Come nasce la Costituzione

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GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

18.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti sociali (economici) (Discussione)

Presidente – Lucifero, Relatore – Togliatti, Relatore – Dossetti – Cevolotto – Mastrojanni – De Vita – Mancini – La Pira – Moro.

La seduta comincia alle 11.15.

Discussione sui principî dei rapporti sociali (economici).

PRESIDENTE prega l’onorevole Lucifero di svolgere la sua relazione sull’argomento affidatogli: «I principî dei rapporti sociali (economici)», sul quale dovrà riferire anche l’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, premette di essersi opposto a che l’argomento dei rapporti sociali ed economici fosse senz’altro avulso dalla competenza della Sottocommissione, come da qualche parte era stato richiesto, e ciò per varie considerazioni.

In primo luogo perché pensa che, effettivamente, la prima Sottocommissione debba deliberare in materia di rapporti e di principî sociali ed economici per fare un’affermazione di principio. Vi sono infatti alcune questioni di principio le quali sono affiorate nelle due relazioni (nella sua ed in quella dell’onorevole Togliatti) che ritiene debbano essere affrontate, perché costituiscono il problema centrale della nostra Costituzione.

Rileva che tra gli articoli proposti da lui e quelli proposti dall’onorevole Togliatti – con il quale non ha potuto avere il desiderato scambio di idee – vi è una differenza sostanziale: nei suoi articoli si «possono» fare quelle cose che secondo gli articoli di Togliatti si «debbono» fare. La sua articolazione, cioè, di origine liberale, ammette molte possibilità e fa sì che queste siano tutte costituzionalmente attuabili.

Dichiara che nelle sue proposte si è fatto guidare da una constatazione di fatto: l’esistenza in Italia di numerosi movimenti politici, ciascuno dei quali ha un suo programma; e si tratta di programmi spesso contrastanti fra loro. La sua preoccupazione fondamentale è stata questa: che la Costituzione desse la possibilità a tutti i movimenti politici democratici, se un giorno diventassero maggioranza, di attuare il loro programma nell’ambito e nella legalità costituzionale, facendo sì che nessun partito democratico debba un giorno essere posto su una posizione anticostituzionale e quindi rivoluzionaria. Questo lo ha costretto a mettere nella sua articolazione anche cose che personalmente non ama, ma che sono care ad altri movimenti democratici, i quali hanno il diritto di realizzare i loro programmi. È giunto perciò ad ammettere anche, come possibilità, la socializzazione.

Gli articoli dell’onorevole Togliatti stabiliscono invece differenti linee direttive, in quanto egli vuole mettere l’economia del Paese su di una strada programmatica ben determinata; cosicché nel leggere gli articoli proposti dall’onorevole Togliatti ha pensato di venirsi egli a trovare, di fronte a questa Costituzione, in una posizione antitetica e in un certo senso rivoluzionaria.

Ritiene perciò che la questione fondamentale che la Commissione deve decidere oggi è questa: se si debbano fare formulazioni programmatiche oppure formulazioni che consentano a tutti i programmi di attuarsi in seno alla Costituzione. Stabilito questo, crede si possa, anche senza entrare nel merito degli articoli, discutere i problemi particolari in seno alla Commissione più ampia.

Limiterebbe quindi, per ora, la sua relazione alla impostazione del problema accennato, riservandosi di intervenire nelle discussioni successive, come Relatore, per sviluppare eventualmente i suoi concetti.

PRESIDENTE, prima di iniziare la discussione, invita l’onorevole Togliatti ad illustrare la sua relazione esponendo il suo pensiero al riguardo.

TOGLIATTI, Relatore, premette che, all’inizio, non escludeva la possibilità di una relazione comune con l’onorevole Lucifero; non la escludeva soprattutto perché dal dibattito sui principî generali che aveva avuto luogo precedentemente gli era parso che tra la concezione sviluppata dall’onorevole Lucifero e la sua il divario fosse soltanto in un punto: sulla possibilità o meno di parlare nella Costituzione delle garanzie di determinati diritti affermati. Poiché tutti si erano trovati d’accordo nell’affermare la necessità di includere nella Costituzione alcuni diritti nuovi di contenuto economico-sociale, cioè il diritto al lavoro, il diritto al riposo, il diritto all’assicurazione sociale, ecc., riteneva che, fatta l’affermazione di questi diritti, fosse però necessario indicare precisamente in qual modo essi verranno garantiti dallo Stato. Su questo punto era apparso un contrasto, nel corso della discussione generale, con l’onorevole Lucifero. La portata di questo contrasto sarebbe apparsa all’esame concreto della questione.

In realtà, dopo aver letto la relazione dell’onorevole Lucifero, ha visto che il divario era assai profondo perché, escludendo la garanzia di questi diritti, si vengono ad escludere i diritti stessi. Quando infatti si dice nel primo articolo proposto dall’onorevole Lucifero che ogni cittadino ha diritto al minimo indispensabile di mezzi di sussistenza, ecc., e poi si aggiunge che a tal fine il cittadino è libero di svolgere un’attività economica nel modo che più gli aggrada, è evidente che la seconda affermazione contraddice pienamente con la prima, e la contraddice in modo tale da renderla una irrisione. Quando si lasciano le persone libere di svolgere quella attività che loro aggrada, cioè si asserisce e sancisce il principio della piena libertà economica, è evidente che non si garantisce ad ogni cittadino, come è detto nel primo comma, il diritto al minimo indispensabile di mezzi di sussistenza. Si garantisce invece la disoccupazione periodica in un Paese industrialmente evoluto, la disoccupazione permanente nelle condizioni attuali dell’Italia.

È evidente che soltanto negando la seconda proposizione, che è la formulazione dell’astratto principio liberale delle Costituzioni del secolo scorso, soltanto affermando il principio dell’intervento dello Stato per regolare l’attività economica, secondo un metodo, un corso differente da quello dell’economia capitalistica liberale pura; soltanto facendo questo passo, si può dare un minimo di garanzia al diritto ai mezzi di sussistenza, al lavoro, al riposo, alla assicurazione sociale.

Ha trovato quindi una contradizione logica di pensiero, tra la prima e la seconda parte dell’articolo, ciò che dovrebbe consigliare, per essere sinceri, a lasciar cadere la prima parte dell’articolo stesso, se si vuole tenere in piedi la seconda.

Questa è la critica fondamentale che deve fare alla proposta Lucifero.

Non intende sviluppare i concetti già esposti nella sua relazione, alla quale rinvia i colleghi. Evidentemente egli non ha potuto fare a meno di partire dai problemi che gli erano posti per sviluppare alcune considerazioni generali che giustificano una determinata posizione politica, che poi è anche una posizione costituzionale; e nella sua relazione vi è un tentativo di giustificare questa politica in modo che sia a tutti chiaro quello che oggi viene proposto dalla sua corrente politica, come indirizzo politico-economico del Paese, da sancirsi nella stessa Carta costituzionale.

A queste ragioni l’onorevole Lucifero obietta: occorre che la Costituzione sia indifferente di fronte a questi problemi; la Costituzione non deve dir nulla, deve lasciar intendere quello che si può fare, ma non deve dire su quale indirizzo debba impegnarsi la nostra politica. È evidente che l’onorevole Lucifero ritorna qui alla concezione liberale. Non può accettare però la sua affermazione, quando egli dice che assumendo una posizione diversa diverrebbe un rivoluzionario: se mai, un controrivoluzionario, perché è evidente che l’indirizzo propugnato dall’oratore rappresenta un progresso nella vita economica e politica della società, e se l’onorevole Lucifero la respinge assume posizione di controrivoluzionario.

Un’obiezione può essere fatta al suo sistema: quella che si vuole introdurre nella Costituzione delle affermazioni le quali non corrispondono ancora ad una realtà. Riconosce che questa è effettivamente un’obiezione seria, in quanto la Costituzione dovrebbe, secondo i migliori principî, registrare ciò che è già stato conquistato, ciò che già esiste nell’ordinamento economico e sociale del Paese. Però l’obiezione cade, se si tiene conto di tutto ciò che è avvenuto in Italia e della situazione attuale. Dobbiamo assicurare un futuro e molte delle affermazioni che si fanno nella nostra Costituzione non corrispondono ancora ad una realtà. È stata introdotta, ad esempio, nei primi articoli, e in modo energico, l’affermazione dei diritti della persona, che sono di una enorme ampiezza, e l’affermazione dello sviluppo integrale della persona, ma non esiste oggi in Italia una garanzia di questi diritti né questi sono ancora realizzati sia pure nel primo gradino, che è quello dell’istruzione, dell’educazione. Facendo dunque queste affermazioni, si è assunto l’impegno di cambiare qualcosa in Italia, e così quando si affermano determinati diritti di libertà, che oggi sono lungi dall’essere stati realizzati, ci si impegna ad una trasformazione di tutto il costume politico italiano nei rapporti fra lo Stato e il cittadino.

Vede quindi nella Costituzione un impegno per realizzazioni future, e ritiene inevitabile che in essa vi siano elementi di previsione, o meglio di programma.

Crede pertanto che l’eventuale obiezione alla sua relazione possa essere superata, perché dal primo giorno in cui si è cominciato a discutere dei problemi più generali, ci si è posti sul terreno di stabilire un determinato indirizzo per avviare la società democratica al raggiungimento di determinati fini.

Per quello che riguarda i singoli articoli concretati, si è sforzato di mettere in essi il minimo possibile di quello che potesse essere un impegno, e ciò allo scopo di non invadere il terreno più propriamente legislativo. Accennando alle formulazioni che si stanno discutendo in altra Sottocommissione, per quanto ad esempio riguarda il diritto di proprietà terriera, osserva che tali formulazioni vanno anche al di là di quello che egli afferma, poiché mentre nelle sue proposte si accenna unicamente a limiti quantitativi, in quelle formulazioni si parla anche in senso qualitativo, ciò che significherebbe il diritto di intervento dello Stato nella diretta attività del coltivatore. Ritiene peraltro che in un articolo introduttivo non si debba andare più in là delle semplici enunciazioni di principio: verranno in seguito i particolari e le affermazioni più direttamente legati a quella che dovrà essere la legge italiana per la riforma agraria.

Rileva che, per il resto, i principî da lui affermati sono particolarmente quelli dell’intervento dello Stato per l’ordinamento dell’attività produttiva, al fine di ottenere il massimo rendimento a vantaggio della collettività, ed inoltre per giungere ad una legislazione sociale che preveda il diritto per tutti i cittadini ad un’assicurazione sociale, la libertà di associazione e determinati limiti al diritto di proprietà.

Osserva che, in questa materia, nelle altre Sottocommissioni, si è adottata, per la proprietà, la stessa divisione: proprietà privata, cooperativa, statale. Egli ha cercato di essere più preciso, perché ha parlato di mezzi di produzione, che è ciò che l’interessa, mentre non l’interessa la proprietà dei beni di consumo, cioè quella che potrebbe chiamare la proprietà personale. In questo campo debbono valere norme diverse.

Lo interessa la proprietà dei mezzi di produzione, perché quando essa ecceda determinati limiti e quantitativi, quando diventi ingente per la sua mole, oppure monopolistica, minaccia da un lato le uguali condizioni di esistenza dei cittadini e quindi quel minimo indispensabile di mezzi di sussistenza che il collega Lucifero invano vorrebbe garantire con la pura e semplice libertà e dall’altro minaccia, come l’esperienza fascista ha dimostrato, la libertà dei cittadini e quella dello Stato stesso.

Qui si collega l’altro problema cui ha accennato nella sua relazione, il problema delle garanzie contro il ritorno della tirannide, contro il ritorno sopraffattore degli elementi più avidi della società capitalistica, perché se si lascerà ad essi libero giuoco, arriveranno inevitabilmente ad avere nelle loro mani una massa tale di mezzi economici per cui domineranno di nuovo la vita del Paese. Questa è una esperienza ormai universale, ed è per questo che dappertutto oggi si prendono misure di nazionalizzazione, le quali, se hanno da un lato un valore economico, ne hanno dall’altro uno politico, e rappresentano la strada per cui i popoli cercano di orientarsi verso nuove finalità evitando quelle situazioni che sfociano nelle guerre di sterminio a cui si è assistito e che potrebbero di nuovo verificarsi domani.

LUCIFERO, Relatore, intende chiarire le sue intenzioni. Non vede una contraddizione fra le prime due frasi dell’articolo 1 da lui proposto, perché in esse egli ha voluto fare innanzitutto un’affermazione dei diritto del cittadino. Il cittadino ha il diritto di avere quel minimo di mezzi di sussistenza che gli assicurino una vita degna dell’uomo. Da questo concetto egli è disceso alla prima conclusione; poiché il mezzo normale con il quale il cittadino si procura le possibilità di sussistenza è evidentemente il lavoro, ha voluto stabilire un principio cui tiene molto, quello cioè della libertà di scelta del lavoro. Il cittadino non può essere obbligato a compiere un determinato lavoro, se ha la possibilità di compierne un altro che gli piace di più. Il fatto che il cittadino sia libero di svolgere un’attività economica di sua scelta, ha per lui molta importanza.

Fa rilevare, poi, che egli ha parlato di «attività economica» e non più genericamente di lavoro, in quanto vi sono moltissimi lavori, quali quello dello studioso e del filosofo, che non costituiscono attività economiche, mentre solo a queste ultime gli articoli attuali della Costituzione dovrebbero riferirsi. Ha voluto, insomma, riferirsi semplicemente alla scelta del lavoro, scelta che lo Stato deve garantire.

TOGLIATTI, Relatore, chiede all’onorevole Lucifero perché allora abbia usato la dizione: «a tal fine egli è libero», ecc. Ciò infatti vuol dire che, secondo lui, l’assoluta libertà economica è il mezzo necessario e sufficiente per garantire a tutti i mezzi di sussistenza, e questo è un assurdo.

LUCIFERO, Relatore, risponde di aver seguito un concetto consequenziale. Affermato il principio del diritto ad un minimo indispensabile per l’esistenza, il primo mezzo, con il quale l’uomo arriva ad una esistenza decorosa, è evidentemente il lavoro.

PRESIDENTE osserva che l’onorevole Lucifero voleva forse dire: «a tal fine deve svolgere attività economica, libero nella scelta di essa». Questo accosterebbe il suo pensiero a quello dell’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, Relatore, dichiara di essere molto perplesso sulla dizione «deve svolgere», non perché non sia d’accordo su questo dovere, ma perché pensa all’eventualità che un individuo possa anche giungere ad imporsi delle gravi restrizioni pur di essere libero di svolgere studi, ricerche od attività che non siano precisamente redditizie. D’altra parte, osserva che nel successivo articolo 2 proposto, è elencata tutta una serie di provvidenze obbligatorie nella legislazione sociale democratica, relative alla protezione del lavoro e del lavoratore. Il disoccupato involontario – e qui risponde all’onorevole Togliatti – deve trovare dallo Stato i mezzi per poter vivere decorosamente. Non vede quindi la contraddizione, che si è voluta trovare nelle proposizioni del suo primo articolo, mentre rileva che il concetto del coordinamento del lavoro è affermato nelle ultime parole dell’articolo 5 da lui proposto.

Dichiara di preoccuparsi della posizione programmatica di cui parla l’onorevole Togliatti, perché oggi la parola democrazia si è frazionata: tutti sono democratici, con vari aggettivi, i quali specificano le varie concezioni di democrazia. Ora egli pensa che in uno Stato democratico tutte le concezioni democratiche abbiano diritto di vita. Se si accettasse una concezione programmatica secondo una determinata concezione di democrazia o un determinato raggruppamento di concezioni di democrazia, che esclude altre concezioni diverse, si creerebbe, a suo avviso, uno Stato che non è democratico.

Secondo l’onorevole Togliatti, la sua concezione può essere retriva, secondo altri può sembrare retriva quella dell’onorevole Togliatti. Ognuno crede di dire una parola di verità e probabilmente ognuno non porta in sé che una parte di verità.

Insiste sul concetto che la Costituzione debba dare diritto di cittadinanza nello Stato democratico italiano a qualunque corrente democratica, perché altrimenti questo Stato non sarebbe più democratico.

Con l’articolo proposto, tanto egli conservatore (non ha paura di dire questa parola), quanto l’onorevole Togliatti, estremamente progressista, possono, nella piena legalità, svolgere la propria attività, la propria propaganda politica, cercando di realizzare quelle provvidenze che corrispondono alle loro concezioni ed ai loro programmi. Se invece si inserisse nella Costituzione un articolo quale quello proposto dall’onorevole Togliatti, che fa della pianificazione un atto costituzionale, chi, come l’oratore, è contrario ad una politica pianificata e crede alla pianificazione solo in determinati settori o in determinate circostanza, se domani avesse la maggioranza nel Paese, dovrebbe prima di tutto modificare la Costituzione. Di qui la necessità che, nell’ambito della Costituzione, tutte le concezioni di democrazia possano, in piena legalità, avere libera voce.

DOSSETTI ha ascoltato con molta attenzione l’esposizione degli onorevoli Lucifero e Togliatti e deve dichiarare che mentre crede di avere capito che cosa ha voluto dire l’onorevole Togliatti, invece gli risulta oscuro, anche dopo i chiarimenti che l’onorevole Lucifero ha aggiunto alla sua relazione, il pensiero di quest’ultimo.

Dichiara di poter condividere in gran parte l’impostazione che l’onorevole Togliatti ha voluto fissare. Ritiene infatti che un controllo sociale della vita economica, da realizzarsi attraverso certe strutture che dovranno essere più analiticamente esaminate, sia una necessità assoluta alla quale non ci si possa in alcuna maniera sottrarre, una necessità imposta dalla vita.

Crede indispensabile, al fine di temperare e ridurre gli egoismi, l’affermazione di questa direttiva fondamentale che, naturalmente, dovrà concretarsi in una serie di istituti che rappresentino determinate configurazioni del diritto di proprietà, della organizzazione aziendale e della stessa funzione degli organi statali in ordine all’attività economica: tutti punti questi che dovranno essere singolarmente esaminati. Ritiene comunque che le preoccupazioni e le diffidenze che possono determinare l’onorevole Lucifero ed anche altri componenti della Sottocommissione a resistere ad alcune delle impostazioni espresse dall’onorevole Togliatti (e che l’oratore in gran parte condivide) risulteranno infondate quando si affermi che la direttiva fondamentale di un controllo della vita economica tale che orienti la vita economica stessa a vantaggio della collettività ed a garanzia della espansione di tutti i suoi componenti, deve esplicarsi con l’osservanza di alcune condizioni fondamentali. E la prima condizione è quella della libertà politica, cioè di una democrazia politica, la quale nel contempo assicuri la possibilità di effettuare il controllo sociale sulla vita economica.

Se, come pare intenzione comune, con la Costituzione si cercherà di stabilire la base di una effettiva democrazia politica, il controllo sociale sulla vita economica che si verrà eventualmente ad introdurre non incrinerà la possibilità di vita economica del Paese, anzi la renderà effettiva in tutte le direzioni e in tutti i sensi, dando così la garanzia che non vi possano essere deviazioni.

Altra condizione, che ritiene fondamentale, è quella di un riconoscimento, e quindi di una garanzia costituzionale, di un minimo di proprietà che giustamente l’onorevole Togliatti ha voluto qualificare, più che proprietà privata, proprietà personale. Accetta in pieno questa impostazione, salvo a discutere come essa possa estrinsecarsi ed in quale misura i mezzi di produzione possano esser fatti rientrare in una proprietà personale.

Per ora, vuol ripetere l’affermazione che un controllo sociale della vita economica che si ispiri a queste tre garanzie essenziali: effettiva democrazia politica, che consenta la più larga possibilità di critica nei confronti del modo con cui il controllo economico viene esercitato; garanzia di un minimo di proprietà personale come risultato del lavoro e del risparmio di ciascuno; articolazione, infine, dei diversi organi in cui il controllo sociale della vita economica si verrà a realizzare, in maniera che non si abbia un accentramento esclusivo e sopraffattore nelle mani dello Stato; un controllo siffatto non solo non è dal suo partito temuto come motivo di sopraffazione o di limitazione della libertà personale, ma anzi è auspicato come l’unica possibilità per dare alle libertà, espresse in termini generici ed in termini giuridici, un contributo effettivo e concreto.

CEVOLOTTO ritiene che l’impostazione data dall’onorevole Togliatti al suo primo articolo non debba suscitare obiezioni da parte di alcuno. Quando egli dice che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività socialmente utile, dice cosa sulla quale tutti debbono essere d’accordo. Chi è senza lavoro, non per sua colpa, è assistito dallo Stato. Anche questo è giustissimo.

Osserva però che quando il Relatore, nel primo capoverso del suo articolo, vuol dire come lo Stato garantirà al cittadino questo diritto al lavoro, usa una formula che introduce un altro concetto sul quale bisogna bene meditare. Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini – si dichiara nell’articolo – lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l’attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività. Quindi, intervento dello Stato nella produzione, intervento cui si arriva attraverso la garanzia del diritto al lavoro.

Fa presente in proposito che mentre un ritorno in materia economica al liberismo sarebbe una proposizione assolutamente superata, è da domandarsi se una regolamentazione totalitaria dell’attività produttiva, sia veramente utile e scevra di pericoli in una economia come quella italiana. Ricorda che si sono già avuti esempi di questo intervento dello Stato nel dirigere tutta la produzione: intervento che trovò il dissenso immediato anche di economisti socialisti. Denuncia il pericolo che tale intervento non sia nell’interesse della collettività, e cita l’esempio tedesco che era diretto alla guerra ed ha prodotto la guerra. Quanto all’esempio della Russia, interessantissimo, osserva che quel Paese si trova in condizioni particolarissime perché, a parte la sua situazione privilegiata di Nazione che ha tutte le materie prime, la sua pianificazione industriale non è entrata nel giuoco internazionale, cosicché non è possibile asserire se, economicamente, il sistema sia stato utile e vantaggioso.

TOGLIATTI, Relatore, osserva che il sistema economico russo ha superato la prova suprema, quella della più terribile delle guerre; comunque si è avuto in Russia il massimo dei controlli.

CEVOLOTTO risponde che su questo ultimo punto vi è da discutere. Ad ogni modo dichiara di ritenere che aderendo all’idea dell’intervento dello Stato per regolare in toto la produzione del Paese si arriverebbe ad uno Stato totalitario. Ha perciò da muovere obiezioni fondamentali al primo articolo proposto dall’onorevole Togliatti. Non è in disaccordo con lui quando dichiara che lo Stato deve garantire il diritto al lavoro, ma crede che questa forma di garanzia al diritto del lavoro porti ad un altro problema che non va risolto nel senso enunciato dal Relatore.

Per il resto degli articoli proposti, avrebbe altre osservazioni da fare. A proposito della nazionalizzazione dei servizi pubblici, ad esempio, ritiene che questo sia un fine al quale si possa tendere, ma trova rigida la formula proposta, in considerazione anche dell’andamento degli esperimenti che si fanno in proposito in Inghilterra.

Quanto al comma dell’ultimo articolo, in cui è detto che «lo Stato protegge e difende il piccolo e medio proprietario ed interviene per facilitare il benessere e accrescere la prosperità dell’azienda agricola del coltivatore diretto», osserva che il fanatismo che ora viene messo in essere per la piccola proprietà, che porta poi al frazionamento per la necessaria suddivisione della piccola proprietà terriera, non è utile – a suo avviso – al progresso dell’agricoltura, in quanto impedisce una coltivazione condotta con mezzi moderni, ed una industrializzazione dell’agricoltura che sono possibili solo nelle grandi e medie estensioni di terreno.

TOGLIATTI, Relatore, domanda come si spieghi, allora, che in alcune delle regioni più caratteristiche della cultura agricola italiana, il rendimento delle grandi aziende è inferiore al rendimento delle piccole o medie.

CEVOLOTTO replica che ciò non è esatto, e che nel Veneto, ad esempio, l’agricoltura progredisce dove è possibile l’impiego di macchine ed una organizzazione. Si dichiara perciò favorevole ad una industria agricola associata, in forma cooperativa o simile.

Denuncia i pericoli dell’eccessivo spezzettamento della proprietà, non solo perché contrasta con l’idea socialista e favorisce la creazione di un complesso di piccoli proprietari conservatori e retrivi, ma anche perché può rappresentare un pericolo per il progresso sociale.

MASTROJANNI osserva che nella discussione che si è fatta è affiorata una duplice preoccupazione: garantire ai meno abbienti il diritto ad una vita dignitosa; evitare che la ricchezza, accumulandosi nelle mani di pochi, possa portare a conseguenze funeste anche di carattere politico.

Per ovviare al primo inconveniente, ci si orienta sul fatto del controllo dell’economia nazionale, perché in tal modo si assicurano i mezzi anche a coloro che non li hanno per una coesistenza civile. In linea di massima, pensa che tutti siano d’accordo sulla prima parte, nel senso che debba esistere una umana solidarietà per venire incontro ai meno abbienti. Per la seconda, gli sembra che non vi siano dei contrasti irraggiungibili sulla necessità che lo Stato, in qualche modo, intervenga per evitare abusi e per regolare il sistema economico nazionale.

Non può essere d’accordo, però, sulla specificazione dei metodi; e riferendosi ai vari articoli proposti, rileva che è stata attuata una regolamentazione organica e completa, tale da impegnare addirittura il legislatore a promulgare nuove leggi, mentre la Costituzione dovrebbe attenersi alle sole questioni generali, di principio.

Pensa che l’affermazione contemporanea del diritto e del dovere al lavoro sia indiscutibile; pensa che il diritto a tutte le previdenze che esistono debba permanere; pensa però che si debba andare cauti nell’anticipare radicali trasformazioni agli attuali ordinamenti in ordine alla iniziativa privata, evitando di peggiorare la situazione.

Irreggimentare in modo organico e categorico tutto il consorzio umano, attraverso una disciplina che investe le libertà, le economie e persino il pensiero e l’attività individuale, allo scopo di giungere ad un’equa ripartizione dei beni che la terra può offrire, gli sembra pericoloso ed inutile, in quanto non si deve dimenticare che il Paese va anche considerato nella sua configurazione geografica, etnica e politica e secondo la sua produttività, nonché secondo la civiltà e l’orientamento del suo popolo. Esperimenti di questo genere furono già fatti in tempi recenti e si è visto come sono disastrosamente falliti.

Non vorrebbe che, per scopi demagogici e sentimentali, si creasse ora una situazione che è solamente teorica, ma praticamente inattuabile.

Ritiene che quanto ha affermato l’onorevole Dossetti debba avere il collaudo di una esperienza pratica: bisogna evitare di affezionarsi a seducenti dottrine che poi rimangano inattuabili. È perfettamente d’accordo sulla necessità di venire incontro alle categorie non abbienti e di garantire a tutti il lavoro e quindi un minimo di esistenza; egli è però della opinione che non bisogna contrastare quelli che sono i beni concessi da Dio stesso all’uomo, nel senso che l’uomo non debba essere livellato sotto il rullo compressore, alla stregua di qualunque altro; l’uomo deve essere lasciato libero di esplicare un’attività secondo la propria intelligenza e di esercitate le proprie iniziative senza vincoli e senza preoccupazioni di vedersi tolto dalla comunità sociale quanto in misura più vasta riesce a produrre ed a creare.

Queste le considerazioni di ordine logico che crede debbano essere tenute presenti, tanto più in quanto lo Stato può intervenire egualmente ad incidere sul cumulo delle ricchezze.

Si tratta di una questione di sistema e di conoscenza della psicologia umana: nello Stato italiano vanno attuati principî e sistemi che perseguano fini sociali, che non debbono urtare la suscettibilità dei singoli.

Conclude esprimendo l’avviso che, dopo questo scambio generale di vedute, si lasci alla terza Sottocommissione la formulazione degli articoli che riguardano questa materia.

DE VITA ritiene che tanto l’onorevole Lucifero quanto l’onorevole Togliatti abbiano tenuto presente il benessere sociale e non soltanto il benessere economico.

Rileva che il benessere sociale è qualcosa di più di quello economico, e contiene anche elementi non economici, ed aumentando il benessere economico non è detto che debba necessariamente aumentare anche il benessere sociale. Così, per esempio, la posizione del lavoratore nei confronti delle imprese rappresenta certamente un fattore non economico di fondamentale importanza; così, l’ingiustizia distributiva può senza dubbio annullare il maggior benessere economico derivante dall’aumento di produzione.

Osserva che le esigenze prospettate dall’onorevole Togliatti sono senza dubbio apprezzabilissime, ma fa presente la necessità di dimostrare due cose: primo, che la disciplina statale della produzione aumenta il benessere economico; secondo, che l’eventuale aumento del benessere economico determinato da questa disciplina non determina diminuzione di quel benessere sociale a cui dobbiamo tendere come fine ultimo.

Chiede ai Relatori di voler rispondere alle domande che sono implicite nelle sue considerazioni di ordine generale.

MANCINI dichiara di aderire perfettamente al pensiero così limpidamente espresso dall’onorevole Togliatti, per le seguenti ragioni:

1°) perché ritiene necessario dare al regime democratico un contenuto, altrimenti si cadrebbe in quella nebulosa democratica condannata con aspre parole dall’onorevole Lucifero;

2°) perché la democrazia si è impegnata ad una trasformazione della vita politica del Paese, e quindi non può non impegnarsi ad una trasformazione della vita economica, dato che dal progresso economico soltanto deriva il progresso politico;

3°) perché una Costituzione non può segnare le colonne d’Ercole al progressivo divenire democratico, ma deve assicurare anche un futuro;

4°) perché il controllo sociale sulla vita economica si risolve sempre a favore della collettività, a favore di quelle esigenze della solidarietà sociale, e di quel perfezionamento sociale economico e culturale dell’individuo, affermato nei due articoli discussi nella precedente seduta.

TOGLIATTI, Relatore, osserva all’onorevole De Vita che alle domande da lui poste risponde quanto è scritto nella relazione. Tutti capiscono la realtà della vita economica di oggi; tutti hanno visto come si sia sviluppata la vita economica nell’Europa capitalista, dove si è assistito a forme di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e come ne siano derivati sconvolgimenti sociali, la miseria, la guerra, il fascismo, la tirannide, che ha soppresso la libertà democratica. È a questo che si cerca di porre riparo. Il problema non può risolversi con teoremi economici; ma è un problema di realtà politica e sociale che ha cominciato e continua a svilupparsi sotto gli occhi della presente generazione e ad esso le classi lavoratrici cercano di trovare una soluzione.

Naturalmente chi non condivide le opinioni politiche e sociali da lui affermate non può ammettere l’esattezza del suo ragionamento.

Desidera però prendere posizione circa la proposta fatta dall’onorevole Mastrojanni, di rinvio della materia all’esame della terza Sottocommissione. La sua opposizione è dovuta non a spirito di concorrenza fra le diverse Sottocommissioni, ma alla valutazione del compito assegnato alla prima Sottocommissione. Questo compito è di formulare quelli che si ritiene dovranno essere nella Repubblica democratica italiana i diritti fondamentali del cittadino. Ed egli sostiene che se la Sottocommissione si limitasse ad una semplice formulazione dei diritti politici commetterebbe un profondo errore. La proposta di rinvio non attuerebbe una più razionale divisione di compiti, ma muterebbe completamente il carattere politico del lavoro finora compiuto dalla prima Sottocommissione, ponendone tutti i risultati su basi diverse.

Altri potrà coordinare quello che è stato fatto dalle varie Sottocommissioni; ma egli tiene a poter affermare, quando gli sarà chiesto il risultato del lavoro svolto per i diritti del cittadino, quali sono i diritti che si intende sancire nella Costituzione, quando, come è inevitabile, si riuscirà ad accordarsi sulla loro formulazione.

Per quanto poi si riferisce alle affermazioni del collega Dossetti, dichiara di essere d’accordo con lui sostanzialmente.

MASTROJANNI osserva che egli non intendeva devolvere completamente questa parte sostanziale alla terza Sottocommissione, ma riteneva che ad essa spettasse la parte tecnica costruttiva. È d’avviso che, una volta affermati i principî, il compito della prima Sottocommissione potrebbe considerarci esaurito e si dovrebbe lasciare ad altri il compito di entrare nei dettagli di attuazione.

LUCIFERO, Relatore, osserva che l’onorevole De Vita ha sollevato una questione molto più grave di quel che possa sembrare. Egli ha fatto una distinzione giustissima tra benessere sociale e benessere economico. Il benessere sociale scaturisce indubbiamente anche dal fattore economico, ma è soprattutto un fatto dello spirito e perciò non può derivare esclusivamente da un fatto della materia.

E se le sue preoccupazioni, attraverso questa discussione, si sono consolidate e moltiplicate, è proprio perché vede in quello che si dice una mortificazione della libertà individuale che si estende al di là di ogni limite immaginabile.

Afferma che il benessere sociale si può raggiungere soltanto con un’opera complessa e lunga, che non è data soltanto dalla Carta costituzionale; si costruisce su una piattaforma economica e attraverso la libertà e l’educazione alla libertà. Quindi è essenzialmente un problema educativo innestato su un problema economico.

Ecco perché egli è addirittura – gli si permetta il termine – spaventato di quanto ha detto l’onorevole Dossetti, che è andato molto più in là delle premesse dell’onorevole Togliatti, prospettando la macchina di un totalitarismo economico che – a suo avviso – non può disgiungersi dal totalitarismo politico.

È perfettamente convinto che l’onorevole Dossetti è mosso da intendimenti e pensieri ben diversi, ma la sua teorica è la teorica dello Stato corporativo. Non vede infatti come si possa parlare di libertà politica quando c’è una soggezione economica totale: i due termini sono talmente in contrasto che non è possibile ammetterli, a meno che non si accetti la famosa scusa dei fascisti i quali dicevano di avere in seno la loro opposizione. Una delle crisi della nostra democrazia è che certi conflitti si svolgono in seno ai partiti invece di svolgersi in seno al Paese.

Si ribella all’affermazione di voler dare un determinato contenuto alla democrazia, perché la democrazia non può averlo. Quando alla democrazia si vuol dare un determinato contenuto che escluda nel modo più assoluto la possibilità che altri contenuti democratici possano in essa realizzarsi, si uccide la democrazia.

Insiste quindi nel suo concetto originario, che cioè si deve fare uno statuto che non sia una macchina che arrivi fino a conseguenze che non servono se non a distruggere la vita di un individuo libero in una democrazia libera.

LA PIRA rileva che, data l’attuale situazione di fatto, nella quale esistono larghe crisi periodiche di disoccupazione mentre non è attuata una effettiva e consapevole partecipazione della massa lavoratrice al meccanismo produttivo, sorge il problema: l’ordinamento economico liberale che ha creato questi due fatti, ha una virtù interna tale da poterli superare? La risposta non può essere che negativa. Di qui la domanda: qual è lo strumento economico nuovo, e quindi la nuova struttura economica capace di superare questi due fatti? Respinto l’ordinamento liberale, occorre creare una struttura economica nuova, la quale realizzi quella dignità della persona umana sulla quale tutti sono d’accordo.

Non può quindi accedere alla tesi Lucifero, ma si muove nella direzione indicata dall’onorevole Togliatti, nel senso cioè di creare questo strumento nuovo che permetta di realizzare una dignità effettiva e non astratta della persona umana.

LUCIFERO, Relatore, afferma che tutti sono d’accordo sulla necessità di stabilire in concreto questa dignità umana. Il contrasto sta nel metodo per risolvere il problema. Ed egli, senza affermare superbamente di essere in possesso del metodo sicuro, ritiene più modestamente che molti metodi diversi potrebbero avviare alla soluzione il problema e quindi vuole lasciare a tutti la porta aperta.

Quanto all’affermazione dell’onorevole La Pira circa l’economia liberale, tiene subito a fare una distinzione fra vecchio e nuovo liberalismo, rilevando che quest’ultimo accetta le concezioni di nazionalizzazione, di controllo e di coordinamento dello Stato che non appartengono certo al vecchio liberalismo.

LA PIRA osserva che accetta molti degli articoli proposti dall’onorevole Lucifero, dal quale però si differenzia nel principio ispiratore.

Quanto all’accenno fatto dall’onorevole Lucifero ad una pretesa teorica corporativistica dell’onorevole Dossetti, dichiara che il suo partito concepisce il lavoro sempre associato, proprio come una comunità di lavoro, in cui tutti i lavoratori sono dei collaboratori; concepisce il lavoratore come un coordinatore, come un corresponsabile, un soggetto e non un oggetto dell’economia. E quando l’onorevole Lucifero stesso afferma che il lavoratore è un soggetto dell’economia, viene, in radice, a trasformare l’ordinamento liberale.

MANCINI rileva che il pensiero dell’onorevole Lucifero, attraverso un’abbondanza di parole, non risulta preciso. Egli, mentre critica il metodo proposto dall’onorevole Togliatti, non indica il suo; e ciò dimostra la bontà del metodo criticato.

L’onorevole Lucifero afferma poi che tutto il progresso sociale dipende dall’esercizio delle libertà. L’oratore pensa, al contrario, che non può esservi un perfetto esercizio di libertà senza una possibilità economica che modifichi la vita economica della collettività. Il giovinetto, figlio del popolo, che non può istruirsi ed educarsi, a parità di merito con il ricco, non progredisce, né perfeziona la sua personalità, non interviene nel progresso sociale. La libertà che gli si concede è una libertà di ignoranza, completamente inutile, anzi nociva.

Conclude affermando che, se si vuole davvero rispettare e garantire l’esercizio della libertà, si deve assolutamente modificare il congegno economico della vita sociale.

MASTROJANNI osserva che, mentre socialisti, comunisti, democristiani, tendono ad una realizzazione quasi immediata del loro programma attraverso una coercizione che dallo Stato si riflette sui cittadini, egli ritiene invece che si debbano realizzare i fini economici, di solidarietà sociale attraverso i sistemi liberali, cioè senza la coercizione e l’onnipotenza dello Stato.

All’onorevole La Pira, che ha accennato quale obiettivo principale quello della dignità umana, risponde che l’aspirazione che questa dignità umana assurga alla sua potenza e al suo sviluppo completo, è anche la sua aspirazione; ma egli, per dignità umana, non intende solamente quella che si riflette nei confronti del meno abbiente, ma quella che si riflette su tutti gli uomini, abbienti e non abbienti. Si coarta la dignità dell’abbiente quando lo si aggredisce con leggi che contrastano quello che è il suo patrimonio, che può essere stato accumulato con la sua intelligenza. E questa non è giustizia.

Fa poi osservare all’onorevole La Pira che non è assolutamente vero che il concetto liberistico non abbia esaurito nessuno dei presupposti sui quali si intende formulare la nuova Costituzione; e ricorda che la prima legge la quale sia intervenuta in favore degli impiegati privati è precisamente quella del 1919, formulata da Vittorio Emanuele Orlando, cioè quando si era ancora in pieno regime liberale. Oggi vi sono la legge sulla invalidità e vecchiaia, quella sulla disoccupazione e tutte le provvidenze sociali, sia pure in modo embrionale ed imperfetto, e tutte queste non sono la creazione di nuove concezioni, ma il patrimonio di una evoluzione che progressivamente si è affermata. Qui, ora, ben poco si porta di nuovo: si porta un esperimento che potrebbe essere catastrofico, perché si intende aggredire la ricchezza accumulata, in quanto si ritiene che essa costituisca il risultato di una precorsa attività peccaminosa e non sia prodigata – come deve – nell’interesse sociale. In altri termini, si vuole tarpare l’iniziativa privata: errore gravissimo, perché con questo si attribuisce allo Stato quella onnipotenza della quale si è dimostrato non solo immeritevole, ma anche incapace.

Dall’esperienza di questo triennio successivo alla liberazione, ha tratto la convinzione che il Governo è riuscito a realizzare ben poco, perché i problemi sociali non possono essere affrontati con delle soluzioni rivoluzionarie, attraverso una irreggimentazione nello Stato.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole De Vita ha chiesto la chiusura della discussione generale.

Dà la parola all’onorevole Togliatti per una mozione d’ordine.

TOGLIATTI, Relatore, constata che nel corso della discussione si sono delineate due concezioni: una espressa dall’onorevole Lucifero, l’altra espressa da lui, dall’onorevole Dossetti e dall’onorevole La Pira. Fa presente la necessità di stabilire da quale parte sia la maggioranza, per passare poi alla definitiva formulazione degli articoli.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di chiusura della discussione generale, riservando la parola ai commissari che l’hanno richiesta in precedenza.

(È approvata).

LUCIFERO, Relatore, precisa di essere d’accordo su molte provvidenze e molte riforme che ha accolto anche nei suoi articoli. È contrario però ad una generalizzazione assoluta.

DOSSETTI fa presente all’onorevole Lucifero che allorché egli parla di totalitarismo esprime una sua convinzione personale, che non corrisponde alla realtà dei fatti, in quanto l’orientamento del partito democristiano, ad esempio, non è certo rivolto a costruire un Moloch di Stato.

Respinge l’affermazione che egli ed i suoi amici vogliano imporre la loro via come la unica possibile. Il dilemma che si pone ha due sole alternative, per cui se si sopprime una via non resta che l’altra, e cioè che la vita economica si debba svolgere spontaneamente, ritornando al sistema fondamentale dell’ottimismo liberale. Ora, l’esperienza storica insegna che il lasciare libero giuoco alle forze naturali ed economiche porta ad una sopraffazione; quindi non bisogna accettare, ma si deve respingere la soluzione ottimistica del libero e spontaneo giuoco delle forze economiche.

MORO osserva che è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta. Esprime la certezza che da questo controllo economico, nello Stato democratico, non nascerà un totalitarismo economico o politico. Lo stato fascista non era uno Stato democratico, era anche nelle sue forme di controllo uno Stato delle classi capitalistiche, le quali non tutelavano gli interessi della collettività, ma tutelavano gli interessi della classe che rappresentavano.

Non è possibile permettere che gli egoismi si affermino, ma è necessario porre la barriera dell’interesse collettivo come un orientamento e un controllo di carattere giuridico. Ed è nell’ambito di questo controllo che lo Stato permetterà alle iniziative individuali, finché rientrino nell’ordinamento generale, di svolgersi liberamente. E queste iniziative individuali sono consacrate con il riconoscimento della proprietà personale.

PRESIDENTE constata che vi è nella Sottocommissione l’accordo unanime che si debba comunque dare una concretezza, un contenuto sociale, ai diritti di libertà politiche stabiliti nelle precedenti discussioni.

Sul modo di raggiungere tale scopo si sono manifestate divergenze assai profonde. Di questo dovranno tener conto i Relatori nella presentazione degli articoli che da domani cominceranno ad essere sottoposti all’esame della Sottocommissione.

Un altro punto fondamentale acquisito è che la Sottocommissione stessa si ritiene competente a dire la sua parola in ordine ai principî fondamentali che regolano i diritti sociali della libertà, tenendo peraltro presenti gli articoli che hanno formato oggetto di discussione da parte della terza Sottocommissione.

Propone che i colleghi Dossetti, Togliatti e Lucifero studino insieme un’elaborazione degli articoli da presentare domani alla discussione.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lombardi Giovanni e Marchesi.