Come nasce la Costituzione

VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

15.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 27 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero – De Vita – Lombardi Giovanni – Cevolotto – Mastrojanni – Moro – Dossetti – Da Pira, Relatore – Basso, Relatore – Mancini – Togliatti – Iotti Leonilde – Corsanego.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE, dopo aver ricordato che nella seduta precedente si erano approvati alcune parti dell’articolo che riguarda la libertà di stampa, e si era iniziato l’esame della seconda parte dell’articolo riguardante la stampa periodica, ne pone in discussione la prima proposizione: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva».

LUCIFERO, ricordando le ragioni già esposte, fa presente di ritenere che sia stata già data una tale ampiezza di poteri all’autorità giudiziaria, da non poter assolutamente consentire che venga data un’altra investitura di potenza dittatoriale alla polizia. È del parere che la competenza in materia di sequestri debba essere lasciata alla sola autorità giudiziaria, altrimenti si istituirà un’altra dittatura sulla libertà di pensiero.

DE VITA, riaffermato che l’articolo in discussione gli sembra più un regolamento che un articolo da introdurre in una Costituzione, propone che esso venga sostituito dalla seguente formula: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti», senza aggiungere altro. Ritiene che la Commissione debba soltanto affermare il principio generale, che è quello della libertà di esprimere i propri pensieri e le proprie opinioni: la legge penale disciplinerà poi l’esercizio di questi diritti e porrà i limiti. Esprime il parere che la garanzia di questa libertà dagli eventuali limiti che potrà imporre la legge speciale sarà data dal sindacato di costituzionalità della legge stessa.

LOMBARDI GIOVANNI ricorda di aver già fatto anch’egli una proposta analoga.

PRESIDENTE osserva che il concetto proposto dall’onorevole De Vita è contenuto nella prima parte dell’articolo già approvato.

CEVOLOTTO fa presente che, anche se l’odierna proposta dell’onorevole De Vita si discosti per qualche piccola parte dalla proposta dell’onorevole Lombardi, essa avrebbe dovuto essere discussa quando fu discussa la proposta dell’onorevole Lombardi stesso. Oggi non è più possibile riproporla. Ad ogni modo si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole De Vita perché si preoccupa che, lasciando alle leggi speciali il regolare la materia, si conceda un’eccessiva libertà al legislatore, col pericolo che la legge speciale non possa essere accusata di incostituzionalità, nel caso che ponga limitazioni che non si è disposti a tollerare.

Per quanto si riferisce alla proposta in esame, dichiara di aver già espresso nella seduta precedente il suo pensiero che coincide con quello dell’onorevole Lucifero: ritiene cioè che sia opportuno sopprimere la seconda parte dell’articolo perché lasciare agli ufficiali di polizia giudiziaria, sia pure con le limitazioni e le precisazioni proposte, il diritto, nei casi di urgenza (e l’urgenza si può ravvisare come si vuole in ogni circostanza), di sequestrare la stampa periodica, significherebbe mettere la libertà di stampa nelle mani del potere esecutivo.

MASTROJANNI si associa agli argomenti svolti dall’onorevole Cevolotto e ne aggiunge un altro che ricava dalla stessa dizione dell’articolo. In esso si dice: «In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria». Ora, trattandosi di 24 ore, la polizia potrebbe presentare immediatamente all’autorità giudiziaria l’oggetto del reato e provocare da essa l’autorizzazione al sequestro. In tale modo si potrebbe, senza alcun danno per la immediata sottrazione della stampa nociva dalla circolazione, privare gli ufficiali di polizia giudiziaria della facoltà di effettuare il sequestro preventivo.

Fa infine osservare che nella parte dell’articolo già approvata, e precisamente alla lettera c) dove si parla di esecuzione di una sentenza, c’è un’incongruenza dal punto di vista giuridico. La sentenza ordina il sequestro: è inutile dire che il sequestro può essere disposto dall’autorità giudiziaria in esecuzione di una sentenza. La sentenza la emana l’autorità giudiziaria; è quindi l’autorità giudiziaria che ordina il sequestro.

PRESIDENTE chiarisce che si tratta di casi speciali, cioè quando vi siano speciali sentenze. Ci sono sequestri cautelativi e sequestri definitivi: i primi sono disposti in base ad ordinanza ed i secondi in base a sentenza.

MASTROJANNI dichiara che in tal caso è necessario specificare. Ripete, in ogni modo, che la lettera c) è pleonastica.

DE VITA fa presente all’onorevole Cevolotto che la legge speciale potrà disciplinare l’esercizio del diritto di libertà di stampa e di opinioni, anche mantenendo la formula da lui proposta. Non vede la necessità di disciplinare in un articolo della Costituzione le modalità dell’esercizio stesso di un diritto. Quindi chiede che la sua proposta venga posta in votazione.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di essere contrario a questa seconda parte dell’articolo sulla libertà di stampa, in cui si fa un’eccezione per la stampa periodica, anche perché vi sono numerosi pleonasmi e vi si concede all’autorità di pubblica sicurezza la facoltà di ordinare un sequestro, ciò che può diventare un abuso. Ne propone perciò la soppressione.

MORO fa rilevare che il problema dei poteri spettanti alla polizia si è presentato anche negli articoli precedenti, e sempre sotto questo profilo, se cioè si debbano oppur no conferire alla polizia dei poteri i quali potrebbero portare ad abusi nei confronti della libertà individuale.

Ritiene che avendo stabilito negli articoli precedenti la concessione di poteri all’autorità di polizia, non ci si possa sottrarre per il caso in esame alla necessità di conferire questi poteri, i quali opportunamente servono a limitare la libertà individuale in vista delle esigenze sociali che non possono essere disconosciute. Dichiara di aver l’impressione che qualche volta la Commissione si mostri eccessivamente preoccupata dalla situazione contingente, per i precedenti storici ai quali si riferisce, e formuli una libertà in astratto, che non tiene conto delle esigenze di una convivenza sociale. Ci sono dei casi in cui è indispensabile che intervenga con urgenza l’autorità di polizia altrimenti si apre la via all’arbitrio. Ritiene impossibile prescindere dall’esercizio del potere della polizia in materia di pubblicazioni oscene, che costituiscono uno dei punti proposti dal Relatore. Tutti sanno che sono in corso innumerevoli pubblicazioni offensive non solo del sentimento religioso, ma anche dei principî di moralità accettati dalla nostra civiltà; pubblicazioni che offendono il senso umano ed il senso di patriottismo, in quanto questa attività corruttrice della stampa incide sulla ripresa della nostra vita nazionale sia dal punto di vista spirituale che da quello politico.

Richiama la Commissione sulla opportunità di tener conto di queste esigenze fondamentali, senza le quali la Costituzione non potrà essere consolidata.

LOMBARDI GIOVANNI riconosce la giustezza delle osservazioni fatte dall’onorevole Moro, nel senso che bisogna salvaguardare la libertà della stampa e insieme impedirne gli eccessi; ma contesta che a ciò si possa provvedere nello Statuto, senza invadere un campo che deve essere riservato alla legge speciale.

Insiste sulla proposta fatta da lui e dall’onorevole Mancini, tornando a manifestare la sua avversione alla seconda parte dell’articolo, nella quale si concede all’autorità di pubblica sicurezza un potere che invece le si deve contestare, perché in ogni epoca, anche in quella che precedette il fascismo, l’autorità di pubblica sicurezza non ha mai dato garanzia di serenità.

MORO prende atto con compiacimento di quando ha dichiarato l’onorevole Lombardi circa la necessità di reprimere gli abusi della libertà di stampa e di imporle limiti tendenti a garantire quei criteri di moralità che devono essere alla base del nostro ordinamento sociale.

Dichiara di non poter però convenire con lui circa l’opportunità di rinviare alla legge sulla stampa la disciplina di questa materia. La legge sulla stampa sarà probabilmente fatta da un’assemblea che potrà essere orientata nello stesso senso della Commissione, ma non è possibile essere sicuri di quello che sarà l’avvenire. Compito della Commissione è di dare al popolo italiano una Costituzione che indirizzi la legislazione per molto tempo.

Si dichiara insoddisfatto delle argomentazioni dell’onorevole De Vita circa il controllo di costituzionalità ad opera della stessa Costituzione, in ordine alla legge sulla stampa. Rileva che, una volta sancito il principio generale della libertà sulla stampa, si presentano due ipotesi: o la legge sulla stampa limita questa libertà, e allora può essere dichiarata incostituzionale in base alla violazione del principio generale affermato; oppure essa non pone alcun limite concreto alla libertà di stampa, ed allora sarà frustrata l’esigenza di reprimere quegli abusi che offendono la coscienza morale.

Pertanto, ritiene che non si possa accogliere la formula proposta dagli onorevoli Lombardi e Mancini, né quella proposta dall’onorevole De Vita.

CEVOLOTTO insiste nel ritenere che la seconda parte dell’articolo in esame sia pericolosissima, e che perciò non debba essere accettata. Concorda nella necessità di reprimere la stampa oscena; ma ritiene che neppure in questo caso possa essere lasciato alla pubblica sicurezza il diritto di operare il sequestro. Non si può sapere dove potrebbe arrivare la pubblica sicurezza attraverso una formula di questo genere, che potrebbe anche permettere una violazione del principio della libertà di stampa.

Mantiene perciò la sua proposta che sia soppressa la seconda parte dell’articolo.

LUCIFERO dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Fa presente che il termine di 24 ore, entro le quali deve essere richiesta la convalida dell’autorità giudiziaria, non risolve nulla, in quanto parlando di stampa periodica ci si deve riferire principalmente al giornale quotidiano, cioè all’organo di informazione e di polemica. Quando si è soppresso un giornale, non per 24 ore, ma anche soltanto per tre o quattro ore, lo si è praticamente eliminato, anche se poi risultasse, entro le 24 ore, che colui che pubblicava quel giornale non era perseguibile. Intanto però il potere esecutivo avrebbe raggiunto il suo scopo di non fan giungere al pubblico in quel dato momento quella tale informazione, quella tale notizia che poteva avere per esso interesse. Ritiene pertanto che la disposizione sia perfettamente inutile.

MORO dichiara di aderire alle osservazioni dell’onorevole Cevolotto per quanto riguarda il comma a), circa la mancanza del gerente e dello stampatore; e di poter anche riconoscere che si debba dare il tempo di rivolgersi all’autorità giudiziaria onde ottenere da questa il sequestro nelle forme e garanzie stabilite dalla legge.

Ma resta fermissimo nel suo punto di vista circa il comma b), riguardante le pubblicazioni oscene. Non ritiene che si possa allargare tanto il senso della parola osceno da far rientrare in essa la materia politica. Per il comma c) fa presente che in esso si parla di reati, e quindi questo è già un limite molto rigoroso che si impone all’arbitrio dell’autorità di pubblica sicurezza. Si tratta inoltre non di tutti i reati, ma di quelli precisamente indicati dalla legge sulla stampa. Se poi si ricollega questa norma con l’altra proposta dai Relatori nell’articolo successivo, norma veramente rigorosa che sancisce gravissime responsabilità penali e civili per i funzionari i quali abusino e violino i diritti di libertà, ritiene che si possa essere tranquilli. Qualche abuso ci sarà; ma quel complesso di limiti che la Sottocommissione ha armonicamente congegnato sarà sufficiente per offrire la migliore garanzia.

DOSSETTI fa osservare all’onorevole Lucifero che l’argomento da lui addotto, che cioè 24 ore sono sufficienti perché si esaurisca la possibilità di riparazione di un provvedimento arbitrario, si ritorce contro di lui perché vale anche in senso opposto. Se si esclude la possibilità di un sequestro di polizia, ci si priva della possibilità di impedire che un giornale, specialmente se quotidiano o settimanale, evidentemente offensivo dei principî di moralità, possa essere infrenato.

Fa osservare che, se si è ammesso che si possa privare un individuo della libertà per 48 ore, tanto più si può ammettere la limitazione di un giorno nei riguardi della stampa. È vero che un giornale può fare grandi e decisive cose nello spazio di 24 ore, ma anche una persona può fare grandi e decisive cose in 48 ore. Pensa comunque che, evidentemente, al fondo delle preoccupazioni manifestate ci sia un giusto risentimento per gli abusi del passato.

LUCIFERO afferma che vi è la preoccupazione che gli abusi si possano ripetere.

CEVOLOTTO, al confronto fatto dall’onorevole Dossetti con la privazione della libertà personale precedentemente ammessa, risponde che, a parte il fatto che anche la privazione della libertà personale è stata circondata di molte cautele, non è vero che tale privazione sia più grave della soppressione della stampa. La prima ha dei riflessi più limitati, si riferisce ad una singola persona; mentre il sequestro di un giornale ha riflessi su tutta la collettività, su un intiero partito, e, talvolta, sulla vita stessa della Nazione.

MASTROJANNI rileva che, dalla discussione in corso, è risultato che alcuni non hanno fiducia nel potere discrezionale delle autorità di pubblica sicurezza, mentre altri lamentano il pericolo che, a causa delle preoccupazioni espresse dai primi, possa derivare nocumento alla pubblica moralità, specie per quanto attiene alla stampa oscena. Poiché tutti dimostrano un senso di maggiore fiducia nell’autorità giudiziaria circa il sequestro della stampa nociva, l’oratore propone una formula la quale stabilisca il sequestro della stampa illecita con provvedimento frattanto non motivato dell’autorità giudiziaria. Tale provvedimento, in pratica, si può ottenere anche in mezz’ora. Difatti tale spazio di tempo è sufficiente perché l’agente di polizia giudiziaria vada dal procuratore della Repubblica, o dal Pretore, presenti la stampa incriminata e si munisca di ordine di Sequestro.

Propone quindi la seguente formula: «Il sequestro può essere eseguito a richiesta della polizia giudiziaria con provvedimento urgente, frattanto non motivato, dell’autorità giudiziaria».

LOMBARDI GIOVANNI, rispondendo all’onorevole Dossetti, osserva che egli nel suo ragionamento non ha tenuto conto che alcuni membri della Sottocommissione si opposero a concedere alla pubblica sicurezza il diritto di arresto preventivo, sostenendo che questo potesse essere ammesso solo in caso di flagranza. Per quei Commissari che hanno votato in tal senso, le osservazioni dell’onorevole Dossetti non hanno alcun potere dimostrativo. Chi non ha ammesso l’arresto od il fermo preventivo, non può ammettere, per coerenza, il sequestro preventivo. D’altronde egli pensa che quello che si sta esaminando non sia che un abbozzo di statuto, e si augura che l’Assemblea Costituente voglia riparare a tutti quegli eccessi che ci riportano verso le spumose onde del passato.

LA PIRA, Relatore, dichiara che, nello stendere il testo dell’articolo col quale si attribuiscono alcuni poteri alla polizia ed in genere all’autorità giudiziaria, si è avuto sempre presente il principio della responsabilità civile e penale dei funzionari. Nella luce di questo principio si sono considerate tutte le garanzie possibili, in modo che tutte le preoccupazioni di eccesso da parte degli ufficiali giudiziari o della autorità giudiziaria verranno eliminate, se si approverà il principio della responsabilità civile e penale dei funzionari dello Stato.

Dichiara che eventualmente si potrebbe riflettere sul comma a) riguardante le violazioni delle norme amministrative, aderendo a quanto ha proposto l’onorevole Cevolotto.

BASSO, Relatore, fa osservare all’onorevole Lombardi, il quale ha parlato di ritorno verso le spumose onde del passato, che il progetto d’articolo formulato: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge, ecc.» non è che un ritorno allo Statuto Albertino. Tutto il travaglio costituzionale è stato proprio quello di dare una garanzia effettiva in sede di Costituzione a questa libertà.

Le formule proposte dagli onorevoli Lombardi e Mancini e dall’onorevole De Vita non hanno, a suo avviso, alcuna possibilità di essere seriamente difese, perché tendono a riportare la regolamentazione costituzionale indietro di un secolo.

Dichiara di non essere egli stesso soddisfatto della formulazione dell’articolo, che è frutto di una transazione, rilevando che si è commesso un errore in difetto nella parte che tratta della magistratura, poiché è stata dimenticata una serie di giudizi civili che riguardano la materia dei diritti di autore ed i conflitti che possono sorgere in questo campo tra autore e editore. Osserva che in tali casi, in pendenza di giudizio, dovrebbe essere consentito il sequestro cautelativo.

Viceversa, si è ecceduto nella formulazione del diritto di sequestro da parte della pubblica sicurezza. Ed egli avrebbe riservato alla pubblica sicurezza il diritto di sequestro solo per l’ipotesi del comma a), riguardante le violazioni delle norme amministrative.

Non si è associato alla formulazione del comma b) perché in quel caso ritiene che si venga a porre in atto un apprezzamento discrezionale da parte degli organi di polizia giudiziaria, nel corso del quale si può commettere o far finta di commettere errore. Nel comma a) invece si tratta particolarmente della stampa clandestina, e si deve dare autorizzazione alla pubblica sicurezza di intervenire senz’altro. Insiste perché questo diritto di sequestro della pubblica sicurezza sia mantenuto con la garanzia della denuncia entro le 24 ore all’autorità giudiziaria. Per le ipotesi b) e c) personalmente non insiste. Del resto va osservato che per quanto riguarda le pubblicazioni oscene, trattandosi di reato, può provvedere direttamente la magistratura.

MANCINI replica che il principio affermato nella proposta avanzata da lui e dall’onorevole Lombardi non è un principio superato, ma un principio modernissimo, perché vi si afferma la libertà di stampa limitata soltanto dalle future leggi. Ora le leggi future sono l’avvenire e non sono il passato.

Consente circa le esigenze di difesa della base morale di cui ha parlato l’onorevole Moro. Vi è oggi il bisogno di riportare l’Italia in una sfera di moralità che purtroppo ha perduto per la nefasta opera del fascismo. La moralità per i popoli è al disopra di ogni altra esigenza. Pertanto si dichiara favorevole alle limitazioni da sancire contro la stampa oscena e anche contro gli atteggiamenti di una certa stampa che, se non sono osceni dal punto di vista lessicale, sono osceni dal punto di vista etico politico.

DE VITA fa osservare che la formula da lui proposta somiglia certamente a quella adottata dallo Statuto Albertino; senonché allora non c’era la distinzione tra potere costituente e potere legislativo ordinario, e non c’era nemmeno il controllo sostanziale di costituzionalità della legge. Adesso la cosa è diversa poiché nella nuova Costituzione vi sarà il controllo di costituzionalità. Perciò la sua formula, anche se simile a quella del vecchio Statuto, inserita nella nuova Costituzione ha un significato ed una portata molto diversi.

PRESIDENTE osserva che, con l’emendamento sostitutivo proposto dagli onorevoli Lombardi e Mancini, così come con l’emendamento proposto dall’onorevole De Vita si tende a sottoporre a votazione una proposizione che è stata già votata. L’onorevole De Vita vorrebbe che si facesse punto dopo le parole: «è garantito a tutti», e non si andasse oltre. Invece si è andati oltre nella discussione. Al punto in cui si è giunti, se i proponenti insistono, l’oratore non può fare altro che domandare alla Commissione se è del parere che si rimetta in discussione una proposizione che nel suo spirito e nella sua lettera è stata già votata ieri.

DE VITA fa presente che l’articolo non è stato votato tutto: c’è ancora una parte in discussione.

PRESIDENTE rileva che la questione pregiudiziale, se si debba procedere o no nella formulazione dopo l’affermazione di carattere generale contenuta nella prima proposizione dell’articolo, è stata già superata ieri, approvando le altre proposizioni.

DE VITA risponde che la sua proposta era stata fatta ieri, ma poi si è stabilito di rimandarla ad oggi.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole De Vita che egli ha il diritto di domandare che la sua proposta sia rimessa in votazione.

DOSSETTI non ritiene che l’onorevole De Vita abbia questo diritto: egli ha la facoltà di accertarsi se si sia votato o no.

MANCINI dichiara di rimettere la questione al potere discrezionale del Presidente.

TOGLIATTI osserva che in un’Assemblea preparatoria si può anche rimettere ai voti una proposta già approvata.

CEVOLOTTO si dichiara contrario al principio enunciato dall’onorevole Togliatti, perché esso può anche essere giusto, ma la Sottocommissione ha in precedenza deciso che non si debba ritornare sulle proposte approvate.

DE VITA fa rilevare che l’emendamento sostitutivo da lui proposto è del tutto diverso dall’articolo proposto dai Relatori. È una pura coincidenza che ne accetti la prima parte.

PRESIDENTE ripete che l’Assemblea ha già deciso nella seduta precedente che l’articolo non dovesse fermarsi alla prima proposizione. Se l’onorevole De Vita non è convinto, si rifarà la votazione.

DE VITA dichiara di rinunciare a che la sua proposta sia rimessa ai voti.

PRESIDENTE fa presente che risulterà chiaro dal verbale che, secondo l’onorevole De Vita, la formula dell’articolo dovrebbe limitarsi all’unica e semplice affermazione contenuta nella prima proposizione della prima parte dell’articolo, così come è stata presentata dai Relatori.

Richiama quindi l’attenzione sulla formula conciliativa proposta dall’onorevole Mastrojanni, la quale tende in sostanza a che i poteri che, secondo la formula dei Relatori, si vogliono dare all’autorità di pubblica sicurezza, e che debbono esperirsi nel termine di 24 ore, siano delegati all’autorità giudiziaria.

Ricorda poi che c’è una formula più radicale presentata dall’onorevole Lucifero, secondo la quale nessuna facoltà in materia deve essere concessa al potere esecutivo. Fa rilevare che tale proposta collima con l’altra fatta nella seduta precedente dall’onorevole Cevolotto, che nessuna facoltà di sequestro preventivo debba essere data all’autorità di pubblica sicurezza e quindi al potere esecutivo. Dichiara di ritenere che la formula dell’onorevole Lucifero riassuma il pensiero espresso dagli onorevoli Cevolotto e De Vita e dagli onorevoli Lombardi e Mancini.

MANCINI fa osservare che la proposta dell’onorevole Lucifero non può rientrare in quella sua e dell’onorevole Lombardi, avendo essi affermato che non si può parlare di sequestro nella Costituzione, ma soltanto di libertà di stampa, e che per quanto riguarda il sequestro ci si deve rimettere alla legge speciale.

PRESIDENTE ricorda che la formulazione proposta dagli onorevoli Lombardi e Mancini è del seguente tenore: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge anche se le manifestazioni del pensiero siano fatte con mezzi differenti dalla stampa». Fa osservare in proposito ai proponenti che il trattamento da fare alla stampa ed anche agli altri mezzi di manifestazione del pensiero differenti dalla stampa, è contenuto in quella proposizione della prima parte dell’articolo in cui si dice: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni e censure», facendo riferimento appunto alla stampa e a qualsiasi altro mezzo di espressione. La discussione di questo inciso è stata, d’accordo, rinviata alla fine della discussione dell’articolo. Quindi la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini potrà essere posta in votazione in quella sede.

Ritiene che debba avere la precedenza nella votazione la proposta dell’onorevole Lucifero, secondo la quale nessuna facoltà in materia di sequestro deve essere data al potere esecutivo, cioè all’autorità di pubblica sicurezza, e perciò la mette ai voti.

LUCIFERO dichiara che dicendo di non volere che nessuna facoltà in materia di stampa sia concessa al potere esecutivo, non esclude affatto che vi possa essere una legge sulla stampa, ma intende soltanto porre limiti chiari a questa legge. La competenza in materia di sequestro della stampa può essere soltanto concessa all’autorità giudiziaria. Del resto, se lo si ritiene opportuno, si potrà stabilire con lettera d) una disposizione che dia in qualche caso specifico questa speciale potestà all’autorità giudiziaria, come è accennato nella proposta dell’onorevole Mastrojanni. Però deve essere ben fermo il principio che il potere esecutivo non ha la facoltà di impedire a qualunque cittadino di esprimere la propria opinione.

MANCINI fa osservare che quando questo principio si afferma in una Costituzione la legge speciale non potrà assolutamente derogare dal principio proclamato.

TOGLIATTI osserva che in linea astratta di diritto costituzionale la proposizione potrebbe essere accettata, ma non può esserlo in linea pratica perché la magistratura ha dimostrato di essere scarsamente penetrabile allo spirito democratico. Pertanto dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero.

BASSO, Relatore, dichiara che il principio contenuto nella proposta dell’onorevole Lucifero non si potrebbe applicare all’ipotesi prevista nella lettera a) per le ragioni già esposte; e quando un cittadino non assume la responsabilità di quello che pubblica, non ha il diritto di invocare la tutela della libertà di stampa. Non c’è una violazione della libertà di stampa quando si impedisce l’uscita di un giornale privo della firma del gerente responsabile.

Dichiara pertanto che voterà contro la formula dell’onorevole Lucifero.

DE VITA dichiara di astenersi dalla votazione per le ragioni precedentemente esposte.

(La formula è respinta con 2 voti favorevoli, 12 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini secondo la quale le limitazioni della libertà di stampa sarebbero ammesse purché stabilite da una legge speciale.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro questa proposta perché ritiene che il riferimento alla legge speciale, senza limiti da parte della Costituzione, sia pericolosissimo.

PRESIDENTE dichiara che voterà contro la proposta perché essa ripropone la formula contenuta nello Statuto Albertino: «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi», che, coerentemente alla sua precedente dichiarazione, considera troppo generica e quindi inoperante.

TOGLIATTI si associa alla dichiarazione di voto del Presidente.

LUCIFERO si associa anch’egli alla dichiarazione di voto del Presidente.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli e 13 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti.

«Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto e, comunque, nei casi gravi, anche con provvedimento di urgenza frattanto non motivato».

MASTROJANNI fa presente che avrebbe voluto esprimere gli stessi concetti in termini più precisi che potrebbero essere conglobati nella prima parte dell’articolo. In questa prima parte si dà una limitazione anche all’autorità giudiziaria, la quale interviene solo in casi specifici. Ora fra i casi specificamente determinati, quelli di cui alle lettera b) e c) sono pleonastici. La sua proposta definitiva sarebbe pertanto di un’aggiunta che completi la parte dell’articolo già approvato, che prenderebbe il posto di quella discussa.

MORO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni, pur dandogli atto dell’intenzione conciliativa, perché ritiene che la Costituzione debba conferire alla polizia i poteri stabiliti. Accetterebbe la proposta in via subordinata, qualora fosse respinta la proposta dei Relatori; ed in quel caso si riserva di ripresentare la proposta dell’onorevole Mastrojanni.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni prima di tutto perché essa tende a modificare quanto è già stato votato, e in secondo luogo perché è vaga e imprecisa, e la sua imprecisione lascerebbe all’autorità giudiziaria il diritto di procedere al sequestro in «casi gravi», espressione ambigua che potrebbe dar luogo all’arbitrio.

LUCIFERO concorda con l’onorevole Cevolotto.

MASTROJANNI fa osservare che la formula «casi gravi» è invece precisa perché nei casi gravi si comprendono quelli non previsti dalle norme amministrative.

Rispondendo all’osservazione dell’onorevole Cevolotto, il quale si preoccupa di lasciare all’autorità giudiziaria la facoltà di provvedere, gli domanda chi, secondo lui, dovrebbe provvedere, ed in qual modo egli intenda tutelare la pubblica moralità.

MANCINI dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Mastrojanni perché le modalità del sequestro debbono essere stabilite dalla legge speciale sulla stampa. Una Carta costituzionale non può affermare altro che il principio, non le modalità con le quali il principio si applica.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di associarsi alla dichiarazione di voto dell’onorevole Mancini.

(La proposta è respinta con 1 voto favorevole e 14 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori nella prima parte, che è la seguente: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva».

Fa rilevare che chi vota a favore di questa proposizione può riservarsi il diritto poi di intervenire, pur affermando il principio generale, in tutte quelle ipotesi e quei limiti che riguardano l’applicazione del principio.

LUCIFERO dichiara che voterà contro perché è contrario al principio.

(La proposta è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la seguente altra proposizione: «nei casi: a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO ricorda che nella seduta precedente l’onorevole Basso, molto giustamente, aveva in un primo tempo accettato la sua prima proposta di limitare le violazioni amministrative alla mancanza del gerente e dello stampatore, e cioè della persona responsabile che eventualmente deve essere perseguita. Visto che è stato ammesso il principio dell’arbitrio di polizia, è d’avviso che debba cercarsi almeno di limitarlo, chiarendo che violazione di norme amministrative può esservi soltanto se manca il nome del gerente responsabile ed il nome dello stampatore.

Propone pertanto un emendamento sostitutivo così formulato: «a) di mancata indicazione del responsabile e dello stampatore».

CEVOLOTTO si associa a quanto ha detto l’onorevole Lucifero.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare l’emendamento sostitutivo perché vi sono anche altre norme amministrative che si possono violare; per esempio, le norme che si riferiscono alla limitazione nel consumo della carta. Se esce un giornale a quattro pagine, sfidando le norme stabilite dal comitato dei prezzi, lo si deve poter sequestrare.

CEVOLOTTO osserva che per questa ipotesi non è necessario il sequestro, perché basta una forte multa, che è un provvedimento di carattere penale.

TOGLIATTI fa presente un altro caso di violazione: quello che si faccia una legge sulla stampa la quale imponga la pubblicazione dei bilanci. Se un giornale non pubblicasse questi bilanci, potrebbe essere sequestrato.

Ripete, in ogni modo, che voterà contro la proposta dell’onorevole Lucifero.

DOSSETTI ritiene che le giuste esigenze prospettate dagli oratori non possano essere soddisfatte per via di polizia. Per esse può bastare l’intervento dell’autorità giudiziaria, perché l’immediatezza dell’intervento della polizia non è necessario, a meno che non si tratti dell’ipotesi straordinaria dell’omissione del gerente responsabile. Per evitare il grave pericolo di abusi da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, tutte le formulazioni che si potrebbero fare non sarebbero mai sufficienti.

MANCINI si dichiara favorevole alla formula che contempla le norme amministrative, per le stesse ragioni esposte nella seduta precedente ed in seguito alle quali l’onorevole La Pira mutò la formula da lui precedentemente proposta. Nella formula «violazione delle norme amministrative» è racchiuso anche il concetto della mancanza della firma dello stampatore e della mancanza del gerente responsabile. Invece, con la formula dell’onorevole Lucifero, si verrebbero ad escludere ogni altra eventuale norma amministrativa obliata od offesa.

LA PIRA, Relatore, precisa all’onorevole Mancini che nella seduta precedente egli era d’accordo con lui perché si trattava dell’autorità giudiziaria. Oggi, poiché si tratta dell’autorità di pubblica sicurezza, il suo accordo con l’onorevole Mancini non c’è più.

BASSO, Relatore, dichiara di essere combattuto tra il desiderio di non usare la formula generica che ritiene pericolosa, e la necessità di tener conto di tutte le ipotesi in cui il sequestro può essere consentito. Si potrebbe venire incontro alla preoccupazione dell’onorevole Togliatti, aggiungendo l’altra ipotesi da questi proposta e cioè il caso della mancanza di pubblicazione del bilancio, senza usare la formula generica della violazione delle norme amministrative.

PRESIDENTE ricorda che vi sono tre proposte: quella contenuta nella formula originaria dei Relatori; quella contenuta nella proposta intermedia dell’onorevole Basso che tiene conto della preoccupazione espressa dall’onorevole Togliatti; e infine la proposta radicale dell’onorevole Lucifero, in cui si prevede il sequestro preventivo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto quando manchi l’indicazione del gerente responsabile o dello stampatore.

Dichiara che voterà a favore della formula proposta originariamente dai Relatori, perché più chiara e precisa.

BASSO, Relatore, dichiara di ritirare la sua proposta intermedia.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero, il quale vorrebbe sostituire il comma a) col seguente: «a) di mancata indicazione del responsabile o dello stampatore».

(La proposta è respinta con 3 voti favorevoli e 12 contrari).

Rileva che l’onorevole Basso ha dichiarato di non insistere sulla sua proposta. Domanda all’onorevole Togliatti se mantiene la sua.

TOGLIATTI dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori, così concepita «a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO dichiara che voterà contro questa formula, come ieri ha votato contro l’analoga formula proposta per la prima parte dell’articolo, perché considera che essa consenta l’effettiva soppressione della libertà di stampa.

DOSSETTI dichiara che voterà contro la formula proposta dai Relatori, perché ha la sensazione che si vada incontro ad un’estensione troppo pericolosa.

CEVOLOTTO si associa alle considerazioni esposte dagli onorevoli Lucifero e Dossetti e dichiara che voterà contro.

DE VITA dichiara che si asterrà dalla votazione per le ragioni già esposte.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che voterà contro per coerenza con le sue dichiarazioni precedenti.

(La formula dei Relatori è approvata con 7 voti favorevoli, 6 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE pone in discussione il comma b): «di pubblicazioni oscene» proposto dal Relatore La Pira.

CEVOLOTTO si dichiara contrario al comma proposto dall’onorevole La Pira, non perché sia contrario alla persecuzione di pubblicazioni oscene, ma perché ritiene che questo comma apra un altro varco agli abusi da parte della pubblica sicurezza che, ravvisando artatamente un carattere osceno in pubblicazioni che non lo hanno, potrebbe sopprimerle.

MASTROJANNI non è favorevole al comma b) proposto, non perché non intenda che venga repressa la stampa a carattere osceno, ma perché questa repressione rientrerebbe nell’ipotesi da lui formulata nella proposta non approvata. Si associa alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Cevolotto.

LUCIFERO dichiara che voterà contro per le stesse ragioni espresse dagli onorevoli Mastrojanni e Cevolotto. Ritiene che il giudizio sulla oscenità o meno di una pubblicazione sia un giudizio di grande delicatezza. Si sono viste considerare oscene delle opere d’arte che ormai sono internazionalmente riconosciute come dei capolavori.

BASSO, Relatore, dichiara che voterà contro per le stesse ragioni esposte dagli onorevoli Cevolotto e Lucifero.

LA PIRA, Relatore, fa presente il caso pratico dell’ufficiale di pubblica sicurezza che veda delle pubblicazioni a carattere osceno e proceda immediatamente al sequestro. Però entro 24 ore egli deve richiedere la convalida dell’autorità giudiziaria. Domanda perciò quale difficoltà esista in concreto a che un ufficiale della polizia giudiziaria abbia la possibilità di sequestrare una pubblicazione oscena, e dove sia la difficoltà politica.

BASSO, Relatore, osserva che la difficoltà è nel pericolo di abuso, non nell’applicazione della disposizione.

LA PIRA, Relatore, riconosce la possibilità di abusi, ma ritiene che tra i piccoli abusi che si possono commettere ed i grandi mali che possono essere evitati, occorre scegliere, reprimendo i grandi mali.

MORO ritiene che il comma sia di importanza essenziale per la repressione degli abusi della libertà di stampare che tendano intenzionalmente, come si attua oggi, alla corruzione della gioventù ed all’indebolimento della forza morale italiana. Dichiara che, per queste ragioni, voterà a favore del comma proposto dall’onorevole La Pira.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di votare contro poiché non riconosce alla pubblica sicurezza la capacità di discernere quali pubblicazioni siano oscene e quali no.

DOSSETTI si associa alle considerazioni esposte dall’onorevole Moro, aggiungendo che, se si considera il complesso del sistema che la Commissione è venuta costruendo, si vedrà che si è largheggiato su qualche punto in cui si potevano porre restrizioni, mentre ora si vorrebbe da taluni non dare il potere alla pubblica sicurezza di intervento in un caso in cui è giustificato, al di fuori di ogni considerazione di ordine politico.

PRESIDENTE dichiara di votare a favore della formula proposta dal Relatore oltre che per le ragioni indicate dagli onorevoli Moro, Dossetti e La Pira, anche per il fatto che ove una simile proposta venisse respinta, la pubblica sicurezza non si sentirebbe mai autorizzata a intervenire per reprimere abusi così gravi.

TOGLIATTI fa osservare che nella discussione si è parlato di autorità di pubblica sicurezza, mentre nel testo proposto si parla soltanto di polizia giudiziaria. La polizia giudiziaria è alle dipendenze del procuratore della Repubblica, e non del questore.

PRESIDENTE precisa che gli agenti della polizia giudiziaria sono sempre dipendenti dal questore, pure essendo distaccati agli uffici giudiziari per i servizi giudiziari.

MORO osserva che si potrebbe prendere in considerazione l’obiezione dell’onorevole Togliatti e chiarire dicendo che il sequestro può essere eseguito da ufficiali della polizia in genere.

DOSSETTI fa presente che l’onorevole Togliatti ha portato un argomento di più circa la fondatezza della pretesa di affermare questa possibilità, dato che vi è con la polizia giudiziaria una possibilità ed una garanzia di maggior controllo di quella che non vi sia con una polizia normale.

MANCINI fa presente che la polizia giudiziaria dipende dal procuratore della Repubblica, per la scoperta e la persecuzione dei reati secondo quanto è stabilito nel Codice; dipende dai suoi organi per il resto.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che dare una definizione della oscenità non è cosa facile.

MORO osserva che il Codice penale ne parla, definendo gli atti osceni.

MANCINI dichiara che voterà favorevolmente al comma proposto perché, avendo votato per la formula riguardante le violazioni alle norme amministrative, di cui al comma a), non può per coerenza che votare la formula del comma b) così come è stata presentata. Voterà favorevolmente, oltre che per le ragioni morali già espresse, anche perché alla parola «osceno» non si può dare che il significato etico giuridico dal codice penale.

IOTTI LEONILDE dichiara che voterà favorevolmente, associandosi alle considerazioni esposte dall’onorevole Moro, in modo particolare per quel che riguarda la protezione della moralità pubblica e della gioventù.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro. Riconosce la necessità della repressione della stampa oscena, ma non riconosce negli agenti di polizia giudiziaria la capacità di giudicare sulla necessità del sequestro preventivo.

Aveva perciò suggerito la formula del provvedimento di urgenza, demandando al procuratore della Repubblica, o al Pretore, di giudicare sulla convenienza o meno del sequestro con provvedimento non motivato.

MANCINI fa osservare all’onorevole Mastrojanni che, quando si parla di polizia giudiziaria, è sempre sottinteso il procuratore della Repubblica, il quale rimane la sola autorità per ordinare il sequestro.

MASTROJANNI precisa che gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno il dovere di sequestrare quello che è corpo di reato, senza preventivo intervento del procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE mette ai voti il comma b) dell’articolo.

(È approvato con 8 voti favorevoli, 5 contrari, 2 astenuti).

Pone in discussione il comma c) dell’articolo proposto dai Relatori, il quale dice: «di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo».

CEVOLOTTO si dichiara contrario al comma c), non soltanto per la ragione che, essendo stato contrario agli altri due deve evidentemente essere contrario anche al terzo; ma anche perché con questo comma si riapre, a suo avviso, proprio quel varco che si era stabilito di non lasciare aperto in materia di sequestro preventivo da parte della polizia giudiziaria. Si è detto che ogni rinvio alla legge speciale è pericoloso; tanto più è pericoloso in questo caso. La legge speciale può creare svariatissimi reati per i quali ammette il sequestro preventivo, venendo così a ferire il principio della libertà di stampa. Si potrebbe perfino arrivare a stabilire che lo scrivere contro una determinata posizione politica assunta da un governo è reato, e ad autorizzare in questo caso il sequestro.

MORO ritiene di non potere aderire a quanto ha dichiarato l’onorevole Cevolotto. Qui non si tratta di reati fissati dalla legge sulla stampa, ma di quelli definiti tali dal Codice penale, tra i quali la legge sulla stampa sceglie quelli per i quali è autorizzato il sequestro preventivo. È del parere che per i reati neo-fascisti, per esempio, data la delicata situazione politica, sia indispensabile dare alla legge un mezzo per addivenire al sequestro.

CEVOLOTTO fa osservare all’onorevole Moro che quando si dice: «Per i reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo» non è possibile riferirsi ai reati del Codice penale, perché in materia di stampa i reati li stabilisce la legge sulla stampa. Sono leggi penali anche tutte le norme delle leggi speciali che ravvisano dei reati. La legge sulla stampa creerà dei reati di stampa all’infuori di quelli stabiliti dal Codice.

Non ritiene che con questa formula si miri a impedire il sequestro per quei reati che sono stabiliti dalla legge sulla stampa; il pericolo da lui prospettato esiste dunque realmente.

MORO ammette che la questione debba essere chiarita. Anche la legge sulla stampa potrà prevedere dei casi di reato; però avrà un’altra funzione; oltre che prevedere questi reati di stampa, dovrà scegliere quei reati tassativamente indicati, per cui sia ammesso il sequestro preventivo.

DOSSETTI si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Moro, in considerazione della necessità di repressione della stampa neofascista.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto.

BASSO e LA PIRA, Relatori, insistono sulla formula proposta.

MANCINI ritiene che l’onorevole Cevolotto potrebbe aver ragione, se i reati di cui si tratta oltre ad essere indicati dal Codice Penale, fossero anche previsti dalla legge speciale sulla stampa. Qui invece è stato specificato che si tratta di quei reati per i quali sia il Codice penale, sia la legge sulla stampa, dovranno stabilire tassativamente il sequestro. Per questi motivi voterà in favore della disposizione.

PRESIDENTE mette ai voti il comma c) dell’articolo così formulato: «di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo».

(È approvato con 9 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti).

Pone in discussione la proposizione seguente, nella quale, riferendosi ai casi in cui si è data facoltà all’autorità di polizia di intervenire con la misura del sequestro preventivo, si dice: «In tali casi deve essere richiesta entro le ventiquattro ore la convalida dell’autorità giudiziaria».

CEVOLOTTO propone che, secondo quanto si è fatto per altri casi precedente mente esaminati, si dica: «richiesta e concessa nelle ventiquattro ore successive». In caso contrario non vi sarebbe alcun limite effettivo: basta richiedere la convalida nelle ventiquattro ore, poi l’autorità giudiziaria può aspettare anche due mesi.

BASSO, Relatore, si dichiara d’accordo in linea di massima con la richiesta dell’onorevole Cevolotto salvo ad allargare il termine a quarantotto ore.

PRESIDENTE mette ai voti il comma così formulato: «In tali casi deve essere richiesta entro le ventiquattro ore la convalida dell’autorità giudiziaria. Questa deve provvedere nel termine delle quarantotto ore successive».

(La proposta è approvata all’unanimità).

Pone in discussione il comma successivo, così formulato nel testo proposto dai Relatori: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica».

LUCIFERO rileva che questa non è materia costituzionale, ma di competenza del potere legislativo.

PRESIDENTE osserva che si tratta di limiti che la Commissione, in sede costituzionale, intende porre al potere legislativo.

DOSSETTI ritiene utile porre in questa sede una norma del genere. Si deve sottolineare nella Costituzione un concetto che è parallelo a quello della libertà: la responsabilità sociale. Propone però che, invece di «dispone» si dica: «può disporre». Propone anche che, invece di «cautele amministrative», si dica «controlli e cautele finanziarie»; altrimenti si potrebbe pensare che il termine «amministrative» debba essere inteso nel senso che esso aveva in una proposizione precedente dello stesso articolo, mentre qui si riferisce all’amministrazione dei giornali.

CEVOLOTTO si dichiara contrario alla formula proposta perché con essa, come ha osservato l’onorevole Lucifero, si entra nel campo riservato alla legge speciale, mentre la Costituzione può dare l’indirizzo, ma non entrare nel campo della legge speciale. Osserva che una formula del genere di quella proposta non è contenuta in nessuna Costituzione.

Circa la modifica «può disporre» proposta dall’onorevole Dossetti, osserva che è inutile il dirlo, perché si sa che la legge può disporre; o si impone alla legge di disporre o altrimenti non si dice niente.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti ha proposto che il comma venga così emendato: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stampa, e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO dichiara di giudicare la formula superflua. È la legge che deve prevedere quei casi.

MANCINI si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Dossetti per le stesse ragioni addotte dall’onorevole Cevolotto.

BASSO, Relatore, fa presente che il concetto contenuto nella proposizione in esame è quello della protezione della pubblica fede contro certa stampa. Si mira a disporre che il legislatore introduca nella legge sulla stampa pene per i reati commessi mediante la stampa, e disponga cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica. Queste norme, sempre inserite nelle Costituzioni, e che debbono servire come un invito e come una traccia per il legislatore, sono di grande importanza, perché si riferiscono principalmente all’obbligo dell’indicazione dei bilanci e delle fonti delle notizie. Si sa quali sconvolgimenti possano produrre le notizie false od inventate. Già fin da ora la Costituzione deve dare queste direttive al legislatore.

Riconosce in ogni modo che la formula da lui proposta potrebbe essere migliorata, e che quella dell’onorevole Dossetti si avvicina di più al concetto che si vuole esprimere.

MORO ritiene che la formula dell’onorevole Dossetti possa essere accettata.

BASSO, Relatore, dichiara di accettare la formula dell’onorevole Dossetti; ma, invece di «può disporre», preferisce che sia mantenuta la parola «dispone».

TOGLIATTI dichiara di consentire quanto allo spirito che informa la proposizione proposta.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Dossetti ha così modificato l’emendamento sostitutivo proposto: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli e cautele finanziarie idonee a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO fa osservare che i controlli devono essere esclusivamente finanziari, e pertanto bisognerebbe specificarlo, altrimenti si corre il pericolo che attraverso la generica parola «controlli» si venga ad ammettere il controllo sulla stampa senza limiti ed anche in materia politica. Propone pertanto che nella formula si specifichi il genere del controllo.

DOSSETTI propone che si dica: «controlli sulle fonti di notizie e cautele finanziarie».

TOGLIATTI fa presente che il tema è dei più delicati ed esigerebbe un esame ed una discussione più approfonditi.

Effettivamente si è arrivati, per quanto riguarda la stampa, ad un punto tale di organizzazione, che l’astratto principio della libertà di stampa non può più essere accettato. Il principio della libertà di stampa mette sullo stesso piano l’onesto organo di informazione e lo strumento che viene creato da colui che ha accumulato ricchezze, e si serve di queste ricchezze per disorganizzare la vita economica e sociale del Paese. Ritiene che non si possa ammettere questa parità di trattamento. Ormai si è usciti dal periodo del liberismo, ed è bene che si introduca nella Costituzione una formula che dia al legislatore la possibilità di disporre cautele finanziarie e controlli sugli organi di stampa. Quanto alla natura e la portata dei controlli, questi potranno essere meglio specificati nella legge sulla stampa. Non esclude che si possa arrivare ad un controllo che dia la responsabilità alla direzione di un giornale, il quale domani potrebbe agire a suo piacere sull’opinione pubblica, senza che si abbiano armi per combatterlo. Ritiene che, se si vuole difendere la democrazia, non si deve capitolare su questo terreno, perché vi sono avversari e nemici senza scrupoli. Pertanto si dichiara favorevole alla formula dell’onorevole Dossetti.

PRESIDENTE comunica che la formula dell’onorevole Dossetti, nella sua definitiva stesura, è la seguente:

«Per le funzioni speciali della stampa periodica, la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e cautele finanziarie idonee a garantire la fede pubblica».

BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di accettare l’emendamento Dossetti.

MANCINI domanda che cosa si intende per «cautele finanziarie».

DOSSETTI chiarisce che l’esigenza che si vuol soddisfare è triplice: anzitutto stabilire un controllo sulla responsabilità delle fonti di notizie; in secondo luogo stabilire un controllo sui fondi e sull’amministrazione; in terzo luogo disporre anche qualche altra cautela.

MANCINI dichiara di consentire sulla necessità di queste tre esigenze, ma osserva che, per quanto riguarda il controllo sui mezzi finanziari, nella formula proposta non è detta alcuna parola.

DOSSETTI propone si dica: «può disporre controlli sulle fonti delle notizie e sulle fonti finanziarie».

PRESIDENTE osserva che con una formula così ampia si corre il pericolo di superare i limiti su cui tutti si sono trovati d’accordo, col rischio di autorizzare implicitamente il potere esecutivo a destinare un funzionario di pubblica sicurezza a far parte dell’amministrazione di un giornale. Propone perciò che si dica: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e controlli sui fondi finanziari, idonei a garantire la fede pubblica.

MORO osserva che è meglio dire: «sui mezzi di finanziamento».

PRESIDENTE fa presente che l’ultima redazione della formula, frutto della collaborazione di tutti i componenti la Commissione, potrebbe essere la seguente: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e sui mezzi di finanziamento idonei a garantire la fede pubblica».

CEVOLOTTO dichiara di non opporsi a questa formula, ma desidera che resti a verbale che con questo non intende aderire ai principî esposti dall’onorevole Togliatti e che in materia di libertà di stampa resta fedele ai principî democratici della assoluta libertà.

LUCIFERO dichiara che voterà contro la formulazione proposta che, a suo avviso, preluderebbe alla ricostituzione del Ministero della cultura popolare, in quanto occorrerà creare un organo di Stato che adempia a queste funzioni di controllo.

TOGLIATTI dichiara che l’assoluta libertà di stampa, nelle condizioni odierne di organizzazione economica, non esiste. Esisterebbe solo se tutte le tipografie divenissero proprietà dello Stato.

PRESIDENTE mette ai voti il comma nella seguente definitiva formulazione: «Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge dispone controlli sulle fonti di notizie e sui mezzi di finanziamento, idonei a garantire la fede pubblica».

(È approvato con 10 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

PRESIDENTE fa presente che dovrebbe ora essere ripresa in esame la proposizione lasciata in sospeso al principio dell’articolo, la quale dice: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure». La formula definitiva della proposizione potrebbe essere la seguente: «È vietato assoggettare l’esercizio del diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa ad autorizzazioni o censure».

 

MORO osserva che la decisione su questa proposta è stata rinviata, non al punto in cui è giunta la discussione, ma quando si fosse definita ulteriormente la disciplina della libertà di esprimere i propri pensieri con la stampa e con altri mezzi di manifestazione. Pertanto, data l’ora tarda e la difficoltà dell’argomento, propone il rinvio della discussione.

BASSO, Relatore, si associa alla proposta dell’onorevole Moro.

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 13.35.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Moro, Togliatti e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Marchesi, Merlin Umberto.

GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

14.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – Corsanego – Mastrojanni – Marchesi – Moro – Basso, Relatore – De Vita – Lombardi Giovanni – Caristia – Cevolotto – Lucifero – La Pira, Relatore.

La seduta comincia allo 11.20.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo concernente la libertà di stampa preparato dai Relatori onorevoli Basso e La Pira:

«Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti. (È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure). Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di reati (non politici) per i quali la legge stabilisca il sequestro;
  3. c) di esecuzione di una sentenza.

«Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto;
  2. b) di pubblicazioni oscene;
  3. c) di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo.

«In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria.

«Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative idonee a garantire la fede pubblica.

«Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della pubblica moralità ed in vista specialmente della protezione della gioventù)».

Pone in discussione la prima proposizione dell’articolo, avvertendo che se qualcuno dei Commissari desidera estendere la discussione a tutto l’articolo è libero di farlo; e che le parti comprese tra parentesi segnalano punti nei quali non è stato raggiunto l’accordo tra i due Relatori.

Mette ai voti la prima proposizione dell’articolo: «Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda proposizione: «È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure».

DOSSETTI domanda a che cosa si riferisce la particella pronominale della parola «assoggettarne».

CORSANEGO rileva che si riferisce evidentemente al diritto.

DOSSETTI ritiene che in tal caso si possa sollevare l’obiezione che l’enunciazione generale del divieto di autorizzazioni o censure contrasti con quello che segue, specialmente per quanto riguarda l’ultimo capoverso dell’articolo. È invece del parere che il disposto di questa seconda proposizione non possa riferirsi che all’esercizio della libertà di stampa. Pertanto propone di modificare la proposizione nel modo seguente: «È vietato assoggettare l’esercizio della libertà di stampa ad autorizzazioni o censure».

MASTROJANNI dichiara di non comprendere l’obiezione fatta dall’onorevole Dossetti, rilevando come la parola «assoggettarne» si riferisca indubbiamente al diritto.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Mastrojanni che mentre nella prima parte dell’articolo, già approvata, si dice che è garantito il diritto di espressione dei propri pensieri ed opinioni non solo a mezzo della stampa ma anche attraverso qualsiasi altro mezzo di espressione, nell’ultimo capoverso dell’articolo si dice che la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa. Questa è la contraddizione rilevata dall’onorevole Dossetti.

MARCHESI osserva che, con la proposta dell’onorevole Dossetti, si viene ad assoggettare ad autorizzazione e censura il diritto di espressione con mezzi differenti dalla stampa.

DOSSETTI dichiara che non intendeva entrare nel merito della questione. Obbiettava solo che nell’articolo, così come è stato proposto dai Relatori, la formulazione è inaccettabile, perché vi è un contrasto tra l’affermazione generale: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure» e quanto si dice nell’ultimo capoverso, nel quale si stabilisce che «solo la legge può limitare le manifestazioni di pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa».

Evidentemente gli estensori dell’articolo pensavano che alla stampa non debba essere posto l’obbligo di autorizzazioni o censure, le quali invece potrebbero essere disposte dalla legge per altri mezzi di espressione quali, ad esempio, la radiofonia o il cinema.

MARCHESI ripete la sua preoccupazione che gli altri mezzi di espressione del pensiero possano essere assoggettati a quelle limitazioni preventive che non si ammettono per le manifestazioni della stampa.

MORO fa osservare che, nel testo dell’articolo in discussione, tali limitazioni vengono giustificate in una proposizione messa tra parentesi. In essa si dice appunto che queste limitazioni hanno per scopo la tutela della pubblica moralità in vista specialmente della protezione della gioventù.

MARCHESI propone che la votazione dell’articolo non sia fatta proposizione per proposizione, poiché ritiene che le proposizioni siano talmente tra loro collegate da poter indurre ad approvare una cosa che può essere in contraddizione formale con quello che si dice in un altro capoverso. In particolare chiede che la frase in discussione: «è vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure» sia posta in votazione dopo che siano state approvate le altre parti dell’articolo.

DOSSETTI fa osservare che le preoccupazioni dell’onorevole Marchesi saranno risolte in sede di discussione e di approvazione dell’ultimo comma dell’articolo, nel quale si stabilisce che per gli altri mezzi di espressione è consentita la limitazione preventiva.

Comunque ritiene che la correzione formale da lui proposta debba essere accolta per una ragione sistematica, e cioè perché tutto quello che segue ha riflesso solamente per la stampa, ad eccezione della norma finale che riguarda gli altri mezzi di espressione.

PRESIDENTE propone che si tengano nettamente distinte le due espressioni del pensiero: quella della stampa prima, quella degli altri mezzi dopo, ad evitare che sorga il pericolo di confusione. Occorre dire in principio che l’esercizio della libertà di stampa è garantito a tutti; poi si parlerà degli altri mezzi di espressione ed anche per quelli si potrà fare un’affermazione di carattere generale.

DOSSETTI dichiara di essere favorevole alla proposta del Presidente, anche perché ben diversa è la situazione che deve essere fatta alla libertà di espressione del proprio pensiero attraverso la stampa, e quella che potrebbe essere fatta alla libertà di espressione con altri mezzi. La stampa è un mezzo di espressione del pensiero individuale e personale, mentre, ad esempio, il cinema è inevitabilmente il risultato di un pensiero collettivo. Già per questa distinzione, dunque, può prospettarsi la possibilità di una diversa disciplina.

Vi è poi un’altra differenza di fatto. La stampa è mezzo immediato di comunicazione, ma rispetto soltanto ad un soggetto passivo, che voglia assoggettarsi a ricevere l’espressione del pensiero altrui. Altri mezzi di comunicazione del pensiero sono invece tali da costringere l’individuo a trovarsi soggetto passivo di comunicazione, indipendentemente da una scelta più specifica, come può esser fatto per il libro o per il giornale. Si pensi alla radiofonia, e, per certe ipotesi, alla cinematografia. Ritiene quindi che si debba fare una enunciazione di carattere generale per quanto riguarda le manifestazioni del pensiero attraverso la stampa, dicendo che il diritto di espressione mediante la stampa è garantito a tutti, ed aggiungere subito dopo il divieto di assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni e censure. Poi si può fare la stessa affermazione per gli altri mezzi di espressione, dicendo: «Il diritto di esprimere il proprio pensiero con altri mezzi è pure garantito a tutti» e facendo seguire quelle garanzie e quelle limitazioni che è necessario porre a tutela della moralità ed a protezione della gioventù, come si dice nell’ultimo comma.

MARCHESI si dichiara d’accordo con l’onorevole Dossetti, facendo presente che non soltanto il cinema è mezzo di espressione del pensiero, ma possono essere considerate come tali tutte le forme dell’arte.

BASSO, Relatore, dichiara di dissentire dall’onorevole Dossetti, perché ritiene opportuna un’affermazione generale, senza fare distinzione fra la stampa e gli altri mezzi di espressione. Se può ammettere che si debbano sottoporre i mezzi di espressione del pensiero diversi dalla stampa ad una diversa disciplina, soprattutto in considerazione della diversa tecnica di espressione, ritiene però necessario mettere in evidenza che si fratta comunque di una eccezione, ma che il principio generale della libertà vale per tutti i mezzi di espressione.

Insiste pertanto perché sia conservata la formula così come è stata espressa nella relazione, facendo presente che la sostanza della formula stessa è tratta dalla relazione dell’onorevole Mortati.

PRESIDENTE dichiara che la Commissione è d’accordo sul principio che, prima dell’ultimo comma, si debba ripetere la stessa affermazione concreta di libertà per le altre manifestazioni del pensiero con mezzi diversi dalla stampa. La distinzione proposta ha il solo scopo di dare una sistemazione più chiara e definitiva all’articolo, e parte dalle considerazioni che l’esercizio della libertà di stampa è soggetto a limitazioni diverse da quelle che potranno essere disposte per gli altri mezzi di espressione del pensiero.

BASSO, Relatore, chiarisce il suo pensiero nel senso che potrebbe accettare la proposta dell’onorevole Dossetti, ma è contrario a disgiungere completamente le due ipotesi.

Lascerebbe, perciò, intatta la prima proposizione. Per quanto riguarda la seconda proposizione, ritiene giusta l’osservazione fatta dall’onorevole Marchesi circa l’opportunità di lasciarla in sospeso, e di riprenderla in esame quando si sarà approvato l’ultimo comma.

DE VITA osserva che l’articolo in discussione ha più il carattere di un articolo di regolamento, che di un articolo costituzionale. In esso è contemplata una casistica che non può far parte di una Costituzione. Ritiene necessario trovare una formula più sintetica.

PRESIDENTE prega l’onorevole De Vita di voler indicare questa formula, e gli ricorda quella: «la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi» dello Statuto Albertino, estremamente concisa ma non tale, a suo avviso, da garantire in modo esauriente il diritto alla libertà di stampa.

DE VITA osserva che le libertà costituzionali non possono essere garantite soltanto dai singoli articoli della Costituzione. Se la Costituzione è rigida, si deve presupporre che deve esserci anche una Corte costituzionale. Non si possono disciplinate minuziosamente i casi eventuali di abuso di diritto.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di porre una questione pregiudiziale, analoga a quella fatta dall’onorevole De Vita. Ritiene che in tema di statuto non si possa presentare un articolo come quello in discussione. È assolutamente ripugnante al criterio legislativo che in uno statuto si faccia tutta una casistica, distinguendo la manifestazione del pensiero fatta attraverso la stampa da quella fatta con altri mezzi, e si dica quando e come essa possa essere limitata, specificando i casi di violazione delle norme amministrative, i casi di reato o di esecuzione di una sentenza. A tutto ciò dovrà provvedere la legge sulla stampa. Il legislatore deve avere dalla Commissione l’indicazione unica e sintetica che la libertà di stampa e di ogni altro mezzo di manifestazione del pensiero è garantita a tutti.

Per conseguenza, unitamente all’onorevole Mancini, propone che l’articolo sia formulato in questo modo: «La libertà di stampa è garantita a tutti. Le limitazioni saranno indicate dalla legge, anche se le manifestazioni del pensiero siano fatte con mezzi differenti dalla stampa».

CARISTIA fa osservare che i Relatori, con le loro specificazioni, alle volte minuziose, hanno voluto segnare una via ai criteri che dovrà seguire la legge sulla stampa, che certamente sarà più particolareggiata, ma alla quale si deve assegnare un limite ed un obiettivo preciso.

È del parere che l’articolo, così come è stato formulato dai Relatori, abbia la sua ragione d’essere.

CEVOLOTTO osserva che quanto ha detto l’onorevole Lombardi è giusto in linea generale. Ma nel caso particolare della libertà di stampa si deve tener conto, nella presente situazione, delle violazioni alla libertà di stampa perpetrate durante il fascismo. Quindi la necessità di accentuare determinati divieti di limitazioni, perché deve essere ben chiaro che ai sistemi restrittivi della libertà di stampa non si può tornare. Se ci si limitasse al rinvio alla legge, ci sarebbe il pericolo che le leggi speciali, sotto varie forme, imponessero qualcuna di quelle limitazioni che si vogliono per sempre abolire.

L’articolo così come è formulato dai Relatori si propone di evitare due pericoli: che vi siano censure o autorizzazioni preventive, che indubbiamente annullerebbero praticamente la libertà di stampa e, in secondo luogo, che non vi sia la possibilità da parte del potere esecutivo di sequestrare, sotto il pretesto di un reato, di una violazione di qualche norma particolare, il giornale quando è uscito.

Infatti, in mancanza della censura, questo potrebbe essere il mezzo per violare la libertà di stampa. Ed è bene pertanto che questo principio sia contenuto nella Costituzione: siano indicati cioè i criteri generali che limitano il sequestro.

A tale proposito fa osservare che il secondo comma dell’articolo comincia nei seguenti termini: «Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi, ecc.». Ritiene che questa parte dell’articolo sia sovrabbondante e dichiara di essere ad essa contrario nel merito. Sostiene che in nessun caso, neanche di assoluta urgenza, deve esser lasciato agli ufficiali di polizia giudiziaria il compito di eseguire il sequestro. Per queste ragioni domanda la soppressione della seconda parte dell’articolo.

PRESIDENTE prega l’onorevole Cevolotto di riservare le sue osservazioni al momento in cui sarà preso in esame il punto che riguarda la stampa periodica.

MASTROJANNI esprime il parere che l’articolo così come è stato predisposto, se per il contenuto è apprezzabilissimo, per la sua forma eccessivamente analitica non si addice allo stile di una Carta costituzionale.

Propone che l’articolo venga formulato nella seguente maniera:

«Il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti. È vietato assoggettarne l’esercizio ad autorizzazioni o censure. Il sequestro o il divieto può essere disposto soltanto dalla autorità giudiziaria nei casi espressamente specificati dalla legge penale».

Ritiene che con questa formula si possano eliminare gli abusi, in quanto che, riferendosi alle leggi penali, si evita che venga introdotto nella legge di pubblica sicurezza il diritto di sequestro per motivi diversi da quelli precisati dalla legge penale. Il sequestro nei casi previsti dalla legge penale è sempre consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria quando si ravvisi nell’oggetto un corpo di reato o qualche cosa che è necessario sia sottoposto all’esame dell’autorità giudiziaria. Qualunque sia la formula che si potrà adottare, non si potrà mai eliminare l’inconveniente del sequestro, perché gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno l’obbligo di sequestrare tutto quello che a loro avviso costituisce corpo di reato.

Riferendosi solamente alle leggi penali, e precisando che il sequestro può avvenire soltanto nei casi previsti dalle leggi penali, tutti gli abusi potranno essere eliminati.

LUCIFERO dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Mastrojanni.

La questione della legge penale lo ha sempre preoccupato, in quanto egli ha sempre dubitato che si possa parlare di reato politico. Per l’oratore esiste solo il reato; ma purtroppo nella legislazione si configurano anche i reati politici. Con la formula dell’onorevole Mastrojanni ci si richiama alla legge penale, cioè si comprende anche quello che in una determinata legge penale, che è legge ordinaria e quindi mutevole, è configurato come reato. Si ricade quindi proprio in quella situazione che si vorrebbe evitare. D’altra parte se si accetta il concetto che si possano fare dei sequestri preventivi (dato che per l’oratore preventivi sono tutti quei sequestri che non avvengono in base ad una sentenza) per violazione di norme amministrative, per reati non politici, si ricade nella distinzione fatta prima. Verrà data così al potere esecutivo una forza enorme, e nulla impedirà al potere esecutivo di fare delle norme tali che si possano prestare all’arbitrio.

Ritiene che il sequestro o il divieto possa essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria per l’esecuzione di una sentenza. Vuol dire che si potrà trovare una procedura più rapida per certi casi; ma non esiste un altro modo per ovviare all’inconveniente che altrimenti si verificherebbe, e sì è già verificato.

PRESIDENTE rileva che dalla discussione sono affiorati due criteri di carattere generale: quello dei Relatori, che si debba dare al legislatore una certa linea oltre la quale non può andare, e quello espresso dall’onorevole Mastrojanni e da altri di rinviare alla legge qualunque limitazione della libertà di stampa. Propone che, senza sottoporre a votazione la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni, sia votato soltanto il criterio che la ispira.

MORO dichiara di ritenere che una votazione in questa forma sia pericolosa. È convinto che molti degli oratori che hanno preso posizione in favore di una formula generica, qualora fossero chiamati a considerare le singole proposizioni proposte dai Relatori si accorgerebbero dell’assoluta impossibilità di evitare una regolamentazione precisa e della necessità di dare soddisfazione a delle esigenze che possono consigliare a un certo momento il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. Pertanto propone di esaminare singolarmente i punti, e attraverso questo esame giungere ad una formulazione diversa.

PRESIDENTE domanda agli onorevoli Mastrojanni, Mancini e Lombardi se, accogliendo la proposta dell’onorevole Moro, consentono che la discussione prosegua sui singoli punti.

MASTROJANNI, MANCINI e LOMBARDI GIOVANNI dichiarano di accettare la proposta dell’onorevole Moro.

PRESIDENTE pone in discussione la proposizione seguente a quella già discussa: «Il sequestro può essere disposto soltanto dall’autorità giudiziaria». Poiché si tratta di una proposizione di carattere generale, la mette ai voti.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non può approvare questo principio, perché è la legge speciale che deve decidere su tutto.

(La formula è approvata all’unanimità meno uno).

PRESIDENTE pone in discussione la proposizione che segue: «nei casi: a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO osserva che le norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto possono diventare onnicomprensive e giustificare qualsiasi arbitrio. Non ritiene che in caso di violazione di norme amministrative, ma senza una sentenza del magistrato, si possa procedere al sequestro.

BASSO, Relatore, chiarisce che in questo caso si fa riferimento all’ipotesi che esca un giornale senza che vi sia l’indicazione del gerente responsabile. Se non si ammette che si possa procedere al sequestro quando non sia indicato questo gerente responsabile, si annulla tutta l’importanza che deve avere l’esistenza del gerente responsabile. La norma in esame è stata introdotta in riferimento a questo caso specifico, e una discussione in proposito avvenne in sede di Commissione costituzionale, alla quale partecipavano membri che riflettevano tutte le opinioni politiche. L’ipotesi prevista nella norma in esame era stata accettata da tutti.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Lucifero in linea di principio, ma per quanto riguarda le sue conclusioni fa delle eccezioni. Si è detto che il sequestro può essere disposto dall’autorità giudiziaria. L’onorevole Lucifero probabilmente proporrà di aggiungere che questo sequestro deve avvenire solo in esecuzione di una sentenza. L’oratore invece ritiene che non sia il caso di aggiungere: «in esecuzione di una sentenza» o «per violazione delle norme amministrative», ma che occorra restare fermi ai principî che il sequestro potrà essere disposto dall’autorità giudiziaria e non dire altro.

Ritiene che questa sia una garanzia sufficiente.

LUCIFERO rileva che l’articolo deve ritenersi diviso in due parti: una prima riguardante la stampa in generale, una seconda riguardante la stampa periodica. Quindi la limitazione di cui ha fatto l’esempio l’onorevole Basso non si riferisce alla stampa in generale, ma alla stampa periodica. Infatti, per quanto riguarda i libri, non si può parlare di gerente responsabile, ma caso mai dell’obbligo del nome del tipografo che è responsabile della pubblicazione. La questione del gerente è contemplata invece nella seconda parte dell’articolo che si riferisce alla stampa periodica.

Non ha nessuna difficoltà ad ammettere che si possa stabilire dalla autorità giudiziaria il sequestro di una pubblicazione anonima, in cui cioè non è scritto nemmeno il nome del tipografo. Ma, se le cose stanno così, la formulazione proposta, «norme amministrative», è troppo vasta ed egli è del parere che debba essere sostituita da un’altra in cui si precisi il caso in cui non sia indicato il nome dello stampatore. Ritiene insomma che sarebbe opportuno non parlare mai di norme amministrative genericamente, senza dare specificazione del loro contenuto.

MANCINI dichiara di voler profilare una questione giuridica: o il sequestro si ammette o non si ammette. Se non si ammette si può essere d’accordo con ciò che ha detto l’onorevole Lucifero; se si ammette non si può pretendere una sentenza di magistrato per eseguirlo, perché altrimenti si cade in un assurdo giuridico. Il magistrato, se riscontrerà in una qualsiasi pubblicazione il reato, ha il dovere di far sequestrare il corpo del reato rappresentato dalla pubblicazione; ma questo sequestro non può essere disposto dalla sentenza, deve essere anteriore per la semplice ragione che il ritardo lo renderebbe di nessun effetto.

BASSO, Relatore, ritiene che non si possa escludere il sequestro, altrimenti si renderebbe omaggio ad un principio astratto e ingiusto. La libertà comporta sempre una responsabilità. Chi vuole avere la libertà deve assumersi la responsabilità degli atti che può compiere; quindi le pubblicazioni che non rispettano questa disposizione (quando cioè si omette il nome del gerente, oppure quando esce un libro senza indicazione dello stampatore) portano alla negazione della responsabilità e allora non si può riconoscere per esse la libertà, dato che si è ammesso il principio che la libertà è connessa con la responsabilità.

Fa presente all’onorevole Lucifero che la distinzione cui egli ha accennato non riguarda la stampa periodica e non periodica, ma riguarda il caso del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria. Per la stampa periodica ci può essere, come subordinata, il motivo di urgenza; ma se ci si rimette all’autorità giudiziaria, nel caso di un giornale che esce giornalmente, non si arriverebbe in tempo ad effettuarne il sequestro.

Ecco perché è stato introdotto l’obbligo della denuncia all’autorità giudiziaria entro le 24 ore. Questo obbligo delle 24 ore è una formula nuova contenuta anche in altre Costituzioni.

DOSSETTI si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso.

PRESIDENTE fa presente che, fermo il principio che il sequestro non può essere disposto che dall’autorità giudiziaria, resta ora da discutere l’esemplificazione dei casi di sequestro. Pone perciò in discussione il comma: «a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LA PIRA, Relatore, si associa a quanto ha dichiarato in proposito l’onorevole Basso.

LUCIFERO presenta un emendamento sostitutivo così formulato: «a) di mancanza dell’indicazione dello stampatore e, nel caso di stampa periodica, del gerente responsabile».

LA PIRA e BASSO, Relatori, dichiarano di accettare la proposta dell’onorevole Lucifero.

PRESIDENTE propone di migliorare la dizione dicendo: «a) di mancata indicazione dello stampatore e, nel caso della stampa periodica, del gerente responsabile».

MARCHESI ritiene migliore la formula: «di mancanza del nome del gerente responsabile per la stampa periodica e, nel caso di altra stampa, di quello dello stampatore».

PRESIEDENTE osserva che si potrebbe, per il caso che riguarda il sequestro da parte dell’autorità giudiziaria relativo alla stampa periodica, limitatamente al caso della mancanza dell’indicazione dello stampatore, fare un apposito richiamo in sede propria quando si parlerà della stampa periodica stessa.

CEVOLOTTO fa osservare che si tratta di una ipotesi distinta.

LUCIFERO precisa che la norma riferentesi al sequestro da parte della autorità giudiziaria riguarda la stampa periodica e non periodica. Per la stampa non periodica si stabilisce sempre la necessità che vi sia il nome dello stampatore; mentre per quella periodica è stabilito che vi sia sempre il nome del gerente responsabile. Nella seconda parte dell’articolo, si tratta di provvedimenti di urgenza presi dalla polizia giudiziaria. È un altro argomento che dovrà essere discusso in un secondo tempo, poiché si tratta di casi specifici diversi. Qui si tratta di porre un principio generale. Questa è la sede della limitazione, salvo poi a discutere gli altri casi.

Mantiene quindi la dizione proposta.

MORO esprime il dubbio che la formula proposta dall’onorevole Lucifero per il sequestro di polizia sia troppo limitativa per l’autorità giudiziaria. Pensa che ci si potrebbe trovare di fronte ad altri casi di violazione delle norme amministrative che non siano quello dell’omissione del nome dello stampatore o del gerente. Accetta il principio di porre dei limiti al sequestro preventivo, ma, per quanto riguarda l’autorità giudiziaria, teine che il limite possa essere troppo ristretto di fronte a possibili violazioni di altre norme.

LUCIFERO fa notare all’onorevole Moro che vi è per questo un successivo comma c) e che il sequestro che in questi casi dispone l’autorità giudiziaria, in base ad una cognizione sommaria della mancanza alla disposizione di legge, non influisce su quelle altre violazioni per le quali potrà emanarsi una sentenza.

DOSSETTI ritiene che forse converrebbe omettere questo complicato disposto dei comma a), e passare direttamente alle ipotesi dei comma b) e c), cioè ai reati e all’esecuzione di una sentenza. Le previsioni che si vogliono configurare nel comma a) interessano di più il sequestro preventivo.

MANCINI ritiene che l’espressione «norme amministrative» sia l’espressione più precisa e più comprensiva, la quale non può suscitare nessuna preoccupazione, specialmente quelle di cui si rende interprete l’onorevole Lucifero. Nella formula «norme amministrative» non può che essere inclusa la mancanza del nome dello stampatore e del gerente responsabile. Sono queste le violazioni di norme amministrative. È da tener presente però che nelle norme attualmente in vigore non si parla più di «gerente responsabile» ma di «redattore responsabile».

Ci potrebbero anche essere altre norme amministrative, che in questo momento non ci vengono alla mente, ma che non si devono escludere, perché potrebbero rappresentare violazioni notevoli.

Propone perciò che l’espressione usata dai Relatori nella stesura del comma ai debba rimanere così come è, perché comprensiva diogni ipotesi.

PRESIDENTE domanda ai Relatori se mantengono la formula da loro proposta.

BASSO, Relatore, dichiara di rimettersi alla decisione della Commissione.

LA PIRA, Relatore, dichiara di mantenere la sua proposta per le ragioni esposte dall’onorevole Mancini. Richiama l’attenzione della Commissione su un punto della relazione Mortati, in cui si dice che è stata esaminata la opportunità di includere nella Costituzione l’obbligo per la stampa periodica della pubblicazione dei bilanci.

Come si vede, sono già previste altre norme di carattere amministrativo.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero di sostituire il comma a) con il seguente:

«a) di mancata indicazione dello stampatore e, nel caso di stampa periodica, del redattore responsabile».

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di astenersi per le ragioni già dette.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli, 11 contrari e 1 astenuto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori:

«a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto».

LUCIFERO dichiara che voterà contro la formula proposta dai Relatori perché ritiene che essa possa dare adito a molteplici arbitri.

CEVOLOTTO si associa alle dichiarazioni dell’onorevole Lucifero.

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione la seconda ipotesi nella quale l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro. Essa è così formulata dai Relatori: «b) di reati (non politici) per i quali la legge stabilisca il sequestro».

BASSO, Relatore, spiega di avere chiesto che le parole «non politici» fossero messe tra parentesi perché in sede teorica sarebbe senz’altro d’accordo, ma ha delle preoccupazioni di carattere contingente. Si attraversa un periodo nel quale veramente è molto importante poter disporre il sequestro di pubblicazioni in caso di determinati reati politici. Vi è tutto un parlare di stampa fascista, nei confronti della quale è stato chiesto al Governo di stabilire norme a disciplina e tutela che non siano quelle del confino che non si può ammettere. Queste sono le ragioni per cui, nel momento attuale, non ritiene di escludere dal sequestro il caso dei reati politici.

LOMBARDI GIOVANNI domanda quale è la legge che deve stabilire il sequestro.

MORO risponde che è la legge sulla stampa.

LOMBARDI GIOVANNI osserva allora che tanto vale rinviare tutto alla legge sulla stampa.

PRESIDENTE comunica che l’onorevole Mancini propone di aggiungere alla parola: «la legge» le altre «sulla stampa».

BASSO, Relatore, dichiara di accettare l’aggiunta.

LUCIFERO osserva che dire «legge sulla stampa» o dire «legge» è la stessa cosa. Riallacciandosi a quanto ha detto prima, e che prima di lui ha detto l’onorevole Cevolotto, propone che il comma b) sia soppresso. Ammesso che si voglia accettare una distinzione, che egli non accetta, tra reato politico e reato non politico, fa osservare che il reato viene stabilito soltanto da una sentenza. Dichiara di non poter accettare questa condanna preventiva. Ritiene opportuno pertanto sopprimere tutto il comma.

CEVOLOTTO dichiara di temere che si cominci ad ammettere, attraverso il rinvio alla legge speciale, la possibilità di eccezioni ad un principio che è stato affermato. Queste eccezioni, nel pensiero della Commissione, riguardano alcuni casi specifici nei quali tutti riconoscono che una limitazione alla libertà di stampa sia necessaria, specialmente in certi casi macroscopici. Ma se si lascia aperta questa via, si apre anche la via a tutti gli arbitrî. La libertà di stampa è un principio che o si ammette senza eccezioni anche avvertendo i pericoli che ci sono e per i quali bisognerà trovare altri mezzi che non siano la limitazione alla libertà di stampa o non si garantisce efficacemente.

MASTROJANNI ricorda la formulazione in precedenza proposta e fa presente che basterebbe dire: «legge penale».

CEVOLOTTO osserva che legge penale è anche l’articolo della legge sulla stampa che definisce un determinato reato. Con tale dizione si lascerebbe al legislatore che farà la legge sulla stampa che potrà avere principî diversi da quelli che ispirano la Commissione la possibilità di creare tali reati di stampa attraverso i quali egli annulli la libertà di stampa col metodo del sequestro.

Dichiara di condividere le preoccupazioni espresse dall’onorevole Basso e da altri oratori, ma ritiene che in materia di libertà di stampa non vi sia possibilità di limitazione, che è sempre pericolosa.

È d’avviso che l’intero comma b) debba essere soppresso senza sostituirlo con altro.

BASSO, Relatore, dichiara di non capire come si possa escludere il sequestro in caso di reati: si andrebbe infatti contro i principî generali. Osserva che se si ammette che una pubblicazione possa costituire un reato, non si deve, lasciandola in circolazione, favorire la continuazione del reato. Si arriverebbe all’assurdo di mandare in prigione l’autore e di lasciare il libro in circolazione.

PRESIDENTE osserva che i reati sono previsti dalla legge penale e dalla legge sulla stampa, la quale indica i reati soggetti a particolari sanzioni.

MANCINI rileva una contraddizione con quanto si è finora affermato. Si è cercato di evitare ogni possibilità di intervento della pubblica sicurezza perché sembrava che la presenza di essa fossa foriera di arbitrio, e si era demandata perciò la potestà all’autorità giudiziaria immune da ogni sospetto di arbitrio. Ora invece si prospetta la possibilità che arbitrî possano essere commessi anche dall’autorità giudiziaria. La qual cosa è per lo meno difficile. Fa presente che oggi la democrazia ha bisogno di difendersi e di non darsi, mani e piedi legati, agli attentatori. Ritiene, quindi, che l’apprensione di cui ha parlato l’onorevole Basso sia doverosa per coloro che appartengano a partiti democratici.

PRESIDENTE fa presente che si tratta soltanto di stabilire se, una volta constatato un reato, sì debba addivenire al sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.

MARCHESI osserva che c’è la sentenza, la quale deve constatare il reato.

MANCINI replica che la magistratura, riscontrando il profilo di un reato, non può che sequestrare preventivamente la pubblicazione, perché essa rappresenta il corpo del reato.

BASSO, Relatore, domanda perché, se si è concesso all’autorità giudiziaria, e in certi casi perfino all’autorità di pubblica sicurezza, di privare della libertà personale un uomo, si trovino ora delle difficoltà nel privare della libertà un libro.

MARCHESI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Lucifero perché ritiene che il reato debba essere accertato da una sentenza.

LA PIRA, Relatore, fa rilevare che l’onorevole Marchesi afferma la necessità, perché vi sia un reato, che una sentenza lo accerti. Ma quando il giudice inquirente si trova in presenza di un reato, senza che una sentenza lo abbia ancora definito tale, deve agire ed emettere degli atti fra i quali c’è anche il sequestro.

PRESIDENTE osserva che il potere di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria è sempre basato su una presunzione di reato, altrimenti non si farebbe mai luogo a sequestro.

LUCIFERO dichiara di insistere sulle sue argomentazioni, perché la questione della stampa è assai delicata, principalmente nei confronti degli scrittori d’avanguardia, non solo nel campo culturale, scrittori d’avanguardia che sono considerati ribelli rivoluzionari che invitano al disordine. Occorre evitare che la legislazione provveda a turare la bocca a chi dice le proprie idee, prima ancora che la magistratura, con una sentenza, abbia dichiarato che si tratta di reato. Né ritiene che di fronte a questi casi si possa invocare una specie di flagranza di reato.

Non può, pertanto, accettare il principio espresso dai Relatori, facendo presenti i pericoli di una legge del genere posta in mano ad individui faziosi.

PRESIDENTE fa osservare che si tratta in ogni caso di magistrati.

CEVOLOTTO osserva che il sequestro preventivo ha lo scopo o di assicurare la materialità, il corpo del reato, o di assicurare una situazione che potrebbe, svolgendosi o continuando a svolgersi, modificarsi in senso da rendere più difficile la restitutio in integrum, o renderla impossibile mentre è ancora possibile intervenire a difesa.

CORSANEGO fa presente che il sequestro ha anche lo scopo di impedire che il reato continui.

CEVOLOTTO replica che non si ha ancora, in questa fase, certezza del reato. Invece, se si sequestra un libro, si dà già esecuzione a quella che potrà essere una sentenza ed a quella che sarà una pena, sia pure accessoria, ma principale e più essenziale conseguenza dell’accertamento del reato. L’accertamento del reato porterà, evidentemente, come sanzione principale, a parte le sanzioni personali, verso l’autore la soppressione del libro. Invece, seguendo la proposta dei Relatori, si prevede il sequestro, come se il reato fosse già accertato.

PRESIDENTE osserva che vi è un’analogia con la detenzione preventiva.

CEVOLOTTO fa presente che la detenzione preventiva è disposta in quanto l’uomo può fuggire.

MANCINI ricorda all’onorevole Cevolotto che vi è una disposizione del Codice penale di rito, la quale impone il sequestro preventivo ordinato dall’autorità giudiziaria per evitare la dispersione delle tracce del reato.

Si pubblica un libro e il magistrato vi riscontra nelle pagine un reato; ma se non lo sequestra, vi sarà la possibilità che le tracce di esso si disperdano o spariscano studiatamente.

CEVOLOTTO osserva che è sufficiente che la magistratura venga in possesso di una copia del libro.

PRESIDENTE prospetta il caso che non sia possibile avere questa copia e che il libro si diffonda clandestinamente.

Riassume quindi la discussione e mette ai voti la proposta di soppressione pura e semplice del comma b).

(La proposta è respinta con 3 voti favorevoli e 9 contrari).

Mette ai voli il comma b) nella seguente formulazione: «b) di reati per i quali la legge stabilisce il sequestro»; avvertendo che sarà poi votata l’aggiunta «non politici».

LUCIFERO dichiara che voterà contro l’una e contro l’altra formula, perché ritiene che il comma b) possa introdurre nella nostra legislazione la possibilità dell’arbitrio.

Richiama l’attenzione della Commissione sull’opportunità che non si parli di reati politici.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la formula messa in votazione perché ritiene che, in una futura Camera che fosse orientata in senso differente dalla democrazia, si potrebbe, attraverso il sequestro ordinato dalla legge sulla stampa, stabilire qualunque arbitrio in materia di libertà della stampa.

MARCHESI dichiara che voterà contro per le stesse ragioni addotte dall’onorevole Cevolotto.

MORO dichiara di votare a favore della formula, perché ritiene che non sì possa togliere all’autorità giudiziaria il potere istituzionale che tende ad impedire la cristallizzazione e, per così dire, la continuazione del reato di cui si tratta.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 3 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti l’aggiunta «non politici» dopo le parole «i reati».

LA PIRA, Relatore, dichiara che, quando compilò l’articolo insieme con l’onorevole Basso, fu incerto se introdurre o meno la espressione «non politici». L’onorevole Basso osservò che, data la situazione attuale, la quale rende necessario il colpire quei giornali che mettono in pericolo la democrazia, era bene non introdurre nella formula l’espressione «non politici». Osserva che se però si rovescia il punto di vista, specificando il reato «non politico», viene garantita una maggiore libertà di stampa.

DOSSETTI ritiene opportuno riflettere meglio prima di prendere una decisione.

BASSO, Relatore, insiste per l’abolizione dell’inciso «non politici».

MANCINI fa presente che i partiti di sinistra vogliono una legge sulla stampa, poiché intendono reprimere il pullulare di giornali fascisti che sferrano i loro velenosi attacchi contro la democrazia e gli uomini migliori di essa. Coerentemente a questo principio informatore di legittima difesa della vera democrazia, dichiara che voterà per la soppressione dell’espressione «non politici».

DOSSETTI dichiara che sarebbe favorevole all’abolizione dell’inciso, ma domanda agli onorevoli. Basso e Mancini come potrebbero superare l’obbiezione sollevata dall’onorevole La Pira per il caso che la situazione si invertisse.

BASSO, Relatore, dichiara che preoccupazione fondamentale deve essere la difesa della democrazia e della Repubblica. Si è verificato il caso di un giornale che fa l’apologia del fascismo, ed è stato chiesto al Governo quali provvedimenti era in grado di prendere contro di esso. È stato risposto che non esiste alcun provvedimento all’infuori di quello di mandare al confino il direttore. Ora tale provvedimento sembra ingiusto all’oratore, mentre sarebbe giusto che l’autorità giudiziaria avesse la possibilità di proibire al direttore di fare uscire il giornale. Pertanto si deve avere subito la possibilità di non far uscire un giornale. Superato il momento eccezionale, questa norma potrebbe essere certamente pericolosa. A ciò si potrà ovviare in sede di legge sulla stampa, stabilendo che il provvedimento si può applicare solo in casi determinati. Non ritiene di poter accedere oggi ad una norma costituzionale la quale stabilisca che il sequestro può essere ammesso solo per i reati non politici.

DOSSETTI dichiara di propendere nettamente per la tesi dell’onorevole Basso, perché ritiene che la situazione sia grave. Però nutre il timore che si lasci aperta la porta ad una legge ispirata a criteri diversi da quelli che si vorrebbe fossero applicati in sede legislativa. Ciò porterebbe a conclusioni veramente pericolose.

Domanda all’onorevole Basso se le esigenze repressive della stampa neo-fascista non gli sembrerebbero garantite quando, indipendentemente dal sequestro preventivo, ci fosse una legge sulla stampa veramente efficace ai fini della repressione stessa legge la quale configurasse come reato le attività di propaganda neo-fascista e consentisse quindi, in senso repressivo e non preventivo, di colpire la stampa medesima.

MANCINI fa osservare che la limitazione di cui si parla non dà la possibilità alla legge di fare quello che vuole, ma consente invece la possibilità allo Stato repubblicano democratico di difendere le sue libertà così aspramente conquistata. Una democrazia che consente la libertà di soffocare le vere libertà democratiche non può essere concepita. Fu proprio la imbelle democrazia Giolittiana che consentì, senza difenderci, la scalata infausta dei fascismo. L’esperienza dove pur giovare a qualche cosa.

DOSSETTI dichiara che voterà a favore del mantenimento dell’inciso «non politici», intendendo che all’esigenza da tutti sentita e da lui condivisa di un’energica e pronta repressione della stampa fascista si debba soddisfare in sede di legge sulla stampa, la quale potrà configurare il reato di apologia del fascismo.

MARCHESI dichiara che non voterà la formula, ma che, se dovesse votarla, non accetterebbe l’inciso «non politici», perché sotto il titolo della parola «politici» è possibile in ogni tempo ogni lesione dei diritti.

PRESIDENTE mette ai voti l’inserimento nel comma b) già approvato dell’inciso: «non politici».

(Non è approvato – Voti favorevoli 2, voti contrari 8, astenuto 1).

Mette ai voti il comma c): «di esecuzione di una sentenza».

(È approvato all’unanimità).

Pone in discussione l’altra proposizione:

Per la stampa periodica, quando vi sia assoluta urgenza, il sequestro può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria senza autorizzazione preventiva nei casi:

  1. a) di violazione delle norme amministrative che regolano l’esercizio del diritto:
  2. b) di pubblicazioni oscene;
  3. c) di quei reati per i quali tassativamente la legge sulla stampa autorizzi il sequestro preventivo.

In tali casi deve essere richiesta, entro le 24 ore, la convalida dell’autorità giudiziaria.

Per le funzioni speciali della stampa periodica la legge commina severe pene per i reati commessi mediante la stessa e dispone cautele amministrative, idonee a garantire la fede pubblica.

«Solo la legge può limitare le manifestazioni del pensiero compiute con mezzi differenti dalla stampa (a tutela della pubblica moralità e in vista specialmente della protezione della gioventù».

CEVOLOTTO ricorda di aver già proposto di sopprimere senz’altro tutto questo capoverso. Infatti, dato che il sequestro preventivo può essere disposto dall’autorità giudiziaria, niente vieta che nelle leggi particolari si stabilisca la procedura più rapida e immediata possibile. Ritiene perciò necessario lasciare almeno la garanzia che in tutti i casi sia l’autorità giudiziaria ad ordinare il sequestro, e non si dia adito alla possibilità di arbitrio da parte dell’autorità di polizia attraverso una presunta urgenza che in molti casi potrebbe anche non esservi. Se si offre la possibilità dell’intervento ad ogni ufficiale di polizia giudiziaria, attraverso l’urgenza o il caso impellente, si mette nelle mani dell’autorità di polizia il sequestro preventivo della stampa periodica. Si tratta di un provvedimento di estrema gravità, sulle cui conseguenze egli invita la Commissione a riflettere.

LUCIFERO si associa all’onorevole Cevolotto nelle sue considerazioni e nel proporre la soppressione completa di questa parte dell’articolo. Osserva che già nella prima parte sono stati allargati notevolmente i poteri della autorità giudiziaria, e non vede come si possano allargare anche i poteri della autorità di polizia giudiziaria.

DOSSETTI, data la complessità dei problemi in discussione e i notevoli dissensi manifestatisi, propone il rinvio della seduta a domani.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Dossetti di rinviare a domani la seduta.

(La proposta è approvata).

Comunica alla Commissione che l’onorevole Grassi ha fatto sapere di non poter intervenire alla seduta, per grave lutto di famiglia. È sicuro di interpretare il sentimento unanime della Commissione nell’esprimere all’onorevole Grassi i sensi delle più vive condoglianze.

(Segni di assenso).

La seduta termina alle 13.20.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Iotti Leonilde, Merlin Umberto e Togliatti.

MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

13.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Basso, Relatore – Marchesi – La Pira, Relatore – Lucifero – Moro – Lombardi Giovanni – mastrojanni – cevolotto – grassi – Mancini – Corsanego – De Vita – Caristia.

La seduta comincia alle 10.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE riassume la discussione svoltasi durante la seduta precedente sull’articolo 2-ter concernente la questione dei titoli nobiliari. Ricorda che, in relazione alla proposta di una proposizione concernente l’abolizione pura e semplice dei titoli stessi – proposta che è stata respinta – vi sono proposizioni successive circa il divieto di poterne stabilire altri da parte della Repubblica, ed il destino da dare ai titoli nobiliari esistenti. Essendosi già svolta in proposito una lunga ed esauriente discussione, l’esame odierno da parte della Sottocommissione dovrebbe essere limitato a quei punti che possono chiamarsi alternativi o avversativi: o si ritorna sul proposito che non si debba parlare in nessun modo nella Costituzione di questa questione dei titoli nobiliari, o si ritiene comunque di poter definire la questione in sede di Costituzione dello Stato repubblicano.

Nel primo caso, ricorda che una votazione si è già avuta sulla proposta dell’onorevole Mastrojanni, che è stata respinta, ma che oggi potrebbe essere riproposta in altri termini. Nel secondo caso, occorrerà trovare una formula sulla cui sostanza tutti possano essere d’accordo. Per questo propone: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Su tale sua proposta apre la discussione.

BASSO, Relatore, intende rettificare qualche affermazione fatta da alcuni Commissari nella seduta precedente e che egli si è preoccupato di controllare.

È stato affermato che è intervenuta già una legge che ha abolito i titoli nobiliari fascisti. In realtà questa legge non è mai venuta.

Quanto alla dizione della Costituzione di Weimar, rileva che il testo della Costituzione stessa riporta esattamente l’espressione da lui usata nella sua proposta, e cioè: «I predicati («Beiname» nel testo originale tedesco) sono conservati, ma il titolo viene abolito».

Circa la proposta del Presidente dichiara che, così come è formulata, non può accettarla, perché dire che la concessione dei titoli nobiliari è vietata senza aggiungere altro, potrebbe essere interpretato come un riconoscimento dei titoli esistenti, cioè sarebbe una conferma costituzionale dei titoli esistenti.

MARCHESI ritiene che l’argomento di cui si discute sia tale che non possa essere taciuto in una Carta costituzionale.

Se d’altra parte questa Repubblica italiana, secondo uno spirito largamente democratico e cristiano, deve essere una Repubblica di lavoratori e se le qualità di spirito, di intelletto e di lavoro debbono essere considerate come la distinzione non massima, ma unica tra gli individui, non si rende ragione come un uomo quale l’onorevole La Pira, profondamente cristiano, abbia potuto pensare di mantenere, di imporre anzi, un vecchio e disusato manto a persone le quali magari, più tardi, faranno istanza per esserne liberate.

Dichiara di non poter in nessuna maniera accedere alla formula proposta dall’onorevole La Pira, la quale riuscirebbe irriverente verso le tradizioni nobiliari italiane, in quanto tende a mantenere, anzi a moltiplicare, un titolo e nello stesso tempo a svalutarlo.

Per quanto riguarda poi l’altra preoccupazione di cui si è fatto cenno, che non è opportuno cioè per la nuova Repubblica irritare la casta nobiliare, dichiara che molti altri motivi di irritazione si dovranno procurare ad altri ceti: si pensi a quanto potranno ritenersi colpiti il ceto industriale e i grandi proprietari di terre da talune deliberazioni che dovrà prendere l’Assemblea Costituente. Questo motivo di irritazione non può essere certamente un impedimento per il lavoro costituzionale.

Quanto poi alla casta nobiliare (salvando la stima che l’oratore professa per il collega onorevole Lucifero essa di solito non è stata molto amante, almeno nella sua maggioranza, delle libertà politiche; e l’oratore ricorda a tale proposito un episodio isolato, ma ad ogni modo tipico, che del resto fa onore alla franchezza dell’atto; ricorda cioè l’adesione che i nobili romani del Circolo della Caccia diedero al fascismo dopo il delitto Matteotti, in un momento in cui il fascismo perdeva numerose adesioni.

La casta nobilesca ha avuto la sua tradizione la sua importanza, ma in una Repubblica democratica rappresenterebbe un fenomeno di esaurita vitalità, e non sarebbe certo farle onore il mantenere un titolo senza valore, sopra tutto così diffuso e polverizzato come sarebbe con la formulazione dell’onorevole La Pira. Pertanto dichiara di accedere alla proposta dell’onorevole Basso.

LA PIRA, Relatore, dichiara di essere in parte d’accordo con l’onorevole Marchesi per quanto riguarda lo spirito democratico e cristiano cui ha accennato. Ma ritiene che la preoccupazione manifestata dall’onorevole Marchesi nei riguardi della possibilità che il predicato nobiliare si polverizzi nella discendenza, potrà essere eliminata integrando la formula in modo da evitare questo inconveniente. D’altra parte, lo spirito del cristianesimo vuole che si sia delicati con tutti; e, poiché esiste un titolo che è parte integrante di un nome, quasi un riflesso della personalità, il rispettare lo status familiare risponde a questo spirito di tolleranza cristiana.

LUCIFERO dichiara che l’affermazione fatta dall’onorevole Marchesi nei riguardi del Circolo della Caccia, Circolo a cui l’oratore si onora di appartenere, non risponde a verità. Se c’è stato nel periodo fascista un Circolo frondista, è stato proprio il Circolo della Caccia. Ricorda che il Conte Sforza, che ne faceva parte, fu sempre considerato suo membro anche quando egli si trovava all’estero e non poteva più pagare la quota di partecipazione. Il Circolo della Caccia è stato sempre completamente apolitico, non si è mai occupato di certe questioni, e, quando sono venute delle pressioni per fare espellere qualcuno dei suoi membri per motivi politici, ha opposto sempre un netto rifiuto.

MARCHESI dichiara che non intendeva menomare il Circolo della Caccia. Sa bene che questo Circolo ha respinto delle domande di ammissione di gerarchi fascisti che intendevano essere ammessi; ma ritiene che il rifiuto fosse dovuto alla gelosa custodia della nobiltà che non intendeva accogliere un patriziato improvvisato.

Egli si è riferito ad ogni modo ad un fatto singolo, che gli avvenne di leggere su un giornale, e che non poteva essere trascurato.

MORO propone una formula conciliativa nella quale si dica: «I predicati dei titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome». Si eviterebbe così un’espressione troppo tagliente e inutile dal punto di vista sostanziale della regolamentazione.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che l’onorevole La Pira e l’onorevole Moro insistono su una formula che mira ad onorare la tradizione, mentre è proprio questa tradizione che non si deve più mantenere. Se si parla di tradizione si entra nella storia, e l’Italia ha tutta una storia che si deve mantenere in onore: Carlo Pisacane, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini. Ispirandosi a questi grandi nomi, si resterà fedeli al vero spirito della Repubblica. Aggiunge di non comprendere perché si debbano abolire solo i titoli nobiliari, e non anche quelli cavallereschi i quali hanno un’origine monarchica.

MARCHESI fa osservare che, con l’abolizione dei titoli cavallereschi, si distruggerebbe la burocrazia.

LOMBARDI GIOVANNI replica che si potrà fare una burocrazia nuova. Insiste perché all’abolizione dei titoli nobiliari si aggiunga anche quella dei titoli cavallereschi.

In ogni caso, dichiara di ripiegare sulla formula dell’onorevole Basso.

MORO insiste nel proporre la formula che ha già presentato. Essa non fa che riprodurre la formula dell’onorevole Basso, privata della prima parte che non è essenziale.

BASSO, Relatore, ritiene necessaria anche la prima parte, perché contiene una affermazione la quale dà un senso anche all’altra riguardante il futuro. Si deve dire che non vengono riconosciuti i titoli nobiliari, né per il passato né per il futuro, e si riconoscono soltanto per quello che attengono al nome. Insiste pertanto sulla formula: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome».

PRESIDENTE fa rilevare che sulla prima proposizione non si può tornare, perché è già stata votata e respinta ieri. Ritiene che, come espediente logico e anche formale, si potrebbe adottare, se la Commissione lo ritiene opportuno, questa seconda parte, attaccandola ad una proposizione precedente che potrebbe essere questa: «La concessione dei titoli nobiliari è vietata.I predicati di quelli attualmente esistenti fanno parte integrante del nome».

Comunque non crede che si possa rimettere in votazione una proposizione già votata e respinta quale è quella degli onorevoli Lombardi e Mancini.

LUCIFERO fa presente che lo stato nobiliare italiano è regolato per legge. Quindi pensa che nella Costituzione si dovrebbe dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. Per quelli attualmente esistenti provvederà la legge». Ritiene che questa sia la formula tecnicamente più perfetta. Evidentemente dovrebbe essere una nuova legge a provvedere.

MASTROJANNI, in seguito a questa nuova formula, desidera precisare il suo pensiero, facendo presente che la Repubblica non è né una Repubblica comunista né una Repubblica socialista: è una Repubblica italiana.

BASSO, Relatore, replica che, se anche fosse socialista, sarebbe italiana lo stesso.

MASTROJANNI, proseguendo, fa osservare che la formula politica della Repubblica non è stata ancora caratterizzata, e che quindi, col considerarla dal punto di vista della teoria socialista o comunista, si precede l’orientamento politico della Repubblica stessa. Di conseguenza, tutte le considerazioni fatte nei riguardi dell’abolizione dei titoli nobiliari sono una offesa ai principî della libertà ed ai diritti individuali. Le preoccupazioni affacciate, secondo le quali i titoli fascisti non possono e non devono essere tenuti in considerazione, sono da lui sottoscritte in pieno. Ma, se si deve provvedere per i titoli nobiliari concessi dal 1922 in poi, per contro non si deve in modo assoluto toccare quello che riguarda il periodo precedente. Per conciliare le diverse tendenze, propone la seguente formula: «I titoli nobiliari cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l’avvenire non possono più essere conferiti». Approvando questa proposta verranno risolte tutte le preoccupazioni nei riguardi dei titoli concessi dal regime fascista, e si lascerà intatto il patrimonio morale, storico, familiare del passato. Ritiene che non si possa togliere anche alla famiglia Diaz il titolo di Duca della Vittoria, né il titolo di conte alla famiglia di Camillo Benso di Cavour.

CEVOLOTTO è d’avviso che la votazione sulla proposta Mancini-Lombardi, mirante a terminare l’articolo dopo le parole: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri» non abbia avuto il significato di respingere in modo assoluto il concetto in essa espresso, e che resta in facoltà dell’Assemblea discutere ed approvare la prima parte dell’articolo, purché accompagnata da una delle due proposizioni proposte dall’onorevole La Pira e dall’onorevole Basso, o, eventualmente, da un’altra formulata nell’Assemblea.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Cevolotto che all’inizio della seduta è prevalso il criterio di non ritornare su una questione già risolta dalla votazione di ieri.

BASSO, Relatore, risponde all’onorevole Mastrojanni che la sua proposta non è socialista o comunista, ma è tipica espressione della Repubblica francese. Qualunque Repubblica democratica non riconosce titoli nobiliari; la nobiltà è istituto di un determinato momento storico, ed è intimamente legata all’esistenza di una monarchia. Per quanto riguarda gli altri argomenti addotti dall’onorevole Mastrojanni, l’oratore pensa che non si mancherebbe certo di rispetto a Cavour se si abolisse il suo titolo nobiliare. Il rispetto profondo che si ha per questo italiano non è certo connesso col titolo nobiliare, ma con i servizi da lui resi alla Patria.

Si dichiara poi contrario alla proposta che la Repubblica non debba concedere titoli cavallereschi; comunque rileva che non è questa la sede per decidere in una materia che riguarda più propriamente la seconda Commissione.

MORO ribadisce il concetto che sia impossibile accettare la tesi dell’onorevole Cevolotto, nei riguardi del significato della votazione sulla proposta Mancini-Lombardi.

Riguardo alla proposta avanzata dallo onorevole Mastrojanni, ritiene che essa non risolva la questione. Non crede sia compito della Costituzione provvedere in ordine a degli istituti limitati nel tempo: deve provvedervi, e si meraviglia non l’abbia fatto, la legislazione ordinaria, per quanto riguarda i titoli nobiliari concessi dal fascismo. Per quanto riguarda le onorificenze, aderisce a quanto ha dichiarato l’onorevole Basso.

Richiama l’attenzione sulla formula proposta dal Presidente, che gli pare sia quella che possa ottenere il comune consenso.

GRASSI osserva che la concessione e il riconoscimento dei titoli nobiliari e delle onorificenze fa parte delle prerogative regie. Caduta la premessa, è logico che cada tutto il resto, salvo che la Costituzione repubblicana non consenta al Capo dello Stato la possibilità di concedere onorificenze o altro. Comunque, la questione dovrebbe essere esaminata in sede di discussione della struttura dello Stato e dei poteri da conferire al Capo dello Stato.

Fa presente che nel corso della discussione non è stata considerata la questione dell’autorizzazione dei titoli concessi da uno Stato straniero, che deve far parte delle norme sul Capo dello Stato e quindi sarebbe materia di competenza della seconda Sottocommissione. In questa sede ci si deve solo preoccupare della questione nei riguardi del nome. A questo proposito, la proposta dell’onorevole Basso farebbe dei soli predicati nobiliari parte integrante del nome, mentre l’onorevole La Pira propone di conservare i titoli nobiliari solamente come facenti parte storicamente del nome. Se si riporterà la questione alle sue giuste proporzioni, la si spoglierà anche di tutto il significato politico che si è voluto ad essa connettere, trattandola soltanto per quello che ha riferimento alla parte di Costituzione demandata allo studio della Commissione, cioè al nome. Se si vorrà esaminarla in questo modo, la si esamini pure, altrimenti sarà bene rimandarla a quella parte della Costituzione che riguarda le prerogative del Capo dello Stato.

MANCINI precisa all’onorevole Mastrojanni di non aver fatto la proposta per il fatto di pretendere una Repubblica socialista o comunista. Formiamo la struttura di una Repubblica democratica, che è in antitesi assoluta con quelli che sono i privilegi di nascita, e che onora soltanto le attività produttrici del cittadino. I nomi storici, dei quali l’onorevole Mastrojanni ha fatto menzione, e ad essi altri se ne potrebbero aggiungere, ad esempio Massimo d’Azeglio, sono noti per le loro benemerenze e non per i loro titoli nobiliari.

MARCHESI dichiara che, quando ha parlato di «Repubblica dei lavoratori», non intendeva accennare ad una Repubblica socialista, ma ad una Repubblica nella quale tutti i cittadini prestino pensiero ed opere al bene della comunità. Crede che in questa classe di lavoratori non disdegnerebbe di entrare l’onorevole Mastrojanni.

MASTROJANNI dichiara che si onora di appartenervi.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta pregiudiziale presentata dall’onorevole Grassi, di rimandare tutta la parte che riguarda una statuizione sui titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione, come facente parte della facoltà che la Costituzione potrà conferire al Presidente della Repubblica. Naturalmente su questa proposta ciascuno degli onorevoli Commissari può intervenire per dichiarazione di voto. Per conto suo, dichiara di non ritenere che, almeno per quanto attiene ai titoli nobiliari, la questione sia di competenza della seconda Sottocommissione; pertanto il suo voto sarà contrario alla proposta stessa.

BASSO, Relatore, dichiara anch’egli che voterà contro. Ha proposto di rinviare alla seconda Sottocommissione la questione riguardante i titoli cavallereschi, in quanto presume che la Repubblica ne debba istituire dei propri, ma è del parere che essa non debba concedere titoli nobiliari.

MANCINI dichiara che, avendo proposto e votato la formula risolutiva, non accede a nessuna formula subordinata, riservandosi di risollevare la questione in sede di Assemblea plenaria.

CORSANEGO si associa alle dichiarazioni fatte dall’onorevole Basso.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta presentata dall’onorevole Grassi di rinviare la questione dei titoli nobiliari alla competenza della seconda Sottocommissione.

(La proposta è respinta all’unanimità meno 1 voto).

PRESIDENTE fa presente che all’inizio della riunione propose una formula nella quale si diceva: «La concessione di titoli nobiliari è vietata». Dovendosi fare un’affermazione di carattere generale, dato che quella di carattere generalissimo contenuta nella proposta Basso, e fatta propria dagli onorevoli Mancini e Lombardi, non è più oggetto di esame e di votazione, ritiene che il concetto espresso in questa formula possa essere accettato da tutti.

MARCHESI dichiara di essere disposto a votare la formula proposta dal Presidente, purché essa sia connessa col resto dell’articolo.

PRESIDENTE fa presente che, naturalmente, è fatta salva l’ulteriore discussione.

BASSO, Relatore, dichiara di ritenere che, per procedere con chiarezza e con ordine, non si possano scindere le due proposizioni. È disposto a votare un articolo che dica: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge», ma non è disposto a votare la prima parte soltanto, prima di sapere quale sarà il destino del capoverso. Se le due parti saranno messe in votazione in tempi diversi, dovrà dare voto contrario anche alla prima parte.

MORO si associa a quanto ha dichiarato l’onorevole Basso. Ritiene che le due parti siano strettamente connesse.

LUCIFERO si associa, e crede che la formula da lui proposta sia quella che risolverebbe il problema.

PRESIDENTE rileva che la Commissione è d’accordo nel senso che si debba addivenire alla votazione con criteri di connessione tra la prima e la seconda proposizione. Non ha difficoltà ad accedere a questo parere.

Richiama però l’attenzione della Commissione anche sulle altre formule proposte in connessione con la prima, e anzitutto sulla formula primitiva dell’onorevole Basso, che questi non ha ancora dichiarato di abbandonare.

BASSO, Relatore, poiché è caduta la prima parte dell’articolo, dichiara di abbandonare la primitiva formula.

PRESIDENTE prende atto del ritiro della primitiva proposta Basso, rilevando che la formula che il Relatore ora sostiene è la seguente: «I titoli nobiliari sono aboliti e per quelli esistenti provvederà la legge».

Ricorda che, di fronte a questa proposta definitiva dell’onorevole Basso, v’è anche la proposta dell’onorevole La Pira.

LA PIRA, Relatore, dichiara di ritirare la formula da lui precedentemente proposta e di accedere in linea di massima alla formula dell’onorevole Basso, pur ritenendo che sia opportuno riflettere sulla seconda proposizione.

MORO osserva che la formula dell’onorevole Basso, in fondo, non dice nulla in quanto, praticamente, spoglia la Costituzione della competenza a decidere su questo punto e rinvia alla legge. Inoltre è contrario a tale formula per una ragione di connessione con la prima parte dell’articolo già approvata. Precisa di non voler fare alcuna difesa della nobiltà, ma solo garantire il diritto al nome. Non ha votato in favore della formula dell’onorevole Grassi, perché toglieva del tutto alla Commissione la competenza, ma è d’accordo con lui che si debba dire qualche cosa a garanzia del diritto al nome sotto il profilo del titolo nobiliare. Non vede quale difficoltà sorga ad accettare in sede costituzionale una dichiarazione che garantisca nello status nobiliare il diritto al nome. E, per venire incontro alle esigenze prospettate dagli altri oratori, ha accettato di sostituire, d’accordo con l’onorevole La Pira, nella sua formula l’espressione «titoli nobiliari» con l’altra estremamente restrittiva, dell’onorevole Basso che è: «i predicati dei titoli nobiliari».

MARCHESI dichiara di non poter accettare la proposta Basso, così come è adesso formulata, e di accettare invece la proposta dell’onorevole Moro.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che il nome, secondo le leggi civili, è dato dal cognome, dal nome di battesimo e dalla paternità. Dichiara di essere contrario alla formula proposta dall’onorevole Moro.

GRASSI dichiara di accettare il principio espresso dall’onorevole Moro.

MANCINI dichiara di votare contro la formula dell’onorevole Moro solo perché l’unica e sola legge che deve provvedere è la legge costituzionale.

PRESIDENTE, prima di mettere ai voti le due proposte che formano la parte terminale della proposizione, fa osservare che vi è una proposta dall’onorevole Mastrojanni, contenuta nella seguente formula: «I titoli nobiliari e cavallereschi conferiti dopo il 1922 sono aboliti e per l’avvenire non possono essere conferiti titoli nobiliari».

Prega l’onorevole Mastrojanni di voler recedere dalla sua proposta, in presenza delle formule radicali rispettivamente proposte dall’onorevole Basso e dall’onorevole Moro.

MASTROJANNI dichiara di aver formulato la sua proposta per trovare una via di conciliazione, in conseguenza delle giuste lamentele che si erano rivolte riguardo ai titoli concessi nel periodo fascista, presupponendo che questi titoli dovevano esaurirsi nei limiti di tempo tra il 1922 ed il 1943, lasciando intangibili quelli che erano diritti acquisiti prima di tale epoca.

In ogni modo, non ha difficoltà a ritirare la sua proposta, richiamandosi a quanto è stato votato nella seduta precedente.

PRESIDENTE fa rilevare che restano in discussione due formule, di cui la prima parte è identica, sia nella proposta dell’onorevole Moro come in quella dell’onorevole Basso: «È vietata la concessione di titoli nobiliari».

Domanda all’onorevole Basso se, per facilitare la votazione, consente che si proceda alla votazione per divisione, dato che sulla prima parte sono tutti d’accordo, mentre sulla seconda si verificherà la divergenza.

BASSO, Relatore, consente. Spiega che le ragioni per le quali egli aveva proposto un’altra formula sono due: anzitutto perché l’affermazione che i predicati dei titoli esistenti valgono solo come parte del nome, avulsa da quella prima parte in cui è detto che sono aboliti i titoli nobiliari, perde ogni valore morale; in secondo luogo per una ragione puramente contingente, e cioè che una formula di questo genere lascia salvi certi predicati, quali quelli dei titoli fascisti, cosa questa che ripugna alla nostra coscienza molale.

MORO dichiara che, per quanto riguarda i titoli fascisti, egli ritiene che debba provvedere quella speciale legislazione che tende a distruggere tutto quello che il fascismo ha creato, in quanto non compatibile con l’attuale stato di cose. Non possono essere inserite nella Costituzione le norme che invece devono essere contemplate dalla legislazione speciale contro il fascismo.

Quanto poi alla diminuzione di significato che risulterebbe dalla formula proposta, richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla parola «solamente».

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo: «È vietata la concessione di titoli nobiliari».

LOMBARDI GIOVANNI voterà contro questa formula, perché seguita da un’altra che egli non accetta.

DE VITA dichiara anch’egli che voterà contro, in considerazione della proposizione che formerà oggetto della votazione successiva.

MANCINI dichiara di rimanere nella sua posizione di intransigenza.

(La prima parte dell’articolo è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).

LUCIFERO dichiara che, nel caso che l’onorevole Basso receda dalla sua formula, la farà sua.

PRESIDENTE fa presente che vi sono ora due formule: quella proposta dall’onorevole Moro che ha avuto l’adesione dichiarata dell’onorevole Marchesi: «I predicati di quelli attualmente esistenti valgono solamente come parte del nome» e l’altra dell’onorevole Basso che dice: «Per quelli attualmente esistenti provvede la legge», alla quale l’onorevole Lucifero ha dato esplicita adesione.

Mette ai voti la formula dell’onorevole Basso.

MARCHESI dichiara di non poter votare la proposta Basso perché ritiene che in questo campo la Sottocommissione non possa rinunciare ad una precisazione, e delegare i suoi poteri al futuro legislatore.

DE VITA dichiara che voterà contro la formula dell’onorevole Basso, in quanto ritiene che non si possa votare una formula che non sia veramente radicale. Per lui tale formula sarebbe: «I titoli nobiliari sono aboliti».

MASTROJANNI fa osservare che, votando la proposta dell’onorevole Moro, si lascerà impregiudicata la questione della disparità di trattamento tra coloro per i quali l’attributo fa parte integrante del nome, e coloro che hanno semplicemente un titolo nobiliare senza un attributo. Di questa ingiustizia di trattamento il Presidente si è giustamente preoccupato, e ha invitato i Commissari a studiare una formula che risolva la situazione.

(La proposta Basso è respinta con 5 voti favorevoli e 9 contrari).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Moro: «I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

MANCINI dichiara di votare contro per le ragioni già dette e perché l’attributo di nobiltà al proprio cognome non rappresenta altro che un privilegio di nascita, che offende il costume democratico.

LUCIFERO dichiara che voterà contro la proposta dell’onorevole Moro, perché non risolve i problemi che erano stati proposti.

MASTROJANNI si associa alle considerazioni dell’onorevole Lucifero.

(La proposta Moro è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

PRESIDENTE rilegge le proposizioni che sono state approvate: «È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome».

Poiché si è detto che tutta la materia discussa si inseriva nella questione del nome, propone che le due proposizioni approvate vengano collocate nell’articolo 2-bis, subito dopo le parole «Nessuno può essere privato del proprio nome».

(La proposta è approvata all’unanimità).

Fa presente che l’intero articolo 2-bis risulta approvato nei seguenti termini:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione dei titoli nobiliari. I predicati di quelli esistenti valgono soltanto come parte del nome.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

LOMBARDI GIOVANNI fa rilevare che si sono perdute due sedute per approvare il concetto del mantenimento dei predicati della nobiltà.

PRESIDENTE fa presente l’opportunità di dividere l’articolo 2-bis in due articoli: uno contenente il concetto che «Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. È vietata la concessione di titoli nobiliari. I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome»; e un altro, che potrebbe essere il 2-ter, esprimente gli altri concetti: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

MORO propone di articolare le proposizioni approvate in tre articoli, perché ritiene che si tratti di tre cose distinte: la soggettività dei diritti, il diritto al nome, il diritto della cittadinanza.

MASTROJANNI è favorevole al mantenimento di un solo articolo.

LA PIRA, Relatore, propone che l’articolo 2-bis venga diviso in due articoli: in uno si dovrebbe esprimere la soggettività del diritto, e nell’altro il diritto al nome e alla cittadinanza.

MARCHESI si associa alla proposta dell’onorevole La Pira.

BASSO, Relatore, dichiara di preferire una divisione in tre articoli.

PRESIDENTE propone di dividere l’articolo 2-bis in tre articoli che sarebbero i seguenti:

Art. 2-bis.

Ogni uomo è soggetto di diritto.

Art. 2-ter.

Nessuno può essere privato del proprio nome.

È vietata la concessione di titoli nobiliari.

I predicati di quelli attualmente esistenti valgono soltanto come parte del nome.

Art. 2-quater.

Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici.

La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge.

(La proposta è approvata).

Pone in discussione l’articolo 12, che nella proposta dei due Relatori è formulato nel modo seguente:

«Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito.

«Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità, le quali possono vietarle per comprovate ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica.

«Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate, salva l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

Mette in discussione la prima proposizione dell’articolo.

MANCINI è d’avviso che la prima proposizione dell’articolo possa essere limitata alla seguente dizione:

«Il diritto di riunione è garantito», sopprimendo la parola «pacificamente e senza armi».

BASSO, Relatore, dichiara che può accettare la proposta dell’onorevole Mancini, per quanto riguarda la soppressione dell’avverbio «pacificamente», ma che deve essere conservata l’altra espressione «senza armi».

MARCHESI dichiara di accettare l’articolo quale è proposto dall’onorevole Mancini, perché ritiene che l’espressione: «pacificamente e senza armi» debba essere considerata nei regolamenti di polizia.

LA PIRA, Relatore, insiste perché venga conservato l’avverbio «pacificamente» e la qualifica «senza armi», perché ciò serve a dare quel tono di pace e di fraternità che deve essere a base di ogni riunione.

DE VITA dichiara che voterà favorevolmente alla proposta dell’onorevole Mancini.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mancini di sopprimere nell’articolo proposto dai Relatori le due espressioni «pacificamente» e «senza armi».

(La proposta è respinta con 4 voti favorevoli e 10 contrari).

Mette ai voti la dizione proposta dai Relatori: «Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito».

(È approvata con 10 voti favorevoli e 4 contrari).

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo il quale dice: «Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità le quali possono vietarle per comprovate ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica».

MARCHESI propone che si cambi la dizione nel modo seguente: «Le riunioni in luogo pubblico debbono essere preannunciate alle autorità, le quali, ecc.».

PRESIDENTE osserva che si tratta di una sottigliezza di stile; dichiara di preferire la prima formula.

LOMBARDI GIOVANNI propone che invece della parola «ragioni» venga usata la parola: «motivi».

PRESIDENTE mette ai voti il capoverso con la modifica proposta dall’onorevole Lombardi.

(È approvato all’unanimità).

Mette ai voti il secondo capoverso dell’articolo il quale, nella proposta dei Relatori, è così formulato: «Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate salva l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

(È approvato all’unanimità).

Fa presente che l’articolo rimane così formulato:

«Il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi è garantito.

«Per le riunioni in luogo pubblico debbono essere preavvisate le autorità le quali possono vietarle per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

«Le riunioni in luogo chiuso, al quale il pubblico possa accedere liberamente, non soggiacciono alle limitazioni enunciate, salvo l’ipotesi di pericolo per la pubblica incolumità».

Lo pone ai voti nel suo complesso.

(É approvato).

Pone in discussione l’articolo che, tra quelli proposti dai due Relatori, porta provvisoriamente il numero 13, ed è così formulato: «Il diritto di associarsi, senza autorizzazione preventiva, e per fini che non contrastino con le leggi penali, è riconosciuto a tutti. Non sono consentite le associazioni a carattere militare».

Avverte che dopo le parole «con le leggi penali» vi è la seguente aggiunta, posta tra parentesi: «e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione». Prega i Relatori di voler chiarire i motivi per cui questo passo è stato messo tra parentesi.

BASSO, Relatore, chiarisce che la frase messa tra parentesi è stata proposta dall’onorevole La Pira e non è accettata da lui, perché tra le libertà che la Costituzione garantisce c’è un diritto di proprietà. Ora il partito socialista è appunto un’associazione che si riunisce con il compito di ridurre la proprietà o di vietarla. Non vorrebbe che domani si potesse giungere a vietare al partito socialista di riunirsi e così pure al partito comunista prendendo pretesto da un contrasto, vero o presunto, con le libertà garantite dalla Costituzione.

La PIRA, Relatore, dichiara che la sua aggiunta è giustificata in primo luogo da una ragione di natura etica che ha il suo valore.

Fa presente che il progetto di Costituzione francese dice all’articolo 17: «Tutti hanno il diritto di associarsi liberamente, a meno che l’associazione non arrechi, o non tenti ad arrecare, pregiudizio alle libertà garantite dalla presente dichiarazione». Immagina che le preoccupazioni dell’onorevole Basso siano state avanzate anche dai partiti socialista e comunista della Costituente francese.

Vi è poi una ragione intima. Con la presente Costituzione si vuole certamente definire una serie di libertà, e quindi di diritti corrispondenti. Ritiene pertanto che la Costituzione dovrebbe esplicitamente accennare che ogni associazione la quale contrasti con la Costituzione è vietata.

MARCHESI osserva che la Costituzione non è una mummia o una torre di acciaio.

LA PIRA, Relatore, dichiara che i deputati democristiani proporranno per la Costituzione degli articoli sulla proprietà, i quali potranno certamente essere accolti tanto dall’onorevole Basso quanto dall’onorevole Marchesi. Essi non intendono garantire il diritto di proprietà capitalistico.

MORO si dichiara favorevole alla conservazione della formula La Pira. Non ritiene giustificate le preoccupazioni espresse dagli onorevoli Basso e Marchesi. A nessuno passa per la mente di proibire movimenti che tendono ad adeguare la struttura del diritto di proprietà alle esigenze solidaristiche. Ritiene piuttosto che l’aggiunta proposta dall’onorevole La Pira comporti il divieto di attività politiche che tendano a costituire associazioni di tipo fascista. Il diritto di associarsi è limitato appunto da queste libertà fondamentali dell’uomo, che sono state dichiarate nel testo della Costituzione. È bene porre la necessaria base costituzionale per il divieto di attività di carattere fascista.

BASSO, Relatore, dichiara che nel formulare l’articolo nel testo che faceva parte della sua primitiva relazione, si era attenuto alla relazione Mortati, la quale diceva: «È a tutti garantita la libertà di costituire associazioni che si propongono fini leciti ai sensi della legge penale». Non pensa che il governo di oggi o quelli di domani possano interpretare la Costituzione, in questo punto, nel senso da lui temuto; ma non può prevedere la stessa cosa per i governi che verranno fra dieci o venti anni.

MARCHESI si dichiara contrario all’inciso proposto dall’onorevole La Pira. Ritiene che esso apra la via a molti abusi. La Costituzione stabilisce alcune libertà in un ordinamento costituito, il quale non esclude altri ordinamenti che aspirano a costituirsi. L’onorevole Basso ha parlato della libertà di proprietà; egli porterà un altro esempio: la Costituzione afferma la libertà di religione; domani potrebbe sorgere un’associazione di cui egli non farebbe mai parte a carattere antireligioso, e questa associazione potrebbe essere proibita proprio in base all’inciso che si vuole introdurre nell’articolo, mentre anch’essa dovrebbe avere la libertà di svolgere una propria attività associativa, ben inteso nei limiti posti dalla legge.

MANCINI aderisce alla soppressione dell’inciso, perché il concetto di libertà è il concetto informatore di tutta la nostra Costituzione. Una specificazione come quella suggerita potrebbe essere oggetto di interpretazioni erronee o faziose.

MASTROJANNI propone che, per togliere qualsiasi ambiguità e preoccupazione, si sostituisca la dizione: «purché non contrastino con le leggi penali» con la seguente: «Il diritto di associarsi lecitamente, senza autorizzazione preventiva, è riconosciuto a tutti».

PRESIDENTE osserva che la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni non gli sembra esprima compiutamente il concetto.

MORO non ritiene che la soppressione dell’inciso possa, in sede giuridica, tranquillizzare la coscienza dei Commissari. Se si guarda alla legge penale, vi si troveranno riflesse tutte le libertà fondamentali sancite dalla Costituzione. Quindi un’applicazione gretta e politicamente cattiva della dizione: «e per fini che non contrastino con le leggi penali» potrebbe portare al divieto di tutte le associazioni di cui si è parlato.

La verità è che un fenomeno di questo genere non va risolto altro che in sede politica. Il senso di misura e di sensibilità politica di coloro che governano, permetterà al futuro legislatore e al potere esecutivo di non limitare quelle associazioni che rientrano nel gioco della vita democratica, mentre, d’altra parte, la formula proposta dall’onorevole La Pira ha importanza e significato pedagogico, quello stesso significato pedagogico che si è voluto dare a tutta la Costituzione. Si tratta di riaffermare che vi sono libertà democratiche riconquistate e contro le quali non deve rivolgersi l’attività dei cittadini.

Se mai, ritiene che si potrebbe ampliare o chiarire la portata dell’inciso dicendo: «con le libertà fondamentali dell’uomo», ovvero «con le libertà democratiche sancite dalla Costituzione». La formula di per sé è innocua. È il potere politico che può applicare bene o male la legge.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di considerare anzitutto pleonastica la frase: «e per fini che non contrastino con le leggi penali». Quando i fini di un’associazione vengono a contrasto con le leggi penali, ci si troverà in presenza di un’associazione a delinquere, come tale perseguita dal Codice penale. Non ritiene pertanto che sia il caso di introdurre questa specificazione nella Costituzione.

PRESIDENTE fa osservare che quella dell’associazione a delinquere non è la sola ipotesi. L’associazione a delinquere è un’aggravante del reato e non già un reato per sé stante.

LOMBARDI GIOVANNI replica che la associazione a delinquere è di per sé stessa un reato che, poi, può essere aggravato.

PRESIDENTE insiste nel suo concetto.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che tutto questo non può essere compreso in una legge a carattere statutario senza offendere la connessione delle leggi.

Per quanto poi riguarda l’inciso proposto dall’onorevole La Pira, ritiene che esso, oltre ad essere pleonastico, si presterebbe a tutti gli abusi possibili e immaginabili perché vi potrebbe essere un’associazione che, secondo il parere della pubblica sicurezza di un determinato luogo, è in contrasto con le libertà garantite dalla Costituzione, e come tale potrebbe essere vietata.

Propone pertanto che l’articolo sia semplificato nel modo seguente: «Il diritto di associazione è garantito a tutti», senza aggiungere altro.

BASSO, Relatore, dichiara di ritenere che il solo limite da porre sia quello della illiceità dal punto di vista penale, e che raggiungere qualsiasi altra cosa, o sarebbe pleonastico o verrebbe a dire qualche cosa di più di quello che si intende di dire, con conseguenze imprevedibili.

D’altra parte, non può accettare la proposta Lombardi di restringere l’articolo. L’onorevole Lombardi chiede l’abolizione delle parole «senza autorizzazione preventiva, e per fini che non contrastino con le leggi penali». Ora non si può togliere l’autorizzazione preventiva.

È d’accordo con l’onorevole Lombardi, il quale dice che, se l’associazione commette reati, c’è già la legge penale; però fa notare che si è fatta sempre, anche negli articoli precedenti, questa eccezione.

Nella Costituzione si deve sempre porre in prima linea il principio generale, poi precisare le eccezioni, poiché questo rafforza il concetto generale.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso per quanto riguarda l’inopportunità di togliere le parole «senza autorizzazione preventiva», onde evitare che una legge di pubblica sicurezza possa inserire l’obbligo della autorizzazione preventiva. È anche d’accordo con l’onorevole Lombardi nel ritenere pleonastico raggiungere «e per fini che non contrastino con le leggi penali». Per quanto riguarda l’inciso tra parentesi, concorda con l’opinione dell’onorevole Basso.

MORO dichiara di dissentire dagli onorevoli Lombardi e Cevolotto, per quanto riguarda la soppressione della dichiarazione che le associazioni non debbono contrastare la legge penale.

L’ipotesi prevista dall’onorevole Lombardi, di associazioni a delinquere che sono già come tali vietate dal diritto penale, non copre questa ipotesi che è una ipotesi costituzionale. In quel caso si configura l’ipotesi di fatto del reato; in questo caso viene precisato il criterio offerto dalla legge penale come lesione dell’ordinamento sociale, per servirsene come un criterio limitativo di una libertà che va sempre intesa come libertà nella legge.

Per quanto riguarda l’altra espressione, insiste sul punto di vista pedagogico. Più volte si sono fatte dichiarazioni che potevano essere considerate superflue, e le si sono fatte proprio perché sembrava che in questo momento storico fosse opportuno di farle.

Per questi motivi insiste sulla sua proposta di specificare: «con le libertà democratiche sancite dalla Costituzione». Con ciò si viene incontro all’aspetto più squisitamente politico della garanzia costituzionale del fenomeno associativo.

LOMBARDI GIOVANNI domanda se un’associazione anarchica è ammessa in base a questo articolo.

MORO dichiara che, per conto suo, l’ammetterebbe.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che questo è un apprezzamento puramente soggettivo e non costituisce una garanzia sufficiente.

MASTROJANNI fa osservare che tutte le preoccupazioni espresse possono essere superate con una formula che sia anche coerente allo stile di una Costituzione, senza scendere ai dettagli o a riferimenti a leggi speciali. La formula da lui proposta è la seguente: «Il diritto di associazione senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti».

BASSO, Relatore, fa presente che, in sede di preparazione della nuova legge di pubblica sicurezza c’è un articolo, il 237, il quale dà la sensazione di quella che potrebbe essere l’elasticità di una qualsiasi formula che non fosse ben precisa. Infatti in questo articolo si prevede una molteplicità di ipotesi che possono destare qualche preoccupazione. Fa anche presente che, in sede di esame di questo articolo, il Consiglio di Stato ha dato questo parere a cui l’oratore si associa perfettamente:

«Il diritto di associazione. Considera in proposito il Consiglio che il diritto di associazione è un diritto fondamentale di libertà, ma che manca nel diritto italiano una norma generale che espressamente lo riconosca. Bisogna certamente introdurla nella nuova Carta costituzionale, ma ciò deve essere in forma positiva e non con un semplice rinvio alle norme delle leggi generali e speciali. Al solo scopo di concretare il suo pensiero, il Consiglio propone la seguente formula: «Tutti i cittadini italiani hanno il diritto, per scopi che non contrastino con le leggi penali, di formare delle associazioni». Questo diritto non può essere subordinato nel suo esercizio ad alcun obbligo di preventiva autorizzazione o dichiarazione. Nella formula proposta non si parla di oggetto illecito, contrario alle leggi in genere o all’ordine pubblico o al buon costume, perché questo riferimento elastico dà un margine all’esercizio di un’ampia potestà di valutazione discrezionale da parte delle autorità statali quali che esse siano, e affievolisce il diritto che si intende tutelare. All’incontro il contrasto con la norma penale è sempre preciso e definitivo. L’esercizio del diritto di associazione non è subordinato, nella formula proposta, ad autorizzazione o anche a semplice dichiarazione preventiva, con le quali l’autorità possa prendere o no atto. Può essere utile un rilievo. Una volta che la Carta costituzionale abbia riconosciuto e dichiarato il diritto di libera associazione, non rimarrà nel nostro diritto che associazione consentita e associazione vietata o illecita».

PRESIDENTE dichiara di non poter aderire alla proposta dell’onorevole Moro di sostituire «libertà democratiche» all’inciso «libertà garantite dalla presente Costituzione», perché la parola democrazia si presta, purtroppo, a molte interpretazioni, e si arriva perfino a sostenere da taluno che la dittatura sia anch’essa una democrazia. Ritiene perciò che la formula Moro sia troppo vaga e, comunque, equivoca.

All’onorevole Mastrojanni, il quale ha proposto la formula seguente: «il diritto di associarsi senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti», fa considerare l’elasticità della espressione «fini leciti» ancora superiore a quella delle libertà democratiche. Questa formula si presterebbe in larga misura a lasciare tutto alla discrezionalità dell’autorità e all’arbitrio della medesima.

Domanda perciò agli onorevoli Moro e Mastrojanni se insistono nelle loro proposte.

MORO dichiara di aver formulato la proposizione ritenendo che il termine «democratico» abbia nella nostra coscienza un significato netto: da un lato vuol dire l’accettazione del metodo democratico nella lotta politica; dall’altro quella comune tendenza di tutti noi verso un’elevazione degli uomini su un piano di vita che sia degno e accettabile per tutti. Gli si è domandato se, per esempio, si potesse permettere un’associazione anarchica. A questa domanda dovrebbe rispondere affermativamente, purché naturalmente questa associazione agisca con metodi democratici e non pretenda di imporre le proprie opinioni con la violenza.

Pertanto ritiene che, sotto questo profilo, l’espressione «democratico» sia accettabile; peraltro, siccome questa proposta era fatta allo scopo di venire incontro ad alcune preoccupazioni che si erano manifestate, se coloro che manifestavano queste preoccupazioni sono soddisfatti, dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE domanda all’onorevole La Pira se insiste nella sua proposta.

LA PIRA, Relatore, dichiara di insistere per il mantenimento dell’inciso, perché in esso è contenuto un principio che ispira tutta la Costituzione. Si è riservato di dire qualche cosa a questo proposito in un secondo tempo; intanto fa rilevare che, come lo Stato è limitato nella sua autonomia dai diritti imprescrittibili della persona, così l’autonomia della persona è limitata dai diritti imprescrittibili dello Stato.

CARISTIA propone di aggiungere la seguente affermazione: «salvo i limiti imposti dalla legge penale».

MORO dichiara di non ritenere che si possa accettare la formula dell’onorevole Caristia perché in questo modo si sposta il significato di tutta la frase. Altro è l’indicazione dei fini considerati illeciti, altro è la questione dei limiti posti dalla legge penale.

MASTROJANNI insiste nella sua proposta di usare l’espressione «per fini leciti».

PRESIDENTE riassume la discussione ed avverte che metterà per prima ai voti la proposta più radicale, e cioè quella degli onorevoli Lombardi e Mancini, che suggeriscono la dizione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti», sopprimendo tutto il resto dell’articolo.

MASTROJANNI domanda agli onorevoli Lombardi e Mancini se non acconsentirebbero ad aggiungere alla loro formula la precisazione: «per fini leciti».

MANCINI e LOMBARDI GIOVANNI dichiarano di non poter accettare questa aggiunta.

GRASSI propone che siano messi in votazione prima gli emendamenti sostitutivi, poi l’inciso e quindi le altre proposte.

LUCIFERO si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Grassi. Esprime il parere che la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini debba essere votata per prima; poi si voterà l’inciso da inserire in questa affermazione di principio.

CEVOLOTTO propone che prima si voti l’espressione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti»; poi si voti la proposta Lombardi e Mancini di fermarsi a quel punto e non dire più nulla. Se questa proposta è respinta, si passerà a votare l’inciso.

PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Cevolotto consente di votare con chiarezza.

MANCINI aderisce alla proposta dell’onorevole Cevolotto.

PRESIDENTE mette ai voti il principio fondamentale contenuto nella proposizione: «Il diritto di associazione è garantito a tutti»

(La proposta è approvata all’unanimità).

Mette quindi ai voti la proposta degli onorevoli Lombardi e Mancini, e cioè che si debba limitare la formulazione alla proposizione testé approvata, senza procedere oltre nell’enunciazione contenuta nelle proposte dei relatori.

CEVOLOTTO dichiara che non approva questa proposta, perché ritiene che sia necessario aggiungere nella Costituzione il divieto dell’autorizzazione preventiva e non lasciare che su una materia così delicata provveda la legge speciale.

(La proposta Lombardi-Mancini è respinta, con 5 voti favorevoli e 9 contrari).

CARISTIA dichiara di ritirare la sua proposta.

PRESIDENTE spiega che la proposta dell’onorevole Mastrojanni rimane così formulata: «Il diritto di associazione senza autorizzazione preventiva e per fini leciti è riconosciuto a tutti».

LUCIFERO osserva che, se si specifica: «autorizzazione preventiva», si può pensare che ce ne vuole una successiva e la legge speciale potrebbe disporlo.

BASSO, Relatore, dichiara di non aver niente in contrario perché l’aggettivo «preventiva» venga tolto.

LA PIRA, Relatore, osserva che si tratta di una formula tecnica.

CARISTIA ricorda che una volta tutte le associazioni erano consentite, a condizione che ottenessero in precedenza l’autorizzazione.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo: «Il diritto di associarsi senza autorizzazione», avvertendo che si intende che il «preventiva» è abolito.

(È approvata all’unanimità).

Quanto alla seconda parte dell’inciso: «e per fini che non contrastino con le leggi penali», fa presente che l’onorevole Mastrojanni ha proposto che la dizione venga sostituita dalla seguente: «per fini leciti». Mette ai voti questo emendamento.

LUCIFERO dichiara di ritenere inutili l’una e l’altra formula; perciò voterà contro.

CEVOLOTTO dichiara che voterà contro la proposta Mastrojanni, perché ritiene che inserire una formula di così vasta portata sia molto pericoloso, perché consentirebbe ogni sorta di abusi da parte del potere esecutivo.

(La proposta Mastrojanni è respinta all’unanimità meno un voto).

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dai Relatori: «e per fini che non contrastino con le leggi penali.

(La formula proposta dai Relatori è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

Rileva che la prima parte dell’articolo risulta approvata nei seguenti termini: «Il diritto di associarsi, senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali».

Osserva che a questo punto si dovrebbe inserire l’inciso proposto dall’onorevole La Pira e non accettato dall’onorevole Basso per il quale dopo le parole «con le leggi penali» dovrebbero seguire le altre «e con le libertà garantite dalla presente dichiarazione».

Mette ai voti l’aggiunta proposta dall’onorevole La Pira.

(La proposta e respinta con 8 voti contrari e 6 favorevoli).

Comunica che l’articolo risulta formulalo nel modo seguente: «Il diritto di associarsi senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali è riconosciuto a tutti».

Rileva che l’ultima parte dell’articolo nella proposta dei Relatori dice: «Non sono consentite le associazioni a carattere militare». Propone che si dica invece: «Le associazioni a carattere militare sono vietate».

MANCINI propone che la dizione sia modificata nel modo seguente: «Non sono consentite le associazioni a carattere militare e fascista». Insiste nella sua proposta per due motivi: uno politico sostanziale, e uno di natura giuridica. Il motivo politico sostanziale si intende facilmente: ci si dichiara tutti antifascisti, si parla sempre di antifascismo e, quando si tratta poi di fare una manifestazione verbale antifascista nella legge costituzionale sorta in antitesi al fascismo, la si evita come se essa potesse destare preoccupazioni o allarmi. Certe pavidezze non si comprendono. L’altro motivo, di natura essenzialmente giuridica, è il seguente: se si limita il divieto alle associazioni militari e non si parla di associazioni fasciste, si potrebbe intendere da qualcuno che queste sono consentite. Ritiene perciò che il divieto debba essere esteso esplicitamente alle associazioni a carattere fascista, o neofascista, che vanno profilandosi sul nostro orizzonte politico.

MARCHESI dichiara di non poter accogliere la proposta dell’onorevole Mancini, perché il fascismo adesso non si chiama più con tale nome. Potrebbe rispuntare, come rispunta, sotto altre denominazioni. Se si determina l’articolo con un’espressione così vaga quale è quella di «associazioni a carattere fascista», si dà al fascismo autentico e sostanziale il permesso di associarsi.

CORSANEGO si dichiara contrario alla proposta dell’onorevole Mancini, oltre che per i motivi accennati dall’onorevole Marchesi, anche per la ragione che non si deve fare al fascismo l’onore di essere citato nella futura Costituzione italiana.

MASTROJANNI dichiara di concordare con l’onorevole Mancini, perché siano comunque vietale le organizzazioni militari a sfondo politico.

L’onorevole Corsanego giustamente si preoccupa di non dare al fascismo l’onore di essere ricordato nella Costituzione, ma va tenuta presente anche la preoccupazione dell’onorevole Mancini che possano sorgere delle organizzazioni armate sotto una veste politica che può chiamarsi fascista o con altro nome. Ritiene quindi che una precisazione in proposito sia quanto mai necessaria.

PRESIDENTE sottolinea che l’articolo dice appunto che non sono consentite le associazioni a carattere militare, cioè associazioni armate.

MASTROJANNI replica che un’associazione a carattere militare presume un’organizzazione generica secondo lo schema militare. Vi sono organizzazioni politiche che nella forma contrastano in pieno con una organizzazione militare, ma che nella sostanza sono più potenti di un’organizzazione militare. Vorrebbe perciò una formula più esplicita.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Mastrojanni di studiare questa formula, e di proporla.

LUCIFERO dichiara che la proposizione lo lascia alquanto perplesso, perché un’organizzazione a tipo militare può non essere un’organizzazione armata. L’organizzazione armata è vietata dal complesso delle leggi penali. Si tratta appunto di quelle organizzazioni peculiari, alle quali, con la parola «fasciste», faceva cenno l’onorevole Mancini. È d’accordo che non sia opportuno mettere la parola «fascista» nella Costituzione italiana, ma si preoccupa anche di un’altra questione: chi stabilisce se una determinata organizzazione sia di carattere militare? Con questa formula si lascia la via aperta a tante possibilità di interpretazione, e potrebbe accadere che ad un certo momento il legislatore o il potere esecutivo, volendo colpire un’organizzazione che non gli fa comodo di mantenere e che non è a carattere militare, si sforzi di ritrovare in essa appunto questo carattere. Per questi motivi ritiene che sia opportuno omettere la proposizione in questione.

PRESIDENTE domanda che si facciano proposte concrete.

LUCIFERO dichiara di concordare con l’onorevole Mastrojanni il quale ha espresso la convenienza di specificare.

MORO fa presente che va specificato che non si intendono vietate quelle organizzazioni giovanili che avessero per avventura un carattere militare puramente esterno e formale. Dovrebbe esser chiaro anche per il futuro legislatore che il divieto si intende per quelle associazioni che perseguano un addestramento militare vero e proprio, e che siano pronte ad impugnare le armi. Comunque sarà forse opportuno inserire la specificazione che «non si intendono a carattere militare le organizzazioni giovanili che hanno solo forma militare».

LUCIFERO cita l’esempio dei «boys scouts».

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara insoddisfatto della formulla «a carattere militare».

Finché esisterà un esercito, sia pure ridotto a 100 mila uomini, non si può impedire, senza minorare la libertà di questi 100 mila militari, che essi, volendolo, costituiscano un’associazione interna, di qualunque specie essa possa essere. Quello che si vuole impedire è l’associazione a carattere militaristico e di fazione. Propone perciò di sostituire alle parole «a carattere militare» le altre «a carattere militaristico e fazioso».

MANCINI dichiara di mantenere la sua proposta, perché una buona volta si precisi nella nostra Costituzione una parola di schietto significato anti-fascista. Che ciò sia necessario se ne è avuta anche una prova in alcune obiezioni sorprese sulle labbra di qualche rappresentante estero a Parigi. Tutte le osservazioni e le critiche rivolte in quella sede ai nostri rappresentanti sono sintetizzate in una: che cioè in tutte le loro dichiarazioni essi non hanno fatto alcuna affermazione di schietto carattere antifascista e di condanna dell’ideologia fascista. In una Costituzione che sarà letta da tutto il mondo, non si vorrà dire dunque che si vietano le associazioni fasciste, mentre sul momento tutti si preoccupano di un risorgente neo-fascismo?

MASTROJANNI propone che si dica: «non sono consentite le associazioni a carattere addestrativo o preparatorio in forma militare e per fini politici».

LA PIRA, Relatore, dichiara di essere anch’egli alquanto perplesso nei riguardi della formula così come è stata concepita. Bisogna aggiungere qualche cosa che impedisca possibili equivoci.

Ricorda che quando furono sciolte le associazioni dei «Giovani Esploratori» dal Governo fascista, si prese a pretesto che esse avevano un carattere militare. Nel 1931 lo stesso argomento fu portato per lo scioglimento dei Circoli giovani cattolici, e perfino contro l’associazione dei «Paggetti di San Luigi».

PRESIDENTE invita la Commissione a considerare se il divieto previsto dall’ultimo capoverso non sia compreso nella prima parte dell’articolo, dove si dice che non sono consentite le associazioni per fini che contrastino con le leggi penali.

BASSO, Relatore, osserva che la garanzia data dalla prima parte dell’articolo sarà sufficiente, perché quelle associazioni a carattere militaristico che si vogliono vietare, potrebbero, per il momento, non essere armate.

Ricorda che questo principio del divieto di costituire associazioni a carattere militaristico viene dalla Svizzera, la quale l’ha affermato per la prima. Nella Svizzera vi sono fiorentissime associazioni di Giovani esploratori, che nessuno ha mai pensato potessero essere comprese in una disposizione del genere. I precedenti storici dimostrano che le associazioni dei Giovani esploratori, o altre simili, non hanno niente a che fare con associazioni a carattere militare.

D’altra parte fa osservare che, perché un’associazione sia a carattere militaristico, non occorre che essa sia in quel dato momento effettivamente armata, ma basta che abbia uno spirito ed una preparazione militare, quale la ebbero, ad esempio, le prime formazioni fasciste, e le altre similari sorte in altri Paesi d’Europa. Per associazioni a carattere militare debbono intendersi quelle organizzazioni in cui lo spirito dell’individuo viene sottoposto ad una disciplina militare, ed all’associato si impone di rinunciare alla propria libertà individuale per mettersi completamente a disposizione dei fini dell’associazione.

Pertanto non ritiene fondate le preoccupazioni espresse dagli onorevoli Moro e La Pira nei riguardi delle associazioni giovanili. Non si deve guardare all’uniforme, ma piuttosto se una determinata associazione abbia o no un profondo spirito di disciplina militare a servizio di finalità particolari di parte. E poiché di associazioni di questo genere se ne sono viste pullulare in tutti gli Stati europei, è necessario mettere nella Costituzione un divieto esplicito, e non accontentarsi di porre il divieto per le associazioni i cui fini siano in contrasto con le leggi penali.

MORO propone la seguente formula: «Non sono consentite le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare».

LA PIRA e BASSO, Relatori, dichiarano di aderire alla formula proposta dall’onorevole Moro.

LUCIFERO ricorda, come precedente storico, la persecuzione di cui furono oggetto le società sportive di Trieste sotto il regime austriaco. Il pretesto che allora veniva addotto era più o meno quello che è contenuto nella formulazione dell’onorevole Moro. Prega i Relatori di studiare meglio il testo della loro formula per raggiungere una chiarezza tale che non possa dar luogo ad interpretazioni false.

MORO osserva che certamente un minimo di oscurità deve sempre rimanere in una formulazione. Si potrà, con una dichiarazione di voto, chiarire questo punto.

LUCIFERO fa presente che, quando si fa una formulazione, si deve pensare sempre alla possibilità che di questa formulazione ci si possa servire con intendimenti diversi.

CEVOLOTTO dichiara di non ritenere che la formula dell’onorevole Moro possa presentare le difficoltà che l’onorevole Lucifero ha fatto presenti.

L’onorevole Lucifero si è riferito alle associazioni sportive proibite dall’Austria in base ad una formula simile a quella proposta dall’onorevole Moro. Bisogna però considerare il fatto che esse erano associazioni italiane, formate da italiani di Trieste, e si proponevano appunto un fine politico contrario all’Austria. La proibizione può essere stata dolorosa per noi, ma non era ingiustificata dal punto di vista dell’Austria. Ritiene che si possa dare incarico ai Relatori di studiare una formula anche migliore e più comprensiva, ma, in sostanza, la formula proposta dall’onorevole Moro si può ritenere soddisfacente.

PRESIDENTE fa presente che, oltre alla proposta dell’onorevole Moro, accettata dai Relatori, c’è la formula proposta dall’onorevole Mancini espressa nei seguenti termini: «Le associazioni a carattere militare e fascista sono vietate», alla quale dichiara di non poter aderire, non perché non sia d’accordo con lui, ma perché la sua accettazione porterebbe a delle interpretazioni discordanti e contraddittorie.

Domanda all’onorevole Mancini se mantiene la sua proposta.

MANCINI dichiara di aver chiesto di aggiungere le parole «e fascista» per provocare almeno una discussione in proposito. Dopo le affermazioni di perfetta fede antifascista e di condanna al fascismo, sicuro che con l’espressione che si voterà si intendono escludere nel modo più severo le associazioni a carattere fascista, dichiara di non insistere nella sua proposta.

PRESIDENTE mette ai voti la formula proposta dall’onorevole Moro: «Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare sono vietate».

MORO precisa che per organizzazione militare deve intendersi una struttura sostanziale di carattere militare, e che questa formula non deve comprendere le organizzazioni che adottino soltanto forma ma non sostanza militare.

MANCINI dichiara di accettare la formula proposta dall’onorevole Moro, aderendo ai chiarimenti che l’onorevole Moro ha così sentitamente formulato.

(La proposta Moro è approvata all’unanimità).

PRESIDENTE constata che l’intero articolo risulta approvato nei seguenti termini:

«Il diritto di associarsi, senza autorizzazione e per fini che non contrastino con le leggi penali è riconosciuto a tutti».

«Le associazioni che perseguono fini politici mediante un’organizzazione militare sono vietate».

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Dossetti, Iotti Leonilde, Merlin Umberto e Togliatti.

MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

12.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Moro – Marchesi – Mastrojanni – Lucifero – Lombardi Giovanni – Mancini – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – De Vita – Grassi – Cevolotto – Caristia – Corsanego.

La seduta comincia alle 11.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente la discussione si era fermata sulla formula da lui proposta per la seconda parte dell’articolo 2-bis: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge», e che su di essa si era giunti ad un accordo di massima da parte di tutti i Commissari ad eccezione dell’onorevole Dossetti, cui si era unito anche l’onorevole Basso; se non che, dopo la seduta, gli onorevoli Basso e Dossetti gli dichiaravano di accettare la sua formula.

Propone perciò di votare le proposizioni già esaminate, salvo a passare poi all’esame delle altre proposte di articoli depositate alla Segreteria, che fissano posizioni diverse da quelle già approvate, o fanno delle aggiunte a titolo di svolgimento e completamento del pensiero contenuto nelle prime proposizioni.

Richiama l’attenzione dell’Assemblea dopo che sarà stato approvato per intero questo articolo sul piano della discussione che era stata avviata e interrotta salvo ad esaminare le nuove proposte contenute in questi nuovi articoli e a dare, se saranno approvati, una posizione ad essi, in relazione logica con quelli che eventualmente fossero stati approvati in precedenza.

Rilegge la parte già approvata:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome» e avverte che a questo punto, secondo la sua proposta, dovrebbe aggiungersi la seguente dizione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

La mette ai voti.

MORO dichiara che voterà favorevolmente alla proposta del Presidente. Richiama però l’attenzione della Commissione su ciò che era stato proposto dai due relatori, i quali, modificando lievemente la formula del Presidente, avevano proposto di stabilire che «i casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge». Ritiene che una formula del genere sia la più adatta.

Propone quindi di fare in primo luogo un’affermazione di carattere generale così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge»; e di mettere poi come eccezione: «Nessuno può èssere privato della cittadinanza per motivi politici».

PRESIDENTE dubita sulla opportunità di iniziare una discussione su questa proposta.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula suggerita dal Presidente. Fa presente però quanto ebbe a rilevare nella seduta precedente, in ordine alle sue preoccupazioni per il significato lato che può rivestire il concetto di motivo politico.

LUCIFERO dichiara di non poter accettare nessuna delle due formule proposte sia dall’onorevole Moro, sia dal Presidente, perché crede che la formula migliore sia quella proposta dall’onorevole De Vita nella precedente seduta, in base alla quale si stabiliva che la cittadinanza non si può perdere se non per acquisto di un’altra.

Fa sue le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni, che, cioè, i motivi politici sono talmente vasti che vi si può far entrare qualunque ipotesi. Invita, se si voterà favorevolmente questa dizione, di chiarirla bene, altrimenti il problema non sarà risolto.

PRESIDENTE fa presente che tutti furono unanimi nel ritenere che alla formula si dovesse dare una specifica chiarificazione: motivi di partito, di opinione politica, di fazione, ecc.

LUCIFERO osserva che tale interpretazione dovrebbe essere inserita nel testo della Costituzione, e non soltanto inclusa nel verbale. Quando il legislatore farà le leggi in applicazione della Costituzione, o il magistrato farà le sentenze in applicazione della legge o della Costituzione, non terrà conto del verbale della Sottocommissione, ma si atterrà alla lettera del testo che avrà sotto gli occhi.

PRESIDENTE fa rilevare che il legislatore dovrà tener conto anche dello spirito della Costituzione.

LUCIFERO replica che il legislatore ne terrà conto solo quando gli farà comodo. Domanda che si trovi il modo di formulare questa specificazione, fermo restando che, personalmente, egli è contrario alla proposta del Presidente, in quanto ritiene che la cittadinanza non possa in nessun caso essere tolta.

LOMBARDI GIOVANNI insiste sulla formula da lui indicata fin dal primo momento: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge». Desidera che resti fissato in primo luogo il fatto che non si può togliere la cittadinanza per motivi politici, perché questo importa stabilire non solo dal punto di vista storico, ma anche legislativo, a causa degli ultimi anni di fascismo, in cui fu tolta la cittadinanza e perfino furono tolti gli averi a chi era andato fuori dell’Italia. È una affermazione di libertà repubblicana, a cui tiene soprattutto per venire incontro ai molti dubbi manifestati.

Avverte però che, in subordinata, aderisce alla proposta del Presidente.

MARCHESI si dichiara favorevole alla formula proposta dal Presidente. Fa osservare all’onorevole Moro che è importante che i motivi politici abbiano un posto dominante nella formulazione dell’articolo. È d’avviso anzi che si possa anche eliminare l’ultima parte della formula, inquantoché dire che nessuno può essere escluso dalla cittadinanza per motivi politici, implica che la cittadinanza stessa può essere perduta per altri motivi disposti dalla legge.

Avrebbe preferito che fosse lasciata come una gemma solitaria quella parte riguardante l’esclusione dei motivi politici, come eventuale causale della perdita della cittadinanza. Desidera che in verbale sia messo che egli vota questo articolo col proposito che la libertà politica del cittadino non sia in alcuna maniera menomata, né limitata oltre e dentro i confini della Patria.

MANCINI dichiara di aderire pienamente al concetto svolto dall’onorevole Marchesi.

MASTROJANNI propone la seguente formulazione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».

PRESIDENTE riassume la situazione molto complicata a cui è giunta la discussione, per quanto riguarda la forma e non per quanto riguarda la sostanza.

Fa presente che la proposta più radicale è quella dell’onorevole De Vita, il quale propone si dica: «Non si può perdere la cittadinanza senza l’acquisto di un’altra». Tale proposta, quindi, deve essere votata per prima. Chiede il parere dei relatori.

BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di accettare la formulazione proposta dal Presidente.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta De Vita.

MORO dichiara che voterà contro la proposta perché non tiene conto di nessuna delle due esigenze che si è cercato di far valere: escludere, cioè, la perdita della cittadinanza per motivi politici e stabilire che soltanto la legge possa sancire la perdita della cittadinanza.

(La proposta è respinta).

PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dell’onorevole Moro così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge. Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».

(La proposta è respinta).

Mette ai voti la prima parte della formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».

DE VITA dichiara di votare contro perché ritiene che non si debba in nessun caso privare il cittadino della cittadinanza.

(La prima parte della formula proposta dal Presidente è approvata – Voti favorevoli: 11 – Voti contrari: 3).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, aggiuntiva alla proposizione testé approvata.

MARCHESI crede che dovrebbe avere la precedenza la sua proposta, di fermarsi cioè alla proposizione già approvata.

PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Marchesi propone che la dizione dell’articolo si limiti alla prima proposizione, sopprimendo la seconda. Fa presente peraltro che l’onorevole Marchesi ha dichiarato che, ove il voto dell’Assemblea non accogliesse la sua proposta, egli è disposto a votare anche la seconda proposizione.

BASSO, Relatore, ritiene più opportuno votare anche la seconda parte dell’articolo, per la garanzia del cittadino. Perché tale garanzia sia completa, è necessario affermare che un atto così importante come la perdita della cittadinanza non può essere regolato in via amministrativa, ma soltanto a mezzo della legge.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Marchesi.

(La proposta non è approvata – Voti favorevoli: 3 – Voti contrari: 11).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di aggiungere dopo le parole, «nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici», le altre «a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».

BASSO, Relatore, dichiara che voterà contro questa proposta che si risolve in una casistica pericolosa. Se fosse accettata, si verrebbe praticamente a distruggere tutto il senso che si vuole dare all’espressione.

MORO si associa, per le stesse ragioni, all’onorevole Basso nel respingere la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni.

(La proposta è respinta – Voti favorevoli: 1 – Voti contrari: 13).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta da lui presentata di aggiungere dopo le parole: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici» le altre «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».

(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).

Ricorda che nella seduta precedente l’onorevole Lombardi aveva proposto che l’articolo 2-bis fosse collocato subito prima dell’articolo 2 e dopo l’articolo 1, e cioè diventasse articolo 1-bis.

Propone a questo proposito che le questioni riguardanti il collocamento degli articoli siano esaminate dalla Commissione alla fine dei suoi lavori. Domanda all’onorevole Lombardi se è d’accordo.

LOMBARDI GIOVANNI è d’accordo.

LA PIRA, Relatore, dichiara di aderire anch’egli alla proposta del Presidente.

PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 2-ter, il quale ad una prima proposizione già approvata in un precedente articolo: «Nessuno può essere privato del proprio nome», aggiunge una seconda proposizione che contiene disposizioni per quanto riguarda i titoli nobiliari.

Osserva che la questione dei titoli nobiliari era stata prevista dai due Relatori che avevano proposto due formule diverse. L’onorevole Basso aveva proposto la seguente formulazione: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome». La formula dell’onorevole La Pira diceva invece: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi».

MORO, prima di passare alla discussione dell’articolo 2-ter, desidera ricordare che egli aveva proposto di staccare la prima formulazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto» e farne un articolo a sé il quale esprima il punto di vista della Costituzione sul problema della capacità giuridica. D’accordo con l’onorevole La Pira e con l’onorevole Basso, proporrebbe poi di integrare l’articolo 2-bis, in cui è contenuta la proposizione: «Ogni uomo è soggetto di diritto», con un’altra dichiarazione riguardante il problema della personalità giuridica degli enti.

Sottolinea inoltre l’opportunità di distinguere l’articolo riguardante la capacità giuridica dagli altri due riguardanti il problema del nome e il problema della cittadinanza. Tanto più che l’articolo riguardante il nome viene ad essere integrato da alcune necessarie disposizioni in materia di titoli nobiliari e di onorificenze.

Pertanto propone di scindere l’articolo 2-bis in tre articoli.

PRESIDENTE fa osservare che l’articolo 2-bis è stato discusso e approvato in una determinata espressione. Si può ora discutere la proposta aggiuntiva dell’onorevole Moro; ma la posizione formale o logica più appropriata di questa espressione aggiuntiva sarà definita in sede di coordinamento e di collocamento degli articoli: L’articolo 2-bis è stato già approvato con quella determinata forma e pertanto andrebbe lasciato così come è.

MORO fa presente alla Commissione che non presenta una proposta nuova, ma soltanto richiama una sua vecchia proposta, che era stata accantonata. Questa proposta è ora tanto più valida in quanto, attraverso le discussioni, è apparso opportuno scindere le due questioni della capacità giuridica e del diritto al nome.

PRESIDENTE insiste sulla sua proposta di riservare la questione del collocamento al momento opportuno. Ciò non pregiudica in nessun modo l’ulteriore esame dei concetti nuovi che l’onorevole Moro ha proposto, con le sue proposizioni aggiuntive. Per il momento non ritiene sia il caso, anche per regolarità di procedura, ritornare a discutere sull’articolo che è stato già approvato, anche se si tratta del collocamento di qualche proposizione aggiuntiva.

Crede che l’onorevole Moro sia d’accordo su questo concetto e che quindi si possa passare a discutere l’altra proposta fatta dall’onorevole Moro, d’accordo con i Relatori Basso e La Pira, e cioè di inserire nell’articolo 2-bis la proposizione seguente: «Agli enti spetta, nelle condizioni previste dalla legge, la personalità giuridica».

MORO dichiara di ritenere che questa proposizione sia un necessario completamento della dichiarazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto». Ogni ordinamento giuridico riconosce la personalità di diritto non solo all’uomo ma anche agli enti, cioè alle associazioni che vengono chiamate «corporazioni e fondazioni». Anche in questo caso si verte in quel tema del riconoscimento di diritto fatto al singolo da parte dello Stato e garantito dalla Costituzione. Quando si afferma che agli enti, costituiti secondo la forma prevista dalla legge, spetta la personalità giuridica, si riconosce non solo il fondamentale diritto alle associazioni di avere una personalità giuridica, ma anche il diritto di dare vita agli enti che abbiano quegli strumenti di attività nell’ambito della vita sociale e giuridica dello Stato. Si ha quindi il riconoscimento della personalità e la possibilità per questi enti di funzionare come un tutto per fini privati.

LOMBARDI GIOVANNI domanda che vengano specificati questi enti. Infatti, dire, per esempio, «enti di diritto pubblico», potrebbe anche essere ammesso; ma dire soltanto enti in generale gli sembra eccessivo.

MORO osserva che, quando si dice che questi enti devono essere nelle condizioni previste dalla legge, non si intende dire enti in generale. Tutte le volte nelle quali sussistano fondate ragioni per ritenere che un determinato ente si debba considerare come un tutto a sé, lo Stato non può rifiutare di concedere a questo il riconoscimento giuridico.

GRASSI ritiene che sia inutile aggiungere una proposizione che riguardi gli enti. Non vi è dubbio che quando vi siano delle determinate condizioni, gli enti debbono essere riconosciuti dallo Stato. C’è dunque la legge che li riconosce. Nella Costituzione si debbono affermare soltanto quei concetti che sono essenziali veramente. Quando si afferma che l’uomo è soggetto di diritto si afferma un principio universale. Per quanto riguarda gli enti, invece, è chiaro che la legge dovrà riconoscere quando sussistono quelle determinate condizioni che ne ammettano il riconoscimento.

LA PIRA, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul contenuto della relazione Mortati, in cui si affermava, quanto ai diritti di libertà propri della persona fisica e comuni alla persona giuridica, la necessità di sancire alcuni di quei diritti specifici alla persona giuridica, e primo tra questi il diritto al conseguimento della personalità giuridica. L’affermazione di tale diritto deve muovere dalla considerazione della natura propria dell’atto di riconoscimento, da intendere secondo una recente tendenza non come un atto di concessione, bensì come un atto tale da far sorgere un vero diritto alla sua emanazione.

Il problema è questo: quando nella Costituzione si afferma che gli enti hanno diritto al riconoscimento della loro personalità giuridica, si afferma che non si tratta di una concessione da parte dello Stato, ma di un diritto originario che quindi è un atto dovuto dallo Stato. Pertanto sorge la necessità di affermare questo principio nella Costituzione.

MARCHESI osserva che si tratta di un diritto originario, ma condizionato.

LA PIRA, Relatore, replica che si tratta appunto di riconoscere la originarietà di questo diritto e la sua natura di non concessione da parte dello Stato.

DE VITA ritiene opportuno che sia lasciata alla dottrina la soluzione di questo dibattutissimo problema della personalità giuridica degli enti collettivi. Si tratta di materia di legislazione ordinaria che non deve essere disciplinata nella Costituzione.

PRESIDENTE fa rilevare che la preoccupazione della Sottocommissione è quella di poter arrivare possibilmente ad una precisazione di questi enti. Prega pertanto l’onorevole Moro di voler dare una precisazione in questo senso.

MORO ribadisce il punto di vista già enunciato, affermando il diritto di libertà in merito alla concessione della personalità giuridica agli enti collettivi. Da un lato si garantiscono queste naturali formazioni umane che perseguono i fini più diversi, e possono perseguirli soltanto in quanto, oltre ad essere riconosciuto il diritto agli uomini di associarsi, viene riconosciuto ad essi anche il diritto ad agire in modo compatto attraverso quelle entità unitarie che sono le persone giuridiche. Dall’altro lato, si garantisce inoltre il diritto di libertà individuale, in quanto tra le libertà individuali vi è, oltre quella di essere riconosciuti personalmente come soggetti di diritto, anche quella di dar vita ad un soggetto di diritto di natura collettiva il quale naturalmente sarà sempre al servizio della persona umana.

Per quanto riguarda la precisazione degli enti, non gli pare che sia questa la sede: si può dire in ogni modo che le corporazioni e le fondazioni sono le due categorie fondamentali di questi enti giuridici. Così pure non gli sembra opportuno voler specificare gli enti di diritto pubblico e quelli di diritto privato. Comunque, si può dire che, per quanto riguarda il diritto privato, sarà la legge stessa che li specificherà; nell’ambito del diritto pubblico li specificherà la Commissione stessa quando parlerà dei comuni, dei partiti, e definirà in qual senso si deve intendete questa personalità giuridica.

Per quanto riguarda l’altra osservazione che, aggiungendo questa proposizione, non si fa altro che un rinvio alle leggi, non gli sembra che essa sia fondata. Egli ha inserito nella sua formula la espressione: «nelle condizioni previste dalla legge», perché si deve ritenere che lo Stato abbia il diritto di controllare se sussistano i motivi sufficienti per attribuire agli enti la personalità giuridica.

Lo Stato può fissare delle condizioni per questo riconoscimento; ma non può negare la personalità giuridica agli enti che lo meritano. Si affidano allo Stato i necessari poteri di controllo, ma gli si sottraggono poteri arbitrari dicendo che esso deve riconoscere gli enti tutte le volte che sussistano queste condizioni.

CEVOLOTTO non ritiene che ci sia bisogno di questa proposizione per garantire la personalità giuridica agli enti. Quando si obbliga il legislatore a riconoscere le persone giuridiche nei limiti della legge che sarà fatta, si dice una cosa inutile. Si capisce che, per forza di cose, questo riconoscimento ci sarà.

DE VITA ritiene che, nel caso degli enti collettivi, non si tratti di una realtà fisica, umana, ma di una finzione della personalità giuridica.

Dichiara pertanto di essere contrario alla proposta dell’onorevole Moro e dei relatori.

MASTROJANNI si dichiara anch’egli contrario alla proposta Moro. Non ritiene che sia il caso di fare un’enunciazione specifica degli enti nella Costituzione. Se la si facesse, si metterebbe in evidenza la necessità naturale dell’esistenza di queste associazioni, le quali potrebbero costituire un pericolo dal punto di vista politico. Si meraviglia che dopo l’esempio del fascismo, il quale attraverso il riconoscimento giuridico dei sindacati ha creato uno stato di cose le cui conseguenze oggi sono lamentate da tutti, si tenti – attraverso questa enunciazione complessa e un poco sibillina – di ripristinare un vieto sistema che tutti hanno condannato. Per queste ragioni voterà contro l’inciso suggerito dall’onorevole Moro e dai relatori.

LA PIRA, Relatore, all’osservazione dell’onorevole De Vita che le associazioni sono delle finzioni giuridiche, risponde che portando questo argomento si viene a toccare uno dei problemi fondamentali del diritto. Secondo una concezione che l’oratore accetta, le associazioni non sono delle finzioni: la personalità giuridica attribuita ad un ente non è una finzione giuridica. L’ente è una realtà sociale: è una realtà diversa dalla realtà individuale. Come la persona singola è fornita di diritti originari e quindi ha diritto al riconoscimento della personalità giuridica, lo stesso principio vale per le associazioni le quali non sono una finzione giuridica.

All’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, il quale si preoccupa che si voglia costituire uno Stato totalitario, dichiara che non si vuol costituire uno Stato totalitario, ma uno Stato pluralista, cioè uno Stato nel quale esiste la sfera giuridica dei singoli e la sfera giuridica degli enti, che è una sfera integratrice e sussidiaria dello Stato.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che l’osservazione dell’onorevole La Pira tende in sostanza a sostenere che gli enti dovrebbero avere la personalità giuridica de jure non juris tantum, cioè col riconoscimento dello Stato e quando concorrano le condizioni previste dalla legge. È questa una osservazione che aggrava la situazione, non la rende più limpida e più chiara, in quanto che gli enti possono avere fini diversi ed essere costituiti da associazioni, e queste associazioni possono essere di natura diversissima. Si potrebbe anche avere domani un’associazione contro lo Stato o contro la Chiesa. Ora a un’associazione di questo genere nessuno vieterà la libertà di pensare, di parlare e di difendere il proprio punto di vista ed i propri diritti, ma nessuno vorrà de jure concedere una personalità giuridica che possa metterla con eguali diritti e doveri contro lo Stato stesso. Tutto questo gli sembra non una concezione totalitaria, ma una concezione atomistica dello Stato, nella quale queste personalità giuridiche dei diversi enti concorrerebbero contro lo Stato alla attuazione del diritto.

Per conseguenza, se questa concezione non dovesse essere ritenuta superflua dato che ogni ente può chiedere, e con le condizioni di legge avere, la personalità giuridica, egli propone di aggiungere alla parola «enti» le altre «di diritto pubblico».

Né si può parlare di arbitrio dello Stato, perché col riconoscimento de jure lo Stato, più che essere l’arbitro, finirebbe per essere la vittima di queste diverse personalità giuridiche. È quello che è avvenuto nel passato. La storia non è soltanto quella del regime fascista, è anche quella medioevale.

MANCINI osserva che il fascismo non è storia, ma cronaca nera.

LOMBARDI GIOVANNI replica che è un fatto storico che vi siano stati sindacati con personalità giuridica, in quanto erano una filiazione diretta dello Stato: cioè, nell’atto che si concedeva loro la personalità giuridica, si svuotavano i sindacati del loro vero contenuto psicologico, morale e politico. Ora non si debbono fare di queste astrazioni e si deve poter concedere la personalità giuridica soltanto a quegli enti che, nelle condizioni previste dalla legge, lo Stato crede di poter ammettere nel novero delle personalità giuridiche. Ma una formula generica, col criterio della natività della personalità giuridica, non può che portare a gravi conseguenze.

Concludendo, dichiara di essere del parere che la proposizione sia soppressa, o che si parli solo di enti di diritto pubblico.

MANCINI ritiene che la questione abbia un doppio aspetto. Il primo aspetto è quello di decidere se la enunciazione illustrata dall’onorevole Moro sia da collocarsi in sede costituzionale. Il secondo aspetto riguarda le ragioni che giustificano l’enunciazione. L’onorevole Grassi si è opposto a che il principio venga inserito nella Costituzione e ne ha specificato le ragioni. Ad esso l’onorevole Moro e i Relatori hanno soltanto opposto le ragioni che giustificano l’enunciazione; ma non quelle che consigliano la inclusione nella Costituzione.

L’onorevole La Pira ha tentato timidamente di giustificare l’inclusione della enunciazione in sede costituzionale, perché in siffatto modo si afferma un «riconoscimento» e non una «concessione». Risponde subito all’onorevole La Pira che, quando nelle leggi dello Stato vi è una concessione, si intende che vi sia un riconoscimento. E allora, se la concessione è nelle leggi dello Stato, interessa nella Costituzione affermare soltanto il principio generale che riguarda la personalità umana.

La personalità giuridica degli enti sarà configurata o prevista dalle leggi speciali. Perciò si dichiara contrario all’inclusione nella Carta costituzionale dell’enunciazione proposta dai Relatori e dall’onorevole Moro.

BASSO, Relatore, dichiara che nelle prime sedute, quando si discusse la relazione La Pira dove si parlava ai questo diritto originario delle comunità, fu nettamente contrario alla enunciazione. Dichiara di rimanere dello stesso punto di vista. Se ha acceduto a questa formulazione, l’ha fatto con lo spirito con il quale crede che si debba lavorare, quello cioè di cercare una formula soddisfacente per tutti. D’altro lato, dubita che questa formulazione possa salvaguardare le preoccupazioni legittime di coloro i quali temono che si inserisca nella Costituzione l’affermazione di un diritto originario di queste comunità al di fuori dello Stato. Non condivide il concetto del diritto originario della comunità portato nella discussione dall’onorevole La Pira, a giustificazione dell’articolo proposto. L’onorevole La Pira ha citato l’opinione espressa nella relazione Mortati: dichiara di non condividere questo concetto ed afferma che non si deve in questa sede risolvere una questione giuridica.

Riconosce che questo tentativo transazionale tra le due opposte posizioni è inoperante e dichiara che personalmente è contrario al riconoscimento della personalità giuridica come esistente prima dello Stato.

Pensa peraltro che si possa trovare una formulazione che accontenti tutti, e propone la seguente: «Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti è disciplinato dalla legge».

CARISTIA ritiene che il concetto dei Relatori non sia quello di affermare un diritto che si vuol far nascere prima dello Stato, ma un diritto che sia come un prolungamento di quello che è il diritto dello stesso individuo ad essere riconosciuto. Se si ammette che deve esistere un diritto di associazione, come negare poi a queste associazioni il diritto ad essere riconosciute come persone giuridiche? Qui non si fa questione teorica, se cioè le persone giuridiche abbiano questa o quell’altra figura; si fa questione della opportunità di affermare o meno, in sede costituzionale, il diritto che gli enti siano riconosciuti da parte dello Stato. Naturalmente, questo dovrà avvenire sempre nei limiti consentiti dalla legge dello Stato stesso, il quale non potrà mai rinunciare al suo controllo su queste persone, anche quando esse siano soggetto di diritto. Ritiene perciò che si possa trovare una formula conciliativa per salvaguardare il diritto dello Stato e il diritto delle associazioni ad essere riconosciute come personalità giuridiche.

MORO dichiara di aderire alle precisazioni dell’onorevole Caristia e di voler aggiungere qualche chiarimento. Crede di non essere stato ben capito quando ha illustrato il significato della sua proposta. Ha sentito dire alcune cose che sono lontanissime e dalle sue intenzioni e dalla sostanza della questione. Ha sentito parlare di una concezione atomistica dello Stato, di enti che, essendo contro lo Stato, sarebbero riconosciuti come forniti di capacità giuridica; si sono fatti accostamenti ai sindacati fascisti e si sono confuse le idee circa la personalità giuridica. Rileva che la personalità giuridica è una cosa molto semplice, che non ha alcun sottinteso politico. Discutendo di personalità di enti di fronte allo Stato non si parla di comunità, di quelle che i cristiani chiamano comunità naturali: la famiglia, ecc. Qui si discute un problema tecnico: si tratta di definire se gli uomini possano associarsi per un fine superindividuale, e possano agire come entità completa, unitaria. Si tratta di definire se dei beni possano essere destinati ad uno scopo, e quindi creati come personalità giuridica. Nessun sottinteso giuridico e nessuna priorità di questi enti contro lo Stato, tanto è vero che si riconosce che lo Stato debba accordare ad essi personalità giuridica nelle condizioni disposte dalla legge.

Rispondendo all’onorevole Cevolotto circa la non necessarietà di una dichiarazione del genere nella Costituzione, osserva che con siffatta dichiarazione si afferma un principio che serve come criterio di orientamento per la legislazione dello Stato.

Anche nei riguardi dei diritti degli uomini come individui, è stato posto un principio generalissimo che orienta tutta la legislazione, ma non è stata privata la legge del suo potere di definire la sfera particolare nell’ambito della quale quella soggettività in concreto non può essere riconosciuta. Lo stesso si fa in questo caso. Si dice che lo Stato, fissando le condizioni per il riconoscimento della capacità giuridica, non può negarla a suo arbitrio. Non si afferma nessuna posizione di priorità nei confronti dello Stato; soltanto si dice che non solo viene lasciata all’uomo la personalità giuridica individuale, ma gli si riconosce il diritto di associarsi, di destinare beni, di ottenere in questa nuova forma di associazione, o destinazione di beni, un incremento di azione che è appunto la personalità giuridica.

Comprende l’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, che parte da una concezione individualistica, ma non giustifica le osservazioni di parte socialista. Con siffatta affermazione non si vuole riprendere la discussione sulle comunità, ma si chiede la personalità giuridica per alcuni enti quali quelli di beneficenza, per esempio, perché enti di diritto pubblico.

Conclude ripetendo che con l’affermazione riguardante gli enti non si va contro lo Stato. D’altra parte non si introduce lo Stato attraverso questo riconoscimento in ogni sfera privata; si riconosce soltanto una entità che agisce in maniera compatta nella vita giuridica.

PRESIDENTE domanda se c’è una proposta concreta da parte di coloro che hanno sostenuto la superfluità della norma in sede costituzionale.

CEVOLOTTO dichiara di fare una proposta concreta in tal senso e di ritenere che tale proposta abbia la priorità su tutto le altre nella votazione.

PRESIDENTE dichiara che la proposta di soppressione pura e semplice della formula, presentata dall’onorevole Cevolotto e sostenuta da altri componenti della Commissione, è la più radicale, e quindi ha diritto alla priorità nella votazione. Pertanto la mette ai voti.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

MORO dichiara di riservarsi di sollevare la questione in sede opportuna.

PRESIDENTE pone in discussione le proposte di formulazione dell’articolo che, per ora, avrà il numero d’ordine 2-ter.

Ricorda che vi è la proposta dell’onorevole Basso che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome». La proposta dell’onorevole La Pira invece è formulata in questi termini: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi.

BASSO, Relatore, fa rilevare che nel testo da lui proposto si dice espressamente: «I titoli nobiliari sono aboliti». Nel suo concetto, perciò, colui che oggi è principe perderà il titolo di principe, ma conserverà il predicato. Nel concetto della formula proposta dall’onorevole La Pira non vi è questa affermazione di abolizione del titolo.

LA PIRA, Relatore, precisa di aver fatta sua la formula della Costituzione di Weimar. Poiché i titoli nobiliari non sono più fondamento di privilegi o di diritti oggi, o tanto meno lo saranno domani, non vi è nessuna difficoltà ad ammettere che il titolo di conte, principe o marchese possa restare. E ciò anche per una ragione di Delicatezza politica: esistono infatti in Italia molti casati nobili; non v’è nessuna ragione giuridica o politica che costringa ad abolirli formalmente.

LUCIFERO ritiene che la formula dell’onorevole La Pira sia la migliore. Nello stato giuridico del diritto nobiliare italiano il titolo fa parte integrante del nome: tant’è vero che determinati atti pubblici si debbono firmare con il titolo. Per ragioni anche di indole pratica, crede che il titolo, come parte integrante del nome, dovrebbe essere mantenuto. Fa presente quello che succede in Paesi deve i titoli nobiliari sono stati aboliti. In Francia, per esempio, vi è un pullulare di nobili come non si è visto in nessun altro paese. E in questo Paese si verifica anche l’inconveniente che, non potendo più essere perseguibile chi abusivamente porta un titolo, a molti lestofanti si rende facile spacciarsi per nobili e crearsi una carta di visita che permette di commettere azioni poco pulite. Quando si stabilisce che il titolo per legge fa parte integrante del nome, ci si difende da questo pullulare incontrollato di persone, che approfittano della situazione per infiltrarsi non solo nell’ambiente di società, ma per commettere azioni disoneste. Per tali ragioni dichiara di accettare la formula dell’onorevole La Pira. D’altra parte, visto che i titoli non portano più nessun privilegio, mentre se sono aboliti portano un privilegio a favore degli sfruttatori, inserire il titolo vicino al nome sarebbe una disposizione pratica che rispetterebbe anche un diritto acquisito.

CEVOLOTTO dichiara che, come democratico, non può che essere favorevole alla abolizione dei titoli nobiliari. L’unica perplessità è una perplessità di indole politica. Con questa abolizione si finirà col portare tutta una classe abbastanza numerosa a diventare, anche se oggi sarebbe disposta a farsi repubblicana, strettamente monarchica, nella speranza di riavere i titoli nobiliari perduti.

Osserva però che la formula proposta dall’onorevole La Pira, se si dovesse venire all’abolizione del titolo, non lo soddisfa perché rappresenta una via di mezzo, peggiore della soluzione radicale. Tale formula inoltre, nell’esecuzione pratica, porterebbe forse ad una situazione peggiore della presente, perché vi sono dei titoli che si ereditano per linea primogenita, o che sono conferiti solo a tutti i discendenti maschi. Quando si stabilisca che il titolo è parte integrante del nome, tutti i figli lo erediterebbero, anche quelli che non avrebbero potuto ereditarlo in base alla legge precedente. D’altre parte, se si volesse modificare questo diritto successorio si dovrebbe mantenere la Consulta araldica, e quindi tutta la bardatura del diritto nobiliare che si vuole abolire. Quindi, o si mantiene, per una ragione di opportunità politica, il titolo nobiliare con la disciplina che deve avere secondo il diritto nobiliare, oppure lo si abolisce del tutto.

LOMBARDI GIOVANNI sottolinea la necessità di tener presente l’importanza della rivoluzione compiutasi. Non si è voluta fare una Repubblica all’uso di Gioberti, ma una Repubblica all’uso di Mazzini. Questa repubblica non deve tollerare che permangano delle cariatidi del passato che hanno ricevuto il titolo nobiliare in epoca remotissima. Né ci si può attardare sulle preoccupazioni esposte da alcuni oratori circa la possibilità che dei truffatori, in caso di abolizione, si servano di titoli inventati da loro; ad essi penserà il Codice penale. Per queste ragioni si dichiara contrario alla conservazione dei vecchi titoli, e non può accettare neppure la formula proposta dall’onorevole Basso, che è una formula monca.

È stato affermato che molti titoli hanno una storia: egli per contro afferma che questi rimasugli di una storia superata dalla vittoriosa Repubblica offenderebbero il nostro sentimento. Propone che si dica soltanto: «I titoli nobiliari sono aboliti e non ve ne possono essere più».

MASTROJANNI osserva che, nella questione dei titoli nobiliari, si verte più in tema demagogico, che in tema costituzionale. L’abolizione dei titoli nobiliari presuppone una preoccupazione di permanente soggezione a chi è fornito di un titolo da parte di chi non lo possiede. Ora questo presupposto, dal quale non si può prescindere per giungere alla conclusione voluta da alcuni oratori, è offensivo per l sensibilità del popolo italiano, il quale nella persona titolata non vede che un uomo come lui, che ha un titolo, ma non ha alcun privilegio. Ritiene che una Repubblica democratica quale è quella italiana, la quale si preoccupa di una questione così sottile e in nome della democrazia e della libertà viene a distruggere quello che è un diritto acquisito per legge, sia in contraddizione con se stessa.

Va bene stabilire che i titoli nobiliari sono aboliti per l’avvenire; ma giungere al punto di togliere quello che costituisce un patrimonio spirituale, avrebbe il valore di una patente lesione della libertà individuale da parte di chi ne ha affermato i sacri principî.

Propone perciò che nella Costituzione non si parli affatto della questione dei titoli nobiliari; e che, in via subordinata, se non si ritiene opportuno omettere del tutto la questione stessa, si provveda per l’avvenire, ma si lasci integro quello che è un patrimonio già acquisito.

MARCHESI rileva che i Relatori concordano nell’abolire la distinzione di casta nobiliare la quale, se oggi non costituisce un privilegio, rappresenta una lunga storia di privilegi. Se si dovessero mantenere i titoli nobiliari, data la molteplicità dei titolati, si verrebbe a mantenere la casta; si dichiara quindi favorevole alla formula dell’onorevole Basso e non a quella dell’onorevole La Pira.

Se la Repubblica vuole abolire queste distinzioni di casta, è bene che esse siano abolite di fatto e non di nome, perché le concessioni nobiliari in Italia, specie in talune contrade, sono numerosissime e il titolo di barone, di conte e di principe, specialmente in Sicilia, ha il suo valore. Insomma si tratta di svincolare una gran parte della popolazione minuta di talune contrade italiane, non da un privilegio effettivo, ma da una soggezione che è realmente esistente.

Accetta perciò la formula proposta dall’onorevole Basso.

CARISTIA dichiara che voterà la formula proposta dall’onorevole La Pira, in quanto, pur essendo persuaso che nella Repubblica la prima legge è quella dell’uguaglianza, e pertanto non debbono esistere caste nobiliari, non può non restare perplesso circa l’abolizione dei titoli, soprattutto per le ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto. Si domanda se proprio in questo momento sia assolutamente necessario andare contro una classe la quale in sostanza è perfettamente innocua. La Repubblica è ben salda e non ha bisogno certo di essere rafforzata con siffatte abolizioni.

È stato detto che questi nobili possiedono un privilegio, anzi rappresentano una collana di privilegi antecedenti; ma non vede in che cosa consistano praticamente, questi privilegi. Non si deve dare soverchia importanza alla situazione che può riscontrarsi in alcune piccole contrade d’Italia. Ritiene che ci si debba mettere su di un terreno di opportunità, e domandarsi se sia il caso di abolire i titoli che già esistono. Per l’avvenire, invece, è chiaro che essi non dovranno più essere concessi.

MANCINI ritiene che l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica. Se così fosse, non la voterebbe. Essa, invece, è la conseguenza logica, politica dell’ordinamento democratico repubblicano oggi vigente. E la prova che non sia demagogica è data ad esuberanza dai ricordi storici. La Rivoluzione francese abolì i titoli nobiliari, e la Rivoluzione francese non faceva demagogia. La Repubblica di Weimar, di cui l’onorevole La Pira ha riportato integralmente l’articolo, non fece della demagogia. Rammenta che in una pagina di Giuseppe Mazzini sta scritto che: «la sola nobiltà che si ha il dovere di rispettare è la nobiltà dell’ingegno e del lavoro». Bastano queste parole per indicare a tutti gli oppositori come l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica.

Fa presente inoltre che il Consiglio dei Ministri ha abolito il titolo e l’attributo di Eccellenza, che non è un titolo nobiliare, ma un attributo conquistato da colui che è eccelso per virtù d’ingegno e di lavoro. Se, dunque, è stato abolito l’attributo di Eccellenza, come si può mantenere in vita il titolo di nobiltà conquistato dalla violenza delle armi o dai favoritismi regi?

Si dichiara perciò favorevole all’abolizione pura e semplice del titolo nobiliare, come conseguenza legittima dell’ordinamento repubblicano.

GRASSI è d’accordo circa l’abolizione del titolo come conseguenza dell’ordinamento repubblicano. Fa però osservare che il titolo ormai fa parte integrante del nome, è scritto nello stato civile, nel catasto, ecc., e quindi la persona che porta il titolo è seguita da tutta una situazione particolare. Perciò il titolo, anche se abolito, deve restare a far parte del nome; altrimenti si dovrebbe stabilire una legge per togliere nello stato civile, nel catasto, ecc. tutte le intestazioni fatte a quel nome.

Si dichiara pertanto favorevole alla formula proposta dall’onorevole La Pira.

MARCHESI fa presente la necessità di chiarire, nel caso in cui venga mantenuto il titolo, se ne mantiene anche la trasferibilità.

PRESIDENTE propone di votare anzitutto la proposta dell’onorevole Mastrojanni il quale, pur non dichiarandosi contrario all’abolizione dei titoli nobiliari, ritiene inopportuno far parola di tale questione in sede di Costituzione.

LUCIFERO fa presente che è perfettamente inutile stabilire che per l’avvenire non si concedono titoli nobiliari, una volta venuta meno la fonte dalla quale essi emanano.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, il quale ritiene che non sia assolutamente necessario, anzi che sia inopportuno, parlare della questione in sede costituzionale.

(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli e 12 contrari).

Poiché ritiene che tutti siano d’accordo sul principio che per l’avvenire i titoli nobiliari devono essere aboliti, propone che sia votata anzitutto la proposizione in cui è detto: «Per l’avvenire i titoli nobiliari non possono essere concessi».

CEVOLOTTO ritiene che giuridicamente prima di tutto vada posta la questione se i titoli nobiliari debbano essere aboliti o meno; poi sarà votata l’altra questione se debbano esserne concessi dei nuovi.

GRASSI dichiara che voterà in favore della abolizione, con l’intesa che si provveda con apposita disposizione per quanto riguarda il passato.

PRESIDENTE fa osservare che, se si mette in votazione una formula la quale stabilisca che per l’avvenire sono vietati i titoli nobiliari, si ha l’unanimità.

BASSO, Relatore, prega di voler mettere ai voti più che l’articolo, il concetto. Dichiara che, se la sua proposta venisse respinta, egli non accederebbe in subordinata alla formula proposta dall’onorevole La Pira, perché ritiene che essa peggiorerebbe la situazione portando come conseguenza una inflazione dei titoli nobiliari, che verrebbero ereditati, come è già stato osservato, non soltanto dal primogenito, ma da tutti i figli, e anche dalle donne. Inoltre si verrebbe a stabilire con una norma costituzionale che questi titoli non possano essere toccati, tanto che, se in futuro si volesse abolirli, si dovrebbe modificare la Costituzione. Perciò ritiene che, ove non si approvi la sua formula, è meglio non parlare della questione dei titoli in sede costituzionale.

Fa presente che l’articolo della Costituzione di Weimar, citato dall’onorevole La Pira, aveva un senso in quanto in Germania il titolo conferiva dei privilegi, mentre in Italia i privilegi sono stati aboliti da tempo.

Conclude dichiarando che bisogna in primo luogo vedere se la Sottocommissione è d’accordo sul principio che i titoli nobiliari debbano essere aboliti e che ne resti soltanto il predicato connesso col nome. Se questo concetto non è approvato, ritiene che non si possa ulteriormente discutere.

GRASSI fa osservare all’onorevole Basso che il predicato, conservato con la formula da lui proposta, andrebbe a tutti gli eredi.

BASSO, Relatore, è d’accordo, ma osserva che non andrebbe agli eredi il titolo.

GRASSI replica che è la stessa cosa.

LOMBARDI GIOVANNI fa presente che, di fronte alle tante difficoltà che nascerebbero sia dalla proposta Basso sia da quella dell’onorevole La Pira, egli e l’onorevole Mancini hanno proposto di dire semplicemente: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Chiede che su questa proposta sia fatta la votazione.

PRESIDENTE fa presente che, poiché tutti sono d’accordo per quanto riguarda l’avvenire, occorre solo trovare una formula che accomuni i vari pareri, e che sia chiara nell’interpretazione del legislatore.

Appare invece difficile intendersi per quanto riguarda il passato.

BASSO, Relatore, fa notare che la proposta di limitare l’accenno in sede costituzionale all’avvenire è superflua, come osservava anche l’onorevole Lucifero. Caduta la monarchia, se si afferma espressamente nella Costituzione che la Repubblica non può conferire dei titoli, si intende che essi sono senz’altro aboliti.

MANCINI chiede che la proposta fatta da lui e dall’onorevole Lombardi sia votata per appello nominale.

CEVOLOTTO ripete che, con la formula dell’onorevole La Pira, i titoli nobiliari saranno moltiplicati, sia pure con il semplice valore di nome, e per il pubblico continueranno ad essere titoli nobiliari, come avviene per il titolo di Eccellenza, che è stato abolito e si continua a usare.

Prega perciò l’onorevole La Pira di voler riflettere sugli inconvenienti che presenta la sua proposta.

MARCHESI chiede la chiusura della discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi.

(È approvata).

PRESIDENTE fa presente alla Sottocommissione che arrivando all’adozione di una delle due proposte dei relatori si rischia di creare una sperequazione che non gli sembra opportuna. Perciò si domanda se non sia il caso di riproporre la formula dell’onorevole Mastrojanni. Comunque è propenso a fare la proposta formale che non si dica nulla nella Costituzione per quanto riguarda i titoli nobiliari del passato, e che si stabilisca per l’avvenire che i titoli nobiliari sono aboliti e non se ne possono più concedere.

MANCINI, sottolinea che il silenzio in ordine ai titoli nobiliari significa implicitamente riconoscerli. Invece egli e l’onorevole Lombardi intendono non riconoscerli, in omaggio alla loro fede repubblicana e democratica progressiva.

MORO propone l’abolizione completa della questione dei titoli nobiliari nella Costituzione.

PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Moro, mirante a sopprimere la questione dei titoli nobiliari nella Costituzione, è più radicale di quella dell’onorevole Mancini, appartenendo ad un ordine di proposte pregiudiziali. Pertanto la dovrebbe mettere in votazione per prima.

BASSO, Relatore, osserva che la proposta dell’onorevole Moro non fa che riproporre quella dell’onorevole Mastrojanni che è stata già votata e respinta, e pertanto non ritiene che debba essere votata una seconda volta. Chiede che la votazione avvenga prima sulla formula dell’onorevole Mancini alla quale dichiara di aderire.

MARCHESE prega l’onorevole Moro di non insistere nella sua proposta, perché essa potrebbe riproporsi per moltissimi articoli che saranno esaminati dalla Commissione, e sarebbe allora molto pericoloso stabilire il principio che si possa sempre votare per una proposta pregiudiziale di questo genere.

MORO dichiara di ritirare la sua proposta, poiché egli ne faceva soltanto una questione di opportunità. Insiste però nella sua opinione che la Costituzione, in ogni modo, debba dare una giusta regolamentazione per i titoli nobiliari del passato.

MANCINI osserva che in tal caso si dovrebbero riconoscere anche i malfamati titoli nobiliari concessi dal regime fascista. Insiste nel chiedere che la sua formula sia votata per appello nominale.

PRESIDENTE chiede alla Commissione se non sia opportuno riesaminare la questione per vedere di trovare, d’accordo con i relatori, una formula che possa eliminare ogni perplessità.

MANCINI dichiara di non avere, per suo conto, alcuna perplessità; anzi di essere soddisfatto di tale doverosa depennazione, che annulla un privilegio di nascita, sovente mortificato dalle discendenze.

GRASSI rileva che, per quanto riguarda la prima proposizione, i titoli nobiliari cioè debbano essere aboliti, non esiste nessuna divergenza. I pareri sono discordi invece sulla parte che segue, poiché, mentre uno dei Relatori, affermando che i titoli sono aboliti, vuole conservare solo i predicati, l’altro vorrebbe conservare i titoli ed i predicati. Crede che si potrebbe trovare una conciliazione tra questi due punti di vista. Riallacciandosi alle situazioni storiche e giuridiche del nome e cognome, dato che il titolo fa parte del nome e del cognome, si potrebbero congiungere le due proposte, dicendo che gli attuali titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome. Si dovrebbe cioè dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Poi invece di dire: «I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome», dire: «Quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome».

LA PIRA, Relatore, dichiara di poter accettare la formula dell’onorevole Grassi.

CEVOLOTTO propone che sia messa ai voti quella parte sulla quale sono tutti d’accordo e che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Successivamente si potrà votare la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi, più radicale, che mira a non aggiungere altre proposizioni. Se la proposta Mancini e Lombardi fosse respinta, si dovrebbe passare alla formula dell’onorevole Basso o a quella dell’onorevole La Pira.

LOMBARDI fa rilevare che uno dei Relatori, l’onorevole Basso, ha già rinunciato alla sua proposta ed ha aderito a quella formulata da lui e dall’onorevole Mancini.

BASSO, Relatore, esprime il parere che si debba votare la prima proposizione; poi si discuterà sul resto.

MASTROJANNI crede che non si possa votare isolatamente la prima proposizione, in quanto essa non può essere scissa dalla seconda. La sua coscienza sarà tranquillizzata, nel caso dell’abolizione, solamente quando sia garantita la sorte dei nobili per l’avvenire.

BASSO, Relatore, osserva che, poiché sono tutti d’accordo per l’abolizione pura e semplice nel futuro, votare la prima proposizione vuol dire abolire i titoli esistenti. Chi non è d’accordo voterà contro.

GRASSI osserva che, per logica di cose, i due concetti sono connessi. Bisognerebbe mettere prima ai voti la soppressione della seconda parte, dopo di che rimarrebbe la prima.

Sull’ultima parte dell’articolo non si è trovato un accordo; occorre perciò trovare una formula di compromesso.

MANCINI insiste perché sia messa ai voti la sua proposta, che è assorbente di tutte le altre subordinate.

BASSO, Relatore, fa osservare che, se sarà approvata la proposta degli onorevoli

Lombardi e Mancini, questo significherà che è soppresso tutto il resto. Se essa verrà respinta allora è più logico ripiegare sulla proposta dell’onorevole Mastrojanni. Ci sono tre possibilità: 1°) abolizione pura e semplice dei titoli nobiliari; 2°) abolizione dei titoli nobiliari conservando qualche cosa, o il predicato o il nome; 3°) non parlarne affatto in sede di Costituzione. È logico quindi che si debba votare per prima la proposta Lombardi-Mancini.

GRASSI osserva che c’è un equivoco e che non è possibile votare la prima proposizione dicendo che essa assorbe tutto. Egli voterebbe la prima parte riguardante l’abolizione dei titoli nobiliari, ma poiché vuole salvare la seconda parte della proposta La Pira, dovrebbe votare contro la proposta Mancini.

PRESIDENTE osserva che si è voluto dare, da parte di alcuni Commissari, un significato politico alla questione. Dichiara che non intende fare il protettore dei nobili, ma si preoccupa, per un principio di giustizia, che venga regolata la posizione di coloro che attualmente hanno un titolo. Ciò premesso, in una votazione come quella che propone l’onorevole Mancini, il meno che potrebbe fare è di astenersi; mentre vorrebbe votare più giustamente esprimendo la contrarietà alle nuove concessioni di titoli nobiliari, e nello stesso tempo applicando un principio di giustizia nei confronti di coloro che hanno già un titolo.

MORO osserva che si è fatto male a dare un significato politico alla questione.

CORSANEGO fa presente che i titoli nobiliari attribuiti dal fascismo sono già stati aboliti dalla legge.

LOMBARDI GIOVANNI replica che la Commissione si metterebbe contro questa legge, mantenendo gli altri titoli che non sono migliori di quelli dati dal fascismo.

MANCINI insiste perché la votazione sia fatta subito e per appello nominale.

CEVOLOTTO fa notare che la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi ha la precedenza nella votazione perché è la più radicale, e la Commissione non può cominciare la votazione della seconda parte della proposizione che è una subordinata.

PRESIDENTE dichiara che si asterrà dal votare questa proposta perché, pur essendo decisamente contrario ai titoli nobiliari, intende limitare questa contrarietà a quello che il legislatore farà da oggi in poi.

MORO dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi. Ritiene che tutti siano d’accordo intorno allo spirito democratico dello Stato repubblicano. È acquisito alla coscienza sociale di tutti gli italiani che i titoli nobiliari non rappresentano più alcun privilegio.

Se voterà in senso contrario alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi lo farà innanzi tutto per una ragione di delicatezza politica, in quanto gli pare che la Commissione abbia un supremo interesse, quello di non creare una casta la quale sia per principio ostile alla Repubblica, mentre potrebbe essere e dovrebbe essere immessa nel ritmo vitale della nuova organizzazione dello Stato.

Voterà contro anche per un’altra ragione, e cioè perché gli pare che, quando il titolo nobiliare sia ridotto nel significato puro e semplice di un nome, intaccare il nome significa intaccare la libertà individuale.

Per quanto riguarda i titoli fascisti, ritiene che la legge ordinaria potrà provvedere meglio di quello che non sia una disposizione contenuta nella Costituzione.

MARCHESI risponde all’onorevole Moro che il riconoscere nel titolo nobiliare soltanto una tradizione familiare, e non una realtà di privilegi, non sarebbe merito della nostra Costituzione, ma sarebbe già un merito della nostra storia. La Costituzione avrebbe un merito soltanto nel cancellare la traccia di una tradizione che una volta rappresentava un privilegio.

GRASSI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Moro e di votare contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi per le ragioni esposte dallo stesso onorevole Moro.

LA PIRA, Relatore, si associa completamente alle osservazioni dell’onorevole Moro.

MASTROJANNI dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi per le considerazioni che ha già svolto, e che in seguito di tempo sono state condivise da altri oratori.

CORSANEGO si associa alla proposta dell’onorevole Moro, riallacciandosi alle ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto: non si dovrà creare una casta la quale possa avere un pretesto per dimostrarsi ostile alla Repubblica.

CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi alla quale ha anche aderito il relatore onorevole Basso.

Avverte che, su richiesta degli onorevoli Mancini e Lombardi, la votazione avrà luogo per appello nominale.

Votano sì: Basso, Cevolotto, De Vita, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi.

Votano no: Corsanego, Grassi, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Moro.

Astenuto: Tupini.

Comunica che la votazione ha dato come risultato sei voti favorevoli e sei voti contrari. In base al regolamento, la proposta è respinta.

La seduta termina alle 14.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.

Assenti giustificati: Dossetti, Iotti Leonilde, Merlin Umberto, Togliatti.

SABATO 21 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

11.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI SABATO 21 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principi dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – Moro – Lombardi Giovanni – Caristia – Mancini – Cevolotto – Marchesi – Mastrojanni – Corsanego – Lucifero – Basso, Relatore – De Vita – Togliatti – Grassi.

La seduta comincia alle 12.

Seguito della discussione sui principi dei rapporti civili.

PRESIDENTE comunica il testo di una lettera inviata dal Presidente della Commissione Centrale per la Costituzione, onorevole Ruini, nella quale si invita la Sottocommissione ad affrettare i lavori in modo da poterli esaurire, possibilmente, entro il mese di settembre, come era stato stabilito nel programma di massima.

DOSSETTI dichiara di ritenere che il voto espresso dall’onorevole Ruini nella sua lettera sia giustificato come speranza e come incitamento, ma che l’indole del lavoro della Commissione non consenta l’adozione di criteri che possono essere idonei per altro genere di lavoro che non riveste un carattere di così particolare delicatezza.

MORO aderisce alle osservazioni fatte dall’onorevole Dossetti.

LOMBARDI GIOVANNI si associa.

MORO domanda che sia ripreso in esame l’articolo 8 che è stato approvato con tanta rapidità nella seduta precedente.

DOSSETTI, pur non chiedendo che si riapra la discussione sopra un articolo che è già stato approvato, fa osservare che la struttura, almeno formale, dell’articolo 8 è discutibile, specialmente riferendosi alla ultima espressione, dove si dice che «la divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata».

Domanda quali sono questi «tramiti».

PRESIDENTE dichiara che la questione sollevata dall’onorevole Moro è di carattere generale e, poiché l’articolo è stato già discusso, votato e approvato, non si può ritornarvi sopra.

È principio di carattere generale che l’eccezione deve essere giustificata da fondati motivi per poter consentire di riaprire una discussione già esaurita.

All’onorevole Dossetti spiega che i «tramiti» sono le limitazioni ed istituzioni di censure. L’ultimo capoverso dell’articolo 8 deve essere riferito al capoverso precedente.

DOSSETTI dichiara di ritenere che nell’articolo 8, più che una volontà, si sia espressa una velleità.

CARISTIA dichiara di opporsi alla ripresa in esame del contenuto dell’articolo 8 su cui si era raggiunta l’unanimità.

MANCINI si associa, osservando che i commissari i quali erano assenti non hanno diritto di fare osservazioni su quello che è stato già votato. Queste osservazioni potranno riservarle in sede di Commissione plenaria.

DOSSETTI dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Mancini e di non voler per nulla intaccare il principio che giustamente egli difende.

PRESIDENTE rileva che tutti sono d’accordo sul principio generale che è già stato discusso e approvato. Ciò non toglie che ogni singolo commissario dopo aver fatto un esame più approfondito, possa proporre una più esatta formulazione all’Assemblea plenaria o all’Ufficio di Presidenza, sempre che si tratti di un perfezionamento di forma.

CEVOLOTTO osserva che, in sede di coordinamento degli articoli approvati, saranno sempre possibili eventuali perfezionamenti di forma.

PRESIDENTE dichiara che si potrà sempre proporre una formula nuova sia in sede di Commissione centrale che in sede di Assemblea plenaria. L’importante è tener fermo il sistema che, una volta approvato l’articolo, non si debba tornarvi sopra.

Prima di passare all’esame degli articoli 9 e 10 pone in discussione l’articolo 2-bis, nel seguente testo proposto dai Relatori:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

Propone che sia esaminata anzitutto la prima proposizione dell’articolo stesso: «Ogni uomo è soggetto di diritto».

MARCHESI propone di aggiungere l’aggettivo «capace» dopo la parola «soggetto», tenendo conto che la Costituzione è indirizzata anche a chi non ha una perizia profonda nelle frasi e nelle formule giuridiche, e che si dica pertanto: «ogni uomo è soggetto capace di diritto».

MASTROJANNI fa osservare che bisogna distinguere tra «soggetto di diritto» e «capace di diritto». Tutti sono soggetti di diritto, ma non tutti sono capaci di diritto.

MARCHESI dichiara di consentire nell’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, sapendo bene che vi è una capacità di diritto e un soggetto di diritto, che cioè vi è differenza tra una capacità di diritto e una capacità di agire.

MASTROJANNI rileva che la capacità di diritto deriva dal complesso delle condizioni fisiche e psichiche per cui il soggetto di diritto diviene capace di diritto.

MORO osserva che si tratta di una questione essenzialmente di terminologia, e ritiene che l’onorevole Marchesi abbia colto perfettamente il significato della questione. Quando si dice «soggetto di diritto» s’intende la capacità di diritto. Se si vuole ampliare l’espressione per renderla più accessibile a tutti aggiungendo «capace», si userà una espressione che nella terminologia giuridica non è coerente, ma che per il significato educativo che deve avere la Costituzione si può accettare.

DOSSETTI osserva che, a proposito della questione sollevata dall’onorevole Marchesi, si possono fare molte distinzioni e si sono verificati negli ultimissimi anni sviluppi importantissimi nella scienza giuridica.

Bisogna distinguere quella che è l’oggettività del diritto (che è possibilità generica e può riguardare la totalità dei diritti indeterminabili) dalla capacità giuridica, che è la possibilità di esercitare una complessità maggiore o minore di diritti. Vi è poi la capacità di agire, che è la possibilità di esercitare quei diritti e di essere soggetti concreti di diritti e di doveri. L’oggettività del diritto è precisamente quella considerata nella prima proposizione dell’articolo in esame.

Ritiene che, per il caso in esame, si debbano fare affermazioni distinte. Anzitutto occorre affermare la possibilità di una capacità generica, cioè che ogni uomo in quanto è uomo è soggetto di diritto. Poi, in un articolo successivo, dovrà essere contenuta l’affermazione che ogni uomo soggetto di diritto ha una piena capacità di diritto. A questo punto la questione si biforcherà in una piena capacità o titolarità di diritto privato, e in una capacità di diritto pubblico in ordine alle funzioni pubbliche, cioè alla possibilità di ammissione ai pubblici impieghi, ecc. Fa rilevare che, come affermazione generica, ritiene accettabile la formula «integrità giuridica» consigliata dall’articolo 5 del progetto La Pira.

Ogni uomo, per il fatto di essere uomo e quindi soggetto di diritto, ha diritto ad una sua integrità giuridica. Si tratterebbe soltanto di trovare la formula più adatta.

MANCINI, concordando con le osservazioni dell’onorevole Marchesi, ritiene che «soggetto di diritto» e «capace di diritto» non siano due termini reciprocabili, ma distinti. Infatti soggetto di diritto è un termine generico, mentre capace di diritto è un termine specifico. Soggetti di diritto sono tutti, riguardati in se stessi; capaci di diritto sono quegli uomini che vivono in società e diventano titolari di un diritto; dal bambino incapace fino al capace. Quindi la differenza tra soggetto di diritto e capace di diritto esiste e si deve farla risultare nella disposizione statutaria.

LOMBARDI GIOVANNI propone che l’articolo 2-bis preceda quello che già era l’articolo 2, perché è dalla soggettività del diritto che nascono poi tutte le altre conseguenze che nell’articolo 2 sono elencate.

Per quanto riguarda la capacità di diritto, osserva che questa è una cosa a sé, che non ha a che fare con la soggettività del diritto. Non si può affermare in uno Statuto quello che deve essere enunciato dalle leggi speciali riguardanti gli uomini, i bambini minori o maggiori di età, ecc. Tutte queste questioni rientrano nella capacità di diritto. Solo la soggettività di diritto è quella che deve essere affermata nella Costituzione.

Propone infine che, invece di dire «ogni uomo», si dica «ogni persona», dovendosi intendere individui dei due sessi.

CEVOLOTTO osserva che la proposta dell’onorevole Lombardi, riguardante la precedenza dell’articolo 2-bis, potrà essere esaminata in sede di coordinamento.

Per quello che si riferisce alla sostanza della proposizione in esame, ritiene che essa possa essere soppressa perché superflua. Non fa però una proposta concreta, e non desidera che sia messa in votazione.

MARCHESI dichiara che la sua proposta di aggiungere la parola «capace» dopo la parola «soggetto» mirava ad un chiarimento della frase, non ad un mutamento sostanziale.

Dichiara di accettare la formula del relatore.

PRESIDENTE mette ai voti la chiusura della discussione.

(È approvata).

MORO fa osservare all’onorevole Lombardi che, quando si parla di uomo, si parla anche di donna; e se v’è un punto dove la sostituzione terminologica non ha ragione di essere fatta è proprio questo. Se si dice «persona» si corre il rischio di creare degli equivoci.

Per quanto riguarda la collocazione dell’articolo 2-bis prima dell’articolo 2, aderisce alla proposta dell’onorevole Lombardi. E poiché la discussione ha mostrato che questo articolo si presenta con un carattere d’impostazione generale, ritiene che sarebbe forse bene scindere le due parti dell’articolo stesso: la prima che riguarda il riconoscimento della soggettività dei diritti, e la seconda che fa un’applicazione particolare dei diritti al nome e alla cittadinanza.

Per quanto riguarda la sostanza del problema, è del parere di conservare l’espressione di carattere generico contenuta nella proposta dei relatori.

CARISTIA si dichiara dello stesso parere.

PRESIDENTE mette ai voti la proposizione così come è stata proposta dai Relatori: «Ogni uomo è soggetto di diritto».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda proposizione dell’articolo: «Nessuno può essere privato del proprio nome».

MASTROJANNI desidera un chiarimento, perché non sono a sua conoscenza casi nei quali si possa privare un uomo del proprio nome.

CORSANEGO ricorda che nel periodo fascista alcune persone sono state obbligate anche a cambiare il proprio nome.

PRESIDENTE cita l’esempio degli ebrei.

LUCIFERO aggiunge che un caso analogo fu quello degli allogeni.

PRESIDENTE mette ai voti la seconda proposizione dell’articolo 2-bis.

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la terza proposizione dell’articolo 2-bis nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

MARCHESI propone che, invece di «come sanzione» si dica «per sanzione», oppure «La privazione della cittadinanza non è ammessa quale sanzione anche indiretta di carattere politico».

CARISTIA ritiene che la formula sia un po’ esuberante e poco concreta e propone di dire: «Nessuno può essere privato della cittadinanza nemmeno per motivi politici».

BASSO, Relatore, fa osservare che si può perdere la cittadinanza per altri motivi, ed è questo che i Relatori hanno voluto sottintendere nella formula da loro proposta.

DOSSETTI fa presente che il principio ha valore soprattutto come misura contro eventuali interventi di carattere politico; ma ci possono essere delle ipotesi di perdita, o meglio di privazione della cittadinanza, per esempio per acquisto di un’altra cittadinanza, o per avere accettato un incarico da un Governo straniero senza il consenso del Governo italiano.

CARISTIA osserva che questi sono effetti della legge.

DOSSETTI replica che, con la dizione proposta, si viene a vietare la privazione per legge della cittadinanza, quando sia motivata solo da ragioni di carattere politico.

CARISTIA fa osservare che nei casi contemplati dall’onorevole Dossetti la cittadinanza non viene tolta, essa viene meno. In altre parole la perdita della cittadinanza non assume il carattere di sanzione, bensì quello di applicazione di una legge.

DOSSETTI afferma che è necessario intendersi sul valore della parola «sanzioni». Se si intende in un senso specifico, condivide il punto di vista dell’onorevole Caristia; ma se invece si intende come effetto giuridico generico, si deve dire che questa privazione è già nella legge, e in tanto la si può ammettere nella legge in quanto non venga ad avere significato politico.

Comunque la si chiami, se questa privazione della cittadinanza ex lege dovesse essere ispirata a considerazioni di carattere politico, non potrebbe essere accettata.

PRESIDENTE ritiene che si potrebbero superare tutte le difficoltà se si togliesse la parola «sanzioni» e si dicesse invece: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per ragioni anche indirette di carattere politico».

CEVOLOTTO fa osservare che, se si adotta la parola «ragioni», non si regge più l’inciso «anche indirette».

PRESIDENTE suggerisce si dica «per motivi».

CEVOLOTTO propone che si dica brevemente «per ragioni di carattere politico».

PRESIDENTE propone la sospensione della seduta per alcuni minuti onde dare modo di esaminare le proposte presentate.

(La Commissione approva – La seduta è sospesa per alcuni minuti).

Riapre la seduta, riassumendo la discussione.

DOSSETTI osserva che la dizione «per motivi di carattere politico» supera le obiezioni fatte. Però fa rilevare che si può aprire, in sede di interpretazione della Costituzione, un problema molto importante. Si supponga che una legge sulla cittadinanza stabilisca la perdita della cittadinanza per acquisto di una cittadinanza straniera, oppure per avere prestato dei servizi ad uno Stato straniero senza consenso dello Stato italiano. Sorgerebbe allora il problema interpretativo se la seconda ipotesi possa essere considerata come privazione della cittadinanza per motivi politici, e si potrebbe arrivare anche alla dichiarazione di incostituzionalità della legge.

Ritiene che questa possibilità debba essere affermata e fatta salva. Per evitare inconvenienti interpretativi bisogna o mutare la formula, o specificare espressamente, come fanno alcune Costituzioni. Sarebbe pertanto favorevole a una formula che dicesse: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico»; ma aggiungerebbe che: «È prevista la perdita della cittadinanza per accettazione di impieghi o di incarichi presso Stati stranieri senza l’autorizzazione dello Stato italiano.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Dossetti se è d’accordo con gli altri nell’accettare la formula: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

DOSSETTI dichiara di essere d’accordo qualora si eccettuino le ipotesi da lui specificate; altrimenti no.

BASSO, Relatore, fa presente che, se si introducono nell’articolo le ipotesi fatte dall’onorevole Dossetti, si solleverà l’altro problema della negazione a carattere tassativo o esplicativo.

Ritiene che la formula originaria fosse la migliore. Il dire «come sanzione» toglieva questi dubbi.

DOSSETTI ritiene sia possibile trovare una formula che risolva anche questa eccezione.

CEVOLOTTO dichiara di non essere favorevole all’aggiunta proposta dall’onorevole Dossetti. Si viene in tal modo ad aprire una questione che dovrebbe essere esaminata a fondo. Per esempio, se un professore universitario accetta una cattedra all’estero, dovrà essere privato della cittadinanza italiana, anche nel caso che vi possa essere un qualche addentellato politico. Si dovrebbe esaminare allora in questa sede la portata della legge sulla cittadinanza e sarebbe molto pericoloso specificare questi casi di esclusione.

Accetta pertanto la formula scaturita dalla discussione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

DE VITA propone la formula seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera», facendo osservare che in essa possono essere compresi tutti i casi previsti ed esaminati.

LOMBARDI GIOVANNI propone che si dica: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge che riguarda la cittadinanza stessa».

Se vi fossero altri dubbi si potrebbe completare la formula in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge escludendo i motivi politici».

TOGLIATTI dichiara di accettare la formula che è stata proposta dal Presidente, e di non comprendere la formula proposta dall’onorevole Dossetti. La Commissione vuole affermare unicamente che la cittadinanza non si può togliere per motivi politici, e l’onorevole Dossetti propone un’eccezione per motivi di diritto comune e amministrativo che investono i rapporti tra cittadino e lo Stato, ma non rapporti necessariamente politici.

Quando si è affermato che per motivi politici non si può privare una persona della nazionalità, questo significa che per altri motivi lo si può fare.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiudere la discussione sulla terza proposizione dell’articolo 2-bis, salvo il diritto di parlare a coloro che si sono già iscritti.

(La proposta è approvata).

MANCINI ritiene che, nel corso della discussione, si sono dimenticate le ragioni politiche della disposizione in esame, e si è invece indugiato a sottolineare le ragioni giuridiche. Il motivo che ha determinato gli onorevoli Relatori a formulare in questo modo l’articolo è per chi vuole intenderla squisitamente politica. Essi hanno avuto presente alla memoria il precedente della legge fascista che sanciva la perdita della cittadinanza per motivi politici. Con ciò tutte le osservazioni sottilissime dell’onorevole Dossetti restano al di fuori della disposizione in esame. Egli afferma che ci sono dei casi in cui il cittadino può e deve essere privato della cittadinanza. Ai casi da lui suggeriti, l’oratore ne potrebbe aggiungere altri tre. Ma tutte queste ipotesi escogitate fanno parte di un capitolo del Codice civile il quale si intitola precisamente: «Acquisto e perdita della cittadinanza».

Per queste ragioni insiste nell’accettazione della formula redatta dal Presidente. Se poi si volessero fugare le preoccupazioni esposte dall’onorevole Dossetti, si potrebbe mantenere la parola «sanzione» così come era stata proposta dai Relatori.

BASSO, Relatore, dichiara di rendersi conto della preoccupazione dell’onorevole Dossetti, riposta nel significato giuridico della parola «politico». Questa parola può avere due sensi, sia che con essa si vogliano indicare parti e fazioni, sia che essa si voglia ricollegare etimologicamente alla parola greca polis, nel quale ultimo caso verrebbe a indicare interessi pubblici della comunità. Ha perciò formulato un nuovo testo così concepito: «La privazione della cittadinanza può essere stabilita in conseguenza dell’assunzione di un impiego o incarico da parte di uno Stato estero, senza l’autorizzazione dello Stato italiano, o nelle altre ipotesi tassativamente indicate dalla legge, esclusi però in ogni caso motivi di carattere politico.

TOGLIATTI, essendovi nuove proposte, chiede che si riapra la discussione.

(Così rimane stabilito).

DOSSETTI dichiara di associarsi alla formula proposta dall’onorevole Basso.

MASTROJANNI dichiara di avere delle preoccupazioni circa l’estensione della dizione: «motivi politici». In essa può essere fatta rientrare ogni e qualunque manifestazione contrastante in pieno con le necessità e le ragioni etiche dello Stato. È pericoloso inserire in questo articolo una esclusione pura e semplice dei motivi politici. Fa il caso del cittadino italiano che recatosi all’estero, per ragioni politiche sue personali si arruola nelle file di un esercito nemico e combatte contro l’Italia; e domanda se a questo cittadino dovrà essere conservato il diritto di cittadinanza.

TOGLIATTI fa osservare che nel caso accennato si è di fronte ad un reato.

MASTROJANNI replica che anche il condannato conserva la cittadinanza.

Nell’ipotesi da lui suggerita, penalmente il cittadino conserverebbe il diritto alla cittadinanza perché avrebbe subito una condanna per motivi politici. Per tutte le ipotesi che possono verificarsi, non ritiene che sia opportuno fare un’affermazione di principio di questo genere. Chiede che sia lasciato tempo ai commissari di formulare meglio l’articolo, a meno che non venga accolta la seguente formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne nei casi previsti dalla legge».

PRESIDENTE avverte che se l’onorevole Mastrojanni insiste nella sua proposta di sospensiva, la porrà in votazione.

CEVOLOTTO chiede che la votazione su questa proposta di sospensiva sia fatta dopo la discussione, la quale potrebbe offrire dei motivi a quella ulteriore meditazione che l’onorevole Mastrojanni ritiene necessaria.

LUCIFERO dichiara di poter essere favorevole alla sospensiva, però ritiene anch’egli che l’onorevole Mastrojanni farebbe bene a ripresentarla quando la discussione fosse esaurita.

PRESIDENTE domanda all’onorevole Mastrojanni se accede all’invito dell’onorevole Lucifero.

MASTROJANNI dichiara di non potervi accedere poiché un argomento come quello in discussione non consente una formulazione rapida e sintetica che risolva il problema.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni, di rinviare ad altra riunione l’ulteriore discussione dell’ultima proposizione dell’articolo 2-bis.

(La proposta non è approvata con 7 voti favorevoli e 7 contrari).

TOGLIATTI dichiara di essere contrario alla proposta degli onorevoli Basso e Dossetti, ma non per le ragioni a cui prima ha accennato, cioè della evidente contraddizione che essa presenta, ma per il suo contenuto. Ritiene che stabilire in una Costituzione che colui il quale assume un qualsiasi incarico all’estero può essere privato della cittadinanza, vuol dire stabilire una cosa antidemocratica e antiliberale. Con una simile formula si ritornerebbe ai tempi che precedono lo Statuto Albertino, quando per andare all’estero occorreva il permesso del re.

I diversi casi in cui si può perdere la cittadinanza potranno essere contemplati dalla legge sulla cittadinanza, ma non dalla Costituzione.

DOSSETTI rileva che l’onorevole Togliatti forse non ha ben compreso la formula proposta dall’onorevole Basso e da lui. La formula diceva che la privazione della cittadinanza può essere stabilita dalla legge in conseguenza dell’assunzione di impieghi e incarichi da parte di Stati esteri.

Con questa formula non viene fatta una affermazione categorica; soltanto si consente che la legge possa stabilire la perdita della cittadinanza in quei determinati casi. Se l’onorevole Togliatti lo crede necessario, si dichiara disposto a consentire che si aggiunga qualche aggettivo o qualche locuzione. Si potrebbe dire, per esempio, che la perdita della cittadinanza può essere stabilita «in certi casi», in conseguenza dell’assunzione di «determinati» oppure «speciali incarichi».

TOGLIATTI insiste nel respingere la formula degli onorevoli Basso e Dossetti. Può ammettere che nel Codice penale, come sanzione penale, possa venire comminata la privazione i della cittadinanza, quantunque ritenga che ciò non possa verificarsi perché lo Stato ha interesse a mantenere i cittadini nei diritti di cittadinanza per poterli eventualmente punire. Ma è del parere che prevedere nella Costituzione, senza nemmeno specificare quali sarebbero questi impieghi o incarichi, la privazione di un tale diritto, non sia un principio da accettare.

CARISTIA si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti, e pertanto propone di votare la formula così come l’ha proposta il Presidente, per un motivo di ordine teorico e per un motivo di ordine pratico. È convinto che la Costituzione si debba limitare ad affermare principî di carattere generale. Ora, quando si dice che nessuno può essere privato della cittadinanza, in nessun caso, per motivi politici, si fa un’affermazione generale che non può dare luogo ad equivoci.

LUCIFERO si dichiara d’accordo con l’onorevole Togliatti per i motivi che egli ha addotto, ma dichiara anche di non poter accettare la formula proposta dal Presidente, perché gli sembra che sia stata determinata dalla preoccupazione particolare che la perdita della cittadinanza possa avvenire in seguito ad un atto arbitrario. Ritiene che la cittadinanza si perda soltanto quando se ne acquista un’altra, e pertanto richiama l’attenzione della Sottocommissione sulla formula proposta dall’onorevole De Vita: «Nessuno può essere privato della cittadinanza tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera».

MANCINI ritiene che ogni persona ha diritto a due beni davvero inviolabili: il proprio nome e la propria cittadinanza (ius nominis e status civitatis). Ora questi due diritti personali non possono essere violati che in casi eccezionali. Respinge nel modo più energico la possibilità di togliere la cittadinanza a persona che abbia accettato incarichi da parte di Nazione estera. Vi possono se mai essere dei casi gravi, per cui un cittadino perde la cittadinanza, ma allora si tratta di un commesso reato; e il reato in tanto esiste in quanto viene rigorosamente accertato ed il cittadino condannato. Allora in siffatto caso si va incontro alla più severa sanzione, la quale porta come conseguenza la perdita della cittadinanza. Questa perdita, come quella della interdizione dai pubblici uffici, è un corollario della pena corporale.

Per queste ragioni insiste per l’accettazione della formula suggerita dai Presidente.

DOSSETTI invita la Sottocommissione a fermare l’attenzione sull’articolo nella sua organicità, in quanto che alcuni degli oratori hanno espresso delle esigenze contraddittorie. L’unico oratore che, a suo giudizio, ha espresso un punto di vista perfettamente coerente è l’onorevole Togliatti.

La Commissione si trova di fronte alla necessità di affermare questo principio: lo status civitatis, la cittadinanza, come lo status familiae, cioè il diritto al nome, è un diritto fondamentale del cittadino di cui non si può essere privati. A garantire e completare questo diritto si vuole aggiungere che particolarmente il cittadino non deve essere privato di questo diritto, se questa privazione deve avvenire per motivi di carattere politico, intendendo, come ha dimostrato l’onorevole Basso, che sono motivi di carattere politico quelli che si potrebbero dire motivi di parte, cioè di fazione, di partito. Ma quando i motivi politici non sono di parte, di fazione, ma motivi politici nel senso che interessano globalmente la comunità? Si dichiara pronto a sottoscrivere che lo status civitatis è un diritto di cui nessuno può essere privato, e che questo non deve avvenire per motivi politici. Non è però disposto a sottoscrivere l’impossibilità costituzionale di stabilire per legge che possa essere privato dello status civitatis il cittadino che presta in uno Stato straniero quei servizi che lo Stato ritiene contraddittori con quello che è l’interesse collettivo della comunità. Si è detto che in questi casi si tratta di un reato; ma fa osservare che vi sono due distinzioni da fare: una cosa è il reato e le sue sanzioni, e una cosa è quella attività che si ritiene possa essere configurata come reato. Può esserci un’attività che di per sé non è reato, ma che è contrastante con quello che è l’interesse della comunità statale. Evidentemente quando si dice che il cittadino non può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza, senza aggiungere altro, si stabilisce il principio costituzionale dell’impossibilità di privare il cittadino della cittadinanza per i servizi resi ad uno Stato straniero.

Egli non si sente di sottoscrivere questa conseguenza. È invece del parere che il cittadino possa essere privato della cittadinanza quando presti determinati servizi, che la legge stabilirà, allo Stato straniero. Rispondendo alle obiezioni fatte da alcuni oratori, fa osservare che lo status civitatis è il diritto alla cittadinanza in quanto una persona si mantenga rispetto allo Stato in una determinata posizione di collaborazione e di solidarietà. Il giorno in cui una persona si mette, rispetto alla sua comunità statale, in una posizione che non è più di solidarietà e di collaborazione, evidentemente può essere dallo Stato stesso privata del diritto alla cittadinanza.

Né può valere l’argomento addotto che lo Stato, se vedrà nell’atteggiamento del cittadino gli elementi di un reato, non lo priverà della cittadinanza per non sottrarlo alle conseguenze punitive della legge, perché è necessario distinguere quello che è il lato passivo, e quello che è il lato attivo. Il lato passivo evidentemente è rappresentato dalle conseguenze punitive dell’eventuale reato: se vi è reato vi sarà la privazione della cittadinanza. Il lato attivo è rappresentato però da quelli che sono i vantaggi di appartenere ad una determinata cittadinanza.

Conclude sostenendo la necessità di affermare il principio che lo status civitatis non può essere tolto per motivi politici, intesi nel senso di motivi di parte; ma dichiara di non poter votare una formula in cui questi motivi politici vengano affermati in modo generico, di maniera che in sede di interpretazione costituzionale se ne possa dedurre l’impossibilità legislativa di affermare la perdita della cittadinanza in determinati casi.

DE VITA è del parere che non si possa arrivare all’estremo di privare il cittadino della cittadinanza, senza che questi abbia acquistato una cittadinanza straniera, qualunque sia l’ipotesi e qualunque sia il comportamento del cittadino stesso.

CEVOLOTTO dichiara che le ragioni esposte dall’onorevole Dossetti non lo hanno persuaso, e che resta della sua opinione precedente che coincide con quella dell’onorevole Togliatti. Non gli sembra che le difficoltà prospettate dall’onorevole Dossetti, nel caso di chi presti servizio militare in un esercito straniero, abbiano il rilievo che egli ha creduto di dare. Ha detto l’onorevole Lucifero, che in questo caso si può conservare la cittadinanza all’individuo e condannarlo per aver commesso azioni ritenute delittuose. Ma se venisse una legge speciale, la quale dicesse che chi ha prestato servizio in un esercito straniero, anche fuori dei casi di guerra, è privato della cittadinanza, per questa sua mancanza ai doveri fondamentali del cittadino, si potrebbe obiettare che questa è una privazione della cittadinanza per motivi politici. Non è però d’accordo con gli onorevoli Lucifero e De Vita nel dire che la cittadinanza non può essere tolta ad alcuno se non nel caso che egli ne abbia acquistata un’altra. Questo limiterebbe troppo la facoltà di privare della cittadinanza un individuo per ragioni che non siano politiche. Per esempio, se in determinati casi un individuo collaborasse con uno Stato estero in una forma lesiva degli interessi dello Stato italiano, anche senza acquistare la cittadinanza dello Stato estero che egli serve, dovrebbe essere lasciata alla legge la possibilità di togliergli la cittadinanza italiana per motivi che non sarebbero certamente di carattere politico.

MORO ritiene di dover aderire in gran parte a quanto ha dichiarato l’onorevole Dossetti. Si tratta di un problema così grave che ha bisogno di essere considerato con attenzione. Non è contrario all’idea, che la nostra Costituzione contenga principî in ordine alla cittadinanza e dia un lume preciso sulla legge stessa che tratterà della cittadinanza. Se la Sottocommissione, compresa della gravità di questo problema, vuole stabilire nella nostra Costituzione un principio di carattere generale in ordine alla concessione e perdita della cittadinanza, l’oratore domanda che sia rinviata la discussione, non essendo finora affiorati motivi d’intesa.

Se invece vuole limitarsi al principio negativo, propone di ampliare l’espressione in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di opinione politica». Questa espressione di carattere limitativo toglie ogni possibilità di equivoco intorno al significato della parola «politico».

PRESIDENTE fa osservare che, oltre le opinioni, ci possono essere anche le azioni.

GRASSI fa presente che, agli inizi della discussione, tutti erano d’accordo sul principio che lo status civitatis non può essere tolto ad un cittadino dallo Stato o, per meglio dire, dai governanti, per ragioni di carattere politico. Fissato questo concetto, l’onorevole Dossetti ha espresso la preoccupazione che non fosse possibile privare della cittadinanza quel cittadino che accettasse incarichi all’estero senza autorizzazione, dimostrando così di aver perduto quel senso di solidarietà che lo avrebbe dovuto legare alla cittadinanza di origine.

Ora questo punto è superato perché non è in questa sede che ci si deve preoccupare della collaborazione eventuale del cittadino con altre collettività che non siano quella nazionale, e della incompatibilità a continuare il godimento della cittadinanza di origine. La norma costituzionale che si intende approvare non impedisce che in seguito la legge sulla cittadinanza prenda in esame il caso. Il concetto che si vuole affermare in questo momento è che il cittadino non possa essere privato della sua cittadinanza in ragione del suo atteggiamento politico, inteso questo nel senso più ristretto di fazione o di parte. Il testo originario che parla di «sanzione» era più chiaro: significava che il Governo non poteva privare il cittadino del diritto del suo status civitatis per motivi politici.

Ciò premesso, prega gli onorevoli Lucifero e De Vita di voler ritirare i loro emendamenti. Non è possibile, in sede di Costituzione, affrontare l’intero problema dei diritti di cittadinanza, il quale invece deve trovare la sua sede nella legge speciale. Comunque, ricorda agli onorevoli De Vita e Lucifero, i quali hanno proposto che si debba privare il cittadino italiano della cittadinanza allorquando ne assuma una straniera, che nella legislazione italiana si è sempre teso all’affermazione della possibilità della doppia cittadinanza. Noi italiani, nel nostro interesse, dobbiamo mantenere e rafforzare, specialmente in questo momento, il principio della doppia cittadinanza.

PRESIDENTE richiama l’attenzione sul principio su cui tutti si erano trovati d’accordo e contenuto nella formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici». Per venire incontro al punto di vista degli onorevoli Basso e Dossetti ed alle loro preoccupazioni, propone di inserire questo nuovo concetto: «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge». In questo modo non si preclude la possibilità che la legge provveda anche per gli altri motivi compresi quelli che sono stati oggetto di particolare insistenza da parte dell’onorevole Dossetti e si viene a dire che solo la legge potrà provvedere agli altri casi di perdita della cittadinanza. La nuova formula sarebbe quindi la seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi deve essere disposta dalla legge».

MASTROJANNI fa presente che egli aveva prospettato il problema in termini chiari, precisi e categorici e su questo punto aveva chiesto che qualcuno dei commissari intervenisse per chiarire la situazione; ma nessuno dei commissari ha sfiorato, sia pure lontanamente, l’argomento. Egli aveva detto che la formala comprensiva dei motivi politici non era accettabile, in quanto che nei motivi politici potevano essere inseriti tutti gli atteggiamenti contrastanti e lesivi dello Stato e della comunità. Aveva portato anche, come esempio, casi specifici e precisi: quello, ad esempio, per il quale cittadini italiani potevano, per le loro ideologie o per orientamenti politici, combattere contro la comunità italiana. Questo è un caso tipico che certamente ha un’importanza di gran lunga superiore a quello che può essere il caso del professore che insegna all’estero.

Siccome gli onorevoli Dossetti e Moro hanno toccato l’argomento sotto un aspetto meno preoccupante di quello da lui prospettato, ritiene che si sia trascurato un argomento della più assoluta importanza, sul quale si debbono assumere delle responsabilità precise e specifiche. Per tali ragioni chiede che su questo argomento sia fatto anche l’appello nominale, perché la questione da lui prospettata deve essere affrontata e risolta. Si tratta di stabilire se il cittadino italiano che per ragioni ideologiche combatte contro la comunità italiana, abbia o no il diritto di mantenere la cittadinanza italiana.

CARISTIA si dichiara perfettamente d’accordo con l’onorevole Mastrojanni, e pertanto propone che, data l’importanza dell’argomento e dato il dissidio notevole che si è venuto delineando tra i commissari, si voti soltanto la prima parte dell’articolo, e si rimandi la seconda parte ad una prossima riunione.

DOSSETTI dichiara di essere contrario a questa proposta. Il risultato della statuizione che si deve stabilire è pregiudicato, se si fa un’affermazione generica conforme a quella espressa dall’onorevole Caristia.

Osserva che l’onorevole Mastrojanni è caduto in un errore logico. Mentre sembrava per lo meno pacifico che si dovesse fare l’enunciazione generale che i motivi politici non dovessero essere causa di perdita della cittadinanza, l’onorevole Mastrojanni ha posto in discussione l’intera affermazione, esprimendo il parere che si possa stabilire la privazione della cittadinanza per motivi politici.

MASTROJANNI, per fatto personale, dichiara che non intendeva affermare che si privi il cittadino della cittadinanza per motivi politici, ma esprimeva il desiderio che i motivi politici fossero definiti in termini categorici, in modo da escludere quei fatti che sotto la parvenza politica possano, per le loro conseguenze, ledere i diritti e dei cittadini e anche dello Stato.

CEVOLOTTO propone il rinvio puro e semplice della discussione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di rinvio della discussione della seconda parte dell’articolo 2-bis.

(È approvata).

Ricorda che dell’articolo 2-bis rimangono approvate soltanto due proposizioni che sono le seguenti: «Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome».

Il resto dell’articolo sarà sottoposto ad un’ulteriore discussione nella prossima riunione che rimane fissata per martedì alle ore 11.

La seduta termina alle 13.50.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: La Pira e Merlin Umberto.

VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

10.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI VENERDÌ 20 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi – Grassi – Mastrojanni – Moro – Mancini – Lombardi Giovanni – Lucifero – Togliatti – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – Cevolotto.

La seduta comincia alle 12.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 7, nel testo proposto dai Relatori:

«Ogni cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico.

«Il diritto di emigrare, salvo gli obblighi di legge, è garantito».

Fa rilevare che la prima parte del presente articolo è tratta dall’articolo 4 della relazione presentata a suo tempo dall’onorevole Basso. Il primo e l’ultimo capoverso dell’articolo in esame sono presi dall’ultimo capoverso dell’articolo 13 della relazione La Pira.

Pone in discussione il primo comma dell’articolo 7.

MARCHESI propone che si aggiunga alla parola «territorio» l’altra «nazionale». Non si sa quali saranno le sorti o i limiti di attuazione del principio di autonomia regionale oggi tanto invocato. E quindi bisogna comunque, fin da questo momento, affermare che nessun limite di spazio sul territorio nazionale può essere posto alla libera circolazione dei cittadini.

GRASSI dichiara di preferire la dizione: «territorio dello Stato».

MASTROJANNI, poiché in questa prima parte dell’articolo 7 si usa due volte, a brevissima distanza, la parola «ogni», propone che invece di «ogni cittadino» si dica «chiunque».

MORO è del parere di dire semplicemente: «cittadino».

MASTROJANNI propone che, lasciando «ogni cittadino», si dica poi «in qualunque parte» invece di «in ogni parte».

MARCHESI fa osservare che la specificazione «ogni» è necessaria per la parte del territorio, ma non per il cittadino. Quindi si può dire senz’altro: «il cittadino».

MANCINI propone che si dica: «in ogni parte del territorio della Repubblica». Una volta si diceva: «territorio del Regno»; trova perciò opportuno che ora si dica «territorio della Repubblica». Questa Repubblica è stata ed è la nostra passione e non incidente qualsiasi nello evolversi di una Nazione.

MASTROJANNI osserva che, se si dice «territorio dello Stato», la espressione è più ampia e comprensiva.

GRASSI osserva che il territorio è uno dei tre elementi costitutivi dello Stato. Quando si parla di territorio, non si può che riferirsi al territorio dello Stato. Dichiara per questo motivo che voterà l’articolo così come è stato proposto originariamente dai Relatori.

LOMBARDI GIOVANNI propone di dire: «nello Stato repubblicano».

LUCIFERO dichiara di ritenere che queste specificazioni rientrino nelle funzioni dei coordinatori. Quando si dovrà fare il testo definitivo, si userà sempre o l’una o l’altra espressione. Ad ogni modo, crede che sia più tecnica la parola «Stato». Non ritiene che si debba specificare «del territorio della Repubblica», poiché non vede a quali altri territori si possa riferirsi.

MASTROJANNI, riprendendo le osservazioni dell’onorevole Marchesi, dichiara di insistere nella sua proposta. Dovendosi provvedere all’autonomia regionale, ci si potrebbe trovare di fronte ad equivoci ed a contrasti circa la possibilità di percorrere tutto il territorio dello Stato.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni di aggiungere alla parola «territorio» le altre «dello Stato».

(La proposta è respinta con 4 voti favorevoli e 11 contrari).

Mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Marchesi, di aggiungere alla parola «territorio» le altre «della Repubblica».

(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 4 contrari).

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di sostituire le parole: «in ogni parte del territorio» con le parole «in qualunque parte del territorio».

TOGLIATTI osserva che è meglio dire «qualsiasi».

(La proposta di sostituire la parola «qualsiasi» all’altra «ogni» viene approvata alla unanimità).

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi di sostituire al principio dell’articolo le parole «il cittadino» alle altre «ogni cittadino».

(La proposta è approvata all’unanimità).

MASTROJANNI fa presente il caso di un individuo che non sia cittadino, e domanda se nell’ipotesi che vi siano in Italia – come ve ne sono – individui che non abbiano la cittadinanza italiana, essi debbano essere sottoposti a misure speciali.

TOGLIATTI risponde affermativamente.

MASTROJANNI osserva che questi stranieri, essendo autorizzati a risiedere in Italia, per recarsi da una provincia all’altra dovrebbero chiedere il permesso.

MORO non ritiene che in questo caso debba dirsi in modo preciso che lo straniero dovrà ottenere una autorizzazione particolare. Ad ogni modo la Costituzione dovrà necessariamente regolare anche i limiti della parificazione dello straniero al cittadino, in sede di diritto privato e pubblico.

PRESIDENTE dichiara che la Sottocommissione si riserva di definire meglio, in sede opportuna, i diritti dello straniero, di colui cioè che non gode della cittadinanza italiana.

TOGLIATTI dichiara che era sua intenzione di parlare, a proposito di questo articolo, del diritto di asilo. Dopo le parole del Presidente, si riserva di trattarne nella parte della Costituzione che parlerà dei diritti e dei doveri degli stranieri.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte dell’articolo 7 con gli emendamenti approvati: «Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica»

(È approvato con 15 voti favorevoli e 2 contrari).

Pone in discussione l’altra parte dell’articolo, la quale, nella proposta dei Relatori, suona così: «salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico».

TOGLIATTI osserva che quando si stabilisce che le autorità possano porre i limiti che vogliono per ragioni di ordine pubblico, si dà la possibilità alle autorità stesse di fare qualsiasi cosa. Propone perciò che l’espressione sia modificata nel modo seguente: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».

GRASSI osserva che invece di «ordine pubblico», si potrebbe dire «sicurezza pubblica».

TOGLIATTI ripete che se si lascia facoltà alla polizia, questa potrà inibire la circolazione dei cittadini per motivi di ogni genere.

PRESIDENTE osserva che, appunto per impedire gli arbìtri è stato detto: «salvo i limi ti imposti dalla legge».

TOGLIATTI replica che gli italiani sono stati sempre ingannati dalla legge.

PRESIDENTE fa osservare che i Relatori, nel compilare il testo dell’articolo, non hanno voluto dire qualche cosa di diverso da quel che dice l’onorevole Togliatti. Essi hanno ripreso una dizione che si trova in tutte le Costituzioni democratiche.

TOGLIATTI insiste nella sua proposta di modifica: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».

BASSO, Relatore, richiamandosi a quanto ha sempre detto in casi simili, dichiara che per lui la garanzia contro l’arbitrio è nelle disposizioni di legge. Si potrebbe, se l’onorevole Togliatti è d’accordo, rendere più chiara la formula, accettando quella affiorata nelle discussioni della Commissione del Ministero della Costituente: «salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge». Con questo chiarimento si intenderà dire che le autorità esecutive non possono porre limiti contro una determinata persona o determinate categorie.

LA PIRA, Relatore, fa presente che la formula integrale della relazione Mortati dice: «Ogni cittadino può fissare o prendere la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico».

Osserva che, usando le parole: «con carattere generale», si dà una specificazione ancora più precisa.

PRESIDENTE fa osservare che questa specificazione sottrae il cittadino ad ogni arbitrio di natura personale.

TOGLIATTI ritiene che si debba essere più concreti, precisando quali sono queste circostanze in cui la legge può limitare.

LUCIFERO osserva che le limitazioni dovrebbero essere consentite soltanto nei casi di guerra, epidemia, pubbliche calamità.

LA PIRA, Relatore, fa presente che una analoga disposizione, inserita nella Costituzione estone, dice: «Le autorità giudiziarie soltanto hanno la facoltà di limitare o sopprimere il diritto dei cittadini di circolare e di fissare liberamente la propria dimora. Questa libertà può essere altresì limitata o soppressa da altre autorità, per ragioni di igiene, nei casi e secondo le norme fissate dalla legge».

LUCIFERO propone che si dica semplicemente: «salvo i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità». Sono i tre casi in cui si possono inibire movimenti di popolazione per ragioni sostanziali che non sono «ad personam».

TOGLIATTI dichiara di concordare con la proposta dell’onorevole Lucifero. La formula completa potrebbe essere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità».

MASTROJANNI fa osservare che, limitando la facoltà della legge ai tre casi previsti nella proposta dell’onorevole Lucifero, si verrebbe a togliere alle autorità di pubblica sicurezza la possibilità di rinviare al proprio domicilio, con foglio di via obbligatorio, le persone che siano, per un motivo o per un altro, indesiderabili, come nei casi di accattonaggio, prostituzione, ecc. Occorre tener presente che l’esercizio di una coercizione del genere da parte delle autorità di pubblica sicurezza risponde indubbiamente ad uno scopo di utilità e di necessità per l’umana convivenza.

Ritiene perciò che la dizione «per motivi di sanità e di ordine pubblico» debba rimanere. Accetterebbe la specificazione dell’onorevole Lucifero, purché comprendesse anche i casi di ordine pubblico:

MANCINI dichiara di accettare la proposta dell’onorevole Lucifero a condizione che venga limitata alle esigenze dell’igiene e della guerra, poiché non ha mai compreso il vero e concreto significato dell’espressione «pubblica calamità» così generico ed estensivo a tanti incidenti della vita di un Paese.

TOGLIATTI, spiega che sono casi di pubblica calamità, per esempio, i terremoti.

MANCINI osserva che, estendendo il concetto di pubblica calamità, si può arrivare anche a qualche cosa che rassomigli molto da vicino ai casi di ordine pubblico. Perciò limiterebbe le eccezioni soltanto ai casi di guerra e alle esigenze igieniche.

MORO ritiene che non possano essere trascurate le considerazioni fatte dall’onorevole Mastrojanni. È una forma essenziale di tutela della libertà dei cittadini quella di permettere alla polizia di restituire al loro domicilio e ivi fissare le persone pericolose alla sicurezza pubblica.

Un accenno all’ordine pubblico, o a qualche cosa di analogo, deve perciò essere fatto.

LUCIFERO ritiene di interpretare anche il pensiero dell’onorevole Togliatti dichiarando di preoccuparsi che i diritti del cittadino possano essere limitati proprio per ragioni di pubblica sicurezza. Quando venga introdotto questo concetto, si sa perfettamente che uso larghissimo ne può fare il potere esecutivo. Ciò che si vuole impedire è proprio questo. Se si tollera che, per motivi di ordine pubblico e per ragioni di pubblica sicurezza, si possano porre limitazioni alla libertà, si stabilisce la possibilità dell’arbitrio.

Le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni non ricadono in questi casi. Le disposizioni di pubblica sicurezza riguardanti il foglio di via scaturiscono da altre ragioni.

GRASSI ritiene che non si debba prescindere dal fatto che le leggi che possono limitare la libertà di circolazione del cittadino sono soltanto quelle di sanità o di pubblica sicurezza. Saranno quindi le leggi di sanità e di pubblica sicurezza, esaminate ed approvate dagli organi competenti, che stabiliranno le eccezioni, ponendo i limiti alle eccezioni stesse. Perciò propone che si dica soltanto: «motivi di sanità o di sicurezza pubblica».

BASSO, Relatore, fa presente che la Commissione, la quale prepara il testo del progetto della nuova legge di pubblica sicurezza, ha sottolineato la possibilità che nella Costituzione vengano usate formule che impediscano l’intervento dell’autorità nei casi ai quali ha accennato l’onorevole Mastrojanni. Osserva anche che il Consiglio di Stato, pur essendosi ispirato a principî liberalissimi, ha dato parere favorevole a che siano poste delle eccezioni, per i casi accennati, al principio della libertà dalla circolazione. Non si possono limitare queste facoltà della pubblica autorità.

MORO propone che si aggiunga l’espressione: «In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico». Si dovrebbe cioè chiarire il senso di «ordine pubblico», in modo che sia stabilita una tutela di fronte alla delinquenza comune, ma non per motivi di carattere politico.

MARCHESI dichiara che accetterebbe la proposta dell’onorevole Moro, se non sapesse, per lunghissima esperienza, che ad un certo punto l’avversario politico diventa un delinquente comune e quindi la legge lo colpisce come tale. Per quanto riguarda le parole «ordine pubblico» e «pubblica sicurezza», ricorda che questi due termini hanno una tristissima storia, ed hanno portato con sé una serie infinita di arbitrii a danno di cittadini che certo non erano meritevoli di tale trattamento.

Pertanto si associa alla proposta dell’onorevole Lucifero.

Per quanto riguarda poi i casi di immoralità e simili, fa presente che è stato già votato un articolo circa il fermo di pubblica sicurezza. Se c’è una persona che, comunque, con la sua condotta immorale o con altre azioni, offende il diritto comune, diventa violatrice del diritto stesso, ed allora la pubblica sicurezza ha il potere di procedere al suo fermo o all’arresto.

BASSO, Relatore, fa osservare che la ipotesi prevista nell’articolo precedente parlava del fermo, ma solo quando vi era il fondato sospetto di reato. Quindi la cosa è diversa.

LUCIFERO ripete la sua proposta di aggiungere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemia e di pubblica calamità».

PRESIDENTE dichiara che la preoccupazione di molti commissari non è diretta a non ammettere quello che suggerisce l’onorevole Lucifero, ma è ispirata dal timore che con la formula dell’onorevole Lucifero non si esaurisca un’altra infinità di casi che potrebbero presentarsi e, meglio, potrebbero essere compresi in un’affermazione di carattere generale.

Occorre magari specificare, ma non lasciare una lacuna nella Costituzione.

LUCIFERO replica che con la sua formula non si lascia una lacuna, perché, per le osservazioni fatte dall’onorevole Marchesi, evidentemente la prostituzione e l’accattonaggio, come altri casi a cui si è accennato, saranno considerati, in determinate forme, nella legge ordinaria. Ritiene cosa essenziale sottrarre la competenza di queste decisioni all’autorità di pubblica sicurezza, e darla invece alla magistratura.

PRESIDENTE propone di adottare una formula che possa comprendere almeno alcuni dei casi denunciati nel corso della discussione. Se al termine «epidemia» si sostituisse il termine «sanità» si adotterebbe una formula generica in cui potrebbero essere comprese anche la prostituzione, l’accattonaggio, ecc.

Domanda agli onorevoli Lucifero e Togliatti se accettano l’espressione «sanità».

LUCIFERO e TOGLIATTI dichiarano di accettare la sostituzione.

GRASSI domanda se una volta stabilito nella Costituzione che la legge può imporre dei limiti in quei casi di guerra, di epidemia, ecc., si escluderà che le leggi penali, che verranno dopo la Costituzione, possano anche contemplare altri casi.

MORO risponde che la legge può stabilire quelle forme di sanzione penale che permettano di attuare procedure di polizia che non sono state stabilite prima.

MANCINI dichiara di non essere d’accordo con l’onorevole Moro, perché, ritiene che una legge successiva non può in nessun caso modificare la legge fondamentale costituzionale.

LOMBARDI GIOVANNI propone la formula seguente: «salvo i limiti imposti dalla legge dello Stato per motivi di Sanità e di ordine pubblico».

BASSO, Relatore, ritiene ingiustificata in questo caso l’osservazione che le leggi penali non possano istituire quelle determinate norme in quanto sarebbero contrarie alla legge costituzionale, perché nella legge costituzionale è stato sancito un principio che comprende tutti gli altri, dando facoltà all’autorità giudiziaria di privare il cittadino della libertà personale. È chiaro che se poi la pena prevede la reclusione, non si può dire che vi è una contraddizione.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta di chiudere la discussione, salvo il diritto a prendere la parola per coloro che lo hanno domandato.

(La proposta è approvata).

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con gli onorevoli Mancini e Grassi quando sostengono che la legge speciale, e anche il Codice penale, non possono derogare dai limiti fissati dalla Costituzione. Quando la Costituzione dice: «in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico», è evidente che si esclude che il Codice penale possa, se non per motivi di sanità o di ordine pubblico, creare una disposizione che preveda l’ordine di traduzione e di restituzione nella propria dimora dei vagabondi e di altre persone che si trovano in determinate condizioni.

Contrariamente a quanto ha affermato l’onorevole Basso, ritiene che, malgrado quella disposizione di ordine generale, deve essere tenuto presente il fatto che nel successivo articolo 7 viene fissata in materia di domicilio una norma speciale più restrittiva, stabilendosi che il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico». Non vi è quindi possibilità di derogare da tale principio neppure in una legge speciale.

MASTROJANNI insiste perché venga mantenuta l’espressione: «ordine pubblico», facendo presente che la formula dei relatori è comprensiva e nello stesso tempo esclusiva di qualsiasi ipotesi di arbitrio. D’altra parte si deve consentire all’autorità di pubblica sicurezza di poter prevenire i reati, ciò che non può avvenire se non quando l’autorità di pubblica sicurezza ha la possibilità di sorvegliare nel loro domicilio determinati elementi pericolosi per la società. Ritiene quindi essenziale inserire nella Costituzione il principio che le leggi speciali, in tema di sanità e di ordine pubblico, possano derogare alle norme generali.

MORO osserva che l’unico limite costituzionale che si può ammettere per la legge penale è quello già introdotto nella Costituzione dove è stabilito che non possono essere irrogate pene crudeli, e che le pene devono avere il fine della rieducazione del reo. Con tali disposizioni si sono limitate le possibilità di attentare alla libertà individuale.

Ritiene che l’espressione «ordine pubblico» e «sanità» possano essere conservate, e propone la seguente formula: «per motivi di guerra o di pubblica calamità, di sanità e di moralità nei riguardi di coloro che escono dallo stato di detenzione».

BASSO, Relatore, ricorda che l’onorevole Moro aveva fatto una precedente proposta, che ritiene accettabile, ricavando la formula dalla relazione sui lavori preparatori per la Costituente, aggiungendo poi che «in nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

MORO dichiara di mantenere la prima proposta, e di presentare anche la seconda solo in via subordinata.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta Moro-Basso così formulata: «salvi i limiti imposti con carattere generale dalla legge per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

Precisa che la prima parte dell’articolo 7 risulta approvata nei seguenti termini: «Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti con carattere generale dalle leggi, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».

LUCIFERO richiama l’attenzione della Commissione sul fatto che nell’articolo 7, prima parte, testé approvata, non è stato contemplato il caso della guerra.

PRESIDENTE fa presente che l’osservazione dell’onorevole Lucifero è tardiva, in quanto che quella parte dell’articolo 7, in cui poteva venir contemplato il caso della guerra, è stata già votata e approvata.

Mette ai voti l’ultima parte dell’articolo 7 che è la seguente: «Il diritto di emigrare, salvi gli obblighi di legge, è garantito a tutti».

(È approvata all’unanimità – L’articolo 7 è approvato nel suo complesso).

Pone in discussione l’articolo 8, il cui primo comma, nel progetto degli onorevoli Basso e La Pira, è così formulato: «La libertà e la segretezza di comunicazioni e di corrispondenza in qualsiasi forma sono garantite».

Mette ai voti questa parte dell’articolo.

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo stesso il quale dice: «Può derogarsi a questa disposizione per specifica decisione dell’autorità giudiziaria».

TOGLIATTI domanda se l’autorità giudiziaria può decidere, ad esempio, che sia applicato un sistema di ascolto ai telefoni.

BASSO, Relatore, risponde che l’autorità giudiziaria può intervenire solo nei casi di reato.

LA PIRA, Relatore, fa presente che questa possibilità di deroga ammessa per l’autorità giudiziaria c’è in tutte le Costituzioni.

PRESIDENTE osserva che, per maggiore chiarezza si potrà dire, invece di «specifica decisione», «motivata decisione».

MORO propone che, per chiarire nel senso desiderato dall’onorevole Togliatti, si dica: «dell’autorità giudiziaria, per ragioni di polizia giudiziaria o per fini di giudizio».

PRESIDENTE fa presente che nella formula da lui presentata: «può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell’autorità giudiziaria», è inclusa la preoccupazione espressa dall’onorevole Moro.

MORO dichiara di non essere d’accordo col parere del Presidente, perché l’autorità giudiziaria può ordinare l’esibizione di una lettera che serva come prova, e non ha necessità di motivare la sua richiesta.

PRESIDENTE replica che qui si tratta di una garanzia generale per il cittadino.

Mette ai voti la proposta di sostituire alla parola «specifica» l’altra «motivata».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione il secondo capoverso dell’articolo 8 così formulato: «Durante il tempo di guerra, per disposizioni di legge, possono essere stabilite limitazioni e istituite censure». Propone che questa dizione sia sostituita con la seguente: «La legge può stabilire limitazioni e istituire censure per il tempo di guerra».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo 8: «La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata per legge», proponendo che vengano soppresse le parole «per legge».

(È approvato all’unanimità).

Pone ai voti l’intero articolo 8 così come risulta dopo le modificazioni apportate al testo dei Relatori Basso e La Pira:

«La libertà e la segretezza di comunicazioni e di corrispondenza, in qualsiasi forma sono garantite.

«Può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione dell’autorità giudiziaria.

«La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure per il tempo di guerra.

«La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata».

(È approvato).

Rinvia la seduta a domani alle ore 12.

La seduta termina alle 13.15.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Dossetti.

GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

9.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 19 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Marchesi – Moro – Grassi – Mastrojanni – Mancini – Basso, Relatore – Lombardi Giovanni – Cevolotto – La Pira, Relatore – De Vita – Togliatti – Merlin Umberto.

La seduta comincia alle 12.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE rilegge la parte dell’articolo 5 approvata nella seduta precedente:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con le pene da essa previste.

«La responsabilità penale è personale».

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo:

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei Codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Propone che si esamini anzitutto la prima proposizione che dice: «Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo».

MARCHESI osserva che i due Relatori hanno preferito alla parola «colpevole», che era stata adoperata nella prima proposta del Relatore Basso, il termine «reo», che è quello proposto dal Relatore La Pira. Forse è stato preferito tale termine per indicare il colpito da una condanna penale e nello stesso tempo per lasciar posto ad una possibilità di innocenza che la parola «colpevole» rimuoverebbe interamente.

È d’accordo nel concetto, perché essere inchiodato alla croce di una condanna ed essere inchiodato alla croce di una colpa sono cose diverse. Però, se nel diritto penale moderno reato significa l’infrazione di una norma giuridica, se reato significa la violazione di una norma sanzionata con una condanna, ne consegue che «reo» è il violatore di questa norma e quindi «reo» è il colpevole. Ma la parola reus ha una storia e un’evoluzione, ed egli preferisce le parole che non hanno una storia. Infatti la parola reus ha avuto un’evoluzione in tutto il diritto romano antico.

Senza alcuna eccezione letterale e tardiva, la parola reus significa «il giudicabile», cioè colui che è sottoposto a giudizio e non vi è alcuna eccezione fino al diritto costantiniano. Più tardi, nel diritto moderno, reus significa «giudicato». Ora una parola che non ha storia e che egli preferirebbe, è quella di condemnatus, cioè di «condannato», che dalla legge delle Dodici Tavole, dal Codice decemvirale fino ad oggi, mantiene lo stresso significato. D’altra parte la figura del condemnatus innocente è limpida, chiara ed immediata, mentre la figura del «reo» innocente non è ugualmente immediata e limpida.

Propone quindi che alla parola «reo», che si può prestare a delle eccezioni, sia sostituita la parola «condannato» che non si presta a nessuna ambiguità di significato.

MORO fa osservare che il termine tecnico giuridico è quello di «reo». Questa parola viene sempre usata nel linguaggio giuridico e dei codici, e se si mettesse una parola diversa, si potrebbero creare degli equivoci. La parola «condannato» è un termine che si potrebbe anche accettare, ma può essere fonte di preoccupazioni l’usare una parola che non è mai adoperata se non forse nel linguaggio processuale.

MARCHESI propone allora di ritornare al termine di «colpevole». Questa parola è più chiara, specialmente quando si parla di rieducazione del colpevole, perché il termine di rieducazione presuppone una colpa.

GRASSI ricorda che nell’articolo 4 è stato usato il termine «colpevole» quando si è detto che l’imputato è presunto innocente finché non sia stato dichiarato colpevole.

MORO dichiara di non poter disconoscere che la parola colpevole sia appropriata, ma la terminologia giuridica fa differenza tra «colpevole» e «reo». Colpevole s’intende colui che è riconosciuto come tale e che ha partecipato personalmente al reato (la partecipazione spirituale in senso tecnico si chiama anche colpevolezza). Questo sarebbe il lato soggettivo del reato. Quando si dice «reo» invece si ha riguardo sia al lato soggettivo che a quello oggettivo. Adoperando una parola diversa, cioè per esempio «colpevole», si adopera una terminologia poco comune.

PRESIDENTE insiste sulla parola «colpevole» la quale, oltre a rispondere alla preoccupazione dell’onorevole Marchesi, si richiama ad un termine che la Commissione ha già adoperato.

MARCHESI domanda all’onorevole Moro quali difficoltà di carattere tecnico e giuridico possano sorgere se si adopera il termine «condannato» che è un termine giuridico.

MORO torna ad osservare che questa parola è usata soltanto in un senso processuale. Condannato è colui al quale è stata irrogata una pena. Guardando il complesso della persona, sia sotto il profilo sostantivo che processuale, si dice sempre «reo».

MARCHESI osserva che, con il termine «colpevole», si verrebbe ad escludere la violazione, la lesione del diritto, e quindi non ritiene di poter accettare questo termine, che sostituirebbe con «condannato».

PRESIDENTE, anche per armonizzare la terminologia che è stata fin qui adoperata, userebbe il termine «colpevole».

MORO osserva che la parola «colpevole» si adopera, per esempio, quando si dice «è stato riconosciuto colpevole». In questo caso la parola è giusta dal punto di vista tecnico-giuridico.

Dichiara di accedere piuttosto alla parola «condannato».

PRESIDENTE, accetta il termine «condannato».

MASTROJANNI osserva che la sanzione penale può essere irrogata, senza che venga fatta scontare come nei casi di concessione dei benefici di legge.

In tali casi come si può parlare di rieducazione del condannato, se questi non sconta la pena? La rieducazione in concreto deve estrinsecarsi nei confronti di chi subisce la condanna.

PRESIDENTE rileva che l’onorevole Mastrojanni, nel fare questa osservazione, non tiene conto dello spirito di questo articolo, il quale può prevedere anche il caso da lui accennato. Infatti la concessione dei benefici di legge, anzi gli stessi benefici di legge hanno per presupposto e per fine la rieducazione del reo.

MORO spiega che la presunzione della pena c’è; soltanto non è eseguita.

MASTROJANNI ritiene che sia necessario e indispensabile aver anche riguardo alla forma, poiché si deve poter presumere che il colpevole in avvenire si asterrà dal commettere reati.

Poiché l’onorevole Moro faceva distinzione tra «reo» e «condannato», conferma che è più opportuno usare il termine «reo» per le considerazioni che ha sopra esposte, che cioè il condannato può anche non scontare la pena, e allora non si può parlare di rieducazione.

PRESIDENTE mette ai voti la prima proposizione dell’articolo con l’emendamento proposto dall’onorevole Marchesi:

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».

(La proposta è approvata all’unanimità meno uno).

Pone in discussione la seconda proposizione dell’articolo 5:

«La pena di morte non è ammessa (se non nei Codici penali militari di guerra)».

MANCINI sostiene la necessità di affermare che la pena di morte debba essere soppressa senza eccezione, anche nei Codici militari.

Il Presidente della Sottocommissione gli è buon testimone che quando si portò al Consiglio dei Ministri il decreto-legge per la soppressione della pena di morte, egli fu incondizionatamente favorevole al decreto stesso e, pertanto, si dichiara contrario alla pena di morte senza eccezioni di sorta: lo Stato non ha il diritto di commettere un delitto più grave di quello commesso dal delinquente.

BASSO, Relatore, fa presente che, nel testo da lui presentato d’accordo con l’onorevole La Pira, la frase che stabilisce un’eccezione al principio della non ammissibilità della pena di morte e che riguarda i Codici penali militari di guerra, è stata messa tra parentesi poiché l’onorevole La Pira non era d’accordo nell’introdurre questa eccezione, ed anche l’oratore consentiva sul principio di abolire la pena di morte. Ma poi considerò la difficoltà pratica di sopprimere, specialmente in tempo di guerra, la condanna a morte. Se si ritiene di doverla mantenere nei Codici militari di guerra, si deve nella Costituzione introdurre questa eccezione, perché altrimenti, quando si farà il Codice penale militare di guerra, si sarà costretti a introdurre una modifica alla Costituzione.

Pertanto insiste per il mantenimento della formula proposta.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che avrebbe desiderato che all’affermazione generica «la rieducazione del reo» si fosse aggiunto qualche cosa che ricollegasse la rieducazione ad un fatto concreto.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Lombardi che la parte dell’articolo che riguarda la rieducazione del reo è stata già votata.

LOMBARDI GIOVANNI presenta alla Sottocommissione una sua proposta di legge del 1920, dove la rieducazione del reo era studiata, e chiede che tal proposta faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.

PRESIDENTE dà atto all’onorevole Lombardi della presentazione della sua proposta di legge e della richiesta che essa faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.

LOMBARDI GIOVANNI, per quanto riguarda la pena di morte, ricorda che, quando questa fu stabilita nel Codice fascista, egli immediatamente scrisse un libro contro la pena di morte. Riallacciandosi a quelle conclusioni, si dichiara d’accordo con la proposta dell’onorevole Mancini che si abolisca la pena di morte, soprattutto nei Codici penali militari, dove ogni aberrazione è possibile.

Dichiara altresì che la pena di morte dovrebbe essere riconfermata solo per quei delinquenti tipici, non costituzionali ma atavici, la cui esistenza è un’offesa al genere umano.

PRESIDENTE chiede all’onorevole Lombardi di mettere a disposizione della Commissione il libro accennato.

MANCINI insiste nella richiesta che la pena di morte sia soppressa senza alcuna eccezione, e chiede la votazione su questa proposta.

CEVOLOTTO dichiara di non essere personalmente contrario al concetto espresso dall’onorevole Mancini. Fa osservare però che difficilmente un simile principio potrebbe essere approvato dalla Commissione centrale dell’Assemblea. Infatti nel Codice militare non si può fare a meno, specialmente in tempo di guerra, di prevedere il caso in cui si deve applicare la pena di morte. Si tratta di una necessità assoluta.

Pertanto è del parere che sia necessario mantenere l’eccezione.

PRESIDENTE dichiara di essere dell’opinione dei correlatori e favorevole alla proposta da essi presentata.

Da atto all’onorevole Mancini dell’aver egli sostenuto, anche in sede di Consiglio dei Ministri, l’abolizione pura e semplice e per ogni caso della pena di morte, mentre l’oratore fece salvi i casi previsti dai Codici militari di guerra.

Mette ai voti la prima parte della proposizione che dice: «La pena di morte non è ammessa».

(È approvata all’unanimità).

Pone in discussione la seconda parte, che stabilisce l’eccezione per i Codici penali militari di guerra. Fa osservare a coloro che sostengono la soppressione di questa eccezione che il legislatore, nell’ipotesi che debba sanzionare un’eccezione, si troverebbe nella condizione di dover modificare la Costituzione. D’altra parte la formula adoperata dai Relatori dà senz’altro per ammesso che i Codici penali militari di guerra potranno stabilire la pena di morte.

Propone invece una formula diversa, che potrebbe essere del seguente tenore: «Possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».

In tal modo, non si approva fin dal principio l’eccezione; ma si mette il legislatore nella condizione di poter adottare una simile soluzione senza essere costretto a modificare la Costituzione.

MANCINI insiste per una formula secondo la quale la pena di morte sia abolita senza alcuna eccezione.

LA PIRA, Relatore, osserva che, quando esiste lo stato di guerra, vi è anche uno stato di emergenza giuridica in cui vengono soppresse anche le garanzie costituzionali. Pertanto è forse meglio affermare decisamente che la pena di morte non è ammessa.

PRESIDENTE avverte che porrà ai voti la proposta dell’onorevole Mancini, diretta ad abolire, senza alcuna eccezione, la pena di morte.

BASSO, Relatore, dichiara di essere d’accordo sul principio che la pena di morte non è ammessa. Se la coscienza giuridica del paese è matura per il principio della non applicabilità della pena di morte, voterebbe anche egli per la soppressione della pena di morte senza eccezioni, purché questo non dia luogo a discussioni ed a difficoltà.

DE VITA dichiara che voterà a favore della proposta Mancini.

TOGLIATTI dichiara di votare contro la proposta Mancini, perché vi possono essere delle guerre giuste che si devono combatterei ed allora, in caso di una guerra, è necessario che la pena di morte sia prevista.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta Mancini di soppressione pura e semplice delle parole: «se non nei Codici penali militari di guerra».

(La proposta non è approvata – Voti favorevoli: 6, contrari: 9).

Mette ai voti la formula proposta dai Relatori con la modifica da lui suggerita, che è la seguente: «possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».

(La proposta è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).

PRESIDENTE pone in discussione il comma:

«Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Coerentemente a quanto disse nella seduta precedente circa la responsabilità personale, propone che vengano soppresse le parole: «né irrogarsi sanzioni collettive».

TOGLIATTI domanda se, invece di «pene crudeli», non sia meglio dire «pene corporali».

MASTROJANNI osserva che una delle pene veramente crudeli da sopprimere è quella della segregazione cellulare continua. Desidera se ne faccia cenno nel verbale come suo suggerimento.

BASSO, Relatore, dichiara che appunto in tale spirito aveva detto «pene crudeli». Non sono crudeli solo le pene corporali.

MASTROJANNI suggerisce anche la soppressione di quell’altra affermazione del diritto penale fascista per la quale gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono la imputabilità.

DE VITA desidera sapere se questo divieto di sanzioni collettive debba intendersi esteso anche ai Codici penali militari di guerra.

PRESIDENTE risponde affermativamente. L’unica eccezione consentita è quella della pena di morte nei casi previsti dal Codice penale militare di guerra, e con esclusione assoluta anche da parte di questo di ogni sanzione collettiva.

LOMBARDI GIOVANNI ritiene che il dire «non possono istituirsi pene crudeli» costituisca una formula ingenua. La pena è per se stessa un male necessario e crudele, dal carcere alla segregazione, dalla reclusione alla morte. Gli sembra che più crudele della morte non ci sia alcunché. Domanda poi che cosa si intenda per «pene crudeli».

MARCHESI risponde che sono pene crudeli quelle che infieriscono sul vivo, non quelle che uccidono.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che tutte le pene infieriscono sul vivo. Propone perciò la soppressione pura e semplice delle parole «non possono istituirsi pene crudeli».

MERLIN UMBERTO si dichiara favorevole alla soppressione.

BASSO, Relatore, spiega che il concetto espresso nel comma in discussione rientra in quello generale già affermato, che cioè la sanzione penale deve tendere alla rieducazione del reo. Unica eccezione quella della pena di morte che può essere introdotta nel Codice penale militare. Però, chi ha esperienza di vita carceraria, fatta come carcerato, sa che occorrerà del tempo prima di riuscire ad infondere nei nostri ordinamenti carcerari questo spirito di rieducazione. Pensa perciò che non sia male ribadire questo concetto. Ciò che si può ottenere subito è che in nessun caso la sanzione arrivi alla crudeltà. Negli attuali ordinamenti carcerari ci sono le pene corporali, la segregazione cellulare, il vitto ridotto a pane e acqua ed altre forme del genere. Non si perde nulla se si afferma questo principio.

LA PIRA, Relatore, concorda pienamente con quanto ha detto l’onorevole Basso. Nella sua relazione aveva proposto: «Le pene corporali sono vietate». Ma si è scelta la formula proposta dal Relatore Basso proprio per informare di questo spirito umano tutta la materia carceraria.

MANCINI si dichiara d’accordo con l’onorevole Basso e con l’onorevole La Pira, ma vorrebbe che questi concetti venissero espressi con un’altra formula.

MORO osserva che è stato già votato un articolo nel quale si garantiva un trattamento umano alla persona arrestata o comunque detenuta. Qui è configurata un’altra ipotesi, quella dell’istituzione di pene crudeli; viene posto un vincolo al legislatore, non all’agente carcerario.

In questo senso gli sembra che «pene crudeli» possa andare come ipotesi, cioè per il legislatore. Il trattamento carcerario è previsto già nell’articolo 3.

MERLIN UMBERTO è del parere di sopprimere questa parte del comma.

PRESIDENTE ritiene che la parte del comma riguardante le sanzioni collettive possa essere soppressa, inquantoché questo concetto è implicitamente contenuto nella disposizione circa la responsabilità penale personale. Non sa, dopo quello che ha detto l’onorevole Moro, se anche per quanto riguarda le pene crudeli si possa fare riferimento a quella parte dell’articolo 3, ultimo capoverso, in cui si dice che durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito un trattamento, umano.

Quando si è fissato in sede di Costituzione che il trattamento di chiunque è privato della libertà personale deve essere umano, si è già detto che la pena deve essere umana. Con questa spiegazione il concetto risulta chiaro e preciso e ribadisce la formula già approvata in precedenza.

BASSO, Relatore, dichiara di non essere d’accordo con il Presidente proprio per le ragioni esposte dall’onorevole Moro. Tutta, la struttura dell’articolo 3, dove si dice che è vietata ogni violenza fisica e morale è, in sostanza, una norma rivolta essenzialmente ai funzionari della forza pubblica, onde impedire un abuso da parte dei funzionari stessi, i quali possono compiere violenze o infliggere trattamenti inumani arbitrariamente.

Il concetto che si è inteso affermare in questo articolo 5 non è il divieto di un trattamento arbitrario inumano, ma quello che neanche il legislatore può istituire delle pene che abbiano carattere di crudeltà, come la segregazione cellulare che è durata come pena nel nostro Codice troppi anni. Sono due concezioni diverse quelle che si vogliono distintamente affermare nei due articoli.

MORO concorda con il Relatore Basso, e per venire incontro all’onorevole Mancini che desidera una maggiore chiarezza, propone di spostare le parole al principio del capoverso nel modo seguente:

«Non possono istituirsi pene crudeli e le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».

Si stabilisce così che solo nei limiti della necessità la pena può essere afflittiva e si segnano i limiti della necessità dell’afflizione.

MASTROJANNI ritiene che si debba distinguere tra sanzioni penali e sanzioni disciplinari. All’inconveniente temuto dal Relatore Basso, relativo alla sanzione disciplinare, ossia al trattamento carcerario, si potrebbe ovviare aggiungendo dopo le parole: «le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato», le altre: «le sanzioni disciplinari devono essere contenute in limiti umani».

PRESIDENTE ricorda che vi sono due proposte: una per il mantenimento della formula da trasferire ed anteporre alla prima parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5; un’altra per la soppressione pura e semplice della formula stessa.

Mette ai voti la proposta soppressiva.

CEVOLOTTO dichiara che voterà favorevolmente la proposta soppressione perché ritiene che non vi sia alcun pericolo che possano essere istituite pene crudeli.

TOGLIATTI dichiara di approvare la soppressione proposta.

BASSO, Relatore, insiste perché sia mantenuta la dizione come era stata da lui proposta. Il concetto di rieducazione può comprendere quello di divieto di pene crudeli, ma può anche non comprenderlo.

PRESIDENTE osserva che nello spirito sono tutti d’accordo e discordano soltanto nella forma.

Mette ai voti la soppressione pura e semplice dell’ultima parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5 che dice: «Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

(La soppressione è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).

Pone ai voti l’intero articolo 5 nel testo definitivamente approvato:

«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.

«La responsabilità penale è personale.

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato. La pena di morte non è ammessa. Possono fare eccezione i Codici penali militari di guerra».

(È approvato.)

Dà quindi lettura dell’articolo 6 nel testo proposto dai Relatori:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico.

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari devono esser fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia, o, in mancanza, di due vicini facenti fede e secondo le norme stabilite dalla legge».

TOGLIATTI osserva che, quando si dice: «o altri casi eccezionali, tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico», vi è una tale ampiezza nella quale tutto può rientrare.

Nella legge si potrà contraddire la Costituzione «per motivi di ordine pubblico», e in tal caso il domicilio non sarà più inviolabile.

Propone perciò che l’inciso venga soppresso.

BASSO, Relatore, osserva che l’esperienza pratica ammonisce che la soppressione non è possibile. La garanzia è nel fatto che non sono ammesse altre eccezioni se non quelle fissate dalla legge. Se si facesse salvo soltanto il caso di «flagranza di reato» si escluderebbero molte ipotesi che in pratica possono verificarsi.

MORO ritiene che la norma si ricolleghi a quanto è stato sancito nell’articolo 3 circa il fermo e l’arresto. Se si stabilisce che le autorità di pubblica sicurezza possano arrestare e tenere in carcere per 48 ore un individuo, si deve ammettere anche la facoltà di entrare nel domicilio per l’arresto, nell’ipotesi di fondato sospetto di reato.

TOGLIATTI domanda se si debba specificare il caso di flagranza o quello di fondato sospetto di reato.

MASTROJANNI dichiara di concordare con l’onorevole Togliatti. Una qualsiasi legge, in situazioni contingenti speciali, può infrangere il concetto della Costituzione e lasciare che l’arbitrio prevalga sulla legge, tanto più se si dice: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi». Una legge eccezionale potrebbe consentire di violare il domicilio.

DE VITA concorda nella proposta dell’onorevole Togliatti di sopprimere inciso.

BASSO, Relatore, osserva che si può sopprimere tutto; però ci si potrà trovare di fronte a tanti casi, come quello del trasporto di un pazzo pericoloso a sé e agli altri, o quello di un malato contagioso. Non crede che si possano evitare questi casi.

MASTROJANNI osserva che ci saranno le leggi sanitarie che dovranno provvedere in materia.

PRESIDENTE fa presente che, se si vieta nella Costituzione la ipotesi dei casi eccezionali, le leggi sanitarie non potranno intervenire.

BASSO, Relatore, ripete che, quando si stabilisce che sono salvi soltanto i casi regolati dalle leggi, si è già provveduto a difendere il cittadino dall’arbitrio.

MARCHESI osserva che i casi a cui ha fatto riferimento l’onorevole Basso, di un malato contagioso o di un pazzo, non riguardano l’ordine pubblico, ma 1’incolumità pubblica.

PRESIDENTE fa presente che i casi a cui accennava il Relatore Basso sono evidentemente gravi e non rimarrebbero compresi in questo articolo se si limitasse a considerare il solo caso di fondato sospetto di reato. Escludere le ipotesi configurate nel testo proposto dai Relatori è una cosa pericolosa; includerle è una garanzia che faciliterà l’opera del legislatore di fronte a casi gravi senza costringerlo o a violare la Costituzione o a modificarla.

MANCINI ricorda che al Consiglio dei Ministri è stata votata una legge in cui si autorizza l’entrata nelle case dei cittadini alla milizia annonaria.

MASTROJANNI osserva che proprio per questo vanno esclusi tutti i casi che possano rientrare nelle cosiddette «necessità di ordine pubblico».

TOGLIATTI insiste nella proposta di soppressione, perché purtroppo nel diritto pubblico e nel costume pubblico e politico dell’Italia è invalso l’uso che la sola legge che conta è quella di pubblica sicurezza. Si può scrivere quello che si vuole nella Costituzione e nei Codici. Poi il Governo fa la legge di pubblica sicurezza, la quale è la sola che regola i rapporti tra il cittadino e l’autorità dello Stato.

PRESIDENTE comunica che vi è una proposta conciliativa dell’onorevole Moro, la quale dice:

«Nessuno può introdurvisi se non per flagranza o fondato sospetto di reato, ed in altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi per proteggere la pubblica incolumità».

GRASSI ricorda all’onorevole Togliatti che il principio dell’inviolabilità del domicilio, su cui sono tutti d’accordo, è presentemente violato non solo da parte dello Stato, ma da parte di tutti. In verità molte volte bisogna violarlo non soltanto in flagranza di reato, ma per altre esigenze e necessità, come quelle annonarie, in cui le perquisizioni possono esser fatte senza arrivare all’autorità giudiziaria.

Propone che si dica: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalla legge».

PRESIDENTE comunica che è stato presentato un emendamento aggiuntivo che dice: «salvo il caso di flagranza o fondato sospetto di reato».

MANCINI osserva che in tal modo si favorisce l’arbitrio: ogni poliziotto potrà dire di avere un fondato sospetto di reato.

PRESIDENTE pone in discussione la seguente formulazione proposta dall’onorevole Togliatti e che si riferisce alla prima parte della proposizione: «Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o per pubblica necessità in casi tassativamente preveduti dalla legge».

BASSO, Relatore, dichiara di poter accettare la formula proposta dall’onorevole Togliatti, perché quello che interessa in questa faccenda è che rimanga la garanzia contenuta nell’espressione: «tassativamente preveduti dalla legge».

Alla preoccupazione dell’onorevole Togliatti che il Governo possa emanare una legge di pubblica sicurezza che contrasti con il divieto della violazione di domicilio, risponde che la legge emanata dal Governo deve essere poi approvata dal Parlamento, cioè dai rappresentanti eletti dal popolo, e naturalmente non potrà avere forme generiche ma dovrà stabilire ogni caso specifico.

CEVOLOTTO dichiara di accettare la formula Togliatti, ma insiste anche per l’approvazione della proposta dell’onorevole Moro che aggiunge alla formula stessa il caso di «fondato sospetto di reato». Se non si inserisce questa formula, non vi sarà più il diritto di andare a vedere, per esempio, se in una determinata casa siano nascoste armi, anche se vi fosse un fondato sospetto.

MORO insiste sulla formula da lui proposta, che gli sembra più completa perché prevede la flagranza, il sospetto di reato e anche il caso in cui sia in pericolo la pubblica incolumità. La formula «pubblica incolumità» è più restrittiva e più umana, mentre la formula «pubblica necessità» è più larga e si presta all’arbitrio. Preferirebbe magari che si dicesse «per motivi di ordine pubblico».

PRESIDENTE consente con l’onorevole Moro nel ritenere che la formula: «pubblica necessità» sia più larga nei confronti di quella più restrittiva proposta dai Relatori.

TOGLIATTI osserva che la formula «ordine pubblico» potrebbe prestarsi a coprire qualsiasi arbitrio.

DE VITA ritiene che la legge ordinaria non sia garanzia sufficiente, quando al legislatore ordinario sono concessi limiti troppo ampi. Il rinvio alla legge speciale in questa materia gli sembra pericoloso, se si pongono dei limiti troppo vasti.

MORO fa presenti le tre ipotesi che possono interessare: flagranza, fondato sospetto di reato e pubblica incolumità. In questa ultima ipotesi possono rientrare i casi di pazzia, di malati contagiosi, ecc. Queste tre ipotesi vengono racchiuse nella formula da lui proposta; e pertanto questa formula, mentre è la più larga come comprensione, è nello stesso tempo quella che impone limiti maggiori.

PRESIDENTE fa rilevare all’onorevole Togliatti che la proposta dell’onorevole Moro gli viene incontro, nel senso che è più limitativa della formula che l’onorevole Togliatti voleva sostituire all’altra dell’ordine pubblico, perché troppo estensiva. La proposta di sostituire la parola «necessità» con la parola «incolumità» è più restrittiva dell’ipotesi di necessità pubblica e di ordine pubblico.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara favorevole alla formula proposta dal Relatore, perché teme le specificazioni. Ordine pubblico, o incolumità pubblica, o necessità pubblica, sono tre formule che possono benissimo costituire la base di ogni arbitrio. Crede che la formula generica: «in caso di flagranza o in casi previsti tassativamente dalla legge» esprima un concetto generale al quale si può accedere.

CEVOLOTTO dichiara di aderire alla proposta dell’onorevole Moro, purché si mantenga il riferimento al fondato sospetto di reato.

MANCINI dichiara di non poter aderire alla formula dell’onorevole Moro perché la sua aggiunta: «fondato sospetto di reato», è molto più estensiva di quella degli onorevoli Togliatti e Basso. Nel «fondato sospetto di reato» la pubblica sicurezza, con il suo ben noto sistema, può far entrare tutti i casi che invece si vogliono escludere e specialmente le azioni o i fatti a contenuto politico.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Mancini che è stato ammesso, in un articolo già precedentemente approvato, che si possa operare l’arresto o il fermo di polizia per fondato sospetto di reato. E questa gli sembra una cosa molto più grave di una perquisizione domiciliare, perché si tratta di portare in carcere un cittadino.

MANCINI replica che l’arresto limitato alle 48 ore non può avere una grave conseguenza. Mentre, invece, quando il domicilio di un cittadino può essere campo libero di perquisizioni per un fondato sospetto di reato, si possono mascherare nella formula tutte le ipotesi politiche che si vogliono tassativamente escludere.

PRESIDENTE mette ai voti la prima parte del comma: «Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria».

(È approvata all’unanimità).

Mette ai voti la seconda parte: «salvo il caso di flagranza di reato».

(È approvata all’unanimità).

Ricorda che vi è una proposta dell’onorevole Moro di aggiungere le parole: «o per fondato sospetto di reato». La mette ai voti.

(Non è approvata con voti favorevoli 4 e 11 contrari).

Mette ai voti l’altra parte della proposizione proposta dai Relatori, che dice: «o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi, per necessità di ordine pubblico».

Ricorda che c’è una proposta Moro che mira a sostituire alle parole: «per necessità di ordine pubblico» le altre: «per pubblica incolumità», ed una dell’onorevole Togliatti che vorrebbe sostituire le stesse parole con le altre: «per pubblica necessità». Domanda all’onorevole Togliatti se accetta la formula proposta dall’onorevole Moro: «per pubblica incolumità», anziché «per pubblica necessità».

TOGLIATTI accetta.

CEVOLOTTO domanda all’onorevole Moro se mantiene la sua proposta, dal momento che non è stata approvata l’aggiunta da lui proposta: «o per fondato sospetto di reato».

MORO dichiara di recedere dalla sua proposta.

MANCINI dichiara di fare sua la proposta ritirata dall’onorevole Moro.

CEVOLOTTO dichiara di far sua la proposta presentata dal Relatore Basso, e in seguito da lui ritirata, tendente a sopprimere le parole: «per necessità di ordine pubblico».

BASSO, Relatore, fa presente d’aver dichiarato che, siccome per lui la garanzia di libertà si ritrova nella dizione «tassativamente regolati dalle leggi», gli è indifferente che le parole «per necessità d’ordine pubblico» siano aggiunte o siano soppresse.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta soppressiva dell’onorevole Cevolotto.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 7 contrari).

Fa presente che il testo del primo comma dell’articolo rimane così formulato:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali, tassativamente regolati dalle leggi».

TOGLIATTI dichiara di riservarsi di ritornare sull’argomento in sede di discussione davanti alla Commissione centrale.

PRESIDENTE pone in discussione il secondo capoverso dell’articolo 6, il quale non fa che mitigare e regolare l’esercizio di questa facoltà di perquisizione, in quanto la circonda di tali cautele che possono per sé risolvere le preoccupazioni di coloro che mostrano una certa apprensione nell’approvare l’ultima parte del primo capoverso. La dizione proposta dai due Relatori è la seguente:

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari debbono esser fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia, o, in mancanza, di due vicini facenti fede e secondo le norme stabilite dalle leggi».

MARCHESI osserva che la legge, cui è tanto devoto l’onorevole Basso, può allargare di molto le maglie, in maniera che la porta del domicilio debba aprirsi anche all’arbitrio.

PRESIDENTE replica che le disposizioni in discussione sono fatte proprio per evitare l’arbitrio.

GRASSI ritiene che le disposizioni di questo ultimo capoverso siano più propriamente materia di regolamento.

TOGLIATTI osserva che la dizione finale del capoverso è troppo generica, e propone: «e nelle forme stabilite dalla legge a garanzia del cittadino».

CEVOLOTTO fa osservare che questa formula del capoverso è in molte altre Costituzioni. Questo significa che si vede la necessità di scendere, in casi del genere, anche ad un dettaglio, data la delicatezza dell’argomento. Crede, perciò, che non vi siano ragioni per non specificare anche nella nostra Costituzione.

PRESIDENTE ritiene che queste disposizioni dovrebbero contribuire a rassicurare chi è specialmente preoccupato di garantire il cittadino.

TOGLIATTI dichiara che voterà a favore del capoverso come formulato dai Relatori.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non voterà favorevolmente a questa parte, non perché non la approvi, ma perché gli sembra materia estranea ad una norma statutaria.

PRESIDENTE mette ai voti il secondo capoverso dell’articolo 6.

(È approvato all’unanimità meno un voto).

Pone ai voti l’intero articolo 6 nel testo definitivo:

«Il domicilio è inviolabile. Nessuno può introdurvisi se non per ordine dell’autorità giudiziaria, salvo il caso di flagranza di reato o altri casi eccezionali tassativamente regolati dalle leggi.

«Le ispezioni e le perquisizioni domiciliari debbono essere fatte in presenza dell’interessato o di persona di famiglia o, in mancanza, di due vicini facenti fede secondo le norme stabilite dalle leggi».

(È approvato).

La seduta termina alle 13.35.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, De Vita, Iotti Leonilde, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Corsanego, Dossetti, Lucifero.

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

8.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Mastrojanni – Moro – Caristia – Mancini – Cevolotto – La Pira, Relatore – Lombardi Giovanni – De Vita – Basso, Relatore – Dossetti – Togliatti – Corsanego.

La seduta comincia alle 12.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 5 così come è stato proposto dai Relatori La Pira e Basso:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso.

«Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale.

Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo, osservando che esso ha la sua origine nelle proposte del Relatore La Pira che formano buona parte dell’articolo 11 e in quelle del Relatore Basso, per buona parte contenute nell’articolo 2. Evidentemente questo articolo 5, non è che il combinato sforzo dei due Relatori per sintetizzare in un articolo unico quello che era contenuto, quasi con una coincidenza sintomatica, nelle due relazioni.

MASTROJANNI chiede se non si potrebbe dire semplicemente: «La legge non ha effetto retroattivo».

PRESIDENTE, premesso che ritiene opportuno ritornare a quel carattere d’espressione che si è prevalentemente usato nei precedenti articoli, nei quali si è cercato di cominciare il meno possibile con la parola «nessuno», adoperata soltanto come conseguenza di affermazioni di carattere generale, è dell’opinione che si potrebbe dire: «La norma penale non è retroattiva», oppure: «La retroattività della norma penale è vietata».

MORO osserva che nella formula proposta dai Relatori sono consacrati due principî che si distinguono, il principio della irretroattività della legge penale e quello della tassatività della legge penale. Dire che la legge penale è irretroattiva non è dire con esattezza che nessuno può essere punito se non per una legge penale che indichi quella determinata pena. Crede pertanto che si debba mantenere la formula così come è stata proposta.

CARISTIA fa presente che il principio della non retroattività è già compreso nel Codice penale. Comunque ritiene più concreta la formula proposta dai Relatori.

MANCINI aderisce al concetto espresso dall’onorevole Moro, però pensa che si dovrebbero togliere le parole: «né punito», poiché s’intende che ogni processo si conclude o con la assoluzione o con la punizione.

Chiede poi un chiarimento. Nell’articolo proposto si legge: «se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso». Talché se c’è una legge posteriore al fatto commesso, la quale prevede il fatto come reato, questo non potrà essere punito? A rimanere alle parole dell’articolo si verrebbe a stabilire che una legge emanata posteriormente al fatto commesso, la quale contempla il fatto stesso come reato, non può essere applicata e il cittadino che si sia reso colpevole di un reato non può essere processato o punito. Si verrebbe in tal modo a creare una condizione di privilegio a benefìcio di chi ha commesso il fatto anteriormente alla emanazione della legge, mentre nei confronti di chi abbia commesso lo stesso fatto posteriormente all’entrata in vigore della legge vi è l’impunità.

MORO ritiene che la Commissione debba garantire la libertà individuale contro la possibilità che gli organi giudiziari irroghino pene per fatti non previsti dalla legge quando furono commessi. Con la formula proposta si vieta al giudice di incriminare qualsiasi fatto non previsto dalla legge come reato. Non si può punire un cittadino per aver commesso un fatto che solo posteriormente al fatto stesso venga dalla legge riconosciuto come reato; altrimenti la legge avrebbe effetto retroattivo.

MANCINI vorrebbe che l’articolo avesse una specificazione maggiore.

CEVOLOTTO ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Caristia, che in questa sede si ponga una norma superflua perché già contenuta nel codice, non abbia ragione d’essere. Sebbene il Codice penale parli di irretroattività della legge penale, si sa benissimo che può venirne un’altra retroattiva, come purtroppo è avvenuto anche in questo ultimo periodo, pure ammettendo che necessità rivoluzionarie abbiano potuto giustificare questo fatto. Comunque, il fatto è stato possibile perché la Costituzione non era più una realtà. Bisogna mettere perciò questo divieto nella Costituzione, perché non sia più possibile emanare norme che abbiano valore retroattivo.

LA PIRA, Relatore, rispondendo all’onorevole Mancini, fa osservare che il principio della non retroattività delle leggi è fondamentale e bisogna fissarlo nella Costituzione. Se c’è un problema politico che ha interessato il mondo in questi ultimi tempi è proprio questo. Anche le parole «né punito» vanno conservate perché affermano che la persona non può essere punita se non nel modo che la legge penale ha stabilito nel tempo del commesso reato.

Fa presente inoltre che questa formula si ritrova in tutte le Costituzioni a cominciare dalla lontana dichiarazione del 1789.

Il progetto di Costituzione francese dice: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in forza di una legge promulgata e pubblicata anteriormente al fatto commesso». La dichiarazione del 1789 dice: «Nessuno può essere punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata». Anche la Costituzione di Weimar dice all’articolo 116: «Un fatto può essere punito unicamente se la legge lo abbia dichiarato punibile prima che sia stato commesso».

Per ragioni di ordine politico e giuridico sostiene la dizione proposta da lui e dall’onorevole Basso.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che lo schema in discussione è uno statuto nel quale bisogna affermare i principî. Che cosa sono il processo e la punizione? Sono due aspetti di un solo fenomeno giudiziario. Quindi affermare l’una e l’altra cosa non solo è una superfluità, ma in uno statuto è una cosa che va oltre il criterio fondamentale che lo statuto deve fissare.

Per conseguenza, senza tener conto di quello che dissero un secolo fa i francesi i quali non hanno, come avevano i romani, il pregio o il privilegio delle sintesi, direbbe semplicemente così: «La legge penale non può essere retroattiva».

CEVOLOTTO ritiene che la formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo se non in virtù di una legge», sia incompleta perché potrebbe darsi che leggi posteriori vengano ad aggravare la pena per un fatto già commesso e questo non dovrebbe essere ammesso. È necessario completare la formula in modo che sia ben chiaro il principio della irretroattività della legge: che nessuno può essere punito se non in base ad una legge anteriore e con le pene che questa stabilisce, e che non vi può essere nemmeno un posteriore aggravamento della pena ai danni dell’imputato. Per queste ragioni ritiene che la formula dei Relatori debba essere accettata completamente.

MORO insiste perché siano adottate le due formule, sia del processo, sia della sanzione punitiva. Non concorda con l’onorevole Lombardi che si tratti di due fenomeni che si compongono in uno solo. Altro è il momento di diritto sostantivo, altro quello di diritto processuale. Bisogna distinguere i due aspetti, sia per ragioni dogmatiche che per ragioni di fatto.

MASTROJANNI dichiara che le preoccupazioni degli onorevoli Cevolotto e Moro sono, a suo avviso, infondate. Per quanto riguarda l’esigenza che una legge posteriore non possa aggravare le pene, dispone già il Codice penale, come tutti i codici. Quando un fatto è previsto da due leggi successive, delle quali la prima è più favorevole, è canone fondamentale che debba essere applicata la legge più favorevole per l’imputato. È, quindi, inutile precisare questo principio, acquisito dalla scienza penale.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Moro che distingue il processo dalla pena, la sua preoccupazione gli sembra superflua. Se si inizia un processo penale, ciò avviene perché si ha in ipotesi la convinzione che sia stato consumato un reato. Questa indagine preventiva non potrà mai essere eliminata.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di spiegarsi da un punto di vista dogmatico quanto ha detto l’onorevole Moro; ma, appunto perché è una questione dogmatica, essa rientra nella specificazione che deve fare la legge speciale, il diritto penale. Non si può quindi pensare ad una norma statutaria; se dovesse essere tale, non sarebbe nemmeno completa. La legge statutaria deve affermare soltanto il principio; sarà cura dei compilatori della legge penale di ricavarne le conseguenze. Perciò insiste nella necessità di una formula che sia sintetica e generale.

CEVOLOTTO osserva che se si lascia alla legge speciale la fissazione di questo principio, si va incontro al pericolo che una legge speciale successiva faccia proprio quello che si vuole evitare. È necessario che il divieto sia espresso nella Costituzione. Rispondendo all’onorevole Mastrojanni, il quale ha detto che il principio della scelta fra due leggi successive in senso favorevole all’imputato è già nel Codice, fa osservare che una legge speciale può infirmare questo principio. La Corte di cassazione, in tema di reati di accaparramento, ha sostenuto che una legge posteriore aveva autorizzato l’applicazione della pena più grave anche ai reati anteriori alla legge stessa. Per queste ragioni ritiene che le norme proposte debbano essere precisate nella Costituzione senza lasciare dubbi.

MORO dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Ribadisce inoltre il principio della necessità di consacrare costituzionalmente l’affermazione della tassatività e irretroattività delle leggi. Siamo nel campo di una difesa della libertà umana, uno dei campi tra i più delicati della difesa della libertà umana che il Codice in atto ci garantisce. Il fatto, però, che questo principio sia oggi nel Codice non può impedire a chi fa una Costituzione, che deve garantire da tutti i punti di vista la libertà individuale, di porre nella Costituzione stessa questi principî.

Per quanto riguarda l’espressione: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito» è del parere che, se si volesse eliminare l’uno o l’altro di questi due termini, non andrebbe eliminato «punito» ma «sottoposto a processo», perché l’espressione della punizione in effetto richiama anche il fenomeno processuale. Ma preferisce che siano conservati tutti e due i termini.

L’ipotesi espressa dall’onorevole Mastrojanni, che cioè ad ogni inizio di processo vi è una fase di indagine preliminare, non infirma il principio. È chiaro che la Costituzione non proibisce di sottoporre a processo quando vi sia sospetto di reato.

DE VITA ritiene che le considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto e dall’onorevole Moro rientrino nel principio della non retroattività della legge penale. Se ciò è esatto, è da preferirsi la formula lapidaria suggerita dall’onorevole Lombardi: «La legge penale non può essere retroattiva».

PRESIDENTE non è d’accordo con coloro che ritengono superflua una tale dichiarazione sol perché questa è già contenuta nel Codice penale in vigore. La Costituzione che noi andiamo a fare riguarda il futuro e deve dare una direttiva chiara e netta al legislatore di domani. Che il Codice penale attuale affermi già questo principio non è motivo sufficiente perché lo si debba omettere in sede costituzionale poiché è la legge penale che deve prendere norma dalla Costituzione e non già questa da quella.

BASSO, Relatore, fa presente che i due aspetti della retroattività e della tassatività sono distinti. Si possono configurare ipotesi di leggi che siano tassative e che siano anche retroattive. Da una parte si garantisce che nessuno possa essere punito perché esiste una legge; d’altra parte si chiarisce che non soltanto questa legge deve sussistere, ma deve anche essere entrata in vigore precedentemente al fatto. Non si può nella retroattività comprendere anche la tassatività della legge.

 

DE VITA ritiene ovvio che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge.

DOSSETTI non ritiene che sia così ovvio. È chiaro che non si può pensare alla ipotesi di una punizione per un fatto che non è assolutamente previsto da nessuna legge; ma si deve pensare anche a quelle ipotesi più complesse con cui si dànno applicazioni estensive di leggi esistenti. Quando si afferma il principio di questa esclusività e tassatività della legge penale, si vuole prevedere e ovviare a questo pericolo. Quindi la necessità di adottare i due principî. Pensa anzi che lo stesso articolo 5 non sia sufficientemente esplicito, tanto che propone di accettarlo ma integrandolo con un’aggiunta di questo genere: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con una pena da essa prevista».

MORO rileva che il concetto della pena prevista è contenuto nel secondo capoverso.

DOSSETTI fa osservare che le esigenze sono due e vanno sempre soddisfatte simultaneamente.

DE VITA non vede come nel campo penale vi possa essere un’interpretazione analogica e quasi estensiva. Nel campo civile questa interpretazione analogica c’è, ma nel campo penale no.

PRESIDENTE osserva che questo argomento ha un valore relativo. La Commissione deve fissare quei concetti ai quali poi si ispireranno le leggi speciali.

DOSSETTI richiama l’attenzione della Sottocommissione sul fatto che negli ultimi anni vi sono state delle perturbazioni in questo campo. Vi era, ad esempio, l’interpretazione che veniva data dalla scuola del diritto libero, la quale portava alle più assurde applicazioni.

PRESIDENTE osserva che l’involuzione del diritto in questi ultimi tempi deve rendere accorti ed esigenti, nel senso che si debba affermare il concetto fondamentale: nulla poena sine lege. L’involuzione del diritto, avvenuta durante questi anni, aveva trasformato questo aforisma nell’altro: nullum crimen sine poena.

DE VITA ritiene che il principio della irretroattività garantisca contro tutte queste possibili deformazioni.

Per quanto riguarda il principio della interpretazione, pensa che a questo pericolo non si sia ovviato.

LA PIRA, Relatore, ricorda che in questi ultimi anni sono stati pubblicati una quantità di volumi in Germania, tanto di diritto civile quanto anche di diritto romano, con i quali si è pensato di giustificare, anche attraverso il diritto romano, il principio della estensione analogica in diritto penale. A questo i giuristi italiani hanno reagito. Quindi è verissimo che, secondo i principî veri del diritto penale, non si ammette l’estensione analogica; però è vero altresì che in questi ultimi anni c’è stata una letteratura intera che ha cercato di capovolgere il principio medesimo.

Per queste ragioni ritiene che, per la difesa della libertà, sia da introdurre quel principio che è stato affermato dall’onorevole Moro.

DE VITA dichiara che a questi pericoli non si può completamente ovviare attraverso gli articoli di una Costituzione, ma se mai attraverso tutto il nuovo congegno costituzionale, attraverso la Corte costituzionale che dovrebbe garantire l’ordinamento costituzionale.

PRESIDENTE avverte che da molti Commissari è stata chiesta la chiusura della discussione sul primo capoverso dell’articolo. La pone ai voti.

(È approvata).

Fa presente che vi sono due proposte. Vi è la proposta contenuta nella formulazione dei Relatori, e quella fatta da altri che hanno interloquito, secondo i quali la proposta dei Relatori dovrebbe essere sostituita con un’altra formula che sarebbe la seguente: «La retroattività della norma penale è vietata».

Questa formula naturalmente è suscettibile di essere modificata per quanto riguarda la forma.

BASSO, Relatore, fa rilevare che nel suo progetto adottava una formula diversa, ma in sede di discussione con l’onorevole La Pira, si è persuaso che la formula migliore è quella che è stata presentata congiuntamente.

Pertanto insiste per il mantenimento di questa formula.

PRESIDENTE, poiché alcuni componenti la Commissione hanno presentato una formula diversa, la mette ai voti. Essa potrebbe essere concepita in questi termini: «È vietata la retroattività della legge penale».

MORO richiama l’attenzione della Commissione sull’inesattezza della formula proposta. Essa non prevede le due ipotesi della tassatività e della retroattività. Rilegge i due punti: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge» primo punto o tempo che è quello della tassatività; secondo tempo: «entrata in vigore anteriormente al fatto commesso»: questo riguarda la irretroattività. Si tratta dunque di due tempi distinti. Tutta la dottrina li distingue. Pertanto invita i colleghi a ritirare la nuova formula proposta.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non può concordare con quanto afferma il collega Moro, perché i due termini che egli distingue fanno capo ad una dottrina tecnico-giuridica che non ha mai accettato.

PRESIDENTE mette ai voti la formula De Vita-Mastrojanni che dovrebbe sostituire la formula proposta dai Relatori e che suona così: «La retroattività della legge penale è vietata».

(Non è approvata).

LOMBARDI GIOVANNI chiede che nei verbali risulti il numero dei voti favorevoli ottenuti dalle proposte che man mano si pongono in votazione.

PRESIDENTE chiede alla Sottocommissione se la richiesta dell’onorevole Lombardi è approvata.

(La Commissione approva).

Dichiara che la proposta De Vita-Mastrojanni ha avuto tre voti favorevoli.

Pone ai voti la prima parte del primo comma dell’articolo 5 nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso».

(È approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

Pone in discussione il secondo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale».

Fa presente che la discussione di questo capoverso può avvenire per tempi distinti. In un primo tempo sarà considerata la prima parte di questo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge».

TOGLIATTI trova che è superfluo dire: «fissate dalla legge» quando già nel primo capoverso si è detto: «se non in virtù di una legge». Domanda come si faccia ad irrogare una pena che non è prevista da una legge.

MORO osserva che nelle espressioni tradizionali della scienza giuridica si distinguono due principî. Quando si parla di una legge come legge incriminata, si ha presente la prima parte della legge penale, quella norma cioè che deve indicare ciò che non si deve fare. Quando si parla di pena, invece, si accenna alla seconda parte della legge penale. È possibile considerare l’ipotesi che taluno sia punito, per un fatto previsto dalla legge come reato, con una pena non fissata dalla legge. Ora la legge fissa tassativamente la pena da irrogare. Vi deve essere insomma la legalità del fatto commesso e la legalità della pena.

CARISTIA, pur avendo tutto il rispetto per la scienza giuridica, ritiene che il concetto sia già implicito nel capoverso precedente in cui si dice che nessuno può essere punito se non in virtù di una legge. Se mai si potrebbero unire i due concetti.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Dossetti aveva accennato ad una proposta di congiunzione della prima parte dell’articolo 5 con il capoverso successivo, Si potrebbe forse dire così: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista». Domanda all’onorevole Togliatti se è soddisfatto di questa formula.

TOGLIATTI dichiara di accettarla.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di congiungere il concetto espresso dal primo comma, prima parte, dell’articolo 5 con la prima parte del primo capoverso dello stesso articolo 5, in modo che risulti la seguente formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista».

(La proposta è approvata all’unanimità meno un voto).

Pone in discussione la seconda parte del primo capoverso dell’articolo 5, che resterebbe sola a comporre il capoverso essendo stata la prima parte incorporata nel comma precedente: «La responsabilità è personale».

CEVOLOTTO ritiene che il concetto espresso in questa formula si potrebbe tralasciare, perché non vede la ragione per cui si debba esprimerlo nella Costituzione. Si tratta di un principio che interpreta esattamente la famosa questione della responsabilità penale per fatto altrui, che però in materia contravvenzionale ed in certe particolari circostanze comincia a farsi strada. Vi sono dei casi in cui è discutibile se si tratti di responsabilità personale, o se non si tratti di responsabilità penale anche per fatto altrui. Si andrebbe poi incontro alle altre questioni dell’incriminabilità della persona giuridica. È d’accordo che questa incriminabilità non è accettabile in questo momento; però essa è oggetto di discussione e se ne parla sempre e si risolve molte volte in una responsabilità personale. Pertanto ritiene superfluo affermare un principio che è soggetto a discussione, dato che vi sono anche dei casi di responsabilità penale personale.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto, per non creare una quantità d’equivoci anche avuto riguardo agli articoli 1151, 1152 e 1153 del vecchio Codice civile, articoli che non trovano la loro corrispondenza nel codice fascista. Per non creare dunque equivoci, e data la molteplicità delle posizioni giuridiche a cui si può andare incontro, ritiene sia da togliere questa affermazione della responsabilità personale.

MORO si dichiara favorevole al mantenimento della formula, con un’aggiunta chiarificatrice. Si dovrebbe dire cioè: «La responsabilità penale è personale» onde togliere qualsiasi equivoco per quanto riguarda la materia civile.

Ritiene che questo principio debba essere mantenuto, perché esso è un’affermazione di libertà e di civiltà. Si risponde per fatto proprio e si risponde attraverso ogni partecipazione personale al fatto proprio. Questo è il principio del diritto moderno, che trova la sua espressione nel principio della consapevolezza che deve accompagnare quello che si chiama il fatto materiale. Parlare di responsabilità personale significa richiamarsi ad un principio che domina nell’odierno pensiero della scienza giuridica.

MASTROJANNI chiede un chiarimento all’onorevole Moro nei riguardi dei fatti penali commessi per ordine altrui. La responsabilità penale personale dovrebbe riflettersi sulla persona che teoricamente è responsabile. Ma se questa ha agito per fatto altrui, per esempio per l’esecuzione di un ordine, la responsabilità non è più dell’esecutore dell’ordine, il quale ha consumato il reato, ma la responsabilità è di chi ha dato l’ordine (articolo 51 del Codice penale). Però non è responsabile chi ha eseguito un ordine legittimo dell’autorità. Qui si verifica un conflitto, nel senso che l’individuo dovrebbe censurare l’ordine e stabilire se vi è legittimità nell’ordine impartito.

Si è discusso e si discute se si debba considerare l’ordine legittimo o l’ordine dell’autorità legittima, talché nei Codici penali militari a differenza dei Codici penali comuni si faceva una distinzione. Nel Codice penale militare si parlava di ordine dell’autorità legittima, ma non si parlava di legittimità dell’ordine, e ciò in coerenza ai criteri disciplinari e di obbedienza. Il subordinato, constatando che l’ordine promana da un’autorità legittima, non dovrebbe censurare la legittimità dell’ordine. Il Codice del 1932 ha chiarito questo concetto nel senso che più non si parla di ordine dell’autorità legittima, ma si parla di ordine legittimo dell’autorità, per significare che l’agente ha il dovere di sindacare la legittimità dell’ordine trascurando la legittimità dell’autorità.

Prega la Commissione di volere più ponderatamente considerare la questione, per stabilire se sia il caso di fare una affermazione di principio; in subordine chiede al Relatore di dare qualche chiarimento in proposito.

MORO non vede la difficoltà in materia. Colui che ha commesso un atto delittuoso risponde di persona propria se si trovava nella condizione di poter disobbedire, altrimenti risponderà colui che ha dato l’ordine e risponderà in persona propria per aver prodotto il fatto delittuoso stesso.

MASTROJANNI dichiara che dal punto di vista teorico potrebbe consentire; ma in materia di imputabilità e di responsabilità penale le considerazioni di ordine oggettivo non possono avere peso perché, quando non vi è nesso di causalità efficiente tra l’agente attivo ed i fatti verificatisi, qualsiasi circostanza esteriore non può esimere da responsabilità e, anche se esime dalla responsabilità, non può esimere dalla imputabilità. E allora come si giustifica questo dissenso di indole teorica nel ritenere non responsabile l’individuo che è causa volontaria ed efficiente della consumazione del reato? Si ricorre ad una actio juri per la quale si esime dalla responsabilità penale l’individuo il quale ha consumato il reato e lo ha consumato volontariamente; però egli dovrebbe personalmente rispondere del reato.

MORO non vede la connessione tra questo principio della Costituzione e l’ipotesi dell’ordine dell’autorità di cui parla l’onorevole Mastrojanni. In questo caso si ha una discriminante del reato che può avere due giustificazioni: una di carattere obiettivo, quando l’autorità è legittima; una di carattere soggettivo, quando l’ordine è legittimo. In queste ipotesi sussiste il caso di necessità per cui il soggetto non risponde penalmente, perché da lui non si poteva pretendere che agisse differentemente.

Si tratta perciò di discriminanti del reato.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Moro nel dire che la responsabilità dovrebbe essere condotta anche penalmente ad un concetto di responsabilità personale. Ricorda però che, di fronte alle ipotesi di contravvenzioni, ai casi dell’impossibilità o difficoltà estrema di impedire il fatto altrui, ecc., vi è una tendenza abbastanza notevole a considerare come responsabilità obiettiva quella per fatto altrui.

In altri termini si tratta di una questione giuridica. Per suo conto la risolverebbe nel senso indicato dall’onorevole Moro, ma si domanda se sia proprio questa la sede per risolverla.

Non trattandosi di un principio così essenziale da dover essere affermato dalla Costituzione, crede sarebbe meglio ometterlo.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che la formulazione è superflua in quanto la responsabilità personale non è un principio moderno o modernissimo: è un principio del diritto canonico del 1500 o 1600, quando appunto il diritto canonico, riportando il diritto ad un peccato dell’anima, lo rese per sé stesso di natura personale. C’è bisogno di ritornare su questo principio, che poi porterebbe nelle altre leggi una grande confusione? Osserva che ci può essere una colpa per cui si debba risalire alla causa causarum, e ci sono tali anelli intermedi i quali possono essere dichiarati complici, correi o autori della negligenza, imprevidenza, ecc. Ora, si domanda come sia possibile, di fronte a tutta questa legislazione che appunto adesso comincia a sfociare, a misura che l’interesse pubblico prende un sopravvento sull’interesse dell’individuo, fare un’affermazione del genere. Essa non potrebbe che essere in contrasto con questo movimento che appunto estende l’indagine della colpa, non solo alle persone direttamente colpevoli, ma a tutti coloro che sono nell’orbita delle cause che hanno prodotto l’evento dannoso.

PRESIDENTE prima di procedere nella discussione fa presente una sua opinione.

La Commissione non deve dimenticare il momento politico in cui viene questa affermazione: non deve dimenticare episodi tristissimi. Tutti ricordano che in occasione di attentati alla vita di Mussolini sì arrivava a perseguitare i famigliari dell’attentatore o i componenti dei circoli politici a cui era affiliata la persona che consumava l’attentato.

Tenendo conto anche del momento politico speciale, nel quale si vogliono affermare certi principî, è opportuno trarre tesoro dalla esperienza del passato.

Se si afferma qui la responsabilità penale personale, ci si potrebbe anche dispensare dal prendere in considerazione e votare l’altra parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5, dove si dispone che non possono irrogarsi sanzioni collettive. Perciò ritiene che questa affermazione della responsabilità penale personale debba farsi sia per sé stessa, sia in considerazione dell’armonia dell’articolo, perché affermandola qui si potrà poi eliminare l’ultima parte del capoverso dello articolo stesso.

Ritiene perciò che il capoverso debba essere approvato con questa dizione: «La responsabilità penale è personale».

Avverte che l’onorevole Lombardi propone che sia chiusa la discussione generale, riservando la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(La Commissione approva la chiusura della discussione).

CORSANEGO osserva che i Relatori, evidentemente, hanno proposto la formula che la responsabilità deve essere personale non perché ignorassero che il principio è ormai affermato da tanti secoli, ma perché purtroppo durante l’ultimo ventennio si è assistito ad una involuzione del diritto e si deve tornare alla sana tradizione. Proprio in questi ultimissimi tempi si sono viste delle persone pagare con la vita colpe che con avevano assolutamente commesso. Si deve impedire che domani un legislatore possa arrivare agli eccessi che si sono verificati in Germania ed anche in Italia.

Ancora altre ipotesi si possono considerare. Sotto il fascismo e sotto il nazismo sono state applicate punizioni collettive ad interi gruppi: da villaggi dove erano stati commessi taluni delitti furono sloggiati tutti gli abitanti e trasferiti altrove.

Perciò insiste sull’approvazione della proposta dei Relatori.

MASTROJANNI domanda se non sia il caso di precisare che in tema di responsabilità si distingue tra correità, concorso principale e secondario, e di tornare all’antica tradizione del diritto penale per distinguere forme varie di partecipazione al reato.

Desidera pertanto che sia fatto risultare dal verbale la necessità che il nuovo legislatore, in tema di diritto penale, tenga conto che l’attuale concetto di concorso nel reato venga riportato all’antica tradizione del nostro Codice penale, nel senso che la formula di partecipazione al reato deve essere distinta nella sua effettiva partecipazione, complicità, correità necessaria o no, e che in tema di tentativo si ritorni all’antica nostra tradizione per distinguere il reato tentato dal reato mancato.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di consentire, affinché si abolisca il tecnicismo giuridico.

MANCINI ricorda che, nella discussione dell’articolo del nostro Codice penale che contempla il dolo, in seno alla Commissione per la riforma dei Codici, si svolsero gli stessi concetti e si impostarono gli stessi problemi agitati in questa discussione. Il problema base fu risolto allora – e non poteva essere altrimenti – in senso contrario, onde oggi egli aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Moro. Ritiene assolutamente necessario che nella nuova Costituzione si affermi il principio della responsabilità penale personale.

PRESIDENTE rileva che, nel contrasto che ha animato la discussione di questa precisa formula, nessuno ha dichiarato di essere contrario allo spirito che la informa. Se taluno ha proposto che venisse soppressa era soltanto per rafforzare il concetto proposto dai Relatori.

Comunque, poiché la discussione si è svolta soltanto in questi termini, di approvare cioè la formulazione proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dello onorevole Moro o non approvarla e sopprimerla in quanto non ce ne fosse bisogno, domanda se ci sia qualcuno che faccia sua la proposta di soppressione.

Poiché non c’è nessuno che presenta questa proposta di soppressione mette ai voti la formula proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Moro: «La responsabilità penale è personale».

(È approvata).

Dà lettura della parte dell’articolo 5 così come è stata finora approvata:

Art. 5.

«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.

«La responsabilità penale è personale».

La seduta termina alle 13.25.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lucifero.

MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

7.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 17 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

 

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Lucifero – Moro – Mastrojanni – Merlin Umberto – Mancini – Cevolotto – Togliatti – Corsanego – La Pira, Relatore – Marchesi – Lombardi Giovanni – Basso, Relatore – De Vita – Caristia – Dossetti.

La seduta comincia alle 10.10.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE ricorda che oggetto dell’odierna discussione è l’articolo 3, di cui nella seduta precedente fu discussa e approvata una prima parte. Sottopone perciò all’esame della Sottocommissione il testo del terzo comma dell’articolo 3°. La formula proposta dal Relatore onorevole Basso è la seguente: «Il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che non sia prima intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

LUCIFERO propone che alla parola «prima» sia sostituita la parola «nel frattempo», e si dica: «a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che tale proposta chiarisce meglio la sostanza dell’articolo.

LUCIFERO rileva che, ancor più semplicemente, si potrebbe dire: «a meno che nel frattempo non sia intervenuto un mandato di cattura».

PRESIDENTE gli pare che questa seconda proposta venga a mutare sostanzialmente i termini della questione. Nella prima parte del comma si è stabilito che il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore, trascorse le quali il fermato viene rimesso in libertà, a meno che non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria, la quale entro ulteriori 48 ore dovrebbe emettere un ordine o mandato di cattura. Non si possono sopprimere le altre 48 ore concesse all’autorità giudiziaria per emanare con cognizione di causa il mandato di cattura, altrimenti il termine diventerebbe troppo breve.

MORO per ragioni di chiarezza giuridica, propone che l’espressione: «dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà» venga sostituita dall’altra: «decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà».

PRESIDENTE è favorevole alla proposta.

MASTROJANNI fa presente che, nella prassi giuridica, è fuori della realtà il presumere che nelle 48 ore l’autorità giudiziaria possa esaminare la denuncia della pubblica sicurezza e decidere se procedere o meno con un ordine o mandato di cattura. Il termine è assai breve e potrebbe avvenire che, per evitare che il fermato sia rimesso in libertà, si procedesse affrettatamente ad emettere un ordine di cattura, salvo poi a revocarlo. È noto che l’autorità giudiziaria, prima di emettere l’ordine di cattura, procede spesse volte a preliminari indagini, specie quando si tratta di denunce complesse che presentano una qualche difficoltà nella identificazione della natura giuridica del reato. Se si toglie all’autorità giudiziaria la possibilità di esaminare con una certa tranquillità le denunce, si corre il rischio di aggravare la condizione del cittadino, sottoponendolo ad un ordine di cattura non ponderatamente emanato. Propone perciò che si elimini l’ultima parte proposta, concernente l’emissione dell’ordine o mandato di cattura, perché basta il fatto che l’autorità giudiziaria sia in possesso di una denuncia regolarmente presentata, perché giudichi se si debba procedere. Propone che si dica semplicemente: «Il fermato deve essere rimesso in libertà, se nelle 48 ore successive non sia pervenuta all’autorità giudiziaria regolare denuncia».

MERLIN UMBERTO, pure preoccupandosi di quello che ha detto l’onorevole Mastrojanni, non ritiene possibile che l’autorità giudiziaria non emetta mandato di cattura.

Non si può trattenere un cittadino in arresto, se non dopo ordine o mandato di cattura. Il termine delle 48 ore è poi fissato anche da consuetudini pratiche e non può essere considerato troppo breve; esso è sufficiente per assumere formali informazioni e vedere se la denuncia è motivata.

PRESIDENTE osserva che il legislatore, messo di fronte al termine di 2 giorni, emanerà disposizioni che consentano all’autorità giudiziaria di agire con una certa sollecitudine e l’autorità giudiziaria stessa si creerà organi adatti a provvedere in conseguenza. Perciò è del parere di tener ferma la dizione proposta. Ricorda che compito della Commissione è di tutelare la libertà del cittadino e che si deve tutelarla in termini concreti.

MANCINI fa presente che scopo della norma in esame è di fare in modo che dopo 48 ore un cittadino venga rimesso in libertà quando non sia emanato un ordine o mandato di cattura. Se si accetta la proposta dell’onorevole Mastrojanni, si avrà in pratica questa conseguenza: un cittadino viene arrestato dalla pubblica sicurezza e questa dopo 48 ore presenta il suo verbale. L’autorità giudiziaria lo manterrà in carcere fino a quando non avrà completato la sua istruzione, dal momento che non si è fissato per questa indagine alcun limite di tempo. Al termine di essa o rimetterà in libertà l’arrestato o emanerà un ordine o un mandato di cattura. Accadrà certamente che l’arrestato rimarrà in carcere qualche mese, prima che a suo riguardo venga presa una decisione. È necessario invece stabilire che dopo 48 ore l’autorità giudiziaria deve emanare l’ordine o il mandato di cattura o rimettere in libertà l’arrestato.

MASTROJANNI osserva che nella pratica giudiziaria, anche più recente, non viene quasi mai rispettata la norma del Codice di procedura penale, la quale stabilisce che entro le 24 ore il detenuto deve essere interrogato. La recente legislazione prescrive pure che, se entro 8 mesi non ha termine l’istruttoria, il detenuto deve essere scarcerato. Ora è avvenuto che un detenuto per rapina a mano armata è stato scarcerato perché il giudice istruttore non aveva proceduto al suo interrogatorio. Questa è la situazione giudiziaria in Roma, dove abbiamo detenuti che non sono interrogati se non dopo 4 o 5 mesi. Se si fissa un termine di sole 48 ore, c’è da temere che tutti gli arrestati siano rimessi in libertà, anche quelli responsabili di gravi reati, e ciò con evidente danno della società. Occorre trovare una formula che consenta una pratica attuazione. Non ritiene che possa considerarsi tale quella che restringe a 48 ore la possibilità per l’autorità giudiziaria di emanare un ordine o un mandato di cattura.

Un magistrato che abbia coscienza della sua missione non potrà, appena ricevuta una denuncia, decidere se deve emettere o no mandato di cattura, a meno che non si tratti di fatti gravi ed evidenti. All’infuori di questi casi, si richiede una ponderazione e una indagine, anche sommarie, per poter identificare la natura del reato. Propone pertanto che il termine di 48 ore sia portato a 4 o 5 giorni.

MANCINI fa osservare che le preoccupazioni dell’onorevole Mastrojanni risultano infondate, quando si tenga presente la differenza tra ordine di cattura e mandato di cattura. L’ordine di cattura è emanato dal Procuratore della Repubblica e non richiede che una semplice deliberazione preventiva. Il mandato di cattura deve essere invece emanato dal giudice istruttore, previa richiesta del Procuratore della Repubblica e richiede opportune indagini. L’ordine di cattura può essere emesso subito non appena fissata la epigrafe del reato, e non richiede alcuna giustificazione. Nessun delinquente potrà essere rimesso in libertà quando il Procuratore della Repubblica evinca dal verbale che si tratta, per esempio, di rapina o di omicidio. In un secondo tempo, poi, l’ordine di cattura si potrà trasformare in mandato di cattura emesso sempre dal giudice istruttore su richiesta del Procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE fa presente all’onorevole Mastrojanni che la preoccupazione di cui ha fatto cenno, circa il termine di otto mesi previsto dal codice di procedura penale si riferisce ad ipotesi diverse. Per emettere l’ordine di arresto basta che il Procuratore della Repubblica lo ritenga necessario. Il termine di otto mesi si riferisce al periodo in cui l’istruttoria dev’essere compiuta.

CEVOLOTTO ritiene che le preoccupazioni dell’onorevole Mastrojanni vadano al di là della realtà, perché un dubbio circa la possibilità e l’opportunità di emanare un ordine od un mandato di cattura sussiste solo nei casi in cui ci sia una denuncia che ha bisogno di istruzione. In questi casi la stessa autorità di pubblica sicurezza non procede senz’altro all’arresto, ma trasmette la denuncia alla Procura della Repubblica la quale, prima di emettere il mandato di cattura, esamina se vi siano gli estremi che lo permettano. L’arresto da parte della pubblica sicurezza avviene quasi sempre o per flagranza o per prove macroscopiche: voce pubblica, fatti salienti, pericolo di fuga, ecc., nei quali casi vi è la necessità di un arresto immediato. In questi casi la tutela da parte della Procura della Repubblica è esercitabile perfettamente nelle 48 ore. In fondo, la revoca o la messa in libertà avverrà quasi sempre nei casi in cui l’arresto è avvenuto in flagranza, ma per un titolo di reato che non comporta la detenzione preventiva.

PRESIDENTE, per tranquillizzare chi ritiene troppo limitato il termine di 48 ore, propone che il termine sia raddoppiato e portato a 96 ore.

TOGLIATTI rileva che in tal modo si verrebbe ad estendere eccessivamente il potere di arresto preventivo senza mandato di cattura. Stabilendo due giorni per l’autorità di pubblica sicurezza, e quattro giorni per l’autorità giudiziaria, si arriverebbe ad una settimana.

LUCIFERO è del parere di mantenere il termine di 48 ore. Preferisce che l’autorità giudiziaria abbia la responsabilità di aver effettuato l’arresto e magari allo scadere del termine si trovi in difetto, piuttosto che estendere il termine a sei giorni.

CORSANEGO esprime la preoccupazione che quando l’autorità giudiziaria si trovi vincolata da un termine troppo breve, nel timore che le sfugga un presunto reo sia portata ad emettere, come misura precauzionale, il mandato di cattura. In tal caso il termine di 48 ore non farebbe che danneggiare il fermato stesso.

LA PIRA, Relatore, in analogia con la Costituzione spagnola, propone un termine di 72 ore.

MARCHESI concorda con l’onorevole Togliatti sull’opportunità di associare la responsabilità dell’autorità di pubblica sicurezza alla responsabilità dell’autorità giudiziaria. Ritiene che lo spazio di 48 ore sia sufficiente, senza ricorrere all’esempio della Spagna. Se si prolungano i termini, l’autorità giudiziaria si troverà ugualmente nelle condizioni di emettere il mandato senza avere sufficientemente esaminato la denuncia della polizia. Si troverà quindi nelle stesse condizioni, mentre invece occorre stimolarla e incalzarla.

MASTROJANNI riferendosi alla giusta osservazione dell’onorevole Marchesi, per far sì che il termine proposto non resti soltanto una platonica enunciazione nei confronti del cittadino e per evitare che l’autorità giudiziaria, o l’autorità di pubblica sicurezza tenuta all’osservanza rigida di questa norma, possa impunemente non osservarla, propone che nella stessa Costituzione si preveda la sanzione per l’autorità di pubblica sicurezza o per l’autorità giudiziaria inadempiente.

PRESIDENTE fa osservare all’onorevole Mastrojanni che, per quanto riguarda l’osservanza della Costituzione, i progetti presentati prevedono per tutte le autorità delle sanzioni di carattere generale, per cui sarebbe fuori tempo in questo momento una proposta del genere. Prega perciò l’onorevole Mastrojanni di non insistere. Se mai, quando verranno in discussione quei determinati articoli, egli potrà precisare le sue osservazioni riferentisi al caso in esame.

Mette quindi ai voti una prima proposta, di allungare a 96 ore il termine concesso all’autorità giudiziaria per emettere il mandato di cattura.

(Non è approvata).

Mette ai voti la seconda proposta, di estendere il termine da 48 ore a 72.

(Non è approvata).

Dichiara approvato il termine di 48 ore per l’emissione del mandato di cattura.

Mette ai voti la proposta dell’onorevole Moro, che mira a sostituire la parola «dopo» con l’altra «decorso».

(È approvata).

Pone ai voti la proposta dell’onorevole Lucifero che il termine «prima» sia sostituito con il termine «nel frattempo».

(È approvata).

Fa presente che, dopo gli emendamenti approvati, l’intero capoverso verrebbe ad avere la seguente formulazione: «Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

Lo pone ai voti.

LOMBARDI GIOVANNI fa una dichiarazione di voto sull’intero capoverso dello articolo 3. Poiché si è discusso se il termine dell’arresto debba essere di 48, 72 o 96 ore, afferma che la libertà è cosa troppo sacra perché si possa misurare come una merce qualsiasi. Ritiene che la Commissione non abbia inteso il significato profondo del principio fondamentale, il quale è che la pubblica sicurezza può agire solo su mandato dell’autorità giudiziaria, e può agire solo in caso di flagranza. Quale fatto ostacola che questo principio sia preso in considerazione? Si tratterebbe di aspettare che entro 48 ore dall’esposto o dalla denuncia della pubblica sicurezza, l’autorità giudiziaria intervenga con un suo atto. Allora la questione del termine di 48 o di 72 o di 96 ore verrebbe meno. Sul rapporto della pubblica sicurezza è l’autorità giudiziaria che ordina, salvo il caso di flagranza.

PRESIDENTE ricorda all’onorevole Lombardi che la parte dell’articolo a cui egli si riferisce è stata già votata. Qui si tratta soltanto di votare l’intera dizione dell’articolo così come è stata discussa e approvata punto per punto. L’onorevole Lombardi può soltanto dichiarare se approva o no.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di non approvare la formulazione dell’articolo perché, come ha già detto, la libertà umana è una cosa troppo sacra per sottoporla a termini. Solo la flagranza può legittimare l’intervento della pubblica sicurezza. In ogni altro caso è la autorità del magistrato che deve intervenire.

BASSO, Relatore, dichiara che voterà a favore, ma fa presente la preoccupazione che quando si dice «fermato», non si prevede l’ipotesi che un cittadino sia anche arrestato. Propone pertanto che, per maggiore, chiarezza si dica: «la persona fermata o arrestata».

(La Commissione approva).

PRESIDENTE pone ai voti l’intera prima parte dell’articolo 3 con gli emendamenti approvati:

«La libertà personale è inviolabile.

«Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti della legge.

«Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura».

(È approvata).

Pone in discussione la restante parte dell’articolo 3 che nella proposta del relatore La Pira suona così:

«Ogni forma di rigore e di coazione, che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica specialmente durante l’interrogatorio, è punita».

Osserva che la formulazione di questo capoverso è pletorica e quindi può prestarsi ad interpretazioni equivoche. Ricorda che la forma delle norme da inserire nella Costituzione deve essere quanto più possibile concisa e chiara. Pertanto propone, salvo una migliore formulazione, la seguente dizione: «Alla persona fermata o arrestata è garantito un trattamento umano». Questa affermazione risponderebbe anche alla terminologia che si deve usare in una Costituzione, che dovrebbe contenere solo affermazioni di carattere generale. Penserà il legislatore a sviluppare il concetto nelle leggi penali.

CORSANEGO si dichiara in linea di massima d’accordo; però vorrebbe trovare una via di mezzo tra la forma pletorica proposta dai relatori e quella laconica del Presidente. Affermato il concetto che l’arrestato o il fermato deve essere trattato umanamente, bisognerebbe aggiungere una norma, sia pure espressa in modo sintetico, per impedire in ogni caso il ricorso ad angherie o vessazioni di qualsiasi genere. Converrebbe inoltre sopprimere la parola «specialmente» riferita al trattamento da usarsi durante l’interrogatorio, perché essa potrebbe in certo qual modo autorizzare l’uso di mezzi inumani in altri momenti.

TOGLIATTI dichiara di non poter accettare la formula proposta dai correlatori. Gli sembra assurdo che nella Costituzione si parli dei modi di impossessarsi di una persona. Se si deve arrestare un ladro è evidente che è necessario mettergli le manette, e che possa anche seguire una colluttazione, ma di questo non si può parlare in una Costituzione. In essa si deve dire della condizione in cui viene a trovarsi il cittadino arrestato o fermato, cioè quando si è venuto a creare nei suoi riguardi quello speciale stato di diritto che è definito dai capoversi precedenti, e per cui ogni violenza contro di lui è proibita. Questo unicamente si deve dire e niente più. Perciò propone la formula seguente: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro ogni cittadino arrestato o fermato».

BASSO, Relatore, ritiene che le preoccupazioni che sono state prospettate verrebbero meno se si adottasse la formula che egli aveva originariamente proposto e cioè: «È vietato sottoporre l’individuo privato della libertà personale a trattamenti brutali e costrizioni morali e materiali». La formula del collega La Pira riproduce esattamente quella della Costituzione francese. Preferirebbe il suo testo primitivo.

CEVOLOTTO si dichiara in massima d’accordo con gli onorevoli Togliatti e Basso. Quello di cui ci si deve preoccupare non è tanto il trattamento dell’arrestato duravate l’interrogatorio da parte del giudice istruttore o del Procuratore della Repubblica. Fortunatamente anche in passato, nei riguardi di queste autorità, non si sono dovute in genere deplorare violenze o costrizioni. Queste invece, come risulta dall’esperienza professionale e personale di molti, si mettevano in essere da parte della pubblica sicurezza.

TOGLIATTI aggiunge che si verificavano anche nelle carceri.

CEVOLOTTO ricorda che i magistrati, quando si protestava contro tali abusi, sapevano bene che si parlava in nome della libertà, ma ritenevano forse opportuno che non si facesse perdere all’autorità di pubblica sicurezza il suo prestigio, il che rappresenta un’idea alquanto discutibile. Comunque, ora è necessario affermare il principio della tutela dell’individuo contro possibili forme di violenza, ma a suo avviso tale principio non può essere affermato nella Costituzione che in linea generale. Non si può trasformare la Costituzione in un Codice penale.

MASTROJANNI desidererebbe che il principio della tutela dell’arrestato contro ogni forma di violenza fosse affermato in modo più esplicito, e che fosse esteso a tutto il periodo della detenzione. Propone perciò la seguente formula: «Ogni forma di violenza fisica o morale durante l’arresto e il periodo di detenzione costituisce reato».

MERLIN UMBERTO ritiene che la formula proposta nella relazione La Pira sia pletorica e concorda con l’onorevole Togliatti circa la convenienza di sopprimere l’inciso: «specialmente durante l’interrogatorio».

LOMBARDI GIOVANNI raccogliendo le osservazioni fatte dai precedenti oratori propone la formula seguente: «Contro qualunque imputato e detenuto ogni forma di violenza o di vessazione è vietata con sanzioni che saranno contemplate dalle leggi penali».

LUCIFERO esprime un dubbio di carattere sistematico; se, cioè, non sarebbe meglio collocare questa norma nell’articolo successivo che parla solo dell’imputato. È anch’egli del parere che lo stesso trattamento si debba fare sia all’imputato che al fermato ed è d’accordo con l’onorevole Mastrojanni sulla necessità di dire esplicitamente che ogni violenza contro l’imputato o il fermato costituisce reato.

Il fatto di dire solo nell’ultimo capoverso che l’infrazione alle norme in esso contenute è punita farebbe supporre che le altre infrazioni potrebbero andare esenti da punizione. Occorre trovare una formula che dica che tutte le infrazioni alle disposizioni dello articolo sono punite.

BASSO, Relatore, rileva che l’osservazione dell’onorevole Lucifero è tecnicamente esatta. Dicendosi: «è punita…» o «costituisce reato», si usa un’espressione che meglio si adatta a un Codice di procedura penale. Spetterà al legislatore di comminare la sanzione. Nella Costituzione si deve soltanto affermare un principio generale di responsabilità, per lo Stato e per i funzionari, per qualunque violazione. Ripete che ritiene preferibile riportare la formula da lui proposta.

MANCINI esprime il dubbio che la questione di cui si parla nel capoverso in discussione non debba essere trattata in sede di Costituzione, perché costituisce argomenti di Codice di procedura penale. In sede di Costituzione ci si dovrebbe limitare ad affermare soltanto il principio inviolabile della libertà personale.

DE VITA ritiene che il testo proposto potrebbe essere così modificato:

«È vietata ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione o brutalità fìsica».

MORO associandosi all’onorevole Basso afferma che, a suo avviso, l’argomento in discussione dovrebbe formare oggetto di regolamento costituzionale. Proprio in sede di Costituzione è necessario proibire quelle ulteriori limitazioni della libertà personale che si concretano nella brutalità fisica contro le persone in stato di detenzione. Pensa, peraltro, che non sia opportuno adoperare la espressione: «è punita», perché alla Costituzione compete soltanto di indicare i principî fondamentali. Vorrebbe aggiungere la parola «detenuti» alla formula proposta dell’onorevole Togliatti, che modificherebbe in questo senso: «È proibita ogni forma di violenza contro ogni cittadino fermato, arrestato o detenuto».

LA PIRA, Relatore, ritiene che in questa materia sia necessario specificare, data la dura esperienza fatta da gran parte dei componenti la Commissione durante il periodo fascista.

PRESIDENTE riassume la discussione, rilevando che di fronte alla formula dei correlatori, integrata dalla proposta De Vita, ve n’è un’altra da lui suggerita, contenuta nei seguenti termini: «Il trattamento umano della persona fermata, arrestata o detenuta, è garantito». Osserva che questa formula non solo risponde al carattere generale della Costituzione, ma tiene conto anche delle preoccupazioni manifestate dall’onorevole Mastrojanni. Questa sua proposta – sulla quale insiste – potrebbe avere in votazione la precedenza, se non vi fosse una proposta più radicale dell’onorevole Mancini, il quale sostiene che non si debba dar luogo a nessuna affermazione del genere in questa sede, ma che la materia in discussione debba formare oggetto di particolari disposizioni di legge, che il legislatore predisporrà in relazione ai principî generali fissati dalla Costituzione. Mette perciò, innanzi tutto, ai voti la proposta dell’onorevole Mancini.

(Non è approvata).

Mette poscia ai voti la sua proposta.

(Non è approdata).

Avverte che segue la formula proposta dall’onorevole Togliatti, la quale dice: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro il cittadino fermato o arrestato». A questa formula l’onorevole Moro vorrebbe apportare un emendamento aggiuntivo, che ha così precisato: «È vietata ogni violenza fisica e morale nei riguardi del cittadino fermato o arrestato o comunque detenuto».

TOGLIATTI dichiara d’accettare l’emendamento dell’onorevole Moro, osservando soltanto che l’espressione: «violenza morale» è un po’ ampia. Anche la privazione della libertà è una forma di violenza morale.

MORO chiarisce che, in termini giuridici, morale è ogni coercizione esercitata mediante suggestioni, minacce, ecc.

CEVOLOTTO domanda agli onorevoli Togliatti e Moro se accettano di sostituire alla loro dizione quella proposta dall’onorevole Basso: «L’individuo privato della libertà personale» che è più comprensiva.

MASTROJANNI fa presente che la sua proposta prevede ogni ipotesi. Tale proposta è così formulata: «Qualunque forma di violenza fisica o morale durante l’arresto e per tutto il tempo della privazione della libertà personale costituisce reato». Senza distinguere l’arresto, la detenzione o la carcerazione, si esprime un concetto anche più lato che si estende a quel settore dove è più temibile e possibile la violenza fisica o morale, cioè quando l’individuo è stato fermato per ragioni di pubblica sicurezza.

BASSO, Relatore, insiste sulla formula da lui proposta, nella quale si accenna anche al trattamento inumano, perché per fiaccare la resistenza morale e fisica di un individuo si può ricorrere a forme inumane di trattamento perfino nel vitto. Nella sua proposta erano perciò prospettate tre ipotesi: il trattamento inumano, la violenza morale e quella materiale.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula Basso.

PRESIDENTE osserva che sarebbe più logico stabilire anzitutto il principio che: «a tutti è garantito un trattamento umano» e poi specificare.

BASSO, Relatore, ritiene che dire: «è vietata ogni forma di trattamento inumano e ogni forma di costrizione» possa andare egualmente bene.

MORO propone di fondere le due formule, usando però una forma positiva, cioè: «è garantito a tutti un trattamento umano».

MANCINI rileva che tornerebbe a ripresentarsi la formula proposta dal Presidente che è stata già respinta.

PRESIDENTE osserva che la dizione «trattamento umano» riguarda tutte le possibili ipotesi e sottolinea ancor meglio quanto è stato detto in precedenza e con maggiore specificazione. È pertanto favorevole alla formula «È garantito a tutti un trattamento umano». È una norma di carattere generale.

LOMBARDI GIOVANNI userebbe la parola «vessazione».

DE VITA osserva che nel testo proposto dall’onorevole Togliatti non è previsto il momento antecedente all’arresto.

TOGLIATTI risponde che è molto difficile prevedere questo momento. Quando, ad esempio, si arresta una persona per la strada è giocoforza usare una certa coercizione materiale.

DE VITA dichiara di accettare la formula proposta dai relatori.

PRESIDENTE osserva che essa è stata già abbandonata. Si sarebbe invece trovato l’accordo, almeno nelle proposte, tra le varie formule che sono state presentata dagli onorevoli Togliatti, Moro e Basso, a cui hanno aderito gli onorevoli Mastrojanni, Cevolotto ed egli stesso. La formulazione definitiva proposta per questo capoverso risulterebbe la seguente: «È vietata ogni violenza fisica o morale nei riguardi del cittadino fermato, arrestato o comunque detenuto». Ritiene però che sarebbe meglio dire «persona», perché talvolta può avvenire che anche una persona che non è cittadino si trovi in condizioni di essere arrestato, fermato o detenuto. Toglierebbe inoltre l’avverbio «comunque» che puntualizza in senso estensivo il concetto della prima parte dell’articolo.

Potrebbe infine aggiungersi un ultimo periodo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito a tutti un trattamento umano».

CARISTIA osserva che sarebbe meglio dire: «violenza fisica o morale contro la persona».

PRESIDENTE fa presente che il termine più esatto è: «in danno». In definitiva la formula dei due ultimi capoversi potrebbe essere la seguente:

«È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

«Durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito a tutti un trattamento umano».

Pone ai voti il testo così formulato.

MANCINI dichiara che voterà contro, non perché sia contrario al concetto racchiuso nella formula, ma perché è convinto che tutto ciò è materia di codice di procedura penale.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di insistere nella sua precedente proposta e di votare contro la formula proposta.

PRESIDENTE spiega all’onorevole Lombardi la ragione per la quale ha messo ai voti prima delle altre la sua proposta. Infatti è partito dal concetto, che domina sempre come criterio assoluto nelle votazioni, che abbiano la precedenza quella formule che, nei confronti di quelle dei relatori, sono le più radicali in quanto a modifiche. Ha ritenuto che il solo fatto di accennare a delle sanzioni avesse un carattere specifico, e che più si accostasse alla proposta dei relatori. Comunque ritiene giusto che si faccia menzione nel verbale della formula proposta dall’onorevole Lombardi che è la seguente: «Contro chiunque, imputato o detenuto, ogni forma di violenza o vessazione è vietata, con sanzioni che saranno indicate dalla legge penale».

LUCIFERO ritiene che l’ultima proposizione, cioè quella relativa al trattamento umano, sarebbe meglio espressa in forma negativa, dicendo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è vietato un trattamento inumano verso tutti».

MORO dichiara di essere contrario alla proposta dell’onorevole Lucifero, poiché la formula che raccoglie il consenso della maggioranza della Sottocommissione si ricollega meglio a quel trattamento sociale che si è voluto garantire.

(I due ultimi capoversi sono approvati nel testo proposto dal Presidente).

PRESIDENTE mette ai voti l’intero articolo terzo che pertanto con i vari emendamenti approvati risulta così concepito:

«La libertà personale è inviolabile. Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.

«Il fermo o l’arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di quarantotto ore. Decorso tale termine, la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori quarantotto ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura.

«È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

«Durante lo stato di privazione della libertà personale, è garantito a tutti un trattamento umano».

(È approvato).

Dà quindi lettura dell’articolo 4 nel testo proposto dai relatori: «L’imputato è presunto innocente, fino a che con atto dell’autorità giudiziaria non sia stato dichiarato colpevole.

«La difesa processuale è garantita a tutti.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria».

Pone in discussione il primo comma.

CEVOLOTTO dichiara di non poter approvare la dizione, perché non può esistere nessuna presunzione di innocenza da parte dell’autorità nei riguardi dell’imputato, il quale non può essere condannato se non vi sono prove: bisogna provare che c’è un reato. Se si parte da una presunzione di innocenza, questa prova si trasforma in una prova contraria; è una presunzione, mentre invece ci vuole l’obbligo di una prova diretta dell’esistenza di un reato. Si rende conto che questa potrà sembrare una impostazione teorica, mentre le Costituzioni sono qualche cosa di pratico, e poiché tale presunzione c’è nelle altre Costituzioni è probabile che venga accolta anche nella nostra. Per suo conto ritiene che non sia esatta.

MANCINI si dichiara contrario al concetto espresso dall’onorevole Cevolotto. Ricorda che nel Codice del 1913 si affermò la presunzione di innocenza dell’imputato, che parve una grande conquista. Vennero dopo i codici fascisti e fu messa da parte.

La Commissione deve affermare questo principio, e chiede pertanto che il comma venga modificato nella seguente forma: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva».

MASTROJANNI osserva che la dizione: «atto dell’autorità giudiziaria» è imprecisa ed equivoca. Con ciò si potrebbe giungere all’assurdo che, appena il giudice istruttore o il Procuratore della Repubblica hanno emesso ordine o mandato di cattura, essendo questi atti giudiziari, da quel momento la presunzione di innocenza viene a scomparire. Invece la presunzione deve permanere non fino a quando non vi è un atto giudiziario qualsiasi, ma fino a sentenza definitiva di condanna.

CEVOLOTTO risponde che vi è il decreto penale.

MASTROJANNI osserva che il decreto penale è suscettibile di opposizione ed è emanato senza che sia udita l’altra parte. Il condannato per decreto penale ha diritto di produrre opposizione; ed allora soltanto il decreto penale può trasformarsi da giudizio unilaterale in giudizio in contradittorio. Perciò la presunzione dell’innocenza dell’arrestato dura fin tanto che non vi sia una sentenza definitiva.

CEVOLOTTO osserva che il decreto penale è una condanna che si pronuncia «inaudita altera parte» ed ammette una opposizione. È questa una forma di impugnativa, che importa un riesame del merito, come se non fosse stato emesso il decreto cui deve seguire una sentenza definitiva. Però se questa opposizione non viene sollevata, la condanna diventa definitiva. Vi sono delle condanne definitive per decreto, oltre che per sentenza, che tolgono la presunzione di innocenza. Ecco perché egli preferisce la dizione «atto dell’autorità giudiziaria».

MORO rileva che si può discutere in sede dogmatica se e quando vi sia una presunzione di innocenza in senso stretto, ma in sede di Commissione preparatoria della Costituente si deve considerare il profilo politico della questione. Quindi la presunzione di innocenza, come una forma di garanzia della libertà individuale, come un ulteriore impedimento di quell’arbitrio che si potrebbe verificare qualora l’imputato o arrestato o detenuto fosse già considerato come qualificato in senso negativo della società, rappresenta un principio che è necessario ammettere.

LUCIFERO conviene in molte delle osservazioni che sono state fatte però osserva che nel comma in discussione c’è un’affermazione di principio che può essere foriera di effettive realizzazioni giuridiche.

Esiste un problema d’ordine pratico: oggi in Italia chi è trattenuto in arresto in attesa di giudizio ha lo stesso trattamento di colui che è stato condannato. In fondo, la vera realizzazione pratica dei principî di cui si sta discutendo, è quella di stabilire un diverso trattamento tra colui che è stato riconosciuto colpevole e sconta una pena, e colui che è in attesa di giudizio e dev’essere giustamente presunto innocente.

Pertanto vorrebbe che questa differenza di trattamento venisse affermata nell’articolo.

BASSO, Relatore, si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto circa la sua posizione dottrinale.

Rispondendo all’onorevole Mastrojanni circa la sostituzione della parola «atto giudiziario» con quella «sentenza», osserva che nel caso in esame non si tratta di un atto giudiziario qualsiasi, ma di un atto giudiziario che dichiara la colpevolezza. Atto giudiziario indica tutte le sentenze, e tecnicamente non è possibile escludere tale espressione.

LOMBARDI GIOVANNI considera la presunzione di innocenza non un concetto giuridico, ma un concetto politico. Ricorda che così l’intendeva la scuola di Enrico Ferri, e così pure Ludovico Mortara che, Ministro Guardasigilli, volle includere nel codice di procedura penale del 1913 la dichiarazione della presunzione di innocenza. Ma tale presunzione non viene meno per un qualsiasi atto dell’autorità giudiziaria. La prima sentenza del tribunale è un atto dell’autorità giudiziaria; poi c’è l’appello, poi il ricorso per Cassazione: ognuna di queste sentenze è un atto dell’autorità giudiziaria, ma finché anche questo atto non sia definitivo, la presunzione di innocenza deve rimanere a significare appunto, che solamente quando si sono esperite tutte le forme volute dalla legge un cittadino può essere ritenuto colpevole.

Dichiara perciò di aderire alla formula Mastrojanni, proponendo che si dica che l’arrestato è presunto innocente fino alla sentenza definitiva.

MANCINI rispondendo agli argomenti dell’onorevole Lucifero, osserva che esiste nei vigenti regolamenti carcerari un trattamento per i giudicabili diverso da quello che si applica ai giudicati. I giudicabili possono comunicare con i parenti due o tre volte la settimana, possono ricevere il vitto dall’esterno, possono incontrarsi con le persone che desiderano visitarli, previo biglietto di colloquio. I giudicati invece non possono vedere i parenti che ogni tre mesi, non possono ricevere il vitto da fuori, ecc. ecc. Le norme relative a questo sistema differenziato non possono evidentemente trovare ospitalità in una Costituzione, ma fanno parte dei regolamenti penitenziari. Ciò premesso dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Lombardi. La presunzione di innocenza non ha soltanto valore tecnico giuridico, ma ha valore essenzialmente politico; e se ne coglie la prova tangibile nel codice di procedura emanato sotto il regime fascista il quale, proprio perché la presunzione di innocenza toccava la libertà del cittadino, abolì ogni presunzione di innocenza.

Quando si dice che l’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna, bisogna tener presente che nella tecnica giuridica quando si parla di condanna si intende sempre una condanna irrevocabile. Rileva che la formula usata dal codice di procedura penale del 1913, cioè che l’innocenza è presunta fino a che non sia accertata la colpevolezza, non è suscettibile di arbitrarie interpretazioni. Così pure, quando si afferma che la difesa processuale è un diritto inviolabile, si esprime senza sottintesi un diritto invulnerabile.

CEVOLOTTO ricorda di aver proposto che si dica «con pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria», ma fa presente che vi può anche essere una condanna che non proviene dalla autorità giudiziaria: cioè la condanna per decreto dell’intendente di finanza. Anche questa è una condanna penale.

MANCINI obietta che tale specie di condanna non è però segnata nel casellario giudiziario, perché si tratta di condanna amministrativa.

PRESIDENTE rileva che il concetto della presunzione dell’innocenza è condiviso da tutti: vi è soltanto dissenso sulla più acconcia formulazione del concetto stesso. Ricorda che, a questo riguardo, oltre alla formula proposta dai relatori c’è quella dell’onorevole Mancini, il quale vorrebbe si dicesse: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna». Gli sembra che questa formula sia la più accettabile. Vorrebbe però aggiungere dopo «condanna» la parola «definitiva».

MANCINI dichiara di accettare.

BASSO e LA PIRA, Relatori, aderiscono alla formula proposta dall’onorevole Mancini, integrata con l’aggiunta suggerita dal Presidente.

PRESIDENTE la pone ai voti.

(È approvata).

Pone in discussione l’altra proposizione dell’articolo 4, così concepita: «La difesa processuale è garantita a tutti».

MASTROJANNI, poiché davanti ai tribunali militari di guerra spesso viene inibita la difesa degli avvocati, vorrebbe che risultasse chiaro il concetto che la difesa per mezzo di avvocato è garantita in ogni tempo e davanti ad ogni giudice.

PRESIDENTE osserva che anche nel campo della giurisdizione militare è garantita la difesa, ma solo in alcune fasi.

MASTROJANNI dichiara che per sua esperienza, come magistrato militare, sa che i Tribunali militari di guerra, in territorio presunto di guerra, inibivano l’esercizio della difesa ai liberi professionisti e l’affidavano ad ufficiali subalterni. Tale inconveniente dev’essere eliminato. Perciò propone la seguente dizione: «La difesa è garantita in ogni grado e stato processuale, in ogni tempo e davanti a qualsiasi giurisdizione. Essa è affidata solo agli avvocati».

ROSSETTI ritiene che l’inconveniente rilevato dall’onorevole Mastrojanni non possa eliminarsi con la formula da lui proposta. Se egli vuole – come gli sembra di aver capito – garantire la difesa attraverso difensori di fiducia bisogna dirlo espressamente.

PRESIDENTE gli sembra che ciò possa essere pericoloso.

MANCINI fa presente che la sua formula comprende tutto, poiché afferma che «la difesa processuale è un diritto inviolabile».

MASTROJANNI domanda in quale fase processuale la difesa è un diritto inviolabile.

MANCINI chiarisce che lo è in tutte le fasi, perché dicendo «difesa processuale» si usa un termine comprensivo di tutte le diverse giurisdizioni, sia militari che civili. In questi casi esiste sempre un processo in atto e quando esiste un processo in atto vi è un imputato e questo ha il diritto, si badi bene, e non la garanzia, di difendersi. Tale diritto non può essere violato da nessuno.

PRESIDENTE è del parere che dire semplicemente, come propongono i relatori: «La difesa processuale è garantita a tutti» sia un modo troppo generico per affermare il diritto alla difesa. Gli sembra pertanto più acconcia la formula proposta dall’onorevole Mancini che afferma essere la difesa processuale un diritto inviolabile. Chiarisce che non si va contro il concetto di mantenere un carattere di generalità agli enunciati della Costituzione se si aggiunge che questo diritto è tale in ogni stato o grado di giurisdizione.

MASTROJANNI ricorda che egli aveva proposto si dicesse «in ogni tempo» appunto per comprendere anche il tempo di guerra, perché è proprio in tempo di guerra che possono sorgere gli inconvenienti di cui ha fatto parola. Il dire semplicemente «stato o grado» non gli sembra sufficiente. Inserendo invece «in ogni tempo» si lascia aperta la strada perché sia consentita la difesa all’avvocato anche in tempo di guerra. Ecco perché concludeva soggiungendo: «essa è affidata agli avvocati».

PRESIDENTE ritiene che, se si vuole specificare, anziché parlare di «tempo», che è troppo generico, si potrebbe dire: «di fronte a qualsiasi giurisdizione».

MASTROJANNI replica che col sistema attuale, in tempo di guerra, agli avvocati è consentita la difesa davanti ai tribunali militari soltanto in alcuni territori ed in altri no, anche quando ve ne sia possibilità. Insiste perciò nella sua proposta.

PRESIDENTE osserva che quando si dice «ogni stato» questo termine è comprensivo anche del «tempo». Se poi il legislatore sarà tentato di fare una restrizione, dovrà pensare se di fronte ad una formula così perentoria, gli sia possibile di ammettere eccezioni come quella temuta dall’onorevole Mastrojanni.

Mette quindi ai voti la seconda parte dell’articolo così formulato: «La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato o grado di giurisdizione».

(È approvata).

Avverte che l’onorevole Lucifero ha concretato le osservazioni fatte precedentemente nella proposta del seguente comma aggiuntivo: «L’imputato non può subire lo stesso trattamento dei condannati, né può essere detenuto con essi». Gli sembra che ciò sia piuttosto materia di regolamento carcerario.

LUCIFERO lo contesta, appellandosi a quanti, fra i presenti, hanno fatto l’esperienza di essere rinchiusi nella stessa cella di un condannato.

PRESIDENTE ripete non sembrargli che tale proposta possa essere accolta in questa sede. Comunque, poiché è bene rimanga traccia d’ogni pensiero espresso nel corso della discussione a documentare l’alto sentimento di umanità a cui tutta la discussione è stata informata, la mette ai voti.

(Non è approvata).

Pone in discussione l’ultimo capoverso dell’articolo 4° che nella proposta dei relatori suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria».

CEVOLOTTO osserva che sarebbe meglio dire «a nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

MASTROJANNI ritiene che, invece di «giudici precostituiti», sarebbe preferibile dire «giurisdizione precostituita». Nelle giurisdizioni sono compresi anche i giudici.

BASSO, Relatore, propone che si dica «nessuno può essere sottoposto a-giurisdizioni straordinarie».

TOGLIATTI domanda perché non si torna alla formula «giudici naturali».

BASSO, Relatore, fa presente che col termine «precostituiti» s’intende quello che le Costituzioni di un tempo dicevano «giudici naturali». Però questi non sono giudici naturali in quanto posti come tali dalla natura, ma sono quei giudici creati in forza della legge prima che il reato fosse commesso. Perciò si deve dire: «giudici precostituiti».

MASTROJANNI propone la dizione «magistrati ordinari».

BASSO, Relatore, osserva che si tratta di una cosa diversa. Il tribunale speciale era una magistratura straordinaria, ma precostituita. Sono le due cose insieme che si vogliono vietare. Si vuole vietare che si creino magistrature ordinarie che giudichino reati avvenuti prima, e che si creino magistrature straordinarie.

DOSSETTI, pur convenendo sul contenuto del capoverso dell’articolo 4 come è enunciato, e associandosi all’osservazioni dell’onorevole Basso, osserva che da un punto di vista sistematico il concetto potrebbe essere compreso molto meglio, se seguisse a quanto viene disposto dall’articolo successivo proposto dai relatori. Forse il capoverso non è che l’applicazione processuale del diritto sostanziale affermato in tale articolo, dove si dichiara che nessuno può essere punito, se non per una ipotesi prevista preventivamente dalla legge come reato. Analogamente, nessuno può essere sottoposto ad un giudice che non sia quello precostituito.

PRESIDENTE osserva che la collocazione degli articoli ha per ora un’importanza relativa, rispetto al compito affidato alla Commissione. L’essenziale è che sia solennemente affermato il principio perché si riferisce ad una esperienza troppo recente per essere dimenticata. La Commissione vuole che il giudice sia fissato dalla legge e che non sia consentito di creare giurisdizioni straordinarie. Se questo è il concetto, non si può esprimerlo che nei termini proposti dai relatori, altrimenti si cade nel vago e nel generico.

MASTROJANNI insiste perché venga adottata la dizione «giurisdizioni precostituite» per specificare che non sono ammessi né giudici né giurisdizioni speciali. L’espressione «giudici precostituiti» non gli sembra chiara.

CEVOLOTTO spiega che si intende dire: precostituiti prima del commesso reato.

MASTROJANNI osserva che in tal caso sono «giudici naturali».

MANCINI gli sembra che il concetto – che è da tutti condiviso – possa essere espresso più precisamente così: «Nessuno può essere sottoposto a giurisdizioni diverse da quelle indicate nella legge penale».

PRESIDENTE obietta che tale dizione non risponde al concetto specifico e lascia troppa libertà al legislatore.

CARISTIA è anch’egli d’avviso che la formula dei relatori sia la più concisa, precisa e comprensiva.

PRESIDENTE, dà lettura di un emendamento proposto dall’onorevole Lombardi: «Nessuno può essere sottratto all’ordinaria giurisdizione».

LA PIRA, Relatore, fa presente che non c’è alcuna espressione nel testo dei relatori che non faccia riferimento ad altre Costituzioni. Ciò vuol dire che gli stessi problemi sono stati prospettati e risolti in altri paesi.

La Costituzione francese del 1848 dice all’articolo 4: «Nessuno sarà distolto dai suoi giudici naturali». Su questo punto il relatore onorevole Basso ha proposto la formula «giudici precostituiti», ed egli ha acceduto. Nel capoverso dell’articolo 4 della stessa Costituzione francese si soggiungeva: «Non potranno essere create commissioni o tribunali straordinari a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi denominazione». I relatori, che avevano ben presenti i tribunali speciali del regime fascista hanno deciso di seguire tale formula, che è loro sembrata più rispondente al principio che si voleva affermare. Con essa i relatori, tenuto conto di tutte le discussioni avvenute in questa materia in ogni tempo, hanno inteso mettere i cittadini al riparo dei pericoli che possano loro incombere in questo campo.

BASSO, Relatore, propone che si usi il plurale e si dica cioè: «A nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

PRESIDENTE, avverte che prima della formula dei relatori, dovranno essere poste ai voti quelle proposte degli onorevoli Lombardi e Mancini che si integrano a vicenda.

MASTROJANNI approva la formula degli onorevoli Lombardi e Mancini, e non quella dei relatori, non perché non condivida appieno il loro pensiero, ma perché gli sembra che esso sia espresso in un modo troppo analitico e non adatto ad una carta costituzionale, per cui necessita una forma incisiva e categorica.

PRESIDENTE mette ai voti la formula Lombardi-Mancini, che è la seguente: «Nessuno può essere sottoposto a giurisdizioni diverse da quelle ordinarie previste nelle leggi penali».

(Non è approvata).

MASTROJANNI ricorda di aver proposto la dizione «Nessuno può essere assoggettato a giurisdizioni speciali né a magistrature straordinarie».

DE VITA propone la dizione: «Nessuno può essere sottratto ai giudici precostituiti».

TOGLIATTI per venire incontro alle preoccupazioni espresse dall’onorevole Mastrojanni, che egli condivide, propone di aggiungere: «giudici precostituiti nell’ordinamento giudiziario della Repubblica».

PRESIDENTE obietta che si sottintende che il giudice precostituito è quello previsto dall’ordinamento della Repubblica.

CARISTIA insiste sulla esattezza della parola «precostituito». Essa presuppone un principio che nel tempo moderno è diffusissimo, che cioè tutti gli organi sono precostituiti dalla legge.

MASTROJANNI dichiara di accettare la formula dell’onorevole Togliatti.

BASSO, Relatore, accetta egli pure la formula proposta dall’onorevole Togliatti.

PRESIDENTE richiamando la formula proposta dall’onorevole De Vita: «Nessuno può essere sottratto ai giudici precostituiti», gli domanda se vi insiste.

MORO osserva che invece di «giudici precostituiti» sarebbe meglio si dicesse «giudici naturali».

DE VITA dichiara di insistere nella sua proposta, con la modifica suggerita dall’onorevole Moro.

PRESIDENTE pone ai voti la formula proposta dall’onorevole De Vita.

(Non è approvata).

Avverte che dovrà ora essere messa in votazione la formula proposta dai relatori, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Togliatti.

LUCIFERO, dichiara di astenersi dalla votazione.

MANCINI, dichiara che voterà a favore della proposta Togliatti, purché alla parola: «giudici» si sostituisca la parola: «giurisdizione». Nella nostra legislazione non vi sono giudici ma giurisdizioni, delle quali fanno parte i giudici.

DOSSETTI, dichiara che voterà contro l’emendamento dell’onorevole Mancini.

Il concetto di giudice precostituito, cioè della persona componente l’organo giudicante, porta all’individuazione dell’organo giudicante stesso e quindi della giurisdizione. La proposta Mancini verrebbe a limitare la precostituzione soltanto al tipo di giurisdizione e non alla composizione dell’organo giudiziario.

PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Mancini.

(Non è approvata).

Mette ai voti la formula proposta dai relatori con l’aggiunta dell’onorevole Togliatti: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento giudiziario della Repubblica».

(È approvata).

Pone in discussione l’ultima parte dell’articolo: «ed a nessun titolo e sotto nessuna denominazione può essere creata una giurisdizione straordinaria», avvertendo che l’onorevole Cevolotto proporrebbe, per ragioni di forma, la seguente dizione: «Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

Pone in votazione la dizione proposta dall’onorevole Cevolotto.

(È approvata).

Rilegge l’intero articolo 4 con le modifiche che sono state accolte:

«L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva.

«La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di giurisdizione.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

BASSO, Relatore, non avendo partecipato alla votazione del primo comma dell’articolo, dichiara che se fosse stato presente avrebbe votato contro. Sta bene la prima parte dove si afferma che: «L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna», ma aggiungervi il termine: «definitiva» rappresenta per lui un assurdo giuridico. Dinanzi ad una sentenza di condanna sta una presunzione di colpevolezza come una presunzione legale di innocenza. Non è il caso di creare uno stato di diritto.

DOSSETTI, si associa all’onorevole Basso per quanto riguarda la presunzione di innocenza, e facendo una valutazione complessiva dell’articolo, osserva che l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, e che è stata accettata, «giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica» evidentemente viene a limitare la forza del termine «precostituiti» e rappresenta uno stridente contrasto.

PRESIDENTE, all’eccezione che potrebbe sollevarsi, che non può tenersi conto delle osservazioni degli onorevoli Basso e Dossetti, in quanto concernono questioni già decise, obietta che poiché viene richiamata l’attenzione sopra un concetto che prima non era stato espresso, gli pare non ci sia nulla di male se si ritorna sopra un argomento già discusso e già deliberato, se ciò può riuscire di vantaggio al lavoro della Commissione.

A tale riguardo non gli sembra trascurabile l’osservazione dell’onorevole Dossetti, che l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti e cioè «giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica», non tanto per quello che dice in sé, ma per quanto possa avere riferimento con ciò che è detto prima, presenti un certo stridore.

Si potrebbe pertanto riaprire eccezionalmente la discussione sopra questo argomento. Avverte che, se non vi sono osservazioni in contrario, così resta stabilito.

(Così rimane stabilito).

TOGLIATTI invita l’onorevole Dossetti a chiarire meglio il suo pensiero.

DOSSETTI aderendo all’invito dell’onorevole Togliatti, pone in rilievo che il concetto a cui si ispira l’intero articolo è quello di fissare in termini ben precisi i diritti contemplati nell’articolo stesso, senza un rinvio generico a quello che potrà essere l’ordinamento dello Stato. La parola ordinamento è generica e comprende tutta la realtà giuridica dello Stato, tanto che viene a identificarsi con lo Stato stesso. Nell’ordinamento può rientrare non solo la legge, ma anche il decreto, ecc. Teme perciò che la forza del termine «precostituito», possa essere alterata da interferenze normative e non perfettamente concordanti con la Costituzione, le quali interferenze potrebbero essere non di primissimo piano, perché si potrebbe trattare di una legge, di un decreto, di un atto insomma di minore portata. Invece nel termine «precostituito» c’è una forza che non può venire indebolita da un rinvio generico allo ordinamento dello Stato, il quale – ripete – è una manifestazione così complessa da comprendere qualsiasi negozio giuridico.

BASSO, Relatore, tenuto conto delle opposte preoccupazioni, domanda agli onorevoli Togliatti e Dossetti se accetterebbero questa formula: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge».

MANCINI dichiara che l’espressione: «a norma di legge» non lo soddisfa. La parola legge dice tutto e non dice nulla. Invece ha un significato ben preciso «ordinamento della Repubblica».

DOSSETTI fa osservare che negli articoli precedenti si è parlato di «modi e casi previsti dalla legge».

TOGLIATTI aderisce alla formula proposta dall’onorevole Basso.

MANCINI dichiara di far sua l’originaria proposta dell’onorevole Togliatti ed insiste perché sia messa in votazione.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Togliatti che è stata ripresa dall’onorevole Mancini e che suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti nell’ordinamento della Repubblica».

(Non è approvata).

Pone quindi ai voti la formula proposta dall’onorevole Basso che è la seguente: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge».

LOMBARDI GIOVANNI desidera che sia inserita a verbale la sua protesta per il fatto che, dopo la votazione di un articolo, l’intervento dell’onorevole Dossetti ha fatto riaprire la discussione sullo stesso articolo ed è stata modificata una parte dell’articolo stesso che era già stata approvata.

PRESIDENTE prima di leggere la seconda parte del capoverso dell’articolo 4 osserva che essa sarebbe stata già votata. L’onorevole Lombardi protesta contro il sistema di rimettere in votazione una proposta già precedentemente votata. Osserva in proposito che, se è esatto che si è addivenuti già alla votazione dell’indicato capoverso, è altrettanto esatto che prima di sottoporre questo capoverso ad una nuova discussione e ad una nuova votazione, il Presidente ha domandato e ottenuto il consenso della maggioranza dei Commissari.

CEVOLOTTO osserva che se non vi fosse la possibilità di poter modificare qualche cosa, sarebbe inutile rileggere l’articolo nel suo complesso prima di votarlo.

PRESIDENTE pone ai voti il capoverso dell’articolo 4 che suona così: «Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

(È approvato).

Rilegge l’intero articolo 4 il quale così risulta dopo gli emendamenti approvati:

«L’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva. La difesa processuale è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di giurisdizione.

«Nessuno può essere sottoposto se non a giudici precostituiti a norma di legge. Per nessun titolo e sotto nessuna denominazione possono essere create giurisdizioni straordinarie».

MASTROJANNI chiede che sia messo a verbale che non approva l’espressione «giudici precostituiti».

BASSO, Relatore, chiede che sia messo a verbale che non approva l’aggiunta «definitiva» alla parola «condanna».

PRESIDENTE pone ai voti l’intero articolo 4.

(È approvato).

Rinvia il seguito dei lavori alla seduta di mercoledì 18 corrente alle 12.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Grassi.

GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

6.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI GIOVEDÌ 12 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Dossetti – La Pira, Relatore – Grassi – Togliatti – Caristia – Lombardi Giovanni – Moro – Mancini – Basso, Relatore – Marchesi – Lucifero – De Vita – Corsanego – Cevolotto.

La seduta comincia alle 11.15.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE comunica che i Relatori La Pira e Basso, conformemente al mandato ricevuto, hanno concretato una serie di articoli ricavati dalle loro relazioni, che formano, con i due articoli approvati ieri, un compendio di sette articoli.

Il primo di questi articoli, che dovrà prendere il numero 3, è così formulato:

«Art. 3. – Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto della autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.

«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dalla autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di quarantotto ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori quarantotto ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente secondo quanto dispongono le leggi.

«Ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica, specialmente durante l’interrogatorio, è punita».

Chiarisce che la prima parte di questo articolo non è che un’affermazione di un principio di carattere generale e riproduce testualmente la prima parte dell’articolo 1, proposto dall’onorevole Basso nella sua relazione e accettato anche dal relatore La Pira.

DOSSETTI fa due proposte preliminari di carattere sistematico e tecnico circa la redazione degli articoli.

La Costituzione russa, ricordata dalla Sottocommissione durante le sue prime sedute, potrebbe servire di modello. In essa per ogni principio o norma è distinto il diritto riconosciuto dalle norme che ne garantiscono la realizzazione.

Propone che in questo primo articolo, il quale tratta della libertà personale, sia seguita la proposta fatta dalla Commissione di studi del Ministero per la Costituente, cioè di far precedere una dichiarazione generale circa l’inviolabilità della persona umana e stabilire successivamente le varie norme pratiche a garanzia del diritto enunciato. Sarebbe in sostanza una enunciazione più o meno analoga al capoverso dell’articolo 8 della relazione La Pira. Questo diritto alla libertà personale viene poi garantito dagli elementi concreti che sono nella stesura dell’articolo 1 del progetto Basso.

LA PIRA, Relatore, afferma che nel formulare l’articolo aveva pensato allo stesso criterio metodologico ricavato dalla Costituzione russa.

GRASSI, partendo dal concetto che sia opportuno sfrondare di qualunque ideologia le affermazioni degli articoli della Costituzione, ritiene necessario stabilire in forma lapidaria concetti che garantiscano questo diritto. Preferisce la formula dell’onorevole Basso accettata dall’onorevole La Pira, in cui, prescindendo dalla definizione, si stabiliscono i concetti fondamentali.

TOGLIATTI non vede contrasto fra le due proposte.

PRESIDENTE riconosce che non vi è contrasto. L’onorevole Dossetti fa proprio un criterio che avrebbe seguito il relatore La Pira e che è contenuto nella prima parte dell’articolo 8 da lui proposto.

CARISTIA crede che se si deve accennare ad una garanzia, basterebbe dire: questo diritto è garantito conforme alla legge. Con ciò si rimanderebbe alle leggi apposite che si dovranno promulgare per permettere l’esercizio di questo diritto. È questa una materia che non può entrare in sede di Costituzione; la Costituzione può affermare il principio, ma non deve dare le norme per garantirlo.

DOSSETTI afferma che la sua osservazione riguarda essenzialmente la impostazione sistematica che va seguita nella stesura degli articoli. Così non si verrebbe a cadere in quella ideologia cui accennava l’onorevole Grassi e si avrebbe il vantaggio di dare ad ogni norma concreta la sua giustificazione positiva. Questo da un punto di vista redazionale, programmatico ed educativo dovrebbe essere il tono della nostra Costituzione rispetto alle Costituzioni redatte anche negli ultimi tempi.

Lo schema, ad esempio, della dichiarazione dei diritti della Costituzione francese, dal punto di vista redazionale e tecnico, non rappresenta – a suo avviso – un progresso rispetto alle Costituzioni precedenti. Occorre fare cosa che abbia valore sostanziale non solo, ma anche dare alla nostra Costituzione, che nasce in un Paese il quale certamente ha una certa superiorità quanto a tecnica giuridica e ad eleganza di impostazioni giuridiche, una fisionomia caratteristica che potrebbe essere questa: di ogni diritto viene enunciato il concetto, poi vengono enunciati i mezzi tecnici di garanzia senza affermazioni negative o complicazioni ideologiche.

LOMBARDI GIOVANNI pensa che una specificazione di pretto carattere penalistico non sia conveniente.

PRESIDENTE interrompe la discussione per comunicare che è la seconda volta che l’onorevole Ghidini, Presidente della 3a Sottocommissione, verbalmente prima ed oggi per iscritto, fa presente l’opportunità che a certe discussioni della sua Commissione, in ordine a temi che rientrano anche nell’ambito della 1a Sottocommissione, siano presenti alcuni dei membri della 1a Sottocommissione. Ha accennato, ad esempio, all’opportunità che alla discussione riguardante i problemi della famiglia fossero presenti anche gli onorevoli Iotti e Corsanego. Stamane l’onorevole Ghidini sollecitava la presenza dei colleghi Iotti e Marchesi. A lui non sembra opportuno, per ora, che si facciano adunanze miste o che si abbia una partecipazione ad adunanze di altre Sottocommissioni in veste consultiva. Ritiene che occorra prima discutere tutti i temi posti all’ordine del giorno, dopo di che, se sarà necessario ed opportuno, sarà sollecitato rincontro con i colleghi di altre Sottocommissioni.

Chiede ai colleghi di essere autorizzato a dare una risposta in tal senso all’onorevole Ghidini.

(La Commissione concorda).

LOMBARDI GIOVANNI afferma che in uno statuto non si può che enunciare i principî generali, senza scendere al dettaglio. Ora, nell’articolo si stabilisce che si può essere arrestati e che questo arresto può durare 48 ore. Se poi non interviene la denuncia all’autorità giudiziaria, l’individuo dovrebbe essere messo in libertà. Tutte queste specificazioni, a parte il fatto che in pratica non hanno alcun valore, non debbono essere fatte in sede costituzionale.

In sede di Statuto, si dovrebbe semplicemente sancire la libertà della persona che è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali affermeranno. E ciò anche per evitare le conseguenze di un contrasto insanabile con quello che sarà il testo del futuro Codice penale e del Codice di procedura penale della Repubblica.

Qui non si debbono fave affermazioni che limitino la libertà di coloro che dovranno poi procedere alla sistemazione delle leggi penali. Propone quindi che si dica più semplicemente: «La libertà della persona è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali stabiliranno».

In linea subordinata, nel caso che la Sottocommissione volesse procedere a dettagli, ritiene che il termine di 48 ore sia eccessivo.

MORO rileva che l’onorevole Lombardi ha delle idee singolari sui rapporti tra Costituzione e leggi speciali. Qualche giorno fa, ad esempio, egli chiedeva che fossero promulgati i Codici prima della Costituzione. Invece è il Codice che deve prendere ispirazione dalla Costituzione e quindi anche il Codice penale deve seguire alla Costituzione. La funzione della Costituzione è appunto quella di determinare il supremo indirizzo della legislazione. Perché rinviare alla legge la determinazione di una materia come questa, che tocca così profondamente la libertà individuale? È proprio la Costituzione che deve garantirla ponendo i limiti alla legge penale futura. Quanto ai limiti di tempo stabiliti perché l’autorità di pubblica sicurezza presenti denuncia all’autorità giudiziaria, si potranno anche discutere, ma pensa che debbano essere mantenuti per una ragione di fatto.

LOMBARDI GIOVANNI ricorda che la legge penale dice: «salvo i casi di flagranza».

MORO osserva che si può discutere se il termine debba essere fissato in 24 o 48 ore, ma l’esperienza dice che non bisogna restringere eccessivamente i limiti di tempo, per non costringere l’autorità di pubblica sicurezza a violare le disposizioni di legge. Non ritiene invece discutibile la competenza della Costituzione a prendere posizione su questo punto. Rimettersi alla legge significherebbe autorizzare la legge a determinare il limite di detenzione, per esempio, fino ad un anno.

MANCINI non entra nel merito dell’articolo. Osserva che la discussione verte sulla proposta dell’onorevole Dossetti che non è in contrasto col concetto del collega Basso, anzi lo ribadisce ancora di più. La proposta Dossetti – a suo avviso – non solo deve essere accolta dal punto di vista programmatico, tecnico ed ideologico, ma anche da un punto di vista pratico. Trattandosi di libertà personale, la quale deve essere il fondamento della nostra Costituzione, è meglio che preceda una norma positiva e segua poi la norma negativa.

TOGLIATTI è d’accordo con quanto ha proposto l’onorevole Dossetti. È opportuno far precedere la formulazione del principio e quindi quella della garanzia costituzionale, giuridica: ciò dà un maggior rilievo alla Costituzione.

Per quanto riguarda il contenuto dell’articolo, richiama l’attenzione dei colleghi su questo punto della Costituzione che è l’habeas corpus dei cittadini. La formulazione è difettosa ed è difettosa proprio per gli argomenti portati dal collega Moro. Rinviare tutto alla legge apre una quantità di eccezioni che devono essere risolte specificatamente dalla legge. E allora sarà la legge che deciderà dell’habeas corpus e non la Costituzione.

In un punto dell’articolo si dice che è vietato ogni maltrattamento degli arrestati, specialmente in sede di interrogatorio. La sua esperienza, in questo campo, crede sia superiore a quella dei colleghi, ed egli fa presente di essere stato sottoposto a quelle forme di pressione a cui fa riferimento l’articolo.

Per quanto riguarda la questione di rinviare alla legge o specificare in sede costituzionale, è d’accordo con l’onorevole Moro. Tutti questi rinvii distruggono l’habeas corpus, il quale non verrebbe più ad essere quello che tutti vogliono.

PRESIDENTE, poiché vi è accordo, fra i colleghi Togliatti, Dossetti, Lombardi e Moro nel ritenere che un’affermazione di principio debba essere fatta prima di arrivare ad una specificazione, prega il collega Dossetti di voler formulare la sua proposta.

DOSSETTI propone di far precedere la prima parte dell’articolo 3 da queste parole: «La libertà personale è inviolabile».

BASSO, Relatore, non sarebbe contrario a questa aggiunta; però, essendo contrario alle ridondanze che diminuirebbero il valore della Costituzione, fa notare che con l’aggiunta proposta si esprime due volte lo stesso concetto.

GRASSI è d’accordo con il collega Basso. Gli sembra inutile l’aggiunta proposta dal collega Dossetti. Infatti, mentre in principio si fa una enunciazione generale, subito dopo si ha una parte negativa nella quale si stabilisce che nessuno può essere privato della libertà personale se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. Sarebbe meglio allora dirlo apertamente, senza mantenere una parte positiva e poi un’altra negativa.

DOSSETTI non è d’accordo su questo concetto: infatti il contenuto giuridico della norma è la inviolabilità della libertà personale; poi segue non un’eccezione a questa libertà, che trova la sua garanzia completa nel primo capoverso dell’articolo proposto dal collega Basso, ma una modificazione formale che toglie anche l’apparente contraddizione di cui si preoccupa l’onorevole Grassi. Infatti l’atto dell’autorità giudiziaria non è una violazione della libertà personale. La violazione suppone la illegittimità, la ingiustizia; dove non vi è injura non vi è più violazione. Il contrasto è soltanto tra i termini, ed ecco perché non si dovrebbe parlare di privazione della libertà, ma si dovrebbe parlare, come parlano di solito le altre Costituzioni, di detenzione o di arresto. Si dovrebbe, perciò, dire che la libertà personale è inviolabile e poi aggiungere che «nessuno può essere trattenuto o arrestato se non ecc.».

Uno schema simile del resto lo si trova nell’articolo 14 della Costituzione di Weimar e nello articolo 127 della Costituzione russa.

D’altra parte, anche se fosse mantenuta la dizione attuale, si tratterebbe solo di una contraddizione formale. Non si può parlare di una violazione della libertà, quando questa avviene nei casi e nei modi previsti dalla legge per una superiore esigenza della comunità sociale.

MARCHESI è d’accordo che il principio da stabilire sia questo, che cioè quando la libertà personale viene a ledere l’ordine giuridico o la libertà altrui non è più inviolabile.

PRESIDENTE ritiene che, poiché nessuno fa osservazioni, si intende approvato che l’articolo 3 comincia con la seguente affermazione: «La libertà personale è inviolabile».

Passando alla prima parte dell’articolo 3 nella formula proposta dai relatori Basso e La Pira, fa osservare che per legare la prima parte dell’articolo all’affermazione che precede, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», sarebbe meglio dire: «La libertà personale è inviolabile. Questa può essere limitata, solo per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge». Si tratta soltanto di una questione di forma.

LUCIFERO osserva che dal momento che si entra nella formulazione delle norme concrete dei diritti, sarebbe meglio usare termini più specifici. Pertanto, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», si potrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato».

Aggiunge che nella prima parte dell’articolo si dice che nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge; nella seconda parte invece si dice che la privazione della libertà personale può essere disposta anche dall’autorità di pubblica sicurezza, ma non si aggiunge: «nei casi e nei modi previsti dalla legge». Pensa che questo vincolo dovrebbe essere mantenuto anche nel secondo caso, altrimenti potrebbe sembrare che la pubblica sicurezza avesse una certa elasticità, una specie di facoltà discrezionale nel privare il cittadino della libertà personale, mentre ciò non sarebbe consentito all’autorità giudiziaria. Pertanto bisognerebbe dire che la privazione della libertà personale può essere disposta dall’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza, sempre però nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Nel caso venisse accolta la proposta di sostituire alle parole: «privato della libertà personale», l’altra: «arrestato», raccomanda, anche di aggiungere la parola: «fermato». Cioè si dovrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato o fermato»; altrimenti la pubblica sicurezza potrebbe fermare e nessuna disposizione lo vieterebbe.

TOGLIATTI è d’accordo nell’indirizzo proposto dal collega Lucifero, cioè di usare la massima concretezza. Pertanto propone che si dica: «Nessuno può essere arrestato se non per avere violato la legge e per mandato dell’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che è difficile stabilire un criterio di valutazione della violazione della legge. Si presume che quando l’autorità giudiziaria interviene si sia violata la legge.

La proposta dell’onorevole Lucifero muove dal presupposto che ponendo nell’articolo un limite soltanto valido per l’autorità giudiziaria, implicitamente si venga a dire che questo limite non è obbligatorio per la pubblica sicurezza. Si dovrebbe cioè dire che: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge», per non dare adito al dubbio che si voglia conferire all’autorità di pubblica sicurezza un’estensione di poteri maggiore di quella dell’autorità giudiziaria.

LUCIFERO ripete la sua proposta di aggiungere esplicitamente che non è consentito neppure il fermo di polizia.

DE VITA è d’accordo nel ritenere che si debba limitare al massimo il potere dell’autorità di pubblica sicurezza, stabilendo che nessuno può essere fermato o arrestalo dall’autorità di pubblica sicurezza tranne casi determinati che si dovrebbero specificare.

LUCIFERO insiste nel proporre che si debba fissare con una disposizione precisa il concetto che non esiste nel nostro ordinamento un fermo di polizia, senza stabilire alcuna eccezione.

DE VITA ritiene eccessivo abolire senz’altro il fermo.

PRESIDENTE fa rilevare la necessità di limitare la discussione alla prima parte della proposta Lucifero, quella cioè che considera il caso della limitazione della libertà personale, anche in riferimento alla autorità di pubblica sicurezza.

La questione di mantenere, oppure no, il fermo di polizia potrà essere discussa in un secondo tempo.

BASSO, Relatore, non ritiene facile limitarsi nella discussione, perché si tratta di questioni collegate.

Se si ammette che la pubblica sicurezza ha la facoltà di arrestare, non è possibile toglierle la possibilità di disporre il fermo, e ciò tanto più se si tiene conto dei casi di delinquenza comune.

Pertanto pensa che la formula da lui suggerita sia la migliore. Essa infatti è così ampia che comprende l’arresto, il fermo e qualsiasi altra ipotesi presente e futura. Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per un atto dell’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. La pubblica sicurezza, che ha preso un individuo sia a titolo di arresto, sia a titolo di fermo, entro 48 ore deve denunciarlo all’autorità giudiziaria, qualunque sia la motivazione. Gli sembra che questo sia veramente il solo modo concreto di prendere tutte le precauzioni.

Così pure non può accettare la proposta del collega Togliatti, che vorrebbe aggiungere il criterio della violazione della legge per poter effettuare l’arresto. Non è facile stabilire subito quando c’è la violazione della legge. Evidentemente l’autorità giudiziaria procederà soltanto nei casi e nei modi previsti dalla legge, come è detto dall’articolo.

PRESIDENTE fa presente che, essendo stata approvata la dizione da preporre all’articolo 3 «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell’articolo stesso è il seguente: «Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».

In questo primo capoverso il collega Lucifero vorrebbe aggiungere anche per l’autorità di pubblica sicurezza i limiti posti all’autorità giudiziaria. Quindi il capoverso sarebbe modificato nel modo seguente: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell’autorità giudiziaria e dell’autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge».

LUCIFERO vorrebbe che gli stessi vincoli che legano l’autorità giudiziaria debbano anche legare l’autorità di pubblica sicurezza per evitare fermi abusivi e prolungati, dei quali anche egli fu vittima. Insiste perché questa facoltà di fermare le persone sia esclusa dalla nostra legislazione.

PRESIDENTE fa presente che l’autorità giudiziaria non va confusa con l’autorità di pubblica sicurezza. L’intervento della pubblica sicurezza ha un carattere preventivo e quindi questo argomento va trattato in un capoverso a parte. Se il collega Lucifero sente la opportunità di questa distinzione, le sue osservazioni potranno trovare sede adatta quando si parlerà delle limitazioni dei poteri della pubblica sicurezza.

DOSSETTI vuole distinguere nettamente l’arresto giudiziario da quello di pubblica sicurezza. Non si tratta di una questione di parole, ma della natura giuridica di questi due atti. Il fermo ha una natura giuridica diversa, che è dovuta alla diversa autorità che lo dispone. Premesso questo, i due atti dovrebbero essere regolati da due capoversi distinti: il primo capoverso dovrebbe essere enunciato in maniera generica e contemplare l’atto dell’arresto, e non direbbe privazione della libertà personale, per non mettersi in contraddizione anche solo apparente col principio dell’inviolabilità della persona umana. Pertanto propone la dizione: «Nessuno può essere arrestato o detenuto se non per atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi è nei modi previsti dalla legge».

In un successivo capoverso potrebbe essere contemplato il fermo di pubblica sicurezza.

A tale proposito ritiene evidente che la esclusione del fermo sia impossibile, perché di questa esclusione beneficerebbe specialmente la delinquenza comune. Non rimane dunque che stabilire una garanzia perché il fermo di pubblica sicurezza non sia indebitamente prolungato. Per questo basterà stabilire che il fermo deve avere una durata brevissima e che, da un certo momento in poi, deve intervenire l’autorità giudiziaria per convalidarlo in base ai motivi che solo essa può accertare.

Pertanto, dopo aver detto: «Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell’autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge», si dovrebbe aggiungere: «Per ordine della pubblica sicurezza l’individuo non può essere fermato o trattenuto per più…». E qui basterebbe stabilire il termine entro il quale l’autorità giudiziaria deve intervenire e la natura di questo intervento.

PRESIDENTE pensa che intanto vada tenuta ferma la prima parte dell’articolo che riguarda l’autorità giudiziaria. Poi, parlando del fermo e dell’arresto o della privazione della libertà personale saranno stabiliti i criteri e i limiti di questo intervento.

Pone in discussione la formulazione proposta dall’onorevole Dossetti per il primo comma dell’articolo 3.

LUCIFERO pensa che si possa stabilire subito nella Costituzione una differenziazione terminologica dell’arresto, della detenzione e del fermo, che è un provvedimento della pubblica sicurezza da convalidarsi e trasformarsi in arresto dall’autorità giudiziaria entro un determinato termine. Questa differenziazione potrebbe essere fatta nel secondo capoverso.

CORSANEGO è favorevole a conservare nel primo capoverso dell’articolo la formula proposta dai Relatori. La libertà personale non si vìola soltanto coll’arresto e con il fermo di polizia; vi sono state o vi sono altre forme di violazione della libertà personale, quali ad esempio obbligare un individuo a recarsi alla sede del fascio per essere interrogato, imporgli di non rientrare nella sua casa sotto pena di morte, vietargli di aprire un negozio perché è di un partito contrario. Queste sono forme di privazione della libertà personale che recano al cittadino spesso più danno che non il fermo per due o tre giorni.

BASSO, Relatore, insiste per la formula proposta da lui e dal collega La Pira, facendo presente che, poiché è stata premessa all’articolo la frase: «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell’articolo andrebbe così modificato: «Nessuno può esserne privato se non per atto dell’autorità giudiziaria, ecc.»

Di fronte a tutta la casistica di polizia occorre una formula generica ed ampia per evitare che qualche nuovo espediente poliziesco venga a limitare la libertà personale.

MORO non è d’accordo con l’onorevole Corsanego, in quanto i casi da lui indicati costituiscono reati previsti dalla legge.

Riconosce, col collega Basso, che è preferibile una formula generica per evitare ogni possibile nuovo espediente ai danni della libertà. Ma quando si stabilisce che l’autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo solo per fondato sospetto di reato e limitatamente alle 48 ore, perché oltre questo limite deve seguire la denuncia all’autorità giudiziaria, si può stare tranquilli: nessuna legge speciale potrà inventare nuove forme di limitazione della libertà.

DOSSETTI, per andare incontro alle preoccupazioni dell’onorevole Basso e in parte a quelle dell’onorevole Corsanego, aggiunge nella dizione da lui proposta dopo la parola «arrestato», l’avverbio «o comunque».

LOMBARDI GIOVANNI preferisce la formula dei Relatori. Le altre proposte gli sembrano troppo specifiche, più conformi ad una legge speciale che ad una legge statutaria. La formula: «Nessuno può essere privato della libertà personale» è la più ampia, comprende l’arresto, la detenzione, il fermo e qualunque altra forma vessatoria che possa venire in mente all’autorità di pubblica sicurezza. Inoltre risulta dalla formula Basso-La Pira che questo diritto di privazione della libertà personale appartiene anzitutto all’autorità giudiziaria; si fa poi una concessione accordandolo all’autorità di pubblica sicurezza.

LA PIRA, Relatore, riconosce l’utilità della specificazione; però, adottando una formula generale comprendente il fermo, l’arresto e la detenzione, le preoccupazioni dell’onorevole Corsanego dovrebbero cadere. Questa formula è più conforme ad una Costituzione e consente tutte le garanzie.

MANCINI dichiara di essere favorevole alla dizione dei Relatori che è più comprensiva. Aggiunge che, dal punto di vista del diritto penale, chi è arrestato è detenuto, quindi si domanda che cosa significhi arrestato o detenuto. La formula più chiara e più comprensiva è quella che dice «essere privato della libertà».

DOSSETTI spiega il concetto ispiratore della sua proposta: fare cioè un articolo che sia, anche dal punto di vista formale, coerente nelle sue diverse enunciazioni.

Se si dice «La libertà personale è inviolabile», e poi si aggiunge che si può esserne privati per atto dell’autorità giudiziaria, effettivamente si pone in essere una contraddizione, qualche cosa che intacca la forza dell’enunciato, mentre con la sua proposta la forza dell’enunciato generale è accresciuta. Si dichiara che la libertà personale è inviolabile e poi si prevede un fatto giuridico, che una persona sia messa in stato di detenzione per un atto dell’autorità giudiziaria e si dice: «La detenzione può avvenire per solo atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi previsti dalla legge». Di qui si passa alla eccezione concessa all’autorità di pubblica sicurezza. È tutto un succedersi di concetti che rafforza e non attenua il valore di quanto è stato affermato in primo posto.

Qui si parla di violazione della libertà personale in seguito ad arresto o a detenzione; altre forme di privazione non rientrano in questo articolo. La libertà a cui allude l’onorevole Corsanego è una libertà più complessa che va fino a quella di aprire un negozio, mentre in questa sede si considera soltanto quella libertà che si concreta nella capacità e possibilità di dislocarsi da un posto all’altro.

LOMBARDI GIOVANNI fa rilevare che la discussione non verte sul concetto, ma sulla espressione e la formula «privato della libertà personale» non è in contrasto con la progressione indicata dall’onorevole Dossetti; è solo una espressione più precisa.

LUCIFERO, quale proponente della formula, fa presente al collega Basso che gli italiani, ma non solo essi, escono da una serie di esperienze che insegnano come siano state trovate delle formule che danno la possibilità di violare il diritto alla libertà personale. Occorrono quindi formule-catenaccio che non diano possibilità di evasione.

Insiste perché sia mantenuto il termine «detenzione». Arresto e detenzione sono due cose diverse.

MANCINI osserva che non vi può essere l’arresto senza che vi sia anche la detenzione.

PRESIDENTE ritiene necessario, perché rimanga traccia del pensiero del legislatore, di coloro cioè che prepararono la Costituzione, che si fissi il concetto sul quale tutti sono d’accordo, che, cioè, la libertà personale non deve essere violata. Le varie proposte mirano a stabilire con parole diverse l’identico concetto.

Secondo lui, la formula «privazione della libertà personale», poiché non dà luogo a nessuna casistica e comprende tutti i casi, è in sostanza la più comprensiva. Comunque, vi sono due proposte distinte: quella dei Relatori e quella dell’onorevole Dossetti.

Metterà ai voti prima la formulazione proposta dall’onorevole Dossetti, poiché, essendo innovatrice, deve avere la precedenza nel voto. È chiaro che se questa non viene approvata, resta approvata la proposta dei Relatori.

Pone ai voti la proposta Dossetti: «Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell’autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge».

(La proposta non è approvata).

Dichiara allora approvata la formula dei Relatori: «Nessuno può esserne privato, se non per atto dell’autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».

Pone in discussione il successivo capoverso dell’articolo 3, il quale dice:

«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dall’autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».

CEVOLOTTO ritiene, con questa dizione, superato quel dubbio che era stato formulato anche da lui a proposito del capoverso precedente circa il fermo di polizia, perché in questo capoverso vengono posti dei limiti inderogabili e delle formalità da espletare. Si supera anche la questione, più di forma che di sostanza, che faceva l’onorevole Dossetti, raccolta anche dall’onorevole Moro, e cioè che si autorizzasse la pubblica sicurezza ad operare il fermo in casi di flagranza. Il fermo sarà poi trasformato in arresto dall’autorità giudiziaria. Una formulazione troppo generica inciderebbe sul Codice di procedura penale. Con l’espressione: «La privazione della Libertà personale», si comprende qualsiasi forma di privazione di libertà personale.

L’onorevole Lombardi ha proposto la riduzione dei termine a 24 ore, ma considerando che occorre del tempo perché l’autorità di pubblica sicurezza riferisca all’autorità giudiziaria e questa convalidi l’arresto, evidentemente 24 ore sono troppo poche; forse anche il termine di 48 ore è assai ristretto. È opportuno mettere dei termini ristretti, ma non occorre eccedere per non costringere le autorità di pubblica sicurezza a ricorrere ad altri espedienti.

Osserva che nel capoverso si specificano delle norme che sono proprie del Codice di procedura penale e non debbono essere trasferite in una carta costituzionale. Quando si dice «con proprio atto motivato», è d’accordo nella sostanza, ma non ritiene sia questo il posto per dirlo; e altrettanto ripete per l’altra norma secondo cui la convalida deve essere fatta entro le ulteriori 48 ore e ripetuta periodicamente.

Propone quindi la soppressione dell’ultima parte del capoverso: «con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».

LOMBARDI GIOVANNI aggiunge che non è giuridicamente esatta la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente». L’autorità giudiziaria ha in un primo tempo convalidato l’arresto; ogni ulteriore procedimento spetta all’autorità stessa. Questo fa parte di quelle tali norme per cui entro 6 mesi l’autorità giudiziaria deve convalidare o meno il proprio mandato di cattura. È una disposizione specifica della legge penale e non deve trovare posto in uno statuto.

LUCIFERO ritiene che la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente ecc.» sia stata ispirata da considerazioni di ordine pratico. Quando il magistrato riceve un voluminoso pacco di segnalazioni di arresto da parte della pubblica sicurezza, e entro 48 ore deve esaminarlo, finirà col convalidare tutto, salvo poi, in un secondo tempo, esaminare specificamente caso, per caso. Questo è quello che avverrà in pratica. Queste ulteriori convalide hanno effettivamente il significato che, dopo la prima convalida di urgenza, l’esame deve essere approfondito; e qui occorrerebbe – a suo avviso – stabilire un termine per rendere efficiente la norma.

CEVOLOTTO risponde che a questo provvederà il Codice di procedura penale.

LUCIFERO osserva che il Codice di procedura penale non è una legge costituzionale.

Dichiara che se l’intendimento dei relatori era quello da lui esposto, voterà per il mantenimento della frase.

MANCINI ricorda che nel Codice di procedura penale vi è una disposizione la quale stabilisce che l’autorità di pubblica sicurezza deve presentare entro 24 ore i propri verbali all’autorità giudiziaria. Praticamente, se non interviene l’avvocato, l’autorità giudiziaria non sollecita dagli organi di polizia la presentazione dei verbali. Perciò alla frase: «tuttavia in questo caso l’individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore», dovrebbe esserne sostituita un’altra del seguente tenore: «tuttavia in questo caso l’individuo deve essere messo immediatamente in libertà, tranne che l’autorità giudiziaria non intervenga con atto motivato entro 48 ore». Sostituirebbe inoltre la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all’autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore», con la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia alla autorità giudiziaria e questa non l’abbia convalidata con proprio atto motivato entro le ulteriori 48 ore, e questo non sia seguito, in altre 48 ore da un ordine o da un mandato di cattura». Si eviterebbe così di parlare di «convalide», che è un termine fuori del diritto.

PRESIDENTE osserva che, ammesso l’intervento della pubblica sicurezza, questo non va sottoposto a casistiche che sono più proprie di una legge speciale o del Codice di procedura penale che non della Costituzione. La Costituzione deve andare per vie maestre. Dapprima afferma che la libertà personale è inviolabile, poi aggiunge che potrà essere tolta soltanto dall’autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. È ammessa anche la privazione della libertà personale disposta dall’autorità di pubblica sicurezza, ma questa facoltà deve essere chiaramente limitata. Propone perciò di sostituire alla formula dei relatori la seguente: «Il fermo o l’arresto di polizia non può avere una durata superiore a 48 ore. Oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria». Questo è un principio semplicissimo; le leggi speciali stabiliranno le norme esecutive.

MANCINI chiede perché si vuol dare alla autorità giudiziaria quel potere che si vuol togliere all’autorità di pubblica sicurezza. Quando si dice che per togliere la libertà personale basta la convalida dell’autorità giudiziaria si afferma una cosa molto grave. Solo un ordine od un mandato di cattura dovrebbe privare il cittadino della libertà personale.

PRESIDENTE spiega che la formula da lui proposta va interpretata facendo riferimento al precedente capoverso, il quale prevede che l’autorità giudiziaria nei suoi interventi sia legata ai casi e ai modi previsti dalla legge. Il fermo o l’arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria.

MANCINI ricorda che nel Codice di procedura penale si parla di ordine o mandato di cattura e non di convalida, quindi si dovrebbe dire che, dopo quel termine, deve seguire un ordine o un mandato di cattura.

CEVOLOTTO rileva che con la formula proposta dal Presidente: «Il fermo o l’arresto non può durare più di 48 ore a meno che ecc.», è ammesso il fermo di polizia. Poi si aggiunge che dopo quel termine occorre una convalida dell’autorità giudiziaria e così si avrebbe un fermo convalidato dall’autorità giudiziaria.

PRESIDENTE consente che invece di «convalida», si dica «ordine o mandato di cattura».

La consacrazione poi, nella Costituzione, del fermo come istituto di fatto della polizia non gli sembra così pericolosa, perché il fermo non può durare più di 48 ore e questa è una garanzia sufficiente per il cittadino.

Quindi si potrebbe dire: «Il fermo o l’arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata per mezzo di un ordine o di un mandato di cattura dell’autorità giudiziaria».

DOSSETTI dichiara che riproporrà in seconda istanza il concetto che è stato respinto.

Innanzitutto propone che la frase «la privazione della libertà personale, ecc.» venga soppressa, perché in contraddizione col principio che egli tiene a riaffermare, che nessuno, cioè, può essere privato della libertà personale, se non per ordine dell’autorità giudiziaria.

Fatta questa affermazione, potrebbe aspettare la formula proposta dal Presidente con una variante più radicale, non accennando al fermo; dopo aver detto che può essere disposta la privazione della libertà personale solo per ordine dell’autorità giudiziaria, aggiungerebbe che, per ordine dell’autorità di pubblica sicurezza, nessuno può essere trattenuto per più di 48 ore. Dopo tale termine, deve essere rimesso in libertà, a meno che prima sia intervenuta una denunzia all’autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia disposto l’arresto.

MANCINI propone che si dica che l’individuo deve essere rimesso in libertà se non segue, dopo questo termine, un mandato di cattura.

MORO domanda se non sia il caso di affrontare anche il problema del confino di polizia.

MANCINI mantiene la sua prima proposta, che il fermo o l’arresto di polizia non possono avere durata superiore alle 48 ore. Accetta la precisazione del collega Dossetti che, dopo tale termine, il fermato deve essere rilasciato a meno che non sia intervenuta una denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia disposto l’arresto.

BASSO, Relatore, anche per la prima parte adotterebbe la formula Dossetti. Qualunque specificazione rappresenta una diminuzione. Comprende le preoccupazioni del collega Moro di dare qualche specificazione per quanto riguarda i provvedimenti che può prendere la polizia; quindi accetta il testo proposto dal collega Dossetti integrato da una disposizione che garantisca di fronte ad un arresto non motivato.

Al collega Lucifero, che teme che il mandato di cattura emesso in fretta senza una sufficiente motivazione o informazione possa avere come conseguenza la permanenza in carcere per molti mesi, osserva che si tratta di materia di competenza del Codice di procedura penale. Il limite di tempo oltre il quale, se non interviene un nuovo provvedimento, l’arrestato non può essere trattenuto, dovrebbe essere stabilito come lo è nella Costituzione francese.

Aderisce quindi alla proposta del collega Dossetti con l’aggiunta della specificazione del motivo per cui si procede all’arresto.

DE VITA vorrebbe che si trattasse anche del confino di polizia.

PRESIDENTE risponde che ne sarà trattato in un secondo tempo.

CEVOLOTTO richiama l’attenzione dei colleghi sul punto che ha trattato l’onorevole Basso: è una norma del Codice di procedura penale che si introduce e che va esaminata a fondo, perché recherebbe un enorme lavoro alle procure e ai giudici istruttori. Non è bene, d’altra parte, specificare troppo in sede costituzionale.

PRESIDENTE insiste sulla sua formula, la quale – a suo avviso – non pregiudica nulla e che si riferisce alle garanzie che per legge dovranno regolare il funzionamento dell’autorità giudiziaria. La precisa nei seguenti termini: «Il fermo e l’arresto di polizia non può avere durata superiore a 48 ore; oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell’autorità giudiziaria per mezzo di ordine o mandato di cattura». Il Codice penale e quello di procedura penale stabiliranno poi i modi concreti di attuazione. In tal modo si garantisce la libertà personale e si viene incontro a tutte le preoccupazioni espresse durante la discussione.

DOSSETTI fa rilevare che, secondo questa proposta, la convalida deve avvenire prima che siano scadute le 48 ore. Invece nella proposta La Pira-Basso vi è un primo termine di 48 ore entro cui le autorità di pubblica sicurezza debbono fare la denunzia alla autorità giudiziaria, la quale entro le ulteriori 48 ore dovrà convalidarla. Osserva che accadrà di frequente che il giudice non potrà nelle prime 48 ore fare l’interrogatorio.

PRESIDENTE ritiene giusta questa osservazione e così corregge la sua proposta: «Oltre questo limite, e in ogni caso entro le 48 ore successive, è necessario, ecc.».

BASSO, Relatore, direbbe: «Il fermo o l’arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà», – affermazione precisa che è bene fare – «a meno che prima non sia intervenuta denuncia all’autorità giudiziaria e questa entro le successive 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

CEVOLOTTO trova accettabile la formula; ma l’obiezione del collega Moro è questa: la autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo per varie ragioni, per esempio per non farlo votare. Lo tiene dentro 24 ore, poi lo rimette in libertà e dopo qualche altro giorno lo ferma di nuovo e così di seguito senza incorrere nei termini prescritti e senza darne conto a nessuno. Ora questo è un po’ grave.

PRESIDENTE osserva all’onorevole Cevolotto che la Sottocommissione prepara una Costituzione democratica e non una Costituzione di uno Stato totalitario. In uno Stato democratico ci sono i Deputati, c’è una libera stampa, che possono intervenire quando la legge sia violata e quando si commettono abusi. In regime democratico le cose andranno diversamente che in regime fascista.

DE VITA fa notare che anche in regime democratico vi è la possibilità del sopravvento di una fazione.

MARCHESI risponde all’osservazione e al monito del Presidente che la Costituzione non è fatta per l’eternità e che ogni regime politico e ogni Costituzione hanno in sé, se non i germi necessari, quelli probabili di degenerazione. Va sempre garantito il cittadino contro la temerarietà e l’arbitrarietà dell’azione di polizia e perciò si associa interamente alle preoccupazioni sollevate dall’onorevole Moro. Bisogna specificare che questo fermo od arresto preventivo di polizia non deve essere né temerario né arbitrario e stabilire bene le sanzioni nel caso che lo sia.

PRESIDENTE propone che si dica: «Il fermo o l’arresto di polizia non può avvenire che per fondato sospetto di reato e non può avere durata superiore a 48 ore, ecc.».

MORO proporrebbe: «per fondato o serio sospetto di reato».

LOMBARDI GIOVANNI chiede chi è che giudicherà della fondatezza.

Ricorda il sospetto che circonda l’operato della pubblica sicurezza. Anzi, a questo proposito, invece di pubblica sicurezza direbbe polizia giudiziaria, della quale fa parte la pubblica sicurezza. La terminologia generica è «polizia giudiziaria».

PRESIDENTE osserva che la polizia giudiziaria è quella che interviene nell’applicazione della sentenza e che esegue i mandati di cattura.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che la polizia giudiziaria è un complesso di cui fa parte la pubblica sicurezza. Evitare ogni sospetto non è possibile neanche con la proposta del collega Moro. Il solo modo per evitare qualunque sospetto consiste nel dare un solo diritto alla pubblica sicurezza o polizia giudiziaria: quello di arrestare soltanto in caso di flagranza di reato.

In uno Stato veramente democratico dovrebbe essere così; ed egli presenta formale proposta perché in qualunque altro caso l’autorità giudiziaria debba decidere sul rapporto dell’autorità di pubblica sicurezza. Non deve essere consentito alla pubblica sicurezza di arrestare per sospetti, siano pure fondati; essa deve intervenire per mandato dell’autorità giudiziaria.

Propone pertanto la seguente formula: «L’autorità di pubblica sicurezza può arrestare solo nei casi di flagranza. Per ogni sospetto o denunzia, siano pure fondati, occorre l’ordine o il mandato di cattura dell’autorità giudiziaria».

PRESIDENTE pone ai voti la proposta dell’onorevole Lombardi, dichiarando però di essere contrario a questa formula.

(La proposta non è approvata).

Avverte che il seguito della discussione è rinviato a martedì 17 settembre, alle ore 10.

La seduta termina alle 13.30.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Grassi, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assente giustificato: Mastrojanni.