inteso dare semplicemente un’approvazione di convenienza o di negoziazione, ma un’approvazione convinta. Vuole quindi pensare che come, senza riferirsi a nessun condizionamento o interdipendenza futura, i democristiani hanno espresso genuinamente il loro pensiero spontaneo e originale sulla materia economica e sociale, così pure l’onorevole Togliatti, riconoscendo nella precedente seduta la libertà della scuola, abbia effettivamente fatta un’affermazione che rispondeva ad un suo profondo convincimento. Peraltro, il problema va riguardato con questo animo e con maggiore serenità senza legarlo, con impacci e condizionamenti eccessivi, sia a quanto già si è deliberato, sia a quanto ci si propone di deliberare.

Prende infine lo spunto da un accenno dell’onorevole Togliatti ad un allargamento della questione, per riprendere quanto ha sostenuto brevemente nella riunione precedente, che cioè la questione in esame è risolvibile isolatamente, ma richiede necessariamente una valutazione generale dei rapporti tra il fenomeno religioso e la vita sociale e politica dello Stato italiano. Conclude facendo formale proposta di soprassedere all’attuale discussione, che potrebbe risultare oziosa, e di trattare dell’argomento in sede di esame del problema generale dei rapporti tra Stato e Chiesa, perché è precisamente in funzione dell’indirizzo che si seguirà in questo campo, e della qualificazione che si farà nello Stato italiano del fenomeno religioso e della situazione della Chiesa Cattolica, che la questione di cui si dibatte potrà avere una soluzione piuttosto che un’altra, ovvero anche non ricevere nella Carta costituzionale nessuna soluzione specifica. Difatti, pur non approvando le considerazioni estrinseche e superficiali con le quali l’onorevole Basso ha giustificato la sua contrarietà all’articolo Moro, non esclude che si possa addivenire ad una tale sistemazione dei rapporti tra Chiesa e Stato, per cui la soluzione specifica del problema attuale nella Carta costituzionale possa divenire superflua, o non conveniente.

TOGLIATTI concorda con le conclusioni dell’onorevole Dossetti.

LA PIRA rinuncia a confutare le dichiarazioni dell’onorevole Basso, in seguito alla proposta Dossetti, che ha un carattere pregiudiziale.

DE VITA fa presente di essere contrario alla proposta Moro, ritenendo che ogni insegnamento dogmatico ostacoli il libero sviluppo del pensiero, dell’arte e della scienza, giusta la nota proposizione che «ove finisce il dogma comincia la ragione, e ove comincia la ragione finisce il dogma». A ciò va aggiunto che, comunque, non crede che l’insegnamento religioso rientri tra le funzioni dello Stato.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di rinvio dell’onorevole Dossetti.

TOGLIATTI, nel dichiarare che darà voto favorevole, raccomanda di sollecitare la presentazione della relazione sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

BASSO dichiara di votare a favore, anche per il fatto che in tema di libertà civili si è ugualmente rinviata la questione alla stessa sede. Con tale precedente si è già dimostrato di voler affrontare il problema dei rapporti tra Chiesa e Stato nella sua totalità.

LUCIFERO non vede come l’argomento interferisca con i rapporti tra Chiese e Stato; esso riguarda, a suo avviso, soltanto quest’ultimo, che dovrà consentire o meno che una determinata materia formi oggetto di insegnamento nelle scuole. D’altra parte nota che le correnti più direttamente interessate sono d’accordo sul rinvio e perciò si astiene dal voto, anziché votare contro come sarebbe sua intenzione.

MASTROJANNI dichiara di astenersi dalla votazione per le stesse ragioni esposte dal l’onorevole Lucifero.

DE VITA, essendo del parere che la questione si deve risolvere in questa sede, dichiara che voterà contro.

(La proposta di rinvio è approvata con 9 voti favorevoli, 2 astenuti ed 1 contrario).

PRESIDENTE pone in discussione l’ultimo articolo proposto dai Relatori Moro e Marchesi, così formulato: «I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale ed in qualsiasi parte del territorio della Repubblica sono sotto la protezione dello Stato».

Prega il Relatore Marchesi di volerlo illustrare.

MARCHESI, Relatore, ritiene che le ragioni del suddetto articolo siano così evidenti e di tanta imponenza da dispensarlo da particolari illustrazioni. Proporrebbe piuttosto una nuova formula più sintetica:

«I monumenti artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, sono sotto la protezione dello Stato».

MORO, Relatore, accetta la nuova formula.

MASTROJANNI non è contrario alla nuova formula proposta, ma desidererebbe sostituire il termine «vigilanza» alla parola «protezione», la quale, in ultima analisi, potrebbe determinare l’assurda interpretazione di dare diritto ai privati di pretendere dallo Stato la manutenzione dei monumenti artistici e storici di loro proprietà, dando così luogo anche ad eventuali speculazioni.

LUCIFERO si dichiara favorevole al termine «protezione», che dà maggiormente l’idea dei compiti dello Stato in questo campo. Richiama l’attenzione sul fatto che per incuria dello Stato o mancanza della necessaria manutenzione da parte dei proprietari che non ne hanno la possibilità, stanno andando in rovina monumenti meravigliosi e opere d’arte di interesse nazionale di inestimabile valore. Ritiene perciò che sia anche nelle intenzioni dell’onorevole Marchesi che questo patrimonio comune della Nazione sia tutelato, chiunque ne sia il possessore.

Per questo motivo, anzi, non sarebbe contrario a stabilire, in sede di legge speciale, che le opere d’arte di interesse nazionale che sono in godimento di privati che non hanno la possibilità di mantenerle, possano essere espropriate.

MARCHESI, Relatore, è anch’egli dell’avviso che sia preferibile il termine «protezione», perché lo Stato in tanto è protettore dei monumenti artistici e storici, in quanto può imporre a coloro che ne hanno la proprietà e la possibilità di provvedere alla manutenzione e in caso contrario intervenire direttamente.

TOGLIATTI è d’accordo con l’onorevole Marchesi che lo Stato debba prendere le misure necessarie, perché o un quadro famoso di una collezione, o un palazzo storico, o qualsiasi altro monumento che appartenga a un privato, non vada distrutto per mancanza di mezzi o per trascuratezza. Con questo non si vuole però intendere che lo Stato debba assumersi il carico della manutenzione di tutti i tesori artistici e storici del Paese, anche se appartenenti a privati, ma che debba intervenire decisamente quando tale manutenzione non si attui in modo effettivo.

MASTROJANNI non ha nulla in contrario ad un intervento dello Stato, purché si dica esplicitamente che qualsiasi esproprio debba essere motivato specificatamente. La parola «vigilanza» gli sembrava il termine più sostanzialmente adatto, nel senso anche di proteggere oltre che vigilare.

DE VITA non ritiene opportuno usare la parola «vigilanza», che esprime il concetto di vigilare su di una attività che in effetti non è esercitata dai privati. Crede perciò preferibile la parola «protezione».

MORO, Relatore, per maggior precisione proporrebbe la seguente dizione: «I monumenti storici, artistici e naturali, a chiunque appartengano ed in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, sono sotto la protezione dello Stato».

MARCHESI, Relatore, è d’accordo.

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dall’onorevole Moro.

(È approvata all’unanimità).

Discussione sulla famiglia.

PRESIDENTE nota che, salva la riserva espressa in materia di insegnamento religioso, può dirsi esaurito il tema affidato agli onorevoli Marchesi e Moro.

Data l’assenza di uno dei Relatori sul tema dei diritti politici, l’onorevole Mancini, propone di porre in discussione il tema della famiglia, affidato ai Relatori Iotti Leonilde e Corsanego.

(La Sottocommissione concorda).

Fa presente che su questo argomento la terza Sottocommissione ha centralizzato il suo pensiero nel seguente articolo:

«La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie per la sua difesa e il suo sviluppo.

«Qualora la famiglia si trovi nella impossibilità di educare i figli, è compito dello Stato di provvedervi. Tale educazione si deve compiere nel rispetto della libertà dei cittadini».

Prega i Relatori di fare un succinto riassunto delle loro relazioni.

CORSANEGO, Relatore, ridurrà la sua relazione ai minimi termini, non perché l’argomento non abbia la sua importanza, ma perché trattasi di principî su cui vi è un accordo generale, nel senso di riconoscere la natura preminente e fondamentale dell’istituto della famiglia nella compagine della società civile. Anche non essendo riuscito a formulare un’articolazione unica con la onorevole Iotti, fa presente che le due formulazioni sono in parte talmente simili come concetto, da potersi facilmente sostituire l’una all’altra.

Ritiene invece utile accennare ai motivi di dissenso per cui non è stato possibile giungere ad una formulazione unica. In via pregiudiziale, la onorevole Iotti non ha creduto di far propria l’affermazione di principio che egli ha inserito nel suo primo articolo. Anche da un punto di vista sistematico, dopo l’affermazione del diritto della persona umana, ritiene che bisogna affermare il diritto della famiglia e poi quello della comunità. Quindi, in tale articolo ha tenuto a porre in evidenza la preesistenza del diritto originario e imprescrittibile che ha la famiglia per la sua costituzione, finalità e difesa, mentre nell’articolo successivo si dichiara che lo Stato non crea questo diritto che è preesistente, ma lo riconosce, lo tutela e lo difende.

Il secondo punto di disaccordo concerne l’eguaglianza dei genitori fra loro, in quanto per la onorevole Iotti i diritti e doveri del padre e della madre sono identici. Pur essendo d’accordo che sia oramai superato il concetto della inferiorità della donna che non ha più bisogno dell’autorizzazione maritale per la stipulazione di negozi giuridici, non si sentiva di sconvolgere il diritto della famiglia ad avere un capo, che per la natura stessa della famiglia, deve essere il padre.

Il terzo punto di disaccordo verte sulla scelta delle norme che la legge deve dettare per la protezione della famiglia illegittima. La Correlatrice, infatti, vorrebbe che fosse affermato nella Costituzione il principio che i figli illegittimi debbono avere la stessa identica posizione giuridica di quelli legittimi. Gli sembra che con tale affermazione si verrebbe a distruggere la stessa famiglia, permettendo anche l’inclusione in essa di elementi estranei, pure contro la volontà dell’altro coniuge, costituendo così una fonte di infiniti dissensi ed un pregiudizio anche alla unità del patrimonio familiare. D’altra parte, dato che i figli illegittimi debbono avere anch’essi una giusta tutela, ha affermato che lo Stato deve dettare lo norme per la loro protezione.

Altro punto non proprio di disaccordo, ma di differenziazione, è in ordine alla indissolubilità del matrimonio. A tale proposito la onorevole Iotti, pur avendo dichiarato che non avrebbe posto ostacoli all’affermazione della indissolubilità matrimoniale, nel senso cioè che non avrebbe fatto proposte relative al divorzio, non si è sentita d’altra parte di accedere alla dichiarazione opposta, cioè che lo Stato garantisce l’indissolubilità del matrimonio. Personalmente non ritiene invece che si possa tacere su questo punto fondamentale, perché in tal modo si lascerebbe aperta la via al legislatore di potere indifferentemente pronunciarsi per l’indissolubilità del matrimonio o per il divorzio. Poiché per i democristiani il divorzio rappresenta la dissoluzione della famiglia ed un germe velenoso per il suo affermarsi, come si è dimostrato in tutti i Paesi dove esso è ammesso, ha voluto mettere il principio che la Costituzione deve garantire l’indissolubilità della famiglia, secondo la tradizione giuridica italiana per la quale il matrimonio è il consortium omnis vitae.

Per rendere più semplice la discussione, propone che si dia lettura degli articoli, facendo seguire ad ognuno di quelli suggeriti da un Relatore, il corrispondente proposto dall’altro Relatore; aggiunge, che nei casi in cui le due formule saranno coincidenti nel concetto informatore, la Sottocommissione potrà liberamente scegliere la dizione che riterrà più opportuna, mentre nei casi in cui vi sarà discordanza di opinioni, si aprirà il dibattito.

IOTTI LEONILDE, Relatrice, riconosce che l’onorevole Corsanego ha messo bene in luce i punti di accordo e di disaccordo fra i due ordini di proposte.

Spiegando le ragioni per le quali non si è arrivati a un accordo completo, osserva che la prima concerne il riconoscimento della famiglia, nei cui riguardi l’onorevole Corsanego vuole fare una dichiarazione di principio di una posizione ideologica, a cui non può associarsi, mentre la sua formulazione consiste semplicemente nel riconoscimento di un diritto dato dalla legge alla famiglia.

La seconda riguarda l’uguaglianza giuridica dei coniugi, a proposito della quale l’onorevole Corsanego – che è d’accordo sul principio – vorrebbe affermare il diritto della patria potestà spettante al marito, mentre la dizione da lui proposta riconosce semplicemente un’uguaglianza giuridica, così come è già stato fatto in altre parti della Costituzione.

Osserva infine che l’onorevole Corsanego non è favorevole – circa la terza questione riguardarne i figli illegittimi – alla formula da lei proposta, perché ritiene che possa ledere l’istituto della famiglia. Fa presente che tale dizione riconosce ai figli illegittimi le stesse condizioni giuridiche fatte ai legittimi e non afferma il principio – come ha detto l’onorevole Corsanego – che i figli illegittimi debbano essere accolti nell’ambito della famiglia. Ritiene quindi che una disposizione del genere non venga a ledere l’istituto della famiglia, ma a tutelarlo, perché il fatto di ammettere che i figli illegittimi abbiano le stesse condizioni giuridiche dei legittimi costituirà un freno alla procreazione di figli fuori del matrimonio.

Per quanto poi riguarda il punto fondamentale di dissenso sull’opportunità o meno di considerare nella Costituzione il principio dell’indissolubilità del matrimonio, riconosce che l’onorevole Corsanego ha esposto esattamente il concetto da lei sostenuto, ossia di essere contraria ad affermare ciò nella Carta costituzionale, pur non essendo contrario a fissare tale principio nella legge ordinaria.

PRESIDENTE dà lettura dei testi proposti dai due Relatori, facendo rilevare come su alcuni di essi l’accordo possa considerarsi raggiunto, mentre altri si differenziano fra loro non soltanto per la forma ma anche per la sostanza.

Pone poi a raffronto il testo del primo articolo proposto dall’onorevole Corsanego con la prima parte del primo articolo proposto dalla onorevole Iotti: ed osserva che questi articoli, pur avendo una uguale impostazione, sono però di contenuto diverso.

CORSANEGO, Relatore, rileva che il concetto che ha ispirato la formulazione della prima parte dell’articolo da lui proposto corrisponde a quello contenuto nella prima parte dell’articolo proposto dalla onorevole Iotti; mentre nella seconda parte le opinioni non sono più concordanti.

PRESIDENTE domanda alla onorevole Iotti se consente che la discussione abbia luogo sulla formula proposta dall’onorevole Corsanego: «Lo Stato riconosce la famiglia come unità naturale e fondamentale della società».

IOTTT LEONILDE, Relatrice, dichiara di non rinunciare alla sua formula.

PRESIDENTE apre la discussione sulla formula Corsanego già letta e su quella Iotti: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia, quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione».

TOGLIATTI osserva che, mentre la formula proposta dall’onorevole Corsanego «unità naturale e fondamentale della società» è a suo parere equivoca e costituisce una definizione astratta della famiglia, quella della onorevole Iotti, che considera la famiglia quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione, si riferisce a qualche cosa di molto concreto, e stabilisce non solo il riconoscimento, ma anche la tutela della famiglia. Prospetta perciò l’opportunità che tale formula – che è, a suo parere, più soddisfacente – sia inclusa nella Costituzione.

CORSANEGO, Relatore, spiega che la prima parte della formula da lui proposta ha la sua ragione d’essere, in quanto si attacca alla seconda parte, e quindi non può essere considerata come una norma a sé stante.

L’articolo da lui proposto dice infatti:

«Lo Stato riconosce la famiglia come l’unità naturale e fondamentale della società, con i suoi diritti originari inalienabili e imprescrittibili concernenti la sua costituzione, la sua finalità e la sua difesa».

LUCIFERO non è del parere dell’onorevole Corsanego e ritiene che la prima parte dell’articolo: «Lo Stato riconosce la famiglia come l’unità naturale e fondamentale della società», sia un’entità a sé stante e costituisca un’affermazione di un principio, dal quale derivano tutte le logiche conseguenze di cui in seguito si parla tanto nel testo Corsanego quanto in quello Iotti.

Contrariamente a quanto sostiene l’onorevole Togliatti, trova chiaro il concetto esposto in tale formulazione, con cui si chiarisce che la famiglia è la prima comunità umana, il primo aggregato sociale in cui l’individuo si unisce ad altri in un organismo unitario: ed aggiunge che a suo parere tale norma potrebbe invece dar luogo a discussioni od a perplessità se si integrasse con la seconda parte dell’articolo.

DE VITA limiterebbe l’articolo ad una semplice affermazione di principio: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia», sopprimendo la rimanente parte delle due formulazioni, le quali ovviamente hanno un diverso fondamento ideologico.

DOSSETTI domanda all’onorevole De Vita che cosa significhi dire: «Lo Stato riconosce la famiglia».

DE VITA risponde che intende affermare che lo Stato riconosce nella famiglia una realtà naturale.

LUCIFERO si domanda come lo Stato potrebbe non riconoscere una realtà la quale si riconosce da sé.

DOSSETTI non comprende che cosa significhi l’espressione: «Lo Stato riconosce la famiglia», se non si dice che cosa lo Stato riconosca nella famiglia.

DE VITA ritiene giusta l’osservazione dell’onorevole Rossetti. Insiste però sulla opportunità di sopprimere la seconda parte dell’articolo o di trovare una formulazione diversa.

ROSSETTI riconosce che non è il caso di dare una definizione – che è pericolosa – ma che occorre stabilire un determinato status giuridico. Chiede perciò all’onorevole De Vita di suggerire una formula in cui, evitando una vera e propria definizione, si affermi tale status giuridico; in caso contrario ci si dovrà limitare all’espressione generica: «Lo Stato tutela la famiglia», che è una garanzia di carattere concreto materiale, economico e sociale, ma non costituisce alcuno stato giuridico.

MASTROJANNI, premesso che nell’articolo Corsanego trova superflua la seconda parte, ove si ribadiscono le conseguenze logiche del riconoscimento della famiglia, mentre l’articolo Iotti non considera la famiglia stessa dal suo punto di vista biologico e naturale come mezzo di procreazione, propone di riunire i due articoli nella seguente formula che, a suo avviso, soddisfa le esigenze di natura scientifica e quelle di natura etica: «Lo Stato riconosce e tutela la famiglia quale fondamento naturale della società e come mezzo di prosperità morale e materiale dei cittadini e della Nazione».

CORSANEGO, Relatore, trova felice la fusione dei concetti, ma non è disposto a rinunciare senz’altro all’affermazione che la famiglia ha dei diritti originari preesistenti alla costituzione dello Stato, e che questo non può fare a meno di riconoscere.

BASSO dichiara di avere cercato, nel corso della discussione, di individuare il contenuto giuridico degli articoli proposti, senza riuscire a rendersi conto se uno ve ne sia e quale. Ha quindi l’impressione che ci si trovi di fronte ad uno dei soliti articoli definitori contro i quali già si è pronunciata una condanna. In modo particolare, poi, teme le conseguenze giuridiche di un’affermazione come quella dell’onorevole Corsanego, sulle finalità della famiglia: non è infatti escluso che essa potrebbe far ritenere anticostituzionale perfino il fatto che due coniugi non vogliano procreare; il che significherebbe violare il campo delle libertà fondamentali del cittadino.

Né può approvare l’aggettivo «naturale», contro il quale ha già avuto occasione di pronunciarsi. Se con questo si intendesse fare un’affermazione storica nel senso di considerare la famiglia come la prima forma naturale della società, si direbbe un’eresia scientifica, poiché lo Stato riconosce oggi una determinata famiglia che è il frutto di un’evoluzione storica.

D’altra parte non trova soddisfacente neppure l’articolo della onorevole Iotti, perché non è sicuro che la famiglia sia il fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini e della Nazione. Egli pensava che si dovesse dire soltanto: «Lo Stato tutela la famiglia», ma poiché questo risulta dagli articoli successivi, crede sia partito migliore sopprimere la prima parte dell’articolo Iotti e l’intero primo articolo Corsanego, passando alle forme concrete di tutela giuridica della famiglia.

LA PIRA invita i Commissari a mantenere il problema nei suoi giusti termini. Crede che ciascuno, pensando alla propria famiglia, non possa non convenire: 1°) che sia una collettività organica di persone; 2°) che, come tale, abbia una sua costituzione e una sua finalità; 3°) che esistano dei diritti che ne regolano la struttura e le finalità, immanenti all’organismo familiare ed anteriori all’ordinamento statale. Nota, quindi, che la preoccupazione dell’onorevole Corsanego è appunto quella di mettere in luce il carattere organico del gruppo familiare, le finalità educative e materiali che si propone, e l’originarietà dei suoi diritti.

Ciò posto, giova rilevare le conseguenze importanti che derivano da tali affermazioni riguardo ai tre punti sui quali si è manifestato il dissenso tra i due Relatori. Dal fatto che la famiglia abbia una sua costituzione e dei diritti ad essa connessi, discende il criterio della indissolubilità del vincolo; in quanto è una collettività organica in cui ciascun membro ha un suo statuto, evidentemente, il figlio illegittimo non può essere equiparato in tutto e per tutto al legittimo; infine, poiché è un organismo, ci deve essere – come in ogni organismo – chi governa, e questo sarà appunto il capo della famiglia. Quindi, i punti di dissenso tra la onorevole Iotti e l’onorevole Corsanego si ricollegano tutti a questa concezione organica della famiglia, e l’unico problema da esaminare è se tale concezione sia esatta o meno.

CEVOLOTTO si preoccupa delle conseguenze che l’onorevole La Pira ha tratto dalla concezione organica della famiglia, le quali lo inducono a ritenere che abbia perfettamente ragione l’onorevole Basso nel sostenere la pericolosità dell’affermazione contenuta nella formula Corsanego.

Quanto alla prima – la indissolubilità del matrimonio – osserva che è inutile sollevare oggi la questione del divorzio che è inattuale ed inopportuna in ogni senso, né risponde alla odierna situazione politica ed all’opinione pubblica prevalente. Non c’è dunque alcun motivo di temere le conseguenze del silenzio della Costituzione in questo campo. Basti ricordare che il problema del divorzio fu affrontato alla Camera dei Deputati in altri tempi, quando le condizioni per discuterne politicamente erano diverse dalie attuali, dando luogo ad una discussione elevatissima ma senza alcun risultato pratico.

Come è inopportuno dunque sollevare tale questione in questo momento, altrettanto può dirsi della situazione dei figli illegittimi che la civiltà moderna deve sforzarsi di rendere diversa il meno possibile da quella dei figli legittimi, per non far ricadere le colpe del genitore su chi non ha domandato di venire al mondo.

Trova pertanto preferibile, come ha proposto l’onorevole Basso, non partire da premesse che possano rendere difficile una discussione ed un eventuale accordo, ma prendere senz’altro in esame le norme positive a tutela della famiglia.

DOSSETTI invita a prescindere momentaneamente dagli articoli proposti e dalle considerazioni dei colleghi del suo partito, che portano inevitabilmente l’attenzione sulle conseguenze, per gettare invece uno sguardo sul fondo del problema che ancora non è stato toccato, ed in merito al quale si ripromette di fare una dichiarazione esplicita e formale.

Premesso che poc’anzi, trattandosi dell’insegnamento religioso, l’onorevole Togliatti ha creduto opportuno impostare una questione politica, ed esprimere con grande schiettezza e lealtà il suo punto di vista, dichiara di essere costretto a fare altrettanto in ordine al complesso di norme in esame. Per il suo partito, quello che si sta dibattendo è il problema fondamentale di tutta la Costituzione. Indubbiamente vi sono anche altre parti della Costituzione che ad esso stanno a cuore, ma questa assume un’importanza assolutamente eccezionale. Nota che su ciò può richiamare l’attenzione dei colleghi anche per il motivo evidente che in questa materia non può sorgere in alcun modo la supposizione di un, sia pur indiretto, interesse politico e di partito.

In tema di insegnamento religioso si è potuto insinuare il sospetto che i democristiani tentassero di concretare una determinata struttura giuridica che potesse in qualche maniera risalire a loro vantaggio o a svantaggio di altre parti; ora invece si ha di fronte un problema che ha un valore esclusivamente etico e che perciò non può in nessun modo essere considerato problema di parte. Assicura pertanto che esso ha per il suo partito lo stesso carattere di quello affrontato all’inizio dei lavori, dei diritti fondamentali della persona e della tutela assoluta ed incondizionata della sicurtà della vita umana.

Dal punto di vista democristiano, come esiste una priorità dei diritti essenziali della persona alla vita ed alla libertà, rispetto a qualunque legge positiva, tale che nessuna legge positiva potrebbe legittimare un’offesa alla sicurtà della persona stessa, così esistono dei diritti primordiali e fondamentali della famiglia, del tutto pari a quelli della persona, intangibili ed anteriori a qualunque riconoscimento della legge positiva.

Perciò ha invitato a prescindere dalle conseguenze che da questa dichiarazione preliminare possono discendere, e che non sono le conseguenze che ne ha voluto ricavare l’onorevole Basso, in una forma paradossale ed assurda, che cioè si debba arrivare necessariamente alla coattività della funzione procreativa; e nemmeno quelle che ha voluto sottolineare l’onorevole Cevolotto in ordine alla situazione dei figli illegittimi, perché, quando si discuterà dell’argomento, apparirà che l’uguaglianza che egli sostiene, in un certo senso, i democratici cristiani sono disposti ad ammetterla. Essa non è che una rivendicazione ed una reazione contro tutta una legislazione che dura da 150 anni a questa parte, e precisamente dalla Rivoluzione francese in poi; la quale ha preso le mosse dal disconoscimento di una posizione di anteriorità della persona rispetto allo Stato, affermando la pretesa da parte di quest’ultimo di dettare alla famiglia una disciplina sua, anche in quello che essa ha di più intimo e di più essenziale, di più collegato inevitabilmente alle sorgenti stesse dell’essere ed alle ragioni fondamentali della vita umana.

Ripete che il suo partito considera di importanza capitale un’affermazione nella Carta costituzionale, con cui si riconosca l’esistenza e la naturalità della famiglia con alcuni diritti – che potranno formare oggetto di una determinazione successiva – anteriori a qualunque intervento o riconoscimento da parte dello Stato. Avverte che su questo punto la sua parte è pronta ad impegnarsi a fondo, sicura di difendere una tesi la quale non è di partito, ma è premessa essenziale per la ricostruzione del Paese. Fa presente che con questo, naturalmente, non è che si voglia cristallizzare la famiglia in certe superstrutture che potevano essere, o meno, storicamente giustificate 150 anni fa o anche in tempi più recenti; bensì si vuole, se mai, liberarla dalla ganga esteriore, per individuarne il nucleo essenziale ed aprirla – attraverso le norme che si verranno stabilendo – a quella vocazione sociale già riconosciuta alla persona, che giustamente le compete e che ha come presupposto l’intangibilità naturale dell’organismo familiare.

I democristiani non si dissimulano che alla base di questa tesi sta un’impostazione ideologica che non può essere condivisa da tutti. Ma come è stato possibile trovare un punto di accordo col riconoscimento concreto del diritto fondamentale della persona, così si augura che anche per la famiglia si possa egualmente arrivare ad un’affermazione di questo diritto anteriore, intoccabile ed intangibile. Un contrasto su questo principio non sarebbe giustificabile da qualsiasi sospetto di parte, avendo invece un valore esclusivamente etico, quale affermazione di una vera premessa della ricostruzione.

LUCIFERO, premesso che gran parte del suo pensiero è stata già esposta dall’onorevole Dossetti, ritiene assolutamente necessaria un’affermazione di principio in tale campo, sia perché rientra nei compiti della Sottocommissione, sia perché il diritto della famiglia costituisce la seconda fase dei diritti della persona. Quando l’onorevole Dossetti parlava di sicurtà della famiglia, il suo pensiero andava al principio della inviolabilità del domicilio, considerando la famiglia come una casa in cui la vita si esplica. Non ritiene pertanto che si possa fare a meno di consacrare nella Costituzione che la famiglia è un’entità naturale preesistente ad ogni stato dell’uomo, come logica conseguenza dell’affermazione di principio fatta sulla persona umana che vive, prima di ogni altro luogo, nella sua famiglia.

BASSO si rende perfettamente conto delle osservazioni dell’onorevole Dossetti; però fa presente che chiedendo la soppressione pura e semplice di questo articolo, non era ispirato dal concetto di menomare l’istituto della famiglia che anzi, unitamente ai suoi colleghi, intende difendere, bensì mirava ad eliminare un articolo dal quale non solo non discende nessuna conseguenza giuridica, ma in cui si pongono delle affermazioni di principio, collegato all’ideologia di una parte dei colleghi.

Messo nel nulla tale articolo, è convinto che sulle norme concrete della famiglia non vi sarà quasi alcun contrasto, ma solo qualche lieve differenziazione, potendosi, tutto al più, affermare che l’indissolubilità matrimoniale sia piuttosto materia di legge, che di Costituzione.

Si dichiara infine contrario ad ogni affermazione di principio, essendo dell’avviso che gli articoli della Costituzione devono essere l’espressione di norme giuridiche e non di principî ideologici.

MORO è dolente di essere in disaccordo con l’onorevole Basso sul valore giuridico dell’articolo. Non si tratta infatti di una affermazione ideologica di parte, ma della conseguenza logica di quanto sancito nel primo articolo della Costituzione, in cui si è riconosciuto che lo Stato, con i suoi organismi sociali e politici, ha dei limiti naturali. Ammesso il fatto – che per i democristiani rappresenta una delle basi fondamentali della democrazia – che lo Stato come organismo politico e sociale nasce dall’uomo, considerato non isolatamente, ma come centrato in tutta la sfera sociale in cui si espande, poiché la famiglia è la cerchia sociale nella quale l’uomo si esprime più naturalmente, va considerata, in quanto tale, come un limite dello Stato, non nel senso comune della parola, ma come garanzia della stessa democrazia. Il valore giuridico dell’affermazione contenuta nell’articolo in discussione sta quindi nel riconoscere costituzionalmente che lo Stato ha dinanzi a sé delle realtà autonome da cui esso stesso prende le mosse, sia pure a sua volta influenzandole. Questa concezione dello Stato, che ritiene liberale, è stata consacrata nell’articolo dell’onorevole Corsanego, riallacciandosi a quanto è stato affermato nel primo articolo in materia dei diritti dell’uomo e delle formazioni sociali in cui esso si concreta.

MASTROJANNI non crede che possa passarsi alla fissazione dei concetti concreti giuridici della famiglia senza preliminarmente stabilire quale è la concezione etica della famiglia nello Stato, in quanto nessuna norma giuridica può essere affermata, se non trae origine dalla morale collettiva. Distinguere quindi tra i due termini, morale e diritto, ritenendo che si possa fare una affermazione del secondo, prescindendo dal primo, gli sembra impossibile. Come successione logica, bisogna invece premettere la norma naturale generale da cui discende poi la norma codificata, così come ha fatto lo onorevole Corsanego. Tale affermazione di principio è necessaria anche per evitare che lo Stato, riconoscendo la famiglia solo come una entità giuridica e di natura economica e sociale, possa in qualche modo incrinane la compagine e l’autonomia. Crede che se non si facesse oggi un’affermazione di principio, quale è stata sancita nel primo articolo dello onorevole Corsanego, si correrebbe il rischio di dare la prevalenza al riconoscimento dell’individuo come entità a sé stante, trascurando i diritti della famiglia. Quindi sia come conseguenza logica, sia per coerenza con quanto approvato in precedenza, ritiene che debba essere in modo solenne affermato questo principio, come preambolo delle successive norme giuridiche.

TOGLIATTI propone la seguente formula che rappresenta, a suo avviso, una conciliazione tra i principî democristiani e quelli del suo partito: «La famiglia è riconosciuta come naturale associazione umana ed è tutelata allo scopo di accrescere la prosperità materiale e la solidità morale della nazione».

MASTROJANNI dissente da tale formula, perché il definire la famiglia solamente quale associazione naturale potrebbe portare la conseguenza di considerarla come una entità materiale, affermatasi per fenomeno associativo ma priva di etica: questa deve invece prevalere, anche secondo quello che era il concetto del diritto romano, per il quale il matrimonio era basato principalmente sulla affectio maritalis, e considerato come una necessità spirituale di convivenza, da cui discendevano particolari diritti patrimoniali. Se si accettasse invece il principio affermato dall’onorevole Togliatti, si rappresenterebbe la famiglia esclusivamente dal punto di vista materialistico, senza affermare quella sua essenza di spiritualità, la quale giustifica l’unione di esseri umani che, attraverso questa affectio perfetta e perenne, procura ai figli i mezzi di vita e di educazione.

TOGLIATTI non comprende come la formula di cui ha dato lettura possa dare luogo a preoccupazioni, dal momento che ha inteso allacciarsi al concetto dell’onorevole Corsanego.

MASTROJANNI ripete che la formula dell’onorevole Togliatti, parlando di associazioni umane, non dà alla famiglia il suo principale carattere che è quello di un connubio spirituale.

MORO ha anch’egli qualche difficoltà ad accettare la formula dell’onorevole Togliatti, ma più che sulle parole «associazione umana», i suoi dubbi si appuntano sulle parole: «è tutelata allo scopo di incrementare la prosperità materiale». Desidererebbe infatti che la famiglia fosse tutelata in se stessa, e non per lo scopo della prosperità materiale. Come si è detto per l’individuo, che è tutelalo innanzi tutto in vista di salvaguardare la sua personalità e poi in vista della società, così dovrebbe essere anche per la famiglia. Pertanto, senza escludere dalla discussione la formula proposta dall’onorevole Togliatti, propone la seguente dizione: «Lo Stato riconosce i diritti inalienabili della famiglia come gruppo originario e fondamento naturale della società, alla cui prosperità morale e materiale essa dà insostituibile incremento».

BASSO prende la parola per una mozione d’ordine. Data la molteplicità delle proposte, riterrebbe opportuno che fossero incaricati due o tre membri della Sottocommissione di raccogliere tutto il materiale e di presentare una formulazione che possa essere accettata da tutti.

CEVOLOTTO è d’accordo con l’onorevole Basso. Consiglierebbe però di non usare i termini «inalienabile e imprescrittibile», che non gli sembrano i più adatti dato il loro particolare significato giuridico.

PRESIDENTE, nel riassumere la discussione, rilegge le proposte di articoli già presentati dagli onorevoli Corsanego, Iotti, Mastrojanni, Togliatti e Moro, nonché la seguente dell’onorevole Dossetti che è comprensiva anche di concetti contenuti in altri articoli:

«Lo Stato riconosce i diritti della famiglia quale unità naturale della società fondata sul matrimonio indissolubile e destinata alla educazione dei figli».

Dà quindi lettura della formula dell’onorevole La Pira:

«Lo Stato riconosce i diritti della famiglia quale unità naturale e fondamentale della società».

Rende infine noto che l’onorevole De Vita ha dichiarato di non insistere sulla proposta precedentemente presentata.

Personalmente proporrebbe la seguente dizione:

«La famiglia è una società di diritto naturale e come tale lo Stato la riconosce e tutela».

Tale dizione sarebbe così modificata dallo onorevole Corsanego:

«La famiglia è una società naturale e come tale lo Stato la riconosce e ne tutela i diritti».

Prega quindi gli onorevoli Corsanego, Iotti e Dossetti di preparare una formulazione che possa trovare il consenso della Sottocommissione.

CEVOLOTTO fa presente l’opportunità che ai tre membri, componenti il Comitato costituito per predisporre il testo degli articoli concernenti la famiglia, se ne aggiunga un altro, rappresentante le correnti di sinistra, al fine di raggiungere un certo equilibrio di opinioni.

PRESIDENTE propone che del Comitato siano chiamati a far parte, oltre ai due Relatori, gli onorevoli Togliatti e Moro; e che esso tenga la prima riunione nella mattinata di domani.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 20.50.

Erano presenti: Basso, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Carisitia, Grassi e Mancini.