Come nasce la Costituzione

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MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

ASSEMBLEA COSTITUENTE

COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE

PRIMA SOTTOCOMMISSIONE

8.

RESOCONTO SOMMARIO

DELLA SEDUTA DI MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 1946

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI

INDICE

I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)

Presidente – Mastrojanni – Moro – Caristia – Mancini – Cevolotto – La Pira, Relatore – Lombardi Giovanni – De Vita – Basso, Relatore – Dossetti – Togliatti – Corsanego.

La seduta comincia alle 12.

Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.

PRESIDENTE dà lettura dell’articolo 5 così come è stato proposto dai Relatori La Pira e Basso:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso.

«Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale.

Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

Pone in discussione il primo capoverso dell’articolo, osservando che esso ha la sua origine nelle proposte del Relatore La Pira che formano buona parte dell’articolo 11 e in quelle del Relatore Basso, per buona parte contenute nell’articolo 2. Evidentemente questo articolo 5, non è che il combinato sforzo dei due Relatori per sintetizzare in un articolo unico quello che era contenuto, quasi con una coincidenza sintomatica, nelle due relazioni.

MASTROJANNI chiede se non si potrebbe dire semplicemente: «La legge non ha effetto retroattivo».

PRESIDENTE, premesso che ritiene opportuno ritornare a quel carattere d’espressione che si è prevalentemente usato nei precedenti articoli, nei quali si è cercato di cominciare il meno possibile con la parola «nessuno», adoperata soltanto come conseguenza di affermazioni di carattere generale, è dell’opinione che si potrebbe dire: «La norma penale non è retroattiva», oppure: «La retroattività della norma penale è vietata».

MORO osserva che nella formula proposta dai Relatori sono consacrati due principî che si distinguono, il principio della irretroattività della legge penale e quello della tassatività della legge penale. Dire che la legge penale è irretroattiva non è dire con esattezza che nessuno può essere punito se non per una legge penale che indichi quella determinata pena. Crede pertanto che si debba mantenere la formula così come è stata proposta.

CARISTIA fa presente che il principio della non retroattività è già compreso nel Codice penale. Comunque ritiene più concreta la formula proposta dai Relatori.

MANCINI aderisce al concetto espresso dall’onorevole Moro, però pensa che si dovrebbero togliere le parole: «né punito», poiché s’intende che ogni processo si conclude o con la assoluzione o con la punizione.

Chiede poi un chiarimento. Nell’articolo proposto si legge: «se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso». Talché se c’è una legge posteriore al fatto commesso, la quale prevede il fatto come reato, questo non potrà essere punito? A rimanere alle parole dell’articolo si verrebbe a stabilire che una legge emanata posteriormente al fatto commesso, la quale contempla il fatto stesso come reato, non può essere applicata e il cittadino che si sia reso colpevole di un reato non può essere processato o punito. Si verrebbe in tal modo a creare una condizione di privilegio a benefìcio di chi ha commesso il fatto anteriormente alla emanazione della legge, mentre nei confronti di chi abbia commesso lo stesso fatto posteriormente all’entrata in vigore della legge vi è l’impunità.

MORO ritiene che la Commissione debba garantire la libertà individuale contro la possibilità che gli organi giudiziari irroghino pene per fatti non previsti dalla legge quando furono commessi. Con la formula proposta si vieta al giudice di incriminare qualsiasi fatto non previsto dalla legge come reato. Non si può punire un cittadino per aver commesso un fatto che solo posteriormente al fatto stesso venga dalla legge riconosciuto come reato; altrimenti la legge avrebbe effetto retroattivo.

MANCINI vorrebbe che l’articolo avesse una specificazione maggiore.

CEVOLOTTO ritiene che la preoccupazione dell’onorevole Caristia, che in questa sede si ponga una norma superflua perché già contenuta nel codice, non abbia ragione d’essere. Sebbene il Codice penale parli di irretroattività della legge penale, si sa benissimo che può venirne un’altra retroattiva, come purtroppo è avvenuto anche in questo ultimo periodo, pure ammettendo che necessità rivoluzionarie abbiano potuto giustificare questo fatto. Comunque, il fatto è stato possibile perché la Costituzione non era più una realtà. Bisogna mettere perciò questo divieto nella Costituzione, perché non sia più possibile emanare norme che abbiano valore retroattivo.

LA PIRA, Relatore, rispondendo all’onorevole Mancini, fa osservare che il principio della non retroattività delle leggi è fondamentale e bisogna fissarlo nella Costituzione. Se c’è un problema politico che ha interessato il mondo in questi ultimi tempi è proprio questo. Anche le parole «né punito» vanno conservate perché affermano che la persona non può essere punita se non nel modo che la legge penale ha stabilito nel tempo del commesso reato.

Fa presente inoltre che questa formula si ritrova in tutte le Costituzioni a cominciare dalla lontana dichiarazione del 1789.

Il progetto di Costituzione francese dice: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in forza di una legge promulgata e pubblicata anteriormente al fatto commesso». La dichiarazione del 1789 dice: «Nessuno può essere punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata». Anche la Costituzione di Weimar dice all’articolo 116: «Un fatto può essere punito unicamente se la legge lo abbia dichiarato punibile prima che sia stato commesso».

Per ragioni di ordine politico e giuridico sostiene la dizione proposta da lui e dall’onorevole Basso.

LOMBARDI GIOVANNI rileva che lo schema in discussione è uno statuto nel quale bisogna affermare i principî. Che cosa sono il processo e la punizione? Sono due aspetti di un solo fenomeno giudiziario. Quindi affermare l’una e l’altra cosa non solo è una superfluità, ma in uno statuto è una cosa che va oltre il criterio fondamentale che lo statuto deve fissare.

Per conseguenza, senza tener conto di quello che dissero un secolo fa i francesi i quali non hanno, come avevano i romani, il pregio o il privilegio delle sintesi, direbbe semplicemente così: «La legge penale non può essere retroattiva».

CEVOLOTTO ritiene che la formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo se non in virtù di una legge», sia incompleta perché potrebbe darsi che leggi posteriori vengano ad aggravare la pena per un fatto già commesso e questo non dovrebbe essere ammesso. È necessario completare la formula in modo che sia ben chiaro il principio della irretroattività della legge: che nessuno può essere punito se non in base ad una legge anteriore e con le pene che questa stabilisce, e che non vi può essere nemmeno un posteriore aggravamento della pena ai danni dell’imputato. Per queste ragioni ritiene che la formula dei Relatori debba essere accettata completamente.

MORO insiste perché siano adottate le due formule, sia del processo, sia della sanzione punitiva. Non concorda con l’onorevole Lombardi che si tratti di due fenomeni che si compongono in uno solo. Altro è il momento di diritto sostantivo, altro quello di diritto processuale. Bisogna distinguere i due aspetti, sia per ragioni dogmatiche che per ragioni di fatto.

MASTROJANNI dichiara che le preoccupazioni degli onorevoli Cevolotto e Moro sono, a suo avviso, infondate. Per quanto riguarda l’esigenza che una legge posteriore non possa aggravare le pene, dispone già il Codice penale, come tutti i codici. Quando un fatto è previsto da due leggi successive, delle quali la prima è più favorevole, è canone fondamentale che debba essere applicata la legge più favorevole per l’imputato. È, quindi, inutile precisare questo principio, acquisito dalla scienza penale.

Per quanto riguarda l’osservazione dell’onorevole Moro che distingue il processo dalla pena, la sua preoccupazione gli sembra superflua. Se si inizia un processo penale, ciò avviene perché si ha in ipotesi la convinzione che sia stato consumato un reato. Questa indagine preventiva non potrà mai essere eliminata.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di spiegarsi da un punto di vista dogmatico quanto ha detto l’onorevole Moro; ma, appunto perché è una questione dogmatica, essa rientra nella specificazione che deve fare la legge speciale, il diritto penale. Non si può quindi pensare ad una norma statutaria; se dovesse essere tale, non sarebbe nemmeno completa. La legge statutaria deve affermare soltanto il principio; sarà cura dei compilatori della legge penale di ricavarne le conseguenze. Perciò insiste nella necessità di una formula che sia sintetica e generale.

CEVOLOTTO osserva che se si lascia alla legge speciale la fissazione di questo principio, si va incontro al pericolo che una legge speciale successiva faccia proprio quello che si vuole evitare. È necessario che il divieto sia espresso nella Costituzione. Rispondendo all’onorevole Mastrojanni, il quale ha detto che il principio della scelta fra due leggi successive in senso favorevole all’imputato è già nel Codice, fa osservare che una legge speciale può infirmare questo principio. La Corte di cassazione, in tema di reati di accaparramento, ha sostenuto che una legge posteriore aveva autorizzato l’applicazione della pena più grave anche ai reati anteriori alla legge stessa. Per queste ragioni ritiene che le norme proposte debbano essere precisate nella Costituzione senza lasciare dubbi.

MORO dichiara di essere d’accordo con l’onorevole Cevolotto. Ribadisce inoltre il principio della necessità di consacrare costituzionalmente l’affermazione della tassatività e irretroattività delle leggi. Siamo nel campo di una difesa della libertà umana, uno dei campi tra i più delicati della difesa della libertà umana che il Codice in atto ci garantisce. Il fatto, però, che questo principio sia oggi nel Codice non può impedire a chi fa una Costituzione, che deve garantire da tutti i punti di vista la libertà individuale, di porre nella Costituzione stessa questi principî.

Per quanto riguarda l’espressione: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito» è del parere che, se si volesse eliminare l’uno o l’altro di questi due termini, non andrebbe eliminato «punito» ma «sottoposto a processo», perché l’espressione della punizione in effetto richiama anche il fenomeno processuale. Ma preferisce che siano conservati tutti e due i termini.

L’ipotesi espressa dall’onorevole Mastrojanni, che cioè ad ogni inizio di processo vi è una fase di indagine preliminare, non infirma il principio. È chiaro che la Costituzione non proibisce di sottoporre a processo quando vi sia sospetto di reato.

DE VITA ritiene che le considerazioni svolte dall’onorevole Cevolotto e dall’onorevole Moro rientrino nel principio della non retroattività della legge penale. Se ciò è esatto, è da preferirsi la formula lapidaria suggerita dall’onorevole Lombardi: «La legge penale non può essere retroattiva».

PRESIDENTE non è d’accordo con coloro che ritengono superflua una tale dichiarazione sol perché questa è già contenuta nel Codice penale in vigore. La Costituzione che noi andiamo a fare riguarda il futuro e deve dare una direttiva chiara e netta al legislatore di domani. Che il Codice penale attuale affermi già questo principio non è motivo sufficiente perché lo si debba omettere in sede costituzionale poiché è la legge penale che deve prendere norma dalla Costituzione e non già questa da quella.

BASSO, Relatore, fa presente che i due aspetti della retroattività e della tassatività sono distinti. Si possono configurare ipotesi di leggi che siano tassative e che siano anche retroattive. Da una parte si garantisce che nessuno possa essere punito perché esiste una legge; d’altra parte si chiarisce che non soltanto questa legge deve sussistere, ma deve anche essere entrata in vigore precedentemente al fatto. Non si può nella retroattività comprendere anche la tassatività della legge.

 

DE VITA ritiene ovvio che nessuno possa essere punito se non in forza di una legge.

DOSSETTI non ritiene che sia così ovvio. È chiaro che non si può pensare alla ipotesi di una punizione per un fatto che non è assolutamente previsto da nessuna legge; ma si deve pensare anche a quelle ipotesi più complesse con cui si dànno applicazioni estensive di leggi esistenti. Quando si afferma il principio di questa esclusività e tassatività della legge penale, si vuole prevedere e ovviare a questo pericolo. Quindi la necessità di adottare i due principî. Pensa anzi che lo stesso articolo 5 non sia sufficientemente esplicito, tanto che propone di accettarlo ma integrandolo con un’aggiunta di questo genere: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con una pena da essa prevista».

MORO rileva che il concetto della pena prevista è contenuto nel secondo capoverso.

DOSSETTI fa osservare che le esigenze sono due e vanno sempre soddisfatte simultaneamente.

DE VITA non vede come nel campo penale vi possa essere un’interpretazione analogica e quasi estensiva. Nel campo civile questa interpretazione analogica c’è, ma nel campo penale no.

PRESIDENTE osserva che questo argomento ha un valore relativo. La Commissione deve fissare quei concetti ai quali poi si ispireranno le leggi speciali.

DOSSETTI richiama l’attenzione della Sottocommissione sul fatto che negli ultimi anni vi sono state delle perturbazioni in questo campo. Vi era, ad esempio, l’interpretazione che veniva data dalla scuola del diritto libero, la quale portava alle più assurde applicazioni.

PRESIDENTE osserva che l’involuzione del diritto in questi ultimi tempi deve rendere accorti ed esigenti, nel senso che si debba affermare il concetto fondamentale: nulla poena sine lege. L’involuzione del diritto, avvenuta durante questi anni, aveva trasformato questo aforisma nell’altro: nullum crimen sine poena.

DE VITA ritiene che il principio della irretroattività garantisca contro tutte queste possibili deformazioni.

Per quanto riguarda il principio della interpretazione, pensa che a questo pericolo non si sia ovviato.

LA PIRA, Relatore, ricorda che in questi ultimi anni sono stati pubblicati una quantità di volumi in Germania, tanto di diritto civile quanto anche di diritto romano, con i quali si è pensato di giustificare, anche attraverso il diritto romano, il principio della estensione analogica in diritto penale. A questo i giuristi italiani hanno reagito. Quindi è verissimo che, secondo i principî veri del diritto penale, non si ammette l’estensione analogica; però è vero altresì che in questi ultimi anni c’è stata una letteratura intera che ha cercato di capovolgere il principio medesimo.

Per queste ragioni ritiene che, per la difesa della libertà, sia da introdurre quel principio che è stato affermato dall’onorevole Moro.

DE VITA dichiara che a questi pericoli non si può completamente ovviare attraverso gli articoli di una Costituzione, ma se mai attraverso tutto il nuovo congegno costituzionale, attraverso la Corte costituzionale che dovrebbe garantire l’ordinamento costituzionale.

PRESIDENTE avverte che da molti Commissari è stata chiesta la chiusura della discussione sul primo capoverso dell’articolo. La pone ai voti.

(È approvata).

Fa presente che vi sono due proposte. Vi è la proposta contenuta nella formulazione dei Relatori, e quella fatta da altri che hanno interloquito, secondo i quali la proposta dei Relatori dovrebbe essere sostituita con un’altra formula che sarebbe la seguente: «La retroattività della norma penale è vietata».

Questa formula naturalmente è suscettibile di essere modificata per quanto riguarda la forma.

BASSO, Relatore, fa rilevare che nel suo progetto adottava una formula diversa, ma in sede di discussione con l’onorevole La Pira, si è persuaso che la formula migliore è quella che è stata presentata congiuntamente.

Pertanto insiste per il mantenimento di questa formula.

PRESIDENTE, poiché alcuni componenti la Commissione hanno presentato una formula diversa, la mette ai voti. Essa potrebbe essere concepita in questi termini: «È vietata la retroattività della legge penale».

MORO richiama l’attenzione della Commissione sull’inesattezza della formula proposta. Essa non prevede le due ipotesi della tassatività e della retroattività. Rilegge i due punti: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge» primo punto o tempo che è quello della tassatività; secondo tempo: «entrata in vigore anteriormente al fatto commesso»: questo riguarda la irretroattività. Si tratta dunque di due tempi distinti. Tutta la dottrina li distingue. Pertanto invita i colleghi a ritirare la nuova formula proposta.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara che non può concordare con quanto afferma il collega Moro, perché i due termini che egli distingue fanno capo ad una dottrina tecnico-giuridica che non ha mai accettato.

PRESIDENTE mette ai voti la formula De Vita-Mastrojanni che dovrebbe sostituire la formula proposta dai Relatori e che suona così: «La retroattività della legge penale è vietata».

(Non è approvata).

LOMBARDI GIOVANNI chiede che nei verbali risulti il numero dei voti favorevoli ottenuti dalle proposte che man mano si pongono in votazione.

PRESIDENTE chiede alla Sottocommissione se la richiesta dell’onorevole Lombardi è approvata.

(La Commissione approva).

Dichiara che la proposta De Vita-Mastrojanni ha avuto tre voti favorevoli.

Pone ai voti la prima parte del primo comma dell’articolo 5 nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso».

(È approvata con 12 voti favorevoli e 3 contrari).

Pone in discussione il secondo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale».

Fa presente che la discussione di questo capoverso può avvenire per tempi distinti. In un primo tempo sarà considerata la prima parte di questo capoverso: «Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge».

TOGLIATTI trova che è superfluo dire: «fissate dalla legge» quando già nel primo capoverso si è detto: «se non in virtù di una legge». Domanda come si faccia ad irrogare una pena che non è prevista da una legge.

MORO osserva che nelle espressioni tradizionali della scienza giuridica si distinguono due principî. Quando si parla di una legge come legge incriminata, si ha presente la prima parte della legge penale, quella norma cioè che deve indicare ciò che non si deve fare. Quando si parla di pena, invece, si accenna alla seconda parte della legge penale. È possibile considerare l’ipotesi che taluno sia punito, per un fatto previsto dalla legge come reato, con una pena non fissata dalla legge. Ora la legge fissa tassativamente la pena da irrogare. Vi deve essere insomma la legalità del fatto commesso e la legalità della pena.

CARISTIA, pur avendo tutto il rispetto per la scienza giuridica, ritiene che il concetto sia già implicito nel capoverso precedente in cui si dice che nessuno può essere punito se non in virtù di una legge. Se mai si potrebbero unire i due concetti.

PRESIDENTE fa presente che l’onorevole Dossetti aveva accennato ad una proposta di congiunzione della prima parte dell’articolo 5 con il capoverso successivo, Si potrebbe forse dire così: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista». Domanda all’onorevole Togliatti se è soddisfatto di questa formula.

TOGLIATTI dichiara di accettarla.

PRESIDENTE pone ai voti la proposta di congiungere il concetto espresso dal primo comma, prima parte, dell’articolo 5 con la prima parte del primo capoverso dello stesso articolo 5, in modo che risulti la seguente formula: «Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista».

(La proposta è approvata all’unanimità meno un voto).

Pone in discussione la seconda parte del primo capoverso dell’articolo 5, che resterebbe sola a comporre il capoverso essendo stata la prima parte incorporata nel comma precedente: «La responsabilità è personale».

CEVOLOTTO ritiene che il concetto espresso in questa formula si potrebbe tralasciare, perché non vede la ragione per cui si debba esprimerlo nella Costituzione. Si tratta di un principio che interpreta esattamente la famosa questione della responsabilità penale per fatto altrui, che però in materia contravvenzionale ed in certe particolari circostanze comincia a farsi strada. Vi sono dei casi in cui è discutibile se si tratti di responsabilità personale, o se non si tratti di responsabilità penale anche per fatto altrui. Si andrebbe poi incontro alle altre questioni dell’incriminabilità della persona giuridica. È d’accordo che questa incriminabilità non è accettabile in questo momento; però essa è oggetto di discussione e se ne parla sempre e si risolve molte volte in una responsabilità personale. Pertanto ritiene superfluo affermare un principio che è soggetto a discussione, dato che vi sono anche dei casi di responsabilità penale personale.

LOMBARDI GIOVANNI si dichiara d’accordo con l’onorevole Cevolotto, per non creare una quantità d’equivoci anche avuto riguardo agli articoli 1151, 1152 e 1153 del vecchio Codice civile, articoli che non trovano la loro corrispondenza nel codice fascista. Per non creare dunque equivoci, e data la molteplicità delle posizioni giuridiche a cui si può andare incontro, ritiene sia da togliere questa affermazione della responsabilità personale.

MORO si dichiara favorevole al mantenimento della formula, con un’aggiunta chiarificatrice. Si dovrebbe dire cioè: «La responsabilità penale è personale» onde togliere qualsiasi equivoco per quanto riguarda la materia civile.

Ritiene che questo principio debba essere mantenuto, perché esso è un’affermazione di libertà e di civiltà. Si risponde per fatto proprio e si risponde attraverso ogni partecipazione personale al fatto proprio. Questo è il principio del diritto moderno, che trova la sua espressione nel principio della consapevolezza che deve accompagnare quello che si chiama il fatto materiale. Parlare di responsabilità personale significa richiamarsi ad un principio che domina nell’odierno pensiero della scienza giuridica.

MASTROJANNI chiede un chiarimento all’onorevole Moro nei riguardi dei fatti penali commessi per ordine altrui. La responsabilità penale personale dovrebbe riflettersi sulla persona che teoricamente è responsabile. Ma se questa ha agito per fatto altrui, per esempio per l’esecuzione di un ordine, la responsabilità non è più dell’esecutore dell’ordine, il quale ha consumato il reato, ma la responsabilità è di chi ha dato l’ordine (articolo 51 del Codice penale). Però non è responsabile chi ha eseguito un ordine legittimo dell’autorità. Qui si verifica un conflitto, nel senso che l’individuo dovrebbe censurare l’ordine e stabilire se vi è legittimità nell’ordine impartito.

Si è discusso e si discute se si debba considerare l’ordine legittimo o l’ordine dell’autorità legittima, talché nei Codici penali militari a differenza dei Codici penali comuni si faceva una distinzione. Nel Codice penale militare si parlava di ordine dell’autorità legittima, ma non si parlava di legittimità dell’ordine, e ciò in coerenza ai criteri disciplinari e di obbedienza. Il subordinato, constatando che l’ordine promana da un’autorità legittima, non dovrebbe censurare la legittimità dell’ordine. Il Codice del 1932 ha chiarito questo concetto nel senso che più non si parla di ordine dell’autorità legittima, ma si parla di ordine legittimo dell’autorità, per significare che l’agente ha il dovere di sindacare la legittimità dell’ordine trascurando la legittimità dell’autorità.

Prega la Commissione di volere più ponderatamente considerare la questione, per stabilire se sia il caso di fare una affermazione di principio; in subordine chiede al Relatore di dare qualche chiarimento in proposito.

MORO non vede la difficoltà in materia. Colui che ha commesso un atto delittuoso risponde di persona propria se si trovava nella condizione di poter disobbedire, altrimenti risponderà colui che ha dato l’ordine e risponderà in persona propria per aver prodotto il fatto delittuoso stesso.

MASTROJANNI dichiara che dal punto di vista teorico potrebbe consentire; ma in materia di imputabilità e di responsabilità penale le considerazioni di ordine oggettivo non possono avere peso perché, quando non vi è nesso di causalità efficiente tra l’agente attivo ed i fatti verificatisi, qualsiasi circostanza esteriore non può esimere da responsabilità e, anche se esime dalla responsabilità, non può esimere dalla imputabilità. E allora come si giustifica questo dissenso di indole teorica nel ritenere non responsabile l’individuo che è causa volontaria ed efficiente della consumazione del reato? Si ricorre ad una actio juri per la quale si esime dalla responsabilità penale l’individuo il quale ha consumato il reato e lo ha consumato volontariamente; però egli dovrebbe personalmente rispondere del reato.

MORO non vede la connessione tra questo principio della Costituzione e l’ipotesi dell’ordine dell’autorità di cui parla l’onorevole Mastrojanni. In questo caso si ha una discriminante del reato che può avere due giustificazioni: una di carattere obiettivo, quando l’autorità è legittima; una di carattere soggettivo, quando l’ordine è legittimo. In queste ipotesi sussiste il caso di necessità per cui il soggetto non risponde penalmente, perché da lui non si poteva pretendere che agisse differentemente.

Si tratta perciò di discriminanti del reato.

CEVOLOTTO si dichiara d’accordo con l’onorevole Moro nel dire che la responsabilità dovrebbe essere condotta anche penalmente ad un concetto di responsabilità personale. Ricorda però che, di fronte alle ipotesi di contravvenzioni, ai casi dell’impossibilità o difficoltà estrema di impedire il fatto altrui, ecc., vi è una tendenza abbastanza notevole a considerare come responsabilità obiettiva quella per fatto altrui.

In altri termini si tratta di una questione giuridica. Per suo conto la risolverebbe nel senso indicato dall’onorevole Moro, ma si domanda se sia proprio questa la sede per risolverla.

Non trattandosi di un principio così essenziale da dover essere affermato dalla Costituzione, crede sarebbe meglio ometterlo.

LOMBARDI GIOVANNI osserva che la formulazione è superflua in quanto la responsabilità personale non è un principio moderno o modernissimo: è un principio del diritto canonico del 1500 o 1600, quando appunto il diritto canonico, riportando il diritto ad un peccato dell’anima, lo rese per sé stesso di natura personale. C’è bisogno di ritornare su questo principio, che poi porterebbe nelle altre leggi una grande confusione? Osserva che ci può essere una colpa per cui si debba risalire alla causa causarum, e ci sono tali anelli intermedi i quali possono essere dichiarati complici, correi o autori della negligenza, imprevidenza, ecc. Ora, si domanda come sia possibile, di fronte a tutta questa legislazione che appunto adesso comincia a sfociare, a misura che l’interesse pubblico prende un sopravvento sull’interesse dell’individuo, fare un’affermazione del genere. Essa non potrebbe che essere in contrasto con questo movimento che appunto estende l’indagine della colpa, non solo alle persone direttamente colpevoli, ma a tutti coloro che sono nell’orbita delle cause che hanno prodotto l’evento dannoso.

PRESIDENTE prima di procedere nella discussione fa presente una sua opinione.

La Commissione non deve dimenticare il momento politico in cui viene questa affermazione: non deve dimenticare episodi tristissimi. Tutti ricordano che in occasione di attentati alla vita di Mussolini sì arrivava a perseguitare i famigliari dell’attentatore o i componenti dei circoli politici a cui era affiliata la persona che consumava l’attentato.

Tenendo conto anche del momento politico speciale, nel quale si vogliono affermare certi principî, è opportuno trarre tesoro dalla esperienza del passato.

Se si afferma qui la responsabilità penale personale, ci si potrebbe anche dispensare dal prendere in considerazione e votare l’altra parte dell’ultimo capoverso dell’articolo 5, dove si dispone che non possono irrogarsi sanzioni collettive. Perciò ritiene che questa affermazione della responsabilità penale personale debba farsi sia per sé stessa, sia in considerazione dell’armonia dell’articolo, perché affermandola qui si potrà poi eliminare l’ultima parte del capoverso dello articolo stesso.

Ritiene perciò che il capoverso debba essere approvato con questa dizione: «La responsabilità penale è personale».

Avverte che l’onorevole Lombardi propone che sia chiusa la discussione generale, riservando la parola a coloro che l’hanno già chiesta.

(La Commissione approva la chiusura della discussione).

CORSANEGO osserva che i Relatori, evidentemente, hanno proposto la formula che la responsabilità deve essere personale non perché ignorassero che il principio è ormai affermato da tanti secoli, ma perché purtroppo durante l’ultimo ventennio si è assistito ad una involuzione del diritto e si deve tornare alla sana tradizione. Proprio in questi ultimissimi tempi si sono viste delle persone pagare con la vita colpe che con avevano assolutamente commesso. Si deve impedire che domani un legislatore possa arrivare agli eccessi che si sono verificati in Germania ed anche in Italia.

Ancora altre ipotesi si possono considerare. Sotto il fascismo e sotto il nazismo sono state applicate punizioni collettive ad interi gruppi: da villaggi dove erano stati commessi taluni delitti furono sloggiati tutti gli abitanti e trasferiti altrove.

Perciò insiste sull’approvazione della proposta dei Relatori.

MASTROJANNI domanda se non sia il caso di precisare che in tema di responsabilità si distingue tra correità, concorso principale e secondario, e di tornare all’antica tradizione del diritto penale per distinguere forme varie di partecipazione al reato.

Desidera pertanto che sia fatto risultare dal verbale la necessità che il nuovo legislatore, in tema di diritto penale, tenga conto che l’attuale concetto di concorso nel reato venga riportato all’antica tradizione del nostro Codice penale, nel senso che la formula di partecipazione al reato deve essere distinta nella sua effettiva partecipazione, complicità, correità necessaria o no, e che in tema di tentativo si ritorni all’antica nostra tradizione per distinguere il reato tentato dal reato mancato.

LOMBARDI GIOVANNI dichiara di consentire, affinché si abolisca il tecnicismo giuridico.

MANCINI ricorda che, nella discussione dell’articolo del nostro Codice penale che contempla il dolo, in seno alla Commissione per la riforma dei Codici, si svolsero gli stessi concetti e si impostarono gli stessi problemi agitati in questa discussione. Il problema base fu risolto allora – e non poteva essere altrimenti – in senso contrario, onde oggi egli aderisce pienamente alle osservazioni dell’onorevole Moro. Ritiene assolutamente necessario che nella nuova Costituzione si affermi il principio della responsabilità penale personale.

PRESIDENTE rileva che, nel contrasto che ha animato la discussione di questa precisa formula, nessuno ha dichiarato di essere contrario allo spirito che la informa. Se taluno ha proposto che venisse soppressa era soltanto per rafforzare il concetto proposto dai Relatori.

Comunque, poiché la discussione si è svolta soltanto in questi termini, di approvare cioè la formulazione proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dello onorevole Moro o non approvarla e sopprimerla in quanto non ce ne fosse bisogno, domanda se ci sia qualcuno che faccia sua la proposta di soppressione.

Poiché non c’è nessuno che presenta questa proposta di soppressione mette ai voti la formula proposta dai Relatori, con l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Moro: «La responsabilità penale è personale».

(È approvata).

Dà lettura della parte dell’articolo 5 così come è stata finora approvata:

Art. 5.

«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.

«La responsabilità penale è personale».

La seduta termina alle 13.25.

Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Dossetti, Iotti Leonilde, La Pira, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Togliatti, Tupini.

Assenti giustificati: Grassi, Lucifero.