ASSEMBLEA COSTITUENTE
COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE
PRIMA SOTTOCOMMISSIONE
12.
RESOCONTO SOMMARIO
DELLA SEDUTA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE 1946
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TUPINI
INDICE
I principî dei rapporti civili (Seguito della discussione)
Presidente – Moro – Marchesi – Mastrojanni – Lucifero – Lombardi Giovanni – Mancini – Basso, Relatore – La Pira, Relatore – De Vita – Grassi – Cevolotto – Caristia – Corsanego.
La seduta comincia alle 11.
Seguito della discussione sui principî dei rapporti civili.
PRESIDENTE ricorda che nella seduta precedente la discussione si era fermata sulla formula da lui proposta per la seconda parte dell’articolo 2-bis: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge», e che su di essa si era giunti ad un accordo di massima da parte di tutti i Commissari ad eccezione dell’onorevole Dossetti, cui si era unito anche l’onorevole Basso; se non che, dopo la seduta, gli onorevoli Basso e Dossetti gli dichiaravano di accettare la sua formula.
Propone perciò di votare le proposizioni già esaminate, salvo a passare poi all’esame delle altre proposte di articoli depositate alla Segreteria, che fissano posizioni diverse da quelle già approvate, o fanno delle aggiunte a titolo di svolgimento e completamento del pensiero contenuto nelle prime proposizioni.
Richiama l’attenzione dell’Assemblea dopo che sarà stato approvato per intero questo articolo sul piano della discussione che era stata avviata e interrotta salvo ad esaminare le nuove proposte contenute in questi nuovi articoli e a dare, se saranno approvati, una posizione ad essi, in relazione logica con quelli che eventualmente fossero stati approvati in precedenza.
Rilegge la parte già approvata:
«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome» e avverte che a questo punto, secondo la sua proposta, dovrebbe aggiungersi la seguente dizione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».
La mette ai voti.
MORO dichiara che voterà favorevolmente alla proposta del Presidente. Richiama però l’attenzione della Commissione su ciò che era stato proposto dai due relatori, i quali, modificando lievemente la formula del Presidente, avevano proposto di stabilire che «i casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge». Ritiene che una formula del genere sia la più adatta.
Propone quindi di fare in primo luogo un’affermazione di carattere generale così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge»; e di mettere poi come eccezione: «Nessuno può èssere privato della cittadinanza per motivi politici».
PRESIDENTE dubita sulla opportunità di iniziare una discussione su questa proposta.
MASTROJANNI dichiara di accettare la formula suggerita dal Presidente. Fa presente però quanto ebbe a rilevare nella seduta precedente, in ordine alle sue preoccupazioni per il significato lato che può rivestire il concetto di motivo politico.
LUCIFERO dichiara di non poter accettare nessuna delle due formule proposte sia dall’onorevole Moro, sia dal Presidente, perché crede che la formula migliore sia quella proposta dall’onorevole De Vita nella precedente seduta, in base alla quale si stabiliva che la cittadinanza non si può perdere se non per acquisto di un’altra.
Fa sue le osservazioni dell’onorevole Mastrojanni, che, cioè, i motivi politici sono talmente vasti che vi si può far entrare qualunque ipotesi. Invita, se si voterà favorevolmente questa dizione, di chiarirla bene, altrimenti il problema non sarà risolto.
PRESIDENTE fa presente che tutti furono unanimi nel ritenere che alla formula si dovesse dare una specifica chiarificazione: motivi di partito, di opinione politica, di fazione, ecc.
LUCIFERO osserva che tale interpretazione dovrebbe essere inserita nel testo della Costituzione, e non soltanto inclusa nel verbale. Quando il legislatore farà le leggi in applicazione della Costituzione, o il magistrato farà le sentenze in applicazione della legge o della Costituzione, non terrà conto del verbale della Sottocommissione, ma si atterrà alla lettera del testo che avrà sotto gli occhi.
PRESIDENTE fa rilevare che il legislatore dovrà tener conto anche dello spirito della Costituzione.
LUCIFERO replica che il legislatore ne terrà conto solo quando gli farà comodo. Domanda che si trovi il modo di formulare questa specificazione, fermo restando che, personalmente, egli è contrario alla proposta del Presidente, in quanto ritiene che la cittadinanza non possa in nessun caso essere tolta.
LOMBARDI GIOVANNI insiste sulla formula da lui indicata fin dal primo momento: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge». Desidera che resti fissato in primo luogo il fatto che non si può togliere la cittadinanza per motivi politici, perché questo importa stabilire non solo dal punto di vista storico, ma anche legislativo, a causa degli ultimi anni di fascismo, in cui fu tolta la cittadinanza e perfino furono tolti gli averi a chi era andato fuori dell’Italia. È una affermazione di libertà repubblicana, a cui tiene soprattutto per venire incontro ai molti dubbi manifestati.
Avverte però che, in subordinata, aderisce alla proposta del Presidente.
MARCHESI si dichiara favorevole alla formula proposta dal Presidente. Fa osservare all’onorevole Moro che è importante che i motivi politici abbiano un posto dominante nella formulazione dell’articolo. È d’avviso anzi che si possa anche eliminare l’ultima parte della formula, inquantoché dire che nessuno può essere escluso dalla cittadinanza per motivi politici, implica che la cittadinanza stessa può essere perduta per altri motivi disposti dalla legge.
Avrebbe preferito che fosse lasciata come una gemma solitaria quella parte riguardante l’esclusione dei motivi politici, come eventuale causale della perdita della cittadinanza. Desidera che in verbale sia messo che egli vota questo articolo col proposito che la libertà politica del cittadino non sia in alcuna maniera menomata, né limitata oltre e dentro i confini della Patria.
MANCINI dichiara di aderire pienamente al concetto svolto dall’onorevole Marchesi.
MASTROJANNI propone la seguente formulazione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici, a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».
PRESIDENTE riassume la situazione molto complicata a cui è giunta la discussione, per quanto riguarda la forma e non per quanto riguarda la sostanza.
Fa presente che la proposta più radicale è quella dell’onorevole De Vita, il quale propone si dica: «Non si può perdere la cittadinanza senza l’acquisto di un’altra». Tale proposta, quindi, deve essere votata per prima. Chiede il parere dei relatori.
BASSO e LA PIRA, Relatori, dichiarano di accettare la formulazione proposta dal Presidente.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta De Vita.
MORO dichiara che voterà contro la proposta perché non tiene conto di nessuna delle due esigenze che si è cercato di far valere: escludere, cioè, la perdita della cittadinanza per motivi politici e stabilire che soltanto la legge possa sancire la perdita della cittadinanza.
(La proposta è respinta).
PRESIDENTE mette ai voti la dizione proposta dell’onorevole Moro così formulata: «I casi di perdita della cittadinanza sono regolati dalla legge. Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».
(La proposta è respinta).
Mette ai voti la prima parte della formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici».
DE VITA dichiara di votare contro perché ritiene che non si debba in nessun caso privare il cittadino della cittadinanza.
(La prima parte della formula proposta dal Presidente è approvata – Voti favorevoli: 11 – Voti contrari: 3).
PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, aggiuntiva alla proposizione testé approvata.
MARCHESI crede che dovrebbe avere la precedenza la sua proposta, di fermarsi cioè alla proposizione già approvata.
PRESIDENTE ricorda che l’onorevole Marchesi propone che la dizione dell’articolo si limiti alla prima proposizione, sopprimendo la seconda. Fa presente peraltro che l’onorevole Marchesi ha dichiarato che, ove il voto dell’Assemblea non accogliesse la sua proposta, egli è disposto a votare anche la seconda proposizione.
BASSO, Relatore, ritiene più opportuno votare anche la seconda parte dell’articolo, per la garanzia del cittadino. Perché tale garanzia sia completa, è necessario affermare che un atto così importante come la perdita della cittadinanza non può essere regolato in via amministrativa, ma soltanto a mezzo della legge.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta Marchesi.
(La proposta non è approvata – Voti favorevoli: 3 – Voti contrari: 11).
Mette ai voti la proposta dell’onorevole Mastrojanni di aggiungere dopo le parole, «nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici», le altre «a meno che essi non rivestano il carattere di delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato».
BASSO, Relatore, dichiara che voterà contro questa proposta che si risolve in una casistica pericolosa. Se fosse accettata, si verrebbe praticamente a distruggere tutto il senso che si vuole dare all’espressione.
MORO si associa, per le stesse ragioni, all’onorevole Basso nel respingere la formula proposta dall’onorevole Mastrojanni.
(La proposta è respinta – Voti favorevoli: 1 – Voti contrari: 13).
PRESIDENTE mette ai voti la proposta da lui presentata di aggiungere dopo le parole: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici» le altre «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge».
(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 3 contrari).
Ricorda che nella seduta precedente l’onorevole Lombardi aveva proposto che l’articolo 2-bis fosse collocato subito prima dell’articolo 2 e dopo l’articolo 1, e cioè diventasse articolo 1-bis.
Propone a questo proposito che le questioni riguardanti il collocamento degli articoli siano esaminate dalla Commissione alla fine dei suoi lavori. Domanda all’onorevole Lombardi se è d’accordo.
LOMBARDI GIOVANNI è d’accordo.
LA PIRA, Relatore, dichiara di aderire anch’egli alla proposta del Presidente.
PRESIDENTE pone in discussione l’articolo 2-ter, il quale ad una prima proposizione già approvata in un precedente articolo: «Nessuno può essere privato del proprio nome», aggiunge una seconda proposizione che contiene disposizioni per quanto riguarda i titoli nobiliari.
Osserva che la questione dei titoli nobiliari era stata prevista dai due Relatori che avevano proposto due formule diverse. L’onorevole Basso aveva proposto la seguente formulazione: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome». La formula dell’onorevole La Pira diceva invece: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi».
MORO, prima di passare alla discussione dell’articolo 2-ter, desidera ricordare che egli aveva proposto di staccare la prima formulazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto» e farne un articolo a sé il quale esprima il punto di vista della Costituzione sul problema della capacità giuridica. D’accordo con l’onorevole La Pira e con l’onorevole Basso, proporrebbe poi di integrare l’articolo 2-bis, in cui è contenuta la proposizione: «Ogni uomo è soggetto di diritto», con un’altra dichiarazione riguardante il problema della personalità giuridica degli enti.
Sottolinea inoltre l’opportunità di distinguere l’articolo riguardante la capacità giuridica dagli altri due riguardanti il problema del nome e il problema della cittadinanza. Tanto più che l’articolo riguardante il nome viene ad essere integrato da alcune necessarie disposizioni in materia di titoli nobiliari e di onorificenze.
Pertanto propone di scindere l’articolo 2-bis in tre articoli.
PRESIDENTE fa osservare che l’articolo 2-bis è stato discusso e approvato in una determinata espressione. Si può ora discutere la proposta aggiuntiva dell’onorevole Moro; ma la posizione formale o logica più appropriata di questa espressione aggiuntiva sarà definita in sede di coordinamento e di collocamento degli articoli: L’articolo 2-bis è stato già approvato con quella determinata forma e pertanto andrebbe lasciato così come è.
MORO fa presente alla Commissione che non presenta una proposta nuova, ma soltanto richiama una sua vecchia proposta, che era stata accantonata. Questa proposta è ora tanto più valida in quanto, attraverso le discussioni, è apparso opportuno scindere le due questioni della capacità giuridica e del diritto al nome.
PRESIDENTE insiste sulla sua proposta di riservare la questione del collocamento al momento opportuno. Ciò non pregiudica in nessun modo l’ulteriore esame dei concetti nuovi che l’onorevole Moro ha proposto, con le sue proposizioni aggiuntive. Per il momento non ritiene sia il caso, anche per regolarità di procedura, ritornare a discutere sull’articolo che è stato già approvato, anche se si tratta del collocamento di qualche proposizione aggiuntiva.
Crede che l’onorevole Moro sia d’accordo su questo concetto e che quindi si possa passare a discutere l’altra proposta fatta dall’onorevole Moro, d’accordo con i Relatori Basso e La Pira, e cioè di inserire nell’articolo 2-bis la proposizione seguente: «Agli enti spetta, nelle condizioni previste dalla legge, la personalità giuridica».
MORO dichiara di ritenere che questa proposizione sia un necessario completamento della dichiarazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto». Ogni ordinamento giuridico riconosce la personalità di diritto non solo all’uomo ma anche agli enti, cioè alle associazioni che vengono chiamate «corporazioni e fondazioni». Anche in questo caso si verte in quel tema del riconoscimento di diritto fatto al singolo da parte dello Stato e garantito dalla Costituzione. Quando si afferma che agli enti, costituiti secondo la forma prevista dalla legge, spetta la personalità giuridica, si riconosce non solo il fondamentale diritto alle associazioni di avere una personalità giuridica, ma anche il diritto di dare vita agli enti che abbiano quegli strumenti di attività nell’ambito della vita sociale e giuridica dello Stato. Si ha quindi il riconoscimento della personalità e la possibilità per questi enti di funzionare come un tutto per fini privati.
LOMBARDI GIOVANNI domanda che vengano specificati questi enti. Infatti, dire, per esempio, «enti di diritto pubblico», potrebbe anche essere ammesso; ma dire soltanto enti in generale gli sembra eccessivo.
MORO osserva che, quando si dice che questi enti devono essere nelle condizioni previste dalla legge, non si intende dire enti in generale. Tutte le volte nelle quali sussistano fondate ragioni per ritenere che un determinato ente si debba considerare come un tutto a sé, lo Stato non può rifiutare di concedere a questo il riconoscimento giuridico.
GRASSI ritiene che sia inutile aggiungere una proposizione che riguardi gli enti. Non vi è dubbio che quando vi siano delle determinate condizioni, gli enti debbono essere riconosciuti dallo Stato. C’è dunque la legge che li riconosce. Nella Costituzione si debbono affermare soltanto quei concetti che sono essenziali veramente. Quando si afferma che l’uomo è soggetto di diritto si afferma un principio universale. Per quanto riguarda gli enti, invece, è chiaro che la legge dovrà riconoscere quando sussistono quelle determinate condizioni che ne ammettano il riconoscimento.
LA PIRA, Relatore, richiama l’attenzione della Sottocommissione sul contenuto della relazione Mortati, in cui si affermava, quanto ai diritti di libertà propri della persona fisica e comuni alla persona giuridica, la necessità di sancire alcuni di quei diritti specifici alla persona giuridica, e primo tra questi il diritto al conseguimento della personalità giuridica. L’affermazione di tale diritto deve muovere dalla considerazione della natura propria dell’atto di riconoscimento, da intendere secondo una recente tendenza non come un atto di concessione, bensì come un atto tale da far sorgere un vero diritto alla sua emanazione.
Il problema è questo: quando nella Costituzione si afferma che gli enti hanno diritto al riconoscimento della loro personalità giuridica, si afferma che non si tratta di una concessione da parte dello Stato, ma di un diritto originario che quindi è un atto dovuto dallo Stato. Pertanto sorge la necessità di affermare questo principio nella Costituzione.
MARCHESI osserva che si tratta di un diritto originario, ma condizionato.
LA PIRA, Relatore, replica che si tratta appunto di riconoscere la originarietà di questo diritto e la sua natura di non concessione da parte dello Stato.
DE VITA ritiene opportuno che sia lasciata alla dottrina la soluzione di questo dibattutissimo problema della personalità giuridica degli enti collettivi. Si tratta di materia di legislazione ordinaria che non deve essere disciplinata nella Costituzione.
PRESIDENTE fa rilevare che la preoccupazione della Sottocommissione è quella di poter arrivare possibilmente ad una precisazione di questi enti. Prega pertanto l’onorevole Moro di voler dare una precisazione in questo senso.
MORO ribadisce il punto di vista già enunciato, affermando il diritto di libertà in merito alla concessione della personalità giuridica agli enti collettivi. Da un lato si garantiscono queste naturali formazioni umane che perseguono i fini più diversi, e possono perseguirli soltanto in quanto, oltre ad essere riconosciuto il diritto agli uomini di associarsi, viene riconosciuto ad essi anche il diritto ad agire in modo compatto attraverso quelle entità unitarie che sono le persone giuridiche. Dall’altro lato, si garantisce inoltre il diritto di libertà individuale, in quanto tra le libertà individuali vi è, oltre quella di essere riconosciuti personalmente come soggetti di diritto, anche quella di dar vita ad un soggetto di diritto di natura collettiva il quale naturalmente sarà sempre al servizio della persona umana.
Per quanto riguarda la precisazione degli enti, non gli pare che sia questa la sede: si può dire in ogni modo che le corporazioni e le fondazioni sono le due categorie fondamentali di questi enti giuridici. Così pure non gli sembra opportuno voler specificare gli enti di diritto pubblico e quelli di diritto privato. Comunque, si può dire che, per quanto riguarda il diritto privato, sarà la legge stessa che li specificherà; nell’ambito del diritto pubblico li specificherà la Commissione stessa quando parlerà dei comuni, dei partiti, e definirà in qual senso si deve intendete questa personalità giuridica.
Per quanto riguarda l’altra osservazione che, aggiungendo questa proposizione, non si fa altro che un rinvio alle leggi, non gli sembra che essa sia fondata. Egli ha inserito nella sua formula la espressione: «nelle condizioni previste dalla legge», perché si deve ritenere che lo Stato abbia il diritto di controllare se sussistano i motivi sufficienti per attribuire agli enti la personalità giuridica.
Lo Stato può fissare delle condizioni per questo riconoscimento; ma non può negare la personalità giuridica agli enti che lo meritano. Si affidano allo Stato i necessari poteri di controllo, ma gli si sottraggono poteri arbitrari dicendo che esso deve riconoscere gli enti tutte le volte che sussistano queste condizioni.
CEVOLOTTO non ritiene che ci sia bisogno di questa proposizione per garantire la personalità giuridica agli enti. Quando si obbliga il legislatore a riconoscere le persone giuridiche nei limiti della legge che sarà fatta, si dice una cosa inutile. Si capisce che, per forza di cose, questo riconoscimento ci sarà.
DE VITA ritiene che, nel caso degli enti collettivi, non si tratti di una realtà fisica, umana, ma di una finzione della personalità giuridica.
Dichiara pertanto di essere contrario alla proposta dell’onorevole Moro e dei relatori.
MASTROJANNI si dichiara anch’egli contrario alla proposta Moro. Non ritiene che sia il caso di fare un’enunciazione specifica degli enti nella Costituzione. Se la si facesse, si metterebbe in evidenza la necessità naturale dell’esistenza di queste associazioni, le quali potrebbero costituire un pericolo dal punto di vista politico. Si meraviglia che dopo l’esempio del fascismo, il quale attraverso il riconoscimento giuridico dei sindacati ha creato uno stato di cose le cui conseguenze oggi sono lamentate da tutti, si tenti – attraverso questa enunciazione complessa e un poco sibillina – di ripristinare un vieto sistema che tutti hanno condannato. Per queste ragioni voterà contro l’inciso suggerito dall’onorevole Moro e dai relatori.
LA PIRA, Relatore, all’osservazione dell’onorevole De Vita che le associazioni sono delle finzioni giuridiche, risponde che portando questo argomento si viene a toccare uno dei problemi fondamentali del diritto. Secondo una concezione che l’oratore accetta, le associazioni non sono delle finzioni: la personalità giuridica attribuita ad un ente non è una finzione giuridica. L’ente è una realtà sociale: è una realtà diversa dalla realtà individuale. Come la persona singola è fornita di diritti originari e quindi ha diritto al riconoscimento della personalità giuridica, lo stesso principio vale per le associazioni le quali non sono una finzione giuridica.
All’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, il quale si preoccupa che si voglia costituire uno Stato totalitario, dichiara che non si vuol costituire uno Stato totalitario, ma uno Stato pluralista, cioè uno Stato nel quale esiste la sfera giuridica dei singoli e la sfera giuridica degli enti, che è una sfera integratrice e sussidiaria dello Stato.
LOMBARDI GIOVANNI rileva che l’osservazione dell’onorevole La Pira tende in sostanza a sostenere che gli enti dovrebbero avere la personalità giuridica de jure non juris tantum, cioè col riconoscimento dello Stato e quando concorrano le condizioni previste dalla legge. È questa una osservazione che aggrava la situazione, non la rende più limpida e più chiara, in quanto che gli enti possono avere fini diversi ed essere costituiti da associazioni, e queste associazioni possono essere di natura diversissima. Si potrebbe anche avere domani un’associazione contro lo Stato o contro la Chiesa. Ora a un’associazione di questo genere nessuno vieterà la libertà di pensare, di parlare e di difendere il proprio punto di vista ed i propri diritti, ma nessuno vorrà de jure concedere una personalità giuridica che possa metterla con eguali diritti e doveri contro lo Stato stesso. Tutto questo gli sembra non una concezione totalitaria, ma una concezione atomistica dello Stato, nella quale queste personalità giuridiche dei diversi enti concorrerebbero contro lo Stato alla attuazione del diritto.
Per conseguenza, se questa concezione non dovesse essere ritenuta superflua dato che ogni ente può chiedere, e con le condizioni di legge avere, la personalità giuridica, egli propone di aggiungere alla parola «enti» le altre «di diritto pubblico».
Né si può parlare di arbitrio dello Stato, perché col riconoscimento de jure lo Stato, più che essere l’arbitro, finirebbe per essere la vittima di queste diverse personalità giuridiche. È quello che è avvenuto nel passato. La storia non è soltanto quella del regime fascista, è anche quella medioevale.
MANCINI osserva che il fascismo non è storia, ma cronaca nera.
LOMBARDI GIOVANNI replica che è un fatto storico che vi siano stati sindacati con personalità giuridica, in quanto erano una filiazione diretta dello Stato: cioè, nell’atto che si concedeva loro la personalità giuridica, si svuotavano i sindacati del loro vero contenuto psicologico, morale e politico. Ora non si debbono fare di queste astrazioni e si deve poter concedere la personalità giuridica soltanto a quegli enti che, nelle condizioni previste dalla legge, lo Stato crede di poter ammettere nel novero delle personalità giuridiche. Ma una formula generica, col criterio della natività della personalità giuridica, non può che portare a gravi conseguenze.
Concludendo, dichiara di essere del parere che la proposizione sia soppressa, o che si parli solo di enti di diritto pubblico.
MANCINI ritiene che la questione abbia un doppio aspetto. Il primo aspetto è quello di decidere se la enunciazione illustrata dall’onorevole Moro sia da collocarsi in sede costituzionale. Il secondo aspetto riguarda le ragioni che giustificano l’enunciazione. L’onorevole Grassi si è opposto a che il principio venga inserito nella Costituzione e ne ha specificato le ragioni. Ad esso l’onorevole Moro e i Relatori hanno soltanto opposto le ragioni che giustificano l’enunciazione; ma non quelle che consigliano la inclusione nella Costituzione.
L’onorevole La Pira ha tentato timidamente di giustificare l’inclusione della enunciazione in sede costituzionale, perché in siffatto modo si afferma un «riconoscimento» e non una «concessione». Risponde subito all’onorevole La Pira che, quando nelle leggi dello Stato vi è una concessione, si intende che vi sia un riconoscimento. E allora, se la concessione è nelle leggi dello Stato, interessa nella Costituzione affermare soltanto il principio generale che riguarda la personalità umana.
La personalità giuridica degli enti sarà configurata o prevista dalle leggi speciali. Perciò si dichiara contrario all’inclusione nella Carta costituzionale dell’enunciazione proposta dai Relatori e dall’onorevole Moro.
BASSO, Relatore, dichiara che nelle prime sedute, quando si discusse la relazione La Pira dove si parlava ai questo diritto originario delle comunità, fu nettamente contrario alla enunciazione. Dichiara di rimanere dello stesso punto di vista. Se ha acceduto a questa formulazione, l’ha fatto con lo spirito con il quale crede che si debba lavorare, quello cioè di cercare una formula soddisfacente per tutti. D’altro lato, dubita che questa formulazione possa salvaguardare le preoccupazioni legittime di coloro i quali temono che si inserisca nella Costituzione l’affermazione di un diritto originario di queste comunità al di fuori dello Stato. Non condivide il concetto del diritto originario della comunità portato nella discussione dall’onorevole La Pira, a giustificazione dell’articolo proposto. L’onorevole La Pira ha citato l’opinione espressa nella relazione Mortati: dichiara di non condividere questo concetto ed afferma che non si deve in questa sede risolvere una questione giuridica.
Riconosce che questo tentativo transazionale tra le due opposte posizioni è inoperante e dichiara che personalmente è contrario al riconoscimento della personalità giuridica come esistente prima dello Stato.
Pensa peraltro che si possa trovare una formulazione che accontenti tutti, e propone la seguente: «Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti è disciplinato dalla legge».
CARISTIA ritiene che il concetto dei Relatori non sia quello di affermare un diritto che si vuol far nascere prima dello Stato, ma un diritto che sia come un prolungamento di quello che è il diritto dello stesso individuo ad essere riconosciuto. Se si ammette che deve esistere un diritto di associazione, come negare poi a queste associazioni il diritto ad essere riconosciute come persone giuridiche? Qui non si fa questione teorica, se cioè le persone giuridiche abbiano questa o quell’altra figura; si fa questione della opportunità di affermare o meno, in sede costituzionale, il diritto che gli enti siano riconosciuti da parte dello Stato. Naturalmente, questo dovrà avvenire sempre nei limiti consentiti dalla legge dello Stato stesso, il quale non potrà mai rinunciare al suo controllo su queste persone, anche quando esse siano soggetto di diritto. Ritiene perciò che si possa trovare una formula conciliativa per salvaguardare il diritto dello Stato e il diritto delle associazioni ad essere riconosciute come personalità giuridiche.
MORO dichiara di aderire alle precisazioni dell’onorevole Caristia e di voler aggiungere qualche chiarimento. Crede di non essere stato ben capito quando ha illustrato il significato della sua proposta. Ha sentito dire alcune cose che sono lontanissime e dalle sue intenzioni e dalla sostanza della questione. Ha sentito parlare di una concezione atomistica dello Stato, di enti che, essendo contro lo Stato, sarebbero riconosciuti come forniti di capacità giuridica; si sono fatti accostamenti ai sindacati fascisti e si sono confuse le idee circa la personalità giuridica. Rileva che la personalità giuridica è una cosa molto semplice, che non ha alcun sottinteso politico. Discutendo di personalità di enti di fronte allo Stato non si parla di comunità, di quelle che i cristiani chiamano comunità naturali: la famiglia, ecc. Qui si discute un problema tecnico: si tratta di definire se gli uomini possano associarsi per un fine superindividuale, e possano agire come entità completa, unitaria. Si tratta di definire se dei beni possano essere destinati ad uno scopo, e quindi creati come personalità giuridica. Nessun sottinteso giuridico e nessuna priorità di questi enti contro lo Stato, tanto è vero che si riconosce che lo Stato debba accordare ad essi personalità giuridica nelle condizioni disposte dalla legge.
Rispondendo all’onorevole Cevolotto circa la non necessarietà di una dichiarazione del genere nella Costituzione, osserva che con siffatta dichiarazione si afferma un principio che serve come criterio di orientamento per la legislazione dello Stato.
Anche nei riguardi dei diritti degli uomini come individui, è stato posto un principio generalissimo che orienta tutta la legislazione, ma non è stata privata la legge del suo potere di definire la sfera particolare nell’ambito della quale quella soggettività in concreto non può essere riconosciuta. Lo stesso si fa in questo caso. Si dice che lo Stato, fissando le condizioni per il riconoscimento della capacità giuridica, non può negarla a suo arbitrio. Non si afferma nessuna posizione di priorità nei confronti dello Stato; soltanto si dice che non solo viene lasciata all’uomo la personalità giuridica individuale, ma gli si riconosce il diritto di associarsi, di destinare beni, di ottenere in questa nuova forma di associazione, o destinazione di beni, un incremento di azione che è appunto la personalità giuridica.
Comprende l’osservazione dell’onorevole Mastrojanni, che parte da una concezione individualistica, ma non giustifica le osservazioni di parte socialista. Con siffatta affermazione non si vuole riprendere la discussione sulle comunità, ma si chiede la personalità giuridica per alcuni enti quali quelli di beneficenza, per esempio, perché enti di diritto pubblico.
Conclude ripetendo che con l’affermazione riguardante gli enti non si va contro lo Stato. D’altra parte non si introduce lo Stato attraverso questo riconoscimento in ogni sfera privata; si riconosce soltanto una entità che agisce in maniera compatta nella vita giuridica.
PRESIDENTE domanda se c’è una proposta concreta da parte di coloro che hanno sostenuto la superfluità della norma in sede costituzionale.
CEVOLOTTO dichiara di fare una proposta concreta in tal senso e di ritenere che tale proposta abbia la priorità su tutto le altre nella votazione.
PRESIDENTE dichiara che la proposta di soppressione pura e semplice della formula, presentata dall’onorevole Cevolotto e sostenuta da altri componenti della Commissione, è la più radicale, e quindi ha diritto alla priorità nella votazione. Pertanto la mette ai voti.
(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).
MORO dichiara di riservarsi di sollevare la questione in sede opportuna.
PRESIDENTE pone in discussione le proposte di formulazione dell’articolo che, per ora, avrà il numero d’ordine 2-ter.
Ricorda che vi è la proposta dell’onorevole Basso che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri. I predicati di quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome». La proposta dell’onorevole La Pira invece è formulata in questi termini: «I titoli nobiliari valgono solamente come parte del nome e non dovranno esserne conferiti di nuovi.
BASSO, Relatore, fa rilevare che nel testo da lui proposto si dice espressamente: «I titoli nobiliari sono aboliti». Nel suo concetto, perciò, colui che oggi è principe perderà il titolo di principe, ma conserverà il predicato. Nel concetto della formula proposta dall’onorevole La Pira non vi è questa affermazione di abolizione del titolo.
LA PIRA, Relatore, precisa di aver fatta sua la formula della Costituzione di Weimar. Poiché i titoli nobiliari non sono più fondamento di privilegi o di diritti oggi, o tanto meno lo saranno domani, non vi è nessuna difficoltà ad ammettere che il titolo di conte, principe o marchese possa restare. E ciò anche per una ragione di Delicatezza politica: esistono infatti in Italia molti casati nobili; non v’è nessuna ragione giuridica o politica che costringa ad abolirli formalmente.
LUCIFERO ritiene che la formula dell’onorevole La Pira sia la migliore. Nello stato giuridico del diritto nobiliare italiano il titolo fa parte integrante del nome: tant’è vero che determinati atti pubblici si debbono firmare con il titolo. Per ragioni anche di indole pratica, crede che il titolo, come parte integrante del nome, dovrebbe essere mantenuto. Fa presente quello che succede in Paesi deve i titoli nobiliari sono stati aboliti. In Francia, per esempio, vi è un pullulare di nobili come non si è visto in nessun altro paese. E in questo Paese si verifica anche l’inconveniente che, non potendo più essere perseguibile chi abusivamente porta un titolo, a molti lestofanti si rende facile spacciarsi per nobili e crearsi una carta di visita che permette di commettere azioni poco pulite. Quando si stabilisce che il titolo per legge fa parte integrante del nome, ci si difende da questo pullulare incontrollato di persone, che approfittano della situazione per infiltrarsi non solo nell’ambiente di società, ma per commettere azioni disoneste. Per tali ragioni dichiara di accettare la formula dell’onorevole La Pira. D’altra parte, visto che i titoli non portano più nessun privilegio, mentre se sono aboliti portano un privilegio a favore degli sfruttatori, inserire il titolo vicino al nome sarebbe una disposizione pratica che rispetterebbe anche un diritto acquisito.
CEVOLOTTO dichiara che, come democratico, non può che essere favorevole alla abolizione dei titoli nobiliari. L’unica perplessità è una perplessità di indole politica. Con questa abolizione si finirà col portare tutta una classe abbastanza numerosa a diventare, anche se oggi sarebbe disposta a farsi repubblicana, strettamente monarchica, nella speranza di riavere i titoli nobiliari perduti.
Osserva però che la formula proposta dall’onorevole La Pira, se si dovesse venire all’abolizione del titolo, non lo soddisfa perché rappresenta una via di mezzo, peggiore della soluzione radicale. Tale formula inoltre, nell’esecuzione pratica, porterebbe forse ad una situazione peggiore della presente, perché vi sono dei titoli che si ereditano per linea primogenita, o che sono conferiti solo a tutti i discendenti maschi. Quando si stabilisca che il titolo è parte integrante del nome, tutti i figli lo erediterebbero, anche quelli che non avrebbero potuto ereditarlo in base alla legge precedente. D’altre parte, se si volesse modificare questo diritto successorio si dovrebbe mantenere la Consulta araldica, e quindi tutta la bardatura del diritto nobiliare che si vuole abolire. Quindi, o si mantiene, per una ragione di opportunità politica, il titolo nobiliare con la disciplina che deve avere secondo il diritto nobiliare, oppure lo si abolisce del tutto.
LOMBARDI GIOVANNI sottolinea la necessità di tener presente l’importanza della rivoluzione compiutasi. Non si è voluta fare una Repubblica all’uso di Gioberti, ma una Repubblica all’uso di Mazzini. Questa repubblica non deve tollerare che permangano delle cariatidi del passato che hanno ricevuto il titolo nobiliare in epoca remotissima. Né ci si può attardare sulle preoccupazioni esposte da alcuni oratori circa la possibilità che dei truffatori, in caso di abolizione, si servano di titoli inventati da loro; ad essi penserà il Codice penale. Per queste ragioni si dichiara contrario alla conservazione dei vecchi titoli, e non può accettare neppure la formula proposta dall’onorevole Basso, che è una formula monca.
È stato affermato che molti titoli hanno una storia: egli per contro afferma che questi rimasugli di una storia superata dalla vittoriosa Repubblica offenderebbero il nostro sentimento. Propone che si dica soltanto: «I titoli nobiliari sono aboliti e non ve ne possono essere più».
MASTROJANNI osserva che, nella questione dei titoli nobiliari, si verte più in tema demagogico, che in tema costituzionale. L’abolizione dei titoli nobiliari presuppone una preoccupazione di permanente soggezione a chi è fornito di un titolo da parte di chi non lo possiede. Ora questo presupposto, dal quale non si può prescindere per giungere alla conclusione voluta da alcuni oratori, è offensivo per l sensibilità del popolo italiano, il quale nella persona titolata non vede che un uomo come lui, che ha un titolo, ma non ha alcun privilegio. Ritiene che una Repubblica democratica quale è quella italiana, la quale si preoccupa di una questione così sottile e in nome della democrazia e della libertà viene a distruggere quello che è un diritto acquisito per legge, sia in contraddizione con se stessa.
Va bene stabilire che i titoli nobiliari sono aboliti per l’avvenire; ma giungere al punto di togliere quello che costituisce un patrimonio spirituale, avrebbe il valore di una patente lesione della libertà individuale da parte di chi ne ha affermato i sacri principî.
Propone perciò che nella Costituzione non si parli affatto della questione dei titoli nobiliari; e che, in via subordinata, se non si ritiene opportuno omettere del tutto la questione stessa, si provveda per l’avvenire, ma si lasci integro quello che è un patrimonio già acquisito.
MARCHESI rileva che i Relatori concordano nell’abolire la distinzione di casta nobiliare la quale, se oggi non costituisce un privilegio, rappresenta una lunga storia di privilegi. Se si dovessero mantenere i titoli nobiliari, data la molteplicità dei titolati, si verrebbe a mantenere la casta; si dichiara quindi favorevole alla formula dell’onorevole Basso e non a quella dell’onorevole La Pira.
Se la Repubblica vuole abolire queste distinzioni di casta, è bene che esse siano abolite di fatto e non di nome, perché le concessioni nobiliari in Italia, specie in talune contrade, sono numerosissime e il titolo di barone, di conte e di principe, specialmente in Sicilia, ha il suo valore. Insomma si tratta di svincolare una gran parte della popolazione minuta di talune contrade italiane, non da un privilegio effettivo, ma da una soggezione che è realmente esistente.
Accetta perciò la formula proposta dall’onorevole Basso.
CARISTIA dichiara che voterà la formula proposta dall’onorevole La Pira, in quanto, pur essendo persuaso che nella Repubblica la prima legge è quella dell’uguaglianza, e pertanto non debbono esistere caste nobiliari, non può non restare perplesso circa l’abolizione dei titoli, soprattutto per le ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto. Si domanda se proprio in questo momento sia assolutamente necessario andare contro una classe la quale in sostanza è perfettamente innocua. La Repubblica è ben salda e non ha bisogno certo di essere rafforzata con siffatte abolizioni.
È stato detto che questi nobili possiedono un privilegio, anzi rappresentano una collana di privilegi antecedenti; ma non vede in che cosa consistano praticamente, questi privilegi. Non si deve dare soverchia importanza alla situazione che può riscontrarsi in alcune piccole contrade d’Italia. Ritiene che ci si debba mettere su di un terreno di opportunità, e domandarsi se sia il caso di abolire i titoli che già esistono. Per l’avvenire, invece, è chiaro che essi non dovranno più essere concessi.
MANCINI ritiene che l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica. Se così fosse, non la voterebbe. Essa, invece, è la conseguenza logica, politica dell’ordinamento democratico repubblicano oggi vigente. E la prova che non sia demagogica è data ad esuberanza dai ricordi storici. La Rivoluzione francese abolì i titoli nobiliari, e la Rivoluzione francese non faceva demagogia. La Repubblica di Weimar, di cui l’onorevole La Pira ha riportato integralmente l’articolo, non fece della demagogia. Rammenta che in una pagina di Giuseppe Mazzini sta scritto che: «la sola nobiltà che si ha il dovere di rispettare è la nobiltà dell’ingegno e del lavoro». Bastano queste parole per indicare a tutti gli oppositori come l’abolizione dei titoli nobiliari non sia una manifestazione demagogica.
Fa presente inoltre che il Consiglio dei Ministri ha abolito il titolo e l’attributo di Eccellenza, che non è un titolo nobiliare, ma un attributo conquistato da colui che è eccelso per virtù d’ingegno e di lavoro. Se, dunque, è stato abolito l’attributo di Eccellenza, come si può mantenere in vita il titolo di nobiltà conquistato dalla violenza delle armi o dai favoritismi regi?
Si dichiara perciò favorevole all’abolizione pura e semplice del titolo nobiliare, come conseguenza legittima dell’ordinamento repubblicano.
GRASSI è d’accordo circa l’abolizione del titolo come conseguenza dell’ordinamento repubblicano. Fa però osservare che il titolo ormai fa parte integrante del nome, è scritto nello stato civile, nel catasto, ecc., e quindi la persona che porta il titolo è seguita da tutta una situazione particolare. Perciò il titolo, anche se abolito, deve restare a far parte del nome; altrimenti si dovrebbe stabilire una legge per togliere nello stato civile, nel catasto, ecc. tutte le intestazioni fatte a quel nome.
Si dichiara pertanto favorevole alla formula proposta dall’onorevole La Pira.
MARCHESI fa presente la necessità di chiarire, nel caso in cui venga mantenuto il titolo, se ne mantiene anche la trasferibilità.
PRESIDENTE propone di votare anzitutto la proposta dell’onorevole Mastrojanni il quale, pur non dichiarandosi contrario all’abolizione dei titoli nobiliari, ritiene inopportuno far parola di tale questione in sede di Costituzione.
LUCIFERO fa presente che è perfettamente inutile stabilire che per l’avvenire non si concedono titoli nobiliari, una volta venuta meno la fonte dalla quale essi emanano.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta Mastrojanni, il quale ritiene che non sia assolutamente necessario, anzi che sia inopportuno, parlare della questione in sede costituzionale.
(La proposta è respinta con 2 voti favorevoli e 12 contrari).
Poiché ritiene che tutti siano d’accordo sul principio che per l’avvenire i titoli nobiliari devono essere aboliti, propone che sia votata anzitutto la proposizione in cui è detto: «Per l’avvenire i titoli nobiliari non possono essere concessi».
CEVOLOTTO ritiene che giuridicamente prima di tutto vada posta la questione se i titoli nobiliari debbano essere aboliti o meno; poi sarà votata l’altra questione se debbano esserne concessi dei nuovi.
GRASSI dichiara che voterà in favore della abolizione, con l’intesa che si provveda con apposita disposizione per quanto riguarda il passato.
PRESIDENTE fa osservare che, se si mette in votazione una formula la quale stabilisca che per l’avvenire sono vietati i titoli nobiliari, si ha l’unanimità.
BASSO, Relatore, prega di voler mettere ai voti più che l’articolo, il concetto. Dichiara che, se la sua proposta venisse respinta, egli non accederebbe in subordinata alla formula proposta dall’onorevole La Pira, perché ritiene che essa peggiorerebbe la situazione portando come conseguenza una inflazione dei titoli nobiliari, che verrebbero ereditati, come è già stato osservato, non soltanto dal primogenito, ma da tutti i figli, e anche dalle donne. Inoltre si verrebbe a stabilire con una norma costituzionale che questi titoli non possano essere toccati, tanto che, se in futuro si volesse abolirli, si dovrebbe modificare la Costituzione. Perciò ritiene che, ove non si approvi la sua formula, è meglio non parlare della questione dei titoli in sede costituzionale.
Fa presente che l’articolo della Costituzione di Weimar, citato dall’onorevole La Pira, aveva un senso in quanto in Germania il titolo conferiva dei privilegi, mentre in Italia i privilegi sono stati aboliti da tempo.
Conclude dichiarando che bisogna in primo luogo vedere se la Sottocommissione è d’accordo sul principio che i titoli nobiliari debbano essere aboliti e che ne resti soltanto il predicato connesso col nome. Se questo concetto non è approvato, ritiene che non si possa ulteriormente discutere.
GRASSI fa osservare all’onorevole Basso che il predicato, conservato con la formula da lui proposta, andrebbe a tutti gli eredi.
BASSO, Relatore, è d’accordo, ma osserva che non andrebbe agli eredi il titolo.
GRASSI replica che è la stessa cosa.
LOMBARDI GIOVANNI fa presente che, di fronte alle tante difficoltà che nascerebbero sia dalla proposta Basso sia da quella dell’onorevole La Pira, egli e l’onorevole Mancini hanno proposto di dire semplicemente: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Chiede che su questa proposta sia fatta la votazione.
PRESIDENTE fa presente che, poiché tutti sono d’accordo per quanto riguarda l’avvenire, occorre solo trovare una formula che accomuni i vari pareri, e che sia chiara nell’interpretazione del legislatore.
Appare invece difficile intendersi per quanto riguarda il passato.
BASSO, Relatore, fa notare che la proposta di limitare l’accenno in sede costituzionale all’avvenire è superflua, come osservava anche l’onorevole Lucifero. Caduta la monarchia, se si afferma espressamente nella Costituzione che la Repubblica non può conferire dei titoli, si intende che essi sono senz’altro aboliti.
MANCINI chiede che la proposta fatta da lui e dall’onorevole Lombardi sia votata per appello nominale.
CEVOLOTTO ripete che, con la formula dell’onorevole La Pira, i titoli nobiliari saranno moltiplicati, sia pure con il semplice valore di nome, e per il pubblico continueranno ad essere titoli nobiliari, come avviene per il titolo di Eccellenza, che è stato abolito e si continua a usare.
Prega perciò l’onorevole La Pira di voler riflettere sugli inconvenienti che presenta la sua proposta.
MARCHESI chiede la chiusura della discussione.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta dell’onorevole Marchesi.
(È approvata).
PRESIDENTE fa presente alla Sottocommissione che arrivando all’adozione di una delle due proposte dei relatori si rischia di creare una sperequazione che non gli sembra opportuna. Perciò si domanda se non sia il caso di riproporre la formula dell’onorevole Mastrojanni. Comunque è propenso a fare la proposta formale che non si dica nulla nella Costituzione per quanto riguarda i titoli nobiliari del passato, e che si stabilisca per l’avvenire che i titoli nobiliari sono aboliti e non se ne possono più concedere.
MANCINI, sottolinea che il silenzio in ordine ai titoli nobiliari significa implicitamente riconoscerli. Invece egli e l’onorevole Lombardi intendono non riconoscerli, in omaggio alla loro fede repubblicana e democratica progressiva.
MORO propone l’abolizione completa della questione dei titoli nobiliari nella Costituzione.
PRESIDENTE rileva che la proposta dell’onorevole Moro, mirante a sopprimere la questione dei titoli nobiliari nella Costituzione, è più radicale di quella dell’onorevole Mancini, appartenendo ad un ordine di proposte pregiudiziali. Pertanto la dovrebbe mettere in votazione per prima.
BASSO, Relatore, osserva che la proposta dell’onorevole Moro non fa che riproporre quella dell’onorevole Mastrojanni che è stata già votata e respinta, e pertanto non ritiene che debba essere votata una seconda volta. Chiede che la votazione avvenga prima sulla formula dell’onorevole Mancini alla quale dichiara di aderire.
MARCHESE prega l’onorevole Moro di non insistere nella sua proposta, perché essa potrebbe riproporsi per moltissimi articoli che saranno esaminati dalla Commissione, e sarebbe allora molto pericoloso stabilire il principio che si possa sempre votare per una proposta pregiudiziale di questo genere.
MORO dichiara di ritirare la sua proposta, poiché egli ne faceva soltanto una questione di opportunità. Insiste però nella sua opinione che la Costituzione, in ogni modo, debba dare una giusta regolamentazione per i titoli nobiliari del passato.
MANCINI osserva che in tal caso si dovrebbero riconoscere anche i malfamati titoli nobiliari concessi dal regime fascista. Insiste nel chiedere che la sua formula sia votata per appello nominale.
PRESIDENTE chiede alla Commissione se non sia opportuno riesaminare la questione per vedere di trovare, d’accordo con i relatori, una formula che possa eliminare ogni perplessità.
MANCINI dichiara di non avere, per suo conto, alcuna perplessità; anzi di essere soddisfatto di tale doverosa depennazione, che annulla un privilegio di nascita, sovente mortificato dalle discendenze.
GRASSI rileva che, per quanto riguarda la prima proposizione, i titoli nobiliari cioè debbano essere aboliti, non esiste nessuna divergenza. I pareri sono discordi invece sulla parte che segue, poiché, mentre uno dei Relatori, affermando che i titoli sono aboliti, vuole conservare solo i predicati, l’altro vorrebbe conservare i titoli ed i predicati. Crede che si potrebbe trovare una conciliazione tra questi due punti di vista. Riallacciandosi alle situazioni storiche e giuridiche del nome e cognome, dato che il titolo fa parte del nome e del cognome, si potrebbero congiungere le due proposte, dicendo che gli attuali titoli nobiliari valgono solamente come parte integrante del nome. Si dovrebbe cioè dire: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Poi invece di dire: «I predicati di quelli attualmente esistenti divengono parte integrante del nome», dire: «Quelli attualmente esistenti diventano parte integrante del nome».
LA PIRA, Relatore, dichiara di poter accettare la formula dell’onorevole Grassi.
CEVOLOTTO propone che sia messa ai voti quella parte sulla quale sono tutti d’accordo e che dice: «I titoli nobiliari sono aboliti e non possono esserne concessi altri». Successivamente si potrà votare la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi, più radicale, che mira a non aggiungere altre proposizioni. Se la proposta Mancini e Lombardi fosse respinta, si dovrebbe passare alla formula dell’onorevole Basso o a quella dell’onorevole La Pira.
LOMBARDI fa rilevare che uno dei Relatori, l’onorevole Basso, ha già rinunciato alla sua proposta ed ha aderito a quella formulata da lui e dall’onorevole Mancini.
BASSO, Relatore, esprime il parere che si debba votare la prima proposizione; poi si discuterà sul resto.
MASTROJANNI crede che non si possa votare isolatamente la prima proposizione, in quanto essa non può essere scissa dalla seconda. La sua coscienza sarà tranquillizzata, nel caso dell’abolizione, solamente quando sia garantita la sorte dei nobili per l’avvenire.
BASSO, Relatore, osserva che, poiché sono tutti d’accordo per l’abolizione pura e semplice nel futuro, votare la prima proposizione vuol dire abolire i titoli esistenti. Chi non è d’accordo voterà contro.
GRASSI osserva che, per logica di cose, i due concetti sono connessi. Bisognerebbe mettere prima ai voti la soppressione della seconda parte, dopo di che rimarrebbe la prima.
Sull’ultima parte dell’articolo non si è trovato un accordo; occorre perciò trovare una formula di compromesso.
MANCINI insiste perché sia messa ai voti la sua proposta, che è assorbente di tutte le altre subordinate.
BASSO, Relatore, fa osservare che, se sarà approvata la proposta degli onorevoli
Lombardi e Mancini, questo significherà che è soppresso tutto il resto. Se essa verrà respinta allora è più logico ripiegare sulla proposta dell’onorevole Mastrojanni. Ci sono tre possibilità: 1°) abolizione pura e semplice dei titoli nobiliari; 2°) abolizione dei titoli nobiliari conservando qualche cosa, o il predicato o il nome; 3°) non parlarne affatto in sede di Costituzione. È logico quindi che si debba votare per prima la proposta Lombardi-Mancini.
GRASSI osserva che c’è un equivoco e che non è possibile votare la prima proposizione dicendo che essa assorbe tutto. Egli voterebbe la prima parte riguardante l’abolizione dei titoli nobiliari, ma poiché vuole salvare la seconda parte della proposta La Pira, dovrebbe votare contro la proposta Mancini.
PRESIDENTE osserva che si è voluto dare, da parte di alcuni Commissari, un significato politico alla questione. Dichiara che non intende fare il protettore dei nobili, ma si preoccupa, per un principio di giustizia, che venga regolata la posizione di coloro che attualmente hanno un titolo. Ciò premesso, in una votazione come quella che propone l’onorevole Mancini, il meno che potrebbe fare è di astenersi; mentre vorrebbe votare più giustamente esprimendo la contrarietà alle nuove concessioni di titoli nobiliari, e nello stesso tempo applicando un principio di giustizia nei confronti di coloro che hanno già un titolo.
MORO osserva che si è fatto male a dare un significato politico alla questione.
CORSANEGO fa presente che i titoli nobiliari attribuiti dal fascismo sono già stati aboliti dalla legge.
LOMBARDI GIOVANNI replica che la Commissione si metterebbe contro questa legge, mantenendo gli altri titoli che non sono migliori di quelli dati dal fascismo.
MANCINI insiste perché la votazione sia fatta subito e per appello nominale.
CEVOLOTTO fa notare che la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi ha la precedenza nella votazione perché è la più radicale, e la Commissione non può cominciare la votazione della seconda parte della proposizione che è una subordinata.
PRESIDENTE dichiara che si asterrà dal votare questa proposta perché, pur essendo decisamente contrario ai titoli nobiliari, intende limitare questa contrarietà a quello che il legislatore farà da oggi in poi.
MORO dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi. Ritiene che tutti siano d’accordo intorno allo spirito democratico dello Stato repubblicano. È acquisito alla coscienza sociale di tutti gli italiani che i titoli nobiliari non rappresentano più alcun privilegio.
Se voterà in senso contrario alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi lo farà innanzi tutto per una ragione di delicatezza politica, in quanto gli pare che la Commissione abbia un supremo interesse, quello di non creare una casta la quale sia per principio ostile alla Repubblica, mentre potrebbe essere e dovrebbe essere immessa nel ritmo vitale della nuova organizzazione dello Stato.
Voterà contro anche per un’altra ragione, e cioè perché gli pare che, quando il titolo nobiliare sia ridotto nel significato puro e semplice di un nome, intaccare il nome significa intaccare la libertà individuale.
Per quanto riguarda i titoli fascisti, ritiene che la legge ordinaria potrà provvedere meglio di quello che non sia una disposizione contenuta nella Costituzione.
MARCHESI risponde all’onorevole Moro che il riconoscere nel titolo nobiliare soltanto una tradizione familiare, e non una realtà di privilegi, non sarebbe merito della nostra Costituzione, ma sarebbe già un merito della nostra storia. La Costituzione avrebbe un merito soltanto nel cancellare la traccia di una tradizione che una volta rappresentava un privilegio.
GRASSI dichiara di associarsi alla proposta dell’onorevole Moro e di votare contro la proposta degli onorevoli Mancini-Lombardi per le ragioni esposte dallo stesso onorevole Moro.
LA PIRA, Relatore, si associa completamente alle osservazioni dell’onorevole Moro.
MASTROJANNI dichiara che voterà contro la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi per le considerazioni che ha già svolto, e che in seguito di tempo sono state condivise da altri oratori.
CORSANEGO si associa alla proposta dell’onorevole Moro, riallacciandosi alle ragioni esposte dall’onorevole Cevolotto: non si dovrà creare una casta la quale possa avere un pretesto per dimostrarsi ostile alla Repubblica.
CEVOLOTTO dichiara di essere favorevole alla proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi.
PRESIDENTE mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Lombardi alla quale ha anche aderito il relatore onorevole Basso.
Avverte che, su richiesta degli onorevoli Mancini e Lombardi, la votazione avrà luogo per appello nominale.
Votano sì: Basso, Cevolotto, De Vita, Lombardi Giovanni, Mancini, Marchesi.
Votano no: Corsanego, Grassi, La Pira, Lucifero, Mastrojanni, Moro.
Astenuto: Tupini.
Comunica che la votazione ha dato come risultato sei voti favorevoli e sei voti contrari. In base al regolamento, la proposta è respinta.
La seduta termina alle 14.
Erano presenti: Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, De Vita, Grassi, La Pira, Lombardi Giovanni, Lucifero, Mancini, Marchesi, Mastrojanni, Moro e Tupini.
Assenti giustificati: Dossetti, Iotti Leonilde, Merlin Umberto, Togliatti.